Unholy

di Anacarnil
(/viewuser.php?uid=104752)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fremiti ***
Capitolo 2: *** La Villa ***
Capitolo 3: *** Ah, Google. ***
Capitolo 4: *** Amen ***



Capitolo 1
*** Fremiti ***


«Non lo so, Nat.»

Rachel scosse la testa, lo sguardo perso tra le morbide ombre che danzavano attorno alle pareti, la mano sinistra che grattava distrattamente una delle lunghe orecchie di Otto, disteso sul pouf imbottito accanto al suo.

«Suona tutto troppo strano, non ha senso.» Continuò, la voce che si smorzava e vibrava l'ultimo istante prima di spegnersi.

Otto il bassotto rigirò le zampe, sistemando il piccolo muso sul morbido pouf dove era disteso, godendosi il placido momento.

«Non lasciarti influenzare, sai che non deve esserci necessariamente un collegamento tra quello che hai visto e quello che pensi.» Nathaniel Rogers, al secolo Nat, era così, un inguaribile pragmatico dagli occhi di ghiaccio.

«Sei semplicemente molto stanca, non dormi davvero da una settimana almeno.»

Stanca, forse questa non era la parola che poteva adattarsi realmente allo stato fisico e mentale in cui versava la donna. Sicuramente era spossata, esausta dopo giorni e giorni passati a rimuginare, ma non era quello che la turbava. C'era dell'altro, sepolto con cura nei meandri della sua consapevolezza, che la sfiorava come le dita di un amante esperto fanno con la pelle della propria metà. La soluzione era sospesa in un limbo vorticante, tanto vicino quanto distante dalla sua comprensione, e il tormento del dubbio pareva non lasciarle scampo, né tanto-meno una temporanea tregua. Quell'attimo di silenzio non fece altro che accentuare il divario che era sorto tra i due, mentre lei tornava a rivivere le situazioni paradossali dell'ultima settimana in un cantuccio remoto della sua mente, e lui univa le mani nel più tipico dei gesti d'impazienza, spostando lo sguardo sulle fiamme delle candele sparse per la stanza, stentando a mantenere il tipico auto-controllo che l'aveva reso l'imperscrutabile e freddo investigatore del violento ed al contempo criptico underground di Glasgow.

Si era aspettata che Hawthorne la chiamasse nel fine settimana, quanto-meno per informarla di eventuali novità sul caso, e che potesse quindi lei stessa trovare la carta vincente tra tutti quei cavilli che la facevano arrovellare negli ultimi giorni. Non si era fatto vivo, infrangendo quel muto patto che aveva sviluppato nel corso degli anni con la fragile poliziotta: il fine-settimana era sacro, una parola in più la si poteva scambiare per il lavoro, ma era soprattutto quella cornetta che la faceva sentire viva, lontana da tutte le situazioni scabrose in cui si ritrovava nolente a mettere naso, affari loschi, puzzle irrisolti e una marea di scartoffie da compilare per mantenersi nel caso e non lasciarlo a mani inesperte o semplicemente incoscienti. Lei sapeva di stare viaggiando sulla strada giusta, ma ogni giorno che passava qualcosa cambiava così repentinamente da farle rimpiangere di non aver mantenuto quella flemmatica vita di routine che conduceva nelle Lowlands scozzesi, e tutti quei rimorsi non facevano altro che pesare sull'economia generale della situazione che si era venuta a creare. Quell'idiota di Hawthorne serviva per mettere a tacere i suoi sensi di colpa, per farla sorridere, per ricordarle che la vita non poteva e non doveva essere solo un insieme di prove contrastanti e una settimana di incubi ricorrenti, eppure...

Fu il piccolo quadrupede a scuotere dall'inquieto torpore la donna, balzando improvvisamente sulle zampe per lanciare un abbaio stridulo e prolungato, le lunghe orecchie ritte, per quel che era possibile per degli affari di quelle dimensioni, verso la finestra. Rachel sobbalzò, versando così il poco vino che rimaneva nel calice sul tappeto persiano, il cuore in un tumulto veemente mentre alzava lo sguardo smeraldino verso la balconata, facendo per alzarsi impietrita.

Nathaniel si limitò a fissare parimenti la finestra, curvo a puntare i gomiti sulle ginocchia ma immobile per il resto.

Gli abbai di Otto proseguirono mentre si lanciava trotterellando alla maniera tipica dei cani di quella taglia verso il vetro, scostando la tenda di lino con il corpicino affusolato, lanciando i suoi strepiti striduli rivolto alle ombre che si erano unite alla danza anche aldilà del perimetro di Wilfordshire Road numero dodici.

D'istinto, la donna cercò la fondina della pistola, e dovette annaspare nervosamente, priva della sua usuale lucidità, per trovarla alla cieca sul tavolino, urtando sgraziatamente la scura bottiglia di vino che andava ora infrangendosi seccamente oltre il bordo.

Fece qualche passo, tremante, ingoiando un urlo isterico al rumore dello spesso vetro raschiato dal cane poco distante. Le labbra ben disegnate si schiusero di un infinitesimo mentre, lontana anni luce dal mantenersi fredda e calcolatrice, disegnava un passo dopo l'altro, deglutendo a vuoto più e più volte nella vana speranza di calmarsi, facendosi sempre più vicina, alzando le braccia per puntare la pistola contro qualsiasi cosa si annidasse aldilà del vetro, gli occhi che saettavano sulla sagoma increspata della tenda, la semiautomatica che puntava ovunque piuttosto che rimanere salda nelle fredde mani di Rachel Fraser.

Era ormai prossima a sollevare uno dei lembi della cortina, quando Nathaniel si limitò a pronunciare un annoiato: «Metti giù quell'arnese, sono i Dover con il loro Grigio, dovresti saperlo.»

La voce atona che pareva trasudare rassegnazione, prima di sospirare e scuotere il capo, sconsolato, rivolgendolo alle scure chiazze di vino sul lussuoso tappeto ormai inguardabile.

Nello stesso istante, la donna quasi rischiò di strappare il drappo per le foga con cui scostò una delle due parti, lasciando che la consapevolezza tornasse a penetrare la sua mente ottenebrata ed ella potesse ora disciplinare il battito cardiaco schizzato alle stelle, mentre attonita fissava i due coniugi Dover, con Jerome che faticava a trascinare Grigio dal collare.

Perché Grigio era un cane. Un colosso di cane. Una di quelle bestie dallo sguardo ebete e la mascella sporgente, un terranova dall'inusuale mantello cenere, che si sollevava sulle potenti zampe posteriori per lanciare il suo abbaio, che più di un abbaio era un cupo richiamo dall'Oltretomba.

«Sai, potrei incollarmi alle tue... labbra per ore, Nat, quando mi osservi con quegli occhi spiritati. Ma per questa volta fattelo dire... Sei uno stronzo.»

E lo era, difatti, poiché adorava semplicemente far ammattire Rachel. Si limitò a dipingere un sorriso evanescente sulle labbra perfette, mentre ammiccava, ancora immobile, ai Dover che si allontanavano.

«Meglio una bella dormita, sai?»

Forse, non era così pragmatico come la donna amava pensare.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La Villa ***


Lo squillo basso degli speaker accompagnò la progressiva frenata del treno, che andava ora fermandosi lì dove un ampio cono di fredda luce al neon tornava ad illuminare l'esterno del vagone, con centinaia di volti anonimi ammassati dirimpetto al lungo veicolo, in attesa di compiere la quotidiana lotta a suon di spallate che permetteva ai più fortunati ed ai più ostinati di guadagnare uno spazio decente all'interno del vagone.

«Fermata: Lloyd Avenue. Siete pregati di fare attenzione allo scalino. Vi auguriamo una buona giornata. »

La donna dal pesante accento scozzese terminò il ripetitivo annuncio e l'ultimo, brusco strattone era generalmente il segnale di un'altra furiosa lotta destinata a consumarsi all'interno del vagone. Nathaniel dovette sorreggere la poliziotta tenendola per i fianchi il necessario, affinché questa non ruzzolasse per la carrozza. Poi la liberò dalla morsa per garantirle un rapido guizzo verso i posti che si stavano liberando, a un paio di passi di distanza. Le porte si spalancarono, una fiumana di gente si riversò all'interno, intralciata dalla corrente di volti che, per riflesso, doveva attraversare le soglie del treno per uscire. Ma Rachel aveva già il suo posto, e non poté nascondere un mezzo sorriso di soddisfazione per aver guadagnato tanto in fretta e senza storie la comoda poltroncina.

«Prossima fermata: Hamilton Crescent.»

Nathaniel non riuscì a nascondere una smorfia infastidita.

«Mi chiedo come tu riesca a sopportare con tanta noncuranza quest'accento.» Scosse il capo, guardandola, il volto che tornava inespressivo come al solito.

«Non che a Liverpool possiate offrire qualcosa di meglio, eh?» E rivolse al freddo investigatore il più sincero dei sorrisi di scherno.

Se non ci fosse stata tanta calca, il brusco e repentino strattone che informava della partenza del veicolo avrebbe mandato a gambe all'aria un numero indefinito di gente, distratta dalle elucubrazioni mattutine o semplicemente dal torpore che le calde coperte avevano lasciato loro giusto un'ora prima. Qualcuno imprecò nel rude gaelico scozzese, linguaggio tanto raro quanto radicato nonostante l'utilizzo primario dell'inglese come lingua madre nelle terre di Wallace. Era sempre un piacere ascoltarlo, realizzò Rachel, che si trattasse della bestemmia più sentita o semplicemente di un cordiale saluto.

