She sells love to another SS.

di Jessica James
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** don't forget ***
Capitolo 2: *** one. ***
Capitolo 3: *** two. ***
Capitolo 4: *** three. ***



Capitolo 1
*** don't forget ***




   Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate, tornando a sera, il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo,
Che lavora nel fango,
Che non conosce pace,
Che lotta per mezzo pane,
Che muore per un sì e per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome,
Senza più forza di ricordare,
Vuoti gli occhi e freddo il grembo,
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa, andando per via,
Coricandovi, alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

 

 

 




“Signorina Berger, posso portarla al cinema questa sera?”
“Puoi tutto tu.” gli risposi, accarezzandogli la guancia.
“Posso anche questo?” chiese, mordendomi il labbro.
“Sì. Sono completamente ed incondizionatamente tua. Lo sai.”
Mi bacia delicatamente, trasmettendomi tutto il suo amore con quel dolce contatto.
“Greg..”
“Che c'è? Non mi hai appena detto che posso tutto..?”
“Sì, ma è tardi, devo andare, ho lezione. E anche tu.”
“Va bene, ci vediamo dopo allora?”
Annuii e lo guardai mentre si allontanava.
Mi soffermai sui suoi capelli così biondi, sulle sue spalle larghe e forti, sulla sua camminata rilassata.
Stavamo insieme da due anni e dopo tutto quel tempo conoscevo le sue abitudini, riuscivo a riconoscere la sua risata e i suoi passi.
Ero abituata ad averlo sempre al mio fianco, a baciarlo ogni mattina quando veniva a prendermi a casa e ogni sera quando mi riaccompagnava per la cena.
Ero affezionata ai suoi più piccoli particolari: la sua voce, il suo profumo e il suo felpone grigio, il mio preferito.
“Greg!”
Si voltò a guardarmi e sorrise.
I suoi occhi, quella mattina, sembravano ancora più chiari.
“Ho dimenticato di dirti una cosa!” dissi, correndo verso di lui, “Non vedo l'ora di venire al cinema con te, dopo la scuola.”
“Dovevi dirmi questo?” chiese, abbracciandomi.
Scossi la testa, sorridendo, “Ti amo”.


Quella sera, quando arrivai a casa, i miei genitori stavano riempiendo due valigie.
Rimasi sorpresa: non avevamo previsto di partire, non durante il periodo scolastico.
“Ciao, che state facendo?” chiesi, allegra.
A mia madre sfuggì un maglione dalle mani.
Quando mi guardò notai i suoi occhi rossi di pianto.
“Che succede?” chiesi, questa volta allarmata.
“Dove sei stata?” il suo tono era gelido.
“Io.. Io ero al cinema, con Greg..”
Mio padre era seduto sul letto con le mani sulla testa, come faceva ogni volta che gli veniva mal di testa.
“Non puoi sparire un giorno intero senza dirci nulla!” urlò mia madre, all'improvviso.
Non me l'aspettavo e d'istinto feci un passo all'indietro.
“che ti prende? Perchè hai pianto? E perchè state facendo le valigie?”
“Dobbiamo lasciare la casa.”
Poteva voler dire una cosa sola.
“Sono arrivate le SS?” chiesi, con un sussurro.
Mia madre continuò a fissarmi, triste, mentre una lacrima silenziosa le rigava la guancia.
“Fra quanto dobbiamo andare?”
Mio padre guardò l'orologio che porta al polso, quello che io e mio fratello Michael gli avevamo regalato per il suo quarantesimo compleanno, e borbottò “Quaranta minuti.”

