L'ultimo volo delle Arpie - Il risveglio

di Poppodaja
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Palude ***
Capitolo 2: *** "Mi ricordo signorina" ***
Capitolo 3: *** Amazzoni ***



Capitolo 1
*** La Palude ***


Capitolo Primo

<< La Palude >>

Il sole era appena sorto all'orizzonte. I suoi raggi infuocati disegnavano arabeschi sulla piatta superficie del mare.
Lorena chiuse gli occhi e la luce aranciata dell'alba le colorò le palpebre. Rimase per qualche minuto immobile, poggiata mollemente contro il parapetto della nave, a godere della fresca brezza estiva. Sentiva il richiamo stridulo dei gabbiani in lontananza e la salsedine nelle narici.

-Già sveglia?- una voce maschile la richiamò da quell'oasi di pace.
Lorena voltò piano il capo, socchiudendo gli occhi e schermandosi il viso con una mano.
-A quanto pare- rispose accennando un sorriso.
Una figura familiare emerse dall'ombra di una catasta di reti da pesca. Uiben Pol aveva le fattezze di uno dei tanti modellini di legno che usava per dipingere i suoi quadri. Incredibilmente alto, magro, con le giunture ossute che spuntavano da quegli abiti di stoffa umile e sdrucita che indossava. Il viso scarno era allungato, con zigomi alti e una bocca troppo larga circondata da una biondiccia barbetta incolta. Non lo si poteva definire una bellezza ma aveva qualcosa nello sguardo, una nota spavalda e sicura che lo rendeva per lo meno degno di attenzione.
-La nostra giovane scienziata è impaziente di approdare nel nuovo mondo- commentò Uiben, avanzando a grandi passi sicuri verso di lei. Le assi di legno scricchiolavano sotto i suoi piedi.
-Può darsi- rispose Lorena -vorresti farmi credere che tu non lo sei?- domandò a sua volta.
Uiben aveva ormai raggiunto la fiancata della nave e si curvò sul parapetto, osservando il mare. -Me lo hanno descritto, ne ho già sentito parlare- rispose con una scrollata di spalle.
-Ma non è la stessa cosa!- Lorena si voltò a fronteggiarlo, incrociando le braccia al petto in un moto di stizza.
Uiben sorrise mestamente e chinò il capo nella sua direzione. Le lanciò uno dei suoi sguardi divertiti e Lorena sfuggì immediatamente ai suoi occhi plumbei. Uiben aveva la capacità di metterla in soggezione più di chiunque altro. Di lui poche cose le piacevano e sicuramente il suo fare impertinente non era tra queste.
-Certo- riprese quello tornando a fissare il mare -dimentico che sei ancora una ragazzina. Alle volte non mi capacito del fatto che ti abbiano permesso di partire da sola. Quanti anni hai adesso?-
Lorena strinse le labbra. -Non è educato chiedere l'età ad una donna e neppure mettere in dubbio le sue capacità. Se mi hanno permesso di venire è perché sono ben in grado di svolgere il mio lavoro-. Ebbe un fremito di orgoglio nel pronunciare quelle parole e le sembrò che il sole brillasse più forte. Quello era il primo passo per la sua indipendenza, per la prima volta aveva la possibilità di dimostrare il suo valore.
Il silenzio si protrasse per qualche secondo, interrotto solo dallo sciabordio delle onde e dal canto dei gabbiani.
-Venti- sentenziò infine Uiben, fissandola di sottecchi -Avevo otto anni quando sono venuto a vederti nella culla, neppure allora sorridevi mai. La neonata più malinconica che abbia mai visto- e rise, una risata tanto schietta e impertinente da far arrossire la luna.
Lorena abbassò lo sguardo sul legno levigato delle assi. -Venti sono più che sufficienti- si limitò a dire. Si voltò e fece per andarsene.
-Ti ho offesa- Uiben non smise di ridere neppure mentre lo diceva. Lorena strinse i pugni e si allontanò a grandi passi verso la scala che conduceva agli alloggi sottocoperta. La rabbia le riscaldava il viso e continuava a tenere le braccia così annodate sul petto da sentirle intorpidite.
Aveva dimenticato quanto fosse fastidioso passare del tempo con Uiben. Potevano dirsi amici di infanzia e forse anche parenti per qualche lontano vincolo di sangue e Lorena aveva temuto per qualche tempo di doverlo persino sposare. Probabilmente l'idea di combinare il loro matrimonio era passata per la mente dei Signori Burn e Pol, ma questa era fortunatamente sfumata, senza sgradevoli conseguenze.
Gli alloggi dei passeggeri si affacciavano su un largo corridoio spoglio, con arnesi da pesca arrugginiti appesi qua e la a mo' di decoro. Le porte erano scrostate e recavano incisi dei numeri ormai illeggibili. "La Furia" era il nome della nave, che non si poteva definire un veliero di prima categoria ma piuttosto un mercantile adattato al trasporto di passeggeri.
Lorena si diresse verso la porta del proprio alloggio, inserì la chiave nella toppa e la fece scattare. Dovette spingere parecchio perché i cardini arrugginiti si decidessero a funzionare.
La sua cabina era piccola e angusta e odorava di pesce, ma Lorena era felice di aver ottenuto una stanza singola. Il pagliericcio pulcioso su cui era costretta a dormire da una settimana era perfettamente in ordine, come il resto degli oggetti adagiati su un baule laccato ai piedi del letto. Lorena amava l'ordine e la pulizia e cercava di adattare anche quel buco per topi alla vita di un essere umano.
Si tolse il soprabito blu e lo adagiò con cura sul letto prima di spostarsi verso un piccolo specchio appeso alla parete.
Il proprio viso, pallido e paffuto, comparve nell'ovale della cornice. Era un viso anonimo, dai lineamenti morbidi. Occhi grandi, color nocciola, conferivano una nota di puerilità al viso serioso e solenne, incorniciato da riccioli mogano che spuntavano da una cuffia trinata.
