I'll never fall in love again di Leyton_Nenny (/viewuser.php?uid=176461)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 21 Dicembre ***
Capitolo 2: *** Alzati e combatti! ***
Capitolo 3: *** 10 giorni ***
Capitolo 4: *** Questione di supereroi ***
Capitolo 1 *** 21 Dicembre ***
i'll
Sono
passate ore, giorni, settimane,
mesi.
Ho perso la cognizione del tempo,
quando Giusy mi ha chiamata.
“Hannah, devo dirti una cosa – la
sua voce era tetra, lugubre. Dovevo aspettarmi che l'Apocalisse fosse
vicina – Peter è...”
Non le avevo dato il tempo di finire,
le lacrime erano sgorgate copiose dai miei occhi, e la mia mente
aveva messo insieme tutti i tasselli del mosaico che mi trovavo tra
le mani.
Peter era morto. Il ragazzo che avevo
amato, era scomparso. E stavolta per sempre.
Non era come sempre, quando non mi
chiamava per un paio di giorni a causa di uno stupido litigio.
Peter stavolta non avrebbe più
risposto ai miei messaggi, la sua risata non avrebbe riempito i miei
pomeriggi. E non mi avrebbe più allontanato dai libri
dicendo “Hai
tutta la vita per studiare, ma sedici anni vengono una volta sola. E
poi il sole fa bene alla pelle”
L'ultima frase, a spregio come sempre:
non sono mai stata come le classiche cheerleader, tutte attente
all'alimentazione o alla cura della pelle.
“E aumenta anche il rischio di
cancro” gli rispondevo io, prima di scoppiare in una sonora
risata.
E lui mi seguiva.
Ma ora è tutto finito, nemmeno
Kristine o Spencer riusciranno a rendere le cose migliori, come fanno
sempre.
Loro sono le mie migliori amiche, ci
sono sempre state, da quando mi sono trasferita da Birmingham a Londra,
per il nuovo lavoro di papà.
A dire la verità, non mi dispiaceva
Birmingham, era una cittadina tranquilla, niente a che vedere con
Londra, la capitale più bella del mondo, sempre piena di
turisti o
studenti, credo sia la città per antonomasia.
Com'è
che era quella frase?
“Quando
un uomo è stanco di Londra è stanco della vita,
perchè a Londra si
trova tutto ciò che la vita può
offrire.”
Parola
di Samuel
Johnson.
Il
primo giorno a Londra, credo di essere sembrata una contadina appena
arrivata in una città, tant'era il mio stupore. Ricordo di
aver
subito notato le mie due amiche, perché parlottavano tra
loro e
sembravano completamente staccate da tutto il contesto: i capelli
rossi di Kristine splendevano sotto la flebile luce che entrava dal
vetro, sebbene fuori il cielo fosse bianco a causa delle nuvole,
mentre, di contrasto, c'erano i capelli marroni di Spencer, sebbene i
miei siano ancora più scuri dei suoi.
In
realtà, ho appena detto una bugia: non credo di essere stata
io a
notare loro, ma loro a notare me. Oppure ci siamo notate nello stesso
istante, non che la cosa sia importante.
“Sei
quella nuova?” una bionda smorfiosa mi aveva appena
squadrato,
rivolgendosi a me acidamente. Sembrava la classica ragazza
snob.
Subito
Kristine si era avvicinata “Chiudi quella bocca, Alex. Mio
Dio, una
ragazza mette piede per la prima volta in classe – pensa che
in
realtà non la vedrai nemmeno a tutte le ore, dato che non
credo
abbia preso parte alle tue stupide materie, o entri nel tuo club
delle ragazzine urlanti. Quindi, fammi la cortesia, almeno di prima
mattina, evita di mordere. O starnazzare. O fare ambedue le cose
insieme.”
La
ragazza era diventata rossa per l'imbarazzo, e io avevo trattenuto
una risata: mi piaceva il modo di agire schietto di Kristine, specie
perché non appena la bionda l'aveva guardata in cagnesco,
lei aveva
alzato gli occhi al cielo esasperata, con il solo scopo di far
incazzare ancora di più Alex. E ovviamente c'era riuscita,
dato che
quest'ultima si era alzata in tutta fretta e mi aveva spintonato poco
carinamente per raggiungere la porta.
Una
volta uscita, io ero scoppiata a ridere, e quella che sarebbe
diventata la mia migliore amica aveva alzato le spalle, come a dire
“cose da niente” o “chi la capisce
è bravo”, sono ancora
indecisa.
Spencer
era molto più pacata, si era avvicinata a me e aveva sorriso
“Scusala, alle volte è un po' impulsiva, ma a
Londra non siamo
tutti così... fuori dagli schemi”
La
rossa si era limitata a sbuffare “Infatti io sono la
crème de la
crème, ma chérie”
La
mora aveva riso per poi tendere la sua mano verso di me
“Piacere,
io sono Spencer. E questo cioccolatino qui è
Kristine”
Io
avevo la avevo afferrata “ Piacere, Hannah”
“Oh,
ma tesoro mio, noi sappiamo perfettamente chi sei tu: sei la notizia
succulenta mia cara – a pensarci bene, l'espressione di
Kristine mi
faceva un po' paura – e noi siamo qui per scoprire ogni tuo
segreto. Potremo essere le tue migliori amiche, o le tue peggiori
nemiche”
“Kris,
così finirai per spaventarla, santo cielo!” la
interruppe l'altra, alzando gli occhi al cielo. La rossa finse di non
aver sentito.
“Dunque,
che lezioni hai, An?”
Io
avevo mostrato loro il mio orario, e avevamo scoperto che avevamo
più
o meno le stesse materie, se non per il fatto che, mentre loro avevano
cucito, io avevo canto.
A
pensarci, il corso di cucito mi sarebbe anche interessato –
insomma, chi non ama la moda? - ma per paura di cadere nel banale
–
ho sempre odiato essere uguale alle altre, e questo lo dimostrava
anche l'astio che provavo nei confronti della divisa non
personalizzabile – avevo scelto il canto, un'altra mia
passione.
Che poi il corso non si chiamasse propriamente
“canto” era
un'altra storia, l'avevano chiamato “musica” solo
per poter
risparmiare su un qualche professore, ne ero più che sicura.
“Dunque,
suoni un qualche strumento?” mi aveva chiesto Spencer curiosa.
Kristine
le aveva dato una piccola gomitata sulle costole “Non essere
invadente, Spe” l'aveva imitata.
Eravamo
tutte scoppiate a ridere. Poi, a fatica, avevo bofonchiato
“Non
suono nessuno strumento, ma canto”
“Canti?
