I'll never fall in love again

di Leyton_Nenny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 21 Dicembre ***
Capitolo 2: *** Alzati e combatti! ***
Capitolo 3: *** 10 giorni ***
Capitolo 4: *** Questione di supereroi ***



Capitolo 1
*** 21 Dicembre ***


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Sono passate ore, giorni, settimane, mesi.
Ho perso la cognizione del tempo, quando Giusy mi ha chiamata.
“Hannah, devo dirti una cosa – la sua voce era tetra, lugubre. Dovevo aspettarmi che l'Apocalisse fosse vicina – Peter è...”
Non le avevo dato il tempo di finire, le lacrime erano sgorgate copiose dai miei occhi, e la mia mente aveva messo insieme tutti i tasselli del mosaico che mi trovavo tra le mani.
Peter era morto. Il ragazzo che avevo amato, era scomparso. E stavolta per sempre.
Non era come sempre, quando non mi chiamava per un paio di giorni a causa di uno stupido litigio.
Peter stavolta non avrebbe più risposto ai miei messaggi, la sua risata non avrebbe riempito i miei pomeriggi. E non mi avrebbe più allontanato dai libri dicendo “Hai tutta la vita per studiare, ma sedici anni vengono una volta sola. E poi il sole fa bene alla pelle”
L'ultima frase, a spregio come sempre: non sono mai stata come le classiche cheerleader, tutte attente all'alimentazione o alla cura della pelle.
“E aumenta anche il rischio di cancro” gli rispondevo io, prima di scoppiare in una sonora risata. E lui mi seguiva.
Ma ora è tutto finito, nemmeno Kristine o Spencer riusciranno a rendere le cose migliori, come fanno sempre.
Loro sono le mie migliori amiche, ci sono sempre state, da quando mi sono trasferita da Birmingham a Londra, per il nuovo lavoro di papà.
A dire la verità, non mi dispiaceva Birmingham, era una cittadina tranquilla, niente a che vedere con Londra, la capitale più bella del mondo, sempre piena di turisti o studenti, credo sia la città per antonomasia.

Com'è che era quella frase?

 “Quando un uomo è stanco di Londra è stanco della vita, perchè a Londra si trova tutto ciò che la vita può offrire.”
Parola di Samuel Johnson.

Il primo giorno a Londra, credo di essere sembrata una contadina appena arrivata in una città, tant'era il mio stupore. Ricordo di aver subito notato le mie due amiche, perché parlottavano tra loro e sembravano completamente staccate da tutto il contesto: i capelli rossi di Kristine splendevano sotto la flebile luce che entrava dal vetro, sebbene fuori il cielo fosse bianco a causa delle nuvole, mentre, di contrasto, c'erano i capelli marroni di Spencer, sebbene i miei siano ancora più scuri dei suoi.
In realtà, ho appena detto una bugia: non credo di essere stata io a notare loro, ma loro a notare me. Oppure ci siamo notate nello stesso istante, non che la cosa sia importante.
Sei quella nuova?” una bionda smorfiosa mi aveva appena squadrato, rivolgendosi a me acidamente. Sembrava la classica ragazza snob.
Subito Kristine si era avvicinata “Chiudi quella bocca, Alex. Mio Dio, una ragazza mette piede per la prima volta in classe – pensa che in realtà non la vedrai nemmeno a tutte le ore, dato che non credo abbia preso parte alle tue stupide materie, o entri nel tuo club delle ragazzine urlanti. Quindi, fammi la cortesia, almeno di prima mattina, evita di mordere. O starnazzare. O fare ambedue le cose insieme.”
La ragazza era diventata rossa per l'imbarazzo, e io avevo trattenuto una risata: mi piaceva il modo di agire schietto di Kristine, specie perché non appena la bionda l'aveva guardata in cagnesco, lei aveva alzato gli occhi al cielo esasperata, con il solo scopo di far incazzare ancora di più Alex. E ovviamente c'era riuscita, dato che quest'ultima si era alzata in tutta fretta e mi aveva spintonato poco carinamente per raggiungere la porta.
Una volta uscita, io ero scoppiata a ridere, e quella che sarebbe diventata la mia migliore amica aveva alzato le spalle, come a dire “cose da niente” o “chi la capisce è bravo”, sono ancora indecisa.
Spencer era molto più pacata, si era avvicinata a me e aveva sorriso “Scusala, alle volte è un po' impulsiva, ma a Londra non siamo tutti così... fuori dagli schemi”
La rossa si era limitata a sbuffare “Infatti io sono la crème de la crème, ma chérie”
La mora aveva riso per poi tendere la sua mano verso di me “Piacere, io sono Spencer. E questo cioccolatino qui è Kristine”
Io avevo la avevo afferrata “ Piacere, Hannah”

Oh, ma tesoro mio, noi sappiamo perfettamente chi sei tu: sei la notizia succulenta mia cara – a pensarci bene, l'espressione di Kristine mi faceva un po' paura – e noi siamo qui per scoprire ogni tuo segreto. Potremo essere le tue migliori amiche, o le tue peggiori nemiche”
Kris, così finirai per spaventarla, santo cielo!” la interruppe l'altra, alzando gli occhi al cielo. La rossa finse di non aver sentito.
Dunque, che lezioni hai, An?” 
Io avevo mostrato loro il mio orario, e avevamo scoperto che avevamo più o meno le stesse materie, se non per il fatto che, mentre loro avevano cucito, io avevo canto.
A pensarci, il corso di cucito mi sarebbe anche interessato – insomma, chi non ama la moda? - ma per paura di cadere nel banale – ho sempre odiato essere uguale alle altre, e questo lo dimostrava anche l'astio che provavo nei confronti della divisa non personalizzabile – avevo scelto il canto, un'altra mia passione. Che poi il corso non si chiamasse propriamente “canto” era un'altra storia, l'avevano chiamato “musica” solo per poter risparmiare su un qualche professore, ne ero più che sicura.

Dunque, suoni un qualche strumento?” mi aveva chiesto Spencer curiosa.
Kristine le aveva dato una piccola gomitata sulle costole “Non essere invadente, Spe” l'aveva imitata.
Eravamo tutte scoppiate a ridere. Poi, a fatica, avevo bofonchiato “Non suono nessuno strumento, ma canto”

Canti? Davvero?” avevano chiesto all'unisono, scatenando una nuova ondata di risa.
Sì, canto da sempre”
Dovrai cantarci qualcosa, prima o poi” aveva risposto Kristine.

