Unholy di Anacarnil (/viewuser.php?uid=104752)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fremiti ***
Capitolo 2: *** La Villa ***
Capitolo 3: *** Ah, Google. ***
Capitolo 4: *** Amen ***
Capitolo 1 *** Fremiti ***
«Non lo so, Nat.»
Rachel scosse la testa, lo sguardo perso tra le morbide ombre che danzavano attorno alle pareti, la mano sinistra che grattava distrattamente una delle lunghe orecchie di Otto, disteso sul pouf imbottito accanto al suo.
«Suona tutto troppo strano, non ha senso.» Continuò, la voce che si smorzava e vibrava l'ultimo istante prima di spegnersi.
Otto il bassotto rigirò le zampe, sistemando il piccolo muso sul morbido pouf dove era disteso, godendosi il placido momento.
«Non lasciarti influenzare, sai che non deve esserci necessariamente un collegamento tra quello che hai visto e quello che pensi.» Nathaniel Rogers, al secolo Nat, era così, un inguaribile pragmatico dagli occhi di ghiaccio.
«Sei semplicemente molto stanca, non dormi davvero da una settimana almeno.»
Stanca, forse questa non era la parola che poteva adattarsi realmente allo stato fisico e mentale in cui versava la donna. Sicuramente era spossata, esausta dopo giorni e giorni passati a rimuginare, ma non era quello che la turbava. C'era dell'altro, sepolto con cura nei meandri della sua consapevolezza, che la sfiorava come le dita di un amante esperto fanno con la pelle della propria metà. La soluzione era sospesa in un limbo vorticante, tanto vicino quanto distante dalla sua comprensione, e il tormento del dubbio pareva non lasciarle scampo, né tanto-meno una temporanea tregua. Quell'attimo di silenzio non fece altro che accentuare il divario che era sorto tra i due, mentre lei tornava a rivivere le situazioni paradossali dell'ultima settimana in un cantuccio remoto della sua mente, e lui univa le mani nel più tipico dei gesti d'impazienza, spostando lo sguardo sulle fiamme delle candele sparse per la stanza, stentando a mantenere il tipico auto-controllo che l'aveva reso l'imperscrutabile e freddo investigatore del violento ed al contempo criptico underground di Glasgow.
Si era aspettata che Hawthorne la chiamasse nel fine settimana, quanto-meno per informarla di eventuali novità sul caso, e che potesse quindi lei stessa trovare la carta vincente tra tutti quei cavilli che la facevano arrovellare negli ultimi giorni. Non si era fatto vivo, infrangendo quel muto patto che aveva sviluppato nel corso degli anni con la fragile poliziotta: il fine-settimana era sacro, una parola in più la si poteva scambiare per il lavoro, ma era soprattutto quella cornetta che la faceva sentire viva, lontana da tutte le situazioni scabrose in cui si ritrovava nolente a mettere naso, affari loschi, puzzle irrisolti e una marea di scartoffie da compilare per mantenersi nel caso e non lasciarlo a mani inesperte o semplicemente incoscienti. Lei sapeva di stare viaggiando sulla strada giusta, ma ogni giorno che passava qualcosa cambiava così repentinamente da farle rimpiangere di non aver mantenuto quella flemmatica vita di routine che conduceva nelle Lowlands scozzesi, e tutti quei rimorsi non facevano altro che pesare sull'economia generale della situazione che si era venuta a creare. Quell'idiota di Hawthorne serviva per mettere a tacere i suoi sensi di colpa, per farla sorridere, per ricordarle che la vita non poteva e non doveva essere solo un insieme di prove contrastanti e una settimana di incubi ricorrenti, eppure...
Fu il piccolo quadrupede a scuotere dall'inquieto torpore la donna, balzando improvvisamente sulle zampe per lanciare un abbaio stridulo e prolungato, le lunghe orecchie ritte, per quel che era possibile per degli affari di quelle dimensioni, verso la finestra. Rachel sobbalzò, versando così il poco vino che rimaneva nel calice sul tappeto persiano, il cuore in un tumulto veemente mentre alzava lo sguardo smeraldino verso la balconata, facendo per alzarsi impietrita.
Nathaniel si limitò a fissare parimenti la finestra, curvo a puntare i gomiti sulle ginocchia ma immobile per il resto.
Gli abbai di Otto proseguirono mentre si lanciava trotterellando alla maniera tipica dei cani di quella taglia verso il vetro, scostando la tenda di lino con il corpicino affusolato, lanciando i suoi strepiti striduli rivolto alle ombre che si erano unite alla danza anche aldilà del perimetro di Wilfordshire Road numero dodici.
D'istinto, la donna cercò la fondina della pistola, e dovette annaspare nervosamente, priva della sua usuale lucidità, per trovarla alla cieca sul tavolino, urtando sgraziatamente la scura bottiglia di vino che andava ora infrangendosi seccamente oltre il bordo.
Fece qualche passo, tremante, ingoiando un urlo isterico al rumore dello spesso vetro raschiato dal cane poco distante. Le labbra ben disegnate si schiusero di un infinitesimo mentre, lontana anni luce dal mantenersi fredda e calcolatrice, disegnava un passo dopo l'altro, deglutendo a vuoto più e più volte nella vana speranza di calmarsi, facendosi sempre più vicina, alzando le braccia per puntare la pistola contro qualsiasi cosa si annidasse aldilà del vetro, gli occhi che saettavano sulla sagoma increspata della tenda, la semiautomatica che puntava ovunque piuttosto che rimanere salda nelle fredde mani di Rachel Fraser.
Era ormai prossima a sollevare uno dei lembi della cortina, quando Nathaniel si limitò a pronunciare un annoiato: «Metti giù quell'arnese, sono i Dover con il loro Grigio, dovresti saperlo.»
La voce atona che pareva trasudare rassegnazione, prima di sospirare e scuotere il capo, sconsolato, rivolgendolo alle scure chiazze di vino sul lussuoso tappeto ormai inguardabile.
Nello stesso istante, la donna quasi rischiò di strappare il drappo per le foga con cui scostò una delle due parti, lasciando che la consapevolezza tornasse a penetrare la sua mente ottenebrata ed ella potesse ora disciplinare il battito cardiaco schizzato alle stelle, mentre attonita fissava i due coniugi Dover, con Jerome che faticava a trascinare Grigio dal collare.
Perché Grigio era un cane. Un colosso di cane. Una di quelle bestie dallo sguardo ebete e la mascella sporgente, un terranova dall'inusuale mantello cenere, che si sollevava sulle potenti zampe posteriori per lanciare il suo abbaio, che più di un abbaio era un cupo richiamo dall'Oltretomba.
«Sai, potrei incollarmi alle tue... labbra per ore, Nat, quando mi osservi con quegli occhi spiritati. Ma per questa volta fattelo dire... Sei uno stronzo.»
E lo era, difatti, poiché adorava semplicemente far ammattire Rachel. Si limitò a dipingere un sorriso evanescente sulle labbra perfette, mentre ammiccava, ancora immobile, ai Dover che si allontanavano.
«Meglio una bella dormita, sai?»
Forse, non era così pragmatico come la donna amava pensare.
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Capitolo 2 *** La Villa ***
Lo
squillo basso degli speaker accompagnò la progressiva
frenata del treno, che andava ora fermandosi lì dove un
ampio cono di fredda luce al neon tornava ad illuminare l'esterno del
vagone, con centinaia di volti anonimi ammassati dirimpetto al lungo
veicolo, in attesa di compiere la quotidiana lotta a suon di spallate
che permetteva ai più fortunati ed ai più
ostinati di guadagnare uno spazio decente all'interno del vagone.
«Fermata:
Lloyd Avenue. Siete pregati di fare attenzione allo scalino. Vi
auguriamo una buona giornata. »
La
donna dal pesante accento scozzese terminò il ripetitivo
annuncio e l'ultimo, brusco strattone era generalmente il segnale di
un'altra furiosa lotta destinata a consumarsi all'interno del vagone.
Nathaniel dovette sorreggere la poliziotta tenendola per i fianchi il
necessario, affinché questa non ruzzolasse per la carrozza.
Poi la liberò dalla morsa per garantirle un rapido guizzo
verso i posti che si stavano liberando, a un paio di passi di distanza.
Le porte si spalancarono, una fiumana di gente si riversò
all'interno, intralciata dalla corrente di volti che, per riflesso,
doveva attraversare le soglie del treno per uscire. Ma Rachel aveva
già il suo posto, e non poté nascondere un mezzo
sorriso di soddisfazione per aver guadagnato tanto in fretta e senza
storie la comoda poltroncina.
«Prossima
fermata: Hamilton Crescent.»
Nathaniel
non riuscì a nascondere una smorfia infastidita.
«Mi
chiedo come tu riesca a sopportare con tanta noncuranza
quest'accento.» Scosse il capo, guardandola, il volto che
tornava inespressivo come al solito.
«Non
che a Liverpool possiate offrire qualcosa di meglio, eh?» E
rivolse al freddo investigatore il più sincero dei sorrisi
di scherno.
Se
non ci fosse stata tanta calca, il brusco e repentino strattone che
informava della partenza del veicolo avrebbe mandato a gambe all'aria
un numero indefinito di gente, distratta dalle elucubrazioni mattutine
o semplicemente dal torpore che le calde coperte avevano lasciato loro
giusto un'ora prima. Qualcuno imprecò nel rude gaelico
scozzese, linguaggio tanto raro quanto radicato nonostante l'utilizzo
primario dell'inglese come lingua madre nelle terre di Wallace. Era
sempre un piacere ascoltarlo, realizzò Rachel, che si
trattasse della bestemmia più sentita o semplicemente di un
cordiale saluto.
«Parole
sante, signorina, i dannati damerini inglesi non riescono a capire
quanto possano sembrare delicate checche da gay pride con il loro
accento tutto svolazzi e patate in gola. Ha!» Il nuovo
interlocutore rivolse un'occhiata complice alla donna, mostrando il suo
sorriso giallo, prima di adocchiare in tralice Nathaniel alla sue
spalle. Questi si limitò a rivolgere una sguardo freddo e
distaccato all'uomo corpulento e dalla pelle arrossata, limitandosi a
tacere, impassibile.