Davvero?” avevano chiesto all'unisono, scatenando una nuova
ondata
di risa.
“Sì,
canto da sempre”
“Dovrai
cantarci qualcosa, prima o poi” aveva risposto Kristine.
“In
che zona stai?” mi aveva chiesto Spencer mentre mi
accompagnavano
verso l'aula di musica.
“Leicester
Square” avevo risposto io prontamente
“Stiamo
vicino, allora – aveva asserito Kristine – dopo se
vuoi torniamo
a casa insieme”
“Ne
sarei felice”
Fu
proprio quello il giorno in cui incontrai Peter.
E
ora, a due anni e qualcosa da quel giorno, Peter è morto,
per colpa
di un qualche ubriaco. Morto, investito mentre attraversava la strada
che lo avrebbe riportato a casa. Morto, il 21 Dicembre, proprio quando
doveva esserci la fine del mondo. E per me è avvenuta
davvero:
il mio
mondo si è concluso in questa tanto odiata data.
Salve!
Lo so, non mi uccidete. Sono una folle, lo so.
Ho tante long in corso, e lo so.
Ma l'ispirazione è quella che è per le altre,
quindi vi accontenterete di questa nuova, che mi foga un casino.
E ho già tutte le idee in testa, sarà di dieci
capitoli circa.
Nulla, la dedico a HaroldEdssmile,
la mia dolciosa Spencer.
E Kristine è Koaliller,
come sempre.
Date queste dovute e
necessarie (?) spiegazioni, mi defilo.
Un bacio.
-J♥
|
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Capitolo 2 *** Alzati e combatti! ***
i'll2
“Annie,
alzati”
Mi stavo decisamente pentendo di aver
dato a Kristine le mie chiavi di casa, per evitarle di entrare dalla
finestra ogni qualvolta avesse bisogno o voglia di fare quattro
chiacchere.
Non ho mai capito come facesse ad
arrampicarsi fino al primo piano per raggiungere la mia stanza ma
poco importa, fino a che non si ammazzava andava tutto bene. Per
quanto mi riguarda, io non sarei mai riuscita a fare una cosa del
genere; al sol pensiero mi veniva da vomitare: soffrivo di vertigini
da sempre.
“Annie, il sole è alto, su vieni a
fare colazione. Ho portato il frappuccino al caramello e i brownies
di Starbucks che ti piacciono tanto” aveva ripetuto alzando
leggermente la voce.
Attualmente, sto prendendo in
considerazione l'idea di cambiare di casa: non ne posso più
di avere
Kristine a cinque case di distanza, sopratutto in questo momento.
“Vattene, Kris” le avevo ruggito
io, sperando che si decidesse a darmi retta. Vane speranze,
ovviamente: la mia amica si era seduta sul mio letto. C'è da
dire
che era davvero testarda, quando voleva. Testarda e senza alcun
rispetto della privacy, o del dolore. E un sacco di altri difetti che
a me ora non vengono in mente.
“Annie – avevo sentito la sua mano
percorrere il profilo de mio fianco destro ben coperto dal pesante
piumino – per favore, alzati. Sono già passati
cinque giorni, dal
funerale. Sono cinque giorni che non vedi nessuno e che non esci di
casa. Sinceramente, non credo nemmeno tu abbia mangiato, in questo
lasso di tempo. Io e Spencer siamo molto preoccupate, lo sai”
“Kris, per favore, lasciami sola”
le avevo sussurrato nascondendo ancora di più la testa tra
le
lenzuola.
“Annie, sai che non posso farlo: sono
tua amica, anche se tendi a dimenticarlo, quando soffri. Ma non sei
sola, quindi se vuoi piangere, urlare, incazzarti, ubriacarti,
mangiare gelato o cioccolato fino a scoppiare, picchiare qualcuno o
altro, io e Spencer ci siamo. Siamo qui per questo, siamo qui per te.
E sai anche che Peter non vorrebbe che tu soffrissi”
“Come cazzo fai a sapere cosa
vorrebbe o meno? Lui non c'è, quindi non parlare di lui come
se dal
due al tre potesse uscire dal mio armadio e dirmi che va tutto bene.
Perché senza di lui niente è okay, quindi
è inutile che continui a
provare a convincermi ad uscire: non lo farò.
Perché se esco da
quella porta, a scuola o in qualsiasi luogo, per me ci saranno solo
sguardi carichi di pietà, ed io non voglio, okay? Non mi
serve la
pietà di nessuno, non se non posso riavere indietro il mio
ragazzo.”
Kris mi aveva abbracciata, stringendo
forte la mia schiena contro il suo petto.
Per qualche istante era rimasta in
silenzio, poi mi aveva sussurrato “Io e Spe non ti potremo
mai
guardare con pietà, lo sai. Sappiamo come stai...”
“No, è questo il punto, Kris: voi
non lo sapete. Non sapete come cazzo ci si sente quando il tuo
ragazzo ti lascia, ma non perché non ti ama più,
lo fa perché non
c'è più, perché un qualche
fottutissimo pirata della strada lo ha
brutalmente investito, e non si è fermato a prestare
soccorso”
“E la deve pagare per questo, Annie.
Lo sappiamo tutti che la deve pagare, che se solo vedesse come stai,
come stiamo tutti, si sentirebbe così in colpa, si
sentirebbe come
la merda che è, e si costituirebbe”
sussurrò Spencer: non sapevo
che anche lei fosse presente nella stanza, anche perché
spesso lei
si limitava ad osservare le cose in silenzio: era una persona molto
razionale, quindi calibrava al millesimo il peso delle sue parole,
sapeva bene che una parola fuori posto poteva costituire un grosso
rischio, una sola parola e probabilmente avrei negato loro il diritto
di potermi stare vicino, sebbene anche per loro non dovesse proprio
essere un paradiso, vedermi in quelle condizioni.
“Annie, ti prego, parlaci, parla con
noi, dicci come ti senti”
Scossi la testa sotto le coperte,
respingendo le lacrime con forza: ero stata per otto giorni chiusa in
camera mia, a osservare foto e piangerci sopra: avevo paura di
dimenticare il suo volto, di dimenticarmi di lui, questa era la
verità.
“Ho paura, ragazze. Ho paura di
dimenticarmi di lui, di tutto ciò che ho passato. Cosa
farò, se
dovessi dimenticarmi di lui? Sapete, ricordo perfettamente come ci
siamo conosciuti, dove siamo stati quando mi ha baciata per la prima
volta, ma faccio fatica a ricordare la sua voce, il modo in cui le
sue dita si muovevano sul pianoforte. Non voglio dimenticarlo, non
voglio che tutto questo finisca. Perché se tutto dovesse
sparire,
allora vorrebbe dire che io in realtà non ho amato Peter, e
io non
voglio crederci: non amerò più nessuno, non
m'innamorerò mai più.