Andai in camera mia pensando a come, solo venti minuti prima, tutto mi sembrava perfetto, mentre stringevo la mano a..
“Greg!” lanciai un urlo disperato.
Sentii le lacrime offuscarmi la vista mentre cadevo sulle ginocchia.
I singhiozzi mi sconquassavano e iniziai a tremare.
Mio fratello arrivò di corsa e mi abbracciò, tirandomi su.
“No Layla, non fare così. Ti prego, non puoi crollare ora, è solo l'inizio. Dobbiamo restare forti. Per favore Layla, per favore.”
“Non posso Micky, non posso andarmene senza di lui.”
Si allontanò per guardarmi negli occhi, “Sappiamo già che quello che ci faranno. Pensaci Layla. Vuoi davvero che deportino anche lui? Vuoi davvero sapere che anche lui soffrirà?”
Scossi la testa, sconvolta, Mi baciò le lacrime, come faceva da quando ero piccola.
“Devi farmi una promessa Layla.”
“Cosa?”
“Non so come finirà tutta questa follia, so solo che non dobbiamo darla vinta a quei bastardi.
Promettimi che queste saranno le ultime lacrime che verserai. Non dare mai a nessuno di loro la soddisfazione di vederti piangere. Promettimi che resterai forte. Promettimi che, qualsiasi cosa succeda, tu lotterai per restare viva. Per tornare a casa, la nostra casa, non questa del ghetto. Promettimi che non dimenticherai tutti momenti felici che hai passato con me, con mamma e papà, e con Greg. Aggrappati a quei ricordi, a questo amore, e trova un modo per tornare.”
“Lo prometto.”

 

@mickyslaugh

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Capitolo 2
*** one. ***


I won't give up on us,
even if the skies get rough.
I'm giving you all my love.




 

Era fine dicembre. Lo ricordo bene perchè pochi giorni prima avevo passato il Natale più dolce della mia vita. 
La città era completamnte coperta di neve e in quelle poche ore scordai persino che eravamo nel bel mezzo di una guerra mondiale. 
Decidemmo di chiuderci dentro casa, di dimenticare tutto il resto e di tornare alla normalità, almeno per una sera. 
Passammo una serata tranquilla, come non succedeva più da tanto tempo,  mentre Michael inventava sempre nuovi giochi per farci divertire.
A mezzanotte Greg mi fece una sorpresa, venendo sotto casa con una rosa. 
Facemmo una passeggiata e alla fine ci ritrovammo seduti sulla panchina del parco dietro casa, la nostra panchina.
"Sono così felice di vederti." sospirai, stringendogli la mano.
"Tutto bene?" mi chiese, guardandomi con la coda degli occhi.
"Ho paura, Greg."
"Di cosa?"
"Hanno iniziato i rastrellamenti."
"Ma tu non sei ebrea, perchè dovresti avere paura?"
"No, infatti, ma ci hanno chiuso in questo ghetto lo stesso. Mia nonna è ebrea. Stanno deportando chiunque ha origini, anche lontane, ebree. E anche un gran numero di polacchi innocenti."
Lo sentii irrigidirsi accanto a me.
"Non lo permetterò Layla. Non permetterò a nessuno di separarci."
Sentii un nodo stringermi la gola.
"Non potrai fermarli. Sembra che nessuno riesca a farlo." sussurrai, accarezzandogli la gamba.
"Vieni a vivere da me. Non ti troveranno."
"Non posso lasciare la mia famiglia e mettere in pericolo la tua."
Mi baciò all'improvviso, e quando gli accarezzai il viso sentii che aveva le guance umide di lacrime.
"Non posso immaginarmi senza te, Layla. Se dovessero portarti via, io.. io non ce la farei. Non lo so, impazzirei di dolore.."
"No Greg. Se dovessero portarmi via tu dovrai solo pensare ad essere felice. Ad avere un lavoro che ti piace, una moglie che ti ama e tanti bambini, come hai sempre voluto."
"Voglio che sia tu mia moglie. Solo tu. Non credo che riuscirò ad amare nessun'altra donna dopo di te."
"Dovrai, se io non ci sarò più.."
"Non lascerò che ti portino via. E se dovesse succedere ti cercherò, fino all'ultimo dei miei giorni. Non ti abbandonerò Layla, non rinuncerò a te. Non rinuncerò a noi, nemmeno se le cose dovessero mettersi male."

Dei colpi alla porta mi fecero sussultare, strappandomi a quei ricordi.
Mi guardai intorno, per un attimo disorientata.
Eravamo in cucina. Papà abbracciava mamma, e Michael teneva la mia mano.
"Aprite questa cazzo di porta o la sfondiamo, sporchi ebrei!" urlarono da fuori.
Mio padre strinse un'altra volta mia madre, poi andò ad aprire.
Michael mi guardò negli occhi, stringendomi le mani.
"Ricordi cosa mi hai promesso Layla?"
"Sì."
"Non dimenticarlo. Per nessuna ragione. Farò il possibile per rimanere vivo, perciò vedi di tornare anche tu. Voglio abbracciare di nuovo mia sorella, alla fine di questa fottutissima guerra."
Annuii. Una lacrima mi scivolò sulla guancia.
"No." me la asciugò velocemente, "No Layla. Mai più. Non davanti a loro."
Sentimmo i loro passi pesanti avvicinarsi sempre di più.
Annuii di nuovo e lui mi regalò uno dei suoi sorrisi più belli, che gli facevano spuntare delle piccole rughe vicino agli occhi, rendendolo ancora più adorabile.
Fu l'ultima volta che vidi mio fratello sorridere.
 
