ricostruire dopo la caduta

di Hoi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** a certe persone la pioggia dona ***
Capitolo 2: *** Telefonate ***
Capitolo 3: *** Caos nella torre ***
Capitolo 4: *** Troppi fiori, poca fortuna ***
Capitolo 5: *** L'età di una leggenda ***
Capitolo 6: *** L'arrivo del principe Azzurro (e dei problemi correlati) ***
Capitolo 7: *** Tempo di chiacchiere ***
Capitolo 8: *** Il pigiama party ***
Capitolo 9: *** La verità dietro la maschera ***
Capitolo 10: *** Quando gli eroi chiacchierano, i cattivi tramano ***
Capitolo 11: *** Mentre gli altri combattono ***
Capitolo 12: *** Su o giù? ***
Capitolo 13: *** Fa qualcosa! ***
Capitolo 14: *** Facciamo i conti ***
Capitolo 15: *** Al lavoro? ***
Capitolo 16: *** Visita guidata ai laboratori Stark ***
Capitolo 17: *** Pensaci bene ***
Capitolo 18: *** Parliamo d'amore ***
Capitolo 19: *** Qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo ***
Capitolo 20: *** A certe persone la pioggia dona ***



Capitolo 1
*** a certe persone la pioggia dona ***


Ok, ammetto che non sono mai stata una grande guidatrice. In effetti, non credo che sia poi tanto sbagliato dire che ho preso la patente per una specie di miracolo divino. Nonostante tutto questo però non si può neanche dire che io guidi proprio da schifo. Insomma credo che coi miei cinque incidenti in quattro anni di patente io rientri nella media... almeno spero... e comunque a mia discolpa posso dire che sono stati tutti delle cavolata. Bhè, quasi tutti... Non è nemmeno stata sempre colpa mia però! Il mio primo incidente ad esempio, proprio non si può dire che fu tutta colpa mia. Ok, sono stata io ad investirlo, ma pioveva, pioveva davvero molto. Ero praticamente sotto una cascata d’acqua alle tre di notte, dopo una logorante cena di lavoro coi miei colleghi, che mi aveva devastato i nervi. Prima che me lo chiediate: sì avevo bevuto. Lo so non si dovrebbe fare, ma in fondo erano solo due bicchieri di vino e a stomaco pieno. Per di più c’è da dire che mi mancavano poco più di due kilometri  dal mio albergo e fino ad allora non avevo avuto nessun problema. Fu il cellulare a tradirmi. Fear of the dark partì a palla, facendomi sobbalzare. La prima cosa a cui pensai furono i miei genitori. Una chiamata alle tre del mattino vuol dire qualcosa di serio. Questa è una cosa risaputa. Se gli fosse successo qualcosa... Pregai silenziosamente di sbagliarmi. Tenendo gli occhi sulla strada mi misi a ravanare nella borsa. Maledetta io e la mia mania delle borse grandi! Non riuscivo a trovarlo e lui continuava a suonare. Nella mia testa iniziarono ad accalcarsi gli scenari peggiori. Dovevo trovarlo. Mi voltai e guardai nella borsa. Cazzo! Era proprio sotto al mio naso con quel suo schermo acceso e la scritta mamma che lampeggiava. Mi si fermò il cuore. Lo afferrai con una mano tremante e risposi.
“Mamma! Cos’è successo?”  Le dissi subito in Italiano. Avrei voluto essere forte ma la voce mi tremava.
“ciao tesoro, tutto bene. Tu? Ti sento agitata...” Il suo tono tranquillo fu una vera e propria doccia fredda. Finalmente avevo realizzato cos’era successo ed ero furiosa.
“Mamma! Il fuso orario! Sono le tre passate qui!” ero a New York da più di due mesi e lei ancora sbagliava a calcolare il fuso orario!
“Oh... Scusa! Dai allora ti lascio dormire. Ci sentiamo”
“Sese... ciao!” le attaccai il telefono in faccia. Mi era quasi venuto un infarto e avevo rischiato di fare un incidente per nulla. Ero furiosa. Lancia il cellulare in borsa. Il cuore mi batteva a mille. Inspirai profondamente. Espirando chiusi gli occhi per riprendere il controllo. Ero quasi arrivata. Ancora un piccolo sforzo e sarei potuta andare a dormire.Bum. Non dimenticherò mai quel suono. il basso botto della più grande stronzata della mia vita. Prima ancora che il mio cervello realizzasse cos’era successo inchiodai. Con gli occhi sbarrati sulla strada iniziai a realizzare. Avevo urtato qualcosa. Qualcosa di grosso. Qualcosa che era rotolato sul mio cofano e stava riverso a terra. Immobile. Mi lanciai fuori dall’auto, sotto la pioggia. Quando fui in ginocchio accanto a lui non seppi cosa fare. Le nozioni di pronto soccorso si erano mischiate a quelle sentite nei telefilm gettando la mia mente nel caos. Dovevo girarlo a pancia in su per sentire se respirava. No, se avesse avuto una lesione alla spina dorsale muoverlo sarebbe stata l’ultima cosa da fare. Dovevo lasciarlo così? Dovevo chiamare aiuto. Questo dovevo fare. Mi alzai e corsi all’auto. Composi in fretta il numero il cuore mi batteva all’impazzata. Qualcuno dall’altra parte mi rispose.
“Pronto! Aiuto ho investito una persona. Sono in via...” Dove cazzo ero? Mi guardai attorno nel panico. Non c’era neanche un fottutto cartello. Merda! Ma quella era New York. Una New York mezza distrutta e ancora in piena ricostruzione, ma pur sempre New York. Di certo avrebbero rintracciato la chiamata e sarebbero venuti ad aiutarmi.
“il numero da lei selezionato è inesistente”
“Cosa?!?!?!” Piena di sgomento guardai lo schermo. 118. Idiota! Idiota! Idiota!
“Idiota! Idiota! Idiota!” con le mani che mi tremavano iniziai a comporre il 911.
“Inveire non ti aiuterà” Lo ignorai portandomi il cellulare all’orecchio. Non era il momento di fare ironia quello. Avevo investito una persona. Forse avevo ucciso una persona. Aspetta. Riattaccai.
“Sei in piedi!”
“Molto perspicace” La sua voce trasudava indifferenza mentre faceva qualche zoppicante passo verso l’ombrello distrutto. Aspetta... indifferenza? L’avevo appena investito e lui mi era indifferente? Probabilmente la botta gli aveva incasinato il cervello.
“Ti-ti senti bene? Vuoi che chiami un’ambulanza?”
Senza neanche guardarmi lui si rigirò l’ombrello distrutto tra le mani.
“La tua stupidità rasenta l’incredibile... Credi forse che una tale inezia possa ferirmi?”
Detto questo gettò con noncuranza l’ombrello a terra e fece per allontanarsi, zoppicando. Afferrai la portiera e mi rimisi in auto. Era il momento di razionalizzare. Avevo investito un uomo. Un gran bell’uomo. Che mi aveva insultata. Forse. Sì perché in effetti non avevo capito molto bene cosa avesse voluto dire. Comunque l’aveva detto con il tono di un insulto, quindi doveva esserlo. E come se tutto quella situazione non fosse già abbastanza devastante, ero fradicia. Mi voltai e per un lungo istante lo guardai allontanarsi a passo irregolare sotto la pioggia battente. Non potevo lasciarlo andare via così. Anche se sembrava essere uno stronzo quasi quanto il mio capo. Che era davvero difficile da eguagliare.
Riscesi dall’auto.
“Aspetta!” Si fermò senza voltarsi. “vieni, ti do un passaggio”
Fermo sotto la pioggia quel ragazzo bellissimo scoppiò a ridere.
“Credi davvero di potermi portare in luoghi in cuoi io non possa giungere? E in fondo che differenza farebbe? Trovarmi qui o altrove, non ha importanza, perché l’unica terra che il mio cuore anela mi è preclusa.”
Sentendolo parlare con tanta amarezza una certezza si fece strada in me: la botta l’aveva fatto rincretinire. Decisi di adottare una della più classiche strategie che si usano coi matti: non fargli capire che pensi che siano matti.
“Ooook... senti sta piovendo di brutto. Sali in auto, almeno sarai al riparo e io mi sentirò meno in colpa per averti investito”
Lui parve pensarci su per qualche istante. Alla fine un lungo sospiro triste gli uscì dalle labbra e con passo incerto salì in auto.
Fui io a spezzare il silenzio.
“Dove vuoi che ti porti?”
Si voltò verso di me. I suoi occhi erano vuoti, indifferenti, straordinariamente belli... Che cavolo mi veniva da pensare in quel momento?
“Non ha importanza... va bene dovunque” c’era resa ed un’infinita tristezza nella sua voce. Una stretta mi attanagliò il cuore. Ora capivo. Lui non ce l’aveva un posto in cui tornare.
“Senti io direi che per prima cosa è il caso che facciamo una volata in pronto soccorso... tanto per assicurarci che stai bene”
Aveva voltato il viso verso il finestrino. Non mi stava più ascoltando. Fa nulla, voleva dire che l’avrei portato lì senza il suo consenso scritto. Presi il navigatore e iniziai a reimpostarlo. Affianco a me l’uomo ebbe uno scatto improvviso.
“No!”
Mi strappò l’aggeggio dalle mani. Mi fissava dritto negli occhi e quello sguardo non mi piacque. Non riuscivo a realizzare davvero cosa si nascondesse dietro quelle iridi azzurre, ma qualunque cosa fosse, iniziava a mettermi paura.
“Non sono ferito... Davvero”
Il suo tono era cambiato, diventando immensamente più dolce, quasi rassicurante. Le sue labbra abbozzarono un sorriso, che subito si rifletté negli occhi, cambiando totalmente il suo volto. Senza rendermene conto ricambiai quel sorriso. Non avevo dimenticato la sgradevole sensazione di poco prima, ma qualcosa dentro di me voleva a tutti i costi aiutare quel ragazzo e questo qualcosa riuscì a zittire il mio sesto senso.
“ok... Facciamo così, ti porto al mio albergo, potrai prendere una stanza, non costano molto”
Lui mi sorrise facendo cenno di sì col capo e restituendomi il navigatore.
Passammo in silenzio il resto del viaggio, che durò ben poco. Arrivati all’albergo gli indicai la reception e scappai in ascensore. Avevo fatto abbastanza per rimediare. Me lo ripetevo,anche se non ci credevo per nulla. Non avevo fatto nulla per rimediare, era questa la verità. Le porte si aprirono davanti a me. Ero arrivata al mio piano. Schiacciai il tasto del piano terra. Non sapevo neanche io che cavolo stessi facendo. Mi sentivo in colpa ecco tutto. Quando arrivai giù lo vidi immediatamente. Se ne stava andando.
“Ehy! Che fai?” Pioveva ancora, lui ancora non aveva l’ombrello e ancora zoppicava. Dove cavolo credeva di andare? Lui mi sorrise, come se fossi la più ingenua delle ragazze.
“A quest’ora la reception è chiusa”
Stetti in silenzio per qualche istante. Era talmente ovvio. Come avevo fatto a non pensarci? Alzò la mano in segno di saluto. Sotto le luci della hall riuscivo a vederlo chiaramente. Era alto, slanciato e straordinariamente benvestito. Non mi sono mai intesa molto di abiti, ma il suo pareva costare parecchio: un bel cappotto nero, sopra ad un’elegante completo grigio scuro. Il tutto completamente fradicio. Maledizione! Gli donava un sacco la pioggia. In quelle condizioni quel suo sguardo da cucciolo sperduto faceva persino più effetto. Sì, lo ammetto, fu quello a farmi cedere.
“Senti, nella mia camera c’è un divano...”
“Sicura?”
No, affatto.
“Sì”
Senza dire nient’altro entrammo in ascensore. Non sapevo perché, ma mi sentivo terribilmente in imbarazzo. Anzi, lo sapevo esattamente il perché visto che in quel fottuto ascensore c’era uno specchio. Lui era bellissimo, elegante e i capelli corvini bagnati sembrava che rilucessero. Io ero distrutta dalla stanchezza, col viso rigato dalle occhiaie e dall’eyeliner che mi era colato su tutta la facci. Per non parlare dei capelli. Un groviglio castano, informe e arruffato. Mi sciolsi la coda e combattendo contro i nodi, mi passai una mano tra i ricci, per disciplinarli. Perfetto! Ora erano pure peggio. Un sospiro depresso mi sfuggì dalle labbra, mentre la mano mi ricadeva lungo il fianco. Avevano vinto loro... Tanto per cambiare insomma... Feci l’unica cosa che potevo fare. Diedi le spalle allo specchio. Almeno mi sarei risparmiata la visione di quello scempio. Fu allora che accadde. Per un istante. Per un istante soltanto, i nostri sguardi si incrociarono. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata, mentre il mio volto si accendeva di un’intensa tinta rossa. Quello stronzo stava ridendo! Prima che la ragione la fermasse, l’ira mosse il mio braccio e gli tirai un pugno. Ok, premettendo che non vado particolarmente orgogliosa di quel cazzotto, posso dire a mia discolpa che lo presi sulla spalla. Inoltre fu poco più di un buffetto e di certo non gli avrei fatto nulla... se qualche minuto prima non l’avessi investito... Il suo viso si contrasse in uno spasimo di dolore. Vacillò. L’afferrai, aiutandolo a sostenersi.
“Scusa...”
La mia faccia era ormai talmente rossa che avrebbe potuto rivaleggiare con la bandiera del Giappone.
“Io... sono un’idiota! Scusa...”
Ci fu un sonoro TIN e le porte dell’ascensore si aprirono. Lo fissai per un istante. Si reggeva in piedi, forse ce l’avrebbe fatta ad arrivare fino alla camera. In fondo, prima del pugno, non sembrava stare così male. Uscii, per fargli strada, controllando con la coda dell’occhio che riuscisse a seguirmi. Zoppicava certo, ma non sembrava aver bisogno di una mano. Arrivammo alla mia porta senza problemi. Fu solo quando ebbi la tessera magnetica in mano che mi resi conto di star invitando un perfetto sconosciuto in camera mia. Restai immobile per qualche istante, fissando la serratura elettronica con sguardo assente. Non sapevo nemmeno come si chiamava, non potevo farlo! Non potevo neanche dargli il benservito... non dopo averlo investito, invitato in camera e malmenato... Fu la sua voce a risvegliarmi dai mie pensieri.
“Immagino sia sufficiente che tu faccia passare la tessera in quella fessura”
Mi voltai verso di lui lentamente. Ok, non avevo dimostrato di brillare d’intelligenza, ma lui mi stava proprio dando della cretina!
“Grazie, credo di sapere come si fa” Volevano essere parole pazienti, eppure, nonostante tutto il mio self control, le pronunciai con lo stesso tono che usavo per maledire il mio capo.
Lui, dimostrando la più grande faccia tosta del mondo, mi sorrise, come si sorride ad una bimba che non vuole scendere dall’auto il primo giorno di scuola.
“E allora, qual è il problema?”
Una vena iniziò a pulsarmi sul collo. Se volevo mandarlo al diavolo, quello era il mio momento. Inspirai profondamente e con tono diplomatico gli spiegai qual’era il problema:
“Vedi... So  di averti investito, invitato ad entrare e malmenato, ma io non ti conosco e sai, non sono proprio quel genere di persona che invita il primo che incontra ad entrare in camera sua”
Scoppiò a ridere.
“Il mio nome è Scott Fitzgerald e ti do la mia parola, che mi comporterò con onore”
Lo fissai per un istante. Doveva aver battuto la testa davvero forte per credere che una sparata del genere servisse a qualcosa. Forse lui non se ne era reso conto, ma la gente mente e anche molto spesso. Quindi che lui dicesse o meno che si sarebbe comportato bene, non cambiava nulla. Ma era tardi e io ero troppo stanca per buttarmi in un discorso pseudo-filosofico, così aprii la porta.

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Capitolo 2
*** Telefonate ***


                Fu fear of the dark a svegliarmi. Nella semi oscurità mi allungai verso la borsa che avevo abbandonato a terra accanto al letto. Quello stupido cellulare mi odiava, altrimenti perché si nascondeva sempre da me? Lo artigliai e me lo portai all’orecchio.
“pronto?”
La suoneria non sembrava intenzionata a smettere. Guardai il display un po’ contraddetta. Non potevo aver rotto pure quel telefonino... Tutto spento. Ma allora da dove proveniva? l’altro cellulare! Mi lanciai giù dal letto e afferrai la borsa, svuotando tutto il contenuto per terra. Ritrovai all’istante quel maledetto aggeggio semitrasparente regalatomi dal capo.
“Pronto!”
Attraverso il telefono mi arrivò cristallina e allegra la voce dell’uomo più demoniaco che avessi mai incontrato:Anthony Edward Stark, magnate, multimiliardario, genio, play boy, eroe, filantropo e mio committente.
“Alla buon’ora Nervosetta! Ti ho regalato un cellulare che altro devo fare per poterti contattare?” Un brivido d’ira mi percorse la schiena. Odiavo quando mi chiamava così. Fu proprio quel brivido a riattivare il mio cervello. Chiamata capo = Ha fatto un casino
“La torre! Cos’hai fatto alla mia bambina!?”
La mia voce era piena d’ansia. Avevo ridisegnato la nuova Stark Tower quattro volte prima di riuscire ad aprire il cantiere ed era stato allora che aveva avuto inizio il dramma. Il signor Stark continuava a far visita ai lavori... Ogni fottuta volta con un giocattolo nuovo, che giustamente non sapeva usare. Oramai avevo perso il conto di quante cose avesse inavvertitamente distrutto.
“Tranquilla mammina, la Stark Tower sta benone... Quella dei vendicatori un po’ meno”
Un sospiro di sollievo mi sfuggì dalle labbra.
“Sia ringraziato il cielo... Che è successo?”
“Il nostro amico verde ha perso le staffe e ha demolito due piani. Li voglio utilizzabili per martedì.”
Per un lungo istante stetti in silenzio aspettando che qualcuno saltasse fuori dall’armadio gridando: “sorridi! Sei su scherzi a parte!” Inutile dire che non accadde. Da quando la prima Stark Tower era diventata la torre dei vendicatori, incidenti del genere le capitavano spesso. Non che fosse sempre colpa di Hulk è! Tra le occasionali visite di Thor, dello Shield e gli “allenamenti” di Clint, quel povero grattacielo aveva costantemente qualche parte in meno. Non mi era ancora del tutto chiaro però, perché dovessi essere IO ad occuparmene. Gliel’avrei detto quella volta, se un’altra preoccupazione non mi avesse assillata. Sapevo che sarebbe stato inutile, così non tentai nemmeno di nascondere la disperazione che impregnava la mia voce.
 “Signor Stark... è domenica! Gli operai non lavorano di domenica”
 “Sono certo che troverà un modo. Buona giornata” clik
Non so dire per quanto tempo restai immobile, col telefono all’orecchio e la bocca spalancata ad ascoltare il suono ritmico della linea occupata. Non riuscivo a decidere se mi facesse più incazzare che mi avesse chiamato alle sei e mezza del mattino, che mi avesse fatto una richiesta assurda o che se ne fosse uscito con quel: buona giornata. Non potevo crederci! Quell’uomo non solo era totalmente scollegato dalla realtà, mi aveva pure attaccato il telefono in faccia! Inspirai profondamente, lasciai cadere il cellulare, chiusi gli occhi ed espirai. Per prima cosa sarei dovuta andare sul posto e fare un sopralluogo... Se fossi stata fortunata non avrei avuto bisogno di chiamare molta gente. Ripresi il cellulare. Prima di fare qualunque cosa però, dovevo calmarmi. Forte del fatto che a pagare il conto di quel cellulare era Stark, composi il numero più bello del mondo e restai in attesa. Ci volle un po’ ma alla fine rispose.
“Pronto?”
La sua voce calda e melodiosa fu come un balsamo per il mio cuore stremato.
“Ciao amore! Mi manchi un sacco... come stai?”
Davide, il mio meraviglioso fidanzato, sospirò dall’alto lato della cornetta.
“Franci sono le undici e mezza... io sono a lavoro”
Cazzo, il fuso orario! Ero via da due mesi e non avevo ancora imparato a calcolarlo... Una consapevolezza mi colpì all’improvviso, mandandomi ancora più in depressione. Ero come mia madre.
“Non fa nulla dai... mi prendo una pausa. Ehy, come va?”
Iniziai a parlare a macchinetta, raccontandogli ogni più stupido dettaglio della mia vita lì. Mi mancava moltissimo Davide. Gli chiedevo spesso di raggiungermi, anche se sapevo che non poteva abbandonare il ristorante di famiglia per venire da me. In fondo era solo questione di qualche settimana, poi ci sarebbe stata una breve pausa, in onore del natale durante la quale ci saremmo sposati.
“Buongiorno”
Ho sempre odiato essere interrotta, eppure quella volta non ci feci molto caso.
“Buongiorno. Tra l’altro Central Park...
“Amore... chi era?”
Mi voltai lentamente verso l’uomo che stava in piedi davanti a me, senza maglietta né pantaloni... Le tende mezze aperte lasciavano che la stanza venisse avvolta da una dolce luce soffusa. Le ombre gentili gli scivolavano sul corpo, mettendo in risalto il profilo di ogni suo muscolo. Dovesse essere un karateka o climber, tanto era definito il suo corpo... Ehy! Che non si pensi male. I vestiti che indossava erano fradici, così glieli avevo messi ad asciugare. Assolutamente niente di più. Anche perché io ero felicemente fidanzata e lui aveva promesso di comportarsi con onore... e straordinariamente lo stava facendo. Dho! Come avevo fatto a dimenticarmi di lui?
“Uno che ho investito ieri sera...”
Risposi con sufficienza, come se la cosa non avesse importanza, sperando di riuscir a far decadere la cosa.
“UNO? Nel senso un uomo?”
Tentativo pateticamente fallito.
“Sì... vedi... l’ho investito con l’auto e non sapevo cosa fare e lui non sapeva dove andare e... Amore? Amore mi senti?”
Inutile, stavo parlando da sola. Guardai lo schermo, cercando di far funzionare quel maledetto aggeggio. “No, non chiamare Pepper! Stupido touch!”
Una risata soffocata mi fece alzare lo sguardo. La cosa migliore della mia vita stava andando in pezzi, che aveva Stiv da ridere? No, non Stiv... com’era? Scott! Si chiamava Scott! Lo fulminai con lo sguardo. Lo odiai persino più di Stark. Era tutta colpa sua. E poi che cavolo aspettava a rivestirsi? La sua immagine iniziò a sfumare. Avevo fatto un vero casino. Una lacrima mi scivolò sulla guancia. La sua voce mi arrivò lontana, era l’ultimo che desiderassi sentire, eppure il suo tono dolce mi calmò, anche se infinitesimamente.
“Scusa non era mia intenzione...”
Il fragore del piatto di una batteria lo interruppe. Una speranza. Mi avventai con entrambe le mani su quel meraviglioso miracolo.
“Davide!?”
“Scusa... è caduta la linea... Chi è che c’è lì con te???”

