Si dice che i nani nascano dalle pietre

di hikarufly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Locanda dell'Uomo della Luna ***
Capitolo 2: *** L'orgoglio dei nani ***
Capitolo 3: *** Continuare a credere alle favole ***
Capitolo 4: *** Racconti nella penombra ***
Capitolo 5: *** La figlia del costruttore d'asce ***
Capitolo 6: *** Un ultimo canto per Eiki ***
Capitolo 7: *** Nell'oscurità della notte ***
Capitolo 8: *** L'imboscata ***
Capitolo 9: *** Nella casa di dama Ireth, parte 1 ***
Capitolo 10: *** Nella casa di dama Ireth, parte 2 ***
Capitolo 11: *** L'alba nei boschi ***
Capitolo 12: *** Il viaggio continua ***
Capitolo 13: *** Il re sotto la montagna ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** La Locanda dell'Uomo della Luna ***


C'è una locanda, un'allegra locanda,
Sotto un vecchio colle grigio,
Ove la birra è così scura,
Che anche l'Uomo della Luna
E' sceso un giorno a berne un sorso.

 

Le voci dei nani risuonavano nella foresta, allegre e vivaci. Erano scampati a tanti pericoli che quel pomeriggio soleggiato e tranquillo metteva loro di buonumore. Dovevano reincontrare Gandalf, che li aveva lasciati per “sbrigare suoi affari” e aveva chiesto loro di incontrarsi di nuovo alla Locanda dell'Uomo della Luna. Quel nome aveva suscitato nella compagnia il ricordo di una vecchia canzone che solevano cantare nei giorni in cui la paga era buona e la nostalgia di casa meno forte.
 

Lo stalliere ha un gatto brillo,
Che suona un violino a tre corde;
Su e giù scorre l'archetto,
Stridulo a volte, a volte cheto,
Ed a volte solo un trillo.

«Siamo stati fortunati a non incontrare orchi sul nostro cammino, ma non presumerei che non ce ne fossero altri. Volete tacere?» ordinò Thorin, burbero e accigliato. Gli altri ammutolirono pian piano, mentre Balin si avvicinava al principe.

«Abbiamo avuto giornate difficili... potresti concedere loro un po' di spensieratezza» suggerì, mentre anche Bilbo arrestava il suo canto: conosceva anche lui quelle rime e sembrò molto deluso e vergognoso di aver continuato per qualche secondo in più degli altri.

«La spensieratezza non li salverà se qualche goblin ci scaglierà una freccia in fronte» sentenziò sibillino Thorin, allungando il passo per lasciare Balin dietro di sé. Il nano sospirò e tornò indietro insieme agli altri.

«È un peccato che Thorin non riesca a tranquillizzarsi... ma dall'altra rende il nostro viaggio molto più sicuro» disse Balin a Bilbo, che era arrivato vicino a sé.

«Non ti crucciare, mastro hobbit» disse Gloin, con un tono piuttosto brusco e non rassicurante come doveva «non ce l'ha con te... più con noi, quando ci dimentichiamo l'importanza della missione!»

Bilbo restituì un sorriso poco convinto.

«Preferisce canti più vicini alla sua indole, signor Baggins» spiegò calmo Ori, e Balin approvò che fosse lui ora a rivolgersi allo hobbit.

«Tristi, malinconiche e piene di voglia di riscatto!» esclamò Bofur, decisamente più allegro.

«Nostro zio ha ragione di essere inquieto» disse Kili, annuendo.

«Finché la missione non sarà compiuta, lo resterà, temo» aggiunse Fili.

Bilbo restò in silenzio, e osò parlare solo perché, nel pomeriggio che si tingeva del rosso del tramonto, aveva scorto una locanda, alle porte di un piccolo villaggio.

«È qui che ci aspetta Gandalf?» chiese, indicandola. Thorin restò silenzioso ma fece cenno di sì, quando riconobbe il nome sull'insegna.

«Questo villaggio è abitato solo da uomini, ma anni fa una comunità di nani vi si stabilì per lavorare. Hanno delle stanze della nostra taglia» spiegò Dori, e Oin, con il cornetto acustico al suo posto, borbottò un assenso a quella dichiarazione.

«Potremmo fermarci per la notte, che ne dite?» propose Ori, con la sua solita cortesia.

Thorin restò in silenzio per qualche istante, fermo.

«Se Gandalf non sarà già qui, lo attenderemo per un paio di giorni, senza allontanarci troppo. Ricordatevi: siamo in viaggio per raggiungere una comunità di nani stabilitasi poco lontano da qui» spiegò il capo della compagnia, per poi avvicinarsi alla locanda. I festeggiamenti del gruppo per quella sosta non durò molto, fulminata dallo sguardo penetrante del principe, ma continuarono a gioire in maniera più discreta.

Entrarono nella locanda, e gli avventori ammutolirono. Non si vedevano nani da un po' di tempo, e soprattutto non così numerosi. Alcuni uomini al bancone osservarono Bilbo con curiosità, alcuni scambiandolo per una donna nano o per un nano non barbuto.

«Mastri nani! Che piacere avervi qui!» esclamò l'oste, un uomo panciuto decisamente untuoso e viscido. Thorin mantenne il suo contegno principesco, mentre Balin e Dwalin sembravano offesi da quel modo di fare. Gli altri nani, e Bilbo, attesero il da farsi.

«Siamo in viaggio per raggiungere una piccola comunità di nostri consanguinei, qui vicino. Siamo in attesa di un viaggiatore, che si occupa di affari per noi, ma non sappiamo se è già arrivato» si spiegò Thorin, con una dignità che sorprese molti, ma non i suoi compagni.

«Non abbiamo nessuno di diverso dalla solita clientela. L'ultimo forestiero ha alloggiato qui circa un mese fa. Volete delle stanze, lorsignori, in attesa del vostro amico?» domandò ancora l'oste, provocando loro un certo fastidio nel sentirlo parlare.

«Per il momento, solo per questa notte. Siamo sicuri che è sulla via per raggiungerci» aggiunse Balin, con fare cordiale. L'oste allora diede disposizioni a una donnina vicino a lui di accompagnarli nella loro stanza, ma solo dopo un giro di birra offerto dalla casa. Lei annuì, cercando di non mostrarsi, ma Bilbo si incuriosì molto del suo aspetto: era alta più o meno quanto lui e sapeva che, per quanto le donne umane potessero essere basse, non lo erano così tanto!

I tredici nani occuparono un tavolo, chiedendo all'oste se potevano portare formaggio, torte salate, insaccati e carni secche, e funghi e pomodori cotti. La donna venne coperta di ordini abbaiati dall'oste, e sempre con la testa bassa, portò un vassoio pieno di pinte di birra e incrociò per un secondo il suo sguardo con quello de lo hobbit. Bilbo non toccò neppure il suo bicchiere, mentre gli altri brindavano, tutti tranne Thorin, che si era accorto a sua volta della loro cameriera. Quando ella tornò, alzò gli occhi sul capo della compagnia, con una certa meraviglia. I suoi tratti, constatò Bilbo, non erano delicati come quelli delle donne hobbit, ma avevano una loro armonia pur nel naso un po' a patata e la mascella più squadrata delle ragazze che aveva conosciuto. I suoi capelli erano folti e stretti in un fermaglio, e notò che aveva qualcosa, vicino alle orecchie e al mento, che gli sembrava proprio...Thorin bloccò i suoi pensieri con un sussurro ribollente di rabbia, come il ringhio soffocato di un grosso cane.

«Non dovreste servirci voi»

Bilbo lo guardò sconcertato: sembrava che lei avesse fatto qualcosa per indispettirlo. La donna fece un passo indietro e abbassò gli occhi.

«Non potete permettere che vi trattino così» aggiunse poi Thorin, e Bilbo si sentì più confuso di prima. Il resto della compagnia, piano piano, si accorse che il loro capo stava intrattenendosi con la cameriera e tutti, con calma, si resero conto di una cosa, restando sconcertati, e soprattutto dispiaciuti.

«Cosa...?» osò chiedere Bilbo. Balin si voltò verso di lui.

«È una donna nano» affermò, mentre lei si portava le mani al viso e nascondendolo, scappò via in preda alle lacrime.

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Capitolo 2
*** L'orgoglio dei nani ***


«Non allarmiamo l'oste, mandiamo lo hobbit a richiamarla dentro» propose Thorin, ancora visibilmente turbato, anche se in maniera moderata. Gli altri erano rimasti silenziosi, e non avevano quasi toccato cibo. Si voltarono verso Bilbo, che li osservò un po' nel panico.

«Cosa dovrei fare?» chiese, più spaventato di fare qualcosa di male che di dover uscire da solo.

«Sin da quando i nani hanno perso i loro regni sotto le montagne, come sai, ci siamo dovuti accontentare dei lavori presso gli uomini che siamo riusciti a trovare, nani o nane che fossimo» spiegò Balin.

«Ma nessuna delle nostre donne dovrebbe servire alle tavole come una serva: le nostre donne sono forti, hanno talento con il legno e i metalli... un lavoro da cameriera per gli uomini mina la loro dignità!» esclamò Dwalin, fulminato da Thorin, che non voleva allarmare l'oste. Anche se era indignato per una tale mancanza di rispetto per una della sua razza, non voleva farle perdere il lavoro che sicuramente le necessitava per vivere.

«Non ti facevo così galante, Dwalin» la buttò sul ridere Nori, che solitamente era di poche parole: questo dimostrò la sorpresa di tutti nell'affermazione del nano guerriero. Dwalin replicò con un borbottio un po' irato, per essere stato “scoperto” nella sua ammirazione per le donnine barbute del suo popolo.

«Se puoi, mastro hobbit, cerca di convincerla a tornare dentro» spiegò Ori, vedendo che Bilbo era ancora perplesso, forse più di prima.

«Potremmo invitarla al nostro tavolo» disse subito Fili, e Kili gli fece eco:

«Sì, potremmo!»

«Dovremo chiedere all'oste di abusare della sua attenzione per questa sera. Almeno, sarà tra amici» sentenziò Balin, saggiamente.

Bilbo, dunque, si alzò garbatamente ed uscì, superando un paio di nani che lo separavano dalla fine della panca. Uscì facendo un piccolo cenno di saluto agli uomini che lo squadravano, mentre l'oste non sembrava affatto turbato: avrebbe solo controllato che tornasse per l'ordine successivo, o che la sua assenza significasse che stava preparando le stanze per quelli della sua razza.

Bilbo la trovò fuori, ai piedi di un albero, ritta sulle gambe e con la testa rivolta al cielo. Dava alla schiena alla porta, per cui lo hobbit non riusciva a scorgerne il viso ma poteva rendersi conto che si stava asciugando le lacrime con la stessa stizza di una bambina scoperta a piagnucolare su un giocattolo rotto: era troppo forte e troppo grande per piangere.

«Perdonatemi...» iniziò Bilbo, e lei si voltò: quel qualcosa di strano che aveva notato sul suo viso, ora era sicuro, era un filo di barba chiara, quasi impercettibile, che le incorniciava il viso. Non aveva baffi, ma si notava quel poco di peluria sulla sua mandibola. Ora finalmente capiva cosa intendevano i nani quando dicevano che “le loro donne erano barbute”!

La nana aveva gli occhi lucidi e le guance rosse per la rabbia e la frustrazione, e si sfregò una mano vicino all'angolo dell'occhio sinistro e poi del destro.

«Mi dispiace, mastro hobbit, per il mio comportamento» disse subito lei, con una voce più chiara di quanto si aspettasse, ma sicuramente molto più grave di quella di qualsiasi donna hobbit lui avesse conosciuto.

«Cosa penserebbe mio padre, buon anima, se fosse ancora tra noi» continuò, ridendo visibilmente di se stessa «se vedesse che il nipote del Re Sotto la Montagna mi ha sorpreso a servire ai tavoli come una donna qualunque!»

Bilbo non seppe bene come replicare, finché non mise insieme i suoi pensieri.

«I miei compagni, ehm, mi chiedono se ci fareste la cortesia di sedere al nostro tavolo. Penseranno loro a scusarvi con l'oste, per questa sera» spiegò, con tutta la gentilezza e maniera che riuscì a mettere insieme, dato il nervosismo. La sua interlocutrice parve risentita.

«Scusarmi? E per cosa? Non mi metterò a poltrire, non di fronte al principe Thorin!» esclamò, orgogliosa quasi quanto il nano appena nominato «però...» aggiunse, con una lucina negli occhi, e comprendendo il tipo di invito che le era stato fatto «i vostri egregi compagni potrebbero sempre domandare all'oste di non farsi servire da altri, e insistere perché i nani restino con i nani. L'oste ha un certo ribrezzo per le amicizie tra razze, non avrà obiezioni a tenermi lontana dagli uomini della locanda» concluse, rendendosi conto che forse era meglio non parlare allo hobbit del tipo di atteggiamenti degli avventori “alti”, nei suoi confronti, che l'oste disapprovava di più. Bilbo annuì con una certa disinvoltura e le fece cenno di precederlo. La cameriera, con un inchino, lo superò ed entrò prima di lui. Lo hobbit notò il suo incedere e il suo modo di porsi: era fiero, come quello dei suoi compagni d'avventura, e c'era della gentilezza nei suoi occhi, come per alcuni di coloro che viaggiavano con lui. Non poteva non essere un nano... anche se femmina!

Thorin, quando lei e Bilbo rientrarono, si alzò e raggiunse di nuovo l'oste. Bilbo fece cenno al principe dei nani di lasciarlo parlare, ma ovviamente Thorin non ne volle sapere.

«Ho una richiesta, signore» iniziò, con voce solenne. La nana non fiatò e rimase a contemplarlo.

«Questa donna fa parte del mio popolo, come io e i miei compagni abbiamo notato con piacere. Vi domando dunque se potesse restare a nostra esclusiva disposizione per questa sera, e non a tutta la clientela della locanda. Sono molti i giorni e le distanze che ci separano dal nostro popolo e quando ritroviamo un membro della comunità, per noi è una grande festa» spiegò, stranamente diplomatico, Thorin. In parte del suo discorso, è intuibile, c'era lo zampino di Balin, ma il principe aveva modi garbati quando si dimenticava di essere orgoglioso e burbero.

L'oste sembrò felicissimo all'idea.

«Ma certo, mastro nano, stavo proprio per proporvelo!» mentì spudoratamente, con quel fare viscido di poco prima. Stava evidentemente per suggerire qualcosa di poco appropriato, convinto forse che i nani fossero rozzi e lascivi, ma per fortuna la sua sottoposta aveva un senso dell'onore troppo forte per lasciarlo parlare. Lanciò un'occhiataccia al suo principale e seguì il principe e Bilbo, senza indugio, fino al tavolo: la natura gioviale del suo popolo comparve nel suo sorriso solare, nelle sue guance, rosee di un tocco di riservatezza femminile, e nei modi colloquiali e gentili di fronte a cibo e buona birra. I nani vollero trattarla da loro pari, e non da cameriera, dato che questo era il piano. Le venne concesso il posto d'onore alla destra di Thorin, e questo infiammò un poco l'invidia di alcuni dei nani. Dwalin ammutolì, evidentemente poco avvezzo a conversare con l'altro sesso, mentre Nori, Dori, Bifur, Bombur, Oin e Gloin la trattarono come se fosse un quindicesimo membro della compagnia, dato che per alcuni erano passati i giorni delle conquiste, per altri c'erano signore in attesa del loro ritorno sparse per la Terra di Mezzo e per qualcuno l'indifferenza totale per legami sentimentali. Kili e Fili, in quanto i più giovani, e Ori e Bofur, ignari loro stessi di potersi accalorare per una nana, si imbronciarono come bambini capricciosi per la preferenza riservata a Thorin. Balin, seduto all'altro lato della loro ospite e vicino a Bilbo, si sentì di trattarla come una figlia, mentre lo hobbit restava in silenzio a osservare la scena, a metà tra il divertito e lo stranito.

«Possiamo conoscere il vostro nome, signora?» domandò Balin. Thorin sembrò tacitamente cercare di indovinarlo, dall'espressione pensierosa che aveva. Forse aveva riconosciuto qualche suo tratto, pensò Bilbo.

«Elna, figlia di Renli, il Costruttore d'Asce» rispose lei, in tono cortese. Thorin ebbe la rispsota ai suoi dubbi.

«Renli, il figlio dell'orafa che...» iniziò a dire, ma fu Elna a concludere la frase.

«Che costruì l'ornamento per la barba di vostro nonno, il Re Sotto la Montagna»

Alcuni nani non seppero bene come avrebbe reagito Thorin. Non era certo abituato a farsi interrompere impunemente da nessuno. Ma il tono di lei era stato emozionato tanto quanto il suo, nel ricordare un comune passato, perciò il principe dei nani sorrise.

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Capitolo 3
*** Continuare a credere alle favole ***


I nani si fecero tanto più allegri quanta più birra bevevano, e laddove i più anziani tendevano semplicemente a ridere e darsi pacche sulle spalle, i quattro nani che avevano espresso il loro disappunto per la scelta della disposizione dei posti tentavano di avere le attenzioni di Elna, anche se lei non sembrava troppo incline a parlare, anzi, impensierita. Bilbo, che non amava vedere le persone accigliate o preoccupate, si rivolse a lei con la domanda che gli frullava per la testa da un po':

«Se posso permettermi...» esordì, e i quattro nani, oltre a Thorin e Balin, si voltarono verso di lui «come sapevate che ero uno hobbit? Voglio dire, noi non usciamo mai dalla Contea e non ho mai veduto nani nei nostri confini»

I sei nani si voltarono quindi verso di lei.

«Ho viaggiato molto, mastro Baggins, e mi capitò di lavorare presso la città di Brea. Lì è possibile incontrare hobbit così come gli uomini, e ricordavo l'aspetto della vostra gente» spiegò, gentilmente.

