They Have Trapped Me In A Bottle di Easily Forgotten Love (/viewuser.php?uid=26557)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***
Capitolo 4: *** Four. ***
Capitolo 5: *** Five. ***
Capitolo 6: *** Six. ***
Capitolo 7: *** Seven. ***
Capitolo 8: *** Eight. ***
Capitolo 9: *** Nine. ***
Capitolo 10: *** Ten ***
Capitolo 11: *** Eleven. ***
Capitolo 12: *** Twelve. ***
Capitolo 13: *** Thirteen. ***
Capitolo 14: *** Epilogue. ***
Capitolo 1 *** One ***
Nuova pagina 1
…they have
trapped me in a bottle…
Before you begin… Ciao,
siamo Nai e liz *_* Ditelo, che siete felici di vederci <3 E questa è la seconda
storia che scriviamo insieme e decidiamo di pubblicare dopo Cupid’s. Speriamo vi
piaccia altrettanto X3 (anche perché questa è una storia vera!).
Precisazioni del caso: nessuno
dei personaggi citati ci appartiene (e dal momento che sono veramente… ma
veramente svariati °.° È giusto dirlo XD) e noi non abbiamo niente a che fare
con loro se lasciamo da parte il fatto che li amiamo tutti, in un modo o
nell’altro è_é Non abbiamo niente a che fare con loro e, per la maggior parte,
non hanno mai fatto né faranno niente di quanto descritto in questa storia.
Ovviamente non ci guadagniamo
niente >_< Sono solo fanfiction, in fondo ù_ù
Per quanto fanfiction, però, la
base di partenza è reale °_° È ambientata fra la fine di luglio e l’inizio di
settembre di quest’anno, durante il Projekt Revolution (festival itinerante al
quale hanno preso parte band celebri come i Linkin Park, ideatori del progetto,
e i My Chemical Romance… e il bello è che avranno tutti un ruolo, in questa
storia XD). Siamo state abbastanza scrupolose, ma se c’è qualche cavolata random
non badateci troppo >.<
Per quanto sia triste, né Cody
né Gaia sono contemplati è_é” In fondo è meglio così, credeteci :D
Buona lettura :*
One:
Ci sono giorni che semplicemente
dovrebbero non esistere.
A volte sogno di tracciare una
linea rossa sopra questi giorni. Sogno che basti questo – un colpo di
pennarello, pescato a caso dentro il cesto della frutta senza che nemmeno sappia
come ci è arrivato – per farli sparire ugualmente dai miei ricordi.
Lo sogno.
E generalmente sto facendo
proprio come ora. Sto guardando fuori da un finestrino un mondo che va veloce
nella direzione opposta.
Sono stanco. Non ho molto altro
da dire, molto altro che mi pesi addosso. Sono semplicemente stanco. Come
qualunque persona che sia stata costretta per un lungo periodo di tempo a
sottoporsi allo stress costante di un lavoro dai ritmi frenetici.
Potrei essere stanco come un
manager di impresa, o come un dirigente di industria, o come un professore
universitario in giro per congressi. Invece sono stanco come il cantante di una
band rock in tour da quasi un anno e mezzo. E questo, per uno strano caso del
destino, vale a togliere attendibilità, dinanzi alla gente, al mio stato fisico
e mentale. Per questo strano caso del destino, infatti, la gente sembra credere
che un musicista rock non possa in alcun modo rivendicare il diritto a
qualificare il proprio come “lavoro”. Figuriamoci a riconoscergli “ritmi
frenetici” al punto da indurlo a stancarsi.
Di conseguenza, io sono stanco.
Davvero. Ma ufficialmente non posso dirlo.
Stefan fa un gran casino quando
si lascia cadere pesantemente accanto a me. Il cuscino sistemato sulla panca si
abbassa e slitta un po’ sul legno, lui si sistema contro il tavolo e mi gira lo
sguardo addosso, anche se io non posso vederlo.
Infatti non lo vedo, ma lo so.
-Hai intenzione di restare con
la faccia incollata al vetro finché la tua pelle non si fonderà con il
finestrino?
È un’immagine disgustosa. Penso
che dovrei dirglielo, ma mi limito a storcere il naso senza muovermi e a
mugugnare qualcosa di assolutamente incomprensibile, che vorrebbe essere una
protesta risentita.
Sono patetico.
Stefan sospira, si rimette
dritto, so che sta scambiando un’occhiata con Steve. Lo so anche perché Steve
smette per un attimo di giocare con quelle dannate bacchette e libera la mia
mente dall’orrido e ripetuto ticchettio che ha prodotto finora. Presumibilmente
Stefan gli sta chiedendo con lo sguardo cosa diavolo devono fare con me.
Quasi certamente Steve gli sta rispondendo con un’alzata di spalle.
-Brian!- mi richiama Stefan con
una certa urgenza. Mugugno di nuovo una cosa molto simile alla precedente, che
stavolta vorrebbe essere un’attestazione di presenza…Il mio vocabolario si sta
riducendo incredibilmente in questi pochi minuti.- O.k., senti.- Sento. Ma lui
ci pensa su. Si ferma un attimo e raccoglie le idee. Nel frattempo io colgo
l’immagine del deserto che sfila contro di noi. Poi il profilo di un altro
autobus, leggo il nome del gruppo sulla fiancata quando ci superano. Il deserto
ritorna nel mio spazio visivo…- C’è qualcosa che possiamo fare io e Steve per
tirarti su di morale?- s’informa Stef alla fine.
-No.- borbotto appena.
La prima parola di senso
compiuto da non ricordo quante ore.
Un altro sospiro. Adesso Stefan
sta puntando Alex. Lei è seduta nel posto più lontano del tour bus.
Si ricambiano lo sguardo, lei scuote il capo dicendogli di lasciarmi
perdere. Mi passerà.
Ha ragione lei, è chiaro. Credo
che nessuno, a parte i cavalli, sia mai davvero morto di stanchezza.
Solo che Stefan non accetta di
lasciarmi perdere. Per lui occuparsi di me è una priorità, una necessità
indefettibile. A volte questa cosa mi fa piacere. Altre volte mi sfinisce,
esaurendo le mie ultime energie. Come questa volta…
-Senti, Bri.- Tono carezzevole,
giusto per farmi sentire che è preoccupato per me e che, quindi, sarebbe carino
che io gli dessi quel minimo di attenzione necessario a rassicurarlo. Mi ci
sforzo, mi tiro un po’ più su sulla panca, rimetto le spalle in asse con il
resto del corpo e stacco la fronte dal finestrino.- Lo so che siamo tutti a
pezzi e che non vediamo l’ora di tornare a casa, ma dobbiamo tenere duro ancora
un po’.
Borbotto qualcosa che non so
nemmeno io cosa sia. Forse un assenso, forse una nuova protesta. Suscito
l’ennesimo respiro profondo da parte di Stef. Lui mi guarda, io non alzo il viso
ma tanto i suoi occhi li sento anche a metri e metri di distanza, anche quando
sto facendo tutt’altro e non ho neppure voglia di voltarmi a sincerarmi che lui
sia davvero lì…
C’è questo silenzio che si
protrae un po’. Steve ridacchia, Stefan gli sibila di piantarla, aggiunge che è
un cretino e che dovrebbe aiutarlo invece di ridere. Steve gli dice che si
preoccupa troppo e si alza per andarsi a prendere una birra dal mini
frigorifero. Torna indietro con tre bottiglie, ne posa una davanti a Stefan,
l’altra me la apre e la allunga verso il mio viso.
-Grazie.- mormoro sollevando gli
occhi su di lui mentre prendo la birra dalle sue mani.
Mi sorride come a dirmi che non
importa.
-Beh, almeno guarda che bel
tramonto.- prova ancora Stefan, cercando invano di scuotermi dalla mia apatia.
Mi volto. Oltre il finestrino si
allunga una striscia rosa sull’orizzonte. Una parte del vetro, illuminata
direttamente dalle luci del tour bus, mi rimanda il mio volto disfatto.
-Ne ho visti di più belli.-
sussurro sollevando la macchina fotografica e fermando il tempo.
***
La fotografia è una “cosa” di
Helena.
In una relazione,
inevitabilmente, le persone prendono qualcosa le une dalle altre. Io ho preso da
Helena molto più di quanto le abbia dato ed alla fine l’unica cosa che le
riconosco è questa. Lo penso mentre soppeso la macchina fotografica sul palmo
della mano.
Fuori si è fatto tutto buio. Ci
sono solo le stelle ed i fari della nostra piccola carovana di autobus e camion
ad illuminare la strada che passa attraverso il deserto. Io sono l’unico qui
dietro ancora sveglio. Stefan se n’è andato a dormire da poco; Steve sonnecchia
su un divanetto, ogni tanto si rigira, apre un occhio e mi brontola qualcosa,
poi crolla di nuovo senza pretendere una risposta. Alex è in cabina guida, stava
ascoltando musica con l’autista fino ad una decina di minuti fa, ora mi arrivano
di tanto in tanto le loro risate e qualche battuta a voce alta. Mi ha chiesto se
volevo sedermi con loro, ho risposto che preferivo restare ed andare a dormire
anche io.
Helena è uscita dalla mia vita
da un po’ ormai.
Helena ed io ci siamo lasciati
in modo civile, seduti dentro un caffè, sorridendoci mentre ci dicevamo “addio”.
Ha fatto male lo stesso. Ma non
a me.
Io da lei avevo già preso tutto
quello che volevo. Il mio nuovo equilibrio, la mia nuova pace interiore, la mia
nuova capacità di accettare e di farmi accettare dagli altri.
Lei da me voleva solo una
cosa, ma quella davvero non poteva dargliela. Perché io non l’amavo, ed alla
fine doveva accorgersene, doveva capire le mie bugie e la mia falsità, nascosta
dietro lo zucchero. E dirmi che era finita lì. Com’è finita, infatti.
Sì, sembra strano a me per
primo. È stata lei a lasciarmi, lei a dirmi che tra noi non c’era nulla, quando
il nulla ero solo io. Il fatto che sia stata lei ha reso possibile che entrambi
sorridessimo quando ci siamo alzati da quel tavolo dentro il caffè.
Da allora sono stato felice. Lo
ero anche con lei, ma in modo diverso. Quel modo ordinario e pervicace delle
storie serie ma senza anima. Lei mi aveva curato, io le ero riconoscente, ero
vivo grazie a lei ed ero felice di questo.
Ma è stato solo quando lui è
entrato nella mia esistenza che ho capito davvero che fino a quel momento ero
sopravvissuto. E basta.
Suona il cellulare. Mi strappa
ai ricordi. Poso la macchina fotografica davanti a me sul ripiano chiaro, spingo
le dita nella tasca dei jeans e riesco con difficoltà a tirar fuori il telefono.
Leggo il nome sul display mentre la suoneria sveglia di nuovo Steve. Solleva la
testa e mi guarda, contrariato.
-Digli che non può rompere
quando qui sono le tre di notte e noi domani abbiamo un concerto!- sbotta prima
di lasciarsi ricadere sui cuscini.
Sorrido. Improvvisamente mi
sento meno stanco.
-Matt.- chiamo rivolto alla
persona dall’altro immaginario capo dell’apparecchio.
Ridacchia e poi tira un respiro
profondo. Come se avesse davvero bisogno d’aria.
…Come se quell’aria fossi io.
-Brian!- esclama alla fine.-
Dove sei?- mi chiede subito dopo con urgenza.
Ridacchio anch’io.
-Da qualche parte, in un deserto
“x” qualunque, in uno stato a caso degli USA.- riassumo ricominciando a fissare
il paesaggio oltre il vetro.
Adesso che è veramente buio
riesco a vedere quasi solo il mio profilo. O quello dei mobili, che sembrano
arancione sotto la luce artificiale. Vedo il divanetto su cui Steve ha
ricominciato a dormire, la bottiglia di birra che Stefan ha mollato a metà. La
mia ormai vuota. La macchina fotografica con l’obiettivo serrato ed il laccio
logoro che mi ricade addosso oltre il bordo del tavolo.
-Uno Stato a caso?!- ripete
Matt.
Sento che ne sta combinando
qualcuna. Mi arrivano il rumore dei suoi passi e poi dei suoni sordi, come se
spostasse qualcosa che cadendo produce un tonfo leggero. Mi piacerebbe
chiedergli cosa sta facendo, ma preferisco aspettare. Matt è un mago, sapete? Sa
fare piccole magie. Riesce a fare apparire cose meravigliose dal nulla. Ma se
gli chiedi ad alta voce cosa sta facendo e lui ti risponde, allora la magia non
funziona più.
I rumori finiscono. Ha una voce
allegra ed eccitata quasi quanto quella di un bambino, quando riprende a
parlare.
-Sai cosa ho comprato oggi?- mi
domanda.
-No…- rispondo io. Alzo una
gamba ed incastro il ginocchio contro il tavolo posandoci sopra il gomito.
-Un atlante degli Stati Uniti
d’America.- mi spiega.
-Cosa dovresti farci?- chiedo
stupito.
-Beh, come cosa?!- sbotta lui,
deluso.- Ci seguo le tappe del Festival!
Rido.
-Matt!- lo richiamo.
Mi vengono in mente un centinaio
di cose da dirgli, suonano tutte come una sorta di rimprovero. Mi fermo a metà
quando mi rendo conto che sono altrettante scuse per non ammettere quanto mi
faccia piacere questa sua idea.
Sì, Matt è un mago.
“E questa è una delle sue
magie”, penso mentre mi sistemo contro lo schienale della panca e lo lascio
continuare senza più contraddirlo.
-Ho preso una scatola enorme di
pennarelli colorati…- si ferma e ci ripensa- O.k., i pennarelli li avevo presi
per altro in realtà.- precisa.
-Cosa?
-Mah. Volevo fare una specie di
disegno da appendere sul palco nelle prossime date, ma è venuto una schifezza!-
confessa ridendo.- Allora ho deciso che potevo utilizzarli in un altro modo e,
quando ho capito che Dom non apprezzava che ci colorassi i contorni della sua
batteria…
-Come diavolo hai fatto a
sopravvivergli?!- sbotto ridendo anch’io.
-Semplicemente si è vendicato su
una delle mie chitarre!- mi risponde lui.- Ci ha fatto i baffi, Brian! Ti rendi
conto?!- mi chiede come se da questo dipendesse la sua vita.- I baffi e
poi…tipo…degli occhiali da sole o qualcosa del genere. Insomma, adesso ha una
faccia e…
-I pennarelli sono indelebili?-
domando io, passandomi le dita sugli occhi per scacciare via quel po’ di
stanchezza che rimane. Voglio parlare con lui ancora un po’…
-Ma và!- ritorce lui. Non sembra
particolarmente arrabbiato, ma del resto ormai l’ho capito che lui e Dominic
hanno un loro linguaggio personale per comunicare, fatto anche di piccoli
dispetti da ragazzini.- Ovviamente andranno via comunque, ma chiaramente adesso
passiamo tutte le prove ad insultarci vicendevolmente ed a guardarci in
cagnesco. Chris e Tom ci odiano già.
-Immagino.- soffio appena,
sorridendo. Mi rilassa immensamente sentirlo parlare.- Allora dimmi, quando hai
capito che Dom non gradiva la tua arte, cosa hai fatto dei pennarelli?-
m’informo.
-Ah sì.- Riacchiappa qualcosa,
un altro rumore, probabilmente l’atlante gli era scivolato, perché quando ci
batte su la mano riconosco il rumore delle pagine e del cartonato plastificato
della copertina.- Ho deciso che potevo segnarci le date del vostro tour. Tipo,
in rosso le date del Festival, in blu quelle del tour di “Meds” e, quando andate
via da una tappa, ci metto un segno verde. Poi indico anche i giorni che passate
in ogni città e…
-Matt.
Si interrompe ed aspetta.
Io prendo fiato. Una. Due volte.
Prendo fiato e glielo dico.
-Non dovresti.
Il suo silenzio fa più male di
quanto pensassi. Ora so cosa ha provato Helena quel giorno, lo so perché adesso
sì che sono innamorato. E quindi so cosa vuol dire avere paura.
-Sei un cretino, Brian.- mi
risponde lui con una serietà che gli è totalmente inusuale.
-…già.
Un altro silenzio. Nel vuoto che
lascia ci si potrebbero infilare migliaia di pensieri. Ma la mia mente si ostina
a non farcene entrare nemmeno uno, perché è come se ciascuno di quelli che si
affacciano iniziasse con “se lui non ci fosse…”. Ed io in realtà non voglio
nemmeno pensare alla possibilità che lui non ci sia.
-Sai che tra tredici giorni
tornerete in Europa?- mi chiede alla fine.
“…tredici giorni…”
-E voi andrete in Australia.-
rispondo io.
-No, solo ad ottobre. A
settembre siamo in Europa come voi.
-Est Europa.- correggo.- E noi
in sala prove.
-Beh, come noi adesso.
Respiriamo con lo stesso ritmo.
Qualcosa di terribile se non fosse meraviglioso. E ridiamo nello stesso momento,
come due idioti.
-Che schifo di lavoro!- commenta
lui per primo.
-Non ti credi nemmeno tu quando
lo dici!- ribatto io.
-L’anno prossimo vacanze
insieme!- pretende.
-L’anno prossimo si vedrà.-
sminuisco.
-Tu non mi ami abbastanza!-
protesta lui.
-Non vedo neppure perché dovrei
farlo…- ci scherzo io.
-…Vuoi andare a dormire,
cretino?! Domani devi lavorare!- sbotta Matt arrabbiato.
“No, Matt. Voglio parlare ancora
un po’…”
-Sì, papà, vado a
dormire, promesso.- sorrido invece.
-Ecco!
Quando riattacco e guardo di
nuovo fuori dal finestrino, mi dico che avrei dovuto chiedergli dove siamo -
“Guarda sul tuo atlante, Matt, dimmi se mi vedi” - invece non l’ho fatto, forse
per paura che lui me lo dicesse davvero. Che puntasse il dito su un deserto “x”
qualunque di uno Stato a caso e mi dicesse “sei qui”. E potesse avere ragione.
-Che ne dici se ora mantieni la
tua promessa?
Mi volto verso Stefan, che mi
guarda e sorride. Ricambio il suo sorriso e scivolo lungo la panca per uscire da
dietro il tavolino.
-A che ora arriviamo domani?
-Alle dieci.- risponde lui
sbadigliando.
-Dovremmo svegliare Steve e
mettere a letto anche lui.- noto distrattamente, mentre passiamo per raggiungere
la zona notte.
-Io non ci provo nemmeno,
l’ultima volta mi stavo beccando un cazzotto sul naso!- ricorda Stefan, gettando
un’occhiata a Steve.
-Questo perché lui ha aperto gli
occhi e si è ritrovato il tuo brutto muso davanti. Invece, se lo sveglio io…-
comincio ad argomentare con saccenteria, ma badando a tenermi lontano dal
nostro batterista.
Stefan mi manda cortesemente a
cagare e si infila risoluto nella propria cuccetta. Mi stendo anch’io e fisso il
tettuccio del tour bus.
-Stefan.- chiamo. Lui brontola
qualcosa per farmi capire che mi ascolta.- Che cazzo ci facevi ancora
sveglio?- domando.
-Mi assicuravo che non cercassi
di strozzarti con il laccio della macchina fotografica.- sospira girandosi verso
la parete- Ed ora dormi, Brian! Dannazione a te!
Ridacchio e lo imito,
arrotolandomi nelle coperte.
-‘Notte, Stef.
-‘Notte, insopportabile
scocciatore dell’esistenza altrui.- mi risponde, prendendosi immediatamente una
cuscinata addosso.
-Stronzo!- gli strillo contro.
-Fanculo!- ritorce lui
restituendomi il favore.
-Volete dormire?!- strepita
Steve, svegliandosi di botto e ripiombando nell’incoscienza quasi nello stesso
momento.
-Come accidenti ci riesce
secondo te?!- protesto fissando sconvolto Steve riprendere a russare come se
niente fosse.
-Non è umano, è evidente.-
afferma Stefan, annuendo convinto.- Ora, però, ti prego, Brian, dormiamo
davvero!- m’implora, lasciandosi ricadere sul materasso.
-Sì sì.- borbotto stendendomi di
nuovo anch’io.
-E dì a Bellamy di chiamarti di
giorno, se ci riesce.
-Mi chiama quando vuole.
-Sei una ragazzina.
-E tu sei stronzo.
-Lo hai già detto.
-Beh, volevo ribadirlo.
-Se non dormite, giuro che vengo
lì e vi “addormento” io.- s’intromette Steve.
***
Sedevo sul fondo del backstage.
Avevamo appena finito di esibirci, ero felice di come fosse andata, ancora
assordato dalle urla dei fan sotto il palco, sereno dopo che la mia storia con
Helena era finita appena quattro giorni prima.
Stefan e Steve erano spariti da
qualche parte. Dopo i concerti hanno ognuno il proprio rituale. Stefan ama
continuare il bagno di folla, raggiungendo i fan per le foto, gli autografi, i
complimenti a voce e tutto quanto ne consegue. Steve doveva essere corso a
chiamare la moglie e la figlia.
Io non avevo niente da fare.
Quattro giorni prima sarei stato attaccato ad un cellulare anch’io, ma in quel
momento potevo starmene seduto a terra, contro le casse della strumentazione,
con il cellulare effettivamente in mano e nessuno da chiamare.
Helena mi aveva fatto un regalo
enorme. Fino a prima di lei questa mia condizione mi avrebbe gettato nello
sconforto… in quel momento dentro di me c’era invece solo una luminosità calda e
profonda.
Mi venne incontro direttamente
dalla zona del palco. Aveva le mani in tasca e sorrideva, teneva gli occhi fissi
su di me, quasi volesse farmi capire che mi cercava, che era proprio me che
voleva. M’incuriosì, fino a quel momento non ci eravamo mai nemmeno scambiati
due parole. Ero convinto che ci stessimo evitando, una di quelle convinzioni
silenziose che si creano e che ci portano a parlare di “taciti accordi”. Il
nostro accordo avrebbe dovuto prevedere che ognuno di noi due ignorasse l’altro.
Lui lo stava per violare.
Si fermò davanti a me e mi
guardò senza sfilare le mani dalle tasche dei pantaloni. Io ricambiai il suo
sguardo ed attesi.
Quando parlò non mi sembrò
davvero che avesse violato alcunché.
-Complimenti.- mi disse.
-Grazie.
-È stata un’ottima performance.
Mi strinsi nelle spalle,
ripetere “grazie” era privo di senso. Non c’era ironia nella sua voce, non
provavo alcuna avversione o fastidio nel rimanere seduto a parlare con lui. Già
questo mi stupì.
-Noi ci esibiamo tra poco.- Lo
sapevo, annuii.- Resti a guardarmi?
Rimasi sbigottito. Aprii la
bocca annaspando. Lui mi fissava con un candore tale da darmi il capogiro e
nemmeno si rendeva conto – credo – di quanto assurdo fosse quello che mi aveva
appena domandato.
Sarebbe stato già tanto se lui
mi avesse chiesto di rimanere per sentire loro. Ma mi aveva appena
chiesto di rimanere a guardare lui. E nel farlo mi aveva fissato con la
stessa espressione che io usavo da bambino, quando correvo da mio padre a
mostrargli i voti presi a scuola, in cerca della sua approvazione.
In quel momento capii che, tutte
le volte che Matthew Bellamy aveva detto di stimare me e la mia band, non aveva
mentito. A differenza mia.
Che, quando gli avevo consegnato
il premio agli EMA del 2004 e lui mi aveva abbracciato per ringraziarmi, non
aveva mentito. A differenza mia.
…che, quando mi aveva fatto i
complimenti poco prima, non aveva mentito.
Ma lì nemmeno io nel dirgli
“grazie”.
Fu il senso di colpa a farmi
accettare di restare. Provavo una vergogna terribile al pensiero di quanto ero
stato meschino fino a quel momento. Guardai la sua esibizione, mi fermai anche
dopo, quando mi invitò ad andare con lui al party che si teneva dopo il
concerto; mi fermai con lui anche al party, mentre tutti gli altri intorno ci
guardavano come se fossimo impazziti. E forse lo eravamo. Io rimanevo al suo
fianco, lo ascoltavo parlare a raffica come il suo solito, e per una volta – la
prima in questa assurda storia – non ne trovavo la voce sgradevole, il
tono spiacevole, le parole stizzenti. Trovavo la sua presenza confortante.
So che non fu l’alcool – come mi
giustificai il giorno dopo con Steve e Stefan – a farmi accettare il suo invito
a casa. So che ero perfettamente padrone di me, mentre lo guardavo balbettare
qualche scusa ridicola sul fatto che voleva il mio parere su alcuni lavori
incompiuti. E so che ero perfettamente padrone di me anche quando acconsentii,
ben sapendo che si stava nascondendo, ed anche male, e che i suoi occhi azzurri
finivano per tradirlo più della sua incapacità di mentire.
Per questo, e per rendergli più
facile il resto, fui io a baciarlo quando arrivammo a casa sua e lui ebbe
richiuso la porta dietro di noi.
Ricordo che mi disse impacciato
che non aveva mai fatto sesso con un uomo. Lo disse subito, ed io risi divertito
da questa sua sincerità e dal fatto che riuscisse a mettere nero su bianco
quello che voleva senza esserne veramente imbarazzato. In fondo a parte il mio
bacio non avevo ancora ammesso di avere voglia di lui. Potevo tranquillamente
prenderlo in giro, mollarlo lì ed andarmene. Lui non ne aveva paura. O più
semplicemente, a differenza della maggior parte delle persone comuni, lui era
disposto a rischiare di essere sincero.
Non posso davvero negare che fu
questo a conquistarmi. Se lui fosse stato appena meno sincero, appena più
interessato, quella notte sarebbe rimasta solo un episodio della mia vita, come
negli anni se ne erano succeduti tanti. Ma Matthew Bellamy era quello che io
vedevo e quello che vedevo mi aveva già strappato l’anima.
Mi si avvicinò quasi con timore,
guardandomi attentamente, come non sapesse neanche cosa aspettarsi da me.
Continuò a guardarmi a quel modo anche quando cademmo con un tonfo pesante sul
letto – senza spingerci, senza fretta, sfiorammo il materasso con le gambe dopo
aver vagato alla cieca lungo tutto il corridoio e buona parte della camera da
letto, e semplicemente ci lasciammo cadere lì come foglie – continuò a guardarmi
a quel modo sbottonando la mia camicia, scivolandomi addosso con i polpastrelli,
sfilando la cintura dai jeans dopo averla sfibbiata. Continuò a guardarmi a quel
modo anche quando rimasi completamente nudo fra le sue mani, come avesse paura
che potessi improvvisamente trasformarmi in qualcos’altro o scomparire in una
nuvola di vapore.
Continuò a guardarmi e lo
guardai anch’io. E quando i suoi occhi incontrarono i miei, lui sorrise appena,
imbarazzato, chiedendomi se mi stesse dando fastidio, se fosse troppo lento o
troppo veloce. Capii che voleva essere rassicurato, ma non potevo realmente
dirgli che nonostante i movimenti maldestri era così perfetto da farmi pensare
avesse studiato quei momenti nel dettaglio per fare in modo che si adattassero
perfettamente ai miei desideri.
Adoravo che mi guardasse in quel
modo, adoravo che i suoi occhi irradiassero quel tipo di venerazione che riservi
alle cose nuove che trovi stupende al punto da toglierti il fiato. Adoravo che
mi toccasse piano, lievemente, come fosse spaventato.
…adoravo che mi toccasse.
E no, non potevo dirglielo,
perché erano solo dieci ore e qualcosa che ci conoscevamo. Ed anche se per lui
non sembrava passato troppo poco tempo per mettersi nelle mie mani in quel modo,
per me era ancora troppo, troppo presto.
Mi limitai a sollevarmi sui
gomiti e baciarlo, attirandolo a me con una mano sulla nuca, sperando che
decidesse di lasciare da parte le insicurezze e si lasciasse un po’ andare.
Lo fece.
Affondò con un sospiro sollevato
il viso nell’incavo fra il mio collo e la mia spalla, baciandomi lievemente in
una scia bagnata e morbida che viaggiava verso il petto. Sembrava stesse
seguendo una mappa ideale, toccando tutti i punti più sensibili del mio corpo,
come volesse registrare le mie reazioni e imparare a muoversi nel modo giusto.
Come si stesse preparando ad
altre milioni di volte.
E nessuno dei sospiri che mi
sfuggirono dalle labbra, nessun ansito, nessun gemito, nessun movimento
improvviso del mio corpo, nessun accenno di spinta verso di lui, niente fu
falso, non simulai niente, non forzai nulla solo per compiacerlo; e quando mi
morsi le labbra per non urlare, fu solo perché se non l’avessi fatto avrei
urlato davvero; e quando mi aggrappai alle sue spalle per non cadere, fu solo
perché se non l’avessi fatto sarei caduto davvero; e quando lui mi si strinse
addosso, e chiamò il mio nome mentre veniva, io chiamai il suo. E non fu perché
durante il sesso sono cose che si fanno. Fu perché lui era lì. E stava
godendo per me, con me, dentro di me. Ed io facevo lo stesso. E ringraziarlo –
per tutto, tutto – era davvero il minimo che potessi fare.
***
Vedevo i suoi occhi. Erano
limpidi al punto da risplendere anche al buio. La luce della luna filtrava dalla
finestra spalancata e lui mi guardava, perché quell’azzurro chiaro e brillante
era fisso su di me. Mi guardava, appoggiato con i gomiti al cuscino, il busto
sollevato, mi studiava come se fossi stato un’insolita opera d’arte caduta sul
suo letto…
-…cosa?- mormorai alla fine.
Sorrise, penso, perché il suo
sorriso fece un rumore divertente, come uno sbuffo leggero di fiato. Per un
momento gli occhi si chiusero e poi tornarono a guardarmi.
Ma non mi ripose.
-Matt.- chiamai a bassa voce,
sorpreso io per primo di come fosse stato facile prendere confidenza con un
diminuitivo. Come se fossimo amici da sempre. Amanti da tutta la vita. Respirai
e sollevai lo sguardo a ricambiare il suo attraverso la penombra. Mi chiesi se
anche i miei occhi riuscivano ad essere così limpidi al buio- Che intenzioni hai
adesso?
Non so perché glielo chiesi, ma
immagino avesse a che fare con la consapevolezza che lui non sarebbe mai
riuscito a rivolgermi quella domanda. La mia risposta la conoscevo già, volevo
che tutto quello fosse più di una notte. La sua mi rigirava in testa dandomi un
leggero capogiro, come se avessi le vertigini e rischiassi da un momento
all’altro di cadere giù.
-Serie.- mi rispose lui come se
stessimo discutendo di una cosa perfettamente ordinaria. Del tempo. Del tour.
Dei progetti per il giorno dopo. Poggiò la guancia su una mano e mi fissò con il
viso inclinato, aspettando.
Divenne urgente assicurarmi che
avesse capito davvero.
-Sai di cosa sto parlando,
Matthew?- ribadii, sentendo il mio tono alzarsi impercettibilmente, dandomi
l’esatta misura dell’ansia che mi agitava. Annuì per interrompermi, ma non lo
feci lo stesso.- Sto parlando di stare insieme. Sto parlando di sopportarci l’un
l’altro ogni volta che uno di noi due starà male, che avrà voglia di urlare, di
rendersi impossibile ed insopportabile. Sto parlando di dormire assieme e
svegliarsi assieme la mattina dopo, sto parlando di imparare a capirsi anche
quando non si parla, di riuscire ad intendere i silenzi anche quando si fanno
pesanti, di superarli nonostante non se ne abbia la voglia. Sto parlando di dire
al mondo che tu sei me ed io sono te, di ammetterlo davanti ai nostri amici, di
farlo accettare a loro ed a chiunque altro e…
-Stai parlando troppo.- mi
mormorò lui, piano.
Lo disse in un modo tanto quieto
da zittirmi. Un tono fioco e sottile, che non perse di forza per essere così
labile, ma acquistò di gentilezza e di delicatezza nell’infilarsi tra le mie
paure ed i miei dubbi.
Sentii un nodo serrarmi la gola
comunque, e somigliava fin troppo ad un pianto trattenuto.
-Tu mi hai chiesto che
intenzioni io abbia, ed io posso risponderti solo su questo.- mi spiegò
pacatamente lui- E ti rispondo che le mie intenzioni hanno a che fare con il non
lasciarti uscire da qui per non tornare più.- ammise stringendosi nelle spalle-
Il resto non lo so, Brian, e nemmeno me lo chiedo ora come ora.
Vorrei chiedermelo io per
tutti e due…
Ed invece rimasi a fissarlo, le
labbra schiuse su una frase che non ho mai detto. E, invece di chiedermelo per
entrambi, ho smesso del tutto di farlo.
Ricordo che il mattino dopo
quando mi svegliai ancora tra le sue coperte, lui era già uscito. Lo scoprii
dopo un po’, quando tornò in camera da letto, vestito di tutto punto, con un
vassoio e con i croissant appena sfornati ancora in un pacchetto. Risi, perché
mi sentivo idiota nel ritrovarmi ad avere un uomo che mi portava la colazione a
letto. Lui rise con me, rendendosi conto che era davvero ridicolo. Ma poi c’era
una confusione terribile su quel vassoio, le tazze del caffè rischiarono almeno
un paio di volte di cadere e Matt aveva dimenticato – grazie al cielo – sia i
fiori, sia la spremuta d’arancia o la marmellata con le fette biscottate, e
tutto questo bastò a rimettere le cose in ordine, mentre mi tiravo a sedere e
lui si metteva di fianco a me, incrociando le gambe come un bambino e posando il
vassoio tra noi.
Non ricordo, invece, di cosa
parlammo. Sciocchezze, penso. E già pensare questo mi basta, e non riesco a
ricordare altro. Mi basta perché era l’inizio della nostra abitudinarietà, la
confidenza che si crea nelle coppie un pezzo alla volta e che è fatta anche di
discorsi futili dimenticati subito dopo che si esce dalla porta di casa.
Quando uscii dalla porta di casa
sua quel mattino, lui era con me.
Doveva andare agli Studi della
Universal, ci salutammo sul portone ed io presi un taxi per farmi
riaccompagnare. Sorridevo ancora quando scesi dall’auto ed attraversai la
strada.
-Brian!
Sollevai lo sguardo, abbastanza
stupito. E se già dovevo trovare assurdo sentire la voce di Stefan a quell’ora
del mattino davanti casa mia, fui ancora più stupito quando me li ritrovai lì
entrambi. Stef a braccia conserte sul petto e con un’espressione tutt’altro che
amichevole in faccia e Steve che mi guardava divertito.
-Che accidenti ci fate qui?-
chiesi d’istinto.
-Che accidenti ci facevi tu
fuori casa?!- strillò Stefan furioso- E perché diamine sei vestito come
ieri?! E soprattutto, dove accidenti sei finito ieri?!
Sbattei le palpebre, realizzando
che era palesemente preoccupato per me.
-Stef, ho trentacinque anni…-
feci notare.
-E non sei capace di badare a te
stesso, è evidente!- strepitò lui senza neppure ascoltarmi.- Ti abbiamo cercato
tutta la notte! Eravamo in pensiero per te! Potevi almeno…che so! fare una
telefonata! O quanto meno rispondere al telefono!
Tirai fuori dalla tasca del
cappotto il cellulare e mi accorsi che effettivamente mi avevano chiamato più
volte.
-Ahah- registrai indifferente.-
Sono vivo. Posso andare a dormire?- chiesi educatamente.
-Avresti già dovuto essere a
dormire!- ci tenne a specificare lui.- Avresti dovuto aprire la porta in
pigiama, urlare contro di noi che le dieci del mattino non sono un orario
accettabile per essere svegliati e poi invitarci ad affogarci in un caffè!
-Hai di me una visione
orribile.- notai perplesso.
-Non c’entra!
Scrollai le spalle, infastidito
dal protrarsi inutile di quella discussione.
-Comunque io sono già affogato
in un caffè per stamattina.- ammisi semplicemente, tirando fuori dalla tasca
anche le chiavi per aprire il portone.- A casa di Matt.- specificai.
Stefan mi fissò come se non
potesse credere che fossi proprio io, vivo, vegeto ed in carne ed ossa, davanti
a lui. Steve si accodò a lui per un momento. Poi scoppiò a ridacchiare come un
ragazzino – ed io lo seguii praticamente subito – e commentò.
-Allora era vero…
Stefan si voltò verso di lui,
continuando a mantenere la stessa espressione sconvolta.
-Non dire “allora è vero” come
se fosse una cosa normale…- lo pregò in un soffio strozzato.- Brian!- chiamò
poi, voltandosi. Sbuffai e mi feci spazio per andare ad aprire- Cos’è questa
storia? Vi hanno visti tutti al party ieri sera, ma io non posso credere che
davvero tu e Bellamy…- non finì la frase, come se la sola idea fosse
inconcepibile. Aprii il portone appoggiandomici con la schiena e li guardai,
invitandoli silenziosamente ad entrare- Insomma, voi due vi odiavate fino a
ieri!-mi ricordò alla fine.
Ci pensai su, spingendo il
portone finché non urtò contro il muro, e rimasi lì appoggiato aspettando che
loro sfilassero davanti a me.
-No, ci sbagliavamo tutti su
quello.- spiegai quindi.
Steve rise di nuovo, facendo
risuonare tutto l’atrio del palazzo, provai a dirgli di piantarla, ma siccome lo
feci ridendo anch’io non servì a molto. Stefan invece mi guardò. Mi guardò
attentamente per un bel po’ di tempo. Poi non disse più nulla e seguì Steve fino
all’ascensore.
*
Nota di fine capitolo della
Nai:
…bah.
E’ il concetto che credo
renda meglio il perché di questa storia.
Giusto per dovere di cronaca,
comunque, dico subito che il titolo è rubato a parte del titolo – chilometrico –
con cui il Sig. Molko ha identificato una “graziosa” rassegna fotografica da lui
realizzata durante il tour.
Il titolo completo è perfino
più deprimente del pezzetto scelto! ^_^
Al momento l’unico “perché”
della scelta è dato dal fatto che mi piacesse l’idea di un Brian Molko che
dichiara al mondo di essere stato preso in trappola in una bottiglia. Come un
genio o un folletto.
Ma sto divagando e, siccome
devo lasciare spazio alla Liz per la sua nota di fine capitolo, mi interrompo
qui.
Spero che vi sia piaciuto,
avevo bisogno di zucchero e questa storiella a capitoli – leggera ed
inconsistente – è zucchero e poco altro. Un po’ di sano romanticismo ogni tanto
fa bene al cuore *_*
Inoltre sono così
felice che la Liz abbia deciso di assecondare questa follia e
collaborare alla sua realizzazione che penso piangerò di gioia (ç_ç) e desidero
dichiararle pubblicamente il mio eterno amore!!!
Detto questo. Un bacio ed al
prossimo capitolo!
Nota di fine capitolo della
liz:
…amore a parte è___é Anche io
sono molto felice di aver assecondato questa follia e…
…anzi, no, amore a parte il
cavolo: questa storia È amore <3 È tipo la personificazione dell’amore romantico
come lo intendo io nei miei sogni di gloria *.* Ed è fantastico che la Nai sia
riuscita a partorire una cosa simile… peraltro tutta da sola <_< Non credetele,
quando mi dà i meriti: la maggior parte delle volte mi arrogo meriti non miei
perché lei scrive cose talmente belle che poi mi ispirano a scriverci su dando
il massimo ù.ù *sì, in questo consiste il mio aiuto*
Comunque, comunque. Anche se
ancora non si vede, per i capitoli futuri avrete di che odiarmi *-* *risata
malvagia*
*scompare in dissolvenza*
|
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Capitolo 2 *** Two ***
Ringraziamenti all
Ringraziamenti all’inizio e
note alla fine. ^_^
L’Easily Forgotten Love
ringrazia tutti i lettori, ed in particolare ci tiene a ringraziare Memuzz,
Stregatta, Will91 e IrishBreeze per aver recensito il primo capitolo della
storia.
Vi amiamo, donne! ç_ç
…they
have trapped me in a bottle…
Two:
Mi sono allontanato dalla
confusione. Mi arrivano ancora il rumore della festa, il canto stonato di
qualcuno che è già ubriaco, risate e grida e chiacchiere che si perdono nella
notte come le volute di fumo del nostro piccolo falò. Un’idea davvero scema
quella di accendere un falò. “Per arrostirci qualcosa”, ha spiegato chi lo ha
proposto. Ed io non ricordo nemmeno chi sia stato, ma ricordo che Stefan e Steve
avevano accettato ancora prima che riuscissi a tornare dal palco sulla terra,
abbastanza da rendermi conto di cosa si parlasse. Davanti alla mia faccia
perplessa devono aver creduto che non mi andasse bene, perché Stef ci ha tenuto
a ribadirmi che se si deve passare un mese in gruppo, allora è utile farne parte
e non comportarsi sempre da asociali. Mi sono stretto nelle spalle e gli ho
risposto che a me andava bene.
In fondo, è anche divertente.
Credo di essere un po’ brillo
anch’io…
-Matthew…
-Brian!- Sul serio, a volte ho
quasi la sensazione di vederlo, illuminarsi tutto, appena riconosce il
numero sul display del telefono, e rispondere con un sorriso enorme sulla
faccia. Uno di quei sorrisi che adoro, perché si accendono sempre nel momento
più impensabile e seguono il filo assurdo dei suoi pensieri…Ed io ho imparato ad
amare quel filo assurdo.- Come stai?
La confusione dietro di me ha
un picco. Sorrido, immaginando che lui riesca a sentire il baccano infernale, e
faccio qualche passo ancora per allontanarmi in mezzo al deserto illuminato dai
fari dei camion e dei pullman. Le luci del palco in lontananza sono già tornate
scure, è solo un profilo mastodontico ad un centinaio di metri da noi, intorno
ci lavorano come formiche i tecnici impegnati a smontare la strumentazione. Se
superassi la rete metallica che ci separa dal resto della location, camminerei
in mezzo alle tende come in mezzo ai sogni di chi ci dorme…
-In questo momento, vestito
come una zoccola.- rispondo sogghignando.
-Peggio del solito?- ritorce
lui, ricambiandomi lo scherzo.
-Bella opinione che hai di me!-
noto io.
Lui ride e fa una pausa.
-In realtà stai molto bene.- mi
dice.
Trattengo il fiato.
-Come lo sai?- sussurro.
-Oh beh, i fan sono prodighi
nel fornire alla rete immagini in tempo reale. Io ero qui che girellavo in
internet…
Non lo faccio finire.
-Matthew, non posso pensare che
tu sia stato attaccato alla rete solo per vedere se, per caso, qualcuno
metteva on line foto del nostro concerto!- sbotto.
-Non avevo niente da fare!- si
giustifica lui.
-Oh cielo!- sospiro. Poi prendo
tempo, fissando ancora il palco e dicendomi che non può davvero stare succedendo
a me. Perché non me lo merito.- E stasera che fate?- m’informo per cambiare
argomento.
-Dom e Chris vogliono che esca
con loro. Dicono che sto troppo rintanato in casa.
-Hanno ragione.
-Non mi va di uscire.
-Sei un misantropo.
-No, tu sei un misantropo. Io
sono solo stanco.- ritorce Matt sbadigliando per rimarcare il concetto.
-Ehi!- protesto. Ma il fatto
che lo faccia ridendo rende assolutamente inutile il mio tentativo.- Comunque
non sono un misantropo! Anzi! Ero qui che mi divertivo ad una specie di…barbecue
che hanno organizzato gli altri e…
-Tu ad un barbecue?!-
m’interrompe incredulo.- Pioverà!
-Il tempo è splendido.- ribatto
con un mezzo sorriso, che lui non può vedere ma intuisce nella mia voce.
Fatto sta che ricomincia a
ridere ed io mi ritrovo a pensare che è un suono meraviglioso, che amo
s’interrompa solo quando è lui a farlo, parlando ancora.
-E cosa stavate facendo al
vostro barbecue?- mi chiede divertito.
-…perché credi che se io
partecipo ad un barbecue questo deve essere un disastro?!
-Non l’ho detto.- mi fa notare.
-Sì, ma lo hai pensato!
-Adesso! Non puoi pretendere di
sanzionare anche quello che penso!
-So divertirmi tanto quanto te!
-No, non lo sai fare,
altrimenti avresti accettato quella sfida che Dom ti ha proposto l’ultima volta…
-Matt!- strillo sconvolto.-
Voleva che rubassi il reggiseno alla cameriera che ci aveva servito!
Lui ci riflette un po’. Poi
deve annuire, perché quando parla capisco anche questo dalla sua voce.
Ed è davvero tragico che io ci
riesca.
-Forse hai fatto bene a non
accettare.
-Forse, Matt.- sorrido
io sarcastico.
-…o.k., Dom a volte esagera.-
ammette lui con qualche difficoltà.
-Lascia perdere!- rido.
-Vabbè, ma posso sapere che
state facendo a questo barbecue?!- insiste Matt.
-…cantiamo…- borbotto io.
-Cantate?!
-Sì, ma non è nemmeno un vero
barbecue!- mi affretto a spiegare, a disagio.- E’ solo che a qualcuno è venuta
l’idea di accendere un falò ed arrostirci su della carne che avevano comprato.
Poi ovviamente c’è un fiume di birra e…
-State cantando.- completa lui
ridendo.
-Sì, ma mica solo quello…-
borbotto di nuovo.
-E cosa?
-Non vuoi saperlo.- ribatto a
mezza voce. Ma quando lui comincia a protestare che pretende di saperlo,
non posso che sospirare e cedere.- Facciamo una gara di resistenza, chiaramente.
-Non dire “chiaramente”!-
continua a ridere Matt, senza ritegno.- Non c’è proprio nulla di scontato! Dio,
vorrei essere lì a vedervi!- ammette.
-Sì, dovresti esserci.-
convengo, ricambiando il suo divertimento con una punta di malizia.- Qualcuno
aveva anche proposto una specie di caccia al tesoro tra i tour bus.
-Dimmi che non avete
accettato!- grida lui tra le risate.
-Non so, li ho lasciati che
stavano votando.- rispondo stringendomi nelle spalle.
Matt continua a ridere per un
po’. Io continuo ad aspettare che quel suono meraviglioso cessi, e sorrido
ancora mentre lo faccio, e cammino piano tra le pietre. Ne trovo una più grande
delle altre, mi seggo dirimpetto al palco e qualche tecnico che passa mi saluta
con un’alzata di mano. Rispondo.
-Beh, torna dagli altri dai.-
mi dice Matt.
-Preferirei tornare da te.-
ammetto io.
-Sì, ma ti verrebbe decisamente
fuori mano.- mi fa notare con un risolino.
-Più che altro avrei difficoltà
a trovarmi qui domani sera.- concordo.- Però, magari, se calcolo bene i fusi
orari…
-Brian.- mi ferma con un
sorriso.- Torna dagli altri, dai. A Stefan e Steve verrà un colpo se non ti
vedono più.
-Sono qui, ci sono
trentamiliardi di persone che vagolano intorno a me! Non può succedermi
nulla senza che loro lo sappiano!- sbotto risentito.
-Il che non calmerà di una
virgola la preoccupazione di quella chioccia di Stefan, se non ti ha sotto gli
occhi per più di dieci minuti di seguito.- commenta lui.
Sospiro. Tristemente vero.
Soprattutto perché Stefan ha paura di raccattare il mio “cadavere” al termine di
ognuna di quelle telefonate. Ha il terrore che questa malinconia che mi tortura
da giorni alla fine diventi depressione. Come in passato succedeva anche troppo
spesso.
Non posso dargli tutti i torti.
-E poi pensa, se hanno deciso
per la caccia al tesoro, rischi che qualcuno porti via la tua jaguar senza che
nemmeno tu lo sappia.- mi fa notare.
-Cazzo, le mie
chitarre!- realizzo sconvolto.
-Ciao, Brian!- mi prende in
giro lui in sottofondo.
-Sei uno stronzo, lo hai detto
apposta!- ritorco io, facendo per buttare giù. Ci ripenso, avvicino di nuovo il
telefono all’orecchio e lo dico.- Ti amo, Matt, mi manchi.
-Ti amo anch’io.- risponde lui
un secondo prima che chiuda davvero.
***
Mi è piaciuto da subito andare
a vedere le loro prove. Si respira “aria buona”. Matthew, Dom e Chris sono
veramente uniti – anche io, Stefan e Steve lo siamo, ma in un modo completamente
diverso – e si divertono sul serio facendo quello che fanno.
Giocano.
Come dei ragazzini che siano
riusciti a realizzare il proprio sogno nel cassetto.
Io non ho mai avuto quello
spirito. Diventare una rockstar non era davvero il mio sogno nel cassetto, anzi,
a ripensarci oggi mi domando se ho mai avuto un sogno nel cassetto. Perché in
realtà anche diventare un attore non era che un modo come un altro per dire che
volevo diventare qualcos’altro. Qualcun altro. Qualcuno che fosse diverso
da quell’adolescente che ero stato e che non si piaceva mai.
Loro, invece, sono sempre ad
una festa. Se anche sono stanchi, hanno comunque le energie per fermarsi a
firmare autografi, ricambiare i complimenti dei fan, scambiare due chiacchiere
con la gente che lavora intorno a loro. Vorrei avere un decimo delle energie che
ho visto sprecare in entusiasmo a Matt durante le fasi di sistemazione del
palco, vorrei avere un decimo della sua voglia di fare, quando punta il dito
verso qualcosa ed espone idee come se piovessero. A volte credo che la sua mente
sia una specie di vaso di Pandora e dentro ci si possa trovare qualunque cosa,
solo ad aver voglia di cercare.
Io mi limito a starmene in
disparte, lo guardo e mi dico che ho davvero tanto da imparare.
Ma quell’aria “buona” mi ha
conquistato dalla prima volta, per cui non ci ho messo molto a sentirmi a casa
nel backstage delle loro esibizioni. E questo nonostante il loro manager, Tom
Kirk, mi abbia fissato a bocca aperta per quasi un’ora la prima volta che sono
piombato lì con Matt, e Dominic non perda occasione per storcere il naso,
borbottare infastidito ed andarsene via con aria scontrosa ogni singola volta
che ci vede insieme. Chris è più tollerante, un po’ come Steve dalla “mia parte”
ha accettato la cosa con un’alzata di spalle, un sorriso ed una stretta di mano.
Penso che il suo atteggiamento abbia contribuito a farmi sentire comunque a
casa.
Per Matt, ovviamente, non c’è
stato nessun problema fin dall’inizio. Anzi. La prima volta che gli ho detto che
mi faceva piacere accompagnarlo alle prove, lui mi ha guardato come se gli
avessi appena fatto il regalo di Natale più bello della sua vita, si è messo i
primi vestiti che ha recuperato dall’armadio e non mi ha dato nemmeno il tempo
di rimangiarmi ciò che avevo detto che era già sulla porta, infilandosi il
cappotto, con le chiavi in mano.
-Andiamo?- mi ha chiesto
pressante.
Credo che per lui sia
fondamentale coinvolgere la persona a cui tiene nelle cose che fa. Perché “le
cose che fa” sono ciò che lui è, e ci tiene a condividersi con chi ama. Vuole il
mio parere su tutto, quando espone un progetto nuovo o dà un consiglio per
qualcosa, si gira ansiosamente aspettando un mio commento. Tanto che a volte mi
sento in imbarazzo e non sono davvero stupito che Dom arricci il naso in una
smorfia infastidita e batta a terra un piede con stizza evidente.
Cerco di schernirmi finché
posso, di evitare queste sue domande. So che ci riesco molto male. Tutta la mia
malizia non basta a mascherare nulla della spontaneità di Matt. Soprattutto con
chi lo interpreta solo con uno sguardo distratto.
A volte sono stato geloso del
loro rapporto. Del rapporto che li lega tutti e tre ma, chiaramente, soprattutto
del rapporto che lo lega a Dominic. So che sono come fratelli, ma io quella
complicità non l’ho mai avuta neppure con mio fratello e l’ho raggiunta solo con
Stefan e solo grazie ad una storia andata a rotoli per causa mia.
Adesso mi ci sono abituato e,
da parte sua, anche Dom si è abituato a me. È condiscendente. E sospettoso. Mi
guarda sempre come se si aspettasse che da un momento all’altro ne faccia
qualcuna delle mie, ed io sarei curioso di chiedergli cosa corrisponda –
nella sua testa – ad “una delle mie”. Ma non glielo chiedo e cerco di non
mettermi in mezzo, è l’unico modo che io abbia per farmi accettare e ritagliarmi
uno spazio mio.
Siamo arrivati ad una
convivenza pacifica, che ci permette anche di uscire in gruppo – con loro e con
Steve e Stefan – e di stare seduti intorno allo stesso tavolo trovando la
situazione piacevole e divertente. Basta che io ignori le sue occhiate e lui
faccia finta di non vedere e sentire Matt quando si gira e mi domanda se “io
farei diversamente la tal cosa”.
Quando Matthew si comporta
così, io avrei voglia di dirgli la verità. Guardarlo e rispondergli
semplicemente che ogni cosa che esce dalla sua bocca, dalle sue mani, dai suoi
pensieri è sempre ben fatta. Perché non c’è nulla in lui che non sia
genialità e, se anche io fossi sul serio tanto arrogante da voler rovinare
qualcosa solo per affermare me stesso, non riuscirei comunque a trovare niente
da cambiare in lui.
Una specie di tocco di Mida,
Matthew. Solo che il tuo oro non fa mai male agli altri, e riluce davvero tanto.
***
Matt mi si avvicinò mentre
scrivevo. Era sudato ed accaldato, ed aveva il fiatone. Lui non riesce a stare
fermo, che sia un concerto o che siano – come quel pomeriggio – delle semplici
prove, lui suonerà, canterà, salterà e farà casino allo stesso identico modo.
Anzi, se saranno prove come quelle di quel pomeriggio, dopo aver fatto tutto
questo avrà ancora le energie per scendere dal palco ed inseguire i tecnici per
gli ultimi ritocchi o seguire Dom in qualcuno dei suoi scherzi cretini ai danni
di Chris, Tom o chi per loro si offra come vittima sacrificale di turno.
Io ascoltavo una demo che
avevamo inciso in studio il giorno prima, tentando di capire cosa non mi
convincesse e segnando le modifiche che apportavo su un block notes,
improvvisatosi quaderno musicale dopo che ci avevo tracciato un incerto
pentagramma fatto di linee sbilenche. Matt mi raggiunse e letteralmente si
lasciò cadere al mio fianco, riprendendo fiato con respiri lunghi e profondi,
come se fosse di ritorno da una corsa. Sollevai il viso e mi voltai a guardarlo.
-Cosa fai?- mi domandò subito.
-Correggo.- risposi vago.
Lui fece un’espressione
curiosa, allungò una mano verso l’auricolare dell’i-pod e mi fece capire che
voleva che glielo lasciassi. Misi giù la penna e tolsi l’auricolare per
passarglielo.
-È carina.- mi disse dopo aver
ascoltato la traccia musicale.
Ridacchiai.
-Grazie.
Lui si dovette rendere conto di
quello che aveva appena fatto, arrossì e mi fissò a disagio.
-Volevo dire che mi piace…-
balbettò.