In che zona stai?” mi aveva chiesto Spencer mentre mi accompagnavano verso l'aula di musica.
Leicester Square” avevo risposto io prontamente

Stiamo vicino, allora – aveva asserito Kristine – dopo se vuoi torniamo a casa insieme”
Ne sarei felice”
Fu proprio quello il giorno in cui incontrai Peter.


E ora, a due anni e qualcosa da quel giorno, Peter è morto, per colpa di un qualche ubriaco. Morto, investito mentre attraversava la strada che lo avrebbe riportato a casa. Morto, il 21 Dicembre, proprio quando doveva esserci la fine del mondo. E per me è avvenuta davvero: il mio mondo si è concluso in questa tanto odiata data.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve!
Lo so, non mi uccidete. Sono una folle, lo so. 
Ho tante long in corso, e lo so.
Ma l'ispirazione è quella che è per le altre, quindi vi accontenterete di questa nuova, che mi foga un casino.
E ho già tutte le idee in testa, sarà di dieci capitoli circa.
Nulla, la dedico a HaroldEdssmile, la mia dolciosa Spencer.
E Kristine è Koaliller, come sempre.
Date queste dovute e necessarie (?) spiegazioni, mi defilo.

Un bacio.
-J♥


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Capitolo 2
*** Alzati e combatti! ***


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“Annie, alzati”
Mi stavo decisamente pentendo di aver dato a Kristine le mie chiavi di casa, per evitarle di entrare dalla finestra ogni qualvolta avesse bisogno o voglia di fare quattro chiacchere.
Non ho mai capito come facesse ad arrampicarsi fino al primo piano per raggiungere la mia stanza ma poco importa, fino a che non si ammazzava andava tutto bene. Per quanto mi riguarda, io non sarei mai riuscita a fare una cosa del genere; al sol pensiero mi veniva da vomitare: soffrivo di vertigini da sempre.
“Annie, il sole è alto, su vieni a fare colazione. Ho portato il frappuccino al caramello e i brownies di Starbucks che ti piacciono tanto” aveva ripetuto alzando leggermente la voce.
Attualmente, sto prendendo in considerazione l'idea di cambiare di casa: non ne posso più di avere Kristine a cinque case di distanza, sopratutto in questo momento.
“Vattene, Kris” le avevo ruggito io, sperando che si decidesse a darmi retta. Vane speranze, ovviamente: la mia amica si era seduta sul mio letto. C'è da dire che era davvero testarda, quando voleva. Testarda e senza alcun rispetto della privacy, o del dolore. E un sacco di altri difetti che a me ora non vengono in mente.
“Annie – avevo sentito la sua mano percorrere il profilo de mio fianco destro ben coperto dal pesante piumino – per favore, alzati. Sono già passati cinque giorni, dal funerale. Sono cinque giorni che non vedi nessuno e che non esci di casa. Sinceramente, non credo nemmeno tu abbia mangiato, in questo lasso di tempo. Io e Spencer siamo molto preoccupate, lo sai”
“Kris, per favore, lasciami sola” le avevo sussurrato nascondendo ancora di più la testa tra le lenzuola.
“Annie, sai che non posso farlo: sono tua amica, anche se tendi a dimenticarlo, quando soffri. Ma non sei sola, quindi se vuoi piangere, urlare, incazzarti, ubriacarti, mangiare gelato o cioccolato fino a scoppiare, picchiare qualcuno o altro, io e Spencer ci siamo. Siamo qui per questo, siamo qui per te. E sai anche che Peter non vorrebbe che tu soffrissi”
“Come cazzo fai a sapere cosa vorrebbe o meno? Lui non c'è, quindi non parlare di lui come se dal due al tre potesse uscire dal mio armadio e dirmi che va tutto bene. Perché senza di lui niente è okay, quindi è inutile che continui a provare a convincermi ad uscire: non lo farò. Perché se esco da quella porta, a scuola o in qualsiasi luogo, per me ci saranno solo sguardi carichi di pietà, ed io non voglio, okay? Non mi serve la pietà di nessuno, non se non posso riavere indietro il mio ragazzo.”
Kris mi aveva abbracciata, stringendo forte la mia schiena contro il suo petto.
Per qualche istante era rimasta in silenzio, poi mi aveva sussurrato “Io e Spe non ti potremo mai guardare con pietà, lo sai. Sappiamo come stai...”
“No, è questo il punto, Kris: voi non lo sapete. Non sapete come cazzo ci si sente quando il tuo ragazzo ti lascia, ma non perché non ti ama più, lo fa perché non c'è più, perché un qualche fottutissimo pirata della strada lo ha brutalmente investito, e non si è fermato a prestare soccorso”
“E la deve pagare per questo, Annie. Lo sappiamo tutti che la deve pagare, che se solo vedesse come stai, come stiamo tutti, si sentirebbe così in colpa, si sentirebbe come la merda che è, e si costituirebbe” sussurrò Spencer: non sapevo che anche lei fosse presente nella stanza, anche perché spesso lei si limitava ad osservare le cose in silenzio: era una persona molto razionale, quindi calibrava al millesimo il peso delle sue parole, sapeva bene che una parola fuori posto poteva costituire un grosso rischio, una sola parola e probabilmente avrei negato loro il diritto di potermi stare vicino, sebbene anche per loro non dovesse proprio essere un paradiso, vedermi in quelle condizioni.