«Viaggiavate con vostro padre?» chiese allora Balin, che lo ricordava bene.

«Mio padre e mia madre, sì. Lui è morto qualche anno fa e mia madre non si è più ripresa da allora. Sono stata costretta a lavorare qui per il suo sostentamento... non c'è necessità di giocattolai, che era tra gli altri il mio mestiere, in queste terre, e mia madre non è in grado di viaggiare» replicò lei, a metà tra il rattristato e lo stizzito, non per la domanda, ma per il suo destino.

Thorin parve turbato da quel racconto, tanto quanto ne fu dispiaciuto Balin. Fili e Kili si infuriarono con il destino, mentre Ori tacque, toccato dalle circostanze, e Bofur lo stesso, soprattutto perché i giocattolai non erano richiesti: doveva essere una terra triste e desolata dove finire.

«Renli il Costruttore d'Asce non avrebbe permesso che sua figlia finisse in un tale posto» sentenziò Thorin, che lo conosceva meno di Balin ma lo ricordava. La nonna di Elna aveva forgiato l'ornamento per la barba di suo nonno in giovanissima età, e si era distinta come orafa sin da ragazzina, e Renli, che non aveva ereditato da lei il talento con i metalli preziosi, era comunque rinomato per le armi che produceva.

«Siete tutti nani di Erebor?» domandò poi Elna, incoraggiata dal loro fare così partecipato e dalla menzione di suo padre, quindi di tempi migliori.

«Alcuni di noi sì, mentre altri sono dei vecchi abitanti di Khazad-dûm» spiegò Balin «e voi?»

«Fui una dei pochi sopravvissuti dell'attacco del drago» raccontò lei, alzando la manica del suo braccio sinistro. Sulla pelle era visibile una vecchia cicatrice, stiracchiata ed estesa, sicuramente data dal fuoco. Tutti i nani si indignarono e ringhiarono, ma un avvertimento del loro capo e di Balin li fermò dall'urlare “a morte il drago”, per mantenere segreta la loro missione.

«Ero molto piccola, e non ricordo nulla, purtroppo neppure la grandezza del Regno sotto la Montagna. Mia madre dice sempre che prima o poi, il principe Thorin riconquisterà Erebor e potremo tutti tornare allo splendore di un tempo» raccontò, con l'aria di chi ha creduto per molto tempo alle favole e vorrebbe continuare a farlo.

I quattro nani di fronte a Thorin, cioè i quattro che stavano già nutrendo una certa ammirazione per la nana, lo opprimevano con i loro sguardi di supplica: volevano risollevarle il morale, farle sapere che la riconquista era in atto e la sconfitta del drago era vicina. Se non per lei, almeno per la madre. Bilbo poteva capire il loro sentimento: al di là della mera conquista della donzella in difficoltà, erano un popolo disgregato, e la speranza era l'unica cosa che rimaneva loro.

Balin chiese tacitamente il permesso di parlare, e si rivolse a Elna.

«C'è qualcosa che ci farebbe piacere dire a vostra madre, con il vostro permesso» disse, con il sorriso di un vecchio che troppe ne ha viste e vuol portare soltanto conforto.

Elna restò interdetta, e si voltò verso l'oste: forse stava abusando troppo della sua pazienza? Sua madre era alloggiata con lei nella soffitta della locanda, sopra le camere, ma si trattava comunque di lasciare del tutto la sala del servizio... non poteva permettersi di perdere quel lavoro.

«Non vi preoccupate, penseremo noi a non fari avere guai con l'oste» si intromise Bofur, che in sensibilità si avvicinava molto allo hobbit. Ori gli fece subito eco.

«Lasciate fare a noi» si affrettò ad aggiungere.

«Lo convinceremo a non darvi noie» disse subito Fili.

«E magari ad aumentarvi lo stipendio!» concluse Kili, sentendosi poi un po' troppo stupido nel dire una cosa del genere e tacendo.

Elna prima sorrise grata e poi ridacchiò di gusto, il che illuminò tutta la compagnia.

«Sarà onorata di fare la vostra conoscenza» sentenziò dunque la nana, preparando un vassoio con alcune delle loro vettovaglie. I quattro nani si prodigarono nell'aiutarla, naturalmente, e anche Dwalin, che lo fece in maniera molto meno chiassosa. Elna face poi strada a tutti quanti fuori dal locale principale e verso le scale. L'oste osservò con disapprovazione ma non fiatò: non sapeva neppure cosa facessero i nani con le nane, e preferiva restarne all'oscuro.

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Capitolo 4
*** Racconti nella penombra ***


La madre di Elna, Eiki, era una nana dalla lunga barba bianca, simile a quella di Balin, ma di forma diversa, dato che si concludeva in un'unica punta, fermata con un piccolo accessorio di metallo forgiato. Nonostante la malattia, aveva curato la propria apparenza come solo l'orgoglio dei nani poteva ispirare, e sedeva ritta nel suo lettino come una regina sul trono.

Aveva avuto Elna già in età avanzata, ed era l'unica figlia che le fosse rimasta. I suoi figli più grandi erano stati abbattuti dal drago, ad Erebor, ed Elna dunque non ne serbava memoria. Tutto ciò che la madre della nana aveva conosciuto, dall'esilio, erano stati il lavoro umiliante e mal retribuito e continui spostamenti, che poco si confacevano alle donne dei nani. Esse, infatti, per la maggior parte della loro vita non lasciavano mai i regni delle montagne, e restavano celate al mondo. Se uscivano, si abbigliavano in abiti maschili per meglio affrontare il viaggio, ed è da questo, oltre alle barbe, che gli altri popoli non avevano mai riconosciuto la presenza di donne nella stirpe dei nani, credendo che si generassero dalle pietre.

Elna, per conto suo, aveva vestiti da bambina che l'oste aveva rimediato dagli abitanti del villaggio, e qualche abito hobbit che lei stessa aveva preso a Brea, abbastanza simile all'abbigliamento che avrebbe avuto a Erebor.

La nana più giovane condusse la compagnia dei 14 al piano di sopra, nella soffitta che l'oste aveva riservato loro per pochi spiccioli. Elna aveva fatto quel che aveva potuto per renderla accogliente, ma di sicuro non vi erano abbastanza sedie per tutti. I nani, abituati a ogni genere di condizione, la rassicurarono che questo non era un problema, e che se aveva modo di far accomodare il loro capo, sarebbe stato sufficiente. Bilbo tentò di aprir bocca per chiedere di potersi appoggiare a sua volta a qualcosa di morbido, ma fu in quel momento che videro la madre di Elna, e lo hobbit restò talmente di stucco che tacque. Era la prima volta che vedeva una donna nano così anziana e solenne. Lo sguardo della vecchia Eiki si illuminò nel vedere tanti appartenenti alla sua razza e fece cenno alla figlia di avvicinarsi a lei.

«Vi ho portato delle visite, madre» esordì Elna, e la madre annuì con un sorriso che non le vedeva più da quando suo padre era morto.

«E quali visite, piccola mia!» esclamò la donna, con una voce talmente profonda che Bilbo ebbe un sussulto, e ricordò le voci che giravano sull'esistenza, o no, delle donne nano.

«Nientemeno che l'erede al Trono sotto la Montagna, Thorin Scudodiquercia!» aggiunse ella, e il principe dei nani fece un lieve inchino, in segno di rispetto e gratitudine per l'evidente deferenza di Eiki.

«Ma vedo anche vecchie conoscenze e nuove forze in questa compagnia... nonché un piccolo hobbit. Perdonatemi se vi chiedo di avvicinarvi, gentili signori, ma non ho più occhi buoni come un tempo» continuò l'anziana, evidentemente avvezza ad accogliere ospiti come la Gente Alta, anche se l'abitudine si era grossomodo dovuta interrompere per le sue condizioni e la mancanza di visite frequenti.

I nani fecero un passo avanti tutti insieme, finendo con il cozzare tra loro come quando troppe persone tentano di passare per una porta. Elna si avvicinò a loro e pregò Thorin di prendere la sedia più grande e comoda che avevano, quella vicino al letto di sua madre. Il principe non si fece ripetere due volte l'invito e una volta seduto, gli altri nani vennero invitati a mettersi tutti dal lato del letto libero, dato che esso era appoggiato ad un muro, in modo che colmasse uno degli angoli di quella mansarda, costituita da un'unica grande stanza, non troppo ben illuminata. Elna andò ad accendere tutte le candele che possedeva e ad attizzare il fuoco. Restarono nella penombra, come piaceva ai nani, ma se non altro poterono vedersi in viso. Elna ebbe anche l'accortezza di dare un lume allo hobbit, che sapeva non essere abituato alle tenebre. Bilbo la ringraziò con un sorriso.

Balin, essendo il più anziano, fu sistemato su un'altra seggiola, mentre Elna si sedeva al lato del letto, vicino alla madre. Lo hobbit e gli altri si sedettero a terra, e Bilbo trovò che, dopo tanti accampamenti tra le rocce e nei boschi, quel tappeto un po' vecchio era decisamente comodo.

Thorin e Balin non dovettero passare alle presentazioni per se stessi, dato che Eiki si ricordava bene di entrambi, e lasciarono che gli altri nani dicessero i propri nomi e le presentassero i loro saluti. Fili, Kili, Ori e Bofur sembrarono voler ingraziarsela subito, probabilmente per risultare migliori agli occhi della figlia, mentre gli altri si limitarono molto nel loro intervento. L'anziana ringraziò tutti per la loro premura, e fu molto contenta che facessero un brindisi in suo onore, nonostante lei non potesse parteciparvi. Elna restò sempre accanto a lei, attenta a ogni sua più piccola esigenza, ma in silenzio e senza pesare con le sue apprensioni su di lei. Questo aumentò la stima che già era alta nei cuori dei nani per lei, e anche Bilbo, che in quanto hobbit sapeva notare le cose piccole che più contano nella vita, si disse che se avesse potuto avere un'amica come lei nella vita, avrebbe barattato persino il prezioso servizio di porcellana di sua madre Belladonna.

Tutti i nani e lo hobbit passarono qualche altro tempo a mangiare e bere, finchè Balin non si schiarì la voce e prese la parola.

«Gentile signora, apprendiamo da vostra figlia che i suoi sentimenti sono comuni ai nostri nello sgomento per il nostro esilio e la speranza di ritrovare il nostro regno, ad Erebor» iniziò Balin.

Eiki annuì, grave.

«Ho pianto amare lacrime quando mia figlia ha dovuto tagliare la sua barba» dichiarò, solenne, mentre Elna abbassava la testa, vergognandosi profondamente di un simile gesto.

«Mai l'avrei rasata... mai» sibilò, infuriata con la Gente Alta.

I nani abbassarono il capo, profondamente dispiaciuti per lei, ognuno con una parola di conforto e incoraggiamento, mentre Bilbo non fiatava: grazie allo spirito della compagnia, riusciva a non sentirsi fuori posto, ma il loro sentimento di nostalgia e fierezza era qualcosa che non apparteneva alla sua razza.

«La nostra compagnia è in viaggio verso la Montagna Solitaria. Ci sono stati segni, in tutta la terra di mezzo, che le cose stanno cambiando. Siamo certi che ci sia una possibilità per riprendere il Regno sotto la Montagna, e siamo tutti insieme per coglierla» continuò Balin, mentre Thorin restava assorto nei suoi pensieri. Inaspettatamente, però, il principe si alzò.

«Il nostro popolo ritroverà la sua casa, la sua dignità e il suo posto, signora. Ed è questa speranza che vorremmo serbassero i vostri cuori» disse solennemente il principe dei nani, mentre tutti gli altri si alzavano, infiammati dalle sue parole. L'anziana si portò le mani al volto, una maschera di sorpresa e meraviglia. Elna si preoccupò subito, nonostante anche lei fosse sconcertata quanto la madre, ma Eiki mostrò un sorriso e iniziò a piangere lacrime di gioia, ridendo tra le mani che celavano il suo volto saggio e felice.

 

I nani risero felici e chiamarono un altro brindisi, decisi a rendere quella sera una lunga, interminabile festa. Eiki riuscì a smettere di piangere, ma non di ridere, e Elna si inchino profondamente a Thorin. Il principe non fu tanto colpito da questo, quanto dalle piccole mani di lei che prendevano le sue e le avvicinavano alle labbra di lei, che aveva il capo chino. Baciò le mani del suo principe e si inchinò, per poi rialzarsi con un sorriso che le illuminò gli occhi e l'espressione, lasciando, forse per la prima volta nella sua vita, Thorin senza parole.

Balin lo risvegliò con una piccola pacca sulla schiena, invitandolo a dare sfogo al piccolo buffet insieme agli altri nani, che avevano avvicinato il tavolo rotondo della stanza al letto e si erano disposti intorno ad esso, spostando Bilbo quasi di peso per conseguenza, disseminando sulla superficie tutte le vivande. Si erano ritrovati, quindi, come commensali allo stesso banchetto, e questo rischiò di far commuovere di nuovo Eiki, che però, essendo una vera nana, si limitò a ringraziare e festeggiare con loro.

Racconti e storie si susseguirono, chiacchiere e risate, finché l'anziana nana chiese un secondo di abbassare i toni. I nani più giovani quasi si scusarono della loro confusione, ma lei rivolse le sue attenzioni alla figlia, prendendole le mani tra le sue.

«Canteresti per me, piccola mia?» domandò, gli occhi nei suoi. Elna restò interdetta, per poi voltarsi verso tutti gli altri.

«Canteremo tutti per te, madre» rispose, senza smettere di tenerle le mani.

Gli uomini si guardarono tra loro, in cerca di qualcosa di adatto, e Thorin iniziò la canzone. Dato che anche Bilbo la conosceva, si permise di intromettersi, e la sua voce e quella di Elna risultarono le più chiare.

 

Giovane era il mondo, e le montagne verdi
Ancora sulla Luna macchia non era da vedervi,
Nessuna parola su fiume o rupe eretta in aria,
Quando Durin destatosi camminò in terra solitaria.
Diede nome ad anonimi colli e vallate,
Bevette da sorgive ancor mai assagiate;
Egli si chinò per guardare nel Mirolago,
E di una corona di stelle vide il contorno vago;
Parean gemme incastonate in argento,
Sulle ombre del suo bel capo intento.

Bello era il mondo, ed alti i monti ignoti,
Prima della caduta, nei Tempi Remoti,
Dei potenti re che son fuggiti via
Da Nargothrond o Gondolin che sia
Dai Mari Occidentali sull'altra sponda:
Ai tempi di Durin la terra era gioconda.

Era re su di un trono intarsiato
Fra saloni dal gran colonnato;
Sul capo i soffitti d'argento,
Su porte le rune del potere, e d'oro il pavimento.
Di sole, luna e stelle il bagliore infocato
Nei lampadari lucidi di cristallo molato,
Che sempre splendidi e imponenti brillavano,
E che mai nubi ed ombre di notte offuscavano.

Ivi colpiva l'incudine il martello,
Ivi l'incisor scriveva, ed oprava lo scalpello;
Ivi forgiata la lame ed all'elsa unita,
Ivi minator scavava e murator costruiva con fatica.
Ivi gemme perle ed opale iridescente,
E metallo lavorato come maglie di rete incandescente.
Ivi scudi e corazze, asce, spade e pugnali,
E le trombe squillavano ai cancelli.

Il popolo di Durin mai non si stancava;
Sotto le montagne la musica suonava:
Fremevano le arpe, cantavano i menestrelli,
E le trombe squillavano ai cancelli.

Il mondo è grigio e le montagne anziane,
Nelle fucine, le fredde ceneri sono del fuoco un ricordo lontano.
Nessun'arpa vibrante, nessun ritmo di martelli.
Regna l'oscurità su miniere e castelli;
Sulla tomba di Durin incombe fosca l'ombra,
A Moria, a Khazad-dûm.
Ma ancora appaiono le stelle morenti
Nel Mirolago oscuro e senza venti.
Là giace in abissi d'acque di Durin la corona,
Lì si risveglierà, quando sarà giunta l'ora.

 

Quando il Canto di Durin si spense, il cuore di tutti si infranse, nel vedere le lacrime scendere sul volto di Elna: Eiki, tra le donne più anziane del regno di Erebor, si era spenta con un sorriso e la speranza nel cuore.



(N.B. Naturalmente non mi prendo il merito di questo bellissimo canto: è di Tolkien, preso da "Il signore degli anelli")

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Capitolo 5
*** La figlia del costruttore d'asce ***


Tutti i nani e Bilbo insistettero per fari riposare Elna, nonostante l'alba non fosse lontana. Le sue lacrime restarono silenziose e il suo contegno impeccabile: aveva sentito la mano della madre non stringere più la sua, durante il canto, ma non l'aveva interrotto. Riuscì a convincere tutta la compagnia a ritirarsi nei loro alloggi, dopo alcune insistenze, soprattutto con Bilbo, il quale, lungi dall'avere la forza di volontà di aiutarla fisicamente, aveva di sicuro le parole giuste di conforto per lei, per sua natura.

Elna, rimasta sola, e lasciata la compagnia quasi insonne per il resto della notte, fasciò il corpo di sua madre in un lenzuolo in più possibile bianco e svuotò i pochi mobili delle loro poche cose: fece un fagotto e si abbigliò dei vecchi vestiti di suo padre, ricacciando indietro le lacrime e riempiendo i suoi gesti di orgoglio e stizza.