-So cosa volevi dire.- risposi
con calma, porgendogli nuovamente la mano perché mi restituisse l’i-pod.- Su su,
ora fammi lavorare.- chiesi pazientemente, rinfilando l’auricolare al proprio
posto e riprendendo la penna in mano.
Matt mi fissò ancora per un
po’. Io non mi voltai a guardarlo, perché sapevo che se gli avessi dato corda
non me lo sarei più scollato di dosso, il che poteva anche andare bene per me,
ma non per lui che quella sera aveva un concerto e di sicuro non poteva passare
il pomeriggio con me. Alla fine lo sentii sospirare e lo avvertii prendere ad
agitarsi irrequieto. Si guardò attorno, si grattò la testa con aria concentrata,
si voltò a fissare il fianco delle casse di legno a cui eravamo appoggiati ed in
tutto questo per poco non scoppiai a ridere, continuando a spiarlo di sottecchi
mentre fingevo di concentrarmi sul mio pentagramma. Poi lui si alzò in piedi,
facendolo esattamente come avrebbe fatto un bambino, le mani a terra davanti a
sé per fare leva e mettersi dritti con la schiena, mi nascosi frettolosamente
dietro il block notes, spingendomi all’indietro contro le casse e sollevando il
quadernetto davanti al mio viso. Da sopra il bordo lo vidi mentre girava intorno
alle stesse casse e poi spariva oltre l’orlo…
Buttai giù il block e mi alzai
anch’io.
-Matt, che diavolo stai
facendo?!- chiesi stupito sporgendomi da sopra le casse e vedendolo steso a
terra, piedi incrociati e mani sulla pancia.
Mi scrutò un momento perplesso,
poi si strinse nelle spalle.
-Sono stanco. Dormo.- spiegò
semplicemente.
-…per terra?- provai ad
obiettare io.
-Beh, se vado nei camerini mi
trovano subito e mi rimettono al lavoro…
Scossi il capo, tornando
indietro e lasciandomi ricadere di nuovo al mio posto. Con un sospiro pesante
sollevai per l’ennesima volta il blocco degli appunti e ricominciai da dove ero
stato interrotto.
Avevo quasi finito di sistemare
quello che sarebbe diventato il ritornello, quando mi accorsi delle manovre
circospette di Dominic. Sollevai lo sguardo, appuntandolo su di lui per
assicurarmi di non aver visto male, ma era decisamente Dominic e stava
decisamente girando per il backstage con in mano una bottiglia piena d’acqua ma
senza tappo ed un’aria da folle in caccia sul viso. Lui si accorse di me. Si
fermò e mi guardò, incerto, come se stesse valutando l’idea di avvicinarmisi.
Già dalla sua faccia capii che aveva intenzione di combinare qualcosa e, posto
che non potevo essere io il suo bersaglio – tra noi non c’era ancora questa
confidenza – se fissava me era perché cercava Matt e pensava che io sapessi dove
fosse. Quindi stava considerando la possibilità di venirmelo a chiedere.
Spostai gli occhi da lui alla
bottiglia e, poi, di nuovo al suo viso, per accorgermi che mi aveva seguito nel
movimento e che, evidentemente, quello che avevo pensato era giusto. Mentre lui
avanzava cautamente verso di me, io stabilii la cosa migliore da fare.
Sospirai, posai il blocco sulle
ginocchia, capii che poteva passare una vita intera e Dom e Matthew sarebbero
stati comunque qualcosa in cui io non avrei potuto mettere dito, allungai un
braccio dietro di me ed indicai alle mie spalle le casse di legno, facendogli
cenno di guardare al di là.
Dominic accelerò il passo e mi
si affiancò in poche falcate, appoggiandosi al bordo delle casse per sporgersi
oltre e sbirciare Matthew addormentato. Sollevò la bottiglia, mordicchiandosi
concentrato le labbra, e meticolosamente ne rovesciò il contenuto sul povero
Matt, che si svegliò, strillò e balzò in piedi non necessariamente in questo
ordine.
Dom si tirò indietro ridendo,
si allontanò di corsa di qualche passo e si fermò lì, voltandosi a contemplare
la scena di un gocciolante ed infuriato Matthew, che tentava invano di scuotersi
di dosso acqua e ultimi brandelli di sonno prima di decidere la mossa
successiva. Poi Matt alzò il viso e lo vide che sghignazzava soddisfatto con la
bottiglia vuota in mano, e capì.
-Dominic!- ruggì, dimostrando
un’agilità non da poco nello scavalcare le casse di legno e me in un unico gesto
atletico.
Mi piombò davanti solo per
mettersi subito all’inseguimento dell’amico, che nel frattempo aveva badato bene
di darsi alla fuga, ridendo e correndo all’impazzata a rischio di travolgere
qualcuno dei poveri tecnici impegnati a lavorare.
-Dom, Matt, cazzo piantatela!-
strepitò Tom Kirk inutilmente, apparendo dal fondo dei camerini.
Chris si affacciò oltre la
porta di uno di questi, con un cellulare in mano ed un’espressione incuriosita
in faccia.
-Che succede?- s’informò.
-Siamo alle solite, i due
cretini fanno i dodicenni!- sbraitò il manager, mani sui fianchi, lasciandole
ricadere sconsolatamente prima di voltarsi e tornare sui propri passi.
Chris adocchiò i due amici e
ridacchiò, rientrando nel camerino mentre portava nuovamente il telefono
all’orecchio.
-Solo Matt e Dom.- spiegò a
qualcuno al di là dell’apparecchio.
“Solo Matt e Dom”. Una
familiarità fatta di anni di convivenza.
Sospirai, posando
definitivamente il block notes e staccando le cuffie dalle orecchie tirando il
filo. Matt e Dominic mi passarono davanti in un secondo giro, Matt aveva trovato
un’altra bottiglia abbandonata, le avevano riempite entrambe ed ora si
combattevano a colpi di spruzzi.
-Sei un coglione, Matt!- rise
il batterista, dopo aver messo a segno un punto piuttosto importante ed aver
nuovamente ricoperto il proprio frontman di acqua.
Si spostò per evitare il
contrattacco, balzando indietro.
-E tu sei finito, Dominic,
aspetta che ti metta le mani addosso!- gridò Matt riprendendo ad inseguirlo.
***
Quando torno indietro, lo
spiazzo dove abbiamo acceso il fuoco è deserto. Intorno a me ci sono gruppi di
persone che si muovono rapidamente con risate e chiacchiericci confusi,
comparendo e scomparendo tra gli spazi lasciati vuoti dai tour bus. Osservo
perplesso quel movimento per un po’, mentre tento inutilmente di cacciare il
cellulare nella tasca dei jeans decisamente troppo stretti. Rinuncio quando da
lontano vedo Steve che cammina verso di me a passo svelto, con un sorriso idiota
in faccia.
-Brian! Ma sei ancora qui?!- mi
chiama a gran voce.
-Dove dovrei essere?- ritorco
io perplesso mentre lui mi si avvicina. Ne approfitto per rifilargli il
cellulare, che Steve fa sparire nella tasca dei propri pantaloni.
-Ma come?!- sbotta lui, come se
davvero dovessi sapere perché tutti si siano improvvisamente trasformati in
fantasmi vaganti ed io sia l’unico che ancora si ostina a rimanere nel regno dei
vivi rischiarato dalla luce del falò.- La caccia al tesoro, Bri!- esclama Steve
divertito quanto un bambino.
Sospiro pesantemente.
-Non posso credere lo abbiate
fatto davvero, siete tutti adulti…
“Ed ubriachi” aggiunge la mia
mente, interpretando per me la risatina stupida di Steve.
-Aaaah! Non fare il
rompiscatole come sempre!- mi rimbrotta lui, afferrandomi per un gomito e
tirandomi con sé- Dacci una mano piuttosto, dobbiamo ritrovare le cose che hanno
preso gli arbitri…
-Le cose che hanno preso?-
chiedo cominciando a provare un senso di inquietudine che risale dalla bocca
dello stomaco.
“Ubriachi vuol dire incapaci di
intendere e di volere.”
-Sì, una per ogni band.-
risponde lui.
-Steve?!- chiedo strozzato.
-Uh?- fa lui voltandosi. Poi
deve capire perfino il suo cervello annebbiato dall’alcool- Sì, hanno preso la
tua jaguar, quindi dobbiamo muoverci. Potrebbe essere ovunque…- aggiunge
pensieroso.
-La mia jaguar?!- ripeto
io con sempre minor fiato.
E mentre tra me e me penso,
irrazionalmente, che la prima cosa che farò quando sentirò Matt domani sarà
dirgli che è un bastardo e rovesciargli addosso qualche insulto random per stare
meglio con me stesso – e non so davvero per quale accidenti di motivo dovrei
farlo, ma so che un motivo ci deve essere – da dietro un camion appare
Stefan, sventolando un fogliettino con aria vittoriosa.
-Primo indizio!- annuncia a
gran voce.
“È ubriaco anche lui!”,
comunica il mio cervello.
Ma alla bocca l’informazione
non arriva, perché mi libero con uno scossone dalla stretta di Steve, mi fermo
in mezzo alla piazzola con le braccia incrociate e li guardo malissimo –
e sì, sto usando un eufemismo.
-La prossima volta che tirate
fuori l’assurda idea di un barbecue…- inizio in tono sibilante.
Steve e Stefan sospirano e
scuotono la testa, rassegnati.
*
Nota di fine capitolo:
Steve Hewitt ha lasciato i
Placebo. Notizia del primo di ottobre dal sito ufficiale.
È probabile che la gran
parte di quelli che leggono risponderanno “e a noi che ce ne frega?”.
Siamo d’accordo con loro,
ovviamente.
Perché è solo una band rock.
Perché ormai siamo grandi.
Perché nella vita ci sono un
milione di cose importanti, ma talmente importanti che aggiungerci cazzate è
inutile e dispendioso di energie.
In definitiva perché le
fanfiction non sono la realtà e la realtà non coincide quasi mai con quello che
vorremmo.
Per tutti questi motivi, pur
rendendoci conto di quanto sia stupido, noi due vogliamo dedicare “Trapped” a
Steve.
Perché per noi i Placebo
sono anche Stevey, e ci teniamo a dirlo.
|
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Capitolo 3 *** Three ***
Ringraziamenti dell
Ringraziamenti
dell’inizio!!!
Salutiamo e ringraziamo
tutti coloro che hanno letto la storia ed un saluto ed un ringraziamento
speciale vanno a Memuzz, Isult e Stregatta per aver trovato anche il tempo di
commentare. Un bacione, donnine! ^_-
…they have trapped me in a
bottle…
Three:
Sto seduto nella mia cuccetta,
la coperta tirata fin sopra la testa a mo’ di cappuccio, ed a gambe incrociate
ridacchio, tentando invano di mantenere bassa la mia voce per non disturbare
Steve e Stefan che – vista l’ora – dovrebbero dormire già da un po’. La
luminosità del portatile crea un’ombra chiara intorno a me. Se mi guardassi da
fuori somiglierei terribilmente ad un adolescente spedito a letto senza cena dai
genitori, che disobbedisce agli ordini paterni passando la notte a leggere alla
luce dell’immancabile torcia elettrica.
Invece ho trentacinque anni –
quasi. E dall’altro lato della telecamera, msn mi rimanda l’immagine di un
ventinovenne – quasi trentenne – che ridendo nel mio stesso modo imbecille
continua ad inviare improbabili emoticon raffiguranti animali più o meno
ridicoli e goffi.
“Io direi che il leoncino che
saluta con la zampina è perfetto per Alex”, digito rapidamente, inviando il
messaggio in risposta alla sua domanda subito precedente, cui era seguita una
nuova sfilata di animali/emoticon.
“Sicuro?”, digita lui, “Io
pensavo più… quell’omino cipolla, con le mani sui fianchi, che ride
malvagiamente…”
“Tu la odi!”, ribatto
divertito. E lo vedo sogghignare.
“O.k., allora passiamo a Chris,
che ne dici?”, mi chiede.
Annuisco senza rispondere,
sistemandomi poi la coperta sulla testa prima che scivoli via, mentre lui
ricomincia ad inviare emoticon. Le lascio scorrere l’una sull’altra, riprendendo
a sghignazzare silenziosamente, e sto quasi per indicargli il mio candidato – le
dita già sulla tastiera – quando qualcuno mi tira via la coperta ed io mi
ritrovo nel buio fitto del tour bus.
-Brian!- sospira Steve, con il
tono che avrebbe usato mia madre nel beccarmi nella stessa identica situazione.
-Che accidenti state facendo a
quest’ora della notte ancora in chat?!- completa Stef per lui, rassegnato.
Ci penso su. Immagino che una
risposta dovrei dargliela.
-…parliamo?- balbetto dopo un
po’, indicando lo schermo, su cui Matt ha preso ad agitarsi cercando di
richiamare la mia attenzione.
“Non ora, Stef e Steve devono
farmi la paternale”, gli notifico.
“…ah”
-Brian, ti prego! Sono le tre e
mezza!- parte infatti Stefan, allungando le mani per tirarmi via il portatile.
-Ah, no!- lo precedo, spostando
il pc perché non possa afferrarlo.- Saranno anche le tre e mezza, ma domani non
dobbiamo fare nulla e potrò dormire quanto voglio!- piagnucolo in modo piuttosto
infantile.
Steve e Stefan concordano con
me sull’infantile. Ed infatti si fermano e mi guardano, e si scambiano subito
dopo un’occhiata che sta a manifestare all’altro tutta la propria solidarietà.
-Sì, ma se continui così ti
consumerai come una candela e…- parte Steve in aiuto di Stefan. Ma s’interrompe
non appena si rende conto di quello che sta dicendo - Brian, Santo Cielo!
non sono costretto a fare di questi discorsi nemmeno con mia figlia!- strepita a
quel punto, allungandosi anche lui a tentare di afferrare il portatile.
Con una nuova, abile manovra
metto il pc in salvo alle mie spalle, sedendomici davanti con aria bellicosa ed
incrociando le braccia sul petto.
-Voglio parlare con il mio
uomo.- sottolineo in tono fermo.
-Puoi farlo domattina.- tenta
di farmi notare Stefan.
-Domattina sarà notte in
Inghilterra e non avremo risolto niente comunque.
Sospirano. Stefan si passa una
mano sugli occhi accennando una sorta di singhiozzo strozzato, Steve sbuffa ed
il suo sbuffo diventa una risatina controllata che dimostra come l’abbia vinta
io. Mi volto a recuperare il portatile e lo risistemo sul cuscino, Matt sta
ancora agitando la mano, per farmi cenno e chiedermi se è tutto a posto.
“Sì”, rispondo.
Stefan si lascia cadere nella
propria cuccetta, Steve si arrampica sul materasso dietro di me e sporge la
testa a sbirciare, ricambiando il saluto di Matt quando si incrociano nelle
telecamere.
-Cosa state combinando?- mi
chiede il mio batterista.
Stefan borbotta qualcosa che si
alza di tono fino ad assumere un significato molto simile ad un “non dargli
corda!”, che non viene strillato solo per rispetto a chi dorme sul serio intorno
a noi. Come la povera Alex, ad esempio.
-Facciamo un casting tra le
emoticon per scegliere a chi abbinare i componenti dei nostri team.- spiego
mentre do l’o.k. a Matt perché ricominci ad inviare i candidati al ruolo di
Chris.- A proposito, Stef.- chiamo, ed indico la mia scelta.- Tu ti senti più
pipistrello o scimmiotto?
Lui alza la testa – solo la
testa – da sopra il cuscino, mi fissa per un istante ad occhi sgranati ed è
evidente che l’informazione ha delle difficoltà a raggiungere il cervello ed a
tradursi.
-Scim…mi…otto?- ripete poco
convinto. Mi stringo nelle spalle.- Essere umano?!- mi chiede lui.
-Sei noioso oltre che stronzo.-
concludo voltandomi di nuovo allo schermo.
Steve scoppia a ridere e mi si
“abbatte” sulla schiena, io sghignazzo ma mi ostino a rimanere voltato anche
quando Stefan si lascia cadere giù di nuovo, con l’ennesimo sospiro, portando la
mano agli occhi ancora una volta e fingendo di voler agonizzare così, in
un patetico tentativo di dormire.
-Ti prego, Bri, non dirgli
così, che poi ci resta male!- esclama Steve tra le risate.
Non gli do retta, cerco
qualcosa tra le immagini che Matt mi ha già inviato e la inserisco nella chat.
-Per te non abbiamo avuto
dubbi, invece.- dico a Steve, che si asciuga una lacrimuccia solitaria vicino
all’occhio e torna a sporgersi da sopra la mia spalla. Un grosso e grasso panda
si agita ballando sullo schermo del computer, ondeggiando qui e lì con la sua
forma vagamente oblunga ed il muso dagli occhietti perfettamente rotondi e
pallati.- Steve, ti presento Stevey.
Stefan si stende a pancia sotto
e si arrampica fino al mio letto, per guardare anche lui e prendersi una
rivincita quando scoppia a ridere come l’amico poco prima. Steve, invece, sembra
perplesso, indica il panda ballerino e poi mi guarda.
-…mi state dicendo che sono
grasso?- mi chiede titubante.
Stefan ride più forte -
infischiandosene allegramente della pace e del sonno “dei giusti” - si rotola
nella cuccetta spostandosi verso la parete del tour bus, ed io gli getto
un’occhiata e poi spiego.
-Tu sei stato un panda fin
dall’inizio.- illustro, mentre Steve aspetta, forse sperando che smentisca la
sua presunta obesità.- Ne avevamo parecchi, ma alla fine abbiamo ritenuto che
questo fosse quello che ti rappresentava meglio.
E detto questo, mentre Stefan
quasi si strozza, affondando il viso tra le lenzuola, io torno a voltarmi verso
lo schermo, ma colgo lo stesso l’immagine di Steve che, perplesso, si solleva la
maglietta che usa per dormire e si osserva la pancia.
-…ma se sono dimagrito…-
mormora pungendosi con un dito gli addominali.
Soffoco una risata anch’io.
“Sei perfido.”, mi dice il mio
uomo, ridacchiando come me.
“Ahah. Tu però mica me lo hai
impedito.”, gli faccio notare.
“Dì a Steve che sta molto
bene.”, mi provoca lui.
“…stai assumendo dei modi da
puttanella che non mi piacciono proprio”, m’impunto.
Matt ride. Vederlo ridere è
quasi meglio che sentirlo soltanto. Se potessi vederlo e sentirlo insieme,
sarebbe meraviglioso.
…se potessi avere il suo
profumo nelle mie mani mentre ride, sarebbe perfetto…
“Mi manchi”
Matt smette di ridere, fissa lo
schermo e si fa triste.
“Mi manchi anche tu.”
Vorrei aggiungere
qualcos’altro, ma scopro che non posso farlo. E non posso perché mi sento
pesante e voglio piangere, e ci sono Steve e Stefan intorno a me, che
bisticciano tra loro scambiandosi scherzi sussurrati come ragazzini in gita
scolastica, e la loro presenza è un freno che m’impone di posare ancora le dita
sui tasti, tirare un respiro che nessuno di loro sente e smetterla almeno per un
momento di essere debole.
In fondo so che se non ci
fossero anche loro – Stefan, che continua a sghignazzare, sempre più fiocamente,
e Steve, che si ostina a tentare di catturare inesistenti “rotolini” di ciccia
da sopra l’elastico dei boxer – probabilmente ora non riuscirei ad avere questa
forza.
Perché se anche Matt è qualcosa
di importante nella mia vita - qualcosa che mi permette di rimanere in vita
- se fossi qui da solo in questo momento, non mi basterebbe mai vederlo
scivolare e respirare lontano da me.
Una volta Stefan mi disse che
io sono “affamato d’amore”, ne ho necessità più dell’aria che mi attraversa i
polmoni. Ed aggiunse che ho bisogno che questo amore mi avvolga e mi protegga,
perché mi faccio male con una certa facilità e, dopo essermi fatto male, magari
riesco anche a tirare avanti, ma per un po’ arranco e c’è bisogno di qualcuno
che mi impedisca di ricevere i colpi troppo forte e che, poi, mi sostenga mentre
mi trascino per quel “po’”.
Matt non ha questo compito. A
lui ne spetta uno più difficile ma meno ingrato, perché a lui tocca rendere il
mondo un posto nel quale valga la pena di tirare avanti.
Il compito di attutire le
cadute e recuperarmi una volta che sono a terra, invece, spetta a loro. Stefan e
Steve. Ed a volte anche Alex – quando un’intervista è un disastro, quando mando
al diavolo qualcuno della produzione, quando una rivista ci va giù troppo
pesante. E se lo sono assunto da soli, non so perché e non me lo dicono, ma
hanno deciso che va bene così e che si prenderanno cura di me. E se ci sono
loro, io posso permettermi di ignorare il resto, anche quando “il resto” non
vuole ignorare me. E se non ho voglia di combattere, mi nascondo dietro le loro
spalle e lascio che si battano al posto mio. Se non ho voglia di rispondere,
volto la schiena e lascio che loro erigano un muro di parole vuote tra me e
gli altri. Se non ho voglia di vivere, mi rifugio tra loro e li lascio
respirare al posto mio.
Ho davvero bisogno di tutto
questo. Almeno quanto ho bisogno che loro non mi chiedano di ricambiarlo.
Dom entra in casa di Matt –
aprendo con il doppio delle chiavi, che io non posseggo, ma lui sì, da
sempre. Lo vedo sul fondo dello schermo infilarsi nella stanza dalla porta
dietro le spalle di Matt. Nota il pc ancora acceso, fa un smorfia e si avvicina,
piegandosi ad invadere lo spazio della telecamera per accertarsi che sono,
come sempre, io. Lo saluto ma mi risponde con uno sbuffo, afferra il cane di
peluche accanto al computer e lo piazza davanti alla telecamera.
Quando torno ad avere la
visuale libera, lui si è già spostato verso il letto, ci si lascia cadere
prendendo a gesticolare e – presumibilmente – a parlare a voce alta, mentre
Matt, infastidito, gli tira dietro il peluche per vendetta. Prende Dom sulla
testa ma lui lo ignora, lasciando che rimbalzi sul materasso verso il bordo del
letto.
“Che sta dicendo?”, m’informo
con Matthew quando torna a voltarsi verso di me.
“Non lo so!”, ammette lui
sogghignando, “Non lo sto ascoltando!”
Il punto fondamentale di tutta
questa storia, penso mentre Matt mi chiede se non trovo adorabile una
specie di pac-man facciuto, che balla in tondo con un pannolone addosso e che
lui chiama “Tom” perché ritiene somigli al loro manager, è che Stefan e Steve
sono per me l’unica vera famiglia che possa dire di avere mai avuto.
Ed a modo loro, penso ancora
quando Dom ricambia il favore e scaraventa di nuovo il cane di peluche sulla
testa di Matthew per richiamare la sua attenzione, anche Dominic e Chris sono
l’unica famiglia che Matt abbia mai avuto.
...Direi che siamo stati
fortunati.
***
Mi si avvicinò con fare
circospetto, ed io mi sentii quasi bene, perché era chiaramente un atteggiamento
“da amico”, e nonostante quello strano prototipo di gelosia che provavo nei suoi
confronti, be’, ci tenevo a farmi accettare da Dom.
Eravamo al ristorante. Era un
posto che avevo frequentato spesso, che continuavo a frequentare spesso. Il
solito posto di classe ma riservato e snob abbastanza da non permettere ai
paparazzi di avvicinarsi impunemente senza rischiare la pelle. C’ero stato un
milione di volte con Stef, c’ero stato altrettante volte con Helena e c’ero
stato anche da solo. Mi conoscevano. Ero un buon cliente.
Ci tengo a specificarlo perché
quello che successe dopo me ne impedì la frequentazione nei secoli a venire, il
che mi dispiace, perché facevano il filetto di pesce spada più buono che io
avessi mai mangiato.
Comunque.
Dom mi si avvicinò e mi sorrise
malignamente, perciò io posai coltello e forchetta e gli diedi la mia
attenzione.
- L’hai vista la cameriera? –
chiese, indicando con un cenno del capo la moretta che aveva appena finito di
servirci e si preparava a prendere le ordinazioni di un tavolo poco distante dal
nostro.
Io le lanciai uno sguardo
sospettoso. Magari aveva tipo una macchia sulla camicetta e Dom lo trovava
divertente. Ma niente, era perfetta, ligia e sorridente nella sua elegante e
castigatissima divisa bianconera.
- Sì, l’ho vista… - risposi
incerto, mentre attiravo l’attenzione di Matt con un calcetto da sotto il
tavolo.
- Ed è carina, no? – continuò
imperterrito lui, mentre al terzo calcio Matt capiva che volevo renderlo
partecipe della scena e decideva di abbandonare l’esame accuratissimo cui stava
sottoponendo il suo risotto ai gamberi, nel tentativo di lasciare di lato i
gamberi per mangiarli tutti alla fine come fa in genere con ogni condimento.
- Carina… sì, penso di sì… -
dissi io, continuando a guardarlo, tirandomi un po’ più indietro come se
trovassi il suo sguardo ammiccante e malefico una minaccia – cosa che in effetti
era.
Matt lanciò uno sguardo alle
proprie spalle, adocchiando la cameriera e tornando poi a guardare noi, annuendo
anche lui per dimostrare l’apprezzamento nei confronti della ragazza.
- Avrà… - accennò Dom, pensoso,
- più o meno la quinta di reggiseno, no?
Ecco, fu in quel momento che
capii che la situazione era un po’ strana.
- Dom, ma-
- Ti sfido! – disse lui,
illuminandosi di malizia e piantando il proprio coltello nell’innocente
cotoletta che aveva sul piatto, - Toglile il reggiseno!
Saltai sulla sedia, colpendo la
forchetta col polso e osservandola rotolare drammaticamente lungo il bordo del
piatto fondo e anche quello del piatto piano, fino alla tovaglia, contro la
quale si schiantò, lasciando una traccia di brodo giallognolo.
- Matt!!! – lo chiamai,
sperando che mi desse una mano a declinare l’invito.
- Che figata! – disse invece
ovviamente lui, mettendo definitivamente da parte riso e gamberetti e
trattenendosi a stento dallo sbattere entusiasta le mani sotto il mento, - Dai,
dai, dai, fallo!!!
Ascoltai Chris scoppiare a
ridere, cercando invano di trattenersi e coprirsi con una mano, mentre Steve lo
seguiva a ruota e Stefan si limitava a un enorme – e alquanto compiaciuto –
sorriso paterno.
- Ma siete del tutto
impazziti?! – dissi irritato, cercando di riporre la forchetta al proprio posto
e arrendendomi di fronte al fatto che non ne aveva alcuna intenzione mentre la
osservavo cadere nuovamente sul tavolo, - Avete visto dove siamo?! Questo non è
il baracchino degli hot-dog!
- Al baracchino degli hot-dog
non ci sono cameriere… - obiettò giustamente Dom, inclinando il capo come un
cagnetto curioso.
- Avanti, Brian, non essere
sempre così noioso! – rincarò la dose Matthew, incrociando le braccia sul
petto, - È una cosa divertente! Devi solo sfilarle il reggiseno!
- Ma scusa, - mi lamentai io, -
come pensi che dovrei farlo?! È… vestita! Sono abituato a togliere la biancheria
intima alle donne solo quando sono già mezze nude… e… consenzienti, dannazione!
Matthew sbuffò sonoramente,
indispettito.
- Si vede che non hai pomiciato
molto, al liceo. – commentò vagamente.
Fu lì che anche Stef scoppiò a
ridere, unendosi a tutti gli altri.
- Grazie. – asserii io, acido,
guardando il mio bassista prima di tornare a guardare il mio fidanzato, -
Davvero, grazie.
- Ma dico sul serio! – continuò
Matthew, dimostrando di non avere alcuna intenzione di offendermi quando mi
aveva dato dello sfigato, ma solo di farmi comprendere il suo punto di vista, -
Quando stai a scuola e porti le ragazze nel vicolo dietro l’edificio, non puoi
mica spogliarle per intero! Anche perché non ci stanno. – rifletté seriamente, -
Quindi praticamente devi imparare a slacciare il reggiseno attraverso la
camicetta, così poi puoi infilare le mani da sotto e-
- Matthew… - lo interruppi,
massaggiandomi le tempie, - non solo non volevo avere questa conversazione con
te, ma non te l’ho neanche chiesta, quindi potresti risparmiarmela? Tanto più
che – rafforzai, scrollando le spalle, - non ho la minima intenzione di sfilare
il reggiseno alla nostra cameriera!
- Questo mi fa felice, e le
sono molto grata, signor Molko. – sorrise gentilmente la cameriera, appunto,
chinandosi su di me, - Vino? – chiese poi, riempiendo il bicchiere prima ancora
di aspettare la mia risposta e allontanandosi con tanta classe che per la prima
volta mi sentii davvero invidioso della presenza di spirito di qualcuno.
- Però. – commentò Dom,
osservandola inebetito mentre si dirigeva verso le cucine, - Figa. Mi sa che la
invito a uscire.
- Mi sa che è troppo
intelligente, per te. – osservò giustamente Matthew, mentre io mi lasciavo
andare a un mezzo sorriso rassegnato e divertito.
***
Nel buio il respiro di Stefan
si è fatto regolare.
“Addormentato”, penso, mentre
mi mordicchio un’unghia e rifletto sul fatto che domani Nadine, la nostra
truccatrice, si trasformerà in una belva nel vedere rovinato il suo lavoro di
manicure ancora prima che a farlo ci pensino le corde della chitarra.
Steve sospira, si tira indietro
sul materasso e poggia le spalle contro la parete del bus.
-Chiudo gli occhi per riposarli
un po’, Brian.- mi dice gentilmente, incrociando le mani sulla pancia.
Annuisco senza ascoltarlo. Matt
un po’ segue Dom, che è di nuovo in piedi e continua a vagare per la stanza
facendo come un pazzo, un po’ si volta allo schermo e mi chiede di pazientare.
Sbuffo, tirando via il dito e portando di nuovo le mani alla tastiera.
“Ma che vuole?!”, sbotto
infastidito.
Lui si volta ancora, per poter
scrivere a sua volta, Dom è troppo preso per accorgersi della manovra, passa
sotto la telecamera agitando il cane di pezza come un oratore il testo del
proprio discorso.
“Dice che Cathy lo prende in
giro per come si veste.”, mi risponde.
Cerco nella memoria, ma non
trovo nulla.
“Cathy?”, scrivo.
Lui annuisce.
“Ti ricordi la cameriera di
quel ristorante che piace a te? Quella del reggiseno…”
Arrossisco.
“Sì!”, scrivo aggiungendoci
anche una faccetta che faccia intendere bene quanto mi senta a disagio.
E dopo averla messa lì ed
averla osservata rimandarmi il proprio adolescenziale significato, mi sento
ancora più in imbarazzo.
“Solo tu riesci a farmi fare
cose così idiote, Bellamy”, mi dico tra me e me. Ma a lui non lo dico, perché mi
piace che ci riesca e spero che continui a riuscirci ancora per molto tempo.
Lui sghignazza.
Io realizzo e mi sento sempre
più scemo.
“…Non dirmi che quella
esce con Dom!”, scrivo in fretta.
Adesso ride proprio,
prendendomi palesemente in giro.
“Se vuoi non te lo dico”,
ritorce.
“Ma com’è che quella
esce con Dom?!”, strillo io. Cioè, strillerei se lui fosse qui, o al telefono, o
qui…!
Lui sembra sorpreso. E me lo
dice anche a modo suo.
“Eh!”, fa, “Lui gliel’ha
chiesto!” e ci mette anche un’altra faccina, una specie di…arancino o qualcosa
del genere, rosa e piccolo, con gli occhietti tondi sgranati in un’espressione
perplessa.
Mi sbatto una mano sulla
faccia, giusto perché gli sia chiaro il concetto ancora prima che lo espliciti.
“Questo non spiega un
accidente…”, faccio notare.
Matt fa spallucce, un gesto che
gli viene davvero bene e che lo fa diventare tenero. Perché ha quelle spalle
piccole e magre, che infila sotto i suoi amati maglioncini dai colori
improponibili, e quando le solleva e ci si nasconde dentro pare davvero un bimbo
e viene voglia di baciarlo.
O forse viene solo a me. A
volte lo vorrei davvero solo per me.
“Lei dice che lui la fa
ridere.”, spiega.
Il cane di peluche rimbalza di
nuovo sulla testa di Matt, Dom si deve essere accorto che non gli sta dando
alcuna attenzione. Il pupazzo rotola tra lo schermo e Matthew e si ferma sulla
tastiera mentre lui si volta a fissare l’amico. Strillano tra di loro, Matt
sbuffa, gli tira dietro il cane, si volta mentre già si sta alzando.
“Vuole che lo aiuti a
vestirsi”, mi dice.
Si ferma, le dita sollevate. So
cosa sta pensando.
Infatti.
“Non aspettarmi, si è fatto
tardi, vai a dormire.”, mi chiede.
Sospiro. Cerco tra le emoticon,
non gli ho detto che ne ho scaricata anch’io qualcuna da internet. Ne scelgo una
e la metto lì. Invio.
Una piccola volpe rossa, con
gli occhioni luccicanti di stupida gioia infantile.
“Questo sei tu”, gli scrivo.
Lui ridacchia.
“Grazie”, mi risponde,
“Buonanotte”
“Ciao”
Quando spengo, resto fermo per
un po’, per abituarmi al buio ma anche per abituarmi al silenzio. Quando Matt ed
io parliamo, anche se lo facciamo come questa sera via chat e non per telefono,
ho comunque sempre la sensazione di sentire dentro di me la sua voce. Me la
immagino, in tutte le sfumature, modularsi in modo da assumere l’esatta enfasi
delle parole ed esprimere tutta la gamma di sentimenti che riempiono il suo
petto.
La voce di Matt ci riesce
davvero. Lui parla e, mentre lo fa, ti dice esattamente quello che sta
provando, quello che sta pensando.
È per questo che non sa proprio
mentire.
Sollevo il pc con delicatezza e
lo poso per terra, domani lo metterò a posto nella borsa, adesso è tutto spento
e non voglio svegliare nessuno andandomene in giro. Mi volto per sistemarmi tra
le coperte, Steve si è addormentato anche lui – inevitabile – ed occupa tutto lo
spazio ai piedi della cuccetta. Sospiro, dovrei cacciarlo via ma so che non lo
farò. Mi raggomitolo in un angolo e mi tiro su le coperte.
Nota di fine capitolo della
liz:
No, dico, guardateliiiiiih
çOç Non sono la cosa più adorabile che abbiate mai visto?! Sono così puccini,
coi loro comportamenti sciocchi e adolescenziali, e Brian con tutte le sue
insicurezze tatine… X3 (È bello parlare di una storia come non fosse propria *-*
La realtà mi aiuta nel compito perché in effetti la gran parte di tutto la
scrive Nai ù_______ù Il che mi rende estremamente felice, perché è amabile <3)
Vorrei davvero darvi un’idea
delle faccine che usano XD Se siete fra i miei contatti MSN chiedetemi di
mostrarvele, sono l’amore XD Soprattutto l’uomo-mutanda (la palla viola con
pannolone) e l’uomo cipolla (che si chiama così perché sulla testa invece di
avere i capelli ha l’estremità superiore della cipolla). Anche l’arancino rosa
pallato è adorabile ç_ç Fa tipo così -> °-° È carino da morire *O* (e qui ci
starebbe bene un’altra faccina, che è un arancino più grande, bianco, con le ali
e l’aureola, che si agita felice come fosse innamorato <3).
*rilegge le proprie note*
Questo è un delirio °_° È
colpa di Nai, mi ha obbligata lei a scriverle!
Al prossimo capitolo! E
scusate se pubblichiamo così lentamente XD Ma non preoccupatevi, sono già pronti
praticamente dieci capitoli su tredici <3 Direi che siamo a buon punto, eh? :3
Nota di fine capitolo della
Nai:
Le emoticon utilizzate in
questa ff sono tutte reali. Nessuna di loro è stata maltrattata per la
realizzazione del capitolo ù_ù
Anzi, erano tutte molto
felici di essere utilizzate da Brian Molko e Matthew Bellamy.
...
Se vi state chiedendo a cosa
vi serva questa informazione…non sapevo cosa scrivere nella nota di fine
capitolo XP
Però ringrazio tutti! e
nell’ordine: un grazie enorme alla Lizzie e poi un grazie enorme a chi legge la
nostra storia!
Spero continui a piacervi
^_-
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Capitolo 4 *** Four. ***
Come sempre l’Easily Forgotten Love ringrazia ^^
Un grazie speciale a Isult, Memuzz, Stregatta ed Erisachan per aver
trovato il tempo di lasciarci una recensione. Grazie donnine ç*ç
…they have trapped me in a bottle…
Four:
Mi sveglio. Fuori il sole è alto.
Il bus è fermo da qualche parte e sento il rumore che fanno le persone che
camminano di sotto. Mi tiro su sui gomiti e mi accorgo che Steve non è più nel
letto e Stefan si è già alzato. Rotolo su me stesso per mettermi a pancia
all’aria e girare intorno un’occhiata distratta, mentre cerco di riprendere
appieno coscienza.
Sbadiglio. Sono le dieci del
mattino, ho dormito cinque ore ed ho un mal di testa feroce.
-Caffè.- mi dice a voce alta la
mia pancia. Ed il mio cervello concorda a sufficienza da obbligare i muscoli a
muoversi ed uscire da lì.
Evito per un pelo di tirarmi
dritto sul portatile e metto i piedi a terra proprio lì vicino, camminando
scalzo per raggiungere la macchinetta sul piano della cucina.
Ci sono Alex e Stefan seduti al
tavolo sotto i finestrini, fanno colazione e parlottano tra loro. Biascico un
“buongiorno” che non capirei io per primo, ma loro sorridono e mi salutano:
Alex mi risponde, Stef si limita a tirare su la mano. Mi indicano il caffè già
nel bricco ed io scavo tra le tazze per individuare la mia e portarmela al
tavolo. Spingo Stefan perché mi faccia spazio e lui mi ubbidisce docile,
osservandomi in silenzio mentre mi lascio cadere accanto a lui e prendo a bere
imbronciato. Sollevo una mano e la incastro tra i capelli per reggermi la testa
quando mi abbatto sul tavolo.
-Non mi sento benissimo.-
annuncio.
Stefan sospira, Alex ridacchia.
-Continua a fare le cinque ogni
mattina e vedrai quanto ti sentirai bene.- mi dice lei, condiscendente.
Non ribatto, allungo appena il
collo per spiare quello che succede fuori dal tour bus.
-Dove siamo?
-Alla nuova location.- risponde
Stefan.
Sbuffo e mi accartoccio di nuovo
su me stesso.
-Ho fame.- notifico ancora,
voltandomi poi a guardarmi attorno, come se qualcosa di commestibile dovesse saltare
fuori in una specie di evocazione.
E succede davvero.
Steve sale attraverso il portello
del pullman, ha tra le mani una scatola di cartone rosa, con su stampigliato
qualcosa in un colore acceso e con caratteri infantili, da giocattoli per
bambini. Sorride soddisfatto e quando ci vede, seduti al tavolo, ci saluta a
gran voce e ci viene incontro, posando la scatola tra noi sul ripiano.
-Cos’è?- chiedo curioso, sporgendomi
ad aprirla.
-Un regalino per te.- mi spiega.
Litigo con l’adesivo che chiude
la scatola e da dentro mi arriva un profumo delizioso che mi ricorda qualcosa.
-Cibo?!- esclamo speranzoso,
infilando il naso dentro appena riesco a farmi spazio.- Donuts!- riconosco
immediatamente, allungando subito una mano a prenderne una. Lo zucchero a velo
mi riempie le dita, io non ci bado e tiro fuori il dolce fissandolo come se
fosse incredibilmente bello.- Cavoli, erano secoli che non ne mangiavo una!-
piagnucolo commosso prima di addentare la ciambella e concedermi un’espressione
estatica. Socchiudo gli occhi, assaporando il burro sciogliersi sulla lingua e
contro il palato. Sono appena fatte!- Steve, ti amo.- annuncio.
Lui ride divertito. Sento Alex
borbottare, mentre tira via la scatola da sotto il mio naso.
-Non dovresti mangiare questa
roba.- brontola ed io apro gli occhi e la guardo, continuando ad ingozzarmi
incurante.- Sai quante calorie ha una di queste cose?- mi chiede.
M’imbroncio di nuovo.
-Faccio il cantante, non la
modella!- protesto.
-Oh, tesoro! Per te, purtroppo,
le due cose si equivalgono.- mi ricorda impietosa, porgendo le mie ciambelle a Stefan.
-Ti ringrazio, ma non ne vado
pazzo.- declina lui.
Steve si siede accanto ad Alex e
ne prende una.
-Andiamo, Stef, le ho comprate
apposta per fare colazione tutti assieme.- lo invita.
-Pazienza! La sua la mangio io!-
mi offro immediatamente, tentando di afferrare la scatola quando ripassa sotto
il mio naso.
-No, Brian!- sbotta Alex,
tirandomela via un’altra volta.- Tu no! E vai anche a farti la barba che sei… inaccettabile!
A questo punto so che dovrei
offendermi. O protestare. O fare qualunque altra cosa che faccia intendere alla
mia manager che il suo sottinteso – e nemmeno tanto – “sembri un uomo!”, mi ha
quanto meno dato fastidio, visto che io sono
un uomo. Anche se il resto del mondo stenta a crederlo e, quando lo rendo
evidente, preferisce ignorarlo.
E vorrei anche ricordarle che,
sebbene la mia casa discografica sia convinta che il modo migliore per vendere
i nostri dischi sia quello di farmi sembrare sessualmente appetibile ad orde di
ragazzini - e non - io sono un
cantante e, come tale, non necessariamente soggetto alla “legge della taglia 38” che affligge il mondo della
moda.
Ma siccome lei ha già chiarito,
almeno su questo punto, che non ho un gran diritto di parola, sospiro e sto
zitto, ma infilo comunque la mano nella scatola delle donuts e ne prendo una
seconda, sfidandola con un’occhiata a contraddirmi quando apre la bocca per
notificarmi il proprio dissenso. Ed Alex sta con noi da abbastanza tempo da
sapere esattamente come gestirmi.
Quindi ci ripensa, chiude la
bocca, si rimette comoda contro lo schienale del sedile e mi lascia mangiare in
pace.
-Bene, oggi che abbiamo da fare?-
chiede Steve oziosamente, ingurgitando anche l’ultimo pezzo di ciambella e
reclamando caffè come tutti noi.
Glielo verso nella tazza che mi
porge, Stefan abbassa la propria e risponde per Alex.
-Interviste.
Gli si legge in faccia quanto
poco questo lo esalti. Io penso che avrei ragioni molto più valide di loro per
scocciarmi all’idea di interminabili sequele di domande cretine e tutte uguali,
che verteranno inevitabilmente sulla mia vita sentimentale, sulla mia
sessualità, sulle mie antipatie ed, in misura residuale ed allo stesso modo, su
vestiario, trucco, capelli e musica.
A volte mi chiedo se sia davvero
un delitto avercela con la categoria dei – presunti – giornalisti…
Mi sto interrogando al riguardo -
mettendoci anche una certa attenzione - quando qualcun altro fa la propria
apparizione su per il portellone del tour bus. Approfitto del diversivo per riemergere
dai miei pensieri e sollevare il mento, appoggiato distrattamente alla mano, ed
il collo a spiare di chi si tratti.
La mia espressione curiosa muta
istintivamente in fastidio palese quando riconosco Gerard Way, cantante – a
sentir lui – di “non voglio nemmeno
ricordare che razza di gruppo”, fare capolino sopra gli scalini, allargare
la bocca in un sorriso immenso nel riconoscere Stefan accanto a me e lanciare
una specie di richiamo gorgheggiante, assolutamente inappropriato al
personaggio e decisamente irritante per le mie orecchie.
-Stef, hai da fare?- s’informa.
Registro che lo ha chiamato
“Stef” e non “Signor Olsdal” come esigo e pretendo.
Registro che, ancora peggio, Stef
sta prendendo in considerazione l’idea di rispondergli e che, se lo conosco…e decisamente io lo conosco! sta per
scuotere la testa e dirgli che “no, non ha nulla d’importante da fare. Perché?
Ha bisogno di qualcosa?”.
E registro che se questo dovesse
avvenire io strangolerei Gerard Way con le mie mani, perché stamattina voglio
che Stefan e Steve mi stiano attaccati addosso e non li dividerò di sicuro con
quella specie di…moccioso darkettone
che, dall’inizio del tour, continua a girare intorno al mio bassista.
Senza permesso.
Mi volto a fissare Stefan.
Lui abbassa lo sguardo ad incrociare
il mio. Ha la bocca già aperta per rispondere, le spalle tese ed è concentrato
su quello che sta per dire.
Ci ripensa appena mi vede.
-Scusami, Gerard,- cambia
repentinamente risposta- abbiamo un paio di interviste e dobbiamo concordare
tra noi cosa dire.
Lui è dispiaciuto, e non ha
nemmeno il pudore di tenerselo per sé.
-Non importa.- mente goffamente.-
Allora magari ci si becca dopo.
Lo osservo sparire oltre il
portellone e mi rilasso, soddisfatto.
-Sbarazzatene.- ordino a Stef.
Lui non mi risponde subito.
Analizza la mia presenza e le mie parole.
-No. Ne abbiamo già parlato.- mi
ricorda pazientemente- Mi fa simpatia.
Sospiro. So che la vincerà lui,
Stefan sa esattamente quando è il caso di assecondarmi e quando, invece, è
necessario farmi sbattere i denti contro il muro. Stavolta mi tocca la
capocciata.
-E’ ingombrante!- provo lo
stesso.
E Chester Bennington ha
ovviamente la strepitosa trovata di venire a togliermi quel poco di credibilità
e di autorità che mi restano, imitando il nostro esimio collega appena
dileguatosi e comparendo a sua volta sulla soglia del bus. Solo che lui cerca me, ed è invadente – con tutta la sua stima ed il suo affetto –
quasi quanto l’Esimio Collega di cui sopra. Per cui devo ammettere che ho ben
poche speranze di riuscire a convincere Stefan che non è il caso di creare
intrusioni all’interno del gruppo, quando c’è un ragazzetto piuttosto ambiguo
che mi saluta dalla porta e mi chiede se voglio andare con lui a fare un giro
in città.
Ricambio l’occhiata che Stefan mi
lancia, lo osservo inarcare un sopracciglio, riconosco che sono un coglione e
poi rifilo al povero Chester la stessa balla che Stef ha rifilato a Gerard. Lui
per lo meno ha più classe nell’uscire di scena con un “sarà per un altro
momento, allora” ed un sorriso elegante.
-Brian…- esordisce Stefan appena
restiamo noi quattro.
Steve ed Alex scoppiano a ridere,
io mi metto buono ed aspetto la tirata d’orecchie.
***
Ricordo il film. Era Missione Tata. Lo ricordo perché Matt si
presentò a casa mia tutto trafelato, come non avesse fatto altro che correre
per tutta la giornata, agitando ossessivamente il dvd di Blockbuster e
strillando “Brian, ma tu lo sapevi che Vin Diesel era anche un attore vero?!”.
Io evitai di fargli notare che un film con quel titolo non poteva essere
considerato un film vero, e che perciò nessuno degli attori che vi avevano
preso parte potevano essere considerati degli attori veri – un po’ come il
sottoscritto non può essere considerato un musicista vero… soprattutto di
fronte a Matt – e crollai sul divano, scrollando le spalle e dicendo che ne
avevo sentito parlare e sembrava non fosse poi così malaccio.
- No, ma tu hai visto XXX? – continuò lui, sempre più
sconvolto, mettendo mano al lettore sotto la tv ed organizzandosi per far
partire il film, - Cioè, quello è un film, ma Vin Diesel si limita a fare lo
stunt-man, che poi è il suo lavoro, ed è accettabile! – si interruppe un
attimo, annuendo con partecipazione nell’osservare il dvd che veniva
inghiottito dal lettore, - Ma qui fa la tata! – riprese, scattando in piedi e
raggiungendo il divano con pochi passi frenetici, per piombare al mio fianco, -
Non lo trovi sconvolgente?
Avrei volentieri risposto che
trovavo decisamente più sconvolgente che lui arrivasse a casa mia ad orari
improbabili come quello – era quasi mezzanotte – soprattutto quando c’eravamo
sentiti pochi minuti prima, concordando che era tardi ed avevamo entrambi
bisogno di un sonno ristoratore, e perciò ci saremmo aggiornati all’indomani
mattina e buonanotte.
Ovviamente tacqui.
Le immagini cominciarono a
scorrere sullo schermo, ed io stavo veramente morendo di sonno.
Mi spinsi indietro, scivolando
sul rivestimento del divano fino a raggiungere lo schienale e rovesciarmici sopra,
esausto. Matt mi imitò, appoggiandosi un po’ sbilenco contro la mia spalla,
fissando la tv con aria molto seria.
Qualcosa che sembrava un
mini-plotone dell’esercito stava decidendo il da farsi. Vin Diesel dava gli
ordini. C’erano gli scogli, un sole ghiacciato e lontanissimo ed il rumore
delle onde del mare. La voce dell’attore andava affievolendosi sempre di più,
secondo dopo secondo, e il respiro sereno di Matt accanto a me, oltre al debole
calore che irradiava la sua guancia sulla mia spalla, attraverso il tessuto
leggero della maglia che indossavo, mi rimandava un’idea di pace e tranquillità
che… sì, rendeva il tutto decisamente soporifero.
Feci per chiudere gli occhi, ma
Matt si riscosse lievemente, per cambiare appena posizione, ed io sentii un
brivido di freddo affatto piacevole, che mi convinse a sollevarmi a mia volta e
muovere qualche passo incerto – sentivo le gambe deboli – verso la camera da
letto, alla ricerca di una coperta nella quale arrotolarmi.
Matt fece scattare un braccio e
mi fermò, intrecciando le sue dita con le mie.
Come diavolo abbia fatto a
prendere la mano al primo tentativo, contando il fatto che la stavo anche
muovendo, resta un mistero.
- Dove vai? – mi chiese, un po’
stranito, costringendomi a voltarmi.
- A prendere una coperta… -
risposi io, scrollando le spalle, - Ho freddo.
Lui arricciò le labbra in una
smorfia e mi tirò a sé, mugugnando.
- Non ti serve… - sussurrò
tranquillo, spalancando braccia e gambe ed obbligandomi a sedere nello spazio
fra le sue cosce, prima di stringermi attorno alle spalle come… come se la
coperta fosse lui.
Lo seguii nei movimenti, quando
tornò a posizionarsi sul fondo del divano, aderente allo schienale, per stare
più comodo.
Probabilmente era il sonno, ma
quando, a fatica, riuscii a sollevare lo sguardo abbastanza da poterlo guardare
senza muovere troppo il capo, per evitare di distruggere l’incastro perfetto
dei nostri corpi in quel momento, mi sembrò luminoso e irreale come un sogno.
Fissava il televisore, dritto davanti a sé, e le sue labbra sottili erano
increspate in un piccolo sorriso soddisfatto. Gli occhi erano vigili e attenti,
sembrava non avesse bisogno neanche di un secondo di riposo. Eppure era stanco,
lo sapevo, perché me l’aveva detto e non poteva essere altrimenti. Ma tutto –
lo sguardo limpido, il sorriso sereno, la stretta decisa e avvolgente –
sembrava dire che non sarebbe mai esistito nient’altro che lui avrebbe
desiderato come in quel momento desiderava restare lì con me a guardare uno
stupido film per famiglie.
E questo era troppo bello per
essere vero.
E quindi doveva essere un sogno.
Mi disincastrai dalla sua
stretta, sollevando un braccio e sperando che lui tornasse a richiudersi su di
me come un riccio non appena mi fossi fermato ancora. E lui lo fece. Accettò la
nuova posizione con qualche piccola scossa di assestamento e non diede neanche
segno di essere infastidito.
La mia mano raggiunse il suo
mento, e prese a giocare con la sua fossetta. Mi divertii a far scivolare
l’indice nel piccolo solco al centro, sorridendo appena mentre la lieve
barbetta che portava strisciava sulla punta del dito senza farsi veramente
sentire. Lui mi lanciò un’occhiata incerta e sorrise più apertamente, prima di
tornare a guardare la tv.
Io sbottai una qualche
disapprovazione e risalii con la mano lungo il profilo del suo viso, fino alla
guancia, che pizzicai amorevolmente – rendendomi conto di quanto in realtà ci
fosse poco da pizzicare – prima di ridiscendere lungo la superficie del collo,
e infilare le dita nella scollatura della sua camicia, percependo il
cambiamento di temperatura dall’esterno all’interno degli abiti e
mordicchiandomi ansioso il labbro inferiore.
Avevo voglia di lui.
Avevo voglia di sentirlo.
E quando lui tornò a guardarmi, e
spostò le braccia e la stretta verso il basso, infiltrandosi quasi timidamente
per sfiorare il ventre sotto la maglietta, mentre con una mano cercava a
tentoni il telecomando sul divano, capii che anche lui aveva voglia di me. Che
non aveva alcuna intenzione di dissertare sulla possibilità o meno di dare a
Vin Diesel dell’attore, o di stabilire se Missione
Tata era un film che valesse la pena vedere o no.
Semplicemente, come me, aveva
trovato inaccettabile essere, in fondo, così vicini – appena qualche isolato –
e non vedersi. Non toccarsi. Non sentirsi respirare.
…in effetti, quel giorno
c’eravamo solo sentiti per telefono…
Sentivo la mancanza del suo corpo
come avrei potuto sentire quella di un arto se mi fosse stato improvvisamente
mozzato, e me ne accorgevo in quel momento, solo allora che lui era lì e potevo
sentire la sua forma premere contro di me. Il suo petto contro la mia schiena,
le sue gambe attorno alle mie, il suo bacino contro il mio.
Si chinò, cercando le mie labbra
con le proprie dopo aver ridotto la televisione al silenzio. Sentii il suo
respiro affannoso, percepii il desiderio farsi strada fra le sue cosce e mi
schiacciai contro di lui, offrendo la mia bocca dischiusa per un bacio umido e
lento, quasi nostalgico. La lingua di Matt si mosse piano fra le mie labbra,
prima di raggiungere la mia.
Gli ero mancato.
Gli ero mancato come lui era
mancato a me.
Era incredibile avere gli stessi
bisogni, muoversi in sincrono, pensare le stesse cose. Era incredibile intuire
i desideri l’uno dell’altro, percepire la voglia d’essere sfiorati in un punto
piuttosto che in un altro.
Girai su me stesso, quando me ne diede
la possibilità, sedendomi a cavalcioni sul suo grembo e cingendogli il collo
con le braccia, intrecciando le dita fra i suoi capelli. Matt mugolò
soddisfatto, rendendo il bacio più profondo e attirandomi a sé con una mano
sulla mia nuca, mentre con l’altra attaccava la fibbia dei pantaloni, provando
a spogliarmi.