Era furioso. Cercava di non farmelo sentire, ma lo conoscevo, era furioso. Chiusi gli occhi e feci un profondo respiro. Mi aveva richiamata. Nonostante il costo esorbitante delle telefonate estere, lui mi aveva richiamata. Era, senza dubbio, un buon segno. Gli raccontai tutto. Di come l’avevo investito, della nostra conversazione e di come avesse dormito sul divano. Inutile dire che diedi molta rilevanza a questo dettaglio, almeno quanta ne diedi al fatto che non sarebbe rimasto oltre. Forse tralasciai che in quel momento era davanti a me in mutande... ma in fondo non era un’informazione fondamentale. Non l’aveva presa bene era chiaro, ma quantomeno ci credeva. Sì, neanche io sarei riuscita a inventare una balla tanto demenziale.
Dopo che finalmente ci fummo salutati crollai sul pavimento. Ero persino più stanca di quando ero andata a dormire.
“Dunque?”
Scott mi stava guardando con uno sorriso dolce. Aveva un’espressione da bravo ragazzo stampata in faccia. Cosa che rendeva esageratamente difficile buttarlo fuori. Nel dubbio mi alzai di scatto, e mi fiondai in bagno. Venti minuti dopo ero pronta per uscire e fare la padrona di casa imperiosa. Spalancai la porta con un’espressione severa stampata in faccia e lo guardai negli occhi. In quelle due pietre azzurre e brillanti come l’acquamarina. Non ero pronta a fare proprio nulla. Senza levarmi quel grugno severo dalla faccia, andai a raccattare la roba che avevo sparso un po’ ovunque a terra. Stavo palesemente prendendo tempo, ma che altro potevo fare? Dovevo trovare un modo per buttarlo fuori. Alzai lo sguardo furtivamente, sbirciando da sopra la spalla. Scott, se ne stava ancora lì, a fissarmi con fare innocente. Scandaloso! Non si era ancora vestito. Buttai senza troppe cerimonie tutto ciò che mi capitò tra le mani in borsa, finché non trovai più nulla. Allora mi alzai mettendo quella sottospecie di valigia in spalla. Era giunta l’ora.
“Te ne devi andare”
Lo dissi tutto d’un fiato, per non perdere il coraggio. L’avevo detto e finalmente quella brutta storia sarebbe finita. Per un lungo istante nella stanza regnò in silenzio. Poi lui alzò un sopracciglio e mi rivolse uno strano sorriso in tralice. Lo stava facendo di nuovo. Il sangue mi salì al cervello. Come si permetteva di guardarmi come se fossi un’idiota? Inspirai profondamente. Lo avevo già investito e malmenato, non era il caso di avere pure uno scoppio d’ira.
“Non è mai stata mia intenzione rimanere”
La sua voce tranquilla trasudava supponenza. Espirai profondamente. Dovevo riuscire a non spaccargli la testa.
“La porta è da quella parte”
La voce mi uscì molto più seccata di quanto volessi. Il bel sorriso di Scott si contrasse. In effetti avrei potuto scegliere parole più gentili, soprattutto se si teneva conto che ero stata io ad invitarlo. Comunque ormai era tardi per rettificare. L’uomo allargò le braccia e mi riservò nuovamente con quell’espressione, che lasciava intendere la mia stupidità.
“Vuoi che esca così?”
Lo guardai, mentre il mio viso scopriva una nuova sfumatura di rosso. Giuro che normalmente sono una persona moderatamente intelligente...
“Vado a prenderti i vestiti”
Me ne tornai in bagno, con la coda tra le gambe. Avevo appeso alla bene meglio la sua roba sulla doccia. Non era servito a molto. Solo la camicia si era un po’ asciugata, il resto era ancora umido... per non parlare del fatto che ero riuscita a stropicciare tutto. Se almeno avessi avuto un ferro da stiro... Volevo stirargli la camicia?! Ero totalmente impazzita! Con tutti i guai che mi aveva causato se li sarebbe dovuti andare a prendere da solo i vestiti, altro che ferro da stiro! Gli lanciai i vestiti sul divano in malo modo e incrociai le braccia aspettando che si vestisse. Ok... era un po’ ingiusto da parte mia fare così, lui però avrebbe potuto guardare prima di attraversare e poi, che cavolo ci faceva in giro a quell’ora di notte? Non glielo chiesi. Non erano fatti miei in fondo. Mi limitai a fissarlo in fare ostile con la speranza di mettergli fretta. Non servì a molto. Anzi, se se ne accorse decise che la cosa non gli importava minimamente. Quando (un quarto d’ora dopo!) ebbe finito di vestirsi, finalmente entrammo in ascensore e questa volta fu lui  a dare le spalle allo specchio. in effetti, coi capelli spettinati e i vestiti in disordine, non sembrava più il ragazzo della sera prima. Persino nel suo sguardo qualcosa sera cambiato. Eppure mi parve assurdo che non volesse vedersi. Anche così era bello, forse persino più di prima... se solo avesse sorriso. Cavolo, quello sguardo corrucciato mi faceva lo stesso effetto che mi avrebbe fatto vedere un gattino in una scatola.
“Senti Scott... adesso che farai?”
Lui si voltò verso di me. Non me n’ero resa conto, ma da quando eravamo usciti era la prima vota che mi guardava. Per un lungo istante non disse nulla, come se non si fosse aspettato quella domanda, poi mi sorrise.
“Tornerò a casa”
C’era qualcosa di magnetico in quel sorriso triste e rassicurante al tempo stesso, qualcosa che mi spinse a sorridergli a mia volta, anche se non mi aiutò a credergli. Quella era la classica faccia da menzogna gentile ed io ne avevo passate abbastanza da riuscire a riconoscerla.
L’ascensore si aprì e senza dire nulla ci dirigemmo all’uscita. Aveva smesso di piovere, ma faceva persino più freddo. Quell’inverno non aveva ancora nevicato, però non mancava molto perché avvenisse ed io non vedevo l’ora di passeggiare per una candida Central Park. Mentre mi infilavo i guanti mi strinsi nel cappotto, sperando che mi desse un po’ di calore. Compito fin troppo arduo, per un povero indumento primaverile anche piuttosto scollato, provai a chiuderla, sperando che aiutasse. Non aiutava. Anche così il freddo vi penetrava, facendomi rabbrividire.
“Vuoi un passaggio da qualche parte?”
Già la sera prima aveva rifiutato... almeno così mi pareva... Comunque, questo era un nuovo giorno e lui mi aveva mentito palesemente, dicendo di voler tornare a casa... Avrebbe rifiutato di nuovo. Dovevo trovare una scusa qualunque, convincerlo in qualche modo. Mi rendevo conto che non aveva senso, che non sapevo nulla di lui, ma provavo un disperato desiderio di aiutarlo. Scott fece un passo, avvicinandosi. La distanza tra noi era poco più si un respiro e per un istante il suo profumo dolce mi circondò. Istintivamente feci un passo indietro. Odiavo i profumi dolci.
“Siamo a New York, credo che troverò un mezzo per il ritorno. Grazie per l’offerta ma ti ho già causato abbastanza disturbi”
Gli sorrisi tristemente. Non mi veniva in mente assolutamente nulla da dirgli. Probabilmente era meglio così... se non voleva il mio aiuto tanto peggio per lui e poi quantomeno, aveva smesso di dire cose insensate.
“Allora... Ciao. AH! Mi chiamo Francesca... Io... non mi ero ancora presentata”
Il freddo doveva essermi entrato fin nelle corde vocali, perché la mia voce tremò quando parlai. Scott non parve notarlo, o quantomeno, finse galantemente di non farlo. Mi sorrise, sfilandosi la sciarpa. Il calore tornò a circolare nel mio corpo al solo tocco di quel sottile tessuto bianco intarsiato da eleganti ricami verdi.
“Addio Francesca”






Ciance inutili
Non mi trovo a mio agio a scrivere con "la mia voce" quindi la farò breve... Volevo puntualizzare per chiarezza che le  parti scritte in Comic sono dette dai personaggi in Italiano (ma va??? XD). Dal prossimo capitolo inizierà ad esserci un po' più di movimento... abbiata pazienza ^^' Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, grazie davvero a chi recensisce e a chi recensirà (soprattutto se sarà spietato!)

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Capitolo 3
*** Caos nella torre ***


Impiegai quindici minuti a parcheggiare l’auto. Non capirò mia che genere di persona usi la macchina a New York! Insomma ci sono mezzi pubblici e taxi praticamente ovunque, perché qualcuno sano di mente deciderebbe di imbottigliarsi nel traffico infernale della grande mela, avendo tante alternative decisamente migliori? Ok... so che è un po’ ipocrita da parte mia essendo una di quei dementi che contribuiscono al surriscaldamento globale usando l’auto a caso, ma io ho un ottimo motivo! Cioè... forse ottimo è un’esagerazione... Decente ecco. Sono in questa città da un paio di mesi. Mesi che ho passato rigorosamente in un albergo pagato dal mio capo. Un capo che mi stressa a tal punto che rifletto seriamente sul licenziamento un giorno sì e l’altro pure... domenica inclusa... Avere qualcosa che sia di mia esclusiva proprietà, in cui mi potrei rifugiare in caso di flop totale. Nel caso in cui decidessi davvero di andarmene quantomeno potrei dormire in auto in attesa del volo... Ok forse non ha molto senso, visto che New York è piena di alberghi, ma io mi sentivo più tranquilla così. Una cosa che invece mi metteva sempre, esageratamente, in agitazione era quella di parcheggiare la suddetta auto nella torre dei Vendicatori. Ogni volta che la chiudevo, andando verso l’ascensore, per un istante mi voltavo a guardarla. Come per dirle addio. Solo la voce gentile di Jarvis riusciva sempre a distrarmi dalla possibile morte della mia amata auto. Non quel giorno però. Era impossibile che quel giorno mi rilassassi.

“Buongiorno Miss Recidivo, a che piano si ferma?”
Sospirai, consapevole che il mio interlocutore non era altro che una macchina. A prescindere da questo però, sarei stata gentile con l’unico essere (Pepper e il mio amore esclusi), che non tentasse costantemente di incasinarmi la vita.
“Buongiorno Jarvis. Quello distrutto andrà benissimo, grazie”
Per un lungo, interminabile momento il mio interlocutore tacque.
“Al cinquantacinquesimo e al cinquantaseiesimo non è possibile signorina, le precauzioni antincendio sono ancora in funzione”
Già, l’avevo quasi dimenticato. Il sistema antincendio doveva aver disattivato automaticamente il collegamento elettrico ai piani distrutti. Che stress... Non mi andava affatto di fare le scale. Per di più quei bambocci in spandex erano riusciti a demolire non uno, ma ben due piani. Chiusi gli occhi inspirando profondamente. Possibile che non avessero di meglio da fare, che inzigare quel sant’uomo di Bruce? Espirai profondamente, riaprendo gli occhi.
“Al cinquantaquattresimo allora... meglio iniziare da lì”
Arrivammo al piano in un batter d’occhio. Prima di uscire dall’ascensore mi infilai il caschetto giallo da cantiere e cliccai la penna, sfoderando il blocco degli appunti. Quello era uno degli otto piani in cui erano installati i laboratori ad uso esclusivo del dottor Banner, quindi fui immensamente felice di non sentire sirene di allarme o luci rosse lampeggianti. Almeno non c’erano state perdite di radiazioni o roba simile. In effetti quella sarebbe stata una cosa da chiedere PRIMA di entrare e non da constatare sul luogo... Massì! Tanto era tutto perfettamente in ordine. Immenso imbarcamento di uno del solai superiori escluso. Una brutta crepa era apparsa su una delle pareti esterne, ma non era certo un muro portante quello, non avrebbe costituito un gran problema sistemarlo. Mi dilungai molto ad esaminare quel piano, segnando ogni elemento danneggiato. Era importante che avessi un’idea precisa di quanto erano influenti i danni del piano di sopra sulla struttura. Soprattutto perché almeno avrei evitato un collasso mentale vedendo il caos che di certo vi regnava. Quando finalmente mi decisi a salire, non posso negare che quasi svenni. Non era rimasto un solo divisorio in condizioni sufficientemente decenti da non costringerne la sostituzione. La struttura portante pareva non essere stata particolarmente danneggiata, anche se di certo un paio di travi sarebbero state da puntellare. Poi alzai la testa e mi fu subito chiaro perché lì i danni non fossero tanto gravi. Lo scontro doveva essere certamente iniziato al piano superiore. O quantomeno questo era quello che suggeriva l’enorme buco nel soffitto. C’era un termine tecnico preciso per lo stato in cui si trovavano le due travi di metallo dilaniate... una cosa tipo: rottura plastica causata dal superamento del carico di snervamento... in quel momento riuscii solo a pensare: hanno squartato il mio povero piccolo! Una fitta mi trapassò il cuore. Avrei voluto piangere, ma sentivo di dover essere forte in quel momento. Quando misi piede al piano superiore, non potei fare a meno di ringraziare me stessa per aver avuto l’intelligenza di mettere delle scarpe anti-infortunistiche. Nell’immenso open space che un tempo ospitava il fulcro dei laboratori non  vi era altro che devastazione. Il grande tavolo digitalizzato che era stato al centro della stanza si era frantumato e le schegge cristalline del touch screen coprivano ora l’intera superficie calpestabile, andando a mischiarsi coi frammenti di vetro e metallo dell’immensa vetrata ormai inesistente. Una folata di vento mi fece rabbrividire ed istintivamente mi strinsi la sciarpa addosso. Era straordinario, quanto fosse caldo quello straccetto tanto sottile. In mezzo alla sala distrutta, scoppiai a ridere. Quantomeno la “bella avventura” della serata precedente era servita a qualcosa. Ricominciai il mio lavoro o almeno lo avrei fatto se quell’idiota del mio capo non avesse frantumato quel poco che era rimasto della vetrata, irrompendo nella stanza. Guardai a bocca aperta gli ultimi frammenti di vetro andare in pezzi. Lentamente alzai lo sguardo su di lui. Ero furibonda. Indossava una nuova armatura placcata d’oro con piccole pietre azzurre incastonate sull’elmo e nei bracciali. Sembrava decisamente più alto. Vanitoso fino al midollo com’era, non mi sorprese che si fosse messo dei tacchi sull’armatura. Senza dire nulla mi fissava coi suoi occhi color ghiaccio. La cosa mi irritò terribilmente.
“Con tutto il rispetto, non le pare che questo grattacielo abbia sofferto abbastanza? Vada a provale i suoi giocattoli da un’altra parte!”
Senza dire una parola il signor Stark tese una mano aperta verso di me. Nelle tre dita dell’arto comparve una flebile luce azzurra, che sul momento non mi parve molto minacciosa, ma contribuì lo stesso ad aumentare la mia ira. Con un gesto seccato gli feci cenno con la mano di smetterla. Lo sentii ghignare mentre la luce nella sua mano diventava accecante. Solo allora realizzai.
“Tu non sei Stark”
Un’armatura con tre dita, più alta del solito e quegli inquietanti occhi azzurri potevano anche essere nella norma, ma mai avevo sentito il signor Stark tacere per più di quindici secondi. Senza esitare un istante lasciai cadere la borsa, il blocco e mi lanciai verso le scale. Per un lungo momento mi lasciai lo sconosciuto alle spalle, arrivando indenne alla rampa. Lui fu più veloce. Con un’esplosione vidi i gradini che portavano al piano di sotto andare in mille pezzi. La rampa fu invasa da detriti e polvere. Fantastico! Ci mancavano solo le scale nella lista delle cose da aggiustare. La polvere aveva invaso le rampe rendendo difficile vedere in che condizioni fossero. Non ebbi dubbi sulla strada da prendere. Con un salto mi lanciai verso la scala inferiore. Che fosse a pezzi oppure no, polvere o non polvere, non sarei corsa sul tetto per trovarmi senza vie di fuga. Avevo preso per il culo troppo spesso i personaggi dei film per ridurmi come loro. Atterrai rovinosamente appena prima del pianerottolo, rotolando giù per qualche gradino. Se non mi storsi una caviglia o spaccai la testa fu solo grazie all’equipaggiamento antinfortunistico. Sempre sia lodato. Reduce di quella piccola “vittoria” mi rimisi in piedi e ricominciai a correre giù per le scale. Con tutto il fiato che avevo gridai a Jarvis di dare l’allarme, senza ottenere risposta. A denti stretti, maledissi il signor Stark per aver ideato quel dannato impianto antincendio. Conscia dell’inutilità della cosa, continuai a gridare arrivando al piano di sotto. Mi mancava poco, poi mi avrebbe sentita, mi sarei salvata. Il cozzare del metallo alle mie spalle mi fece voltare. Come diavolo aveva fatto a raggiungermi così rapidamente? Prima che potessi tornare a correre mia afferrò un polso. Lo strattonai, per liberarmi. Inutile. Ero come chiusa in una pressa idraulica ed istante dopo istante mi stritolava più duramente, come se volesse staccarmelo. Tentai di rompere quella presa di nuovo, con più forza. Con uno scricchiolio il dolore esplose nel mio braccio. Il suono successivo fu un grido e a stento in quel suono inarticolato riconobbi la mia voce. Raccolsi le forze, e lo presi a calci, ignorando l’armatura. Non riuscii nemmeno a scalfirlo. Ritentai, alzando la mira. Non avrebbe avuto figli quel maledetto. Inutile. Per quanto mi agitassi quella bestia non sentiva nemmeno i miei colpi. La mano aveva iniziato a pulsarmi dal dolore. Mentre ancora mi dibattevo mi sollevò di peso, ridacchiando. Lacrime di frustrazione iniziarono a bruciarmi gli occhi. Cercai di rimandarle giù, ma era tardi ormai, una era riuscita a sfuggire al mio controllo, rigandomi il viso. Prima che potesse cadere, la bestia mi afferrò il volto con la sua mano deforme. Il dolore mi strappò un grido. Lentamente, stava facendo affondare le placche metalliche del guanto nelle mie guance. Altre lacrime mi caddero, andando a bagnargli la mano. Per un momento ne parve confuso e mi liberò la faccia, per guardare il liquido rosso che la macchiava. Rosso. Sangue. Mi aveva sfregiata. La disperazione mi trapassò l’anima, ma fu lui a gridare. Non c’era una nota d’umanità nell’urlo d’ira che mi rivolse. In un moto d’odio dimenticai il dolore e alzai gli occhi nei suoi. Li vedevo a stento in fondo alle feritoie che spezzavano la monotonia dell’elmo d’oro. Non c’era nulla di umano in quelle profonde pozze di ghiaccio ricolme di disgusto. Il mio sangue lo repelleva. Non potei sopportare oltre quella vista. Il desiderio di liberarmi mi aveva ormai abbandonata. Affondai le dita nei suoi occhi, con l’unico scopo di fargli male. E gliene fece. Un nuovo urlo trapassò l’elmo, riempiendo la stanza. Questa volta fu un suono diverso, acuto, spezzato, meraviglioso. Mi lanciò via, strappandomi la presa dalla sua carne gelida. Fu il pavimento a distruggere quel momento di gloria. Fitte di dolore mi pervasero il corpo, ma il peggio era il polso sinistro. Ancora riversa a terra lo guardai, la mano era livida, a stento muovevo le dita. Tremante mi rimisi in piedi. La belva stava ancora gridando. Ceca si agitava, afferrando l’aria alla mia ricerca. Dall’elmo colavano copiosi rigagnoli neri che inquinavano l’oro della sua armatura. Si era spostato quel maledetto, ora la mia unica speranza, si trovava dietro le sue spalle. Mi alzai cercando di soffocare i singhiozzi. Con le spalle appoggiate al muro striscia verso le scale, tentando di evitare le macerie per non far rumore. La belva smise improvvisamente di gridare. Nel silenzio il mio respiro divenne assordante. Lentamente l’elmo ruotò verso di me, mostrandomi la carne dilaniata. Per un momento infinito rimase immobile a fissarmi senza vista. Un rantolo simile ad una risata si alzò piano da dietro la maschera. Allungò un braccio verso di me. Per quanto fosse distante, potei sentire la forza della sua stretta attanagliarmi il polso e dilaniarmi il viso. L’unica cosa a cui pensai fu che dovevo liberarmi. Afferrai uno dei gradini della rampa crollata e senza pensare glielo scagliai addosso. Il granito crepato lo colpì sull’elmo, spaccandosi. Indietreggiando, la belva lanciò un nuovo grido, afferrandosi l’elmo, mentre gettava la testa indietro. Il passo sicuro affondò nel vuoto, perdendo l’equilibrio. Le sue braccia annasparono nell’aria alla ricerca di un appiglio, che non trovò. Assurdamente la belva cadde, rotolando malamente per la rampa. Il corpo possente andò a sbattere contro al muro ma non cessò la caduta, continuò a precipitare per un tempo infinito, che però terminò. Il suo corpo rimase riverso sul ventre col collo in una posizione del tutto innaturale, mentre una pozza nera si allargava sotto la sua testa. Non ce la feci. Non riuscii a restare oltre, né a superare quel corpo. Gli diedi le spalle e tornai su, trovandomi davanti alla rampa che la belva aveva fatto esplodere. Cinque o sei gradini mancavano all’appello. Troppi perché riuscissi a saltarli, come avessi fatto per la discesa l’avevo dimenticato. Fortunatamente però una buona porzione attaccata al muro era rimasta integra. Con le spalle contro la parete striscia su per la scala. Il mozzicone del gradino scricchiolò immediatamente sotto al mio peso. Con un profondo respiro ricordai a me stessa in che modo stessero su e mi mentii, dicendomi che non potevano cadere. Superai il varco arrivando al piano superiore dalla mia borsa. Presi il cellulare ripromettendomi di non abbandonarlo mai più anche se a fatica riuscivo a tenerlo tra le mani. L’unica che riuscivo ad usare mi tremava ed il liquido nero che la impregnava rendeva viscidi i tasti. ci volle un po’ perché riuscissi a trovare il numero in rubrica.
“Risponde la segreteria telefo...”
“Vieni alla torre dei vendicatori immediatamente.”
Senza dire nient’altro riattaccai. Non avevo dubbi che fosse lui, rispondeva sempre così quell’idiota... ma se non fosse stato? Sentii un suono sottile provenire da giù. Non volevo restare sola ancora. La mia voce non aveva tremato, ero stata forte e pregai che restasse così mentre componevo il numero successivo. Sarebbe stato il primo che avrei dovuto chiamare, ma in effetti l’unico che potesse darmi sicurezza in quel momento era Stark.
“911, qual è l’emergenza?”
Già, come facevo a spiegargli quello che era successo?
“Sono alla torre dei vendicatori... e-ecco... c’era...”
No, non ero forte affatto. Scoppia in lacrime di nuovo. Dall’altra parte della cornetta la voce gentile della signorina mi chiese di calmarmi, coprendomi di domande. Risposi, risposi a tutte, anche se persino io credevo a stento alle mie parole. Quando quella chiamata interminabile fu finita infilai il cellulare in tasca ed iniziai a ravanare in borsa alla ricerca di un pacchetto di fazzoletti. Non volevo che Stark mi vedesse piangere. C’era troppa confusione in quella borsa, era impossibile trovarli. Iniziai a svuotarla, lentamente. C’era davvero di tutto lì dentro, persino una sveglia. Nella confusione del mio risveglio dovevo averla infilata lì per sbaglio. La lascia a terra e tornai a cercare. Finalmente lo trovai. Strinsi i denti per sopportare il dolore, mentre usavo la mano ferita per pulirmi dal sangue di quella bestia. Mi sentii meglio quando me ne fui liberata. Solo allora mi pulii la faccia dalle lacrime e dal mio stesso sangue, per poi soffiarmi rumorosamente il naso.
“Ti sono mancato così tanto?”
Gettai il fazzoletto a terra ed estrassi un altro fazzoletto. Non alzai il volto per vederlo. Sapevo che era lui, che era entrato con la sua armatura volante attraverso la vetrata e non mi andava di dargli corda, anche se era bello sentire la sua voce. Quel suono fastidioso che apparteneva solo a lui. Per la prima volta ero felice che ci fosse Stark, non avrei potuto restare sola ancora. Sentii il suo passo pesante girare a zonozo per la sala. Come sempre, mi aveva dedicato poco meno di due secondi della sua attenzione, prima di passare a fissarla su qualche oggetto inanimato.
“Uhm... La ricordavo messa peggio. Puoi farcela per domani. Bella sveglia! Capisco l’attaccamento al lavoro, ma dormire addirittura qui...”
Non ebbi bisogno di alzare lo sguardo per sapere che mi stava guardando, scuotendo la testa come per rimproverarmi. Strak che rimproverava ME. LUI che mi aveva trascinato in quel casino. Come osava. Afferrai la sveglia un po’ imbarazzata, per rimetterla in borsa. Dormire lì... Non ci sarei riuscita neanche se l’avessi voluto. Non più ora che mi ero resa conto di quanto, persino quel posto, non fosse sicuro. Con ancora la sveglia tra le mani sospirai. Volente o no, probabilmente avrei dovuto davvero passare la notte lì nel vano tentativo di rendere la torre agibile per l’indomani. Domani? Alzai la testa di scatto e in un raptus d’ira scagliai contro Stark la sveglia, mancandolo di un metro e mezzo abbondante.
“Domani? Come diavolo credi che possa fare a rendere agibile sto casino per domani!? Forse ti è sfuggito il microscopico dettaglio dell’enorme voragine nel solaio. Lo vedi? ....Che c’è?”
Era strano il modo in cui il mio capo mi stava guardando attraverso l’elmo aperto. Ok, gli avevo appena gridato in faccia, era ovvio che fosse incazzato... ma quella non sembrava un’espressione arrabbiata, più che altro era seria. Quasi non riuscivo a credere hai miei occhi. Stark serio. Assurdo, semplicemente assurdo. Doveva essere successo qualcosa di gravissimo per farlo diventare così.
“Jarvis, chiama un’ambulanza.”
Il tono duro nella sua voce mi fece tremare. Ero davvero così grave? Mi guardai il polso che la bestia mi aveva afferrato. Non aveva smesso per un istante di farmi male e si stava lentamente gonfiando. Per un braccio rotto però, non era mai morto nessuno. Alzai lo sguardo verso il mio capo, pronta a rassicurarlo prima di procedere a raccontargli tutto l’accaduto. Si era avvicinato, ormai era ad un passo da me. Reduce dallo scontro con Hulk lo smalto dell’armatura era saltato in alcune parti e graffiato in molte altre. Nonostante questo però, era ancora lucido come uno specchio, tanto che il mio viso riusciva a riflettersi nella sua piastra pettorale. No, non poteva. Non potevo essere io. Mi portai una mano tremante al volto, ed un’esplosione di dolore infiammò il mio fiso quando sfiorai uno dei solchi rossi che mi sfregiavano. Aprii la bocca, ma prima che potessi parlare il mondo si tinse di nero e persi coscienza.