Era mattino inoltrato quando i nani uscirono dalle loro stanze e si sistemarono nella locanda deserta per attendere Gandalf senza dare nell'occhio all'esterno. Molti di loro, primi fra tutti Balin e Thorin, erano molto turbati e i quattro più ferventi ammiratori della loro nuova conoscenza insistettero per andare di sopra e vedere come stava. L'oste ascoltava circospetto, facendo finta che non gli interessasse. Thorin li placò, in malo modo, mentre Balin diceva loro di tranquillizzarsi e di lasciare che lei affrontasse queste prime ore di dolore come meglio credeva. Sarebbero stati a lei più utili quando si fosse calmata e riposata.

Fu qualche istante dopo che queste parole furono pronunciate che Elna discese le scale, con il peso del suo fagotto e del corpo della madre sulla schiena. Tutti i nani si alzarono immediatamente e Dwalin, dimostrando ancora una volta un bizzarro spirito cavalleresco, tentò di prendere il corpo di Eiki per non farla restare ricurva. Dopo qualche piccola lotta, Elna dovette lasciarla andare e si voltò verso l'oste.

«Vi rassegno le mie dimissioni, signore, poiché non c'è più nulla qui a trattenermi» disse, infuriata con lui e con il destino, per poi voltarsi verso i nani e Bilbo. Negli occhi di molti di loro si leggeva paura per ciò che il dolore ci porta a fare, delusione per non essere stati considerati da lei degni di essere qualcuno con cui trattenersi almeno per una giornata in più, voglia di aiutarla in qualsiasi cosa le servisse. Thorin si alzò immediatamente e si avvicinò a lei.

«Attendete con noi il nostro compagno di viaggio. Partiremo insieme e vi accompagneremo presso dei nostri simili, che abitano oltre la prima parte del Bosco» le disse, con un tono che sorprese persino Balin, che lo conosceva dai tempi del Regno sotto la Montagna. Il gesto di lei, della sera prima, l'aveva toccato più di quanto credesse egli stesso. Elna, però, era troppo accecata dal proprio lutto e dall'irrimediabile orgoglio della sua razza.

«Devo seppellire mia madre, lontano da questo luogo orribile. Non posso pensare di dover tornare qui per porle i miei omaggi negli anni a venire» spiegò, la voce rotta dalla furia e dalla disperazione.

Sembrò che Balin volesse dire qualcosa, ma lei lo fermò subito.

«Non brucerò il suo corpo, Mr Balin. Non potrei farle questo. Merita la sepoltura che i suoi padri hanno avuto» disse ancora, senza cambiare il suo tono.

I fratelli Bofur e Bombur e Fili e Kili cercarono subito l'attenzione del loro capo, chiedendogli con gran fervore di aiutarla, di accompagnarla almeno per seppellire la madre. Dori, Nori e Bifur si offrirono di restare ad attendere Gandalf, mentre Ori, incapace di dimostrare la stessa furia della nana, era evidentemente in cerca di un qualche atteggiamento per calmarla, anche se non sapeva bene quale.

«Non possiamo dividerci» sentenziò Thorin, con evidente turbamento alla prospettiva sia che la loro missione dovesse subire alcun ritardo sia per quella di lasciare la nana a se stessa «dobbiamo attendere Gandalf, e voi l'attenderete con noi. Se entro questa sera non si farà vivo...» iniziò, ma non seppe come finire.

«Non ho bisogno di nessuno di voi» replicò lei, cercando di riprendere sua madre dalle braccia forti di Dwalin, senza successo. Bilbo restò interdetto dalla sua reazione, così come praticamente tutti i nani: lo hobbit fu convinto di vedere i loro cuori incrinarsi per questa dichiarazione. Elna stessa se ne vergognò, dopo averla pronunciata, e sospirò. Stava per scusarsi, anche se il suo sguardo, posatosi su Thorin fu più eloquente delle parole, quando la porta della locanda si spalancò, inondandola della luce del mattino.

«Che diavolo sta succedendo qui?» domandò una voce familiare. Bilbo non seppe resistere alla sensazione di sollievo che gli nacque dentro.

«Gandalf!» esclamò, correndogli incontro. Ma lo stregone era impettito e aveva le mani sui fianchi, intento a osservare la piccola Elna.

«Voi nani sapete essere tutti uguali... orgogliosi e cocciuti!» borbottò, per poi avviarsi verso il bancone dell'oste e lasciandogli una piccola sacchetta.

«Togliamo il disturbo, il prima possibile» ordinò lo stregone, mentre i nani, già praticamente pronti, lo seguivano fuori. Quando tutti e quattordici i nani e lo hobbit furono alla luce del sole, Gandalf, prese a procedere da solo, troppo arrabbiato per spiccicare parola.

I nani, dopo qualche istante, presero a seguirlo e Balin circondò le spalle della nana con il proprio braccio.

«Il dolore fa dire cose che non si pensano, Elna. Non vi crucciate: scusatevi con gli altri e torneremo amici come prima» spiegò, e lei, gli occhi lucidi e il cuore spezzato, gli sorrise come poté, in segno di ringraziamento.

Thorin si affrettò a raggiungere Gandalf, per spiegargli la situazione, e così Balin. Elna rimase circondata dal resto della compagnia, Dwalin in testa, con Bilbo al suo fianco.

«Vi prego di accettare le mie scuse per il mio comportamento» disse, tornata la nana gentile, anche se un po' orgogliosa, che avevano conosciuto il giorno prima. I nani e lo hobbit non tennero a lungo il muso, e la perdonarono in men che non si dica, prendendo a darle le loro più sentite condoglianze e facendola sentire amata e protetta come non lo era da troppo tempo.

Gandalf si girò verso di loro, ancora evidentemente disturbato.

«E così, questa è la figlia del Costruttore d'Asce» disse lo stregone, avvicinandosi a lei e scrutandola, tenendo una mano salda sulla sua piccola spalla. Elna aveva gli abiti di suo padre e tutti i presenti erano certi che, una volta che la sua barba fosse ricresciuta a dovere, sarebbe stata scambiata, da un occhio non attento, per un nano maschio piuttosto giovane. Gli abiti di Renli erano semplici ma ben confezionati, con accessori di ferro intarsiati dei motivi geometrici dei nani di Erebor. Sulla schiena aveva due piccole asce, ben affilate e quantomai ben costruite.

«Mi dispiace per vostra madre» borbottò ancora Gandalf «ma non posso permettervi di seguire questa compagnia verso il vecchio regno» aggiunse, e Elna si affrettò a replicare.

«Non voglio essere di alcun intralcio, signore. Avrei evitato di arrecare disturbo, portando via mia madre da sola e cercando la prima piccola comunità di nani più vicina. Ma la generosità del principe Thorin e dei suoi compagni non me l'ha permesso né me l'avrebbe reso semplice» spiegò, provocando un leggero rossore sulle guance di Thorin, con la sorpresa di Bilbo che, solo, se ne accorse, dato che durò quanto il lampo di un fulmine.

Gandalf li osservò tutti un po' contrariato, ma si dimostrò gentile e garbato con la nana, che lasciò alle cure degli altri suoi simili, anche se lei passò la maggior parte del tempo, in silenzio, accanto a Thorin, che non disse una parola.

Bilbo raggiunse lo stregone e notò subito che non sembrava del tutto sereno o forse contento della situazione.

«Vedi, mio caro Bilbo... le razze della Terra di Mezzo sono assai differenti tra loro sotto molti aspetti. Ma c'è una cosa che non è mai diversa, tra un elfo, un uomo, un hobbit o un nano...» spiegò saggiamente Gandalf, voltandosi indietro, lasciando che Bilbo lo imitasse, per poi abbassare il tono «una femmina diventa sempre il centro dell'attenzione, lo scopo e la conquista»

Bilbo sorrise, rendendosi conto che era esattamente così.

 

La prima notte che passarono all'aperto non fu affatto un problema per Elna. Era sicuramente ancora scossa dalla morte della madre, il cui corpo era stato celato sotto alcune coperte. Il giorno seguente, a una buona distanza e sotto alcuni alberi frondosi, sarebbe stata sepolta. La nana si sedette a terra, vicino agli altri nani, i quali le avevano preparato un giaciglio e si erano assicurati che stesse sottovento e avesse tutto ciò che le serviva. Gandalf e Bilbo li avevano osservati con l'occhio affettuoso ma divertito di un vecchio amico che osserva una sua conoscenza farsi in quattro per conquistare il cuore del proprio amato.

Si coricarono infine tutti, o quasi: il primo turno di guardia toccava a Thorin, che aveva ordinato al resto della compagnia di dormire. Elna, che non ne era parte, non lo ascoltò. Nonostante non avesse chiuso occhio, non riusciva a dormire, e il principe, dopo un attimo di esitazione, si sedette accanto a lei, di fronte a un fuoco che stava pian piano morendo. Restarono in silenzio, finché la voce di lui non le sussurrò:

«Dovreste coricarvi. Anche se daremo a vostra madre tutti i conforti della sepoltura, non possiamo fermarci a lungo e dovremmo proseguire più velocemente del solito»

Il suo tono era stato deciso, brusco, come era suo uso. Lei scosse appena la testa.

«Non riesco a prendere sonno. Non faccio che pensare al giorno in cui è morto mio padre... e alla notte scorsa» aggiunse poi, cercando i suoi occhi per un attimo. Si incontrarono per un secondo, ed entrambi ammutolirono.

«La cosa più difficile» continuò lei, abbassando il volto «è non poter incolpare nessuno per la perdita che ho subito»

Thorin non diede segno di aver sentito, ma il suo orecchio era attento.

«Mia madre è morta, per la vecchiaia e la malattia, e io sono rimasta sola. Che vendetta posso cercare? Che pace posso trovare?» disse, per poi piombare in un silenzio che le stava impedendo di ricominciare a piangere. Non voleva dimostrare di essere così debole, a nessuno, e soprattutto a Thorin e a se stessa.

«Almeno voi avete qualcuno con cui prendervela...» dichiarò lei, dopo un poco, la rabbia che montava ancora «sapete, mio padre usava rimproverarmi molto spesso, quando ero bambina» iniziò a raccontare. Thorin alzò la testa e la osservò in volto. I suoi occhi le chiedevano il perché, ma le sue labbra non si mossero.

«Sono stata cresciuta come una nana, con l'orgoglio della nostra razza e il desiderio di riprendere i nostri regni sotterranei. Mi è stato insegnato che i lavori presso gli uomini sono solo un ripiego, prima di avere la nostra vendetta» parlò ancora Elna, tra l'ironico e il fiero «eppure io, quandunque sentivo la storia di Thror, il Re sotto la Montagna, non potevo non essere infuriata con lui».

La rabbia accecava entrambi i nani, e nel silenzio di quel piccolo accampamento, solo la paura di venire scoperti da qualche orco o goblin li lasciò in tutto il silenzio che riuscirono a mantenere.

«Come poteva essere mio nonno responsabile della morte di così tanti dei nostri nani, quando fu il drago a compiere il massacro?» chiese Thorin, in un sibilo iroso.

«È stata la sua avidità ad attirare il drago» replicò lei, montata di nuovo in rabbia «ed io ero una bambina senza la possibilità di avere un giocattolo, se non quelli che mia madre riusciva a fabbricare. Mi chiedevo perché re Thror non si fosse accontentato di ciò che aveva, invece di accumulare un tale tesoro da dimenticarsi di cosa era costituito. Fui picchiata, per questo, da mio padre, che mi ricordò quale era il mio posto. Come se non lo sapessi» aggiunse, la voce più triste al ricordo di chi non c'era più. Thorin non seppe che replicare, ma era infuriato quanto prima.

«Ma ora sono cresciuta, e capisco che non è certo colpa di un nano, se un drago ha ucciso e rubato» disse ancora, sentendo quasi il suo interlocutore tremare per l'indignazione, che piano piano si placava.

«Mi chiedo perciò... voi sarete diverso da vostro nonno? Sarete più generoso, più attento, dopo tutto quello che avete passato, che il vostro popolo ha passato?» domandò Elna, incontrando ancora una volta il suo sguardo. Thorin non abbassò gli occhi ma faticò a tenerlo fermo.

«Lo vendicherò. Riporterò il nostro popolo alla sua casa, dovunque esso sia stato disperso» replicò, solennemente, e il suo onore risuonò in entrambi come il ricordo di un tempo che poteva essere riconquistato.

«Ora, riposate. Vostra madre è morta serena, e voi potete dormire serena» dichiarò infine lui, distogliendo lo sguardo e puntandolo verso il buio intorno a loro, attenti ad ogni piccolo rumore. Elna abbassò gli occhi con un piccolo sorriso amaro: non era riuscita a comprenderlo, anche se sicuramente la sua ammirazione era cresciuta. Si accoccolò poco lontano, dove gli altri si erano assicurati che si stendesse e l'oblio del sonno la colse in fretta.

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Capitolo 6
*** Un ultimo canto per Eiki ***


I nani, lo hobbit e lo stregone proseguirono il viaggio la mattina seguente, di buon'ora. Si alzarono ben riposati, tranne forse Thorin, che aveva come sempre dormito poche ore. Si misero in cammino di buona lena, entrando in una parte un po' più fitta del Bosco Atro, come ormai veniva chiamato. Passata la mattina in marcia, discutendo a volte con lo hobbit o gli altri nani, ma mai con Thorin o Gandalf, Elna chiese il permesso di potersi fermare.

«Credo a mia madre piacerebbe questo luogo, come sepoltura. Non amerebbe essere seppellita troppo vicino al reame degli elfi, ma sono convinta che troverebbe pace tra questi alberi» spiegò, e Thorin annuì immediatamente, d'accordo con lei. I nani restarono quasi increduli alla sua decisione così repentina: dov'era tutta la fretta del loro principe per l'arrivo ad Erebor, e dove era finita la sua riflessività? Balin accolse questo cambiamento con una certa dose di felicità, chiedendo al fratello Dwalin di appoggiare il corpo della nana Eiki, e chiese ai nani chi voleva aiutare a scavare la tomba. Naturalmente, i quattro spasimanti di Elna si offrirono subito, i più giovani pieni di vigore e i due più grandi decisi a mostrare il loro valore dando disposizioni e scegliendo il punto esatto che non sarebbe stato disturbato dalle radici degli alberi. Gli altri nani, si misero a fare alcune operazioni di manutenzione su armi, vesti e bagagli, mentre Balin girava fuori un libricino pieno di rune e lo studiava attentamente. Dwalin restò silenzioso e burbero accanto alle spoglie della madre di Elna, e Gandalf colse l'occasione per una pipata, insieme a Bilbo.

Elna, non sapendo bene cosa fare, ma non potendo restare con le mani in mano, si avvicinò a Thorin, che mise su un cipiglio molto più ammorbidito del solito.

«Come posso essere d'aiuto alla compagnia, per non far pesare ulteriormente questo tempo che viene sprecato?» chiese lei, visibilmente a disagio. Lo stregone e lo hobbit si godevano lo spettacolo come due pettegole alla finestra.

«Il tempo occorrente a dare una degna sepoltura a una nana come vostra madre non è sprecato. Mi affido al vostro giudizio, su come questo vostro tempo possa essere utile a me e alla compagnia, e di qualunque attività si tratti, ve ne sono grato» spiegò, rischiando di far andare di traverso una boccata di fumo a Bilbo. Thorin si voltò verso i due perditempo con l'espressione di un ladro che, colto sul fatto, invece di giustificarsi, attaccava chi l'aveva scoperto. Elna non poté fare altro che un piccolo inchino e decise che il modo migliore per celebrare sua madre era quello di darle il giusto riposo e brindare e mangiare in suo onore.

Fili e Kili vennero aiutati da Ori e Bofur a uscire dalla fossa appena scavata, profonda poco più di loro. Dwalin, silenzioso e grave, si voltò verso il fratello Balin, che gli fece cenno di essere pronto. Bombur smise di cercare di mettere il naso nella zuppa che stava preparando Elna, che aveva messo una gran fame a tutti, con il suo profumo, mentre gli altri riponevano i loro strumenti ed averi con la calma e la cura degli artigiani quali erano.

Dwalin attese che tutti fossero intorno alla buca che gli altri nani avevano scavato, per poi inginocchiarsi e posare il piccolo corpo sul fondo, facendo leva su delle corde che aveva intrecciato per poter far scendere il fagottino con delicatezza. Quando ebbe finito, si rialzò, e nel silenzio dignitoso dei suoi compagni, Balin aprì il suo libricino, attendendo che tutti i nani, Thorin per primo, iniziassero un canto sommesso, basso, a bocche chiuse. La melodia era quasi monotona, notò Bilbo, ma solenne e malinconica, e quando Balin iniziò a parlare, in una lingua che lui non conosceva, lo hobbit si rese conto che il crescendo di quella canzone funeraria era talmente lento che non se n'era accorto subito.

Elna restò in silenzio, gli occhi chiusi e un paio di lacrime che sgorgavano da essi. Balin fece una piccola pausa, e i nani tacquero. Elna prese una manciata di terra e la lasciò cadere, con delicatezza, sopra il corpo di sua madre, con poche parole nella lingua dei nani, a cui fecero eco tutti gli altri. Dwalin, allora, iniziò a richiudere la tomba. Gandalf era rimasto appena in disparte, ma quando Dwalin ebbe finito, toccò con il bastone la superficie della terra smossa, trasformandola in una sottile lastra di pietra grigia. Elna se ne meravigliò, così come tutti i nani e lo hobbit, soprattutto quando un'iscrizione in rune si palesò, come se qualcuno avesse picchiettato uno scalpello con la precisione e la cura che solo i nani potevano avere.

Elna si avvicinò a lui e lo ringraziò con un filo di voce ed un sorriso, asciugandosi le lacrime e inchinandosi profondamente. Gandalf le fece cenno di alzarsi.