Non ci riuscì, perché la mia
maglietta era troppo lunga e si ostinava ad arrotolarsi in sbuffi proprio sulla
cerniera, e quando lo percepii sbottare infastidito e mordermi un labbro,
affamato, frustrato, mi affrettai a staccarmi da lui e sfilare la maglietta
dalla testa con un gesto veloce, prima di ritornare a baciarlo. Lui continuò a
giocare con la mia lingua ancora per un po’, prima di decidere che non era
abbastanza, che voleva di più, e che “di più” era il mio collo – lungo la vena
pulsante e fino al solco fra le clavicole – e il mio petto, attorno ai
capezzoli e lungo il profilo dei pettorali – giù fino al ventre – la linea
appena accennata degli addominali e l’ombelico, all’interno del quale far
scivolare la lingua come giocando ad acchiapparello con qualcosa che non c’era
e che, perciò, non avrebbe preso mai.
Sospirai rumorosamente, infilando
le mani fino ai polsi all’interno della sua camicia, lungo la spina dorsale, e
accorgendomi appena dei bottoni a clip che si aprivano col suono di piccoli
scoppi un po’ timidi, mentre saggiavo la consistenza della sua pelle sotto le
dita, e contavo le vertebre una ad una, dandogli i brividi. Lui mi strinse un
braccio attorno alla vita e con l’altro mi resse per il collo, e mi spostò,
aiutandomi a distendermi sul divano come si fa con i bambini molto piccoli
quando li si vuole rimettere nella culla.
Lo osservai, sorridendo
teneramente. Era così premuroso, così gentile…
…così bello. In maniera devastante.
Quando lo guardavo, quando lui guardava me, ogni volta che ci sfioravamo, anche
solo quando aprivamo bocca per comunicarci qualcosa, o ci bastava un’occhiata
di sfuggita per capire cosa stessimo per dire, ogni molecola del mio corpo
sembrava in procinto di esplodere e farsi vapore. Volare via.
Mi sentivo leggero, ed era perché
avevo il sangue alla testa.
La presenza di Matt mi dava il
capogiro.
E anche un tremendo batticuore.
Soprattutto quando pensavo che momenti come quello spesso riuscivano ad essere l’unico
motivo per il quale potesse valer la pena affrontare un’altra dura giornata.
Lui mi si chinò addosso,
armeggiando più facilmente con la chiusura dei miei pantaloni, mentre per
fermare i pensieri io chiudevo le labbra attorno alla sua pelle, assaggiando il
sapore del collo e godendo della sensazione dei muscoli tesi sotto la lingua.
Matt mi liberò dei jeans. Io lo liberai della camicia. Poi lui si liberò dei
propri pantaloni. E quando sentii la sua erezione premere contro la mia, fui io
a sollevare il bacino. Fui io a sollevare le gambe e chiudergliele dietro la
schiena come una tenaglia. Fui io ad aiutarlo a entrare, fui io a soffocare il
suo primo gemito di piacere fra le mie labbra, mordicchiando le sue,
distraendolo leccando lentamente la punta della sua lingua, mentre mi muovevo
piano attorno a lui, accogliendolo dentro di me e discostandomi subito dopo,
gioendo della sua fretta nello schiacciarmisi nuovamente addosso, irrequieto,
impaziente, affondando con foga, veloce, ansioso.
Fuori controllo.
Quanto me, che mi spingevo contro
di lui, che mi aggrappavo alle sue spalle, affondando le unghie e i denti nella
sua pelle come volessi lasciargli addosso il segno indelebile della mia
presenza, che continuavo a stringerlo, a stringerlo, quasi soffocandolo, e che
mi soffocavo a mia volta, poggiando il viso sul suo petto, le narici sulla sua
pelle, la bocca contro le sue mani.
Quella notte lui venne dentro di
me, ed io ne fui estasiato. Al punto che neanche mi accorsi che il mio orgasmo
era arrivato nello stesso momento. Quando aprii gli occhi, intontito dal
piacere e dai residui di sonno e stanchezza che non riuscivo comunque a mandar
via e che si mescolavano confusamente con l’odore un po’ ipnotico del suo
profumo, lo trovai che mi fissava, gli occhi spalancati e luminosi di gioia.
Realizzai che avevamo avuto un
orgasmo simultaneo, e questo mi spaventò.
Realizzai che la cosa l’aveva
reso l’uomo più felice del mondo, e questo fece felice anche me.
Ridacchiai sbuffando,
sistemandomi meglio sotto di lui perché potessimo entrambi distenderci sul
divano, cercando di incastrarci per non cadere.
Se avesse detto anche solo una
parola, avrebbe rovinato tutto. Se avesse detto “ti rendi conto…?”, sarebbe
stata la fine. Se avesse espresso la propria soddisfazione con qualsiasi gesto
che non fosse un abbraccio spontaneo e sentito, caldo, e stretto, e lievemente
sudato, non ci saremmo più rivisti.
Ma non disse niente. Mi baciò
lievemente su una guancia, lasciando una traccia impercettibile di saliva che
non volli spazzar via con la mano, e chiuse gli occhi, stringendomi forte e
addormentandosi in pochi minuti.
Non avevo affatto bisogno di una
coperta. Aveva dannatamente ragione.
***
Ho fame.
So che è tardi, ma non ho la
minima idea di che ore siano. So che sono andato a letto presto, perché domani
abbiamo un’infinità di cose da fare e comunque ho già sentito Matt nel
pomeriggio. So che ho mangiato praticamente solo un sandwich, oltre alle donuts
che Steve mi ha portato stamattina.
So che ho proprio fame, sì.
Mi alzò lentamente, con
circospezione, cercando di non svegliare nessuno. Stef russa nella cuccetta
alla mia destra, mentre Steve dorme a pancia sotto, con la faccia affondata nel
cuscino, alla mia sinistra.
Scivolo silenziosamente fuori della
zona notte, zompettando in punta di piedi fino al cucinino in fondo al tour
bus.
Arrivare di fronte al mini-frigo
e spalancarlo sono praticamente un’unica cosa.
Scruto ansioso all’interno, fra i
ripiani. Non che ci sia molto. Mi andrebbe della frutta fresca, ma valla a
trovare in questa desertica confederazione di desertici stati. Dovremmo andare
più vicino alle città. Dovremmo fermarci vicino alle fattorie. Dovrei parlarne
con Alex.
Frattanto, davanti a me ci sono
solo le orride merendine di Steve, quelle cose oscene ripiene di caramello e
noccioline delle quali si rimpinza quando non ha tempo di mangiare altro e sa
che sputerà l’anima sulla batteria per tre quarti d’ora durante l’esibizione.
Ai fan dei Linkin Park non piace la musica melensa, vogliono sentire rock. È
per questo che stiamo facendo qualche canzone anche dal primo album. Questa
cosa stressa enormemente il mio batterista.
…sì, è del tutto giustificato,
quando si riempie di questa roba.
Io non lo sono altrettanto, ma mi
riempio lo stesso, fissando il deserto buio e silenzioso oltre il finestrino.
Mentre penso che in Inghilterra
dovrebbe essere più o meno mezzogiorno, sto già afferrando il cellulare che ho
abbandonato sul tavolo prima di andare a dormire, e sto già componendo a
memoria il numero di Matt.
Lui risponde subito. Risponde
sempre al primo squillo, è come se fosse sempre impaziente di risentirmi.
- Brian! – mi chiama felice, ma
modula subito il proprio tono su una nota di rimprovero che stona da morire
sulla sua voce, e che io non posso che trovare irrimediabilmente tenera. -
Dovresti essere a letto! – dice, apprensivo, - Non voglio neanche immaginare
che ore siano, lì da te.
Ridacchio un po’, a bassa voce.
- È tardi, in effetti. – ammetto,
- Ma avevo voglia di sentirti.
Matt resta in silenzio per
qualche secondo. Poi sento il rumore di fondo attorno a lui farsi sempre più
debole, fino a sparire, e capisco che s’è appartato in qualche angolo per
ascoltarmi più attentamente.
- Stai bene? – chiede in un
soffio, preoccupato.
- Mmmh. Mi sento in colpa. –
confesso a mezza voce, osservando il mucchietto di carta stagnola
appallottolato in un angolo sul tavolo. – Ho divorato metà della scorta di
merendine da adolescenti di Steve.
- …a quest’ora della notte,
Brian? – si informa.
Posso sentire nella sua voce che
se potesse piombare qui accanto a me con un salto lo farebbe.
- Avevo fame. – mi giustifico,
stringendomi nelle spalle, - Ma sono uno stronzo lo stesso. Steve mi odierà.
- Non ti odierà… - mi rassicura
ridendo, - Con te, se si arriva a superare una certa soglia, l’odio diventa un
sentimento impossibile.
Steve e Stef l’hanno già passata
da un pezzo, quella soglia, sai, Matt?
E tu?
- Farebbe bene ad odiarmi. –
sbuffo contrariato, afferrando la pallotta di carta e cercando di far canestro
nel cestino fissato alla parete oltre il corridoietto che attraversa il bus, -
Stamattina mi ha portato le ciambelle. Appena fatte! – mugolo, mancando il
bersaglio e protestando con una smorfia contro la sfiga, - Gli ho anche detto
che lo amavo, sai? – lo aggiorno, mentre lui ride divertito, - E nottetempo
vado a rubargli la merenda! Sono un essere umano veramente pessimo, non trovi?
- Non trovo. – risponde lui senza
neanche prendersi un secondo per riflettere, - Trovo che tu sia adorabile. E se
fossi lì con te, ti soffocherei di baci.
Ed io sarei felice di farmi
soffocare.
Dio, in questi momenti mi manca
come la terra sotto i piedi. Non riesco a reggermi dritto. Non riesco neanche a
pensare, mi sento gonfio, ripieno di sentimenti e sensazioni di ogni tipo,
sento la mia testa farsi rotonda ed enorme come un palloncino e temo potrebbe
scoppiare da un momento all’altro.
- Un giorno lo faccio. – riprende
lui, e io torno immediatamente a concentrarmi sulla sua voce, - Prendo il primo
aereo e ti raggiungo. Tanto so sempre esattamente dove sei.
Rido divertito, perché so che
magari non lo farebbe sul serio ma trovo estremamente carino che me lo dica.
Anche perché so pure che se me lo sta dicendo è perché ci crede.
- Dove sono adesso? – lo sfido,
ricordando che appena qualche giorno prima mi sono rifiutato di chiederlo per
paura che lo dicesse sul serio.
- Toronto. – risponde lui,
deciso, - Nell’Ontario. – e non fa affatto paura come pensavo. – È bello il
Canada?
- L’avessi visto! – ironizzo,
alzando gli occhi al cielo, - Ho appena il tempo di dare una rapida occhiata a
qualche bar. Questo tour è una follia, ci muoviamo dappertutto in America del
Nord. E non solo da nord a sud, pure da est a ovest! – sbotto contrariato, -
Siamo come trottole impazzite, e Chester Bennington è un pazzo!
- Chester Bennington è solo il
frontman dei Linkin Park. – corregge lui con un’altra risatina divertita, di
quelle lievi che fa coprendo la bocca con una mano perché si vergogna di
quell’adorabile incisivo storto, - Non credo abbia deciso lui date e location
del tour.
- Ti stupirebbe scoprire quanto
quel ragazzo riesce a tenere le redini della situazione, qui. Ora s’è messo in
testa di fare uscire un book sul tour con foto e informazioni sulle band
partecipanti… e rompe le palle agli sponsor perché si convincano ad utilizzare solo
carta riciclata.
- Decisamente la frequentazione
con Bono Vox l’ha segnato nel profondo… - lo prende in giro lui, con la
consueta lieve crudeltà che si riserva sempre per gli assenti incapaci di
difendersi.
- Oh, andiamo. – decido quindi di
difenderlo io, visto che il ragazzo non è poi così male, - È una buona causa,
in fondo.
- Già. – concorda Matt, annuendo.
– Convinciamolo a una campagna per la promozione delle settimane di pausa fra
una data del tour e l’altra. – butta lì, quasi casualmente, - Ho così tanta
voglia di vederti che non mi stupirei davvero se nel bel mezzo della notte, in
preda a un attacco di sonnambulismo, prenotassi un biglietto e ti facessi una
sorpresa, spuntando quando meno te l’aspetti.
Rido, cercando di trattenermi per
non fare troppo rumore.
- Ormai me l’hai detto, non
sarebbe più una sorpresa.
Anche se questo non cambierebbe
di una virgola il tono della mia risata, nel momento in cui ti vedessi sul
serio.
- Mi sa che hai ragione. –
concorda lui, dubbioso, - E adesso torna a nanna. Sei sazio, no?
Non si riferisce alle merendine.
Riguardo ciò di cui sta parlando
sul serio, sì, sono sazio.
È incredibile come riesca sempre
a dire la quantità esatta di parole
che ho bisogno di sentire.
- Buonanotte. – dico dolcemente,
mentre faccio scivolare un dito sul tasto per l’interruzione di chiamata,
ignorando volutamente che per lui è solo la metà della giornata, perché
preferisco parlargli come fosse qui, come stessimo facendo le stesse cose, come
stessimo vivendo la stessa vita.
- Buonanotte. – risponde lui, la
stessa nota dolce nella voce.
Un breve clic. Il tuu tuu
rimbombante nelle orecchie.
Mi sollevo dalla panca,
abbandonando il cellulare sul tavolo.
Tornando verso la mia cuccetta,
mi chino a raccogliere la palla di carta scivolata per terra accanto al cestino
e me ne sbarazzo, nascondendola sotto il cartone delle ciambelle ancora in
cima.
Se sono fortunato, Steve se ne
accorgerà solo dopo aver finito la prima bottiglia di birra, domani pomeriggio.
Nota di fine capitolo della Nai:
Periodo del cavolo!
Ma siccome non c’entra eviterò di tediarvi ^^
Invece do a tutti una buona notizia *_* (e se ci tenevi a farlo tu,
Liz, ahah! Ti ho fregata!!!...o.k. la pianto).
“Trapped”, almeno per quel che mi riguarda direttamente, è terminata **
Ora non resta che pubblicarla e poi pensare a lavorare al seguito *ç*
Ma del seguito vi parlerà la
Liz o io in una vita futura ù_ù
…oggi sono palesemente fuori.
A parte questo, notazione utile: il Project Revolution non è mai
passato per il Canada, ma ci stava talmente bene come cosa che ce ne siamo
fregate amabilmente ^^ Perdonateci, o Voi fan della precisione.
Un bacio a tutti.
Un grazie a Liz.
Un grazie a tutti i nostri lettori ç_ç Vi lovvo!!!
Nota della liz che non si accontenta di appestare già la fic ma vuole
anche rompere le palle sul finale:
E’ vero, è un periodo del cavolo -___- Niente drammi esistenziali
particolari, ma essere priva di internet già mi ammazza, soprattutto perché
scrivo come una cretina e non tollero di non poter pubblicare >_< Poi la
gente si convince che sono morta, non è bello >.<
Anyway anyway *O* E’ bellissimo che Trapped sia finalmente finita <3
(disse la donna che doveva ancora leggere il finale e scrivere l’epilogo -.-“)
E poi vedrete quando cominceremo a lavorare al seguito… oh, lo amerete <3 Io
lo amo già – e non è ancora scritto! *_*
Comunque adesso che è finita la pubblicheremo più regolarmente… si
spera. Probabilmente no, le nostre vite sono casini ambulanti è____é Però ci
amiamo, questo è bello <3
Grazie a tutte, vi amo :***** |
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Capitolo 5 *** Five. ***
Nuova pagina 1
L’Easily Forgotten Love
ringrazia tutti i lettori / lettrici, ed in particolare: Stregatta, Isult e
Memuzz per aver anche trovato il tempo per lasciare un commentino. Siete
adorabili, bimbe! ^^
…they have
trapped me in a bottle…
Five:
Siamo arrivati stamattina
presto. Non so che ora sia in Inghilterra di preciso, ma visto che noi stavamo
per metterci a tavola – anche abbastanza di fretta, se vogliamo sperare di
finire per tempo il soundcheck – penso sia molto tardi. Steve e Stefan mi hanno
fatto notare che, per sopravvivere, ogni tanto dovrei mangiare in modo
decente. Io ho annuito frettolosamente, mi sono scusato con tutti mentre mi
alzavo e sono corso fuori con il telefono già in mano.
-Matt?- lo chiamo, aprendo la
comunicazione e cercando con gli occhi un punto della hall che sia abbastanza
riservato.
Lui mi risponde.
-Ciao, Bri.
…senza il solito entusiasmo.
È successo qualcosa. Ma questo
lo immaginavo già, perché lui non mi chiama mai a quest’ora, soprattutto quando
sa che ho una giornata catastroficamente piena di impegni davanti.
La hall è un disastro e fuori
c’è una specie di assembramento di fan in attesa. Sbuffo una mezza protesta e
punto alla porta finestra che dà sul giardino interno.
-Che succede?- m’informo mentre
spingo le porte a vetri.
Lui non parla subito. So che sta
pensando che non avrebbe dovuto chiamare.
Vedo un punto sufficientemente
appartato dietro un’uscita di servizio e mi seggo lì, su un paio di gradini
impolverati nascosti da una siepe.
-Matthew! Andiamo!- lo esorto
preoccupato.
-Tutto o.k., Bri.- mente lui
sbrigativamente.- Solo che Tom mi ha fatto una tirata d’orecchie e Dom e Chris
gli sono andati dietro…
-Perché?- gli chiedo quando la
sua voce comincia a sfumare in un sussurro.
-Ho pasticciato un po’ di cose
oggi.- ammette con difficoltà.- Stavamo vedendo se riuscivamo a buttare giù
qualcosa di nuovo, ma io non ci stavo troppo con la testa ed ho fatto casino.
Sospiro. Traduco: “non ci stavo
troppo con la testa, perché la mia testa è lì da qualche parte degli Stati
Uniti, con te”.
Vorrei rimproverarlo anch’io e
dirgli che Tom ha ragione e che il lavoro è lavoro e lui dovrebbe smetterla di
perdere tempo appresso al resto e concentrarsi. Ma “il resto” siamo noi ed io
non ho davvero voglia che lui smetta di perdere tempo per me. Anche
quando non posso averlo davvero se non al telefono, se non a distanza di
migliaia e migliaia di chilometri.
-Brian.- mi sento chiamare dopo
un po’. Mi concentro su quel tono incerto ed esitante e so già che sta per
chiedermi qualcosa. Intuisco i suoi bisogni e so che farei di tutto per
assecondarli.- Parla ancora.- mi chiede lui.
-Oggi siamo in albergo.-
comincio piano, senza nessuna ragione se non esaudire la sua richiesta.
Ridacchio un po’, giusto per sciogliere la tensione stupida che si è creata.-
Non immagini nemmeno che voglia avevo di dormire in un letto vero!-
Quando lui mi viene dietro ridacchiando come me, so che il primo passo è stato
fatto. Anche se è solo una risatina debole è già un primo passo. Mi sento
soddisfatto.- Steve però ha cominciato a lamentarsi. Sostiene che ormai si è
talmente abituato al rollio del bus che è convinto di non poter dormire senza!
Lo culla!
***
Ne abbiamo parlato una volta.
Matt dice che la mia voce lo rilassa.
Ne ho sentite dire di tutti i
colori sulla mia voce. La maggior parte dei commenti sono qualificabili come
“affatto lusinghieri”, ma quando è venuto fuori il discorso con lui, mi ha detto
solo questo.
“La tua voce mi rilassa”. E poi,
“Canta per me”.
Sembra assurdo ma non mi era mai
successo prima. Nessuno mi aveva mai chiesto di cantare e nessuno lo aveva mai
fatto chiedendomelo a quel modo, senza sottintesi e senza doppi sensi. Era una
cosa così nuova da lasciarmi senza parole a fissarlo sorpreso.
Ero a casa sua da un’ora almeno.
Quando ero arrivato mi aveva accolto in tuta, ed era sciatto, concentrato e
completamente assente al resto dell’Universo. Stava lavorando, come avevo capito
quando ero entrato in salotto ed avevo trovato il piano aperto e disseminato di
fogli scarabocchiati. Non ci scrive quello che suona, Matt non scrive mai quello
che compone, lui riempie fogli e fogli di disegni e parole in libertà. Lo fa
mentre aspetta l’ispirazione del momento, perché è come se la sua mente e la sua
mano non potessero stare semplicemente ferme ad aspettare ma avessero comunque
necessità fisica di esprimersi.
Ed è disordinato. Perfino più di
me. Io sono disordinato come una persona pigra, che alterna periodi di lavoro
frenetico e serrato a periodi di rilassamento completo, in cui non voglio
nemmeno dovermi occupare di sopravvivermi.
Lui invece è disordinato come
tutte le persone creative. La sua è una mancanza di tempo vitale da
dedicare a tutto quello che la mente elabora. Fa una cosa e già sta pensando a
quella successiva, è distratto e pasticcione; può dimenticarsi di bere, mangiare
e dormire per giorni, per seguire l’idea del momento, e poi crollare
all’improvviso dopo averla realizzata, troppo esausto anche per godersi il
risultato del proprio lavoro. Non lo fa solo con la musica, lo fa con qualsiasi
cosa gli salti per testa; e quelli che gli stanno intorno, se davvero vogliono
continuare a farlo, devono essere pronti a corrergli dietro con tutte le proprie
forze. O lo perderanno inevitabilmente.
Stare con Matthew decisamente
non è una cosa facile.
Quel pomeriggio, comunque, c’era
qualcosa che non andava e lui era teso e nervoso.
Non sono bravo come Stefan nel
capire e risolvere i problemi altrui. Non sono bravo neanche con i miei. Parto
dal presupposto, forse sbagliato, che se qualcuno ha bisogno di aiuto me lo
chiederà.
Così per un’ora mi limitai a
parlare senza interruzione di cose inutili, senza chiedere nulla nonostante
continuassi a percepire quella tensione. E lui mi assecondò anche, venendomi
dietro nelle chiacchiere senza senso che sciorinavo e ridendo con me per le
battute idiote che ci scambiavamo. Mi convinsi che era solo una mia percezione
sbagliata e mi rilassai contro lo schienale del divano mentre Matthew mi
raccontava un episodio ridicolo capitato a Tom durante l’ultima esibizione. Io
girai intorno lo sguardo e realizzai la confusione che regnava nel salotto.
-Dovresti mettere in ordine.- lo
rimproverai quietamente, interrompendo il racconto ormai approdato alla fase dei
commenti stupidi che seguono sempre la narrazione dell’evento in sé.- Pensa se
venisse qualcuno dei servizi sociali, riusciresti a farti togliere la patria
potestà su te stesso, se si potesse!
Lo sentii ridere sommessamente e
mi voltai per incrociare i suoi occhi limpidi. Mi sorrise senza gioia.
-Suoneresti per me?- mi chiese.
Ed io mi sentii come se mi
avesse domandato la luna, fiducioso che io sarei riuscito a catturarla per lui.
***
Credo sia ormai chiaro che ho di
Matthew e delle sue capacità una stima indiscussa. Io non lo apprezzo
semplicemente, io sono ferocemente invidioso di ciò che lui è e di ciò
che io non potrò mai avere.
Il mio amore per lui, però, mi
ha portato con il tempo a mutare quel sentimento di gelosia iniziale che provavo
in qualcosa di molto più simile ad un’adorazione cieca e fedele.
Credetemi quando vi dico che non
mi capita con molte persone.
Fatto sta che ogni singola volta
che Matthew si siede al piano ed io sono nei paraggi, mi accosto al divano o
alla poltrona più vicini e mi seggo lì ad ascoltarlo, socchiudendo gli occhi
mentre poso la testa sullo schienale per guardarlo suonare, oltre che
sentirlo. Per me è una cosa semplicemente meravigliosa.
Immagino sembri logico a
chiunque dovesse accadere che, prima o poi, Matt mi chiedesse di essere io a
suonare per lui. Immagino sia logico che succedesse. Ma a me in quel
momento non sembrò affatto così scontato. Anzi. Mi sembrò assurdo e lo fissai
come se non avessi nemmeno capito di cosa stessimo parlando.
-…cosa…- m’interruppi quando mi
accorsi che la mia voce si rifiutava di articolare domanda. Me la schiarii, nel
tentativo di concludere comunque, anche se con un tono ugualmente incerto e
perplesso- Cosa dovrei suonare?- chiesi abbastanza stupidamente.
Matt ricambiò la mia
perplessità, si voltò ad individuare la forma del pianoforte alle proprie
spalle, poi tornò a guardare me e si strinse nelle spalle, un gomito posato
sopra la spalliera e la fronte appoggiata al palmo della mano.
-Non ti ho mai sentito suonare
il piano.- mi disse.
-Non lo faccio spesso.- assentii
io in modo meccanico.
Mi sorpresi da solo rendendomi
conto che mi stavo già sollevando dal mio posto, sfilando la giacca e
lasciandola lì. Repressi l’istinto di rimettermi seduto e girai intorno al
salottino, raggiungendo il pianoforte.
Matt mi venne dietro in
silenzio. Sentii che si alzava anche lui per raggiungere una poltrona più vicina
a me, mi ostinai a non guardarlo e posai le dita sui tasti del piano. Sotto i
polpastrelli avvertii il calore che avevano lasciato le mani di Matt
sull’avorio, la mia testa fluttuò brevemente ed io capii che non ero davvero in
grado di suonare alcunché. Lasciai ricadere i palmi sulla tastiera ed un suono
sgradevole ed improvviso riempì l’aria.
Matt mi guardava senza battere
ciglio quando mi voltai a fissarlo smarrito. Si era sistemato sulla poltrona
nella stessa posizione che aveva poco prima e mi scrutava in attesa, silenzioso
e fiducioso.
-Cosa vuoi che suoni, Matt?-
ribadii. E sembrò a me per primo un’esclamazione con la quale manifestassi
l’assurdità palese della sua richiesta.
Lui mi sorrise ancora e me lo
disse.
-La tua voce mi rilassa.-
confessò piano.- Canta per me.- mi chiese, quindi. E spiegò- Qualsiasi cosa
andrà bene, ma suona e canta per me. Ti prego.
Fu allora che mi resi conto per
la prima volta che sarei davvero salito a prendergli la luna se me l’avesse
chiesta.
L’ammirazione che Matt mi
mostrava non riusciva in alcun modo a lusingare il mio orgoglio, con lui non
riuscivo a sentirmi soddisfatto, tronfio e pieno di me. La sua venerazione
valeva a gettarmi in uno stato di bisogno costante, che si traduceva nella
necessità di assecondare i suoi desideri, le sue richieste, in modo da non
deluderlo mai. E se lui voleva che io suonassi e cantassi per lui, io lo avrei
fatto.
Non sapevo sul serio cosa
suonare, peraltro, e lasciai che fossero le mie mani a ripescare nei ricordi che
la mia mente vuota ricacciava indietro. Scivolarono da sole sull’avorio,
ricordando e ripetendo i gesti che avevano imparato da bambine.
Matt si sistemò meglio sulla
poltrona, la pelle scricchiolò un po’ ma lui cercò di fare meno rumore
possibile. Sorrisi.
I tasti avevano irregolarità
impercettibili, che mi solleticavano, formate dall’uso e dallo scorrere del
tempo. Erano state le dita di Matt a tracciarle, ripercorrerle era come
ripercorrere una mappa ideale della sua anima, che scorreva sui tasti quando
componeva. Mi adagiai in quella sensazione e le mie mani mi seguirono
adattandosi alla forma di quelle imperfezioni, così come fin troppo facilmente
si erano adattate alla forma del corpo di Matt che scorreva allo stesso modo
sotto i polpastrelli.
Matt accanto a me ridacchiò
soddisfatto. Mi voltai a scoccargli un’occhiata rapida da sopra la spalla e lo
vidi che mi fissava ancora.
-Cosa?- gli chiesi divertito,
tornando a concentrarmi sul piano.
-Suoni divinamente.- mi disse
lui.- Non capisco davvero questo tuo rifiuto del pianoforte.
-Solo pratica.- sminuii.- Ho
cominciato da piccolo e studiato tanto.
-Beh,- borbottò lui.- sei
dannatamente bravo lo stesso.
Risi. Non sapevo ancora cosa
volesse che gli cantassi, così mi voltai di nuovo per chiederglielo, ma mi
zittii da solo. Matt non mi guardava più. Il suo profilo era fisso su un punto
vuoto del muro davanti a sé, lo sguardo concentrato su qualcosa che non era lì.
Allora tornai a guardare i
tasti, la processione di bianco e nero che scivolava via da sotto le mani come
un torrente, un getto d’acqua che con facilità scorresse tra le mie dita. Pensai
a qualcosa che potesse rasserenarlo e mi ricordai – stupidamente e senza nessun
legame apparente – che era stata mia madre ad insegnarmi a suonare il piano.
Quando ero davvero piccolo. Un bambino che fuggiva un padre ingombrante,
correndo a nascondersi sotto le gonne delle donne e preferendo restare lì,
all’ombra della madre, piuttosto che accettare di dover affrontare quei timori
irrazionali.
Allora lei mi prendeva e mi
sedeva accanto a sé sullo sgabellino davanti al pianoforte. Mi sorrideva e si
voltava verso i tasti, posava le mani lassù – come me in quel momento – e
le lasciava correre via piano…
Quando cominciai a cantare lo
feci nei miei ricordi, seguendo la linea immaginaria che tracciavano le parole
di mia madre. Una ninna nanna da bambini.
***
Matthew respira al mio orecchio.
Dall’altra parte del mondo. E sembra strano che io possa sentirlo comunque.
Parlo. So che non sta ascoltando
più il senso di quello che dico già da un po’. Non importa. Continuo a parlare
solo per sentirlo respirare ancora. Poi mi fermo e prendo fiato.
-Matt.- Aspetto che lui si
scuota, riconosca il proprio nome ed accetti di rispondermi con un assenso breve
che si perde tra i disturbi nella linea.- La settimana scorsa siamo stati in una
specie di locale jazz.- gli racconto.- C’era una tizia che cantava una canzone
bellissima.
-Davvero?- lo sento trattenere
il respiro per un istante.- La sapresti cantare anche tu?- mi chiede esitante.
Sorrido. È solo una piccola
bugia che gli propino, non c’era nessuna tizia e nessun locale jazz, ma non
importa.
Lo sappiamo entrambi, tanto.
-Vediamo cosa mi ricordo.- dico.
***
Mia madre ha cantato per me
finché non ho fatto dieci anni. La sera del mio compleanno è venuta a darmi la
buonanotte come tutte le altre sere, mi ha rimboccato le coperte e baciato la
fronte e poi mi ha detto “sei grande, Brian. Ora devi imparare ad addormentarti
da solo”. C’era mio padre fuori dalla porta, l’ho visto attraverso il battente
dischiuso, lei è uscita, e con lei se n’è andato anche lo spiraglio di luce
sottile che arrivava dal corridoio.
I passi di mio padre sono
l’ultimo suono che ricordo.
Eppure quel pomeriggio le parole
della ninna nanna di mia madre mi ritornavano alla memoria con una facilità
disarmante. Avrei voluto interrogarmi sul perché le avessi scolpite così a fondo
nella mente. Anche se sentivo distintamente la mia voce sussurrarle
appena al di sopra delle note del piano, per me era come se fosse lei a
cantarle. Come se fosse seduta accanto a me, vicino al mio letto, e stesse
facendo scivolare quelle parole insieme con la sua mano sulla mia fronte. La
vedevo come fosse stata davvero lì, come se ci fosse stata la stessa luce
soffusa che c’era in quelle notti un po’ troppo fredde e silenziose, come se ci
fosse stato lo stesso ticchettio della pioggia sui vetri o il rumore soffice
della neve che si ammonticchiava sul davanzale. Avrei voluto che fosse così, ma
era solo la mia voce…invece…
Lasciai che si spegnesse insieme
con il ricordo. Tirai via le mani dal pianoforte e le feci ricadere lungo i
fianchi, fissando intontito i tasti. Mi voltai piano. Cercai nuovamente il
profilo di Matthew, solo per accorgermi che era sprofondato tra i cuscini e la
poltrona, chiudendo gli occhi, il respiro regolare che gli solleva il petto.
-…vorrei poterti dire che ho
voglia di piangere.- sussurrai.
Quando lo vidi scostarsi, come
se volesse svegliarsi, mi zittii.
Mi alzai lentamente e cominciai
a raccogliere i fogli sparsi in giro ed a fare un po’ di ordine.
***
Quando torno indietro, gli altri
hanno finito di pranzare. Evito gli ascensori e scelgo le scale, nella speranza
illusoria di evitare anche Steve, Stefan ed Alex e le inevitabili sequele di
rimproveri che seguiranno.
Ho chiuso meno di un momento fa,
ho sussurrato “buonanotte” ad un Matt che sapevo già profondamente addormentato.
Ho sorriso, immaginandomelo arrotolato tra le coperte con il cellulare
abbandonato accanto a sé, ancora aperto. Domattina mi chiamerà e si scuserà per
ore, dimenticandosi che sarò io, allora, ad essere ad un fuso orario tale da
avere bisogno di dormire.
Non è che io non sappia che
hanno ragione i miei amici, nel dire che dovrei rimproverarlo…o almeno provarci,
a fargli intendere che dovremmo avere entrambi una vita più regolare. Sono
abbastanza adulto da rendermi perfettamente conto di starmi comportando come un
ragazzino.
Ma il punto è che ho bisogno
di comportarmi come un ragazzino. Ho bisogno che Matt mi faccia sentire
incredibilmente stupido ed in colpa perché ho saltato il pranzo per stare al
telefono con lui, che ha fatto troppo tardi e domattina sarà troppo stanco e non
riuscirà a combinare niente di buono al lavoro. Ho bisogno di questo ridicolo
modo di comportarsi di entrambi e di sapere che dipende solo dal fatto che
nessuno di noi due può davvero resistere senza l’altro.
Metto piede nel corridoio e vedo
Steve che mi aspetta a due passi dalla porta della mia camera. Guarda verso di
me e mi scorge subito. Una mano appoggiata al muro e l’altra sul fianco. Sospiro
ed avanzo per riconoscere il suo sorriso un po’ tirato, di chi tollera ma
decisamente sa che è arrivato il momento di dirmene quattro.
-Brian.- esordisce infatti.
-Sì, sì, avete ragione!- sospiro
io alzando gli occhi al soffitto.
-Me ne infischio di avere
ragione!- ribatte lui senza farsi prendere in contropiede.- Senti, non è che io
abbia qualcosa contro te e Matthew…- comincia accondiscendente- Anzi! Sai che
quel ragazzo mi piace molto. Ma non puoi continuare a non mangiare e non dormire
per attaccarti a quel dannato telefono.- arriva inesorabile.
Mi fermo davanti a lui e
ricambio il suo sguardo. Sbuffo. Come un ragazzino, appunto.
Sono seriamente ridicolo!
-O.k., lo so.- ammetto tentando
di suonare convincente a me per primo. Sono sincero, Steve, ti prego…cerca di
capirmi.
Lui mi capisce, infatti. Si tira
su e stacca la mano dalla parete, grattandosi distrattamente la fronte.
-Stefan è incazzato nero.- ci
tiene ad informarmi.- E sono cavoli tuoi, Brian, io non voglio nemmeno saperlo
che vi dite!- mi minaccia subito dopo, agitandomi un dito davanti al naso.
È stato carino ad avvertirmi.
Sorrido.
-Tranquillo, vedrai che non mi
ammazza nemmeno stavolta.- ritorco stringendomi nelle spalle.
Accenna alla porta alle proprie
spalle per farmi capire che sono congedato, almeno per quel che lo riguarda:
vuole fidarsi ancora una volta della mia capacità di giudizio.
È un illuso. Dopo dieci anni
dovrebbe saperlo che “la mia capacità di giudizio” è una realtà inconsistente.
Mi premuro di non
confermarglielo e lo supero, posando la mano sulla maniglia con un saluto
distratto e passando la tessera magnetica nella serratura, che scatta docile.
Quando entro mi ritrovo la
tavola apparecchiata proprio davanti al naso.
Rimango sorpreso a fissare dalla
soglia i piatti ancora coperti dallo scaldavivande, lascio andare il battente e
quello mi si richiude alle spalle permettendomi di avanzare dal salottino alla
soglia della camera da letto, dischiusa. Da dentro arrivano le parole sussurrate
di qualcuno, cammino in quella direzione continuando ad osservare perplesso il
tavolo imbandito e poi spingo anche quella porta ed entro.
Stefan è di spalle, sta tirando
fuori dei vestiti dall’armadio e li sta sistemando sul letto. Sono vestiti miei,
ovviamente. Parla al telefono con qualcuno, dal tono immagino che sia Vincent.
Amo sentirlo parlare al telefono con Vincent, è sempre così deliziosamente dolce
e serio…Solo che non ho tempo di mettermi ad origliare la loro conversazione,
lui ha finito di scegliermi gli abiti e si volta, incontrando il mio sguardo.
-Ora devo andare.- annuncia al
proprio interlocutore.- Ci sentiamo dopo, Vin.
Chiude. Incrocia le braccia sul
petto. E mi guarda.
Tossicchio, decisamente
imbarazzato, e mi metto un po’ più dritto prendendo risolutamente la decisione
di parlare. Faccio appena a tempo ad aprire la bocca, Stefan mi precede.
-Hai venti minuti, Brian, poi
devi essere seduto in macchina. Sai che vuol dire?- mi chiede incolore.
Rimango sufficientemente
spiazzato da chiedermelo davvero cosa voglia dire. Ovviamente lui me lo
fa intendere abbastanza in fretta, infila il cellulare nella tasca posteriore
dei jeans, avanza verso di me – due passi e praticamente me lo ritrovo addosso.
Perché è così maledettamente alto?! – mi afferra per un braccio come si
fa con i bambini piccoli e stupidi e mi porta davanti al tavolo,
sedendomi lì, proprio di fronte ad un piatto.
-Tra un quarto d’ora voglio
vedere tutto finito, Brian.- ordina perentorio.- Poi ti vesti e scendi a razzo
qua sotto.- continua implacabile.
-Stef…- provo ad interloquire.
-No, Brian, non ti ho detto che
hai diritto di ribattere.- mi fa notare lui pacatamente.- Se per caso trovo che
hai lasciato…un fagiolino!- sottolinea mentre scoperchia il piatto e mi
mette in mano una forchetta- giuro che ti strangolo con le mie mani, Brian. Poi
aspetto che rinasci e vengo ad ucciderti di nuovo.
-…non sei buddista.- faccio
notare, giusto per dirgli che quella della reincarnazione è una prospettiva
improbabile.
A lui ovviamente non interessa.
-E siccome voglio essere sicuro
che stavolta tu finisca questo dannatissimo pranzo,- continua senza nemmeno
prendermi in considerazione.- questo è sequestrato fino a stasera dopo il
concerto.
-Ehi!- strillo quando mi tira
via il telefonino dalla tasca dei pantaloni. Lo mette al sicuro decisamente
troppo in fretta perché io possa sperare di riprendermelo, così mi tocca
osservare quell’infernale oggettino elettronico sparire nel taschino della sua
camicia.- Non è giusto!- borbotto infilzando i fagiolini.
-Se sei un idiota di tredici
anni non è colpa mia.- ritorce lui senza pietà. Si avvia alla porta e la apre-
Brian, sono qui tra un quarto d’ora, sei avvisato.- ribadisce prima di uscire.
Sbuffo di nuovo, fissando l’olio
colare lungo la forchetta mentre la porta si richiude alle spalle di Stefan.
Nota di fine capitolo della
liz felice <3
Ciao a tutte le mie puccine
<3 Intanto vorrei scusarmi molto per il ritardo nell’aggiornamento >_< Adesso
che ho finalmente scritto pure l’epilogo e l’inizio di un omake che spero mi
farà perdonare una certa quasi immotivata aggiunta di nomi all’elenco personaggi
XD non abbiamo realmente più scusanti agli enormi ritardi che continuano a
funestare la povera Trapped >.< Solo che uno si dice sempre “durante queste
vacanze mi metto tranquillo e faccio tutto quello che di solito non riesco a
fare perché ho altri impegni”. Ovviamente poi finisce che durante le vacanze ti
ritrovi più impegnato del solito e non riesci comunque a concludere niente -.-
Io avevo tanti di quei programmi, ma poi per una cosa o per l’altra fra tre
giorni si ritorna alle normali attività e, di quello che volevo fare, ho fatto
pochissimo (se non niente!). Ma insomma, queste lamentele non riguardano voi che
siete l’amore <3 e non siete neanche costrette a subirle XD Perciò vi ringrazio
e vi saluto <3 A presto :*
PS: Ah, se vi state chiedendo come mai questo capitolo sia così bello, la risposta è presto detta è_é L’ha scritto tutto Nai <3
Nota di fine capitolo della
Nai:
Eccooooooooomi!!! ^_^
In ritardo come sempre (tutta
colpa mia, la Liz non c’entra ç_ç), ma alla fine ci si riesce comunque.
…peccato che non sappia bene
cosa dirvi! °_°
Salvo che vi amo tutte dal
profondo del mio cuoricino contorto di emogirl mancata e decisamente stagionata
ç*ç
Grazie.
E grazie, Lizziechan
ç_____________ç
|
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Capitolo 6 *** Six. ***
Imperdonabile, la Nai
s’era dimenticata i ringraziamenti iniziali! *disse la liz alle quattro e dieci del mattino,
preparandosi a dare una
scorsa al nuovo capitolo di Trapped, prima di postarlo* Non venitemi a
parlare
di irrazionalità, sono stata al telefono fino
all’una e mezza e ho svuotato
posta per le successive due ore!!! Il mio comportamento è
perfettamente
razionale!!! *ansima* Peraltro, fino ad ora ho letto altra
roba della
Nai. Quindi è colpa sua se sono ancora sveglia. Ecco.
…comunque. Grazie a Whity
(amiamo le new entry *-*) ed alle sempre adorate Isult, Stregatta,
Erisachan e
Memuzza <3 Vi lovviamo <3 A
dopo, per le note finali che scriverò per ultima, yay
<3
…they have trapped me in a
bottle…
Six:
Certe
volte mi sembra di vedere
accadere le cose attorno a me come in quei videogiochi in cui lo
schermo viene
diviso in due per permettere ai giocatori di avere una visione in tempo
reale
di ciò che sta avvenendo in un altro luogo.
“Vedo” le cose, anche quando non
dovrei poterle vedere perché magari si stanno avvicendando
oltre il muro, o a
chilometri di distanza da me.
È più o meno la sensazione che
sto provando adesso, mentre rovisto nello scatolone che ho trovato sul
fondo di
un sedile nel retro del tour bus e l’aria tranquilla della
vettura rimanda alle
mie orecchie la melodia di un vecchio successo estivo di qualche anno
fa e…
l’urlo bestiale di Steve che riemerge dalla propria cuccetta
e si chiede –
giustamente – cosa diavolo stia succedendo.
Posso vederlo davvero guardarsi
intorno con aria smarrita, strabuzzando gli occhi incredulo, mentre
cerca le
parole per esprimere il proprio sconvolgimento.
Sorrido a metà, mentre mi tuffo
più in profondità nello scatolone.
- Cos’è questo schifo, Stef?! –
strilla Steve. Lo “vedo” passarsi una mano fra i
capelli, dopo aver gesticolato
animatamente quando poneva la domanda.
Sento Stef ridacchiare
allegramente e rispondere che “questo schifo”
significa che io sono felice, e
che dunque lui dovrebbe portargli più rispetto.
- Lo preferivo quando era
depresso! – commenta Steve, disgustato, - E questa canzone
è… terribile! –
aggiunge, con lo stesso tono inorridito col quale un padre molto severo
rimprovererebbe il proprio figlio se gli trovasse una scatola di
preservativi
nel cassetto del comodino. – Lui dov’è?
Stef solleva un pollice verso il
fondo del bus. Lo so, perché il suo risolino divertito sta
dicendo che la
prospettiva di Steve che mi maltratta per il mio pessimo gusto musicale
lo
alletta particolarmente. Poi, sento i passi decisi e pesanti di Steve,
ancora un
po’ strascicanti di sonno, avvicinarsi a me. Affondo ancora
un po’ il viso
nello scatolone, sperando di salvarmi dalla sfuriata.
- Brian! – comincia lui, ma si
ritrova costretto al silenzio quando una vecchia maglietta dei
Metallica gli
finisce dritta sul naso, aprendosi come una rete da caccia e
avviluppandoglisi
attorno alla testa, soffocandolo.
- Questa avrà come minimo cinque
anni! – gioisco, soddisfatto del ritrovamento, -
L’ho usata per dormire per un
intero mese durante il tour… credo di non averla neanche
lavata, prima di
infilarla qua dentro!
Steve si libera della maglia con
uno sbuffo esasperato e vagamente disgustato, e me la avvolge attorno
al collo
come una sciarpa.
- Si può sapere cosa diavolo stai
facendo?! – chiede un po’ incerto, squadrandomi
dall’alto.
- C’era questo scatolo – dico,
indicando appunto lo scatolo, - sotto quel sedile. –
concludo, indicando anche
il sedile incriminato.
- Oh. – annuisce Steve,
incrociando le braccia sul petto, - Quindi stai facendo un revival. E La Macarena
è la colonna
sonora. Dio mio!
Ridacchio un po’, ficcando le
mani in fondo allo scatolone e riemergendone con un paio di bacchette
rosa fra
le dita.
- Ah…! – esalo, al colmo del
disappunto, - Le avevi lasciate qui, allora!
Steve arrossisce e cerca di
rubarmele di mano.
- Non sapevo che fossero qua! –
si giustifica blandamente, mentre allontano le bacchette da lui.
- Non ti regalerò più niente. –
sbuffo contrariato, abbandonandole poi sulla pila di oggetti che ho
già tirato
fuori e osservando Steve chinarsi per afferrarle e nasconderle
infastidito
sotto la maglietta, incastrate fra il ventre e l’elastico dei
pantaloni della
tuta che indossa.
Continuo a rovistare, nella
speranza che qualche altro cimelio storico riveli la propria presenza,
confidandomi segreti che sono semplici ricordi, che credevo estinti
– e che non
lo erano.
- Questa roba dovresti bruciarla…
- sussurra Steve, cogliendo in un colpo d’occhio una foto che
mi raffigura
ubriaco, intento a cantare qualcosa sul tetto di una macchina, prima
che io
possa affrettarmi a farla sparire sotto una sgabello ripiegabile.
- No… - dico io, con tono
lamentoso, - Perché?
Lui sorride, indicando con un
cenno del capo un’altra foto. Stavolta siamo io ed Helena,
aggrappati l’uno
all’altro sul divanetto di un locale londinese random.
Scrollo le spalle.
- Non sono cose che ricordo con
tristezza, sai? – gli faccio notare, con una punta di
fastidio, mentre anche
lui si mette a rovistare nello scatolo, interrompendo la mia ricerca.
- Sono cose che non ti
appartengono più. – spiega lui, tranquillo, - Roba
vecchia. Non aggiunge niente
a ciò che sei adesso. Che cosa sono questi calzini
pelosi…?
- Li ho comprati ad Amsterdam! –
sbotto, - Sai quanto tengono caldo la notte?
- Evidentemente non così tanto, -
dice lui, con una scrollatine di spalle, - se li hai dimenticati qui
per tutto
questo tempo.
Abbasso lo sguardo sul contenuto
dello scatolo, per poi spostarlo sulle cose che ne ho già
tirato fuori, e che
aspettano direttive per capire cosa fare di sé stesse.
In effetti, realizzo fin troppo
serenamente, ognuna di queste cose ha un motivo ben preciso per
trovarsi qui.
E anche un motivo molto valido
per rimanerci.
- Suppongo di sì. – dico
svogliatamente, lasciandomi andare seduto per terra.
Steve continua a rovistare nello
scatolone ancora per un po’. Poi sul suo volto si apre questo
sorriso enorme, e
lui riemerge dal disastro in cui ha ficcato la testa e mi guarda.
Solleva una
mano. Fra le dita tiene una foto. Sulla pellicola lucida, tre volti
sorridenti.
Lui, io e Stef, stretti insieme in un melenso abbraccio di gruppo dopo
un
concerto.
- Salviamo questa e buttiamo
tutto il resto! – suggerisce felice, - Ok?
Sospiro, poggiando i gomiti sulle
ginocchia e piegandomi lievemente in avanti. Sorrido anche io.
- Ci penserò.
*
Mi
avvicinai a lui solo dopo una
mezz’oretta, perché stavo cominciando a sentirmi
trascurato. È una cosa che può
capitare, con Matt, perché da questo punto di vista
è molto infantile, e quando
si concentra su qualcosa difficilmente è in grado di pensare
ad altro. Intendo,
non è che si dimentichi della tua esistenza…
probabilmente ha come un allarme
interiore che, passato un determinato periodo di tempo, lo costringe a
staccare
gli occhi da qualsiasi cosa stia facendo e chiederti un parere a caso
per
rassicurarti sul fatto che sì, sa che sei ancora
lì, e sì, gli interessa che tu
ci rimanga…
…ciò detto, comunque, quando
qualcosa di particolarmente accattivante cattura la sua attenzione,
è difficile
che l’allarme scatti prima di un’oretta o due. E
siccome la mia tolleranza resiste
al massimo quarantacinque minuti, cerco sempre di risvegliarlo dalla
trance in
tempi utili. Ovvero, prima di cominciare a strillare come un ossesso,
affermando che mai e poi mai mi
lascerò ignorare dal primo venuto, che non tollero neanche
la sua vista e che
farebbe bene a non farsi risentire mai più,
“tanto, per quello che gliene
importa!”.
Sì, a volte ho davvero
reazioni simili. E no, non ne
vado fiero. E sì, Matt c’è
già passato, nonostante stia con me da relativamente
poco. Ma no, non mi ha dato del pazzo furioso. Piuttosto,
sì, s’è messo a
ridere. E, sorprendentemente, no, questo non mi ha offeso.
Comunque, mi avvicinai e cercai
di evitare di sbirciare oltre la sua spalla, perché io odio
lo si faccia con
me, e non volevo infastidirlo.
Lo vidi riscuotersi e sollevare
il capo come avesse percepito la mia presenza.
- Brian! – trillò felice, ed io
sorrisi istantaneamente. Mi piace quando dice il mio nome, lo fa
suonare dolce.
E il mio nome fa veramente schifo,
quindi c’è di che stupirsi. È
un’altra delle sue magie, suppongo… - Stavo
pensando proprio a te! – aggiunse, ruotando sulla sedia per
guardarmi meglio.
- Ero qui dietro… - gli feci
notare dolcemente, appoggiandomi alle sue spalle con le braccia
incrociate.
- Sì, lo so! – disse lui,
ridacchiando, - Intendevo proprio che stavo pensando a te mentre
lavoravo a
questo…
- “Questo”…? – chiesi
titubante,
ancora restio a guardare sul tavolo.
Lui annuì tranquillamente.
- Un romanzo. – spiegò.
Le sue parole mi convinsero a
dare una sbirciatina. Vidi fogli enormi, i tipici fogli da album A4,
sparsi
ovunque. Alcuni bianchi immacolati. Altri… colorati.
- Un romanzo, Matt…?
- Be’… - precisò lui, un po’
incerto, - Un romanzo illustrato.
Sbuffai, vagamente divertito.
- Non sapevo che avessi velleità
di questo tipo.
- Ma no… - arrossì lui, - Non
intendo mica pubblicarlo o che… Solo… concluderlo.
Ridacchiai.
- E vediamo un po’ questa storia…
- lo stuzzicai, arrampicandomi sulle sue spalle per guardare meglio.
- Aaah! No! – mi contrastò,
gettandosi a peso morto sul tavolo, coprendo i fogli col proprio corpo,
- Non
puoi cominciare da qui! – mi ammonì seriamente, -
Devi cominciare dall’inizio,
questa è circa la metà…
- Oh… - annuii, un po’
preoccupato dal fatto che lui la stesse prendendo così
seriamente.
Mi lasciai trascinare per mano
fino ad una specie di enorme credenza dall’aria antica, che
riempiva per metà
il corridoietto appena fuori dal suo studio. Lo osservai aprire gli
sportelli e
sobbarcarsi del peso di un’incredibile quantità di
fogli, che riportò nella
stanza dalla quale eravamo usciti. Nel frattempo, aveva anche preso a
parlare.
Si muovevano, lui e la pila di fogli, borbottando “Non essere
troppo severo”
sottovoce, ondeggiando pericolosamente. Il fruscio della carta sembrava
anche
lui un borbottio insicuro.
Scomparve oltre la soglia della
porta e poggiò i fogli sul tavolo.
- Perciò… - cominciò, ma si
fermò
subito. Rimase un attimo in silenzio, e dopo un po’ lo sentii
chiamarmi a mezza
voce.
Io ero rimasto in corridoio. Non
so nemmeno perché.
Si affacciò dallo studio e mi
chiese se per caso non fossi scemo. Dopodichè, mi tese la
mano. Io accettai la
stretta e lasciai che fosse lui a trascinarmi di nuovo davanti alla
scrivania.
- Bene. – disse con aria grave,
sollevando un foglio, - Cominciamo.
Il disegno consisteva in una
linea azzurra orizzontale, che tagliava in due l’immagine,
una palletta rossa
con due pallette nere sotto, a sinistra, e una palletta verde al
centro. In
alto, un’altra palletta, stavolta gialla.
Non avevo la minima idea di cosa
potesse rappresentare. E dimenticai la sensibilità, nel
farglielo presente.
- Come “cos’è”?! –
strillò lui,
mortalmente offeso, - Una strada! Una macchina che
l’attraversa! …e questo è un
cactus!
- Oh. – presi nota, - E quello è
il sole…?
Lui annuì freneticamente,
stringendo la presa sul foglio in maniera convulsa.
- Scusa… - mormorai incerto,
mordicchiandomi le labbra.
Matt scosse il capo, posò il
primo foglio e ne prese un secondo.
Stessa linea azzurra, stessa
palletta gialla, stessa palletta verde. La palletta rossa con le due
pallette
nere si trovava adesso al centro, poco più indietro rispetto
al “cactus”.
- …la macchina si è mossa?
Annuì, ancora deluso dalla mia
incredulità.
Posò anche il secondo foglio e
recuperò il terzo.
Tutto uguale, ma la palletta
rossa era a destra, carico di pallette nere compreso.
- …ed ora è arrivata.
Lui annuì ancora.
- Ma solo alla fine del primo
capitolo! – precisò, agitando un dito.
- Più un prologo, direi… - risi
io, osservando il resto dei fogli sparsi disordinatamente sul tavolo.
Matt sbuffò e rimise tutto in
ordine, borbottando deluso, preparandosi a riportare i fogli nella
credenza.
- Non fare così, su… - dissi io
dolcemente, abbracciandolo da dietro, - Perché non me ne dai
un po’? Lo porto a
casa e lo leggo quando ho tempo.
- Tanto non lo capiresti! – si
lamentò lui, cercando di divincolarsi dalla mia stretta.
Io ridacchiai un po’. Mi
dispiaceva averlo offeso così, ma la cosa nel complesso era
così carina e, be’,
diciamocelo, così idiota,
che proprio
non riuscivo a prenderla seriamente.
- Credo tu abbia ragione… -
commentai, bloccandogli le braccia e sollevandomi appena per baciarlo
sulle
labbra, - Ma capisco anche solo la metà dei tuoi
testi… eppure questo non ti
impedisce di farmi ascoltare le tue canzoni.
- Sono cose diverse! – protestò
giustamente lui, scuotendosi, infastidito dalla prigionia in cui
l’avevo
ridotto.
