Froze

di SenBreeze93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Viva ***
Capitolo 3: *** Che cosa sono io? ***
Capitolo 4: *** Perché si soffre? ***
Capitolo 5: *** Uccidere è sbagliato! ***
Capitolo 6: *** Fuggire per lottare. ***
Capitolo 7: *** Nascosti. ***
Capitolo 8: *** Una nuova famiglia. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


 

Daniel continuava a rigirarsi quelle pile di fogli tra le mani. Una montagna di schede erano ammassate sulla sua scrivania, divise in tre colonne.

Ne prese una con fare stanco e aprì la copertina giallognola. Si trovò di fronte l'ennesima foto, l'ennesima faccia comune, come tutte le altre.

Questa volta era un ragazzino. Scorse rapidamente i suoi dati personali a lato della foto: si chiamava Marcus ed aveva appena quattordici anni. Lasciò perdere l'indirizzo, i segni particolari e andò direttamente sul riquadro in basso a sinistra timbrato in rosso. Un'unica parola: fallito.

Daniel sbuffò e gettò la cartella sulla pila di destra, vistosamente più alta di quella centrale.

Un altro esperimento fallito, un altro ragazzino morto. C'era qualcosa che non andava. Stavano sbagliando qualcosa... ma cosa? Come si poteva fare in modo che le cavie sopravvivessero a un cambio genetico tanto spaventoso?

Se metà moriva per il dolore, l'altra metà non superava nemmeno l'intervento.

Un decennio prima, al contrario, le cose filavano lisce. Quasi tutte le cavie erano sopravvissute, ma quel metodo ormai l'aveva stufato. Certo, creare cyborg era divertente, ma voleva provare qualcosa di nuovo, qualcosa che fosse definitivo. E cos'era più definitivo di una trasmutazione genetica?

I cyborg non invecchiavano, ma bastava che un fusibile saltasse per renderli inutilizzabili. Alcuni erano arrugginiti e non muovevano più le articolazioni, ad altri avevano staccato i circuiti del cervelletto nel sonno, mentre altri ancora semplicemente avevano mandato in tilt il sistema a causa di uno sforzo esagerato.

Ma ora non sarebbe più successo. Era riuscito a recuperare materiale radioattivo da Nettuno e Urano, dove nessuno era mai riuscito ad arrivare.

Aveva raccolto in un unico posto tutti gli scienziati più geniali del pianeta e li aveva collocati in uno stabilimento costruito niente meno che sulla Luna, là dove il sole non illumina mai.

A Daniel i soldi non mancavano e di certo non era abituato a non ottenere ciò che voleva.

Era riuscito a mandare in tilt il sistema di Wall Street e a scaricare sul proprio conto miliardi e miliardi di dollari e sterline.

Era riuscito a impadronirsi di una sezione speciale del F.B.I. e a corrompere un giusto numero di ingegneri della NASA.

Il tutto era semplice e Daniel non vedeva dove potessero stare i problemi che di tanto in tanto gli arrivavano all'orecchio da dipendenti insoddisfatti.

Ma non era questo il punto: aveva trovato del materiale altamente radioattivo, sconosciuto alla tabella degli elementi e a ogni sorta di catalogazione. Le radiazioni emanate erano più dannose e pericolose dei raggi cosmici, ma aveva constatato, esponendovi una semplice rosa, che erano anche in grado di mutare la consistenza di un essere vivente, vegetale o animale che fosse. La rosa infatti era divenuta di puro ghiaccio, e mai più si fu sciolta, anche sotto a temperature elevate.

Aveva fatto esperimenti con animali, dai porcellini d'india alle mucche.

Solo il 2% aveva superato l'irradiazione ed era diventato estremamente pericoloso, perché incapace di controllarsi.

Solo allora Daniel e gli scienziati compresero che se esisteva un essere in grado di controllare questo nuovo corpo modificato, quello era l'uomo.

Fu così che cominciarono a sottoporre persone all'esperimento. Se in un primo momento solo individui interni all'associazione, poi, visto il numero elevatissimo di perdite, si passò a prelevare qualcuno dall'esterno.

Prevalentemente ragazzi, quelli con il corpo più resistente. C'era stato un tentativo su qualche bambino dai sei ai dieci anni, ma come previsto non ce ne fu uno che superò l'intervento. Nessuno aveva ancora sviluppato a dovere le proprie autodifese e non c'era possibilità che reggessero alla trasformazione.

Con i ragazzi c'erano invece buone possibilità. Su duecento, circa un quinto era sopravvissuto e obbediva ciecamente agli ordini impartitogli.

Così si scoprì che, dopo l'operazione, ogni ragazzo aveva avuto una specie di reset mnemonico. Era come se nascessero per la seconda volta, completamente ignari di ciò che fossero o che li circondava, dimentichi della loro vita precedente. Lì le persone morivano e rinascevano a nuova vita.

Era facile farli propri burattini, freddi automi senza sentimenti capaci solo di ubbidire, ma ogni tanto c'era qualcuno in grado di opporsi. Quei qualcuno cominciavano a prendere coscienza di ciò che erano e di cosa stavano facendo, si chiedevano cos'era il bene e cosa il male, si ribellavano... e a quel punto venivano soppressi e targati come “esperimenti falliti”.

Ogni volta era una sofferenza per Daniel. Già ce n'erano pochi e se era costretto a ucciderne uno ogni sei, il numero sarebbe calato ulteriormente.

Ultimamente aveva voluto apportare delle modifiche alle irradiazioni, volendo aumentare il flusso con cui la persona veniva colpita. Da un lato, il risultato sarebbe stato quello di avere un “modificato” nettamente più forte e pericoloso degli altri, ma dall'altro il rischio di insuccesso saliva al 99%.

Fino ad allora solo uno aveva superato con successo la trasmutazione: un ragazzo sui vent'anni a cui era stato attribuito il nome di J89xy, il miglior collaboratore che avesse mai avuto. Anche se aveva avuto consapevolezza di sé, non si era ribellato e continuava ad ubbidire e l'avrebbe fatto fino a quando avesse avuto un tornaconto personale. Daniel si sarebbe occupato personalmente che questo non gli venisse mai meno.

Ma Jay era stato l'unico. Il resto era stato un insuccesso dopo l'altro.

Sopravvivevano soltanto coloro sottoposti al flusso standard, ma anche quelli erano molto pochi.

Daniel scorse ancora un paio di cartelle e, visto che entrambe erano esperimenti falliti, smise di controllare e si alzò in piedi, stiracchiandosi. La schiena gli scrocchiò e subito provò sollievo. Guardò l'orologio a pendolo: erano le sette di sera. Era lì da sei ore esatte.

Si strofinò la schiena e si scorse rapidamente allo specchio: i capelli brizzolati erano ancora nella stessa posizione in cui gli aveva lasciati, ossia gellati e pettinati all'indietro, ben aderenti al cranio. Il pizzetto era lievemente scompigliato a causa del suo continuo strofinarlo, ma non era un problema. Così messo in giacca e cravatta provocava negli altri una sorta di reverenziale ammirazione. Questa cosa lo compiaceva parecchio.

Bussarono alla porta con insicurezza. Quel tipico modo di bussare poteva essere solo di una persona. Sospirò infastidito e la invitò ad entrare.

La maniglia girò e dalla porta fece capolino un uomo smilzo e canuto, in camice da laboratorio. Non aveva mai visto una faccia più magra di quella, pareva quasi uno scheletro.

    • Sbaglio o sei dimagrito ancora, Wilson? – gli chiese cordialmente, ma l'uomo tremò.

    • Mi auguro di no, signore. Le radiazioni a cui ci esponiamo ogni giorno durante gli esperimenti ci sfiancano... –

Se voleva muoverlo a compassione non ce l'avrebbe mai fatta. Quelli non erano fatti che lo riguardavano.

Fece un gesto d'impazienza con la mano e alzò lievemente il tono della voce.

    • Spero tu non sia venuto a disturbarmi solo per lamentarti. –

Con soddisfazione vide l'uomo sbiancare completamente e assomigliare molto a un fantasma con gambe e camice bianco.

    • No, signore. Ero venuto a portarle queste. – gli porse tre nuove cartelle del monotono giallo scuro.

    • Se sono altri fallimenti, evita di darmeli. Mi fai perdere solo tempo. –

    • Oh no signore. Questi tre ragazzi non sono ancora stati sottoposti a niente. Sono appena stati trovati tra le strade di Londra e portati qua. Due non sono altro che poveracci di strada, mentre l'altra, a giudicare dall'abbigliamento, dev'essere una ragazza benestante, frequentatrice del college. –

    • Una ragazza? –

Si fece passare la sua cartella e ne osservò attentamente la foto.

L'espressione del viso la diceva lunga: spaventata dall'improvviso rapimento e confusa. Come tutti gli altri, del resto.

Non aveva avuto molto spesso ragazze come cavie e le poche che c'erano state non erano sopravvissute. Questa era una novità. Ne osservò il viso gentile, gli occhi nocciola grandi come fanali e i lunghi capelli rosso fuoco. Una cavia così carina non capitava molto spesso.

All'improvviso la volle al suo fianco, come J89xy. Sarebbe stata la seconda “modificata” più potente e l'avrebbe avuta sempre affiancato. Di giorno... come anche di notte. Se questo era il suo ordine, lei non avrebbe potuto rifiutarsi.

    • Sottoponila al flusso aggiuntivo. –

    • Ma non abbiamo mai provato su una ragazza. Hanno una composizione diversa rispetto a quella maschile... –

    • C'è sempre una prima volta. –

    • Mi spiace ma devo dissentire. –

Daniel chiuse gli occhi spazientito. Odiava essere contraddetto. Restituì la cartella a Wilson e lo fulminò con la sua occhiataccia migliore.

    • Mettiamola così. – gli sibilò – Se la ragazza muore, tu la seguirai. La voglio viva. Questa volta niente giustificherà un insuccesso. E non voglio obiezioni. Il mio non è un consiglio. È un ordine. –

I loro visi erano ormai uno a un soffio dall'altro. Wilson si dovette sentir mancare, perché indietreggiò, aggrappandosi alla maniglia della porta. Balbettò un incerto “agli ordini” e schizzò via, tremando come se avesse avuto le convulsioni.

Soddisfatto del risultato che era riuscito a ottenere, Daniel si rimise seduto alla scrivania, poggiandoci sopra i piedi. Dopo una minaccia del genere, era sicuro che lo scienziato si sarebbe impegnato il doppio, o forse addirittura il triplo del solito.

Un successo era d'obbligo.

Attivò il viva voce del telefono e schiacciò uno dei tasti. Dopo neanche un secondo, rispose la voce squillante della segretaria. Le diede un semplice ordine.

    • Mandami Sienna. –


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Capitolo 2
*** Viva ***


Viva.



 

Freddo. La prima cosa che percepì sotto di sé. Perché era freddo il termine giusto, vero?

Era coricata su qualcosa di ghiacciato: una sensazione spiacevole che la costrinse ad aprire gli occhi. Non riuscì a distinguere niente, solo una fitta nebbia. Sbatté le palpebre per cercare di mettere a fuoco qualcosa, ma il risultato non fu immediato.

Quando provò a muoversi non ce la fece. Una sensazione bruttissima la percorse, facendola gemere. Sgranò gli occhi a quel suono.

Che cos'era? All'improvviso, un flash le attraversò la mente e la parola le balzò in testa come la più semplice e scontata: voce. Quella era la sua voce. E la brutta sensazione che aveva provato era il dolore.

Qualcosa di freddo la toccò appena sotto il collo, sulla... spalla. Piano piano i termini le riaffioravano alla mente, come tante goccioline calde che la facevano sentire un po' meglio.

Guardò in quella direzione, constatando che la nebbia che vedeva se ne stava poco a poco andando. Di fronte a lei, china, vi era una strana figura, avvolta in qualcosa di bianco e con il viso metà coperto.

Corrugò la fronte e ispezionò meglio il luogo in cui si trovava: tante altre figure identiche all'altra la circondavano. Che cos'erano?

Ruotò la testa verso sinistra e il suo sguardo incrociò quello di una figura simile alle altre, ma un po' diversa. Tanto per cominciare non indossava niente e i suoi occhi (ecco come si chiamavano) erano di un rosa acceso.

Anche lei era sdraiata. Aprì piano la bocca e vide l'altra fare lo stesso.

Allora sollevò il... braccio e la cosa si ripeté. Fu allora che le venne la folgorazione: quella che vedeva era lei, l'immagine di sé stessa. Era il suo... riflesso. Certo, la parola giusta era riflesso!

Il suo corpo era identico a quello delle figure in piedi. Braccia, gambe, mani, piedi... persone. Ecco cosa.

Sentì la presa fredda stringersi ancora di più sulla sua spalla e questo bastò per farla voltare. Incrociò lo sguardo attento di quell'individuo mezzo nascosto dietro a bardature bianche e quello le disse qualcosa.

Sentì la voce risuonarle attorno, ma non riuscì a focalizzare le parole, solo una specie di eco indefinito. Corrugò la fronte e vide l'uomo scuotere la testa.

Un altro si fece avanti e l'afferrò per le braccia, obbligandola a mettersi seduta sul tavolo freddo. Ecco cos'era! Tavolo. Acciaio. Freddo. Tutto combaciava nella sua testa, anche se lei non ci stava capendo un granché.

Il secondo uomo alzò una mano e gliela passò davanti agli occhi. La cosa più naturale che riuscì a fare fu quella di seguire la mano andare avanti e indietro. Poi, la stessa mano le afferrò il mento, tenendole ferma la testa.

Con l'altra premette un dito contro un bastoncino lucido e quello iniziò a emanare una forte luce bianca. Torcia.

Gliela passò davanti e la puntò prima su un occhio e poi sull'altro, continuando così per altre tre o quattro volte.

La mollò e prese un altro bastoncino, che passò ripetutamente su qualcosa di bianco. Biro. Foglio.

Ora che la vista era tornata del tutto, anche l'udito stava migliorando.

Riusciva a sentire distintamente le voci e a capire da chi provenisse una e chi dall'altra. Riuscì anche a carpire qualche parola, che immediatamente attivò il suo cervello. Alla fine riuscì a darle un senso: gli organi visivi funzionano.

Si guardò di nuovo attorno, questa volta con più interesse. Era una stanza larga e quadrata, totalmente in acciaio. Anche i mobili erano in metallo.

Registrava ogni cosa che il suo sguardo incontrava e immediatamente il cervello riusciva quasi sempre a darle una parola da attribuirle.

Scaffale. Carrello. Ripiano. Specchio. Muro. Soffitto. Pavimento.

Di nuovo uno degli uomini le si piazzò davanti e le disse qualcosa. Dopo un po', riuscì a focalizzare: riesci a capirmi?

Una sola cosa le venne naturale da fare. Piegò la testa prima in avanti e poi indietro, per un paio di volte. Annuire.

Di nuovo quello si mise a scribacchiare su un foglio e di nuovo disse qualcosa: organo uditivo a posto.

Decise di ignorare quegli strani uomini e si concentro più su di sé. Era completamente nuda e aveva freddo. Seppur meno di prima. Ora si trovava molto più a suo agio.

Si osservò il petto, da cui sporgevano due rigonfiamenti. Seno.

Agitò i piedi e li osservò muoversi stupita. Fece lo stesso con le mani e ne osservò con meraviglia e interesse tutti i pori, i piccoli peli, i tendini che si muovevano allo stesso ritmo con cui lei voleva muovere le dita.

Quando voltò di scatto la testa sentì qualcosa di setoso e morbido frusciarle su schiena e spalle. Curiosa, spostò lo sguardo e vide lunghissimi filamenti sottili, di un azzurro pallidissimo, quasi luminoso.

Tirò una manciata di questi e un lieve dolore le attanagliò un punto sulla nuca. Erano collegati ad essa. Quelli erano i suoi... capelli.

    • K93xx. –

Non seppe perché, ma nell'udire quella strana sfilza di lettere e numeri, si voltò automaticamente verso chi l'aveva pronunciata.

    • Alzati. –

Di nuovo un ordine. Si voltò verso il bordo del tavolo e vi fece scorrere le gambe nude. Il freddo era ormai un ricordo. Ora stava benissimo. Fece leva con le braccia e toccò il pavimento in acciaio con i piedi scalzi. Una lieve sensazione di fresco, per un istante, poi più niente.

Ora era ritta sulle due gambe, come gli altri.

Le fecero fare qualche passo per la stanza, per testare le sue abilità motorie, poi la fecero parlare. Doveva dire qualcosa, qualsiasi cosa.

Proprio mentre stava per aprire bocca, una sgradevole sensazione le attanagliò la pancia. Una sensazione di vuoto, seguita da un rumoroso gorgoglio. Le parole le uscirono dalle labbra senza che se ne accorgesse.

    • Ho... fa..me... –

Le aveva dette con un accento strano, un po' insicura. Non sapeva bene come dovesse dirle. Ma una cosa l'aveva notata: al contrario di quando avevano parlato loro, quando lei aprì bocca, una nuvoletta bianca era uscita insieme al respiro, fredda come il ghiaccio. Si soffiò allora sulla mano e la ritrasse di colpo quando la sentì ghiacciarsi all'improvviso.

Perché il suo respiro era tanto gelido?

Gli uomini la circondarono e tre di loro l'afferrarono per i polsi e le braccia, tenendola ferma. Il quarto le puntò addosso uno strano tubo bianco, che finiva con un beccuccio metallico a imbuto.

Confusa, cercò di liberarsi e notò che, seppur avesse mosso le braccia con estrema leggerezza e sebbene fosse notevolmente più bassa di loro, i tre individui avevano rischiato di cadere, gemendo dallo spavento.

Stupita, si bloccò, rimanendo immobile a fissarli.

Non se ne accorse subito, ma quelle persone avevano approfittato della sua distrazione per fare qualcosa: quelli che la tenevano ferma si erano dileguati e quello con in mano il tubo aveva tirato una specie di leva. Dal beccuccio fuoriuscì con estrema velocità un'ondata bianca che diffuse una fredda nebbiolina tutt'intorno.

Il getto la investì in pieno, ma riuscì solo a farla barcollare leggermente.

Tanti piccoli pallini le picchiettavano sopra la pelle nuda. Alzò lo sguardo infastidita, fino a incrociare gli occhi sgranati e stupefatti degli uomini.

Alzò allora una mano e la parò davanti a sé, afferrando a velocità impressionante qualcuno di quei pallini fastidiosi. Se lo rigirò fra le mani: era bianco, lucido e un po' trasparente. Il nome le affiorò prima alla mente e poi sulle labbra.

    • Ghiaccio... – sussurrò e ancora una nuvoletta di condensa si formò nell'aria.

Il getto si interruppe all'improvviso e stranamente Kay si sentì quasi rinvigorita. Le caddero gli occhi su una ciocca di capelli e vide che si era illuminata di un azzurro intenso, non più slavato. Si sentiva fortissima e ogni grammo di debolezza e dolore era sparito del tutto.

    • Impressionante. – commentò uno degli uomini in camice bianco – Questo getto avrebbe dovuto spazzare via un muro. E poi viene solitamente usato per refrigerare i macchinari surriscaldati... –

La ragazza capì la metà di quello che aveva appena sentito, ma non le diedero nemmeno il tempo di ragionarci. La fecero sedere nuovamente al tavolo d'acciaio e le puntarono uno strano tubetto di ferro all'avambraccio destro. Quando premettero un pulsante talmente piccolo da essere quasi invisibile, dal beccuccio uscì un raggio blu sibilante, che passarono sulla sua pelle, in contorni ben definiti, quasi volessero scrivere qualcosa.