«La mia ricompensa starà nel buono stufato che ci avete preparato, madama» disse, con un sorrisetto furbo che Bilbo aveva imparato a conoscere. Tutta la comitiva si mise in cerchio intorno al fuoco, e ognuno ebbe una porzione di quello che lo hobbit ricordò come uno dei piatti migliori che avesse mai gustato. Balin notò con piacere che Elna era seduta tra lui e Thorin, cosa che non piacque molto agli altri nani, che però si placarono, date le circostanze. Finita la zuppa, ognuno di loro prese un boccale, e Dori ne passò uno anche a Bilbo. Lo hobbit restò sorpreso dalla solennità con cui si stavano preparando, ma fu in quel momento che la nana parlò.

«A tutti voi, miei nuovi amici, per la gentilezza riservata a me e a mia madre» disse, con una fierezza tipica della sua razza, ma la dolcezza di chi non sa come ringraziare degnamente. Bilbo esitò a bere il suo bicchiere ed Elna restò interdetta. Bilbo rispose al dubbio sul suo viso.

«Io non ho fatto nulla di particolare per voi... non sono un nano e...»

Gandalf l'aveva zittito con un'occhiata benevola.

«Siete stato con noi, mastro hobbit» spiegò lei, sorpresa di un tale pensiero «avete cantato le nostre canzoni, state aiutando questa compagnia... avete fatto più voi per mia madre di tanti nani della sua famiglia, che l'hanno lasciata sola e dimenticata» aggiunse, con un sorriso talmente benevolo che Bilbo si vergognò dei suoi dubbi e bevve di gusto.

 

La pausa non fu lunga: Elna ora era più calma e l'onore della sua razza aveva preso il posto della rabbia, facendo sì che il loro viaggio fosse già molto più disteso. Bilbo e Gandalf restavano più vicini, dato che lo hobbit aveva molte domande sugli elfi dei boschi, curiosità che non voleva che i loro compagni sentissero così insistenti. Sapeva che i nani e gli elfi non erano in buoni rapporti, e non voleva urtare i sentimenti di nessuno.

Tutti i nani divennero più loquaci, tranquilli ma anche attenti e concentrati sulla loro missione grazie a Elna. Cercavano di renderle il viaggio il più possibile piacevole, e non tenendole del bagaglio o altro: era capacissima per conto suo e si sarebbe offesa se qualcuno di loro le avesse tolto il peso solo per non affaticarla. Parlavano con lei dei propri parenti, dei tempi in cui Erebor era ancora regno dei nani, nonché delle leggende di Khazad-dûm e di ciò che si aspettavano dal loro viaggio. Non fecero menzione della porta segreta, e lei non forzò nessuno di loro a rivelarle i suoi piani, rispettando i loro segreti, in quanto compagnia e in quanto gruppo. Thorin restava silenzioso, in capo al gruppo, dando direzioni e controllando i sentieri all'interno della foresta, ma aveva sempre un occhio di riguardo per la compagnia che Elna aveva, per dove si trovava, della sua stanchezza o dei suoi interessi. Scambiava con lei qualche parola solo se era sicuro che gli altri dormissero, e si limitava molto nei suoi discorsi, pur raggiungendo, con lei, una stessa nota di orgoglio, dignità e fierezza.

Passarono alcuni giorni piacevoli, in cui anche lo hobbit ebbe occasione di fare amicizia con Elna come l'aveva fatta con alcuni dei nani della compagnia. Aveva il cipiglio tipico della sua razza, e a volte si offendeva o entusiasmava per cose che Bilbo non capiva. I suoi amici non si erano mai soffermati a fargli capire perché o a confrontarsi con lui, ma Elna, probabilmente per la natura femminile che in fondo la contraddistingueva, riuscì a fargli capire molto del mondo dei nani, o almeno quel tanto che bastava a fare chiarezza su alcune cose che per lui erano risultate oscure fino ad allora.

Raggiunsero un fiume, e lo scroscio d'acqua che udirono appena lo raggiunsero confermò che erano vicini a una piccola cascata. Thorin divenne un po' pensieroso, ma Balin espresse l'opinione che era di molti nel gruppo. Si rivolse però a Elna, con molta diplomazia e gentilezza.

«Signora, immagino che voi, come noi, abbiate la necessità di farvi un bagno. Potremmo non avere più la possibilità di farlo in tranquillità e in un luogo riparato come questo» spiegò, vedendo che lei arrossiva istantaneamente, sopra l'accenno di barba che le circondava la mascella, chiara ma ormai evidente.

«Suppongo che vi possa accompagnare e lasciare senza particolari pensieri oltre questi alberi e arbusti, dove c'è la cascata» si intromise Gandalf, mentre gli altri nani cercavano di mantenersi indifferenti. Elna annuì, un po' più tranquilla nel pensare che se non altro non si sarebbe dovuta spogliare di fronte a tutti. Bilbo osservò stranito la compagnia, per poi rendersi conto che, beh, era una donna, non poteva certo restare con loro, sarebbe stato sconveniente! Accortosi del proprio errore, distolse lo sguardo, improvvisamente molto interessato ai fiori e bacche di un arbusto lì vicino.

Gandalf scortò la nana oltre gli alberi e lì la lasciò, un tantino a disagio. Gli altri nani erano rimasti imbambolati, a osservare gli arbusti tra i quali era sparita, tutti piuttosto concentrati, a parte Thorin, che sembrava piuttosto nervoso.

«Presto, non abbiamo tutto il giorno» sentenziò, anche se non avevano alcuna particolare fretta: il giorno era bello e c'era molta luce, il che significava niente goblin o orchi rischiavano di sorprenderli. I nani, scusandosi con i gesti e le parole, si spogliarono in fretta e si tuffarono, mentre lo hobbit si sentiva un po' a disagio tanto quanto Elna, e si chiedeva Gandalf dove si fosse cacciato.

Il fiume si snodava tra gli alberi, e da dove erano i nani e lo hobbit, immersi fino al petto nell'acqua fresca, la cascata non era visibile, dato che si trovava oltre una curva, nascosta dalla vegetazione e da alcuni massi. Elna aveva tolto gli abiti di suo padre, e la camiciola e pantaloni più piccoli, della sua taglia, e si era immersa nell'acqua. Era fredda, ma la sentì come un toccasana per la sua pelle accaldata e stanca. La cascata non era alta e la forza dello scroscio non era tale da farle male, anzi: le gocce che le picchiettavano sulle spalle le massaggiavano i muscoli affaticati dai giorni di camminata. Si sfregò il viso, le braccia e si tuffò e nuotò appena, chiudendo gli occhi e godendosi il sole sul viso e la freschezza del bagno.

Thorin uscì dall'acqua per primo, emerso dall'altra parte del fiume. Aveva portato i suoi abiti e il bagaglio sull'altra sponda, tenendoli bene in alto perché non si bagnassero. Si infilò le brache e si sedette su un masso, lasciando che la luce lo scaldasse e asciugasse, e anche se i nani preferiscono l'oscurità, si godette quei raggi con gli occhi chiusi. Li riaprì poco dopo, distratto dal rumore di acqua della cascata: senza accorgersene, si era voltato dal lato del fiume oltre le rocce e poco lontano l'occhio gli cadde sulla figura di Elna, che era ancora immersa in acqua. Seguì i suoi movimenti senza quasi accorgersene, osservando la linea delle sue spalle sotto i capelli bagnati e il movimento delle sue mani sul pelo dell'acqua. Poi si voltò e Thorin non poté non seguire con lo sguardo le curve della sua figura, esposte al sole o in trasparenza dal pelo dell'acqua e arrossì di colpo, anche se gli altri non se ne accorsero, impegnati a spostare le proprie cose come aveva fatto lui.

Il principe sapeva di dover distogliere lo sguardo, e al più presto, ma la sua volontà di ferro non era abbastanza forte. Solo quando due de nani, Dori e Nori, iniziarono a litigare sull'appartenenza di una camicia all'uno o all'altro, si voltò, chiudendo ancora gli occhi e traendo un profondo respiro. Elna alzò gli occhi in quel momento, e le labbra le si schiusero nello scorgere il profilo altero e fiero di Thorin, le spalle larghe e forti e la figura imponente. Restò qualche istante a contemplarlo, le gocce d'acqua che gli scivolavano lungo il petto, la schiena e l'addome, una dopo l'altra come in una corsa, dimentica del freddo dell'acqua e del cammino ancora da fare, finché non udì la voce di Bilbo chiedere chi avrebbe avvertito Elna, dato che Gandalf sembrava sparito. La nana alzò la voce, per far sentire che era quasi pronto, e per poco Thorin non scivolò sulla roccia, dato che si voltò subito verso di lei, che era voltata verso di loro. I loro sguardi si incontrarono per un attimo e Elna sentì il cuore sprofondarle in corpo, tuffandosi immediatamente sott'acqua. Thorin si alzò immediatamente e finì di vestirsi, mentre gli altri utilizzavano una delle camicie pulite ma ormai a brandelli di Dori per asciugarsi a loro volta e non farsi trovare seminudi dalla loro ospite. Bilbo fece lo stesso, e si spazzolò la peluria morbida dei piedi come poté, perché era uno hobbit e teneva almeno a quello.

La nana si asciugò e vestì in fretta, per poi attraversare il fiume su delle pietre vicine, e raggiungere gli altri coperta dalla testa ai piedi, evitando lo sguardo di Thorin e fissandosi le scarpe. Balin fu l'unico a notarlo, o quasi. E la compagnia, con la nana e chiedendosi dove fosse finito Gandalf, riprese il cammino.

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Capitolo 7
*** Nell'oscurità della notte ***


I giorni di cammino sembravano tutti uguali, e lenti. Thorin era molto taciturno e pensieroso, forse più del solito, e anche Elna aveva perso un po' della sua loquacità. Era di sicuro ancora gentile e disponibile alla conversazione con gli altri nani e Bilbo, ma l'isolamento del principe e capo la lasciò interdetta, chiedendosi se c'era qualcosa che aveva fatto, o non fatto, che l'aveva ferito.

Una sera, a una manciata di giorni di cammino dal villaggio presso cui l'avrebbero lasciata, Thorin aveva il primo turno di guardia ed Elna non riusciva a prendere sonno. Si ritrovarono, di nuovo, soli, di fronte a un fuoco basso e morente per non attirare animali o intrusi e sottovento, circondati da dodici nani e un hobbit dormienti.

«Posso...?» domandò Elna indicando un piccolo posto vicino a lui. Thorin l'aveva sentita ma aveva l'aria di chi non aveva udito nulla. La nana, la cui barba era ormai cresciuta di qualche centimetro, pur non avendo baffi, si sedette lo stesso accanto a lui, che restò impassibile.

«Se ho fatto qualcosa che vi ha offeso, io...» iniziò di nuovo lei, ma fu interrotta dal suo interlocutore.

«Offeso?» rimbeccò lui, la voce ridotta a un sibilo «non insultate voi e me con una frase così sciocca»

Elna restò interdetta e necessitò di qualche istante per continuare.

«Credevo che... che fossimo in termini abbastanza amichevoli se non altro per parlare o... insomma, non mi avete rivolto la parola per giorni, perciò pensavo...» iniziò lei, titubante.

«Pensavate male. Non è del vostro comportamento che è responsabile il mio contegno. E vi prego di non parlarne oltre» ribatté lui, nello stesso tono di prima.

«Quindi suppongo che dovrò accettare il vostro atteggiamento, senza averne voce in capitolo» disse lei, dopo qualche istante in cui il suo carattere orgoglioso poco meno del suo interlocutore le inasprirono i pensieri.

«Esattamente» sentenziò lui, finalmente girandosi verso di lei, mantenendo lo sguardo più tagliente possibile. Se Elna non fosse stata la nana che era, non sarebbe riuscita a sostenerlo.

«Non prendo ordini da voi, non finché non potrò chiamarvi re. Perciò esigo di sapere perché non mi avete più rivolto la parola» ripeté, questa volta decisa. Thorin attese un istante di troppo per rispondere.

«In due giorni raggiungeremo il villaggio dove i cugini di Balin risiedono. Da quel giorno non avrò più occasione di parlarvi, perciò ho preferito abituare voi e me all'idea» spiegò, accigliato e duro.

«Così vi siete arrogato il diritto di decidere per me di dimenticarmi di voi perché credete di non tornare dalla vostra missione? O semplicemente quando sarete il Re sotto la Montagna, una nana che non sia della stirpe di Durin non sarebbe degna di una vostra parola?» disse Elna, più arrabbiata che delusa.

«Sareste degna di qualunque re dei nani» si affrettò ad assicurarle, pur con voce irosa, Thorin «ho una missione da compiere, e potrei non tornare vivo. Non ho diritto né pretesa su di voi, per cui meglio non alimentare alcuna delle mie vane speranze, per il vostro bene, e per il bene della compagnia e della missione, oltre al mio»

Elna era sul punto di replicare qualcosa di tagliente, furioso ma ugualmente pieno del sentimento che le stringeva il petto, ma non ne ebbe l'occasione. Thorin la trasse a sé di slancio, appoggiando una mano sulla sua testa e assicurandosi che poggiasse sulla sua spalla.

Il sibilo di una freccia le era passata vicino alle orecchie e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Thorin, le avrebbe trapassato il cranio. La lasciò andare e con pochi ruggiti svegliò il resto della compagnia: un nugolo di orchi, nell'oscurità, si avventò su di loro. Gli arcieri vennero abbattuti per lo più a di stanza, grazie a Kili, ma erano più numerosi di loro e gli furono addosso in pochi minuti.

Dwalin ne uccise molti e tramortì altrettanti, così come Thorin, mentre Bilbo ed Elna restavano indietro, a proteggere il piccolo campo e a non dare impaccio agli altri della compagnia. Ori venne ferito, mentre Dori e Nori lo furono soltanto lievemente; Bombur riuscì a distrarli e Bifur li pestò; Bofur e Balin, rimasti schiena contro schiena, riuscirono a respingerne altri. Un orco, però, tra gli altri, riuscì a farsi breccia, perchè più piccolo e sottile e si avventò su Elna e lo hobbit. La nana lo abbattè con le asce di suo padre, ma altri erano dietro di lui. Bilbo indossò lo strano anello che aveva sottratto a quella strana creatura, nelle montagne nebbiose, e svanì. La nana, presa da un attimo di panico, venne afferrata da due orchetti che, tenendola saldamente, la portarono via, insieme ai restanti membri del loro gruppo e la trascinarono nell'oscurità. Solo quando furono scomparsi tutti gli aggressori vivi, Bilbo tornò visibile e la compagnia si rese conto che la loro amica era perduta.

 

La ferita di Ori non era grave, ma Balin, quando la fasciò stretta, temeva molto che potesse infettarsi. Non avevano erbe o medicinali con loro, e quei pochi che Bilbo aveva con se erano stati distrutti o contaminati dagli orchi. Thorin quasi non attese che fosse rivestito.

«Dobbiamo seguirli» disse lo hobbit, parlando per volontà propria e del resto del gruppo, mentre soprattutto Fili e Kili annuivano in sua direzione, con la paura che gli scuoteva le ossa. Lo sguardo duro e fermo del loro capo, unito alla deferenza che Bilbo Baggins aveva per lui, gli creava un certo terrore nel cuore e sapeva anche, da quel che aveva veduto, che forse Thorin stesso era più legato a lei e che non reagiva sicuramente come un uomo o uno hobbit in queste occasioni.

«L'alba è vicina e non possiamo seguire le loro tracce con questo buio. Quando ci sarà abbastanza luce per trovare il loro nascondiglio, se mai fosse ancora viva, finiremmo in pasto a un branco ben più grosso di quello che ci ha attaccato» spiegò, duro e monocorde, sistemandosi la cintura e i braccioli.

Gli altri osarono parlottare tra loro, ma lo sguardo del principe li zittì quasi immediatamente.

«Abbiamo una missione, ed è quella che conta. Andiamo» disse, iniziando a fare i bagagli. I nani, dapprima stentando e poi meccanicamente, lo imitarono con un peso sul cuore talmente grande che sembrava visibile. Bilbo non disse altro, per il momento, temendo molto la reazione di Thorin, dato anche l'atteggiamento che aveva suscitato negli altri.

Camminarono per tutto il giorno, nel silenzio più assoluto, sentendo soltanto qualche singhiozzo strozzato di Ori, e le parole di conforto che Bofur riusciva a dirgli, sottovoce. Fili e Kili tentarono di parlare allo zio, che li allontanò di malo modo non appena capì le loro intenzioni. Balin non aveva cuore di parlargli, anche perché non aveva solo parole di conforto, ma anche di rimprovero, nel suo animo intristito.

Si coricarono, dopo aver coperto più miglia di quante ne avessero preventivate, ma nessuno di loro riuscì a cadere in un vero e proprio sonno. Thorin restò vigile, rigido e Bilbo si chiese se fosse in collera con se stesso, con gli orchi o con il mondo.

Il giorno seguente fu come il precedente, e il successivo ancora uguale. Il silenzio dominava la tristezza di tutti, e anche Thorin iniziava a dare segni di cedimento: restava solo, silenzioso, fiero come era sempre stato. Ma Bilbo si accorse che, quando nessun altro lo osservava, e anche lui sembrava attento a scrutare altro, gli occhi del principe dei nani si facevano distanti, vuoti e malinconici.

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Capitolo 8
*** L'imboscata ***


Fu il quarto giorno che li trovarono. Erano entrati in una parte più fitta del bosco, e nonostante fosse pieno giorno, le cime degli alberi erano talmente unite tra loro che coprivano i loro passi con ombre lunghe e profonde. Procedevano lentamente, poiché la ferita di Ori, come temevano, stava iniziando a infettarsi. Un rumore, appena percettibile, attirò l'orecchio dello hobbit, ormai tanto abituato al silenzio che poteva udire persino gli scoiattoli. Si voltò verso la direzione dalla quale gli sembrava di averlo sentito, ma non vide nulla.