«Parole sante, signorina, i dannati damerini inglesi non riescono a capire quanto possano sembrare delicate checche da gay pride con il loro accento tutto svolazzi e patate in gola. Ha!» Il nuovo interlocutore rivolse un'occhiata complice alla donna, mostrando il suo sorriso giallo, prima di adocchiare in tralice Nathaniel alla sue spalle. Questi si limitò a rivolgere una sguardo freddo e distaccato all'uomo corpulento e dalla pelle arrossata, limitandosi a tacere, impassibile.

Capitava spesso di trovare patrioti convinti in Scozia. La coppia ci aveva ormai fatto il callo, ma Rachel si divertiva sempre a vedere Nathaniel mutare in una fredda statua di marmo ogni qualvolta qualcuno provasse ad attaccare bottone sull'argomento. Era rimasto traumatizzato, un paio di anni prima, quando ad Aberdeen aveva provato a mettere un po' da parte i suoi pregiudizi e a scherzare con i locali sulle divergenze tra inglesi e scozzesi. Ne era uscito con il naso rotto e un paio di centinaia di sterline in meno per rimetterlo a posto.

La poliziotta si limitò a fare spallucce all'indirizzo dell'uomo che li aveva interpellati, prima di tornare ad ignorarlo e rivolgere l'attenzione a Nathaniel, ora nuovamente seria.

«Cosa credi si nasconda dietro il... »

«Non qui.» Tagliò corto Nat senza guardarla, ormai eclissatosi nei suoi silenzi.

Rachel si morse il labbro, portando lo sguardo a spaziare per il corridoio affollato, soffermandosi per qualche istante in più su ogni volto che le capitava di raggiungere. Giovani con l'iPod in mano, estranei a quel che accadeva attorno a loro, compiti uomini d'affari in giacca, cravatta e ventiquattr'ore; la metropolitana di Glasgow, come quella di Londra del resto, offriva una vastissima varietà di gente, ciascuna con le sua peculiarità, ciascuna con la sua storia particolare. In molti probabilmente stavano pensando la stessa identica cosa, dovette realizzare. Non poté esimersi dal sorridere in modo vago, rassicurandosi dopo che la preoccupazione del freddo rimprovero di Nathaniel aveva intaccato la sua fragile certezza.

Lo sferragliare del treno sulle rotaie ed il chiacchiericcio sommesso della gente la catturavano, in un certo qual senso. E la proiettavano nuovamente al caso su cui stava lavorando, e che quel giorno poteva assumere dei connotati ben definiti all'arrivo in Park Road centododici. Willy Usher aveva telefonato d'urgenza quella mattina stessa, informandoli dell'omicidio di un giovane rampollo scozzese nella sua magnifica villa a pochi isolati dallo stadio di cricket. Gli elementi dell'assassinio parevano condurre tutti al caso già sotto la sua copertura e quella di Nathaniel, Gregory Hawthorne e dell'avvenente specializzanda in criminologia Evelyn McGonagall, unica scozzese a poter dire la sua in quell'intricata rete di indizi, prove, false prove e cavilli insormontabili, almeno per il momento.

«Fermata: Hamilton Crescent. Siete pregati di fare attenzione allo scalino. Vi auguriamo una buona giornata.»

Erano già passati venti minuti, e come suo solito non se ne era resa conto. Attese che il treno rallentasse, prima gradualmente, poi infilando la staccata finale e aggressiva, per tornare in piedi e avvicinarsi a Nat, ad un passo di distanza, imprigionato tra uomini e donne in precario equilibrio. Dietro di lei, già si sentivano i tonfi sordi delle spallate di chi cercava di guadagnarsi il posto a sedere. Qualcuno decise di fare il galante, concedendo ad un'altra donna di accaparrarsi la poltroncina su cui aveva seduto poc'anzi Rachel. Una volta in piedi, in fila dietro Nat per uscire, si accorse che qualcuno, sulla sua destra, immobile la fissava. Un uomo sulla quarantina, un filo di barba che conferiva lui un aspetto elegante a coprire guance, mento e base del collo, capelli corti neri e occhi del medesimo colore. Quando si accorse dello sguardo dell'altra, si affrettò a distogliere il suo, allontanandosi per primo verso l'uscita, impassibile.

Subito qualcosa mulinò nella mente della donna. Chi era quell'uomo? E per quanto l'aveva fissata? Durante il viaggio, come suo solito, aveva dato libero sfogo ai suoi pensieri e aveva prestato decisamente scarsa attenzione alla gente che aveva intorno. Aveva guardato, adocchiato, è vero, ma niente di così profondo da farle rizzare i peli sulla nuca. Sembrava semplice routine, come sempre, un semplice viaggio in metropolitana come migliaia prima d'ora, ma quell'uomo aveva cambiato le carte in gioco.

Nathaniel dovette prenderla per mano per evitare che strattoni, spinte e mani lunghe dei numerosi pervertiti che sostavano nel treno potessero allontanare da sé la distratta Rachel, lo sguardo fisso avanti, movimenti meccanici ad accompagnare la sua uscita dal treno. Il giovane di Liverpool dovette dar fondo alla sua auto-disciplina per non balzare alla gola dei maniaci che tentavano di allungare la mano verso il fondoschiena della bionda poliziotta, limitandosi a spingerle vie nell'istante stesso in cui queste comparivano.

«Grazie.» Soffiò ora nuovamente consapevole la donna, adocchiando colpevole l'alto Nat, tenendogli la mano e guardandosi un attimo indietro, poi avanti, alla ricerca dell'uomo che a lungo l'aveva fissata in treno.

Nat non rispose, si limitò a infilare la mano destra nella tasca del giaccone in pelle, la sinistra stretta a quella della poliziotta londinese, il passo svelto che lei a fatica riusciva a mantenere.

«C'era qualcuno che mi fissava in treno, Nat. Me ne sono accorta solo mentre stavamo uscendo.»

«Il solito porco dalla mano facile.» Concluse con un certo risentimento, mentre imboccavano le scale mobili che portavano all'uscita dalla stazione.

«Ti dico che c'era qualcosa di strano in quello sguardo! E poi è sparito, dileguato non appena ho posato io stessa lo sguardo su di lui.»

«Falla finita Rachel, sta diventando un'ossessione.»

Rachel ammutolì, tornando a fissare la gente avanti a loro, la scala mobile che li trasportava in alto.

I successivi venti minuti passarono così, con Nat visibilmente rabbuiato, evidentemente provato dalle fantasie di Rachel e dalla fatica di tenerla al sicuro da figuri poco raccomandabili, laconico e schivo, e la donna che provava a mettere insieme, ancora una volta, i pezzi ingarbugliati del puzzle, scompigliati dall'arrivo di nuovi pezzi i cui dentini scombinavano l'ordine raggiunto, esigendo una nuova collocazione, una nuova disposizione.

Kellie-Smith Mansion era isolata dal resto della città, per entrarvi bisognava varcare i cancelli che delimitavano la proprietà privata a circa un miglio di distanza in linea d'aria, seguendo un sentiero battuto che si inoltrava tra alti alberi di larice, cipresso e salice disseminati lungo una distesa lussureggiante di cespugli di rose, di bacche e amenità simili, senza che potesse mancare il classico prato inglese ben curato ove, inoltre, poggiavano statue di diversa foggia e dimensione, rappresentanti svariati soggetti di origini palesemente cristiane. I due si limitarono ad osservare con distaccata curiosità quel che avevano intorno, adesso ambedue silenziosi e con la mente rivolta a quel che si sarebbe detto nell'atrio della villa. Trascorse un'altra manciata di minuti prima che la coppia raggiungesse l'ingresso dell'imponente villa, una costruzione circondata da un giardino immenso, con una fontana al momento spenta, decorata con dovizia dirimpetto all'ampio portone in legno verniciato. Sulla soglia sostava un gruppetto nutrito di gente, e non mancavano le telecamere dei giornalisti, tanto numerosi da risultare un fastidioso surplus in quella situazione. Non appena Greg Hawthorne li vide giungere, interruppe la sua conversazione con quello che pareva l'ispettore della polizia scozzese, dirigendosi a grandi passi verso Rachel e Nathaniel, facendo segno ad una ragazza di bassa statura, dai fluenti capelli biondi ed il volto sbarazzino di seguirlo.

«Ce ne avete messo di tempo, maledizione!» Esordì, sistemandosi la calata del cappello da golf dal motivo a quadri grigi e blu, i lunghi capelli rossi legati in una arruffata coda di cavallo, la sua tipica espressione stralunata dipinta sul volto pallido, segnato da una spruzzata abbondante di efelidi e da due enormi occhi azzurri.

«Che fine hai fatto ieri sera?» Rispose Rachel, un velo di risentimento che ora animava il suo volto delicato. Hawthorne aprì la bocca per rispondere, ma fu anticipato dal pronto saluto della donna alle sue spalle, che nel frattempo li aveva parimenti raggiunti.

«Buongiorno. Dovete essere Rachel Fraser e Nathaniel Rogers. Sono Evelyn McGonagall, avrete già sentito parlare di me dai vostri superiori.» Fece rapida, un sorriso cordiale ad animare il volto rotondo, la tipica inflessione delle Lowlands ed un tono professionale, a dispetto della corta gonna di cotone scuro e del décolleté generoso che si apriva sulla camicia bianca. Avanzò sicura una mano, che a turno, Nat e Rachel strinsero con scarsa convinzione, ricambiando il saluto ed annuendo.

La poliziotta londinese decise di rimandare a un altro momento il mezzo battibecco che aveva intenzione di affrontare con Greg, lasciando che i due li accompagnassero all'ingresso, distante circa trenta metri.

«Quali sono i dettagli dell'omicidio?» Esordì finalmente Nat, ammantato nei suoi silenzi fino a quel momento.