 
Ci buttarono fuori casa e ci costrinsero a camminare per ore.
Eravamo tantissimi. Famiglie intere che faticavano a far smettere di urlare i bambini.
C'erano centinaia di persone affacciate alle finestre, e molte altre agli angoli della strada. Ci guardavano con disprezzo, urlandoci dietro "Andate via, schifosi ebrei!"
In mezzo a quella calca di persone riconobbi una ragazza che un tempo veniva a scuola con me.
Incrocia il suo sguardo e lei, tenendo gli occhi fissi su di me, urlò "Ebrea!" con voce piena di odio.
Mi si gelò il sangue. Un tempo eravamo amiche, io e lei.
Avrei voluto rispondere che io non ero ebrea, che la mia famiglia non doveva trovarsi lì in mezzo.
Ma non sarebbe cambiato nulla.
Perchè in realtà nessuno doveva trovarsi lì in mezzo, nessuno doveva essere chiuso in un ghetto e strappato dalle persone che ama.
Perchè prima di essere ebrei, polacchi, tedeschi, bianchi o di colore, siamo persone.
E come tali ognuno di noi merita rispetto. 
 
 
Ci ammassarono in treni merci. Cento persone in ogni vagone, che in realtà ne poteva contenere massimo cinquanta.
Ci chiusero lì dentro per tre giorni. Senza cibo e acqua, al gelo, ingabbiati come bestie.
Tre giorni che sembravano non passare mai.
Non ci permettevano di scendere nemmeno per fare pipì, perciò dovevamo fare tutto in uno degli angoli del vagone. Davanti a gente che non conoscevamo, cercando di non vomitare per il fetore insopportabile.
Ricordo che c'era una donna incinta che partorì il secondo giorno, in quel vagone sporco e puzzolente.
Era sdraiata per terra e molte persone, tra cui mia madre, erano accucciate vicino a lei per assisterla.
La donna urlava e piangeva disperatamente.
Mi avvicinai a una delle 'finestrelle' del vagone e iniziai ad urlare, cercando di attirare l'attenzione di qualche SS.
"Una donna sta partorendo! Fatela uscire! Aiutatela! Morirà se non vi sbrigate! Per favore, aiutatela!"
Urlai ancora e ancora, ma nessuno si avvicinò.
Alla fine Michael mi posò una mano sulla spalla.
"Basta Layla, a loro non interessa. E' inutile. E' così che ci vogliono: disperati. E morti."
Due ore dopo tirarono fuori il bambino dal corpo della donna e lo sculacciarono per fargli aprire i polmoni.
Ma il bambino non emanò un fiato.
La donna era svenuta per il dolore, e poco dopo morì anche lei, dissanguata.
In effetti furono molti a morire durante il viaggio, e a volte penso che sia stato un bene per loro.
Perchè, almeno, quando sono morti avevano ancora la loro identità. 
Ed è stata loro risparmiata molta sofferenza.
 