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Capitolo 4
*** Troppi fiori, poca fortuna ***


Arrabbiarmi, gridare, chiedere per favore, minacciare di chiamare un avvocato, non era servito a nulla. Ogni mio tentativo era miseramente fallito. Non mi ero arresa s’intende, ma devo ammettere che le mie speranze si stavano affievolendo. Ero imprigionata lì da almeno due giorni e iniziava seriamente a mancarmi la mia vita di prima, persino la parte che riguardava i capricci di Stark. Anche se ero decisamente preoccupata per il mio futuro, l’unica cosa su cui mi concentravo in quei giorni era all’architetto a cui avevano affidato i lavori alla torre dei vendicatori, un tale di nome Jo Bridges. Lo odiavo. Per carità, magari era pure una brava persona! Io questo non potevo saperlo visto che non l’avevo mai conosciuto, eppure, lo odiavo lo stesso. Rigirandomi sotto le coperte, in quella stanza d’ospedale, che a me sembrava una cella, non riuscivo a fare altro che rodermi il fegato dalla rabbia, chiedendomi cosa stesse facendo quello sconosciuto, al povero grattacielo che mi era stato affidato. Che era stato affidato a ME, non a LUI. In tutta sincerità non potevo davvero capire come avesse il signor Stark potuto mettere una sua creazione nelle mani di uno sconosciuto. Stupido Stark! Se almeno mi avessero dato delle indicazioni su come stavano procedendo i lavori mi sarei sentita più tranquilla. Invece zero. Dagli uffici delle Stark Industries mi arrivava il silenzio più assoluto. Per ingannare il tempo avevo provato ad accendere la tv, ma era stato ancora peggio. I telegiornali parlavano solo dell’essere ritrovato nella torre, dilungandosi in spiegazioni assurde sui motivi della sua comparsa. I giornali erano un po’ meglio. I titoli variavano da “La grande mela di nuovo sotto attacco” a “Bruce Banner: un nuovo mostro”. Sì, sempre della stessa cosa parlavano, ma almeno erano più fantasiosi. Non riuscii comunque ad arrivare alla fine di un solo articolo. Era come leggere un libro dopo aver visto il film. Ok, nel libro ci sono molti più dettagli e  spesso, rende meglio la trama, ma alla fine la storia è sempre la stessa. Io quella vicenda l’avevo vissuta in prima persona, quindi potevo dire addio alla suspance del finale, anche perché il finale era la cosa peggiore. Nel novanta percento dei giornali risultavo come una specie di superdonna che aveva ucciso uno dei mostri che, qualche mese prima, aveva minacciato New York. Io non mi sentivo affatto così. Avevo un polso rotto ed il volto sfigurato, era inutile girarci attorno. Pepper mi aveva gentilmente consigliato il nome di un ottimo chirurgo plastico che si reputava in grado di cancellarmi le cicatrici definitivamente. Peccato che io non le avevo ancora quelle benedette cicatrici. I medici restavano sul vago ovviamente, ma mi era chiaro che ci sarebbe voluta un’eternità perché le ferite si rimarginassero del tutto. Mi sarei dovuta sposare così o avrei dovuto rimandare le nozze, alternativa che mi pareva impossibile, vista la quantità di tempo che avevamo impiegato ad organizzarle. Sempre se Davide mi avesse voluta ancora... Cosa che io allora potevo solo supporre, visto che non gli avevo ancora raccontato dell’accaduto. Lo so... Sarebbe stata la terza persona da chiamare in un caso del genere, ma proprio non ne avevo la forza. Non ero nemmeno riuscita ad avvisare i miei genitori. Ero persa proprio in questi pensieri quando, quel pomeriggio, bussarono alla porta della mia camera. Sulla prima feci finta di nulla, temendo che fosse un altro stupido giornalista. Ne erano venuti a dozzine e li avevo cacciati tutti. Ero una povera donzella con un braccio ingessato e la faccia graffiata, come cazzo si permettevano di venirmi a rompere le palle? Quel giorno però mi stavo davvero annoiando troppo, così decisi di far appello a tutta la poca pazienza di cui ero fornita e invitai candidamente ad entrare il mio visitatore. Tutti i neuroni del mio cervello si attivarono contemporaneamente vedendolo, eppure riuscii solo a pensare “Wow” non che ci fosse altro da dire, s’intende. In piedi sulla soglia, Scott mi sorrideva gentilmente, tenendo stretto tra le mani un piccolo mazzo di fresie azzurre. Fin da quando ero bambina, sono stati i miei fiori preferiti, di quel colore poi, non potevo che amarle. Elegante nel suo completo grigio scuro, l’uomo fece un passo avanti.
“Ciao Francesca”
Con l’intento di salutarlo aprii la bocca, peccato che non ne uscì alcun suono. La richiusi. Non poteva essere davvero lui. Non avrebbe avuto motivo di essere lì e poi, come avrebbe fatto a scoprire dov’ero? Ma cosa più importante: perché aveva deciso di rifarsi vivo proprio quando io avevo addosso quell’imbarazzante camice da ospedale? Maledetto il suo tempismo ed i miei capelli spiaccicati e scompigliati dal pisolino che avevo appena fatto.
“Ciao Scott. Che... che sorpresa vederti!”
Ci volle un bel po’, ma alla fine parlai e miracolosamente, la mia voce non suonò come quella di una totale rimbambita. Avanzò ancora, prendendo una sedia, che pose accanto al mio letto. Nonostante l’imbarazzo ero felice di vederlo. Era un viso amico, anche se quasi non lo conoscevo ed io avevo davvero bisogno di un po’ di conforto.
“Mi fa piacere vedere che stai bene. A detta del telegiornale eri ad un passo dalle porte dell’inferno”
Al telegiornale? Avevano fatto vedere una mia foto in quelle condizioni, al telegiornale? Cani maledetti! Me l’avrebbero pagata! E se la notizia fosse arrivata ai miei prima che gliela potessi dare io, me l’avrebbero pagata due volte. Inspirai profondamente, dovevo mantenere la calma.
“Sì bhé... in televisione esagerano sempre. Di un braccio rotto non è mai morto nessuno”
Avevo volutamente ignorato le ferite al volto. Non era cortese affrontare un argomento tanto delicato con un quasi-sconosciuto.
Scoppiò a ridere. Aveva uno strano senso dell’umorismo Scott. Me ne’ero già accorta da un pezzo, ma la cosa mi traumatizzava sempre. Anche se dovevo ammettere che aveva una magnifica risata. Gli sorrisi a mia volta. Un sorriso teso, imbarazzato. Lui dovette accorgersene perché cambiò argomento.
“Ti ho portato dei fiori ma...”
Si guardò in giro, con espressione supponente. Non aveva proprio torto in effetti. La mia stanza sembrava più un vivaio, che una camera d’ospedale. Avevo ricevuto ben dodici mazzi di fiori. Un gentile dono del signor Stark e dei Vendicatori, come augurio di pronta guarigione. Era chiaro che l’uomo d’acciaio si sentiva in colpa ed era anche chiaro che erano stati tutti scelti da Pepper. Srark non aveva né il gusto per scegliere dei fiori, né tantomeno la pazienza necessaria ad ordinarli per telefono. Scott invece me li aveva persino portati a mano. Che dolce.
“Sono molto belli... Grazie. C’è un vaso lì, ti dispiacerebbe metterli là dentro?”
Avevo decisamente voglia di sgranchirmi le gambe e li avrei messi personalmente nell’acqua, se avessi avuto i pantaloni. Sfortunatamente nella scarsa divisa che l’ospedale forniva, non erano compresi. Come non lo erano mutande e reggiseno. In effetti quello che l’ospedale forniva era un orrendo camice bianco a pallini azzurri, totalmente aperto dietro. Avevo già fatto abbastanza figure poco dignitose con Scott, non mi sarei pure alzata, anche se probabilmente avrei dovuto farlo, vista la sua espressione dubbiosa.
“Quel vaso è pieno”
Effettivamente c’erano dei girasoli in quel vaso. Dettaglio non poi così significante a parer mio.
“Sì, sono un po’ appassiti, non trovi? Lì c’è un cestino comunque.”
Scott si alzò sogghignando e si fermò davanti ai fiori. Mi lanciò un’occhiata di sbieco prima di voltarsi nuovamente e sbirciare la scritta che compariva sul bigliettino del fiorista. La conoscevo a memoria quella frase. L’avevo letta su ogni bigliettino allegato ad ogni mazzo di fiori. “Auguri di pronta guarigione” e la firma. Che fantasia il grande inventore, è?
“Non credo che a questo... Tony farebbe piacere sapere quanto tieni ai suoi doni”
Sarebbe anche potuto sembrare vagamente dispiaciuto, peccato che mentre pronunciava quelle parole stesse gettando il mazzo di girasoli nel cestino. Tanto quanto furono secchi i suoi movimenti mentre buttava i fiori del mio capo, altrettanto fu gentile nel sostituirli coi suoi. Feci uno sforzo per non scoppiare a ridere. Era proprio un tipo strano lui.
“Non credo nemmeno che sappia che fiori mi ha mandato... è il mio capo”
Mi lanciò un ampio sorriso in tralice, mentre lasciava che il bigliettino facesse la stessa fine dei fiori. Effettivamente non aveva smesso un istante di sorridere da quando era entrato, eppure in un certo senso non lo stava facendo nemmeno in quel momento. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo, per così dire, “felice”.
 “E tutte le altre dozzine?”
“Sempre del mio capo”
Gli risposi senza pensarci troppo. Non ci vedevo nulla di strano in fondo, visto che era colpa dei suoi casini se ero finita così. Quel gradasso si faceva nemici ovunque con le sue avventure strampalate e poi non si prendeva la briga di tenerli a bada. Si era messo un’armatura e aveva iniziato ad andarsene in giro a fare l’eroe e nessuno si era permesso di dirgli nulla. Per carità, era anche utile quando si trattava di dare una mano durante i lavori più importanti delle sue industrie, il problema era... bhé, tutto il resto. Gliene avrei dette quattro stavolta quando ci fossimo rincontrati.
“Capisco”
Con un’unica parola Scott mi aveva offesa orribilmente. Uno strano sguardo ammiccante era comparso sul viso. Capiva? Cosa cavolo credeva di capire quello lì? Non c’era proprio nulla da capire.
“Guarda che non stiamo assieme. Io ho un fidanzato, sto per sposarmi”
Glielo dissi chiaramente, perché capisse una volta per tutte e non ci fosse bisogno di rispiegarglielo.
“E i suoi fiori sono...”
Normalmente la cosa mi avrebbe fatta incavolare da matti, ma quella volta in particolare mi sentii solo molto in imbarazzo. Non gli avrei mentito comunque... Non sarebbe stato da me. Ho sempre cercato di essere sincera in vita mia, non per finti moralismi o perché la gente potesse nutrire fiducia nei miei confronti, ma per evitare le immense figure di merda che facevo ogni volta, quando la verità veniva a galla. Non c’è neanche mai voluto molto perché si scoprisse la verità, basta guardarmi in faccia. Il mio stupido viso è sempre stato un libro aperto con tanto di illustrazioni a colori, per essere certi che tutti capiscano cosa provando in ogni momento. Motivo per cui ho sempre perso a Poker.
“Non ci sono... non è che non gli importa e che non lo sa”
Sarebbe stata mia intenzione non far sembrare la cosa tanto pessima con quell’ultima frase, ma avevo peggiorato le cose. Per un instante cadde il silenzio tra noi. Dovevo essere io a spezzare quel silenzio, altrimenti mi sarei beccata un altro di quei suoi Capisco supponenti. Dovevo dire la verità, una verità intelligente però...
“Non ho potuto chiamarlo... Sai hanno messo il mio cellulare tra le prove... Assieme a tutto il resto nella mia borsa, i vestiti e la tua sciarpa... Mi spiace, vorrei potertela restituire, ma credo ci vorrà un po’”
GRANDIOSA. Ero stata semplicemente grandiosa. Non solo ero riuscita a dare una versione sensata dell’accaduto senza sembrare una pazza complessata, ero pure riuscita a cambiare discorso. Se avessi potuto mi sarei sdoppiata, per potermi stringere la mano e farmi i complimenti. Ora tutto dipendeva da come l’avrebbe presa lui.
“Tienila pure... Prendila come un dono in onore della tua vittoria contro il chitauro”
Non mi sembrò molto convinto a dire il vero... In parte, mi parve lo seccasse che avessi perso la sua sciarpa, ma feci finta di nulla. Avevo altro a cui pensare in effetti, ossia capire che era il ki-coso di cui parlava. Il nome mi era famigliare in effetti, ma dove l’avevo già sentito? A sentir lui dovevo averlo sconfitto quindi la gamma delle possibili risposte esatte si riduceva...
“Oh, certo! Il mostro!”
Cadde di nuovo il silenzio tra noi. Un silenzio totalmente diverso questa volta. Scott aveva la bocca leggermente aperta e mi guardava sbalordito. Neanche gli avessi detto che degli alieni giganti stavano distruggendo NY... Ecco dove l’avevo già sentito! I telegiornali non avevano fatto altro che parlare di quei mostri per mesi. Non c’era da sorprendersi che fosse tanto attonito...
“Ti sembro una pazza è? Il fatto è che tra pazzoidi con fruste d’energia che distruggono il gran premi di monaco, Hulk che picchia mostri giganti e enormi robot metallici che cadono nel Nuovo Messico, il tg parla di stragi e distruzione ogni giorno... È atroce e... Alla fine, non so... Ho semplicemente smesso di ascoltarlo... So che non serve a migliorare la situazione, ma almeno evita che le mie notti siano piene di incubi. Ti sembrerò un’insensibile...”
Lui si avvicinò e tornò a sedersi. Questa volta però, sul letto accanto a me. Quel suo strano sorriso, capace di mille sfaccettature, ne aveva presa un’altra nuova, che per quanto pareva rassicurante, portava con sé uno strano retrogusto di compassione, quasi superiorità.
“Più umana direi”
Non sapendo che dire gli sorrisi. Era tanto vicino che potevo sentire l suo profumo. Questa volta non mi allontanai come avevo fatto il giorno del nostro “addio”. Quel profumo, anche se dolce, iniziava un po’ a piacermi. Colpa della sciarpa che mi ci aveva fatta abituare, ovviamente. Lo guardai negli occhi, cercando di capire a cosa lo aveva spinto ad avvicinarsi tanto, ma appena lo incrociai, il suo sguardo cambiò, riempiendosi di tristezza.
“Come ha potuto farti una cosa tanto orribile...”
Distolsi lo sguardo di scatto, cercando di trattenere le lacrime. Anche col viso mezzo bendato, era chiaro che ero stata sfigurata. Inspirai profondamente, chiudendo gli occhi. Non ebbi il tempo di finire il mio solito rituale. Sentii Scott muoversi e istintivamente spalancai gli occhi. Si era avvicinato ancora, chinandosi un po’ verso di me. Forse a causa della mia espressione sorpresa, decise di retrocedere, ritornando nella posizione precedente. Quale che fosse il suo intento però, non sembrava intenzionato a demordere. Con movimenti lenti per non spaventarmi, come se fossi un’animale selvatico che sarebbe potuto fuggire via da un momento all’altro, portò una mano sulle bende e gentilmente le sfiorò, facendo scorrere le dita sul mio viso. Per quanto pesante fosse la fasciatura, riuscii a sentire il suo tocco sulla pelle, accarezzare le mie ferite, senza farmi alcun male.
“Sono cero che svaniranno senza lasciar traccia”
Fu poco più di un sussurro quello che mi rivolse. Non c’era bisogno che alzasse di più la voce, l’avrei sentito anche se avesse parlato ancora più piano. Era tornato ad avvicinarsi lentamente ed ora i nostri volti non distavano che pochi centimetri. La sua mano era scesa sul mio collo e lì s’era fermata, come per impedire una mia possibile fuga, ma senza abbandonare la leggerezza che caratterizzava il suo tocco. Ero stata messa in trappola da quello strano cacciatore, che non sembrava affatto volermi fare del male. Si avvicinò ancora, impercettibilmente. I suoi occhi si erano fissati  nei miei ed il suo sguardo mi tolse qualunque dubbio potessi ancora avere sulle sue intenzioni. Sentii il suo respiro tiepido, scivolare sulle mie labbra. Mi stava provocando. Voleva fossi io a scoprirmi, a fare l’ultima mossa ed io la feci: mi tirai indietro. Letteralmente. Puntai la mano sana sul materasso e mi spostai, allontanandomi, fino a trovarmi con la schiena contro la testata del letto.
“Se pensi che sia messa male, dovresti vedere l’altro”
Per un attimo lui mi fissò contraddetto. Non era quello il finale che si era aspettato, ma prese la cosa sportivamente e scoppiò a ridere. Con disinvoltura si alzò e tornò a sedersi sulla sedia, posta accanto al letto. Era un tipo sfrontato Scott. Senza farsi problemi spostava il mobilio, quasi baciava una ragazza fidanzata e poi tornava a comportarsi come se nulla fosse. Come se fosse riuscito a riavvolgere il tempo e a tornare alla parte del nostro incontro che più gli andava a genio.
“È un uomo fortunato il tuo fidanzato”
Gli sorrisi, un po’ tesa. Se quello era un modo per chiedere scusa... Bhé, faceva abbastanza schifo. Le avrei accettate comunque. In fondo non si poteva dire che avesse fatto nulla di male.
“Sono io la fortunata”
Lo pensavo davvero. Scott sembrava davvero un ragazzo fantastico e magari lo era davvero, ma non poteva, ai miei occhi, essere meglio di Davide. Lui per me era l’uomo che più si avvicinava alla perfezione. Come se fosse su un diverso gradino della scala evolutiva. Ne avevo incontrata di gente super negli ultimi tempi, ma anche se erano straordinariamente intelligenti, se avevano una fonte d’energia impiantata nel torace o riuscivano a colpire una mela da trenta kilometri di distanza, erano comunque persone normali... o meglio, pazzi, egocentrici e psicopatici... Come ogni altra persona sulla faccia della terra insomma. Non come Davide però. Lui era differente, era paziente, premuroso, divertente, paziente (sì l’ho già detto, ma per aver a che fare con me, quella era una qualità davvero importante) e non mi considerava una pazza isterica... O quantomeno non me lo faceva pesare... Insomma se Sark era un homo sapiens sapiens, Davide doveva essere... Che so... Un homo superior. Come avrebbe mai potuto Scott competere con un tipo così?
“Mi sovviene alla mente una cosa a riguardo”
Gli sorrisi. Non avevo capito. Mi capitava a volte di non comprendere ciò che mi stessero dicendo. Per quanto bene potessi parlare l’americano, non era comunque la mia lingua madre e parole come sovviene restavano al di fuori dalla mia portata. Tra l’altro Scott aveva un modo bizzarro di esprimersi che complicava notevolmente il dialogo tra noi. Almeno per quanto mi riguardava. Non feci tempo a chiedergli di ripetere, che lui infilò una mano nel taschino interno della giacca. La domanda che volevo fargli mutò improvvisamente diventando: Che ci fai in giro con un pennarello? Nuovamente non ebbi tempo per porgli la domanda. Sotto il mio sguardo attonito prese il mio braccio ingessato, portandoselo vicino. Piccola parentesi: sì, perché mentre a tutti gli altri pazienti del globo era concessa una cura decente, ossia l’arto rotto veniva avvolto in una rete plastica colorata (non chiedetemelo non so neanche io che è), io mi ero dovuta beccate uno stupido gesso vecchio stile, senza neanche mezza spiegazione a riguardo. Massì, in fondo mi era andata bene, visto che altrimenti Scott non avrebbe potuto pasticciarlo, come invece stava facendo. Solo quando ebbe finito potei esaminare il suo lavoro. Era una scritta o qualcosa del genere. Straniera sicuramente, visto che non riconoscevo minimamente i caratteri.
“Significa fortuna, in una lingua antica”
Non potei fare a meno di ringraziarlo. Era stato un gesto molto carino da parte sua. Avrei voluto saperne di più. Che lingua fosse, come facesse a conoscerla e altre cose così, sfortunatamente lui si alzò. Con un paio di frasi di circostanza si congedò rapidamente, quasi stesse scappando via. Non potevo dargli torto in fondo, non era stato molto fortunato con me... Forse però da quel momento lo sarei stata io.