Sapete, lui aveva iniziato a farmi credere nell'amore, stavo
iniziando a credere persino nelle anime gemelle. E lui era la mia, lo
vedevo nel suo sguardo, ogni piccolo atomo della mia anima era
convinto che lui fosse l'uomo giusto per me, la persona creata per
stare con me, per rendermi felice”
Spencer si era sdraiata sull'altro lato
del letto, stringendomi con forza contro di lei: potevo sentire i
loro respiri regolari, la loro preoccupazione era palpabile, non mi
avevano mai vista in quelle condizioni, anche perché non mi
era mai
accaduta una cosa simile prima.
“Lo sappiamo, Annie, lo sappiamo”
aveva sussurrato Spencer. Un ultimo abbraccio, e Kristine si era
alzata, avevo sentito che armeggiava con qualcosa, prima che la
musica partisse: la canzone che Peter aveva scritto per me ora si
liberava dalle casse del mio stereo. Immediatamente, allontanai le
coperte dal mio corpo, iniziando a guardare la stanza con attenzione:
non speravo in niente di particolare, dopotutto l'immagine della
salma del mio ragazzo era ancora ben impressa nella mia mente, ma non
sapevo come loro potessero essere a conoscenza di quella canzone.
“Voi... Come fate a...” sussurrai
con le lacrime che tornavano ad appannarmi la vista.
“Giusy, la sorella di Peter, ha
trovato il file nel computer, la canzone ha il tuo nome, crediamo
volesse regalartela per il tuo compleanno, tra poco farai diciannove
anni. Ti amava, Annie, di questo ne siamo sicure, e siamo anche certe
che il tuo sentimento fosse sincero, due anni e tre mesi non si
spiegano altrimenti. Ed è per lui che ti devi alzare,
è per lui che
devi combattere ancora una volta. Gli sguardi carichi di
pietà?
Fregatene, sii tu a compatire loro: non hanno mai amato, non hanno
mai provato un sentimento forte come il tuo, per questo tu sei molto
più ricca di loro. Alzati e combatti, Annie.
Perché la ragazza che
conosciamo noi, la nostra migliore amica, è una ragazza
forte, e
determinata. Soffri? Lo capiamo, ma devi reagire Annie, non puoi
lasciarti andare, è ancora troppo presto. Fallo per Peter,
fallo per
noi. Ma sopratutto, farlo per te stessa” Kristine mi aveva
guardata
negli occhi durante tutta la durata del suo discorso, mentre Spencer
mi accarezzava la schiena.
“Ce la puoi fare Annie, ce la puoi
fare. Devi solo trovare una ragione per andare avanti, e ne hai
così
tante davanti ai tuoi occhi, devi solo provare a vederle. E scoprirai
che ne vale la pena” Spencer mi aveva stretto la mano con
forza,
come a infondermi coraggio, io avevo abbassato lo sguardo,
concentrandomi sullo stereo da cui usciva la voce di Peter,; le
lacrime continuavano a sgorgare copiose: non avevo la forza di
asciugarle, o forse ero così abituata ad esse da non
percepirle
quasi, o forse ancora esse erano l'unico modo che avevo per esternare
il mio dolore: non avevo voglia di urlare, non avevo voglia di
parlare. Volevo solo piangere, piangere fino ad addormentarmi. E poi
svegliarmi e piangere di nuovo, in un circolo vizioso senza mai fine.
Ma ormai la canzone era finita, e io
dovevo reagire: Peter credeva che fossi forte, me lo ripeteva in
continuazione.
“C'è ancora il mio frappuccino?”
sussurrai asciugando con forza le lacrime con la manica del pigiama e
costringendomi a sorridere. Le mie amiche mi strinsero in un
abbraccio.
Salve!
Sono
così fogata da questa storia!
Questo
capitolo mi piace abbastanza, il prossimo invece non mi piace per
niente.
Siamo
ancora in una specie di introsuzione, lo so.
In
realtà questo capitolo non
volevo nemmeno farlo, ma poi ho pensato che era giusto far vedere Annie
come una persona umana, debole e fragile.
Perchè
questo personaggio non
è forte come tutti gli altri di cui ho scritto - sebbene
come
essi non voglia credere all'amore.
Oddio,
scrivo di personaggi così disillusi, non ci avevo mai fatto
caso.
Vado
a sbattere la testa al muro, oh sì.
Un
bacio,
-J
|
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Capitolo 3 *** 10 giorni ***
i'll2
I'll
never fall in love again
3#
10 Giorni
Tornai
a scuola il giorno seguente:
Kris era entrata in camera mia come una furia, intimandomi di
alzarmi. A questo proposito: quando mai Kristine si era svegliata
prima di me? Da quando la conoscevo, ero sempre stata io, quella che
la chiamava al cellulare certa del fatto che non avesse sentito la
sveglia.
“Muoviti, il sole è già alto,
splendore!” aveva urlato accendendo la luce. Io avevo
sbadigliato e
avevo afferrato il mio cellulare per guardare l'ora: segnava le sei.
“Kris, ma sei impazzita? Sono le sei,
a quest'ora le persone normali sono ancora nel mondo dei
sogni”
avevo protestato io: di solito ci svegliavamo alle sette, alle volte
sette e mezza, dato che l'università di Ingegneria
elettronica a cui
eravamo iscritte tutte e tre distava solo un paio di fermate di
metro.
“Le persone normali non hanno due
migliori amiche e non devono andare da quella mancante per fare
colazione”
“Cazzo Kris, sono le sei! Le sei! E
io non ho affatto fame”
“Vuoi diventare anoressica? No,
dimmelo. Anche se dovresti sapere che io e Spe non te lo lasceremo
mai fare, è inutile che provi a ignorare questa
realtà. Quindi,
alza il tuo bel culetto che Spe ha fatto la torta al cioccolato
morbida che ti piace tanto”
“Quella in realtà piace tanto a te”
“Vero. Ma in ogni caso l'ha fatta per
te, quindi che senso ha se non vai a mangiarla? Lo sai che ci tiene.
E tu non deluderesti mai Spe, vero?”
Grugnii qualcosa in risposta, e a
malincuore mi alzai dal letto, afferrando le mie All Star mezze
consumate dall'usura, un paio di pantacollant e una maglia lunga.
Tutto rigorosamente nero.
Kristine scosse la testa con forza e
spalancò il mio armadio, lanciandomi un abitino di maglia
rosso.