“Annie, ti prego, parlaci, parla con noi, dicci come ti senti”
Scossi la testa sotto le coperte, respingendo le lacrime con forza: ero stata per otto giorni chiusa in camera mia, a osservare foto e piangerci sopra: avevo paura di dimenticare il suo volto, di dimenticarmi di lui, questa era la verità.
“Ho paura, ragazze. Ho paura di dimenticarmi di lui, di tutto ciò che ho passato. Cosa farò, se dovessi dimenticarmi di lui? Sapete, ricordo perfettamente come ci siamo conosciuti, dove siamo stati quando mi ha baciata per la prima volta, ma faccio fatica a ricordare la sua voce, il modo in cui le sue dita si muovevano sul pianoforte. Non voglio dimenticarlo, non voglio che tutto questo finisca. Perché se tutto dovesse sparire, allora vorrebbe dire che io in realtà non ho amato Peter, e io non voglio crederci: non amerò più nessuno, non m'innamorerò mai più. Sapete, lui aveva iniziato a farmi credere nell'amore, stavo iniziando a credere persino nelle anime gemelle. E lui era la mia, lo vedevo nel suo sguardo, ogni piccolo atomo della mia anima era convinto che lui fosse l'uomo giusto per me, la persona creata per stare con me, per rendermi felice”
Spencer si era sdraiata sull'altro lato del letto, stringendomi con forza contro di lei: potevo sentire i loro respiri regolari, la loro preoccupazione era palpabile, non mi avevano mai vista in quelle condizioni, anche perché non mi era mai accaduta una cosa simile prima.
“Lo sappiamo, Annie, lo sappiamo” aveva sussurrato Spencer. Un ultimo abbraccio, e Kristine si era alzata, avevo sentito che armeggiava con qualcosa, prima che la musica partisse: la canzone che Peter aveva scritto per me ora si liberava dalle casse del mio stereo. Immediatamente, allontanai le coperte dal mio corpo, iniziando a guardare la stanza con attenzione: non speravo in niente di particolare, dopotutto l'immagine della salma del mio ragazzo era ancora ben impressa nella mia mente, ma non sapevo come loro potessero essere a conoscenza di quella canzone.
“Voi... Come fate a...” sussurrai con le lacrime che tornavano ad appannarmi la vista.
“Giusy, la sorella di Peter, ha trovato il file nel computer, la canzone ha il tuo nome, crediamo volesse regalartela per il tuo compleanno, tra poco farai diciannove anni. Ti amava, Annie, di questo ne siamo sicure, e siamo anche certe che il tuo sentimento fosse sincero, due anni e tre mesi non si spiegano altrimenti. Ed è per lui che ti devi alzare, è per lui che devi combattere ancora una volta. Gli sguardi carichi di pietà? Fregatene, sii tu a compatire loro: non hanno mai amato, non hanno mai provato un sentimento forte come il tuo, per questo tu sei molto più ricca di loro. Alzati e combatti, Annie. Perché la ragazza che conosciamo noi, la nostra migliore amica, è una ragazza forte, e determinata. Soffri? Lo capiamo, ma devi reagire Annie, non puoi lasciarti andare, è ancora troppo presto. Fallo per Peter, fallo per noi. Ma sopratutto, farlo per te stessa” Kristine mi aveva guardata negli occhi durante tutta la durata del suo discorso, mentre Spencer mi accarezzava la schiena.
“Ce la puoi fare Annie, ce la puoi fare. Devi solo trovare una ragione per andare avanti, e ne hai così tante davanti ai tuoi occhi, devi solo provare a vederle. E scoprirai che ne vale la pena” Spencer mi aveva stretto la mano con forza, come a infondermi coraggio, io avevo abbassato lo sguardo, concentrandomi sullo stereo da cui usciva la voce di Peter,; le lacrime continuavano a sgorgare copiose: non avevo la forza di asciugarle, o forse ero così abituata ad esse da non percepirle quasi, o forse ancora esse erano l'unico modo che avevo per esternare il mio dolore: non avevo voglia di urlare, non avevo voglia di parlare. Volevo solo piangere, piangere fino ad addormentarmi. E poi svegliarmi e piangere di nuovo, in un circolo vizioso senza mai fine.
Ma ormai la canzone era finita, e io dovevo reagire: Peter credeva che fossi forte, me lo ripeteva in continuazione.
“C'è ancora il mio frappuccino?” sussurrai asciugando con forza le lacrime con la manica del pigiama e costringendomi a sorridere. Le mie amiche mi strinsero in un abbraccio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve!
Sono così fogata da questa storia! 
Questo capitolo mi piace abbastanza, il prossimo invece non mi piace per niente.
Siamo ancora in una specie di introsuzione, lo so. 
In realtà questo capitolo non volevo nemmeno farlo, ma poi ho pensato che era giusto far vedere Annie come una persona umana, debole e fragile.
Perchè questo personaggio non è forte come tutti gli altri di cui ho scritto - sebbene come essi non voglia credere all'amore.
Oddio, scrivo di personaggi così disillusi, non ci avevo mai fatto caso.
Vado a sbattere la testa al muro, oh sì.
Un bacio,
-J