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Capitolo 5
*** L'età di una leggenda ***


                Ci erano voluti due giorni, ma alla fine la fortuna era arrivata. Eccome se era arrivata! Quella giornata era iniziata nel migliore dei modi: mi avevano dimessa dall’ospedale, anche se i medici avrebbero voluto tenermi lì ancora un po’ per studiare il mio caso. Le ferite sul mio viso stavano guarendo con una velocità sorprendente e la cosa li scioccava. Per come la vedevo io, era una gran botta di culo e non l’avrei sprecata standomene lì. Appena fuori, dopo una brevissima pausa a casa, ero andata alla stazione di polizia, che sapevo aver sequestrato la mia roba. Lì un poliziotto aveva minacciato d’arrestarmi per aggressione a pubblico ufficiale. Patetico! E dire che gli agenti di polizia dovrebbero essere delle specie di eroi che combattono per la nostra sicurezza, non ragazzine che si mettono a strillare se gli dai uno spintone. Comunque, dopo quindici minuti di caziata ero stata rilasciata, senza la mia roba. Me ne andai all’ufficio di Stark con un diavolo per capello. Avevo davvero bisogno di parlare con la mia famiglia, il mio ragazzo e Stark, per sbattere fuori dalla torre dei vendicatori quello stupido architetto. Arrivata al grattacielo, che ancora ospitava provvisoriamente, l’ufficio di Stark ebbi un attimo di esitazione. Era strano per me entrare dall’ingresso. Ero sempre passata dai parcheggi e mi trovai un po’ disorientata, non sapendo bene dove fosse l’entrata dell’ascensore. Girai per qualche minuto per la hall, senza un’apparente destinazione, finché Jarvis non mi salvò, indicandomi con la sua voce gentile, la strada. Arrivai senza problemi ai piani distrutti. Quantomeno, quel Jo Bridges aveva fatto tornare la corrente in tutti i piani. Le porte si aprirono davanti a me, il cantiere era stato aperto, anche se da poco. Non pareva essere messo tanto male, al contrario... ma non potevo dare un giudizio chiaro della situazione senza un sopraluogo adeguato. Avrei dovuto addentrarmi in quel caos per accertarmi delle condizioni del cantiere e capire che interventi aveva messo in atto l’architetto. Schiacciai il tasto dell’ultimo piano. Con la mano che ancora tremava mi dissi che la mia priorità non era quella, che prima di tutto dovevo chiamare i miei. L’ascensore si fermò all’ultimo piano ed entrai nell’immenso open space che sarebbe dovuto diventare la sala dei Vendicatori, ma che si ostinava ad essere l’ufficio/stanza dei giochi di Stark. In teoria lui sarebbe dovuto essere lì a lavorare, ma ovviamente era da qualche parte a divertirsi. Meglio per me insomma. Senza troppi complimenti mi sedetti alla scrivania e presi il telefono. Il minimo che poteva fare il signor Stark per risarcirmi, era di pagarmi la chiamata intercontinentale. Fu una delle telefonate più difficili della mia vita. Appena sentì la mia voce, mia madre scoppiò a piangere. Aveva già saputo dell’accaduto dai giornalisti e la cosa l’aveva molto spaventata. Mi aveva chiamata circa cinquanta volte al cellulare, senza che nessuno le rispondesse ovviamente. La parte peggiore fu spiegarle com’era ridotta la mia faccia. Ogni due parole mi ritrovavo a ripeterle che stavo bene, che non avevo problemi, che sarei guarita e cose così. Non si può dire che io sia mai stata leggiadra e questo, com’è ovvio mi ha sempre causato numerosi piccoli incidenti. La maggior parte cavolate certo, ma alcuni anche abbastanza brutti. Come quando mi ruppi un piede, cadendo con la bicicletta nel canale, durante il periodo di secca, o come quando una golf nera mi investì all’uscita da scuola, slogandomi una spalla. Mia madre ormai ci si era relativamente abituata. Vedere la mia faccia al telegiornale delle cinque e scoprire che ero stata attaccata da un alieno, a quello non era abituata. Ero al telefono da circa quaranta minuti quando il Signor Stark entrò dal terrazzo, lasciando che Jarvis gli togliesse l’armatura. Neanche quello faceva da solo! Appena fu dentro mi lanciò un’occhiata accigliata. Certo, avrebbe preferito che io restassi in ospedale, così si sarebbe sentito meno in colpa.
“Sei seduta alla mia scrivania. Nessuno può sedersi alla mai scrivania”
Figlio di... Inspirai profondamente, ignorandolo. Ero totalmente decisa a non dargli retta finché non si fosse dimostrato interessato al mio stato di salute.
“Chi era tesoro?”
Ingoiando la stizza che mi stava divorando tornai ad interessarmi alla povera donna che aveva avuto la sciagura di darmi alla luce.
“Il Signor Stark mamma. Sto telefonando dal suo ufficio ed è appena arrivato...”
“Non mi piace quel signor Stark. Ti mette in situazioni pericolose, avrei preferito che tu avessi accettato quel lavoro in trentino... saresti stata anche molto più vicina a casa...”

Sospirai. Mia madre era una santa donna, ma non perdeva mai occasione di rinfacciarmi qualcosa. Tra l’altro proprio non lo voleva capire che tra la costruzione di una scuola in trentino e la Stark Tower c’era un divario enorme. Comunque, almeno su una cosa aveva ragione, quello Stark non piaceva neanche a me.
“State parlando di me? Certo... chi non parlerebbe di me... cosa state dicendo su di me? è una chiamata intercontinentale quella?”
Lo fulminai con lo sguardo. La chiamata intercontinentale era l’ultimo dei suoi problemi, visto che mi aveva sostituita con un signor architetto-del-cavolo. Se non avessi deciso pochi secondi prima di non parlargli più, mi sarei tolta la soddisfazione di prendere a caci il suo ego e fargli sapere cosa una brava donna come mia madre pensava di uno scapestrato come lui. Al diavolo! Non sono mai stata capace di stare zitta io, perché avrei dovuto iniziare in quel momento?
“Scusa un attimo mamma... Sì, signor Stark, parlavamo di lei. Mia madre dice che lei non le piace, che è troppo borioso e che dovrebbe smetterla di comportarsi come un ventenne, perché non è dignitoso per un uomo della sua età... e sì, signor Stark, è una chiamata intercontinentale”
Ok, forse mi inventai un po’ di cose... Ma fu lo stesso bellissimo. Per qualche momento lo osservai boccheggiare, alla ricerca di qualcosa da dire. Cercando di riordinare il caos che regnava nella sua mente alzò un dito e se lo puntò addosso.
“Per un uomo della mia età? Quanti anni crede che abbia?”
“Aspetti, glielo chiedo... Mamma il signor Sterk vuole sapere quanti anni ha secondo te”
Per un lungo momento mia madre tacque, facendo un rapido calcolo mentale. Tendenzialmente lei era brava in queste cose.
“Non saprei tesoro... che domanda strana da parte sua... trentanove?”
Trentanove? Alzai lo sguardo sul signor Stark, che attendeva la risposta ansioso. Mica potevo dirgli una cosa del genere! Il suo ego era già abbastanza smisurato, rischiavo di farlo diventare un idiota montato... cioè, ancora più di adesso. Non avrei potuto mentirgli comunque... Io ero una pessima bugiarda e lui era il mio capo, se mi avesse beccata a dire balle su una cosa del genere, mi avrebbe di certo licenziata.
“Cinquantadue”
Non fui proprio in grado di resistere. Che mi licenziasse pure, io quella soddisfazione dovevo proprio togliermela. Lo so, sembro perfida e forse un po’ lo fui, ma a mia discolpa posso dire che il signor Stark era il tipo di capo che ti chiama alle tre di notte e pretende che tu lo raggiunga, a prescindere da dove si trovi, per poi chiederti di ridipingergli il garage dello stesso colore della nuova Ferrari che si è comprato, dicendoti che “questo compete a te”. In fondo forse aveva ragione mia madre, il trentino non era poi tanto male.
“Cinquantadue?!”
Lo ripeté quasi gridando. Era visibilmente scioccato. Avrebbe potuto avere un attacco di panico o una roba così. Forse non avevo fatto poi tanto bene a dirglielo. Le mie paure vennero dissipate appena lui riprese il controllo, guardandomi serio come durante il nostro ultimo incontro Alla torre dei Vendicatori.
“Riattacca”
Che permaloso il tipo! Comunque non potei fare a meno di ghignarmela sotto i baffi, mentre prendevo una biro dal portapenne. Non si era accorto della bugia, forse stavo diventando brava!
“Mamma devo andare... non è che prima riesci a dettarmi il numero di Davide?”
“Un attimo, vado a prendere l’agenda”