“Non puoi uscire di casa come se tu
stessi andando ad un funerale” esplicò.
“Apprezzo la tua premura, davvero. Ma
da quando in qua non sono padrona di vestirmi come voglio?”
“Il nero ti sta male”
“Non è vero!”
“Senti, quando ti vesti di nero è
perchè sei dannatamente depressa, e non ho voglia di vederti
così,
non ci riesco. Quindi fallo per me, okay?”
sussurrò abbassando lo
sguardo: da quando la conoscevo, era raro che esprimesse i propri
pensieri ed emozioni, le piaceva mostrarsi forte.
“Spe fa anche il caffè?”
“Sì, credo si sia decisa ad usare la
macchinetta con le cialde che le abbiamo regalato per Natale lo
scorso anno”
Rimasi ferma su quel pensiero:
Natale... Peter era morto il 21 Dicembre, da quella data erano
trascorsi tre giorni per l'esposizione della salma, uno per il
funerale, cinque in cui non ero uscita, e ieri era stato il giorno in
cui mi avevano costretta ad alzarmi. Per un totale di dieci giorni.
“E' già passato Natale – constatai
– oggi è l'ultimo dell'anno. E noi non abbiamo
lezione” conclusi
lasciando cadere la borsa con tutto il necessario per
l'università a
terra.
Kristine si voltò verso di me.
“Lo so. Ma so anche che il tuo Natale
non è stato proprio il massimo: insomma, avere proprio in
quel
giorno il funerale di Peter – mi guardò titubante
non appena
pronunciò il suo nome, piccole lacrime stavano tornando a
formarsi
sui miei occhi – meriti di svagarti, Annie. Meriti di fare
qualcosa
che ti permetta di lasciarti andare, di non pensare. E dato che non
hai festeggiato il Natale, e sai bene che noi sappiamo quanto tieni a
questa festa, abbiamo deciso di regalarti un Natale posticipato,
ecco. E stasera poi siamo fuori per i fuochi, anche quelli ti
piacciono, no? Dopotutto questo è il tuo periodo preferito,
durante
tutto l'anno. E invece quest'anno non hai nemmeno fatto
l'albero”
Lentamente, osservai l'enorme salotto
che si apriva davanti a me all'uscita delle stanze da letto, il
camino era spento, c'erano solo piccoli rimasugli di carbone e
ciocchi in parte bruciati, residui di prima della partenza dei miei
genitori, che erano andati in Russia per trascorrere le vacanze alle
quali io avevo rinunciato per poter passare del tempo con Peter.
Ricacciai le lacrime con forza a quel pensiero: non ero ancora
riuscita a razionalizzare l'evento, quindi era più che
comprensibile
che le mie emozioni fossero ancora così in subbuglio. Erano
una
bomba sul punto d'esplodere, ecco.
“Sai, qualche giorno fa c'era anche
la neve, se solo fosse venuta un po' prima avremmo avuto un bianco
Natale” sussurrò lei mentre scendevamo le scale:
afferrai il
portafoglio dal tavolino che si trovava all'ingresso e controllai di
avere la mia Oyster*.
Mi strinsi nel mio cappotto e avvolsi
la sciarpa coprendo anche il naso, nascondendo poi le mani in tasca:
il freddo era davvero pungente, a quell'ora.
“Sai – ruppe nuovamente il silenzio
Kristine – io e Spe abbiamo deciso di fare un brunch di
Natale, più
che un pranzo. Anche se sarebbe meglio chiamarla colazione abbondante
– io storsi il naso, sapeva che odiavo mangiare appena
sveglia,
spesso la mia colazione era misera, costituita da un caffè e
un paio
di biscotti, che spesso venivano tralasciati. Ovviamente lei
ignorò
la mia espressione – e poi Spe ha fatto un albero gigante
quest'anno, sono certa che ti piacerà”
“Già, dovrei farlo anche io, anche
se Natale è passato”
Kristine rise debolmente.
“Perchè ridi?”
“Niente, pensavo che non l'avresti
mai detto, di fare l'albero”
“Che c'entra, è pur sempre Natale –
brontolai io – e non è un Natale che si rispetti,
senza un albero
degno di questo nome, con tanto di luci e palline colorate”
“Sono contenta: anche se non te ne
accorgi, piano piano stai reagendo” sussurrò lei,
mentre salivamo
sulla metropolitana e il chiacchericcio confuso dei passeggeri pose
fine ad ogni nostra conversazione”
Arrivammo
da Spencer che erano le otto
del mattino.
La nostra migliore amica ci aprì la
porta con un sorriso e un vassoio carico di biscotti alla cannella in
mano.
“Siete in perfetto orario – ci
accolse lasciando che Triscot, il suo barboncino, uscisse in giardino
– ho appena sfornato i biscotti, sono ancora caldi. E senti
come
profumano – aggiunse poi passando il vassoio sotto i nostri
nasi –
ma prego, accomodatevi, i miei genitori sono usciti qualche ora fa,
ma non credo tornino. A quanto ne so vanno dai nonni, oggi”
concluse facendosi da parte e lasciandoci entrare per poi chiudere la
porta alle nostre spalle.
L'ampio salotto era occupato da un
tavolo basso con dei cuscini intorno, i muri erano pieni di luci
colorate che si illuminavano a intermittenza, mentre, appese sopra il
camino accesso, c'erano le classiche calze. Accanto ad esso, c'era un
enorme albero di natale, decorato con palline di ogni genere ed altri
piccoli oggetti, era davvero splendido. Ero incantata, davanti a
tutto quello sfarzo natalizio.
“Ti piace?” mi chiese Spencer
mentre afferrava la mia giacca e la mia sciarpa.
Io annuii con un sorriso.
“E' il più bell'albero di Natale di
sempre!” esclamai avvicinandomi ad esso.
Potevo sentire i sorrisi dipingersi sui
volti delle mie migliori amiche, mentre l'entusiasmo per il Natale
prendeva il sopravvento sul mio dolore: forse stavo davvero guarendo,
anche se il pensiero di quello che era successo era comunque impresso
a fuoco nel mio cervello, ma questa cosa aveva avuto il potere di
arginarlo almeno un po'.
“Buon Natale, Annie!” avevano
sussurrato consegnandomi un piccolo pacchetto. Io le avevo osservate
leggermente imbarazzata.
“Ma io non ho i vostri” avevo
sussurrato.