Lorena era una ragazza minuta, con forme morbide e decisamente poco affascinante. Suscitava tenerezza ad un primo sguardo, ma gli angoli della bocca carnosa, perennemente curvati all'in giù, le facevano perdere quanto di fresco e delicato ci fosse nel suo viso.
Si incipriò il viso e controllò che tutto fosse in ordine prima di indossare di nuovo la lunga cappa blu sull'ampia gonna e uscire di nuovo, armata di ombrellino parasole. I primi rumori iniziavano già ad animare la nave. Un'altra giornata era iniziata. L'ultima se tutto continuava ad andare bene com'era stato fino ad allora. Non avevano incontrato ostacoli durante il viaggio, il vento era sempre stato a loro favore e il cielo sereno.
Lorena tornò verso la scala e la risalì lentamente, il ponte si era popolato di vita. Marinai in divisa verde oliva e uomini in cilindro e giacca elegante chiacchieravano allegramente. Le donne se ne stavano invece sedute a prua, con gli ombrellini di pizzo e i ventagli tra le mani. Uiben sembrava essersi eclissato da qualche parte.
Lorena intercettò il comandante in seconda mentre si avviava alla torretta di comando.
-Signor Rover, perdonate- chiamò avviandosi nella sua direzione.
L'uomo si voltò lentamente, preparando uno dei suoi calorosi sorrisi sotto i baffoni grigi. -Signorina Burn, buon giorno. Splendida mattinata non trovate?- domandò. Aveva un vocione roco, che ricordava tanto l'ululato del vento tra le onde. Il viso cotto dal sole era coperta per metà da un paio di mustacchi a punta e per l'altra metà da folte sopracciglia argentee. Sollevò educatamente il berretto verde mentre si inchinava appena, salutando.
Lorena rispose a sua volta con un piccolo inchino. -Splendida- ribadì sorridendo di rimando -mi dicevo poco fa, dovremmo ormai essere vicini alla costa...-
Il Signor Rover annuì, lisciandosi il mento prominente -stavo giusto per chiedere al comandante il permesso di annunciare l'arrivo ai passeggeri. Se aguzzate la vista noterete  l'isola all'orizzonte, dovremmo esserci in meno di un ora- sentenziò allegramente -con permesso- si congedò poi e si avviò alla cabina di comando.
Lorena sentì un fremito nello stomaco. Fece scorrere lo sguardo verso la linea lontana dell'orizzonte. Il mare e il cielo si fondevano in un abbraccio delicato e proprio lì, nel mezzo, si poteva scorgere un sottilissimo velo scuro, che doveva essere il Nuovo Mondo.
Lorena sorrise a quella apparizione. L'eccitazione la pervase. Neppure un ora e avrebbe iniziato la sua nuova vita. Pensò di dover scrivere alla famiglia una volta arrivata, dire loro che stava bene e che tutto era andato per il meglio. Pensò di dover fare le valige, per poter essere pronta a sbarcare in qualunque momento. Doveva radunare i suoi libri, dare un ultimo sguardo alla mappa che le era stata consegnata. Le tremavano le mani al solo pensiero.
L'insensato bisogno di dire a qualcuno che stavano per arrivare la pervase. Le capitava spesso,nei momenti di forte eccitazione, di dover parlare per sciogliere la tensione. Si guardò intorno, le poche persone che conosceva erano impegnate in allegre discussioni.
Arrivò in quel momento il trillo acuto della campana di comando. Il capitano, un uomo basso e tarchiato con la divisa rossa e un alto berretto in capo si affacciò dalla torretta  e annunciò che sarebbero sbarcati entro un ora e che era prevista un incontro al porto per dare loro le giuste indicazioni.
Lorena sentì crescere l'emozione. Si guardò di nuovo attorno, una fiume di persone risaliva dagli alloggi, richiamata dal suono della campana. Lorena cercò Uiben con lo sguardo ma non lo vide da nessuna parte. Non sarebbe stato difficile intercettare la sua scapigliata zazzera biondiccia in  quel mare di cilindri e cuffiette.
Lorena si diresse contro la folla, decisa a scendere sottocoperta. Aveva visto Uiben uscire un paio di volte da una delle ultime porte degli alloggi. Fu lì che si diresse e bussò senza neppure pensarci troppo, dimentica di ogni astio nei suoi confronti. Non ricevette alcuna risposta. Bussò di nuovo, con più forza, e la porta si socchiuse sotto i suoi colpi.
-Uiben? E' permesso?- domandò, sbirciando attraverso la fessura. Dall'interno proveniva un odore acre, un misto di fumo di candela e vernice fresca. L'ambiente era vivacemente illuminato.
Lorena spinse la porta finché quella non incontrò un ostacolo. Lo spazio era sufficiente perché Lorena infilasse il capo.
La cabina era angusta quanto la sua, ma decisamente più ingombra e disordinata.
Il pagliericcio era stato disfatto e appoggiato ad una parete, mentre il resto dell'ambiente era occupato da tele semi dipinte, finite, squarciate o non ancora cominciate. Uiben stava al centro della stanza e le dava la schiena, si muoveva agilmente, come in una danza, curvo verso un tela. Lorena chiamò di nuovo e di nuovo non ricevette risposta.  
Si insinuò nell'apertura della porta, ben attenta a non appiccare il fuoco alla voluminosa gonna. Moncherini di candela erano posati in ogni dove.
Allungò una mano verso la schiena di Uiben e lo toccò, cercando di attirarne l'attenzione.
Il ragazzo sussultò visibilmente e si voltò di scatto, brandendo un pennello imbrattato di colore. Nell'altra mano teneva una tavolozza carica dei più disparati colori.
Lorena ebbe appena il tempo di sbirciare la tela prima che Uiben la coprisse con il proprio corpo.
-Che accidenti ci fai qui?- domandò il ragazzo, gettando in un angolo la tavolozza e il pennello e schizzando le pareti di colore.
Lorena si pentì immediatamente di essere entrata senza permesso. Uiben la fissava dall'alto. Sfiorava il soffitto con il capo e aveva lo sguardo argenteo fiammeggiante di rabbia.