Nuovamente, Greg fece per aprir bocca e partire con le sue tipiche imprecazioni esplicative, ma Evelyn lo anticipò ancora, dando dimostrazione di essere pronta e scattante e di meritarsi l'incarico, a dispetto della scarsa fiducia riposta nella esordiente dai due appena giunti.

«Il soggetto corrisponde a Sir Flavio Domiziano Kellie-Smith, trentadue anni, celibe. Ha ereditato la villa dai potenti ed anziani genitori scomparsi anni or sono e vive con i domestici. Ha cambiato da due anni nome all'anagrafe, prima era conosciuto come Arthur Percival William Kellie-Smith. Dirigeva una azienda di produzione ed esportazione di abbigliamento in filo di Scozia e deteneva una cospicua quota di mercato della multinazionale Nike. Era solito passare giorni interi nelle sue stanze, a cui era vietato l'accesso ai domestici, e non era inusuale vederlo trincerato in un silenzio immotivato anche per lunghe settimane. Il corpo è stato ritrovato questa mattina, quando i domestici, preoccupati, hanno usato la universale per aprire le sue stanze. Il decesso è stato ipotizzato essere avvenuto intorno a quattro giorni fa.»

La McGonagall terminò il suo monologo improvvisamente, la voce aveva mantenuto la stessa inflessione per due minuti abbondanti, prima di smorzarsi e spegnersi quando il gruppo aveva ormai raggiunto l'ingresso.

Hawthorne la guardò a bocca aperta, limitandosi a concludere con uno stranito «... Esattamente, diamine.», mentre per Rachel e Nathaniel fu sufficiente annuire una volta ancora. Erano tesi ad immagazzinare quante più informazioni era possibile, pertanto nutrivano davvero scarso interesse nell'approfondire la comica relazione che Greg ed Evelyn avevano sviluppato da quando si erano conosciuti. Tanto più, credevano a ragion veduta che un tipetto così pepato potesse soltanto essere d'accordo con loro, in quel momento.

«Ispettore Naysmith, la squadra investigativa è ora al completo.» Soggiunse la McGonagall autoritaria. L'ispettore era un uomo pasciuto dagli ampi baffi a ventaglio, sudaticcio ma saldo nello sguardo e nella postura. Voltandosi, saltò a pié pari qualsiasi convenevole, giungendo subito al nodo focale della situazione senza girarci intorno.

«Ferite da pugnale ai polsi ed alle caviglie, una singola perfetta incisione a croce su fronte, labbra e mento, morto dissanguato. La porta non era forzata, supponiamo si tratti di suicidio.»

«Ma Usher ci ha riferito di un omicidio, come può essere?» Intervenne Rachel, scrutando con i suoi occhi verdi quelli castani dell'ispettore.

«Era la nostra prima ipotesi, poiché è una pratica inusuale e bizzarra per commettere un gesto tanto azzardato. Ma i domestici ci hanno riferito che le finestre erano integre e la porta è stata aperta unicamente da uno di loro nel momento del ritrovamento del cadavere. »

«Parleremo con loro più tardi, ora ispezioniamo le sue stanze, queste telecamere mi innervosiscono.» Sibilò a denti stretti Nat, e fu il primo a chiedere permesso per entrare nella immensa casa e ad indossare i guanti in lattice della scientifica. Uno dei domestici che era nelle vicinanze, un uomo alto, completamente calvo e dal naso affilato, si offrì di accompagnarli nelle stanze.

«Non avevamo mai visto cosa contenessero quelle stanze, signori. Pare essere morto su un altarino di marmo, accanto alla sua figura immersa nel sangue vi era un lungo pugnale istoriato.» Parlava nervosamente, la voce strozzata, quasi fosse timoroso di quello che stava rievocando. Deglutì un paio di volte, ricacciando le lacrime che offuscavano il suo sguardo, avanzando a capo del gruppetto.

«Povero povero signore... Come può aver riservato Dio un destino tanto orribile ad una persona così speciale? » Fece, mentre salivano un'ampia e sontuosa scalinata rivestita di velluto rosso, dai corrimani in marmo candido. Anche l'interno della casa era disseminato di statue di santi e di rappresentazioni di scene provenienti dalla cultura cristiana, tutti di pregevole fattura. Nathaniel parve infastidito dalla figura del domestico, a cui rivolse un'occhiata in cagnesco che a Rachel non passò inosservata. A parte il servitore, che disse di chiamarsi Thomas Gravehill, sul resto del gruppo gravava il silenzio accorto tipico di chi è in prossimità di un luogo importante, o di un evento rilevante. Come se lentamente gli aggrovigliati fili della matassa del caso andassero sciogliendosi, uno dopo l'altro. La porta della stanza era spalancata, una porta di legno scuro, decorata con filigrane d'oro, in fondo al corridoio del terzo piano. Era l'unica, evidentemente per fornire ai domestici un chiaro avvertimento. L'interno era illuminato solo da alcune basse candele in appositi candelieri sulla scrivania a ridosso della parete di sinistra, ornata con quadri appartenenti ancora una volta alla tradizione cristiana. Vi era una croce romana oltre l'altarino, ove grumi di sangue disegnavano la macabra scritta “Fratres, agnoscamus peccata nostra, ut apti simus ad sacra mysteria celebranda.“ lungo l'intero asse verticale.

Thomas rimase in silenzio oltre la porta, invitando gli investigatori a fare il loro ingresso. Immediatamente si separarono, ognuno si diresse verso una delle pareti. A Rachel toccò il muro dirimpetto l'altare e la croce. Gravava un'atmosfera inquietante in quella stanza dalle pareti rosso sangue, come se serpeggiasse tra loro un pericolo insano, sottile, velato. Suggestionata dalle sue fantasie, la poliziotta londinese dovette abbassare lo sguardo sull'altare per non incontrare gli occhi dei dipinti, che parevano scrutarla severamente nel profondo dell'animo, sondando il suo essere con l'austerità del passato. Si sforzò di rivolgere al cadavere le prime attenzioni. Era riverso sul ventre, poggiato scompostamente sull'altarino in marmo dalle candele bianche spente e talvolta spezzate contro il corpo di Kellie-Smith. Attorno alla sua figura esanime un bagno di sangue, e le ferite sulla pelle diafana che scintillavano oltre i pantaloni e la giacca. L'espressione sul viso era già quella del rigor mortis, impossibile stabilire se il trapasso era stato doloroso e lento o rapido e fugace. Su di lui poteva controllare poco, la scientifica doveva aver già prelevato il contenuto della giacca, per questo sorpassò il giovane scozzese dalla incipiente calvizie per rivolgere l'attenzione altrove. Appoggiò il corpo sulle ginocchia flesse, lasciando vagare lo sguardo sulla croce prima, intimorita da quella scritta vergata con sangue presumibilmente umano. Scosse il capo, come a scacciare cattivi pensieri che si stavano impadronendo della parte più debole di lei, e si voltò per ispezionare l'altare, su cui il turibolo era poggiato. La fiamma all'interno del braciere pareva essersi spenta da non più di qualche ora, e doveva essere quello il motivo per cui l'aria era gravida dell'odore di incenso arso.

«Doveva essere uno di quei convintissimi bigotti, per la miseria. Che Gesù lo abbia punito per tanta devozione?» Tentò di stemperare l'atmosfera Hawthorne, accompagnando la frase con una mezza risata mentre apriva cassetti ed ispezionava il loro contenuto con attenzione. Nessuno recepì il messaggio, erano tutti troppo occupati a fare il loro lavoro.

Il pugnale era di quelli da cerimonia, il pomolo e l'elsa tempestati di gemme e rivestiti d'oro puro, la lama sottile ma decisamente affilata, poiché Rachel lanciò un gemito quando passò inesperta ed impacciata il pollice sul filo della lama, recidendo il lattice del guanto bianco e compromettendo ora irrimediabilmente quella prova, affrettandosi ad estrarre un fazzoletto dalla tasca della giacca per avvolgervi il dito sanguinante. Una goccia del liquido ematico tuttavia sfuggì alla presa della donna, andando a infrangersi sul piattone della lama che la donna aveva abbandonato. Questa aggrottò la fronte, stranita, rivolgendo a uno qualsiasi degli dei tutt'oggi oggetto di culto una sonora imprecazione mentale mentre una lettera si materializzava sull'acciaio, lì dove il sangue aveva intaccato l'arma.

«Tutto bene?» Nathaniel si era nel frattempo avvicinato all'altra, accortosi del taglio che la donna si era procurata. Lo sguardo corse sulla lama.

«Sì, sì... Ma guarda.» La sua attenzione era tutta rivolta alla lama. Avvicinò il volto ad essa mentre teneva il pollice sanguinante nel fazzoletto, e Nat fece lo stesso.

«Qui non c'è un cavolo di niente, maledizione. Ehi, che avete trovato?» Hawthorne si gettò verso di loro, puntando gli occhi dove Nat e Rachel li stavano puntando. Alcune lettere, lontane fra loro, erano comparse: “CID” era quello che si poteva desumere leggendole in successione dall'elsa alla punta.

«La scientifica probabilmente ci ammazzerà, ma ormai la prova è contaminata e serve per le nostre indagini. Tanto le loro analisi le hanno già fatte.» Sussurrò Nathaniel mentre disperdeva il sangue lungo l'intera superficie della lama, lasciando che intaccasse il metallo per intero. In breve tempo, la scritta “PICKLEWICK AND DAVENCROFT” comparve sotto il loro naso.

«E in questa libreria potrebbe esserci qualcosa che ci interessa... » Evelyn trasse un grosso e vecchio volume dalla rilegatura in pelle. Non aveva titolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ah, Google. ***


Nathaniel si costrinse a mantenere gli occhi arrossati e gonfi bene aperti, mentre osservava lo schermo del vecchio Dell con aria assonnata e le braccia conserte. Era abbandonato su una scomoda sedia in legno, intento a  seguire con lo sguardo la ricerca che Rachel stava portando avanti da ormai quattro lunghe, interminabili ore.