“Sbagli invece – mi aveva risposto
Spencer – il più bel regalo che tu possa farci,
è vederti
sorridere, vederti combattere proprio come stai facendo ora”
Dentro il pacchetto, c'era un piccolo
braccialetto, con un cuore e una piccola incisione “Ricordati
chi
sei, Hannah Wilson”
Ma dietro quelle parole c'era molto di
più, c'era il restare fedele a chi ero, il ricordarmi di
combattere
contro le avversità. Proprio come quando, da piccola,
combattevo
contro gli stupidi bambini dell'asilo perché non toccassero
il mio
peluches a forma d'orso e non lo rovinassero. Io ero quella persona,
io ero Hannah Wilson, la ragazza forte e determinata, la ragazza che
era stata amata da Peter Sullivan.
La
mattinata trascorse in fretta, verso
le tre del pomeriggio, Kristine si stiracchio per alzarsi da quei
cuscini su cui eravamo rimaste a parlare per tutte quelle ore.
“Beh, è ora di andare da Annie,
dopotutto quest'anno sta a lei, cucinare la cena di capodanno”
Io avevo sbattuto gli occhi incredula
un paio di volte.
“Temo di non avere niente in frigo”
sussurrai imbarazzata.
Spencer sorrise.
“Abbiamo fatto noi la spesa ieri. Nel
caso ti venisse fame. Ma comunque sapevamo che non ti saresti mai
ricordata che stava a te cucinare, quest'anno”
Scossi la testa con un sorriso: alle
volte dimenticavo quanto le mie migliori amiche mi conoscessero bene,
riuscivano a prevenire ogni mia mossa. E finivano comunque per
lasciarmi sempre di stucco, facendo più del dovuto, o del
necessario.
Tempo un paio d'ore, comunque, e fummo
a casa mia – Spencer si era dovuta prendere i vestiti, dato
che a
quanto pare avevano organizzato un pigiama party a casa mia a mia
insaputa. La cosa rasentava l'incredibile, sul serio. Riuscivano ad
insediarsi a casa mia con troppa facilità, ma in fondo
sapevo di
doverglielo: in due giorni avevano fatto talmente tanto per me che
non sarei mai riuscita a sdebitarmi, nemmeno in tutta una vita.
Sopratutto se contiamo che, nonostante i miei avessero saputo
dell'accaduto, non si erano degnati di fare nemmeno una telefonata.
Non che me la aspettassi, ma sarebbe stata carina, una tale premura.
Sospirai dissolvendo il pensiero e
infilai le chiavi nella serratura; un mezzo giro e la porta si
aprì.
“Kris, non avevo chiuso a chiave?”
La mia migliore amica alzò le spalle
“Non ci ho fatto caso, Annie. Comunque hai avuto fortuna, se
nessuno ti è entrato in casa”
Spencer spalancò la porta ed entrò in
casa. La osservai interrogativa: di solito era molto più
delicata,
nei gesti.
“Siamo a casa, e siamo disarmate.
Quindi se c'è un ladro è pregato di andarsene
dalla finestra: siamo
troppo giovani per morire” urlò, al che Kristine
scoppiò in una
fragorosa risata.
“Voi siete tutte matte” constatai
chiudendo la porta dietro di noi.
“Parla quella che non si ricorda che
lascia la casa aperta” risero loro. Io scossi la testa e
raggiunsi
le scale.
“Devo rifare il letto, magari anche
cambiare le lenzuola, dato che avete intenzione di insediarmi da me.
“Ti diamo una mano” risposero loro
all'unisono. Sospirai, e continuai a salire le scale fino a
raggiungere il piano di sopra.
Una volta raggiunto l'ampio salotto, mi
trovai davanti tantissime persone, la stanza era irriconoscibile,
rispetto a come l'avevo lasciata: un albero di Natale era stato
montano vicino al camino su cui ora ardeva un fuoco. Le calze erano
appese, e decori e luci erano stati attaccati alle pareti. Osservai
il tutto con le lacrime agli occhi per l'emozione.
“Buon Natale Annie, ti vogliamo bene”
esordirono delle voci.
“Non arrenderti” risposero altre,
mentre io restavo affascinata da quello spettacolo: non mi sarei mai
aspettata una cosa simile.
“Grazie – sussurrai per poi
voltarmi verso le mie due migliori amiche – voi ne sapete
qualcosa?”
Loro ostentarono una faccia angelica.
Come se non le conoscessi. Scoppiammo a ridere tutte insieme, mentre
ci stringevamo in un abbraccio.
“Il minimo che puoi fare adesso, è
offrire a tutti dello spumante” esclamò Spencer.
Ovviamente, avevano già pensato a
tutto, dato che una volta scesa al piano di sotto avevo trovato sette
bottiglie nel frigo. Scossi la testa e afferrai i bicchieri di
plastica dalla dispensa.
“Mi serve una mano con le bottiglie”
urlai diretta al piano di sopra.
Spe e Kris comparvero sull'uscio
visibilmente contrariate dal mio tono di voce.
“Ci hai quasi assordate” m'informò
la prima.
“Quante storie, voi vi siete
illecitamente introdotte in casa mia, potrei farvi causa per
questo”
“Primo, noi non ci siamo introdotte
da nessuna parte, siamo entrate con te; secondo, non potranno mai
provare che qualcuno sia entrato illecitamente: non ci sono segni di
scasso”
Constata quell'evidenza, un dubbio
attanagliò la mia mente. “Come hanno fatto ad
entrare allora?”
In quel preciso istante, Giusy varcò
la soglia, lanciando qualcosa a Kristine, che lo afferrò al
volo.
“Grazie per le chiavi” esplicò
congedandosi.
Fulminai la mia migliore amica con lo
sguardo “Hai dato le mie chiavi di casa! Ma che cavolo ti
è
passato per la testa?”
“Quante storie, sono tutte persone
che conosci”
“Ma non è questo il punto! E se si
fossero fatti delle copie?”
“Dio Annie, sei paranoica!” mi
rimbottò lei. Io alzai gli occhi al cielo, ponendo fine a
quella
discussione.
La
cena trascorse tranquilla, e verso
le undici decidemmo di uscire per passeggiare per Green Park, da
lì
si riuscivano a vedere i fuochi senza stare nella bolgia, come invece
avveniva davanti a Buckingam Palace.
“Non so come ringraziarvi, ragazze”
sussurrai mentre mi sdraiavo sull'erba piena di condensa:
fortunatamente avevamo portato qualche coperta per proteggerci dal
vento pungente, io me la avvolsi intorno al corpo, così che
mi
proteggesse anche dal suolo ghiacciato.