Capitava
spesso di trovare patrioti convinti in Scozia. La coppia ci aveva ormai
fatto il callo, ma Rachel si divertiva sempre a vedere Nathaniel mutare
in una fredda statua di marmo ogni qualvolta qualcuno provasse ad
attaccare bottone sull'argomento. Era rimasto traumatizzato, un paio di
anni prima, quando ad Aberdeen aveva provato a mettere un po' da parte
i suoi pregiudizi e a scherzare con i locali sulle divergenze tra
inglesi e scozzesi. Ne era uscito con il naso rotto e un paio di
centinaia di sterline in meno per rimetterlo a posto.
La
poliziotta si limitò a fare spallucce all'indirizzo
dell'uomo che li aveva interpellati, prima di tornare ad ignorarlo e
rivolgere l'attenzione a Nathaniel, ora nuovamente seria.
«Cosa
credi si nasconda dietro il... »
«Non
qui.» Tagliò corto Nat senza guardarla, ormai
eclissatosi nei suoi silenzi.
Rachel
si morse il labbro, portando lo sguardo a spaziare per il corridoio
affollato, soffermandosi per qualche istante in più su ogni
volto che le capitava di raggiungere. Giovani con l'iPod in mano,
estranei a quel che accadeva attorno a loro, compiti uomini d'affari in
giacca, cravatta e ventiquattr'ore; la metropolitana di Glasgow, come
quella di Londra del resto, offriva una vastissima varietà
di gente, ciascuna con le sua peculiarità, ciascuna con la
sua storia particolare. In molti probabilmente stavano pensando la
stessa identica cosa, dovette realizzare. Non poté esimersi
dal sorridere in modo vago, rassicurandosi dopo che la preoccupazione
del freddo rimprovero di Nathaniel aveva intaccato la sua fragile
certezza.
Lo
sferragliare del treno sulle rotaie ed il chiacchiericcio sommesso
della gente la catturavano, in un certo qual senso. E la proiettavano
nuovamente al caso su cui stava lavorando, e che quel giorno poteva
assumere dei connotati ben definiti all'arrivo in Park Road
centododici. Willy Usher aveva telefonato d'urgenza quella mattina
stessa, informandoli dell'omicidio di un giovane rampollo scozzese
nella sua magnifica villa a pochi isolati dallo stadio di cricket. Gli
elementi dell'assassinio parevano condurre tutti al caso già
sotto la sua copertura e quella di Nathaniel, Gregory Hawthorne e
dell'avvenente specializzanda in criminologia Evelyn McGonagall, unica
scozzese a poter dire la sua in quell'intricata rete di indizi, prove,
false prove e cavilli insormontabili, almeno per il momento.
«Fermata:
Hamilton Crescent. Siete pregati di fare attenzione allo scalino. Vi
auguriamo una buona giornata.»
Erano
già passati venti minuti, e come suo solito non se ne era
resa conto. Attese che il treno rallentasse, prima gradualmente, poi
infilando la staccata finale e aggressiva, per tornare in piedi e
avvicinarsi a Nat, ad un passo di distanza, imprigionato tra uomini e
donne in precario equilibrio. Dietro di lei, già si
sentivano i tonfi sordi delle spallate di chi cercava di guadagnarsi il
posto a sedere. Qualcuno decise di fare il galante, concedendo ad
un'altra donna di accaparrarsi la poltroncina su cui aveva seduto
poc'anzi Rachel. Una volta in piedi, in fila dietro Nat per uscire, si
accorse che qualcuno, sulla sua destra, immobile la fissava. Un uomo
sulla quarantina, un filo di barba che conferiva lui un aspetto
elegante a coprire guance, mento e base del collo, capelli corti neri e
occhi del medesimo colore. Quando si accorse dello sguardo dell'altra,
si affrettò a distogliere il suo, allontanandosi per primo
verso l'uscita, impassibile.
Subito
qualcosa mulinò nella mente della donna. Chi era quell'uomo?
E per quanto l'aveva fissata? Durante il viaggio, come suo solito,
aveva dato libero sfogo ai suoi pensieri e aveva prestato decisamente
scarsa attenzione alla gente che aveva intorno. Aveva guardato,
adocchiato, è vero, ma niente di così profondo da
farle rizzare i peli sulla nuca. Sembrava semplice routine, come
sempre, un semplice viaggio in metropolitana come migliaia prima d'ora,
ma quell'uomo aveva cambiato le carte in gioco.
Nathaniel
dovette prenderla per mano per evitare che strattoni, spinte e mani
lunghe dei numerosi pervertiti che sostavano nel treno potessero
allontanare da sé la distratta Rachel, lo sguardo fisso
avanti, movimenti meccanici ad accompagnare la sua uscita dal treno. Il
giovane di Liverpool dovette dar fondo alla sua auto-disciplina per non
balzare alla gola dei maniaci che tentavano di allungare la mano verso
il fondoschiena della bionda poliziotta, limitandosi a spingerle vie
nell'istante stesso in cui queste comparivano.
«Grazie.»
Soffiò ora nuovamente consapevole la donna, adocchiando
colpevole l'alto Nat, tenendogli la mano e guardandosi un attimo
indietro, poi avanti, alla ricerca dell'uomo che a lungo l'aveva
fissata in treno.
Nat
non rispose, si limitò a infilare la mano destra nella tasca
del giaccone in pelle, la sinistra stretta a quella della poliziotta
londinese, il passo svelto che lei a fatica riusciva a mantenere.
«C'era
qualcuno che mi fissava in treno, Nat. Me ne sono accorta solo mentre
stavamo uscendo.»
«Il
solito porco dalla mano facile.» Concluse con un certo
risentimento, mentre imboccavano le scale mobili che portavano
all'uscita dalla stazione.
«Ti
dico che c'era qualcosa di strano in quello sguardo! E poi è
sparito, dileguato non appena ho posato io stessa lo sguardo su di
lui.»
«Falla
finita Rachel, sta diventando un'ossessione.»
Rachel
ammutolì, tornando a fissare la gente avanti a loro, la
scala mobile che li trasportava in alto.
I
successivi venti minuti passarono così, con Nat visibilmente
rabbuiato, evidentemente provato dalle fantasie di Rachel e dalla
fatica di tenerla al sicuro da figuri poco raccomandabili, laconico e
schivo, e la donna che provava a mettere insieme, ancora una volta, i
pezzi ingarbugliati del puzzle, scompigliati dall'arrivo di nuovi pezzi
i cui dentini scombinavano l'ordine raggiunto, esigendo una nuova
collocazione, una nuova disposizione.
Kellie-Smith
Mansion era isolata dal resto della città, per entrarvi
bisognava varcare i cancelli che delimitavano la proprietà
privata a circa un miglio di distanza in linea d'aria, seguendo un
sentiero battuto che si inoltrava tra alti alberi di larice, cipresso e
salice disseminati lungo una distesa lussureggiante di cespugli di
rose, di bacche e amenità simili, senza che potesse mancare
il classico prato inglese ben curato ove, inoltre, poggiavano statue di
diversa foggia e dimensione, rappresentanti svariati soggetti di
origini palesemente cristiane. I due si limitarono ad osservare con
distaccata curiosità quel che avevano intorno, adesso
ambedue silenziosi e con la mente rivolta a quel che si sarebbe detto
nell'atrio della villa. Trascorse un'altra manciata di minuti prima che
la coppia raggiungesse l'ingresso dell'imponente villa, una costruzione
circondata da un giardino immenso, con una fontana al momento spenta,
decorata con dovizia dirimpetto all'ampio portone in legno verniciato.
Sulla soglia sostava un gruppetto nutrito di gente, e non mancavano le
telecamere dei giornalisti, tanto numerosi da risultare un fastidioso
surplus in quella situazione. Non appena Greg Hawthorne li vide
giungere, interruppe la sua conversazione con quello che pareva
l'ispettore della polizia scozzese, dirigendosi a grandi passi verso
Rachel e Nathaniel, facendo segno ad una ragazza di bassa statura, dai
fluenti capelli biondi ed il volto sbarazzino di seguirlo.
«Ce
ne avete messo di tempo, maledizione!» Esordì,
sistemandosi la calata del cappello da golf dal motivo a quadri grigi e
blu, i lunghi capelli rossi legati in una arruffata coda di cavallo, la
sua tipica espressione stralunata dipinta sul volto pallido, segnato da
una spruzzata abbondante di efelidi e da due enormi occhi azzurri.
«Che
fine hai fatto ieri sera?» Rispose Rachel, un velo di
risentimento che ora animava il suo volto delicato. Hawthorne
aprì la bocca per rispondere, ma fu anticipato dal pronto
saluto della donna alle sue spalle, che nel frattempo li aveva
parimenti raggiunti.
«Buongiorno.
Dovete essere Rachel Fraser e Nathaniel Rogers. Sono Evelyn McGonagall,
avrete già sentito parlare di me dai vostri
superiori.» Fece rapida, un sorriso cordiale ad animare il
volto rotondo, la tipica inflessione delle Lowlands ed un tono
professionale, a dispetto della corta gonna di cotone scuro e del
décolleté generoso che si apriva sulla camicia
bianca. Avanzò sicura una mano, che a turno, Nat e Rachel
strinsero con scarsa convinzione, ricambiando il saluto ed annuendo.
La
poliziotta londinese decise di rimandare a un altro momento il mezzo
battibecco che aveva intenzione di affrontare con Greg, lasciando che i
due li accompagnassero all'ingresso, distante circa trenta metri.
«Quali
sono i dettagli dell'omicidio?» Esordì finalmente
Nat, ammantato nei suoi silenzi fino a quel momento.
Nuovamente,
Greg fece per aprir bocca e partire con le sue tipiche imprecazioni
esplicative, ma Evelyn lo anticipò ancora, dando
dimostrazione di essere pronta e scattante e di meritarsi l'incarico, a
dispetto della scarsa fiducia riposta nella esordiente dai due appena
giunti.