Quando spensero il laser, una sottilissima striscia bianca luccicante disegnava uno strano simbolo sulla sua epidermide.

Lo guardò stranita e posò nuovamente lo sguardo su quegli strani individui. Ne vide uno afferrarle il braccio e avvicinare alla parte marchiata una... siringa. Conteneva un liquido blu intenso e luccicante, quasi fosse costituito da tanti piccoli cristalli. Con quello le bucarono la pelle... o almeno, ci provarono. Perché lo spillo di ferro si ruppe.

Allora, dopo aver mormorato qualche parola incomprensibile, se ne avvicinò un secondo, questa volta con un arnese ben più grande e metallico. La forma le ricordava vagamente qualcosa.

Socchiuse gli occhi e, mentre lo appoggiavano sul suo braccio, un flash le attraversò la testa: pistola.

D'istinto sottrasse il braccio, balzando in piedi sul tavolo con uno scatto inumano. Talmente veloce che i dottori la guardarono spaventati.

    • No! – gridò lei.

Non sapeva bene il perché, ma sentiva che doveva avere paura di quell'oggetto. Ne aveva il terrore. Un'altra scoperta. Paura. Una sensazione sgradevole che è capace di paralizzare il corpo o farti fare ciò che non vorresti. La mente isolò il resto della sala, concentrandosi solo sulla pistola. Questo poteva essere un problema, perché se qualcuno si fosse avvicinato a lei non se ne sarebbe neanche accorta.

    • Calma. Non vogliamo farti del male. – le disse uno scandendo bene le parole.

Ma lei non si mosse.

    • Pis...pistola. Pericolo. – mormorò.

Il dottore parve spiazzato. Poi guardò ciò che aveva in mano e rise.

    • No, non è una pistola. Serve per le iniezioni. K93xx, vieni. –

A quelle ultime parole non poteva sottrarsi. Si chinò, saltò giù dal tavolo e si risedette dov'era prima. Di nuovo le fu appoggiato al braccio quell'arnese e, quando il grilletto venne premuto, sentì un forte pizzicotto al braccio e un qualcosa di estremamente caldo riversarsi sotto la sua pelle.

Guardò allora che cosa le stesse succedendo e notò che il segno lasciato dal laser si stava riempiendo di quel liquido blu che aveva visto prima.

Anche sotto la pelle continuava a brillare sommessamente, espandendosi fino a riempire i contorni del simbolo. Nel suo cervello qualcosa si attivò e all'improvviso riconobbe il simbolo che le avevano appena marchiato addosso: una K.

La fecero alzare, di nuovo, e l'avvolsero in uno di quei camici bianchi che lì dentro indossavano tutti.

Si avviarono verso un grosso ritaglio sulla parete metallica (porta, giusto?) e l'aprirono.

Lo scenario non cambiava di molto. Ancora tutto metallico, d'acciaio. Un gruppo numerosissimo di persone identiche a quelle che erano con lei lavoravano tra strani macchinari e tavoli vari.

Alla sua destra, alcuni stavano buttando in un tunnel dei lunghi e grossi sacchi neri contenenti chissà cosa, altri lavoravano su alcuni corpi inermi e con gli occhi spalancati. Non seppe perché, ma quella visione la turbò non poco, obbligandola a distogliere lo sguardo.

Un dottore le posò la mano sulla spalla e la spinse verso una lunga scalinata ferrosa, che portava dritta verso una porta dell'analogo materiale.

Salirono in silenzio, senza degnare di uno sguardo nessuno e varcarono la soglia.

Una stanzina bianca, quadrata, che al posto della parete opposta alla loro, aveva un grande pannello di... plastica.

I dottori si tolsero i camici e premettero un pulsante rosso. Il pannello incominciò a salire, svelando un mondo totalmente diverso da quello che aveva appena visto.

I colori predominanti erano l'oro e il rosso, tutto tappezzato di moquette e non. Pareti rosse ricamate in oro, con splendidi... candelabri a tre teste.

Il pavimento era coperto di un soffice tappeto rosso che smorzava il rumore dei loro passi e il soffitto era dorato.

La ragazza fece frusciare i piedi sulla morbida moquette e percepì una temperatura di gran lunga più calda di quanto non fosse prima.

Camminarono per parecchio, allontanandosi sempre di più dal luogo in cui era appena nata. Svicolarono per diversi corridoi, fino a raggiungere una porta in mogano. Sopra vi era inciso un numero: 402.

Il più alto degli uomini, uno pelato, infilò un pezzo di ferro (chiave) nella parte metallica della porta (serratura) e la girò per un paio di volte.

Quando aprì la porta, la fece entrare per prima, consegnandole la chiave che aveva appena usato.

    • Questa è la tua stanza. Resterai qui fino a quando non arriverà qualcuno a chiamarti. Hai capito? –

Annuì.

I dottori la guardarono per qualche istante, poi si voltarono e si richiusero la porta alle spalle.

Sola. Silenzio, interrotto solo dal rumore sommesso e ritmico del suo respiro.

La stanza era grande e rettangolare, con i soliti colori tendenti all'oro e al rosso. Alla sua destra c'era un grosso letto, con a fianco un comodino in mogano e quello che sembrava un... ripiano da toeletta. Il termine le venne in mente così, naturalmente, facendola sorridere.

Non seppe come mai, ma la vista di quel mobile la faceva sentire leggera, le veniva voglia di sorridere e anche di... ridere. Felicità. Lei era felice.

Si sentiva strana, ma la cosa le piaceva molto. Si avvicinò alla specchiera e si sedette sullo sgabello in mogano e cuscino rosso. Ora poteva osservarsi meglio: il suo viso era ben levigato e di forma tonda; gli occhi erano davvero grossi e la pupilla sfavillava di un bel rosa acceso e vivace, mentre i capelli.... erano davvero lunghissimi. Se li accarezzò distrattamente, ammirandone la lucentezza e tastandone la setosità.

A separarli in due bande ben definite era una riga al centro del cranio, che fungeva da divisore. Solo una ciocca, più corta delle altre, le ricadeva sul viso, coprendole per metà uno degli occhi e solleticandole il naso. Se la portò dietro all'orecchio con una mano, con un gesto naturale che le venne automatico.

Guardò a terra e notò che, quando era seduta, i filamenti azzurrini si raggruppavano a terra, come una soffice sciarpa di seta.

Tornando alla propria immagine riflessa, notò quanto fosse bianca la carnagione e di come riusciva a ghiacciare il vetro con il respiro se si avvicinava troppo.

C'erano parecchie cose che non le tornavano, ma non le importava al momento.

Un suono secco e ritmico risuonò dalla porta. Qualcuno stava bussando.

Scattò automaticamente in piedi e attese che la porta si aprisse. La maniglia girò, scostando la porta e facendo largo a una figura slanciata.

Nell'anatomia del corpo, questa figura assomigliava di più a lei: era una donna.

La giovane signora si guardò attorno, finché non la trovò. Le rivolse allora un sorriso cordiale, che Kay non poté non ricambiare, seppure in modo più timido e insicuro.

    • Tu sei Kay? – le chiese la donna.

    • K93xx. – le rispose lei. Non sapeva che quello fosse effettivamente il suo nome, ma le venne naturale dirlo.

L'altra sorrise – Facciamo Kay, per abbreviare, ti va? –

Kay annuì lievemente, sorridendo appena e abbassando lo sguardo. La donna le si avvicinò, presentandosi – Io sono la professoressa Sienna. Sarò la tua tutrice d'ora in poi. –

    • Tut-tutrice? –

    • Mi prenderò cura di te. –

Questa volta la risposta era chiara. Kay si sentì un poco tranquillizzata, ma non di tanto. Almeno adesso sapeva di avere qualcuno che le avrebbe detto che cosa fare e non sarebbe stata costretta a restare sola in quella stanza.

    • Oh, buon dio! Ma hai solo il camice indosso? Ah, quegli scienziati non hanno un minimo di buon senso! –

Esclamò, avviandosi verso un angolo della stanza, dove aprì una porta scorrevole che rivelò un intero armamentario di vestiti.

    • Scienziati? –

Questa volta Sienna la ignorò, continuando a frugare tra i vestiti.

Kay non aveva la minima idea di come si dovesse vestire una donna e per capirne qualcosa, osservò ciò che indossava la signora. Era tutto beige, a partire dal gilè a maniche lunghe e finendo con la stretta gonna lunga fino al ginocchio. Anche le scarpette con il tacco erano dello stesso colore. I capelli castani erano stati raccolti in un'elegante chignonne fermata da qualche molletta e ad aggiungere un tocco di stile c'erano un bel paio di occhiali rettangolari dalla montatura tanto sottile da sembrare inesistente.

    • Trovato! –

Sienna si raddrizzò, stringendo tra le mani qualcosa di fucsia e qualcosa di azzurro.

    • Sei una ragazza e quindi il tuo abbigliamento dev'essere giovanile, non da vecchia befana come me. In più è in tinta con i tuoi occhi... e anche con i capelli. –

Le porse il vestiario, ma, vedendo la faccia spiazzata di Kay, rise e sospirò.

    • Va bene, ti aiuto io, ma tu vedi di imparare, ok? –

Aveva degli splendidi occhi color sabbia, screziati di marrone e verde.

Rimase incantata a fissarle gli occhi anche quando le tolse il camice di dosso, rimettendola nuda.

Stava per porgerle quelli che sembravano pantaloni in pelle rosa, ma fece una smorfia e ritornò all'armadio.

Quando tornò, reggeva qualcosa di piccolo e bianco con un fiocchetto viola davanti.

    • Delle mutande...? – chiese Kay osservandole.

    • Certo! Non vorrai metterti i pantaloni senza queste, vero? –

Non sapendo bene che cosa stava facendo, Kay scosse la testa, facendosi infilare l'indumento.

    • Aspetta... qui ci vuole anche un reggiseno... a occhio e croce direi che va bene una seconda misura... o forse anche una terza... boh, vediamo... –

Tornò dall'ennesima esplorazione con due fasce, una bianca e l'altra nera, la seconda sembrava più larga.

Le fece indossare quella bianca, ma vedendola trattenere il respiro, Sienna optò per quella nera.

    • Meglio la terza, allora. –

Le allacciò la fascia e le tolse le spalline, ritenendo che non stavano bene con quello che voleva farle mettere.

Le mise i pantaloni fucsia: erano in pelle lucida ed estremamente attillati, anche se sul polpaccio si allargavano a zampa di elefante.

Poi venne il momento di quello che sembrava un top azzurrino molto strano: era stato cucito e tagliato in modo che prendesse motivi a nuvola.

Infatti, quando lo ebbe indosso, notò che l'ombelico rimaneva completamente scoperto, come anche l'incavo tra i seni, al contrario dei fianchi e della schiena, che restarono del tutto coperte.

    • Sai, non è un caso che io abbia scelto questi vestiti. – la informò Sienna.

Le allacciò insieme top e pantaloni tramite un paio di cinghie poste sui fianchi. Ora Kay capiva cosa intendeva: erano fatti apposta per stare insieme.

Fu stupita di quel pensiero. Lei non ne sapeva nulla di vestiti e roba varia, allora perché tante informazioni le balenavano alla mente così, dal nulla? Forse tutto era dovuto al fatto che fosse donna?

Sienna si allontanò, considerandola con sguardo critico, poi sorrise e le porse un'ultima cosa, che Kay, questa volta, riconobbe al volo: scarpe.

Erano nere con decorazioni gialle, di quelle da ginnastica. Non avevano lacci, ma solo un elastico interno che faceva aderire subito la calzatura al piede.

    • Guardati allo specchio. Che te ne pare? Ora va meglio, no? –

Kay ubbidì, piazzandosi davanti a quella superficie riflettente. Quel che vedeva era una ragazza, alta più o meno 168 centimetri, con lunghi capelli che le sfioravano le caviglie e con un raggiante sorriso sul viso. Un sorriso che non si era nemmeno resa conto di fare.

Ora si riconosceva davvero. Era viva!



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Capitolo 3
*** Che cosa sono io? ***


Che cosa sono io?









 

Quella notte Kay dormì da sola, nell'enorme lettone dalle coperte bordeaux. Il materasso era talmente morbido che il suo corpicino ci sprofondava, letteralmente.

Quando Sienna le aveva detto di dormire, lei non aveva ben capito cosa dovesse fare. Così, l'aveva messa coricata e l'aveva coperta con i vari strati di lenzuola e piumini. Le aveva detto di chiudere gli occhi e di rilassarsi e lei aveva ubbidito. Dopo un po' i sensi si erano affievoliti e Kay era sprofondata in un sonno ristoratore caldo e confortante.

Si svegliò quando un occhio le venne colpito da un raggio luminoso.

Alzò allora le palpebre, sbadigliando e stiracchiando gli arti indolenziti, si stropicciò gli occhi e guardò cosa l'aveva svegliata. Da un'apertura sul muro che la sera prima non aveva notato (finestra) filtrava un raggio luminoso che sfuggiva alle pesanti tende dorate.

Un rapido flash le ricordò che cos'era quella luce: il sole.

Si alzò a sedere e sollevò le braccia al soffitto, tirandosele per bene, fino a quando l'intero busto non fu pervaso da un flebile piacere. Solo allora le lasciò cadere, guardandosi attorno.

La stanza non era per niente diversa dalla sera prima, anche se sotto una luce diversa da quella dei candelabri elettrici ai muri.

Allontanò le coperte, alzandosi e andando a scostare le tende. Voleva vedere che cosa c'era fuori. Se c'era qualcosa di diverso.

Ciò che vide la spiazzò: un immensa distesa grigia, costellata di baracconi metallici.

Tutto asfalto, con qualche magazzino qua e là e... automobili. Il tutto racchiuso da un altissimo recinto che si intravedeva in lontananza. Si ricordava di quasi tutto ciò che vedeva.

A giudicare dalla vista che aveva, doveva trovarsi parecchio in alto...

Distolse lo sguardo e si ricordò di avere indosso soltanto l'intimo. Si affrettò allora a vestirsi, ricordandosi i movimenti di Sienna la sera prima e scoprì che le riuscivano facili e naturali, come se l'avesse sempre fatto.

Quando ebbe finito, si sedette sul letto ad attendere l'arrivo della professoressa, tenendo le mani congiunte sulle gambe.

 

Finalmente bussarono alla porta e Kay balzò in piedi, attendendo che entrasse Sienna. Quando la vide spuntare da dietro la superficie legnosa le venne da sorridere.

    • Hai dormito bene? – le chiese la donna.

Kay si limitò ad annuire. Non le era ancora ben chiaro il meccanismo di comunicazione con le altre persone, ma faceva del suo meglio. Magari Sienna glielo avrebbe spiegato...

La donna le si avvicinò e, sorridendo, le passò una mano sulla testa.

    • Sembra che tu abbia dormito a testa in giù. Guardati! –

Sorpresa da quella frase e non capendone il senso, ubbidì, voltandosi per specchiarsi. Sgranò gli occhi quando vide i suoi capelli: la lunga distesa setosa era ormai un ricordo! Sembrava davvero che avesse dormito alla rovescia!

Ogni capello andava in una direzione diversa e il tutto pareva più che altro un cespuglio di rovi.

Si passò una mano sulla nuca, non capendo cosa fosse successo. Fu allora che Sienna rise divertita.

    • Calmati, si sistema tutto! È normale essere spettinati quando ci si alza dal letto. –

La fece sedere allo sgabello del mobile da toeletta e estrasse un oggetto da un cassetto. Aveva un'impugnatura gommosa e una seconda parte con tantissimi dentelli. Sorrise nel ricordare il nome: spazzola.

    • Dai, vieni qui. –

Le andò alle spalle, ma Kay riuscì comunque a seguirne i movimenti attraverso l'immagine riflessa allo specchio. Sienna faceva andare su e giù la spazzola sui suoi capelli e ad ogni passata, una massa di ciocche si raddrizzava sconfitta.

    • Che cosa dici, devo farti una treccia? Sono talmente lunghi che sennò ti potrebbero dare fastidio... –

Di nuovo Kay annuì con un mezzo sorriso. Osservò con attenzione e interesse le mani della donna mentre le intrecciava i bellissimi filamenti zefiri. Quando fu infondo, prese un nastro rosa dal ripiano in mogano e lo annodò fino ad ottenere un fiocco perfetto.

    • Ecco fatto. Ti piace? –

Kay si osservò, piegando la testa prima a sinistra e poi a destra. Sì, le piaceva moltissimo! Anche se c'era la solita ciocca più corta che le ricadeva su occhio e naso.

    • Sì, grazie. –

A quella frase, entrambe si irrigidirono. Da dove le erano venute fuori quelle parole? E “grazie”... cosa voleva dire? Poi si ricordò: la parola che si usava per esprimere la propria gratitudine nei confronti di una persona.

Sienna le appoggiò le mani sulle spalle e chinò la testa fino ad appoggiarla contro la sua. Si osservarono negli occhi tramite lo specchio.

    • Di niente, Kay. –

La ragazza notò che era raggiante e aveva un'espressione dolcissima che riusciva a calmarla.

Sienna la prese per mano, facendola alzare e la condusse fino alla porta.

    • Dobbiamo andare a trovare una persona molto importante, che vuole conoscerti. –

Anche se aveva intravisto un'ombra passare sul suo bel viso, Kay annuì, uscendo nel corridoio assieme alla donna. Camminarono mano nella mano per quasi tutto il tragitto, fino a raggiungere un portone con due parti scorrevoli metalliche.

    • Questo è... un ascensore, giusto? Ho detto bene? – chiese Kay e, come al solito, non poté impedirsi di notare la nuvoletta di condensa che aveva creato.

    • Benissimo! La tua memoria è impressionante, Kay, dico davvero! Sei la prima tra tutti. –

Prima? Prima di che? Anche se la domanda le martellava in testa, preferì non porla. Sembrava che quella discussione mettesse a disagio Sienna...

Le porte si aprirono e le due salirono a bordo. Era presente una terza persona. Un uomo a cui la donna disse – L'ultimo. –

Quello annuì, premette un pulsante e le porte dell'ascensore si chiusero.

Quando si riaprirono, ciò che le attendeva era del tutto diverso da quello che avevano lasciato: il pavimento era piastrellato e i muri ospitavano un numero indicibile di immensi arazzi. Il corridoio era lunghissimo e Kay non riuscì a vederne la fine.

Iniziarono a camminare affiancate, lentamente.

    • Kay, non parlare mai. Hai capito? –

Non capì il motivo di quell'ordine, ma annuì lo stesso, limitandosi a camminare silenziosamente. Era ormai assorta nell'ascolto dei loro passi, quando una grossa porta in legno verniciato e vergato si parò loro difronte.

Sienna bussò energicamente e aprì la porta senza aspettare alcun invito, afferrando per una mano Kay e tirandosela dietro.

La stanza era larga e con il soffitto basso. La parete opposta a quella da cui erano entrate era costituita interamente da una grossa vetrata e sia a destra che a sinistra erano presenti almeno tre librerie. A variare un po' lo scenario vi erano un orologio a pendolo e una scrivania, posta centralmente infondo alla sala.

A questa era seduto un uomo. Non ne capì bene il motivo, ma appena lo vide Kay pensò subito una cosa: è vecchio.

Certo, aveva capelli brizzolati tirati perfettamente indietro, occhi piccoli e bocca sottile... ma forse erano stati quel viso affilato e quelle rughe d'espressione estremamente sviluppate a farglielo credere.