-Mi stavi facendo un ritratto?- domandò a sua volta Lorena, cercando di conferire autorità alla propria voce.
Uiben si strappò qualcosa dalle orecchie, due piccoli batuffoli di stoffa, che gettò nel caos della stanza.  -Cosa?- gracchiò.
-La tua tela. Mi stavi facendo un ritratto.- Ripeté.
Uiben si voltò verso la propria opera, come se non la riconoscesse. -Me l'hanno commissionata- spiegò tornando a fissare la ragazza.
Lorena sgranò gli occhi. -Chi l'ha commissionata?- domandò sbalordita, dimenticando di dover essere arrabbiata.
-Il nome deve rimanere anonimo- sentenziò il ragazzo frugando ai propri piedi in cerca di qualcosa. Lorena poté così ammirare il dipinto, non ancora terminato, che la ritraeva in un abito smanicato, color porpora, su uno sfondo di alberi e prati verdeggianti. La fattura era di certo impressionante, ma Lorena si sentì offesa nel vedere la propria immagine usata senza permesso.
Uiben si sollevò di nuovo e gettò una tela sul dipinto. -Usciamo- disse.
Lorena lo precedette fuori, insinuandosi di nuovo nella fessura della porta.
-Perché non mi hai chiesto il permesso?- domandò, ritrovando un po' dell'indignazione che aveva perso.
-Perché non hai mai detto che bisognava farlo- ribatté quello semplicemente, guidandola nel corridoio.
-Davvero te lo hanno commissionato?-
-Si-
-Chi è stato?-
-Non posso dirlo-
Lorena si fermò e strinse i pugni. -Ho il diritto di saperlo- esclamò.
-E io di non dirtelo- ribatté Uiben, fissandola con sfrontatezza -non aver paura, non appari più brutta di come tu non sia in realtà-.
-Vuoi dire che sono brutta?- chiese stizzita.
-Voglio dire che non tolgo niente alla tua figura quando ti dipingo-
Il silenzio cadde tra i due mentre si avviavano al ponte, prima di salire le scale, Uiben si fermò. -Devo tornare, rischio di appiccare un incendio alla nave se non spengo le candele-  disse, continuando a fissarla. Sembrava ora curioso di scoprire cosa le passasse per la mente.
-Smettila di fissarmi in quel modo- lo ammonì lei, voltando il capo in basso.
-Sto cercando il tuo lato migliore- sorrise lui, aumentando l'irritazione della ragazza.
-Smetterai di dipingermi- impose Lorena.
-No, non lo farò- rise lui.
-Sei...sei un insopportabile...smetterai di dipingermi!- quasi gridava, mentre stringeva i pugni e fissava lo sguardo in quello di Uiben. Sentì avvampare le gote.
-No- sussurrò Uiben, sorridendo serafico -non lo farò-. Rise di lei un ultima volta e tornò sui propri passi.
Lorena rimase sola nel corridoio, tremante di rabbia e con un groppo in gola. Aveva quasi dimenticato la grande notizia del giorno quando sentì echeggiare di nuovo il trillo della campana di comando. Senza pensarci tornò nel suo alloggio e iniziò a radunare la propria roba. Il pensiero era rivolto a Uiben,  a quel quadro. Non le riusciva di credere che qualcuno lo avesse commissionato, come poteva essere? Ma allora perché Uiben era così ostinato a volerla ritrarre? Perché è uno sciocco, un arrogante, un odioso... si disse, mentre gettava con rabbia i propri oggetti nel baule. In breve fu pronta e uscì di nuovo sul ponte, stando ben attenta ad evitare di incontrare Uiben. I passeggeri si erano radunati in circolo attorno al comandante che li stava intrattenendo con qualche barzelletta sul mare.
Lorena non aveva voglia di unirsi alla folla. La costa era ormai vicinissima e il pontile sgangherato del porto non prometteva nulla di buono. II mare andava pian piano scomparendo, lasciando il posto ad una palude fangosa, irta di cespugli intricati e frondose erbacce. Una nebbiolina umida pervadeva l'orizzonte e in lontananza si scorgeva un muro di alti alberi, dalle chiome a ventaglio, cono lunghe liane che pendevano verso il terreno molliccio.
Lorena rimase spiacevolmente stupita. Aveva immaginato pianure verdeggianti e vallate in fiore e si trovava invece davanti quel trionfo di acquitrini e pozzanghere stagnanti. Il gracidio delle rane andava man mano aumentando.
-Bene signori, è stato un enorme piacere traghettarvi fin qui- tuonò la voce del capitano, accolta dall'applauso della folla -benvenuti, signori, nella Palude-.
Cadde il silenzio. Solo ora i passeggeri sembrarono rendersi conto del panorama che li attendeva. Le donne diedero in esclamazioni di disgusto e gli uomini sbirciarono in piccoli binocoli lucenti.
-Non temete, non temente- rise il comandante -c'è un percorso che vi condurrà al sicuro fin nell'accampamento, non fatevi scoraggiare, il Nuovo Mondo vi attende!-.
Il cicaleccio riprese mentre la nave rallentava fino a fermarsi. Una folla di uomini spuntò dagli alberi e seguendo una passerella di assi marcescenti arrivò fino alla nave e aiutò a calare la passerella per l'approdo.
-Questi uomini si occuperanno dei vostri bagagli, vi prego di seguire il Signor Rover fino all'accampamento- concluse il comandante.
La folla si accalcò attorno a lui per salutare e ringraziare mentre il comandante in seconda si avviava alla passerella.
Lorena lo seguì subito, impaziente di scendere a terra.
-Ebbene sarà un piacere per voi ritrarre qualcosa che mai nessuno ha ritratto prima d'ora- sentenziò il signor Rover. Lorena non ebbe il tempo di voltarsi che l'ombra di Uiben la sovrastò.
-Sarà un piacere ritrarre qualcosa di proibito- rispose ammiccando al cielo.
Il Signor Rover parve non capire ma poiché la folla si accalcava, decide di non chiedere altre spiegazioni. Lorena dal canto suo, lo seguì, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra se e Uiben Pol.  