Proseguirono ancora, lentamente, in una parte di bosco ancora più fitta. Thorin potè scorgere un'ombra intorno a loro, e lo stesso fece Balin.

«Fermi, fermatevi tutti» abbaiò il capo, e tutti i nani si bloccarono, serrati intorno allo hobbit. Non ci furono altri sentori di movimento o presenze, perciò dopo mezzo minuto, la compagnia riprese il cammino.

E il buio li colse, d'improvviso. Furono assediati, con una velocità tale che non si resero conto di chi o cosa li stava prendendo. Thorin credette di sentire la freddezza di una lama, vicino al proprio collo, ma non venne ferito o minacciato. Le loro teste vennero coperte da del tessuto scuro, e non ebbero idea di dove vennero trasportati. Una canzone, nelle loro menti, più che nelle loro orecchie, li fece scivolare in un dolce, sonnolento oblio.

 

Bilbo aprì timidamente gli occhi, e si rese conto di essere steso su di un lettino, le cui coperte e lenzuola erano fresche di bucato, in cotone morbido simile alla sua camicia preferita, nella sua casa sotto la collina. La luce era filtrata ma arancione come nei pomeriggi inoltrati di un autunno appena iniziato. Si alzò pian piano, notando che era circondato da altri letti, di cui uno era disfatto e vuoto, mentre gli altri undici erano occupati dagli altri nani, alcuni appena svegli quanto lui e altri ancora addormentati, ma sul punto di svegliarsi. Bilbo si sedette sul letto e si guardò intorno.

«Dove sono Ori e Thorin?» domandò, a metà tra l'incuriosito e il preoccupato. L'aria che si respirava era tenue, salubre, e gli dava la sensazione di essere un ospite gradito, tra tanti amici.

 

I nani, una volta resi presentabili, insieme a Bilbo, uscirono dalla stanza in cui si erano svegliati e vennero tranquillizzati e avvertiti da un elfo alto, dai capelli scuri e dall'espressione gentile, che il loro amico era stato curato e si stava giusto riprendendo.

«Mi dispiace per la maniera in cui vi abbiamo catturati, nel bosco» disse ancora, sincero e calmo «ma non vi avevamo riconosciuti, ed eravate entrati senza permesso nella nostra terra»

Balin, Dwalin, Fili, Kili, Oin, Gloin, Dori, Nori e Bilbo lo seguirono fino a una camera più ampia, e si resero conto solo attraversando i corridoi che si trovavano in alto, su alberi simili a quelli entro i quali si erano mossi, ma molto meno fitti e vicini tra loro. Nella camera stava Thorin, incupito e con le braccia conserte, in evidente attesa di vedere qualcuno di autorevole.

Si sincerarono tutti delle reciproche condizioni, anche se il principe lo fece con poche e brusche parole. L'elfo fece loro sapere che presto avrebbero parlato con la Signora di quella parte del bosco, e che il loro amico Ori era nelle sue affidabili mani.

Dopo pochi minuti, infatti, una donna elfo dai lunghi capelli castani, gli occhi azzurro cielo e una veste elegante rosso scuro entrò nella stanza, seguita da una figura con un abito simile al suo, ma di un verde chiaro, con i capelli elegantemente acconciati... e una cortissima barba che le incorniciava il viso. Era la piccola Elna. Bilbo come gli altri, restarono sbigottiti nel vederla viva e vegeta, e per di più vestita a quel modo. Fili e Kili corsero ad abbracciarla, seguiti prontamente da Dwalin che, abbandonata ogni remora, la circondò con le sue forti braccia quando fu il suo turno. Lei li accolse con sorpresa e felicità. Tutti andarono a salutarla, compreso Bilbo. Tutti tranne Thorin, che restò altero e silenzioso, fissandola come se gli avesse spezzato il cuore.

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Capitolo 9
*** Nella casa di dama Ireth, parte 1 ***


La stanza in cui si trovavano era una sala intima ma ampia, simile a un salotto. Le ampie finestre davano sulle cime degli alberi del bosco, e illuminavano l'interno con una luce tenue, dorata, probabilmente per via delle leggere tende gialle che si lasciavano cadere morbidamente davanti ad esse. Le colonne, le linee della pavimentazione e il mobilio seguivano tutte un unico tema, quello delle foglie e degli alberi, che si riproponevano in ogni curva, ogni decoro e ogni elemento della stanza. Le sedie erano confortevoli e abbastanza basse perché i nani vi salissero senza problemi, a parte una: su quella, più alta e intagliata in maniera più precisa ed elegante si sedette l'elfa bruna. Erano, infine, sistemati tutti intorno a un tavolo basso, sul quale vi era qualche rinfresco leggero che la padrona di casa non toccò, e così non fece nessuno, anche se Bilbo li osservava un po' affamato.

«Elna dice che siete diretti da un gruppo di nani, ad est» iniziò la padrona di casa, guardando dritto verso il capo della compagnia «voi dovete essere Thorin, figlio di Thrain, nipote del Re sotto la Montagna»

Il nano la osservò con aria di sfida. L'elfa mostrò un sorriso fin troppo malizioso per la sua razza, che si spense molto in fretta, tornando lei algidamente seriosa.

«Il vostro compagno di viaggio sarà presto in grado di riprendere il cammino. La sua ferita era infetta, ma siamo stati in grado di curarlo in maniera rapida» spiegò, mentre Elna continuava ad osservare Thorin, così come tutti gli altri, ansiosi di sapere il perché del suo atteggiamento così ostile e l'evidente rabbia che esprimeva.

«Nessuno vi ha chiesto nulla» disse aspramente il principe, ma l'elfa non si scompose.

«Non ce n'è stato bisogno. Vi abbiamo visto in difficoltà, e abbiamo voluto aiutarvi» replicò lei.

«Il vostro aiuto consisteva nel rapirci, tramortirci e tenerci prigionieri?» ruggì lui, alzandosi. L'elfa non sollevò neppure un sopracciglio.

«I nostri modi non sono mai stati cortesi né benevoli verso i nani, e di questo mi scuso a nome di tutta la mia gente, non solo coloro che vivono qui» disse, con voce calma «ma non eravamo sicuri della vostra identità, e avevate attraversato i nostri confini senza identificarvi con nessuno di noi. In più non siete affatto dei prigionieri: siete liberi di andarvene quando volete, anche se vi consiglierei di lasciar riposare ancora un poco il vostro compagno di viaggio»

Thorin non sembrava dell'idea di voler accondiscendere ad alcuna spiegazione.

«Vi scusate anche per Thranduil e l'averci abbandonato quando il drago uccise la nostra specie?» esclamò allora, la furia accesa nei suoi occhi. Anche gli altri nani non erano inclini a dimenticare quell'episodio, ma non gli diedero manforte, non verbalmente. Gli elfi erano loro nemici da sempre, ma avevano aiutato Elna, evidentemente, e anche Ori.

«Non mi scuserò per questo, no» rispose calma lei «era la vostra battaglia, per la vostra avarizia ed ingordigia. Mi dolgo per le perdite vostre e degli uomini della città, ma non fummo noi ad ucciderli: fu il drago» gli ricordò, ma non era esattamente l'argomento giusto o la prospettiva giusta, per Thorin.

«Non starò qui a sentire una parola di più. Non appena Ori sarà in grado di stare in piedi partiremo» dichiarò lui, per poi allontanarsi verso la porta. Fu la voce dell'elfa a parlare di nuovo.

«Volete lasciare alle nostre cure Elna? O sarete voi ad accompagnarla al villaggio vicino?» domandò, ancora con quell'aria di algida indifferenza, ma posando una mano delicatamente sulla spalla della nana. Thorin si voltò, ma non del tutto, e senza guardare nessuno replicò:

«È libera di unirsi a noi per il tragitto, ma non sarò io a costringerla se preferisce la compagnia degli elfi»

A tutti sembrò che il suo tono era stato più deluso che pratico. Il nano uscì, ed Elna lo seguì, lasciando l'elfa con il resto della compagnia, e Bilbo.

«Mastro hobbit, siete lontano da casa, immagino. Gradite del pan di via?» domandò allora l'elfa, cortese, a quest'ultimo. Bilbo, da sempre pieno di meraviglia alla grazia e ai modi degli elfi, annuì con un sorriso.

«Temo di non avere alcuna provvista degna di un banchetto di nani, e dei loro amici» si scusò l'elfa, alzandosi «ma spero ci sia qualcosa di vostro gradimento»

«Possiamo sapere il nome della padrona di casa, che ci ha fatto la cortesia di curare il nostro amico Ori e aver salvato la nostra Elna dagli orchi?» domandò Balin, facendo gli onori della compagnia, ora che Thorin era accecato dai sentimenti. L'elfa fece un piccolo inchino

«Ireth Narmolanya, messer nano. Posso ora io conoscere i compagni di viaggio dei pregiati amici che avete nominato e che abbiamo in comune?» replicò lei, per poi sedersi a terra per essere allo stesso livello dei suoi ospiti. Fu così che passarono il tempo, evitando di ascoltare le grida, soffocate dalla distanza e dalla porta chiusa, dei due nani nella sala vicina, raccontandosi storie di fronte al tavolino. Solo Bilbo si rese conto che gli occhi dell'elfa Ireth erano distanti e sembrava cogliere il tormento dell'amica.

 

Thorin misurò i corridoi e le sale, misteriosamente sgombri di elfi, a grandi passi, ed Elna dovette rincorrerlo finchè non riuscì ad afferrare la sua spalla, costringendolo a voltarsi. Thorin le rivolse uno sguardo di fuoco e lei si sentiva insieme intimidita e arrabbiata quanto lui, come era successo poco prima che lei venisse rapita dagli orchi.

«Aspettate!» aveva detto lei un attimo prima di raggiungerlo, ma a nulla era valso il suo grido, finché non l'ebbe toccato «perché vi ostinate in questo modo a non riconoscere neppure un minimo di gratitudine a colei che ha salvato me da morte certa e Ori dal perdere il proprio braccio?»

«Ad un'elfa? Mai!» ruggì Thorin, non riuscendo però a farla arretrare di un passo.

«Elfa, donna o nana, ha salvato un membro della vostra compagnia e una della vostra razza, non dovrebbe fare differenza... potrei capire, ormai, che poco vi importa di me, ma Ori?» replicò, con evidente delusione celata da una rabbia simile di quella di lui. Thorin sembrò sul punto di contraddirla, ma era troppo accecato dal proprio orgoglio.

«Fa tutta la differenza, invece!» replicò, ad alta voce ancora «un uomo non ci avrebbe rapito in mezzo al bosco, men che meno un nano. Non saremmo stati trattati così, celandoci la vostra posizione e il cammino per arrivare qui»

«Quindi il fatto che abbiano inseguito gli orchi che mi avevano rapito, e li avessero uccisi prima che potessero farmi davvero del male, non è un bene ai vostri occhi? Non sono degni di una parola di ringraziamento, quando hanno fatto quello che voi non avete neppure considerato?» sbraitò lei, le lacrime che combattevano per scorrerle via dagli angoli degli occhi. Thorin restò pietrificato.

«Quindi non l'avete considerato, è come pensavo... la vostra missione, il vostro oro, il vostro orgoglio è più importante non solo della vostra felicità, ma anche della vita degli altri!» concluse Elna, la cui delusione nella voce fu più dolore per Thorin della sua furia. Dopo qualche istante, lui disse, con voce più calma possibile:

«Vi accompagneremo fino al primo villaggio fuori da questo angolo di bosco. Lì troverete riparo e potrete dimenticarvi di me, e del dolore che vi ho causato»

Elna sembrò quasi più arrabbiata di prima.

«Così, avete deciso per vostro conto, ancora una volta, ciò che devo fare e pensare! Diventerete davvero come vostro nonno... e non basterà l'autorità e il ricordo di mio padre a farvi ricevere la mia stima. Se diventerete avido ed egoista, saprò che non avete alcun affetto per me» concluse, per poi lasciarlo solo, con i suoi pensieri, a maledire se stesso e la propria indole.

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Capitolo 10
*** Nella casa di dama Ireth, parte 2 ***


Elna bussò alla porta della stanza di Ori: sentì un certo trambusto, all'interno, e quando finalmente superò l'uscio venne accolta in maniera molto cortese da tutti, ma in maniera molto galante soprattutto da Fili e Kili. Gli altri due suoi ammiratori nella stanza, Bofur e Ori, le sorrisero con meno entusiasmo dei due giovani nipoti del principe, ma con eguale felicità nel vederla.

Thorin, naturalmente, aveva negoziato con gli elfi il loro rilascio la mattina seguente, e si era rintanato dove non poteva o voleva essere raggiunto. Balin rivolse uno sguardo decisamente paterno e di affetto per i dolori della loro amica, e chiese al resto della compagnia di lasciar riposare il ferito, e di andare a prepararsi per la partenza imminente e per la notte. Elna lo ringraziò con un piccolo cenno del capo, e si sedette sul letto, accanto ad Ori, con quel sorriso a metà tra il cortese e il rassegnato. Ori tirò su impercettibilmente le coperte, come se avesse pudore di non farsi vedere svestito, anche se aveva una camiciola e delle brache addosso, sotto le lenzuola.

«Mi dispiace che voi e Thorin abbiate litigato» esordì lui, facendola arrossire di colpo «Scusatemi, me l'hanno detto gli altri» si giustificò, ma lei tornò a sorridere.

«Non vi preoccupate, signor Ori» replicò lei, sfiorandogli una mano, sopra le coperte «siete gentile a dispiacervi. Ma non è affatto colpa vostra»

Ori annuì, leggermente a disagio.

«Io credo che ringrazierò ancora la signora Ireth, anche quando partiremo» aggiunge poi lui, evidentemente non sapendo davvero cosa dire.

«Credo sia una buonissima cosa» dichiarò lei, un tantino nervosa al pensiero della sua conversazione con Thorin e di quell'aspetto in particolare: cercò comunque di non farlo pesare sul ferito.

«Siete diventata amica con gli elfi, signorina Elna?» domandò poi Ori, in tono gentile.

«Sì» ammise lei «sono in debito con loro per la mia vita. E anche se all'inizio non ero convinta di un possibile legame con loro, si sono dimostrati così gentili con me da far crollare ogni mio pregiudizio... d'altronde, non ne avevo mai incontrati» spiegò lei.

«Oh, io ne ho conosciuti pochi, signorina, ma sono cortesi quando possono» disse lui, strappando un altro sorriso a Elna.

«Mi hanno salvato, curato, dato sicurezza e una parola di conforto, nonché questo bellissimo abito» aggiunge, con un pizzico di vezzosità femminile, che lasciò Ori un po' dubbioso e quasi deluso. Elna se ne accorse e la sua espressione si spense lentamente.

«Ho detto qualcosa che vi ha offeso?» chiese, sinceramente turbata.

«Oh, no, no» si affrettò a rassicurarla lui «è solo che... ecco, con questi abiti siete davvero molto... carina» affermò, arrossendo terribilmente «e infatti i signori Fili e Kili e Dwalin erano molto colpiti, non c'è dubbio...» continuò, con un pizzico di gelosia nella voce, che lasciò presto il posto ad altro imbarazzo «ma, ecco, io credo che siate... che non siate voi, così vestita. Che l'amicizia per il popolo degli elfi vi abbia accecato su quanto siete... bella con i vostri abiti» concluse, arrossendo talmente tanto da volersi nascondere sotto le coperte.

Elna rimase colpita da quel piccolo discorso, ma non ne fu affatto ferita. Il modo dolce e sconclusionato con cui era stato espresso il suo pensiero, quasi commosse la nana che, alzandosi, mostrò un'espressione talmente felice e grata che Ori riuscì a non sentirsi poi così in imbarazzo.

«Grazie, signor Ori. Ora riposate, domani mattina ripartiremo» dichiarò, chinandosi per dargli un bacio sulla fronte. Si allontanò poi dal letto, chiudendo la porta dietro di sé e lasciando il giovane nano come fluttuante, in una bolla di sapone, e dormì serenamente per tutta la notte.

 

Bilbo passeggiava nel silenzio della notte: aveva mangiato troppo e una leggera indigestione l'aveva lasciato con gli occhi sbarrati verso il soffitto. Si era alzato, di malumore, e dopo essersi sfregato il viso assonnato, era uscito nel modo silenzioso degli hobbit e aveva iniziato a esplorare la casa degli elfi dei boschi.

Un leggero canto di uccelli notturni era l'unico suono udibile, e lo hobbit camminava per le stanze lassù, in alto, sugli alberi, con la meraviglia di chi ha sempre visto poco del popolo degli elfi ma non sembra avere abbastanza espressioni estasiate per comunicare l'incanto che ciò che vede gli suscita. C'era anche deferenza, però, sul suo viso. Aveva una grande passione per gli elfi ma sapeva di essere solo un mezzuomo e di poter aspirare a poco più che a una visita, una parola cordiale forse, ma nulla più; mentre gli elfi erano creature straordinarie e piene di potere.

Giunse a una piccola stanza, come una libreria: aveva pianta circolare e solo la porta e la finestra di fronte ad essa erano sgombre di libri. Il legno sotto i suoi piedi e le scaffalature intorno a Bilbo erano di legno chiaro, ma non di un unico colore: si sfumava in tanti marroni diversi, come se fosse ancora vivo. Dalla finestra, si vedeva tutto Bosco Atro, e il sentimento che lo hobbit sentì fu quello di essere ancora più piccolo e indifeso di quel che ricordava: il bosco era grande e immenso, ma nonostante la bellezza delle piante cresciute e rigogliose, c'era qualcosa di inquieto al di sotto di esse che fece rabbrividire lo hobbit. Si accorse con un piccolo suono di sorpresa che dal lato più buio della stanza si stava muovendo qualcuno: era l'elfa Ireth, con un'espressione meno algida di quella che li aveva accolti. Sembrava stanca, spossata e nostalgica. Posò una mano sull'ultima scaffalatura di legno prima della finestra e dopo aver voltato lo sguardo verso lo hobbit, gli rivolse un sorriso stanco e gli fece cenno di raggiungerla, per sedersi sul davanzale interno di quella finestra, provvisto di morbidi cuscini. Bilbo inizialmente restò sul posto ma quell'invito era così cortese e malinconico da non lasciargli altra scelta che avvicinarsi a lei.