Lo lasciai andare, mettendo le
mani sui fianchi e guardandolo, un po’ perplesso. Mi
aspettavo che si
allontanasse sbuffando come una piccola teiera in ebollizione,
caricando sulla
spalle la montagna di fogli e traballando lungo il corridoio lanciando
fumo
dalle orecchie.
Questo non avvenne.
Rimase fermo, lasciando cadere lo
sguardo sui fogli quasi volesse accarezzarli e abbracciarli tutti.
Gli passai due dita sul mento,
stringendolo dolcemente fra i polpastrelli e obbligandolo a guardarmi
negli
occhi.
- Non volevo. – dissi serio.
Lui esalò un lieve sbuffo d’aria.
- Lo so… - mormorò, - Sono io lo
stupido.
- No che non sei tu… -
ridacchiai, sollevandomi e strofinando una guancia contro la sua, - Non
sono
stato abbastanza sensibile.
- No, questa roba è idiota. –
continuò lui, testardo, - Sono stupidi disegni infantili e
la storia non va da
nessuna parte. E-
- Ed è adorabile. – strinsi le
braccia attorno al suo collo, sfiorandogli il lobo con le labbra, -
È adorabile
che sia così sciocchino e infantile. Sei adorabile tu.
Mugolò una protesta di un’unica
emme strascicata, cercando di divincolarsi con poca convinzione. Io
continuai a
tenerlo stretto.
- Se avrai pazienza potrai
spiegarmi tutto. – gli dissi, accarezzando lievemente le
spalle sotto la
maglietta leggera che indossava, - E se è vero che la storia
non va da nessuna
parte, possiamo trovarle un finale insieme.
Matt annuì, rilasciando
finalmente il capo contro il mio e riprendendo a respirare come avesse
trattenuto il fiato fino a quel momento.
In realtà, questa è una cosa che
mi ha sempre fatto un po’ paura. Matt regge bene i colpi ed
è una persona
estremamente forte, perfettamente in grado di sopportare i drammi anche
per gli
altri, se è il caso. Ma ha questi momenti incredibili in cui
ti si abbandona
addosso e sospira, e tu lo senti piccolo e caldo contro di te,
così rilassato e
tranquillo, come ti stesse mettendo la vita nelle mani e non avesse la
benché
minima voglia di starci a pensare troppo su…
…è spaventoso, che riesca a
farlo.
È spaventoso che, quando lo fa,
riesca anche a darti l’illusione di essere in grado di
reggerlo esattamente
come farebbe lui con te, se le posizioni fossero ribaltate.
Quando, in passato, Matt s’è affidato
a me, io ho sempre creduto che sarei stato in grado di aiutarlo. E
quando lui
mi sta vicino, la sensazione è ancora vivida. E riesco a
crederci sul serio.
Quando è lontano, però, non è la
stessa cosa. E troppo spesso ho un po’ di paura di non
riuscire ad aiutare
neanche me stesso, senza di lui. Figurarsi qualcun altro.
*
-
Matt, tu riesci a vederci nel
futuro?
Non l’ho salutato. Non ho detto
chi ero – ma di questo non c’era bisogno. Non gli
ho chiesto come stesse, cosa
stesse facendo, se avesse altri impegni, se avesse il tempo di starmi a
sentire,
di seguirmi nell’ennesima conversazione folle nella quale lo
costringerò ad
inerpicarsi per seguire il filo sempre più confuso e
aggrovigliato del mio
pensiero malinconico.
L’ho semplicemente sparata lì, perché
è da tutto il pomeriggio che ci penso e non vedevo
l’ora di essere libero da
impegni di ogni sorta per potermi attaccare a questo dannato cellulare
e
raggiungere la sua voce dall’altro lato dell’oceano.
L’ho sparata lì sperando che lui
riuscisse a tirarne fuori qualcosa di utile.
Perché è la classica domanda del
cazzo che ti fai quando sei mortalmente triste e mortalmente annoiato e
anche
guardare un tramonto non riesce ad essere più una normale
operazione vagamente
romantica, ma deve trasformarsi necessariamente in qualche deprimente
metafora
sulla vita e sulla morte o, peggio, sulle relazioni sentimentali. E
quindi sì, era
una domanda inutile.
Ma ho visto Matt tirar fuori
qualcosa di sensato anche da cose più assurde.
Perciò ho buone speranze di riuscire
nel mio intento.
- Come hai detto? – chiede lui,
incerto, spostandosi verso un punto più tranquillo del luogo
in cui si trova.
Che, a giudicare dal vociare convulso attorno a lui, deve essere
particolarmente affollato.
- Ti ho chiesto se riesci a vederci
nel futuro. – ripeto seriamente, senza muovermi di un
centimetro dal luogo in
cui sono. Ovvero la tazza del bagno sul tour bus.
- Be’, mi piacerebbe. – ridacchia
lui, in quel modo stupido e oltremodo tenero in cui sembra stia dicendo
proprio
hehe, - Ma non sono una chiromante.
Non ancora, almeno. Ma ho una zia che se ne intende, se vuoi…
- Scemo… - biascico stancamente,
lasciandomi andare di schiena contro la cassetta attaccata alla parete.
- Sicuro che sia tutto a posto? –
chiede Matt, mascherando l’evidente preoccupazione nella voce
con una risatina
nervosa, - Quando ti ho sentito prima eri completamente esaltato,
sembrava che
dovessi cominciare a volare da un momento all’altro, e ora
stai così…
- Ma che vuol dire “così”? –
rido
anche io, altrettanto nervoso, - Guarda che non ho niente, ti ho solo
fatto una
domanda…
- Ma non mi hai mica chiesto
com’è il tempo Brian… non sono
stupido…
Mai pensato…
Cioè, forse sì.
Ma era tanto, tanto, tanto tempo
fa, e ormai me lo scordo sempre.
E poi ero un idiota.
Oh, be’, lo sono ancora.
- Sei un idiota, Bellamy.
- Ma-…!
- È che stamattina – riprendo in
fretta, prima che possa continuare, - ho trovato una cosa che mi ha
fatto…
ricordare delle cose…
- Dio, mi sembri mia madre…! –
esplode lui, con tono lamentoso.
- Eh…? – chiedo io, dal momento
che non comprendo il parallelismo.
- Ma sì! – spiega Matt, nella
voce quel lieve tono di irritazione giocosa che i figli amano
utilizzare quando
parlano dei propri genitori, - Tipo quando mi chiama e comincia a
ciarlare di
cose assurde e poi spara fuori il nome di un qualche strumento
allucinante e mi
chiede se per caso non mi ricordi dove lo mettesse, dato che lei non
riesce più
a trovarlo! E comincia, “Ma sì, Matty, quel coso,
lo mettevo sempre lì, nel coso,
possibile che non ti ricordi?”. E io faccio
l’espressione dell’arancino rosa
con gli occhi pallati e faccio “Mamma, ma che diamine! Non
vivo più con te da
più di dieci anni! Come puoi pretendere che sappia in che
coso hai ficcato il
coso?!”. – sbuffa, mentre io trattengo a fatica le
risate e sono seriamente tentato
di afferrare l’asciugamano penzolante dal sostegno attaccato
al muro e
soffocarmi con quello, nella speranza di non svegliare nessuno, - A
volte mi fa
impazzire. Voglio dire, per quale accidenti di motivo avrei obbligato
Paul a
restare a vivere con lei, se non fosse per il fatto che io non potevo
farle da
balia?! – un attimo di pausa, che io utilizzo saggiamente per
decidere che sì,
posso usare l’asciugamano, o Alex mi strillerà in
testa fino a domattina, e poi
riprende, - Ma poi il coso che metteva
nel coso?! Che cosa accidenti vorrebbe dire?! Scommetto che
avrei
difficoltà anche se vivessi con lei!
Si ferma, sbottando un ulteriore
“bah” mentre mi ascolta affondare il viso
nell’asciugamano e tamponarmi le
labbra perché non sfuggano troppe risate sguaiate.
- Non ti ammazzare. – commenta
ironico, punzecchiandomi.
- Ma che diavolo di mestiere
faceva tua madre, Matt? – chiedo, ormai tanto preso dal
discorso da poter
accantonare la stupida domanda dalla quale tutto è partito,
- La faccenda dei
“cosi” mi preoccupa…
- Ma no, era un’innocua maestra
elementare! Solo che da quando è andata in pensione ha
deciso che l’arte è la
sua via e s’è messa a dipingere quadri! Puoi
crederci?
- Uhm. – mugugno, puntellandomi
il mento con l’indice, - In una parola? Sì.
- Basta! – sbotta lui, soffiando
nella cornetta, - Mi stai prendendo per il culo!
Ridacchio e resto in silenzio,
dondolandomi tranquillamente sul water. Non so neanche di cosa resto in
attesa,
probabilmente era in un locale a passare un po’ di tempo con
Dom e Chris e io
sono piombato nel mezzo della sua serata blaterando insensatezze e
costringendolo a blaterare a propria volta senza un perché,
quindi, se volesse,
potrebbe semplicemente salutare e buttare giù, e non potrei
avere niente da
ridire.
A volte spero quasi che lo
faccia. Che mi dimostri che in fondo non siamo poi così
attaccati, così
disgustosamente compatibili e perfetti l’uno per
l’altro.
- Comunque, certo che riesco a
vederci nel futuro.
…no, ho detto una bugia.
- Felici e contenti.
Non vorrei mai che me lo
dimostrasse.
- In una casa tutta nostra.
Semmai il contrario.
- Feste di Natale e compleanni
coi parenti compresi.
Mi piacerebbe davvero continuare
a illudermi fosse vero il più a lungo possibile.
Nota di fine capitolo della Nai:
*___________________________*
Fidatevi, riassume esattamente il mio stato
d’animo nel rileggere.
Questo per me è il capitolo più Bello!
dell’intera fan fiction (per cui
siete autorizzati a smettere di leggere da qui in poi -_-).
E posso dirlo con felicità e gioia! Perché io non
ci ho messo niente di
niente!!!
Quindi, senza alcun pudore, grido gioiosamente che questo è
il Capitolo
Più Bello Della Fanfiction!!! *-*
Amerò Matt per il resto della mia vita solo per quelle due
battute
finali T_T
- Felici e contenti.
e
- Feste di Natale e compleanni
coi parenti compresi.
Brian, sposalo o sei un pirla!!! Tu non ti
rendi conto!!! Sei la donna
più fortunata del mondo!!! çOç
Lizzie, sei un genio ç_ç
p.s. per capire le affermazioni di Nai: Brian nella
testa di Nai E’
donna ù_ù
Note di liz che si prepara ad intimorirvi:
Nai è pazza e questo NON è il
capitolo più bello della fanfiction. La
cosa è puntualmente dimostrata dal fatto che l’ho
scritto io (previo betaggio
immancabile della mia adorata, s’intende <3). Insomma,
voglio dire. Io +
capitolo più bello? Ma no. Suona strano anche a voi, no?
Certo che sì, suona
strano perché è strano e folle, quindi non
sognatevi nemmeno di fermarvi qui,
con la lettura: ci sono ancora un mucchio e mezzo di capitoli e devono
succedere ancora mille cose fra l’orribile e il puccettoso
(la colpa di gran
parte delle quali, lo ammetto, è mia, anche se ogni tanto io
e Nai ci
ritroviamo seriamente a chiederci di chi sia stata l’idea di
infilare Gerard
Way in questa fanfiction. Per punire e lobotomizzare il colpevole,
ovviamente
-.-). Quindi, afferrato il messaggio? Non abbandonate Trapped, Trapped
vi ama,
amatela anche voi çOç
(È figo scrivere le note per ultima, mi permette di farvi il
lavaggio
del cervello! Non capisco perché Nai si ostini ad obbligarmi
a scriverle per
prima una volta sì e l’altra no, è
indecente!!!)
Ci tengo a specificare che, quando ho scritto la prima parte del
capitolo, il fattaccio non
s’era
ancora consumato ç^ç I Placebo erano ancora una
splendida famiglia felice ç^ç E
noi non avevamo alcun motivo per odiare irrazionalmente Brian per le
sue
dichiarazioni postume ai limiti del decoro umano
ç^ç Quindi, chiaramente,
quando poi il fattaccio s’è
consumato, è stato drammatico riprendere il capitolo in mano
e cercare di
concluderlo mantenendo intatta la vena pucci-lol
ç_ç Spero che le macchinine
illustrate di Matt e il coso nel coso di sua madre (ahi, suona ambigua
alquanto, mh? :3) siano serviti allo scopo. In caso contrario, mi scuso
ç_ç
A presto <3
|
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Capitolo 7 *** Seven. ***
Nuova pagina 1
Ero ubriaca quella sera!!!
(scusa improbabile della Nai per giustificare il mancato inserimento dei
ringraziamenti)
ç__________ç
Perdono!
L’Easily Forgotten Love
ringrazia tutti i lettori e le lettrici ^_^
Ed un grazie speciale con un
grosso bacio a Whity, Isult, Stregatta ed Erisachan per il loro sostegno
continuo!
…they have
trapped me in a bottle…
Seven:
- Tu non capisci. – esordisco al
telefono, dopo aver aspettato per quelli che mi sono sembrati secoli che Matt
sollevasse la cornetta e rispondesse un trasognato “pronto?”.
- …no… - ammette lui, confuso, -
Non solo non capisco quello che mi stai dicendo, ma dato che sono le… - lo
immagino lanciare uno sguardo veloce alla sveglia sul comodino, - …tre del
mattino, Brian… non capisco niente neanche a livello assoluto…
- Però hai fiato per parlare! –
sbotto io, appoggiando la schiena contro il finestrino e distendendo le gambe
sulla panca accanto al tavolo.
Matt sospira e sbuffa un mezzo
sorriso.
- Cos’è successo? – chiede
premuroso, mentre lo ascolto sistemarsi fra le coperte per mettersi seduto.
- Stefan. – rispondo con
naturalezza, lanciando uno sguardo circospetto tutto intorno a me.
- …Stefan?
- Stefan!
- …Stefan. Ok. Stefan. È
successo qualcosa a Stefan?
- Certo che è successo qualcosa
a Stefan, altrimenti non sarei qui a ripetere “Stefan” come un demente perché tu
non riesci ad afferrarlo alla prima, Bellamy!
Matt ride. Sono contento che
prenda questa mia momentanea isteria nel modo migliore – ovvero per la
momentanea isteria che in effetti è. La sua risata tranquilla è esattamente
quello che mi serve per smettere di strillare.
- Racconta, su. – mi incita.
Nella sua voce non c’è più neanche una traccia di sonno, e non faccio in tempo a
sentirmi in colpa per questo che lui insiste, - Allora? – e mi obbliga a
rispondere.
- È cominciato tutto quando
abbiamo incontrato i cosi, là, i My Chemical Lagnance!
- …i chi? – interroga lui,
tornando confuso.
- Ma sì che li conosci!
Lui pare fare mente locale.
- I My Chemical Romance.
Ok. Ti piacevano, fino a una settimana fa.
- Certo, perché ancora non
conoscevo quel mostriciattolo diabolico del loro cantante!
- Uh. Avanti, in fondo Gerard
non è così male…
- Gerard! – strepito, alzandomi
in piedi di scatto e cominciando a vagare come un’anima in pena per il tour bus
ormai vuoto, - Gerard, diavolo! Già il nome, Dio mio, è un nome da piccolo
aiutante di Satana!
- Non confondere le leggende,
Bri, quelli sono i folletti di Babbo Natale…
- Piantala, so esattamente di
cosa sto parlando! – mi lamento indispettito, - E poi che vorrebbe dire
“Gerard”? Lo conosci?
- Be’, sì, i MyChem hanno aperto
il secondo concerto a Wembley…
Mi fermo, strabuzzando gli occhi
e rimanendo in silenzio.
- …no, non li chiamerò mai più
MyChem, Bri. Tranquillo.
Riprendo a respirare e borbotto
un “sarà meglio!”, prima di ricominciare il racconto.
- Comunque, dovevo capirlo che
sarebbe stato un problema. Fin dal primo giorno!
- Mh. – annuisce lui, attento, -
Perché? Che ha fatto?
Raccolgo tutto il fiato che ho
in corpo e sbotto.
- S’è messo a girare attorno a
Stef!
È il momento di tacere un po’
anche per Matt.
- Ah. – dice, dopo una lunga
pausa di riflessione, - Adesso capisco.
- Non sono geloso!
- No, no. – afferma lui,
ridacchiando.
- Davvero! – rinforzo io,
vagamente imbarazzato, - È che mi infastidisce! Il povero Vincent è li a casa ad
aspettarlo come tutte le brave spose di guerra e Stefan se la spassa con questo
ragazzino del cavolo!
- Vincent non è una sposa e voi
non siete in guerra… - precisa Matt, continuando a ridere, - E oltretutto Gerard
non è un ragazzino, Brian, ha la mia età…
Borbotto un dissenso poco
convinto e mi fermo istantaneamente, quando lui ricomincia a parlare.
- E comunque non devi
preoccuparti, è innocuo. Credo abbia una passione per i bassisti, ci ha provato
anche con Chris. Probabilmente non ci prova con il suo perché sono fratelli, ma
dal momento che è strano non ci giurerei…
Adoro quando blatera.
Adoro che lo faccia per
consolarmi perché sono geloso.
- Innocuo non direi. – brontolo,
lasciandomi ricadere di nuovo sulla panca, - Indovina cos’è successo stamattina?
- Mmmh… ti sei svegliato e te lo
sei ritrovato nel letto? – ipotizza curioso.
- Né io né lui saremmo ancora
vivi per raccontarlo! Comunque no. Stavo prendendo il mio caffé e all’improvviso
sento gli anelli delle tende della zona notte che scorrono… - Lo sento
sbadigliare, - Mi ascolti? – “sì, sì”, bisbiglia lui, - E insomma, mi volto –
continuo impietoso, - e loro due stanno là, mezzi nudi, che escono insieme dalla
zona notte!
Scoppia a ridere. Lo sento
rotolarsi fra le lenzuola.
- Però! Dimmelo, se devo
cominciare ad evitare Vinny…
- Ma no, che c’entra… - sbuffo,
guardandomi alle spalle per vedere se riesco a distendermi, - Stef mi ha
assicurato che non hanno fatto niente. Anche se, sinceramente, non so se
credergli… dal primo giorno non ho fatto altro che dirgli che avrebbe dovuto
smettere di trattarlo come un cucciolo carino e toglierselo di torno, ma lui mi
ha sempre risposto che gli piace adottare cuccioli carini, perché sono carini…
- Oh, andiamo! – sbuffa
divertito, - Conosco Stef, conosco Vin e conosco Gerard… - si interrompe,
ascolta il mio silenzio, si corregge, - Conosco Stef e conosco Vin, so che si
amano e scommetto che non sarà Gerard Way il motivo della loro separazione.
- Perché – chiedo agitato, -
pensi potrebbe esistere un motivo per il quale separarsi…?
- Mh-hm. – annuisce
scherzosamente lui, - Un frontman iperprotettivo, ad esempio.
- Stronzo! – sibilo io in una
mezza risata, - Non sono un rovina famiglie! Mi offendi!
- Ah, sì! – concorda, - Hai
anche tu una tua etica, lo ammetto.
Rimaniamo in silenzio per un
po’. Lo ascolto respirare, dall’altro lato dell’oceano. Lo ascolto distendersi
nuovamente fra le lenzuola, sistemare il cuscino sotto la testa, stendere le
gambe sul materasso e incastrare un braccio dietro la nuca.
- Va meglio? – mi chiede a bassa
voce.
Se dicessi sì, in questo
momento, sarebbe palese che sto bene solo perché lo sento parlare, e che se
sopravvivo è solo perché lui in qualche parte del mondo esiste e questo rende il
mondo stesso un posto migliore.
Non sono sicuro di volerlo
ammettere, nonostante tutto.
- Amore, ho sonno, cerca di
farmi sapere se sei ancora vivo prima che torni in letargo…
Sbuffo e sorrido.
Matt non ha il minimo senso del
limite.
- Sì, sono vivo. – lo rassicuro,
- E sto meglio. Grazie.
***
Il primo problema, chiaramente,
è sempre stato riuscire a vedersi.
Avere una relazione in cui
entrambe le parti sono generalmente impegnate in giro per il mondo per periodi
di mesi e mesi ininterrotti, può rapidamente trasformarsi nella ragione più
valida perché una storia finisca in uno spazio di tempo brevissimo.
Non si tratta di una semplice
relazione a distanza, in cui comunque si creano dei ritmi, ci si ritaglia degli
spazi. Si tratta di non avere ritmi e non avere spazi, se non presi di forza,
all’ultimo minuto, fuggendo da qualsiasi altro impegno più pressante che ci sia
da osservare.
Quella notte accadde proprio
questo.
Non ci capita spesso – a me e
Matt, intendo – di poter passare la notte assieme. Sembra strano, ma invece è
orribilmente ordinario, avere impegni per l’indomani mattina che ci
impediscano di trattenerci a casa l’uno dell’altro. O comunque nel letto l’uno
dell’altro.
Generalmente quelle rare volte
che annusiamo questa possibilità, siamo entrambi talmente euforici da
dimenticarci di tutto. Tipo, quella notte, dimenticarci che eravamo comunque
ad un party di beneficenza e che ci si aspettava comunque che facessimo
presenza, prima di dileguarci insieme. Cosa che, ovviamente, mancammo di fare.
Aspettammo alla festa giusto il tempo necessario ad incrociarci dopo essere
sgattaiolati da sotto i nasi dei rispettivi manager e compagni di band, poi, di
comune accordo e senza nemmeno dircelo, ci fiondammo direttamente all’uscita e
fuori da lì a tempo di record.
Casa mia era più vicina, lui non
ci era venuto nemmeno tanto spesso, un altro migliaio di scuse ridicole, ed
eravamo già sul letto, con Matthew attaccato alle mie labbra ed io che, ricordo
distintamente, provavo anche a dirgli qualcosa… un’idea che mi era venuta o
semplicemente un chiarimento di cui avevo bisogno, mentre lui mi zittiva
continuando a baciarmi – ed a spogliarmi – e borbottava un “dopo, dopo” fin
troppo esaustivo e decisamente tenero.
Il “dopo” non c’è stato. Era
troppo tardi ed eravamo troppo stanchi. Ci siamo addormentati di sasso, l’uno
accanto all’altro, ed abbiamo dormito beatamente fino al mattino, quando ho
spento la sveglia con una manata ed ho osservato tra le palpebre socchiuse Matt
agitarsi infastidito, voltarsi di schiena, rotolare in punta al letto e
ricominciare a russare.
Ho preso fiato, respirando a
fondo, e mi sono tirato sulle braccia per convincermi a mettermi dritto ed
uscire dalle coperte.
Più tardi, anche Matt è emerso
dal letargo. Ha ricordato di aver lasciato a casa mia una sottospecie di tuta
che utilizza come pigiama in quelle rare occasioni in cui si ferma da me,
appunto. L’ha infilata ed ha arrancato alla meno peggio fino alla cucina. L’ho
visto emergere dalla porta in stile zombie, gli occhi ancora semichiusi ed
un’aria intontita, ha sbadigliato ed io l’ho fissato da sopra l’orlo del
giornale, seguendolo fino alla sua incursione presso il frigorifero. Si è
fermato davanti allo sportello, scrutandolo per un po’ come se non sapesse bene
cosa fosse, poi ha allungato una mano e lo ha aperto, infilandoci la testa
dentro quasi nello stesso momento. Quando ne è riemerso reggeva tra le mani un
contenitore in vetro, pieno di caffè macinato, se lo è rigirato tra le dita,
continuando la propria indagine perplessa. Poi si è voltato, lo ha sporto in
avanti, come i bambini quando ti mostrano i propri giocattoli come fossero
trofei, e mi ha guardato.
Ed io lo ammetto. Era la cosa
più carina che avessi mai visto in tutta la mia intera esistenza.
E se pensate che la parola
“carina” riferita ad un maschio adulto ventinovenne – e riferita da un
maschio adulto trentacinquenne – sia assolutamente fuori luogo, sappiate che
avete la mia totale approvazione.
Ma resta il fatto che era la
cosa più carina che avessi mai visto, e non era utilizzabile un altro aggettivo.
Perché se ne stava lì, con il
suo faccino addormentato, la sua barbetta rada, i capelli aggrovigliati più del
solito, i vestiti che gli cadevano addosso, i piedi nudi e quel barattolo
davanti al viso, in cui gli occhi azzurri erano acquosi ed interrogativi.
-Questo si beve?- mi ha chiesto.
Ho pensato che avrei dovuto
ridere. Il fatto che lo pensassi invece di farlo mi dice quanto lo trovassi
assolutamente adorabile in quella versione. Così, invece di ridergli in faccia,
ho sollevato la mia tazza di caffè, ancora piena, e l’ho agitata un momento
davanti a lui. E Matt, chiaramente, ha lasciato perdere il barattolo e,
portandoselo dietro, mi ha raggiunto all’isola centrale della cucina e si è
arrampicato su uno degli sgabelli che stavano lì intorno, mollando il caffè in
polvere accanto a sé ed attaccando subito la mia tazza.
-Grazie.- ha bofonchiato
infilandoci il naso dentro.
A quel punto ammetto di essermi
concesso anche una risatina, mentre mi alzavo ed andavo a recuperare un’altra
tazza ed il bricco del caffè già pronto.
-Ci sono dei biscotti nel
contenitore sul tavolo.- gli ho detto.
Lui ha infilato la testa anche
lì, riemergendone deluso con un paio di biscotti integrali.
-Tu non sai proprio cosa voglia
dire “vivere”.- ha commentato, fissandoli con aria depressa.
-Alex dice che devo mantenermi
in forma per tutto il tour e che posso ridiventare un maialino rotolante solo
quando finisce.- ho spiegato, tornando a sedermi anch’io e rubando dalle sue
mani uno dei due biscotti.- Non sono male.- ho commentato, comunque,
addentandolo.
-Bah!- ha sbottato lui,
infilando l’altro in bocca e masticando di malavoglia- Uno non può fare sesso
sfrenato tutta la notte e poi trovare questi ad aspettarlo il mattino
dopo!- ha protestato vivacemente, mentre finiva il biscotto ed allungava la mano
al contenitore per servirsi ancora.
-Se facessi sesso sfrenato tutte
le notti, ti darei ragione.- risi io- Ma visto che non ci vediamo abbastanza
spesso per sostituire la dieta e la palestra con te …
-Uhm- ha ribattuto lui,
riflettendo con aria seria- Potrei proporre ad Alex di assumermi come
preparatore atletico…
-Matt!- ho strepitato, mentre
lui rideva.- Uff, sei un idiota…
-Ed io non facevo te così
puritano.- mi ha risposto Matthew, ridacchiando ancora, mentre riprendeva a bere
il caffè.
Non ricordo con esattezza di
cosa abbiamo parlato e come ci siamo arrivati, ma ad un certo punto è finita che
lui stava parlando di Dom già da un po’ ed io lo stavo osservando con fastidio
sempre crescente. Così che lui se n’è dovuto accorgere necessariamente ed ha
smesso di parlare, fissandomi interrogativo.
-Perché fai così?- mi ha
chiesto, diretto come sempre.
-…così come?- ho ribattuto io,
abbastanza incerto da fargli intendere che avevo capito benissimo di cosa
stessimo parlando.
-Io non sono geloso del tuo
rapporto con Stefan.- ha fatto notare lui.
Ho sospirato.
-Non avresti di che essere
geloso.- ho ammesso.- Tra me e Stefan è finita. Un sacco di tempo fa e con una
tale precisa completezza che sarebbe impossibile ricominciasse per qualsiasi
motivo. È su questo che si fonda il nostro rapporto attuale.
Mentre scivolavo giù dal mio
sgabello e mi portavo dietro le tazze per sistemarle nel lavello della cucina,
Matthew è rimasto in silenzio. Ed io ho ascoltato quel silenzio.
-Allora…- ha cominciato lui dopo
un po’.- è vero che siete stati assieme.
Mi sono voltato, pulendo le mani
su un panno che ho abbandonato in una specie di mucchio disordinato sul piano da
lavoro accanto ai fornelli.
-Cosa vuoi sapere, Matt?- gli ho
chiesto senza nessun colore.
-La verità, penso.- ha risposto
lui onestamente- Anche se non posso dirti che non importa…- ha confessato subito
dopo, distogliendo gli occhi dai miei.
Io ho annuito, pure se non
poteva vederlo, e sono tornato a sedere davanti a lui, incrociando le mani sul
tavolo ed aspettando con pazienza che lui alzasse lo sguardo nel mio.
-Siamo stati assieme.- ho
ripetuto a quel punto.- Per un bel po’ di tempo, anche. Ma ci aggiungerei che la
mia storia con Stefan è stata forse la cosa meno simile ad una relazione in cui
mi sia mai imbarcato. Comprese le scopate casuali del sabato sera.- ho ammesso
senza problemi, scrollando le spalle ed osservando un vago fastidio disegnarsi
sul viso di Matthew.
Lui lo ha ricacciato indietro
quasi subito ed io ero così interessato a dirgli davvero chi fossi, che
ho represso l’impulso istintivo di correggere il tiro.
-Perché dici questo?- mi ha
chiesto quando è stato in grado di accettare e superare quel particolare buttato
lì.
-Semplicemente perché è così,
Matthew. Ero molto giovane, molto più stupido di adesso e decisamente poco
intenzionato ad avere una relazione seria con chiunque.- ho riassunto per lui.-
La verità è che Stefan si è fatto carico di me in un momento in cui avrebbe
fatto bene ad imitare tutti gli altri, prendere quello che gli serviva e
dimenticare il resto.
Ha sorriso, anche se con una
punta di tristezza.
-Non credo che Stefan Olsdal sia
capace di comportarsi come tu hai appena consigliato.- ha sussurrato con una
certa ammirazione.
-Sì, credo di sì.- ho concordato
con lui.- Fatto sta che era veramente un brutto momento e lui è stato
praticamente l’unico che mi sia stato vicino mentre lo affrontavo. Ma io non
sono mai stato capace nemmeno di dire “grazie”.- ho raccontato atono.- Quando
più o meno ne ero fuori, lui ha pensato che fosse arrivato il momento di
chiarire le cose tra noi. E mi ha lasciato.
Sapevo di averlo sconvolto. Non
mi stupì vedere la sua espressione sorpresa, che mi squadrò come se avesse
difficoltà nell’afferrare il senso di quello che dicevo. Aspettai che lo facesse
da solo o che, quantomeno, arrivasse a chiedermi cosa intendessi.
-Ti ha lasciato lui?- si limitò
a ripetere Matt, alla fine.
Sorrisi.
-Ti riesce così difficile
crederlo?- ritorsi.- Lui ovviamente mi spiegò il perché, Stefan non è certo tipo
da piantarti in asso senza dirti il motivo. Io lo odiai comunque, ma non glielo
dissi perché dirglielo avrebbe significato ammettere di amarlo ancora, ed io non
ero il tipo che ammette di avere bisogno di qualcuno.
-E lo lasciasti uscire dalla tua
vita per orgoglio…- m’interruppe Matthew.
Lo osservai. Sapevo che si stava
silenziosamente chiedendo se avrei fatto lo stesso con lui quando mi fossi
stancato o quando tra noi fossero sorti problemi.
Non sapevo cosa rispondergli.
-Mesi dopo conobbe Vincent. Lui
è l’esatto opposto di ciò che sono io.- ripresi in tono fioco, fuggendo io,
stavolta, il suo sguardo azzurro quando si sollevò a cercarmi.- All’inizio,
chiaramente, la sola presenza di Vin mi dava i nervi, lo evitavo come la peste,
non lo sopportavo. Amavo ancora Stefan e non potevo arrendermi all’idea che non
mi appartenesse più. Ma poi incontrai Helena, e lei in qualche modo riuscì a
farmi stare bene ed a restituirmi una forma di equilibrio.- spiegai con una
certa semplicità. Ed affinai il concetto- Lei sembrò quasi inserirsi in
quell’opera di recupero che Stef aveva cominciato, riprendere da dove lui si era
arreso e mettersi con calma a finire di ricostruire quella montagna di macerie
senza senso che ero diventato negli anni.
Mi zittii da solo.
Interrompendomi e guardandomi attorno come se cercassi all’esterno un modo per
raccogliere le idee che erano dentro di me. Non era una cosa successa così tanto
tempo fa, in qualche modo era ancora viva e pulsante dentro di me, metterla
fuori avrebbe significato decidere di prenderne coscienza. Mi domandai se ne
fossi già in grado.
-Io non l’ho mai amata.- ammisi
alla fine in un sospiro, tornando a voltarmi verso Matthew. Lo trovai che mi
osservava in attesa, senza alcuna espressione che non fosse una curiosità
paziente ed affatto invadente. Apprezzai questo suo silenzio rispettoso e ne
trassi il coraggio per continuare.- Lei, però, ha deciso comunque di aiutarmi ed
a me bastava, quanto meno per mettere da parte una storia finita senza essere
mai nata e prendere coscienza che io e Stefan potevamo esistere nello stesso
luogo senza sfiorarci e senza che questo dovesse necessariamente lacerarmi.-
buttai fuori.- Accettai anche Vincent… Dopo mesi accettai di incontrarlo. E
quando parlammo per la prima volta, lui mi disse quello che Stefan non era
riuscito a spiegarmi nel momento in cui mi aveva lasciato.
***
Matt ha il dono di stare a sentire la gente. Gli capita di rado, perché
generalmente è sempre troppo “in movimento” per fermarsi abbastanza da
ascoltare, ma quando lo fa ha il dono di saper ascoltare. Non è poco. Non
tutti ci riescono. La maggior parte delle persone ha l’arroganza di voler sapere
ancora prima di aver sentito, non stanno in silenzio, ti buttano lì i loro
commenti senza pensare neppure che magari tu non li vuoi. Volevi solo sfogarti
ed avere qualcuno con cui farlo.
Matthew è qualcuno con cui sfogarsi. Sta in silenzio fino alla fine, quando sa
che serve farlo.
Quella cosa di Vincent era dentro di me da un bel po’, il discorso assurdo che
lui mi fece la prima volta che ci incontrammo. Era ad una festa di compleanno.
Di Stefan chiaramente. Vivevano già assieme ed avevano organizzato una specie di
piccolo party da loro. Era la prima volta che mettevo piede in casa di Stef da
quando Vin si era trasferito lì.
Non sarebbe stata l’ultima.
Io me ne stavo fuori, sulla terrazza del salotto. Avevo bevuto, e tanto. Helena
era da qualche parte dentro che chiacchierava con la moglie di Steve, io cercavo
solo di nascondermi, perché ancora non era tutto così chiaro come lo sarebbe
diventato con il tempo ed ammetto che presentarmi lì quella sera era stato un
bello sforzo per me.
Vincent venne fuori proprio con l’intento di parlarmi. Mi raggiunse anche se io
gli voltai le spalle, sperando che capisse che non avevo piacere di
intrattenermi con lui, ma chiaramente ignorò la mia scelta. So che a Vincent io
non faccio simpatia particolare. Non più di quanta lui ne faccia a me, anche a
distanza di anni. Sappiamo entrambi che siamo qualcosa di indispensabile per
Stefan e che ognuno di noi ha un ruolo in questo ed io so che Vin è il genere di
persona incapace di provare rancore o portare odio a qualcuno. Per cui è sincero
quando si rapporta con me e questo vuol dire che, a modo suo, mi vuole anche
bene.
Ed io, a modo mio, ne voglio a lui. Perché so che Stefan è felice con lui, come
con me non è mai stato. E so che Stefan ha bisogno di lui, mentre decisamente
non aveva bisogno di me e del mio essere così dannatamente contorto. E so che se
loro due si dovessero lasciare per qualsiasi ragione, io mi sentirei tradito
quasi quanto mi sono sentito tradito quando Stefan ha lasciato me.
Vorrei non fosse così. Vorrei poterlo odiare e penso che sarebbe più facile
rivendicare diritti, che ho perso da tempo, su una persona che per me ora vuol
dire qualcosa di così difficilmente inquadrabile da darmi il capogiro. In
generale, credo di volere una vita più lineare. Ma non sono una persona lineare.
Quella sera, Vincent me lo disse esplicitamente. Mi guardò in faccia, dritto
negli occhi e senza avere nessun problema a sostenere il mio fastidio o il
sarcasmo con cui cercai di ricacciarlo indietro. Aspettò che la smettessi di
punzecchiare inutilmente, come un gatto arruffato, e che accettassi un confronto
su basi normali.
A quel punto mi disse quello che Stefan mi aveva già detto.
-Credo che tu sia stato e sarai per sempre la persona più importante della sua
vita.- esordì.
Boccheggiai, guardandolo come se non potesse essere vero.
-Di che ti stupisci, Brian?- mi chiese lui.- Quante persone credi che esistano a
questo mondo che siano riuscite a lasciare Stefan così pieno di veleno e di odio
come ci sei riuscito tu? Ne è ricolmo ancora adesso, e questa è l’unica vera
ragione per cui ti ha lasciato.
Tirai un respiro lento, nello spazio che lui mi dava per farlo e riprendere
fiato. Poi ci appoggiammo entrambi al parapetto della terrazza e, quando mi resi
conto che la sua vicinanza non mi dava l’irritazione che credevo avrei provato,
capii che era lui ad avere ragione. Ed io un torto fottuto. Così lo ascoltai
fino in fondo.
-Te lo ha detto lui?- gli chiesi.
Vincent annuì.
-Stefan mi ha parlato di te per settimane intere, all’inizio. Sembravi il suo
unico argomento di discussione e sapevo che eri ancora l’unica persona che
amasse.
-Ora non più.- sorrisi con una certa ironia.
-Non dipende da me o da te. Dipende da lui e da quello che vuole.- mi rispose
senza lasciarsi ferire- E comunque non c’entra molto.- aggiunse.- Quello che
devo dirti ha a che fare con Stefan solo in parte, Brian.
-E cosa dovresti dirmi?- gli domandai appoggiando la testa sul pugno chiuso ed
osservando il suo profilo.
-Che il problema sei tu.- mi rispose lui tranquillamente.- Stefan, Helena e chi
verrà dopo di loro, possono solo aiutarti, tu ti appoggerai in tutto e
respirerai la loro aria, sarai come un parassita, in cambio della vita gli
cederai veleno, perché sei tu ad esserne ripieno fino all’orlo. E non puoi
sopravvivere così, devi cederlo a chi ti sta intorno.
-…e ho fatto questo a Stefan?- mi obbligai a chiedere, mentre sentivo la gola
serrarsi.
Lui sospirò, voltandosi ad incrociare i miei occhi, ed io mi resi conto che i
suoi erano di un colore così chiaro da risultare simili al ghiaccio e
trasparenti. Non è facile sostenere occhi così.
-Brian, qualunque cosa io, o chiunque altro, ti dica non vale niente.- disse
piano.- Sei tu che ci devi arrivare da solo e sei tu che devi aiutare te stesso.
***
Ecco cosa intendo quando dico che Vincent è il mio esatto opposto. Lui è come
Stefan, per certi versi, solo meno generoso. Almeno con me. Vincent è
l’equilibrio statico di chi ha raggiunto la piena realizzazione del proprio io e
non c’è nulla al mondo che credo possa davvero scuoterlo da questo stato. Tranne
forse la possibilità che tra lui e Stefan finisca senza un motivo reale.
Dio, se solo penso a quanto sono legati mi sento male. Li invidio. Sul serio.
Vorrei riuscire ad essere come loro e ad amare Matt nello stesso modo maturo e
adulto in cui loro due si amano.
Ma non sono come loro.
E nemmeno Matthew.
Gli raccontai quella cosa per intero, chiaramente, non omisi nulla di quello che
Vin mi aveva detto. Lui mi ascoltò fino alla fine, come ho detto prima. Non
m’interruppe, non disse nulla, non fiatò. Aspettò che io finissi di parlare e
che tornassi ad accorgermi davvero della sua presenza. Credo che capì anche che
il fatto di avergli detto tutto quello era la prova più lampante che potessi
dargli dei miei sentimenti verso di lui.
Eccoti Brian Molko, Matthew, senza più scudi e senza difese. Ora puoi ucciderlo
o accettare di amarlo per com’è.
E lui chiaramente non vedeva le cose così complicate come le vedevo io. O forse
è solo che è un inguaribile ottimista. Ma non si fece spaventare dalla
prospettiva che io potessi davvero essere una sorta di vampiro, che si ciba dei
sentimenti altrui e li lascia pieni del veleno che ha in corpo.
Quando tornai a guardarlo mi chiese di Helena. E lo fece mentre mi fissava
tranquillo e sereno, come se io non avessi nemmeno aperto bocca fino a quel
momento.
-Helena?- ripetei.
-Sì.
Feci fatica a ricondurre il nome a qualcosa di diverso da quello che avevo già
detto. E cioè che non l’amavo e che lei, invece, aveva amato me al punto da
salvarmi. Mi ci sforzai un attimo.
-Credo che Helena sia stata una fortuna, Matthew. Dopo Stefan sarei potuto
andare tranquillamente alla deriva, se non ci fosse stata lei.
Ricordo che mi voltai in modo naturale verso le mensole accanto all’ingresso
della cucina. Ci tenevo le foto della mia famiglia, dei miei amici ed anche
quelle della persona con cui stavo. Era sempre stato l’altarino della mia
“vita”, cambiava con me, e mi piaceva al mattino, mentre facevo colazione,
dargli uno sguardo distratto.
C’erano una foto dei miei con me e Barry da piccoli; una della famiglia di
Barry, con i bambini; una del gruppo, con Vincent, la moglie di Steve ed Emily
ed Alex con il compagno.
E poi c’era una foto di me ed Helena.
Corrugai la fronte. Era rimasta lì, non l’avevo tolta dopo che c’eravamo
lasciati. Non l’avevo sostituita con una mia e di Matthew. Realizzai che non
avevo una foto di noi due da mettere al suo posto. E mi fece un po’ male pensare
che non avessimo mai avuto il tempo, il modo o il motivo per fare una foto
assieme.
Matt seguì il mio sguardo. Vide la foto. Pensai di dovermi scusare, perché era
davvero una cosa idiota che fosse ancora lì ed al posto suo io mi sarei sentito
un imbecille e mi sarei incazzato. Ma non feci a tempo a dirgli “mi dispiace”.
-Non mettere il muso, Bri.- mi disse, sorridendomi e posando il mento sulla mano
per sporgersi leggermente in avanti, verso di me.- Se vuoi una foto nostra,
basterà che ti inviti a cena con me appena abbiamo tempo e poi ti baci
all’uscita del ristorante.- scherzò.
Sorrisi.
-Anzi! Pensaci!- continuò ridendo allegramente- Avremmo un intero servizio
fotografico gratis e saremmo perseguitati dalle nostre facce spiaccicate su
tutte le riviste e tutti i muri di Londra!
-Matt…- lo chiamai io.
Lui mi guardò.
Non riuscii a dirgli niente, il telefono squillò nello stesso momento in cui
qualcuno suonava al citofono. Chiesi a Matthew di vedere chi fosse e,
bestemmiando contro il dannatissimo portiere che era incapace di fare il proprio
lavoro, avvicinai la cornetta all’orecchio e sentii Alex riversarmi addosso
tutti gli insulti che le venivano in mente.
Dall’altro lato della casa, Matt rispose a Tom che scendeva subito.
***
Fuori c’è un vento piuttosto fresco e ci sono dei nuvoloni affatto promettenti
che si affollano sull’orizzonte. Mi stringo nella felpa, tirando su il cappuccio
e la zip ed allungando le maniche a coprire le dita intirizzite.
Dannazione! Ci manca solo che mi prenda un colpo d’aria, Alex mi ammazza se mi
viene il raffreddore… o peggio… il mal di gola…
La sola idea mi fa scorrere un brivido lungo la schiena. Ma mi sa che è il
freddo e basta. Penso che dovrei tornare dentro ed acchiappare una di quelle
graziose sciarpette di seta che, nell’ultimo periodo della mia esistenza, stanno
diventando un dannatissimo must del mio abbigliamento.
Ma poi ci ripenso. E per un motivo scemo.
Quando alzo lo sguardo, davanti a me c’è una distesa di nulla ed in quel nulla,
fatto solo di terra e di cielo, c’è quest’immagine di nubi che il vento spinge
via sull’orizzonte. È bello. Talmente bello da sembrare perfetto, nonostante le
linee sgraziate dei pullman sulla parte più in basso di quel quadro grigio e
blu. Bello, nonostante il vociare cacofonico delle persone che passano davanti a
me, oscurando per un attimo appena un angolo dello stesso quadro. Bello in un
modo che mi convince a rimanere a fissare il cielo, intontito, rabbrividendo
nella felpa troppo leggera.
-Brian, cosa ci fai piantato lì?
Mi volto. Nadine mi viene incontro, è insieme ad un’altra ragazza che non ho mai
visto, le sorrido di rimando quando lei mi si ferma davanti con la tizia.
Immagino sia qualcuna dello staff di un altro gruppo, siamo troppi perché io
riesca a ricordarmi davvero di tutti.
-Ah.- Cerco di fare mente locale e tirar su una balla, che valga da risposta, in
tempi congrui.- Cercavo Stef, l’hai visto?- dico precipitosamente.
Ecco, Stefan diventa come sempre una specie di appendice che mi porto dietro.
Dovrei smetterla di fomentare certe leggende urbane.
Nadine scuote la testolina rosso fuoco.
-Nah, Brian.- mi risponde spiccia. Poi mi pianta addosso uno sguardo
sospettoso.- Non sarai vestito un po’ leggero per andare in giro con questo
tempaccio…?- inizia.
-Ma no, sto bene, figurati!- sminuisco io, voltandomi rapidamente intorno.
Mi ci manca solo che la truccatrice si metta a farmi la predica!
-Sì, ok.- sbuffa lei scuotendo le spalle magre. Mi giro di nuovo, in tempo per
vederla sfilarsi dal collo una sciarpa multicolore, da cui proviene un profumo
intenso di fiori e frutta, che poi mi ritrovo serrata attorno al collo.- Senti,
se ti ammali, Alex diventa intrattabile quasi quanto te. Ed io non ci tengo,
visto che è lei la mia datrice di lavoro!- mi dice rapida.- Beh, noi andiamo.-
aggiunge subito dopo.- Se cerchi Stef, prova a chiedere a Gerard, prima erano
insieme.
La ragazza sconosciuta ridacchia in un modo che non mi piace affatto; quando
alza la mano per salutarmi, prima di andarsene con Nadine, vedo che porta una
maglietta di quei dannatissimi My Chemical Cosilà e capisco allo staff di
quale gruppo appartiene. Sbuffo, lei e Nadine si tengono per mano
allontanandosi. Mi sa che la mia cara, piccola truccatrice mi deve raccontare
qualcosa che ha omesso di dirmi…
M’incammino verso il tour bus di Gerard Way e compagni, stringendomi le braccia
al petto nel tentativo vano di impedire al vento di raggiungermi. Li trovo che
stanno seduti appena fuori dall’ingresso del bus, stanno parlando di lavoro
perché si passano di mano in mano degli spartiti pasticciati e confusi e
discutono tra loro abbastanza animatamente. Ma Stefan decisamente non è lì.
E quindi io dovrei limitarmi a chiedere a Gerard se sappia dov’è e poi andarmelo
a riprendere da un’altra parte.
E non ho nemmeno una ragione valida per fermarmi, invece, lì davanti a loro e
guardare dritto in faccia il loro cantante ed aspettare che lui alzi il
viso e mi veda.
Fa una faccia stupita. Nient’affatto convinta. Gli altri si zittiscono e si
voltano a guardarmi anche loro, io però non gli bado.
-Gerard.- “hai visto Stef?”, conclude il mio cervello in tono piano- Posso
parlarti un secondo?- chiedo invece.
Bene. Siamo in due a non sapere cosa sto dicendo, Gee. Quindi, fai un
favore ad entrambi e non guardarmi a quel modo!
-S… sì… certo.- balbetta lui a disagio, mollando il quaderno musicale al ragazzo
che gli sta accanto e sollevandosi in piedi.
Sembra intimorito. Ottimo. Adoro avere il predominio sugli altri, quando sto per
prenderli ad insulti.
E sto per prenderti ad insulti, Gerard Way. Mi conosco abbastanza bene da sapere
quando sto per fare una cazzata grande quanto una casa, anche se ancora a
livello cosciente il mio “io” si è dimenticato di comunicare le informazioni al
resto del corpo.
Ci allontaniamo di qualche passo. Dietro di noi, gli altri componenti della band
allungano i colli il più possibile, strabuzzano gli occhi e ci spiano senza
capire. Gerard lancia loro un’occhiata che vorrebbe essere distratta, ma che so
benissimo interpretare per un tentativo pietoso di trarre da loro un minimo di
coraggio per affrontarmi.
È una situazione surreale. Siamo praticamente coetanei, sei grosso il doppio di
me ed io non mangio le persone. Anche se le persone sembrano non crederlo
possibile. Finiamola qui e vediamo di parlarci in modo civile.
-Senti, Gerard.- esordisco colloquiale, sciogliendo le braccia per assumere un
atteggiamento più rilassato e vedere di appianare un po’ quella cavolo di
tensione.- Magari Stef non te lo ha detto, perché è uno abbastanza riservato, ma
lui sta già con qualcuno.
-Ahah.- mi risponde Gerard.- Lo so.
Ah.
-…scusa… ma se lo sai, perché non la pianti?- butto fuori stringatamente.
Lui si stringe nelle spalle e scuote la testa.
-Tanto per cominciare, perché Stefan non mi ha mai chiesto di “piantarla”.- mi
fa notare.
Sbuffo un mezzo sorrisetto, piuttosto tirato. Questo moccioso mi sta
dando i nervi rapidamente.
-Perché secondo te non basta dire “sto con qualcuno”, per far intendere che puoi
anche smetterla di provarci?!- gli chiedo cattivo. Voglio che sappia che può
anche fare fesso Stefan… o meglio, credere di starlo facendo fesso, ma io
so esattamente dove vuole andare a parare.- O.k, te lo dico io in modo più
chiaro allora. Stefan ha un compagno, tu non sei niente, non sarai mai niente,
non esisterai nemmeno mai nella sua classifica personale delle “cose da prendere
in considerazione”.
-Oh.- mi risponde lui. Non mi piace la faccia che fa mentre se ne esce con
quella semplice esclamazione. E mi piace ancora meno la faccia che fa dopo,
quando si volta verso di me e mi sorride di rimando- Scusa, ma a te che te ne
frega?- mi domanda a bruciapelo.
-E’ il mio migliore amico.
-Siamo grandi tutti e tre abbastanza da non doverci mandare gli ambasciatori per
dirci le cose!- ride lui.
-Va bene, allora mettiamola in questo modo se preferisci.- comincio a
spazientirmi.- Non voglio che giri più intorno al mio bassista, non lo ammetto.
Chiaro?- sottolineo seccamente.
-Non è una tua proprietà!
Questo ragazzetto è un rompicoglioni a certi livelli!
-Sono cazzi miei cosa succede all’interno della mia band, Gerard Way!- ruggisco
inferocito, allungandomi verso di lui e piantandogli un dito nel petto.- E non
voglio che tu ci ficchi il naso! Ti voglio fuori dalle palle, ragazzino!
In fretta ed in modo definitivo!- lo aggredisco.
Lui mi spinge indietro senza troppa gentilezza, si rimette dritto e mi pianta in
faccia gli occhi pittati di scuro.
-Sentimi, tu, razza di coglione megalomane!- attacca.- A me non frega un cazzo
se tu ritieni di poter tiranneggiare chi ti sta intorno come preferisci, io non
lavoro per te e faccio il cazzo che mi pare! Se a Stefan dà fastidio me lo dice
ed io deciderò cosa fare!
Adesso ho davvero voglia di sbranarlo.
-Forse non ti è chiaro il concetto…- inizio in tono calmo, paziente.
E non finisco.
Qualcuno mi strattona bruscamente per una spalla, spingendomi via.
-Scusaci, Gerard.- sento dire in tono basso e sicuro alla voce di Stefan.- Io e
Brian dobbiamo parlare urgentemente.
Quello spostato di un darkettone rimane fermo dove sta, borbottando a mezza voce
un “sarà meglio” che mi fa salire alla testa quel poco di sangue che avevo
ancora in circolo. Ma siccome Stefan continua a trascinarmi per un braccio,
nemmeno fossi un bambino di dieci anni al seguito del padre, non posso voltarmi
a rispondergli come vorrei e sono costretto a seguire Stef fin sopra il nostro
bus. Mi molla di mala grazia, spingendomi a sedere sul divanetto, e si ferma
davanti a me.
-Ti sei bevuto quel po’ di cervello che le droghe non ti avevano fottuto,
Brian?- s’informa gelidamente.
-Stavamo solo parlando.- rispondo io incolore, lasciandomi andare all’indietro
tra i cuscini.
Stefan sorride a denti stretti.
-Raccontala a qualcun altro.- mi ritorce bruscamente.- Torno a farti la domanda,
Brian, che cazzo stavi facendo?
Ci penso su. Evito di incrociare il suo sguardo perché so che finiremmo per
litigare ed io non voglio litigare. Perché sono in torto e mi limiterei a
rovesciargli addosso la qualsiasi pur di non doverlo ammettere e perdere così
questo scontro. Ho bisogno di fare il punto della situazione.
-O.k.- mi precede Stefan- Rispondo io per te.- mi dice secco.- Stavi facendo una
scenata di gelosia a Gerard Way.
-Stronzate!- sbotto, interrompendolo infastidito.
-No, Brian, le cazzate che hai detto a quel ragazzo sono “stronzate”!- sibila
Stef. Ed io sussulto nel sentirlo usare un tono simile e mi volto di scatto per
riuscire a vedere la sua espressione furiosa. Sto zitto.- Te lo dico una volta
sola ancora, Brian, poi mi limiterò a mandarti a fanculo. Te e tutte le tue
paturnie del cazzo. Tieniti fuori dalla mia vita quando non sei stato
esplicitamente invitato.
…fa più male di quello che pensavo.
Respiro.
-Te l’ho ripetuto in tutti i modi possibili ed immaginabili, Brian, Gerard Way
ed io siamo amici. Lui mi fa simpatia. Tu non sei autorizzato a chiedermi di non
vederlo o a pretendere alcunché da me o da lui.- mi spiega in modo lineare.- E
soprattutto, Brian,- aggiunge fissandomi dritto negli occhi e parlando con
estrema lentezza- non ti azzardare mai più a nasconderti dietro Vincent
per mascherare la tua gelosia.
Fa più male di quello che pensavo, guardarlo uscire da lì.
Steve sulla porta lo incrocia. So che ha sentito tutto, o quasi, perché glielo
leggo in faccia quando prova a fermare Stefan e viene mandato al diavolo senza
troppi convenevoli. Si volta verso di me. In silenzio.
Io deglutisco a vuoto.
-…che cazzo hai combinato, Brian?- mi chiede.
-…niente…- mento senza nessuna intonazione.
Nota di fine capitolo della liz, obbligata a scrivere per prima nonostante
Nai sappia quanto le fa piacere distorcere le menti delle fangirl facendo loro
il lavaggio del cervello per ultima!