L'unica fonte di illuminazione all'interno della vecchia stanza che sapeva di stantio era lo schermo del computer che i due avevano di fronte, il resto era avvolto dalle tenebre, tenebre che non potevano neppure tentare di dissipare, considerata la parete in comune con la stanza di Simon Gillespie, il vetusto pastore silurato dai protestanti per perpetrati problemi di alcool.

La donna si costrinse a sorridere, pensando ironicamente al silenzio 'religioso' che albergava all'interno della stanza, interrotto sovente dai 'click' del mouse e, meno spesso, dal ticchettio che le sue candide dita producevano premendo sui tasti della tastiera. 

«Niente, - Rachel gettò con frustrazione la tastiera verso il vicino posacenere pulito, sospirando - abbiamo provato tutte le possibili parole chiave che descrivessero questo Picklewick And Davencroft. L'unica cosa che abbiamo guadagnato è una pizza gigante che Hawthorne ancora non vuol portare.» La voce della poliziotta era rotta dalla stanchezza, bassa, trascinata per pietà dalla sua ormai labile forza di volontà. Rischiò di abbandonare il capo sulla scrivania e rilassarsi, ma riuscì ad intuire lo sbaglio che stava per commettere appena in tempo e, sobbalzando, si tirò indietro sullo schienale.

«Se la sarà già divorata.» Concluse Nat, lo sguardo fisso su un punto non meglio precisato a lato dello schermo, tirando su col naso.

Ormai pareva che anche lo sgargiante Doodle in onore di San Patrizio disegnato da Google sghignazzasse ai loro vani sforzi, ammiccando suadente lì, nell'angolo a sinistra della pagina di ricerca aperta.

«Forse stiamo cercando dalla parte sbagliata. Non esiste niente che riguardi Picklewick And Davencroft nel mondo. Deve essere stato qualche cretino con manie di protagonismo che ha impresso il nome suo e della sua mogliettina su un cazzo di pugnale.» Sussurrò Rachel, palesemente di malumore. Il cervello era arroventato, decisamente lontano dalla lucidità necessaria per accompagnare un qualsivoglia ragionamento logico della donna. Portò lo sguardo astioso sul maledetto logo di Google, fissandolo con idiosincratico odio mentre tentava vanamente di trovare una via d'uscita da quella trama indistricabile e senza sbocco.

Nathaniel sospirò, mordendosi un labbro.

«Che ore sono?»

«Nemmeno le undici.»

«Ancora? Non ci credo.»

«Controlla tu stesso.» Rachel si sporse di lato per permettere a Nat di avere visione dell'orario, in basso a sinistra sullo schermo.

«E siamo distrutti.» Sospirò ancora, questa volta seccamente, il principio di un lungo sbadiglio che distolse i suoi residui di attenzione dallo schermo.

«Alle quattro cosa combineremo allora? Questa storia non ha un capo né una coda. Non so più nemmeno cosa cercare.» Rachel si stava arrendendo lentamente alla realtà dei fatti, e cioé di essersi illusa di avere tra le mani la soluzione semplicemente perché qualcuno aveva deciso allegramente di impazzire, cambiare nome all'anagrafe e tagliuzzarsi polsi, caviglie e volto con un pugnale che poteva benissimo aver trafugato dai beni di valore di Marilyn Manson.

Nathaniel concluse lo sbadiglio con aria teatrale, lasciando che un paio di lacrime dovute alla stanchezza pervadessero gli occhi di ghiaccio.

«Dormiremo.» Rispose con un mezzo grugnito alla domanda posta poc'anzi dalla donna con un sogghigno.

«Perché non provi ad essere d'aiuto ogni tanto? Hai la fama del poeta maledetto in grado di risolvere ogni caso e di portarsi a letto la principessa di turno, ma io fino ad ora ti ho visto solo trastullarti con fumetti  scritti da idioti e sigari che tanto non fumi ma che ti diverti ad osservare pensando di fare più il figo maneggiandoli qui e lì quando capita una bella pollastra.» Esplose piccata Rachel, evidentemente risentita per l'atteggiamento noncurante e manifestamente indifferente del proprio ragazzo.

«Se la principessa è già mia non c'è gusto.» Nathaniel abbozzò uno dei suoi soliti sorrisi affascinanti, rovinato dallo stato fisico in cui l'investigatore di Liverpool versava al momento.

La donna resistette all'impulso di rovesciargli sul bel visino il contenuto bollente della sua tazza di caffé riscaldato, decidendo piuttosto di berne un lungo sorso per tentare di svegliarsi e di non rispondere all'altro.

«Probabilmente Evelyn porterà qualche fresca notizia in grado di svegliarci. Perdere la testa su due nomi in fila non ci porterà da nessuna parte, Rachel, e lo sai.»

«E quindi cosa vorresti fare adesso?»

«...Farmi un'altra bella tazza di caffé.» Nathaniel schioccò la lingua sul palato, facendo per alzarsi, dirigendosi flemmaticamente sul tavolino spartano, versando dal thermos altro caffé nella sua tazza, bevendone subito un sorso.

La poliziotta lo guardò stranita, decisamente irritata dai fiumi di caffeina che in quel momento scorrevano copiosi nelle sue vene e dal solito comportamento distaccato del freddissimo Nathaniel Rogers. Scosse il capo.

«Stronzo. E questo posto fa pure schifo.»

«Fidati. Ho controllato io stesso l'operato di Hawthorne, ci sa fare quando smette di pensare alla prossima terrificante battuta da tirar fuori. Questo Gillespie poi si ingrazia facilmente...» La sua mano corse a dare dei colpetti quasi affettuosi sulla tasca del lungo cappotto, laddove giaceva una bottiglia del miglior Scotch invecchiato di Perth.

Seguì un silenzio cogitabondo, questa volta assolutamente completo e interrotto da null'altro se non il ronzio sommesso del laptop a breve distanza.

«Come fai ad esserne così sicuro?» Rimbrottò esausta la donna.

«Certe informazioni il miglior investigatore di Glasgow deve possederle.» E accennò ancora una volta un sorriso sprezzante, mentre si rimetteva a sedere sorseggiando il suo caffé.

«E come può un ex pastore protestante avere qualcosa a che fare con strani culti in seno al cattolicesimo?»

«Siete tutti uguali voi atei. » Scosse il capo, seguitando a sorseggiare con calma.

«Tu che non lo sei quindi che mi diresti?» Continuò impaziente la Fraser.

«Che la matrice è la stessa, e che chiunque abbia un ruolo nel clero di qualsiasi religione, conosce aspetti che al comune laico sono preclusi.»

A Rachel quel piccolo particolare era sfuggito, forse perché troppo lontana dalla mentalità religiosa per potervi attingere pienamente. In questo, Nathaniel era risultato molto più efficace di quanto lei stessa avesse sperato quando l'aveva coinvolto nelle faccende che riguardavano le morti misteriose, i Vangeli Apocrifi e le Sacre Scritture, e aveva saputo contribuire, nonostante lei non avesse alcuna voglia di ammetterlo, alla buona riuscita di diverse indagini, con le sue intuizioni fulminanti e le idee brillanti che fino a quel momento, con dolente incostanza, aveva mostrato. C'era un filo comune che univa tutta quella raccapricciante serie di decessi, e riguardava criptici versetti di libri dimenticati e tutt'ora irrintracciabili, di elementi dell'iconografia cristiana e in genere del macrocosmo delle religioni monoteiste, argomenti che lei aveva sempre ripudiato, allontanato e ignorato durante la sua esistenza. Il caso che le avevano offerto tre mesi prima inizialmente pareva non riguardare altro se non un semplice quanto efferato delitto, di quelli che si era trovata a risolvere semplicemente puntando una pistola alla tempia di un indagato dalla fedina sporca e facendolo parlare. Ed era forse effettivamente questo il motivo per cui in tutti questi omicidi, presunti suicidi e delitti non aveva ancora trovato la chiave di volta, il bandolo della matassa: ragionava semplicemente senza considerare tutte le possibili implicazioni che un caso poteva mettere in piedi. In altri termini, stava violando senza volerlo e senza accorgersene, il protocollo standard che riguardava le procedure di investigazione.

Mentre il caffé tornava a stimolare i recettori neurali dei due inglesi di Scozia e già qualche collegamento tornava al suo posto nella miriade di possibilità prospettate, il rumore secco e squillante del campanello rischiò di far sobbalzare Nat, e fece letteralmente saltare in aria Rachel, che dovette porsi la mano sul petto per rallentare il battito, erompendo in un breve e strozzato grido spaventato.

Nathaniel ruppe in breve gli indugi e si alzò per aprire la porta, contro ogni istintiva volontà della donna londinese al suo fianco. Dinanzi a loro si parò la figura minuta della McGonagall, un paio di occhiali dalla montatura leggera inforcati sugli occhi e un sorriso vispo sulle labbra rosse. Sotto braccio portava il grosso tomo rilegato in pelle consunta che avevano avuto il permesso di portare via dalla villa di Kellie-Smith e l'espressione stanca di chi, come loro, aveva passato le ultime ore a lavorare a tamburo battente.

«Ho analizzato il volume. Non vi è una sola pagina su cui sia vergata una sola parola che non sia latina. Ho comunque desunto si tratti di una sorta di manifesto di un culto molto vicino a quello cattolico, basandomi su archivi e sulle mie scarse conoscenze della lingua.»