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Capitolo 2
*** "Mi ricordo signorina" ***


Capitolo Secondo

< < Mi ricordo signorina > >

Lorena rischiò per l'ennesima volta di finire inzaccherata nella Palude.
La passerella di marcescenti assi di legno traballava sinistramente ad ogni passo della numerosa comitiva dei passeggeri.
Il gracidare delle rane era acuto e si mescolava al ronzio fastidioso di migliaia, forse milioni di insetti.
Il sole era ormai alto nel cielo a Est e le esalazioni putride della Palude iniziavano a sollevarsi mentre la nebbiolina si diradava.
Erano in cammino da parecchi minuti, ma la fitta barriera di alberi che delimitava il confine tra la Palude e l'isola sembrava ancora lontana davanti a loro.
Tutt'intorno Lorena poteva vedere pozze di acqua lucente, che si stendevano come lamine di metallo sotto il sole. Ciuffi di erbetta verde spuntavano tra grovigli impastati di alghe e tutt'attorno era mare.
-Spero vivamente che il Campo sia maggiormente curato- una vocetta stridula di donna sovrastò i vivi rumori della palude.
Lorena si volse cautamente e identificò senza sforzi la fonte del petulante gracidio.
Un'anziana donna arrancava alle sue spalle, sorreggendosi ad un esile bastone da passeggio. Aveva il viso rugoso e cadente, coperto all'eccesso di cipria, sul quale si apriva come un taglio obliquo la bocca, imporporata da un abbagliante rossetto.
La donna si accorse dello sguardo di Lorena e vi si aggrappò come ad un ancora di salvezza. Guizzò in avanti con agilità impressionante e si insinuò senza difficoltà nell'angusto spazio rimasto sulla passerella.
Lorena sorrise educatamente prima di voltare con noncuranza il viso dall'altra parte.
Cercò di fingersi interessata al panorama dorato e bronzeo del mare che abbracciava la palude e difatti avrebbe potuto benissimo rimanerne estasiata se non avesse avuto la mente impegnata nel tentativo di non cadere nell'acquitrino. Non la si poteva definire una persona atletica ma, per quanto la riguardava, non aveva mai dovuto svalicare monti o attraversare paludi. Fino ad allora almeno.
-Ci conosciamo?- la voce stridula dell'anziana ruppe di nuovo il silenzio.
Parlava in un tono decisamente troppo elevato, forse per sordità o forse semplicemente per abitudine.
Lorena si vergognò immediatamente di averla al fianco. Ci teneva alla sua reputazione.
-Ci hanno presentate- si decise tuttavia a rispondere, aprendosi in un sorrisino -la scorsa mattina-.
L'anziana riprese a parlare con lo stesso tono stridulo di prima. -Oh certo, ricordo, ricordo bene. Io ricordo tutto sa? Ricordo quando è nata mia figlia, che bella bambina era! Sa, signorina? Tutta sua madre! E ricordo anche il suo matrimonio. Che bel matrimonio! Sa? Anche il mio è stato veramente bello! Si fidi signorina! E poi quando è nato mio nipote, che emozione signorina, che emozione! E' tanto un bravo ragazzo, ha solo quel piccolo…ma che dico piccolo signorina! Insignificante è il termine giusto! E' tanto un bravo ragazzo e bello anche, se lo vedesse signorina! Ma tanto è qui, sa? Glielo presento se vuole, è tanto solo per colpa di quel…ma non è nulla! E' tanto un bel ragazzo! Non lo vedo da un po' ma io ricordo tutto! Me lo ricordo com'è bello e com'è bravo signorina! Sa non ha ancora trovato moglie e va per i trenta, ma è tanto un caro ragazzo! Si fidi signorina! Allora, com'ha detto di chiamarsi?-
Lorena non rispose subito, non ne ebbe la forza. Era combattuta tra il desiderio di sprofondare nella palude e sottrarsi agli sguardi e ai commenti poco educati di tutti i passeggeri che si erano zittiti all'udire il monologo dell'anziana, e la pena che in fondo l'anziana le faceva. Doveva essere molto sola se aveva una così gran voglia di confidarsi, o semplicemente solo chiacchierona.
-Lorena Burn- si presentò la ragazza educatamente, a bassa voce, come se così facendo potesse implicitamente condizionare l'anziana ad imitarla nella discrezione.
Continuava a guardare davanti a se, bramando la fine di quella passerella traballante che l'avrebbe liberata anche dalla vicinanza della donnina fastidiosa.
-Oh è un piacere carissima! Non credo ci abbiano mai presentate- riprese dal canto suo la vecchia signora e Lorena desistette immediatamente dall'istintiva intenzione di correggerla. Non voleva dare adito a nuovi spunti di conversazione.
-Sono Tyna Opule, è un piacere, ma mi chiami Tyna! Possiamo darci del tu, siamo amiche, non facciamo cerimonie- gracchiò come se il brusio della comitiva non stesse inveendo contro la sua mancanza di posatezza.
Un paio di rane si gettarono nella Palude, spaventate. Lorena pensò che persino gli insetti stessero fuggendo dalla minaccia di quella petulante bocca troppo truccata, sempre pronta ad inghiottire aria.
Il silenzio tra le due durò un istante appena, subito fu riempito dalla voce della signora Opule.
-Allora, sei sposata?- domandò con fare avido, abbrancando il braccio destro della ragazza e annodandolo al suo con rudezza.
Lorena si sentì avvampare al pensiero di come dovesse apparire la scena agli occhi dei rispettabili compagni di viaggio.
-No- rispose lei sommessamente.
-Sei promessa?- fu la successiva domanda.
Lorena si volse con fare circospetto alle spalle, le parve che un paio di pettegole fosse in ascolto e per pudore non rispose.
-Dovremmo esserci quasi- constatò invece, tentando, per quanto la stretta della signora Opule lo rendesse possibile, di prendere le distanze da lei.
-Oh si, sarà davvero un'avventura non credi?- si emozionò la donna e negli occhi cerulei le guizzò un lampo di eccitazione -alla mia età chi avrebbe creduto che potessi viverne ancora di emozioni! Ho quasi settantotto anni sa? Ma ricordo ancora tutto! Mi ricordo quando è morto mio marito, buon anima, ero una giovane donna! E mi ricordo quando si è sposata mia figlia! E mio nipote, oh sapesse che bel giovane! Se non fosse per quel piccolo…ma che dico piccolo…-
Lorena la lasciò blaterare indisturbata. Mentre l'anziana ripeteva il suo monologo da capo, si concesse di osservare il mutamento nel panorama.
La cortina di alberi dalle chiome a ventaglio era ormai prossima e li sovrastava.
Lunghe liane verdastre pendevano dai rami e rimanevano incastrate nel pantano, mescolandosi alle radici flessuose che spuntavano tra le pozze.
L'acqua andava via via prosciugandosi mentre il terreno pareva farsi di una consistenza più solida.
In pochi passi sarebbero scesi dalla passerella.
Uno strattone energico al braccio la richiamò alla realtà.
-Chiedevo signorina, sei sposata?- domandò gridando la signora.
Lorena scosse il capo in silenzio, sospirando.