    • Daniel, come vedi è viva. – disse Sienna con un tono che la spaventò. Sembrava del tutto diversa da prima. Kay provò il desiderio bruciante di guardarla negli occhi, ma si trattenne, mantenendo lo sguardo sull'uomo, che nel frattempo si era alzato e si stava avvicinando a loro.

Le si parò davanti, osservandola nell'insieme, poi guardò la treccia e rise sommessamente.

    • Sienna... giochi a fare la mamma come le bambine d'asilo? –

    • No. È l'unico modo perché non le diano fastidio mentre esegue le sue mansioni. –

Daniel smise di ridere, fulminandola per il suo tono impertinente. Ma non continuò oltre la discussione. Posò gli occhi in quelli di Kay e tornò a sorridere.

    • Devo dire che Wilson questa volta mi ha sorpreso. Ha fatto davvero un ottimo lavoro... –

Le afferrò il mento e le voltò la testa prima a destra e poi a sinistra, ma Kay non smise di fissarlo impassibile. Quell'uomo non le piaceva. Il motivo le era oscuro, ma sentiva dentro di sé che era meglio diffidare di lui.

    • K93xx. – esclamò e Kay non poté impedirsi di aprire un po' di più gli occhi. Un movimento che non gli sfuggì.

    • Perfetto... è un capolavoro di scienza e bellezza. Sei fortunata sai? Sei la prima ragazza che ha passato con successo l'esperimento. –

Esperimento? Cosa significava? Questa parola non le suggeriva niente, ma bastò per farle aggrottare appena le sopracciglia.

    • Non parla e non capisce tutto quello che diciamo. – intervenne Sienna, facendogli spostare lo sguardo da Kay a sé stessa.

    • Come vedi, è un successo in tutto e per tutto... ma il reset mnemonico che ha subito è stato più violento di quello degli altri. Mi ci vorrà parecchio tempo per farle apprendere le regole base. –

    • Quanto? –

    • Non lo so. Non ho ancora capito con quale velocità apprende. –

Daniel socchiuse appena gli occhi. Il messaggio era chiaro perfino a Kay: non raccontarmi balle.

Bugia. Una nuova parola. Menzogna. Falsa verità. Cosa che non è.

L'uomo la lasciò libera, avviandosi verso la scrivania. Mentre attendeva che qualcuno dei due parlasse, Kay sentì che la mano di Sienna le si appoggiava alla spalla, facendole capire di avviarsi per il corridoio.

L'incontro era finito.

 

Kay era seduta a gambe incrociate sul letto, una nuova posizione che le aveva suggerito l'istinto e che era veramente comoda!

Sienna sedeva davanti a lei e picchiettava un'unghia sul mobile da toeletta.

Non capiva perché avesse mentito. Perché aveva detto a Daniel che la sua mente era completamente vuota? Ma nonostante questo quesito le frullasse in testa, alla donna ne pose un altro.

    • Sienna... che cos'è un esperimento? –

Quella la guardò per un attimo, prima di sospirare e di passarsi una mano sugli occhi.

    • Quello che si è condotto perfino su di te. Sai, questo non è un buon posto per vivere. Qui la gente muore con la facilità con cui si può schiacciare un ragnetto. –

    • Muore? –

    • Non sai che significa? –

    • No. –

    • Morire significa cessare. –

    • Cessare cosa? –

    • Qualsiasi cosa. Muoversi, respirare, mangiare... vivere. –

Kay fece una smorfia. Non capiva. Come poteva una persona non muoversi più? Che cosa significava? Ma comunque il discorso era stato sviato un po'.

    • Non mi hai risposto. Che cos'è un esperimento? –

Sienna sospirò ancora, massaggiandosi le palpebre sotto gli occhiali. Si alzò in piedi e si avviò verso la porta.

    • Vieni. Faccio prima a mostrartelo che a spiegarlo. –

Uscendo dalla stanza, Kay riconobbe il tragitto che aveva fatto la sera prima quando i dottori l'avevano scortata fino in camera. Era lo stesso che stavano facendo adesso, solo al contrario.

Raggiunsero il pannello movibile, che si alzò a un loro comando, rivelando la stanzetta bianca e metallica da cui Sienna prese un camice che si infilò.

    • Tu non ne hai bisogno. – osservò sorridendole appena.

Aprirono il portone d'acciaio e Kay trovò riproporsi ai suoi occhi lo scenario della sera prima, visto però da un'altra visuale: un immenso stanzone bianco, con il soffitto altissimo; tavoli metallici erano posti ovunque e tante persone correvano indaffarate come tante formichine laboriose. A volte qualche vampata illuminava un angolino, altre volte delle urla coprivano il ronzio dei macchinari e altre volte ancora alcuni indietreggiavano davanti a esalazioni nocive provenienti da alcune ampolle.

A destra vide tante persone picchiettare le dita su una tastiera, mentre una sfilza di lettere comparivano su un enorme schermo davanti a loro, che mostrava il diagramma di quella che sembrava un'elica.

Kay si paralizzò quando il nome giusto le balenò alla mente: DNA.

Ora, il significato pieno della parola le sfuggiva, ma sapeva che c'entrava qualcosa con il sangue.

A sinistra, c'erano ancora i soliti individui intenti a gettare dei grossi sacchi di plastica neri giù per un grosso tunnel buio.

Scesero la ripida scala ferrosa e cominciarono ad attraversare la sala.

Nessuno si voltò a guardarli, troppo presi da ciò che stavano facendo. Si fermarono davanti a una vetrata da cui si vedeva un piccolissimo stanzino bianco, senza mobilio, in cui tre uomini stavano trascinando una ragazzina recalcitrante.

Le sue urla le arrivavano sommesse dall'altro lato del vetro, ma bastavano a trasmetterle il terrore che quella poveretta provava.

    • Che stanno facendo? –

    • Un esperimento. – rispose semplicemente Sienna.

Uno degli uomini diede un calcio alla schiena della ragazzina, che volò a terra come un sacco di patate. Ne approfittarono per uscire e chiudere la porta. La ragazzina si portò indietro i corti capelli neri, guardandosi intorno disperata. Guardò un paio di volte dalla loro parte, ma il suo sguardo passò oltre, come se non le vedesse.

All'improvviso delle grate sulle pareti si aprirono e iniziarono a irradiare la stanza di un colore arancione slavato.

    • Oggi si prova con le radiazioni Uranine. – commentò Sienna incrociando le braccia.

Radiazioni? Cosa significava? Kay spostò lo sguardo un paio di volte dalla donna alla ragazzina, tentando di capirci qualcosa.

D'un tratto un urlo straziante lacerò il silenzio. Stavolta si sentiva perfettamente anche dall'altro lato del vetro. La ragazzina urlava e si contorceva come se la stessero frustando.

La vide correre fino alla porta e iniziare a picchiare i pugni con una tale foga da farsi sanguinare le mani. La vide graffiare la superficie metallica fino a formare dei piccoli solchi, mentre il suo urlo andava via via crescendo.

I capelli cominciarono a mutare colore, schiarendosi fino a diventare grigi e bianchi. La carnagione si scurì e le unghie iniziarono a crescerle come affilati artigli.

La ragazzina si staccò dalla porta, cominciando a lanciarsi contro al muro, picchiando ripetutamente la testa contro la superficie bianca, che veniva macchiata di rosso scuro.

    • Sangue... – mormorò Kay senza smettere di osservare la scena con gli occhi sgranati.

La ragazzina si lanciò ancora un paio di volte contro al muro, prima di venire colta da un fortissimo tremito, che le fece perdere l'equilibrio e quindi cadere sul pavimento. Anche così, continuò a tremare convulsamente, emettendo tanti piccoli gemiti strazianti.

Alla fine non si mosse più. Smise di gemere. Smise di agitarsi. Rimase immobile, con gli occhi rossi sgranati, puntati verso Kay.

La porta si aprì e gli stessi uomini che l'avevano condotta lì, le diedero qualche colpetto con il piede. Scossero la testa e fecero cenno a qualcun'altro, oltre la porta, di entrare. Un ragazzo alto e smilzo, con occhi viola e capelli blu, entrò nello stanzino e si caricò in spalla, senza tanti complimenti, il corpo immobile della ragazzina. Varcò la soglia e richiuse la porta dietro di sé.

Nonostante non ci fosse più nessuno, Kay continuò a guardare la stanza bianca. Era paralizzata. Ora il significato del termine “morire” le affiorava pian piano in testa.

    • Un'altra che non ce l'ha fatta... – commentò stancamente Sienna.

Kay si voltò a guardarla esterrefatta. Ora capiva molte cose.

    • Quella ragazza. È morta, vero? –

    • Sì. L'esperimento non è andato a buon fine. –

    • E... anch'io... ho passato tutto questo, vero? –

    • Capisci in fretta. La differenza però è che tu l'hai superato con estremo successo. –

    • Potevo morire? –

    • C'era una percentuale più alta che morissi tu che non quella ragazza. Ma, guarda un po', il destino ha scelto te. –

    • Che cosa mi hanno fatto? –

    • Una cosa per volta, Kay. Non capiresti tutto in una volta. –

Una porta alla loro sinistra si aprì e ne uscì un carrello spinto dallo stesso ragazzo che aveva sgombrato la saletta. Sul carrello c'era un sacco nero, da cui sfuggiva una mano scura che penzolava inerte. Seguì il suo tragitto fino a quando non lo vide alzare il carrello e buttare il sacco in mezzo agli altri, che ormai formavano un cumulo indefinito.

I sacchi. Il tunnel. Era così che si liberavano dei morti. Ma ce n'erano davvero tantissimi... quanti ne morivano al giorno?

    • Sienna. –

    • Sì? –

    • Dove vanno a finire i sacchi? –

    • Credimi, è meglio non saperlo. –

Le passò un braccio attorno alle spalle e la condusse verso l'uscita del laboratorio. Kay lanciò un ultimo sguardo alla mano della ragazza, per poi voltarsi e accelerare il passo. Voleva uscire da lì il prima possibile!

 

Non appena era entrata in camera, si era lanciata sul letto, con la faccia premuta contro il cuscino e non si era più mossa. Nemmeno quando aveva sentito Sienna sedersi in fondo al materasso.

    • Non avrei dovuto fartelo vedere, scusa. – le mormorò, accarezzandola su una gamba.

Kay spostò appena la testa. Quel tanto che bastava per permetterle di parlare.

    • Sienna. Che cosa sono io? –

    • Una ragazza. –

    • Non è vero! Una volta, forse... ma ora sono soltanto un essere artificiale. Un esperimento! –

    • No, Kay! Tu sei diversa dagli altri! E la prova è proprio la frase che mi hai appena detto! –

Questa volta l'aveva incuriosita. Si girò su un fianco e chinò la testa sul cuscino in modo da guardare la donna negli occhi.

    • In che senso? –

    • Dopo l'esperimento, come hai detto tu, le persone cessano di essere tali. Ma non corporeamente, quanto mentalmente. Non pensano più, non ragionano più. Ubbidiscono e basta, come dei robot. Sono freddi, spietati. Tu sei diversa. Ragioni con la tua testa e riesci a provare sentimenti come la felicità e la paura. L'ho capito appena ti ho vista, quando mi hai sorriso. –

    • Per questo mi hai detto di non parlare, in presenza di Daniel? –

    • Kay, lui non deve assolutamente sapere che sei ancora potenzialmente umana, o ordinerà di farti uccidere, in quanto esperimento fallito. Invece, tu devi vivere! Tu potresti essere colei che bloccherà questo circolo vizioso, una volta per tutte. –

Kay si sollevò a sedere, strofinandosi una guancia. La sentiva stranamente bollente. Sospirò e nell'aria si impresse una nuvoletta fredda.

Ora sapeva che Sienna voleva veramente aiutarla, ma c'era un pezzo del discorso che aveva fatto che non le tornava. Una parola.

    • Sienna, cosa vuol dire “uccidere”? –

    • Togliere la vita. Far morire una persona con la forza. –

Forza. Kay si ricordò della volta in cui aveva quasi fatto cadere tutti gli scienziati che la tenevano ferma, mentre un altro la minacciava con una sorta di pistola. Lei di forza ne aveva. E molta anche. Poteva difendersi da Daniel. Ucciderlo per prima, così sarebbe stata salva.

Avanzò l'idea a Sienna, che sbiancò letteralmente, prima di balzare in piedi e alzare il tono della voce.

    • Toglitelo dalla testa! Uccidere non è un passatempo e non voglio che tu inizi a farlo. Non in questo modo! –

    • Perché? Se lui può farlo con me, perché non posso farlo anch'io? –

    • Non mi piace che tu inizi a ragionare così. Mi sembra di sentire Jay! –

    • E chi sarebbe? –

Questa volta Sienna non rispose. Si passò una mano sul collo. Aveva l'aria sfinita.

    • Kay. Mettiamo le cose in chiaro: uccidere non è bene. E tu non sei nata per diffondere altra distruzione. Se continui con questo ragionamento andrà a finire che ucciderai chiunque ti dia appena fastidio. –

    • Non capisco di cosa ti preoccupi. –

    • K93xx, uccidere fa solo soffrire! Daniel vorrebbe vederti diventare una macchina da guerra, ma io glielo impedirò. Non aspettavo altro che l'arrivo di una come te per far finire tutto. –

Il fatto che avesse pronunciato il suo nome per intero con tale veemenza la fece zittire all'istante. Ma continuava a provare frustrazione nei confronti di quell'ordine tanto assurdo: perché non poteva proteggersi?

Sienna si avviò verso la porta e, mentre la apriva, si voltò un'ultima volta per informarla su una cosa.

    • Domani mattina ti mostrerò perché uccidere significa soffrire. Ah, se hai fame, tra poco passeranno a consegnarti del cibo. –

Si chiuse la porta alle spalle con forza, facendo tremare i vetri della finestra.

Kay rimase sola. Seduta sul letto, a riflettere su quanto aveva scoperto quel giorno e su come potesse far soffrire uccidere qualcuno.

Si alzò, chiuse le tende, questa volta avendo cura che non filtrasse alcun raggio di luce. Poi si voltò e prese a camminare per la stanza. La frustrazione stava salendo alle stelle, non ce la faceva più.

Si voltò di scatto, aprendo le braccia e lanciando un grido liberatorio, ma quello che successe fu diverso da quello che si aspettava: un improvviso lampo blu aveva illuminato l'intera camera e sia sulla parete di destra che su quella di sinistra, dove aveva puntato le mani, erano comparse due colonne di ghiaccio spesso, che diffondevano una nebbiolina gelata tutt'attorno.

Indietreggiò stupita e intimorita. Riprovò.

Batté le mani una contro l'altra e le vide circondarsi di una fitta nebbia bianca e gelida, che però restava in un determinato limite attorno alle sue mani. Poteva decidere lei che cosa farne.

Puntò i palmi delle mani contro un candelabro e un raggio bianco lo colpì in pieno, trasformandolo in un cubetto di ghiaccio.

    • Wow... –

Il ghiaccio era dentro di lei. Poteva muoverlo, modellarlo, crearlo, poteva fare cose che nessun'altro sapeva fare. Una scoperta fenomenale!

Uccidere Daniel diventava ancor più semplice.




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Capitolo 4
*** Perché si soffre? ***


Perché si soffre?











 

Della cena che le fu servita toccò solo qualcosina. Praticamente mangiò solamente il dolce: una mega fetta di torta al cioccolato con ripieno fuso. Aveva scoperto di avere una sfrenata golosità per quel tipo di cibo e, dopo quella, si era sbafata ogni singola caramella trovata nel portacenere sul comodino. Del resto ne fece un blocchetto di ghiaccio semplicemente soffiandoci sopra. Non aveva alcun interesse per verdure e minestra, nella maniera più assoluta. Il solo odore la nauseava.

Mise il vassoio mezzo pieno in corridoio, davanti alla porta, e si infilò sotto le coperte, svestendosi come ricordava aver fatto la sera prima.

Provava ancora una certa agitazione a ripensare alla discussione avuta con Sienna. Non comprendeva il suo punto di vista, lo trovava... illogico.

Se qualcuno voleva farti del male e lo venivi a sapere in anticipo, chi o che cosa ti impediva di sistemarlo per prima, per eliminare il problema alla radice?

Fu solo quando ormai si stava assopendo, che ricordò il termine esatto della sensazione che stava provando: rabbia.

 

Il mattino dopo si alzò prima ancora che il sole nascesse, si vestì, si pettinò e si fece la treccia, il tutto da sola, scoprendo nuovamente una certa manualità nell'acconciarsi i lunghi capelli, come se l'avesse sempre fatto.

Scrutò attentamente la sua faccia impassibile allo specchio, osservandone le fattezze tonde, la pelle liscissima, priva di qualsiasi imperfezione, gli occhi grandi e rosa acceso... pensò di assomigliare ad una di quelle bambole di porcellana, non capendo esattamente cosa avesse sbloccato quel pensiero nella sua testa.

Ripensò a quello che le aveva spiegato Sienna, del fatto che, prima di essere trasformata, aveva avuto una vita del tutto diversa, dei vestiti diversi, delle consuetudini diverse... eppure non riusciva a ricordare niente, se non qualche abitudine, come spazzolarsi i capelli o vestirsi, o qualche oggetto non del tutto chiaro nella sua mente, come appunto una bambola.

A distrarla dai suoi pensieri furono dei colpi secchi alla porta: qualcuno stava bussando. Kay riconobbe al volo quel ritmo né troppo lieve, né troppo violento.

Aprì la porta e, come si aspettava, si ritrovò davanti la professoressa Sienna. Era vestita esattamente come il giorno prima, come se non fosse mai andata a letto, e teneva tra le mani un vassoio con del cibo.

    • Ti ho portato la colazione. – le disse sorridendo, ma Kay non la ricambiò. In qualche modo era ancora arrabbiata con lei. Senza dire una parola, si scostò per farla entrare, andandosi poi a sedere sul letto mentre lei chiudeva la porta con l'aiuto del sedere.

Le posizionò in braccio il vassoio, su cui erano stati posti un bicchiere ricolmo di aranciata e un piatto con pancake inondati di sciroppo. Non seppe il perché, ma la vista di quel cibo la pervase di gioia. Infatti vi si avventò in meno di mezzo secondo.

Sienna, che si era seduta come di consueto sullo sgabello della toeletta, rimase ad osservarla per un po', per poi cambiare posizione delle gambe con un movimento esperto, sospirando.

    • Oggi ti porto con me in laboratorio, dove sperimentiamo gli effetti delle radiazioni prima di sottoporvi i ragazzi. –

Kay smise di mangiare all'istante, osservandola, con le guance rigonfie di cibo non ancora masticato. Interpretando il significato di quello sguardo contrariato, Sienna le spiegò il motivo di questa decisione.

    • Voglio farti conoscere... bhe, qualcuno. –

Kay spazzolò quel che restava della colazione e ingollò in un sol colpo il bicchiere di spremuta.

    • Come vuoi. – le disse alla fine – Basta che non mi fai più vedere dei ragazzi morti... –

Per un solo istante, gli occhi di Sienna brillarono.