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Capitolo 3
*** 10 giorni ***


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 I'll never fall in love again

3# 10 Giorni

 

 

 

 

 

 

Tornai a scuola il giorno seguente: Kris era entrata in camera mia come una furia, intimandomi di alzarmi. A questo proposito: quando mai Kristine si era svegliata prima di me? Da quando la conoscevo, ero sempre stata io, quella che la chiamava al cellulare certa del fatto che non avesse sentito la sveglia.
“Muoviti, il sole è già alto, splendore!” aveva urlato accendendo la luce. Io avevo sbadigliato e avevo afferrato il mio cellulare per guardare l'ora: segnava le sei.
“Kris, ma sei impazzita? Sono le sei, a quest'ora le persone normali sono ancora nel mondo dei sogni” avevo protestato io: di solito ci svegliavamo alle sette, alle volte sette e mezza, dato che l'università di Ingegneria elettronica a cui eravamo iscritte tutte e tre distava solo un paio di fermate di metro.
“Le persone normali non hanno due migliori amiche e non devono andare da quella mancante per fare colazione”
“Cazzo Kris, sono le sei! Le sei! E io non ho affatto fame”
“Vuoi diventare anoressica? No, dimmelo. Anche se dovresti sapere che io e Spe non te lo lasceremo mai fare, è inutile che provi a ignorare questa realtà. Quindi, alza il tuo bel culetto che Spe ha fatto la torta al cioccolato morbida che ti piace tanto”
“Quella in realtà piace tanto a te”
“Vero. Ma in ogni caso l'ha fatta per te, quindi che senso ha se non vai a mangiarla? Lo sai che ci tiene. E tu non deluderesti mai Spe, vero?”
Grugnii qualcosa in risposta, e a malincuore mi alzai dal letto, afferrando le mie All Star mezze consumate dall'usura, un paio di pantacollant e una maglia lunga. Tutto rigorosamente nero.
Kristine scosse la testa con forza e spalancò il mio armadio, lanciandomi un abitino di maglia rosso.
“Non puoi uscire di casa come se tu stessi andando ad un funerale” esplicò.
“Apprezzo la tua premura, davvero. Ma da quando in qua non sono padrona di vestirmi come voglio?”
“Il nero ti sta male”
“Non è vero!”
“Senti, quando ti vesti di nero è perchè sei dannatamente depressa, e non ho voglia di vederti così, non ci riesco. Quindi fallo per me, okay?” sussurrò abbassando lo sguardo: da quando la conoscevo, era raro che esprimesse i propri pensieri ed emozioni, le piaceva mostrarsi forte.
“Spe fa anche il caffè?”
“Sì, credo si sia decisa ad usare la macchinetta con le cialde che le abbiamo regalato per Natale lo scorso anno”
Rimasi ferma su quel pensiero: Natale... Peter era morto il 21 Dicembre, da quella data erano trascorsi tre giorni per l'esposizione della salma, uno per il funerale, cinque in cui non ero uscita, e ieri era stato il giorno in cui mi avevano costretta ad alzarmi. Per un totale di dieci giorni.
“E' già passato Natale – constatai – oggi è l'ultimo dell'anno. E noi non abbiamo lezione” conclusi lasciando cadere la borsa con tutto il necessario per l'università a terra.
Kristine si voltò verso di me.
“Lo so. Ma so anche che il tuo Natale non è stato proprio il massimo: insomma, avere proprio in quel giorno il funerale di Peter – mi guardò titubante non appena pronunciò il suo nome, piccole lacrime stavano tornando a formarsi sui miei occhi – meriti di svagarti, Annie. Meriti di fare qualcosa che ti permetta di lasciarti andare, di non pensare. E dato che non hai festeggiato il Natale, e sai bene che noi sappiamo quanto tieni a questa festa, abbiamo deciso di regalarti un Natale posticipato, ecco. E stasera poi siamo fuori per i fuochi, anche quelli ti piacciono, no? Dopotutto questo è il tuo periodo preferito, durante tutto l'anno. E invece quest'anno non hai nemmeno fatto l'albero”
Lentamente, osservai l'enorme salotto che si apriva davanti a me all'uscita delle stanze da letto, il camino era spento, c'erano solo piccoli rimasugli di carbone e ciocchi in parte bruciati, residui di prima della partenza dei miei genitori, che erano andati in Russia per trascorrere le vacanze alle quali io avevo rinunciato per poter passare del tempo con Peter. Ricacciai le lacrime con forza a quel pensiero: non ero ancora riuscita a razionalizzare l'evento, quindi era più che comprensibile che le mie emozioni fossero ancora così in subbuglio. Erano una bomba sul punto d'esplodere, ecco.
“Sai, qualche giorno fa c'era anche la neve, se solo fosse venuta un po' prima avremmo avuto un bianco Natale” sussurrò lei mentre scendevamo le scale: afferrai il portafoglio dal tavolino che si trovava all'ingresso e controllai di avere la mia Oyster*.
Mi strinsi nel mio cappotto e avvolsi la sciarpa coprendo anche il naso, nascondendo poi le mani in tasca: il freddo era davvero pungente, a quell'ora.
“Sai – ruppe nuovamente il silenzio Kristine – io e Spe abbiamo deciso di fare un brunch di Natale, più che un pranzo. Anche se sarebbe meglio chiamarla colazione abbondante – io storsi il naso, sapeva che odiavo mangiare appena sveglia, spesso la mia colazione era misera, costituita da un caffè e un paio di biscotti, che spesso venivano tralasciati. Ovviamente lei ignorò la mia espressione – e poi Spe ha fatto un albero gigante quest'anno, sono certa che ti piacerà”
“Già, dovrei farlo anche io, anche se Natale è passato”
Kristine rise debolmente.
“Perchè ridi?”
“Niente, pensavo che non l'avresti mai detto, di fare l'albero”
“Che c'entra, è pur sempre Natale – brontolai io – e non è un Natale che si rispetti, senza un albero degno di questo nome, con tanto di luci e palline colorate”
“Sono contenta: anche se non te ne accorgi, piano piano stai reagendo” sussurrò lei, mentre salivamo sulla metropolitana e il chiacchericcio confuso dei passeggeri pose fine ad ogni nostra conversazione”

Arrivammo da Spencer che erano le otto del mattino.
La nostra migliore amica ci aprì la porta con un sorriso e un vassoio carico di biscotti alla cannella in mano.
“Siete in perfetto orario – ci accolse lasciando che Triscot, il suo barboncino, uscisse in giardino – ho appena sfornato i biscotti, sono ancora caldi. E senti come profumano – aggiunse poi passando il vassoio sotto i nostri nasi – ma prego, accomodatevi, i miei genitori sono usciti qualche ora fa, ma non credo tornino. A quanto ne so vanno dai nonni, oggi” concluse facendosi da parte e lasciandoci entrare per poi chiudere la porta alle nostre spalle.
L'ampio salotto era occupato da un tavolo basso con dei cuscini intorno, i muri erano pieni di luci colorate che si illuminavano a intermittenza, mentre, appese sopra il camino accesso, c'erano le classiche calze. Accanto ad esso, c'era un enorme albero di natale, decorato con palline di ogni genere ed altri piccoli oggetti, era davvero splendido. Ero incantata, davanti a tutto quello sfarzo natalizio.
“Ti piace?” mi chiese Spencer mentre afferrava la mia giacca e la mia sciarpa.
Io annuii con un sorriso.
“E' il più bell'albero di Natale di sempre!” esclamai avvicinandomi ad esso.
Potevo sentire i sorrisi dipingersi sui volti delle mie migliori amiche, mentre l'entusiasmo per il Natale prendeva il sopravvento sul mio dolore: forse stavo davvero guarendo, anche se il pensiero di quello che era successo era comunque impresso a fuoco nel mio cervello, ma questa cosa aveva avuto il potere di arginarlo almeno un po'.
“Buon Natale, Annie!” avevano sussurrato consegnandomi un piccolo pacchetto. Io le avevo osservate leggermente imbarazzata.
“Ma io non ho i vostri” avevo sussurrato.
“Sbagli invece – mi aveva risposto Spencer – il più bel regalo che tu possa farci, è vederti sorridere, vederti combattere proprio come stai facendo ora”
Dentro il pacchetto, c'era un piccolo braccialetto, con un cuore e una piccola incisione “Ricordati chi sei, Hannah Wilson”
Ma dietro quelle parole c'era molto di più, c'era il restare fedele a chi ero, il ricordarmi di combattere contro le avversità. Proprio come quando, da piccola, combattevo contro gli stupidi bambini dell'asilo perché non toccassero il mio peluches a forma d'orso e non lo rovinassero. Io ero quella persona, io ero Hannah Wilson, la ragazza forte e determinata, la ragazza che era stata amata da Peter Sullivan.