-E sei promessa?- incalzò Tyna. Non pareva rendersi conto di quanto fosse restia la sua interlocutrice ad una qualunque forma di dialogo.
-No- si decise a rispondere Lorena, abbassando la voce per quanto le fosse possibile. Non andava fiera di non aver ricevuto ancora proposte, seppure non fosse ancora sulla soglia del pericolo. Era presto per definirla una zitella.
-Fantastico!- trillò la donna, rinvigorita dalla notizia, sembrò persino camminare meno curva. Sollevò il bastone davanti a se, indicando gli alberi.
-C'è mio nipote qui, te lo presento. E' proprio un caro ragazzo. E' tanto solo!-
Lorena si sforzò di sorridere.
Finalmente la passerella lasciò il posto ad un sentiero di terriccio umido ma compatto che si insinuava tra la bassa vegetazione.
L'umidità iniziava a farsi pesante e la temperatura primaverile pareva più alta della media di stagione.
La comitiva poté riunirsi in gruppetti, non più costretta a camminare nella strettoia della passerella.
Lorena intercettò la divisa verde oliva del capitano in seconda, che guidava la compagnia, affiancato dall'alta e dinoccolata figura di Uiben.
-Signor Rover!- il gracchio della signora Opule risuonò e un paio di uccelli si alzarono in volo, spaventati.
L'uomo si volse sorridendo e lisciandosi i baffoni.
-Signora Opule! Avete bisogno di riposo? Il cammino vi avrà stancata-
Lorena trattenne uno sbuffo sardonico.
-Signora- fece eco il saluto di Uiben che si aprì in un grande sorriso alla vista dell'anziana.
-Oh guarda chi c'è! Mi ricordo, mi ricordo chi sei!- l'emozione della donna fece salire di un ottava la sua voce -quando Kive saprà che sei qui!-
Uiben le si avvicinò e le offrì il braccio. Lorena stava già esultando nell'intimo al pensiero di riacquistare la circolazione sanguigna ma la donna rifiutò.
-Ho già un'amica che mi accompagna- lo rassicurò -davvero una gran bella ragazza!-
Lorena arrossì suo malgrado quando lo sguardo plumbeo di Uiben si posò su di lei. Rise stupito.
-Vi conoscete?- domandò l'anziana.
-Dalla nascita- spiegò Uiben, senza smettere di ridere. L'ilarità sembrava una sua esclusiva, perché il Signor Rover lo fissava serio, senza capire.
-Ma non ci conosciamo così bene come si potrebbe pensare- intervenne Lorena, mettendo più di due parole in fila per la prima volta da quando era iniziata la discussione con Tyna.
-Pensavo di presentarle Kive- riprese la Signora Opule senza neppure ascoltarla.
Uiben ridacchiò di nuovo. -Lo temevo- scherzò.
-Oh che vuoi dire! Kive è un così bello e bravo ragazzo! Lo neghi? Si fa spedire sempre i tuo bei quadri! Che ingrato ragazzo!- l'anziana sembrava piccata.
Uiben le si accostò affettuosamente, così alto al fianco di lei, così grinzosa e curva. -Sapete che lo ammiro molto- la rassicurò.
Lorena non riusciva a credere alle proprie orecchie e ai propri occhi. Uiben sembrava sinceramente animato da affetto mentre pronunciava quelle parole. Possibile che un superficiale come lui, un arrogante, potesse avere un cuore?
Lorena ne dubitava, ancora irritata com'era per la disputa del ritratto.
Tyna sorrise e si rivolse al capitano, lanciandosi in un animata discussione sui ricordi che aveva di un viaggio in mare fatto da bambina.
Lorena si sentì trascinare rudemente per un braccio. Assistette imbronciata a tutto il monologo dell'anziana mentre il signor Rover gettava un "si" e un "mmm" ogni tanto, con fare perplesso.
Lorena non aveva la forza ne la volontà di corrergli in soccorso intromettendosi ma gli fu grato quando quello trovò il coraggio di dire -sarebbe ora di ripartire-
La signora Opule si zittì suo malgrado e riprese il cammino, tirandosi dietro la sua nuova amica.
La comitiva, ristorata dalla breve pausa, chiacchierava e rideva alle loro spalle. Non prestavano più attenzione ne a Lorena ne all'inopportuna vecchietta.
Quella continuò a chiacchierare per la mezz'ora successiva, rievocando ricordi ed elogiando il fantomatico nipote, sminuendone quel "piccolo, ma che dico piccolo" difetto.
Lorena represse l'ennesimo sbadiglio quando finalmente gli alberi si diradarono.
Moncherini di tronchi delimitavano una radura artificiale, ingombra di tende e tendoni di tela marrone. Al centro dell'ambiente una falce di luce solare illuminava un grande braciere acceso, sul quale sfrigolava un invitante colazione di uova e carne.
-Bene signori, benvenuti al Campo Base!- annunciò il Signor Rover, fermandosi e abbracciando con lo sguardo la popolazione di uomini in maniche di camicia che popolavano il campo.
Quelli avevano smesso per un attimo di trasportare casse e spaccare legna e si erano voltati a guardare. Alcuni salutarono i conoscenti che finalmente si erano riuniti a loro dopo mesi dall'inizio della colonizzazione dell'isola. Altri si scambiarono qualche commento e ripresero a lavorare.
Un uomo si staccò dal gruppo di barbuti personaggi che si accapigliavano accanto ad un tavolino posto all'esterno di una delle tende più vicine.
Era di corporatura media, estremamente abbronzato. Lunghe ciocche di capelli scuri sfuggivano al codino e gli incorniciavano il viso squadrato.
-Il gruppo di scavi e il pittore con me- annunciò secco, indicando la tenda da cui si era appena allontanato.
-Gli altri non hanno niente da fare qui, portateli via- con queste ultime parole, diede loro le spalle e si allontanò.
Lorena rimase interdetta. Si chiese se esistesse ancora una persona a conoscenza delle buone maniere. Ma d'altronde era felice di potersi separare dall'anziana anche se non si sarebbe stupita nel vederla prendere parte agli scavi.
-Andiamo in città cara, ti presenterò mio nipote! E' un ragazzo…- fece per dire la signora, ma Lorena la zittì con un forzato sorriso.
-Devo restare signora, faccio parte del gruppo di scavi- spiegò.
La presa sul suo braccio non accennava a diminuire. -Ma verrete! Siete invitata a cena mia cara. Dovete venire a conoscere il mio Kive!-
-Non stasera signora, verrò appena mi sarà possibile- promise, impaziente di liberarsi dell'anziana.
-Verrà- si intromise Uiben, spuntando dalla folla con la sua chioma arruffata e gli occhi ridenti -la porterò io, non preoccuparti. Ora vai, o ti lasceranno indietro-.
La signora Opule parve fidarsi abbastanza di Uiben da lasciare la presa.
Si raccomandò di nuovo perché la ragazza venisse e finalmente si decise ad allontanarsi con il resto della comitiva di civili.
Lorena sospirò e si massaggiò le tempie.
-E' una cara signora in fondo, proprio una cara signora- scherzò Uiben, rifacendo il verso alla donna. Riuscì a strappare persino un sorriso a Lorena.
-Andiamo- le disse poi e i due si unirono ad un esiguo gruppetto di altre cinque o sei persone verso la tenda che era stata loro indicata.