«Il
soggetto corrisponde a Sir Flavio Domiziano Kellie-Smith, trentadue
anni, celibe. Ha ereditato la villa dai potenti ed anziani genitori
scomparsi anni or sono e vive con i domestici. Ha cambiato da due anni
nome all'anagrafe, prima era conosciuto come Arthur Percival William
Kellie-Smith. Dirigeva una azienda di produzione ed esportazione di
abbigliamento in filo di Scozia e deteneva una cospicua quota di
mercato della multinazionale Nike. Era solito passare giorni interi
nelle sue stanze, a cui era vietato l'accesso ai domestici, e non era
inusuale vederlo trincerato in un silenzio immotivato anche per lunghe
settimane. Il corpo è stato ritrovato questa mattina, quando
i domestici, preoccupati, hanno usato la universale per aprire le sue
stanze. Il decesso è stato ipotizzato essere avvenuto
intorno a quattro giorni fa.»
La
McGonagall terminò il suo monologo improvvisamente, la voce
aveva mantenuto la stessa inflessione per due minuti abbondanti, prima
di smorzarsi e spegnersi quando il gruppo aveva ormai raggiunto
l'ingresso.
Hawthorne
la guardò a bocca aperta, limitandosi a concludere con uno
stranito «... Esattamente, diamine.», mentre per
Rachel e Nathaniel fu sufficiente annuire una volta ancora. Erano tesi
ad immagazzinare quante più informazioni era possibile,
pertanto nutrivano davvero scarso interesse nell'approfondire la comica
relazione che Greg ed Evelyn avevano sviluppato da quando si erano
conosciuti. Tanto più, credevano a ragion veduta che un
tipetto così pepato potesse soltanto essere d'accordo con
loro, in quel momento.
«Ispettore
Naysmith, la squadra investigativa è ora al
completo.» Soggiunse la McGonagall autoritaria. L'ispettore
era un uomo pasciuto dagli ampi baffi a ventaglio, sudaticcio ma saldo
nello sguardo e nella postura. Voltandosi, saltò a
pié pari qualsiasi convenevole, giungendo subito al nodo
focale della situazione senza girarci intorno.
«Ferite
da pugnale ai polsi ed alle caviglie, una singola perfetta incisione a
croce su fronte, labbra e mento, morto dissanguato. La porta non era
forzata, supponiamo si tratti di suicidio.»
«Ma
Usher ci ha riferito di un omicidio, come può
essere?» Intervenne Rachel, scrutando con i suoi occhi verdi
quelli castani dell'ispettore.
«Era
la nostra prima ipotesi, poiché è una pratica
inusuale e bizzarra per commettere un gesto tanto azzardato. Ma i
domestici ci hanno riferito che le finestre erano integre e la porta
è stata aperta unicamente da uno di loro nel momento del
ritrovamento del cadavere. »
«Parleremo
con loro più tardi, ora ispezioniamo le sue stanze, queste
telecamere mi innervosiscono.» Sibilò a denti
stretti Nat, e fu il primo a chiedere permesso per entrare nella
immensa casa e ad indossare i guanti in lattice della scientifica. Uno
dei domestici che era nelle vicinanze, un uomo alto, completamente
calvo e dal naso affilato, si offrì di accompagnarli nelle
stanze.
«Non
avevamo mai visto cosa contenessero quelle stanze, signori. Pare essere
morto su un altarino di marmo, accanto alla sua figura immersa nel
sangue vi era un lungo pugnale istoriato.» Parlava
nervosamente, la voce strozzata, quasi fosse timoroso di quello che
stava rievocando. Deglutì un paio di volte, ricacciando le
lacrime che offuscavano il suo sguardo, avanzando a capo del gruppetto.
«Povero
povero signore... Come può aver riservato Dio un destino
tanto orribile ad una persona così speciale? »
Fece, mentre salivano un'ampia e sontuosa scalinata rivestita di
velluto rosso, dai corrimani in marmo candido. Anche l'interno della
casa era disseminato di statue di santi e di rappresentazioni di scene
provenienti dalla cultura cristiana, tutti di pregevole fattura.
Nathaniel parve infastidito dalla figura del domestico, a cui rivolse
un'occhiata in cagnesco che a Rachel non passò inosservata.
A parte il servitore, che disse di chiamarsi Thomas Gravehill, sul
resto del gruppo gravava il silenzio accorto tipico di chi è
in prossimità di un luogo importante, o di un evento
rilevante. Come se lentamente gli aggrovigliati fili della matassa del
caso andassero sciogliendosi, uno dopo l'altro. La porta della stanza
era spalancata, una porta di legno scuro, decorata con filigrane d'oro,
in fondo al corridoio del terzo piano. Era l'unica, evidentemente per
fornire ai domestici un chiaro avvertimento. L'interno era illuminato
solo da alcune basse candele in appositi candelieri sulla scrivania a
ridosso della parete di sinistra, ornata con quadri appartenenti ancora
una volta alla tradizione cristiana. Vi era una croce romana oltre
l'altarino, ove grumi di sangue disegnavano la macabra scritta “Fratres,
agnoscamus peccata nostra, ut apti simus ad sacra mysteria
celebranda.“ lungo
l'intero asse verticale.
Thomas
rimase in silenzio oltre la porta, invitando gli investigatori a fare
il loro ingresso. Immediatamente si separarono, ognuno si diresse verso
una delle pareti. A Rachel toccò il muro dirimpetto l'altare
e la croce. Gravava un'atmosfera inquietante in quella stanza dalle
pareti rosso sangue, come se serpeggiasse tra loro un pericolo insano,
sottile, velato. Suggestionata dalle sue fantasie, la poliziotta
londinese dovette abbassare lo sguardo sull'altare per non incontrare
gli occhi dei dipinti, che parevano scrutarla severamente nel profondo
dell'animo, sondando il suo essere con l'austerità del
passato. Si sforzò di rivolgere al cadavere le prime
attenzioni. Era riverso sul ventre, poggiato scompostamente
sull'altarino in marmo dalle candele bianche spente e talvolta spezzate
contro il corpo di Kellie-Smith. Attorno alla sua figura esanime un
bagno di sangue, e le ferite sulla pelle diafana che scintillavano
oltre i pantaloni e la giacca. L'espressione sul viso era
già quella del rigor mortis, impossibile stabilire se il
trapasso era stato doloroso e lento o rapido e fugace. Su di lui poteva
controllare poco, la scientifica doveva aver già prelevato
il contenuto della giacca, per questo sorpassò il giovane
scozzese dalla incipiente calvizie per rivolgere l'attenzione altrove.
Appoggiò il corpo sulle ginocchia flesse, lasciando vagare
lo sguardo sulla croce prima, intimorita da quella scritta vergata con
sangue presumibilmente umano. Scosse il capo, come a scacciare cattivi
pensieri che si stavano impadronendo della parte più debole
di lei, e si voltò per ispezionare l'altare, su cui il
turibolo era poggiato. La fiamma all'interno del braciere pareva
essersi spenta da non più di qualche ora, e doveva essere
quello il motivo per cui l'aria era gravida dell'odore di incenso arso.
«Doveva
essere uno di quei convintissimi bigotti, per la miseria. Che
Gesù lo abbia punito per tanta devozione?»
Tentò di stemperare l'atmosfera Hawthorne, accompagnando la
frase con una mezza risata mentre apriva cassetti ed ispezionava il
loro contenuto con attenzione. Nessuno recepì il messaggio,
erano tutti troppo occupati a fare il loro lavoro.
Il
pugnale era di quelli da cerimonia, il pomolo e l'elsa tempestati di
gemme e rivestiti d'oro puro, la lama sottile ma decisamente affilata,
poiché Rachel lanciò un gemito quando
passò inesperta ed impacciata il pollice sul filo della
lama, recidendo il lattice del guanto bianco e compromettendo ora
irrimediabilmente quella prova, affrettandosi ad estrarre un fazzoletto
dalla tasca della giacca per avvolgervi il dito sanguinante. Una goccia
del liquido ematico tuttavia sfuggì alla presa della donna,
andando a infrangersi sul piattone della lama che la donna aveva
abbandonato. Questa aggrottò la fronte, stranita, rivolgendo
a uno qualsiasi degli dei tutt'oggi oggetto di culto una sonora
imprecazione mentale mentre una lettera si materializzava sull'acciaio,
lì dove il sangue aveva intaccato l'arma.
«Tutto
bene?» Nathaniel si era nel frattempo avvicinato all'altra,
accortosi del taglio che la donna si era procurata. Lo sguardo corse
sulla lama.
«Sì,
sì... Ma guarda.» La sua attenzione era tutta
rivolta alla lama. Avvicinò il volto ad essa mentre teneva
il pollice sanguinante nel fazzoletto, e Nat fece lo stesso.
«Qui
non c'è un cavolo di niente, maledizione. Ehi, che avete
trovato?» Hawthorne si gettò verso di loro,
puntando gli occhi dove Nat e Rachel li stavano puntando. Alcune
lettere, lontane fra loro, erano comparse: “CID”
era quello che si poteva desumere leggendole in successione dall'elsa
alla punta.
«La
scientifica probabilmente ci ammazzerà, ma ormai la prova
è contaminata e serve per le nostre indagini. Tanto le loro
analisi le hanno già fatte.» Sussurrò
Nathaniel mentre disperdeva il sangue lungo l'intera superficie della
lama, lasciando che intaccasse il metallo per intero. In breve tempo,
la scritta “PICKLEWICK AND DAVENCROFT” comparve
sotto il loro naso.
«E
in questa libreria potrebbe esserci qualcosa che ci interessa...
» Evelyn trasse un grosso e vecchio volume dalla rilegatura
in pelle. Non aveva titolo.
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Capitolo 3 *** Ah, Google. ***
Nathaniel
si costrinse a mantenere gli occhi arrossati e gonfi bene
aperti, mentre osservava lo schermo del vecchio Dell con aria
assonnata e le braccia conserte. Era abbandonato su una
scomoda sedia in legno, intento a seguire con lo
sguardo la ricerca che Rachel stava portando avanti da ormai quattro
lunghe, interminabili ore.