Prima di tutto: giunta alla fine della correzione (ovvero di quel poco che
c’era da sistemare) del capitolo, non ricordavo più con esattezza chi avesse
scritto per prima e chi per ultima nello scorso capitolo; perciò, mi stavo
coscienziosamente adoprando per aprire il sesto capitolo e vedere (per poi agire
comunque di testa mia :D), quando alla fine di questo documento vedo le testuali
parole:
LIIIIIIIIIIIIIIIIIIZ!
Tocca a te ù_ù
Il che dimostra palesemente che Nai è paranoica e non si fida di me, alla
faccia di San Valentino >_< *festaccia immonda* *voglio un/a ragazzo/a çOç*
Per Stregatta: quando ci mettiamo a fare il nostro famoso giochino al
ribasso, non siamo affatto carine >.< Dovresti vederci al telefono, “Nooo, tu
sei più talentuosa di meeeee”, “Noooo, non è affatto veroooo, tu sei l’unica che
abbia un po’ di talentoooo” eccetera eccetera… quando non c’è palesemente nulla
da discutere: è lei quella talentuosa del duo u.u Lo dimostra che il novanta
percento di questo bellissimo capitolo è suo <3
Comunque, buon San Valentino alle fidanzate/ammogliate d’Italia e del mondo
(e l’augurio, chiaramente, implica anche Gaia ed Helena <3) (…e Vinny, se esiste
<3). Ciu :*
PS: Poi abbiamo stabilito che la colpa di Gerard Way in questa fanfiction è
mia. Be’. ç_ç. Ele, te lo dedico çOç :*
Nota di fine capitolo della Nai:
Non trovate la parte della telefonata iniziale semplicemente
m-e-r-a-v-i-g-l-i-o-s-a?! *.*
Sìììììììììììì, lo è!!!
Ovviamente è di Liz U_U
Detto questo. Sono in periodo di puccioseria romantica e Trapped ha ancora
l’effetto di farmi sberlucciare felice, per cui è sempre un piacere rileggerla
con la scusa della correzione *svolazza via felice*
…sarà S. Valentinooooooo…
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Capitolo 8 *** Eight. ***
Nuova pagina 1
L’Easily come sempre
ringrazia tutti i propri lettori, sostenitori, ammiratori, detrattori...no
questi ultimi no... o sì? Ma sì, va! Se ne parli bene, se ne parli male, purché
se ne parli! ù_ù *la frequentazione con zio Oscar e il porcello reale ti fa
male… ndliz*
A parte tutto, ringraziamo
con affetto speciale Whity, Stregatta, Isult ed Erisachan per aver usato il loro
prezioso tempo per dirci che ci vogliono bene. Noi ricambiamo çç
…they have
trapped me in a bottle…
Eight:
Ho la febbre alta. Mi è venuta
stanotte, sono stato da schifo tutto il giorno ed abbiamo dovuto annullare la
nostra esibizione di stasera.
Questo è il dato positivo in
realtà.
Stefan non mi parla da ieri, ci
siamo scambiati sì e no uno sguardo a cena prima di andare a dormire ieri sera e
poi non si è nemmeno venuto ad informare se fossi vivo o morto. Ad essere
precisi è scomparso da qualche parte stamattina prestissimo, prima ancora che io
riuscissi ad emergere del tutto dalla specie di trance in cui mi aveva
scaraventato la febbre, e non è tornato più.
Per cui, essendo praticamente
impossibile anche solo pensare di esibirci con una simile situazione, le
mie condizioni di salute sono da considerare un dato positivo. Visto che ci
permettono, tra l’altro, di eludere la necessità di rispondere alle domande
imbarazzanti di Alex circa “cosa diavolo abbia per la testa Stefan da
ieri?!”. Io ho una faccia così pesta da riuscire a nascondere fin troppo
facilmente quello che penso. E Steve è bravo a sminuire le cose, per cui regge
bene agli assalti della nostra manager quando gli chiede se sappia cosa è
successo al nostro bassista.
Fatto sta che stasera Stefan non
è ancora rientrato; quando ho chiesto a Steve se sapesse dov’era, lui mi ha
guardato e mi ha risposto seccamente “dai My Chemical Romance”, rimanendo poi in
attesa di uno scoppio d’ira da parte mia. Io mi sono infilato nella mia cuccetta
e mi sono nascosto sotto svariati strati di lana, perché ho un freddo dannato,
non sono riuscito a mangiare nulla e sono così depresso che vorrei semplicemente
sparire.
È a questo punto che squilla il
cellulare.
Allungo una mano fuori del
groviglio di coperte, cercando a tentoni al di sopra di queste finché non
incontro la resistenza spigolosa del telefono. Lo apro già prima di portarmelo
all’orecchio, tanto so chi può essere.
-Matt.- bofonchio incerto,
tirando su con il naso.
-…
-Sì. Sto male.- confermo
spiccio.
-…ah.
Rimaniamo in silenzio per un
po’. Io respiro malissimo, si sente l’affanno e so che dall’altro lato del
telefono Matthew si sta chiedendo perché non possa essere qui a stringermi
forte, giusto per assicurarsi che sia vivo e che stia bene in tempi
ragionevoli...
-Brian, cos’è successo?
…
O.k.
Lo so.
Non ha senso.
-…non è successo nulla…- mormoro
sentendo il fiato mozzarmisi in gola completamente.
-Brian.- mi richiama lui.
Respira a fondo, prende tempo e si concentra.- Non prendermi in giro.
-Hai parlato con Steve.-
ipotizzo io, arrabbiandomi.
-No.
-Allora ti ha chiamato quello
stronzo di Stefan!- sbotto, alzando istintivamente la voce.- No, perché se crede
che mettendo in mezzo te…!
-Brian!- m’interrompe brusco
Matt.- No.- ribadisce. Mi lascio cadere tra le coperte, prendendo fiato in
respiri corti e difficoltosi.- Non ho parlato con nessuno, ma mi pare di capire
di averci azzeccato. Che succede?- chiede ancora.
Dio! Come accidenti è riuscito a
capire da… due frasi che ho detto che c’era qualcosa?! Come accidenti ci
riesce?!
Mi porto una mano alla fronte.
Scotto. Scosto i capelli sudati dal viso, trattenendoli indietro. Si sono
appiccicati, mi danno noia, o forse è il semplice dover respirare ad irritarmi
terribilmente.
-Brian.- mi sento chiamare
ancora, stavolta con dolcezza.- Parliamone. Vedrai che ti farà bene.
-…ho litigato con Stefan.-
ammetto.
-Perché?-mi chiede lui senza
commentare.
Sospiro.
-Ieri, quando ho riattaccato con
te, sono uscito a cercarlo. Ed invece di andare da lui, ho preso in disparte
Gerard Way e gli ho fatto una scenata.- confesso senza risparmiarmi nulla.
Matthew non ribatte subito. Mi
sembra quasi di poterlo vedere mentre riflette.
-Capisco.- borbotta alla fine.
Annuisco anche se lui non può
vedermi, tiro un respiro profondo e vado avanti.
-Stef ci ha beccati mentre
litigavamo, mi ha portato via praticamente di peso e mi ha detto che non devo
più impicciarmi della sua vita.- concludo nello stesso modo secco e preciso.- Da
quel momento non mi ha più parlato.
Matt sbuffa una risatina affatto
divertita.
-L’hai fatta grossa, eh?- mi
chiede ironicamente.
-Più di quello che pensi.- mi
lascio scappare a mezza voce.- Ovviamente dicono tutti che sono solo un
ragazzino viziato, la storia della sceneggiata a Way ha già fatto il giro del
festival…
-E la voce?- mi chiede lui.
-Ho il raffreddore.- rispondo.
-Bravo.
-Grazie.
Restiamo in silenzio un’altra
volta. Mi dà fastidio. Vorrei dirglielo. Ma prima che possa farlo, Matt riprende
a parlare.
-Scusati con Stefan.- mi dice.
Provo a protestare, a dirgli che non mi vuole nemmeno ascoltare… in realtà non
mi vuole nemmeno vedere. Lui mi zittisce rapidamente.- E scusati anche con
Gerard.- aggiunge.
-Cosa?!- strillo io in
modo automatico.
-Brian.- mi rimprovera Matthew.-
Mi hai capito benissimo.
-Ma ci sta davvero
provando con Stef! Lo ha anche ammesso!- sbraito infastidito.
-E questo non è affar tuo.- mi
fa notare lui senza scomporsi.- Ti sei reso ridicolo davanti a tutti, non hai
più vent’anni. Eri ridicolo anche allora, ma adesso è veramente inconcepibile
che tu ti possa comportare così con un collega durante un tour.- aggiunge
spietatamente.- Scusati con Gerard, Brian.- ribadisce subito dopo.
-…Stefan non vuole più
parlarmi.- torno a ripetere meccanicamente.
Il punto è tutto qui, Matt.
Cavolo! Stef non vuole parlarmi! ...Dimmi qualcosa che mi faccia sentire un po’
meglio… per favore…
-Brian, Stefan ha ragione.- mi
dice lui. Sospira profondamente.- Gli passerà.
Stavolta sono io a non riuscire
a parlare. Ed a rimanere in silenzio così a lungo che alla fine lui sente il
bisogno di chiamarmi ancora. Di nuovo in tono dolce, per farmi capire che non è
arrabbiato anche se mi dice che sono uno stupido ad essermi comportato così.
-Bri.- sussurra.- Se devi dirlo,
dillo e basta.- mi invita.
-…sono un coglione, Matt, se
Stefan non mi perdonasse io non saprei cosa fare.- mormoro.
Matthew ridacchia.
-Hai solo la febbre e questo non
aiuta il tuo umore.- mi dice.- E sappiamo entrambi che le arrabbiature di Stefan
con te durano al più una giornata. Chiedigli scusa e smettila di tirare fuori
questa cosa di Gerard e vedrai che sarà come se non fosse mai successo nulla.
-Mi ha detto che mi vuole fuori
dalla sua vita.- ribatto.
Matthew ci pensa su un po’
troppo per i miei gusti.
-Lascia perdere.- taglio corto
prima che mi rifili qualche fandonia per tenermi buono. Mi rigiro tra le coperte
per potermi mettere seduto.- Ho fame, non ho mangiato praticamente niente, non
seccarti ma ci sentiamo dopo.- taglio corto.
-Brian.- prova a richiamarmi
lui.
E per un momento esito davvero,
con il dito già sul tasto che chiude la comunicazione. Serro gli occhi e mando
giù la saliva che mi blocca la gola.
-Davvero, Matt, sto bene. Ci
sentiamo dopo.- lo liquido, chiudendo la telefonata.
***
Non mi stupisce di sognare
Matthew. Di fatto, gli ho riattaccato il telefono in faccia. Di fatto, è
perfettamente logico che io mi senta in colpa. Quindi, è perfettamente logico
che il mio senso di colpa si traduca nel bisogno di averlo davanti e chiedergli
scusa.
E siccome sono troppo orgoglioso
per chiedere scusa a qualcuno davvero, mi limito a farlo in un sogno.
E so di stare sognando. Lo so
anche se le percezioni fisiche che questo suscita sono così intense da farmi
desiderare che non lo sia. O quanto meno da farmi desiderare di non svegliarmi
mai più.
Perché l’assenza di Matthew sta
diventando per me qualcosa di intollerabile. Si mescola alla stanchezza, alla
frustrazione, agli eventi assolutamente sbagliati che la mia condotta infantile
e stupidamente gelosa ha prodotto.
…Vorrei essere una persona
migliore.
Vorrei essere altrove.
Vorrei che questo bacio che ci
stiamo scambiando – che è dolce ed umido e sa di buono – fosse vero, e non solo
l’illusione fittizia che la mia mente intorpidita mi trasmette per consolarmi.
Anche perché le illusioni hanno
la tendenza a scomparire dalle mani. Ritrovarsi a stringere niente a volte fa
male, meglio prenderne coscienza subito, così sbatto le palpebre e decido di
svegliarmi.
Ci metto un po’ ad abituarmi
nuovamente alla luce. Ed un altro po’ a mettere a fuoco i contorni delle cose.
La febbre li rende sfuocati comunque, ed il fatto che io sia ancora a digiuno –
perché a Matt ho mentito e non sarei mai davvero in grado di mettere un solo
boccone sotto i denti in questo momento – non mi aiuta a scuotermi dallo
stordimento. Quando ci riesco mi accorgo di non essere solo, e mi accorgo che la
persona che è con me non ha nemmeno una ragione per esserci e mi
fissa…imbarazzata?
-…Chester?- riconosco con voce
impastata.
Lui arrossisce. Giuro, lo fa
davvero. Me ne chiedo la ragione e, senza sapere perché, istintivamente sollevo
le dita per portarle alle labbra, riabbasso la mano di scatto quando lo vedo
tossicchiare a disagio.
-Come va?- mi chiede lui.
Vedo che ha ancora i vestiti di
scena addosso. Deve essere venuto direttamente dal palco e deve anche essere
tardi.
-Bene.- mento senza troppa
convinzione.
-Alex ci ha detto che stavi male
ed ho pensato di venire a salutarti. Ti sarai annoiato, tutta la sera da solo…
Già. Anche perché i miei
compagni di band sembrano aver preso all’improvviso ad odiarmi. La mia manager
mi odia ogni singola volta che faccio l’errore di ammalarmi. Ed il resto del
festival al completo mi odia per principio, perché sono uno stronzo e lo
dimostro appena posso.
Gli leggo tutto questo in
faccia. Immagino che sia il motivo che genera il suo imbarazzo nello starmi di
fronte. Sospiro, mi tiro a sedere e gli faccio cenno che può sedersi anche lui,
così si sistema sulla cuccetta di Steve e mi guarda.
-Sei stato gentile.- ringrazio.
Per un po’ mi fissa in silenzio,
poi tira un respiro profondo e me lo chiede.
-Brian. Senza che t’incazzi,- ci
tiene a premettere. E lo fa in un modo così spontaneo che non riesco davvero ad
incazzarmi, anche se immagino il seguito.- mi spiegheresti che è successo tra te
e Gerard?
Penso che glielo spiegherei,
senza nessun problema tra l’altro, ma dovrei saperlo io per primo. Ed il punto è
che io non so cosa diavolo mi abbia spinto a prendere ad insulti Gerard Way. Se
non ammettendo di essere effettivamente geloso di lui.
Questo aprirebbe la porta ad una
serie infinita di domande che dovrei pormi su me stesso, prim’ancora che sul
rapporto che ho con Stefan. Quello è abbastanza chiaro e, a differenza di quanto
trova utile credere la gente intorno a me, non è una cosa che riguardi solo
Stefan, quanto più il fatto che io abbia questa possessività spasmodica per
tutti coloro che in qualche modo “mi appartengono”. Sono la gelosia fatta
persona. E sono un tiranno.
Non ci metto nemmeno tanto ad
ammetterlo con me stesso.
Ci metto molto di più a passare
dall’ammetterlo al volerne prendere coscienza al punto da superare la mia
irrazionale ed infantile gelosia. Quindi, non c’è davvero nulla di strano se io
rifuggo ancora questa cosa e preferisco fingere di non sapere perché ho urlato
in testa a Way.
E non posso certo rispondere
tutto questo al viso di Chester, piantato nel mio, che aspetta pazientemente io
dica qualcosa.
-Mi spiace di aver creato casini
nel gruppo.- preciso quindi, prima di ogni altra cosa.- Immagino di essere molto
stanco e di aver semplicemente reagito male.
Chester annuisce comprensivo. Ed
io capisco che avrebbe accettato qualunque spiegazione io gli avessi fornita,
semplicemente perché è venuto apposta per conoscere “la mia versione dei fatti”.
È stato… carino… da parte sua. Peccato che a me non interessi spiegarmi con lui.
Tiro su le ginocchia e ci
appoggio il mento, fissandolo da lì sopra, mentre lui pensa a qualcosa che non
mi dice e che lo porta a distogliere lo sguardo da me per girarlo intorno.
-Senti, Brian… ma tu pensi
davvero che Gerard e Stef…- ipotizza a mezza voce alla fine.
Rido.
-No!- esclamo subito dopo. E
quando lui mi guarda interrogativo, mi rendo conto che è davvero così, non lo
sto dicendo nell’ennesimo attacco di gelosia.- Senti, Chester, io conosco Stefan
e posso dirti che è la persona più fedele dell’universo. Ed ha un ragazzo a casa
che lo aspetta e che lui ama.- spiego pacatamente.- Gerard gli sta simpatico,-
aggiungo stringendomi nelle spalle- ma Stef non ha interesse per lui. E penso
glielo abbia anche detto.
-Mmmh.- concorda lui poco
convinto.
Ricominciamo a stare in
silenzio. È decisamente una cosa che mi mette a disagio. E che mette a disagio
anche lui credo.
-Chester.- chiamo dopo un po’.
-Sì?
-Magari dovresti tornare dagli
altri.- faccio notare.
-Mah. Non credo per loro faccia
differenza.- borbotta lui, arrossendo di nuovo.- Ti do fastidio?- si premura di
chiedermi subito dopo, piuttosto frettolosamente.- Magari volevi riposare!
-No.- ridacchio.- Ho dormito
come un ghiro tutto il giorno, non sono nemmeno assonnato.- ammetto.- Pensavo
solo di essere una compagnia noiosa.
-Che idea idiota!- sbotta lui
contrariato. E poi si accorge di aver esagerato e torna immediatamente
indietro.- Voglio dire che non sei affatto una persona noiosa! Anzi! Mi fa
piacere farti compagnia…
-O.k.- sorrido.- Però troviamoci
qualcosa da fare o diventerà una cosa strana.- aggiungo divertito.
Lui sorride con me ed annuisce.
-Non ti proporrò una partita a
carte.- mi avvisa.- Le odio, e poi è una cosa talmente scontata che i gruppi
musicali giochino a carte durante i tour…
-Nah, lascia perdere.- mi dico
d’accordo, mentre mi allungo dalla cuccetta a prendere il mio portatile- Ti
faccio sentire qualche canzone dei miei “cuccioli”.- propongo.
-Cuccioli?- ripete lui
perplesso, sedendosi accanto a me mentre accendo il computer.
-Ahah- annuisco senza guardarlo.
E poi mi spiego meglio.- Sono le band emergenti che scovo in giro per
l’Inghilterra e gli Stati Uniti.
Lui sghignazza ed io lo fisso
contrariato.
-Ehi!- lo riprendo offeso.
-Scusa…- mormora lui,
continuando a sghignazzare comunque.
-Guarda che è quello che fate
anche voi con questo festival itinerante!- gli ricordo.
-Sìsì, solo che sai… con il tuo
personaggio non ci sta tanto bene che ti metta a fare da baby sitter…- mi fa
notare.
-Non faccio da baby sitter!-
protesto. E poi ci penso su e, mentre mi volto allo schermo per aprire la
cartella che mi interessa, ammetto candidamente e con un mezzo sorriso- E poi
lusinga la mia vanità farmi adorare da giovani talenti emergenti…
-Brian, sei terribile!- ride
Chester.
***
Non ricordo chi di noi due fosse
giù di morale, e quindi chi dei due avesse proposto di uscire a fare shopping.
Ricordo solo che evidentemente qualcosa doveva essere successa, quella mattina.
Qualcosa di abbastanza antipatico da costringere due uomini maggiorenni e
normodotati – per quanto possa sembrare strano pensarlo – a vagare senza meta
per le strade di Londra, appiccicando il naso alle vetrine dei negozi alla
ricerca di qualcosa da acquistare.
Lo shopping è un’attività
decisamente sottovalutata dal genere maschile. Il genere femminile in certe cose
è così dannatamente avanti che ogni tanto mi rammarico di non essere nato donna.
Sono contento di aver trovato un uomo che la pensi come me, in questo senso.
Anche se in effetti è un po’ azzardato dire che Matt “la pensi” come me. Lui sa
solo che spendere soldi per comprare cose inutili e idiote fa scorrere lunghi
brividi piacevoli per tutto il suo corpo, quando è scazzato. E non è neanche una
cosa che comprende a livello conscio, per quanto ne so – è solo che è scritto
sulla sua pelle e quindi non può ignorarlo.
E quindi eravamo lì che
saltellavamo da un negozio all’altro in Piccadilly Street, e ad un certo punto
siamo usciti da questa boutique di cui non ricordo il nome, stracolmi di pacchi
di ogni colore e con indosso un paio di pantaloni nuovi per ciascuno – che hanno
tra l’altro una storia interessante, perché quel giorno eravamo usciti con due
maglie molto simili e a Matt era molto piaciuta l’idea di andare in giro vestiti
uguali, perciò mi aveva costretto a comprare due paia di jeans nuovi e identici
che ci lasciammo addosso dopo averli pagati – e Matt sollevò lo sguardo e disse
“Cavolo”.
Io mi fermai e lo guardai, e mi
augurai che quella parola non volesse dire “Cavolo, il mio portafogli è vuoto e
ora dovremo fermarci a prelevare al primo sportello utile, e mentre io lo farò
tu dovrai reggere anche i miei quintali di vestiti nuovi, oppure potremo
tornarcene tranquillamente a casa con la coda fra le gambe”.
Ma Matt non stava guardando
desolato il proprio portafogli vuoto. Stava fissando ammaliato la strada.
- Che ti prende? – chiesi,
avvicinandomi a lui e sospingendolo lievemente in avanti a causa dell’enorme
volume di pacchi che ci separava.
- Guarda questa strada! –
commentò lui, scrutando l’orizzonte, - È infinita!
Ridacchiai.
- Sembra sia la prima volta che
la vedi…
- Di solito non me ne accorgo… -
continuò lui, ancora preso dall’osservazione dell’ambiente circostante. – Ma poi
guarda quante persone…
- Ossignore, Matt! – risi io,
tirandogli una pacchettata sulla testa, - Siamo in Piccadilly Street! Torni
sulla terra o che?
- Ma non ti sembrano
allucinanti, queste cose? – insistette, indicando la punta della strada con un
dito, fissandomi come se ciò che stava dicendo fosse ovvio e per me dovesse
essere impossibile non capirlo.
- Quali cose? – chiesi io,
incuriosito dalla possibilità che quello potesse diventare l’ennesimo discorso
allucinante pre-canzone di Matthew Bellamy.
- Queste cose! – precisò
vagamente lui, allargando le braccia con difficoltà e lasciando cadere sul
marciapiede i pacchi che teneva in equilibrio sotto le ascelle.
- Non fare disastri… - lo
ammonii io, chinandomi a raccogliere i pacchetti e trattenendoli fra le mani,
dal momento che ne avevo meno di quanti non ne portasse lui, - Spiegati a
parole, non coi gesti, visto che il buon signore ti ha dato una voce.
- Non parlare del buon signore,
sei ateo!
- Non è questo il punto… - risi.
- Vero. – ammise lui, annuendo
convinto, - Comunque guarda: filari di negozi neanche fossero alberi e milioni
di formichine intente a… spendere!
- Che è quello che abbiamo fatto
anche noi fino ad ora… - gli ricordai con un mezzo sorriso.
- Hai ragione! – si rese conto,
sinceramente sconvolto e disgustato, lasciando andare per terra anche i pacchi
che teneva fra le mani e osservandomi raccoglierli con un certo disappunto. –
Lasciali lì!
- Li abbiamo pagati un sacco di
soldi… - feci presente, cercando di infilare i suoi dentro i miei, dal momento
che le mie dita non sembravano avere abbastanza spazio per ospitare tutte le
maniglie.
- Motivo in più! Ci siamo
prestati a un gioco del cazzo! – illustrò determinato, guardandosi intorno con
aria ostile, - Non voglio far parte di tutta questa massa di gente che spende e
spande senza la benché minima coscienza ed è felice con… così poco.
Lo guardai, e pensai che se
c’era una cosa che non sarebbe mai potuta succedere era che lui si uniformasse
al resto della massa. Non era proprio possibile. Shopping o no.
- Avevo visto una bella giacca,
l’altro giorno, poco più avanti…
- Brian! – mi rimproverò,
inorridendo, - Non penserai davvero che dopo ciò che ho detto-
- Era bella! – aggiunsi, -
Velluto nero, lunga quasi fino al ginocchio, e aveva rifiniture rosse su tutti
gli orli e sul bavero.
- Davvero, Brian. – sbottò lui,
irritato, mettendo una mano sul fianco, - Se pensi che io sia d’animo così
debole da cedere alle lusinghe di una stupida giacca alla moda, dopo che ti ho
appena detto che non mi interessa uniformarmi alla massa dei modaioli, sei fuori
strada.
Scrollai le spalle, finendo di
organizzarmi per reggere correttamente tutti i sacchetti.
- A me piaceva. Vado a
comprarla. – dichiarai serafico, facendo una breve mezza giravolta su me stesso
ed incamminandomi deciso verso il negozio.
Lui rimase un attimo lì fermo.
Era vagamente ridicolo, senza più nessun sacchetto in mano, immobile in mezzo al
marciapiede con un’espressione allibita e decine di persone che gli sfrecciavano
accanto quasi senza vederlo ma stando bene attente a non investirlo.
Feci solo sei o sette passi.
- Brian! – mi chiamò. Mi voltai
a guardarlo e non dissi niente, - …se non costa troppo ne prendiamo due uguali.
– si arrese, sospirando affranto e muovendosi verso di me con passo lento e
strascicato.
Evitai di ridere sotto i baffi e
mi limitai ad un sincero e sereno sorriso d’approvazione.
Lui lo apprezzò.
***
Squilla il cellulare. Di nuovo.
Spero che sia Matthew, perché io non ho il coraggio di richiamarlo e chiedergli
scusa, ma spero che lui mi richiami per permettermi di farlo. È una cosa idiota,
lo so.
Quando alzo il telefono e
riconosco il numero sul display, penso anzitutto che non è Matt. E questo mi da
fastidio.
Poi apro la comunicazione e
saluto il mio interlocutore.
-Ciao, Vin.- esordisco,
prendendo mentalmente nota dell’evento/telefonata per poterlo segnare negli
annali storici.
Ho un tono apatico, perché c’è
una sola ragione al mondo per cui Vincent può chiamarmi ed è Stefan. E siccome
Stefan oggi mi odia, allora Vincent non può avermi chiamato se non per parlare
di questo dopo essersi sentito con lui.
Ed invece no.
-Mi ha chiamato Matthew.- mi
risponde lui, senza neppure salutarmi.
A Vincent non piace utilizzare
parole che può risparmiare, i saluti per lui sono impliciti in una conversazione
telefonica. “Ti chiamo, quindi so che ci sei tu dall’altro lato del
telefono, quindi è ovvio che ti ho chiamato anche per salutarti”.
Io i suoi ragionamenti faccio
fatica a seguirli, a volte.
Continua, ignorando queste mie
riflessioni.
-Mi ha detto che tu e Stefan
avete litigato.
-Te lo avrà detto anche Stefan!-
sbuffo io ironico.
-No. A lui non piace discutere
certe cose per telefono. Ma l’ho sentito alterato.- mi concede brevemente.
Sbuffo ancora.
-Brian. Piantala.- mi rintuzza,
stizzito come al solito dai miei comportamenti.- Non mi pare tu sia nella
posizione di poter fare lo sbruffone. Hai torto marcio.
“Tanto per cambiare”, penso io
annoiato.
-Andiamo, Brian. Lo sai tanto
quanto me, quindi non farmi perdere tempo in chiacchiere inutili.- ci aggiunge,
giusto per gradire.
Mi irrita da morire. Mi irrita
sempre! Mi alzo di scatto, mettendomi a sedere tra le coperte mentre borbotto
qualcosa in sottofondo, tanto per fargli capire che può anche fermarsi lì e non
andare avanti.
Lui mi ignora ancora.
-Sappiamo entrambi che, per
quanto Stefan possa essere tollerante, questo tuo atteggiamento geloso e
possessivo è assolutamente fuori luogo. Ed è assurdo che tu non sia nemmeno in
grado di controllare il tuo istinto e di evitarti figure pessime come
quella che hai fatto stavolta.
-Non psicanalizzarmi!-
ruggisco ferocemente.
-Non ti sto psicanalizzando! Si
chiama “buon senso”, Brian Molko!- ritorce lui.
Sbuffo per l’ennesima volta
dall’inizio della conversazione. E questa cosa mi da la misura di quanto io mi
stia rendendo ridicolo anche con Vincent. E della necessità di piantarla finché
sono in tempo, perché – tanto per cambiare, appunto – lui ha ragione.
Lo sento respirare a fondo,
prendere tempo e raccogliere la pazienza come si fa quando si deve parlare con
un bambino piccolo. Torna a farlo in tono studiatamente calmo e posato.
-Senti, Brian.- mi richiama.
Aspetta per essere sicuro che io ricacci indietro il fastidio e mi metta nella
disposizione d’animo di ascoltarlo davvero. Riprende da lì.- Stefan, per quanto
possa essere arrabbiato, non riesce ad avercela con te troppo a lungo.- Odio la
sola idea che possa aver espresso in forma analoga lo stesso concetto
espresso da Matthew al riguardo.- Ma al di là di lui, resta il fatto che tu ti
sia comportato in modo molto sciocco. Davvero troppo sciocco, vista la
tua età, visto che eri già stato più volte gentilmente rimbrottato
sull’argomento e visto che non sei da solo in quel posto, ma devi convivere con
altri tuoi colleghi. E sai meglio di me che tutti i luoghi “ristretti”…
-Generano già di per sé
maldicenze.- sospiro completando al posto suo la frase.
-Esatto.- mi rabbonisce
Vincent.- Quindi, andarsele a cercare assumendo un comportamento eccentricamente
egocentrico e dispotico, non è il massimo.
-No.- convengo, rassegnato e
sconfitto. Mi lascio ricadere con le spalle contro la parete della cuccetta ed
aspetto il resto.
-Non te lo sto dicendo perché
provo un perverso piacere nel farti la paternale, Brian.- ci tiene a specificare
Vin. Ed io penso che se lui provasse un “perverso piacere” nel farmi di quei
discorsi, io avrei almeno un motivo valido per dire a Stefan che il suo uomo mi
odia.- Te lo sto dicendo perché voglio darti un consiglio sereno su questa cosa.
-Quale consiglio?- mugolo in
tono così basso da fare fatica per primo a sentirmi.
Ma Vincent ormai è abituato
a me. Quindi, non trova difficoltà alcuna nell’evitare questi trucchetti pietosi
che adotto per autodifesa strenua. Interpreta benissimo e mi risponde anche.
Sbufferei di nuovo se non avessi
dei seri problemi con la mia autostima nel farlo.
-Il mio consiglio è che tu
chiarisca anzitutto con Stefan, che sta aspettando solo una scusa per
perdonarti. Chiaramente.- esordisce, infatti, Vin.- E quindi vada a scusarti,
pubblicamente, con Gerard Coso o come accidenti si chiama lui.
…dimenticavo che Vincent ed il
mondo del rock sono due realtà che si svolgono su rette parallele.
-Brian?- mi chiama quando il
silenzio si protrae troppo a lungo per continuare a permettermi di fuggire le
mie responsabilità.
Interrompo le interessanti
riflessioni che stavo conducendo sul perché diavolo Stefan abbia scelto
proprio un accidenti di psicanalista come compagno. E per giunta abbia scelto il
proprio psicanalista, come compagno. E riporto la mia attenzione su di lui.
-…ci sta provando con il tuo
uomo.- dico con cattiveria palese.
Vincent ride. E quando lo fa io
sono costretto a prendere atto di una delle innumerevoli ragioni che hanno
indotto Stefan a sceglierlo come compagno.
-Brian, se avessi anche solo un
minimo dubbio su Stefan, non potrei starci ancora assieme.- mi fa notare
gentilmente. Ed io immagino il sorriso tranquillo che si disegna sul suo volto,
dando un minimo di luce a quegli occhi azzurri e glaciali- Non è che fate
esattamente… gli idraulici… o che so io. Passate più tempo lontani da casa, di
quanto ne passiate a casa. Credi che Gerard, o come si chiama, sia il primo o
l’ultimo che ci prova con Stefan?- mi domanda in tono morbido.
Sospiro.
-No.- ammetto a mezza voce.
-Bene. Allora fa come ti ho
detto.
Vorrei mandarlo a quel paese.
Giusto per ringraziarlo del consiglio. Ma non posso farlo, perché sento i passi
di qualcuno, poi la tenda della zona notte viene scostata e mi ritrovo in faccia
lo sguardo di Stefan, che ricambia il mio.
-Riattacca e digli che lo
richiamo io dopo.- mi dice, sorridendo.
E se mi sorride significa che
non mi sottoporrà al secondo round del suo sdegno, ma parlerà con me per
chiarire questa cosa.
-Scusami, Vin, lo hai sentito.-
riferisco al mio interlocutore.
Lo sento sghignazzare e
rispondermi un “va bene” conciso, che precede il suo chiudere per primo la
telefonata.
Stefan solleva le braccia ed io
vedo che ha il cellulare in mano anche lui, le incrocia sul petto e mi guarda.
Adesso sono io a ricambiare il suo sguardo.
Sospiro.
-…scusa…- butto lì, girando gli
occhi intorno a me per non dover continuare a fissarlo.
-O.k.- risponde lui. Mi viene
vicino e mi batte una pacca sulla gamba per farmi cenno di lasciargli posto
accanto a me. Ubbidisco, permettendogli di accomodarsi nella cuccetta.- Come
stai?- s’informa.
Io sorrido malignamente. La mia
piccola vendetta devo prendermela comunque, penso.
-Potrei essere anche morto e tu
non lo avresti nemmeno saputo!- esclamo arricciando il naso, offeso.
-Lo avrei saputo, invece.-
ribatte lui tranquillamente.- Figurati se la notizia non avrebbe fatto il giro
del Festival in meno di mezz’ora.
-Cretino!- ritorco tirandogli un
pugno sul braccio.
Ride. Io mi rilasso e prendo a
respirare normalmente.
Ho freddo per via della febbre e
penso che stargli vicino mi aiuterà a riscaldarmi. Mi accoccolo contro di lui,
sentendo il suo profumo. Stefan mi lascia fare, condiscendente come sempre ai
miei capricci.
-Dove sei stato?- borbotto
contrariato.
-Ho suonato con i MyChem.- mi
risponde lui.
Per poco non mi strozzo nel
mandare giù la saliva che ho in gola.
Gli giro addosso uno sguardo
sgranato ed allibito, che lui sostiene senza scomporsi, aspettando solo che
faccia un’altra scenata. Lo so che se la sta aspettando. E so che se gliela
faccio davvero, le mie scuse di due minuti fa saranno state completamente vane.
-Ah.- dico quindi, registrando
l’informazione.- …potevi dirmelo.- faccio notare lo stesso, in tono dimesso.
-Sì, avrei dovuto.- conviene
lui, senza problemi. Scrolla le spalle e prosegue.- Non avevo voglia di
parlarti, però.
-…e ora sì?- chiedo titubante,
fissandolo di sottecchi
Lui ridacchia di nuovo.
-Mi ha chiamato Matt.- mi
spiega.- Mi ha detto che non stavi troppo bene e che, magari, era meglio se
parlavamo in fretta di questa cosa, perché l’avevi presa male.
Respiro. Matthew dovrebbe
imparare a farsi i cavoli propri. Dovrebbe sul serio.
Ma quando guardo Stefan ed
incrocio i suoi occhi, in attesa, mi dico che devo richiamarlo e ringraziarlo. E
farlo anche in fretta, perché se lo merita proprio. Ci mancano solo gli stupidi
problemi di uno stupido compagno dall’altra parte dell’Oceano, che pur essendo
più vecchio di lui – e ritenendosi per questo più saggio, senza avere
nemmeno un motivo per affermarlo – si comporta come un imbecille. Povero Matt,
non lo invidio.
-Mi dispiace. Hai ragione tu.-
confesso rivolto a Stefan.
-Sì, questo lo so.- sminuisce
lui, scuotendo le spalle. Non è quello che vuole, ed io ne sono consapevole, ma
questa storia mi è già costata molto e farla costare ancora di più non rientra
nelle mie aspirazioni.- Brian, sappiamo entrambi che non intendevo affatto dirti
che non ti voglio nella mia vita.- riprende Stefan pazientemente. Ed anche se
sì, lo sapevamo tutti, sentirglielo dire mi fa bene e mi sembra di riuscire a
respirare meglio.- Ma devi smetterla di appenderti a me e Steve, come se fossimo
la tua unica ancora di salvezza. Sei perfettamente in grado di stare da solo e,
comunque, nessuno ti sottrae nulla qui. Meno che meno Gerard Way.
-Sì, certo.- concordo
stringendomi anch’io nelle spalle.
-Bene. Allora gli chiederai
scusa.- pretende lui.
Annuisco. Mi costa fatica farlo.
Mi costerà ancora di più mantenere questa promessa.
Stefan lo sa e mi sorride quando
torno a guardarlo.
-Fa ancora male la gola?- mi
chiede.
Sbuffo.
-Ho la febbre.- ritorco
imbronciato.
-Sì, lo so. Così impari ad
andartene in giro in magliettina quando tira un ventaccio terribile.- ridacchia
lui.
-Tu lo fai sempre!- ghigno
cattivo.
-Io sono io.- afferma lui
serafico.- Vedi di rimetterti in piedi per domani, Brian. O vedremo Alex
davvero, davvero arrabbiata.
Nota di fine capitolo della
Nai, che fa osservare alla Liz che tanto lei scrive comunque per ultima,
visto che pubblica lei!
Ci tengo a rassicurare Isult
sul fatto che né io né Liz abbiano alcunché contro Gerard Way. Anzi!
Personalmente ho una passione “quasi” inconfessata per Porcello, anche se non
sono una fan dei My Chemical Romance.
Detto questo.
La storia si avvia alla sua
conclusione, ormai mancano solo 5 capitoli e l’epilogo e noi non abbiamo nemmeno
messo dito al suo seguito O.O mi chiedo se non sia il caso di cominciare a
metterlo in agenda…
Frattanto, un bacio a tutte
con taaaaaaaaanto amore! *_*
Nota di fine capitolo di liz,
che fa osservare alla Nai che “non c’entra niente” ù_ù perché è una questione di
manipolazione mentale.
Prima di tutto, per Isult: a
me piace Teenagers è_é/ Questo è quanto. Secondo poi: non è vero che non abbiamo
messo mano al seguito! Il prologo, in realtà, è già scritto è_é! Ma tanto, se
continuiamo a pubblicare così lentamente (scusateciscusateciscusateci, siamo
schifosamente imperdonabili e pigre ç________ç!!!), i cinque capitoli e
l’epilogo restanti li vedrete fra un mucchio di tempo è_é Vi ringraziamo tanto
per il supporto e l’affetto con cui ci seguite T.T Siamo così immeritevoli, e
voi siete così amabili T.T Tanto amore ed a presto <3
|
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Capitolo 9 *** Nine. ***
Prima che me ne dimentichi e ven
Prima che me ne dimentichi e
venga giustamente bacchettata da Lizzie…
L’Easily ringrazia i propri
appassionati lettori, in particolare manda un bacione affettuoso a Stregatta,
Erisachan, Isult e Whity.
…they
have trapped me in a bottle…
Nine:
Il mattino ha l’oro in bocca.
Tranne il mio. Il mio sa di
veleno.
Ieri sera, dopo che Stef è
andato via per telefonare a Vincent, ho chiamato Matthew. Mi sono scusato e poi
l’ho ringraziato. Lui ha riso ed ha detto che non avevo nessun motivo per
ringraziarlo. Poi mi ha chiesto se fosse tutto a posto.
Ed io ho ricominciato a
lamentarmi.
Matt ci ha messo tutto il
proprio impegno nell’opera di persuasione, ma lo ammetto: questa cosa di dovermi
scusare con Gerard Way non mi va né su né giù. Per un po’ ho anche pensato di
continuare a fingermi ammalato per prendere tempo, ma la faccia di Alex
stamattina, quando è venuta ad informarsi di come mi sentissi, è stata
sufficiente a farmi recedere da ogni proposito di accennare un solo starnuto o
un colpo di tosse.
Stavo palesemente rischiando la
vita. E per un raffreddore – o per un darkettino del cavolo, che insidia
i bassisti altrui – non ne vale la pena.
Così mi sono alzato,
rassicurandola sul fatto che stessi bene, mi sono vestito, scansandola mentre mi
agitava contro un termometro quale arma impropria, e sono sceso dal tour bus,
dopo aver ingollato a stento un paio di sorsi di caffè bollente. Stefan ha
sorriso e si è alzato dietro di me, Steve ha scosso la testa ed ha seguito
entrambi. È carino da parte loro fare da sostegno morale nel momento della mia
umiliazione pubblica.
Chiaramente Gerard è rintanato
nel proprio bus. Sono le nove e mezza del mattino, presumo che, se anche è
sveglio, si stia beatamente rotolando tra le coperte, godendosi i rimasugli di
sogni che ha ancora appiccicati alla faccia.
Il solo pensiero che sia
bastata l’idea di dovermi scusare con lui a far, invece, balzare me giù
dalla cuccetta ad un orario assolutamente indecoroso, mi da i nervi! Per questo
mi fermo davanti alla porta aperta del loro bus. Per questo aspetto di prendere
fiato e di calmarmi. Per questo guardo Stefan, che mi sorride ancora, per
ripetermi mentalmente il motivo per cui sto facendo tutto questo.
Volete ridere? Orario
indecoroso o meno, intorno a questo dannato pullman c’è già una cazzo di
folla di curiosi!
Salgo i due scalini che mi
separano dall’interno e mi affaccio al cucinino.
-Gerard.- chiamo brusco, senza
degnare di uno sguardo nessuno dei ragazzetti che pesco all’interno.
In realtà colgo solo,
indistintamente, la presenza di “qualcuno”, ma non mi soffermo troppo a
chiedermi di chi si tratti, perché li trovo abbastanza stereotipati da avere
difficoltà a distinguerli e ricordarmene i nomi. Fatto sta che alla fine, stante
il prolungarsi del silenzio, sono costretto ad appuntare l’attenzione sui due
che mi fronteggiano, colazioni alla mano e sguardo assente.
Di Gerard nemmeno l’ombra.
Sbuffo.
-Dov’è il vostro cantante?-
m’informo spiccio.
I due si guardano. Poi tornano
a guardare me. E mica chiudono quelle boccacce spalancate in espressioni di
stupore attonito! Indicano la tendina della zona notte, io giro lo sguardo
seguendo le loro dita, ma poi inarco un sopracciglio e torno a fissarli.
-Mica posso andare a
chiamarmelo da solo.- faccio notare colloquiale.
Uno dei due scatta come se lo
avessi minacciato. Mi supera d’un balzo, riuscendo non so come ad evitare di
urtarmi nonostante gli spazi ridotti, e s’infila di corsa dietro la tenda. Sento
una mezza protesta, un vociare confuso, un’esclamazione strozzata molto simile
ad un’imprecazione, e poi la tenda viene scostata di nuovo e Gerard appare in
tutta la propria incazzata “magnificenza”. Dardeggiando su di me.
…Dio…se esisti dimostramelo ed
inceneriscilo.
-Tu. Cosa. Ci fai. Qui.-
m’interroga, sillabando la richiesta per essere sicuro che mi arrivi chiara.
“Respira, Brian.”
Mi guardo intorno. Non c’è
spazio e non c’è aria. E non c’è Stefan a vedere come questa specie di moccioso
rotolante mi stia apostrofando con così poca grazia.
-Ti spiace se usciamo?-
domando, facendo finta di non aver colto il suo tono.
Non aspetto che mi risponda, ma
mi volto e rifaccio i due gradini a ritroso, inseguito da un “Brian!” che
vorrebbe mettermi in soggezione ma che mi da semplicemente un fastidio
abominevole. Piombo sul piazzale e faccio qualche passo per discostarmi
dalla porta e dargli modo di catapultarsi fuori, dietro di me, e raggiungermi in
mezzo alla folla di cui sopra.
-Mi dispiace molto per averti
trattato a quel modo.- dico tutto d’un fiato a quel punto, non dandogli neppure
il tempo di accorgersi di quello che sta succedendo.
Ed infatti lui ci mette qualche
minuto a capire. Mi osserva un attimo, mentre io me ne sto di fronte a lui
imperturbabile. Gli ho sciorinato le mie scuse come se gli stessi gettando
caramelle, con disinteresse evidente. Ed anche se non era quello che volevo –
assumere un tono incolore – l’ho fatto, per cui immagino già da solo che come
scuse non valgano troppo. Tanto più che continuo a ricambiare il suo sguardo
stupito e perplesso in modo così sfacciato che, se potessi sdoppiarmi e parlarmi
da solo, mi prenderei a ceffoni.
-…sai che cazzo me ne faccio
delle tue scuse?- mi risponde lui, infatti. La sua voce si alza progressivamnte,
da quel sussurro strozzato diventa pian piano un grido trattenuto a stento. Io
non mi muovo e non batto ciglio. Lui continua- Tu sei la peggiore checca
isterica con cui abbia mai avuto a che fare.- afferma.- Sei un arrogante,
saccente, presuntuoso figlio di papà, che crede di poter venire qui a prendermi
per il culo davanti a tutti e così fare la figura di quello “figo”…!
-Ti ho solo chiesto scusa.- lo
interrompo laconico.
-No, tu mi stai insultando
ancora!- corregge lui ferocemente.- Chi cazzo ti credi di essere, Molko?! Pensi
che ci sia un motivo per il quale tu devi essere considerato migliore di
chiunque altro?!
-Senti, Way,- sbuffo io senza
lasciarmi tirare in mezzo al litigio.- non so cosa cavolo vuoi dire, io sono
semplicemente venuto a dirti che mi dispiace di essere stato scortese con te
l’altro giorno. Se questo non ti basta, è un problema tuo.- aggiungo spiccio.
Sento qualcuno premermi sulla
spalla. Mi volto ed incrocio lo sguardo di Stefan, lo fisso interrogativo, ma
lui mi fa cenno di andare via, così scrollo il capo e mi volto di nuovo.
-Se c’è altro, sai dove
trovarmi.- liquido il mio interlocutore.
Seguo Stefan, osservandolo
infastidito mentre accenna un saluto a Gerard prima che suo fratello venga a
riprenderselo di peso per trascinarlo all’interno del bus. Quando arriviamo al
nostro, mi ci infilo risolutamente e mi lascio cadere a sedere sul divanetto,
voltandomi ai miei due compagni di band in attesa della ramanzina. Incrocio le
braccia e li fisso corrucciato. Steve è perplesso, non sa come prendermi. Stefan
ride, si appoggia al ripiano del tavolino e mi guarda, incrociando anche lui le
braccia sul petto e fronteggiando il mio astio con la calma consueta.
-Sei l’unica persona che
conosco che riesca a rendersi irritante anche quando si scusa.- mi dice Stef.
Sbotto.
-Cazzo! Lo hai sentito! Non
faceva altro che ripetere che io lo stavo insultando!- strillo.- Ma se mi
stavo solo scusando!- ringhio furioso.- Cosa voleva che facessi?! Che scoppiassi
a piangere e gli chiedessi in ginocchio di perdonarmi?! Se pensa che mi sentirò
in colpa per avergli detto di non rompere i coglioni al mio bassista…!
-Brian.- mi ferma Stefan
pacatamente.- Va bene così.- concede continuando a sorridere.- Adesso ci penso
io.- mi dice poi.
***
So di non avere un carattere
facile.
E so che dire “non facile” è
voler usare un eufemismo ed essere molto carini nei miei confronti.
Ho sempre avuto questo
carattere del cavolo. Già da bambino ero uno di quei ragazzini isterici,
introversi, fastidiosi, che passano il proprio tempo ad osservare il mondo in
silenzio – rendendo le madri fiere dei commenti su “quanto è tranquillo il
piccolo Brian” – e poi, alla prima, scattano come molle riversando tutto l’odio
covato nei propri pensieri sul malcapitato di turno. Adesso ho solo cambiato
bersagli. Ed autorità per strillargli contro.
Il mio staff mi teme. Dicono
che sono irritabile e lunatico come una donna. Ed hanno ragione.
In generale, dicono anche che,
quando sono “in vena”, sono adorabile. Nadine ad esempio mi ama palesemente.
Ricambiata, peraltro. Anche Alex riesce generalmente a tenermi testa a
sufficienza per potermi volere sinceramente bene. Con i tecnici il rapporto è
più ambiguo, oscilla con il mio umore, appunto. Loro lo accettano, ormai sono
rodati e sanno come prendermi anche quando do di matto perché la mia testa è
altrove ed io sono ossessionato dai pensieri.
Quelli con cui ho difficoltà
enormi restano i tipi della produzione. Mi irrita sentirmi dire cosa devo fare,
mi ricorda il rapporto con mio padre e sono quasi sempre insofferente alle
riunioni ufficiali. Devo prepararmi per giorni prima di andarci. Devo essere
spiritualmente e psicologicamente pronto a vedere le loro facce e sentire le
loro ragioni.
Io non sono un idealista. Sono,
anzi, la cosa più lontana da un idealista che sia mai esistita. La disillusione
ed io andiamo a braccetto da quando avevo quindici anni. Forse da prima. Le mie
presunte rivoluzioni non sono state combattute in nome di un bene superiore, ma
in nome del mio bene, quello di Brian Molko e delle ragioni del suo
“voler fare il cazzo che gli pareva”. Sono rivoluzioni riuscite proprio per
questo, secondo me. Gli ideali sono una delle cause principali del fallimento di
qualcosa, non sono mai realizzabili, inevitabilmente s’infrangono contro la
realtà e mandano a puttane gli sforzi fatti per arrivare all’obiettivo.
Per cui, non ho alcun problema
a capire le motivazioni di base sulle quali si fonda il lavoro dei produttori.
Fare soldi. E mi stanno bene, perché coincidono con le mie. Magari non del
tutto, perché io, oltre a voler fare soldi, amo crogiolarmi in tutto quello che
la notorietà ed il successo comportano come “accessorio”, e non rinuncerei a
tutto questo per nulla al mondo. Però il punto è che loro, per fare soldi, mi
dicono come devo comportarmi. E questo mi irrita.
E quando mi irrita troppo,
scatto. E quando scatto, mando al diavolo tutti ed esco sbattendo la porta o,
peggio, resto seduto e comincio a rompere i coglioni come mi riesce tanto bene
fare. Tirata di battute crudelmente gratuite, sorrisetti malevoli e supponenti,
interruzioni random e fuori luogo ai discorsi altrui, contraddizione per
principio di tutto quello che mi viene presentato. “Troppo idiota”, “troppo
intelligente”, “troppo qualcosa, fate voi cosa”…
In entrambi i casi, i poveretti
che stanno sotto mi fissano a disagio e tentano inutilmente di muovermi a pietà,
o di muovere a pietà qualcun altro dei presenti perché li salvino da me. Stefan
scuote la testa, Steve si lascia andare sul tavolo ed Alex mi fissa, sospira,
borbotta e mi caccia fuori a pedate “per parlarmi un secondo, Brian!”.
Il modo migliore per prendermi
è arrivare da me e dirmi “Sig. Molko, avremmo un’idea su come potrebbe essere la
promozione del prossimo album, vorremmo discuterne con lei i dettagli per
poterla mettere a punto insieme”.
O ancora meglio, “Sig. Molko,
fidandoci del suo parere, gradiremmo conoscere quali siano le sue idee per la
promozione del prossimo album, eventualmente ne discuteremmo volentieri con
lei”.
Tutto questo a tavola, davanti
ad un bicchiere di vino d’annata e sorridendomi compitamente.
Sono davvero in pochi i
produttori abbastanza furbi da capire tutto questo.
***
In definitiva, quel pomeriggio
era andato tutto a puttane. E noi avevamo mollato gli uffici della Virgin, per
rintanarci agli Studi, con me più incazzato che mai e Stefan e Steve più
scazzati che mai. Nessuno sembrava intenzionato ad occuparsi del mio umore,
ma tutti sembravano considerare un dovere di Alex cavarsela da sé e trovare un
modo per tenermi buono.
Risultato? Quando Matthew
arrivò, le mie urla contro uno dei tecnici addetti alla sala di registrazione
stavano già facendo il secondo giro di eco per tutto il palazzo. Alex mi aveva
mandato al diavolo meno di cinque minuti prima ed era scesa di un piano per
raggiungere le macchinette del caffè e tentare di ignorare il casino che stavo
combinando, così si incrociarono agli ascensori e si guardarono per un istante.
Matt con una domanda silenziosa negli occhi ed Alex con una risposta ancora più
silenziosa nei propri. Sospirò, entrò nell’ascensore con lui e premette il
pulsante per tornare su ed accompagnarlo da me.
-Brian, che accidenti
succede qui?- esordì Matthew spalancando la porta della sala prove ed
infilandocisi risolutamente dentro.
-Succede che sono degli
incompetenti!- ruggii io aggredendolo.
Matthew girò lo sguardo attorno
a sé. Steve sedeva sconsolato alla batteria, rovesciato in parte sui piatti,
ricambiò la sua occhiata solo per sollevare le sopracciglia in un’ammissione
tacita d’impotenza. Stefan non fece neppure questo, seduto a terra in un angolo
allungò le gambe davanti a sé e si accese una sigaretta, disinteressandosi del
tutto dei divieti in tal senso affissi un po’ ovunque.
-Ti sembra normale che uno
debba lavorare con degli imbecilli che non sanno nemmeno fare il minimo
indispensabile?!- proseguii io, ignorando quello scambio di sguardi e
proseguendo con la stessa ferocia. Mi liberai della tracolla della chitarra,
sbattendola malamente a terra mentre tornavo a grandi passi verso l’uscita, ed
ordinai perentorio.- Vieni! Vieni a sentire lo schifo che hanno fatto!
Matt mi seguì, tornando con me
nella stanzetta di registrazione, dove due individui, di cui non conoscevo
nemmeno il nome – né m’interessava saperlo – ma che da circa un’ora stavano
subendo senza battere ciglio la mia sfuriata, ci fissarono con aria annoiata,
ruotando leggermente sulle poltroncine che li ospitavano.
-Che succede?- ripeté Matt,
senza darmi il tempo di riprendere ad urlare ed imprecare.
-Il Sig. Molko non è
soddisfatto del nostro lavoro.- informò atono uno dei due, arricciando il naso
con evidente fastidio.
-E ne ho motivo!- sbottai io.-
Fategli sentire quella roba che avete registrato!- pretesi, incrociando
le braccia sul petto ed aspettando, mentre l’altro – quello che non aveva
parlato – sospirava pesantemente ed armeggiava con la consolle per far partire
il pezzo.
Matt lo ascoltò in silenzio,
ricambiando lo sguardo che io gli rivolgevo e che consideravo già di per sé
eloquente - insieme con l’ascolto - di quanto tutta quella storia fosse un
complotto contro di me, per farmi impazzire del tutto. Lui non parve condividere
questa opinione, comunque. Così, quando finì la musica, interrompendosi
bruscamente, io non gli lasciai il tempo di fare domande che potessero far
peggiorare il mio umore e lo prevenni.
-E’ qualcosa di indicibile!
Un’ora qui dentro ed ancora non sono riusciti a regolare gli effetti degli
strumenti!- sbraitai.- Cosa diavolo li paghiamo a fare?! E’ ovvio che non
sono in grado di fare il proprio lavoro!- ribadii.