Il signor Strak mi fissava impaziente, con le braccia incrociate sul petto. Lo irritava sempre molto non essere al centro dell’attenzione, ma fece il bravo ed attese, per ben dodici secondi prima di ripetermi di riattaccare. Dopo la terza volta smisi di rispondergli e mi limitai ad alzare un dito, con fare seccato. Non mi ero mai divertita tanto in vita mia.
“Eccomi! Dunque...”
Senza aspettare che fossi pronta, mia madre si mise a dettare. Peccato che io fossi stata talmente presa dalla stizza di Stark, da non pensare a procurarmi qualcosa su cui scrivere. Allungai la mano verso un foglio, che era abbandonato sulla scrivania, ma appena lo sfiorai gli occhi del mio capo di sgranarono e quindi decisi di lasciar stare. Avevo tirato abbastanza la corda, non era il caso di mettersi pure a pasticciargli i progetti. Sospirando mi arresi all’idea che non mi restava altro che il gesso. Appuntai su lì il numero di Davide, prendendomi pure il tempo di ricontrollarlo e di salutare mia madre con tutta calma. Avrei voluto restare di più al telefono con lei, anche perché non riusciva a ricordarsi una cosa importante che a quanto pareva doveva dirmi. Alla fine però ci salutammo. Avevo stressato abbastanza il mio capo. La mia vendetta poteva dirsi compiuta, ora era il caso di mettersi al lavoro. Appena riagganciai lui mi guardò coi suoi occhi innocenti e gentilmente mi disse:
“Sai, sto pensando di licenziarti come architetto ed assumerti come guardia del corpo. Hai fatto davvero un bel lavoro col chitauro”
Per un interminabile momento lo fissai, zitta. Poi ripresi il telefono e composi il numero del mi ragazzo. Avevo fatto un bel lavoro? AVEVO FATTO UN BEL LAVORO?! Avevo un cazzo di braccio rotto, altro che bel lavoro! Se gli avessi parlato in quel momento, gli avrei lanciato in testa tutto il tavolo, altro che una sveglia. Lui mi osservava contraddetto. Probabilmente il suo sarebbe voluto essere un complimento. Aprì la bocca, ma prima che potesse parlare mi rispose la segreteria telefonica. Maledizione! Avrei dovuto aspettare ancora per parlare con Davide. Bhè... nel frattempo gli avrei lascito n messaggio, che non faceva mai male.
“Ciao amore... Sono Francesca... Bhè, lo sai visto che sono l’unica che ti chiama amore... cioè almeno lo spero... Comunque, io sto bene! mi hanno sequestrato il cellulare, quindi ti richiamo io appena possibile. Ti amo.”
Riattaccai, sospirando. Ero proprio un’imbranata con le segreterie telefoniche. Insomma, era difficile parlare con qualcuno che non ti rispondeva e poi mi prendevano sempre alla sprovvista. Comunque ora che mi ero tolta quel peso, mi sentivo meglio e potevo affrontare Stark.
“Rivoglio il mio lavoro.”
Lui alzò le spalle con aria innocente, mentre prendeva dalla scrivania un inquietante soprammobile di bronzo a forma di fiore... o qualcosa del genere.
“Non hai perso il tuo lavoro... l’ho sempre avuto questo?”
Lo stavo perdendo. Col tempo avevo capito una cosa del signor Stark: il suo livello d’attenzione per le persone che lavoravano per lui, faceva a dir poco schifo. Riusciva a parlarti circa trenta secondi, poi si distraeva e ti liquidava con stupidi pretesti. Quella però era una cosa troppo importante per me. Dovevo mettere le cose in chiaro una volta per tutte.
“Rivoglio il cantiere alla torre dei Vendicatori, quello alla Stark Tower, non voglio mai più sentir parlare di chitauri o alieni o mostri e non ho idea di quando lei abbia comprato quell’aggeggio, ma è orrendo e dovrebbe buttarlo.”
Per un attimo lui mi guardò, sovrappensiero. Chissà come, ero riuscita a riattirare la sua attenzione. Si sedette sulla scrivania e con un movimento secco mi puntò il soprammobile contro, guardandomi negli occhi.
“Controproposta: i cantieri alla Stark Tower e alla torre dei Vendicatori tornano a te, assieme al prossimo lavoro rilevante che mi troverò a dover far fare, ma tu mi racconti ogni dettaglio dell’attacco del chitauro e mi dici quanti anni ho realmente secondo tua madre”
Per un lungo momento ci fissammo negli occhi. Cazzo! Pura questa volta ero stata beccata... Non era male come proposta però. Quel fantomatico lavoro futuro mi ingolosiva da matti. C’era da considerare però che lui pareva molto interessato a quella storia del chitauro (e anche a quella dell’età), quindi probabilmente, sarei riuscita a strappargli un’offerta persino migliore. Dovevo resistere e negoziare.
“Accetto”
Sono sempre stata una pessima negoziatrice, uno dei miei tanti difetti. Se avessi continuato mi sarei solo scavata la fossa da sola e io a quel lavoro futuro proprio non volevo rinunciarci. Senza smettere di fissarmi negli occhi lui annuì.
“Ottimo.”
Con un gesto secco mi diede un buffetto sul petto con il soprammobile e si alzò dalla scrivania di scatto. Senza troppi complimenti mi diede le spalle e cestinò quella specie di fiore, facendo canestro nella spazzatura. Un ottimo canestro, com’era stata un’ottima scelta quella di buttare quel coso. Meno ottima era stata l’idea di darmi le spalle. Senza neanche tentare di fare la cosa di soppiatto, mi lanciai di corsa verso l’ascensore. Lui si voltò contraddetto, lanciandomi un’occhiata infastidita, mentre selezionavo il piano.
“Scusi signor Stark, devo controllare il cantiere al piano di sotto... ne parliamo dopo di quella cosa!”
Arrivai al cinquantaseiesimo piano in pochi istanti. Appena le porte si aprirono, davanti a me comparve il cantiere. Per quanto possa essere ben gestito un cantiere resta un cantiere. Il che significa che anche se erano stati rimossi tutti i detriti c’era comunque molta polvere, per non parlare dei teli di plastica e della roba varia sparsa ovunque. Feci un passo avanti e all’istante un brivido freddo mi percorse la schiena, obbligandomi a fermarmi. Le gambe mi tremavano. Anche se sapevo che era morto, ogni fibra del mio corpo era in allerta, attendeva il mio aggressore. Mi portai una mano al petto, in un gesto insensato, che avrebbe voluto rallentare il mio battito cardiaco, impazzito. Cazzo, perché era così dura tornare lì? Inspirai profondamente chiudendo gli occhi. Li riaprii. Espirai. Feci un passo avanti. Ero dentro. Non era stato così difficile, dai! Una strana allegria mi prese mentre mi guardavo attorno, sfoderando il mio blocco degli appunti. Era come se avessi appena compiuto un’impresa epocale, che avrebbe lasciato i segni nella storia... quantomeno nella mia. Era stato un piccolo passo per il mio corpo, ma un’enorme passo per il mio spirito. Ero sinceramente soddisfatta di me stessa. Iniziai a trotterellare per tutta la stanza, scarabocchiano ogni dettaglio utile del cantiere. Mi rendevo conto di sembrare una bambina delle elementari in gita, ma non me ne fregava nulla. Avevo tutto il diritto di comportarmi da idiota dopo i giorni infernali che avevo passato... e poi tanto non c’era nessuno a guardarmi. Mi fermai soltanto svariati minuti dopo, quando mi ritrovai davanti alla vetrata. Da lì la vista era davvero magnifica. New York era una città bella come poche, ma dimostrava appieno tutto il suo immenso fascino solo se vista dall’alto.  Lo spettacolo dei palazzi che svettavano uno affianco all’altro, ma ognuno ad altezza diversa era come sentirli gridare la loro somiglianza e la loro diversità, all’unisono. Ignorando lo strapiombo che si apriva qualche passo più avanti, mi avvicinai alla vetrata distrutta, per poter immergermi totalmente in quella magnifica foresta d’acciaio e vetro. Alzai il viso, curiosa di vedere quanti palazzi mi superavano in altezza. Quella era un’altra cosa che mi faceva impazzire di New York. Per quanto potessi essere in alto, c’era sempre qualcosa che s’alzava nel cielo, più in su di me. A quell’altezza non erano pochi i palazzi che mi superavano eppure, per la prima volta in vita mia, persi tutto l’interesse che avevo per l’architettura e mi si gelò il sangue nella vene alla vista del cielo. Un’immensa nuvola nera si stava addensando. Per un attimo tentai di convincermi che fosse il preludio di un temporale. Sapevo che non era vero. Era fin troppo ovvio che New York stava bruciando. Istintivamente portai la mano alla borsa. Cazzo! Mi ero ripromessa che mi sarei sempre portata dietro il cellulare, ma era rimasto dalla polizia. Tremante feci qualche passo in dietro. L’incendio era vicino. Troppo vicino. Mentre mi voltavo per tornare all’ascensore mi guardai distrattamente attorno. Il vento che entrava dalla vetrata in frantumi faceva sbattere i teli di plastica, provocando un rumore agghiacciante. Un brivido ci tenne a ricordarmi che eravamo in pieno inverno. Non mi ero accorta che faceva tanto freddo lì. Il tintinnare di qualcosa che cadeva mi tolse un battito. Immobile fissai il punto da cui era provenuto il rumore. Non sarei andata a controllare. Era stato il vento. Non poteva essere nient’altro, visto che io ero sola. Io ero lì, da sola. Qualcosa dentro di me mi spronò a correre, ma mi trattenni e ricominciai a camminare verso l’uscita. Non avevo le scarpe antinfortunistiche, né il caschetto, se fossi caduta mi sarei ammazzata. Come avevo fatto ad essere tanto idiota? Andare in quel posto da sola di nuovo! Stupida! Quando finalmente varcai la sogna dell’ascensore mi lanciai sulla pulsantiera, premendo un numero a caso. Volevo solo andarmene da lì. Non importava dove. Fu così che mi ritrovai di nuovo all’ultimo piano. Di nuovo da sola. Il signor Stark si era volatilizzato. L’dea di andarmene mi passò per la mente, ma in un istante scomparve, scacciata dal possente richiamo dei quel magnifico cordless delle industrie Stark, la cui bolletta non sarei stata io a pagare.
Quattro tentativi di chiamata al mio fidanzato e sessantadue minuti di telefonata con un’amica dopo, il “Supereroe” si decise a tornare. Sfortuna volle che fosse il supereroe sbagliato. Con il suo solito rombo accecante il dio del tuono atterrò sulla terrazza. Sguardo fiero e martello in pugno chiamò con la sua calda e profonda voce il guerriero d’acciaio, talmente forte che avrebbe potuto risvegliare la bella addormentata nel bosco o più semplicemente assordarmi. Indovinate quale si è avverata? Sospirando salutai Anna e mi alzai per andargli a dare un benvenuto degno del dio che era.
“Ma che cazzo fai? Thor, maledizione, te l’ho detto un milione di volte di finirla! Guarda per terra. La vedi la gigante bruciatura nera che hai causato? Quella non va via, cazzo! Bisognerà sostituire di nuovo tutte le piastrelle. Per l’ultima volta. FATTI TRASPORTARE SUL MARCIAPIEDE E ENTRA DALLA PORTA COME LE PERSONE NORMELI!”
Lui mi guardò. Il suo sguardo non era mutato e ancora teneva il martello stretto in pugno. Vagamente seccato abbassò lo sguardo sulle piastrelle carbonizzate. Con un movimento quasi impercettibile sfregò lo stivale sul pavimento, come per saggiare l’entità del danno. Molto meno spavaldo rialzò lo sguardo su di me.
“Sono costernato...”
Lo mugugnò, ma ne fui abbastanza soddisfatta. Era un periodo difficile per lui. Guai in famiglia. Suo fratello era Loki, una specie di galeotto. Uno di quelli pericolosi, braccati dallo Shield. L’artefice della distruzione di New York. Era scappato prima che lui lo mettesse in prigione. La cosa peggiore era però, che nessuno se n’era minimamente accorto, finché non l’avevano riportato in patria. A quanto avevo capito, origliando le loro conversazioni, aveva usato un trucco alla X-men e dopo essersela defilata, aveva lasciato una copia di sé nelle celle dello Shield per prendere tempo. Il duplicato era poi scomparso opportunamente, nell’esatto istante in cui Thor l’aveva consegnato a loro padre. Inutile dire che Odino l’aveva presa malissimo. Da allora il dio faceva la spola tra casa sua e la terra (grazie ai poteri del padre), nel disperato tentativo di riaciuffare Loki. Quindi non era il caso di essere troppo dura. Sorridendo gli feci cenno di entrare e lo avvisai dell’assenza di Stark. Non ne fu affatto sorpreso. D’altronde sarebbe tornato a breve, visto che Jarvis lo stava già avvertendo dell’arrivo dell’ospite.
“Ci sono notizie di mio fratello?”
Mi voltai verso di lui. Con gli occhi sgranati. Lo stava chiedendo a me? Che cavolo potevo saperne io? Ok, suo fratello era un dio... quindi il suo ritrovamento non sarebbe passato inosservato, credo. D’altronde li governo era sempre stato bravo a nascondere segreti ed io non ero la persona più attenta ai telegiornali della terra.
“Non che io sappia...”
Con aria depressa andò a sedersi su una poltrona. Sulla faccia aveva dipinta un’espressione da cucciolo abbandonato che, per qualche strano caso, mi fece venire in mente Scott. Il mio cuore si sciolse come burro sul pane tostato a quella vista. Avrei voluto trovare qualcosa da dirgli per rincorarlo, ma lui mi batté sul tempo.
“Che nemico ai affrontato per ferirti in tal modo?”
Lo fissai sorridendo. Non avevo capito. Come già detto, l’americano non è la mia prima lingua quindi il lessico complicato che lui tendeva ad usare, mi creava non pochi problemi. Comunque avevo capito che c’entravano le mie ferite. Quindi probabilmente mi stava chiedendo che mi ero fatta. Sventolando il gesso, che mi copriva la mano sinistra, risposi con sufficienza:
“Ma nulla... Un chitauro... cose che capitano!”
Gli sorrisi, mentre lui s’alzava in piedi di scatto. I suoi occhi azzurri come il cielo erano sgranati, fissi su di me. Eppure in quello sguardo allucinato vidi una luce strana... forse speranza.
“I chitauri sono nuovamente su questa terra?”
La sua voce rimbombò nella sala. Fece un passo, uno soltanto verso di me, ma bastò a terrorizzarmi. Era un eroe (almeno così si diceva in giro), quindi ero fiduciosa che non mi avrebbe fatto del male. Restava il fatto che era un muro di muscoli alto quasi due metri, con un martello. Un martello enorme. L’immagine del chitauro per un attimo si sovrappose alla sua. Tremante feci un passo indietro. Intimidita non riuscii a spiccicare parola.
“Dimmi dove si trovano!”
Mi spronò gentilmente, afferrandomi un braccio e scuotendomi con dolcezza per farmi riprendere. Non mi aiutò. Thor desiderava disperatamente ritrovare suo fratello e quello, in effetti, era un ottimo indizio. Io avrei voluto dargli una mano, dicendogli tutto ciò che sapevo, la mia voce però non era della stessa opinione. Come congelate, le mie corde vocali non si decisero ad aiutarmi. Così, per quanto io aprissi la bocca con l’intenzione di spiegare tutto l’accaduto, non riusciva ad uscirmi una sola vocale. Aprivo e chiudevo la bocca, senza emettere suono. Un pesce. Dovevo sembrare un pesce. La cosa mi turbò tanto da scacciare l’immagine del chitauro dalla mia mente, ma non abbastanza per farmi tornare la voce.
“Giù le mani dalla mia roba riccioli d’oro, papà orso è tornato”
Entrambi sapevamo bene a chi apparteneva quella voce. Mi voltai comunque verso di lui con l’intento di spaccargli la testa per avermi definita “roba sua”. Il mio intento morì sul nascere ed io tornai in modalità pesce nello stesso istante in cui lo guardai. Li guardai. Avevano fatto il loro grande ingresso dall’ascensore, splendidi nelle loro uniformi da eroi tutte bruciacchiate. Io però non vidi neanche il signor Stark. Ormai mi ero totalmente abituata ad Ironman. Capitan America invece, era la prima volta che lo vedevo. A bocca spalancata restai a fissare Steve Rogers, mentre Thor lo sollevava, con un calorosa abbraccio. Non credo avesse capito cosa gli fosse stato detto con esattezza, ma non pareva importargli molto.
“Amico mio, che gioia rivederti. Cosa vi è accaduto?”
Era da molto che i due non si vedevano. Il capitano Rogers era partito dopo il disastro di New York, per un lungo viaggio ed ora soltanto era di ritorno. Fiero nel suo abito a stelle e strisce il supersoldato gli rispose con voce gentile.
“C’è stato un attacco alla stazione di polizia di questo distretto, ma abbiamo risolto tutto”
Incredibile. Semplicemente incredibile. Per quanto tentassi il mio cervello non voleva riprendersi. Davanti a me c’era l’uomo di cui mio nonno mi aveva raccontato le gesta fin da bambina. I suoi capelli, dello stesso colore del grano e i suoi occhi azzurri, come il cielo in una limpida mattinata, erano esattamente come mi erano stati raccontati. Non riuscivo a crederci. Avrei voluto presentarmi, ma ogni muscolo del mio corpo era bloccato dall’emozione. Sarei rimasta in quella posizione per il resto della mia vita, se non fosse successo l’impensabile. Capitan America, il protagonista di tutte le fiabe che mi erano state raccontate, si voltò verso di me e mi tese una mano.
“Steve Rogers, piacere di conoscerla. Ho sentito molto parlare di te”
Per un lungo istante rimasi zitta a fissarlo. Aveva sentito parlare di me. Lui di me? Era assurdo. Totalmente assurdo. Tremante presi la sua mano e la strinsi. Appena aprii la bocca, la voce mi tornò, anche se tremava come non mai.
“Francesca Recidivo, pia-piacere... D-davvero, lei non può neanche immaginare che onore sia per me. È... è da tutta la vita che mi raccontano di lei...”
Il signor Stark mi lanciò uno sguardo indignato, si era accorto che non ero stata tanto emozionata quando avevo incontrato lui la prima volta. D’altronde, lui non aveva combattuto contro i nazisti. Avrebbe comunque tentato di recuperare il centro della scena, se Thor non gli avesse chiesto notizie del fratello.
“Spiacente, ma del lupo cattivo nessuna notizia... Ma non hai nient’altro di cui preoccuparti? Cacciare? Salvare principesse? Uccidere regine cattive?”
Lasciando timidamente la mano del più grande eroe che potesse esistere, fissai lo sguardo sul signor Stark a bocca spalancata. Il tatto non era mai stata una delle sue qualità, ma stava esagerando e Thor aveva un martello. Almeno la paura della morte avrebbe potuto farlo diventare un po’ meno... sì insomma, un po’ meno stronzo. Nulla invece. Pareva totalmente decisi a restare un egocentrico insensibile a vita. Senza aspettare una risposta né accennare a togliersi l’armatura, Stark riprese a parlare.
“Non importa. Ora ho io del lavoro per te. Jarvis, riunisci la squadra”





Ciance inutili

Ciedo venia per l'enorme attesa, purtroppo maggio è maggio e gli impegni universitari sono quello che sono... spero che questo capitolo sia decente e che le spiegazioni che iniziano a saltar fuori siano chiare e sensate, se così non fosse lamentatevi pure a più non posso.

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Capitolo 6
*** L'arrivo del principe Azzurro (e dei problemi correlati) ***


Scuse dall'autrice
Ok... parto col fare le mie scuse a tutti coloro che hanno letto e/o sono ancora interessati a leggere la mia storia... non ho postato niente per una vita e in tutta sincerità penso che a molti sia passata lo voglia di leggere, anche per via dell'uscita del nuovo film di Thor... comunque io intendo finire la storia esattamente come l'avevo pianificata all'inizio. In tutta sincerità la cosa che più mi preoccupa è che la protagonista o lo stile siano leggermente cambiati, in pegio ovviamente. Se così fosse, pregherei a chiunque ha ancora interesse di farmelo notare, cosicché io possa correggere il tiro. Senza dilungarmi ancora vi auguro buana lettura e vi chiedo nuovamente scusa per essere sparita. Ma prima di lasciarvi continuare:

Riassunto scrauso per rinfrescare le idee
Francesca Recidivo, promessa sposa e giovane architetto italiano, è incaricata di costruire la nuova torre delle industrie Stark e ricostruire la vecchia, modificandola affinché divenga la sede dei neonati Vendicatori. Una sera tornando in albergo investe per sbaglio un affascinante sconosciuto, Scott Fizgerald che finisce per ospitare per la notte. IL giorno dopo, ripresosi dalla botta Scott se ne va, lascindogli in regalo la sua sciarpa. Appena rientrata alla torre dei vendicatori Francesca viene aggredita da un chitauro che tenta di ucciderla, ma per una serie fortunata di eventi (fortunata per francesca non per il chitauro), lui muore e lei finisce all'ospedale (con un braccio rotto e la faccia sfregiata... poteva andarle meglio diciamocelo). Prorpio lì rincontra Scott che, prima tenta di baciarla e poi, dopo essere stato respinto le lascia sul gesso un ghirigoro che pare debba portarle fortuna. Appena uscita dall'ospedale Francesca va alla torre, decisa a tornare al lavoro, prima che possa farlo però viene bloccata dall'arrivo di Cpitan America, Thor (che fa la spola tra Asgard e Midgard alla ricerca del fratellastro Loki fuggito prima dell'imprigionamento) e da Stark, che è deciso a riunire i vendicatori per far luce sulla storia dei chitauri superstiti, che nel mentre hanno distrutto una stazione di polizia.


L'arrivo del principe Azzurro (e dei problemi correlati)