L'unica
fonte di illuminazione all'interno della vecchia stanza che sapeva di
stantio era lo schermo del computer che i due avevano di
fronte, il resto era avvolto dalle tenebre, tenebre
che non potevano neppure tentare di dissipare, considerata la
parete in comune con la stanza di Simon Gillespie, il vetusto
pastore silurato dai protestanti per perpetrati problemi di alcool.
La
donna si costrinse a sorridere, pensando ironicamente al
silenzio 'religioso' che albergava all'interno della
stanza, interrotto sovente dai 'click' del mouse
e, meno spesso, dal ticchettio che le sue candide
dita producevano premendo sui tasti della tastiera.
«Niente, - Rachel
gettò con frustrazione la tastiera verso il vicino
posacenere pulito, sospirando - abbiamo
provato tutte le possibili parole chiave che descrivessero questo
Picklewick And Davencroft. L'unica cosa che abbiamo guadagnato
è una pizza gigante che Hawthorne ancora non vuol
portare.» La voce della poliziotta era rotta dalla
stanchezza, bassa, trascinata per pietà
dalla sua ormai labile forza di
volontà. Rischiò di abbandonare il capo
sulla scrivania e rilassarsi, ma riuscì ad intuire
lo sbaglio che stava per commettere appena in tempo
e, sobbalzando, si tirò indietro sullo
schienale.
«Se
la sarà già divorata.» Concluse
Nat, lo sguardo fisso su un punto non meglio precisato a lato
dello schermo, tirando su col naso.
Ormai
pareva che anche lo sgargiante Doodle in onore di San Patrizio
disegnato da Google sghignazzasse ai loro vani
sforzi, ammiccando suadente
lì, nell'angolo a sinistra della pagina di ricerca
aperta.
«Forse
stiamo cercando dalla parte sbagliata. Non esiste niente che
riguardi Picklewick And Davencroft nel mondo. Deve essere
stato qualche cretino con manie di protagonismo che ha impresso il nome
suo e della sua mogliettina su un cazzo di pugnale.»
Sussurrò Rachel, palesemente di
malumore. Il cervello era arroventato, decisamente
lontano dalla lucidità necessaria per accompagnare un
qualsivoglia ragionamento logico della donna. Portò
lo sguardo astioso sul maledetto logo di Google, fissandolo
con idiosincratico odio mentre tentava vanamente di trovare una via
d'uscita da quella trama indistricabile e senza sbocco.
Nathaniel
sospirò, mordendosi un labbro.
«Che
ore sono?»
«Nemmeno
le undici.»
«Ancora?
Non ci credo.»
«Controlla
tu stesso.» Rachel si sporse di lato per permettere a Nat di
avere visione dell'orario, in basso a sinistra sullo schermo.
«E
siamo distrutti.» Sospirò ancora, questa
volta seccamente, il principio di un lungo sbadiglio che
distolse i suoi residui di attenzione dallo schermo.
«Alle
quattro cosa combineremo allora? Questa storia non ha un capo
né una coda. Non so più nemmeno cosa
cercare.» Rachel si stava arrendendo lentamente alla
realtà dei fatti, e cioé di essersi
illusa di avere tra le mani la soluzione semplicemente
perché qualcuno aveva deciso allegramente di
impazzire, cambiare nome all'anagrafe e tagliuzzarsi
polsi, caviglie e volto con un pugnale che poteva benissimo
aver trafugato dai beni di valore di Marilyn Manson.
Nathaniel
concluse lo sbadiglio con aria teatrale, lasciando che un paio
di lacrime dovute alla stanchezza pervadessero gli occhi di ghiaccio.
«Dormiremo.»
Rispose con un mezzo grugnito alla domanda posta poc'anzi dalla donna
con un sogghigno.
«Perché
non provi ad essere d'aiuto ogni tanto? Hai la fama del poeta maledetto
in grado di risolvere ogni caso e di portarsi a letto la principessa di
turno, ma io fino ad ora ti ho visto solo trastullarti con
fumetti scritti da idioti e sigari che tanto non fumi ma che
ti diverti ad osservare pensando di fare più il figo
maneggiandoli qui e lì quando capita una bella
pollastra.» Esplose piccata Rachel, evidentemente
risentita per l'atteggiamento noncurante e manifestamente indifferente
del proprio ragazzo.
«Se
la principessa è già mia non c'è
gusto.» Nathaniel abbozzò uno dei suoi soliti
sorrisi affascinanti, rovinato dallo stato fisico in cui
l'investigatore di Liverpool versava al momento.
La
donna resistette all'impulso di rovesciargli sul bel visino il
contenuto bollente della sua tazza di caffé
riscaldato, decidendo piuttosto di berne un lungo sorso per
tentare di svegliarsi e di non rispondere all'altro.
«Probabilmente
Evelyn porterà qualche fresca notizia in grado di
svegliarci. Perdere la testa su due nomi in fila non ci
porterà da nessuna parte, Rachel, e lo
sai.»
«E
quindi cosa vorresti fare adesso?»
«...Farmi
un'altra bella tazza di caffé.» Nathaniel
schioccò la lingua sul palato, facendo per
alzarsi, dirigendosi flemmaticamente sul tavolino
spartano, versando dal thermos altro caffé nella
sua tazza, bevendone subito un sorso.
La
poliziotta lo guardò stranita, decisamente irritata
dai fiumi di caffeina che in quel momento scorrevano copiosi nelle sue
vene e dal solito comportamento distaccato del freddissimo Nathaniel
Rogers. Scosse il capo.
«Stronzo. E
questo posto fa pure schifo.»
«Fidati. Ho
controllato io stesso l'operato di Hawthorne, ci sa fare
quando smette di pensare alla prossima terrificante battuta da tirar
fuori. Questo Gillespie poi si ingrazia
facilmente...» La sua mano corse a dare dei colpetti quasi
affettuosi sulla tasca del lungo cappotto, laddove giaceva una
bottiglia del miglior Scotch invecchiato di Perth.
Seguì
un silenzio cogitabondo, questa volta assolutamente completo e
interrotto da null'altro se non il ronzio sommesso del laptop a breve
distanza.
«Come
fai ad esserne così sicuro?» Rimbrottò
esausta la donna.
«Certe
informazioni il miglior investigatore di Glasgow deve
possederle.» E accennò ancora una volta un sorriso
sprezzante, mentre si rimetteva a sedere sorseggiando il suo
caffé.
«E
come può un ex pastore protestante avere qualcosa a che fare
con strani culti in seno al cattolicesimo?»
«Siete
tutti uguali voi atei. » Scosse il capo, seguitando
a sorseggiare con calma.
«Tu
che non lo sei quindi che mi diresti?» Continuò
impaziente la Fraser.
«Che
la matrice è la stessa, e che chiunque abbia un
ruolo nel clero di qualsiasi religione, conosce aspetti che al
comune laico sono preclusi.»
A
Rachel quel piccolo particolare era sfuggito, forse
perché troppo lontana dalla mentalità religiosa
per potervi attingere pienamente. In
questo, Nathaniel era risultato molto più efficace
di quanto lei stessa avesse sperato quando l'aveva coinvolto nelle
faccende che riguardavano le morti misteriose, i Vangeli
Apocrifi e le Sacre Scritture, e aveva saputo
contribuire, nonostante lei non avesse alcuna voglia di
ammetterlo, alla buona riuscita di diverse
indagini, con le sue intuizioni fulminanti e le idee brillanti
che fino a quel momento, con dolente
incostanza, aveva mostrato. C'era un filo comune che
univa tutta quella raccapricciante serie di decessi, e
riguardava criptici versetti di libri dimenticati e tutt'ora
irrintracciabili, di elementi dell'iconografia cristiana e in
genere del macrocosmo delle religioni monoteiste, argomenti
che lei aveva sempre ripudiato, allontanato e ignorato durante
la sua esistenza. Il caso che le avevano offerto tre mesi
prima inizialmente pareva non riguardare altro se non un semplice
quanto efferato delitto, di quelli che si era trovata a
risolvere semplicemente puntando una pistola alla tempia di un indagato
dalla fedina sporca e facendolo parlare. Ed era forse
effettivamente questo il motivo per cui in tutti questi
omicidi, presunti suicidi e delitti non aveva ancora trovato
la chiave di volta, il bandolo della
matassa: ragionava semplicemente senza considerare tutte le
possibili implicazioni che un caso poteva mettere in piedi. In
altri termini, stava violando senza volerlo e senza
accorgersene, il protocollo standard che riguardava le
procedure di investigazione.
Mentre
il caffé tornava a stimolare i recettori neurali dei due
inglesi di Scozia e già qualche collegamento tornava al suo
posto nella miriade di possibilità prospettate, il
rumore secco e squillante del campanello rischiò di far
sobbalzare Nat, e fece letteralmente saltare in aria
Rachel, che dovette porsi la mano sul petto per rallentare il
battito, erompendo in un breve e strozzato grido spaventato.
Nathaniel
ruppe in breve gli indugi e si alzò per aprire la
porta, contro ogni istintiva volontà della donna
londinese al suo fianco. Dinanzi a loro si parò la
figura minuta della McGonagall, un paio di occhiali dalla
montatura leggera inforcati sugli occhi e un sorriso vispo sulle labbra
rosse. Sotto braccio portava il grosso tomo rilegato in pelle
consunta che avevano avuto il permesso di portare via dalla villa di
Kellie-Smith e l'espressione stanca di chi, come
loro, aveva passato le ultime ore a lavorare a tamburo
battente.
«Ho
analizzato il volume. Non vi è una sola pagina su
cui sia vergata una sola parola che non sia latina. Ho
comunque desunto si tratti di una sorta di manifesto di un culto molto
vicino a quello cattolico, basandomi su archivi e sulle mie
scarse conoscenze della lingua.»
Come
sempre, la professionalità della specializzanda
lasciava poco spazio ad obiezioni. Rachel e Nathaniel si
limitarono a fare spazio per permettere ad Evelyn di fare il suo
ingresso nella stanza, e non appena richiusero la
porta, un urlo bieco si spanse dalla stanza affianco.