    • Perché? –

    • Io... non lo so. Mi da... fastidio. Non riesco a vederli, mi fa... stare male. –

    • . Kay, come tu sai io mi sono predisposta il compito di farti tornare, almeno mentalmente, una persona normale. Ti devo re-insegnare i sentimenti, il loro significato. Devo far raggiungere alla tua mente un livello di maturità mentale e sentimentale elevato, in modo che il cuore ti dica cosa fare quando c'è il pericolo che la fredda logica ti possa portare verso la scelta sbagliata... come d'altronde è successo a Jay... –

    • Sienna... chi è questo Jay di cui parli sempre? –

    • Come sempre? –

    • Bhe, anche ieri l'hai nominato... –

    • Ah... bhe, Jay è come te. È un giovane ragazzo che, come te, è stato sottoposto al flusso aggiuntivo di radiazioni e, sempre come te, è stato l'unico sopravvissuto tra coloro colpiti dai raggi Uranini. –

    • Quindi un... esperimento... –

    • Tu e lui siete molto più simili di quanto tu possa pensare. Anche lui prese coscienza di sé lo stesso giorno del Risveglio e, come te, ha nuovamente scoperto le emozioni e i ragionamenti. –

    • Ma... allora perché non è stato eliminato da Daniel? –

    • Perché, nonostante tutto, Jay non gli ha mai dato motivo di farlo. Ha deciso di sbarazzarsi dei sentimenti e di andare avanti facendo affidamento esclusivamente sul cervello e sulla gelida logica. Finché avrà una paga, un tetto sopra la testa, del cibo, lui ubbidirà a Daniel. Farà qualsiasi cosa gli verrà imposta di fare. Alla fine, non è tanto diverso da tutti gli altri Burattini. –

    • Burattini? –

    • Sì, è il nome con cui chiamano gli esperimenti andati a buon termine. –

 

Mentre camminavano per i corridoi, diretti al laboratorio di ricerca, Kay ripensò a quel fantomatico Jay. Da come l'aveva descritto, era chiaro di che tipo fosse: un violento, prima di tutto, e poi anche opportunista.

Passò il resto del tragitto pensando al come quei termini le erano saltati alla mente, con tutto il loro significato.

    • Eccoci. – annunciò Sienna aprendo una pesante porta di metallo e ceramica.

Dentro non vi era nessuno, se non due persone chine su microscopi o attente ad esaminare una specie di termometro posto su un maxischermo piatto. Nessuno le degnò di uno sguardo, mentre attraversavano la stanza, fino a un punto pieno di teche di vetro. Osservando meglio all'interno, Kay notò che in ognuna era presente una strana creaturina tutto pelo, munita di occhioni lucidi e teneri. Si chinò per vederli meglio.

    • Che carini che sono... –

Ma subito Sienna le tirò una lieve gomitata e Kay si accorse che, a quell'affermazione, i due ricercatori si erano voltati appena a guardarla.

Kay si ricordò dell'avvertimento della professoressa: non doveva lasciare trasparire emozioni, doveva fingere di essere un... robot.

Sienna prese una delle teche e tornò verso la porta, rivolgendosi prima verso uno dei due colleghi, un uomo basso e pelato.

    • Questo lo portiamo nelle stanze dell'esperimento K93xx. Ha bisogno di esercitare i propri poteri. –

Quello annuì, abbandonando ogni dubbio e tornando al suo lavoro al microscopio.

Uscendo in corridoio dopo Sienna, Kay andò inavvertitamente a sbattere contro qualcosa... o meglio, qualcuno. Immediatamente indietreggiò, fissando la persona contro cui si era scontrata: era un ragazzo, alto almeno 185 centimetri; i capelli corti e scarmigliati erano di un grigio talmente chiaro e luminoso da sembrare argento bianco e gli occhi impassibili di un giallo acceso.

Kay indietreggiò fino a raggiungere Sienna, notando poi un tatuaggio analogo al suo sul collo del ragazzo: una J marchiata con lo stesso liquido luminoso, solo che in quel caso era rosso.

Qualcosa nel suo cervello scattò e capì solo in quel momento di aver difronte il Jay di cui Sienna le aveva tanto parlato.

Il ragazzo la fulminò con lo sguardo – Guarda dove metti i piedi. – le intimò.

Immediatamente le venne istintivo domandare scusa, ma un lieve calcio della sua tutrice le fece capire di tenere la bocca chiusa e mantenere quell'atteggiamento distaccato e artificiale che solo un Burattino poteva avere.

Senza farsi notare squadrò Jay da capo a piedi: il suo abbigliamento richiamava sostanzialmente il colore nero: pantaloni aderenti in pelle lucida, qualche fibbia qua e là, un paio di guanti e una mantellina bianca con cappuccio, decorata da una smisurata quantità di anelli; non era tanto lunga, anzi, gli copriva solo metà avambraccio.

    • Mi spiace. – disse al suo posto Sienna – Lei è nuova e ha ancora qualche problema psico-motorio. –

Jay sbuffò infastidito, ma poi una grossa mano gli si posò sulla spalla.

    • Forza Jay, lascia stare. –

Alle spalle del ragazzo era arrivato un uomo di fattezze anormali. Di certo, definirlo un armadio era davvero poco: alto come minimo 210 centimetri e spalle larghe almeno 70; portava un vestito molto simile ad una armatura e aveva uno strano apparecchio all'orecchio sinistro, che gli ricopriva la guancia fino alla bocca; in più aveva un grosso bullone posizionato sulla fronte e due ai lati del collo, aveva la testa pelata e un paio di occhi neri fini e vispi.

    • Ciao Sienna. – disse l'omone. Nonostante tutto, aveva un viso amichevole.

    • Buongiorno Sayb. Come mai qui? Qualche problema? –

    • No, no. Non avevo molto da fare e quindi ho accompagnato il giovane Jay a fare quattro passi fino al laboratorio Centrale. –

Gli diede qualche pacca sulla spalla, ma Jay non si mosse di un millimetro, parendo anzi infastidito. Kay rimase sconcertata, non riuscendo a capacitarsi del come il ragazzo non si ribaltasse dietro ai colpi di quell'individuo.

Sayb la guardò, mettendola immediatamente in imbarazzo. Un'altra cosa che aveva scoperto di sé: non le piaceva per niente essere al centro dell'attenzione.

    • Hai detto che è nuova, eh? –

    • Sì, lei è K93xx. –

    • Ah, la famosa Kay. Daniel in questo periodo parla molto di lei. È molto soddisfatto del fatto che sia sopravvissuta all'intervento. –

Si avvicinò, chinandosi, per osservarla meglio, come se fosse una statua da ammirare e non una persona. Infatti, Kay si sentì le guance avvampare e non riuscì più a sostenere lo sguardo dell'uomo, abbassandolo a terra. Lo sguardo di Sayb cambiò da interessato a stupito, per poi voltarsi verso Sienna.

    • Ora dobbiamo andare. – lo anticipò la donna, tenendo sottobraccio la teca con l'animaletto e agguantando con la mano libera Kay, trascinandola via.

Voltandosi appena, la ragazza notò i due scrutarle con interesse, finché non girarono l'angolo.

 

Ormai erano in camera da diversi minuti e nessuna delle due pareva avere intenzione di aprire bocca... o meglio, Kay ne aveva voglia eccome!

Un mare di domande affollavano la sua giovane mente, ma preferiva aspettare che fosse Sienna a proferire parola per prima, anche se per il momento era tremendamente occupata a sistemare la teca con l'animaletto in un angolo della stanza.

Alla fine, Kay non ce la fece più.

    • Cos'è Sayb? – chiese. Era la prima delle mille domande che doveva fare. Perché era chiaro perfino a lei che non era umano.

Sienna finì di fare ciò che stava facendo, si alzò, si pulì la gonna dalla paglietta sfuggita alla teca e solo allora rispose.

    • Sayb... è un cyborg. Uno dei primi. L'unico ancora vivo. –

    • Un... cosa? –

La donna si voltò, andando verso di lei.

    • Un cyborg. Un essere metà umano e metà meccanico. Prima della vostra generazione di Irradiati Daniel si dilettava con la meccanica. A differenza di adesso, allora era un successo dopo l'altro. Tutti superavano l'intervento con successo... se non... –

    • se non … ? –

    • se non che quasi tutti morivano dopo un mese o due... e quelli che rimanevano non superavano l'anno. L'unico, se così si può chiamare, miracolato è Sayb. È vissuto per tutti questi anni e ancora resiste. Lui è l'unico cyborg rimasto con ancora il cervello umano. Le uniche parti meccaniche stanno nel corpo. Mi pare che anche il cuore sia rimasto sostanzialmente lo stesso, se non per qualche vite e valvola qua e là … –

    • Aspetta... che cosa significa? Perché l'unico? Non ci sono altri come lui? Altri cyborg? –

    • Certo, ma tutti hanno subito l'intervento rinnovato. È il cervello che viene sostituito e, a parte la superficie apparentemente morbida e umana, sono in tutto e per tutto dei robot. Quello che sto cercando di dire... è che Sayb è rimasto l'unico in grado di provare sentimenti. –

 

Passarono i giorni, tutti monotoni, identici tra loro. Sienna le aveva lasciato la piccola cavia pelosa (così l'aveva chiamata), dicendole che sarebbe stata il suo “animaletto” per qualche tempo. Poteva darci un nome se voleva. Avrebbe dovuto giocarci, nutrirlo …

Non avendo niente di meglio in mente, Kay lo chiamò Batuffolo, perché tutto quel pelo non poteva essere riconducibile ad altro.

Non ci mise molto ad affezionarsi. Le faceva una gran tenerezza, soprattutto quando si puliva il musino o mangiucchiava la sua semenza. A volte lo lasciava girare per la stanza e la divertiva coricarsi a pancia in giù sul letto e osservarlo mentre girava allegramente e con fare curioso per la stanza.

Fu così che scoprì un nuovo sentimento, diverso dagli altri, di quelli che ti scaldano il cuore, che ti riempiono di felicità: l'affetto.

Aveva già iniziato ad intuirlo nei confronti di Sienna, ma con Batuffolo era stato più veloce e facile. A lui non potevi non voler bene fin da subito!

Un pomeriggio, bussarono alla porta. Un modo di bussare diverso. Kay si paralizzò: non era Sienna.

Agguantò Batuffolo, che stava scorrazzando per la stanza e lo nascose sotto al letto, per poi sedersi e attendere immobile e impassibile che aprissero la porta.

Bussarono ancora. Non poteva dire niente. Se avesse parlato avrebbe messo nei guai la professoressa e non voleva.

La maniglia girò e la porta si aprì piano. Quando vide la persona che la stava cercando, le venne quasi un colpo: Sayb.

Non poteva impedirsi di avere timore, soggezione nei suoi confronti, tanto era grande.

Fece l'impossibile per riuscire a rimanere impassibile.

Sayb si guardò attorno, soffermandosi un pochino di più sulla teca vuota, dove avrebbe dovuto esserci la cavia. La guardò e stavolta Kay cercò di sostenere il suo sguardo. Ora che era seduta le pareva ancor più imponente.

    • Non c'è Sienna? – le chiese gentilmente.

Non rispose. Continuò a fissarlo. Lui sorrise, entrando in stanza, obbligato a procedere di traverso per passare dalla porta.

    • Posso? – le chiese, anche se ormai era entrato. Di nuovo Kay rimase zitta.

    • Non parli, eh? –

Indicò la teca vuota – Dov'è l'animaletto? – silenzio – Forse... è morto?–

Non ne capì immediatamente il motivo, ma quella domanda la sconvolse parecchio, perché immaginò Batuffolo nelle stesse condizioni di quella ragazza nella camera d'irradiazione: morto.

A quanto pare quella scintilla di paura apparsa nei suoi occhi non era sfuggita al cyborg, ma comunque parve non voler farglielo notare.

    • Va bene... ascolta, Kay... perché ti posso chiamare Kay, vero? Quando vedi Sienna, dille che la stavo cercando. Ho bisogno di parlarle. –

Batuffolo fece capolino da sotto le coperte e Kay, facendo finta di niente, lo spinse nuovamente sotto con una lieve pedata, senza distogliere lo sguardo da Sayb.

Le si avvicinò, le posò la manona sulla testa (volendo avrebbe potuto stritolarla senza problemi) e le scompigliò i capelli, ridacchiando gioviale.

Quindi uscì, richiudendosi la porta alle spalle. Kay sospirò di sollievo, creando una grande nuvoletta di condensa dinnanzi a sé. Ancora Batuffolo fece capolino da sotto il letto e la fissò con gli occhietti curiosi, quasi a chiederle se la via era libera. Gli sorrise.

    • Ora è tutto a posto. Via libera. –

 

Fu quella notte che accadde l'imprevisto. La cosa che mai si sarebbe aspettata, per nessuna cosa al mondo. Sienna era arrivata, come sempre, per portarle la cena. Aveva quasi volutamente riaperto la discussione di qualche sera prima, sul fatto di uccidere o non uccidere.

La voleva fare innervosire, chiaramente. Dopo una lunga discussione, Sienna si era alzata e, senza dire una parola, era uscita dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle con estrema calma.

Kay riusciva a sentire la collera e l'incomprensione crescere dentro di sé e, senza neppure pensarci, semplicemente... esplose. Cacciò un urlo liberatorio e da tutto il corpo scaturì una forte luce bianca e azzurrina, che fece esplodere ogni singola lampadina presente nella stanza e fece delle pareti e del soffitto, da cui pendevano affilate stalattiti, delle spesse lastre di ghiaccio.

Crollò in ginocchio, respirando forte e cercando di calmarsi: una cosa che aveva intuito di dover fare in quel momento e il modo le era saltato alla mente così, come se lo avesse sempre saputo.

Poi si ricordò di una cosa. Si voltò di scatto verso la teca di Batuffolo e notò di averla letteralmente sfondata. Ora l'animaletto se ne stava rannicchiato in un angolo lontano, a fissarla terrorizzato, il pelo tutto ritto.

    • No, non devi avere paura... – disse lei, avvicinandosi carponi, ma il piccolo si schiacciò ancor di più contro la parete. Kay si bloccò. Come poteva essere? Erano amici, no? E allora perché ora la guardava come se fosse un'estranea?

    • Batuffolo, dai vieni qui. Non fare storie. – si alzò in piedi e andò verso di lui, decisa a prenderlo in braccio, ma quello, fulmineo scappò di lato, scartandola e continuando a correre per la stanza terrorizzato.

Nel cercare di acchiapparlo, Kay inciampò maldestramente nei propri piedi e si aggrappò alla maniglia della porta, aprendola accidentalmente.

Quasi avesse visto la via della salvezza, Batuffolo corse verso lo spiraglio tra la porta e l'architrave e corse lungo il corridoio.

    • No, fermo!!! –

Immediatamente ripresa, Kay lo rincorse per il corridoio, fermandosi alla prima biforcazione. E ora? Destra o sinistra? Decise di tentare per la sinistra e corse nuovamente a perdifiato, svoltando ad ogni angolo che trovava e guardando in ogni possibile nascondiglio. Però niente. Non lo trovò assolutamente più.

Quando notò di essersi allontanata troppo dalla propria camera, vide alcuni di quegli uomini in camice girare l'angolo. Non dovevano vederla, nella maniera più assoluta! Oppure le avrebbero fatto mille domande e lei non avrebbe più potuto non rispondere. Soprattutto perché lei non avrebbe dovuto avere propria iniziativa, avrebbe dovuto solo eseguire gli ordini, perciò era del tutto improbabile che lei si trovasse in giro da sola a quell'ora di notte.

Con lo stesso trucco di prima, fece esplodere le lampadine del candelabro appeso a lato delle teste degli scienziati e, approfittando della loro distrazione e del loro spavento, corse nuovamente verso la camera.

 

Quella notte non chiuse occhio. Era in ansia per il suo amichetto e temeva che si fosse perso, solo e impaurito in mezzo a quegli sterminati corridoi. Quando finalmente arrivò la mattina, assieme a Sienna, Kay le volò tra le braccia prima che lei aprisse del tutto la porta.

    • Professoressa Sienna!! –

    • K-Kay! Che cosa succede? – disse lei sorpresa dalla sua reazione.

    • Batuffolo è scappato. L'ho cercato, ma non sono riuscita a trovarlo! –

    • Oh... –

Sienna abbassò lo sguardo. Sembrava particolarmente a disagio. Kay, pensando che ciò fosse dovuto al suo improvviso abbraccio disperato, si staccò immediatamente, ma l'atteggiamento della donna non variò.

    • Professoressa Sienna, cosa c'è? –

    • Si tratta di Batuffolo... stamane, mentre stavo venendo qui, ho sentito alcuni miei colleghi parlare di una cavia fuggita probabilmente dal laboratorio. L'hanno preso... –

    • Era Batuffolo, senza dubbio!! Ma allora andiamo a prenderlo, dai!– esclamò lei, improvvisamente sollevata.

    • Kay... –

La ragazza la ignorò, sorpassandola e gettandosi in corridoio.

    • Che aspetti? –

    • Kay... lascia perdere... –

    • Cosa? E perché? –

    • Perché... – Sienna si voltò verso di lei, senza però guardarla in faccia – … proprio questa mattina la stessa cavia è stata sottoposta ad un test... e... non l'ha superato con successo. –

Un brivido gelido attraversò la schiena di Kay, senza che lei ne comprendesse il motivo. Rimase in silenzio, ad osservare la donna, in attesa di capire il significato delle sue parole.

Poi, finalmente Sienna alzò lo sguardo e la guardò dritto negli occhi.

    • Batuffolo è morto, Kay. –

 

La notizia, come prima cosa, non le aveva trasmesso alcuna emozione, nessuna reazione. Solamente vuoto. Vuoto totale. Poi, quando piano piano le parole di Sienna assumevano un significato, Kay aveva creduto che il pavimento fosse ceduto improvvisamente sotto i suoi piedi e si era ritrovata inginocchiata a terra, a fissare il nulla, mentre qualcosa di freddo e salato le colava sulle guance. Vi aveva passato sopra una mano e quando ne aveva osservato la superficie divenuta bagnata, una parola le aveva folgorato la mente: lacrime. Stava piangendo.

Sienna le si era chinata affianco, poggiandole una mano sulla spalla.

    • L'hanno ucciso Kay. Capisci? Quello che stai provando è dolore. Volevi bene a Batuffolo e loro te l'hanno portato via, proprio come tu volevi fare nei confronti di Daniel. L'omicidio porta solo dolore e tristezza. Lo capisci? Capisci perché è sbagliato uccidere? Privi qualcuno del dono più importante che ha ricevuto: la vita. È come rubare. E non va fatto. –

Kay aveva annuito, capendo appieno il significato della parola uccidere solo in quel momento. Immaginò il suo piccolo Batuffolo lì dinnanzi a lei, immobile, con gli occhiettini spalancati e spenti. Non avrebbe più corso, non si sarebbe mai più pulito il musino con quel suo modo di fare adorabile. Aveva sentito qualcosa bloccarle la gola e subito dopo aveva cominciato a piangere come una fontana, singhiozzando senza alcun controllo. Ricordava solo di essersi rannicchiata ancor di più e che Sienna l'aveva stretta fra le braccia.

No, di una cosa era sicura: non sarebbe mai diventata come loro.




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Capitolo 5
*** Uccidere è sbagliato! ***


Uccidere è sbagliato!












 

Nei giorni che seguirono, Kay fu sottoposta a vari test da laboratorio. Tra cui radiografie, tac e così via. Era l'unica ragazza mai sopravvissuta all'intervento e Sienna le aveva spiegato che voleva controllare che ciò che aveva passato non avesse intaccato il suo apparato genitale, sterilizzandola, ma per fortuna ciò non era successo.

Sienna era sì felice della notizia, ma anche preoccupata. Quando Kay le aveva chiesto il motivo, lei le aveva risposto dicendole che temeva che Daniel la volesse usare per mettere in piedi un esercito perfetto, attraverso i suoi possibili figli avuti con l'altro esperimento perfetto: Jay.