“Jarvis. Riunisci la squadra.”
Fa figo né? Sembra l’inizio di uno di quei momenti epici da film d’azione, uno di quelli con tante esplosioni e la colonna sonora degli ACDC. Un po’ meno figo è aspettare seduti per quaranta minuti buoni che Jarvis “riunisca la squadra”. Già, perché dirlo è un attimo, farlo è tutta un’altra storia. Durante quel tempo d’attesa interminabile fui più volte tentata di riprendere il telefono. Non lo feci. Il signor Stark già mi odiava per il luccichio che mi brillava negli occhi ogni volta che guardavo il Capitano Rogers, non era il caso di dargli altri pretesti per licenziarmi. Così me ne stetti buona, seduta su uno di quei divanetti di pelle marrone, che non puoi neanche muoverti di un centimetro senza che scricchiolino, tra una massa di muscoli coronati di biondo ed il più grande eroe di tutti i tempi, fissando in faccia quel pazzoide del mio capo, che ancora portava l’armatura. Mi sarei aspettata grandi discorsi da loro, in fono erano la squadra che aveva salvato la terra... Invece per quasi tutto il tempo si comportarono come tre bambini. Me lo aspettavo dal signor Stark, anzi mi sarei sorpresa se così non fosse stato, forse anche Thor aveva in fondo qualcosa che me l’avrebbe dovuto suggerire... Cap no, lui sarebbe dovuto restare superiore ed invece... Non che facessero qualcosa in particolare ecco... si punzecchiavano. Il bisticcio era iniziato quando il capitano Rogers aveva tentato di spiegare a Thor cosa fosse successo alla staziono di polizia. Con un tono solenne il signor Stark aveva posto il veto. Non voleva che se ne parlasse, almeno fino a che non ci fossero stati tutti
“Per non rovinare il colpo di scena” diceva lui... a questa grande dimostrazione di maturità erano seguite lamentele, rifiuti e alla fine Blue a tutto volume, affinché nessuno riuscisse a sentire quello che dicevano gli altri. Fatico ad ammetterlo, ma alla fine, il Capitano Rogers aveva accettato le condizioni del “terrorista” ed aveva cambiato argomento. Non servì a molto. Di qualunque cosa parlassero quei tre finivano per bisticciare. Solo Jarvis, come sempre, poté salvarmi da quell’asilo.
“Signor Stark, il Dottor Banner sta salendo”
Con uno sbuffo seccato, l’”eroe” in questione allargò le braccia, ringraziando il cielo, esasperato.
“Signor Stark, c’è anche un’altra questione che vorrei portare alla sua attenzione. La sicurezza sta riscontrando problemi all’ingresso per via di un individuo che non riesco ad identificare in alcun modo.”
Il capitano Rogers, elegante ed imponente, si alzò in piedi ed afferrò lo scudo preparandosi a sistemare la situazione. Con un gesto secco, Stark lo fermo.
“Tranquillo soldato, sarà una delle mie fan. Jarvis, dì all’agente della sicurezza di darle una mia foto autografata e di mandarla via.”
“Per l’esattezza è un ragazzo e chiede di poter incontrare la signorina Recidivo”
Me? Il lavoro per Stark, non mi aveva lasciato molto tempo libero ed io non ero mai stata particolarmente estroversa, quindi non conoscevo molta gente a New York. Di conseguenza non riuscivo proprio ad immaginare chi potesse essere... o meglio, non lo volevo immaginare, perché in effetti un ragazzo a New York lo conoscevo. Era davvero possibile che fosse lui?
“LEI? Chi è che la sta cercando?”
Il signor Stark mi stava indicando e sembrava di gran lunga più scioccato di me. Per un istante mi chiesi se fosse conscio di come aveva ridotto la mia vita sociale o se semplicemente non potesse credere che gli stessi rubato la scena...
 “Afferma di chiamarsi Corso, ma non ho alcun dato a supportare quest...”
Il mio squillo rese impossibile sentire la conclusione della frase. Non vado orgogliosa del mio atteggiamento, d’altronde posso scusarmi facendo presente che il mio cervello era andato in tilt. Saltellando come una bambina di sette anni a cui stanno per dare il regalo di compleanno iniziai a squittire ordini al povero Jarvis.
“Fallo salire! No! aspetta... scendo io! Digli che sto arrivando”
“Tu non vai da nessuna parte.”
Il tono del signor Stark fu perentorio. In un certo senso lo capivo... Aveva aspettato tanto per “riunire la squadra”, se me ne fossi andata avrei rovinato la sua rimpatriata strategica... io però proprio non potevo restare. Era da troppo che non vedevo Davide, non potevo lasciarlo nella hall da solo ad aspettare chissà quanto. Con lo sguardo più severo che mi riusciva corrugai le sopracciglia e mi piantai una mano sul fianco e sventolai il gesso con fare minaccioso.
“Signor Stark, mi dispiace rovinarle i programmi, ma a questo punto non credo che la signorina Natsha e il signor Clint arriveranno nella prossima mezz’ora, quindi io vado dal mio fidanzato e siccome sappiamo che non può licenziarmi se vuole che le racconti come sono andate le cose con il chi-coso, eviti di strillarmi addosso minacce inutili.”
Imitando la mia posa come avrebbe fatto una scimmia ammaestrata il signor Stark mi si piantò davanti.
“Signorina Nevrotica, mi spiace rovinarti i programmi, ma siccome oltre ad essere il tuo datore di lavoro io sono anche un tutore dell’ordine in quanto eroe riconosciuto delle più alte cariche dello Shield, ho l’autorità di ordinarti di restare per questioni di sicurezza mondiale. Quindi evita di strillarmi addosso e torna a sederti.”
Il tin sonoro dell’ascensore che era arrivato al piano sancì la fine dell’incontro e l’entrata in scena del Dottore Banner, che un po’ disorientato salutò i presenti.
Ero furibonda. Avrei potuto obiettare su più o meno tutto quello che aveva detto, a partire dal fatto che mi aveva appena cambiato il nomignolo fino ad arrivare alla certezza che nutrivo in me sul fatto che le carche dello Shield lo odiassero, e non dico le Alte Carche, ma tutte le cariche. Decisi però che non avrei fatto la figura dell’isterica davanti al mio eroe ed esercitando tutta la poca pazienza che mi era stata donata mi girai ed andai a salutare il dottor Banner, come avrebbe fatto una persona matura. Con cortesia, lui mi strinse la mano, lanciandomi quello sguardo di solidarietà, che solo chi ha che fare con un capo viziato come il signor Stark può capire. Io ricambiai sorridendogli il più innocentemente possibile, prima di scartarlo come avrebbe fatto Maradona e piroettare nell’ascensore alle sue spalle, sotto lo sguardo attonito del signor Stark. Ammetto che fui immensamente sorpresa quando constatai che l’ascensore non si bloccò a mezza strada. Ero profondamente convita che quantomeno il signor Stark avrebbe tentato di tenermi lì con la forza, al contrario riuscii ad arrivare a terra sana e salva. Sorridendo mi dissi che il portafortuna di Scott doveva finalmente aver iniziato a funzionare.
Appena le porte si aprirono il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. Rapidamente percorsi con gli occhi tutta la Hall. A pochi passi dalla porta d’ingresso c’erano tre agenti della sicurezza, tutti sguardi minacciosi e vestiti neri che mi lasciavano a malapena intravedere il ragazzo in mezzo a loro. Il bellissimo, fantastico, mozzafiatante, ragazzo in mezzo a loro. Cercando di darmi un contegno per non sembrare una bambina o una demente, mi incamminai. Col suo inglese imparato da autodidatta giocando hai videogame e parlando coi turisti, Davide stava sbraitando contro un tipo grande due volte lui che se volevano cacciarlo dovevano fare di più che minacciarlo con un taiser. Il suo accento marcatamente italiano rimbombava nella stanza, lasciandomi sulle labbra quello strano gusto di nostalgia che mi fece battere ancora più forte il cuore. Velocemente vaglia tutte le migliori frasi da film strappalacrime che mi permettessero di fare una degna entrata in scena, una cosa alla via col vento, che gli facesse balzare fuori il cuore dal petto. Mordendomi il labbro mi maledissi per non aver pensato a cercare uno specchio o qualcosa del genere prima di lanciarmi in ascensore. Dopo l’incontro con Thor e lo scontro con il signor Stark i miei capelli dovevano essere un disastro. Istintivamente mi passai una mano tra i ricci, sfiorando leggermente le garze... Cazzo! Mi voltai di scatto, riavviandomi verso l’ascensore. Altro che capelli! La mia faccia era mezza coperta da bende! Come avevo fatto a dimenticarmene? Non potevo farmi vedere da lui così. Mi bloccai a mezza strada, domandandomi se davvero non potessi. In fondo aveva fatto un viaggio infinito per raggiungermi. Proprio lui che era terrorizzato dall’aereo si era smazzato otto ore di volo. Non potevo lasciarlo lì ad aspettare il nulla. Mi voltai nuovamente per tornare da lui e da sotto quel maledetto berretto marrone dal taglio militare che non si toglieva mai, incrociai il suo sguardo. Il cuore saltò via dal mio di petto, facendomi dimenticare persino come si faceva a parlare.
“Ehy”
Non una frase da grande film d’amore certo... Ma sempre meglio di nulla dai.
Lo dico chiaramente: per una questione di decenza salterò tutta la parte che riguarda sbaciucchiamenti, flashback e pianti liberatori, quindi la successiva ora e mezza al nostro incontro. Ok, ok... Avevo lasciato intendere al Signor Stark che sarei tornata entro una mezz’ora... Ma a mio discapito posso dire che il mio solo orologio era quello sul cellulare, allora ancora classificato come prova nella stazione della polizia. Stazione che tra l’altro, almeno per quanto ero riuscita a capire, era stata mezza distrutta da un Chitauro. Quindi, tenendo presente che Davide non aveva l’abitudine di portarsi dietro aggeggi metallici, per calcolare l’ora non avevo che la mia percezione del tempo, molto distorta dalla presenza del mio fidanzato che non vedevo da mesi e si stava comportando da vero gentiluomo consolandomi con frasi tipo: “andrà tutto bene” o “Sei bellissima comunque” a cui non credevo per nulla, ma che mi faceva molto piacere sentire.
La prima cosa che avevo fatto, tra una lacrima e l’altra, era stata chiedergli di allontanarci dalla Stark Tower (e quindi da quel pazzoide del mio capo). Così, dopo un breve viaggio in auto ci infilammo in un bar a caso per parlare un po’ in pace e ci sedemmo ad un tavolo non molto distante dal bancone. Il locale non era un gran che... a dirla tutta puzzava di fritto, era troppo pieno di tavoli da bigliardo perché ci si potesse muovere comodamente ed era bazzicato da gente il cui habitat naturale dovevano essere i vicoli bui del bronx. Comunque, non me ne sarebbe potuto fregare di meno. Ero al settimo cielo, finalmente ero tra le braccia del mio fidanzato che era del tutto intenzionato a sposarmi con o senza faccia da mummia. Sarei potuta restare in quella bettola per tutta la vita, sfortunatamente uno schianto sonoro appena fuori dal locale, mi riportò al mondo reale, sancendo la fine della mia pausa.
“Che diavolo...
Davide allarmato si era girato di scatto verso la porta, come metà del locale d’altronde. Con un sorriso riconciliante, venato di stizza mi alzai sospirando. Purtroppo io c’ero abituata a quel genere di cose pallose.
“Tranquillo amore, deve essere quel cretino del mio capo”
Con un sopracciglio alzato lui mi fissò. Non era una cosa normale quella. D’altronde si sarebbe presto reso conto che molto poco della mia vita a New York era classificabile come “normale”. Come per confermare quel pensiero la porta d’entrata venne sradicata dai cardini e scagliata sulla strada. Uno stridente rumore di freni riempì l’aria, mentre una bestia dalla pelle azzurrognola si piegava per entrare dalla soglia. Mentre io a bocca aperta osservavo la scena, il barman, un uomo di mezza età con le basette, prese, come se fosse la cosa più normale del mondo, una rivoltella da sotto il bancone e sparò in testa al chitauro. Il colpo rimbalzò sull’elmo metallico della bestia, scalfendolo. Nel locale la gente iniziò a gridare minacciosa. Qualcuno dal fondo lanciò una bottiglia di birra, che andò a frantumarsi sul muro, a qualche centimetro dalla belva, che per un istante parve scioccata, forse persino più di me, dalla scena che aveva davanti. Delle formiche lo stavano minacciando. Un verso roco che per un istante scambiai per una risata iniziò a crescere dalla gola della bestia, fino ad esplodere in un grido agghiacciate, che saturò l’aria, annientando ogni altro suono. Avevo ancora la bocca spalancata e gli occhi sgranati, quando Davide mi afferrò, trascinandomi sotto il tavolo. Non era un gran che come riparo certo, ma se fossimo stati fortunati saremmo passati inosservati. Mi aggrappai a lui, che tremava quanto me. Forse di più. Fissammo il chitauro che avanzò nel locale fino ad arrivare al bancone, dietro a cui si era rannicchiato l’intrepido barman. Il resto dei coraggiosi si erano precipitati verso l’unica uscita d’emergenza, e si stavano strattonando a vicenda, per uscire prima. Ancora gridando la bestia sradicò il banco a mani nude e lo gettò contro la porta antincendio. Il mobile, impattò contro il metallo e ricadde sulla folla. Grida strozzate, di dolore e paura sovrastarono quelle della bestia, che come per riaffermare la sua importanza afferrò con una mano sola il barman e lo fissò per qualche istante. La sfacciata sicurezza sul volto dell’uomo era scomparsa, nonostante tenesse ancora la rivoltella tra le mani. Anche se si trovava distante una quindicina di metri potevo vedere chiaramente le sua mani tremare, mentre tentava nuovamente di puntargli l’arma contro. Prima che avesse il tempo di premere il grilletto la bestia lo lanciò via con noncuranza. Gridando il corpo dell’uomo cadde pesantemente su un tavolo da bigliardo, non lontano da noi, e rotolò a terra, trascinando con sé numerose sfere di finto avorio. Dovetti tapparmi la bocca con una mano, per impedirmi di gridare. Non c’era sangue sul corpo dell’uomo, ma la sua spalla si era assestata in una posizione innaturale ed aveva smesso di gridare. Affianco a me, il corpo di Davide s’irrigidì. Mi voltai verso di lui, cercando qualche parola di conforto, che più che dire, avrei voluto ascoltare. Era spaventato questo sì, ma c’era qualcosa d’inquietante nel suo sguardo, che mi costrinse a seguirne la traiettoria fino ad arrivare all’oggetto del suo interesse. La rivoltella del barista era a terra, non molto distante da noi. Con l’unica mano buona strinsi Davide con tutta la forza che avevo, tentando di far sembrare la mia voce sussurrante perentoria.
“No. Toglitelo dalla testa. Se strisciamo sotto i tavoli possiamo arrivare all’uscita senza essere visti e chiamare i Vendicatori”
Con una mano tremante cercò di allontanarmi piano, ma io mi opposi.
“È una buona idea. Fallo.”
Mi sorrise, con quel suo sguardo cretino da “andrà tutto bene” a cui non credevo per nulla, poi con uno strattone deciso si liberò dalla mia presa ed avanzò a carponi verso l’arma. Avrei voluto fermarlo, ma sapevo quanto era cocciuto e che l’unica cosa che sarei riuscita a combinare sarebbe stata farlo scoprire. Incerta sul da farsi lo sguardo mi finì sul barman che aveva perso i sensi, o peggio. Non mi avvicinai. Non sapevo nulla di medicina, anche se fossi andata da lui non l’avrei saputo aiutare. L’unica cosa che davvero potevo fare che fosse vagamente utile era cercare di chiamare gli Avengers. Cercando di capire quale fosse la strada più sicura mi guardai intorno. Il chitauro, mi aveva superata ed ora mi dava le spalle. Si era diretto verso la folla. Strillando, in un impeto di rabbia, una ragazza gli spaccò addosso una stecca da biliardo. Senza alcun graffio, la belva si girò verso di lei e l’afferrò per un braccio, alzandola. Le grida terrorizzate della ragazza furono coperte per un istante dallo scoppio di un’arma da fuoco. Il chitauro la lasciò cadere a terra e si voltò, attratto dallo sparo. Nonostante il primo colpo fosse rimbalzato via Davide tentò ancora. Per nostra fortuna l’armatura della bestia era ben diversa da quella dell’aggressore alla torre dei vendicatori. probabilmente era un modello più leggero, vista la mancanza delle placche pettorali. Fu appunto alla parte del torace rimasta scoperta che Davide mirò. Il colpo arrivò a segno e si conficcò nel corpo della bestia, anche se non parve affondare molto. Più irritato che ferito il mostro iniziò a liberarsi la strada verso la sua vittima, lanciando da parte qualunque ostacolo incontrasse. Arretrando per ristabilire la distanza Davide premette nuovamente il grilletto. Guardando il colpo andare a segno compresi che non sarebbe servito a nulla. Non c’era nulla di umano nel mostro che avevamo davanti. Non si sarebbe fermato, qualunque cosa avessimo fatto. Tremando strisciai all’indietro senza rendermi conto di star uscendo dal mio nascondigli. Ero finita dove un tempo si era trovato il bancone. La belva, accecata dall’ira, non mi degnò di uno sguardo e procedette, gridando, verso l’immagine ormai resa sfocata dalle lacrime del mio promesso sposo, che continuava quel suo disperato tentativo. Per quanto indietreggiasse, ostacolato dai tavoli, Davide non procedeva velocemente e la distanza tra loro si riduceva in fretta. All’ennesimo sparo mi voltai dall’altra parte. Non avrei sopportato di vedergli fare la fine del barman. Il rosso acceso di un estintore, nascosto nell’ultimo pezzo di bancone rimasto mi illuminò lo sguardo come un miracolo. Mi rimisi in piedi ed andai a prenderlo, decisa ad usarlo per accecare la bestia e poi pestare quel mentecatto del mio ragazzo che aveva deciso di mettersi a fare l’eroe a così poco tempo dalle nostre nozze. Era pesante ed io con un braccio ingessato non riuscivo ad avere una prese decente su quell’aggeggio. Sentii un grido strozzato, ma tentai d’ignorarlo e finsi di non riconoscere quella voce. Con il cuore che mi batteva all’impazzata appoggiai l’estintore sul bancone e con un agilità che non avevo mai avuto, sganciai la sicura. Senza staccare gli occhi sulla bombola rossa, per non vedere cosa mi accadesse attorno, presi il tubo nero con la mano buona e premetti col gesso il gancio. Una densa scia bianca si espanse nell’aria. La belva si voltò verso di me, finendo nel getto di polveri chimiche. Il suo grido di rabbia mi riempì la testa facendomi gelare il sangue nelle vene. Improvvisamente compresi che sarei morta lì. Immobile osservai la belva lottare per avanzare contro il getto, mentre una nuvola bianca le si attorcigliava attorno. Dopo pochi istanti la bestia fu ad un passo da me. Tanto vicina che se avesse allungato una mano mi avrebbe afferrata. Non lo fece. Le sue mani erano contratte al peto, stringendosi le ferite causate dai fori di proiettile. Una mano mi afferrò tirandomi di lato, allontanandomi dal bancone. Afferrai quella mano con tutte le mie forze, mentre lacrime di gratitudine mi riempivano gli occhi. Davide era vivo. Prima che me ne rendessi conto fui fuori dal piccolo locale. L’aria fredda mi attanagliò il corpo, riscuotendomi dallo stato di panico in cui ero precipitata. Ancora stringendo la sua mano diedi uno strattone a Davide costringendolo a fermarsi.
“Adesso niente più stronzate. Andiamo a chiamare i Vendicatori”
Lui mi fissò per un momento esterrefatto. Forse il mio tono era stato più duro del voluto, comunque se lo meritava visto quant’era stato idiota. Lui aprì a bocca, come per ribattere. La richiuse senza proferire parola. Non infierii, non era il caso. Avevo vinto ed era palese che non potesse dirmi nulla per scusarsi. La voce metallica proveniente da un altoparlante riempì il silenzio innaturale che era sceso tra noi.
“Signori, dirigetevi rapidamente dietro il posto di blocco”
Alzai gli occhi, eravamo in piedi, in mezzo alla strada, circondati da auto della polizia.
“Sai… credo lo sappiano già”
L’odio mi riempì gli occhi. Ho sempre detestato aver torto. Specialmente con lui. Specialmente dopo aver fatto la figura dell’idiota per non essermi accorta di sei auto della polizia ed un cospicuo numero di poliziotti. Un ringhio profondo riempì l’aria... E non era il mio. Il chitauro emerse dal locale, colmando rapidamente la distanza che lo separava da noi. Arrancava, ma non mi sembrò meno pericoloso. Al contrario, l’ira che gli riempiva gli occhi sembrava renderlo in grado di ammazzarci tutti.  Davide mi strattonò per allontanarmi dalla bestia e farmi cenno che era ora di darsela a gambe. La bestia fu più veloce. Con un gesto secco artigliò il mio fidanzato, sollevandolo da terra. La mia stessa voce riempì l’aria con un grido di terrore. Col viso contratto in uno spasmo di dolore la bestia ritrasse la mano. Lasciando che Davide crollasse a terra. L’aria, piena di elettricità statica sfrigolò quando afferrai il mio fidanzato per la maglietta, per spronarlo a rimettersi in piedi. La belva fece prima di lui. Era immortale. Non c’era nulla che potessimo fare per fermarlo. Una scia blu, bianca, rossa squarciò l’aria e si conficcò nel petto del Chitauro. Senza un gemito la belva crollò a terra. Il ritmo profondo scandito dai passi di un eroe prese il posto del pulsare forsennato del mio cuore, riportando il mondo alla tranquillità. Senza una parola d’autocelebrazione Capitan America si accostò al corpo del nemico sconfitto e con uno strattone elegante riprese possesso della sua arma. Splendido, nella sua uniforme a stelle e strisce si voltò verso di noi con uno smagliante sorriso.
“Tutto a posto miss Recidivo?”
Il mio cuore perse un battito. Un chitauro aveva appena tentato d’uccidermi.. di nuovo. Senza contare che con un braccio rotto e la faccia mummificata avrei dovuto passare le giornate a farmi coccolare dalle infermiere, altro che bar mezzi distrutti e mostri assassini. Un profondo sospiro d’ammirazione mi sfuggì dalle labbra.
“Sì, magnificamente”
Fosse stato il signor Stark, lo ammetto, gli avrei sfuriato contro… Ma come potevo incavolarmi davanti all’uomo che oltre ad avermi appena salvato la vita, era pure l’eroe della mia infanzia.
“Ora dovreste recarvi dai paramedici”
“sì, è meglio.”
Con uno strattone poco gentile Davide mi trascinò via. La sensazione di sollievo che mi aveva invasa sentendo la voce sicura di Cap sparì nell’istante in cui finii tra le grinfie dei paramedici. Provo molto rispetto per i paramedici e lo staff medico in generale e capisco quanto il loro  lavoro sia importante, solo… quando sei appena stata terrorizzata da un chitauro, avere un tizio che ti acceca puntandoti una luce negli occhi non è proprio la tua massima aspirazione. Non mi visitarono a lungo. C’erano molte persone in condizioni gravi e non era il caso di perdere tempo con me. Così, senza aver realmente capito cosa stesse accadendo, mi ritrovai seduta sul marciapiede opposto a quello del bar, con una coperta sorprendentemente calda sulle spalle, in attesa che qualche poliziotto mi interrogasse. Avrei potuto aspettare in eterno. Non c’era nemmeno un agente che fosse lì a far nulla. Tra vigili del fuoco, paramedici e poliziotti sembrava che l’intera New York si fosse mobilitata. In qualche modo, quello era davvero uno spettacolo rincuorante, ma io non riuscivo in nessun modo a calmarmi. Forse era solo colpa del frastuono che le operazioni di soccorso creavano, o forse era solo colpa della voce fastidiosa del signor Stark, che era arrivato sul luogo assieme a Cap e Thor, ma al contrario loro, non riusciva a dare una mano senza pavoneggiarsi come una cheerleader. Più probabilmente però era solo colpa si Davide, che dopo aver tentato di farsi ammazzare, era stato inghiottito dalle autorità ed era sparito. Non so se fosse più per il bisogno che avevo di sapere che stesse bene o se semplicemente lo volessi lì accanto a me, ma non potevo fare a meno di cercarlo con gli occhi e maledirlo per la sua assenza. Certo, mi rendevo conto che quella non era una situazione normale e che c’erano cosa ben più importanti da fare che consolare me, ma io non riuscivo a smettere di volerlo accanto a me… Mi alzai. Non aveva senso restare lì a tremare. Se Davide non veniva da me, non mi restava che andare a prendermi una cioccolata calda. Non mi avrebbe fatto bene quanto vedere lui, ma sarebbe stata un’ottima sostituta. Mi guardai attorno, cercando un bar o qualcosa di simile. Non dovetti cercare molto. In fondo alla strada c’era un locale con una grande insegna luminosa che recitava “coffee” a chiare lettere. La perfezione fatta a locale. Decisa a raggiungere il mio obbiettivo, mi strinsi la coperta sulle spalle, tenendola ferma con la mano buona e superai il nastro giallo della polizia. Dovetti spintonare un po’ per farmi largo tra la folla di curiosi che si era radunata lì attorno. Per un lungo momento, mentre tiravo spallate, li odiai. In tutta sincerità non riuscivo a capire quale piacere sadico li spingesse a stare fermi in piedi a congelare, per osservare un locale distrutto e della gente ferita. Dovevano essere malati. Io avrei dato qualunque cosa per essere in un altro posto e non aver mai visto quel locale. Non potei non sentirmi sollevata quando infine li superai. Finalmente fuori da quella barriera umana, tirai un sospiro. Davanti a me la strada era semivuota e l’insegna del locale continuava a brillare invitante. Il peggio era passato, ora non dovevo fare altro che colmare quei cinquecento metri che mi separavano dalla caffetteria. Non erano poi molti cinquecento metri. Anzi erano pochi. Se fosse successo qualcosa, mi sarebbe bastato gridare per attirare l’attenzione di metà della polizia di New York. Non c’erano problemi. Già, e poi che sarebbe dovuto succedere? Nessun alieno era tanto stupido da attaccare la terra nell’esatto punto dove si trovano gli Avengers… Senza contare che, come diceva mia nonna, un fulmine non cade mai due volte nello stesso punto, quindi era davvero improbabile che accadesse qualcosa proprio a cinquecento metri dall’ultimo posto in cui era caduto un fulmine. Non mi restava che andare e l’avrei fatto se le mie gambe non si fossero rifiutate di collaborare. Erano intorpidite dal freddo o dalla stanchezza. Mi voltai, ponderando l’dea di tornare dentro al nastro giallo, la scartai all’istante quando rividi la barriera di gente. Non era tanto l’idea di doverli superare di nuovo che mi disturbava, quanto il chiasso che facevano. Le loro voci confuse mi riempivano la testa, causandomi un principio d’emicrania. Al confronto loro la strada vuota che avevo davanti, si trasformava in uno spettacolo davvero allettante. Feci qualche passo, per allontanarmi dal caos e istantaneamente il mondo mi sembrò più silenzioso. inizialmente la calma mi diede un po’ di forza per fare qualche altro passo, ma l’energia si esaurì praticamente subito e la strada iniziò a vorticare attorno a me. Con le gambe intorpidite mi fu impossibile mantenere l’equilibrio e caddi a terra. Rimasi lì a terra per qualche istante. Improvvisamente il freddo si fece più intenso attorno a me. Ero stata incredibilmente stupida a decidere di andarmene. Ero stata stupida ad allontanarmi. Feci uno sforzo e mi rimisi in piedi, ma nuovamente la testa prese a girarmi prepotentemente. Provai a chiudere gli occhi. Fu inutile, non c’era modo di far smettere il mondo di ondeggiare. Un braccio mi girò attorno alle spalle facendo l’impossibile e fermando l’universo. Non mi sottrassi a quella stretta. Qualcosa dentro di me mi diceva che ero al sicuro, senza contare che non avevo affatto vogli di spezzare quel momento perfetto di pace.
“Va meglio?”
Quella voce gentile mi fece riscuotere, allarmandomi. Sapevo di chi era quella voce. Cercando un buon compromesso tra gentilezza e decisione, mi sottrassi alla stretta di Scott. Non volevo che fraintendesse. Io ero fidanzata. Lui mi guardò con aria un po’ dubbiosa. Forse ero io che stavo fraintendendo. Improvvisamente mi sentii stupida. Non era affatto detto che lui ci stesse provando… poteva anche essere che avesse capito il rifiuto della volta scorsa e che adesso fosse semplicemente gentile.
“Sì, grazie…”
Glielo boffonchiai in modo impacciato, ma lui finse gentilmente di non notarlo. Con uno di quei suoi sorrisi-non-sorrisi alzò il vassoio di cartone che teneva due enormi bicchieri di carta. Un forte profumo di cioccolato mi riempì le narici. Nella mia testa fece eco la voce di mia madre, che mi ripeteva di non prendere caramelle dagli estranei e quella di mio padre, preoccupato che qualcuno mi mettesse una droga nel bicchiere se solo l’avessi perso di vista per un nanosecondo. Presi il bicchiere e gli diedi un piccolo sorso. Era buonissima. In una situazione normale avrei rifiutato, ma come già detto ero fiduciosa che un fulmine non potesse cadere due volte nello stesso punto.
“È buonissima… come lo sapevi?”
Lui mi fissò per un attimo con innocenza, poi scrollando leggermente le spalle.
“Era per un’amica… ma vista la situazione, credo te la sia meritata”
Per un lungo istante pregai che la terra si aprisse e mi inghiottisse. Non lo fece, così fui costretta a combattere contro l’imbarazzo per aver nuovamente frainteso tutto. Ero un’idiota completa. Inspirai profondamente, sforzandomi di sorridere.
“Scusa…”
Mi fece cenno di seguirlo. Per qualche istante lo osservai camminare incerta sul da farsi. Non mi andava di girare per la città. Non mi andava neanche di restare sola o riprovare a superare la folla. Rimasi immobile, ad osservarlo allontanarsi, mentre il cuore incrementava il suo ritmo di battito in battito. Si era allontanato da un’istante, o forse camminava già da diversi minuti, non avrei saputo dirlo. Quello che potevo dire era che si era già allontanato enormemente. Mi aveva lasciata sola. Ero sola. Improvvisamente la testa riprese a girarmi e non potei fare a meno di desiderare che Scott mi riprendesse nuovamente tra le sue braccia, impedendomi di cadere a terra. Forse gridai. Certamente le mie labbra si aprirono, ma non so dire se ne uscì qualche suono. So che caddi, lo so perché mi ritrovai a terra. Per un’istante caddi nell’oscurità. Quando ne riemersi nessuno si era voltato. Nessuno mi aveva vista o sentita. C’erano molte persone in quella strada e nessuno s’era accorto di me. Inspirai profondamente, facendomi forza sulla mano sana per rimettermi in piedi. La presa, prima ancora che riuscissi ad affermarla, mi scivolò. Il mio braccio destro. Il mio bracci sano era immerso in una pozza calda, che mi fece rabbrividire. Per un lungo istante mi chiesi se mi stesse facendo male oppure no. L’unica cosa che sentivo era freddo. Avrei voluto rialzarmi o quantomeno tirarmi nuovamente addosso la coperta, ma la paura di cadere nuovamente a terra bloccò i miei muscoli, immobilizzandomi. L’ombra di Scott mi coprì, mentre la sua mano mi afferrava con forza la spalla e mi tirava dolcemente. Non si fermò quando fui seduta. Continuò a tirarmi con forza finché non fui nuovamente in piedi. Con la coda dell’occhio guardai la pozza che mi ero lasciata dietro, il bicchiere di carta ancora galleggiava nella cioccolata. Che spreco. Scott non diceva nulla. Immobile mi fissava con uno sguardo strano che trasudava dispiacimento.
“Sto bene! Sono solo caduta… Sono una ragazza goffa. Mi spiace solo per la cioccolata”
Raccolse da terra la coperta, me la avvolse attorno alle spalle e mi sorrise, per una volta mi sembrò un sorriso vero.
“Mi concederesti l’onore di offrirtene un altro bicchiere?”
Non ce l’avrei mai fatta. Il bar più vicino era ad una distanza che ormai mi pareva incolmabile. Come se non se ne rendesse conto lui mi porse il braccio, invitandomi ad aggrapparmi a lui o a procedere a braccetto, come una coppia ottocentesca. Era buffa la sua galanteria, ma faceva la sua grassa figura.
“Sai… Sembra davvero comodissimo quel marciapiede, io opterei per sedermi lì”
Lui chinò il capo in un cenno d’assenso, continuando a tendermi il braccio. Sarebbe sembrato uno scemo se l’avessi ignorato, quindi l’afferrai. Effettivamente era dannatamente comodo quel marciapiede. Probabilmente era solo colpa della stanchezza che mi sentivo addosso, ma fu una vera gioia potermi sedere tranquilla.
“La prima volta che ci siamo incontrati ero fradicia, la seconda in un letto d’ospedale ed ora sono coperta di cioccolata. Ti sarai fatto una pessima opinione di me”
Rise. Fu una risata soffocata, come se volesse nasconderla, ma la sentii nitidamente. Era la prima volta che sentivo ridere qualcuno così.
“Al contrario, direi che sono impressionato. Ho visto come hai respinto il chitauro…”
Pur non abbandonando il suo sorriso di vetro, il suo sguardo era diventato improvvisamente duro, serio. Non sapevo che film avesse visto lui mentre io gridavo come una pescivendola in mezzo alla strada, ma sicuramente non era lo stesso che avevo vissuto io.
“aha… l’avrò terrorizzato con il mio urlo de banshee”
Lui mi fissò per un attimo dubbioso, come se si stesse domandando se lo stessi prendendo in giro o ci stessi credendo davvero. Ad onor del vero, dovevo ammettere che tutti i torti non ce li aveva. Qualcosa di miracoloso aveva davvero respinto la belva prima che stritolasse a morte il mio ragazzo, ma da lì a dire che ero stata io c’erano mille anni luce di distanza. 