La mattinata trascorse in fretta, verso le tre del pomeriggio, Kristine si stiracchio per alzarsi da quei cuscini su cui eravamo rimaste a parlare per tutte quelle ore.
“Beh, è ora di andare da Annie, dopotutto quest'anno sta a lei, cucinare la cena di capodanno”
Io avevo sbattuto gli occhi incredula un paio di volte.
“Temo di non avere niente in frigo” sussurrai imbarazzata.
Spencer sorrise.
“Abbiamo fatto noi la spesa ieri. Nel caso ti venisse fame. Ma comunque sapevamo che non ti saresti mai ricordata che stava a te cucinare, quest'anno”
Scossi la testa con un sorriso: alle volte dimenticavo quanto le mie migliori amiche mi conoscessero bene, riuscivano a prevenire ogni mia mossa. E finivano comunque per lasciarmi sempre di stucco, facendo più del dovuto, o del necessario.
Tempo un paio d'ore, comunque, e fummo a casa mia – Spencer si era dovuta prendere i vestiti, dato che a quanto pare avevano organizzato un pigiama party a casa mia a mia insaputa. La cosa rasentava l'incredibile, sul serio. Riuscivano ad insediarsi a casa mia con troppa facilità, ma in fondo sapevo di doverglielo: in due giorni avevano fatto talmente tanto per me che non sarei mai riuscita a sdebitarmi, nemmeno in tutta una vita. Sopratutto se contiamo che, nonostante i miei avessero saputo dell'accaduto, non si erano degnati di fare nemmeno una telefonata. Non che me la aspettassi, ma sarebbe stata carina, una tale premura.
Sospirai dissolvendo il pensiero e infilai le chiavi nella serratura; un mezzo giro e la porta si aprì.
“Kris, non avevo chiuso a chiave?”
La mia migliore amica alzò le spalle “Non ci ho fatto caso, Annie. Comunque hai avuto fortuna, se nessuno ti è entrato in casa”
Spencer spalancò la porta ed entrò in casa. La osservai interrogativa: di solito era molto più delicata, nei gesti.
“Siamo a casa, e siamo disarmate. Quindi se c'è un ladro è pregato di andarsene dalla finestra: siamo troppo giovani per morire” urlò, al che Kristine scoppiò in una fragorosa risata.
“Voi siete tutte matte” constatai chiudendo la porta dietro di noi.
“Parla quella che non si ricorda che lascia la casa aperta” risero loro. Io scossi la testa e raggiunsi le scale.
“Devo rifare il letto, magari anche cambiare le lenzuola, dato che avete intenzione di insediarmi da me.
“Ti diamo una mano” risposero loro all'unisono. Sospirai, e continuai a salire le scale fino a raggiungere il piano di sopra.
Una volta raggiunto l'ampio salotto, mi trovai davanti tantissime persone, la stanza era irriconoscibile, rispetto a come l'avevo lasciata: un albero di Natale era stato montano vicino al camino su cui ora ardeva un fuoco. Le calze erano appese, e decori e luci erano stati attaccati alle pareti. Osservai il tutto con le lacrime agli occhi per l'emozione.
“Buon Natale Annie, ti vogliamo bene” esordirono delle voci.
“Non arrenderti” risposero altre, mentre io restavo affascinata da quello spettacolo: non mi sarei mai aspettata una cosa simile.
“Grazie – sussurrai per poi voltarmi verso le mie due migliori amiche – voi ne sapete qualcosa?”
Loro ostentarono una faccia angelica. Come se non le conoscessi. Scoppiammo a ridere tutte insieme, mentre ci stringevamo in un abbraccio.
“Il minimo che puoi fare adesso, è offrire a tutti dello spumante” esclamò Spencer.
Ovviamente, avevano già pensato a tutto, dato che una volta scesa al piano di sotto avevo trovato sette bottiglie nel frigo. Scossi la testa e afferrai i bicchieri di plastica dalla dispensa.
“Mi serve una mano con le bottiglie” urlai diretta al piano di sopra.
Spe e Kris comparvero sull'uscio visibilmente contrariate dal mio tono di voce.
“Ci hai quasi assordate” m'informò la prima.
“Quante storie, voi vi siete illecitamente introdotte in casa mia, potrei farvi causa per questo”
“Primo, noi non ci siamo introdotte da nessuna parte, siamo entrate con te; secondo, non potranno mai provare che qualcuno sia entrato illecitamente: non ci sono segni di scasso”
Constata quell'evidenza, un dubbio attanagliò la mia mente. “Come hanno fatto ad entrare allora?”
In quel preciso istante, Giusy varcò la soglia, lanciando qualcosa a Kristine, che lo afferrò al volo.
“Grazie per le chiavi” esplicò congedandosi.
Fulminai la mia migliore amica con lo sguardo “Hai dato le mie chiavi di casa! Ma che cavolo ti è passato per la testa?”
“Quante storie, sono tutte persone che conosci”
“Ma non è questo il punto! E se si fossero fatti delle copie?”
“Dio Annie, sei paranoica!” mi rimbottò lei. Io alzai gli occhi al cielo, ponendo fine a quella discussione.