«Siate
dannati e portati alla perdizione da Satana, che Dio mi
aiuti, un povero vecchio senza pace, un povero
vecchio col tormento, un povero vecchio senza pane e senza
l'acqua di Nostro
Signore. Misericordia, misericordia... »
Lo
sproloquio del delirante vecchio Gillespie si spense in un accesso
violento di tosse, prima che il silenzio tornasse a regnare
sovrano nella sporca stanza d'appartamento di Lochinver Street
ottantadue.
I
tre si scambiarono un'occhiata perplessa, prima che Rachel
prendesse un'altra sedia stipata accanto al tavolino e la offrisse
pratica ad Evelyn.
«Ti
ringrazio.» Fece cenno col capo la scozzese.
«Nulla.»
Fece eco distrattamente la londinese, tornando a prendere
posto insieme a Nat di fronte al laptop.
«Dunque, voi
invece cosa avete desunto dalle parole incise sulla lama?»
La
domanda a bruciapelo li disorientò. In
effetti, avevano perso quattro ore a bighellonare, a
scambiarsi opinioni, a cercare qualche parola chiave che
permettesse loro di comprendere cosa quella scritta potesse
significare. Ma nulla di così consistente da dare
loro fiducia. Anzi, a dire il vero, nulla di
nulla. Picklewick And Davencroft era un elemento
fantasma, inconsistente ed evanescente nella loro
indagine, che si stava rivelando più un peso
inutile e dannoso che un elemento di spicco per le loro riflessioni.
Rachel
si trovò a chinare il capo, arrossendo
nell'ombra, imbottigliata in una sequela impressionante di
scuse e giustificazioni con le quali suffragare la propria
inettitudine, e pertanto rimase in
silenzio. Nathaniel, invece, si
limitò ad un:
«Ci
stiamo ancora lavorando, abbiamo raccolto poche
informazioni, ma sappiamo per certo cosa Picklewick And
Davencroft sicuramente NON può essere.»
Enfatizzò sul “non”, come a
voler in realtà comunicare all'altra con un elaborato giro
di parole di non aver concluso poi granché. Ma la
bionda dal pesante accento scozzese si limitò a sorridere ed
annuire.
«Più
complicato di quel che si potesse pensare in principio
dunque.»
«Puoi
dirlo forte.» Fecero eco i due inglesi.
Impiegarono
quindici minuti buoni per riprendere a lavorare. Dopotutto non
era facile impiegare fruttuosamente del tempo quando la morsa dello
sconforto si stringeva lentamente su di loro, lasciando che la
stanchezza li inebriasse silenziosamente, spingendoli ad
abbandonare qualsiasi tipo di ragionamento ed a rassegnarsi tra le
invitanti braccia di Morfeo. Per quanto fragile fosse l'enorme
volume portato via dalla villa Kellie-Smith, Rachel lo
sfogliava distrattamente, adocchiando le frequenti figure che
comparivano tra una pagina e l'altra con la vana speranza che i suoi
neuroni reagissero agli stimoli più velocemente rispetto ai
suoi occhi stanchi. Righe e righe di latino fitto si
srotolavano dinanzi al suo capo chino, senza nessun apparente
motivo e senza nessun apparente significato, data la sua
pressoché totale ignoranza in merito a quella lingua morta.
«Ma
che fine ha fatto Greg? Doveva essere qui un'ora fa, e ho
decisamente fame.» Si lamentò annoiato
Nathaniel, sospirando mentre prendeva dalle mani di Rachel il
tomo e iniziava a sfogliarlo egli
stesso. Dopotutto, tra i tre era quello che
più masticava il latino, e forse qualcosa avrebbe
compreso anche tra le righe.
Andarono
avanti così per un tempo che non riuscirono a definire con
esattezza, troppo intorpiditi per poter davvero prestare
attenzione anche al tempo che passava lento ed inesorabile.
Da
qualche parte nell'altra stanza, il pastore Gillespie
tornò a borbottare quello che ipotizzarono fosse il suo
personalissimo rosario da ubriaco, vomitando parole prive di
senso in un mare di idiozia e bigottismo.
Le
due donne evitarono di devolvere importanti risorse mentali
nell'offrire una risposta sarcastica all'investigatore di
Liverpool. Sembravano, anzi, completamente
assorbite da una nuova ricerca che Nathaniel non si era minimamente
accorto che stessero effettuando proprio in quel
momento. Wikipedia riportava qualcosa riguardo Flavio
Domiziano e la persecuzione ai danni di San Giovanni, il noto
evangelista sopravvissuto a Gesù Cristo.
Si
raccontava, in particolare, che Domiziano avesse
immerso Giovanni in una caldaia di olio bollente e lo avesse rasato
completamente in segno di scherno, ma Giovanni era
sopravvissuto all'olio ed allo scherno, perfino a Domiziano
stesso, spentosi prima del vetusto apostolo di Cristo.
Ma
allora, pensò Rachel, perché
tutte le icone cristiane nella villa di Kellie-Smith? Perché
tutta quella devozione, la documentazione e la presunta fede
accorata nella religione cristiana?
Vi
era una flebile voce che sussurrava nella sua mente, lasciando
che le intuizioni fluissero ora come luce a penetrare le
tenebre, mettendo in moto meccanismi sopiti pigramente
all'interno del cervello della donna londinese.
«Bingo.»
Si illuminò Nathaniel, un sorriso soddisfatto a
piegare le labbra sensuali mentre osservava lo schermo.
Evelyn
alzò lo sguardo per prima, posandolo in quello di
ghiaccio dell'investigatore, che annuì.
«Complimenti
per l'idea, ragazze.» Seguitò l'uomo.
«Frena
l'entusiasmo, Nat. Se è vero che questa
storia può avere anche un minimo
senso, perché un tale devoto ha
assunto...»
Nathaniel
alzò una mano per interromperla, adocchiandola
ormai pienamente consapevole e pienamente sveglio per l'adrenalina che
fluiva nel suo corpo come in quelli delle altre due presenti.
«Quale
punizione più grande dell'onta di portare il nome del tuo
più grande nemico per il resto della tua vita?
O, in alternativa, c'è sempre la regola
fondamentale che ogni cristiano che osi definirsi davvero tale dovrebbe
mettere in pratica: perdona il prossimo tuo, o porgi
l'altra guancia.» Suggerì
quindi, iniziando ad inanellare i suoi ragionamenti
illuminanti e istintivi, il sorriso che andava allargandosi
sul volto ben costruito.
Rachel
spalancò gli
occhi, colpita. Affiorò prepotente
un'immagine chiara, nitida, come se fosse stata
sempre lì ad attenderla, tanto vicina e tanto
lontana ed inarrivabile al contempo. Nella liturgia
cristiana, prima della recitazione di un tratto di un
qualsiasi Vangelo, i fedeli segnavano una croce immaginaria
con le dita su fronte, labbra e cuore, ma Giovanni
era sempre stato il più lontano dalla mentalità
degli altri apostoli ed al contempo il più
vicino, così si narrava, alla figura di
Cristo. L'ultima croce sul mento rappresentava la massima
espressione della teologia che Giovanni aveva incarnato e tutt'ora
incarnava, e l'abbandono di ogni tentativo di de costituire la
fede in ogni sua forma ed espressione. Era il rifiuto
dell'intelletto nella sua interezza come entità da frapporre
tra l'uomo e Dio.
«Una
setta su San Giovanni in seno al movimento cristiano.»
Concluse il ragionamento la compita McGonagall, come
continuando a voce il discorso su cui aveva focalizzato Rachel nella
sua mente. Annuì con veemenza, sveglia
come mai nelle ultime ore.
«Esattamente.»
Continuò Nathaniel, voltando il libro aperto e
mantenendo il segno per permettere alle due di poter dare un'occhiata
all'interno.
«Cosa
c'è, Nat? Non vedo nulla di strano.>
Ed
effettivamente si sentiva anche un po' idiota, guardando
ottusamente lì dove Nathaniel aveva lasciato il segno con il
dito, senza riuscire ad effettuare collegamenti di sorta.
«Comprensibile, il
camuffamento è perfetto, hanno utilizzato le
migliori tecniche per rendere l'indirizzo visibile solo in
determinate condizioni di luce e di angolatura.»
L'investigatore
inclinò di poco il libro, lasciando che la Fraser e
la McGonagall comprendessero autonomamente.
Alla
luce dello schermo, ora, la pagina riguardante
l'invocazione dell'Apocalisse di San Giovanni riluceva opaca.
"Rivelazione... ciò che presto verrà ad
accadere", si leggeva in latino. Ma accanto vi era
“Glockheat Street, sedici” , che
si sovrapponeva in modo impercettibile al più noto seguito
di quella frase: “Nella Terra dei Giudei.”
Evelyn
parve essere turbata da quell'improvvisa piega che avevano preso gli
eventi.
«Impossibile, ho
riletto più e più volte l'intero volume alla
ricerca di qualcosa che non andasse, avrei dovuto
trovarlo!»
Esclamò, nervosa
più che entusiasta. A Rachel non sfuggirono le mani
delicate che iniziò, per qualche
istante, a contorcersi in grembo, lo sguardo
sfuggente. Ma decise, per il momento, di
rimanere in silenzio.
«Sei
ancora una specializzanda, avrai di che imparare in questi
anni.» Nat le strizzò
l'occhio, bonario. Evelyn accennò un
sorriso imbarazzato, arrossendo ma, almeno
apparentemente, riuscendo a placare il nervosismo il tanto che
bastava per tornare la donna sicura che avevano conosciuto.
Rachel
ascoltò con attenzione le parole di
Nathaniel, adocchiando la donna scozzese con la sensazione che
forse, avrebbe avuto qualcosa in più da dire in
seguito. In quel momento era in grado di sospettare di
qualsiasi cosa apparisse fuori fase, e il comportamento di
Evelyn aveva fatto scattare in lei un chiaro campanello
d'allarme. Ambedue le donne, come bambini alle prese
con un esperimento ben riuscito e soddisfacente, provarono a
ripetere quanto avevano appreso cambiando angolo visivo e giocando con
la luminosità dello
schermo. L'indirizzo, quasi seguendo fedelmente le
parole di Rogers, scompariva e compariva alternativamente.