Le mie amiche mi imitarono, sedendosi
al mio fianco: ora che le osservavo con attenzione, potevo dire con
certezza che erano qualcosa del tipo la mia coscienza sotto forma di
persona, Spencer era l'angelo, la mia parte buona, mentre Kristine
era, senza ombra di dubbio, il piccolo diavolo, la parte decisamente
poco incline a tutto ciò che si chiamava rispetto della
privacy, e
tutto il resto. Non che fosse cattiva, ma diciamo che aveva un
carattere forte.
A pensarci, stavamo bene insieme, un
trio ben assortito, nonostante tutto.
“Tre, due, uno” sussurrarono loro
insieme.
“Buon anno!” ci augurammo mentre
stappavo la bottiglia di spumante: era nostra abitudine che fosse
quella che teneva la cena, a stappare la bottiglia.
Il tappo volò addosso a gruppetto di
cinque ragazzi, colpendo quello che stava al centro.
“Che mira di merda, Annie!” rise
Kristine.
“Vatti a scusare” si premurò
Spencer, che probabilmente stava pregando tutti i santi che conosceva
perché quei cinque non fossero cattive persone.
A malincuore, mi alzai dalla mia
postazione, lasciando loro la bottiglia – “Non
bevete senza di
me, eh!” mi raccomandai – e mi avvicinai al
gruppetto.
“Scusate, per sbaglio vi ho colpito
col tappo della mia bottiglia” dissi rivolta al ragazzo
riccio che
si stava massaggiando la testa. Gli altri risero.
Sospirai.
“Se volete vi offro dello spumante
per farmi perdonare”
Il riccio sorrise, smettendo di
toccarsi.
“Okay, ma non mi basta” esordì.
“Scusa?” chiesi io sgranando gli
occhi, convinta di non aver sentito bene.
“Ho detto che non mi basta: voglio
anche sapere il tuo nome”
“Hannah Wilson, per gli amici Annie,
ora sai a chi inviare il preventivo per eventuali danni”
Lui rise: non potei fare a meno di
notare che la sua risata avesse un bel suono.
“Non è per quello, è perché
volevo
sapere il nome di una ragazza tanto sbadata da colpire qualcuno con
un tappo di spumante: non ti hanno insegnato che ci sono modi
migliori per cercare un approccio?”
Gli altri risero ancora più forte, io
sgranai gli occhi incredula.
“Sinceramente, se mai dovesse
arrivarmi una fattura a casa, provvederò a testimoniare che
il tuo
cervello era già danneggiato prima di conoscermi”
sbottai
infastidita.
“Per quello che ne sai, potresti
averlo appena danneggiato tu” sussurrò lui.
Io evitai di ribattere: mi avevano
insegnato a non dare spago ai palloni gonfiati, e lui mi sembrava
appartenere a quella categoria, probabilmente ne era il massimo
esponente.
“Guarda, ti offro lo spumante solo
perché sono una donna di parola – biascicai
tornando verso le mie
amiche – abbiamo ospiti” le informai contrariata.
“Mi sembra il minimo, offrire loro
dello spumante dopo avergli tirato un tappo in testa”
esclamò
Spencer, contenta della mia decisione.
“Si può sapere almeno i loro nomi?”
sussurrò Kristine acidamente: sicuramente non era dello
stesso
avviso della nostra amica.
“Harry – si presentò il
riccio-pallone-gonfiato – loro sono Zayn –
indicò il ragazzo
alla sua desta, che aveva la pelle ambrata e gli occhi scuri
– Liam
– aggiunse indicando un ragazzo con una voglia di cioccolato
sul
collo – Niall – passò a indicare alla
sua sinistra un ragazzo
biondo, che non la finiva più di ridere – e
Louis” concluse
indicando l'ultimo, che stava accanto a Niall.
“Io sono Spencer, la rossa acida è
Kristine è l'altra è....”
“Annie, lo sappiamo” la interruppe
Harry.
“Annie per gli amici, e tu non
rientri nella categoria” lo rimproverai io, guadagnandomi
un'occhiataccia da parte di Spe, che prima sembrava entusiasta della
mia premura nel presentarmi. Come se fossi maleducata, io!
“Io acida? – sussurrò a Kris,
visibilmente oltraggiata – Io non sono acida, lo sono con chi
se lo
merita”
Almeno su questo, io e lei eravamo
concordi: quei tipi di meritavano la nostra ostilità.
Spencer ignorò le occhiate d'intesa
che io e Kristine ci stavamo rivolgendo, e verso lo spumante nei
bicchieri di plastica, che poi passò a tutti; quando ognuno
ebbe il
proprio bicchiere, si alzò in piedi.
“Buon anno” esclamò alzando il
proprio “Cin Cin”
Io e Kris ci rivolgemmo un'ultima
occhiata d'intesa, prima di fingere di essere inciampate nelle
coperte, e rovesciare il nostro spumante addosso ai ragazzi.
Ovviamente, per rendere la cosa credibile, io spinsi anche Spe,
costringendola a fare lo stesso.
“Ops, scusate – celiammo cercando
di nascondere i nostri sorrisi soddisfatti – siamo inciampate
in
queste coperte”
Ostentammo un'aria dispiaciuta,
sperando di far incazzare quei ragazzi, che invece non ci diedero
soddisfazione.
“Può capitare – mormorò il
primo
osservando la chiazza sul proprio petto e riuscendo anche a stupirmi
per la maturità dimostrata – se quelle coperte
sono così
ingombranti, dovreste toglierle, prima di fare altri danni”
Appoggiò il proprio bicchiere per
terra e si avvicinò a me, guardandomi negli occhi:
lentamente le sue
mani si poggiarono sui miei fianchi, percorrendone il profilo, e
lasciò scivolare la coperta, che cadde a terra.
“Ecco fatto, ora possiamo brindare”
sussurrò sul mio viso, mentre un sorriso sghembo gli
compariva sul
volto.
Scossi la testa per reagire, i suoi
occhi verdi mi avevano ipnotizzata.
“Potevo farlo anche da sola”
“Lo so, ma avevi le mani occupate”
Sbuffai, trattenendomi dal ribattere e
versai nuovamente lo spumante nel mio bicchiere, facendo lo stesso
con Kristine.
Spencer mi guardava interrogativa.
“Buon anno” esclamai io
visibilmente infastidita da quegli sguardi indagatori, per poi bere
dal mio bicchiere.
Ora sono undici giorni, un nuovo
anno senza di te, pensai.
*è
la tessera che funziona come un
abbonamento settimanale o mensile per la metropolitana e/o gli
autobus.
Salve!
Ed ecco anche il nuovo
capitolo. Sono in ritardo, lo so.
Non mi ucciderete per questo, vero? Il fatto è che sono
stata mostruosamente impegnata.
BTW, vi abbandono, perchè sinceramente non so cos'altro dire.