Matthew guardò i due tecnici,
cogliendo le loro smorfie infastidite alle mie spalle. Io non li guardai, ma
delle smorfie sapevo lo stesso, perché ne avevo colte a centinaia in situazioni
analoghe sulle facce delle persone più disparate. Respirò. Scrollò le spalle per
togliersi dalla posizione rigida che aveva assunto, innervosito dal mio
comportamento, e si tolse il cappotto.
-O.k., il basso si sente poco,
in effetti.- esordì lasciando l’indumento su una terza poltroncina in un angolo.
Se l’allungò vicino con un piede e sedette, servendosi poi delle rotelle per
arrivare fino alla consolle.- Ora vi do una mano anch’io e vediamo di
sistemarla.- propose collaborativo, intanto.
I due tipi lo fissarono
scettici. Io esitai quel tanto che bastava perché cominciassi ad accettare
l’idea e Matt mi guardò serafico, in attesa della mia decisione, già accanto
alla consolle.
-…o.k….- borbottai tornando
indietro.
***
Posto che Matt riesce nel
meraviglioso intento di calmarmi quando do di matto, Alex non può che amarlo in
modo appassionato e sincero.
Quando quel pomeriggio ci
raggiunse nuovamente nella sala prove, trovandoci intenti a discutere con
Matthew delle possibili modifiche del pezzo e con i tecnici dei possibili
effetti da applicare alla strumentazione, pensò che il mio ragazzo avesse delle
doti paranormali, che lo rendevano molto simile ad un supereroe da fumetto
americano. E quel giorno, Matthew si conquistò un posto nel suo cuore
indipendente da quello che aveva già assunto all’indomani dell’inizio della
nostra relazione ed a seguito dell’incidenza mediatica che questo aveva avuto.
-…e quindi, se lo cambi a
questo modo…- E qui Matt infilò un arpeggio di pochi secondi che trovai
semplicemente delizioso. Così come trovai delizioso che stesse suonando la
mia chitarra, sebbene fosse un pensiero “da mocciosa” che mi urtava non
poco. Ma non riuscivo proprio a smettere di pensarci e…- Bri?
Mi riscossi, tornando a
concentrarmi su di lui.
-Sì, scusa.- mormorai.
-A me piace.- annunciò Stefan,
che evidentemente aveva seguito molto più di me.
-Anche a me.- concordò Steve,
annuendo con convinzione.
Spostai lo sguardo dall’uno
all’altro.
-Vi piace?- ripetei. Loro
scrollarono le spalle ed io guardai Matt.- Fammi rivedere come si fa.- concessi,
per accorgermi del suo sorriso soddisfatto.
Alex ridacchiò, distraendoci
tutti e quattro.
-Attento a non trasformarmeli
in una cover band dei Muse, Matt.- lo redarguì divertita.
-Nah, ma non c’entra nulla con
quello che suoniamo noi.- si schernì lui imbarazzato.
-Sì, è vero. È molto “nel
nostro stile”.- convenne Stefan.
E Steve rise.
-Talmente nel nostro stile,
Bellamy, che c’è da chiedersi da quanto ci ascolti!- esclamò prendendolo in
giro.
E Matthew arrossì e balbettò
qualcosa, mentre si sfilava la jaguar per restituirmela.
-Piantala, Steve.- lo
rimproverai distrattamente, fingendo di lasciar cadere lì il commento.-
Riprendiamo, così vediamo di registrare questa roba stasera, se riusciamo.
-Uh, sarebbe il massimo!-
affermò Alex speranzosa.- Andiamo, Matthew, ti offro un caffè.- invitò poi,
uscendo per prima.
Scoccai un bacio a fior di
labbra a Matt quando si voltò a salutarmi, e poi mi tirai dritto ed infilai la
tracolla.
-Sparisci.- ribadii
indicandogli con un cenno del capo la porta ed Alex.
-Ci becchiamo dopo?- mi chiese.
-Cena fuori.- risposi io
spiccio.- Ora levati dai piedi che devo lavorare.
***
Lo abbiamo fatto con le sue
variazioni, quel pezzo. È una demo per l’album nuovo. Non so come verrà alla
fine, ma so che piace a tutti e tre.
Mica male, visto che è anche il
lavoro di un fan.
Quando scendo dal palco la
sera, mi sento bene. Stefan ha chiarito con Gerard, ma ovviamente lui mi odia
ancora. Non che questo mi interessi, s’intende. Il punto è che Stefan ha
chiarito con me ed ora tra noi tre le cose sono esattamente come prima. Con la
nostra intesa perfetta, con quel comprendersi solo con un cenno, con il nostro
essere un trio. Mi piace. Mi piace respirare sul palco tutto questo.
Per cui, quando scendo da là
sopra la sera, penso che è stata un’esibizione fantastica. E non importa che lo
sia stata o meno, lo è stata per me.
Trovo Alex che ride con
qualcuno al mio cellulare. Quando mi vede, mi fa un cenno con la mano per farmi
avvicinare, ed io vado verso di lei.
-…sì, è qui. Te lo passo.- dice
veloce al proprio interlocutore.
Mi passa il telefono con un “è
Matt” lasciato cadere, ed io lo prendo e sorrido contro l’apparecchio.
-Ciao!- sbuffo subito.
-Ciao.- risponde lui.-
Calcolati bene i tempi per beccarti mentre uscivate?- mi domanda divertito.
-Sei terribile!- ridacchio io.
-Alex mi ha detto che siete
stati fantastici.
Mi piace che lo pensi. Il mio
sorriso si accentua.
-Il solito.- sminuisco,
scrollando le spalle.
-Bri, devo cercarmi i filmati
in internet?- s’informa lui, ridendo.
-Piantala, scemo!- sbotto
facendogli eco.- O.k., siamo stati fantastici.- ammetto con una più sincera
immodestia.
Stefan e Steve mi passano
accanto, Stef mi batte sulla spalla per richiamare la mia attenzione e fa cenno
verso il palco.
-Ah, dobbiamo uscire per i
ringraziamenti…- dico affrettatamente.- Ti mollo di nuovo con Alex.- gli
annunciò un istante prima di allungare il cellulare alla mia manager.
Esco sul palco. La folla chiama
i nostri nomi.
Penso che dovrei esserci
abituato. Che non dovrebbe fare più effetto. Stefan concede inchini ed abbracci
come sempre, io rido divertito da tutte le moine con cui ricambia il loro
affetto. Lascio andare un bacio generale e saluto.
Qualcuno dalle prime file
lancia un gattino sul palco. Un pupazzetto di peluche marroncino, tigrato, che
rotola proprio davanti a me.
Di solito non lo faccio.
Di solito ignoro queste cose.
Le trovo infantili e mi sentirei terribilmente stupido a darvi seguito.
Ma lo raccolgo, ringraziando
con un cenno, ed esco dietro Steve.
Stefan mi ha aspettato. Mi
fissa sorpreso anche se non gli rispondo, poi mi passa un braccio intorno alle
spalle e mi accompagna fuori.
C’è Alex dietro le quinte che
mi tende di nuovo il telefono.
Nota finale di liz & Nai
(una volta tanto, unica!):
Questo non perché, come
potreste giustamente supporre avendo in mente un’idea di Nai serena ed
equilibrata, lei sia stanca o assente o che altro, no. Solo perché è una dannata
pigrona e, figuratevi, quando le ho detto di scrivere una nota, mi ha detto “va
be’, falla tu, dì a tutti che li amo e blabla. Salutameli”. Che pigrona u.u Che
ingrata u.u Che essere inqualificabile u.u
Come avrete intuito, sono la
liz *_*! E mai come oggi le mie note sono inappropriate, perché di questo
capitolo non ho scritto una benemerita sillaba *____* Ma questo mi porta anche a
dire con estrema gioia e senza peccare d’immodestia che è bellissimo ed io lo
amo, ovviamente <3
E, come diceva Nai poco fa,
in realtà questa storia è una dichiarazione d’amore nei confronti di Matt.
Sincera e spassionata <3 *commuoviamoci* *lolla*
Grazie ancora a tutte per i
complimenti, siete splendide <3 A presto *_*
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Capitolo 10 *** Ten ***
L’Easily
Forgotten Love ringrazia Whity, Erisachan, Isult e Stregatta
per averci come sempre regalato un commento a dimostrarci il loro
affetto.
Che
noi ricambiamo con un bacione enorme! *_*
…they have trapped
me
in a bottle…
Ten:
-Come lo hai
chiamato?
Alzo
leggermente lo sguardo,
senza muovere la testa, con il mento poggiato sul dorso delle mani
sopra il
tavolino nel tour bus.
-Leonida.-
rispondo a Stefan, che
ridacchia e mi posa il caffè davanti la faccia.
Scosto la
tazza per riprendere a
fissare negli occhietti pallati il mio gatto di peluche marroncino e
tigrato.
-Leonida
è un nome idiota.-
afferma Steve perentorio, attraversando il corridoio per arrivare al
cucinino
ed infilare la testa nel frigorifero.- Brian, hai di nuovo mangiato
tutte le
mie merendine?- mi chiede sollevando la testa di scatto.
-Sì.-
ammetto spiccio.- Ma
stavolta sono stato previdente!- affermo poi, alzandomi ed uscendo da
dietro il
tavolo.
Raggiungo
Steve e mi allungo al
di sopra della sua schiena per aprire uno degli sportelli del cucinino.
Tiro
fuori un pacco di merendine ancora intonso e glielo mostro con un
sorriso
compiaciuto.
-Al
cioccolato!- annuncio.
Lui sorride,
mi scompiglia i
capelli come si farebbe con un bambino piccolo ma accetta il regalo e
viene a
sedersi con me e Stefan intorno al tavolo. Leonida ci fissa dal centro
esatto.
Gli rimando l’occhiata mentre spacchetto una delle merendine
che Steve mi ha
passato.
-Il
cioccolato è una delle sette
meraviglie del mondo.- afferma oziosamente il mio batterista,
osservando compiaciuto
la crema scura e densa che fuoriesce dal pan di Spagna.
-Sono quasi
sicuro di no, Steve.-
ribatte Stefan incolore.
-Non capisco
perché tu dica che
Leonida è un nome idiota.- borbotto contro Steve.
-Brian, a
volte ti fissi sulle
cose…- interloquisce ancora Stef.
-Non
potrò più guardare
“Trecento” con gli stessi occhi.- mi spiega intanto
Steve- Avrò sempre
l’immagine di una specie di coso peloso che mi fissa con
occhi pallati.
Arriccio il
naso. Guardo il
gatto, poi di nuovo lui.
-Ti
somiglia!- affermo.
Ed a quel
punto, Chester entra a
salvarmi dalle veementi proteste del mio batterista.
-Brian!- lo
sento chiamare quando
è già dentro il tour bus. Ha un sorriso enorme in
faccia, scruto il suo
entusiasmo chiedendomi da cosa dipenda, ma lui non sembra intenzionato
a
svelarmene i motivi.- Io sto andando in città, mi chiedevo
se ti andava di
venire con me.- mi propone invece.
Mi stringo
nelle spalle.
-Se mi dai
dieci minuti per
infilarmi qualcosa di accettabile…- ribatto.
-Certo.-
annuisce lui subito.- Ti
aspetto all’ingresso.
***
Chester mi
piace. È una persona
semplice, uno di quei ragazzi che non hanno smesso di essere
“alla mano” solo
per via del successo.
Il mio esatto
opposto, insomma.
Ma io,
comunque, non sono mai
stato uno alla mano. Nemmeno prima
del
successo.
Per questo mi
piace avere a che
fare con tipi come lui, non puoi entrare in competizione con uno
così, alla
fine ci passi ore assolutamente rilassate e tranquille. E poi
è un nostro fan.
Meglio, è un mio fan. Ed io sono un egocentrico. Amo avere
gente che mi
rispetta e che mi apprezza intorno, quindi ho una predilezione per chi
riesce a
farlo con una buona quantità di discrezione ed eleganza.
Chester rientra nel
novero di tali individui, per cui mi piace la sua compagnia e, sebbene
di fatto
non ci si conoscesse che di vista prima di questo festival, mi ritrovo
con lui
con una certa facilità.
È
per questo che passiamo fuori
tutta la giornata. Attraversiamo la città a piedi, ci
infiliamo in negozi di
souvenir e ci riempiamo di cianfrusaglie inutili. Penso distrattamente
che
l’anno prossimo mi ritroverò un nuovo scatolone
pieno di ricordi da tirare
fuori quando sarò di cattivo umore, ma non riesco ugualmente
ad impedirmi di
comprare a Steve un assolutamente inutile ed orribile paraorecchie
peloso.
Mentre rovistiamo negli scaffali, Chester mi parla, mi racconta di
sé, della
band, del lavoro in genere. Ci scambiamo battute distratte, ci fermiamo
a
mangiare da qualche parte e ripartiamo per un altro giro dopo pranzo.
Quando
rientriamo al festival, in
tempo per il concerto, ci separiamo infilandoci rapidamente nel
backstage.
Nadine mi accoglie strillando che se continuo ad arrivare
così tardi si
licenzia, io scrollo le spalle e le dico una cosa carina per tenermela
buona,
mentre raggiungo la costumista per cambiarmi.
Stefan,
già pronto per uscire in
scena, mi raggiunge mentre Nadine sta finendo di sistemare il trucco.
-Divertito?-
mi chiede.
-Ho comprato
cose inutili,
chiacchierato di cose futili e mangiato schifezze.- riferisco
brevemente,
chiudendo gli occhi per lasciare che il mascara allunghi innaturalmente
le mie
ciglia.- Certo che mi sono divertito!- affermo quindi.
-Ed abbiamo
anche trovato il
tempo per spettegolare della nuova fiamma di Ville Valo.- aggiunge
Nadine,
ridacchiando insieme con me al pensiero delle ciarle che ci siamo
scambiati
poco prima.
-Bene.-
sorride Stefan- Io suono
di nuovo con i MyChem.- mi dice quindi.
***
- Non avevano
davvero bisogno di
un altro bassista. – preciso con uno sbuffo contro la
cornetta, dopo essermi
lasciato ricadere nella mia cuccetta sul tour-bus, - E tra
l’altro due linee di
basso non c’entrano niente con la musica dei My Chemical
Lagnance. Per non
parlare del fatto che chiaramente Stefan non aveva una propria
linea di basso, per quelle canzoni, e ovviamente Mickey Way
è troppo perfetto per
permettere a
qualcun altro nell’universo di utilizzare la sua! E quindi,
di conseguenza, il
mio bassista è stato anche costretto a perdere del tempo per idearne una nuova! Come non
avesse già abbastanza da
fare!
Termino lo
sproloquio e resto in
attesa.
Devo dire la
verità: vedere Stef
suonare coi My Chemical Romance mi ha irritato, ma non tanto quanto sto
cercando di dare a bere a Matthew. Ho solo voglia di sentirmi un
po’
rassicurato, e questo è uno dei trucchi meschini che
utilizzo con gli altri
quando sono in queste condizioni: fingo uno stato d’animo che
non mi rispecchia
per sentirmi dire ciò che voglio.
Matt,
dall’altro lato della
cornetta, per un po’ non dice niente.
Poi respira
faticosamente e
sbotta un “mh” che non capisco se prendere come un
incitamento a proseguire o
chissà che altro.
Proseguo.
- No,
davvero. – insisto, - Con
Gerard mi sono scusato e tutto, ma non capisco per quale motivo debbano
stare
così appiccicati! Non è per gelosia… -
mi fermo, ridacchio, - Ok, non solo;
è anche per rispetto nei confronti
dello stesso Gerard! A lui Stefan piace sul serio. Alla fine Stefan lo
pianterà
in asso come niente e lui ci resterà male. Come fa Stef a
non capirlo?!
Mi interrompo
di nuovo ed
aspetto.
Matt respira
ancora, sempre più
faticosamente.
- Matthew?
– lo chiamo,
preoccupato, - Ma stai bene?
Lui si prende
ancora del tempo.
Odio quando
lo fa.
Significa che
vorrebbe dirmi
delle cose che mi irriterebbero, e sta cercando di trovare un modo per
addolcire la pillola prima di ficcarmela in gola.
-
Dovresti… smetterla di
parlarne. – mi dice seccamente dopo un po’.
- Mi lamento
quanto mi pare e
piace. – sbotto con tono falsamente irritato.
- No,
dovresti smetterla di
parlarne e basta. – afferma lui, più duramente.
I respiri
riprendono, aritmici e
spossati come se dovesse tirarseli fuori dal petto per forza.
Realizzo
d’improvviso che Matthew
è nervoso.
- Matthew,
guarda che scherzavo…
- preciso, un po’ incerto, sperando di interrompere
l’apertura del baratro
enorme che mi si sta formando sotto i piedi.
- Certo.
– borbotta lui,
sospirando pesantemente, - Scherzavi. Ma è più di
una settimana che ti sento
parlare solo di questa storia. Mi dà fastidio.
- Ma Matthew-
- provo ad
interloquire, roteando gli occhi.
- No!
– urla lui, zittendomi. –
No. – ripete più a bassa voce, cercando di farmi
capire che è davvero al limite
della sopportazione e non mi conviene spingerlo ancora, - Come diavolo
fai a
non capire?! Posso sentirti solo per telefono e solo due o tre volte al
giorno,
altrimenti sia i miei che i tuoi compagni di band desidereranno la mia
testa su
un piatto d’argento, e quando finalmente riusciamo a parlare
l’unico argomento
di conversazione che tiri fuori qual è? Stefan. Stai
cercando di dirmi
qualcosa, Brian?
Il suo tono,
insinuante, affatto educato,
direi addirittura irrispettoso, mi manda su tutte le furie.
- Adesso
calmati. – intimo
freddamente, - Non dire cazzate.
- Dovrei
continuare ad ascoltarti
mentre mi sputi in faccia quanto sei geloso del tuo ex, Brian?
Annaspo.
È
un colpo basso.
Aveva tutte
le armi per farmi una
cosa simile. Gliele ho fornite io, quando gli ho raccontato tutto del
mio
passato, senza omettere neanche un particolare perché
pensavo che non avrebbe
mai potuto utilizzarli a proprio vantaggio contro di me.
Ma
evidentemente mi sbagliavo.
- Come ti
permetti? Bastardo! –
urlo nel telefono, e Dio sa se vorrei averlo davanti agli occhi per
prenderlo a
pugni.
- Certo,
Brian! – strilla lui a
propria volta, con una risata sprezzante, - Urla! Offendimi! Avanti,
fai come
fai sempre quando sai di avere torto! Forza!
- Matthew,
piantala
immediatamente se non vuoi che questa conversazione si trasformi nella
nostra ultima conversazione.
– minaccio a bassa
voce, sperando che ubbidisca.
- Per quello
che t’importa,
Brian, - bisbiglia, ed io tremo perché mi sembra di stare
parlando con la copia
isterica e confusa di me stesso, - credo che sarà comunque
una conversazione di
troppo.
Chiude il
telefono.
Lo fa per
primo ed è la prima
volta che litighiamo in una situazione simile.
Il mio
braccio perde forza, non
riesce più a reggersi e si schianta esanime contro il
materasso della cuccetta.
La presa delle dita si affloscia, e il cellulare rotola fra le lenzuola
fermandosi su uno sbuffo di tessuto, mentre lo schermo va in risparmio
energetico
e diventa grigio. Lo osservo ancora un po’, aspettando che
perda del tutto i
colori e si spenga.
Più
di ogni cosa mi fa male non
sapere cosa diavolo sia successo.
Io e Matthew
abbiamo litigato e
non saprò mai il perché. Sì,
perché il motivo non era la mia gelosia nei
confronti di Stefan, e non è neanche il fatto che siamo
lontani e ci sentiamo
poco. Queste sono solo le aggravanti del caso. C’era un
motivo, dietro al
nervosismo di Matthew. E potrebbe essere stata qualsiasi cosa. Uno
scazzo con
Dom, una performance o un’intervista andati male, magari una
delle sue chitarre
s’è rovinata o ha perso qualcosa di importante in
casa.
Un tassello
della sua vita s’è
staccato dal quadro generale ed è scivolato sul pavimento. E
dopo s’è perduto.
Lui quel
tassello lo conosceva,
perché l’aveva vissuto, e perderlo
l’aveva irritato.
Io non ero
lì. E non l’ho
ascoltato abbastanza.
E quel
tassello non lo conoscerò
mai.
Chiudo gli
occhi e respiro
profondamente per qualche minuto. Cerco il cellulare a tentoni e quando
lo trovo
lo afferro e lo riporto con un gesto lento e stanco sul comodino.
Sollevo le
palpebre ed osservo la lucetta che indica che è acceso
lampeggiare frenetica
per qualche secondo, prima di tornare nel buio.
Mi appisolo
senza rendermi conto
dei minuti che passano nell’attesa del sonno.
So che quando
mi sveglierò starò
ancora male. Perciò spero di svegliarmi il più
tardi possibile.
***
Ovviamente
non succede.
Non succede
quasi mai nulla di
quello che voglio davvero.
Succedono
solo le cose che ho
perseguito con coscienza e volontà. Ostinatamente.
È
per questo che ciò che sono è
diventato sempre più uno specchio di una realtà
distorta. Freddo, caparbio,
falso e duro.
Strappare
alla vita le poche
certezze che è disposta a concederti non è
piacevole. Non è bello. E non ti
rende una persona migliore.
Io non faccio
eccezione.
Apro gli
occhi con una
consapevolezza nuova che mi è strisciata addosso di
soppiatto. Mi si è infilata
in testa, risalendo lungo la spina dorsale, e mi è parso
quasi di avvertirla
mentre mi camminava addosso, sotto pelle, seguendo la linea dei nervi.
Quella
consapevolezza si chiama
bisogno.
Ed insieme si
chiama abbandono.
Le ho
sperimentate entrambe.
Allora ero un ragazzino e, come qualunque altro ragazzino, ci sono
finito
dentro fino al collo. So come finisce. A leccarti le ferite per un
tempo
variabile, tendenzialmente lungo, nel quale comunque non hai diritto di
soffrire, perché la sofferenza è un lusso che
è concesso davvero a poche
persone al mondo.
A me non
è concesso. Ora meno di
ieri.
Dunque, la
consapevolezza di un
bisogno legato a Matt e della
sensazione fisica connessa al suo
abbandono sono qualcosa che non posso permettermi.
Questa
consapevolezza sveglia la
parte di me che ha imparato ad essere uno specchio e lei, quella parte,
decide
che è arrivato il momento di agire.
Mi tiro in
piedi, lancio uno
sguardo distratto al telefono e lo vedo ancora quieto e silenzioso sul
ripiano.
Il led lampeggiante mi dice che è rimasto nella stessa
silenziosa immobilità da
quando l’ho posato lì.
Lo ignoro.
Sistemo la
camicia in pochi gesti
impersonali e già mi sto muovendo verso l’uscita
del bus.
Da fuori
arrivano i rumori di una
festa. Si avvicina la fine del festival, è arrivato il
momento di divertirsi e
lasciarsi andare, allentare un po’ la tensione accumulata con
la concentrazione
di questo mese.
Penso
vagamente che tra
pochissimi giorni sarò a casa. Il mio stomaco mi dice che ho
perso il motivo
per tornarci solo pochi minuti fa. La mia testa lo ignora e mi indica
le luci
in lontananza, da dove proviene tutta la confusione.
Quando
arrivo, stanno
organizzando un paio di gruppi per andare in città. Mi viene
incontro Chester,
riconoscendomi da lontano; ha un sorriso gigantesco, perfino
più grande di
quello del mattino, l’adrenalina del palco lo ha reso
euforico ed io mi concedo
un sorrisetto sarcastico, pensando tra me e me che è solo un
ragazzino.
Lo specchio
che sono diventato ha
superato l’euforia delle esibizioni da un pezzo. Sa
riprodurla quando serve. E
sa mentire quando gli viene chiesto.
Quindi
Chester non si accorge di
nulla nell’avvicinarmisi felice.
-Brian, vieni
con noi?- mi chiede
rapido, indicando un paio dei propri compagni di band e qualche altro
tizio a
caso che si stanno già infilando nelle auto parcheggiate in
fondo al piazzale.-
Andiamo a bere qualcosa.
A giudicare
dalle facce di tutti
– compresa la sua – hanno già iniziato a
bere qualcosa mentre erano qui. Ed
il qualcosa sta facendo anche
effetto.
Penso che
dovrei tornare
indietro, prendere il cellulare, chiamare Matthew e scusarmi.
Ma
è sempre il mio stomaco a
pensarlo.
La testa gli
ricorda pacatamente
che Matthew non sarà in eterno lì
dov’è.
E quindi
perché ostinarsi a
credere il contrario?
-Sì,
perché no?- mi stringo nelle
spalle.
Il sorriso di
Chester diventa
ancora più luminoso. Ne sono compiaciuto. Lo ammetto.
È
troppo tempo che non mi godo la
sana adorazione degli altri.
Troppo
distratto per accorgermi
che il mondo intorno a me mi regala ancora le solite, abitudinarie
certezze di
sempre.
***
Ho bevuto. E
tanto.
Mi sento
terribilmente confuso.
Ad inizio
serata ho chiesto a
Chester se sapeva dove fosse Stefan. Credo mi abbia risposto che lui ed
i
MyChem mi avevano cercato e poi erano usciti in città anche
loro.
Lo credo
solo. Ma più che altro
perché ricordo di aver provato una certa irritazione. Magari
avrei potuto
parlare con lui, Stefan ha il dono di ridimensionare le cose. Io ho
solo quello
di capire quando è il momento di ridimensionarle.
Chiaramente
la serata aveva
deciso di prendere una piega diversa.
Osservo
distrattamente la
confusione terribile del locale. Quasi tutti quelli con cui siamo
arrivati si
sono trovati di meglio da fare che restare seduti al tavolo. Mi chiedo
perché
Chester non rimorchi qualcuno e si levi dalle palle anche lui. Ma non
sembra
intenzionato a farlo e continua a sciorinare stronzate al mio orecchio,
mentre
io evito di ascoltarlo e continuo ad ordinare da bere.
Mi ricordo
che Matt ha sempre
detto di amare la mia voce.
È
stato uno dei suoi complimenti
preferiti per un tempo terribilmente lungo.
In
realtà lui non lo recepiva
nemmeno come un complimento: quando mi diceva che gli piaceva la mia
voce
intendeva dire che avrebbe potuto restare per ore ad ascoltarmi cantare
senza
avere il coraggio di respirare troppo forte per paura di rovinare
qualcosa.
Il fatto che
dietro al suo
concetto di “amore” per la mia voce ci fosse
questo, dal canto mio, mi ha
sempre messo in soggezione.
Non
è facile essere amati da
qualcuno che si stima. Ci si sente in difetto comunque, non
all’altezza, e si
tende a vedere nelle attestazioni dell’altro dei contentini
al nostro orgoglio
già ferito o, come nel caso di Matt, quando è
impossibile pensare che siano
menzogne, degli impegni pesanti da rispettare per non deludere
l’oggetto della
nostra ammirazione.
È
molto più facile avere relazioni
che non implichino la superiorità di nessuno dei due.
O, in
alternativa, relazioni in
cui si sia il soggetto più forte fin dall’inizio e
si permanga in tale
condizione fino alla fine.
La fine
inevitabilmente arriva.
Oscilla su un bordo, guarda giù e ci cade.
Sprofonda. In
un mare liquido e
torbido che è il pozzo senza fondo dell’animo
umano. Un incidente di percorso.
Ma in fondo
qualsiasi vicenda
umana è classificabile come incidente di percorso, no?
Vorrei che
questo incidente non
fosse mai accaduto. Matt è qualcosa di troppo, qualcosa da
cui rischio
seriamente di non riprendermi come vorrei. Non posso permettermelo.
Così
quando inizio a ricordare
che lui mi ha sempre detto di amare la mia voce, ricordo anche che una
delle
volte in cui me lo ha detto eravamo a letto. Avevamo fatto sesso e,
come nelle
peggiori tradizioni, io avevo deciso di fumare. Sono impulsi che
vengono in
automatico, a distanza di anni non ci fai nemmeno caso più
di tanto, così mi
ero messo seduto tra le coperte ed avevo allungato una mano al
comodino,
scavando nel cassetto alla ricerca di accendino e pacchetto.
Matt mi aveva
fissato in silenzio
per un po’. Aveva tirato su la testa dal cuscino e si era
appoggiato con il mento
alla mano, scrutandomi da sotto in su mentre io mi appoggiavo
all’indietro
contro la testiera del letto.
-Brian.- mi
chiamò dopo un po’.
Solo allora mi accorsi di avere quegli occhi azzurri puntati addosso e
lo
fissai interrogativo.- Sai che hai un voce bellissima?- mi chiese.
Ricordo che
arrossii in modo automatico,
senza riuscire a rendermene nemmeno conto. Ringraziai la penombra per
offrirmi
un riparo molto più sicuro del mio autocontrollo.
-Grazie.-
dissi quietamente,
certo che lui non volesse affatto un ringraziamento e che quello fosse
solo
l’esordio di un discorso più lungo.
Ed infatti lo
era.
-Sul serio.
È incredibile come
una voce come la tua possa risultare semplicemente ipnotica per chi la
ascolta.- riprese come se io non avessi nemmeno aperto bocca. Si
sistemò
meglio, girandosi su un fianco e continuando a gettarmi occhiate
trasversali
mentre parlava.- Le voci molto nasali non sono piacevoli di solito. Ma
tu non
hai semplicemente un timbro meraviglioso, riesci anche a dare alla tua
voce
l’esatta vibrazione che serve per farla scivolare sottopelle
a chi ascolta.
Capii che un
mio intervento
ulteriore, per arginare il flusso assolutamente inopportuno di
complimenti che
mi stava riversando addosso, sarebbe stato inutile. Nervosamente
terminai la
sigaretta e la schiacciai malamente sul fondo del pacchetto vuoto.
Matt
continuò ignorando la secca
stizza dei miei gesti.
-Ed
è per questo che non riesco a
fare eccezione. Finisco anch’io per rimanere stregato da te e
per essere
perdutamente innamorato della tua voce.
Quest’ultima
frase la buttò lì
come un regalo. Non mi guardava, e non era nemmeno veramente diretta a
me.
Erano i suoi pensieri che venivano fuori ed andavano a sistemarsi da
qualche
parte nello spazio che lo circondava.
Rimase in
silenzio per un po’
ancora ed io pensai che avesse finito per infilarsi in uno di quei suoi
contorti ragionamenti, che lo portavano ad estraniarsi completamente
dalla
realtà. Sospirai e mi stiracchiai, pensando di rimettermi
giù e vedere di
racimolare qualche ora di sonno.
Stavo ancora
sprimacciando il
materasso per cercare di trovarvi una sistemazione comoda, prima di
ributtarmi
steso, quando Matt riprese a parlare. Voltandosi di scatto verso di me
e
piantandomi gli occhi in viso a distanza ora ravvicinata.
-Brian, tu mi
ami?- mi domandò a
bruciapelo.
Rimasi
interdetto, sostenendomi
con le braccia per non cadere di botto sul materasso, sgranai gli occhi
e lo
guardai.
-…s…sì…-
balbettai a mezzo fiato.
-E ti fidi di
me?- aggiunse lui
senza battere ciglio.
Tirai un
respiro forzato. Le
braccia cedettero nonostante tutto ed io ricaddi sul cuscino, con lui
che si
spostò proprio sopra di me, per continuare a fissarmi.
-Matt, che
cavolo ti prende?-
protestai.
-Smetti di
fumare.- mi chiese
lui.
Me lo chiese
seriamente. Con
molta calma e guardandomi senza ombra di ripensamento in viso. Non era
un
ordine, ma non era nemmeno una domanda, era una richiesta ben precisa,
che
implicava quel sottile ricatto morale comune alle coppie che si amano.
Un modo
come un altro di dire “fallo per me”.
Mi sentii
stretto come da un
nodo, mi serrò la gola e mi fece mancare il fiato. Matt
aspettava una mia
risposta?
-Pensaci su.-
aggiunse alla fine,
davanti al mio silenzio. Si strinse nelle spalle come per indicare che
non
aveva tanta importanza. Ma io sapevo che ne aveva e molta. Mi
baciò, piegandosi
ad annullare la distanza brevissima che ci separava.- Io ti amo.- disse
poi.
***
Non gli ho
mai dato una risposta.
Ma non ho
più toccato una
sigaretta da quella notte.
Per questo
ora mi allungo verso
Chester e lo vedo smettere istintivamente di cianciare per irrigidirsi
e
fissarmi attento e sorpreso. So che siamo troppo vicini, e so che
questa cosa
lo sta innervosendo. Ha ragione. Ma non m’interessa, non
è un mio problema.
-Chester, hai
una sigaretta?-
chiedo spiccio, acquattandomi davanti a lui sul divanetto ed
osservandolo
mentre segue stregato il movimento delle mie labbra nel formulare
quella
domanda.
Socchiudo gli
occhi.
Chester prova
un certo interesse
per me, registro pianamente.
Intanto lui
deglutisce e scuote
la testa.
-N…non
fumo.- ammette strozzato.
Sbuffo,
tirandomi indietro e
distogliendo lo sguardo nello stesso momento.
Chester si
sente subito meglio,
ma a quel punto subentra un isterico desiderio di assecondarmi. Le
persone sono
così prevedibili…
Gli getto
un’occhiata di traverso
e lo vedo affaccendarsi a cercare qualcosa nel giubbotto di uno dei
suoi amici.
Mi porge sigarette ed accendino e, quando lo guardo inarcando un
sopracciglio,
lui si stringe nelle spalle.
-A Mike non
darà fastidio.-
assicura.
Scrollo le
spalle anch’io.
-Se lo dici
tu.- ribatto atono,
sfilando una sigaretta dal pacchetto che regge per me.
Quando vedo
le sue dita tremare
leggermente capisco che l’interesse di cui parlavo prima
è molto più intenso di
quello che credessi. Presumibilmente complice qualche birra di troppo.
Sorrido.
Penso che non
ho nemmeno un
motivo valido per non approfittarne.
Matthew
appare sul fondo della
mia mente e viene cacciato via quasi nello stesso momento. So quanto
sarà
difficile riprendersi. E so quanto più facile
diventerà se semplicemente me ne
dimentico.
Di lui.
Di me.
Di noi due.
…soprattutto
di me.
Non prendo
l’accendino che
Chester regge sopra il pacchetto. Poso la sigaretta tra le labbra ed
alzo il
viso, aspettando.
E nel farlo
lo fisso dritto negli
occhi, solo per vederlo diventare pallido e tentare di respirare.
Per poco il
cilindro di plastica
colorata non gli casca dalle mani, nel tentativo di sfilarlo da sopra
il
pacchetto ed accendere una sottile fiammella che si alza davanti al mio
volto.
-Grazie.-
sussurro quieto,
piegandomi appena per avvicinare la sigaretta alla fiamma.
Mi tiro
dritto, lasciandolo
libero mentre chiudo lo sguardo ed assaporo il tabacco, sbuffando la
prima
nuvola odorosa.
Avevo quasi
dimenticato il
piacere che si prova nel nascondersi dietro i gesti consueti di una
sigaretta.
La incastro tra le dita, facendo scivolare via la mano dal viso con
grazia,
appoggio il gomito allo schienale del divanetto e torno a guardare
Chester.
Lui non mi ha
staccato gli occhi
di dosso. Ma questo già lo sapevo. So esattamente quando la
gente mi sta
guardando, perché sono io a fare in modo che lo facciano.
Non ci sono gesti
casuali nel mio modo di attirare l’attenzione altrui.
-C’è
qualcosa che non va,
Chester?- domando suadente, sorridendo cattivo.
Gioco con le
unghie attorno alla
sigaretta, lui osserva per un attimo quel movimento poi si volta quasi
di
scatto, manifestando con facilità il nervosismo che lo agita.
-No.-
risponde in un gemito
strangolato.
Ridacchio. Mi
sembra quasi di
percepire i brividi che gli suscita quel suono insinuante. Scrollo la
cenere
sul bordo del mio ultimo bicchiere, lasciandolo andare ancora per
qualche
minuto.
È
come pescare, Chester.
Tu sei un
piccolo pescetto
ingenuo. E ci sei cascato. Io ti do lenza e poi ti riprendo quando
credi di
essere ormai in salvo.
…come
ora.
Rialzo il
viso che sono
praticamente ad un respiro da lui. Non è stato difficile.
Quando
incrocio il suo sguardo,
capisco che non si è nemmeno accorto del mio lento
avvicinarmi a lui, era
talmente affascinato dal movimento delle stesse labbra che ora fissa
avidamente…
-Non dovresti
mentirmi.- mormoro.
Il mio fiato investe il suo viso, il suo il mio. Sentiamo entrambi
odore di
alcol, ma è eccitante, lo ammetto.- Non sono molto
tollerante con chi cerca di
prendermi in giro.
-…non
volevo prenderti in giro.-
risponde stupidamente lui.
Sorrido
ancora.
-E cosa
volevi?- chiedo.
Lui non
risponde subito. Non mi
mentirà stavolta, lo so. Ma voglio vedere se avrà
il coraggio di chiedere.
Ed ovviamente
non lo ha.
La sua bocca
mi si incolla
addosso, forza la mia. Mi spinge contro il divano, salendomi addosso ed
allargando le mani a catturare i miei fianchi. È un
comportamento tanto
assurdamente inaspettato per quello che credevo essere un tipino
ingenuo e
timido, che rimango un secondo sorpreso e non oppongo nessuna
resistenza,
mentre sento le sue dita infilarsi risolutamente sotto la camicia.
Beh, non
posso dire che mi
spiaccia. È decisamente troppo tempo che non faccio sesso,
decisamente troppo
tempo che non mi concedo sfizi da una notte, e Chester promette di
rivelarsi
un’interessante scoperta.
Così,
invece di respingerlo, lo
assecondo. Circondo il suo collo con le braccia, attirandolo ancora di
più
contro di me, lui sussulta e geme tra le mie labbra, approfondendo il
bacio che
ora io ricambio. Attraverso i pantaloni avverto la sua eccitazione,
faccio
scivolare una mano verso il basso tra i nostri corpi e lo sfioro da
sopra i
vestiti, sentendolo rabbrividire e schiacciarmisi contro in cerca di un
contatto maggiore.
-Brian…-
mugola al mio orecchio,
in una specie di preghiera.
Era tanto che
non mi godevo un
po’ di sana adorazione senza remore. Questo stesso bisogno
spasmodico che mi
viene riversato addosso in modo adorante e cieco, privo di controllo.
Penso che
è esattamente quello di
cui ho bisogno. Che Chester mi tratti con la riverenza che si riserva
alle
divinità per una notte e che io, domattina, mi dimentichi di
lui, alzandomi dal
suo letto per non tornarci mai più.
Non voglio
essere legato a
nessuno.
Non voglio
avere paura di nulla.
Non voglio
dover perdere nessuno.
Voglio solo
questo. La sensazione
di altre labbra che divorano le mie, con bramosia e quasi senza
rispetto. La
percezione di mani che non conosco che mi scavano dentro, che rubano la
mia
pelle, violando il mio corpo. Il peso di qualcun altro su di me, che mi
schiaccia contro il velluto rosso del divano, affondandomi in un odore
che non
riesco a riconoscere…
Voglio solo
questo.
Voglio solo
questo.
Voglio…
***
No.
Voglio essere
a Londra.
In un
appartamento che è
piccolissimo, per una persona che potrebbe permettersene uno dieci
volte più
grande.
E dalla
finestra del salottino
riesco a vedere fuori quasi tutta la città.
Quando piove
diventa tutto
grigio, ma dentro non fa mai freddo e non c’è mai
umido.
Matt ha il
parquet su tutto il
pavimento del salotto e della camera da letto, a me piace
perché posso girare a
piedi nudi per casa e da sotto le tavole di legno viene su un calore
confortante.
Lui dice che
giro per casa come
un gatto. Che sono un abitudinario e che mi impossesso degli spazi. Mi
ci
avvicino un pezzo alla volta e poi li faccio miei, a quel punto
è come se
potessi girare per casa anche ad occhi chiusi.
Dice anche
che gli piace.
Perché
pensa che sarebbe
bellissimo se io diventassi una parte della sua casa e non ne uscissi
più.
Quindi, no.
Non voglio
questo.
Voglio
qualcosa che ho perso solo
pochissime ore fa.
Ed
è ancora ad un passo da me.
Lo sento.
Se allungo le
dita, lo sfioro.
E non ho
intenzione di lasciarlo
andare via.
***
Lo spingo
via. Chester ci resta
male, mi fissa ad occhi sgranati, io non ho tempo per dargli le
spiegazioni che
mi chiede.
Afferro il
giaccone che ho
lasciato sulla sedia accanto a me, mi disincastro da dietro il tavolo
ed esco
di corsa.
Non so come
faccio a trovare un
taxi a quell’ora assurda di notte. Per giunta, non ricordo
nemmeno come
arrivare alla location del festival. In qualche modo, comunque, riesco
a dirgli
come portarmi indietro. Arranco lungo i gradini del tour bus senza
neppure
accorgermi davvero che è ancora vuoto e spento, il cellulare
è dove l’ho
lasciato ed io lo afferro al volo e faccio al contrario la stessa
strada.
E poi mi
butto per terra dietro i
generatori di elettricità del bus.
Tiro indietro
i capelli, apro il
display e chiamo.
Matthew
risponde subito.
Ed io capisco
dalla sua voce che
stava aspettando che lo chiamassi. Perché non è
più nervoso, ma solo ansioso ed
angosciato, e quando mi chiama per nome è come se prendesse
fiato dopo un’apnea
di ore.
-Brian?!- mi
chiama strozzato.
Vorrei
rispondergli.
Mi ero fatto
tutto un discorso
terribilmente logico, che valesse a giustificare ogni cosa, ogni
singola
stronzata che ho fatto da quando l’ho chiamato stasera ad
ora…Era un discorso
molto convincente…
-…sono
uno stronzo…- dico
soltanto.
Mi accorgo da
me che sto
piangendo. Ne sono quasi sorpreso, sciolgo le dita dai capelli e le
abbasso a
sfiorare le guance.
Matt respira
a fondo.
-No, Brian,
non…
Non lo faccio
finire. Se comincia
a parlare lui, io non dirò più nulla e non
è quello che voglio.
Ricaccio
giù le lacrime e lo
interrompo.
-No, Matt,
ascolta!- protesto
veemente.- Tu…- esito, prendo fiato a forza, cacciandomi
l’aria in gola perché
non posso permettermi di farmi soffocare proprio adesso. Dopo magari,
ma a Matt
devo un minimo di sincerità.- Tu faresti bene a mandarmi al
diavolo una volta
per tutte.- scandisco con calma, costringendomi a respiri corti e
regolari.-
Faresti bene a mandarmi a fanculo per poi dimenticarti anche della mia
esistenza.- rincaro.- Perché io sono uno stronzo, Matt.-
ribadisco subito dopo-
E stavo per andare con un altro solo perché…
Oddio. Quanto
può essere
difficile capire se stessi? Eppure io sono sempre stato bravo nel
farlo, ma di
solito con gli altri mi difendo.
Di solito non
mi butto via come
sto per fare.
-…perché
se tu mi lasciassi io
non riuscirei a dire “non importa”. Ed anche se
riuscissi a tirare avanti,
sarebbe terribilmente difficile e non so quanto potrebbe fare male. Ma
ho paura
di farmi male, una paura fottuta. E quindi è più
facile fingere che non
m’importi e scopare con qualcuno che non
m’interessa per dimenticarmi di te, e
di noi, e di tutto quello che c’è stato…
Lo dico
d’un fiato e non mi fermo
fino alla fine.
Non mi fermo
nemmeno dopo, vado
avanti a sputare fuori tutto, come sto sputando fuori queste dannate
lacrime
che insistono a non fermarsi e che sicuramente avranno reso il trucco
una
maschera patetica. Odio rendermi ridicolo.
-Faresti
davvero bene a
dimenticarti di me, Matthew, perché sono una delle persone
peggiori che si
possano incontrare sulla Terra. E non ho nemmeno il sacrosanto coraggio
di
vivere quello che provo, e preferisco mandare a monte ogni cosa che
affrontarle
e…
A bloccarmi
è la consapevolezza
che non posso limitarmi a ripetere gli stessi due concetti in milioni
di forme
diverse.
Mi rendo
conto che ho bisogno di
respirare, deglutisco e lo faccio.
-Scusami.
Non ci credo
nemmeno. Sgrano gli
occhi, boccheggiando.
Matt continua
come se niente
fosse.
Ha il tono
serio da grandi
occasioni, quello che gli sento davvero di rado ma che suona sempre
rassicurante, caldo, avvolgente. Come in questo momento.
-Mi spiace
davvero tanto di aver
detto quelle sciocchezze prima.- continua lui.- Non volevo ferirti. E
nemmeno
insinuare che tra te e Stefan ci sia ancora qualcosa. Solo che non
stavo bene.
“…Matt…ho
detto meno di due
minuti fa che stavo per scopare con un altro…”
Lascio cadere
all’indietro la
testa, urto contro il metallo e mi faccio male, ma non apro bocca.
Chiudo
invece gli occhi e continuo a piangere.
-Brian,- mi
chiama a mezza voce.
Non ho la forza di rispondere e spero solo che lui vada avanti da
sé.- spero
che tu voglia perdonarmi…
Dio,
Matt…tu non puoi essere
vero.
Note
di liz, che non ricordava esattamente se dovesse scrivere per
prima o per seconda…
Il
fatto è che l’ultima volta, causa pigrizia immonda
della Nai, ho
scritto le note uniche >.< Perciò sono dovuta
risalire addirittura
all’ottavo capitolo per capire dove dovessi collocarmi. Sfiga
vuole che io
debba collocarmi per prima, stavolta u.u” Odio parlare per
prima, non riesco a
manipolarvi come vorrei T_T
Fatto
sta! In questo capitolo ho scritto una pagina *_*” A fronte
delle
dieci totali, un’inezia. Facciamo tutte un applauso alla Nai
per essere
riuscita a gestire miracolosamente bene un capitolo difficilissimo e
sommariamente tragico quale era questo <3
Comunque
sia, è stata una sua idea. *si nasconde dietro un dito,
perché
lei l’ha avallata* Dovreste vederla, ora! È tutta
emozionata perché ama fare
del male alle fangirl, e sta aspettando di vedere le vostre reazioni
disperate
a quello che è il dramma sommo di questa storia *_*
Vi
preghiamo si sopportare ç_ç Dal prossimo capitolo
andrà meglio ç_ç
PS:
Per Isult, che si preoccupava dei nostri rapporti coi My Chemical
Romance: il numero delle loro canzoni che mi piacciono è
salito a due, perciò
mi considero ufficialmente perduta XD
*spazio
per le note di Nai – guai a te se non le scrivi
>_
Note
della Nai:
ehi!
Io godo della sfiga dei pg, non di quella delle fangirl!
>_<
E
comunque ad ognuno la sua responsabilità! Se tu non avessi
messo
dentro Gerard Way, io non ci avrei infilato Chester e non avrei dovuto
trovargli qualcosa da fare! ù_ù
…ok,
non regge, lo so, ma cercate di capirmi: questa storia rischiava
di diventare un po’ noiosa… (per lei la noia
coincide con l’assenza di
tragedie).
Vabbè,
mi scuso per il ritardo abnorme e spero che questo non vi porti
a smettere di volerci bene ç_ç
p.s.
Stavolta lascio le minacce di Lizzie! Così capite che non
è che io
sono quella cattiva e lei è dolce e carina come sembra, eh!
>_<
|
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Capitolo 11 *** Eleven. ***
L
L’Easily Forgotten Love
vuole bene alle proprie lettrici *_* Ma tanto bene!!! *_*
Manda un bacio a tutte. Ed
un bacio enorme a Sregatta, Whity, Erisachan, SweetPandemonium, Isult per averci
manifestato il loro sostegno!!! :********
…they have trapped me in a
bottle…
Eleven:
Non sono sempre e
sistematicamente un bastardo.
Nella mia vita, ogni
tanto…sufficientemente di rado da non costituire davvero un lato della mia
personalità, ho degli sprazzi di autentico, disinteressato, altruistico affetto.
Matt se n’è goduto uno, di
questi sprazzi.
È stata una cosa folle. Non
ricordo nemmeno perché diavolo l’ho fatta, ma eravamo all’inizio della nostra
storia – circa un mese dopo che ci eravamo “messi assieme”, dopo la nostra prima
volta – ed io ero assolutamente drogato di lui.
E lo vedevo poco.
Troppo poco perché subentrasse
un sentimento più quieto e più solido, che valesse a darmi qualche certezza in
più ed a spegnere almeno in parte il mio bisogno di lui.
Fatto sta che questa cosa è
successa praticamente per caso una mattina in cui entrambi i gruppi erano in
tour in Europa. Lui era a Monaco. Io a Madrid.
E stavo già camminando dentro
l’aeroporto.
-Dove sei?
Mi ha risposto dopo qualche
minuto, aveva bisogno di realizzare la ragione del mio tono secco e di quella
domanda diretta. Immagino che abbia pensato di aver fatto qualcosa di sbagliato
e che abbia passato in rassegna qualsiasi evento che lo aveva visto protagonista
nelle ultime ore, dalla sera prima. Non deve aver trovato molto che potesse
giustificare un litigio, così mi ha risposto, piuttosto esitante.
-In albergo a Monaco…
-Ok.- ho detto io.- Tra un’ora
sono lì.- ho aggiunto, buttando uno sguardo al tabellone delle partenze.
Lui ha trattenuto il fiato. Io
ho riso in modo lieve e stupido.
-Brian.- mi ha chiamato. E poi
si è fermato ancora per cercare le parole corrette e dirmi quello che pensava.-
Mi stai prendendo per il culo, vero?- ha ammesso alla fine non trovando di
meglio.
A quel punto la mia risata è
diventata decisamente più aperta.
-No!- ho risposto quando sono
riuscito a prendere fiato.- Salgo sul volo tra dieci minuti.
Ho potuto sentire la sua
felicità già quando mi ha risposto, ridendo anche lui peraltro.
-Beh, sbrigati. Io tra quattro
ore dovrò partire per l’Irlanda.
-Tranquillo!- l’ho rassicurato
in tono professionale- Io devo essere a Barcellona per stasera alle dieci.
***
-Brian! che cazzo stai
facendo?!
Quando Alex arriva ad urlarmi
in testa durante il sound check, significa che io ho davvero toccato il fondo.
Ed ammetto di averlo fatto.
-E’ la quarta volta che sbagli
attacco, Brian!- mi strilla lei da sotto il palco, le mani sui fianchi con un
atteggiamento da mammina che mi irrita non poco.
Peccato non sia nella
condizione per potermi lamentare.
-Se non hai voglia di suonare,
dillo e troviamo qualcun altro che ci accompagni con la chitarra…- propone
Stefan, ma mi accorgo che il tono paziente stavolta se lo sta tirando fuori di
bocca a forza.
-Non se ne parla neppure! È
solo che sono un po’ distratto…- mi giustifico io.
-Ah no!- protesta Stef,
puntandomi contro un dito.- Non puoi sbagliare quattro volte l’attacco di “Every
me, every you” perché sei un po’ distratto! Quella tu dovresti farla in
automatico, senza avere neppure bisogno di una testa attaccata alle spalle!- mi
fa notare.
Steve sospira, butta le
bacchette all’aria e solleva le braccia al cielo in modo teatrale.
-Mamma! Papà! Quanto avevate
ragione nel dirmi che dovevo fare il medico!- recita in tono drammatico.
-Fanculo, Steve!- ritorco io,
infastidito, incrociando le braccia sopra la chitarra.
Lui sbuffa e si alza dalla
batteria.
-Io faccio pausa.- annuncia
dandoci le spalle.
Stefan si irrita.
-Ah, noi no, Steve.
Continueremo tranquillamente senza batteria!- lo canzona osservandolo andare
via.
Ma Steve non gli risponde e si
limita a mostrare il medio ad entrambi.
Alex da sotto al palco tira un
respiro profondo tentando di calmarsi. Si rimette dritta, lasciando cadere le
braccia, ed io trovo che sia già un passo in avanti. Ma poi lei scuote il capo e
si porta una mano ai capelli, arruffati sulla testa e tenuti su da una pinza
enorme.
-O.k., facciamo dieci minuti di
pausa tutti.- concede, tirandosi via da lì sotto ed avviandosi a passo lento
verso il bar della location.
Mi sfilo la chitarra di dosso e
vedo Stefan fare lo stesso con il basso, è nervoso e per poco non spinge via il
tecnico che gli si avvicina per prendere in consegna lo strumento. Mi stupisce
vederlo così. Sospiro, so che ne pagherò le conseguenze ma lo seguo lo stesso
giù dal palco e dietro il backstage. Stef finge di non accorgersi di me finché
non arriviamo in vista di un minifrigo pieno di bibite che qualcuno ha
gentilmente portato lì per permetterci di riprenderci dalle prove massacranti e
dal caldo torrido. Si piega a prendere un paio di birre, si volta e me ne porge
una, dimostrandomi di sapere esattamente che lo sto seguendo da bravo cagnetto
docile. Sbuffo.
-Ora spiegami.- ordina lui.
Accetto la lattina che mi
ondeggia davanti al naso e la prendo di malagrazia, spostandomi poi verso una
pila disordinata di casse di legno che possano offrirmi un sedile. Mi accomodo
lassù e fisso Stefan.
-Ho fatto un casino con
Chester.- ammetto subito. Ed aggiungo immediatamente- Ed ho fatto un casino
anche peggiore con Matthew.
Lui non dice nulla.
Io abbasso lo sguardo ed
osservo il bordo argentato della latta, piego la linguetta quasi in automatico
ed apro. Un sottile rivolo di schiuma fuoriesce con un sibilo, Stefan mi imita
aprendo la propria e viene a sedermisi accanto.
Beh, lo preferisco. È più
confidenziale e mi da meno l’idea di una confessione che mi costerà l’ennesima
paternale del tour.
-Ieri sera ho litigato con
Matt.- inizio a raccontare- Per un motivo idiota, in realtà. Lui era nervoso, io
ne ho detta una di troppo e lui si è incazzato. Così io gli ho dato addosso e
lui me lo ha rinfacciato.- spiego spiccio.- Mi ha chiuso il telefono in faccia,
io mi sono ritrovato a respirare male e, quando mi sono accorto che la sola idea
che lui potesse non volerne più sapere di me mi faceva soffocare, ho deciso che
era arrivato il momento di tagliare qui la cosa.
-Come al solito, eh, Bri?-
sorride Stef amaramente.
Glielo concedo. Gliene devo
ancora troppe per prendermela e potermi sentire offeso dalle sue parole.
Prendo un respiro e vado
avanti.
-Sono uscito con Chester ed i
suoi dopo.- A questo punto mi fermo e lo guardo. Il mio dovergli qualcosa non
basta a farmi sentire meno arrabbiato con lui, in fondo è anche sua la
responsabilità di questa storia.- Tu eri sparito da qualche parte.- faccio
notare cattivo.- Avevo bisogno di parlare, ma non c’eri e così ho fatto la cosa
più scema di tutte.
-Ti sei ubriacato e ci hai
provato con Chester Bennington.- conclude per me, nascondendosi subito dopo
nella birra. Beve un lungo sorso, mentre io lo osservo e mi chiedo quanto sia
trasparente per lui. Quando è successo che Stef imparasse a conoscermi così
bene? Si accorge del mio sguardo nel riabbassare la birra, mi concede un secondo
sorriso distratto.- Andiamo, che quel tizio ti smania dietro è evidente come la
luce del sole!- sbotta secco.