Come sempre, la professionalità della specializzanda lasciava poco spazio ad obiezioni. Rachel e Nathaniel si limitarono a fare spazio per permettere ad Evelyn di fare il suo ingresso nella stanza, e non appena richiusero la porta, un urlo bieco si spanse dalla stanza affianco.

«Siate dannati e portati alla perdizione da Satana, che Dio mi aiuti, un povero vecchio senza pace, un povero vecchio col tormento, un povero vecchio senza pane e senza l'acqua di Nostro Signore. Misericordia, misericordia... »

Lo sproloquio del delirante vecchio Gillespie si spense in un accesso violento di tosse, prima che il silenzio tornasse a regnare sovrano nella sporca stanza d'appartamento di Lochinver Street ottantadue.

I tre si scambiarono un'occhiata perplessa, prima che Rachel prendesse un'altra sedia stipata accanto al tavolino e la offrisse pratica ad Evelyn.

«Ti ringrazio.» Fece cenno col capo la scozzese.

«Nulla.» Fece eco distrattamente la londinese, tornando a prendere posto insieme a Nat di fronte al laptop.

«Dunque, voi invece cosa avete desunto dalle parole incise sulla lama?»

La domanda a bruciapelo li disorientò. In effetti, avevano perso quattro ore a bighellonare, a scambiarsi opinioni, a cercare qualche parola chiave che permettesse loro di comprendere cosa quella scritta potesse significare. Ma nulla di così consistente da dare loro fiducia. Anzi, a dire il vero, nulla di nulla. Picklewick And Davencroft era un elemento fantasma, inconsistente ed evanescente nella loro indagine, che si stava rivelando più un peso inutile e dannoso che un elemento di spicco per le loro riflessioni.

Rachel si trovò a chinare il capo, arrossendo nell'ombra, imbottigliata in una sequela impressionante di scuse e giustificazioni con le quali suffragare la propria inettitudine, e pertanto rimase in silenzio. Nathaniel, invece, si limitò ad un:

«Ci stiamo ancora lavorando, abbiamo raccolto poche informazioni, ma sappiamo per certo cosa Picklewick And Davencroft sicuramente NON può essere.» Enfatizzò sul “non”, come a voler in realtà comunicare all'altra con un elaborato giro di parole di non aver concluso poi granché. Ma la bionda dal pesante accento scozzese si limitò a sorridere ed annuire.

«Più complicato di quel che si potesse pensare in principio dunque.»

«Puoi dirlo forte.» Fecero eco i due inglesi.

Impiegarono quindici minuti buoni per riprendere a lavorare. Dopotutto non era facile impiegare fruttuosamente del tempo quando la morsa dello sconforto si stringeva lentamente su di loro, lasciando che la stanchezza li inebriasse silenziosamente, spingendoli ad abbandonare qualsiasi tipo di ragionamento ed a rassegnarsi tra le invitanti braccia di Morfeo. Per quanto fragile fosse l'enorme volume portato via dalla villa Kellie-Smith, Rachel lo sfogliava distrattamente, adocchiando le frequenti figure che comparivano tra una pagina e l'altra con la vana speranza che i suoi neuroni reagissero agli stimoli più velocemente rispetto ai suoi occhi stanchi. Righe e righe di latino fitto si srotolavano dinanzi al suo capo chino, senza nessun apparente motivo e senza nessun apparente significato, data la sua pressoché totale ignoranza in merito a quella lingua morta.

«Ma che fine ha fatto Greg? Doveva essere qui un'ora fa, e ho decisamente fame.» Si lamentò annoiato Nathaniel, sospirando mentre prendeva dalle mani di Rachel il tomo e iniziava a sfogliarlo egli stesso. Dopotutto, tra i tre era quello che più masticava il latino, e forse qualcosa avrebbe compreso anche tra le righe. 

Andarono avanti così per un tempo che non riuscirono a definire con esattezza, troppo intorpiditi per poter davvero prestare attenzione anche al tempo che passava lento ed inesorabile.

Da qualche parte nell'altra stanza, il pastore Gillespie tornò a borbottare quello che ipotizzarono fosse il suo personalissimo rosario da ubriaco, vomitando parole prive di senso in un mare di idiozia e bigottismo.

Le due donne evitarono di devolvere importanti risorse mentali nell'offrire una risposta sarcastica all'investigatore di Liverpool. Sembravano, anzi, completamente assorbite da una nuova ricerca che Nathaniel non si era minimamente accorto che stessero effettuando proprio in quel momento. Wikipedia riportava qualcosa riguardo Flavio Domiziano e la persecuzione ai danni di San Giovanni, il noto evangelista sopravvissuto a Gesù Cristo. 

Si raccontava, in particolare, che Domiziano avesse immerso Giovanni in una caldaia di olio bollente e lo avesse rasato completamente in segno di scherno, ma Giovanni era sopravvissuto all'olio ed allo scherno, perfino a Domiziano stesso, spentosi prima del vetusto apostolo di Cristo.

Ma allora, pensò Rachel, perché tutte le icone cristiane nella villa di Kellie-Smith? Perché tutta quella devozione, la documentazione e la presunta fede accorata nella religione cristiana?

Vi era una flebile voce che sussurrava nella sua mente, lasciando che le intuizioni fluissero ora come luce a penetrare le tenebre, mettendo in moto meccanismi sopiti pigramente all'interno del cervello della donna londinese.

«Bingo.» Si illuminò Nathaniel, un sorriso soddisfatto a piegare le labbra sensuali mentre osservava lo schermo.

Evelyn alzò lo sguardo per prima, posandolo in quello di ghiaccio dell'investigatore, che annuì.

«Complimenti per l'idea, ragazze.» Seguitò l'uomo.

«Frena l'entusiasmo, Nat. Se è vero che questa storia può avere anche un minimo senso, perché  un tale devoto ha assunto...»

Nathaniel alzò una mano per interromperla, adocchiandola ormai pienamente consapevole e pienamente sveglio per l'adrenalina che fluiva nel suo corpo come in quelli delle altre due presenti.

«Quale punizione più grande dell'onta di portare il nome del tuo più grande nemico per il resto della tua vita? O, in alternativa, c'è sempre la regola fondamentale che ogni cristiano che osi definirsi davvero tale dovrebbe mettere in pratica: perdona il prossimo tuo, o porgi l'altra guancia.» Suggerì quindi, iniziando ad inanellare i suoi ragionamenti illuminanti e istintivi, il sorriso che andava allargandosi sul volto ben costruito.

Rachel spalancò gli occhi, colpita. Affiorò prepotente un'immagine chiara, nitida, come se fosse stata sempre lì ad attenderla, tanto vicina e tanto lontana ed inarrivabile al contempo. Nella liturgia cristiana, prima della recitazione di un tratto di un qualsiasi Vangelo, i fedeli segnavano una croce immaginaria con le dita su fronte, labbra e cuore, ma Giovanni era sempre stato il più lontano dalla mentalità degli altri apostoli ed al contempo il più vicino, così si narrava, alla figura di Cristo. L'ultima croce sul mento rappresentava la massima espressione della teologia che Giovanni aveva incarnato e tutt'ora incarnava, e l'abbandono di ogni tentativo di de costituire la fede in ogni sua forma ed espressione. Era il rifiuto dell'intelletto nella sua interezza come entità da frapporre tra l'uomo e Dio. 

«Una setta su San Giovanni in seno al movimento cristiano.» Concluse il ragionamento la compita McGonagall, come continuando a voce il discorso su cui aveva focalizzato Rachel nella sua mente. Annuì con veemenza, sveglia come mai nelle ultime ore.

«Esattamente.» Continuò Nathaniel, voltando il libro aperto e mantenendo il segno per permettere alle due di poter dare un'occhiata all'interno.

«Cosa c'è, Nat? Non vedo nulla di strano.>

Ed effettivamente si sentiva anche un po' idiota, guardando ottusamente lì dove Nathaniel aveva lasciato il segno con il dito, senza riuscire ad effettuare collegamenti di sorta.

«Comprensibile, il camuffamento è perfetto, hanno utilizzato le migliori tecniche per rendere  l'indirizzo visibile solo in determinate condizioni di luce e di angolatura.»

L'investigatore inclinò di poco il libro, lasciando che la Fraser e la McGonagall comprendessero autonomamente.

Alla luce dello schermo, ora, la pagina riguardante l'invocazione dell'Apocalisse di San Giovanni riluceva opaca. "Rivelazione... ciò che presto verrà ad accadere", si leggeva in latino. Ma accanto vi era “Glockheat Street, sedici” , che si sovrapponeva in modo impercettibile al più noto seguito di quella frase: “Nella Terra dei Giudei.”

Evelyn parve essere turbata da quell'improvvisa piega che avevano preso gli eventi.

«Impossibile, ho riletto più e più volte l'intero volume alla ricerca di qualcosa che non andasse, avrei dovuto trovarlo!»

Esclamò, nervosa più che entusiasta. A Rachel non sfuggirono le mani delicate che iniziò, per qualche istante, a contorcersi in grembo, lo sguardo sfuggente. Ma decise, per il momento, di rimanere in silenzio.

«Sei ancora una specializzanda, avrai di che imparare in questi anni.» Nat le strizzò l'occhio, bonario. Evelyn accennò un sorriso imbarazzato, arrossendo ma, almeno apparentemente, riuscendo a placare il nervosismo il tanto che bastava per tornare la donna sicura che avevano conosciuto.

Rachel ascoltò con attenzione le parole di Nathaniel, adocchiando la donna scozzese con la sensazione che forse, avrebbe avuto qualcosa in più da dire in seguito. In quel momento era in grado di sospettare di qualsiasi cosa apparisse fuori fase, e il comportamento di Evelyn aveva fatto scattare in lei un chiaro campanello d'allarme. Ambedue le donne, come bambini alle prese con un esperimento ben riuscito e soddisfacente, provarono a ripetere quanto avevano appreso cambiando angolo visivo e giocando con la luminosità dello schermo. L'indirizzo, quasi seguendo fedelmente le parole di Rogers, scompariva e compariva alternativamente.