L'idea l'aveva fatta rabbrividire. Poi altri risultati spiegavano come la lunghezza dei suoi capelli determinasse la sua vita: in essi risiedeva la maggior parte di energia vitale e ogni centimetro equivaleva ad un anno di vita. Se avessero voluto ucciderla senza troppi problemi, avrebbero potuto tagliarglieli. Ma c'era anche da dire che, sì erano setosi e luminosi, ma erano anche forti come acciaio e non era semplice spezzarli.

Per giorni e giorni testarono i suoi “poteri”, ma ogni volta, sempre facendo finta di niente, fingeva di non essere in grado di controllarne gli effetti. Sapeva che se avessero capito che era effettivamente pronta, le avrebbero chiesto di uccidere qualcuno, come magari già facevano con Jay. Per fortuna Sienna le dava corda, dicendo agli scienziati che probabilmente la sua potenza era tanto elevata da impedirle di controllarla nel migliore dei modi, per il momento.

 

Erano le sei del tardo pomeriggio e Kay era appena rientrata nella sua stanza, lasciandosi scivolare sulla porta chiusa, fino a terra. Era stanca... non tanto fisicamente, quanto emotivamente. Dover stare ogni santo giorno in quei laboratori, subire ogni tipo di test, recitare la parte del burattino... era davvero insopportabile per lei, come anche vedere passare i sacchi contenenti i cadaveri dei ragazzi che avevano avuto la sfortuna di esser stati rapiti.

Come ormai faceva da tempo, il suo sguardo finì automaticamente all'angolo della stanza, dove una volta vi era la teca di Batuffolo. Ormai era passato un mese dalla sua morte, ma ancora percepiva quella perdita come se fosse avvenuta il giorno prima.

Scrollò la testa. Non ci doveva pensare: non è che così sarebbe stata meglio...

Si alzò, andando a sedersi sullo sgabello in mogano della toeletta, specchiandosi: aveva decisamente l'aria stravolta: occhiaie violacee le contornavano gli occhi, i capelli erano spenti e la carnagione più pallida del solito.

Sbuffando a quella vista, si disfò la treccia, mettendosi a spazzolare i capelli. Teneva lo sguardo fisso sul ripiano in legno dinnanzi a sé, ma la mente era altrove. Non pensava a niente di specifico, solo... godeva di quel momento di stanby.

Bussarono alla porta, ma stavolta aprirono senza aspettare risposta. Ma tanto Kay non se ne curò. Conosceva quel modo di bussare. Non ebbe neppure bisogno di voltarsi per sapere che era Sienna ad essere appena entrata.

La fissò attraverso il riflesso dello specchio: sembrava stanca, molto più di lei.

    • Sienna... tutto bene? –

Quella parve riscuotersi, voltandosi verso di lei e strofinandosi distrattamente un occhio.

    • Sì, sono solo un po' stanca. – le rispose, ma Kay non ci credette più di tanto... qualcosa che non riusciva bene a definire le diceva di non fidarsi di quello che la donna aveva appena detto.

Com'è che si chiamava? Ah, sì: intuizione.

    • Sei sicura? – le chiese senza pensarci.

Sienna la guardò sorpresa, poi le sorrise e andò verso di lei, prendendole la spazzola dalle mani e mettendosi lei a lisciarle i capelli.

    • Dunque hai riscoperto anche la preoccupazione? Sei davvero un portento, Kay. È una gioia constatare quanto tu sia rimasta la solita ragazza ingenua e di buon cuore. –

Continuò a spazzolarle i capelli per diversi minuti, rimanendo in silenzio. Solo dopo un po' Kay si decise a colmare quel vuoto di parole.

    • Sienna, cosa c'è che non va? –

    • Affari di lavoro. Niente che ti possa preoccupare. –

    • Ma a me preoccupi tu. –

Sienna si bloccò, irrigidendosi parecchio. Di nuovo una reazione che davvero Kay non riusciva a spiegarsi. Notando la perplessità nei suoi occhi, Sienna si affrettò a riprendere un'espressione quanto meno serena.

    • Te l'ho detto... non c'è nulla che non vada. Stai tranquilla, ok? –

No che non stava tranquilla... c'era qualcosa di diverso in lei, nel suo atteggiamento, nel suo modo di parlare... in tutto ciò che faceva Kay notava qualcosa che stonava. Poteva quasi percepire l'ansia propagarsi dalla donna come i raggi dal Sole.

Decise comunque di non indagare oltre. Se Sienna non voleva parlargliene un motivo di sicuro ci doveva essere... nascosto da qualche parte. Decise quindi di cambiare discorso.

    • Oggi che cosa farò? Ancora test? –

Di nuovo la mano di Sienna si irrigidì. Il sorriso che esibì fu molto tirato e falso, perfino agli occhi inesperti di Kay.

    • Sì.... – rispose poi la professoressa – Questo però sarà l'ultimo. Dopo di questo non ti chiederanno di farne altri. –

Kay sentì un sorriso delinearsi sulle sue labbra. Era magnifico! La prima bella notizia dopo settimane di calvario. Oppure no? Non capiva perché Sienna fosse tanto triste. Lei era... come si diceva? Entusiasta! Finalmente non avrebbe più dovuto mostrare il suo corpo a tutte quelle persone strane e inquietanti!

Già... mano a mano che andava avanti con i vari test clinici, si era resa conto di provare un certo fastidio a spogliarsi davanti a dei perfetti sconosciuti. Quando ne aveva parlato con la professoressa Sienna lei aveva dato un nome a questa sua sensazione: pudore.

Non ne aveva capito pienamente il significato, ma non ci era più andata su. Specialmente non l'avrebbe più fatto ora che finalmente quelle maledettissime verifiche erano finite. O meglio... quasi finite.

Ciò di cui era sicura in quel momento era che, al contrario del solito, non vedeva l'ora di farlo e levarsi il fardello di dosso una volta per tutte!

Sienna ci stava mettendo più del solito ad intrecciarle i capelli, quasi ogni movimento fosse di un'importanza estrema. Le osservava le ciocche con sguardo spento, che confondeva Kay, e quando finalmente giunse alla fine della treccia, fissandogliela, alzò lo sguardo su di lei, osservandola negli occhi tramite il riflesso dello specchio.

    • Andiamo? – le chiese, sebbene il suo tono di voce stonasse parecchio con il sorriso che si obbligava a sfoggiare. Mentre Kay si alzava, la donna le accarezzò distrattamente la testa, prima di voltarsi e procedere a passo lento verso la porta. Un gesto semplice.... affettuoso... che però non era passato inosservato alla ragazza.

Anche lei si avvicinò alla porta, ma quando Sienna fece per aprirla, Kay si decise: appoggiò una mano sull'anta di legno e la richiuse senza ammettere repliche. Sienna la guardò spiazzata.

    • Sei strana. – la informò semplicemente Kay. Sapeva che una volta uscite da lì non avrebbe più avuto modo di parlarle come in quel momento e lei pretendeva delle spiegazioni. Il comportamento di Sienna le faceva battere il cuore più forte del solito, più un pizzicore alla base del collo. Aveva... paura.

    • Te l'ho detto: sono questioni di lavoro. – rispose quella tranquillamente, ma Kay non le credeva. Non del tutto, comunque. Sentiva che c'era dell'altro. Qualcosa che non voleva dirle.

    • No, Sienna. Noi non usciremo di qui finché tu non mi avrai spiegato cosa ti sta succedendo! –

    • Vedo che la determinazione non ha tardato a manifestarsi in te. Mi chiedo se sia un bene... – sospirò, abbassando lo sguardo e mollando la maniglia. Kay rimase in attesa, ormai convinta di avercela fatta. – Questo test, come ho detto, sarà l'ultimo. Dopo questo... sarai giudicata pronta per il compito che ti è stato imposto fin dalla tua Nascita. –

Sienna alzò lo sguardo su di lei. Sorrise mestamente.

    • Dopo questo, non mi riterranno più utile. Verremo separate. Continuerai da sola per la tua strada. –

Kay percepì distintamente la stanza girare, il pavimento farsi di sabbia mentre lei poco a poco vi sprofondava.

    • Cosa? – chiese con quel filo di voce che era riuscita a trovare, da qualche parte.

    • Non sarò più la tua tutrice. –

    • No... cioè... no!!! –

    • Kay... –

    • Non voglio! Io come... come... non posso! Da sola... tu sei l'unica con cui possa parlare! –

    • Ci sarà Sayb. Potrai tranquillamente renderlo partecipe della tua situazione. Lui capirà. –

    • Non voglio Sayb! Mi spaventa e non mi piace per niente! Io voglio te! Fallirò il test! Lo farò apposta, così dovranno farmene un altro e potremo stare insieme ancora! –

    • Che cosa cambierebbe? Servirebbe solo a rimandare qualcosa di inevitabile. E comunque... questa volta non ti puoi permettere di fallire. –

Kay aggrottò le sopracciglia. Che cosa stava dicendo? Non capiva... Davanti al suo sguardo confuso, Sienna si sentì in dovere di darle una spiegazione, che però non fu per niente piacevole... né per lei, né tanto meno per Kay.

      • Se fallisci questo determinato test... ti catalogheranno come esperimento fallito e ti uccideranno. –

 

In cuor suo, Kay desiderava che il corridoio che li separava dal laboratorio durasse all'infinito. Non voleva fare quel maledetto esame... non voleva perdere Sienna... ma nemmeno voleva morire... cadere nello stesso stato di Batuffolo.. Cessare di essere ogni cosa. Rabbrividì al solo pensiero, ma Sienna le strinse la mano, tranquillizzandola un poco.

Quando arrivarono ad un bivio, invece che svoltare a destra come al solito, presero il corridoio di sinistra, parandosi d'innanzi all'ascensore che avevano preso una sola volta assieme, tempo addietro, per andare all'ufficio di Daniel. Una goccia ghiacciata le corse lungo la schiena e il cuore prese a batterle tanto forte da sfondarle quasi il petto. Stavano andando da lui? Colui che l'avrebbe sottoposta al test era Daniel?!

Le porte dell'ascensore si aprirono, rivelando il solito individuo immobile a lato dei pulsanti. Per la prima volta si chiese se anche lui fosse un Burattino, dato il suo atteggiamento distaccato e... robotico. Non aveva mai visto un Burattino.. o meglio, aveva visto Jay, ma non era sicura di poterlo catalogare tra di essi. Dopotutto, i suoi occhi sprizzavano tutto tranne che impassibilità. Certo, erano tutti sentimenti negativi, come la rabbia, il sarcasmo e il nervosismo... ma pur sempre emozioni! Invece, a detta di Sienna, un Burattino non poteva provare nulla... era solo un involucro vuoto capace di eseguire solamente degli ordini.

Osservò per la prima volta un quadrante nero sopra i tasti, sulla parete metallica davanti a lei: alcuni simboli si alternavano in un determinato ordine. Non le ci volle molto perché qualcosa scattasse nella sua mente, riconoscendoli come “numeri”. Stavano salendo di piano in piano... avvicinandosi sempre di più alla meta che tanto la stava spaventando... no, il termine giusto era “terrorizzando”.

Bruciava dalla voglia di voltarsi verso Sienna. Voleva qualcosa, qualsiasi cosa che potesse darle un po' di sicurezza. Uno sguardo, un sorriso, un cenno del capo... qualunque cosa! Ma sapeva di non poterselo permettere. Se si fosse voltata, se si fosse mostrata agitata, non solo avrebbe messo nei guai Sienna, ma avrebbe pure segnato la sua condanna immediata.

Quando risuonò un mesto campanello e le porte si aprirono dinnanzi a loro, Kay scoprì che le gambe non le si volevano smuovere di un millimetro. Semplicemente, non ce la faceva. Era pietrificata.

Accorgendosi del suo disagio, Sienna la prese nuovamente per mano e, facendo finta di nulla, la trascinò fuori dalla cabina.

Nella stanza non era presente solo Daniel, ma anche altre persone. Kay riuscì a riconoscerne solo due: Sayb e Jay. Strano ma vero, erano entrambi posti ai lati della poltrona dell'uomo che, ne era certa, di lì a poco, in un modo o nell'altro, le avrebbe nuovamente stravolto la vita.

Daniel si portò le mani chiuse a pugno sotto al mento, sorridendo compiaciuto. Un sorriso cattivo ma anche indecifrabile, che la mise immediatamente in allarme. Accanto a lui, Sayb aveva l'espressione opposta. Certo, era un mostro enorme e inquietante, ma in quel momento pareva il più umano in quella stanza.

    • Sei addirittura più affascinante dell'ultima volta che ci siamo visti... – disse Daniel, facendole balzare il cuore in gola. Il suo primo istinto fu quello di arretrare, ma una stretta sulla mano da parte di Sienna le fece intendere di trattenersi.

    • Vedo con piacere che il tuo sguardo è meno smarrito dell'ultima volta. Conoscere le tue abilità di deve aver dato più sicurezza, vero? –

Sicurezza? Ma un Burattino non avrebbe dovuto provare sentimenti, giusto? A meno che... no, non era possibile... lui non poteva sapere! Cercò di mantenere un certo contegno, mordendosi la lingua per impedire alla sua mascella di tremare.

Daniel, dopo aver evidentemente atteso inutilmente una sua risposta, sospirò, stiracchiandosi e abbandonandosi contro lo schienale della poltrona da ufficio su cui era sprofondato.

    • Oggi terrai il tuo ultimo e decisivo test... che ci dirà se sei quel che effettivamente la nostra Sienna afferma che tu sia. – nel dire l'ultima parte del suo discorso lanciò uno sguardo sadico alla donna. – Perciò... quel che oggi faremo... è saggiare la tua obbedienza. –

Schioccò le dita e due uomini si staccarono dalla mandria che lo attorniava, afferrando Sienna per entrambe le braccia. Davanti a quella scena, Kay non riuscì a tenere la testa ferma, voltandosi spaventata. La cosa stava prendendo una brutta piega, lo sentiva.

Daniel osservò gongolante la professoressa, mentre veniva tenuta ferma dai due energumeni, che solo in quel momento Kay identificò come cyborg. Ciò che però la ragazza non si spiegava era il perché Sienna non si ribellasse! Aveva un'espressione triste e fissava per terra, quasi avesse sempre saputo che quel momento un giorno sarebbe arrivato.

Ancora più confusa di prima, si voltò verso Daniel, alla ricerca di una qualsiasi spiegazione. Il sorriso dell'uomo si allargò ancora di più, quindi una sola parola uscì dalle sue labbra: – Uccidila. –

Se prima, in stanza, aveva sentito il pavimento inghiottirla, in quel momento fu come se l'intero edificio le fosse crollato sulla testa. Sperò di aver capito male, ma lo sguardo sereno e impaziente di Daniel la diceva lunga su quale fosse la verità. Uccidere Sienna? Ma perché? A che scopo? Ma in realtà, come aveva detto la donna, lei era abbastanza sveglia da intuire da sola certe cose: volevano assicurarsi che in tutto quel tempo lei non avesse effettivamente sviluppato nuovamente dei sentimenti. E qual'era il modo migliore per capirlo se non ordinare di uccidere il proprio tutore?

Sentiva le mani tremarle e un certo pizzicore le investì naso e occhi: stava per mettersi a piangere, come dopo aver appreso della morte di Batuffolo. Doveva uccidere? Proprio dopo che aveva giurato a se stessa che mai avrebbe fatto qualcosa di simile? Che mai e poi mai sarebbe divenuta come loro?

Cercò lo sguardo di Sienna, che però rimase per tutto il tempo ancorato a terra. Provò allora, in un ultimo gesto disperato, a voltare lo sguardo su Sayb, che al momento era davvero l'unica “persona” con cui aveva avuto precedentemente un approccio. Il grosso omone la osservò con occhi tristi ma, quando lesse nelle sue iridi la disperazione che la stava scuotendo dall'interno, cambiò completamente espressione, divenendo più che altro sconcertato.

Daniel, notando che ancora i suoi ordini non erano stati eseguiti, aggrottò appena le sopracciglia, mentre il suo sorriso vacillò appena.

    • Oh, forse... forse la nostra cara Sienna non ti ha insegnato il significato della parola uccidere, vero? Bhe, c'era da aspettarselo, da una come lei... –

Non seppe come o perché, ma nel sentire quelle parole, la paura che Kay provava si trasformò in qualcosa di diverso. Le lacrime smisero di minacciare di rotolare sulle guance pallide e le mani tremarono più forte, stavolta per un motivo ben diverso. Non le ci volle molto per riconoscere tale sensazione: rabbia. La stessa che le aveva fatto distruggere mezza camera, che aveva spaventato Batuffolo, gettandolo dritto in bocca a quei pazzi degli scienziati.... l'unica differenza era che in quel momento pareva accentuata di cento volte.

Provava un forte desiderio di colpire, sì... ma non Sienna, bensì Daniel. Come osava parlare di lei in quel modo? Come poteva dare così poco valore alla vita??

    • Bhe, te lo spiego io, allora... – continuò lui, ignaro della tempesta di emozioni che le si stavano scatenando dentro, che però non sfuggì a Sayb.

    • Capo, se mi permette.... – tentò, ma subito l'uomo lo zittì, affettandolo con lo sguardo.

    • Nessuno ti ha dato la parola, ammasso di ingranaggi. – Quindi ritornò a rivolgersi a Kay – Come dicevo.. uccidere significa... –

    • Lo so cosa significa. –

Il gelo calò nella stanza. Letteralmente. La furia di Kay le si stava riversando all'esterno, facendo calare drasticamente la temperatura.

Il suo commento freddo e presuntuoso aveva scioccato non poco Daniel, sul cui viso il sorriso era morto del tutto. Anche Sienna aveva finalmente alzato la testa, solo per osservare sconcertata la ragazza. L'unico che non pareva stupito (ovviamente tra quelli che potevano ancora provare emozioni) era Sayb. Infatti, più che altro pareva intimorito. Non tanto da lei, quanto da quello che Daniel le avrebbe fatto ora che palesemente sapeva che lei non era quel che diceva di essere.

    • Come... hai detto? – sibilò Daniel tra i denti, mentre le sue iridi divenivano sottili come capocchie di spilli.

    • Ho detto che so che cosa significa uccidere. – gli rispose lei tranquillamente – E che non lo farò. –

Se un demone ha mai avuto un volto, di certo doveva essere analogo a quello che sfoggiava in quel momento Daniel. Ma sorprendentemente la cosa non le tangeva. Anzi, stava aspettando la scusa buona per poter ghiacciare quel suo posteriore su quella orribile poltrona di pelle a cui era evidentemente tanto affezionato, dato che non si era alzato neppure per un secondo.

    • Come... osi... tu, piccola... – stava indubbiamente per dare l'ordine di abbatterla, ma qualcosa lo fermò... o meglio qualcuno: Sayb gli aveva infatti agguantato la spalla.

    • Sapevi che poteva succedere. – gli disse prima che l'uomo potesse proferire parola – Dopotutto lei è come Jay. –

Quel confronto fece rivoltare lo stomaco a Kay, in quel momento più delle altre volte. Non voleva essere paragonata a quel pazzo sanguinario che non aveva esitato un istante a vendere se stesso pur di avere dei tornaconti personali, per quanto abbietti potessero essere.

Tuttavia, per quanto azzardato, quel commento pareva aver fatto ragionare Daniel, che si era visibilmente calmato, riprendendo quella sua solita espressione da finto gentile.