Pervasi
da un'eccitazione morbosa, attaccarono con la ricerca su
Google Maps dell'indirizzo appena scoperto. Con
sorpresa, scoprirono che non vi era una foto del luogo
ricercato, e che la mappa topografica offriva solo un'area
ristretta ma pur sempre vaga poco distante dal centro storico della
città e dalla Cattedrale di San Mungo.
«Curioso, sembra
che le stradine che si incrociano nella zona in evidenza raffigurino la
testa di un'aquila.» Affermò distrattamente
Rachel. Gli altri due la guardarono straniti.
«L'aquila
è il simbolo di San Giovanni.» Concluse con gli
occhi sgranati la McGonagall.
Nathaniel
eruppe in una mezza risata.
«A
quanto pare i nostri bravi fanatici si divertono anche su Google
Maps.»
Non
ci fu risposta, perché la porta si
spalancò di botto dopo un rapido tintinnare di chiavi.
Si
affacciò Hawthorne, il volto rosso quasi quanto i
suoi capelli sciolti, un enorme cartone di pizza tenuto sulle
braccia tese, l'ansito affrettato e martellante mentre faceva
il suo ingresso stravolto nella casa.
«Ha
cantato! Oh come ha cantato! La pizza sarà diventata pure
fredda, ma la pista è
calda, rovente!»
Concitato
e pervaso da una scarica imponente di energia, diede una
spallata ai battenti della porta che non riusciva a
superare. Sbuffò, impaziente, quasi
rischiando di far cedere i cardini della sottile porta in legno
smaltato. I tre nella stanza ignorarono la sua penosa
battuta, osservandolo mentre annaspava per entrare con
l'enorme cartone.
«Lavorava
in un piccolo negozio di oggetti usati nel centro della
città, aveva la sua vita da pastore laico prima che
l'ordine lo silurasse per gli eccessi d'alcool; indovinate un po' qual
era il nome dell'esercizio?»
Rachel
conosceva già la risposta.
«Picklewick
And Davencroft.»
Oltre
la parete, il vecchio Gillespie urlò il suo sdegno
per il rumore scatenato nella stanza affianco.
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Capitolo 4 *** Amen ***
Per
il calendario la primavera era prossima, se non imminente, eppure
Glasgow svettava solida e caparbia contro un cielo plumbeo come un
fiero gigante risvegliato dal suo lungo sonno. La pioggia batteva
copiosa ed incessante sulle automobili e sulla cattedrale di San Mungo
che torreggiava a pochi isolati di distanza, la torre gotica che
osservava silente ed austera il frenetico cicaleccio della razza umana
con solenne distacco.
Rachel
alzò lo sguardo, rabbrividendo nel suo pesante cappotto di
piuma d'oca. Pesanti gocce d'acqua la accecavano, rendendole il
tentativo di scrutare l'insegna del negozio che i quattro avevano di
fronte una sorta di straordinaria impresa.
«Proprio
quel che stavamo cercando.»
Esordì
Nat. Ed era vero, poiché l'insegna in legno con lettere
smaltate in un rosso spento recitava quella dicotomia che i quattro
investigatori avevano ripetuto nei giorni precedenti sino alla nausea.
«Più
facile del previsto, che sia un miracoloso dono del Signore nostro
Dio?» Ironizzò Gregory, le mani nelle tasche del
giaccone di pelle e il ridicolo e pregno cappello da golf calcato sulla
fronte a nascondere la capigliatura rossa scurita dall'acqua.
Le
due donne si limitarono a scuotere la testa ignorandolo, affrettandosi
sotto la piccola tettoia per evitare di inzupparsi ulteriormente gli
abiti. Solo Nathaniel rivolse un'occhiataccia al compagno, come se
volesse indicare con una certa, decisa eloquenza quanto fosse
inappropriato il suo intervento in un momento del genere.
Hawthorne
si strinse nelle spalle, sul volto il sorriso di chi è
solito prendere la vita alla leggera, e nel suo caso forse anche troppo.
Non
era stato difficile dopotutto scovare la precisa locazione del negozio,
un comunissimo esercizio di compravendita di oggetti usati dall'aria
placida e anonima, l'idea di cominciare da quello che con buona
probabilità doveva essere l'occhio della testa d'aquila
disegnata su Google Maps avuta da Rogers si era scoperta infatti
vincente.
Non
indugiarono sulla soglia, catapultandosi all'interno per sfuggire alla
morsa terribile del freddo scozzese e della violenta pioggia che assai
spesso scuriva tristemente la volta celeste delle Lowlands.
La
campanella sbatacchiò risuonando brevemente mentre
richiudevano la porta di vetro e legno dietro le loro spalle, sfregando
le mani fra loro o soffiando su di esse per ottenere un po' di calore.
Il locale puzzava di vecchio e risultava essere un vero e proprio
labirinto di bassi scaffali, vasi dalle più disparate
origini ed aggeggi di varia natura, dai comuni telefoni a strani
oggetti dalle forme bizzarre. Più che un locale di
oggettistica usata, pareva “un bazar dell'usuale e del
grottesco”, ed effettivamente il bancone in noce ingombro di
ogni possibile cianfrusaglia e la polvere colta nel suo infinito
turbinio, colpita dai coni di luce che filtravano dalle due finestre
sporche ed opache ai lati della stanza, conferivano all'insieme un
aspetto accattivante, misterioso. Ad accoglierli, oltre la rigida
armatura completa di due metri corredata di lancia e celata che pareva
ammiccare a pochi centimetri dal loro viso, vi era un uomo con curiosi
baffetti, spessi occhiali rotondi e una zazzera di corti capelli
bianchi, che rivolgeva loro un cordiale ma contenuto sorriso.
«Buongiorno,
signori. - La voce era bassa, profonda, come si poteva intuire anche
dalla statura non eccelsa e dall'ampio torace coperto da una camicia
bianca ed un panciotto oliva. - Lauchlan Maclean Watt umilmente al
vostro servizio. - E inclinò di poco il busto in avanti per
prodursi in un breve inchino. - Cercate qualcosa in particolare o posso
consigliarvi offerte irripetibili direttamente dal catalogo?»
Il tono era cortese, e in generale l'individuo non pareva destare
sospetto nella mente di Rachel. Forse si trattava della sua gentilezza,
o della sua disponibilità, ma nonostante la tensione che
inondava come fuoco vivo le sue vene non riusciva a scorgere un ruolo
importante in tutta quella storia nella figura del commesso del negozio.
«Amico,
siamo qui per … »
Iniziò
Hawthorne, ma l'impeto di Nathaniel lo interruppe. Lo sguardo da rapace
fisso in quello nocciola, anonimo dell'uomo che avevano difronte.
«Cosa
sai dirci a proposito di una setta cristiana che si presume avere sede
in questo negozio?»
L'uomo
aggrottò la fronte, stringendosi le mani dietro il bacino e
puntellandosi sui piedi.
«Temo
di non aver ben compreso, signore.»
Le
labbra di Nathaniel si incresparono in un sorriso glaciale, che non si
espanse anche agli occhi.
«Non
un abile mentecatto, pare. Ripeto la domanda più lentamente:
cosa sai dirci a proposito della setta di fanatici che ha sede in
questo locale?»
«Signore
la prego, si calmi, qui non esiste nessuna...»
Ancora
una volta, l'uomo di Liverpool fu più veloce. Estrasse la
sua Colt 1911 dalla fondina, puntandola contro la testa dell'uomo
sbigottito e ora terrorizzato, sfoderando inoltre con la mano sinistra
il distintivo dalla tasca sul petto dell'ampio giaccone.
«Non
è il momento di nascondersi.» Concluse lapidario.
La
tensione ora era palpabile e pareva trasudare dalle pareti e dagli
oggetti che invadevano la stanza ricolma. Mclean Watt parve tentennare
un attimo, deglutendo e tremando.
«Non
so mo-molto, signore, sono un semplice commesso. Alcune persone hanno
un accesso privilegiato ad alcune stanze nel seminterrato, signore, ma
ho avuto ordine di non entrare mai né di mettere il naso
nelle faccende di questa gente. Fa-faccio solo il mio
lavoro.» Il tono di voce ora era incrinato, più
acuto, il terrore veniva evidenziato in ogni singola parola che con
sforzo il commesso pronunciava. Sudore salato scese dall'attaccatura
della tempia dell'uomo, scivolando sulla guancia sinistra e perdendosi
nel colletto. Erano attimi infuocati, ma i tre oltre Nat mantennero i
nervi saldi e un'espressione credibile. Dopotutto, erano giunti fin
lì per sgominare potenziali assassini, e non certo per
acquistare cianfrusaglie in un negozio esotico e singolare.
«Dov'è
l'entrata al seminterrato?»
«Il
padrone ha ordinato di chiedere una parola d'ordine a chiunque volesse
entrare, mio-mio signore.» Stentava ormai a mettere due
parole di senso compiuto in fila, tremante come un cerbiatto
accerchiato da lupi famelici e sbavanti.
Il
sorriso di Nathaniel si allargò di un infinitesimo mentre
silente faceva scattare la sicura dell'arma che impugnava.
«Forse
è questa?» Azzardò suadente,
riferendosi al suono secco che la sicura aveva prodotto liberando la
canna.
Mclean
Watt deglutì una volta ancora, silenzioso per qualche
attimo, paonazzo in volto.
«Una
botola sotto il tappeto, lì, dietro il bancone.»
Rogers
ringraziò con un cenno del capo, avviandosi per primo verso
la botola sotto lo sguardo basito del commesso, seguito dagli altri tre
investigatori.
A
primo acchito, le tenebre ammantarono le figure che scendevano
cautamente i pioli della scaletta, la scarsa luce che proveniva
dall'alto insufficiente per poter rischiarare il seminterrato.