 
Quando arrivammo ad Auschwitz ero sporca come non lo ero mai stata; la sete e la fame mi facevano girare la testa.
Scesi dal treno, aggrappandomi alla mano di Michael.
Mi strinse a sè mentre delle... erano persone?
Indossavano vestiti a righe, erano più sporchi di noi, ossuti e con lo sguardo vuoto.
Ci si avvicinavano senza dire una parola e ci toglievano i bagagli.
Le SS urlarono di separarci: le donne da una parte, gli uomini dall'altra.
"Qualsiasi cosa succeda sappi che ti voglio bene. Te ne vorrò sempre." mi sussurrò Michael , abbracciandomi forte.
"Anche io Micky, non dimenticarlo mai. Ci vediamo a casa, okay?"
"Sì, ci vediamo a casa. Prenditi cura della mamma."
"E tu di papà."
Si staccò da me per abbracciare mamma, mentre io stringevo mio padre.
"Sii forte Layla. Tu puoi farcela."
In quel momento una SS mi afferrò per il braccio e mi strattonò lontano da mio padre, il quale mi fece segno con il dito di non urlare, di stare buona.
Si guardò intorno e io feci lo stesso.
C'erano SS ovunque.
Strappavano i neonati dalle braccia delle madri, mentre i bambini piangevano e le donne urlavano.
C'era una bambina che avrà avuto più o meno cinque anni; si era aggrappata ai vestiti della madre e non voleva lasciarla.
Arrivò una SS e la prese per i capelli, la sollevò, facendola urlare, e la scagliò a terra con violenza.
Quando la bambina si alzò aveva il viso completamente insanguinato.
Poco dopo mi ritrovai  con una trentina di donne su un autocarro che partì nella notte a tutta velocità.
Il viaggio durò poco, circa venti minuti, e quando l'autocarro si fermò vedemmo una grande porta, e sopra una scritta vivamente illuminata:
ARBET MACHT FREI , il lavoro rende liberi.