La cena trascorse tranquilla, e verso le undici decidemmo di uscire per passeggiare per Green Park, da lì si riuscivano a vedere i fuochi senza stare nella bolgia, come invece avveniva davanti a Buckingam Palace.
“Non so come ringraziarvi, ragazze” sussurrai mentre mi sdraiavo sull'erba piena di condensa: fortunatamente avevamo portato qualche coperta per proteggerci dal vento pungente, io me la avvolsi intorno al corpo, così che mi proteggesse anche dal suolo ghiacciato.
Le mie amiche mi imitarono, sedendosi al mio fianco: ora che le osservavo con attenzione, potevo dire con certezza che erano qualcosa del tipo la mia coscienza sotto forma di persona, Spencer era l'angelo, la mia parte buona, mentre Kristine era, senza ombra di dubbio, il piccolo diavolo, la parte decisamente poco incline a tutto ciò che si chiamava rispetto della privacy, e tutto il resto. Non che fosse cattiva, ma diciamo che aveva un carattere forte.
A pensarci, stavamo bene insieme, un trio ben assortito, nonostante tutto.
“Tre, due, uno” sussurrarono loro insieme.
“Buon anno!” ci augurammo mentre stappavo la bottiglia di spumante: era nostra abitudine che fosse quella che teneva la cena, a stappare la bottiglia.
Il tappo volò addosso a gruppetto di cinque ragazzi, colpendo quello che stava al centro.
“Che mira di merda, Annie!” rise Kristine.
“Vatti a scusare” si premurò Spencer, che probabilmente stava pregando tutti i santi che conosceva perché quei cinque non fossero cattive persone.
A malincuore, mi alzai dalla mia postazione, lasciando loro la bottiglia – “Non bevete senza di me, eh!” mi raccomandai – e mi avvicinai al gruppetto.
“Scusate, per sbaglio vi ho colpito col tappo della mia bottiglia” dissi rivolta al ragazzo riccio che si stava massaggiando la testa. Gli altri risero.
Sospirai.
“Se volete vi offro dello spumante per farmi perdonare”
Il riccio sorrise, smettendo di toccarsi.
“Okay, ma non mi basta” esordì.
“Scusa?” chiesi io sgranando gli occhi, convinta di non aver sentito bene.
“Ho detto che non mi basta: voglio anche sapere il tuo nome”
“Hannah Wilson, per gli amici Annie, ora sai a chi inviare il preventivo per eventuali danni”
Lui rise: non potei fare a meno di notare che la sua risata avesse un bel suono.
“Non è per quello, è perché volevo sapere il nome di una ragazza tanto sbadata da colpire qualcuno con un tappo di spumante: non ti hanno insegnato che ci sono modi migliori per cercare un approccio?”
Gli altri risero ancora più forte, io sgranai gli occhi incredula.
“Sinceramente, se mai dovesse arrivarmi una fattura a casa, provvederò a testimoniare che il tuo cervello era già danneggiato prima di conoscermi” sbottai infastidita.
“Per quello che ne sai, potresti averlo appena danneggiato tu” sussurrò lui.
Io evitai di ribattere: mi avevano insegnato a non dare spago ai palloni gonfiati, e lui mi sembrava appartenere a quella categoria, probabilmente ne era il massimo esponente.
“Guarda, ti offro lo spumante solo perché sono una donna di parola – biascicai tornando verso le mie amiche – abbiamo ospiti” le informai contrariata.
“Mi sembra il minimo, offrire loro dello spumante dopo avergli tirato un tappo in testa” esclamò Spencer, contenta della mia decisione.
“Si può sapere almeno i loro nomi?” sussurrò Kristine acidamente: sicuramente non era dello stesso avviso della nostra amica.
“Harry – si presentò il riccio-pallone-gonfiato – loro sono Zayn – indicò il ragazzo alla sua desta, che aveva la pelle ambrata e gli occhi scuri – Liam – aggiunse indicando un ragazzo con una voglia di cioccolato sul collo – Niall – passò a indicare alla sua sinistra un ragazzo biondo, che non la finiva più di ridere – e Louis” concluse indicando l'ultimo, che stava accanto a Niall.
“Io sono Spencer, la rossa acida è Kristine è l'altra è....”
“Annie, lo sappiamo” la interruppe Harry.
“Annie per gli amici, e tu non rientri nella categoria” lo rimproverai io, guadagnandomi un'occhiataccia da parte di Spe, che prima sembrava entusiasta della mia premura nel presentarmi. Come se fossi maleducata, io!
“Io acida? – sussurrò a Kris, visibilmente oltraggiata – Io non sono acida, lo sono con chi se lo merita”
Almeno su questo, io e lei eravamo concordi: quei tipi di meritavano la nostra ostilità.
Spencer ignorò le occhiate d'intesa che io e Kristine ci stavamo rivolgendo, e verso lo spumante nei bicchieri di plastica, che poi passò a tutti; quando ognuno ebbe il proprio bicchiere, si alzò in piedi.
“Buon anno” esclamò alzando il proprio “Cin Cin”
Io e Kris ci rivolgemmo un'ultima occhiata d'intesa, prima di fingere di essere inciampate nelle coperte, e rovesciare il nostro spumante addosso ai ragazzi. Ovviamente, per rendere la cosa credibile, io spinsi anche Spe, costringendola a fare lo stesso.
“Ops, scusate – celiammo cercando di nascondere i nostri sorrisi soddisfatti – siamo inciampate in queste coperte”
Ostentammo un'aria dispiaciuta, sperando di far incazzare quei ragazzi, che invece non ci diedero soddisfazione.
“Può capitare – mormorò il primo osservando la chiazza sul proprio petto e riuscendo anche a stupirmi per la maturità dimostrata – se quelle coperte sono così ingombranti, dovreste toglierle, prima di fare altri danni”
Appoggiò il proprio bicchiere per terra e si avvicinò a me, guardandomi negli occhi: lentamente le sue mani si poggiarono sui miei fianchi, percorrendone il profilo, e lasciò scivolare la coperta, che cadde a terra.
“Ecco fatto, ora possiamo brindare” sussurrò sul mio viso, mentre un sorriso sghembo gli compariva sul volto.
Scossi la testa per reagire, i suoi occhi verdi mi avevano ipnotizzata.
“Potevo farlo anche da sola”
“Lo so, ma avevi le mani occupate”
Sbuffai, trattenendomi dal ribattere e versai nuovamente lo spumante nel mio bicchiere, facendo lo stesso con Kristine.
Spencer mi guardava interrogativa.
“Buon anno” esclamai io visibilmente infastidita da quegli sguardi indagatori, per poi bere dal mio bicchiere.
Ora sono undici giorni, un nuovo anno senza di te, pensai.





*è la tessera che funziona come un abbonamento settimanale o mensile per la metropolitana e/o gli autobus.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve!
Ed ecco anche il nuovo capitolo. Sono in ritardo, lo so.
Non mi ucciderete per questo, vero? Il fatto è che sono stata mostruosamente impegnata. 
BTW, vi abbandono, perchè sinceramente non so cos'altro dire.