Nell'oscurità, le paure di Rachel si moltiplicarono, non
tanto per le infantili reminiscenze che sovente tornavano a turbarla,
ma bensì per la piega che stavano assumendo gli eventi.
Seminterrati bui, sette invischiate nei più efferati
delitti, e poi quei sospetti che sussurravano biechi in un angolo
remoto della sua mente, rivolti alla donna scozzese che, silente, si
affrettava a scendere per ultima le scale. Non era facile mantenere
l'auto-controllo, specie quando quattro ore di sonno scarso non erano
bastate certo a ricostituire le energie psico-fisiche di intere
settimane passate a lambiccarsi il cervello su un caso fantasma che
solo ora andava giungendo ad una lenta risoluzione. Qualcuno
azionò una torcia, facendo trasalire la donna londinese.
Hawthorne ammiccò nervosamente alla sua destra, spostando la
pila verso le pareti per comprendere dove erano finiti.
Era
una stanza umida, che segnava subito un netto distacco con il negozio
locato su di essa. Non vi erano arredamenti di sorta, né
nulla che lasciasse ipotizzare a cosa era adibito realmente quel
piccolo spazio. Vi era una seconda apertura nella parete di fronte, ed
il pavimento era ricoperto da piastrelle di marmo sulle quali giaceva
un leggero strato di polvere in cui erano segnate decine di orme, tutte
più o meno fresche, che trafficavano dalla botola alla
stanza successiva senza un ordine specifico di successione.
Evidentemente, l'unico probabile modo per uscire da lì era
ritornare nel negozio.
Iniziarono
timidamente la traversata di quelle stanze che si rivelarono essere un
dedalo interminabile, viaggiando cauti e timorosi
nell'oscurità che li avvolgeva e lanciava le sue lunghe,
affusolate ombre lungo il percorso della luce della torcia,
suggestionandoli al punto che anche il più piccolo dei
rumori a parte il ticchettio, in qualche punto imprecisato, dell'acqua
nelle tubazioni, facesse trasalire anche il più stolido dei
quattro. Erano vicini, assolutamente non intenzionati a separarsi, gli
occhi che saettavano lungo le pareti e le porte che affacciavano ad
altre stanze.
«Certo
che il trucco della pistola e del distintivo funziona sempre. Chi
potrebbe mai sapere che non sei disposto a sparare per ricevere
semplici informazioni?» Osò esordire sussurrando
Hawthorne per stemperare, a suo solito, la tensione che serpeggiava tra
gli animi tumultuosi degli investigatori.
«Piuttosto,
come puoi essere sicuro che quell'uomo non ci lasci qui a marcire per
sempre?»
Tentò
di dissipare la nebbia del nervosismo Evelyn.
«Forse
voi non avete studiato la botola. Cede facilmente con un paio di colpi
ai cardini. Usciremo di nostra spontanea volontà, che il
commesso lo voglia oppure no.»
La
pronta risposta di Nathaniel la rassicurò. In un certo
senso, nutriva gli stessi dubbi che albergavano nell'animo del rosso e
della bionda accanto alla sua figura.
Avevano
camminato per svariati minuti ed avevano perso il conto dei minuti.
Hawthorne si rifiutava di adocchiare l'orologio per paura di ricevere
in risposta brutte sorprese sul tempo che scorreva nel cuore della
vecchia città scozzese.
Impiegarono
diversi altri minuti in un muto peregrinare tra le stanze disposte
linearmente, prima di imbattersi nella prima svolta di quella
misteriosa indagine. Nell'ultima stanza, la candida parete avanti a
loro degradava in un muro di roccia naturale, con un'apertura scavata
alla bell'e meglio che portava verso mete ignote ed avvolte nella
tenebra. Si fermarono un secondo, vagliando le ipotesi a loro
disposizione. Il rumore dell'acqua si era fatto più intenso
ora, e la fonte era più o meno chiara nella loro mente. Il
silenzio seguitava a tormentare i loro sensi con sussurri ed illusioni
di simile natura; ombre che vorticavano ai margini della luce e che
assumevano i contorni sfuggenti di un volto nell'immaginario complesso
di Rachel la facevano sussultare e rabbrividire, manipolavano la sua
essenza, erano menestrelli inesperti alle prese con le prime note
strimpellate sulle corde che erano i suoi nervi tesi.
In
mutuo accordo, proseguirono all'interno della formazione rocciosa
naturale, la differenza di temperatura che ora si faceva sentire,
l'umidità che penetrava le ossa, lasciandoli intirizziti e
con il cuore in gola. Più si inoltravano nel tunnel di
roccia, più l'aria si faceva greve, difficile da inalare.
Passò ancora qualche minuto prima che iniziassero ad
affiorare le prime tombe dal buio. Nient'altro che loculi
apparentemente vuoti delle dimensioni di una bara che si aprivano
direttamente sulle pareti, all'altezza del petto e della testa. Non vi
era nulla di strano, se non per il tempismo perfetto con cui erano
apparse, seminando silenziosamente il panico nel gruppo sotto forma di
battiti accelerati ed aritmici nel petto di ognuno di loro. A neanche
duecento metri di distanza si presentava ora il primo bivio,
nient'altro che una biforcazione scavata nella roccia da mani
inesperte. Il bivio a sinistra pareva la chiara continuazione della
strada che avevano imboccato, quello a destra era più basso
e più stretto.
«Senza
indugi, o tutti insieme da una parte o ci dividiamo e ci ritroviamo qui
tra dieci minuti.» Propose con determinazione Nathaniel. Si
guardarono negli occhi alla luce della torcia, indecisi sul da farsi.
«Negli
horror dividersi è sempre la scelta peggiore...»
Sussurrò Hawthorne nervosamente, gli occhi azzurri che
guizzavano alternativamente sui due tunnel, fin dove la luce poteva
lambire le pareti.
Rachel
cercò di fare rapidamente due conti. L'idea di dividersi la
spaventava, come pareva spaventare del resto anche i suoi compagni. Ma
l'idea di poter fronteggiare faccia a faccia Evelyn e poter quindi
chiarire i suoi dubbi la allettava, per quanto potesse essere rischioso
in quel posto combinare qualcosa del genere. Il vero problema stava in
quel che avrebbero trovato più in là, e che lei
non era certa di poter affrontare in compagnia di una potenziale
infiltrata. No, risolse infine, era decisamente più sicuro
proseguire uniti. Avrebbe tenuto le sue domande per sé fino
al momento giusto.
La
decisione che presero rispecchiava la volontà di ognuno,
quindi non vi furono obiezioni quando Nathaniel si avventurò
per primo nel tunnel più grande, lasciando che gli altri li
seguissero.
Fu
una camminata poco tranquilla, poiché il lento stillicidio
dell'acqua da qualche parte in quelle catacombe non faceva altro che
accrescere la loro ansia.
Lo
scenario iniziò a cambiare quando la pavimentazione
irregolare e compatta sotto i loro piedi cominciò a
declinare, mentre il tunnel si sollevava ampliandosi anche in
larghezza, lasciando apparire le prime, baluginanti luci a diversi
metri più in basso, oltre la curva.
Rachel
si sorprese a tremare, intimandosi mentalmente di riprendere padronanza
di se stessa, ricordando che nei suoi numerosi anni di servizio come
poliziotta raramente si era fatta prendere dal panico. Questa volta era
diverso, perché era alla sua prima vera indagine, e le prove
che aveva non erano affatto sufficienti a farla stare tranquilla.
Scacciò i pensieri con un cenno veemente del capo,
seguitando a camminare.
Guardingo,
Nathaniel si sporse, controllando con la pistola puntata chi si
nascondesse ove le prime luci comparivano. Si trattava di due file di
torce naturali disposte a ridosso delle pareti, ad intervalli regolare
di un metro e mezzo circa di distanza, i cui fumi si perdevano in dense
volute verso la volta oscura, diversi metri più in alto.
Illuminavano i loculi in cui sfavillavano ora diversi scheletri
completi, teschi, ossa e candele scarlatte, accese anch'esse. Ma non vi
era nessuno nel tunnel, ed ora al ticchettio delle gocce d'acqua si era
unito il crepitare sommesso delle fiamme delle fiaccole, che rendeva il
tutto ancor meno sopportabile del previsto. Non potevano più
parlare ora, non lì dove poteva consumarsi un agguato.
In
realtà, pensò Rachel, se davvero qualcuno avesse
voluto attentare alle loro vite, l'avrebbe già fatto
nell'oscurità completa, ma quelle torce non facevano altro
che ricordare quanto vicini potessero ora essere alla meta. Tenne la
mano tremante sulla fondina; aveva deciso che in caso di evenienza
sarebbe stata la sua ancora di salvezza.
«Pare
di essere nelle catacombe della Cattedrale di San Mungo.»
Suggerì Gregory a bassa voce, guardandosi intorno. E non
aveva torto, poiché interminabili intrecci di tunnel
sotterranei estesi per decine di chilometri quadri, scavati sin
dall'epoca romana costituivano i sotterranei del più recente
luogo di culto. Convennero tutti, almeno in teoria, ma nessuno fece mai
cenno ad Hawthorne di essere d'accordo.
Aggrappata
com'era all'illusione che un semplice pezzo di metallo potesse davvero
metterla al riparo da ogni male, non si accorse delle ombre che ora
parevano effettivamente vorticare tra le ombre oltre le fiamme, ma
seguitò, dietro Nathaniel che ora pareva avere i sensi
pericolosamente in allarme.
«Chi
è là?»Intimò, saldo,
fermandosi e puntando la Colt nell'ombra.
Evelyn
lanciò un urlo isterico quando credette di aver visto un
movimento avanti a loro.
Seguì
uno schiocco secco, che rimbombò in uno stridio spaventoso
lungo l'intera arcata. Rachel voltò lo sguardo, gli occhi
sbarrati.
La
donna scozzese aveva sbattuto la testa contro la parete in un impiastro
sanguinolento, il volto ancora contratto nella morte mentre il suo
corpo scivolava esanime in terra.
Fu
lì che la situazione sfuggì ad ogni possibile
controllo.