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Capitolo 7
*** Tempo di chiacchiere ***


C’erano volute ore, praticamente tutta la giornata, ma alla fine, dopo un’attesa infinita e un interrogatorio straordinariamente superficiale, la polizia mi aveva lasciata andare. Devo dire “mi” perché ad essere precisi Davide se l’era cavata subito. La sua scomparsa poco dopo l’intervento di Cap era stata proprio dovuta alla polizia, che l’aveva immediatamente interrogato.  Chissà poi perché l’avevano requisito con tanta urgenza in un momento importante come quello, neanche qualcuno gli avesse detto che era un terrorista. Io non ero stata altrettanto fortunata. Al contrario, ero stata quasi l’ultima ad essere sentita. Quantomeno un lato positivo in quella situazione c’era: ero riuscita a passare il resto della giornata con Davide. Certo, eravamo in una stazione di polizia piena di gente strillante e sudata, non proprio il posto più romantico del mondo, ma quantomeno nessun’altro chitauro tentò di ucciderci.
Era quasi il tramonto quando finalmente ce ne potemmo andare e dentro di me era cresciuta la certezza che sarebbe stato uno splendido, magnifico tramonto, che sicuramente avrebbe rasentato la perfezione su una carrozza di Central Park. Uno di quei tramonti che ti devi per forza godere o rischi di non trovare mai più. Quindi, appena fatto un passo fuori dalla stazione di polizia, fissai gli occhi su quel ragazzo magnifico che presto avrei sposato, pronta ad usare i peggio trucchi per realizzare quella magnifica visione.
“Salve signorina Recidivo. Mi dovrebbe seguire.”
Un gemito di dolore mi sfuggì dalle labbra. Mi voltai a guardare lo splendido soldato, che mi sorrideva gentilmente, pur non abbandonando la fermezza nella sua voce. Non potevo credere che il mio eroe stesse distruggendo i miei sogni.
“Senza offesa, ma credo sia meglio che vada a casa a riposarsi un po’.”
Mi rivoltai verso Davide. Per una legge divina ormai stampata nel mio DNA, ero profondamente convinta che nessuno avrebbe mai dovuto contraddire Capitan America, in quel preciso frangente, la cosa mi sembrò però perdonabile, anzi quasi giusta.
“Lei dev’essere il signor Corso, giusto? Posso capire che la voglia proteggere, perché anche io voglio la stessa cosa. Quello che deve capire però, è che non è questo il modo. Quello che sta accadendo è qualcosa più grande di voi. Siamo alle porte di una nuova guerra signor Corso. Se davvero vuole che sia al sicuro. Se vuole che questi attacchi finiscano. Dovete seguirmi. Altrimenti, non solo lei, ma miliardi di persone saranno in pericolo.”
Wow. Se mi fossi concentrata abbastanza ero certa avrei sentito un’intera orchestra suonare l’inno americano in sottofondo. Doveva aver aspettato tutto il pomeriggio per potermi scortare, dovunque dovessimo andare.
Anche se ancora poco convinto Davide annuì. Dal canto mio, io avevo perso ogni voglia di contraddirlo e buona parte delle mia facoltà mentali appena avevo sentito le parole “anche io voglio la stessa cosa” cioè “proteggermi”. Proteggere ME. per quanto il mio subconscio mi dicesse “Farebbe la stesa cosa anche per un vecchio con tutte e due i piedi nella fossa! Perché lui è Capitan America” Tutto il resto del mio corpo gridava “Fottitene e goditi il momento!”
Così salimmo in auto –quasi certamente una delle industrie Stark- con Cap, arrivando in pochi istanti alla, ancora in ricostruzione, torre dei Vendicatori. Quando le porte dell’ascensore si aprirono, mi resi conto che col nostro arrivo la squadra poteva finalmente dirsi riunita.
Il signor Stark non mi avrebbe mai perdonato d’averci messo tanto.
“Finalmente! Sai, è da un po’ più di mezz’ora che ti aspettiamo”
Appunto. Quantomeno si era tolto l’armatura e ora indossava un completo elegante, che lo faceva sembrare un po’ meno pazzo.
“Mi dispiace signor Stark, ma sa com’è… Mentre tornavo qui sono stata quasi uccisa da un chitauro e requisita dalla polizia… Sciagure che capitano insomma”
Lui mi fissò con ira. Io lo rifissai con altrettanta ira. Mi stava sfidando e anche se mi rendevo conto di quanto sembrassimo infantili in quel momento, non intendevo perdere.
“Se te ne fossi restata buona qui, come TI AVEVO DETTO, non sarebbe successo.”
Lo shock mi fece ammutolire per qualche istante. Anche se l’aveva nascosto in una frase ero certa di averlo sentito dire “te l’avevo detto”. Sapevo che fosse infantile… ma non fino a quel punto. Mi piantai le mani sui fianchi, in segno di sfida. Non avrebbe vito, non così.
“Se non fossi venuta a lavorare per lei, o se sapesse garantire un minimo di sicurezza al suo personale, non sarebbe successo.”
Stark incassò il colpo, ma sapevo che era pronto a ribattere. Fortunatamente Clint intervenne, aggiudicandomi così l’ultima parola.
“Abbiamo cose più importanti di cui parlare direi”
“Per prima cosa potresti dirci chi sono questi due ad esempio”
Natasha Romanoff era seduta su una poltrona, con un elegante vestito da sera bordeaux, dallo spacco imbarazzante. Aveva gli occhi fissati su di me, e un sopracciglio alzato, come a sottolineare quanto fossi fuori posto lì. Teneva  le mani intrecciate e le gambe accavallate, tanto per concedersi un’aria ancora più da stronza superba. La odiai dal primo sguardo e la odiai ancora di più, quando smise di fissarmi e iniziò a fissare Davide, abbassando quel sopracciglio irriverente.
“Sa, è educazione presentarsi prima di chiedere informazioni sulla gente. Comunque io sono Francesca Recidivo, l’architetto del signor Stark e lui è il mio fidanzato.”
Dicendolo presi Davide sottobraccio, facendomi un po’ più vicina a lui. Potrei dire che fu una specie d’istinto di protezione, o roba simile, ma la verità è che stavo marcando il territorio. Volevo che le si stampasse per bene in quella testa cotonata, che poteva fissare e rifissare il MIO fidanzato quanto voleva, lui restava proprietà privata.
Lei si alzò e venne da noi, davanti a noi.
“e il TUO fidanzato, ha anche un nome per caso?”
Ci eravamo capite, questo era chiaro, il problema che sorgeva ora era che non pareva intenzionata ad arrendersi. Al contrario, mi stava sfottendo. Avrei tanto voluto dirle che non erano affari suoi, o una risposta sagace del genere, sfortunatamente, quel cretino del mio fidanzato se la stava già ridendo.
“Davide Corso, piacere”
Lui allungò la mano e lei gliela strinse. Li avrei schiaffeggiati volentieri entrambi. Soprattutto Davide, visto che non correvo il rischio che mi rompesse un braccio prima che ci riuscissi.
Stark batté con forza le mani, chiudendo la conversazione.
“Ok, se le due gattine hanno smesso di azzuffarsi, vi inviterei a tornare al posto da bravi bimbi e ascoltare la lezione in silenzio.”
Girandosi Natasha mi guardò per un istante negli occhi. Potevo leggerci un “sono io la femmina alfa, ricordatelo” scritto in stampatello maiuscolo in quei fondi di heineken che erano le sue iridi. Maledetta. La seguii in silenzio, senza lasciare un attimo il braccio di Davide. Appena ci sedemmo, Stark si schiarì la voce ed iniziò il suo comizio.
“Per prima cosa facciamo un veloce riepilogo dell’accaduto: I chitauri sono tornati sulla terra. Probabilmente l’esplosione del Tesseract, ha lasciato dei residui energetici, che ad intervalli irregolari riescono a conglomerarsi, creando delle brecce che i chitauri usano per arrivare fino a qui”
“Come facciamo a chiudere queste brecce?”
Cap, nobile come sempre, era già pronto all’azione.
“Non lo sappiamo e comunque non ci interessa. Se mi avessi lasciato finire –Stark gli lanciò un’occhiataccia- sapresti che io e il dottor Benner abbiamo già studiato la cosa. L’energia si sta disperdendo naturalmente e in tempi brevi dovrebbe sparire del tutto naturalmente. Cercare di intervenire per rendere più rapido il processo sarebbe pericoloso, quindi non lo faremo.”
“La tua proposta è di lasciare che continuino ad invaderci?”
Potevo capire che il Capitano Rogers fosse scioccato da quell’eventualità e in tutta sincerità, lo ero anche io.
“Non mi sembra poi una cattiva idea. Visto che la cosa è temporanea, possiamo benissimo continuare a fermarli quando si presentano e aspettare che finisca”
Possiamo continuare? Ora era Clint quello a cui avrei tirato più volentieri un ceffone. A lui e a quel suo “NOI” che non sapevo bene chi comprendesse visto che fino a quel momento lui non c’era stato neanche per mezzo secondo.
“E lasciare che continuino a razziare Midgard? Questi attacchi potrebbero terminare, ma sarà davvero per sempre? Io propongo di spostare questa guerra sul loro campo di battaglia. Attraversiamo la breccia e fermiamo il problema all’origine.”
Non fui mai tanto grata a Tohr quanto in quel momento. Finalmente una proposta intelligente.
“Quello d’invadere altri pianeti e assoggettare popolazioni, è proprio un vizio di famiglia, è?”
Alle parole di Stark, il dio scattò in piedi. Era paonazzo in viso. Senza nessun tatto il grande eroe in armatura aveva visto la ferita che il ragazzone biondo aveva sul cuore e ci aveva infilato un dito dentro.
“Sei abile a giocare con le parole Stark. Ma sai, quanto tutti loro, che non è questo che sono, né è ciò che voglio”
Certo che lo sapevamo. Lui voleva andare là e prendere a calci in culo il boss, per poi tornare indietro con qualche accordo di pace. Non il piano migliore di tutti i tempi, ma comunque il migliore che era stato proposto fino ad allora.
Stark sospirò.
“Tranquillo ragazzone, era solo una battuta. Ora, se la smetteste tutti di interrompere, passerei a spiegare il piano. Quello intelligente.”
Per un attimo ebbi il dubbio che con “quello intelligente” intendesse se stesso e non il piano.
“Dunque: ho esaminato gli attacchi e trovato un elemento comune. Il primo attacco è avvenuto alla torre dei vendicatori, al cinquantaquattresimo piano, dove c’era solo Francesca.”
Davide mi prese la mano e un brivido mi corse lungo la schiena. Avrei voluto dire che la colpa era di quel ricordo, ma la verità era che Stark mi aveva chiamata per nome per la prima volta da quando ci conoscevamo. E non era certo un buon segno.
“Il secondo attacco è avvenuto alla stazione di polizia, in cui  Francesca si era recata quella mattina e che teneva in custodia i suoi oggetti personali, sotto sequestro.”
Coincidenze. Fottute, maledette coincidenze e Stark era meschino a tirarle fuori.
“Il terzo attacco è avvenuto in un bar dove, guarda caso, Francesca stava pomiciando col suo ragazzo, quindi…”
Mi alzai di scatto. Ero furibonda. No. Non avrebbe scaricato a me la patata bollente. No. Io ero una ragazza normale, con una vita normale.
“No. Primo: non stavo pomiciando. Secondo: Non provi mai più a tirarmi dentro questa faccenda. Io non ne voglio sapere niente. E se lei –Stark aprì la bocca- NO. Non provi ad interrompermi. Se lei vuole giocare a fare l’eroe sono affari suoi. Io non ne voglio sapere niente. Non voglio essere una supereroina o cagate del genere. Io sono una ragazza normale e voglio fare la ragazza normale. FINE DELLA STORIA.”
Tutti mi guardavano. Stark, mi guardava. Probabilmente era incazzato per le cose che gli avevo detto, eppure nei suoi occhi aleggiava solo una strana tristezza. Mi girai verso Davide e gli dissi d’andarcene. Lui non si mosse.
“Credo che sarebbe meglio se prima finissimo di sentire cos’hanno da dire.”
Non potevo crederci. Non poteva starmi facendo questo. Non lui.
“Se vuoi giocare all’X-man lo farai senza di me. Io me ne vado”
Sapevo d’aver colpito basso e che me l’avrebbe rinfacciata a vita, ma quello era il momento in cui lui sarebbe dovuto essere dalla mia parte. Gli voltai le spalle. Prima che potessi arrivare alla porta il Capitano Rogers mi bloccò la strada.
“Mi dispiace Signorina, non posso permetterglielo”
Traditore, anche lui. Lui più di tutti. Lui che era il mio eroe. Lui che era il simbolo di ciò che c’era di buono in America. Simbolo di liberta, un cazzo. Erano tutti così presi a giocare alla guerra che non facevano neanche finta di preoccuparsi per la mia vita. Ero egoista lo sapevo. Avrei dovuto pensare a come proteggere New York e non me stessa, ma la verità è che come la vedova nera, ero convinta di non c’entrarci niente. La mia assenza non poteva fare che bene. Peccato fossi l’unica a pensarla così. Mi rimisi a sedere.
“Ok, in confidenza…”
Stark si sedette sul bracciolo del divano su cui c’ero io. Ero scioccata. Mi aveva maltrattata, mi aveva fatto lavorare come una schiava senza darmi mai un minimo di soddisfazione e ora voleva che ci facessimo le treccine chiacchierando dei fatti nostri? Potava scordarselo.
“Sappiamo che non sei proprio Normale”
Ero ufficialmente passata da scioccata ad inorridita.
“Ma non normale, lo sarà lei!”
Da inorridita ad inferocita.
“Sì, bhé questo mi pare scontato… Insomma io sono un genio, affascinante…”
“Perché dovrebbero voler lei?”
Ero grata alla Vedova Nera per averlo fermato prima che diventasse inarrestabile, ma la odiavo comunque. Forse anche un po’ di più visto che parlava come se non ci fossi.
Stark la fulminò con gli occhi. Questa cosa del continuare ad interromperlo, lo stava snervando.
“Ci sto lavorando. Quindi –tornò a fissare me- cos’hai di speciale. Perché vogliono te?”
Ero ufficialmente tornata allo stato di shock. Era lui che avrebbe dovuto dirlo a me! E poi questo non era mica lavorarci. Questo era Chiedermelo e avrebbe potuto farlo chiunque, altro che genio.
“Non vogliono me!”
Cazzo era così evidente che fossero coincidenze, come facevano a non capirlo?
Stark sospirò.
“Ok… è possibile che tu non lo sappia, ma qualcosa l’hai fatto quando il chitauro ha afferrato mister berretto”
Con un pollice indicò Davide e il suo stupido berretto dal taglio militare, che non si toglieva mai. In effetti in quel frangente qualcosa di strano era avvenuto. Sentendosi tirato in causa, Davide si agitò leggermente sulla sedia.
“Veramente…”
Stark lo fulminò con gli occhi. Era arrivato al limita della sopportazione. Quella era stata decisamente l’interruzione che aveva fatto traboccare il vaso.
“Ok, adesso basta.”
Stark si mise una mano sotto la giacca, estraendone una specie di pistola trasparente con un minuscolo ago sulla punta, che mi conficcò nel braccio. Ci fu un suono, come un sospiro, quando schiacciò il grilletto. Davide gli afferrò il braccio, strappandomi quell’aggeggio di dosso.
“CHE DIAVOLO È?!”
Era incazzato, forse avrei dovuto esserlo anche io, ma sinceramente non capivo cosa mi fosse appena successo. Il braccio mi faceva un po’ male, ma non più che se mi avessero fatto un pizzicotto.
“Calmo eroe, le ho solo fatto un piccolo prelievo di DNA”
Lui mi aveva fatto cosa? Tutta la stanza parve rilassarsi, tutta quella scena per una cosa come quella era quasi nella norma.
“E  c’era bisogno di usare quell’aggeggio strano?”
Gli occhi di Stark si dilatarono. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito dopo senza aver proferito parola. Poi alzò un dito e glielo puntò sul petto.
“Tu, sei un ragazzo privo di fantasia”
Detto questo si girò e se ne andò, lasciandoci lì.