«Non riuscite a dormire, mastro hobbit?» chiese lei, osservando il bosco. Bilbo raccolse il coraggio e riuscì a risponderle.

«No...» iniziò, per poi prendersi qualche altro secondo «e voi? Sembrate... stanca» disse, dopo aver cercato la parola giusta per alcuni istanti. L'elfa sorrise.

«Non necessito di molte ore di riposo, che resta in ogni caso leggero» spiegò, paziente «la mia stanchezza non può essere alleviata dal sonno e la mia preoccupazione ancor meno»

Bilbo si sorprese un po' che tali pensieri potessero affollare le menti di quel popolo.

«Preoccupata per Elna?» domandò, dato che aveva notato il suo atteggiamento protettivo verso di lei. Ireth annuì.

«Non vi dirò che conosco i nani e perciò il loro carattere. È vero, ma queste parole sono state usate con troppa leggerezza o rancore dal mio popolo. Sono molto affezionata alla vostra amica e auguro a lei e a voi che nonostante le sue paure e le mie, il suo re si dimostri migliore di come si è comportato oggi» spiegò, per poi continuare con voce rassegnata «Eppure, non ho più odio, né speranze in questi luoghi. Quando ve ne sarete andati, e saremo sicuri che il nostro aiuto non sarà più necessario, lasceremo questi lidi»

Il suo viso era pieno di malinconia e i suoi occhi come spenti, e rivolti da qualche parte, oltre l'orizzonte. Bilbo, preoccupato e addolorato per quel suo stato d'animo, allungò la destra e prese una delle mani di lei, che teneva in grembo. Ireth si sorprese di quel gesto, che gli strappò anche un sorriso commosso.

«Non siate triste, amico mio» disse, riempiendo di orgoglio lo hobbit a quell'appellativo «perché questo è il destino della mia famiglia e della mia razza. Si avvicina l'autunno per noi, e credo che sia giunto il momento di tornare all'ovest. Ritroverò chi ho perduto, e sarò felice»

Bilbo annuì, e anche se non sapeva bene di cosa stesse parlando, sentì che era la cosa giusta da fare.

«Avete perduto qualcuno?» chiese lo hobbit «Credevo che gli elfi non potessero invecchiare o morire»

L'elfa allargò per un attimo il suo mesto sorriso.

«Possiamo essere feriti, e uccisi» spiegò, con una certa rassegnazione «il mio compagno morì ad Erebor: fu il drago» raccontò poi, il dolore troppo forte per essere espresso a parole o sul suo volto. Bilbo si sorprese e rattristò.

«Credeva che i nani non dovessero essere lasciati a se stessi, e che seppur egoisti ed avidi, avevano diritto ad essere aiutati. Perché se si resta soli ed egoisti, non si può rendersi conto di poter amare gli altri» raccontò, e il suo interlocutore, in un primo momento, fu tentato di dirle di non continuare, se questo le procurava tormento, ma era molto curioso e stupito di ciò che aveva sentito.

«Mi disse che c'erano notizie di Smaug, oltre i confini, e che probabilmente le sue mire su Erebor erano ormai palesi. Si travestì, facendosi passare per un uomo, un ramingo, e combatté con tutti loro... ma non tornò» concluse, con un leggero respiro, ma molto profondo.

«Mi dispiace» sussurrò Bilbo, avendo paura di spezzare il silenzio con la sua voce. Ireth si chinò su di lui e posò un bacio sulla sua testa piena di riccioli.

«È stato amato e sarà amato, mio piccolo amico. E anche voi lo sarete. Vi aspettano giorni difficili, e vi sentirete spaventato e inadeguato... ma imparerete che ci sono cose che scopriamo solo quando ne abbiamo veramente bisogno» gli disse, stringendo un'ultima volta la sua mano e alzandosi.

«Riposate, ora. Domani sarà il tempo degli addii» concluse, coprendolo con una piccola coperta. In pochi minuti Bilbo era assopito, e sognava i verdi paesaggi della contea.

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Capitolo 11
*** L'alba nei boschi ***


La mattina dopo, Elna si alzò velocemente dal suo giaciglio, nella luce limpida e chiara del mattino. Aveva sognato di Erebor, e della sua infanzia: non la ricordava consciamente ma in quello stato tra la veglia e il sonno la sua mente aveva scavato il suo cuore ferito e aveva ritrovato quelle ombre del passato. Ed ecco sua madre, Eiki, con la barba folta e piena di trecce, perfette per far giocare la sua bambina mentre le insegnava a creare piccoli animali di legno e ingranaggi, ancora elementari data la sua età, per dei giocattoli meccanici. Suo padre, Renli, lavorava nella fucina e bottega insieme ai suoi colleghi più bravi, e forniva le armi migliori di tutta quella parte del bosco, e della Terra di Mezzo forse. Poi, d'improvviso, il buio cambiò. Da accogliente e fonte di orgogliosi segreti a soffocante e spaventoso, per poi venire interrotto da grida e tumulti: in lontananza, un lampo di fuoco rosso...

La nana si tirò su con qualche goccia di sudore freddo ad imperlarle la fronte. Riprese fiato, sentendosene senza come dopo una corsa e poggiò i piedi a terra, restando comunque seduta sul letto. Si portò una mano al collo, come se avesse ancora in gola il sapore del fumo e del fuoco. Si alzò infine e si affacciò dalla sua stanza, percependo la quiete e silenzio del bosco come gli stessi di una bestia feroce. L'alba era vicina, sarebbe presto partita. Di fronte allo specchio, la sua piccola figura barbuta gli sembrò troppo falsa, fasciata di abiti leggeri e aggraziati. A labbra serrate, un basso canto le proruppe dal cuore e poi verso la gola, cullando gli ultimi sprazzi di sogni degli altri della sua casa, e popolando gli ultimi attimi prima del risveglio di Bilbo di memorie non sue.

Elna prese gli abiti di suo padre e dopo essersi svestita di quelli degli elfi con movimenti decisi, indossò le brache, la camicia e la giacca, gli stivali e la cintura, il mantello e i bracciali protettivi sugli avambracci. Si sfiorò la barba, allo specchio: era ancora corta ma si stava infoltendo e rivolse un sorriso al suo riflesso, anche se in realtà la sua mente e il suo cuore erano rivolti ai suoi genitori.

 

La nana raggiunse l'atrio, trovando tutti gli altri già pronti. Thorin non incontrò il suo sguardo e rimase in attesa della padrona di casa soltanto perché Balin lo pregò di farlo. Vennero tutti condotti in basso, vicino alle radici degli alberi, e uno degli elfi spiegò loro la strada più sicura da percorrere per non incappare in altre loro sentinelle o in percorsi tortuosi e scomodi.

Ireth infine arrivò, vestita di un abito scuro come il bosco nelle sere d'autunno. Si inginocchiò a terra, per poterli guardare in viso, e chiese loro di avvicinarsi, uno per uno. Il primo fu Bilbo, che non sapendo bene cosa dire, fece un piccolo inchino molto garbato. L'elfa gli sorrise e gli carezzò il viso, mentre gli altri elfi porgevano loro provviste, mantelli e degli equipaggiamenti. La voce di Ireth gli risuonò in testa come se fossero i suoi stessi pensieri:

«Porti con te qualcosa di molto potente, Bilbo Baggins. Ricordati che anche le cose più piccole possono cambiare il corso della storia. Stai attento all'uso che fai dei doni che questo viaggio ti ha offerto e ti offrirà. La tua parte in questo grande racconto è appena cominciata»

Bilbo non seppe che altro dire e ammutolì, facendo un passo indietro e lasciando che anche gli altri ricevessero quel commiato. Vide i loro volti cambiare d'espressione, alcuni turbati, altri felici, altri incoraggiati. Arrivò il turno di Elna, e l'elfa, ancora in ginocchio, abbracciò l'amica.

Thorin sembrò non aver intenzione di avvicinarsi, e fu così che Ireth infine si alzò e si avvicino a lui.

«Le pietre preziose, figlio del Re sotto la Montagna, sanno essere lucenti e abbaglianti, ma sono fredde e affilate: attento a non tagliarvi, principe. Le ferite inflitte a un cuore sono più dolorose di quelle della spada» gli disse, la voce grave e il suo sguardo più algido. Thorin ricambiò l'occhiata, ma non disse nulla: non voleva sprecare fiato per lei.

Ireth, senza avere una replica, chinò il capo e fece cenno a loro di andare. Il vento si fece più caldo, nonostante si avvicinasse l'inverno, i loro passi più leggeri e il sole salì dall'orizzonte con un rinnovato vigore.

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Capitolo 12
*** Il viaggio continua ***


Camminarono per un giorno intero e Balin annunciò a Elna che l'indomani sarebbero sicuramente giunti a un villaggio in cui sapeva vivere una comunità di nani suoi mezzi parenti. Sarebbe stata al sicuro, con loro, e abbastanza vicina a Erebor per raggiungerli una volta che la missione si fosse conclusa, ma non aggiunse se nel bene o nel male. Thorin era rimasto taciturno, senza rivolgersi a nessuno se non per abbaiare qualche ordine. Bilbo era preoccupato, sia per lui che per Elna, la quale aveva in ogni caso ricevuto molte attenzioni da Dwalin, per quanto queste non fossero particolarmente galanti, come era sua natura, ma sicuramente sentite, e da Fili e Kili, che conoscevano il villaggio vicino ed erano tristi al pensiero di doverla già salutare.

La notte calò più in fretta, segno che l'inverno si stava avvicinando e il giorno di Durin, nel quale avrebbero scoperto la porta segreta, era prossimo. Thorin si coricò dando ordine agli altri sui turni di guardia e diede le spalle al resto della compagnia, senza chiudere occhio. Balin fu il primo, e tenne compagnia ad Elna, che non riusciva a dormire. Chiacchierarono di suo padre e di quando lui e Balin si incontravano per saggiare le birre venute dal villaggio di Dale. Il suo turno passò troppo in fretta e la nana si ritrovò a passarlo con Nori, che non gli ispirava particolare simpatia. Dopo un'ora troppo lunga, fu Ori a dover restare sveglio ed Elna fu molto contenta di questo cambio.

«Voglio ringraziarvi, signor Ori. Avevo dimenticato quanto mi sentissi meglio nei panni di mio padre» ammise, e lui arrossì subito.

«Ecco, non mi dovete ringraziare, io ho solo... espresso un parere» balbettò, imbarazzato. Elna sorrise di cuore.

«Non devo, forse, ma voglio» dichiarò, sicura, e allungò le mani verso di lui «potreste porgermi i vostri guanti?» chiese poi, aggrottando la fronte.

«I miei guanti?» fu la replica di lui.

«Ho visto che sono da rammendare. Mentre siete di guardia, posso sistemarli» disse, spiegandosi. Ori li sfilò e glieli porse, e calò un silenzio affatto imbarazzante, ma molto sereno. L'unica anima tormentata era quella del principe dei nani, che seppur con gli occhi serrati aveva le orecchie bene aperte.

Elna e Ori chiacchierarono ancora un poco, e la semplicità e il modo impacciato di lui le suscitarono una forte tenerezza. Gli porse i suoi guanti, perfettamente rammendati, e lui la ringraziò, facendo posto a Bofur, che si accomodò al suo posto. Lui ed Elna si scambiarono qualche occhiata, ma non parlarono affatto, almeno finché non fu lui a rivolgerle la parola.

«Sembrate triste»

Elna si voltò verso di lui, sorpresa.

«No, io...» iniziò, ma lo sguardo di lui la fermò: sembrava dirle di non perdere tempo con le bugie, perché non ci avrebbe creduto. Elna sospirò.

«Non dovreste, comunque» aggiunse lui «quando questa missione sarà finita, allora le menti e i cuori saranno di nuovo dove devono essere. Forse Thorin si scorderà di essere così orgoglioso e rigido e si ricorderà di quanto tiene a voi»

Elna arrossì. Lui si portò le mani dietro la testa.

«Ho solo paura che lo farà troppo tardi... l'amore per chi non prova lo stesso, o non se ne rende conto, è molto difficile» aggiunse Elna, a voce bassissima. Thorin aprì gli occhi, come se riuscisse ad ascoltare meglio, in quel modo. Bofur scrollò le spalle.

«Non direi difficile... c'è bisogno di una grossa dose di speranza, questo sì. E pochissimo egoismo» disse, guardando le stelle «o almeno, è così che sto affrontando io la situazione»

Elna aggrottò la fronte. Ricordava quanto era stato gentile con lei e pensava che, come Ori, fosse una specie di suo... spasimante? Scrollò la testa, sentendosi un po' troppo egocentrica per averlo creduto.

«La donna di cui siete innamorato non vi corrisponde?» domandò. Lui scosse la testa.

«No. O forse non lo sa neppure lei cosa prova, e non solo nei miei confronti, intendo. La cosa di cui sono convinto, però, è che io sono pronto ad aspettare. E se uscirò vivo da questa avventura, la andrò a cercare» confermò, un sorriso speranzoso sul suo volto. Elna non seppe bene come replicare, sul momento.

«Vi auguro tutta la fortuna possibile, con lei» disse poi, sincera. Bofur si lasciò sfuggire un sorrisetto più sarcastico.

«Farò del mio meglio, e per il resto mi affiderò al destino» concluse.

Restarono in silenzio per un po', finché si avvicinò il momento di svegliare il prossimo, suo fratello Bombur.

«Posso chiedervi un favore, signora?» domandò.

«Certo» rispose lei, ora più rilassata e pronta a dormire.

«C'è qualcosa che vorrei che teneste al sicuro, per me. Sono riuscito a non perderlo, sinora, ma non credo sia bene sfidare oltre la fortuna» spiegò, cercando nella sua saccoccia. Ne estrasse una scatola di legno robusta ma semplice, e gliela porse. Non era molto grande, ma neppure piccola, ed Elna se la appoggiò in grembo.

«Posso aprirla?» chiese, molto incuriosita. Al cenno di assenso di lui mosse la sua mano verso il coperchio. Estrasse, da dentro la scatola, un cavallo meccanico.

«È un giocattolo» disse lei, e Bofur ne sembrò molto fiero.

«Il mio pezzo migliore» ribatté lui. Elna lo studiò affascinata: era anche lei una giocattolaia, e iniziò a cercare di capire il suo funzionamento. Trovò una manovella per fargli muovere le zampe come se camminasse da solo, un modo per fargli scrollare la criniera e un altro per fargli abbassare il muso come se si abbeverasse.

Bofur aveva ora svegliato il fratello, che si era messo al suo posto, ed entrambi osservavano la nana. Era affascinata da quel piccolo giocattolo, e trattenne un grido di meraviglia quando trovò la levetta nascosta alla radice del collo del cavallino. Bombur e Bofur sfoderarono un sorriso soddisfatto, dato che anche l'altro fratello conosceva bene quella creazione: il cavallo si era trasformato, cambiando disposizione della superficie e di alcuni ingranaggi, in un mannaro. Elna alzò lo sguardo verso di loro, con l'espressione di una bambina il cui padre ha appena mostrato qualcosa di banale per altri adulti, ma straordinario per lei.

«Provate ancora» la incitò Bombur, nella parte del ragazzino un po' più grande, che non ha ancora tutti i segreti del mestiere ma ne sa di più, e sa anche cosa è meglio. Elna mosse ancora la levetta e il mannaro divenne un piccolo drago.

«È meraviglioso» commentò, felice di quella piccola scoperta e di doverla tenere al sicuro «credo sarà un onore, per me, custodirlo per voi, signor Bofur»

Quest'ultimo fece un saluto, toccandosi il cappello, e andò a dormire.

Mentre Bombur ed Elna giocavano con la piccola opera tra le loro mani, Thorin scivolò finalmente in un sonno tormentato.

 

La mattina sembrò arrivare con troppa fretta, o almeno così pensò Thorin quando si svegliò. Aveva dormito poco, e il suo malumore non era propedeutico a farlo essere più gentile del giorno prima. I nani, Bilbo ed Elna impacchettarono i pochi strumenti da campeggio che avevano e si sistemarono i pochi bagagli in spalla, seguendolo in un silenzio piuttosto grave. Sapevano tutti di doversi separare dall'unica donna del gruppo, e nonostante sapessero che non era un bene che li seguisse oltre il villaggio che già si scorgeva all'orizzonte, non erano affatto allegri o senza pensieri. Elna era molto incupita e i vari sentimenti che provava in proposito turbinavano tra loro in maniera vorticosa nel suo cuore.

La distanza tra il luogo in cui avevano passato la notte e le porte del villaggio fu veloce quanto penosa,. Balin superò il gruppetto e quando raggiunsero una delle piazzette principali cercò l'attenzione di un nano che stava mercanteggiando alcune armi e prodotti da fabbro fuori dalla propria bottega, annessa a una casetta. Questi aveva una barba piuttosto lunga, castano chiaro e stretta in molte trecce, e i capelli di ugual lunghezza. Quando i suoi clienti furono congedati ed ebbe riconosciuto il suo simile, i due si abbracciarono fraternamente. Costui era un collega del padre di Elna, tanto che anche lei lo riconobbe, e dall'abitazione dietro di lui vennero richiamate la moglie e la figlia, che aveva all'incirca l'età della nana ospite della compagnia dei quattordici.