mickyslaugh

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Capitolo 3
*** two. ***


Quando ci fecero scendere dall'autocarro ci portarono in una stanza enorme, vuota e fredda.
La sete ci straziava, spingendoci a leccare le labbra secche, alla ricerca disperata di un po' di sollievo.
C'era un rubinetto gocciolante, lì vicino, ma c'era scritto che l'acqua non era potabile.
E nessuna di noi ebbe il coraggio di controllare se fosse vero, anche se a me sembrava messo lì proprio per aumentare la nostra tortura.
Ci guardavamo l'una con l'altra, in attesa, ma non successe nulla.
Aspettammo, ora dopo ora, e ad ogni goccia che cadeva da quel maledetto rubinetto, la nostra sete aumentava.
Alla fine sentii che le gambe non mi tenevano più, la testa mi girava per la fame, perciò decisi di sedermi sul pavimento sporco.
Ma proprio in quel momento la porta si spalancò ed entrò una SS donna.
Ci osservò, mentre ci rimettevamo tutte in piedi, poi disse: "Wer kann Deutch?"
Si fece avanti una ragazza bionda, si avvicinò alla SS e fece da interprete.
Dovevamo disporci in fila per cinque, a intervalli di due metri tra una donna e l'altra; poi dovevamo spogliarci e riporre tutto a terra, separando i vestiti di lana dagli altri e facendo attenzione a non farci rubare le scarpe.
Perchè avrebbero dovuto rubarci le scarpe?
E perchè volevano che ci togliessimo i vestiti?
Ci avevano già tolto la libertà, non bastava?
Non mi ero mai spogliata davanti a nessuno, nemmeno davanti a mia madre.
Ma strinsi i denti e feci quello che mi veniva detto, tenendo lo sguardo fisso per non guardare nessuno.
La SS ci disse di mettere le scarpe tutte in un angolo; dove poi venne un uomo con la scopa e le spazzò via.
Rimasi confusa. Erano più di cento cinquanta paia e le stava mescolando tutte, spaiandole.
Ma l'entrata di quattro persone mi distrasse da quei pensieri.
Avevano pantaloni e giacche a righe, con un numero cucito sul petto, come quegli omini che ci avevano preso i bagagli alla stazione; solo che questi erano robusti e floridi.
Avevano in mano rasoi e tosatrici; ci presero una per una e in pochi minuti ci ritrovammo tutte rasate.
Molte donne piangevano.
Mi ritrovai a fissare le mie ciocche scure che cadevano per terra, mentre sentivo ancora la voce di Greg che mi diceva "Mi piace quando li tieni sciolti, così posso accarezzarli".
Chiusi gli occhi e pregai che, almeno a lui, tutto questo venisse risparmiato.
Ero stanca, era notte fonda, più o meno le quattro del mattino, ed erano giorni che non riuscivo a dormire bene.
Si aprì un'altra porta e ci ritrovammo in una sala docce, ancora nude e infreddolite, con l'acqua che ci arrivava alle caviglie.
Ci lasciarono lì per ore, perchè dovevamo aspettare la sveglia, perchè senza disinfestazione non si poteva entrare al campo.
Non potevamo sederci perchè l'acqua era gelida, quindi ci limitavamo a camminare e a spostare il peso da una gamba all'altra, per evitare che si addormentassero.
Mi tenni stretta a mia madre. 
Non aveva aperto bocca da quando eravamo salite sull'autocarro.
Non aveva più detto una sola parola.
Sentimmo una campana, e a quel suono l'intero campo si risvegliò.
Dalle docce uscì all'improvviso acqua bollente, una beatitudine, un sollievo dopo quattro giorni.
Ma durò poco, perché poi ci cacciarono in un'altra stanza, gelida, dove ci diedero quei vestiti a righe e un paio di scarpe con la suola di legno.
Però non potevamo vestirci.
Chiamarono tutte le ragazze dai sedici ai trent'anni, e ci dissero di rimanere dove eravamo, mentre tutte le altre dovevano uscire fuori nella neve, a piedi nudi, e raggiungere una baracca.
Strinsi la mano di mia madre cercando di darle un po' di coraggio, prima di lasciarla andare.
"Voi!" urlò una SS donna con forte accento tedesco.
La divisa nera le faceva risaltare i capelli biondi e gli occhi color ghiaccio.
"Non provate a scappare o vi ammazzo in meno di un secondo. Mettetevi in fila per cinque, come prima. E state in silenzio!"
Io mi misi in fondo, ero l'ultima della seconda fila.
La porta si aprì ed entrarono tre uomini in divisa, tre SS.
Avevano un'aria minacciosa. Ci scrutavano con un sorriso cattivo sul viso.
Uno dei tre, alto e moro, stava un po' più avanti rispetto agli altri due, entrambi biondi.
Era forse il capo?
"Carne fresca!" commentò quello moro, e gli altri due risero di gusto.
"Sono tutte ebree?" chiese poi, alla SS donna, la quale scosse la testa.
"Le ebree a destra e tutte le altre a sinistra. Subito!" urlò la donna.
Ci dividemmo. A sinistra eravamo solo due file, mentre a destra ce n'erano più di sei.
L'uomo con i capelli scuri indicò il gruppo di ebree agli altri due: "Sono tutte vostre. Divertitevi. Io non scopo con le ebree."
Mi si gelò il sangue.
Era per quello che ci avevano tenuto?
"Vediamo un po'.." si passò la lingua sulle labbra.
"Ne sceglierò una di voi, una sola. A differenza dei miei amici, a me non piace cambiare ogni sera. Quella che avevo prima probabilmente è morta e la sera mi sento piuttosto solo." si lasciò sfuggire una risata.
Sospirai, disgustata.
Non poteva dire sul serio.
Ma il mio sospiro attirò la sua attenzione.
Tenne gli occhi fissi nei miei, mentre camminava verso di me, lentamente, osservandomi.
Cercai di coprirmi come meglio potevo con mani e braccia e lui rise di nuovo, guardando i miei goffi tentativi.
Si posizionò dietrò di me e mi annusò il collo. Iniziai a tremare.
"stai ferma e non dire una parola, qualsiasi cosa io faccia. Altrimenti quella ti ammazza." sussurrò, in modo che potessi sentirlo solo io, riferendosi alla SS donna.
Poi si spostò, mi venne davanti e passò lo sguardo sul mio corpo nudo.
Abbassai il mio sui suoi stivali lucidi.
Mi sentivo umiliata.
Gli altri due lo incitavano, ridendo.
Allungò una mano e sfiorò quella che tenevo in mezzo alle gambe per oprire la mia nudità, "Da ora in poi sarò l'unico, e sottolineo l'unico" si rivolse ai suoi amici con sguardo severo, prima di riportare l'attenzione su di me, " a toccarti lì in mezzo."
Mi lanciò un sorriso inquietante.
"Come ti chiami?"
"La-Layla." balbettai.
"Vieni con me, Layla. Voi altre, vestitevi e andate a lavorare." disse, con tono autoritario.
Tornò a guardarmi e, vedendo che ero rimasta immobile accanto a lui, mi allungò uno schiaffo che mi lasciò senza fiato per alcuni secondi.
"Vestiti." mi sussurrò, con voce ingannevolmente dolce, "Fuori fa freddo."
Obbedii, in silenzio, con la guancia che pulsava per il dolore.
Aspettò che rimanessimo soli e si girò di nuovo verso di me.
"Vieni con me?" chiese, a bassa voce.
"Ho scelta?" replicai, sentendo la rabbia montarmi dentro.
Aggrottò le sopracciglia.
"No, in effetti no. Cercavo solo di essere carino."
Mi lasciai sfuggire una risata sarcastica.
"sono i sensi di colpa per avermi schiaffeggiata?"
Avevo il presentimento che avrei passato guai seri se avessi continuato a rispondere così, eppure non riuscivo a frenarmi.
Si chinò a guardarmi e quando i miei occhi incontrarono i suoi, mi rivolse un sorriso sfacciato.
"Chi non prova sentimenti non ha sensi di colpa."
Sostenni il suo sguardo, trattenendo il fiato.
Era dannatamente vicino, sentivo il suo respiro sfiorarmi.
"Non puoi non provare sentimenti."
Si piegò un altro po' verso di me per potermi osservare meglio e allungò una mano per accarezzarmi la guancia che aveva colpito poco prima.
Il suo tocco mi fece sussultare, e istintivamente feci un passo indietro.
"Non mi conosci. Fai qualche domanda in giro, ti diranno quello che devi sapere su di me."
"Perchè non lo fai tu?"
Si allontanò, scuotendo la testa.
"Andiamo, ti porto nella mia stanza."
"Vuoi stuprarmi subito?" mi morsi la lingua, stavo esagerando.
Si fermò.
Mi dava le spalle ma notai che si era irrigidito.
"Andiamo!" ripeté, urlando; il suo tono era gelido e non ammetteva repliche.