    • Bene.... capisco allora che tu possa essere confusa, al momento. Dopotutto Sienna è l'unica con cui hai avuto un rapporto umano, fino ad ora... Ma non ti devi preoccupare! Dopo di lei ce ne saranno tanti altri. Avrai Jay sempre al tuo fianco, visto che entrerete a far parte della stessa squadra. Non sarai sola. Guarda in faccia la realtà: Sienna non ti serve. –

Quello... quello era davvero troppo. Sienna non le serviva?! Ma si stava parlando di una persona o di un oggetto?! Ancora una volta non riuscì a capacitarsi di come quell'individuo potesse dare così poco valore alla vita stessa.

    • Signore, se posso permettermi... le consiglierei un differente approccio... – tentò nuovamente Sayb, notando il furore accrescersi nei suoi occhi, ma stavolta Daniel non accettò la sua intromissione.

    • Non ti permettere mai più di contraddirmi, Sayb. Sarai anche l'ultimo della tua specie e per questo parecchio prezioso, ma non sei indispensabile. – la minaccia velata bastò a far tornare il cyborg al suo posto, seppure controvoglia.

Kay non aveva ancora capito se stava cercando di proteggere il suo capo da un'eventuale aggressione... o se invece volesse impedirle di mettersi maggiormente nei guai con una reazione sbagliata. Ma al momento, Kay se ne infischiava davvero di ciò che avrebbe dovuto o non dovuto fare. Ne aveva davvero abbastanza di fingersi ciò che non era.

    • Capisci, piccola? Sarai circondata di attenzioni, non sarai sola e potrai godere di ogni privilegio possibile e immaginabile. Basta solo che tu mi dia qualcosa in cambio... –

Stava cercando di comprarla come aveva fatto con Jay? Bhe, capitava male, stavolta... lei non era come lui. Niente che poteva prometterle valeva la vita di una persona.

    • Allora? Che cosa dici? – dal suo sguardo ormai era sicuro di aver vinto. Fu costretta a deluderlo.

    • Non mi hai sentito forse? Non lo farò. –

    • Posso anche chiedere cos'è che ti trattiene? –

    • Uccidere è sbagliato! –

A quanto pareva doveva aver appena detto qualcosa di estremamente divertente, perché Daniel, dopo un primo momento di stupore, era scoppiato a ridere fino a farsi quasi venire i lacrimoni agli occhi.

    • Sbagliato? Sbagliato?? Mia cara, se farai solo ciò che è giusto non arriverai mai da nessuna parte, in questo mondo! –

    • Non mi interessa. Io non ho intenzione di sporcarmi le mani per un damerino presuntuoso come te! – non seppe davvero da dove le fossero venute fuori quelle espressioni, fatto stava che le erano saltate alla mente così, dal nulla, sembrandole le più adatte da dire in quell'esatto momento.

Anche l'ultimo scudo dell'uomo crollò, facendo affiorare il vero Daniel. Schioccò le dita verso un cyborg alla sua sinistra, indicandogli Sienna.

    • Tu, uccidila. –

Prima che l'essere potesse fare qualsiasi cosa, si ritrovò congelato contro al muro, cementato in una colonna trasparente di ghiaccio.

Daniel si voltò lentamente contro Kay, che ancora aveva la mano alzata dopo aver agito fulmineamente.

    • Sayb... falle fuori tutte e due. Ma parti da quella ragazzina... voglio che la nostra Sienna assista al proprio fallimento. –

Kay osservò intensamente Sayb. Sì, non le piaceva... però non lo aveva mai considerato un pericolo reale fino a quel momento, nonostante il suo aspetto le incutesse un certo timore. Ma era pronta ad affrontare pure lui, se ciò si fosse rivelato necessario.

Il cyborg dovette leggere qualcosa nei suoi occhi, perché sospirò, abbassando lo sguardo. Aggirò la scrivania con estrema lentezza, parandosi dinnanzi a lei. Alzò una delle braccia e la sua mano si ritirò nella manica con un cigolio sommesso, lasciando il suo posto ad una mitraglietta mica da ridere.

A quella vista Kay sentì il cuore balzarle in gola, ma cercò di non dare a vedere nulla. La fissava serio, ma nei suoi occhi c'era qualcosa... simile alla stanchezza.

Alla fine alzò il braccio. Kay si preparò, ma Sayb le voltò le spalle, colpendo con colpi esperti ogni singolo cyborg presente nella stanza in piena fronte, facendoli cadere a terra in un mare di liquido verdastro.

Kay non era riuscita a trattenere un grido, balzando indietro. In tutte le sue fantasie mai avrebbe immaginato un qualcosa di tanto raccapricciante.

Era ancora concentrata sui corpi esanimi a terra, quando sentì un paio di braccia famigliari stringerla forte. Anche i due cyborg che tenevano ferma Sienna erano stati abbattuti con facilità e lei aveva potuto raggiungerla nuovamente.

    • Che cosa... significa tutto questo? – sputò fuori Daniel, nemmeno ogni lettera fosse una goccia di veleno.

    • Sono stufo di vedere gente morta, Daniel. Amici, conoscenti... ragazzini terrorizzati. Tutto questo massacro non ha senso! Stai impazzendo! –

    • Volti dunque le spalle al tuo esercito? Lo sai che senza di me non puoi sopravvivere... –

Kay, che nel frattempo aveva risposto all'abbraccio di Sienna, non capì il significato dell'ultima frase di Daniel, ma a quanto parve Sayb lo accolse più che bene.

    • Non mi importa. L'unica cosa che mi interessa è andarmene di qui. –

Detto questo si voltò, agguantando tra le braccia le due e sfondando la porta dell'ascensore.

Daniel osservò impassibile il buco nella lamiera, sospirando poi esasperato.

    • Non potevo sperare in una giornata peggiore.... Jay.... –

Il ragazzo annuì, correndo verso il foro e lanciandosi nel vuoto. Daniel sorrise. Che scappassero pure. Tanto non sarebbero riusciti ad uscire vivi dall'edificio.





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Capitolo 6
*** Fuggire per lottare. ***


Fuggire per lottare.









 

Sayb le lasciò andare non appena raggiunsero il piano degli appartamenti. Aveva letteralmente sfondato l'ascensore, distruggendone la cabina, tranciandone i cavi e rendendo il tutto inutilizzabile.

Fecero qualche passo prima che Sienna si liberasse con uno strattone dalla presa del cyborg.

    • Perché lo stai facendo? Ti uccideranno! – non era arrabbiata, più che altro spaventata.

Mai Kay aveva visto sul suo viso un'espressione analoga a quella...

    • Dovete andarvene da qui. Io posso trattenerli per un po', ma non per sempre. Approfittatene per... –

    • E lasciarti qui?? Sei fuori di testa?! –

    • Tu devi fuggire! Fuggi e porta lei con te! Lei deve vivere! È l'unica che può sperare di porre fine a tutto questo martirio! Dovete fuggire, per poter ritornare un giorno, più preparate di quanto non siate adesso! –

    • Ma come possiamo?!? –

Kay passava lo sguardo prima ad uno e poi all'altro, nel tentativo di vederci qualcosa di chiaro in tutta quella discussione. Perché Sayb le stava aiutando? Perché Sienna pareva tenerci così tanto a lui? E soprattutto.... perché stavano lì a perdere tempo quando avevano sicuramente un intero esercito alle calcagna?!

Stava per aprire bocca per far notare loro la cosa, quando...

SBRANG

Qualcun altro li aveva raggiunti lanciandosi per la tromba dell'ascensore. Jay si stava raddrizzando, voltando verso di loro il suo sguardo di ghiaccio.

Sayb acciuffò immediatamente sia Kay che Sienna, nascondendole dietro la sua discreta mole corporea.

    • Sayb.... – sospirò il ragazzo, pulendosi la maglia dalla polvere – Che cosa stai facendo...? –

    • Le porto via, Jay. – rispose il cyborg semplicemente.

    • Lo sai che questo non è possibile... e sai che ti metterai nei guai per questo. –

    • Nei guai ci sono già e non mi interessa. –

    • Morirai. –

    • Essia. –

Il ragazzo parve per un momento stupito dalla sua risposta. Poi sospirò, grattandosi la testa e sollevando la mano libera.

    • E allora non mi lasci altra scelta... –

    • Jay aspetta! Ma non capisci? Perché fai questo? Perché a loro?? –

    • Perché questo è il mio lavoro... –

    • Lavoro?! Jay, tu sei come loro! Anche tu sei stato strappato via alla tua famiglia, anche tu hai avuto le tue incertezze, le tue paure, le tue debolezze.... –

    • Questo è stato molto tempo fa... e sono solo sentimenti capaci di far soffrire... indebolire. Vivere come faccio io è molto meglio. –

    • Ma non giusto! –

    • Ora taci!!! –

Dalla mano del ragazzo scaturì una vampa infuocata, che centrò in pieno l'uomo. Kay strillò dallo spavento, mentre Sienna arretrava trascinandosela dietro.

    • Jay.... – Sayb si scrollò di dosso la fuliggine: non si era fatto nulla. – Perché mi obblighi a combattere contro di te? –

    • Nessuno ti obbliga. Puoi anche consegnarti. –

    • Sai che non lo farò. –

Mentre parlava, tenendo il ragazzo occupato, Sayb fece dei veloci gesti con la mano dietro la schiena, facendo intendere alle due di iniziare a dileguarsi. Capendo l'antifona, Sienna cominciò a tirare indietro Kay, lentamente, facendo bene attenzione a non farsi notare. Fortunatamente ci pensava Sayb con la sua parlantina a tenere l'attenzione di Jay monopolizzata su di sé.

    • E allora mi spiace ma dovrai affrontarmi. –

    • Nemmeno tu lo vuoi. –

Jay scoppiò a ridere – Che cosa te lo fa pensare? –

    • Il fatto che tu sia ancora lì a parlare, invece di compiere il tuo dovere. –

Il sorriso di Jay si fece una smorfia infastidita, come se un odore acre gli fosse giunto alle narici.

    • Non credere che la tua presenza mi importi più delle altre solo perché sei il mio tutore. –

    • E allora dimostralo! Attaccami!!! –

Non se lo fece ripetere. Alzò entrambe le braccia, colpendo il cyborg con due vampe di fuoco contemporanee. Quando le fiamme le coprirono totalmente alla visuale, Sienna ne approfittò per trascinare via Kay e voltare l'angolo. Finalmente potevano correre.

Kay si affidava a Sienna, visto che era l'unica tra loro a conoscere l'uscita di quel luogo spaventoso. Lei invece non aveva visto nient'altro se non la sua stanza e i laboratori in cui la testavano come un animale.

Giunsero in prossimità di una porta metallica che bloccò loro la strada. Sienna estrasse una scheda da un taschino del gilè, accingendosi a passarla in un macchinino appeso al muro, probabilmente un codice d'accesso.

Stava ancora ragionando su come le potesse essere saltato alla mente il nome di quel marchingegno, quando una seconda porta alla loro sinistra si aprì con un fischio.

Ne emersero quattro cyborg armati fino ai denti, che puntarono loro contro i fucili. Kay batté un piede a terra e una stalagmite scaturì dal pavimento, trapassando da parte a parte il braccio di uno, disarmandolo. Approfittando dello stupore degli altri, batté le mani, provocando mille scintille di ghiaccio. Soffiò sui palmi e una bufera di neve vera e propria investì gli esseri, ghiacciandoli sul posto.

Si voltò verso Sienna, che era rimasta impalata ad osservarla con gli occhi sgranati.

    • Che stai facendo?! Sbrigati! – le urlò la ragazza, facendola tornare presente a se stessa. La donna balbettò qualcosa in assenso, prima di voltarsi verso la porta e attivare il codice.

Stavano per uscire, quando Kay si accorse di qualcosa: uno dei cyborg si era fatto scudo di uno dei suoi compagni ed era scampato al congelamento. Aveva puntato contro di loro il fucile e stava evidentemente per premere il grilletto. L'unica cosa che allarmò Kay fu che il bersaglio non era lei, bensì Sienna.

Non pensò. Prese la donna per le spalle e la spintonò via, oltre la porta, nell'esatto momento in cui il cyborg premeva il grilletto, facendo fuoco.

Veloce come il fulmine, la pallottola colpì Kay dritta alla spalla, sbalzandola indietro e facendola sbattere contro al muro con un gemito.

    • Kay!!!! –

Sienna fece per raggiungerla, ma Kay si rese conto prima di lei del madornale errore che stava facendo. Fu svelta a colpire il muro con un forte pugno, facendo sì che tre pali di ghiaccio nascessero affianco del cyborg, colpendolo e mandandolo KO prima che facesse nuovamente fuoco.

    • Kay! Dove ti ha colpito? Sei ferita?? –

    • M-mi... mi ha preso alla spalla.... –

    • Alla spalla... ma... qui non c'è niente.... –

Kay si voltò. Il dolore che sentiva era acutissimo, ma effettivamente lì dove l'avevano colpita non c'era nessun foro. Solo una lieve pressione sulla pelle, che si stava poco a poco macchiando di viola scuro: un gran bel livido.

    • Ti... ti è rimbalzata contro.... – mormorò incredula la professoressa, raccogliendo lentamente da terra un dischetto metallico accartocciato: la pallottola.

Rimasero a fissarsi senza capire per un po', prima che alcune forti esplosioni le riportassero alla realtà. Dovevano andarsene da lì e alla svelta!

Proseguirono la loro corsa, curandosi di evitare le zone in cui sapevano esserci scienziati o Burattini.

Sienna le ordinò di disintegrare tutte le telecamere di sicurezza che incrociavano. Con un po' di fortuna, avrebbero mandato in tilt l'intero sistema grazie al gelo prodotto dalla ragazza.

Fecero scale su scale, scendendo sempre di più, nemmeno volessero raggiungere il centro della Terra.

    • Ci siamo quasi, non mollare! –

Aprirono l'ennesimo portone metallico, più pesante dei precedenti e si trovarono in un androne di cemento, in cui molti strani aggeggi metallici simili a carri erano parcheggiati. Solo successivamente Kay si ricordò il loro nome e la loro funzione: automobili.

Sienna avanzò sicura verso un furgoncino bianco, ma quando erano a nemmeno un metro da esso, qualcosa le bloccò: una scintilla scaturì dalla maniglia della portiera, provocando una piccola esplosione che la mandò in frantumi.

Entrambe si paralizzarono. Kay ansimò, più dalla paura che dall'ansia. Temeva di voltarsi, perché sapeva fin troppo bene chi si sarebbe trovata difronte.

    • La corsa è finita. –

Jay.

Kay si girò piano con la sola testa. Jay le stava osservando con una mano alzata. Era parecchio ammaccato e parte della mantella era sgualcita, ma per altro pareva stare benone. D'improvviso Kay si chiese che fine avesse fatto Sayb. Non voleva neppure credere che... che fosse...

    • Immagino... – esordì Sienna, riprendendo fiato – Immagino che sia inutile chiederti di lasciarci andare. –

    • E io immagino che tu abbia ragione. – rispose lui tranquillo.

    • Jay, pensaci... Vieni con noi! Non dovrai sottostare più alle regole di nessuno! Sarai libero, padrone di te stesso! –

    • Io sono già padrone di me stesso. –

    • E allora perché ubbidisci a Daniel come un cagnolino? –

    • Io non ubbidisco. Ricambio i favori. Lui mi da quello che voglio e io gli do quello che vuole. –

    • L'illusione è resa bene allora... –

Kay previde l'attacco ancor prima che Jay muovesse il braccio. Si parò dinnanzi alla tutrice e picchiò un piede a terra per far sorgere uno spesso muro di ghiaccio a un metro da sé. Una fiammata colpì in pieno lo scudo, che le protesse.

    • Lasciala stare! Veditela con me, piuttosto! – voleva sembrare risoluta, ma la voce le tremava abbastanza da far capire al ragazzo la sua reale condizione psicologica.

Infatti lo vide sorridere, quasi con pietà, prima che riprovasse ad aggredirla. Il corpo di Kay si mosse da solo. Respinse l'attacco con un rapido movimento del braccio. Era stata una cosa istintiva, che per un attimo l'aveva lasciata di stucco.

    • Nasconditi dietro al furgone! – ordinò a Sienna, prima di concentrarsi sul nemico. Ora era appena un po' più fiduciosa riguardo le sue possibilità di salvezza, ma non voleva abbassare la guardia.

Jay sferzò un calcio nell'aria e una falce di fuoco saettò verso di lei, che riuscì a pararla con lo stesso stratagemma di prima. Ma Jay non era uno stupido. Anzi, probabilmente sperava in una mossa del genere. Infatti aggirò l'ostacolo senza lasciarle il tempo di notarlo, afferrandola per la gola e sollevandola da terra.

    • No!!! Lasciala stare!!! – le strilla di Sienna rimbombavano per tutto l'ambiente, come anche nelle orecchie di Kay. Ma al momento, ciò che sentiva di più era il pulsare del sangue alle tempie. Non riusciva a respirare.

Lo colpì con un calcio deciso al petto, riuscendo a farsi mollare. Prima che lui potesse anche solo considerare di fare qualcosa, fece una piroetta su se stessa e lo colpì con una forte pedata al costato, mandandolo a sbattere contro una macchina, neppure fosse stato un razzo.

Kay strillò dalla sorpresa. Era cosciente di essere dotata di una forza superiore a quella degli esseri umani normali, ma non immaginava fino a quel punto.

Il ragazzo si rialzò piano dalle lamiere. Non si era fatto quasi nulla: solo un rivoletto di sangue gli colava solitario da un lato della bocca, ma nulla più. Quando alzò lo sguardo su di lei era chiaro cosa stesse provando: rabbia. O più che altro furia. Nei suoi occhi si poteva leggere la ovvia intenzione di spezzarle le ossa.

Lo osservò mentre si voltava, afferrando il bordo di quella che pochi secondi prima era stata un'auto. La sollevò come se fosse stata uno scatolone di peso sopportabile e la tenne sopra la testa.

Kay stava ancora contemplando la scena con sgomento, quando lui gliela lanciò addosso. Non poteva scansarsi. A parte che non ne avrebbe avuto il tempo, ma se si fosse mossa Sienna sarebbe stata coinvolta e questo voleva assolutamente evitarlo.

Ma prima che la macchina la sfiorasse... esplose. Così, a mezz'aria. Lo spostamento d'aria aveva sbalzato via i due ragazzi, che rotolarono sul duro asfalto del parcheggio come palloni da basket.

Il primo a riprendersi fu Jay, che alzò stizzito la testa per guardare il risultato fallito del suo attacco.

    • Ancora ti intrometti?! –

Kay ci mise un po' per capire che non stava parlando con lei. Dietro di lui, là davanti alla porta da cui tutti loro erano giunti, c'era Sayb. Aveva ancora un braccio alzato.. o meglio, quello che doveva essere il suo braccio, perché a Kay appariva molto più come un cannone.

    • Pensavi davvero che spingermi in una stanza e fondere la porta sarebbe bastato a levarmi di torno? –

    • Pensavo semplicemente che fossi intelligente e che avresti capito l'antifona. –

    • Non hai ancora capito, Jay? Io non ti lascerò uccidere queste due ragazze. –

Jay si alzò lentamente, continuando a dargli le spalle. Si pulì i vestiti con qualche pacca, ma anche se il suo atteggiamento poteva sembrare tranquillo, il suo sguardo lo ingannava. Era chiaro quanto si stesse innervosendo.... e di quanto gli costasse trattenersi.

    • Perché lo fai? –

    • Mi stupisci, Jay... da quando ti preoccupi ancora del perché di certe cose? –

    • Per quanto sia relativa l'importanza della tua vita... voglio sapere perché ti dovrò uccidere. –

    • Davvero non lo immagini? Per lo stesso motivo per cui tu ancora non hai mantenuto ciò di cui mi stai minacciando da tempo. –

Stavolta il ragazzo si voltò a guardarlo, più rabbioso che altro.