Un bacio,
-J

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Capitolo 4
*** Questione di supereroi ***


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E così le vacanze sono finite.
Sono tornata all'università il 9 Gennaio come tutti si aspettavano che facessi: Kristine e Spencer ne dubitavano in realtà, tanto che erano venute a prendermi a casa e mi avevano trovata già vestita e con la borsa pronta. Un vero record. Beh, in realtà sospettavo che non si sarebbero fermate alla mia promessa di capodanno, in fondo per un buon proposito abbiamo a disposizione tutto l'anno ma ho sempre pensato che fosse meglio cominciare da subito.
E comunque la lista quell'anno è abbastanza lunga quindi tanto vale cominciare il prima possibile.
Noto con piacere le espressioni soddisfatte delle mie migliori amiche non appena scendo in cucina, moracolosamente vestita decentemente – il che vuol dire che non ho niente di nero addosso. Solo Kristine sembra aver qualcosa da ridire: la vedo infatti grattarsi con le unghie quasi inesistenti – Dio solo sa quanto ami mangiarsele, cosa che io giudico abbastanza irritante, tra l'altro – perfettamente laccate di rosso.

Tu non esci conciata così” mi minaccia lei. Perché anche se non lo dice, è chiaro che c'è sottointeso un gigantesco "o"
Scusa?” chiedo convinta di non aver sentito bene. Insomma, è il mio primo giorno della prima settimana di lezione dopo le vacanze, nonché ultima settimana prima dell'estenuante sessione invernale di esami, quindi posso essere perfettamente padrona di decidere cosa mettere. Anche perché stranamente i miei non sono ancora tornati, decidendo di trattenersi in vacanza perché “completamente affascinati dalla bellezza del luogo”, o almeno così hanno scritto nell'ultima mail. Anche se penso che lo facciano perché hanno paura di non trovare più la casa, probabilmente temono che sia stata colta da un qualche raptus.
Andiamo, un po' di trucco non ti può certo far male, senza contare che hai la pelle di un colorito tendente al verde”
Sempre gentile, Kris, non ti sciupare” le rispondo io, senza dar troppo peso alle sue parole.
Mannò, sicuramente Kristine voleva dire che sei uno schianto, anche se con un filo di rimmel potresti far invidia alle modelle di Maxim” prova a spiegare Spencer
Veramente io intendevo dire esattamente quello che ho detto, Spe” la zittisce la rossa.
Ecco, ora capite perché odio svegliarmi con loro in casa? Non promette nulla di buono, anzi, la cosa migliore che può succedere è essere colte da uno straordinario mal di testa.

Il caffè è pronto” celia Spencer.
Okay, devo ammettere che trovarsele in casa ha anche i suoi pregi, specie se si prodigano a farmi la colazione.

Un caffé con un cucchiaio abbondante di zucchero per Kris, ed uno con del latte per Annie” ci esplica mentre versa il liquido scuro nelle nostre tazze, per poi prepararsene una anche per sé.
Mi piace che Spencer sappia a memoria come prendiamo il caffé, è una piccola attenzione che la rende più adorabile del solito. Perché tra le tre lei è decisamente la meno sclerata e la più posata. Probabilmente senza di lei io e Kris finiremo per squoiarci su ogni piccolezza. Okay, forse no, ma potremo senza dubbio rendere insopportabile la vita altrui, quindi è un bene che ci sia Spe a farci da mamma, più o meno.
Anche se, detta così, Spencer sembra noiosa. Cosa che in realtà non è affatto, anzi è la persona con più iniziativa tra le tre, metterei la mano sul fuoco che infatti è stata lei a proporre questa irruzione in casa mia.

A pranzo da me?” propone Kris mentre si avventa su un biscotto affogato nella nutella.
Solo se cucini tu” rispondo io sorridendo.
Allora per questa volta mi darò da fare per scaldare l'ottima pasta al forno che mia madre ha lasciato nel forno”
Sempre la solita” ride Spencer prima di scegliere con cura una brioches dal vassoio che Kris ha portato dalla pasticceria dei suoi zii.

Ed eccoci, davanti alla facoltà di ingegneria. Nessuno si aspettava che ci sarei arrivata davvero, sbaglio? E invece questa volta ci sono, convintissima di entrare dentro questo edificio che, all'apparenza, sembra più un museo di arte moderna, con le pareti ricoperte di specchi, almeno per quanto e riguarda la segreteria.
Una volta varcata lastanza chic, ci aspetta lo squallore degli enormi edifici interni, palazzi alti non so quanti piani, che circondano ogni lato del cortile interno.
Una vera rovina per gli occhi.
Senza contare che ti fanno sentire minuscolo ed insiginificante, mentre dentro di te cresce un senso di claustrofobia.

Abbiamo analisi, alla prima ora. Qualcuno mi uccida” piagnucola Spencer non appena entriamo nel cortile semi deserto, ci sono giusto un paio di coppie intente a sbaciucchiarsi su qualche panchina.
Tempo fa, li avremo presi in giro, urlando qualcosa del tipo “Prendetevi una stanza”.
Ma ora è tutto diverso, ora che Peter è morto, non me la sento di fare una squallida ironia sulla vita sentimentale degli altri. Non ho voglia di affrontare l'argomento, non ho nemmeno voglia di osservarli mentre pomiciano incuranti della gente che passa.
E credo di essere gelosa, di quello che si prova quando si è innamorati, del guardarsi negli occhi e sapere esattamente cosa pensa l'altro.
Kris mi afferra saldamente la mano.