Pervasi da un'eccitazione morbosa, attaccarono con la ricerca su Google Maps dell'indirizzo appena scoperto. Con sorpresa, scoprirono che non vi era una foto del luogo ricercato, e che la mappa topografica offriva solo un'area ristretta ma pur sempre vaga poco distante dal centro storico della città e dalla Cattedrale di San Mungo.

«Curioso, sembra che le stradine che si incrociano nella zona in evidenza raffigurino la testa di un'aquila.» Affermò distrattamente Rachel. Gli altri due la guardarono straniti.

«L'aquila è il simbolo di San Giovanni.» Concluse con gli occhi sgranati la McGonagall.

Nathaniel eruppe in una mezza risata.

«A quanto pare i nostri bravi fanatici si divertono anche su Google Maps.»

Non ci fu risposta, perché la porta si spalancò di botto dopo un rapido tintinnare di chiavi.

Si affacciò Hawthorne, il volto rosso quasi quanto i suoi capelli sciolti, un enorme cartone di pizza tenuto sulle braccia tese, l'ansito affrettato e martellante mentre faceva il suo ingresso stravolto nella casa.

«Ha cantato! Oh come ha cantato! La pizza sarà diventata pure fredda, ma la pista è calda, rovente!»

Concitato e pervaso da una scarica imponente di energia, diede una spallata ai battenti della porta che non riusciva a superare. Sbuffò, impaziente, quasi rischiando di far cedere i cardini della sottile porta in legno smaltato. I tre nella stanza ignorarono la sua penosa battuta, osservandolo mentre annaspava per entrare con l'enorme cartone.

«Lavorava in un piccolo negozio di oggetti usati nel centro della città, aveva la sua vita da pastore laico prima che l'ordine lo silurasse per gli eccessi d'alcool; indovinate un po' qual era il nome dell'esercizio?»

Rachel conosceva già la risposta.

«Picklewick And Davencroft.»

Oltre la parete, il vecchio Gillespie urlò il suo sdegno per il rumore scatenato nella stanza affianco.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Amen ***


Per il calendario la primavera era prossima, se non imminente, eppure Glasgow svettava solida e caparbia contro un cielo plumbeo come un fiero gigante risvegliato dal suo lungo sonno. La pioggia batteva copiosa ed incessante sulle automobili e sulla cattedrale di San Mungo che torreggiava a pochi isolati di distanza, la torre gotica che osservava silente ed austera il frenetico cicaleccio della razza umana con solenne distacco.

Rachel alzò lo sguardo, rabbrividendo nel suo pesante cappotto di piuma d'oca. Pesanti gocce d'acqua la accecavano, rendendole il tentativo di scrutare l'insegna del negozio che i quattro avevano di fronte una sorta di straordinaria impresa.

«Proprio quel che stavamo cercando.»

Esordì Nat. Ed era vero, poiché l'insegna in legno con lettere smaltate in un rosso spento recitava quella dicotomia che i quattro investigatori avevano ripetuto nei giorni precedenti sino alla nausea.

«Più facile del previsto, che sia un miracoloso dono del Signore nostro Dio?» Ironizzò Gregory, le mani nelle tasche del giaccone di pelle e il ridicolo e pregno cappello da golf calcato sulla fronte a nascondere la capigliatura rossa scurita dall'acqua.

Le due donne si limitarono a scuotere la testa ignorandolo, affrettandosi sotto la piccola tettoia per evitare di inzupparsi ulteriormente gli abiti. Solo Nathaniel rivolse un'occhiataccia al compagno, come se volesse indicare con una certa, decisa eloquenza quanto fosse inappropriato il suo intervento in un momento del genere.

Hawthorne si strinse nelle spalle, sul volto il sorriso di chi è solito prendere la vita alla leggera, e nel suo caso forse anche troppo.

Non era stato difficile dopotutto scovare la precisa locazione del negozio, un comunissimo esercizio di compravendita di oggetti usati dall'aria placida e anonima, l'idea di cominciare da quello che con buona probabilità doveva essere l'occhio della testa d'aquila disegnata su Google Maps avuta da Rogers si era scoperta infatti vincente.

Non indugiarono sulla soglia, catapultandosi all'interno per sfuggire alla morsa terribile del freddo scozzese e della violenta pioggia che assai spesso scuriva tristemente la volta celeste delle Lowlands.

La campanella sbatacchiò risuonando brevemente mentre richiudevano la porta di vetro e legno dietro le loro spalle, sfregando le mani fra loro o soffiando su di esse per ottenere un po' di calore. Il locale puzzava di vecchio e risultava essere un vero e proprio labirinto di bassi scaffali, vasi dalle più disparate origini ed aggeggi di varia natura, dai comuni telefoni a strani oggetti dalle forme bizzarre. Più che un locale di oggettistica usata, pareva “un bazar dell'usuale e del grottesco”, ed effettivamente il bancone in noce ingombro di ogni possibile cianfrusaglia e la polvere colta nel suo infinito turbinio, colpita dai coni di luce che filtravano dalle due finestre sporche ed opache ai lati della stanza, conferivano all'insieme un aspetto accattivante, misterioso. Ad accoglierli, oltre la rigida armatura completa di due metri corredata di lancia e celata che pareva ammiccare a pochi centimetri dal loro viso, vi era un uomo con curiosi baffetti, spessi occhiali rotondi e una zazzera di corti capelli bianchi, che rivolgeva loro un cordiale ma contenuto sorriso.

«Buongiorno, signori. - La voce era bassa, profonda, come si poteva intuire anche dalla statura non eccelsa e dall'ampio torace coperto da una camicia bianca ed un panciotto oliva. - Lauchlan Maclean Watt umilmente al vostro servizio. - E inclinò di poco il busto in avanti per prodursi in un breve inchino. - Cercate qualcosa in particolare o posso consigliarvi offerte irripetibili direttamente dal catalogo?» Il tono era cortese, e in generale l'individuo non pareva destare sospetto nella mente di Rachel. Forse si trattava della sua gentilezza, o della sua disponibilità, ma nonostante la tensione che inondava come fuoco vivo le sue vene non riusciva a scorgere un ruolo importante in tutta quella storia nella figura del commesso del negozio.

«Amico, siamo qui per … »

Iniziò Hawthorne, ma l'impeto di Nathaniel lo interruppe. Lo sguardo da rapace fisso in quello nocciola, anonimo dell'uomo che avevano difronte.

«Cosa sai dirci a proposito di una setta cristiana che si presume avere sede in questo negozio?»

L'uomo aggrottò la fronte, stringendosi le mani dietro il bacino e puntellandosi sui piedi.

«Temo di non aver ben compreso, signore.»

Le labbra di Nathaniel si incresparono in un sorriso glaciale, che non si espanse anche agli occhi.

«Non un abile mentecatto, pare. Ripeto la domanda più lentamente: cosa sai dirci a proposito della setta di fanatici che ha sede in questo locale?»

«Signore la prego, si calmi, qui non esiste nessuna...»

Ancora una volta, l'uomo di Liverpool fu più veloce. Estrasse la sua Colt 1911 dalla fondina, puntandola contro la testa dell'uomo sbigottito e ora terrorizzato, sfoderando inoltre con la mano sinistra il distintivo dalla tasca sul petto dell'ampio giaccone.

«Non è il momento di nascondersi.» Concluse lapidario.

La tensione ora era palpabile e pareva trasudare dalle pareti e dagli oggetti che invadevano la stanza ricolma. Mclean Watt parve tentennare un attimo, deglutendo e tremando.

«Non so mo-molto, signore, sono un semplice commesso. Alcune persone hanno un accesso privilegiato ad alcune stanze nel seminterrato, signore, ma ho avuto ordine di non entrare mai né di mettere il naso nelle faccende di questa gente. Fa-faccio solo il mio lavoro.» Il tono di voce ora era incrinato, più acuto, il terrore veniva evidenziato in ogni singola parola che con sforzo il commesso pronunciava. Sudore salato scese dall'attaccatura della tempia dell'uomo, scivolando sulla guancia sinistra e perdendosi nel colletto. Erano attimi infuocati, ma i tre oltre Nat mantennero i nervi saldi e un'espressione credibile. Dopotutto, erano giunti fin lì per sgominare potenziali assassini, e non certo per acquistare cianfrusaglie in un negozio esotico e singolare.

«Dov'è l'entrata al seminterrato?»

«Il padrone ha ordinato di chiedere una parola d'ordine a chiunque volesse entrare, mio-mio signore.» Stentava ormai a mettere due parole di senso compiuto in fila, tremante come un cerbiatto accerchiato da lupi famelici e sbavanti.

Il sorriso di Nathaniel si allargò di un infinitesimo mentre silente faceva scattare la sicura dell'arma che impugnava.

«Forse è questa?» Azzardò suadente, riferendosi al suono secco che la sicura aveva prodotto liberando la canna.

Mclean Watt deglutì una volta ancora, silenzioso per qualche attimo, paonazzo in volto.

«Una botola sotto il tappeto, lì, dietro il bancone.»

Rogers ringraziò con un cenno del capo, avviandosi per primo verso la botola sotto lo sguardo basito del commesso, seguito dagli altri tre investigatori.