«Elna!» gridò questa, andando ad abbracciare l'amica. Aveva una barbetta meno folta di quella di Elna, ma il suo pizzetto così ben tenuto suscitò sorpresa e un sorrisetto in Bilbo.

«Nirya!» la salutò Elna, ricambiando il suo abbraccio.

I nani sembrarono evidentemente imbarazzati dal non poter partecipare alla felicità del loro incontro, dato che dovevano separarsi da lei e non erano abituati a quel tipo di convenevoli. Bilbo attese di essere presentato, come ogni hobbit per bene. La famiglia di Nirya fu molto gentile, e offrì loro un lauto pranzo, senza fare troppe domande sulla loro missione, che non fu comunicata. Ovviamente, potevano contare sulla loro discrezione e fedeltà, per la loro amicizia e parentela con Balin, ma non potevano correre alcun tipo di rischio, con il giorno di Durin così vicino. I nani fecero giusto onore alla tavola, anche se l'unico che rimaneva in silenzio, o a cui si potevano cavare poche parole, era Thorin. Elna volgeva verso di lui qualche sguardo preoccupato, che veniva il più delle volte evitato.

Dopo aver pranzato ed aver aiutato la famiglia a risistemare la tavola ormai ridotta ad un campo di battaglia, fu il tempo di congedarsi. Bilbo era molto triste alla prospettiva, dato che si era molto affezionato ad Elna, e così lo erano tutti gli altri, nessuno escluso. Nirya e i suoi genitori li accompagnarono verso l'altro capo del villaggio, indirizzandoli sulla giusta strada, convinti che i nani fossero diretti in un luogo vicino alla Desolazione di Smaug, e non alla montagna stessa. Poi, i tre nani lasciarono che Elna si congedasse dalla compagnia in confidenza, allontanandosi e stando fuori portata di orecchio o occhio.

La compagnia si mise in un'unica fila, i nani e lo hobbit in attesa di ricevere, uno per uno, gli auguri e i saluti di Elna. Balin fu il primo, e ricevette un abbraccio molto simile a quello di una figlia da lei. Dwalin venne immediatamente dopo, estremamente imbarazzato e ritto con la schiena, arrossendo sensibilmente quando lei lo ringraziò per averla aiutata con le spoglie di sua madre e gli diede un bacio sulla guancia. Fili e Kili sembrarono molto risentiti di tanta preferenza, ma quando ricevettero un simile trattamento si calmarono molto. Fili si tolse uno degli ornamenti di metallo con cui aveva assicurato una delle trecce della sua barba.

«Quando la vostra sarà folta e lunga in degna misura, spero che possiate usare questo e ricordarvi di me» disse, con fare un po' spavaldo e uno sguardo malizioso. Kili, che non voleva essere da meno, estrasse dal suo feretro una delle sue migliori frecce e gliela porse.

«Se mai qualcuno dovesse volervi fare del male e io non fossi lì a proteggervi, questa sarà l'arma che vi difenderà» spiegò, con grande dignità. Elna prese questi doni con un sorriso grato e in parte imbarazzato. I due fratelli, poi, iniziarono a bisticciare silenziosamente tra loro su chi avesse dovuto farle la corte dopo la fine della loro missione. Dori, Nori, Oin, Gloin, Bombur e Bifur ricevettero a loro volta gli auguri per il resto del viaggio, e le augurarono tutti, ognuno con la propria stretta di mano, una esistenza pacifica e dignitosa in quella città. Ori, quando fu il suo turno, sembrò agitarsi subito e allungò verso di lei un piccolo involto. Elna lo prese, con gratitudine, e lo aprì: all'interno vi erano un paio di guanti fatti a mano, nuovi di zecca.

«Siete stata così gentile da rammendare i miei e io... ecco, pensavo... che non mi servono più, e quindi potreste... ecco, potreste averne bisogno...» balbettò, preso dall'emozione. Elna sorrise commossa e lo abbracciò stretto, dando anche a lui un bacio sulla guancia, lasciandolo senza parole e senza fiato, ma con un rossore decisamente evidente sulle guance. Fu la volta di Bofur, che sembrò piuttosto imbarazzato a sua volta, ma non così tanto come Ori. Elna non si seppe spiegare perché, mentre Bilbo domandava a Balin se era usanza tra i nani quello di dare regali alle persone da cui si sapeva di separarsi per lungo tempo. Saggiamente, il nano gli rispose:

«No, in realtà. Ma a volte è possibile che alcuni di noi, per essere sicuri di non venire dimenticati, cerchino di lasciare qualcosa di sé alle persone che loro non dimenticheranno facilmente»

Elna stava dunque per congedarsi anche da Bofur, quando lui le porse il suo flauto, con uno sguardo evidentemente molto meno sicuro di quello che aveva di solito. Elna gli restituì un'espressione sorpresa e, posando le mani su quelle di lui, allontanò il flauto da sé.

«Non posso accettarlo, signor Bofur. Non potrei mai privare della musica né voi né l'intera compagnia» spiegò, amabilmente e con un sorriso. Lui parve molto deluso della sua decisione.

«Non ho altro da regalarvi, per la vostra gentilezza» si giustificò lui. Lei scosse la testa senza perdere il suo sorriso.

«Non dovete ringraziarmi per quel che mi avete chiesto di fare e che farò» spiegò, continuando a tenere le mani sulle sue. Bofur sembrò trattenersi dal dire qualcos'altro.

«Ho già qualcosa per ricordarmi di voi» rispose lei, a voce bassa, lasciandolo andare «e anzi, c'è qualcosa che potete fare per me, per ringraziarmi» aggiunse, per fargli comprendere le sue intenzioni «suonate e tenete vivo l'umore e lo spirito di questi nobili e coraggiosi nani: suonate per me. Non vi preoccupate se non sarò con voi e non potrò sentirvi, perché sento che, in qualche modo, saprò che quelle canzoni saranno anche per me»

Questa ultima parte del suo discorso toccò il cuore di tutti, e persino Thorin non poté sottrarsi dal mostrare un poco di emozione. Bofur sorrise di cuore, imitandola e chinò il capo toccandosi il cappello, senza sperare o ricevere un bacio come i suoi compagni. Elna era già distratta dalla reazione del suo principe.

Bilbo la ridestò per qualche secondo, abbracciandola e augurandole tutto il bene del mondo. Thorin, a pochi passi da loro, restò fermo quando lei gli fu di fronte. Elna raccolse tutto il suo coraggio e ostinazione in un profondo respiro.

«Vi prego, non lasciamoci come due estranei o due nemici» gli sussurrò e lui non poté non cedere di fronte alla sua espressione e al suo tono.

Thorin le prese prima le spalle e poi la abbracciò, lasciandola senza parole, e abbracciandolo a sua volta, chiudendo gli occhi per qualche istante.

«Addio, Elna figlia di Renli, degna dell'amore dei re» disse, lasciandole un bacio sulla fronte.

Dolorosamente, si separarono, e altrettanto dolorosamente scesero le lacrime sul viso di lei nel vederli allontanarsi per l'ultima volta da lei, incerti sul loro destino.





Non vi preoccupate, lettori, la storia non è ancora finita...

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Capitolo 13
*** Il re sotto la montagna ***


Elna si svegliò aprendo piano piano le palpebre: un raggio di sole filtrava dalle tende tirate quasi del tutto, e ricadeva proprio sul suo viso, e specialmente sui suoi occhi. Cercò di accoccolarsi nelle coperte, nascondendo il viso, ma non riuscì a riappisolarsi. Ormai sveglia, si stiracchiò e poi si alzò, scostando le coperte di malavoglia. Si sedette ad una semplice toeletta che era nella sua stanza, e si si spazzolò i capelli, per poi stringerli in un paio di lunghe trecce. La sua barba era diventata folta e lunga, ma non aveva baffi – quelli non le era mai cresciuti. Con il fermaglio che le aveva donato Fili, sistemò la barba in modo che non le desse fastidio, in una serie di piccole ciocche intrecciate tra loro. Si vestì degli abiti semplici e pratici che aveva nel suo armadio e uscì dalla sua stanza. Nirya la incrociò nel corridoio e le diede il buongiorno. Lei e la sua famiglia avevano accolto Elna come una sorella e come una figlia, e le avevano fornito il necessario per riprendere la sua attività di giocattolaia. Nel villaggio, non vi era nessuno in grado di creare ninnoli o passatempi per i bambini, e quando Elna finalmente riuscì a crearne un po', venne beneamata da tutti quanti coloro che avevano dei bambini, e dai loro parenti tutti.

La madre di Nirya sorrise a Elna e alla figlia, quando entrambe si sedettero al tavolo della colazione, con il padrone di casa. Fu lui a porgere una lettera, arrivata in tutta fretta qualche istante prima ad Elna: sembrava urgente. Lei la aprì e la sua espressione, dopo averla letta, preoccupò tutti.

«Notizie da Erebor?» domandò Nirya, posandole una mano sul braccio. Solo a lei e ai suoi genitori era stata rivelata la missione della compagnia.

«Il drago è ucciso. La città di Dale ha subito molti danni ma Erebor è di nuovo dei nani» spiegò, meccanicamente, come se non fosse quella la notizia importante. Gli altri tre nani si rallegrarono, ma solo per un istante. Elna alzò la testa.

«Thorin Scudodiquercia è in fin di vita. Ha chiesto di me» aggiunse, le lacrime che le scendevano silenziose sulle guance.

 

Dalle rovine di Erebor, era ancora possibile accedere alle balaustre di guardia sopra il grande portone. Le parti laterali erano sopravvissute allo schianto del drago contro l'ingresso, che aveva danneggiato solo quella centrale. Ori aguzzò lo sguardo quando vide una nuvola di terra e polvere alzarsi da quello che sembrava soltanto un piccolo pony. Correva come un pazzo, al limite di quelle che evidentemente erano le sue capacità.

«Signor Bofur, signor Bofur!» iniziò a gridare, verso il portone che conduceva all'interno. Bofur uscì, e si avvicinò a lui, guardando nella stessa direzione. Il pony si avvicinava rapidamente.

«Sembra che la vostra lettera sia arrivata in tempo, dopo tutto» aggiunse il primo dei due, mentre l'altro gli poggiò una mano sulla spalla.

«Andiamo, avrà bisogno di aiuto» disse Bofur, facendogli poi cenno di seguirlo. Con passi rapidi e sicuri nonostante i passaggi irti e semidistrutti, i due giunsero alle porte della città, semiaperte e sorvegliate.

Il pony si fermò non appena Elna tirò le briglie. Era spossato oltre misura, avendo corso per ore e ore senza sosta. Quando lei scese, di corsa, la sua cavalcatura stramazzò al suolo, troppo stanca per reggersi ancora. La nana corse in direzione dell'ingresso, mentre Ori si avvicinava al pony, preoccupato che potesse essere morente. Aveva un animo sensibile, fin troppo, e sapeva di non essere in grado di affrontare Elna, o di esserle in alcun modo di aiuto, non nel modo in cui Bofur era in grado di farlo. Balin e Dwalin li attendevano fuori dalla camera del principe, in silenzio.

Bofur intercettò la corsa disperata della nana, che cercò di divincolarsi dalla sua presa.

«Calmatevi solo un istante, signora. Dovete essere il più possibile serena e lucida. Lui ne avrà bisogno» disse lui, e lei si fermò, prese un profondo respiro e si levò le lacrime dal viso con dei gesti stizziti delle mani. Bofur la lasciò andare solo quando fu certo di poter usare le parole per interagire con lei. Le porse un fazzoletto, molto più immacolato del previsto, e lei lo ringraziò debolmente, usandolo immediatamente. Bofur la osservava con un misto di preoccupazione e sollievo, il primo per le sue condizioni, il secondo per la sua presenza.

«Sono pronta» furono le parole di Elna dopo un po' di istanti. Bofur le chiese il fazzoletto indietro con un gesto, sapendo bene che avrebbe indispettito Thorin e con un sorriso rassicurante le fece cenno di precederlo.

 

Thorin era disteso su di un giaciglio, gli occhi chiusi e le ferite che gli sfregiavano il viso. Aveva indosso la sua armatura e le coperte lo celavano fino alla cintola. I cuscini lo mantenevano quasi seduto, e così lo trovò Elna quando il piccolo Bilbo uscì dalla stanza e la fece entrare.

La nana si avvicinò sentendosi molto meno pronta di quanto non avesse dichiarato prima. Le gambe le tremarono fino al capezzale del principe. Una sedia era vicina al letto e si sedette lì, chinandosi verso di lui e carezzandogli la fronte, sperando di non essere arrivata troppo tardi.

Thorin aprì gli occhi e incontrò quelli di lei: vedeva il dolore sul suo volto, ed esso si rifletté nella sua espressione, che colpì molto Elna. La nana cedette di nuovo alle lacrime, stringendo la coperta con entrambe le mani, rischiando di lacerarla. Lui alzò a fatica il proprio braccio destro, dal lato in cui si trovava lei, e le carezzò i capelli, con fatica. Elna alzò il viso, si asciugò le lacrime con rabbia, infuriata con se stessa per essere così debole e, alzandosi dalla sedia, si stese accanto a lui, stringendosi al suo petto. Thorin le circondò la schiena con il braccio, la fronte contro la sua.

«Devo porvi le mie scuse» mormorò lui, il timbro basso quanto debole. Lei gli sfiorò le labbra con le dita.

«Non voglio sentirle» replicò, con fatica, lei.

«Mi resta poco per dire quello che avrei dovuto dire molto tempo prima» ribatté lui, il suo tono burbero come sempre ma con una nota di rammarico e dolore «avevate ragione: sono stato ingordo ed egoista come lo è stato mio nonno. E ora che me ne sono reso conto, è troppo tardi per rimediare di persona. Ho trattato senza rispetto coloro che hanno solo cercato di aiutarmi, e vi ho delusa. Vi chiedo perdono per questo»

Elna, stringendosi a lui e spostando la mano dal suo viso al suo petto, annuì.

«Avete tutto il mio perdono, per ciò che avete fatto e per ciò che avevate intenzione di fare. Non pensate ai vostri torti, ma a ciò che avete fatto di buono, ora. Avete guidato la vostra compagnia. Avete ripreso Erebor per coloro a cui era stata rubata» sussurrò lei.

«Il mio rimorso, ora che ho il vostro perdono per i miei errori verso gli altri, è solo nei vostri riguardi» disse dopo qualche istante Thorin «Non ho saputo apprezzarvi, non ho saputo mettere da parte il mio orgoglio e non ho saputo amarvi come avreste meritato»

Elna cercò di fermarlo, con silenziose proteste, ma invano.

«Non vi farò promettere di non donare il vostro cuore a nessuno o di donarlo a chi vi sarà degno: non farò di nuovo l'errore di ritenermi al di sopra del vostro giudizio. Vi chiedo solo di non dimenticarmi, se potete» aggiunse allora, e incontrò di nuovo lo sguardo di lei.

«È una richiesta che posso accettare» rispose lei, sentendo il proprio cuore spezzarsi. Gli posò un bacio sulla fronte.

«Riposate, mio re. Siete stato amato, non dubitate di questo. E io sono stata amata, come solo le regine ne sono degne» sussurrò, vedendo che la vita stava fuggendo dai suoi occhi.

«Addio» fu l'ultima parola che pronunciò, rubate dalle sue labbra con un bacio.



~
 

Così perì Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, erede al Trono sotto la Montagna. 

Ma la nostra storia non è ancora finita: c'è un ultimo capitolo da aggiungere... accompagnateci ancora per un po', se volete...

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Era un giorno di sole, di quelli che dopo un gelido inverno iniziano a fare capolino. Il cielo era sgombro di nuvole, di un azzurro talmente limpido da quasi fare male agli occhi a guardarlo.

I prati verdi e le stradine che li percorrevano tortuosi sembravano parte di un paesaggio idilliaco che in certe altre zone della Terra di Mezzo erano soltanto nei sogni o nei quadri. La Contea era uno spettacolo particolarmente rassicurante e allegro in quei giorni, in cui i fiori iniziavano timidamente a sbocciare e il rumore del fiume suonava come una musica per chi non aveva altro da fare che sedersi, fumare, mangiare e magari bere qualcosa.

C'era però fermento nella città di Hobbiton: nella vicina Lungacque, appena oltre il fiume, erano arrivati dei nani. Erano giunti a Brea alcune settimane prima, ed avevano percorso le strade principali, fermandosi nei centri più grossi, senza fretta, ed alloggiando nelle locande più rinomate. Gli hobbit erano inizialmente perplessi di questa strana cosa, dato che normalmente nessuno, tranne loro stessi, viaggiavano tra un decumano e l'altro, e anche loro lo facevano molto di rado. Uomini, Nani ed Elfi non si addentravano mai nella Contea, e solo i primi di essi si avventuravano fino a Brea.

Le voci sulla loro presenza si diffusero velocemente tra un buco hobbit e l'altro, ma la ragione della loro venuta venne presto svelata: erano una piccola compagnia, una dozzina circa, di mercanti. A gruppi di due o tre, si piazzavano con piccoli banchetti costruiti in legno e poco altro nelle piazze o vicino alle locande stesse, dovunque ci fosse posto a sufficienza per tutti, e mostravano i loro lavori: orologi, fibbie in metallo, abiti vari in pelle, giocattoli. Non avevano portato gioielli od armi da vendere, sapendo che la gente della Contea non era avvezza a quel genere di articoli. Li avevano venduti o li riservavano per il viaggio di andata e poi di ritorno. Vi erano anche stagnini e calzolai, tra loro, che riparavano qualunque oggetto fossero in grado di riparare, a chiunque ne avesse bisogno.