Ce la puoi fare” mi sussurra mentre Spencer continui a piagnucolare di quanto odi limiti ed integrali.
Varchiamo la porta dell'aula non appena suona la prima campanella, annunciandoci che mancano solo cinque minuti all'inizio della prima lezione.
Sbuffo, mentre seguo le mie due migliori amiche e mi accomodo su un banco centrale dell'auditorium.
Kristine e Spencer stanno parlando con Greg di qualcosa che non riesco a capire, sono in uno stato di trance non indifferente: sulla lavagna ci sono ancora scritti i calcoli disordinati di Peter. Non hanno pulito l'aula, tutto sembra congelato a quando, quel pomeriggio di tanto tempo fa, il mio ragazzo mi spiegava l'integrale definito.
Sospiro e scendo lentamente le scale laterali, avvicinandomi a quella lavagna.
Sfioro leggermente la pietra, proprio dove la sua scrittura brilla. Al mio tocco, le parole si sfaldano, cancellandosi parzialmente, dando alle scritte un che di grottesco.
Sospiro di nuovo mentre afferro la cimosa e cancello la sua grafia mentre nuove lacrime tornano ad offuscarmi la vista. Sento i singhiozzi crescere nel mio petto, fino a che non mi decido a lasciarli uscire, accasciandomi a terra.
Non ce la posso fare.
Nell'auditorium è sceso il silenzio, sento lo sguardo delle mie amiche addosso, ma so che non verranno: rispettano il mio dolore.
Eppure sento dei passi, il suono è inconfondibile. Qualcuno si sta avvicinando a me.
So che dovrei vergognarmi di questa mia debolezza, ma non riesco a pensare ad altro, se non al fatto che Peter non è lì, e che la sua calligrafia è così reale, così nitida davanti ai miei occhi.
La persona misteriosa si china al mio fianco, e afferra la cimosa. Io gliela lascio, non ho forza per opporre resistenza.
Sento l'inconfondibile suono del cancellino sulla pietra, vedo la polvere di gesso scivolare.
Alzo lo sguardo, ed incontro gli occhi verde smeraldo di un ragazzo. Di quel ragazzo, dello stesso ragazzo a cui avevo gettato in faccia lo spumante a capodanno.
Ora, inspiegabilmente, vorrei non averlo fatto.
Che pensiero sciocco.
Le sue labbra si muovono, componendo un muto “Va tutto bene?” a cui io non rispondo.
Perché non voglio ammettere che la mia vita sia uno schifo, e di certo non voglio dirgli che va tutto bene, quando è chiaro come il sole che sto mentendo. Quindi il silenzio è l'opzione migliore.
Lui distoglie lo sguardo, continuando a cancellare, mentre io mi rialzo, strofinandomi con le mani il viso: grosso errore, le dita sono piene di gesso, così la polvere entra dentro i miei occhi, tornando a farmi lacrimare.
Sospiro, uscendo e dirigendomi verso il bagno per sciacquarmi, poco importa che il rimmel coli, anzi, accidenti a me e a quando ho deciso di dar retta alle mie due migliori amiche e truccarmi. Ben mi sta.
Sento dei passi affrettarsi nella mia direzione, dal suono riconosco perfettamente chi si sta avvicinando: Spencer e Kristine.
“Scusa” esordisce la prima.
“Non avremmo mai dovuto convincerti a venire” conclude la seconda, sfiorandomi sotto gli occhi sporchi per il trucco colato dal pianto.
Annuisco, accettando il fazzoletto che Spencer mi porge e finisco di togliere le orribili macchie di trucco sul mio volto.
La campanella suona proprio in questo istante.
Sospiro e abbraccio le mie migliori amiche, prima di entra in classe. Il professore entra non appena ci siamo sedute.
Prendo una penna ed apro il quaderno, predisponendomi per prendere appunti, dato che ora non ci sarà Peter a spiegarmi ciò che non avrò capito.

Tutto okay? -H

Leggo sulla prima riga della pagina nuova. Mi volto a novanta gradi, avvistando Harry. Lui sorride, io annuisco, leggermente stordita. In fondo che gli frega, se sto bene o no? Non sono affari suoi.
Sospiro e torno ad osservare la lavagna luminosa, tornando a dedicare attenzione al professor Woods.
Dopo un'ora e mezza, il magnanimo insegnante, si rende conto che nessuno lo sta più ascoltando, così ci concede una pausa di dieci minuti per un caffè.
Mi lascio scivolare fuori dallo scanno e scendo le scale: ho voglia di un po' d'aria fresca, sempre che l'aria satura di fumo del cortile meriti tale appellativo.
“Va tutto bene?” mi chiede Harry, non appena finisco di scendere le scale.
Odio che le persone mi stiano così addosso, credevo l'avesse capito dal fatto che nessuno nell'aula avesse osato avvicinarsi a me prima.
“Stavo meglio prima” gli comunico, alludendo al fatto che trovo la sua presenza alquanto opprimente.
Lui sembra non recepire il messaggio, infatti quando lo supero continua a seguirmi.
Questo vuole proprio morire precocemente: si sente lontano un miglio, quando non è aria, con me.
“La smetti di seguirmi?”
“Credevo di meritare almeno un ringraziamento, per aver cancellato la lavagna al tuo posto”
“Nessuno ha chiesto il tuo aiuto”
“Lo so, ma pensavo fosse la cosa giusta da fare”
Io non rispondo, so già che se gli dessi spago lui continuerebbe a parlami, ed io non ne ho affatto voglia.
Ovviamente, a me toccano sempre le persone più testarde: lui continua a seguirmi. Mi fermo di scatto, così lui mi finisce inevitabilmente addosso.
“Ma sei nuovo?” gli chiedo scorbutica.
Lui annuisce “Mi sono trasferito da poco da Holmes Chapel”
“E cosa ti ha portato dai monti alla metropoli?”
Lui ride “Ancora queste idee borghesi?” chiede.
Almeno ha il senso dell'umorismo, cosa che non è troppo uno schifo, considerando che è pur sempre uno stupido ragazzo snob con manie da paladino.
“Dimmi, ti piacciono i supereroi?”
“Scusa?” chiede lui, non afferrando – ovviamente – il senso della mia domanda.
“Rispondi alla domanda”
“Sì – si affretta lui – mi piace l'idea di qualcuno dotato di poteri che sceglie di proteggere le persone”
“Allora tornatene sul tuo pianeta, Superman. Nessuno qui ha bisogno di un salvatore, ed io di certo non sono la povera ed indifesa ragazza, quindi vedi di sparire, novellino” rispondo io telegrafica, prima di nascondermi nel bagno delle ragazze. Così almeno la smette, di starmi addosso.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve!
Anche stavolta ci ho messo tanto, chiedo venia,
Il fatto é che - ops - mi sono presa una tendinite alla mano destra, quindi era impossibile digitare. 
Ma oggi mi sono data tanto da fare u.u
Niente, oggi è andata un po' così, il capitolo non mi convince ma non avevo niente di meglio in mente.
Il prossimo sarà "più meglio" cit. Simone.

Un bacio.
-J♥


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