@mickyslaugh

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Capitolo 4
*** three. ***


Lo seguii, con gambe tremanti, un po' per il freddo, un po' perchè quell'uomo mi incuteva timore.

Aveva una stanza molto pulita, e questo mi sorprese perché ricordavo che quella di Michael era sempre un disastro.

C'era un letto matrimoniale enorme, affiancato da due comodini, in legno, così come l'armadio.

Un tavolo, con una sedia sola, e infine un piccolo divano.

Rimasi in piedi accanto alla porta e lo osservai.

"Mettiti seduta sul divano."
Ritornò con un piatto pieno di cibo e me lo porse, senza dire nulla.

Mi leccai le labbra secche e lui mi diede un bicchiere d'acqua fresca.

Cibo, acqua e un divano comodo: per un attimo pensai di essere tornata alla normalità, dopo quattro giorni da incubo.

"Non fare rumore. Non devono sapere che sei qui."
Annuii e lo seguii con lo sguardo mentre se ne andava, chiudendo la porta a chiave.

Finii di mangiare e mi addormentai sul divano, stringendomi le ginocchia al petto, cercando di dimenticare tutto quello che avevo vissuto nelle ultime ore.

 

Credo che dormii una giornata intera, perché quando mi svegliai fuori era già buio.

Sussultai quando mi accorsi che lui era tornato e, chissà da quanto tempo, era seduto sul letto ad osservarmi.

Si era tolto la giacca della divisa e aveva slacciato i primi bottoni della camicia.

Sembrava molto più giovane.

"Hai dormito bene?"
Annuii.

"Questa è l'ultima bella dormita che ti fai, sappilo." disse, con tono tagliente.

Mi fissava, impassibile, in attesa di una mia qualsiasi reazione, ma io mi limitai a ricambiare il suo sguardo, senza dire una parola.

Si passò una mano fra i capelli e quando tornò a guardarmi sembrava più rilassato, i suoi occhi avevano perso un po' di quella freddezza che li caratterizzava.

"Layla.." disse, dopo un po', "Con chi sei venuta qui?"
"Non ci sono venuta. Mi ci hanno trascinata."
"Come preferisci." alzò le spalle, mostrando tutta la sua indifferenza.

"Con i miei genitori e mio fratello."

"Quanti anni ha tuo fratello?"
"Diciannove."
"E tu, Layla, quanti anni hai?"
"Diciassette. Tu?" per un attimo sembrò rimanere sorpreso dalla mia domanda, però rispose lo stesso.

"Venti." sorrise, guardando il mio stupore, "Parlami di tuo fratello."
"Perchè?"