Quando
si sporse nuovamente, il cuore che rischiava ora di balzare via dalla
gola e perdersi per sempre tra le ombre, un altro secco schiocco
seguì ad un urlo concitato, mentre Hawthorne si sporgeva per
coprire Rachel e veniva scosso in un aspro singulto, mentre cadeva in
ginocchio, lo sguardo vuoto ed uno spruzzo di sangue cremisi alle
fiamme che zampillava dal largo pertugio nel cranio.
La
donna non ebbe più nemmeno il tempo di gridare, tremando,
incespicando, gli occhi sbarrati e l'anima persa nel riprodurre le
immagini fresche e nitide della morte dei suoi amici, si
voltò, abbandonando Nathaniel al suo destino e fuggendo a
perdifiato verso il negozio, distante metri e metri. Afferrò
una torcia di quelle stipate sulle pareti, abbandonò ogni
possibile pensiero lucido e corse, lontano da ogni pericolo, da ogni
minaccia, da ogni schiocco possente, che come frusta sferzava contro il
suo animo devastato, lasciandola rotta, persa, cancellata. I polmoni
cominciarono a bruciare, la torcia che nel freddo vento dei sotterranei
rischiava ora di spegnersi al prossimo possente alito, lasciandola nel
buio più assoluto e nella perdizione, nella follia.
Ansimando ripercorse a denti stretti il percorso, gettandosi d'istinto
oltre ogni roccia, ogni masso, la mente svuotata da tutto quello che
non era necessario al moto delle sue leve forsennate ed in fiamme per
lo sforzo prolungato.
Le
parve di impiegare un'eternità, in compagnia del sangue dei
suoi amici che aveva anche sporcato per sempre la sua anima, del suo
ansito spezzato, della fiamma che piano piano andava estinguendosi, per
raggiungere l'ingresso del seminterrato del negozio, sembrava che il
tempo si fosse dilatato in una ulteriore dimensione, rallentando i
sensi, la percezione, la consapevolezza. Correva perché
sapeva di doverlo fare, perché rispondeva ad un atavico
impulso di sopravvivenza, della ricerca disperata di una via d'uscita.
Non si era preoccupata del fatto che Nathaniel fosse sparito prima
ancora che Evelyn cadesse scompostamente in terra, privata dell'anima e
della vita da uno schiocco di frusta, da un rimbombo atroce.
Qualcosa
urtò contro la sua gamba. La torcia andò a
spegnersi sulla roccia umida, mentre urlava e, ignorando il dolore,
tentava di mettersi in piedi. Un paio di forti mani la tenne stretta, e
lei urlò pazzamente, un suono acutissimo che
rischiò di debilitarla, troppo potente perché
potesse erompere dalla sua bocca. Cercò di voltarsi, vide il
commesso che, inespressivo, la teneva ferma a terra, con presa salda,
decisa, autoritaria. In un gesto disperato, lasciò che i
muscoli gridassero il loro dolore lancinante, e ogni sua cellula
avvampasse come tra le fiamme mentre si opponeva alla forza dell'uomo,
le mani tremanti che si avvicinavano alla pistola riposta nella
fondina, lontana solo pochi centimetri dalle sue dita tese...
Istanti
lunghi secoli, prima di riuscire ad impugnarla, premendo il grilletto
alla cieca, ascoltando come lontana dal suo corpo il rumore della carne
perforata, del sangue che schizzò contro il suo volto, del
gemito di dolore dell'uomo che ora si teneva l'addome, inondandosi le
mani di scuro liquido ematico, gettarsi al suolo contro la sua figura,
gli occhi che si rovesciarono un'ultima volta, mente lei, terrorizzata
si dimenava e si dibatteva per sfuggire a quella morsa, e urlava e si
sbatteva graffiando, lacerando, la consapevolezza ormai un lontano
ricordo in quel corpo che pareva delicato, ma che adesso lottava per
mantenersi in vita, per ricacciare i fantasmi di Hawthorne e di Evelyn
che giungevano giù ad attirarla nella spirale oscura della
morte.
Un
ultimo schiocco nelle tenebre, il mondo che rallentò mentre
il proiettile perforava il ginocchio, causando l'immediato abbandono di
ogni resistenza. Il dolore passò in secondo piano mentre si
accasciava sotto il corpo di Mclean Watt, gli occhi sbarrati, la
tragica consapevolezza del mondo che si spegneva, istante dopo istante,
chiudendo il sipario sulla sua vita.
Una
torcia tornò a sfolgorare a breve distanza. Rachel
roteò lo sguardo inondato di lacrime verso quella fonte
luminosa, le labbra che tremavano. Ne comparve un'altra, poi un'altra
ancora, poi una in più. Una processione di volti
inespressivi sfilò dinanzi a lei. Il primo era Nathaniel
Rogers, al secolo Nat. Doveva essere un inguaribile pragmatico, si era
sempre ripetuta. Il sangue continuava a schizzare sulle vesti, il
ginocchio distrutto era un martirio che non aveva prezzo.
Lasciò che lo sguardo si posasse in quello del suo amato
compagno, incredula, mentre una lacrima scivolava solitaria a lavare il
sangue dalle guance della donna.
Le
labbra si mossero in un fremito. Nathaniel ricambiò lo
sguardo senza mutare quell'espressione glaciale, fredda, letale. Non
c'erano scuse da rivolgere mentre soffiava sulla canna. Era lui ad
averle sparato. Era lui ad aver distrutto la sua vita in un attimo,
fugace e perduto. Le passò avanti, mentre un boato riempiva
i tunnel e piccole pietre si staccavano dal soffitto naturale,
sfiorandola.
Come
se qualcuno avesse attivato il rewind, la consapevolezza
tornò a fluire come un fiume in piena nella sua coscienza,
colmandola dei collegamenti che a lungo aveva desiderato sistemare, che
tanto a lungo avrebbe voluto dispensare a chi chiedeva lei un
consiglio, anche solo un sorriso. I suoi neuroni inviarono impulsi
potenti, come se fosse urgente ora conoscere l'inutile
verità. Ora che tutto era perduto, che il mondo stava per
crollarle addosso, aveva finalmente la verità. Sfilavano
tutti, uno dopo l'altro, nei loro lunghi abiti scuri. Vi erano i
coniugi Dover, impassibili mentre le passavano innanzi, gli occhi persi
in una sorta di trance. Avevano Grigio con loro, il cane che
salvò San Giovanni e che egli adottò nella sua
vita terrena e che divenne il simbolo della lotta contro l'oprressione.
San Giovanni Bosco, erede dell'evangelista, disponeva di un cane dallo
stesso identico nome, e vi era il sorriso ed il cenno d'intesa che
Rachel non aveva considerato, quel giorno, quando Nathaniel l'aveva
messa a sedere. Vi era il massiccio uomo che odiava i gay della
metropolitana, e subito dietro l'altro dalla barba curata e lo sguardo
fisso su di lei, vi era lo sguardo complice di Nathaniel in quella
farsa architettata a dovere in una delle più antiche
metropolitane del mondo. Vi era il visionario Gillespie, gli occhi
vuoti fissi sulla sua figura spezzata, e vi era Nathaniel che affermava
di aver controllato egli stesso la stanza da far scegliere ad
Hawthorne. Vi era Thomas Gravehill, l'assassino di Flavio Domiziano
Kellie-Smith, depositario di verità scomode e fiero
oppositore della setta dei Giovannini, orgogliosi latori della parola
dell'Apocalisse, fanatici geni dalla insania smisurata. Rasato, come
rasato fu San Giovanni quando Domiziano lo riempì di scherno
e lo gettò nell'olio bollente. Era lui che doveva
sconfiggere il nemico. E poi vi era Nathaniel, il fautore del destino
della donna. L'uomo con cui aveva creduto di condividere sogni di
eternità, d'amore corrisposto, di un futuro. Lui sapeva
già tutto, era l'attore perfetto, il perfetto ammaliatore.
Aveva spinto i tre investigatori con idee apparentemente brillanti, con
intuizioni geniali, seminando indizi che gli altri avevano prontamente
raccolto, fidandosi ciecamente del suo charme da consumato amante. La
stava osservando in prima fila, avanti agli altri, appena all'interno
del seminterrato del negozio, le mani unite avanti a sé.
Il
rombo si fece più vicino.
Il
pianto di Rachel era silenzioso. Non era il dolore fisico a scuoterla,
ad annullarla, ad immergerla nel nero lago dell'oblio. Era la sua vita
perduta. Era il dolore che riguardava quella parte di lei che non
accettava che quell'uomo alto e bello e così letale avanti a
lei fosse l'uomo che l'aveva condannata a morte. Pianse, senza nulla
aggiungere, gemendo nella sua silenziosa agonia.
Il
rombo era ormai prossimo. Crollavano le catacombe, crollava la storia,
crollava il mondo. Evelyn McGonagall e Gregory Hawthorne erano
già morti. Uniti in quel paradossale rapporto di comica
unione che li aveva contraddistinti. Un giorno si sarebbero sposati. Un
giorno avrebbero avuto la loro vita insieme. Perché era
così che andavano le cose nella vita. Prima potevi odiare
una persona e ritenerti la sua nemesi. E poi ritrovarti a condividere
con la stessa persona le speranze, il futuro, la vita intera, e a
spegnerti mano nella mano con l'altro nella vecchiaia, con un sorriso
stampato sulla fronte. Oppure poteva succedere l'esatto contrario.
A
lei era riservato quel crudele destino. Poiché atea aveva
deciso di riporre unicamente il destino nelle sue sole mani e
nient'altro. Poiché non aveva valutato quanto lontano
potesse spingersi qualcuno ammantato nella sua fede per farti cambiare.
Il
rombo era ormai una frana, sentiva già i massi che la
seppellivano e sapeva che quei massi non avrebbero raggiunto i membri
della setta. Mantenne lo sguardo gravido di lacrime in quello di
Nathaniel fino alla fine.
«Che
il Signore illumini il peccatore con la sua misericordiosa benevolenza,
e possa riportarlo sulla via della luce. In questo, noi
preghiamo.»
Amen.
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