-…ma…?!- O.k. Non posso davvero
dire “io non me n’ero accorto”. Suonerei falso alle mie stesse orecchie.
Preferisco conservare un minimo di dignità con me stesso, visto che non riesco a
farlo con il resto del mondo.- Sì.- biascico quindi. E stavolta sono io a
fuggire il suo sguardo per affogarlo nella birra.
Stefan ridacchia. Io mi sento
avvampare.
-Mi evita da ieri sera.-
borbotto quando mi decido ad abbassare la lattina.
-Ci sei andato?- chiede lui
impietoso.
-No!- protesto istintivamente.
E mi rendo conto che non ha senso, in passato non avrei mai protestato così per
una semplice domanda sull’essermi scopato o meno qualcuno. Siamo entrambi
sorpresi, lo leggo sulla faccia di Stefan quando lo guardo. Così mi costringo a
spiegarmi in modo onesto, e lo faccio per me stesso tanto quanto lo faccio per
lui.- No. Ad un certo punto mi sono reso conto che non avrei risolto nulla e che
non era quello che volevo. Sono tornato indietro ed ho chiamato Matthew per
chiedergli scusa e…confessargli tutto.- aggiungo a mezza voce.
-Si sarà incazzato ancora di
più, immagino.- mi dice lui.
Il mio viso si tira in una
smorfia assolutamente istintiva, che vorrebbe essere un pietoso tentativo di
sorriso e diventa una distorta ammissione di colpa.
-No. Mi ha chiesto di scusarlo
per quello che aveva detto prima.- gli rispondo sbrigativamente.
Stefan non dice nulla, riprende
a bere e ci pensa su. Io mi sento a disagio ed in errore. Ed anche se l’errore
ed il disagio non dovrei provarli nei suoi confronti, non serve a nulla che la
mia parte razionale lo ripeta al resto del cervello.
Mi faccio schifo lo stesso.
Perché ho fatto un casino
terribile con Chester, che magari si è fatto chissà quali illusioni con me,
mentre io mi ostinavo ad ignorare il suo interesse.
Ed ho fatto un casino con Matt,
che magari sarà anche la persona meravigliosa che è, ma io non posso continuare
a calpestare indifferente tutti i suoi sentimenti con il mio egoismo.
Vorrei essere decisamente
diverso da ciò che sono…
-Hai davvero fatto un macello.-
borbotta Stef dopo un po’.
Non mi guarda nel dirlo, così
io posso permettermi di arricciare il naso in una smorfia infastidita, mentre
lui prende la mira e fa canestro nel cestino accanto al frigo con la lattina
vuota.
-Certo che tu uno come Matt non
te lo meriti proprio.- aggiunge per sicurezza.- Insomma, Brian, continuare a
passeggiare come un bulldozer sui sentimenti altrui è un vizio che alla lunga
potrebbe costarti caro.
Vorrei dirgli che è uno
stronzo. Se mi fosse rimasta la voglia di combattere per affermare contro tutto
il mondo i miei errori, glielo direi. Se volessi essere così imbecille da farlo.
Ma quello che ha detto è
dannatamente vero ed a dirlo è Stefan, e lui ha su di me una specie di
privilegio che esplica nel tenermi con i piedi ben saldi a terra.
Tuttavia non posso lasciare
impunita una bastardata. E la mia, a differenza della sua, è del tutto gratuita,
e non finalizzata ad una presa di coscienza dell’altra parte. Ma gliela regalo
lo stesso.
-E tu e Gerard?- butto con
indifferenza.- Come va la vostra relazione? Intendi dirgli prima o poi
che non ha speranze o ti limiterai a lasciarlo con il cuore spezzato al nostro
rientro in Inghilterra?
Mi guarda.
Io so che lui è consapevole
esattamente di tutte le mie motivazioni. Stefan non si è mai illuso che la
mia meschinità fosse qualcosa di diverso, l’ha sempre presa per un lato negativo
del mio carattere. Il fatto, che lui possa continuare a volermi il bene che mi
vuole conoscendo i miei difetti, è il motivo principale per cui io non posso
fare a meno di lui.
-Sono sempre stato chiaro con
Gerard, Brian,- mi risponde con serietà.- lui non si è mai illuso, ma ha voluto
continuare ad essere mio amico.- mi dice calmo.- Tu non sei mai stato
altrettanto corretto con Chester.- rimarca.- Hai finto un’ingenuità che non ti
appartiene affatto, hai voluto far finta di non vedere e ti sei servito di lui
quando ti ha fatto comodo.- Si alza dal proprio posto, io penso che non vorrei
farlo andare via ma so che non ho il diritto di trattenerlo.- Come al solito,
Brian.- mi dice semplicemente, prima di voltarsi ed allontanarsi in direzione
del bar.
***
La verità è che io faccio le
cose sempre e solo in relazione all’utile che posso ricavarne.
A volte mi chiedo se sia solo
una mia prerogativa o se qualsiasi essere umano agisca spinto da un bisogno ed
al fine di soddisfarlo. In altre parole, mi chiedo quanto il cosiddetto
“altruismo” sia solo una finzione sociale.
Matt ha finto di non sentire
ciò che io gli avevo detto riguardo me e Chester. Ha preferito ignorare questa
cosa, chiedermi di perdonarlo per uno scatto d’ira che in alcun modo
giustificava la mia reazione e che, al confronto, avrebbe dovuto essere superato
e dimenticato. Ma le sue ragioni, che possono istintivamente apparire nobili e
giuste, sono davvero tali? Lo ha fatto per me…o lo ha fatto per sé?
Io so di aver bisogno di lui,
so che se mi sono spinto con lui fino a determinati limiti e li ho superati è
stato solo per un sano ed egoistico bisogno di lui. Adesso voglio pensare – e
qui non faccio che sollecitare ancora il mio egoismo, accontentandolo una volta
di più – che lui abbia lo stesso bisogno di me. E che sia quello a spingerlo
a superare i propri limiti, e non il suo altruismo.
Un sentimento puro, privo di
necessità istintive e meschine, sarebbe intollerabile per una persona falsa come
me.
Non me lo meriterei davvero.
-Matt…
Mi risponde con una voce così
allegra che sembra quasi non sia mai successo nulla. L’episodio del giorno prima
scompare tra le pieghe di un “Brian!” euforico come al solito. Per un istante mi
piace illudermi che basti, mi lascio il tempo di adeguarmi per poter sfoggiare
la stessa illusa allegria. Ma non ci riesco.
-..ciao.- biascico in risposta.
-Ehi, piccolo, è tutto a
posto?- s’informa lui apprensivo.
Respiro. Sto vagando per la
location come un’anima in pena, il mio unico obiettivo è diventato evitare Alex
per impedirle di rispedirmi al lavoro e non so esattamente da quanto tempo –
mezz’ora… un’ora anche – sia scaduto il termine che ci aveva dato per la nostra
pausa. Non ho la forza di prendere in mano una chitarra, di tornare sul palco,
di fingermi qualcosa che non mi sento nelle ossa. Non oggi.
-No.- ammetto con Matthew.
Sorrido stancamente.- Dovresti vedermi…- borbotto ancora.
-Beh, sì, dai l’idea di uno che
ha passato un brutto quarto d’ora.- risponde lui.
-Fosse un quarto d’ora.-
ritorco.- Non ho chiuso occhio tutta la notte ed ho sbagliato l’attacco di
“Every me every you”. Peggio di così, posso solo addormentarmi in piedi durante
l’esibizione…
E finalmente me ne accorgo.
Così m’interrompo e resto zitto
per un momento. Matt attende paziente senza dire nulla.
-Come fai a sapere che non ho
un bell’aspetto?- domando a mezza voce.
Ride ma non risponde.
-Matt, non vorrai dirmi che hai
trovato in internet anche le foto del backstage! Non di già!- strillo io.
-No, non ho trovato nulla su
internet, sta tranquillo.- sbuffa lui, conciliante.- Nessuno vedrà il tuo bel
visino tirato e preoccupato.- mi prende in giro subito dopo.
-Matt, piantala!- ribatto
sempre più istericamente.
-E tu rilassati. Non mi piace
proprio vederti così!- mi rimbrotta infastidito.
-Matt, tu non puoi vedermi!-
grido io a quel punto.
-Solo quando qualcuno dei
tecnici mi passa davanti e quindi mi impedisce la visuale.- ritorce lui, quasi
annoiato.
Mi cade di mano il cellulare.
Lo vedo precipitarsi al suolo e schiantarsi contro il terreno aprendosi in
frammenti colorati. La batteria vola da una parte e il resto del corpo di
plastica e metallo dall’altra.
Penso che se si è rotto mi
toccherà scendere in città a comprarne uno nuovo e oggi di sicuro non avrò
tempo. Non so neppure se ne avrò domani.
-Sei un pasticcio.- mi dice
Matt, piegandosi a raccoglierlo per me.
Io non lo prendo quando me lo
porge, dopo aver risistemato la batteria nel vano che la ospita ed averlo
richiuso. Se lo facessi, se allungassi una mano e lo toccassi o toccassi
qualcosa che lo riguarda in qualche modo, sparirebbe. Lo so. Questa è
chiaramente un’allucinazione ed io sto sognando e non desidero svegliarmi, per
cui non lo toccherò.
-Brian.- mi chiama Matthew
preoccupato.- Stai bene?
-No.- rispondo in automatico.
Lui fa una smorfia, infila il
mio cellulare nella tasca della giacca e si fa avanti.
Evidentemente i miei sogni non
ubbidiscono a quello che voglio, perché è lui a toccarmi. Mi scosta i capelli
dalla fronte con delicatezza e ci poggia la mano.
Le mani dei sogni sono calde?
-Non hai la febbre.- registra.
Si allontana guardandomi un attimo e sospira.- Però non stai affatto bene.-
ammette scuotendo la testa.
Vorrei che tornasse a
sfiorarmi. Visto che io non ci riesco e non posso e lui, invece, può, vorrei che
tornasse a mettermi le dita sulla pelle. Vorrei ricominciare a sentire il suo
calore…
E più di ogni cosa, vorrei
riuscire a dirglielo. Ma siccome non ho fiato per parlare ancora, mi limito a
guardarlo, sperando che interpreti da sé i miei occhi sgranati e fissi su di
lui.
Sorride. Ed è un sorriso stanco
che non capisco. Ma poi si sporge verso di me, le dita scivolano in basso e si
intrecciano con le mie e la sua bocca si posa sulle mie labbra.
È un modo scemo per baciarsi,
sembriamo due bambini dell’asilo. Eppure non riesco a staccarmi.
Così preferisco afferrare le
stesse dita che sento contro i polpastrelli, saggiandone la consistenza per
dirmi che sono vere. E preferisco di gran lunga affondare il viso incontro al
suo, per schiacciarmi bocca su bocca a lui, e sentire il suo respiro dirmi che
lui è sul serio qui.
E quando mi abbraccia e mi
stringe, con trasporto improvviso, mi sembra di essere appena affondato nel mio
sogno e di aver scoperto che è molto più consistente della realtà di tutti i
giorni da un po’ di tempo a questa parte.
***
Scopro che Alex lo sapeva.
Matthew l’ha chiamata appena atterrato in aeroporto, per sapere come
raggiungerci alla location. Ovviamente le ha anche detto cosa è successo ieri
sera, ragione per la quale Alex mi guarda malissimo appena ci vede apparire dal
fondo del backstage e mi grida contro che, adesso, se sbaglio ancora una nota mi
uccide con le proprie mani.
Io sbuffo, giuro che farò più
attenzione e, mentre tutti ridono di me - Matt in testa - salgo di nuovo sul
palco.
Stefan mi viene incontro mentre
imbraccia il basso.
-Pace?- mi chiede con un
sorriso.
Mi stringo nelle spalle.
-Abbiamo litigato?- chiedo
distrattamente, facendo scivolare il plettro sulle corde della chitarra.
Mi piace sapere che, qualunque
cosa io e Stef facciamo o diciamo l’uno all’altro, c’è sempre un ulteriore banco
di prova.
Matthew si siede accanto ad
Alex, i suoi occhi si sollevano su di me ed io, tornando verso il microfono dopo
l’attacco della canzone, me ne accorgo. Così come mi accorgo che non mi lasciano
più, da quel momento in poi, e se succede che me ne accorga è solo perché anche
i miei non riescono a staccarsi da lui.
***
Matt mi ha detto che ripartirà
domani nella tarda mattinata. Deve tornare a Londra, perché di fatto è fuggito
senza dire nulla a nessuno e, quando ha telefonato a Tom per avvisarlo – ed era
già negli Stati Uniti – lui, chiaramente, lo ha minacciato di orribili
ripercussioni se avesse mandato a monte qualcheduno degli impegni che avevano in
programma.
Ma Matt mi ha giurato e
spergiurato di aver calcolato i tempi al secondo e di essere in grado di
trovarsi dove deve all’ora esatta in cui deve.
Io sono abbastanza infantile da
volermi fare rassicurare. Così fingo di credere alle sue capacità di
organizzazione – palesemente inesistenti, come ha più volte dimostrato nel corso
degli anni – e lascio perdere ogni tentativo di farlo ragionare.
Non ho mai davvero cantato per
qualcuno, durante un concerto. Lo faccio oggi per la prima volta. E non mi
sembra nemmeno strano, perché non c’è nulla di diverso da solito, se non la
sensazione che mi scorre nelle vene. In mezzo alla folla, in mezzo al mondo
intero, l’unico sguardo di cui mi importa me lo sento sulla pelle mentre ci
esibiamo. Ed è per lui, per quegli occhi che mi seguono con attenzione da dietro
le quinte del palco, che io canto, e suono, e parlo a ruota libera, ridendo come
un ragazzino con il pubblico che mi risponde dalla platea.
Mi sento stupido, ed insieme mi
sento felice.
Mi basta.
Mi bastano le sue labbra sulle
mie appena fuori dalla scena. Quando mi fiondo su di lui, che mi accoglie a
braccia aperte, ridendo come me e carezzandomi il collo con la bocca.
-Sono sudato.- protesto,
fingendo di volermi liberare.
Matthew mi trattiene,
stringendomi a sé senza smettere di baciarmi.
-Sai quanto me ne frega?!- mi
sibila all’orecchio, eccitato.
Mi basta anche questo. La
possessività affamata con cui mi porta via, salutando per me le persone che ci
incrociano, evitandomi di dedicare loro più di un cenno distratto, che
preferisco sostituire subito con la visione dei suoi occhi su di me, o con la
percezione delle sue mani, del suo corpo, del profumo.
Credevo di averlo dimenticato,
il suo profumo. Credevo che un mese e più di lontananza fosse sufficiente a
cancellarlo. Lo ritrovo intatto e, chiudendo gli occhi, lo sento al punto da
poterlo seguire e riacciuffare nei ricordi.
Saliamo i gradini del tour bus,
è tutto buio ed io provo a cercare a tentoni l’interruttore che dovrebbe
accendere la luce, ma non è facile con Matthew che mi spinge verso le cuccette,
impaziente. Rido e protesto ancora, dicendogli che non ho voglia di inciampare e
farmi male come Steve qualche giorno fa. Lui mi dice che da bravo gatto di
sicuro ci vedo anche al buio e, se voglio, mi porta in braccio lui. Mando al
diavolo l’interruttore, i gatti e lui, ma lo assecondo, facendomi portare nella
zona notte e ritrovandomi un buio ancora più pesante e scuro addosso.
La bocca di Matthew non mi da
tregua, morde le mie labbra, insinua la lingua tra i denti schiusi, mi stringe e
mi abbandona ai ritmi frenetici che lui stabilisce. Mi stordisce, perché non
riesco a starle dietro, ed insieme mi fa impazzire. Non mi accorgo quasi che mi
sta già spogliando, slaccia i pantaloni e, per poco, mi strappa di dosso la
camicia nel tentativo di aprire i bottoni.
-…Matt…- accenno io, provando a
scostarlo un po’.
-No, ti prego.- mi implora
strozzato, senza smettere di carezzarmi. E quando sento la nota di disperazione
autentica che gli vena la voce, esito quel tanto che basta per lasciargli modo
di riavvicinarsi, abbracciarmi e stringermi così forte da farmi soffocare.- Dio,
Brian!- sussurra allo stesso modo.- Tu non hai idea di quanta paura ho avuto di
perderti…!- ammette contro il mio orecchio.
So che dovrei rassicurarlo.
Dirgli che lo amo e che è con lui e solo con lui che voglio stare. So che dovrei
dire qualcosa sul fatto che mi dispiace di essermi dimostrato un bastardo una
volta di più. Razionalmente so tutte queste cose ed altre ancora.
Ma non esce un solo respiro.
Ed io mi ritrovo steso, con
Matthew dentro di me che affonda lento come un supplizio, molto prima di
riuscire a capire che sono solo io che avrei dovuto avere paura, tra noi due.
Lui non ne ha il dovere.
Eppure nei suoi gesti, nei
movimenti studiatamente dosati e precisi, colgo intatto il sentimento che mi ha
confessato solo un attimo fa. Lo avverto nei baci, che sono l’esatta antitesi
dell’attenzione che pone nell’amarmi, si posano famelici sul mio corpo ed
invadono ingordi la mia bocca. Lo avverto nel modo in cui spinge dentro di me,
come se dovesse rivendicare un possesso sulla carne che ha tra le mani. E lo
avverto nel modo in cui marchia la mia pelle con le carezze, stringendo e
premendo sui muscoli per affondare tra i nervi e le vene.
Non vuole farmi male. Se
accennassi anche solo un lamento, mi lascerebbe immediatamente e si scuserebbe
con me. Tutto ciò che vuole è solo dire a me, dire a se stesso, che gli
appartengo.
Ne ha il diritto.
Ed io voglio appartenergli.
Per questo non parlo. Assecondo
il suo desiderio e vi adeguo il mio. Assaporo la sua paura perché è la misura
dell’amore che prova per me, ed io forse non lo merito, ma è tutto ciò di cui mi
importi sul serio in questo istante ed in qualunque altro istante della mia
esistenza.
Matt non smette un momento di
baciarmi, le sue spinte si fanno più profonde e ritmate, i suoi ansimi si
confondono con i miei, ed a me sembra di impazzire sotto il suo tocco, perché
non è mai stato così deciso ed io non ho mai provato così forte la sensazione
delle sue dita che mi scorrono addosso. Mi sembra quasi che possano attraversare
la carne, così come fanno i denti contro il mio lobo, il fiato caldo mi si
infila nell’orecchio, m’inarco sotto le sue mani, voltando il capo per offrirgli
il collo in cui affondare il volto. Le braccia di Matthew scivolano dietro la
mia schiena, nello spazio che lascio libero per loro, mi afferrano e mi serrano,
sollevandomi completamente dal materasso per stringermi a lui. Viene dentro di
me, affondando ancora in spinte più violente e rapide, ed io vengo contro di
lui, mischiando il mio sperma al sudore di entrambi, afferro il suo mento per
costringerlo a baciarmi mentre lo faccio e lui ubbidisce, sussurrandomi il mio
nome sulle labbra appena lo lascio.
È lui a riadagiarmi sul
materasso. Lo fa con delicatezza infinita, nonostante sia stanco ed i suoi
movimenti siano impacciati e goffi. Scivola fuori dal mio corpo e mi si sistema
addosso, tentando di riprendere fiato contro il mio orecchio. Mi godo il suo
respiro pesante, così come mi godo le sue carezze, che riprendono quasi subito,
anche se più delicate e leggere.
Ho come la sensazione che
Matthew non riesca a smettere di toccarmi stanotte, come se volesse assicurarsi
di avermi ancora tra le mani, che io non sia già fuggito da lui. Lo lascio fare,
mi adatto alla nuova posizione che assume nel sistemarsi un po’ meglio nello
spazio ristretto di cui disponiamo, ma non mi allontano mai da lui. Matt non
apre gli occhi, so che si sta già assopendo, per cui ha bisogno di sentire la
mia presenza, dato che non può semplicemente vedermi accanto a sé. Poso la
guancia contro la sua testa, che mi poggia sulla spalla, e chiudo gli occhi
anch’io.
So che avremo freddo stanotte.
Ci sveglieremo. Probabilmente
lo farò solo io, perché Matt è capace di ignorare quasi del tutto i propri
bisogni fisici quando è stanco, e mi alzerò da qui per ripescare la maglietta
che uso per dormire ed i miei boxer.
Quando succederà, Matthew si
sveglierà. Accadrà nell’attimo stesso in cui sgattaiolerò da sotto il suo
braccio per sollevarmi a sedere, non prima e non dopo. Succederà allora perché
lui dovrà aprire gli occhi e cercarmi, ed io dovrò infilare in fretta i miei
vestiti e rimettermi accanto a lui, per permettergli di trovare di nuovo una
posizione che si adatti alla forma dei nostri corpi. E sarà soddisfatto solo
quando potrà riprendere a dormire così, consapevole che io non andrò da nessuna
parte senza di lui.
…so che succederà tutto questo.
E saperlo mi rende felice.
Perché significa che noi due
abbiamo delle abitudini. Le conosciamo entrambi e le abbiamo “studiate” assieme,
perché ci fosse un codice comune di comportamento.
E questo significa anche che
noi due siamo una coppia.
*
Nota di fine capitolo della
Nai:
E così facciamo contento chi
sognava che i due pargoli finalmente si riabbracciassero XDDD
Lo hanno fatto! A saperlo,
magari Brian fingeva di mettergliele prima le corna a Matt!
Ma tanto è tutta la storia
che Matthew dice che gli farà una sorpresa. Beh, sorpresa fatta *_*
Non è amore, il piccolo
Matthew? ç_ç Sì, lo è!
Un bacio ed alla prossima,
bimbe! ^_-
Note della liz:
Si nota che il capitolo l’ha
scritto tutto Nai, vero? *_*” Infatti è bellissimo T.T *si sente tremendamente
inadeguata e stupida*
Comunque, io amo questo
capitolo è_é Prima di tutto perché c’è Matthew T__T Giunto sul proprio cavallo
bianco a salvare Brian e tutte noi dalla depressione T_T E poi perché insieme
quei due sono un qualcosa di meraviglioso ç_____ç Non vi siete anche voi
commosse sulla scena dell’aeroporto? çOç Io sì, quando l’ho letta ho amato
profondamente Nai per tutto questo ç_ç
Vi saluto è_é Ormai manca
davvero poco alla fine! Solo altri due capitoli e un epilogo oltre questo! Forse
dovremmo davvero metterci a lavorare sul seguito… o.o”
|
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Capitolo 12 *** Twelve. ***
L
L’Easily ringrazia – con un
bacio enooorme! – Stregatta! Isult! Sweet Pandemonium! (e benvenuta ^^) Whithy!
Erisachan!
E poi andiamo a cominciare.
Sempre più vicini alla conclusione ç_ç
…they have trapped me in a
bottle…
Twelve:
Mi sveglio perché qualcuno è
entrato nel tour bus. Appena apro gli occhi registro che è giorno, una luce
fioca trapela da dietro le tendine del pullman, e registro anche che, a parte la
presenza che si muove goffamente nella zona giorno, io e Matt siamo soli. Le
cuccette di Stef e Steve sono intatte, segno che stanotte non sono proprio
rientrati. Presumo che abbiano cercato asilo dai tecnici o da qualche altra
band, per lasciarci un minimo di intimità. Gliene sono grato, sarebbe stato
abbastanza imbarazzante dover dormire con loro due ed il mio ragazzo.
La presenza del tour bus urta
contro qualcosa, che nel cadere a terra fa un rumore risuonante e vuoto.
Sospiro. Scivolo da sotto Matt, cercando per quanto possibile di non svegliarlo,
e mi alzo per uscire dalla zona notte.
Chester mi fissa imbarazzato.
-…ah…Brian…- mormora
arrossendo. Realizzo che sono in mutande e maglietta davanti a lui e, dopo
quello che è successo tra noi, non è il massimo. Ammetto che la situazione
imbarazza anche me.- Ciao.- borbotta lui comunque.
Alzo la mano per ricambiare.
-Credevo fossi sveglio.- si
giustifica Chester per correttezza.
-Sì. Beh, non importa.- ribatto
io condiscendente.
Chester tira un respiro e si
guarda attorno.
Dopo un mese di vita vissuta in
giro per gli States, questo bus ci rispecchia come la camera di un adolescente.
Ci sono i cd di Stefan, le scorte di cibo di Steve, il mio disordine infantile e
pigro…
A guardar bene si può capire
quasi ogni cosa di noi tre.
-…pensavo che fosse il caso di
parlarne.
Riporto l’attenzione su
Chester, distogliendola dal caos familiare che mi circonda.
Mi domando di cosa voglia
parlare. Cioè, è logico per lui pensare che ce ne sia bisogno, ma, sul serio,
cosa dovremmo dirci che sia sufficiente a far tornare indietro il tempo?
-Io…ci tenevo a scusarmi.-
risponde Chester ai miei pensieri. Sguardo basso, mani che giocano nervosamente
con il laccio che stringe il giubbotto in vita. Fa una sorta di smorfia che
vorrebbe essere un sorriso sardonico, ma a me da l’impressione di un bambino
contrito che stia chiedendo scusa di una marachella troppo grossa.
Istintivamente mi rendo conto
che dovrei interromperlo. Mettere in chiaro da subito come la responsabilità sia
sua tanto quanto mia.
Non lo faccio. E lui va avanti.
-Sai come succede, no?!- butta
giù.- Avevo bevuto qualche birra di troppo…- E “troppo” io so che è un aggettivo
usato in modo assolutamente improprio. Lui, in compenso, pare ripensarci e
decide di ridosare l’affermazione.- Mi sembra idiota negare che tu mi piaccia…-
ammette.- Ma ho decisamente esagerato e, penso, non lo avrei fatto se non fossi
stato così ubriaco, Brian.- Sospira e mi guarda.- E non mi va…che per un po’ di
alcool di troppo io debba mandare a puttane anche la possibilità di continuare a
frequentarci e…
Sbuffo un sorriso.
Lui lo prende per ironia e
cinismo, io so che è un sincero moto di pietà nei suoi confronti, suscita
perfino tenerezza in questo momento.
Sei proprio un bravo ragazzo,
Chester, non ti meritavi di trovarmi sulla tua strada.
Sospira pesante.
-Lo capisco se sei arrabbiato.-
mi dice, immagino lo faccia per incoraggiarmi a dirgli quello che penso. Non sa
che è qualcosa di così lontano da ciò che sta ipotizzando, che mai e poi mai gli
darò la possibilità anche solo di intuirlo.- Io lo sarei al tuo posto.- sorride
ancora, ed il disagio torna prepotente.- Non sono stato molto…elegante.
Mi chiedo distrattamente se sia
davvero così ingenuo come vorrebbe apparire.
-In definitiva, mi pento di
tutto, Brian, e spero solo di non aver combinato un casino tale da…- Non sa
neanche lui cosa stia cercando di salvare. È onorevole che ci provi, ma il punto
è che non c’era nulla prima e non c’è nulla ora. Io sono bravo a non dare niente
di me agli altri.- C’era un certo feeling…io vorrei solo poterti vedere anche in
qualche altra occasione e…
La tenda della zona notte viene
scostata.
So cosa vede Chester, non ho
bisogno di voltarmi. Glielo leggo sulla faccia quando la sua attenzione si
sposta da me e dalla frase che stava finendo, a qualcuno alle mie spalle. Sento
Matthew sbadigliare, in quel suo modo rumoroso che serve a richiamare gli
sguardi dei presenti su di sè. Io non mi muovo lo stesso, non mi volto e non
sciolgo le braccia dalla posizione in cui le tengo, incrociate sul petto. Vedo
Matt avanzare e muoversi solo nello sguardo di Chester. Nella sua comprensione
lenta, violenta ed imbarazzata.
Conosco i gesti di Matt, li
conosco uno ad uno, so che ora si starà stiracchiando come un bambino, che avrà
i capelli arruffati e ci infilerà le dita in mezzo solo per fare un disastro
maggiore, so che sta camminando a piedi nudi, che la prima cosa a cui penserà
sarà il caffè e che adesso probabilmente ha visto Chester e gli sta sorridendo
in segno di saluto.
So tutto questo.
Quello che non so, Matthew me
lo dice appena mi raggiunge.
Mi passa un braccio attorno
alla vita, si sporge verso di me, investendomi con il suo profumo, e mi posa le
labbra sul collo.
-Ciao, amore.- mi sussurra
contro la pelle prima di baciarmi.
Lo sento solo io. Ma Chester lo
capisce comunque. Perché Matthew sta palesemente rivendicando il territorio. Ed
è geloso. Non è uno stupido, ha visto la faccia di Chester, ha visto me, sa che
la persona con cui stavo per tradirlo è lui. Quindi ribadisce un possesso che io
non desidero negargli. La sua gelosia mi piace - inclino il capo di lato per
permettergli di baciarmi il collo - mi piace il modo in cui mi stringe
sollevando lo sguardo a ricambiare quello di Chester, mi piace che stia fingendo
con lui una cordialità che non prova affatto.
È un lato di Matt che vedo così
di rado da esserne ancora affascinato e che mi da l’esatta misura di quanto lui
sia perfettamente cosciente di sé, di me e di ogni altra persona che ci
circondi.
-Lui è Chester Bennington,
Matt.- presento spiccio, indicando il ragazzo che ci fronteggia.- Chester,
Matthew Bellamy.
È Matt il primo a muoversi,
lascia cadere il braccio con cui mi teneva e porge la mano all’altro,
regalandogli ancora un sorriso ed una battuta educata, pronunciata in un tono
così entusiasticamente coinvolto da sembrare sincero.
-Beh, diciamo che è difficile
non sapere chi tu sia, Chester, e sono felice di conoscerti.
Chester ricambia la stretta e,
impacciato, anche il sorriso.
-Sì…beh…non è che la situazione
sia molto diversa, per me…- mormora.
No, lui non ci riesce proprio a
fingere, in compenso.
Matt si tira dritto. Adocchia
la cucina dietro Chester e la indica.
-Se non vi secca, io cerco del
caffè mentre voi chiacchierate.- annuncia, sfilando poi lungo il corridoietto
per raggiungere la macchinetta.
Chester ed io rimaniamo da
soli. La presenza di Matt è ingombrante comunque, il rumore che fa nel mettere
su il caffè arriva pesante tra noi due. Chester ci prova un paio di volte ad
aprire la bocca per riprendere il discorso, io invece non faccio nulla per
rendergliela più facile.
Alla fine scuote un braccio e
sorride, stavolta con sincerità ed insieme con una buona dose di
autocommiserazione.
-Sono un cretino.- annuncia
piatto, sollevando una mano per salutarmi.
Si volta e va via senza che
nemmeno gli risponda.
-Vuoi la panna nel caffè?- mi
domanda Matthew.
“Non vuoi sapere nulla, Matt?”
-No, Alex mi strangola.-
borbotto.
-Io ti trovo un po’ sciupato,
secondo me potresti tranquillamente concederti della panna nel caffè.- ribatte
venendomi incontro con le tazze.
Mi supera per posarle sul
tavolo e mi guarda da lì.
-Beh?- mi chiede fissandomi
perplesso.- Vuoi fare colazione o no?
“Non vuoi sapere proprio
nulla, Matt?”
-Sì, certo.- rispondo
distrattamente, andandogli vicino.
Fa sedere me per primo, poi mi
si siede accanto.
-Ti amo, Brian.- mi dice senza
nessun motivo, fissando lo sguardo sul fondo limaccioso della propria tazza.
E poi riprende a bere.
“Nemmeno quanto è stronzo il
tuo ragazzo?”
***
So che non mi si staccherà di
dosso tanto facilmente.
-Perdi l’aereo.
So che se dipendesse da
lui...da me...da un qualunque fattore di questo Universo che uno di noi due
potesse influenzare, questo momento si congelerebbe esattamente così.
-Non è che me ne freghi più di
tanto…- brontola a mezza voce.
Con lui attaccato alle mie
spalle, con il naso affondato nel collo, superando la resistenza della camicia.
-A te non fregherà, ma a Tom
sì.- ribatto.
Con questa immobilità fatta di
una confusione che non riesce a raggiungerci.
Adoro il fatto che negli Stati
Uniti tanto il suo quanto il mio gruppo siano poco conosciuti.
-Si fotta.- borbotta Matt
affondando ancora di più il viso e facendo perdere quelle parole in un punto
imprecisato tra il risvolto del colletto e la mia clavicola.
Ridacchio. Un po’ perché il suo
fiato mi solletica la pelle, un po’ perché mi fa tenerezza quando si comporta
come un moccioso e mi si appiccica addosso come un adolescente alla prima
scopata.
-Matt, piantala.- lo rimprovero
comunque.
Più precisamente, adoro il
fatto che questa mancanza di notorietà ci permetta di restare in pubblico a
scambiarci smancerie senza correre il rischio di essere assaltati dai fan o,
peggio, da qualche giornalista in cerca di scoop facili.
Lui mugugna. Quando arriviamo
ai suoni inarticolati, significa che ho vinto e sta per decidersi a mollarmi e
salire sull’aereo. Hanno chiamato il suo volo già da un quarto d’ora buono, non
voglio sul serio che rischi di restare a terra, ho sentito le urla di Tom quando
lo ha chiamato prima e non mi va di avere né lui né il suo manager sulla
coscienza.
Infatti sbuffa. Si tira dritto
e lascia ricadere le braccia, così che per un momento ho un po’ di freddo senza
averlo più addosso.
-Ci vediamo tra due giorni.- mi
sforzo di ricordare ragionevole.
-Bah!- sbotta lui arricciando
il naso come un ragazzino. Incrocia le braccia sul petto con aria bellicosa e mi
guarda fisso- Non sperare di rabbonirmi così!- protesta.- Due giorni sono
un’eternità! E poi avrete da fare anche quando arriverete in Inghilterra! Io la
conosco Alex, quella vi molla solo dopo morti!
-Sparisci.- ordino senza
lasciarmi fuorviare da quei capricci. Indico con la testa i gates di imbarco.-
Su.- ripeto paziente.- Fila via.
-Tu non mi ami.- annuisce lui
con convinzione, recuperando quel po’ di dignità che conserva dopo questa
pagliacciata ed apprestandosi ad utilizzarlo per consegnare il biglietto alla
hostess e farsi accompagnare sull’aereo.- Che palle…- borbotta ancora guardando
la signorina sorridente da lontano.
-Matt, vai.- ripeto. Ci provo a
restare saldo nei miei propositi, ma non è che non senta da me che la voce mi
trema. Matthew mi guarda affatto convinto, ho fatto un casino…già la sua voglia
di partire è pari a zero.- Muoviti, ti prego.- ribadisco tentando di mantenere
un tono fermo.
Sospira.
-Dopodomani ti aspetto
direttamente sulla pista di atterraggio, giuro.- mi sussurra.
-Sì, certo!- rido io.- Vai.
Fa un po’ male alle volte.
Dipende principalmente dalla consapevolezza che per noi riuscire ad avere ciò
che hanno tutte le altre coppie è immensamente più complicato.
Dipende dal fatto che siamo dei
privilegiati.
Su un mucchio di aspetti.
E paghiamo un prezzo. A volte
un po’ troppo alto.
Vedere la persona che si ama
darti le spalle e fare due passi che la porteranno dall’altro lato del globo, ad
esempio, è un prezzo davvero salato quando sai che hai rischiato tutto.
Io non sono davvero un
idealista, all’amore eterno mi ostino a non credere; pensare, che ogni cosa che
ho e che adesso mi appare bellissima, possa sparire da un momento all’altro è
stata un’abitudine che ho assunto anche troppo in fretta.
Quindi non capisco davvero
perché mi costi così tanto vederlo fare questi due passi, consegnare un foglio
di carta, voltarsi un’ultima volta e sollevare un braccio per salutarmi.
***
Da quando stiamo insieme, Matt
non mi ha mai chiesto esplicitamente di presenziare ad un suo live. Più di una
volta gli ho letto sulle labbra una sorta di ansia curiosa un po’ infantile che,
mentre le osservavo stringersi e passare sotto l’impietosa striscia di morsi cui
le sottopone quando è nervoso, mi ha dato un’idea molto precisa di quanto grande
fosse il suo desiderio di esplodere ed afferrarmi per un polso, trascinandomi
giù per le scale fino alla macchina che lo aspettava sotto casa – mia o sua,
dipendeva da dove si faceva trovare – per condurmi alla location e costringermi
a stare lì nel backstage per tutta la durata del soundcheck e del concerto.
S’è sempre frenato.
Probabilmente perché neanche io gli ho mai chiesto di venire a vedermi.
Io, è ovvio, lo faccio perché
ho paura della sua opinione nei miei confronti. Non in quanto persona – non c’è
niente che Matthew possa dirmi che io non abbia già pensato di me stesso da
qualche parte durante il mio percorso di vita, o che non continui comunque a
pensare quando mi do l’occasione di farlo… e oltretutto dubito seriamente che
Matt possa raggiungere i livelli di crudele meschinità che mi riservo quando
penso a me stesso – ma in quanto artista. Matthew non esprime giudizi, ma tende
ad esporre le proprie idee esattamente come nascono nella sua testa. E le idee,
a volte, sono peggio dei giudizi. I giudizi possono essere falsati da tante cose
– la rabbia del momento così come un eccesso di improvvisa tenerezza – ma le
idee, quando non sono bugie, sono pure. Intonse.
Per dire, una volta si stava
parlando del più e del meno e Matthew mi ha confessato di non apprezzare
particolarmente le canzoni in cui la linea di batteria è realizzata con la drum
machine. La ritiene una semplificazione alla stregua dei sintetizzatori, con la
differenza che il rispetto che riserva per la batteria come strumento ha
accezioni quasi sacrali, e quindi il solo sentire una ritmica basata
sull’inconfondibile suono sempre troppo ovattato e troppo veloce delle drum
machine lo irrita. “È per questo che generalmente neanche ascolto i remix che
fanno delle nostre canzoni per infilarli nei singoli”, ha confessato mugugnando,
“Lì le utilizzano spessissimo”.
Ora. L’ottanta per cento della
musica che mi piace è talmente influenzata dalla techno che le drum machine sono
quasi la norma.
Ovviamente, Matthew non mi
stava dicendo “la musica che ascolti mi schifa”.
Ma se sono stato in grado di
passare un’intera nottata scrollando la playlist dell’IPod, riascoltando tutti i
brani di un certo tipo e ponderando seriamente se fosse o meno il caso di
eliminarli dalla mia quotidianità soltanto perché Matt aveva mostrato di non
apprezzare la categoria alla quale appartenevano, vi lascio immaginare cosa
sarei capace di fare se le sue idee, invece di andare a toccare soltanto la
musica che ascolto, andassero a toccare la musica che faccio.
Sarebbe evidentemente un
cataclisma di proporzioni talmente enormi che niente riuscirebbe ad arginarlo!
Sarebbe come un maremoto! Andrei in giro come uno zombie strillando che devo
dare una svolta alla mia vita e blaterando dissensi random mentre vado
riascoltando l’intera discografia dei Placebo e medito di ritirare tutti i
nostri album sparsi per il mondo, vagheggiando di raccoglierli in pire come
altari sacrificali e dar loro fuoco per eliminare ogni traccia di Male dalla
faccia della Terra!
Quindi, in definitiva, è
perfettamente comprensibile che io mi sia ben guardato dal chiedergli di venire
con me ad un concerto. Anche perché mi conosco abbastanza bene da sapere che,
alla fine dell’esibizione, gli sarei saltato addosso pretendendo pareri anche se
Stef avrebbe fatto di tutto per fermarmi.
Quello che non si capisce è
perché lui, che è evidentemente un genio – e questo è stato sempre abbastanza
chiaro per tutti, perfino per me e perfino quando invece di ammetterlo mostravo
di non crederci – possa preoccuparsi di qualcosa di simile.
Voglio dire, è ovvio che adoro
qualsiasi cosa crei! Adoro perfino quello sciocco romanzo illustrato che si
ostina a portare avanti nonostante sia vero che non ha né capo né coda!
Figurarsi se potrei mai dire “ba” anche solo su una nota partorita dal suo
cervello. Anche se è abbastanza chiaro per tutti pure il fatto che in realtà il
cervello musicale di Matt non si muove per note ma per lucine colorate che
abbina a suoni più o meno acuti o più o meno gravi.
Ma questo non c’entra.
Comunque, non ero mai stato
invitato ad un live prima di quella volta, ed effettivamente neanche quella
volta successe.
Era inverno. Probabilmente
gennaio.
Io e Matt abbiamo scelto
proprio i periodi peggiori delle nostre vite per incontrarci e innamorarci. È
talmente ovvio e talmente idiota nella sua ovvietà che fa quasi pensare che sì,
un ordinatore dell’universo debba esistere – ed odiarci tutti. Perché non
si può concepire che due persone intelligenti quali noi siamo possano
coscientemente dare un’occhiata ai loro programmi per l’anno in corso, vedere
che sarà massacrante e aggiungerci anche una relazione. È assurdo.
Sta di fatto che io avevo
finalmente strappato ad Alex una serata libera dopo mesi e che, tutto contento,
ero tornato nel mio appartamento saltellando come un coniglio ed afferrando il
cellulare per chiamare Matt, dargli la bella notizia ed annunciargli che se non
voleva che andassi a prelevarlo direttamente a casa sua avrebbe fatto meglio a
trovarsi da me in dieci secondi netti, quando mi sento rispondere che “amore,
devo essere sul palco fra mezz’ora…”.
- Dove diavolo sei?! – chiesi,
strillando istericamente nella cornetta. Già terrorizzato dal fatto che lui
potesse candidamente uscirsene con un “Ma amore, in Bangladesh, te l’ho detto
ieri!” che mi avrebbe spezzato il cuore e costretto a strapparmi i capelli dalla
testa uno ad uno, cercai di fare mente locale, chiedendomi se per caso mi avesse
detto che doveva espatriare mentre mi stavo passando lo smalto. Tendo a non
badare a niente di ciò che mi circonda, quando passo lo smalto.
- Uhm… - tergiversò Matt, -
Aspetta.
Lo sentii allungare il braccio
e afferrare qualcosa.
Capii che non era “qualcosa”
quando il qualcosa strillò “Matt, vai a cagare!”, con un tono di quelli che ti
fanno pensare che chi lo usa sia arrivato ben oltre il punto di rottura già da
tempo. Allora compresi che doveva trattarsi di Dom.
- Dov’è che siamo? – gli chiese
Matt con innocenza, e nel tempo che io utilizzai per schiaffeggiarmi la fronte
con una mano, Dom riuscì non solo a dirgli il nome del posto in cui si
trovavano, ma anche a ricoprirlo di una tale quantità di epiteti ingiuriosi che
il mio vocabolario di imprecazioni ne uscì notevolmente arricchito.
- Che ci fate lì? – chiesi io,
quando sentii la voce di Dom allontanarsi abbastanza da darmi ad intendere che
la diatriba era finita.
- Mah. – rispose lui, sbottando
infastidito, - Tom dice che stiamo perdendo il contatto col pubblico. Perciò ci
ha messo a suonare in piazza.
- Ahah. – ridacchiai divertito,
- E quanti milioni di londinesi staranno stipati in questa piazza?
- Temo pochi. – borbottò Matt,
- Hanno finito di montare il palco tipo due ore fa e pare che ancora non se ne
sia accorto nessuno. È uno spettacolo a sorpresa. Di quelle cose che fanno i
musicisti affermati quando vogliono far prendere un infarto ai fan, sai?
- Mai fatto niente del genere
in vita mia. – ammisi, scuotendo il capo. – Quando voglio far prendere un
infarto ai fan generalmente bacio il mio bassista.
Lui rimase un po’ in silenzio,
dall’altro lato della cornetta. Per un attimo temetti si fosse offeso.
- Brian, - rispose dopo che il
silenzio si fu esaurito, - sai che a volte ho difficoltà a credere che Muse e
Placebo abbiano esattamente lo stesso tipo di fan?
- In realtà è del tutto
normale. – spiegai con un sospiro supponente, - Noi diamo a loro ciò che voi
siete incapaci di fornire.
- A-ha. E sarebbe?
- Mmh… tanto amore?
Scoppiò a ridere ed io lo
seguii senza neanche rifletterci. L’eco della mia risata risuonò per tutto
l’appartamento vuoto, ritornando indietro fino a me e abbattendosi crudelmente
contro la mia faccia, ed io mi sentii vuoto e perso ed ebbi così tanta
voglia di vederlo che dovetti mordermi un labbro per non dirglielo.
- Adesso devo scappare. – disse
lui frettolosamente, sbuffando irritato, - Ti chiamo appena finisco, aspettami
sveglio, se puoi.
Non ebbi nemmeno il tempo di
salutare.
Comunque, neanche un minuto
dopo, ero già in macchina. Fortunatamente, la piazza che era stata adibita a
location per il concerto non era particolarmente lontana da casa mia, perciò
arrivai nei paraggi in poco più di un quarto d’ora.
Una volta lì mi resi conto di
quanto pie fossero state le illusioni di Matt, quando mi aveva detto – magari
credendoci per davvero – che a quel concerto non sarebbe andato nessuno. La
piazza era gremita di gente. Chi non entrava all’interno dell’area riservata al
pubblico, delimitata da lunghi e pesanti cordoni gialli intrecciati, retti in
aria da pali arancioni lunghi poco meno di un metro e piantati in enormi blocchi
di cemento che faticavo a immaginare potessero avere un utilizzo serio oltre
quello per il quale erano stati usati quella sera, si disperdeva lungo le
stradine laterali. Le file erano enormi. I balconi dei palazzi intorno,
strabordanti. La folla era gonfia come un fiume in piena, spaventava quasi.
Fu sostanzialmente un miracolo
che uno dei collaboratori di Tom passasse di lì, per controllare che i cordoni
non cedessero, e mi notasse. Mi fissò incredulo e attento per qualche secondo, e
io pensai distrattamente che, per una persona che probabilmente mi aveva visto
in tutto tre volte, e solo quando ero perfettamente truccato perché nel momento
in cui mi aveva posato gli occhi addosso ero anche sulla copertina di qualche
rivista, non dovesse essere facile riconoscermi in una situazione come quella.
Ma lui mi riconobbe.
- Brian Molko? – chiese,
avvicinandosi, un po’ incerto.
Io sorrisi, stupito, ed annuii.
Poi venne il momento della
domanda scomoda.
Era chiaro che non poteva
chiedermi “e che ci fai qui?”. Sarebbe stato terribilmente maleducato, e
sicuramente quello che aveva sentito dire di me non lo incitava a comportarsi
con leggerezza nei miei confronti. Ciononostante, la situazione imponeva di
vederci chiaro, e lui pensò di farlo nel modo più limpido e inequivocabile
possibile.
- Sei il ragazzo di Matthew,
vero? – chiese con una punta di paura, stringendosi nelle spalle.
Io risi.
- L’ultima volta che ho
controllato, sì. – risposi conciliante, cercando di non metterlo a disagio.
Immaginavo quanto dovesse essergli costato fare una domanda simile. È il tipo di
domanda che costa sempre fare, quando non hai più quindici anni, non lavori per
un giornale scandalistico… e be’, non sei Matthew.
L’uomo sollevò una parte del
cordone, mandando due energumeni a bloccare il resto della folla mentre mi
invitava a passare e mi conduceva velocemente nel backstage, dove mi affidò alle
amorevoli cure di Tom. Il quale mi fissò, sconvolto, e fece la domanda che, per
delicatezza, il suo collaboratore non mi aveva fatto.
- E tu che diamine ci fai qui?!
Ovviamente, per lui il
convenevole del “sei il ragazzo di Matt” non aveva senso. Quindi era anche
giustificato, in parte, se metteva in secondo piano l’educazione per
concentrarsi sulla realtà sconvolgente per la quale l’uomo del suo frontman si
trovava nel backstage di un concerto del proprio ragazzo e si aspettava anche
che di lui fosse fatto qualcosa di utile.
- Sono venuto a guardare… -
risposi a mezza voce, lasciando vagare lo sguardo sul caos di persone e
apparecchiature che affollava il retro del palco.
- Dio mio. – mugugnò Tom,
sconvolto, - Matthew lo sa?
- Non ho avuto tempo di
dirglielo. – ammisi. Il fatto che non ci avessi neanche pensato non mi sfiorò
neppure da lontano.
Tom annuì, digerendo
l’informazione e incrociando le braccia sul petto.
- Okay. – disse infine,
arrendendosi. – Però non puoi stare qui. Ogni volta che finisce una canzone
questo posto si trasforma in un delirio. – si fermò, guardandosi intorno e
catturando una povera ragazza che si muoveva sbatacchiando da un lato all’altro
la Manson argentata di Matt. – Monica!!! Si può sapere dove diavolo stai
portando Silver?!
La ragazza si giustificò
dicendo che Matthew era nervoso, era completamente impazzito e minacciava di non
usarla se non fosse stata perfettamente lucida, e quindi lei stava andando alla
ricerca di una spugna e un prodotto adatti allo scopo. Tom la lasciò andare con
un sospiro e le disse di tornare da Matt e convincerlo ad usare Silver senza
fare storie. – Con le buone o con le cattive, Moni. Non mi interessa. Se è il
caso, spaccagliela sulla testa. – poi tornò a rivolgersi a me, - L’idiota si è
del tutto rincoglionito, se pensa di poter mandare a lucidare la chitarra con
cui deve aprire a due minuti dall’inizio del concerto.
Io ridacchiai sommessamente e,
sinceramente, cominciai a pentirmi di trovarmi lì. Quel backstage non somigliava
affatto a quelli dei nostri concerti. Da noi era sempre tutto estremamente
calmo. Estremamente pianificato. Non c’erano mai enormi scossoni, se pure
mancava qualcosa la si ritrovava sempre in tempo per evitare lo scoppio di una
crisi di panico da parte di uno qualsiasi di noi. Lì invece la dimensione
prettamente lavorativa delle esibizioni live sembrava essersi persa tra una
buccia di banana e l’altra, come dimostrava il cestino della carta straccia
rigato di giallo.
- Facciamo così. – disse Tom,
riflettendo seriamente, - Soffri di vertigini?
Negai risoluto, anche se stavo
mentendo. Non mi sembrava il caso di fare impazzire Tom, e lo sguardo che aveva
era proprio di quelli che sembrano dirti “contraddicimi e comincio a mangiarmi
la maglietta qui ed ora”.
- Bene. Allora, vedi lassù i
fari? – chiese, afferrandomi per le spalle e stringendomi a sé perché potessi
osservare esattamente il punto che stava indicando, oltre i tendoni che
coprivano il backstage e lasciavano intravedere l’estremità superiore
dell’impalcatura. – Lì c’è una specie di intercapedine. Fa un caldo boia ma è un
posto sicuro. E potrai osservare tutto quello che succede sul palco! – concluse,
con lo stesso tono col quale avrebbe parlato di una meravigliosa vacanza a Ibiza
se fosse stato impiegato in un’agenzia di viaggi.
Io deglutii e annuii e, ancora
stordito da tutte quelle parole – e da tutto quel dannato casino – mi
lasciai condurre su per una ripidissima scaletta che sembrava appena appoggiata
ai sostegni del palco, ma che, come mi ricordò Tom, cercando di rassicurarmi dal
momento che anche lui notò il mio sguardo, e anche il mio sembrava di quelli che
possono costringere a mangiare una maglietta, era in realtà fissata con delle
viti talmente enormi che anche se le avessi viste non avrei creduto alla loro
esistenza.
Una volta là sopra, mi
accoccolai fra una luce rosa e una luce blu, aggrappandomi alla ringhiera e
guardando di sotto.
- Sta’ lontano da queste blu,
adesso. Le usiamo per Map e per Time. Map apre. Non ti fare fulminare o Matt mi
ucciderà. – mi istruì seriamente Tom. – Quelle rosa, invece, non le usiamo prima
del finale. – continuò con piglio severo, agitandomi un dito davanti alla
faccia, - Il finale è Knights. Quando senti Knights, scendi, perché le usiamo
tutte… - borbottò, indicando con un ampio gesto delle braccia ogni singolo faro
presente là sopra, - …e qui potrebbe diventare bollente. – si interruppe
e mi guardò. Stavo ancora mollemente appoggiato al faro blu, fissando con aria
assente alternativamente lui e il vuoto sotto di me. – Mi hai capito? – chiese
dubbioso, inarcando un sopracciglio. Io annuii. – Non voglio ritrovarti fritto.
Né alla brace. Né lessato. – rifletté qualche secondo, probabilmente dandosi
dell’idiota per aver accettato di portarmi fin lassù. – Per carità, fatti
trovare vivo. – concluse infine. Dopodichè girò sui tacchi e, agitando un
braccio come a dire che sarebbe stato comunque tutto un disastro,
raggiunse la scaletta e scomparve di sotto.
Non so per quanti minuti rimasi
lì, da solo, in silenzio. Mi sembrarono eterni, in ogni caso. Rimasi appoggiato
al faro, poi realizzai effettivamente che mi era appena stato detto di staccarmi
da lì e quindi tornai ad aggrapparmi esclusivamente alla ringhiera davanti a me,
poggiando il gomito sul ferro e il mento sul palmo aperto.
Poi si fece tutto buio.
La folla esplose in un delirio
di urla e richiami festosi.
La luce blu si accese.
E Matthew era lì. Sotto di me.
Prima ancora che la folla potesse individuarlo con precisione, complici anche le
luci bassissime che confondevano la vista, l’attacco della chitarra distorta di
Map era partito. Silver non riusciva a splendere, con tutto quel buio, ma il pad
rifletteva una minuscola lucina fosforescente sulla spessa asta del microfono
davanti a lui. Da qualche parte, accanto alla batteria, il tastierista aggiunto
spezzò l’assolo di chitarra con le tre note dal suono cristallino e tintinnante
come quello dei campanellini, che contraddistinguevano la linea di piano di
quella canzone, e quasi contemporaneamente Chris attaccò con la linea di basso.
Quando anche Dom si aggiunse al perfetto quadro sonoro che si andava delineando,
la folla impazzì, ed io assieme a lei. Persi completamente il senso della
realtà. Dello spazio. Del tempo. Rimasi incantato ad osservare i movimenti di
Matt sul palco, la chimica perfetta con la quale interagiva coi suoi compagni di
band, la naturalezza un po’ scomposta e infantile con la quale si lasciava
andare ai saltelli e al trottolio confuso che lo guidava da un lato all’altro
del palco in un movimento frenetico e senza sosta.
E poi la canzone terminò, lui
si mise a giocare con gli effetti della chitarra e, per rendere la cosa più
credibile, se la sfilò di dosso e la sollevò sulle braccia tese fin sopra la
testa, come la stesse offrendo in sacrificio a un dio superiore. Era un
movimento che aveva un che di assurdo e, al contempo, di affascinante. Il che
riassumeva un po’ Matt nella sua interezza.
Sorrisi teneramente, incapace
di staccargli gli occhi di dosso.
E fu in quel momento che lui
aprì i propri. L’avevo osservato spesso suonare per conto proprio, e sapevo che,
quando cominciava, capitava raramente che riuscisse a tenere gli occhi aperti
per più di dieci secondi consecutivi. La sua trance artistica prevedeva
l’isolamento totale rispetto al resto del mondo, e gli occhi chiusi lo aiutavano
ad ottenerlo.