    • Smettila! Finiscila di parlare per enigmi e rispondi chiaro per una volta!!! – urlò e nella sua voce Kay poté quasi distinguere tutta l'amarezza e la frustrazione che doveva provare quel momento.

    • Vuoi davvero saperlo? Te ne darò la possibilità.. ma dovrai strapparmela dalle labbra. –

Detto questo, lo superò a grandi falcate e si avvicinò al furgone dov'erano Kay e Sienna. Capendo cos'aveva voluto dire con quell'ultima frase, Jay rimase a fissare serio il cyborg.

    • E' un accordo, no? Io ti do qualcosa che vuoi, se tu dai a me qualcosa che voglio. –

    • Venire con voi? –

    • Bhe, sì... dici sempre di non essere proprietà di nessuno... e che fai solo ciò che più ti conviene. Ebbene... questo... – e indicò il furgone – … non ti conviene? –

Jay osservò il cyborg con odio per un periodo di tempo che a Kay parve un'eternità. Alla fine piantò un calcio stizzito a terra, crepando il cemento, da cui scaturì una fiammata infernale. Sayb sorrise, mentre Kay osservava spiazzata la figura del ragazzo che si avvicinava a rapide falcate al furgone.

Senza dire una parola, sfondo con un pugno il finestrino e aprì la portiera dall'interno, salendo a bordo, sedendosi sul retro.

Kay guardò Sayb, ma per tutta risposta ricevette un sorriso tranquillissimo.

    • Vogliamo andare? –




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Capitolo 7
*** Nascosti. ***


Salve a tutti, prima di pubblicare il capitolo vorrei spendere un paio di parole per avvisare di alcune cosucce: ultimamente non ho avuto molto tempo e nella fretta di terminare qualcosa non sono riuscita a ricontrollare ciò che già avevo scritto. Perciò, se notate errori, incongruenze o quant'altro non esitate a farmelo notare! Vedrò di sistemare tutto al più presto! Bene, non tolgo altro tempo e spazio e mi ritiro. Buona lettura! E mi raccomando, recensite! 

 



Nascosti.


 

Ancora non ricordava benissimo di come si facesse a scandire il tempo, ma era quasi sicura che fossero passate parecchie ore dalla loro partenza. Uscire da quel luogo infernale non era stato tanto difficoltoso, una volta preso il furgone. Sienna l'aveva fatta salire sul retro e le aveva tenuto la testa bassa per tutto il tempo, o almeno fino a quando Sayb non aveva fatto saltare in aria il cancello principale con una cannonata al plasma lanciata dal... braccio.. (ancora doveva abituarsi a quelle stranezze).

Jay era seduto davanti a lei. Teneva lo sguardo basso e le braccia incrociate, con l'aria di chi si sta annoiando a morte. Kay si ricordò che non aveva sbattuto ciglio neppure durante l'esplosione delle fortificazione, mentre lei aveva lanciato uno strillo di sorpresa, visto che non potendo vedere niente il gran baccano l'aveva spaventata.

Sienna non la lasciò andare per un solo istante. La stringeva sempre in quell'abbraccio disperato di chi ha rischiato di perdere tutto nel giro di poco. Kay, dal canto suo, la lasciava fare, anche perché pure per lei era un gran sollievo sentirsela vicina. Dopo l'ordine di Daniel e tutto il putiferio che ne era derivato, aveva seriamente temuto di perdere Sienna che, bene o male, per lei era davvero l'unica persona che aveva e su cui poteva fare affidamento.

Sienna continuava a ritenere che anche Sayb poteva esserle amico, darle una mano e starle vicino così come faceva lei... ma... non riusciva a vederla così. Dopotutto lui era grande e spaventoso e nonostante le avesse salvate ancora non riusciva a rimuovere quella tremenda soggezione che aveva nei suoi confronti.

Il viaggio durò ancora per parecchio tempo, finché Kay non percepì il terreno sotto al furgone farsi brullo, sballottandola da ogni parte. Quando finalmente si fermarono, il silenzio che ne derivò quasi ferì le orecchie della ragazza, ormai abituata al rombo sommesso del motore e degli pneumatici sulla strada.

Sayb aprì loro il portellone del retro e non appena lo fece una folata di aria fresca investì i tre passeggeri di colpo. Quel profumo... portò bruscamente alla mente di Kay moltissime cose... quasi ricordi, che però non riusciva ben a definire.

Sienna si alzò appena dopo Jay, che era già sceso da un pezzo, accompagnandola all'esterno. Quando scesero dal mezzo, i loro piedi affondarono nell'erba alta di una larga aia campagnola. Il cielo era limpidissimo e l'aria pulita sapeva di erba e fogliame, il tipico odore che ha il sottobosco. Non seppe perché, ma al ricordare quelle cose un sorriso le si delineò sulle labbra, senza che potesse farci niente. Riconobbe tutto: foglie, alberi, erba, paglia, cespugli... tutto verde, marrone e azzurro. Una meraviglia, che non aveva niente a che vedere con il luogo in cui era stata rinchiusa per tutto quel tempo.

    • Dove siamo? – chiese Sienna, osservando la casa antica che si innalzava affianco del furgone parcheggiato.

    • Appena fuori Londra. Avevo notato questo capanno qualche tempo fa... – rispose tranquillo il cyborg, mentre chiudeva ogni portellone. Sienna si voltò sorpresa.

    • Stavi già... programmando di andartene? –

    • Se proprio vuoi saperlo... sì. –

Le superò, andando verso la casa e poggiando la grossa mano sulla maniglia della porta. Com'era prevedibile la trovò chiusa. Sayb sospirò, facendo per sostituire una delle dita con un grimaldello, quando Jay lo anticipò picchiando una forte pedata vicino allo stipite, scardinando la porta. Senza dire una parola, entrò, lasciando Sayb con ancora la mano alzata a raggiungere la serratura.

      • Che razza di modi... –

      • Non è abbandonata? – scrollò le spalle il ragazzo.

      • Anche se fosse, non è educazione. –

Jay sbuffò, andando a curiosare gli ambienti antistanti.

Prima di entrare, Kay sollevò lo sguardo sulle pareti esterne dell'edificio: era visibilmente vecchio e scrostato in più punti, senza contare le profonde crepe che lo attraversavano da parte a parte e l'erba selvatica che cresceva da esse, tra cui l'edera.

Sollecitata da Sienna, si decise ad entrare. All'interno l'odore dell'aria cambiava drasticamente. C'era puzza di muffa, umido e polvere... di vecchio insomma. Un luogo evidentemente lasciato chiuso e abbandonato per diversi anni.

Sayb batté una mano su uno scaffale per saggiarne la resistenza, ma quello si spezzò in due sotto al suo tocco, rivelando il vecchio legno mangiato dalle termiti e dall'umidità.

    • Sì, bhe.... – sospirò il cyborg fissando accigliato il suo operato involontario – Direi che come nascondiglio temporaneo può andare bene. –

    • Ma Sayb, non capisco... – protestò la professoressa. – Non ci siamo allontanati tanto! Con tutte le risorse che possiede Daniel, ci metterà meno di un battito di ciglia a trovarci. –

    • Questo non è del tutto esatto. Ho disturbato il segnale di radar o satelliti. Nemmeno volendo, non sarebbero mai riusciti a seguire i nostri movimenti. –

    • Lo puoi fare? –

    • Sono un cyborg, ricordi? – le fece notare con un sorriso che faceva trasparire tutto fuorché divertimento – Per quanto riguarda la lontananza... conoscendo Daniel suppongo che rintanarsi sotto il suo naso sia al momento la soluzione migliore. –

Sienna stava visibilmente per ribattere, ma si morse le labbra, abbassando la testa.

    • Se ne sei così convinto... mi fido di te. –

L'omone annuì, respirando a pieni polmoni l'aria stantia e guardandosi attorno.

    • Dunque... direi che prima di tutto far circolare un po' d'aria non farebbe male... più che altro ai tuoi polmoni Sienna, noi tre siamo immuni ormai a certi malesseri “umani”. –

    • Non aprire troppe finestre però... se davvero questo luogo è rimasto abbandonato per anni, trovarlo palesemente abitato può destare sospetti. E sarà meglio nascondere pure il furgone. –

    • Dici cose ovvie ed elementari, mia cara. Non sono stato a capo di svariate missioni per conto diretto di Daniel per niente. –

    • Bhe, se sei tanto esperto allora datti una mossa. Vorrei evitare di finire ammazzata proprio dopo essere riuscita a scappare da morte certa... –

Sayb sospirò alzando le braccia, ma sorrise, come se fosse abituato a scene del genere. Fece per sorpassare Sienna e Kay, per andare probabilmente a spostare il veicolo, quando la donna lo afferrò per un braccio.

    • E a proposito di questo... grazie. –

Kay lo vide sorridere, con un modo di fare che per niente gli si addiceva. Per un attimo, vedendolo con un'espressione tanto umana, quasi... analoga a quelle che Sienna le riserbava sempre, la soggezione che provava per lui scemò un poco.

Dopotutto... non era poi così male come pensava.

 

Per quella sera, evitarono di accendere luci. Daniel li stava sicuramente cercando con una certa foga ed era meglio dare meno indizi possibili sulla loro presenza in qualsivoglia posto.

Non poterono mangiare, essendo stata la loro fuga tanto tempestiva da non permettere loro di prepararsi a dovere.

Kay non si sentiva affamata o altro, più che altro... era stanca. Strenuata da tutto quello che era successo quel giorno. Le ansie, la fuga, le lotte... e ciò che era derivato da queste, come il grosso livido alla spalla. Certo, la pallottola avrebbe dovuto ucciderla, tuttavia le era rimbalzata contro... si poteva dire fortunata. O meglio... non sentiva bene dentro di sé quel senso di fortuna. Dopotutto quella era l'ennesima cosa che la rendeva ancora meno umana di quanto pensava di essere.

    • Kay, ti senti bene? –

Sollevò lo sguardo di scatto e notò che tutti la stavano guardando: Sienna preoccupata, Sayb curioso e Jay... ovviamente annoiato.

    • Cos... sì, sì, perché? –

Sienna le prese una ciocca di capelli e la pose davanti a sé per riuscire a vedere meglio grazie ad un fascio di luce lunare che faceva capolino dalla finestra.

    • I tuoi capelli... sono spenti... sono opachi. Sei sicura di sentirti bene? –

    • Sienna, sai che non sta bene. Oggi ha utilizzato per la prima volta i suoi poteri di Modificata in battaglia. È una cosa che spossa, lo sai. – intervenne Sayb, intuendo il problema.

    • Sì, ma pensavo che lei, essendo diversa... –

    • No, è la stessa cosa. Anche Jay, agli inizi, aveva sempre bisogno di un buon fuoco per rinvigorirsi. Adesso fortunatamente ci vuole più tempo perché esaurisca le forze, ma per Kay non è ancora così. Avrebbe bisogno di ghiaccio... come quello con cui l'hanno inondata appena sveglia nel laboratorio. Anche l'azoto liquido andrebbe bene. –

    • Penso sarà difficile trovare dell'azoto in questa catapecchia... – fece notare Jay.... anche se evidentemente era un commento retorico e sarcastico.

    • No, sto bene! – l'ultima cosa che Kay voleva era dividersi ancora da loro. Se procurarsi l'azoto voleva dire mandare qualcuno a procurarselo, allora poteva fare anche senza.

    • Tesoro, sei sicura? – Sienna le accarezzò la testa. La faccia stanca di Kay non mentiva, tuttavia la forza d'animo della ragazza ebbe la meglio.

    • Sicurissima. Sto benone, devo solo dormire un po'. –

    • Allora andiamo. Vediamo se troviamo un letto. –

Sienna la aiutò ad alzarsi e solo in quel momento Kay si rese conto di quanto le gambe le si facessero sempre più molli ad ogni passo. All'ultimo piano della casa trovarono un vecchio letto sotto una finestrella rotonda chiusa con delle assi inchiodate. L'odore di muffa lì era ancora fortissimo, ma per Kay dormire lì non sarebbe stato nocivo.

La fece coricare e la coprì con un telo trovato lì affianco.

    • È un po' polveroso... – si scusò la professoressa, accarezzandole i capelli.

    • Va benissimo, non ti preoccupare. Grazie... –

La donna sorrise. Le scoccò un bacio sulla fronte e la lasciò sola, evitando però di chiudere la porta. Finalmente Kay poté chiudere gli occhi, riposarsi, sentendosi alla fine parzialmente al sicuro.

 

Un filo di luce filtrò dallo spiraglio lasciato tra due delle assi inchiodate alla finestra, posandosi direttamente sugli occhi di Kay. Infastidita da quel disturbo improvviso, aprì piano gli occhi, ritornando dal mondo dei sogni a quello della realtà. Se dapprima tutto fu sfocato e poco chiaro alla memoria, poi, mano a mano che la vista metteva a fuoco i vari oggetti nella vecchia stanza di legno, tutto le tornò alla mente con la forza di un uragano.

Se il giorno precedente aveva avuto il terrore di non arrivare al giorno dopo... ora che ci era arrivata l'unica cosa che sentiva era felicità: era felice per non essere più in quel luogo infernale, per non doversi più sottoporre a test assurdi, per non dover più far finta di essere un automa, per poter forse iniziare una vita nuova, andando contro ciò per cui Daniel l'aveva creata.

Stava ancora scartabellando questi pensieri, quando Sienna entrò nella camera.

    • Oh, sei sveglia! Come ti senti, va meglio? –

    • Un po' sì. – in effetti, si sentiva un pochettino più in forze. Niente di eccezionale, ma pur sempre qualcosa.

    • Sayb mi ha detto che puoi recuperare le forze anche così, ma che ci vorrà il triplo del tempo. –

Seguì la donna ai piani inferiori. Stando aperto tutta la notte, il piano terra aveva assunto un odore più accettabile e l'aria era respirabile con più facilità, soprattutto per Sienna.

    • Dove... dove sono gli altri? – chiese notando di essere sole.

    • Sayb controlla la zona, mentre Jay è andato a caccia. –

    • A caccia? – la notizia in qualche modo la turbò.

    • Sì, dato che al momento non è consigliabile andare in città a fare provviste. Là c'è un fornello e incredibilmente funziona ancora. Con ogni probabilità oggi riusciremo a mangiare qualcosa. –

    • Oh.... –

Sienna stava rassettando la casa per renderla più vivibile e lei ben non sapeva come aiutarla. Vide poi qualcosa che la donna aveva appoggiato sul tavolo della cucina. Era una pila di fogli di carta stampata, piegati tra loro. Ricordava di averlo intravisto sul sedile anteriore del furgoncino, il giorno precedente. Quasi subito un termine le affiorò alla mente: giornale. Era un quotidiano.

Lo prese tra le mani, ma quasi subito qualcosa attirò la sua attenzione: in prima pagina torreggiava una grossa foto a colori. Rappresentava una ragazza sorridente, con lunghi e lisci capelli rossi e grandi occhi nocciola. Sopra di essa, un titolo in spesso grassetto nero citava: SCOMPARSA.

Si accigliò. Aveva già visto quella persona... quel viso, quegli occhi... tutto le appariva maledettamente famigliare. Fu quando cominciò a fare due più due, che si sentì il giornale strappato di mano. Sienna la guardava con occhi incerti mentre piegava i fogli, per nasconderli nel cassetto di una credenza lì accanto.

    • Questa roba per il momento è meglio se la lasci perdere. –

    • . Sienna.... quella ragazza.... –

    • Oh.. non è niente, sono le solite notizie che si sentono.... –

    • sono... o meglio, ero io... –

Sienna fermò tutto ciò che stava facendo, rimanendo di spalle e con lo straccio a mezz'aria.

    • Non è vero? – la incitò Kay, vedendo che non aveva intenzione di risponderle.

La donna sospirò, ma non si voltò.

    • Kay.... ora.. non è ancora il momento perché tu sappia. La tua curiosità può solo nuocerti. Per il momento ti basti sapere che la tua storia è molto simile a quella di quasi tutti i ragazzi presi da Daniel. –

    • Perché dici che la mia curiosità può nuocermi? Non capisco che senso ha, se io... –

    • La ragazza che sei ora non ha nulla a che vedere con ciò che sei adesso! – alzò la voce la donna, finalmente voltandosi verso di lei – Quella ragazza è morta il giorno dell'irradiazione, mentre tu sei nata. Il mondo a cui lei apparteneva, la vita che viveva, la famiglia, tutto quanto, non ha niente a che fare con te! Quindi cercare di rivangare non ha senso! –

Aveva tanto alzato la voce che Kay era rimasta spiazzata. Sentì pizzicare il naso e corse via dalla stanza prima che le lacrime cominciassero a rigarle le guance. Risalì in camera, chiudendo la porta. Aveva bisogno di aria, di luce... quella penombra in quel momento era davvero troppo opprimente. Afferrò con entrambe le mani le assi con cui era assicurata la finestra e le strattonò, divellendole con violenza. Una folata di aria fresca le investì il viso, smuovendole i capelli azzurrini e asciugandole le lacrime ancora in corso di caduta.

Perché Sienna le aveva detto quelle cose terribili? Ma non si rendeva conto di come si sentiva? Quella giornata, cominciata così tanto bene, si stava distruggendo in mille pezzi, nemmeno ci avessero picchiato un'incudine di ferro.



 




 

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Capitolo 8
*** Una nuova famiglia. ***


Una nuova famiglia.











 

La ragazza sul giornale era lei. Sì, osservando con più attenzione poteva notare molte similitudini: lo stesso viso paffuto, i grandi occhi, il corpo minuto, i lunghi capelli... non tanto quanto in quel momento però. E i capelli non erano azzurri, bensì rossi e gli occhi castani. Ci assomigliava così tanto... eppure allo stesso tempo non c'entrava nulla con lei.

Sienna le aveva proibito di anche solo toccare quel giornale, ma Kay non aveva resistito e durante la notte, quando tutti dormivano profondamente, ignari di tutto, era scesa in punta di piedi fino al mobile della cucina in cui aveva visto Sienna nasconderlo.

Avendo cura di non essere scoperta, si rinchiuse nel sudicio bagno della baracca e accese una piccola torcia elettrica per riuscire a vedere meglio. Dopo un primo momento di difficoltà, riuscì a decifrare i simboli neri che ricoprivano l'intero foglio: lettere, frasi.

Il nome della ragazza scomparsa era Keira Hedlund. Aveva diciassette anni ed era scomparsa un paio di mesi addietro, dopo essere uscita dal liceo. Nessuna traccia, nessun testimone, solo due genitori e un fratello disperati per la sparizione della famigliare, ritenuta probabilmente morta dalle autorità.

Si accigliò. Lei non era morta! Anzi, era viva e vegeta! Un po' diversa forse... e con qualche annetto smarrito nella memoria... ma pur sempre viva!

Voleva vedere la città da cui l'avevano rapita: Londra. Aveva vissuto in quel luogo per diciassette anni ed era sicura che, semmai avesse provato a rimetterci piede, la memoria avrebbe potuto ritornare. Tentare non nuoceva...

Non poteva dirlo a Sienna: non avrebbe mai approvato e quasi sicuramente le avrebbe fatto una lavata di testa tale da farla diventare riccia. No, non era il caso.

Si alzò da terra, spegnendo la torcia e solo in quel momento si chiese come avessero fatto a saltarle alla mente certe metafore che facevano tanto sorridere al pensiero.