Un bacio,
-J
|
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Capitolo 4 *** Questione di supereroi ***
i'll
E
così le vacanze sono finite.
Sono
tornata all'università il 9 Gennaio come tutti si
aspettavano che
facessi: Kristine e Spencer ne dubitavano in realtà, tanto
che erano
venute a prendermi a casa e mi avevano trovata già vestita e
con la
borsa pronta. Un vero record. Beh, in realtà sospettavo che
non si
sarebbero fermate alla mia promessa di capodanno, in fondo per un
buon proposito abbiamo a disposizione tutto l'anno ma ho sempre
pensato che fosse meglio cominciare da subito.
E
comunque la lista quell'anno è abbastanza lunga quindi tanto
vale
cominciare il prima possibile.
Noto
con piacere le espressioni soddisfatte delle mie migliori amiche non
appena scendo in cucina, moracolosamente vestita decentemente
– il
che vuol dire che non ho niente di nero addosso. Solo Kristine sembra
aver qualcosa da ridire: la vedo infatti grattarsi con le unghie
quasi inesistenti – Dio solo sa quanto ami mangiarsele, cosa
che io
giudico abbastanza irritante, tra l'altro – perfettamente
laccate
di rosso.
“Tu
non esci conciata così” mi minaccia lei.
Perché anche se non lo dice, è chiaro che
c'è sottointeso un gigantesco "o"
“Scusa?”
chiedo convinta di non aver sentito bene. Insomma, è il mio
primo
giorno della prima settimana di lezione dopo le vacanze,
nonché
ultima settimana prima dell'estenuante sessione invernale di esami,
quindi posso essere perfettamente padrona di decidere cosa mettere.
Anche perché stranamente i miei non sono ancora tornati,
decidendo
di trattenersi in vacanza perché “completamente
affascinati dalla
bellezza del luogo”, o almeno così hanno scritto
nell'ultima mail.
Anche se penso che lo facciano perché hanno paura di non
trovare più
la casa, probabilmente temono che sia stata colta da un qualche
raptus.
“Andiamo,
un po' di trucco non ti può certo far male, senza contare
che hai la
pelle di un colorito tendente al verde”
“Sempre
gentile, Kris, non ti sciupare” le rispondo io, senza dar
troppo
peso alle sue parole.
“Mannò,
sicuramente Kristine voleva dire che sei uno schianto, anche se con
un filo di rimmel potresti far invidia alle modelle di Maxim”
prova
a spiegare Spencer
“Veramente
io intendevo dire esattamente quello che ho detto, Spe” la
zittisce
la rossa.
Ecco,
ora capite perché odio svegliarmi con loro in casa? Non
promette
nulla di buono, anzi, la cosa migliore che può succedere
è essere
colte da uno straordinario mal di testa.
“Il
caffè è pronto” celia Spencer.
Okay,
devo ammettere che trovarsele in casa ha anche i suoi pregi, specie
se si prodigano a farmi la colazione.
“Un
caffé con un cucchiaio abbondante di zucchero per Kris, ed
uno con
del latte per Annie” ci esplica mentre versa il liquido scuro
nelle nostre
tazze, per poi prepararsene una anche per sé.
Mi
piace che Spencer sappia a memoria come prendiamo il caffé,
è una
piccola attenzione che la rende più adorabile del solito.
Perché
tra le tre lei è decisamente la meno sclerata e la
più posata.
Probabilmente senza di lei io e Kris finiremo per squoiarci su ogni
piccolezza. Okay, forse no, ma potremo senza dubbio rendere
insopportabile la vita altrui, quindi è un bene che ci sia
Spe a
farci da mamma, più o meno.
Anche
se, detta così, Spencer sembra noiosa. Cosa che in
realtà non è
affatto, anzi è la persona con più iniziativa tra
le tre, metterei
la mano sul fuoco che infatti è stata lei a proporre questa
irruzione in casa mia.
“A
pranzo da me?” propone Kris mentre si avventa su un biscotto
affogato nella nutella.
“Solo
se cucini tu” rispondo io sorridendo.
“Allora
per questa volta mi darò da fare per scaldare l'ottima pasta
al
forno che mia madre ha lasciato nel forno”
“Sempre
la solita” ride Spencer prima di scegliere con cura una
brioches
dal vassoio che Kris ha portato dalla pasticceria dei suoi zii.
Ed
eccoci, davanti alla facoltà di ingegneria. Nessuno si
aspettava che
ci sarei arrivata davvero, sbaglio? E invece questa volta ci sono,
convintissima di entrare dentro questo edificio che, all'apparenza,
sembra più un museo di arte moderna, con le pareti ricoperte
di
specchi, almeno per quanto e riguarda la segreteria.
Una volta
varcata lastanza chic, ci aspetta lo squallore degli enormi edifici
interni, palazzi alti non so quanti piani, che circondano ogni lato
del cortile interno.
Una
vera rovina per gli occhi.
Senza
contare che ti fanno sentire minuscolo ed insiginificante, mentre
dentro di te cresce un senso di claustrofobia.
“Abbiamo
analisi, alla prima ora. Qualcuno mi uccida” piagnucola
Spencer non
appena entriamo nel cortile semi deserto, ci sono giusto un paio di
coppie intente a sbaciucchiarsi su qualche panchina.
Tempo
fa, li avremo presi in giro, urlando qualcosa del tipo
“Prendetevi
una stanza”.
Ma
ora è tutto diverso, ora che Peter è morto, non
me la sento di fare
una squallida ironia sulla vita sentimentale degli altri. Non ho
voglia di affrontare l'argomento, non ho nemmeno voglia di osservarli
mentre pomiciano incuranti della gente che passa.
E
credo di essere gelosa, di quello che si prova quando si è
innamorati, del guardarsi negli occhi e sapere esattamente cosa pensa
l'altro.
Kris
mi afferra saldamente la mano.
“Ce
la puoi fare” mi sussurra mentre Spencer continui a
piagnucolare di
quanto odi limiti ed integrali.
Varchiamo la porta dell'aula non appena
suona la prima campanella, annunciandoci che mancano solo cinque
minuti all'inizio della prima lezione.
Sbuffo, mentre seguo le mie due
migliori amiche e mi accomodo su un banco centrale dell'auditorium.
Kristine e Spencer stanno parlando con
Greg di qualcosa che non riesco a capire, sono in uno stato di trance
non indifferente: sulla lavagna ci sono ancora scritti i calcoli
disordinati di Peter. Non hanno pulito l'aula, tutto sembra congelato
a quando, quel pomeriggio di tanto tempo fa, il mio ragazzo mi
spiegava l'integrale definito.