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Capitolo 3
*** Amazzoni ***


Capitolo terzo

 < < Amazzoni > >

-E questo è quanto-
Le secche parole dell'uomo furono inghiottite dal silenzio.
Solo una mosca passeggera ebbe l'insolenza di romperlo.
Il Signor Ivacs se ne stava in piedi, ansante per il lungo monologo, al centro della grande tenda.
Tutt'attorno a lui sedevano in circolo una ventina di personaggi, tra donne e uomini, che lo fissavano assorti.
Alcuni di loro parevano scettici, altri emozionati, qualcuno aveva in viso persino una smorfia di timore.
Lorena se ne stava elegantemente appollaiata sull'orlo della sua sgangherata seggiola. Poteva dirsi appartenente alla categoria degli scettici. Uiben invece, disinvolto e rilassato, non sembrava essere stato particolarmente toccato da quanto aveva appena udito.
Il silenzio continuava a pesare nell'ambiente polveroso e crepuscolare della tenda.
Il Signor Ivacs passò in rassegna uno ad uno i suoi uditori, perforandoli con i glaciali occhi azzurri. Piccoli e così splendenti in quel rozzo viso abbronzato da sembrare finti.
-Se non ci sono domande…- fece per dire Ivacs ma un ostentato colpo di tosse lo interruppe.
-Perdoni- fece Uiben.
Lorena si volse a guardarlo mentre quello si sporgeva in avanti, posando i gomiti sulle ginocchia ossute.
-Non ho ben chiaro il mio ruolo in tutta la faccenda- disse, fissandosi distrattamente le mani congiunte davanti alla larga bocca -a quanto ho capito voi siete il primo referente del gruppo dei qui presenti "scavatori", se posso così definirvi…-
Le sue parole furono accolte da un indispettito brusio di fondo.
Un omino dall'aspetto gufesco, barbuto e occhialuto, squittì -Archeologi, se non le dispiace-
Uiben accennò con il capo nella sua direzione. -Archeologi- concesse pacato.
-Insomma, voi presiedete a questo gruppo di archeologi ma io non appartengo alla categoria. Come ben saprete, sono stato chiamato in qualità di artista e…-
Ivacs lo zittì con un gesto autoritario della mano -lo so bene- assicurò -risponderò adeguatamente alle vostre domande, ma non è questo il momento. Più tardi avremo modo di parlarne nella mia tenda-. Il punto alla sua frase fu l'occhiata feroce che lanciò in direzione di Uiben e che non ammetteva repliche.
Lorena pensò che quell'uomo fosse senz'altro arrogante e poco avvezzo ad essere contestato.
Uiben dal canto suo sembrò soddisfatto e tornò ad afflosciarsi contro il precario schienale della seggiola.
-Allora, domande?- chiese di nuovo Ivacs ruggendo.
Nessun parlò.
-Ottimo- commentò l'uomo -allora potete andare. Dopo un breve pasto ci incontreremo all'ingresso del Campo per una veloce visita alle rovine. Al nostro ritorno vi verranno assegnate delle tende e degli abiti adeguati- e ciò dicendo Lorena si sentì investita da un gelido sguardo critico, come anche le altre donne della combriccola -Domani mattina inizierete a guadagnarvi la vostra paga-
Fece un cenno e l'uditorio riprese vita.
Lorena, come gli altri, si alzò e si spostò in direzione dell'uscita. Uiben la seguiva con passo strascinato.
-Simpatica personcina- commentò il ragazzo non appena furono usciti nella vasta veranda coperta antistante la tenda.
La luce del sole entrava fioca, filtrata attraverso i teli traforati che circondavano l'ambiente su tre lati. Dovevano servire ad allontanare gli insetti molesti.
Tre tavolate di legno grezzo erano disposte nello spazio sterrato della veranda, imbanditi di ciotole e privi di qualunque orpello.
Tutto era molto spartano in quel luogo. Le tende monocrome, in tinta con le divise ambrate di chi le popolava. In tinta con il colore della terra stessa e con i visi bruniti dal sole.
Lorena si sentì per la prima volta a disagio con quella sua mantella turchese. Si consolò constatando che anche le altre quattro donne del gruppo indossavano ampie gonne simili alla sua.
Uiben si era trovato un posto ad uno dei tavoli e fece cenno a Lorena di raggiungerlo.
La ragazza sedette accanto a lui e insieme iniziarono a mangiare la parca porzione di uova e carne che era stata loro assegnata.
-Credo che avrai da fare smorfie in abbondanza con quel signor Ivacs- commentò Uiben a un tratto, mandando giù un boccone.
-Come?- Lorena lo fissò senza capire.
-Andiamo!- rise quello -basta guardarti in faccia per capire cosa ti passa per la mente-
Lorena si portò le mani in grembo, piccata.
-Ora ad esempio, dal modo in cui hai sollevato le sopracciglia, deduco che ti sia offesa- concluse il ragazzo soddisfatto.
Lorena non rispose e riprese a mangiare.
-Che donna difficile sei…Devo correggermi, credo che sarà il Signor Ivacs a dover fare i conti con te- e rise delle sue arguzie.
Lorena non parlò per il resto del pasto. Quando ebbe terminato si alzò e si avviò verso l'apertura che dalla veranda conduceva all'esterno.