Stese le labbra in un sorriso divertito e uscì dal bagno.

Doveva andare a Londra. Sayb aveva detto che erano parecchio vicini, quindi non doveva distare tanto. Sospirò, poggiando una mano sulla maniglia della porta. Non era troppo sicura che fosse una buona idea... ma d'altronde era un dovere che sentiva di possedere verso se stessa. Quella era stata la sua vita e provare a ritornarci le pareva il minimo che potesse fare, ora che era libera.

Prima di avere il tempo di ripensarci, abbassò la maniglia e uscì all'umida aria notturna.

 

 

Sayb sbadigliò rumorosamente. La nottata non era stata per niente piacevole. La mancanza del suo letto “ricaricatore” si faceva sentire e i movimenti si facevano sempre più difficoltosi, quasi ogni giuntura si stesse poco a poco calcificando di ruggine.

Sbuffò, smuovendo un braccio e facendolo cigolare.

  • Hai bisogno di una bella oliata? – Jay gli era arrivato alle spalle con in mano una tazza di quel vecchio caffè macinato che avevano trovato in un barattolo di metallo.

  • Fai poco lo spiritoso, ragazzo... Temo che presto dovrò trovare un modo per ricaricarmi le batterie... o diventerò un ferro vecchio e ingombrante. –

  • Dovevi pensarci quando hai deciso di scappare dalla RUNC. –

  • Sai, non è che ho avuto poi tanto tempo per preparare le valige. – rispose ironicamente il cyborg, facendo schioccare un ginocchio. Jay assistette alla scena con una faccia infastidita e al tempo stesso ironica.

  • Bhe... nessuno di noi penso voglia vederti diventare un ferro vecchio. Bisognerà trovare una soluzione alla svelta. –

  • Mi stupisci Jay! Stai dicendo che ti preoccupi per me? – la provocazione malcelata non sfuggì al ragazzo, che si affrettò a sbuffare e a bere un sorso di caffè... per poi fare una smorfia disgustata.

  • Bleah, ma che cos'è sta roba?! Sa di carburante per stufe! –

  • Non ti chiederò come fai a saperlo... –

  • Buongiorno, signori! – Sienna entrò nella stanza, spettinata come se avesse dormito a testa in giù. Ma d'altronde era una cosa del tutto normale, vista la loro situazione. La crocchia con cui normalmente si teneva legata i capelli era completamente disfatta e le lunghe ciocche lisce e scarmigliate le ricadevano scompostamente sulle spalle.

Sayb le rispose con un cenno della testa, mentre Jay si limitò a darle le spalle e lasciare la stanza. Sienna stirò le labbra, non essendosi aspettata niente di meglio.

Il sorriso però le morì non appena si voltò, scorgendo qualcosa: il cassetto in cui il giorno prima aveva riposto il quotidiano era spalancato. Senza aspettare un solo secondo ci si avvicinò e lo prese tra entrambe le mani. Il giornale era sparito.

Sayb poté leggerle negli occhi quell'ombra tetra di comprensione che le oscurò gli occhi per alcuni interminabili istanti.

La donna scattò come un felino, correndo su per la scala. Sayb rimase in silenzio, non avendo ancora chiaro cosa fosse successo di così tanto grave. L'urlo che però arrivò dall'ultimo piano della baracca dovette farlo ricredere.

Non fece nemmeno in tempo ad alzarsi in piedi, che Sienna ricomparve sulla soglia, pallida come un cadavere.

  • Kay non è più nella sua stanza! È sparita!!!–

     

 

Londra. Finalmente l'aveva raggiunta. Durante il tragitto aveva avuto la fortuna di incontrare un signore con un grosso mezzo munito di tantissime ruote (camion) che aveva avuto la gentilezza di darle un passaggio.

Certo, per tutto il tragitto era rimasto a fissarla con insistenza, rischiando talvolta di andare a canale, e le aveva fatto domande strane che lei non era riuscita a comprendere. Per esempio “C'è qualche fiera in vista?” o “Sei per caso una cosplayer?”.

Bhe, lei non aveva idea di cosa fosse una fiera, anche se il termine non le giungeva nuovo, e men che meno cosa fosse una cosplayer. Tuttavia si era limitata ad annuire e ad essere il più cortese possibile, approfittando della sua disponibilità per mostrargli il giornale che si era portata appresso e chiedere informazioni.

L'uomo non aveva saputo fare altro se non ripeterle cose che già sapeva: la ragazza è stata rapita, ormai si pensa che sia morta, ecc, ecc...

L'aveva fatta scendere davanti ad un grosso palazzo marroncino, ornato da una grande torre munita di un maestoso orologio. Immediatamente quella vista le sbloccò nella mente una serie di informazioni a lei ora del tutto familiari: quell'orologio si chiamava Big Ben e la torre era la Clock Tower; l'edificio affianco era il Palazzo di Westminster e ricordava perfino il nome di una delle cinque campane dell'orologio, la Great Bell.

Sorrise estasiata dal ricordarsi tutte quelle cose con così tanta facilità. Pareva quasi che più allenasse la mente con ragionamenti e i pensieri, più i ricordi affioravano con facilità.

Inspirò a pieni polmoni. Quell'aria aveva un profumo particolare, che le smuoveva emozioni all'interno dello stomaco, che non riusciva tuttavia a decifrare. Conosceva quel posto, ogni cellula del suo corpo si ricordava di quel marciapiede, del profumo dell'aria, del vociare dei passanti...

Abbassò lo sguardo e notò che molte persone, passandole affianco, la osservavano: chi con occhi stupiti, chi curiosi e chi addirittura spaventati o dubbiosi.

Non capiva cosa attirasse tanto l'attenzione su di sé. Si guardò le mani: avevano cinque dita, esattamente come le loro. E aveva due braccia e due gambe. Allora perché la gente continuava a fissarla a quel modo?

  • Scusami... – un gruppo di ragazzine l'avevano avvicinata. Una era munita di una piccola scatola nera e lucida: una macchina fotografica. – Hai una parrucca meravigliosa! Sei una cosplayer? Possiamo fare una foto con te? –

Kay non seppe cosa rispondere. Ancora con quel “cosplayer”. Che cosa significava? E poi.... “parrucca”? Ma i suoi erano capelli normalissimi!

D'un tratto le balenò un'ipotesi alla mente. Il colore del capelli! Si guardò attorno e notò che nessuno si avvicinava neppure lontanamente al suo azzurro slavato. Era forse quella la stranezza che tanto monopolizzava l'attenzione su di sé?

Acconsentì a farsi fotografare, sorridendo con fare incerto. Fu una cosa naturale: mettersi davanti all'obiettivo e stirare le labbra. Le ragazzine la ringraziarono mille volte, facendole anche i complimenti circa certe lenti colorate che, sempre secondo loro, doveva indossare in quel momento.

Fu allora che decise di chiedere anche a loro informazioni riguardo la famiglia Hedlund, ma non seppero dirle nulla che non sapesse già.... un'altra volta.

Girovagò per la città si ritrovò in una grossa piazza. Quattro leoni scolpiti torreggiavano alla base di una grande colonna e alcune magnifiche fontane spruzzavano acqua verso il cielo.

  • Trafalgar Square... – mormorò tra sé e sé e un altro sorriso, stavolta più largo, le illuminò il viso.

Si ricordava tutto! Perfino che nel periodo invernale, in quella stessa piazza, veniva eretto un enorme e bellissimo albero di Natale.

Sentì sghignazzare alle proprie spalle e quando si voltò vide una scolaresca di bimbi uscire dalla National Gallery. La indicavano e sorridevano ammirati.

Era così bello... stare lì, respirare l'aria fresca e udire il vociare sommesso delle persone o i clacson delle vetture. Si sentiva... a casa. Non credeva davvero che fosse possibile raggiungere un tale apice di felicità.

Stava ancora godendo di tale sensazione, quando un assordante rumore ritmico occupò tutto il suo udito. Alzò lo sguardo e ciò che scorse fu un velivolo che la sovrastava: era abbastanza grande da contenere quattro persone e le due ali laterali erano dotate di turbine interne, che lo mantenevano sospeso nel cielo.

Non dissero nulla. Non una parola o un cenno. Semplicemente... spararono. La folla si disperse tra mille grida e il vento generato da quello strano elicottero schiaffava in ogni dove carte e terriccio.

Erano loro! Ne era sicura! Gli uomini di Daniel. Stava per correre via, quando si rese conto di qualcosa che le tolse il respiro: le pallottole a lei non avrebbero fatto nulla... e allora perché sparare a quel modo?

Si voltò e notò che ad essere presa di mira non era lei, bensì le persone che erano attorno a lei! Ma perché? Cosa potevano fare, che problemi potevano dare? Non capiva!

La scolaresca cercava di fuggire nuovamente verso i portici della National Gallery. I mitra dell'elicottero puntarono verso di loro. Una bambina inciampò...

Kay non ci vide, ne sentì più nulla. Balzò in avanti, creando una patina ghiacciata sotto ai piedi che le consentisse di avanzare speditamente e coprendo almeno venti metri in meno di un secondo. Si gettò sulla bambina, proprio mentre veniva aperto il fuoco.

Le grosse pallottole la colpirono ripetutamente alla schiena, strappandole un rantolo di dolore e facendola accasciare a terra, sopra la bambina. Il dolore era davvero insopportabile, tuttavia non una aveva avuto la forza di trapassare la sua pelle.

Aprì gli occhi e subito incrociò quelli della sua protetta, azzurri e grandi di paura. Era come paralizzata e le mani le tremavano violentemente. Quella vista la fece soffrire più dei lividi sulla schiena: come potevano seminare tanta distruzione e dolore? Come potevano sparare a gente innocente, uccidere bambini?!

Trovò le forze per tirarsi su e strinse più che poté la bambina tra le braccia. Corse verso il punto in cui insegnante e compagni si erano già rintanati e l'elicottero sparò ancora su di loro. La bimba gridò, ma Kay ebbe la cura di coprirla totalmente.

Aveva quasi raggiunto il portico, quando un colpo la raggiunse al polpaccio, facendola inciampare e cadere a terra. Strillò di dolore e sorpresa, reggendosi la gamba. Con il braccio libero spintonò la bambina verso l'insegnante, che non esitò oltre ad afferrarla, tirandola indietro.

  • Via! Andate dentro! Scappate!!! – urlò Kay, ferendosi quasi la gola.

Non serve dire quanto alla svelta maestra e alunni si dileguarono. Alle sue spalle, le turbine battevano impietose il loro sommesso ritmo, quasi l'elicottero e i suoi passeggeri attendessero che si girasse verso di loro.

Kay strinse i pugni, scossa da una potente ira. Come potevano aver osato tanto? Come?!?

Si voltò di scatto, urlando e falciando l'aria con un braccio: una ventata gelida colpì in pieno una delle due ali, trasformandola letteralmente in un denso agglomerato di ghiaccio, che fece perdere visibilmente quota al velivolo.

Un altro colpo, un altro grido straziato dalla rabbia e dal dolore... e il mezzo si schiantò definitivamente a terra. Ma non era ancora finita: gli sportelli si aprirono e a uscirne furono alcuni ragazzi dai capelli che andavano dal bianco al grigio scuro e dagli occhi ardenti come tizzoni. Le bastò incrociare quelle iridi vitree per capire chi avesse difronte: i Burattini. E a giudicare dal colore scuro della pelle e chiaro dei capelli, dovevano, come Jay, essere stati sottoposti alle radiazioni Uranine.

Alcuni di loro la attaccarono frontalmente e Kay non ci mise molto a bloccarli, pestando un piede a terra e innalzando spesse lastre di ghiaccio contro cui andarono a cozzare. Ma nemmeno un secondo dopo altri due scavalcarono quella barriera improvvisata, lanciandole contro vampe incandescenti che non fece in tempo a schivare.

Cadde a terra, in completa balia dei suoi avversari. Vide uno di loro calare su di lei un pugno incandescente, ma riuscì a rotolare di lato appena un istante prima dell'impatto. Con una capriola si rimise sui due piedi, colpì con un potente calcio il ragazzo, che atterrò su un suo compagno, mandando entrambi gambe all'aria.

Udì uno sfrigolio alle proprie spalle e alzò istintivamente un braccio, parando un calcio diretto al suo collo. Afferrò quindi la caviglia del Burattino e lo strattonò quel tanto che le consentì di raggiungere la collottola. Lo agguantò e lo lanciò in aria, sbattendolo contro l'obelisco.

Per ogni volta che li buttava a terra, quei maledetti si rialzavano sempre e comunque. Potevano avere una gamba rotta o non avere più la forza di reggersi in piedi, tuttavia rimanevano sempre lì, a fissarla con quegli orridi e spaventosi pupille impassibili.

Per la prima volta Kay dubitò che quegli esseri potessero sentire il dolore. E se l'unico modo per fermarli fosse stato ucciderli? No... si rifiutava. Non poteva farlo, l'aveva giurato.

Doveva trovare un modo per guadagnare tempo.

Aspettò che si raggruppassero tutti nello stesso punto, pronti ad aggredirla nuovamente, quindi riempì i polmoni con tutta l'aria che erano in grado di contenere.... e soffiò. Una forte raffica di vento polare li investì, mutandoli poco alla volta in perfette statue di ghiaccio.

Continuò finché non fu sicura che non le fosse rimasto neppure un grammo d'aria in corpo, quindi si piegò in avanti, poggiando le mani sulle ginocchia. Il suo piano era riuscito, ma non sarebbe stata una soluzione duratura: loro potevano emanare calore dai pori della pelle, proprio come lei poteva generare il gelo; non sarebbe passato molto prima che riuscissero a liberarsi.

Provò a fare un passo, ma le gambe non la ressero. Cadde in ginocchio, ansimante. Si sentiva... esausta. Il respiro le veniva a fatica e ogni singolo muscolo del corpo tremava neanche volesse schizzarle via.

Notò alcune cartacce affianco a sé venire sospinte da un forte vento. Si voltò di scatto: un secondo velivolo la puntava dal tetto della National Gallery. Come aveva fatto a non accorgersene prima?!

L'elicottero sparò. Stavolta Kay non avrebbe avuto il tempo si scansarsi. Un colpo la prese alla spalla, un altro all'addome e un terzo in piena fronte, mandandola lunga distesa a terra, intontita. Non riusciva ad alzarsi. Il mondo le girava attorno come in un mulinello.

L'elicottero si stava abbassando di quota, pronto a recuperarla, quando...

BOOM.

Una delle ali esplose in una vampa di fuoco. Precipitò, schiantandosi sulla strada. Un istante prima che esplodesse, una grossa figura piombò su Kay, coprendola appena in tempo dal fuoco e dai pezzi metallici che volarono in ogni dove, conficcandosi perfino nella pietra delle colonne del museo o ammaccando i leoni ornamentali.

Le orecchie le si riempirono di un sommesso ronzio e la vista le si annebbiò poco a poco, sempre di più.

Qualcuno la schiaffeggiò sul viso, ma non riuscì a mettere a fuoco nulla. L'unica cosa che poteva ancora vedere erano due figure in controluce chine su di lei. Poi.... tutto divenne buio.

 

 

La prima cosa che percepì furono forti dolori per tutto il corpo, in particolar modo sulla fronte. Provò ad alzare un braccio, per poggiarvi sopra la mano, ma scoprì di non riuscire neppure a scostarlo dal morbido materasso su cui si trovava.

Quando finalmente la vista le concesse qualche rada immagine a fuoco, riconobbe il soffitto legnoso e colmo di ragnatele della baracca. Non ricordava cosa fosse successo e per un attimo si chiese se tutte quelle immagini confuse che le passavano davanti agli occhi non fossero state tutte un sogno.

  • Kay! –

Al suo fianco, seduta su una sedia, c'era Sienna. La osservava con un misto di sollievo e rabbia... ma il sollievo fortunatamente prevaleva.

  • Finalmente! Temevo non ti saresti svegliata più! –

  • C'era.... c'era questa ipotesi? – la voce le uscii roca e a fatica. Si chiese da quanto fosse in quelle condizioni.

  • Sì che c'era! Non ci hai dato ascolto, Kay! Hai voluto fare di testa tua! Non potevi ancora combattere! Non sei stata addestrata, non sai dosare la tua forza! Potevi rimanere uccisa da te stessa, te ne rendi conto?!? È solo un bene che Sayb e Jay ti abbiano trovata in tempo! –

Non seppe cosa rispondere. Era vero, Sienna aveva ragione.... aveva maledettamente ragione, su tutto.

Non riuscendo a spiccicare una parola, il suo corpo decise di aiutarla ad esprimere ciò che provava facendole rotolare una grossa lacrima a lato degli occhi.

  • Tesoro... – la professoressa sospirò, accarezzandole i capelli. – Perché sei andata a Londra? Cosa pensavi di trovare? –

  • Io... volevo... volevo trovare loro. –

  • Loro chi? –

  • La mia famiglia. O almeno... ciò che un tempo è stata la mia famiglia. –

  • Kay.... –

Sienna si passò una mano nei capelli scarmigliati, pesando bene le parole da usare, ma Kay la anticipò. Perfino lei lo capiva...

  • Lo so, ho agito da stupida... – mormorò, mentre le lacrime scendevano sempre più copiose – Io non ho più una famiglia. Quella era di Keira Hedlund, mentre io mi chiamo semplicemente Kay. Non ho nulla a che fare con loro e ho sbagliato a pensare di potermi presentare come se niente fosse... –

Non riuscì neppure a finire la frase che un singhiozzo le chiuse la gola. Sienna si accucciò su di lei, continuando ad accarezzarla come solo una mamma avrebbe fatto... o almeno quello fu il pensiero che le attraversò la mente.

  • Tu non sei sola, se è questo che pensi! Hai già una nuova famiglia! L'hai avuto nello stesso momento in cui sei Rinata. Siamo noi, Kay. Questa nostra piccola combriccola è tutto ciò che a ognuno di noi rimane. Ed è proprio questo dipendere gli uni dagli altri che fa di noi una famiglia! –

  • Sicuro! – Sayb entrò nella stanza, rischiando di sbattere la testa contro l'architrave della porta. – Sienna è la mamma, mentre io sono lo zio! – disse gioviale.

  • E perché non il papà? – gli suggerì ironica la donna. Il cyborg si accigliò, facendo finta di pensarci.

  • Direi di no. Troppe responsabilità! Il ruolo dello zio invece mi permette di viziare di più i miei nipoti! –

Kay sorrise, combattendo contro quella tristezza che la stava devastando da dentro. Quella risata fu come un toccasana, che le sciolse quel nodo che le attanagliava lo sterno con una forza sovrumana.

    • E Jay.... bhe, potrebbe essere il fratello maggiore... –

    • Io non faccio il fratello di nessuno! – risuonò la voce del ragazzo dal piano inferiore. Allora stava ascoltando!

    • Eh va bene! Cugino, allora! –

    • La vuoi piantare con 'sta menata?! È una cosa ridicola!!! –

    • Ehi, porta rispetto! Se tu sei il cugino, d'ora in avanti pretendo che tu mi chiami papà! –

    • Ma fammi il favore! Il termine giusto sarebbe pagliaccio! –

Kay e Sienna risero di gusto davanti a quel siparietto e anche l'ultimo alone di tristezza abbandono definitivamente la ragazza.

Si rendeva perfettamente conto che Sayb aveva fatto tutto quello nel tentativo di farla sorridere e che Jay gli avesse retto il gioco senza neppure accorgersene.

Lo aveva giudicato male. Sayb era davvero una persona buona, di cui fidarsi. O meglio, lo zio Sayb.






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