"Il mio è un ordine. Non devi chiedere perchè, devi obbedire."

"M-Michael. Si chiama Michael. E' disordinato, la sua camera è sempre un caos. E' la persona più simpatica che conosco ed è bellissimo, specialmente quando sorride. Ama cantare e parlare inglese, infatti è grazie a lui se l'ho imparato. Se ne va in giro esclamando -Oh, what the hell?!-" imitai il suo tono e involontariamente scoppiai a ridere, ricordando tutte le volte che l'aveva detto.

Ma quella risata isterica si trasformò, fin troppo presto, in un pianto disperato.

Nascosi il viso sulla stoffa del divano per non farmi vedere, ricordando le parole di Michael.

"No Layla. Mai più. Non davanti a loro."

Volevo indietro la mia vita, la mia famiglia.

Volevo poter sentire ancora una volta mio fratello ridere.

Volevo poter perdermi ancora fra le braccia di Greg.

Mi sforzai di smettere di piangere e alzai il viso dal divano, ma tenni lo sguardo basso.

"Hai finito?" chiese, irritato.

"Fammi capire." iniziai, riprendendo il controllo "Mi tratti peggio della più schifosa bestia che esista e, dopo tutto quello che mi hai costretto a passare, ti permetti anche di fare l'irritato?!"
Mentre parlavo mi ero alzata dal divano, ritrovandomi faccia a faccia con lui.

A quel punto, però, si alzò anche lui, e io fui costretta ad alzare lo sguardo verso l'alto.

Mi spiazzò quando mi sorrise.

Mi accarezzò la guancia e la sua mano scese sul collo, poi mi afferrò il mento.

Tentai di liberarmi del suo tocco, ma fu inutile.

"Sei fortunata, sai?" mi sussurrò all'orecchio.

Strinsi gli occhi mentre la sua mano continuava a percorrere il mio corpo.

"A me piace parlare, e ti trovo persino buffa quando ti arrabbi. Ma i miei amici non sono come me, questo lo sai vero?" infilò una mano sotto alla camicia a righe e mi accarezzò un fianco, provocandomi brividi involontari lungo la schiena.

"Basta una sola risposta come quelle che hai dato prima a me. Una sola e ti uccidono.
E io non voglio. Voglio che tu rimanga viva. E lo sai che la mia non è una richiesta, ma un odrine. Perciò vedi di tenere la bocca chiusa."
Mi sfiorò il collo con le labbra.

"Come se a te interessasse qualcosa.." mormorai.

"Ti ho scelta, Layla." inchiodò il mio sguardo con il suo, e per un attimo i suoi occhi mi sembrarono sinceri.

In quel momento, senza divisa, i capelli scompigliati e i modi di fare delicati, era così diverso dall'uomo che avevo visto quella mattina.

Lo guardai, cercando di interpretare le sue parole, mentre la sua mano continuava a salire lungo la mia schiena.

"Chi sei tu? L'orribile SS che stupra ragazzine o il ragazzo che in che in questo momento mi sta accarezzando come se fossi preziosa?" sussurrai.

Ero sconcertata.

La sua mano si fermò e per la prima volta lo vidi abbassare lo sguardo, aggrottando le sopracciglia.
"Io sono Daniel."

Il suo corpo era ancora vicino al mio, la sua mano ferma sulla mia schiena.

"E' questo che pensi di me, Layla?"
"Cosa dovrei pensare?"
Si allontanò, passandosi una mano fra i capelli scuri.

"Tu non capisci. Devo farlo, non ho altra scelta."
"Che cosa vuoi dire?"
"Un giorno, forse, te lo dirò." sospirai.
"Voglio andare da mia madre, Daniel." mi azzardai a dire.
"Non ti piacerà quello che vedrai."
"Credo di essere abituata ormai. Non mi piace nulla di quello che ho visto ultimamente."
Alla fine acconsentì e mi lasciò andare.

E nel momento in cui misi piede dentro la baracca, capii cosa intendeva Daniel con il suo avvertimento.
Quello era l'inferno.

E io ero solo all'inizio.
 


Mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate e anche cosa, secondo voi, dovrei cambiare o migliorare.
Grazie di aver letto,  grazie a chi ha messo la storia fra le seguite/ preferite e grazie a chi ha recensito; grazie di cuore.

@mickyslaugh


 

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