Gli altri convenuti continuavano a chiacchierare e scambiarsi aneddoti sulla vita nella barbara giungla, ma lei, come sempre, si atteneva alle disposizioni.
Diligentemente dunque si posizionò davanti la tenda, in attesa della partenza.
L'aria era immobile, afosa nel meriggio. Il Campo pareva addormentato, mentre tutti i suoi abitanti erano raccolti a pranzare chi all'ombra di un albero, chi nel proprio alloggio.
Lorena, persa nei propri pensieri, sussultò nel vedere sbucare dalla tenda dirimpettaia una figura minuta.
Il ragazzino che le venne incontro aveva fattezze per lo più umane, ma proporzioni sbagliate.
Lunghe braccia esili spuntavano dalle maniche arrotolate di un camicia troppo grande.
Le brache grezze cadevano flosce su gambe che dovevano essere altrettanto sfilate.
Ma ciò che più di tutto colpì Lorena, fu il suo volto.
Aveva il capo per metà rasato e sull'altra metà crescevano fluenti capelli di un colore così scuro da apparire venato di blu. La sua carnagione era bronzea per natura e i lineamenti del viso duri e spigolosi. Sul lato sinistro del viso, privo di capelli, spiccava un orecchio singolare, con un lobo cadente per il peso di numerosi anelli d'oro e con due punte aguzze in alto, anch'esse adornate con dischi di metallo.
Doveva avere forse quindici anni o poco più ma l'espressione arguta che traspariva dai grandi occhi scuri gli conferiva un aria adulta.
Mai Lorena aveva visto un essere tanto singolare. Eppure il ragazzo non pareva deforme per qualche malattia, più probabilmente doveva appartenere ad un'altra razza.
L'entrata della tenda si aprì di nuovo e ne venne fuori il signor Ivacs. Mise una mano sulla spalla del singolare ragazzo, gli borbottò qualcosa e quello corse via verso il bosco.
Ivacs sollevò quindi i suoi glaciali occhi azzurri e intercettò quelli nocciola di Lorena.
Non si dissero nulla, non si scambiarono neppure un accenno di sorriso.
Pochi secondi passarono prima che dalla veranda venissero fuori i componenti del gruppo.
Ivacs non attese neppure che quelli fossero tutti pronti che subito si mise in marcia.
Lorena lo seguì in silenzio.
Il sentiero che seguirono serpeggiava nel fitto sottobosco, schivando sinuosamente i tronchi degli alti alberi.
Lorena rischiò più volte di inciampare nelle spesse liane che pendevano dalle chiome o di strappare la gonna nei bassi arbusti.
Il paesaggio cui andavano incontro era sempre più esotico. Piante dalle strane forme si aggrovigliavano alle loro caviglie. Fiori dai colori sgargianti sbocciavano in ogni dove.
Il sentiero li condusse in meno di dieci minuti in una vasta radura che si apriva circolarmente nella foresta.
Lorena rimase senza fiato.
Al centro dello spazio si innalzava un edificio piramidale, dalla base squadrata. Era circondato sui quattro lati da lunghe e larghe scalinate che si congiungevano su un vasto terrazzo posto sulla sommità. Muschio cresceva tra le crepe e negli interstizi delle porte.
Il sole splendeva brillante nel cielo, illuminando la roccia grigia della struttura.
-Darta- annunciò Ivacs senza cerimonie e senza mostrarsi minimamente emozionato.
-La mitica città- gli fece eco qualcuno nel gruppo.
Avanzarono ancora fino a trovarsi all'ombra della struttura. Era incredibilmente alta e possente e Lorena trovò difficile credere che fossero stati dei minuscoli esseri umani a costruirla.
-Come vi ho già spiegato i lavori principali li svolgeremo all'interno. Abbiamo individuato della catacombe e resti che necessitano di essere catalogati- riprese Ivacs indicando il sottosuolo -sarò io ad esaminarvi e decidere chi di voi assegnare a lavori più minuziosi e delicati. I meno capaci saranno addetti alla pulitura delle stanze superiori-
Lorena per la seconda volta si sentì folgorare da uno sguardo di disprezzo.
Ivacs aprì di nuovo la bocca per parlare ma fu interrotto da un improvviso sibilo.
Una freccia piumata gli sfiorò il viso e lo spostamento d'aria scosse i lunghi capelli bruni.
Una seconda freccia saettò nel cielo e si conficcò nell'erba a qualche metro dal gruppo.
Le donne presero ad urlare, gli uomini si lanciarono sguardi concitati.
Altre tre frecce si abbatterono al suolo, schivando di poco i loro bersagli.
-Al riparo- gridò Ivacs, correndo verso l'edificio. Tutti gli altri lo imitarono.
Lorena si sentì spintonare da tutti i lati, qualcuno le pestò la gonna e cadde a terra.
Decine di piedi le passarono affianco, qualcuno le calpestò una mano.
Lorena gridò, mentre le ossa scricchiolavano sinistramente e un dolore lancinante le avvolgeva l'arto.
-Alzati!- sentì gridare e Uiben le fu al fianco.
Il ragazzo l'afferrò in vita e la tirò in piedi di peso.
Grida acute echeggiarono in quel momento nella radura.
Erano versi umani, acuti e minacciosi. Erano grida di battaglia.
Altre frecce rimbalzarono contro la roccia.
Lorena e Uiben erano gli ultimi del gruppo, in corsa disperata verso il grande arco squadrato che si apriva nella parte bassa del monumentale edificio.