A primo acchito, le tenebre ammantarono le figure che scendevano cautamente i pioli della scaletta, la scarsa luce che proveniva dall'alto insufficiente per poter rischiarare il seminterrato. Nell'oscurità, le paure di Rachel si moltiplicarono, non tanto per le infantili reminiscenze che sovente tornavano a turbarla, ma bensì per la piega che stavano assumendo gli eventi. Seminterrati bui, sette invischiate nei più efferati delitti, e poi quei sospetti che sussurravano biechi in un angolo remoto della sua mente, rivolti alla donna scozzese che, silente, si affrettava a scendere per ultima le scale. Non era facile mantenere l'auto-controllo, specie quando quattro ore di sonno scarso non erano bastate certo a ricostituire le energie psico-fisiche di intere settimane passate a lambiccarsi il cervello su un caso fantasma che solo ora andava giungendo ad una lenta risoluzione. Qualcuno azionò una torcia, facendo trasalire la donna londinese. Hawthorne ammiccò nervosamente alla sua destra, spostando la pila verso le pareti per comprendere dove erano finiti.

Era una stanza umida, che segnava subito un netto distacco con il negozio locato su di essa. Non vi erano arredamenti di sorta, né nulla che lasciasse ipotizzare a cosa era adibito realmente quel piccolo spazio. Vi era una seconda apertura nella parete di fronte, ed il pavimento era ricoperto da piastrelle di marmo sulle quali giaceva un leggero strato di polvere in cui erano segnate decine di orme, tutte più o meno fresche, che trafficavano dalla botola alla stanza successiva senza un ordine specifico di successione. Evidentemente, l'unico probabile modo per uscire da lì era ritornare nel negozio.

Iniziarono timidamente la traversata di quelle stanze che si rivelarono essere un dedalo interminabile, viaggiando cauti e timorosi nell'oscurità che li avvolgeva e lanciava le sue lunghe, affusolate ombre lungo il percorso della luce della torcia, suggestionandoli al punto che anche il più piccolo dei rumori a parte il ticchettio, in qualche punto imprecisato, dell'acqua nelle tubazioni, facesse trasalire anche il più stolido dei quattro. Erano vicini, assolutamente non intenzionati a separarsi, gli occhi che saettavano lungo le pareti e le porte che affacciavano ad altre stanze.

«Certo che il trucco della pistola e del distintivo funziona sempre. Chi potrebbe mai sapere che non sei disposto a sparare per ricevere semplici informazioni?» Osò esordire sussurrando Hawthorne per stemperare, a suo solito, la tensione che serpeggiava tra gli animi tumultuosi degli investigatori.

«Piuttosto, come puoi essere sicuro che quell'uomo non ci lasci qui a marcire per sempre?»

Tentò di dissipare la nebbia del nervosismo Evelyn.

«Forse voi non avete studiato la botola. Cede facilmente con un paio di colpi ai cardini. Usciremo di nostra spontanea volontà, che il commesso lo voglia oppure no.»

La pronta risposta di Nathaniel la rassicurò. In un certo senso, nutriva gli stessi dubbi che albergavano nell'animo del rosso e della bionda accanto alla sua figura.

Avevano camminato per svariati minuti ed avevano perso il conto dei minuti. Hawthorne si rifiutava di adocchiare l'orologio per paura di ricevere in risposta brutte sorprese sul tempo che scorreva nel cuore della vecchia città scozzese.

Impiegarono diversi altri minuti in un muto peregrinare tra le stanze disposte linearmente, prima di imbattersi nella prima svolta di quella misteriosa indagine. Nell'ultima stanza, la candida parete avanti a loro degradava in un muro di roccia naturale, con un'apertura scavata alla bell'e meglio che portava verso mete ignote ed avvolte nella tenebra. Si fermarono un secondo, vagliando le ipotesi a loro disposizione. Il rumore dell'acqua si era fatto più intenso ora, e la fonte era più o meno chiara nella loro mente. Il silenzio seguitava a tormentare i loro sensi con sussurri ed illusioni di simile natura; ombre che vorticavano ai margini della luce e che assumevano i contorni sfuggenti di un volto nell'immaginario complesso di Rachel la facevano sussultare e rabbrividire, manipolavano la sua essenza, erano menestrelli inesperti alle prese con le prime note strimpellate sulle corde che erano i suoi nervi tesi.

In mutuo accordo, proseguirono all'interno della formazione rocciosa naturale, la differenza di temperatura che ora si faceva sentire, l'umidità che penetrava le ossa, lasciandoli intirizziti e con il cuore in gola. Più si inoltravano nel tunnel di roccia, più l'aria si faceva greve, difficile da inalare. Passò ancora qualche minuto prima che iniziassero ad affiorare le prime tombe dal buio. Nient'altro che loculi apparentemente vuoti delle dimensioni di una bara che si aprivano direttamente sulle pareti, all'altezza del petto e della testa. Non vi era nulla di strano, se non per il tempismo perfetto con cui erano apparse, seminando silenziosamente il panico nel gruppo sotto forma di battiti accelerati ed aritmici nel petto di ognuno di loro. A neanche duecento metri di distanza si presentava ora il primo bivio, nient'altro che una biforcazione scavata nella roccia da mani inesperte. Il bivio a sinistra pareva la chiara continuazione della strada che avevano imboccato, quello a destra era più basso e più stretto.

«Senza indugi, o tutti insieme da una parte o ci dividiamo e ci ritroviamo qui tra dieci minuti.» Propose con determinazione Nathaniel. Si guardarono negli occhi alla luce della torcia, indecisi sul da farsi.

«Negli horror dividersi è sempre la scelta peggiore...» Sussurrò Hawthorne nervosamente, gli occhi azzurri che guizzavano alternativamente sui due tunnel, fin dove la luce poteva lambire le pareti.

Rachel cercò di fare rapidamente due conti. L'idea di dividersi la spaventava, come pareva spaventare del resto anche i suoi compagni. Ma l'idea di poter fronteggiare faccia a faccia Evelyn e poter quindi chiarire i suoi dubbi la allettava, per quanto potesse essere rischioso in quel posto combinare qualcosa del genere. Il vero problema stava in quel che avrebbero trovato più in là, e che lei non era certa di poter affrontare in compagnia di una potenziale infiltrata. No, risolse infine, era decisamente più sicuro proseguire uniti. Avrebbe tenuto le sue domande per sé fino al momento giusto.

La decisione che presero rispecchiava la volontà di ognuno, quindi non vi furono obiezioni quando Nathaniel si avventurò per primo nel tunnel più grande, lasciando che gli altri li seguissero.

Fu una camminata poco tranquilla, poiché il lento stillicidio dell'acqua da qualche parte in quelle catacombe non faceva altro che accrescere la loro ansia.

Lo scenario iniziò a cambiare quando la pavimentazione irregolare e compatta sotto i loro piedi cominciò a declinare, mentre il tunnel si sollevava ampliandosi anche in larghezza, lasciando apparire le prime, baluginanti luci a diversi metri più in basso, oltre la curva.

Rachel si sorprese a tremare, intimandosi mentalmente di riprendere padronanza di se stessa, ricordando che nei suoi numerosi anni di servizio come poliziotta raramente si era fatta prendere dal panico. Questa volta era diverso, perché era alla sua prima vera indagine, e le prove che aveva non erano affatto sufficienti a farla stare tranquilla. Scacciò i pensieri con un cenno veemente del capo, seguitando a camminare.

Guardingo, Nathaniel si sporse, controllando con la pistola puntata chi si nascondesse ove le prime luci comparivano. Si trattava di due file di torce naturali disposte a ridosso delle pareti, ad intervalli regolare di un metro e mezzo circa di distanza, i cui fumi si perdevano in dense volute verso la volta oscura, diversi metri più in alto. Illuminavano i loculi in cui sfavillavano ora diversi scheletri completi, teschi, ossa e candele scarlatte, accese anch'esse. Ma non vi era nessuno nel tunnel, ed ora al ticchettio delle gocce d'acqua si era unito il crepitare sommesso delle fiamme delle fiaccole, che rendeva il tutto ancor meno sopportabile del previsto. Non potevano più parlare ora, non lì dove poteva consumarsi un agguato.

In realtà, pensò Rachel, se davvero qualcuno avesse voluto attentare alle loro vite, l'avrebbe già fatto nell'oscurità completa, ma quelle torce non facevano altro che ricordare quanto vicini potessero ora essere alla meta. Tenne la mano tremante sulla fondina; aveva deciso che in caso di evenienza sarebbe stata la sua ancora di salvezza.

«Pare di essere nelle catacombe della Cattedrale di San Mungo.» Suggerì Gregory a bassa voce, guardandosi intorno. E non aveva torto, poiché interminabili intrecci di tunnel sotterranei estesi per decine di chilometri quadri, scavati sin dall'epoca romana costituivano i sotterranei del più recente luogo di culto. Convennero tutti, almeno in teoria, ma nessuno fece mai cenno ad Hawthorne di essere d'accordo.

Aggrappata com'era all'illusione che un semplice pezzo di metallo potesse davvero metterla al riparo da ogni male, non si accorse delle ombre che ora parevano effettivamente vorticare tra le ombre oltre le fiamme, ma seguitò, dietro Nathaniel che ora pareva avere i sensi pericolosamente in allarme.

«Chi è là?»Intimò, saldo, fermandosi e puntando la Colt nell'ombra.

Evelyn lanciò un urlo isterico quando credette di aver visto un movimento avanti a loro.

Seguì uno schiocco secco, che rimbombò in uno stridio spaventoso lungo l'intera arcata. Rachel voltò lo sguardo, gli occhi sbarrati.

La donna scozzese aveva sbattuto la testa contro la parete in un impiastro sanguinolento, il volto ancora contratto nella morte mentre il suo corpo scivolava esanime in terra.

Fu lì che la situazione sfuggì ad ogni possibile controllo.