Nella piazzetta di Lungacque si erano radunati abitanti della città e vicini, tutti ugualmente interessati alle mercanzie dei nani e un po' timorosi nei loro confronti. Molti dei nani avevano un aspetto truce, e si faceva fatica a capire la loro espressione, dietro le lunghe barbe. Alcuni di essi erano sfregiati da vecchie cicatrici, gli sguardi induriti dalle sofferenze e dai lunghi pellegrinaggi in cerca di un luogo dove stare. Altri erano più cortesi, ma in ogni caso piuttosto bruschi. Solo uno di loro aveva modi più accattivanti, ed era il giocattolaio. Aveva con sé un socio, che non parlava mai, ma aveva molta cura degli oggetti in vendita, e attendeva che il suo compare facesse il tutto. I bambini hobbit si radunavano sempre intorno al suo banchetto, mentre questo, seduto a volte sulla tavola accanto ai giocattoli, altre volte camminandoci intorno, raccontava storie di luoghi lontani, avventure che nessun hobbit si sognerebbe mai di fare, neppure per scherzo. I bimbi più coraggiosi si mettevano sempre in prima fila, mentre i più timorosi restavano incollati alle gonne delle proprie madri, impauriti. Uno di essi, però, sembrava non appartenere ne all'una nell'altra categoria. Se ne stava in disparte, la testolina di ricci scuri che si distingueva tra le tante brune intorno a lui, come se si fosse trasferito da poco in quel decumano, e non avesse amici. Restava in silenzio ma tratteneva il respiro a ogni colpo di scena, come gli altri, e gioiva quando, nei racconti, l'eroe vinceva sul male.

Il nano, poi, attirò l'attenzione di tutti, adulti e bambini, hobbit e nani, quando raccontò del grande drago Smaug. Raccontò che lui era parte della compagnia di coloro che si erano recati alla Montagna Solitaria e che uno di loro, proprio un piccolo hobbit con un bel panciotto e amante della seconda colazione, aveva affrontato in drago... non con una spada, naturalmente, ma con l'astuzia! I bambini applaudirono entusiasti, ma lo sguardo di quello in disparte, di quello moro, si accese più di tutti gli altri, come se sapesse già come andava a finire la storia, ma volesse sentirselo dire dal nano, come a confermare o negare ciò che già conosceva. La storia del nano si concluse tra ovazioni, applausi e commenti, e i bambini cercarono di convincere i genitori a comprare i draghetti di legno che il giocattolaio vendeva.

Il sole scese piano piano, e così il giocattolaio e il suo socio iniziarono a nascondere la merce invenduta e a sistemare l'incasso al sicuro. Il piccolo hobbit dai capelli neri era ancora lì, però, solo. Il socio fece cenno al suo compare in direzione del bambino che, sentendosi scoperto, abbassò appena lo sguardo quando il nano si avvicinò a lui. Portava guanti a mezze dita e un cappello foderato di quello che appariva come manto di pecora, con due para-orecchi stranamente rigidi e sollevati. Si abbassò, in modo da guardare negli occhi il suo interlocutore.

«Giovanotto... sei solo?» iniziò a dire lui, con un sorrisetto quasi complice. Il piccolo hobbit annuì.

«Ti ho visto prima... ti è piaciuta la storia di Smaug, il dorato?» chiese ancora, mentre il suo socio sistemava le ultime cose. Gli altri nani erano già rientrati nella locanda della città vicina, ed erano solo in tre, in quello spiazzo, a parte alcuni curiosi passanti. Il bambino annuì di nuovo.

«Sembra quasi che ti abbia tolto la parola, da quanto era emozionante» replicò poi il nano, facendo per alzarsi e lasciarlo in pace. Gli aveva già voltato le spalle, quando infine il piccolo hobbit parlò.

«Io... io conoscevo già quella storia»

Il nano e il suo socio si voltarono verso di lui, piuttosto sorpresi, ma non straniti: presero evidentemente la notizia con allegria, dalla loro espressioni. Si scambiarono una rapida occhiata. Le loro reazioni sembrarono dare coraggio al bambino.

«E conosco personalmente lo hobbit di cui parlavate» aggiunse, incrociando le braccia con fare spavaldo.

«Mi sembrava di ricordare qualcuna di queste strade» commentò il nano, mentre il socio annuiva.

«Allora voi siete davvero un membro della compagnia di cui Bilbo Baggins aveva fatto parte?» chiese il piccolo interlocutore, ora molto più simile a un bambino.

«Certamente, giovane mastro hobbit. E sarei molto felice di rivederlo, se ciò è possibile... potreste indicarci la strada?» chiese, gentilmente, con un sorrisetto d'intesa.

«Possibilissimo, signore!» rispose contentissimo lui.

«Siamo pronti?» chiese al socio che gli fece una sorta di saluto militare, come a dire che potevano già incamminarsi.

«Perfetto, ma prima permettetemi di presentarmi. Sono Bofur, al vostro servizio» disse il nano, con un profondo inchino, allo hobbit «questo è il mio socio in affari. Non ama parlare in pubblico, ma si presenterà direttamente al Signor Baggins, se nel frattempo ha imparato un po' di lingua nanica»

Il suo socio si toccò il cappello, rispettoso, verso il bambino.

«Io sono Frodo Baggins, della Contea, per servirvi!» esclamò, educatamente, il bambino, anche lui inchinandosi.

«Siete figlio del buon signor Bilbo?» chiese Bofur, mentre si incamminava con lui verso la vicinissima Hobbiton, tagliando per alcuni campi.

«Sono un suo nipote... e cugino mi ha detto» rispose lui, senza mostrare alcuna particolare emozione «si prende cura di me da quando i miei genitori sono morti»

Entrambi i nani rimasero molto colpiti a quella dichiarazione. Frodo sembrava abbastanza tranquillo, però, e cercarono di non creare in lui alcun disagio, e cercarono di non mostrarsi troppo preoccupati.

Giunsero alla casa sotto la Collina, e Frodo entrò dal cancellino che già il sole stava tramontando. I nani rimasero in disparte, con un paio di sacchi, mentre i loro pony erano al sicuro alla locanda, appena al di là di Lungacque. Frodo bussò alla porta tre volte, e da essa fece capolino Bilbo.

«Ti sembra questa l'ora di rientrare, Frodo Baggins?» domandò, accigliato e burbero.

Il bambino era fin troppo contento di aver trovato i due nani per essere intimorito da quel suo rimprovero.

«Zio Bilbo, ti ricordi dei nani di cui ti ha parlato il signor Soffiatromba?» chiese, tutto contento, mentre i loro ospiti percorrevano i pochi gradini che portavano all'ingresso rotondo di Casa Baggins. Bilbo riconobbe immediatamente l'amico Bofur.

«Che mi caschi un fulmine dritto in testa se non siete invecchiato neppure di un giorno, signor Baggins!» esclamò il nano, poggiando uno dei sacchi delle sue mercanzie a terra per abbracciare lo hobbit. Questo ricambiò il suo gesto d'affetto, sotto gli occhi meravigliati e contenti di Frodo, sicuro di aver fatto bene a portarli lì.

«Signor Bofur!» rispose Bilbo, che oltre a essere contentissimo di vedere il suo amico era anche preoccupato: l'ultima volta che aveva avuto i nani in casa sua, le sue provviste si erano quasi esaurite... ed era quasi ora di cena!

Il socio di Bofur appoggiò a sua volta il suo sacco, e Bilbo quasi fece un grido di sorpresa. Frodo non capì: cosa c'era di speciale in quel nano? Non parlava nemmeno, e poi... lo osservò meglio, ora che si levava il cappuccio che aveva calato sulla fronte e sorrideva sopra la balba folta ma corta, i vestiti ampi, troppo ampi per le piccole mani che uscivano dalla giacca.

«Non ci posso credere... Elna!» esclamò Bilbo, superando la soglia e andando ad abbracciarla «ancora con gli abiti di vostro padre?» chiese poi.

«Oh, sì, signor Bilbo... è una precauzione che era meglio mantenere, almeno in viaggio. Ma spero di potermi mettere un po' più comoda nella vostra leggendaria dimora» disse, lanciando un'occhiata complice a Bofur. Frodo era molto meravigliato: certo, aveva una voce un po' più scura di qualsiasi donna hobbit lui conoscesse, ma era indubbiamente una femmina! Si sorprese di non essersene accorto, e che nessuno se ne fosse accorto. Ma conciata in quel modo, con quella barba... impossibile distinguerla dagli altri nani, se non si era abituati a vederli, pensò Frodo.

I due nani vennero invitati ad entrare. Frodo notò che, sotto la pesante e grande giacca, la nana aveva un vestito simile a quello delle signore hobbit oltre il fiume, e le brache erano talmente larghe che al di sotto portava una gonna. Quando si fu liberata dei pesanti abiti del padre, si sedette dallo stesso lato di Bofur, ma a distanza. Tra di loro si sedette Frodo, tutto contento, mentre Bilbo portava un po' di cose da mangiare. Non chiese se si fermavano per cena: Bofur si stava già alzando per recuperare altre prelibatezze hobbit.

Si rifocillarono, i due nani per il viaggio e il lavoro, e Bilbo e Frodo per riprendersi dalla sorpresa.

«Quindi siete qui per i giocattoli?» chiese lo hobbit più anziano. Bofur annuì silenziosamente.

«Qualche altro nano aveva deciso di sfruttare la primavera per portare un po' dei prodotti della gente di Erebor fuori dalla Montagna... La città di Dale è molto visitata ma ci piaceva l'idea di andare in giro per un'altra avventura, per terre il più possibile sicure. È stato il signor Bofur a dire che probabilmente nella Contea non avevano mai visto bellezze come quelle dei nostri manufatti» aggiunse, scambiando un'altra occhiata un po' troppo complice per non far nascere qualche sospetto in Bilbo.

«Lavorate insieme, adesso?» chiese ancora il padrone di casa, indagatore. Frodo li guardava entrambi, girando la testa di qua e di là.

«Sono soci, zio!» si intromise il piccolo hobbit, mentre Bofur posava una mano guantata sui suoi ricci, scompigliandoli.

«Il giovane signor Frodo non dimentica nulla di quel che gli si dice» commentò, divertito e in tono gentile.

«Avevo già ricominciato a fare la giocattolaia nel villaggio in cui mi avevate lasciato. Quando poi ci siamo trasferiti ad Erebor, ho iniziato a lavorare nella bottega del signor Bofur e del signor Bombur. Anche il signor Bifur è con noi, anche se più che altro spaventa i clienti» spiegò Elna, con una risatina finale, che Bilbo imitò. Ma quest'ultimo era alla ricerca di una ulteriore informazione, anche se non osava chiederla, non dopo aver assistito, già una manciata di decine di anni prima, al sentimento lacerante che si era creato tra lei e il principe Thorin. Elna scambiò un'altra occhiata con Bofur, alzando le sopracciglia in modo eloquente. Bofur sembrò non capire al volo cosa intendeva, ma dopo qualche istante fece cenno di aver compreso. Si alzò e andò verso uno dei loro sacchi, estraendone una scatola di medie dimensioni, che riportò sul tavolo.

«Dato che il signor Frodo non ha acquistato nulla da noi, ma è rimasto ad ascoltare in modo molto educato le nostre storie... volevamo permetterci di fargli un regalo» spiegò Bofur, allungando la scatola verso di lui. Elna lo osservava impaziente della sua reazione, ma aspettando che Bilbo gliene desse il permesso. Quest'ultimo annuì e Frodo aprì la scatola: si trattava del giocattolo meccanico che Bofur aveva chiesto ad Elna di custodire, ma non solo. Insieme ad esso vi era un giocattolo simile, ma a forma di uomo. Frodo lo sistemò sul cavallo, e Bofur gli mostrò tutti i meccanismi non solo per farlo muovere, ma anche per fargli cambiare forma. Entrambi i giocattoli cambiavano forma, e si coordinavano: il drago e il demone incappucciato, il cavallo e il cavaliere, il mannaro e l'orco.

«È bellissimo! Grazie!» esclamò Frodo, scendendo dalla sua panca e spostandosi nello studio-soggiorno, di fronte al focolare acceso.

«Il cavaliere è opera vostra, Elna?» chiese Bilbo, meravigliato quanto il nipote dalla maestria dei due giocattolai.

«Sì... lo iniziai quando ero lontana da Erebor, ma non ho le capacità del signor Bofur» spiegò, anche se lui fece un gesto come a dire “sciocchezze” «per cui ci ho messo un bel po' di tempo. Alla fine, è venuto un bel lavoro»

«Immagino teniate molto a quei due pezzi, non è forse troppo per un regalo?» domandò Bilbo, iniziando a fare qualche calcolo, nella sua mente, e pensando davvero che quei due oggetti fossero importanti per i due nani.

«Tanto più siamo convinti che sia un buon regalo» disse Bofur.

«Siamo sicuri che qui sarà utilizzato per lo scopo migliore: il divertimento di un bambino» aggiunse Elna, strappando un sorriso grato e intenerito allo hobbit.

«E in definitiva, i nostri figli a lungo andare li avrebbero fatti a pezzi» concluse lui, lasciando Bilbo di stucco.

«I vostri figli?» chiese, sorpreso e sconcertato «avete dei figli? Siete sposati?» domandò, a raffica, mentre i due nani sorridevano divertiti dalla sua reazione.

«Due piccole pesti, molto simili a Frodo» spiegò Elna, lanciando un'occhiata tipica di una madre al piccolo hobbit, troppo preso a emulare i racconti di suo zio per ascoltarli.

«Staranno sicuramente dando del filo da torcere a loro zio Bombur, che starà spergiurando di farcela pagare al nostro ritorno per averlo lasciato solo con loro. Bifur è talmente spaventato da quei due che sta seriamente pensando di trasferirsi» raccontò placidamente Bofur.

Bilbo era ancora senza parole, immaginandosi il grosso Bombur assediato da due piccoli nani.

«Beh, è una magnifica notizia!» si ritrovò a dire, cercando di sopire le proprie idee su ciò che pensava tormentasse ancora la nana. Come poteva pensare che sarebbe rimasta semplicemente nel dolore per Thorin? Era una cosa stupida, e poi, ormai aveva imparato un po' di cose sul cuore dei nani.

«E come si chiamano?» chiese ancora lo hobbit.

«Fili e Kili» rispose Elna, con un sorriso a metà tra il mesto e il fiero, che Bofur imitò. Bilbo non seppe cosa replicare, ma la sua espressione fu lo specchio di quella dei suoi ospiti.

Frodo tornò tra di loro, chiedendo di qualche bella storia dei tempi della loro avventura. Chiese di Thorin Scudodiquercia e Bilbo si preoccupò per la loro possibile reazione: le loro voci restarono serene e accattivanti, quella di Bofur soprattutto. D'altronde, la gelosia non era mai stata cosa sua, ed era il narratore migliore tra i due.

Si trasferirono nel salottino, accanto al fuoco, e passarono qualche piacevole ora a raccontarsi storie di tempi vicini e lontani, finché Frodo sembrò sul punto di crollare dal sonno. Elna, allora, lo prese sul proprio ginocchio, rubandolo a quello del marito, e iniziò ad intonare, piano, quella che sembrava una variante più dolce del canto delle Montagne Nebbiose che Bilbo aveva ascoltato, in quella casa, molti, moltissimi anni prima. Gli occhi di Frodo si chiusero lentamente, finché il suo respiro non si fece regolare e si addormentò.

 

La mattina dopo, Frodo si svegliò nel suo letto, senza ricordare come ci era finito. Scese dal suo giaciglio e si avventurò nel corridoio, dove incrociò lo zio, già vestito, che si apprestava a preparare la colazione.

«Il signor Bofur e la signora Elna non sembrano davvero sposati» disse Frodo, cercando di aiutarlo con del bacon.

«Cosa intendi?» chiese Bilbo, incuriosito.

«Mio padre e mia madre si tenevano sempre per mano e si baciavano spesso. Loro non l'hanno fatto mai» sentenziò il bambino, con una piccola alzata di spalle.

«Vedi, Frodo, non tutti si comportano come noi hobbit. Ogni razza ha le sue... abitudini, i suoi modi di dimostrare le proprie emozioni» spiegò lo zio.

Frodo sembrò pensarci su.

«Noi hobbit amiamo le cose che crescono, come le piante o gli alberi. I nani amano di più le cose che fanno con le loro mani, o con abilità e perizia» continuò, pensando che Bofur avesse fatto una cosa, inconsciamente, a suo vantaggio nel chiedere ad Elna di custodire il suo tesoro. Aveva fatto in modo che lei lo avesse come sua costante presenza, come una piantina che uno hobbit regalava ad un'amica un po' speciale.

Frodo annuì, distogliendolo dai suoi pensieri.

«Vado a vedere se solo svegli, così la colazione non gli si fredderà» disse, scendendo dallo sgabello su cui si era arrampicato e correndo alla loro porta. Sbirciò dall'uscio semiaperto e nascose un sorrisetto con una mano, nel vedere che i due ospiti dormivano abbracciati.

 

I due nani ringraziarono per l'ospitalità, dopo la lauta colazione, e si separarono, per l'ultima volta, dallo hobbit Bilbo Baggins, senza sapere ancora che i loro due pestiferi figli avrebbero avuto presto una sorellina e senza sapere neppure che il destino di tutta la Terra di Mezzo era stato nascosto a pochi metri da loro per tutta la notte.

 

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Qualche dovuto ringraziamento: alla cara Chiara/Emmina per essere una grande fan dell'evilsmirk nascosto di Bofur, e per avermi detto che questa storia è un concentrato di pucciosità.

 

A Martina che non ha amato questo finale ma mi ha fatto da correttrice di bozze.

 

A tutti quelli che mi hanno commentato (e commenteranno) e in particolare ad “Eruanne”, che si è fedelmente trovata a lasciarmi i suoi infiniti complimenti sempre in tempo record.

 

Un abbraccio e a presto (speriamo) (potrei fare uno spin-off su questi due)!

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