Alle loro spalle udirono di nuovo il risuonare di quelle grida bellicose.
Lorena si teneva la mano ferita stretta contro il petto e lì, sentiva il cuore battere all'impazzata.
Tutto era confuso, concitato. Uiben correva al suo fianco, precedendola di qualche passo.
All'improvviso il ragazzo cadde violentemente in avanti con uno strattone e Lorena si trovò sola.
Si voltò in corsa e lo vide bocconi a terra, con il naso sanguinante.
-Aiuto- gridò a squarciagola -aiutatelo-.
Fu in quel momento che si accorse degli enormi cavalli bruni fermi all'ombra degli alberi. Erano forse una decina.
Sulla loro groppa nuda sedevano altrettante donne, belle, brune e altere. Imbracciavano grandi archi e avevano ghirlande verdi tra i lunghi capelli d'ebano.
Lorena era senza fiato. Ansimava e la mano le pulsava dolorosamente.
Si accorse con sollievo che alcuni uomini stavano tornando indietro per soccorrere Uiben.
Lo presero per le braccia e lo trascinarono verso la struttura. Le donne guerriere avevano smesso di lanciare i loro dardi mortiferi.
Lorena aveva rallentato la corsa ed ora era ferma, scarmigliata e ansante, a pochi passi dall'arco di pietra.
Non sapeva se fosse più spaventata o stupita. Non si capacitava del perché le loro assalitrici avessero smesso di attaccare. Non le sentiva nemmeno più gridare.
Erano ferme, come statue lignee e li osservavano.
Uiben venne trascinato fino alle rovine. Era semisvenuto, con il naso sanguinante e gli abiti macchiati d'erba. Dal polpaccio destro spuntava una freccia piumata.
Lorena non indugiò oltre e seguì il gruppo al riparo oltre le mura di Darta, dove il resto dei compagni se ne stavano tremanti e scossi.
Le donne-guerriere se ne stavano ancora immobili, silenti. Lorena le sbirciò da una crepa tra i massi del massiccio muro.
Una di loro diede uno strattone al cavallo e lo condusse al trotto verso la radura.
-Stanno avanzando- esalò l'omino gufesco, sistemandosi gli occhiali che scivolavano sul naso sudato.
-Ma chi sono?- chiese un altro. -Sono donne!- si stupì un terzo.
-Dei demoni- gracchiò una ragazza scossa dal pianto. Un'altra donna corse a consolarla.
-Cosa facciamo? Signor Ivacs?- l'omino occhialuto prese a guardarsi intorno.
Il signor Ivacs sembrava svanito nel nulla.
Lorena aveva la mente annebbiata dal dolore e dallo spavento, cercava di tenere d'occhio la lenta e inesorabile avanzata della donna-guerriero e allo stesso tempo di esaminare le condizioni di Uiben, che gemeva, steso a terra.
Un paio di uomini si stavano affaccendando per fermare la fuoriuscita di sangue dalla ferita e dal naso.
-Dov'è il Signor Ivacs?-
-Che fine ha fatto?-
-Dove si è cacciato?-
Le voce si accalcavano e si facevano sempre più ansiose.
La donna a cavallo era ormai a pochi metri da loro. Si potevano contare le foglie verdi della sua ghirlanda.
Era una donna di una bellezza esotica e inquietante. Con un viso lungo e ovale, levigato e scolpito come una maschera di bronzo. I capelli le scendevano fluenti lungo la schiena e ne circondavano la figura. Pur avendo un fisico allenato e nervoso, la donna emanava fascino ad ogni battito delle lunghe ciglia.
Li scrutò tutti con i suoi occhi ambrati, da falco pellegrino.
Arrestò il cavallo con un colpo di reni e tese l'arco, così in fretta da cogliere tutti impreparati.
Il gruppo trattenne il fiato mentre una donna prese a singhiozzare.
-Non siete i benvenuti- sibilò la guerriera con voce melliflua. Aveva un accento singolare e le parole uscivano a singhiozzo dalle brune labbra carnose.
L'uditorio non seppe che rispondere.
Lorena tremava, non sapeva cosa pensare.
-Andate via!-
Il grido fece sobbalzare tutti.
Ivacs si fece largo tra la folla brandendo un lungo fucile. L'occhio ceruleo prese la mira, puntando contro il petto della guerriera, fasciato in un corpetto di pelle opaca.
-Non dovevate portarne altri- fu la sibilante risposta della bella donna.
-Andate via- ripeté Ivacs. Puntò il fucile in cielo e sparò un colpo.
Uno stormo di uccelli si alzò in volo e le persone sussultarono.
La guerriera lanciò un ambrato sguardo di fuoco all'uomo e sibilò qualcosa in una lingua incomprensibile. Un sibilo prolungato e minaccioso.
Lanciò un grido acuto.
Spronò il cavallo, quello si impennò e girò su stesso prima di partire al galoppo verso il riparo degli alberi.
Riunitasi alle sue compagne scomparve nel fitto bosco.
La tensione rimase. Tutti tenevano gli occhi sbarrati, con ancora le immagini delle belle guerriere impresse nell'iride.
-Chi erano?- chiese una voce ansante.
Lorena si voltò e guardò in basso.
Uiben era accasciato su un pavimento di pietre levigate, macchiate dello scarlatto del suo sangue.
-Chi erano?- ripeté il ragazzo.
-Le custodi del bosco- rispose Ivacs, aveva ancora il fucile puntato sulla radura.
-Erano le Amazzoni-.

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