Sospiro e scendo lentamente le scale
laterali, avvicinandomi a quella lavagna.
Sfioro leggermente la pietra, proprio
dove la sua scrittura brilla. Al mio tocco, le parole si sfaldano,
cancellandosi parzialmente, dando alle scritte un che di grottesco.
Sospiro di nuovo mentre afferro la
cimosa e cancello la sua grafia mentre nuove lacrime tornano ad
offuscarmi la vista. Sento i singhiozzi crescere nel mio petto, fino
a che non mi decido a lasciarli uscire, accasciandomi a terra.
Non ce la posso fare.
Nell'auditorium è sceso il silenzio,
sento lo sguardo delle mie amiche addosso, ma so che non verranno:
rispettano il mio dolore.
Eppure sento dei passi, il suono è
inconfondibile. Qualcuno si sta avvicinando a me.
So che dovrei vergognarmi di questa mia
debolezza, ma non riesco a pensare ad altro, se non al fatto che
Peter non è lì, e che la sua calligrafia
è così reale, così
nitida davanti ai miei occhi.
La persona misteriosa si china al mio
fianco, e afferra la cimosa. Io gliela lascio, non ho forza per
opporre resistenza.
Sento l'inconfondibile suono del
cancellino sulla pietra, vedo la polvere di gesso scivolare.
Alzo lo sguardo, ed incontro gli occhi
verde smeraldo di un ragazzo. Di quel ragazzo, dello stesso ragazzo a
cui avevo gettato in faccia lo spumante a capodanno.
Ora, inspiegabilmente, vorrei non
averlo fatto.
Che pensiero sciocco.
Le sue labbra si muovono, componendo un
muto “Va tutto bene?” a cui io non rispondo.
Perché non voglio ammettere che la mia
vita sia uno schifo, e di certo non voglio dirgli che va tutto bene,
quando è chiaro come il sole che sto mentendo. Quindi il
silenzio è
l'opzione migliore.
Lui distoglie lo sguardo, continuando a
cancellare, mentre io mi rialzo, strofinandomi con le mani il viso:
grosso errore, le dita sono piene di gesso, così la polvere
entra
dentro i miei occhi, tornando a farmi lacrimare.
Sospiro, uscendo e dirigendomi verso il
bagno per sciacquarmi, poco importa che il rimmel coli, anzi,
accidenti a me e a quando ho deciso di dar retta alle mie due
migliori amiche e truccarmi. Ben mi sta.
Sento dei passi affrettarsi nella mia
direzione, dal suono riconosco perfettamente chi si sta avvicinando:
Spencer e Kristine.
“Scusa” esordisce la prima.
“Non avremmo mai dovuto convincerti a
venire” conclude la seconda, sfiorandomi sotto gli occhi
sporchi
per il trucco colato dal pianto.
Annuisco, accettando il fazzoletto che
Spencer mi porge e finisco di togliere le orribili macchie di trucco
sul mio volto.
La campanella suona proprio in questo
istante.
Sospiro e abbraccio le mie migliori
amiche, prima di entra in classe. Il professore entra non appena ci
siamo sedute.
Prendo una penna ed apro il quaderno,
predisponendomi per prendere appunti, dato che ora non ci
sarà Peter
a spiegarmi ciò che non avrò capito.
Tutto
okay? -H
Leggo sulla prima
riga della pagina nuova. Mi volto a novanta gradi, avvistando Harry.
Lui sorride, io annuisco, leggermente stordita. In fondo che gli
frega, se sto bene o no? Non sono affari suoi.
Sospiro e torno ad
osservare la lavagna luminosa, tornando a dedicare attenzione al
professor Woods.
Dopo un'ora e
mezza, il magnanimo insegnante, si rende conto che nessuno lo sta
più
ascoltando, così ci concede una pausa di dieci minuti per un
caffè.
Mi lascio scivolare
fuori dallo scanno e scendo le scale: ho voglia di un po' d'aria
fresca, sempre che l'aria satura di fumo del cortile meriti tale
appellativo.
“Va tutto bene?”
mi chiede Harry, non appena finisco di scendere le scale.
Odio che le persone
mi stiano così addosso, credevo l'avesse capito dal fatto
che
nessuno nell'aula avesse osato avvicinarsi a me prima.
“Stavo meglio
prima” gli comunico, alludendo al fatto che trovo la sua
presenza
alquanto opprimente.
Lui sembra non
recepire il messaggio, infatti quando lo supero continua a seguirmi.
Questo vuole
proprio morire precocemente: si sente lontano un miglio, quando non
è
aria, con me.
“La smetti di
seguirmi?”
“Credevo di
meritare almeno un ringraziamento, per aver cancellato la lavagna al
tuo posto”
“Nessuno ha
chiesto il tuo aiuto”
“Lo so, ma
pensavo fosse la cosa giusta da fare”
Io non rispondo, so
già che se gli dessi spago lui continuerebbe a parlami, ed
io non ne
ho affatto voglia.
Ovviamente, a me
toccano sempre le persone più testarde: lui continua a
seguirmi. Mi
fermo di scatto, così lui mi finisce inevitabilmente addosso.
“Ma sei nuovo?”
gli chiedo scorbutica.
Lui annuisce “Mi
sono trasferito da poco da Holmes Chapel”
“E cosa ti ha
portato dai monti alla metropoli?”
Lui ride “Ancora
queste idee borghesi?” chiede.
Almeno ha il senso
dell'umorismo, cosa che non è troppo uno schifo,
considerando che è
pur sempre uno stupido ragazzo snob con manie da paladino.
“Dimmi, ti
piacciono i supereroi?”
“Scusa?” chiede
lui, non afferrando – ovviamente – il senso della
mia domanda.
“Rispondi alla
domanda”
“Sì – si
affretta lui – mi piace l'idea di qualcuno dotato di poteri
che
sceglie di proteggere le persone”
“Allora tornatene
sul tuo pianeta, Superman. Nessuno qui ha bisogno di un salvatore, ed
io di certo non sono la povera ed indifesa ragazza, quindi vedi di
sparire, novellino” rispondo io telegrafica, prima di
nascondermi
nel bagno delle ragazze. Così almeno la smette, di starmi
addosso.
Salve!
Anche stavolta ci ho messo tanto, chiedo venia,
Il fatto
é che - ops - mi sono presa una tendinite alla mano destra,
quindi era impossibile digitare.
Ma oggi mi sono data tanto da fare u.u
Niente, oggi è andata un po'
così, il capitolo non mi convince ma non avevo niente di
meglio in mente.
Il prossimo sarà "più meglio" cit. Simone.
Un
bacio.
-J♥
|
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