Perciò immagino che si sia
sentito spaesato, quando aprì gli occhi e guardò in alto e lì in alto trovò me.
Lessi tutto lo stupore che gli
annebbiava la mente, nello sguardo enorme che mi piantò addosso. E nella linea
delle sue labbra, che si dischiusero in una piccola “o” vagamente ridicola.
Fortunatamente non doveva star
lì a badare alla chitarra, che continuava a cantare per i fatti propri,
interagendo autonomamente con l’amplificatore a due passi da lui.
Io risi ancora, ed agitai una
mano come per salutarlo, stringendomi nelle spalle. Mi augurai che mi vedesse.
Mi augurai che scorgesse il mio sorriso, che percepisse almeno una parte di ciò
che stavo provando in quel momento. Dell’ammirazione, della gioia, dell’amore
assoluto che mi stava riempiendo al punto da farmi sentire quasi devastato.
Si lasciò ricadere addosso la
chitarra. La fortuna volle che la tracolla gli si incastrasse sulle spalle,
impedendo allo strumento di schiantarsi contro il legno del palco. Lui non le
badò. Il suo peso non lo spostò di un millimetro. Continuò a fissarmi e sollevò
un braccio. Due dita tese. Dritte verso l’alto. Come volesse raggiungermi.
Anche io stesi il braccio, ed
allungai le dita.
Fisicamente, non ci toccammo.
Ma da qualche parte, nell’aria
in mezzo a noi, in qualche modo ci riuscimmo comunque.
*
Ho perso tempo in città perché
non mi andava di tornare subito. Quando rientro, Alex mi aspetta a braccia
conserte sugli scalini del tour-bus.
- Mi auguro che non ci saranno
altri colpi di testa, Brian. – dice severamente, picchiettando col tacco sul
metallo e producendo un suono irritante che in qualche modo mi ricorda la Madre
Superiora che dirigeva la scuola privata che ho frequentato per tutte le
elementari. – Avanti… - prosegue, sospirando pesantemente ed addolcendo lo
sguardo e l’espressione del viso, - Domani c’è l’ultimo. E poi si torna a casa!
Riposo! Vacanza!
- Già. – annuisco io,
sorridendo maligno, - Per una settimana. Poi di corsa in sala prove per tirare
fuori nuovo materiale per il prossimo album, scommetto.
Alex si morde un labbro.
- A questo proposito, Brian…
- Ah, no! – la interrompo io,
agitando una mano, - Se stai per dirmi che non avrò neanche la settimana che mi
hai promesso, fanne pure a meno! – mi lamento, voltandomi e cominciando a
camminare risolutamente verso un qualsiasi punto sia lontano da lei, - Non solo
non intendo starti a sentire, ma intendo fuggire su qualche isola tropicale
appena toccato il suolo inglese, ti avverto!
La sento sospirare ed
arrendersi alle mie spalle. Borbotta un trasognato “non fare troppo tardi” e
rientra nel tour-bus, mentre io continuo ad allontanarmi, vagando senza meta fra
bus e camion, nel pomeriggio che sfocia in tramonto.
È proprio mentre vago che, a un
certo punto, mi imbatto in una scena insolita che cattura la mia attenzione.
Gerard Way e Chester Bennington stanno l’uno accanto all’altro, seduti su un
amplificatore enorme. E, a quanto pare, stanno chiacchierando del più e del
meno.
Nessuno dei due rientra nella
ristrettissima lista di persone con le quali mi andrebbe di parlare, adesso.
Ciononostante, non sospettavo che fossero amici, e vederli così… in intimità,
per dirla in questo modo, mi stupisce e m’incuriosisce. Perciò, da brava
adolescente cretina che non sono altro, mi nascondo dietro un rimorchio
spaventosamente grande e resto in ascolto.
- E quindi in definitiva com’è
andata? – chiede Way, distratto, guardandosi intorno come non vedesse l’ora di
trovare un diversivo col quale porre fine a quella conversazione.
Chester non solleva lo sguardo
dal terriccio polveroso che, dalla propria posizione, arriva appena a lambire
con le punte dei piedi. Lancia un sospiro stremato e si sgonfia come un
palloncino, sistemandosi gli occhiali sul naso.
- È andata male, come vuoi che
sia andata. – risponde infine a bassa voce.
- Come?! – sbotta incredulo
Gerard, allontanandosi da lui come potesse essere portatore sano di una malattia
contagiosissima, - Che vuol dire “male”?! Non ci sei andato a letto?! Dopo tutta
la fatica che ho fatto per lasciarti stare da solo con lui?!
- No! – strilla Chester,
sollevando finalmente lo sguardo e strizzando i pugni abbandonati fra le gambe
semidivaricate, - E non solo! Due giorni dopo trovo il coraggio per andare
quantomeno a chiedere scusa per… Dio…
- Chester, ti prego…
- …per essergli saltato addosso
come un dannato cane arrapato, Cristo santo! E cosa scopro? Ma che ovviamente
era fidanzato! E non con Pinco Pallo, no! Con Matthew Bellamy!!! Cazzo, cazzo e
cazzo! E nessuno che si fosse premurato di dirmelo, ovviamente!
Gerard lo guarda, inarcando le
sopracciglia come farebbe di fronte ad un adolescente particolarmente duro di
comprendonio.
- Io credevo lo sapessi. –
mugugna alla fine, scrollando le spalle.
- Come cazzo dovevo fare
a saperlo, me lo spieghi?! – grida ancora il biondino, gesticolando
animatamente.
Gerard scrolla nuovamente le
spalle.
- Sta attaccato al telefono
ventiquattro ore su ventiquattro e quando riemerge da dove si è nascosto per
chiamare praticamente volteggia a un metro dal suolo… per essere più chiaro di
così avrebbe dovuto scriverselo sulla fronte...
Chester si affloscia nuovamente
su sé stesso, esausto.
- Sono peggio di te. Ho
distrutto un rapporto presumibilmente serio e appassionato…
- Non hai distrutto un cazzo
perché non sei stato neanche in grado di scopartelo, quello stronzo. – precisa
Gerard con noncuranza, guadagnando, in cambio dell’epiteto, che il suo nome,
recentemente scomparso dal mio Taccuino dell’Odio, vi ricompaia senza troppe
cerimonie.
- Gerard: vaffanculo. –
conclude eloquentemente Chester, sia per sé stesso che per me.
Gerard sospira pesantemente e
poi solleva un braccio, passandoglielo sopra le spalle ed attirandolo a sé in un
abbraccio un po’ goffo e infantile. Anche tenero, a proprio modo.
- Dai che non è successo
niente. – lo rassicura, mentre Chester, stretto a lui, si lascia andare ad un
respiro sollevato e ad un sorriso triste, - Comunque sei incolpevole. Non sapevi
che fosse impegnato. E poi a te lui piace davvero, quindi sei giustificato.
- Mmmh… - mugugna Chester,
ritrovano poco a poco sicurezza, - Be’, sì. In ogni caso sono meglio di te. Tu
sai che Stefan è impegnato, eppure…
Gerard sorride, digrignando i
denti.
- Purtroppo, so pure che per
quanto possa provarci non caverò un ragno dal buco. – ammette controvoglia,
pizzicando la spalla di Chester che ancora tiene stretta fra le dita, - È per
questo che continuo a provarci, tanto so che le mie spoglie mortali resteranno
pure e caste.
Be’.
Se non altro, questo dimostra
che quando scelgo i bersagli contro i quali fare lo stronzo, dovrei informarmi
meglio prima.
È chiaro che mi sono sbagliato
su così tante cose che fatico a tenere il conto.
- Pure e caste. Sì, certo. –
riprende Chester, ormai del tutto ristabilito, - Vienimelo a raccontare quando
andrai di fronte a San Pietro e lui ti mostrerà incredulo il filmato su YouTube
in cui baci tuo fratello, chiedendo a te come dovrebbe comportarsi nei confronti
di un tale abominio.
- Dio mio, no! – si lamenta
Gerard, staccandosi dall’abbraccio e saltando in piedi, - Come quando alle
elementari la maestra osservava le macchie di pennarello sui compiti e poi
diceva “Gerard, come pensi dovrei comportarmi di fronte a questo?”.
– fa una smorfia irritata, tendendo una mano a Chester che la afferra per
lasciarsi aiutare a saltare accanto a lui, - L’avessi davanti qui ed oggi
risponderei “’cazzo ne so, signora maestra, è lei che pagano per punirmi. Quando
pagheranno me per decidere che punizione propinarmi, sarà la volta buona che
deciderò di punirmi con una vacanza alle Hawaii, vita natural durante”!
Chester ride di gusto e gli dà
del cretino mentre si allontanano insieme, diretti da qualche parte.
Rido anche io. Prima
sommessamente. Poi, quando sono sicuro che non possano più sentirmi, più
apertamente.
- Ridi pure da solo, adesso.
Bene. – dice la voce sorridente di Stef alle mie spalle, - Adesso posso chiamare
davvero la neuro.
Rido ancora, infilando le mani
in tasca e raggiungendolo.
- Mi cercavi? – chiedo a bassa
voce, incamminandomi al suo fianco verso il tour-bus.
- Sì. – risponde lui, - Alex ha
cominciato a borbottare che s’è fatto tardi e fuori fa freddo. E Steve non
riesce a trovare le merendine al cioccolato.
- Perché gliele ho nascoste! –
borbotto, - Non potevo mica lasciare che le facesse fuori tutte in un
pomeriggio!
Stefan ride divertito.
- Alex ti amerà per questo. –
commenta ironico.
Io spingo le mani più a fondo
nelle tasche dei jeans, e le mie dita impattano contro il cellulare che, per
fortuna, durante la caduta di due giorni prima non è andato completamente
distrutto.
A due passi dall’entrata del
tour-bus, mi fermo e lo tiro fuori. Stefan si ferma accanto a me, inarcando un
sopracciglio inquisitore.
- Tutto a posto. – sorrido
sereno, - Entro fra due minuti. A quest’ora Matt dovrebbe essere già arrivato.
*
Nota di fine capitolo della
liz che dopo aver riguardato il tutto si vede apostrofata in una maniera
indecente da Nai:
Sì, buonasera *-*;;; Oggi
sarò breve (perché devo tornare a scrivere) ed immodesta: amo questo capitolo,
pure se ne ho scritto una parte anche io T_T Questo è il capitolo in cui Matthew
rinnova i suoi voti di possesso *_* Amo come stia appiccicato a Brian per tutto
il tempo, sia sul tourbus che all’aeroporto X3 È una cosa tenerissima *.*
E poi sì, amo anche il pezzo
del concerto, credo sia il pezzo migliore che abbia scritto per questa storia XD
*immodestia rulez*
E poi ci sono Gerard e
Chester che interagiscono <3 Io li trovo mortalmente amabili, voi no? *.* (sì,
ci sto fangirlando su. Ma voi non volevate veramente saperlo, vero? O_ò).
Anyway, siamo quasi alla
fine ç_ç Mancano solo ultimo capitolo ed epilogo. *piange* Mi dispiacerà
abbandonare Trapped ;_;
Nota di fine capitolo della
Nai:
Uh, visto che Liz si lamenta
sempre che scrivendo le note per prima non può influenzarvi, faccio in modo che
sia davvero così!!! **
Importante avviso ai
naviganti! ù_ù Qualunque cosa la Liz dirà, non credetele! è_é
A parte ciò!!! Non ricordavo
quanto fosse splendida la parte del concerto, Matt e Brian sono deliziosi, uno
più rincoglionito dell’altro! *_*
Brian e lo smalto del
Bangladesh! Matthew ed il qualcosaDom a cui chiedere dove sia XDDDDD
Ah! Viva l’essere fuori dal
mondo ^_^
E siamo a meno uno! ^_-
|
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Capitolo 13 *** Thirteen. ***
L
L’Easily Forgotten Love
ringrazia i propri lettori. Tutti tutti!
E sopra tutti ringrazia per
le recensioni e l’affetto: Erisachan, Isult, Stregatta, Whity, Sweet
Pandemonium, Memuzz, Irish Breeze, Will91.
Un bacio a tutte donnine
:**********
…they
have trapped me in a bottle…
Thirteen:
Sono decisamente un individuo
umorale. Una di quelle insopportabili persone che riescono a passeggiare sugli
eventi della vita e sugli altri con facilità spaventosa. Dimentico in meno di un
istante quasi tutto quello che succede intorno a me – salvo poi conservarne una
traccia indelebile sul fondo della mente, una traccia che inevitabilmente e
sottilmente condiziona tutto il resto di me in un modo che non riesco
neppure a percepire con precisione.
Oggi, ad esempio, quello che mi
scorre nelle vene è indissolubilmente legato ad una sola consapevolezza.
Domattina sarò a Londra.
Il mondo potrebbe iniziare a
girare dal lato sbagliato, la mia vita potrebbe prendere il corso che più le
piaccia, io continuerei a percepire l’odore di Londra, del suo fumo, della sua
nebbia puzzolente ed umida, del suo fiume limaccioso, come se fossi già lì e
come se tutto questo dovesse diventare una miracolosa panacea per ogni male. Una
sorta di rimedio infallibile contro la mia ostinazione e tutto quanto essa abbia
prodotto di sbagliato fino ad oggi.
***
-Vado a chiamare Matt!-
annuncio a voce alta mentre già mi sto infilando su per la breve scaletta che mi
porterà all’interno del tour bus.
-Brian!- mi richiama Alex
inseguendomi- Le prove!- strilla.
Ma io non l’ascolto, so questo
dannatissimo album a memoria, ormai ricordo alla perfezione anche tutte le
vecchie canzoni inserite nella scaletta dello show, se vuole gliele suono ad
occhi chiusi e, sopra ogni cosa, io devo sentire Matthew, adesso.
-Amore!- esclamo appena apre la
comunicazione, interrompendo il milionesimo, appassionato “Brian” di
quest’ultimo mese di lontananza.
Ride.
-Ti sento di buon umore.- mi
sfotte.
-‘Fanculo.- ritorco io
sorridendo amabilmente e piazzandomi su una delle due panche davanti al tavolo.-
Devo dirti una cosa fantastica!- aggiungo poi entusiasta.
-Davvero?- mi chiede lui
distrattamente.- Cosa hai fatto oggi?- s’informa poi.
-Eh!- ribatto io- La cosa
fantastica riguarda proprio quello che ho fatto oggi!- rido divertito.
-Ah, beh, allora racconta.- mi
incita Matt.
Mi sistemo meglio sul sedile,
rischiando di scivolare quando il cuscino che ricopre la panca slitta troppo,
precipitando a terra in modo rovinoso.
-Uff.- sbuffo piegandomi a
recuperarlo.- Dannati cosi…- borbotto.
Matthew ridacchia, ma io lo
ignoro ed uso il cuscino per appoggiarmelo dietro la testa quando butto le
spalle indietro sul finestrino del bus.
-Beh, allora, c’era questa
bicicletta…
Lui m’interrompe subito.
-Quale bicicletta?- mi domanda
curioso.
-…una bicicletta…- rispondo
perplesso.
-Davvero?- continua lui.
-Sì.- rimarco sempre più
stupito.- C’era una bicicletta nel backstage…
-Una bicicletta nel
backstage?!- insiste Matthew.
-…Matt…non è la bicicletta il
punto…- faccio notare.
-Ah no?! Come puoi dire che non
è la bicicletta il punto?!- domanda lui infervorandosi.- Insomma, c’è una
bicicletta nel backstage di un festival rock e tu non ti poni nessuna domanda?!
Segue un momento di silenzio.
Ed io so cosa gli sta frullando
nella testa.
Lo so anche se lui mantiene un
tono assolutamente serio mentre parla.
-…mi stai prendendo per il
culo, vero?- gli chiedo quindi.
Matt scoppia a ridere ed io
arriccio il naso.
-Certo che sì, tesoro!-
confessa candidamente.
-Ho già detto “fanculo” in
questa telefonata?- m’informo io allo stesso modo.
-Sì, ma fa pure.- mi concede
lui.
-Allora “fanculo”.- ribadisco
piatto.- Comunque, c’era questa bicicletta nel backstage e…- mi fermo,
lasciandogli modo di valutare se infilarsi con la prosecuzione del proprio
idiotissimo scherzo.
Ma a volte lo sottovaluto, lo
ammetto.
-Beh?!- mi pressa.- Non
arriveremo mai alla fine se continui ad interromperti!- mi rimprovera.
-Ahah.- mimo io pianamente.- E
insomma io non avevo nulla da fare,- riprendo asciutto.- e quindi prendo questa
bici e decido di fare un giro nel parcheggio del festival, che è tipo enorme!
-Uh, davvero?- mi chiede lui.
-…Matt, stai per ricominciare
come per la bicicletta?
Sghignazza. Io sospiro e tento
di andare avanti.
-In ogni caso qualche fan è già
arrivato da stamattina e stava lì nel parcheggio a bivaccare…
-E sei stato assalito da
ragazzine indemoniate che ti hanno strappato di dosso i vestiti ed hanno tentato
di abusare di te e…
-No.- lo interrompo secco.
Lui pare deluso.
-…ah.- dice dopo un po’.
Sbuffo e grugnisco un dissenso
a caso pescato sul fondo della mia memoria di bambino mai cresciuto.
-Ma che diavolo hai
oggi?!- strillo fingendomi arrabbiato.
Così tutto il suo disappunto
torna a sparire dietro una risatina da ragazzino dispettoso.
-Andiamo!- sbotta quindi.-
Domani ci vediamo!
-No, se continui così!- lo
minaccio.- Sei insopportabile! Ti pianto e mi metto con la hostess del nostro
volo!- gli prometto, e ci ripenso subito.- Anzi, nemmeno! Ti pianto e mi metto
con il pilota del nostro volo! Sarà sicuramente fighissimo! I piloti sono sempre
fighissimi!- asserisco annuendo con convinzione anche se lui non può vedermi.
-Ma poi dovresti fingere di
apprezzare il suo lavoro ed invece tu soffri di vertigini ed odi volare!-
piagnucola Matt contrito.- Non faresti mai sesso con lui nella cabina di
pilotaggio…- riflette, poi, con serietà.
-Sono cavoli miei dove faccio
sesso e con chi!- strepito io offeso ed imbarazzato.
-Beh!- s’intromette lui.- Fino
a domani, quando mi avrai piantato per il pilota del vostro aereo, sono anche
fatti miei!- obietta.
-Matthew!
Ride ancora.
-Oh, insomma, se non sei stato
violentato cosa può essere successo di interessante nel parcheggio del
festival?- m’interroga piccato.
Sospiro, rendendomi conto che
non riuscirò a cavargli un minimo di serietà quest’oggi nemmeno mettendoci tutto
il mio impegno. E del resto non mi sento più in vena di lui in questo senso.
Così mi scappa un sorriso, torno a poggiare le spalle contro il finestrino e
riprendo con lo stesso infantile entusiasmo usato per esordire nel mio racconto.
-Beh, un gruppo di ragazzine
c’era davvero.- ammetto ridacchiando anch’io. Matt fa “ahah!” e poi borbotta un
“continua, continua” estremamente partecipativo. Il risultato è che sono
costretto a strozzarmi per non ridergli in faccia e fingo di ignorare il suo
continuo e palese prendermi in giro.- Comunque, di queste qui un paio
conoscevano i Placebo e mi hanno riconosciuto, le altre ovviamente non sapevano
nemmeno chi fossi.
-Nooo!- esclama Matthew
ostentando uno stupore che non prova affatto. Tanto per cominciare nemmeno il
suo gruppo è così conosciuto negli Stati Uniti e comunque non è affatto
carino stare lì a sottolineare tutto!
M’imbroncio.
-Sei uno stronzo.- gli faccio
notare.
-Vero.- concorda lui
semplicemente.
Sbuffo.
-Vuoi sentire questa storia o
vuoi continuare a dirmi cattiverie?- m’informo.
-…cattiverie.- risponde lui
dopo averci davvero pensato su.
-‘Fanculo!- ribadisco.
-Eh, ma sei ripetitivo!- sbotta
Matt.
-Ora ti attacco il telefono in
faccia!
-Fallo, se ne hai il coraggio!-
mi sfida ridendo.
-…Matt…non mettere alla prova
il mio amor proprio.- consiglio pacatamente.
-Ok, ok!- ride Matthew.-
Prometto che faccio il bravo fino alla fine del racconto.- mi dice
condiscendente.
-…non ti credo…ma non ho molta
scelta.- sospiro.- In ogni caso, io ero lì che girellavo felice sulla mia bici e
non mi curavo affatto dei fan, quando questo gruppetto mi viene incontro con
aria bellicosa.- Rido appena ripensando alla scena e tutto il presunto livore
nei confronti di Matt si perde in quel ricordo scemo.- A quel punto ovviamente
non potevo ignorarle.
-E magari passare loro addosso
con la bici.- aggiunge Matthew per completezza, e mi pare quasi di vedermelo
davanti che annuisce con gravità.
-Sei un coglione.- notifico a
lui e, soprattutto, alla mia immagine mentale di lui.- Ma andiamo avanti. Mi
fermo, le guardo, loro mi guardano…- m’interrompo per specificare- Tieni da
conto che le due che mi hanno riconosciuto erano lì che mi fissavano senza
riuscire a crederci!- dico fieramente. Matt chiaramente smonta tutto il mio sano
orgoglio sghignazzando, ed il fatto che non dica nulla di perfido non vale
minimamente a farmi sentire meno umiliato, come invece speravo.- Bah!- commento
sgonfiandomi subito. E riprendo.- Le altre invece mi chiedono amorevolmente chi
diavolo io sia e se per caso lavori per qualche gruppo.
-Magari speravano le facessi
entrare nel backstage.- sbadiglia Matthew ragionevole. In effetti da lui
dovrebbe essere davvero tardi…- Ma tanto lo so che non lo avrai mai fatto.-
afferma poi indifferente.
-…cosa vorresti dire?-
interloquisco incuriosito ed anche vagamente indispettito.
-Non sei molto socievole con i
fan.- mi spiega Matt tranquillamente.
-Con queste sono stato
socievolissimo!- sbotto.
Lui ridacchia.
-Certo, amore, continua pure.-
m’invita.
-Oggi sei proprio
insopportabile!- sottolineo di nuovo, prima di ricominciare il racconto.-
Comunque! sono stato davvero carino con loro! Mi sono fermato da bravo bambino e
gli ho risposto che sì, in effetti ero in qualche modo lì “con un gruppo”. Ed ho
confessato loro di essere un roadie dei Linkin Park.- termino orgogliosamente.
C’è un momento di perfetto
silenzio.
Tipo quello di prima, ma qui so
che le rotelle della mente di Matt stanno girando a vuoto e lui sta cercando di
afferrare l’esatta dimensione della scena.
E l’esatta dimensione della
scena è anche peggio di quello che può immaginare lui.
Un Brian Molko in maglietta e
jeans random. Assolutamente impresentabile. Che scorazza in giro su una bici
derelitta, ridacchiando come un moccioso tredicenne il giorno del compleanno,
con un cappellino scemo sulla testa, occhiali da sole ancora più scemi in faccia
e convinto! – perché io ne ero convinto – di non essere “scoperto”.
Chiaramente le due ragazzine
che mi avevano riconosciuto sono scoppiate a ridere dietro di me.
Insomma la loro…la mia reazione
a questo splendido exploit è stata all’incirca…
-Oh mio Dio! Il mio ragazzo è
una groopie!- strepita Matthew.- Maschio! Una groopie maschio!!!
Ecco, una cosa del genere.
-Cazzo, Brian! E che hanno
detto le due tipe che sapevano chi eri?!- mi pressa ancora Matthew.
E dal suo tono di voce, nonché
dal fatto che un po’ ride un po’ mi parla, capisco quanto sia stupidamente fiero
di questi inusuali attacchi di imbecillità che mi riconducono sul piano delle
persone mortali.
E mi avvicinano a lui. A quel
mondo fatto di fanciullesca idiozia che ama tanto.
Così gli vado dietro.
-Niente!- ammetto.- Eravamo lì
che ci scambiavano sguardi complici e continuavamo a ridere, mentre le altre,
poverette, ci fissavano come se fossimo del tutto impazziti!
-Pensa cosa diranno stasera a
vederti sul palco!- commenta Matthew.
-Ah, non so. Probabilmente che
sono molto meglio da lontano!- mi canzono da solo.
-Assolutamente!
***
Matt ha un’abitudine orribile,
che mi irrita in un modo allucinante.
Non è una cosa particolarmente
originale o strana. È una cosa, anzi, piuttosto comune.
Ossia, a Matt piace cantare.
Ovviamente, quando dico
“cantare”, non intendo ciò che fa per lavoro. Intendo, invece, quell’ordinario
modo di fare che accomuna un po’ tutti e che consiste nel canticchiare
pezzettini a caso di brani musicali vari ed eventuali mentre si fa tutt’altro.
Esempi classici di attività a cui abbinare una colonna sonora improvvisata sono:
la doccia, la barba del mattino, le classiche pulizie di casa e via dicendo.
E già qui sorge il primo
problema.
Ho detto che Matt è disordinato
per natura. Lui riesce a vivere in una condizione di disordine e di confusione
che nessun altro essere vivente sarebbe in grado di tollerare. Chiaramente ha
una ditta di pulizie che regolarmente si occupa del tentare di dare un senso ai
suoi spazi vitali, ma lui riesce fieramente a rendere vano ogni loro intervento
in questo senso già cinque minuti dopo che sono usciti dalla porta.
In ogni caso ha una
ditta di pulizie, che è appositamente pagata per pulire casa sua.
Sono certo che sia stata
un’iniziativa di Tom. O di Dominic. O di Chris…. Insomma, dubito che sia stata
una decisione autonoma, ma è una realtà presente nella sua vita.
Quindi non riesco davvero a
spiegarmi l’impulso irrefrenabile che gli viene ogni tanto e che lo porta a
sollevare il volto, rendersi conto di abitare in un porcile e decidere
immediatamente di infilare il grembiule, afferrare la scopa ed il piumino e
squadrare i metri quadri di casa con aria minacciosa, un momento prima di
lanciarsi risoluto nelle grandi pulizie di primavera.
In tutto questo, ovviamente,
lui canta.
E qui sorge il secondo
problema. Quello veramente insormontabile.
Io non lo sopporto.
Non è una mia presa di
posizione gratuita, ci sono delle motivazioni quanto mai precise per la mia
irritazione, ci sono stato attento, le ho analizzate, non sarei mai riuscito ad
accettare di trovare semplicemente intollerabile – e senza nessuna vera ragione
– una caratteristica di Matthew! Fosse anche una cosa stupida come questa!
Quindi, io ho i miei motivi.
Magari sbagliati. Senz’altro
futili. Indubbiamente superabili.
Ma li ho.
E mi ritengo in diritto quanto
meno di manifestare le obiezioni che nutro nei confronti del mio ragazzo.
Pertanto, io odio il
canticchiare di Matt durante le pulizie per tre chiare e precise ragioni.
a. Matt ascolta solo musica
commerciale.
Ora, io so perfettamente che
Matt non ascolta davvero solo “musica commerciale”. Da qualche parte
nella sua testa c’è un vano inaccessibile alle persone che lo circondano, in cui
sono segregati ben stretti i nomi di gruppi ed artisti che hanno fatto la storia
della musica moderna e che hanno influenzato, in modo più o meno evidente, la
sua formazione ed il suo modo di lavorare.
Il punto, però, è che per una
qualche strana idea che lui ha di sé stesso e del mondo, Matt parla
esclusivamente di musica commerciale. Ed ascolta in casa solo musica
commerciale. Ed è ossessionato, quasi, solo da stupidissime cantanti, di sesso
femminile, che sono in grado di raggiungere – in forza della semplicemente
appartenenza al proprio genus – note che nessun maschio adulto potrà mai
nemmeno immaginare esistere nella propria scala di tonalità.
Quindi, sentire Matt cantare
l’ultimo singolo di Christina Aguilera è indubbiamente qualcosa che dovrebbe
essere vietato per legge.
Ma c’è una ragione “b”. Ossia,
Matt non è in grado di ricordare i testi delle canzoni.
Non c’è da stupirsi. Matthew
non sa scrivere.
Non nel senso che non sappia
scrivere in assoluto, è chiaro, le scuole dell’obbligo le ha frequentate e non
mette una “x” al posto del proprio nome quando gli si chiede di firmare
qualcosa.
Lui, semplicemente, non è in
grado di scrivere niente che abbia a che fare con il proprio lavoro.
Ora. Se non mi è difficile
capire il concetto quando si tratta di spartiti musicali – non tutti dobbiamo
conoscere la musica scritta – non mi è assolutamente comprensibile quando
si tratta di testi. Che potrebbe tranquillamente appuntarsi dopo averli
composti.
Ma lui si ostina a dire che
tanto devono seguire la linea logica che ha nella testa, altrimenti non si
accorderebbero con il suono, e quindi è inutile scriverli.
Peraltro è ovvio che, dovendo
già ricordare la roba che fa per lavoro, lui abbia dei seri problemi ad
immagazzinare altre nozioni con riferimento ai testi della sopra citata
Christina Aguilera.
Solo che a me irrita da morire
sentirlo improvvisare frasi assolutamente prive di senso ed appiccicate insieme
da un filo di tale evidente idiozia che ci sarebbe da afferrarlo per le spalle,
mentre si agita utilizzando la scopa come microfono, scaraventarlo su una sedia
e schiaffargli in faccia le lyrics di “Genie in a bottle” stampate da internet
per ordinargli di impararle adesso!
Ed infine, la peggiore di tutte
è l’ultima motivazione.
Perché, “c”, Matthew stona.
Un’autentica. Assoluta. Insopportabile. Tortura per le
orecchie.
***
Stavo
provando a lavorare.
-…
something ‘bout you caught my eye!- corressi sovrastando in
qualche modo la voce di Matthew.
Lui continuò imperterrito.
C’era qualcosa che non era
assolutamente come avrei voluto.
-
Told the others, my lovers, both past and present tense!- ringhiai
ancora.
Matt mi passò accanto
oscillando a tempo di musica e muovendo a casaccio un piumino che – più che
toglierla – contribuiva a produrre accumulo di polvere in quasi ogni angolo di
casa.
Il punto è che, quando
riarrangiamo una canzone per farne una cover, mi piace fare un lavoro ben
curato.
-You're the kind of guy, a
girl finds in a blue moon!- strillai al colmo dell’isteria- Matt,
dannazione!- aggiunsi per completezza.
Finalmente lui si bloccò. Si
voltò con il piumino sotto il mento ed uno sguardo sorpreso e mi chiese
innocentemente.
-Perché? Io cosa ho detto?
-Non lo so cosa hai detto!-
ammisi stizzito, buttando all’aria i fogli che avevo davanti a me sul tavolo in
salotto.- Ma posso assicurarti che Cure e Christina Aguilera sono un’accoppiata
scandalosa!- protestai veementemente.
-Uh.- disse lui, sempre con
quell’aria da tonto che avrei voluto levargli dal muso a suon di schiaffi.-
Stavi lavorando?
-No. Riarrangio pezzi a caso
del rock classico.- ribattei io sarcastico.
-Ah, allora nulla di serio!-
cinguettò lui riprendendo a muoversi a zonzo per casa con il proprio seguito di
piume impolverate.
Rinunciai all’idea di
rimettermi all’opera non appena sentii di sfuggita le prime note di “Maneater”,
mi alzai dal mio posto solo per trascinarmi pietosamente fino ad uno dei divani
e lasciarmici cadere stremato.
Matt faceva casino con qualcosa
in bagno, un brivido mi scorse lungo la schiena appena mi si disegnò nella mente
un’immagine terrificante dei suoi ultimi esperimenti di pulizia. Io e Dom,
arrivando un pomeriggio, lo avevamo trovato chino su una bacinella sistemata
nello stanzino, intento a rimestare qualcosa di vagamente rossiccio aiutandosi
con una specie di spazzolone da bagno. Il qualcosa, si era scoperto dopo, era
ciò che rimaneva di uno dei suoi completi rossi preferiti.
Inutile dire che uscì dal
trattamento di Matthew già pronto per la pattumiera.
Dominic era riuscito a farlo
smettere di lamentarsi solo promettendogli che lo avrebbe accompagnato quella
sera stessa a comprarne uno nuovo.
-Sai, stavo pensando…- esordì
Matthew schiantandosi sul divano accanto a me.
Assorto com’ero nei miei
pensieri e quasi in procinto di assopirmi, non lo avevo sentito arrivare. Feci
un balzo e tirai uno strillo tale che Matt mi fissò ad occhi spalancati mentre
mi rincantucciavo nell’angolo più lontano del divano e lo scrutavo da lì
terrorizzato.
-…Bri…
Mugugnai.
-Stai bene?- s’informò lui
spaventato.
-…stavo meglio prima che
cercassi di uccidermi…- ammisi fiocamente.
-Oggi sei un po’ nervoso.- notò
lui perplesso.
-Non sono nervoso!- negai
recisamente muovendo la testa istericamente.
Dando prova del fatto che ero
molto più che un po’…nervoso.
Matt non è così idiota come
vuole apparire. So che l’ho detto e ripetuto, ma il punto è che si tratta di una
cosa che stupisce me per primo a volte.
Tipo quella.
Sospirò, voltando la testa
verso la parete davanti a noi, allungò un braccio e mi catturò, attirandomi di
peso a sé e stringendomi al suo petto.
-Sei una cosa incredibile!-
cominciò a riprendermi mentre io tentavo rigidamente di sfuggirgli. Matthew non
si scompose, non si offese e si limitò a non lasciarmi spazio di fuga,
continuando a parlare serafico.- Insomma, lavori troppo, ti esaurisci e poi non
riesci nemmeno a rilassarti!- spiegò pazientemente.
-Non lavoro troppo!- sbottai
io, facendo forza per togliermi il suo braccio dal collo. Ma come accidenti
faceva quel coso così mingherlino ad essere tanto forzuto?!
-Sì, invece.- asserì lui
pacato.- Sei una corda di violino!- rimbeccò dandomi una scrollata e quasi
strozzandomi.
Soffocai e mi lasciai andare
contro di lui, sbuffando una protesta giusto per ribadirgli che avrei gradito
che mi mollasse. Matt non lo fece. Io affondai il viso nel suo petto, in un
punto morbido del maglione di lana, e strofinai il naso contro di lui.
Non so esattamente quanto tempo
rimanemmo così. Abbracciati e senza parlare. Eravamo un po’ scemi, tutti e due
fermi immobili a non fare assolutamente nulla. So che, però, ad un certo punto,
Matt si mosse. La sua mano scavò tra i cuscini del divano cercando il
telecomando della televisione. Accese Mtv e, mentre io ricominciavo a strillare
e tentavo ancora di liberarmi, lui si mise a cantare felice dietro Lily Allen.
…vi ho mai detto che odio
“Smile” con tutto me stesso?
***
C’è una cosa di cui mi sono
reso conto nel tempo: capita a volte che, pensando a ciò che non ti piace della
persona che ami, ti rendi conto che non esiste davvero nulla di serio che gli
rimprovereresti a mente fredda.
Credo sia questo il significato
della frase “mi piacciono i tuoi difetti”.
Non ci piacciono davvero i
difetti del nostro partner, ma ci sono persone i cui difetti sono quelli giusti
per noi. È allora che anche quella persona diventa “giusta” per noi.
***
Ci sono dei momenti nella vita
delle persone che non sono esattamente “momenti di rivelazione”, ma in qualche
modo sono momenti in cui si arriva a capire qualcosa. Una cosa non
necessariamente importante, non necessariamente fondamentale al punto da
determinare un cambiamento nella vita.
Si tratta, anzi, di cose per lo
più davvero stupide. Fino ad un istante prima erano un groviglio inestricabile,
una specie di nodo spinoso sistemato da qualche parte dentro di noi, in un punto
in cui ci causava magari solo un dolore sordo, sopportabile. Ce lo avevamo
cacciato noi a forza, in quel punto, dopo aver subito le punture di quello
stesso nodo spinoso per giorni, settimane, mesi…a volte anni. Ed aver deciso
alla fine che non ne valeva nemmeno la pena. Sul fondo dell’angolo in cui lo
abbiamo relegato, fa male comunque, ma meno.
E poi succede. Si crea un
momento perfetto, in cui l’aria sembra avere un odore diverso, la nostra mente è
limpida come quella stessa aria ed il nostro animo, per un motivo
incomprensibile, è leggero. Folle e libero. In quel momento si capisce
esattamente come disfare il nodo spinoso, e si capisce esattamente perché
continui a pungere nonostante il tempo e nonostante non sia più davvero
“importante”.
Quello è il momento in cui si
capisce anche quanto si sia sbagliato e si è disposti ad accettare di averlo
fatto.
E ad accettare di dover mettere
riparo a se stessi ed a ciò che si è fatto.
-Gerard.
A volte è difficile.
-Che vuoi, Molko?
Altre volte non così tanto
quanto può sembrare.
-Avrei bisogno di parlarti.
La cosa davvero difficile di
solito è vincere noi stessi.
-…come l’ultima volta…?
Lo guardo, è talmente palese
che stia “in guardia” da farmi sorridere. Ricaccio indietro quel sorriso, scuoto
la testa e mi stringo nelle spalle.
-No. Ho davvero bisogno di
parlarti.- rispondo seriamente e con calma.
Gerard si volta a ricambiare lo
sguardo sorpreso e affatto convinto del fratello, che si è fermato qualche passo
più avanti ad aspettarlo, poi guarda ancora me.
-O.k.- mi concede con un
sospiro.- Vi raggiungo dopo, Mikey.- saluta quindi.
Suo fratello esita per qualche
secondo, mi fissa chiedendosi se io sia qualcosa di pericoloso o meno. Vorrei
che la gente smettesse di porsi simili domande quando ha a che fare con me.
Va via comunque, più che altro
– immagino – suo fratello non deve essere esattamente un tipo che ha bisogno di
una guardia del corpo, mi è sembrato perfettamente in grado di fare fronte anche
al mio io peggiore.
-Di cosa vuoi parlarmi, Molko?-
mi chiede quando restiamo soli.
Adesso mi concedo di sorridere
invece. Mi chiedo come fare per dirgli di rilassarsi e suonare convincente, mi
piacerebbe davvero che questa discussione avvenisse su toni più miti. Ma sono io
ad aver esasperato i rapporti tra noi due, addirittura da prima che esistesse un
qualche rapporto tra noi due.
-Volevo scusarmi.- rispondo. Mi
rendo conto da solo che non è sufficiente ed aggiungo subito.- Intendo dire
“davvero”.
Non commenta, mi fissa ancora
guardingo.
Sospiro.
-Niente trucchi, Gerard.-
ammetto.- Sono stato uno stronzo ed ho sbagliato su tutta la linea. Punto.- gli
concedo rapido.
Per un attimo l’idea che lui
possa pretendere anche di più mi sfiora la mente. Attraversa i miei sensi come
una percezione sgradevole e mi tira un pugno dritto alla bocca dello stomaco. Ne
avrebbe il diritto – di restituirmi l’umiliazione ad esempio – ed io, se davvero
volessi mettere a tacere tutta questa storia assurda in modo onesto, dovrei
andargli dietro. Ma qui subentrano altri fattori e mi conosco a sufficienza da
sapere che il mio amor proprio – il mio bisogno di proteggere me stesso –
non mi concederebbe mai tanto.
Ma mi sbaglio ancora nel
pensarlo. Gerard è davvero una persona molto migliore di come avevo creduto
all’inizio. E soprattutto molto migliore di me.
-Non sono stato il massimo
nemmeno io.- mi dice.
Ed io so che se lo dice è solo
per sminuire le mie scuse. Mi sta concedendo un pareggio che non merito, è
davvero un gesto elegante da parte sua.
Lo vedo stringersi nelle
spalle. Arrangia un sorriso divertito e butta anche una battuta pungente.
-E poi mi spiaceva avere da
ridire con te, la vostra musica non è malaccio…
-Ehi, ragazzino, dosa le
parole!- lo ammonisco sogghignando anch’io e puntandogli contro un dito.
Sghignazza.
-Non ricominciare a fare la
prima donna, Molko.- mi redarguisce.
-In ogni caso, se non ti
spiace, preferirei che la piantassi di fare la puttanella con il mio bassista.-
aggiungo io per ripicca incrociando poi le braccia sul petto con aria bellicosa.
-Ah!- esclama Gerard
spalancando gli occhi.- Io farei la puttanella?!
-Beh, mica sono io che vado in
giro strusciandomi addosso a mio fratello…- accenno girando intorno uno sguardo
distratto.
-Non è mica colpa mia se il
mio bassista è anche mio fratello!- ridacchia lui cattivo- Se fosse Stefan
non avrei nessun problema morale, proprio come te!
-…brutto…stronzo…- biascico
strabuzzando gli occhi.
-Susu, ormai tanto Stef lo sa
che non deve farsi illusioni con te…
Avvampo.
-Non scherzare su questa cosa!-
ordino inferocito.
-Ah!- sbotta lui scrutandomi
come se avesse finalmente capito.
Non è una sensazione piacevole.
Soprattutto perché si riconnette al fatto che magari ha capito davvero.
-Non è come pensi!- strillo
subito.
Lui ride. Prima piano, poi, man
mano che le mie proteste di innocenza vanno avanti, sempre più forte, fino a
zittirmi completamente in un rossore talmente intenso che mi chiedo come si
faccia, a trentaquattro anni, a ritrovarsi ancora in situazioni così
imbarazzanti.
-E pensare che Chester si
preoccupava di aver rovinato il tuo matrimonio!- mi schernisce lui.
Scuoto la testa, scrollando le
spalle e sbuffando fuori un fiotto di aria compressa.
-Non è così semplice.- borbotto
in un moto di sincerità.
Lui mi guarda, serio. Mi
sorride in modo quasi gentile ed io penso che ha davvero dei begli occhi, e che
ha un viso onesto ed un sorriso vero. Non mi stupisce che Stefan possa averci
tenuto a lui, in qualche modo.
-Molko. Io e te non siamo amici
e non lo diventeremo, - esordisce pianamente, come se non fosse davvero un
problema.- non sei tenuto a dirmi cose che non devo sapere.
È in quel momento che vedo
Chester spuntare da dietro una roulotte. Cammina a passo svelto, fissando dritto
davanti a sé, ma per qualche insolito motivo si volta verso di noi e ci vede. So
che esita, perché per un momento ci fissa con occhi sgranati ed attenti, ma poi
si limita ad affrettarsi e tirare dritto.
Gerard mi guarda. Io mi sento a
disagio, infilo le mani in tasca e non ricambio il suo sguardo.
-Devi delle scuse a qualcun
altro.- mi fa notare.
Annuisco con un sorriso stanco.
-Ma non penso di esserne
capace, ora come ora.- ammetto.
Gerard sospira.
-Certo che sei davvero
complicato, Molko.- mi dice secco. Poi guarda Chester, lo segue mentre scompare
in lontananza insieme ad un gruppetto dei suoi, in direzione del palco.- O.k.,-
esordisce colloquiale.- vuol dire che ci penserò io per te.- aggiunge prima di
voltarsi e seguire l’amico.- Ci si vede in giro, Brian.- mi saluta.
Non aspetta che gli risponda e
così io non lo faccio.
Lo guardo camminare prima e poi
correre per raggiungere il gruppetto. Si butta addosso a Chester come se fossero
due ragazzini, lui protesta scuotendoselo di dosso, ma poi ride insieme a Gerard
e sembrano stupidamente sereni.
Li invidio.
Ma domani sarò a casa e ci sarà
Matthew ad aspettarmi.
Potrò sentirmi stupidamente
sereno anche io.
-Ehi, Bri, ci sei?
Steve mi batte sulla spalla. Lo
fa sempre allo stesso modo da dieci anni, è la sua maniera di richiamarmi sulla
Terra quando nota che i miei pensieri mi trascinano su una china pericolosa. Mi
da un colpetto sulla spalla, leggero e quasi affettuoso, come certi schiaffetti
che i genitori tirano ai figli per rimproverarli senza fare loro troppo male.
Sorrido e mi volto verso di lui.
-Ci sono.- rispondo,
sbadigliando subito dopo. Mi copro la bocca con la mano, tirando le maniche
sulle dita intirizzite dal freddo. Sono davvero stanco ormai, il rientro a casa
mi farà bene.- Mi cercavate?- domando curioso.
-Beh, sì. Dobbiamo finire il
sound check e poi c’è una tizia di non so che testata giornalistica che ha
chiesto di noi…- elenca lui distrattamente.
Sbuffo.
-Uff. Sono felice che da domani
siamo in vacanza!- esclamo esausto, buttandogli le braccia al collo ed
appendendomi a lui perché mi trascini via ridacchiando.
-E’ l’ultimo concerto, eh Bri?-
mi chiede.
Non so perché ma c’è una nota
stonata nella sua voce mentre lo dice, una malinconia fastidiosa che non capisco
affatto, così mi imbroncio.
-Non dirlo a quel modo!-
protesto.- Se lo dici così, porta male!- aggiungo stupidamente.
Steve ride e mi obbliga a
rimettermi dritto ed a camminare con le mie gambe.
-Sei impossibile, Brian.- mi
riprende pazientemente.
-Ma dillo che ti piaccio anche
per questo!- affermo con saccenteria e malizia, mentre mi metto in posa plastica
perché lui possa scoppiare a ridere e precedermi lungo la strada.- Aspetta!-
strepito correndogli dietro.
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Capitolo 14 *** Epilogue. ***
…they have trapped me in a bottl
…they
have trapped me in a bottle…
Epilogue:
Ho fotografato di tutto.
Qualsiasi cosa. Ogni stupidissimo centimetro del tour-bus che non rivedremo
prima di altri due anni almeno – e spero che, nonostante gli inevitabili cambi
che la produzione impone ai mezzi di locomozione, quando riprenderemo a
viaggiare sia anche lo stesso, perché mi sembra di averlo vissuto più di tutti
gli altri in tutto il resto della mia vita. Ogni angolo dell’ultima location.
Ogni faccia. Ho fotografato Nadine con la fronte velata di sudore portare avanti
e indietro un sacchetto ricolmo di bottiglie di birra – prima piene e
ghiacciate, poi desolatamente calde e vuote – dal gazebo dei tecnici delle luci
alla spazzatura affianco al bar e viceversa. Ho fotografato i Linkin Park al
completo mentre prendevano il sole sulle sedie a sdraio nel bel mezzo del
deserto, tutti in bermuda, uno accanto all’altro, sembrava la locandina di uno
di quei film di Natale italiani appresso ai quali Matt impazzisce. Ho preteso
che Steve mi fotografasse mentre giocavo a fare le smorfie a Levi, mandandolo su
tutte le furie. Mi sentivo così esaltato da concedere perfino una fotografia a
Stef e Gerard, con la promessa di mandarla ad entrambi via mail. Senza nemmeno
una lamentela.
Poi, mentre prendevo in pieno
la faccia di Alex nel bel mezzo di uno sbadiglio, lei s’è infuriata ed io sono
scoppiato a ridere. E nella mia risata ho sentito una nota che non sentivo da
anni. Il tempo s’è fermato ed ha preso a girare al contrario, e io mi sono
ritrovato bambino – non più di sei o sette anni – inginocchiato sul prato
davanti casa mia assieme a mio fratello, letteralmente circondato di
cuccioli di dobermann. Mio padre ne aveva acquistati ben sette per farne dei
provetti cani da guardia, ma quel giorno loro erano appena arrivati e non
avevano ancora cominciato l’addestramento.
Ed io e Barry ridevamo come
sciocchi – come i bambini che eravamo – rotolandoci nell’erba assieme ai
cuccioli, spaventando le coccinelle e facendo saltare i grilli, incuranti delle
macchie di terra umidiccia che si andavano allargando sui nostri abiti.
La risata di oggi è stata la
stessa di allora. E quando, dopo avermi rimbrottato contro una serie infinita di
rimproveri, Alex mi ha chiesto infastidita perché diavolo andassi fotografando
qualsiasi cosa come fossi stato improvvisamente tramutato in giornalista da un
maleficio incredibilmente crudele, in un primo momento, preso dall’euforia, non
ho saputo come rispondere, ed ho continuato semplicemente a ridere.
Ma poi ci sono arrivato.
La verità è che il ricordo di
quella giornata, trascorsa giocando coi cani, lo porto dentro di me e sulle mie
spalle come un tesoro. E potrò raccontarlo a Matt, ma lui non ne avrà mai
un’immagine, perché l’eco delle risate che ancora sento quando ci ripenso è
tutto ciò che mi è rimasto, di quell’esperienza.
Non voglio che sia così, per
questi ultimi mesi.
Non voglio che sia così, perché
sento che sono stati ben più importanti di quel giorno.
Voglio condividerli con
Matthew. Voglio che, in qualche modo, li veda anche lui. Voglio che diventi un
pezzo fisico dei giorni che ho passato qui.
Scatto una foto alla strada
mentre il bus comincia a muoversi verso l’aeroporto.
Questo è l’unico modo che ho
per far sì che ciò che desidero diventi reale.
*
L’ha fatto davvero.
È la prima cosa che ho pensato
scendendo giù dall’aereo e guardandomi intorno, sulla pista d’atterraggio. Matt
è lì che mi aspetta, a una decina di metri dall’enorme agglomerato di edifici
che compone l’aeroporto. È appena sceso dalla macchina, una gamba è ancora
incastrata fra il sedile e i pedali, ma già si sbraccia per farsi notare,
chiamandomi a gran voce. Non avrebbe bisogno di fare tutto questo casino, che
era lì lo sapevo già. E non perché ignorare la camicia viola che indossa sarebbe
impossibile, ma perché la sua presenza l’avevo fiutata, ancora prima di vederlo.
Chiaramente, siccome lui è
Matthew Bellamy e siccome niente che sia fatto da Matthew Bellamy può risultare
in alcun modo meno che plateale, non si è limitato a corrompere metà del
personale perché lo lasciassero arrivare fin lì con la macchina, no. Lui ha
corrotto anche l’altra metà per permettere che, assieme a lui, entrassero anche
Vincent, mollemente appoggiato alla BMW a qualche metro da lui, e la moglie di
Steve con sua figlia, che invece stazionano ansiose e saltellanti – soprattutto
Emily, per dovere di cronaca – distanti da loro e un po’ più vicine all’aereo.
- Non ci posso credere… - esala
Alex, sconvolta, mentre io, estasiato e senza parole, infilo una mano nello
zaino, tiro fuori la macchina fotografica, la accendo e scatto. Lei sente il
click e si volta a guardarmi. Boccheggia un po’, incredula, e poi ribadisce: -
Non ci posso credere!
- Il tuo ragazzo è
meraviglioso. – gorgoglia gioioso Steve, lanciandosi letteralmente di corsa
sulla moglie ed afferrando al passaggio la figlia, che già zompettava felice
verso di lui.
Vincent e Stef sollevano lo
sguardo l’uno sull’altro e si lasciano andare ad un sorriso contemporaneo e
vagamente imbarazzato. So che può sembrare assurdo che io lo dica, adesso, ma
adoro osservarli in momenti simili. Sono due persone che hanno sempre il
controllo della situazione e non si lasciano mai sfuggire niente di mano, ma
quando si rivedono e ritrovano il contatto dei loro occhi riescono comunque a
spandere nell’aria attorno a loro sensazioni talmente genuine ed umane da
commuovere.
Più passa il tempo più la loro
unione diventa perfetta.
E questo è cretino – non lo
sembra e basta – ma vorrei che io e Matthew diventassimo proprio come loro.
Lancio un sospiro e sorrido,
sollevando finalmente una mano in direzione di Matt, che comprende di essere
stato notato e finalmente smette di gesticolare come un ossesso per utilizzare
le proprie facoltà motorie in modo più intelligente – cioè cercando di
districare la gamba ancora incastrata all’interno dell’abitacolo.
Scuoto il capo, ridacchiando
sommessamente.
- Io torno con Stef e Vin. – mi
informa Alex, condiscendente, prima ancora che io possa voltarmi e chiederle se
le serve un passaggio, - Non preoccuparti.
Le sorrido con gratitudine e
lancio un saluto distratto a tutti gli altri mentre prendo a muovermi verso lo
sgorbio rachitico e mezzo scassato che Matt si ostina ancora a chiamare
macchina, rifiutandosi di cambiarlo. Ce l’ha da quando lo conosco. Credo sia una
Cinquecento originale. In ogni caso cade a pezzi, ma chiunque lo tocchi o si
azzardi anche solo a suggerirne la sostituzione rischia la vita.
Ad un paio di metri da lui,
inarco le sopracciglia e sbuffo.
- Ma cammina ancora? – mi
lamento, indicando il trabiccolo, - Non dovrebbe essere vietato andare in
autostrada con robe simili?
Matt scoppia a ridere e, senza
nemmeno rispondermi, si avventa sulle mie labbra. Io mimo una protesta poco
convinta e lascio subito perdere, stringendomi a lui ed afferrandolo con
trasporto per il colletto della camicia.
- Non voglio più vedervi né
sentirvi prima della prossima settimana! – minaccio ridendo il resto del mio
gruppo, voltandomi velocemente a guardarli severamente, perché l’ammonimento
risulti più credibile – per quanto l’effetto raggiunto sia ben lontano da quello
desiderato.
Steve si stacca dalla figlia
che lo riempie di baci e solleva un braccio verso di me, come a richiamarmi.
- Brian, aspetta, ti devo
parlare! – sbotta agitato.
Io scuoto risolutamente il
capo.
- Non c’è niente che non possa
aspettare lunedì prossimo.
Rido, Matt ride con me e fa il
giro della macchina per aprirmi lo sportello sul lato passeggero. Steve lascia
ricadere il braccio e sorride teneramente, sbuffando un assenso poco convinto.
Io gli lancio un bacio scherzoso, ridacchiando sotto i baffi. Matt, stufo di
aspettare, mi afferra per la collottola e mi trascina dietro di sé. E, malgrado
gli sfottò irripetibili che sento arrivare in un crescendo di risate da tutti i
miei amici, stavolta non ho proprio alcuna voglia di protestare.
Nota di fine capitolo della
Nai:
È finita! ç_ç
Sì, lo so che lo sapevo che
sarebbe finita…(non fate caso alla forma ^^’) ma è finita T_T
E questa cosa un po’ mi
uccide anche se era inevitabile ed è mitigata solo dal fatto che lo splendido
epilogo – opera esclusiva della Liz – merita un premio per la dolcezza infinita
e la bellezza meravigliosa che ha ç_ç
E loro sono così carini!!!!
*_________*
…bene…posso tornare al mio
sano emokidding ù_ù
Nota di fine capitolo della
liz:
Io non è che abbia
moltissimo, da dire XD Questa storia mi ha tenuto tanta compagnia, sia mentre la
scrivevo che poi mentre andavamo pubblicandola. Sono stata molto contenta che
l’abbiate apprezzata, perché secondo me è una storia molto bella. Posso dirlo
senza vergogna perché non è stata tutto merito mio XD Spero che anche questo
finale vi sia piaciuto come il resto. E spero tanto anche di potervi fornire
presto il seguito, ma vedremo bene con Nai XD
Baci e grazie di tutto :*
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