Quando si sporse nuovamente, il cuore che rischiava ora di balzare via dalla gola e perdersi per sempre tra le ombre, un altro secco schiocco seguì ad un urlo concitato, mentre Hawthorne si sporgeva per coprire Rachel e veniva scosso in un aspro singulto, mentre cadeva in ginocchio, lo sguardo vuoto ed uno spruzzo di sangue cremisi alle fiamme che zampillava dal largo pertugio nel cranio.

La donna non ebbe più nemmeno il tempo di gridare, tremando, incespicando, gli occhi sbarrati e l'anima persa nel riprodurre le immagini fresche e nitide della morte dei suoi amici, si voltò, abbandonando Nathaniel al suo destino e fuggendo a perdifiato verso il negozio, distante metri e metri. Afferrò una torcia di quelle stipate sulle pareti, abbandonò ogni possibile pensiero lucido e corse, lontano da ogni pericolo, da ogni minaccia, da ogni schiocco possente, che come frusta sferzava contro il suo animo devastato, lasciandola rotta, persa, cancellata. I polmoni cominciarono a bruciare, la torcia che nel freddo vento dei sotterranei rischiava ora di spegnersi al prossimo possente alito, lasciandola nel buio più assoluto e nella perdizione, nella follia. Ansimando ripercorse a denti stretti il percorso, gettandosi d'istinto oltre ogni roccia, ogni masso, la mente svuotata da tutto quello che non era necessario al moto delle sue leve forsennate ed in fiamme per lo sforzo prolungato.

Le parve di impiegare un'eternità, in compagnia del sangue dei suoi amici che aveva anche sporcato per sempre la sua anima, del suo ansito spezzato, della fiamma che piano piano andava estinguendosi, per raggiungere l'ingresso del seminterrato del negozio, sembrava che il tempo si fosse dilatato in una ulteriore dimensione, rallentando i sensi, la percezione, la consapevolezza. Correva perché sapeva di doverlo fare, perché rispondeva ad un atavico impulso di sopravvivenza, della ricerca disperata di una via d'uscita. Non si era preoccupata del fatto che Nathaniel fosse sparito prima ancora che Evelyn cadesse scompostamente in terra, privata dell'anima e della vita da uno schiocco di frusta, da un rimbombo atroce.

Qualcosa urtò contro la sua gamba. La torcia andò a spegnersi sulla roccia umida, mentre urlava e, ignorando il dolore, tentava di mettersi in piedi. Un paio di forti mani la tenne stretta, e lei urlò pazzamente, un suono acutissimo che rischiò di debilitarla, troppo potente perché potesse erompere dalla sua bocca. Cercò di voltarsi, vide il commesso che, inespressivo, la teneva ferma a terra, con presa salda, decisa, autoritaria. In un gesto disperato, lasciò che i muscoli gridassero il loro dolore lancinante, e ogni sua cellula avvampasse come tra le fiamme mentre si opponeva alla forza dell'uomo, le mani tremanti che si avvicinavano alla pistola riposta nella fondina, lontana solo pochi centimetri dalle sue dita tese...

Istanti lunghi secoli, prima di riuscire ad impugnarla, premendo il grilletto alla cieca, ascoltando come lontana dal suo corpo il rumore della carne perforata, del sangue che schizzò contro il suo volto, del gemito di dolore dell'uomo che ora si teneva l'addome, inondandosi le mani di scuro liquido ematico, gettarsi al suolo contro la sua figura, gli occhi che si rovesciarono un'ultima volta, mente lei, terrorizzata si dimenava e si dibatteva per sfuggire a quella morsa, e urlava e si sbatteva graffiando, lacerando, la consapevolezza ormai un lontano ricordo in quel corpo che pareva delicato, ma che adesso lottava per mantenersi in vita, per ricacciare i fantasmi di Hawthorne e di Evelyn che giungevano giù ad attirarla nella spirale oscura della morte.

Un ultimo schiocco nelle tenebre, il mondo che rallentò mentre il proiettile perforava il ginocchio, causando l'immediato abbandono di ogni resistenza. Il dolore passò in secondo piano mentre si accasciava sotto il corpo di Mclean Watt, gli occhi sbarrati, la tragica consapevolezza del mondo che si spegneva, istante dopo istante, chiudendo il sipario sulla sua vita.

Una torcia tornò a sfolgorare a breve distanza. Rachel roteò lo sguardo inondato di lacrime verso quella fonte luminosa, le labbra che tremavano. Ne comparve un'altra, poi un'altra ancora, poi una in più. Una processione di volti inespressivi sfilò dinanzi a lei. Il primo era Nathaniel Rogers, al secolo Nat. Doveva essere un inguaribile pragmatico, si era sempre ripetuta. Il sangue continuava a schizzare sulle vesti, il ginocchio distrutto era un martirio che non aveva prezzo. Lasciò che lo sguardo si posasse in quello del suo amato compagno, incredula, mentre una lacrima scivolava solitaria a lavare il sangue dalle guance della donna.

Le labbra si mossero in un fremito. Nathaniel ricambiò lo sguardo senza mutare quell'espressione glaciale, fredda, letale. Non c'erano scuse da rivolgere mentre soffiava sulla canna. Era lui ad averle sparato. Era lui ad aver distrutto la sua vita in un attimo, fugace e perduto. Le passò avanti, mentre un boato riempiva i tunnel e piccole pietre si staccavano dal soffitto naturale, sfiorandola.

Come se qualcuno avesse attivato il rewind, la consapevolezza tornò a fluire come un fiume in piena nella sua coscienza, colmandola dei collegamenti che a lungo aveva desiderato sistemare, che tanto a lungo avrebbe voluto dispensare a chi chiedeva lei un consiglio, anche solo un sorriso. I suoi neuroni inviarono impulsi potenti, come se fosse urgente ora conoscere l'inutile verità. Ora che tutto era perduto, che il mondo stava per crollarle addosso, aveva finalmente la verità. Sfilavano tutti, uno dopo l'altro, nei loro lunghi abiti scuri. Vi erano i coniugi Dover, impassibili mentre le passavano innanzi, gli occhi persi in una sorta di trance. Avevano Grigio con loro, il cane che salvò San Giovanni e che egli adottò nella sua vita terrena e che divenne il simbolo della lotta contro l'oprressione. San Giovanni Bosco, erede dell'evangelista, disponeva di un cane dallo stesso identico nome, e vi era il sorriso ed il cenno d'intesa che Rachel non aveva considerato, quel giorno, quando Nathaniel l'aveva messa a sedere. Vi era il massiccio uomo che odiava i gay della metropolitana, e subito dietro l'altro dalla barba curata e lo sguardo fisso su di lei, vi era lo sguardo complice di Nathaniel in quella farsa architettata a dovere in una delle più antiche metropolitane del mondo. Vi era il visionario Gillespie, gli occhi vuoti fissi sulla sua figura spezzata, e vi era Nathaniel che affermava di aver controllato egli stesso la stanza da far scegliere ad Hawthorne. Vi era Thomas Gravehill, l'assassino di Flavio Domiziano Kellie-Smith, depositario di verità scomode e fiero oppositore della setta dei Giovannini, orgogliosi latori della parola dell'Apocalisse, fanatici geni dalla insania smisurata. Rasato, come rasato fu San Giovanni quando Domiziano lo riempì di scherno e lo gettò nell'olio bollente. Era lui che doveva sconfiggere il nemico. E poi vi era Nathaniel, il fautore del destino della donna. L'uomo con cui aveva creduto di condividere sogni di eternità, d'amore corrisposto, di un futuro. Lui sapeva già tutto, era l'attore perfetto, il perfetto ammaliatore. Aveva spinto i tre investigatori con idee apparentemente brillanti, con intuizioni geniali, seminando indizi che gli altri avevano prontamente raccolto, fidandosi ciecamente del suo charme da consumato amante. La stava osservando in prima fila, avanti agli altri, appena all'interno del seminterrato del negozio, le mani unite avanti a sé.

Il rombo si fece più vicino.

Il pianto di Rachel era silenzioso. Non era il dolore fisico a scuoterla, ad annullarla, ad immergerla nel nero lago dell'oblio. Era la sua vita perduta. Era il dolore che riguardava quella parte di lei che non accettava che quell'uomo alto e bello e così letale avanti a lei fosse l'uomo che l'aveva condannata a morte. Pianse, senza nulla aggiungere, gemendo nella sua silenziosa agonia.

Il rombo era ormai prossimo. Crollavano le catacombe, crollava la storia, crollava il mondo. Evelyn McGonagall e Gregory Hawthorne erano già morti. Uniti in quel paradossale rapporto di comica unione che li aveva contraddistinti. Un giorno si sarebbero sposati. Un giorno avrebbero avuto la loro vita insieme. Perché era così che andavano le cose nella vita. Prima potevi odiare una persona e ritenerti la sua nemesi. E poi ritrovarti a condividere con la stessa persona le speranze, il futuro, la vita intera, e a spegnerti mano nella mano con l'altro nella vecchiaia, con un sorriso stampato sulla fronte. Oppure poteva succedere l'esatto contrario.

A lei era riservato quel crudele destino. Poiché atea aveva deciso di riporre unicamente il destino nelle sue sole mani e nient'altro. Poiché non aveva valutato quanto lontano potesse spingersi qualcuno ammantato nella sua fede per farti cambiare.

Il rombo era ormai una frana, sentiva già i massi che la seppellivano e sapeva che quei massi non avrebbero raggiunto i membri della setta. Mantenne lo sguardo gravido di lacrime in quello di Nathaniel fino alla fine.

«Che il Signore illumini il peccatore con la sua misericordiosa benevolenza, e possa riportarlo sulla via della luce. In questo, noi preghiamo.»

Amen.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1676708