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Capitolo 8
*** Il pigiama party ***


Ri-scuse dell'autrice
Sinceramente, so che deve far venire i nervi che non posto mai... Credo che a molti passi la voglia di leggere e lo capisco... d'altronde la colpa è mia, ma più che sentire le mie scuse credo che, chi è stato tanto paziente e santo da aspettare, abbia più volta di leggere il capitolo, quindi CIANCIO ALLE BANDE E VIA!! spero che qualcuno recensisca e mi dica che ne pensa di questo nuovo cap, almeno per capire se si capisce o no, visto che sono un po' arrugginita ^^'



Il pigiama Party
Il signor Stark se n’era andato da qualche momento ed io iniziavo già a godermi l’idea di una possibile mezz’ora di tranquillità, quando il Capitano Rogers iniziò a portare coperte nell’attico intenzionato ad allestire una specie di campo per la notte. Con tutta la buona volontà che quel viso d’angelo mi ispirava, io provai a spiegargli che le loro camere da letto erano già pronte ai piani inferiori, ma lui di tutta risposta mi pose una mano sulla spalla e se ne uscì con una frase tipo: “è meglio se restiamo uniti”
Ora, io non sono mai stata esperta di tattiche militari e probabilmente il Capitano era molto più in grado di me di giudicare cosa fosse meglio, sta di fatto che sono tutt’ora profondamente convinta che se avessimo deciso di dormire tutti in una camera da letto non sarebbe cambiato proprio nulla. Senza contare che nonostante le mie proteste, furono tutti d’accordo nel decidere che dovevamo alloggiare proprio nell’ultimo piano della torre che io stavo tentando di ricostruire. Io posso anche capire che per le modalità in cui si erano svolti gli attacchi fino ad allora, quello fosse il posto che rischiava di coinvolgere meno gente, comunque restava proprio un’idea del cazzo. Depressa alla prospettiva di quello che sarebbe potuto capitare alla mia seconda torre preferita di New York, mi rintanai in bagno, lasciando agli uomini il compito di sistemare le coperte e i cuscini.
C’erano stati troppi eventi per un giorno solo. Bisognava darci un taglio. Mi feci una rapida scaletta, una specie di piano d’attacco per evitare gli altri problemi. Primo: doccia e cambio bende. Secondo: buttarsi da qualche parte a dormire e fanculo a tutto.
Un piano perfetto direi, se non fosse stato che ovviamente il bagno dell’attico era sprovvisto di doccia. Inspirando profondamente, mi costrinsi a non pensare alle favolose docce idromassaggio dei piani di sotto e tirai fuori la cassetta del pronto soccorso. Almeno quella c’era. Ero a metà lavoro, ossia stavo imprecando elegantemente contro qualunque dio ci fosse (Asgardiano o meno), mentre mi disinfettavo la faccia, quando la porta del bagno si aprì. Perché poter stare cinque minuti tranquilli al cesso è chiedere troppo in qualunque circostanza, no? Ci deve sempre essere qualcuno che non ha di meglio da fare che venirti a rompere, anche se il mondo si sta incamminando verso l’apocalisse. Tanto per confermare l’idea che mi ero già fatta, il faccino ammiccante di miss Ci-Provo-Col-Tuo-Uomo-E-Mi-Sento-Tanto-Figa Romanoff, spuntò sulla soglia e dopo un istante si intrufolò nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle… porta che io avevo già chiuso a chiave.
“Hai scassinato la serratura!?”
Scioccata. Ero a dir poco scioccata.
Con un sorriso innocente e una faccia tosta degna del signor Stark, lei mi guardò dritta negli occhi.
“Sì”
Decisi di darle il beneficio del dubbio. Era possibile in effetti, che non si rendesse conto della gravità del suo gesto. Con più tranquillità cercai di spiegarglielo, scandendo le parole in modo che fossero ben comprensibili.
“Hai scassinato la porta di un bagno. È una cosa da maniaci e pervertiti... te ne rendo conto, vero?”
Scoppiò a ridere. Non se ne rendeva conto per nulla.
Con la stessa nonchalance con cui era entrata, appoggiò degli abiti sul water e iniziò a slacciarsi il vestito. Avrei potuto mettermi ad elencare tutti i punti ambigui e opinabili di quella situazione certo… ma non credo che sarebbe servito a molto, quindi inspirai profondamente, chiusi gli occhi, espirai, il riaprii e mi voltai per continuare il lavoro che avevo iniziato. Cercando di non imprecare, ricominciai a passarmi il tampone di disinfettante sulle ferite. Inutile dire che fallii miseramente e finii per ricomincia a smadonnare come un camionista. Dopo la seconda maledizione mandata al dio generico di turo, la vedova nera mi strappò il tampone di mano.
“Fa fare a me”
Avevo una scelta difficile davanti: Accettare la proposta e mettermi nelle mani del nemico, o continuare io e rischiare di maledire accidentalmente Thor. La fissai sospettosa per qualche istante. Non era da escludere che quello fosse un ramoscello d’ulivo, anche se ne dubitavo fortemente. No, forse non era saggio mettersi nelle mani di quella pazza maniaca in reggiseno di pizzo rosso e pantaloni in pelle nera.
“Ok…”
Senza troppe cerimonie presi i suoi vestiti in braccio e mi sedetti sul water al loro posto.
Mi sarei aspettata che avesse il tocco delicato di un macellaio sadico, al contrario fu estremamente attenta. Non avevamo iniziato col piede giusto, ma in effetti la colpa, in minimissima parte, era anche mia. In fondo in fondo sotto quel guscio di boria e stronzaggine, poteva esserci un cuore da persona normale.
“Potresti anche non disinfettarli, sono poco più che graffi… Che incompetenti, non avrebbero dovuto metterti i punti”
Era la cosa più carina che chiunque mi avesse detto da tre giorni… Davide escluso.
“Erano molto peggio prima… penso di essere stata fortunata”
Erano stati gentili i medici con me e non mi andava che passassero per inetti, anche se dovevo ammettere che la loro diagnosi era stata decisamente esagerata.
“Non dovresti svalutarti così. Avere un ottima capacità di recupero è un merito personale, non mera fortuna.”
Ammetto che riflettei per qualche momento su quell’affermazione. In effetti con tutto quello che mi era successo non potevo essere sopravvissuta per semplice fortuna, qualche super-capacità ce la dovevo avere anch’io. Francesca Recidivo Avengers ad honorem. Le immagini del gesso sul mio piede quand’ero caduta nel canale e del tutore sulla mia spalla, quando me l’ero slogata mi passarono davanti come un film. L’avevo portato per due mesi quel fottuto tutore… altro che grande capacità di recupero. A stento trattenni una risata.
“Con tutto il tempo che ho passato in pronto soccorso da ragazzina, non credo proprio d’avere una grande capacità di recupero”
Le sfuggì una risatina.
“Eri un adolescente ribelle è? Fortuna che poi ci si evolve… è successo anche a me. Ad un certo punto scopri cosa sei realmente e capisci cosa devi fare.”
Evolve? Scoppiai a ridere. Mica ero un Pokemon io! Altro che evolvere… altro che adolescente ribelle! Ero stata una ragazzina normalissima e molto goffa, questa era la verità. Per un attimo mi chiesi se valeva la pena dirglielo. Forse era meglio che mi credesse una ex-ribelle. Sicuramente quello era un immagina migliore della mia faccia da quindicenne semi-secchiona e brufolosa. Bhè… in effetti un po’ ero migliorata… Non avevo più i brufoli. Quello che si era evoluto davvero però era stato Davide. Non lo avevo conosciuto da adolescente, ma sua madre mi aveva confessato che era stato una vera e propria testa calda prima di scoprire di… I miei occhi si dilatarono per lo stupore.
“Tu mi stai lavorando!”
È strano da credere, ma ne fui quasi lusingata. Niente meno che la Vedova che cercava di estorcermi informazioni e si stava pure impegnando! Mica come Stark… Scossi la testa istintivamente. Quell’uomo mi faceva andare fuori di testa.
Romanoff abbandonò i tamponi sul lavello e gli si appoggiò. Mezza seduta e con la sua solita espressine sogghignante mi fissò gli occhi addosso.
“Credi che sia un gioco? Ci stai lasciano impreparati all’alba di un evento che potrebbe essere la ripetizione dello scontro di New York. Sei responsabile delle nostre vite e di quelle di mezza città, lo capisci?”
La mia bocca si aprì, ma non ne uscì alcun suono. Io non sapevo davvero che dire. Non sapevo nulla più di loro. Non centravo niente con quella faccenda. Non avevo nessun super potere. Ero una ragazza normale finita in un casino più grande di lei. Richiusi la bocca. Non sarebbe servito a nulla dirglielo. La Vedova parò per entrambe.
“Sei fortunata che non sia più la spia di un tempo o ti avrei fatto sputare le informazioni con la forza. La tua vita non vale quanto quella di tutti noi, sei soltanto una codarda.”
Si alzò, mi strappò di mano la sua giacchetta di pelle, se la infilò agilmente e mi lasciò sola.
I miei occhi si riempirono di lacrime. Non era colpa mia. Non avevo fatto nulla. Cercai di ripensare agli ultimi giorni, ma non avevo toccato nulla di strano. Mi tenevo a debita distanza dai giocattoli di Stark e di antichi e sospetti manufatti neanche l’ombra. Affondai le mani nei capelli, cercando di calmarmi, ma sfiorai per sbaglio una ferita e il dolore mi fece sobbalzare. Tornai allo specchio per controllare che non si fosse riaperta. Fortunatamente era tutto a posto. Sfortunatamente vidi la mia immagine riflessa nello specchio. Era in una condizione pietosa. Chiusi gli occhi. Inspirai. Li riaprii. Espirai. Dovevo calmarmi e ragionare, ripercorrere gli avvenimenti e capire cosa poteva legare degli alieni genocidi a me. Una lampadina si accese. Non una metaforica intendo… una vera, una sopra allo specchio. L’unica che non avevo acceso. Merda! Come facevo a salvare il mondo se quegli idioti non la smettevano di litigare.
“Davide!”
Feci per aprire la porta, ma qualcosa bloccò la maniglia. Interdetta feci qualche tentativo nel girare la chiave, ma non ci fu verso di aprirla. La porta fu scossa, come se qualcuno avesse bussato, ma fu un colpo solo, tenue. Per una attimo fissai la porta.
Avanti?
Non ci fu risposta. Attesi un attimo. Che cavolo stava accadendo ancora? C’erano dei suoni dall’altra parte…stavano parlando… erano voci che riconoscevo, quindi non stava succedendo nulla di che.
“…Francesca…”
Wooo… mi lanciai contro la porta per sentire meglio. Mi avevano nominata cavolo! Stavano parlando di me e cercavano di non farsi sentire. Se pensavano di potermi estromettere da decisioni che comprendevano me avevano capito proprio male. Feci un sforzo per capire le parole, era di certo Davide che stava parlando.
“…Sai com’è fatta… ha voluto farsi un giro per la torre per controllare che non avesse altri danni”
“Che stai dicendo? Ma se è rimasta…”
Era Thor a parlare, quel tono forte era difficile da confondere, la voce meno profonda, ma più forte di Davide lo interruppe rapidamente. Doveva essere appoggiato alla porta perché a confronto di Thor, lo sentivo davvero bene.
“È scesa un attimo fa… mentre parlavi. Signor Stark è tutto ok? Sembri strano…”
Aspetta, aspetta… aveva appena detto che non c’ero! Ma lui lo sapeva che ero lì, mi stava pure chiudendo dentro! Che diavolo stava succedendo?
“Si dice geniale… ma capisco che possa sembrare strano a voi.. persone… banali.” Ci si era soffermato su quell’ultima parola, come se stesse cercando qualcosa che non suonasse come un insulto. Ovviamente aveva fallito, anche perché sentivo chiaramente la boria trasudare da quella voce. Non avevo dubbi che fosse Stark.
“Comunque! Mentre voi organizzavate questo pigiama party, io ho risolto l’arcano.”
“Capitano, a te non sembra che Il Signor Stark abbia qualcosa di strano…?” Un sospiro d’esasperazione mi sfuggì dalle labbra. Amavo Davide davvero, ma aveva questo vizio che quando si metteva in testa una cosa non la smetteva di rompere! E io volevo capire che stava succedendo. Come il capitano Rogers e tutti gli altri a quanto pareva, visto che non gli diedero peso e lasciarono Stark continuare.
“Tutta questa preoccupazione mi commuove… e irrita. Dovresti pensare più alla tua fidanzatina e meno a me, visto la quantità di radiazioni gamma che ho riscontrato analizzando il suo sangue.”
Un brusio d’allarme invase la stanza. Radiazioni? Ebbi un improvviso capogiro. Le gambe mi cedettero. Finii a terra. Mia madre aveva ragione cazzo! Non sarei mai dovuta venire in America. Maledetto Stark. Maledetto lui e i suoi giocattoli!
“A me sembrava stesse bene…”
Giusto Davide. Mi rimisi in piedi. Anche a me sembrava di stare bene. Da quanto ne sapevo, uno intossicato dalle radiazioni come minimo vomitava l’anima e invece io ero un bijou… faccia da mummia e gesso escluso... ma quello non era colpa delle radiazioni, ma dei Chitauri. Improvvisamente abbi un illuminazione. Dovevano avermi attaccato una specie di malattia aliena. Non c’era altra spiegazione… anche perché non mi ero avvicinata a reattori nucleari o roba simile. Ma poi radiazioni tipo bomba atomica o tipo cellulare? Perché la prima poteva bruciare viva una città e la seconda bruciarmi il cervello… o farmi venire il cancro.
“E poi… che vuol dire radiazioni! Radiazioni tipo cellulare o tipo bomba atomica?”
Ottima domanda Davide! Questo sì che vuol dire essere anime gemelle.
“Uhm… più tipo Hulk direi”
Per un lungo, infinito momento sentii solo il fischio del mio cervello che si sovraccaricava… tipo teiera. Io non potevo diventare un mostro verde ogni volta che mi arrabbiavo… sarei stata praticamente sempre un mostro verde! Davvero… avevo un pessimo controllo della rabbia. La voce del dottor Banner mi riportò alla realtà.
“Stai dicendo che ha in sé delle radiazioni gamma? Come… come avrebbe fatto ad essere esposta… sono certo che non ci siano state fuoriuscite dal mio laboratorio”
C’era panico nella sua voce. La cosa mi sorprese, perché eccezion fatta per l’imbarazzo, non lo avevo mai visto sopraffatto dai sentimenti. Stark non parve farci caso.
“Tu al contrario non fai altro che fare avanti indietro e diciamolo, sei il più grande dispenser di radiazioni gamma della terra.”
Per un attimo ci fu silenzio. Mi sentii offesa per Bruce. Era meschino insinuare che fosse colpa sua e tra l’altro, non somigliava affatto ad un dispenser.
“S-sarebbe colpa mia? Come…?”
Sembrava sconvolto. Se chiudevo gli occhi potevo vedere il dottore sfilarsi gli occhiali e portarsi una mano sugli occhi. Poveretto. Ne stava già passando tante, perché accanirsi così su di lui… Una voce femminile spezzò il silenzio.
“La spiegazione più logica è la prima che abbiamo pensato tutti. Francesca non è umana, o quantomeno non un’umana normale”
Avrei potuto muovere molte obbiezioni a quell’affermazione, ma al momento l’unica cosa che mi passò per la mente, fu un detto popolare che mia nonna amava molto: Rossa de cavèi, golosa d’usei!*
Sentii Davide dare un colpo di tosse, probabilmente si era deciso a dare spiegazioni, ma Stark fu più rapido.
“Non ho riscontrato nulla del genere durante le analisi.”
Ottimo Stark, se avesse continuato così saremmo potuti andare d’accordo.
“Credo le abbia assorbite con un qualche dispositivo alieno. Probabilmente la nostra Francesca fa il doppio gioco.” MALE, MALE, MALE, MALE STARK!!! Che cazzo gli era preso? Non ne stavo facendo neanche uno di gioco!
“Insomma ammettiamolo, non servo io per capire che ora saremmo tutti schiavi o… bhè, morti, se Hulk non avesse preso parte alla battaglia di New York… è più che logico che cerchino di copiarlo”
Eeeh? Stava insinuando che sarei dovuta essere io il nuovo Hulk? Con vestiti strappati, pelle verde e tutto il resto? Mi guardai allo specchio. Camicetta bianca, pantaloni neri e espressione sconvolta. Cazzo bastava guardarmi per capire che non ne sapevo niente. Altrimenti avrei indossato perlomeno qualcosa di elasticizzato!
“Io… ecco, in tutta sincerità non credo che sia il caso che resti qui… quindi vi auguro buona… qualunque cosa dobbiate fare…”
Sant’uomo il signor Banner. L’unico normale tra tutta quella marmaglia. In un certo senso ero felice che almeno lui potesse andarsene da lì e ad essere sinceri, dopo aver saputo delle radiazioni, mi sarei sentita più al sicuro sapendolo lontano da me.
“Non credo sia il caso.”
Trattenni un grido d’ira. Avrei voluto spalancare la porta e tirare uno schiaffo al signor Stark. Doveva smetterla di rovinare tutto.
“Al contrario, credo che dovresti andare con i Chitauri”
Un coro di disapprovazione si alzò, ma Stark riprese imperterrito.
“È questo che vogliono. Una volta che sarà con loro se ne andranno per sempre. Non capite? Loro non sanno nulla di Banner! Non sanno cos’è davvero. Quando sarà là potrà fare l’unica cosa che gli riesce bene. Distruggere.”
A spaventarmi di più di quel discorso fu ciò che Stark non disse. Fu quel piano di recupero a cui non aveva accennato nemmeno, a cui pareva non aver pensato neanche per un momento. Voleva lasciarlo là. L’avevo sentito dire spesso dal dottor Banner, che il mondo sarebbe stato un posto più sicuro senza Hulk, ma non così. Non era giusto così e la voce della giustizia lo disse.
“Stark, una volta mi dicesti che noi non siamo soldati. Non so cosa ti abbia fatto cambiare idea, ma sappi che persino quando ero un soldato non accettai mai di lasciare in dietro un compagno. Non inizierò ora. Non volteremo le spalle a Bruce solo perché, secondo te, è la scelta più semplice”
Davide e Thor parvero concordare, da Clint provenne un brusio indefinito, ma non sentii Romanoff. Che fosse d’accordo con Stark? Non mi avrebbe sorpreso scoprire che miss La-mia-vita-vale-più-della-tua non aveva un cuore (sì, me l’ero legata al dito quella sua uscita).
Stark scoppiò a ridere.
“Un nostro compagno? Se Bruce e Hulk fossero due persone diverse non vi nascondereste dietro a questa maschera di buonismo, ma lo chiamereste col suo vero nome: MOSTRO”
Si sentirono delle grida, poi qualcosa che andava in pezzi e infine un rumore che non avrei mai dimenticato. Un grido assordante di rabbia e dolore, il grido inarticolato di un mostro.





*Rossa de cavéi, golosa d'uséi: detto popolare lombardo traducibile con “rossa di capelli, golosa d'uccelli” in pratica le sta dando della cortigiana ^^'

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Capitolo 9
*** La verità dietro la maschera ***


La torre tremò. La torre dei vendicatori, con una struttura progettata dai migliori ingegneri al mondo stava tremando vistosamente. Il cuore mi si fermò. Chiusi gli occhi, cercando di ignorare le urla. Inspirai mentre uno schianto assordante riempiva l’aria. Espirai, cercando di realizzare di chi fossero le voci che si allontanavano. Aprii gli occhi e la porta del bagno.
La stanza era devastata, ma la cosa peggiore era l’enorme voragine che si apriva nella parete e copriva gran parte del soffitto. La torre era stata squarciata da dentro. Una mano mi afferrò, ma io non riuscii a staccare gli occhi da quel gigantesco vuoto. Il mio cervello semplicemente non accettava quello che vedeva. La stretta si fece più insistente e iniziò a strattonarmi, costringendomi a voltarmi. Due occhi verdi e duri come smeraldi erano davanti a me e mi diceva di seguirla, che Stiv le aveva ordinato di proteggermi. Io però non realizzai subito il significato di quelle parole, mi sembrava fossero solo versi inarticolati, come quelli che venivano da fuori e che riempivano l’aria. Una mano mi voltò, il viso e Davide mi apparve in primo piano.
Franci, dobbiamo andare
Questa lingua la conoscevo. Questa volta avevo capito. Feci cenno di sì con la testa e lui subito mi fece strada. Andammo verso le scale, dopo qualche gradino la mia mente si era riattivata, nonostante quella situazione mi paresse ancora del tutto irreale.
“Che è successo”
“Stark è impazzito, ha colpito Bruce con una specie di pistola e… e lui si è trasformato”
Cercai d’ignorare il tremito nella voce di quella donna, che fino ad un attimo prima avevo considerato senza cuore. Lei non poteva aver paura, perché se davvero fosse stata spaventata allora forse era davvero la fine. Nonostante fosse sconfortante mi aggrappai a questo pensiero, mi aggrappai all’immagine di quella spia spietata, perché in un certo senso sentivo che se l’avessi lasciato andare il prossimo pensiero sarebbe stato: Succederà anche a me? Diventerò anche io un mostro verde?
“Quello non era Stark. Ho cercato d’avvertirvi…”
Natasha lanciò uno sguardo di sbieco a Davide. Sì, era vero ci aveva provato, aveva insistito un sacco cercando di farci capire quella cosa che per lui era tanto ovvia. Avrei voluto gridargli che avrebbe dovuto dirlo chiaramente, ma sapevo che non poteva averne la certezza, probabilmente era stato solo un presentimento.
“Come lo sapevi?”
La voce della Vedova divenne glaciale. Ci fu un lungo momento di silenzio, poi in un istante lei inchiodò, ruotò su se stessa estraendo una pistola, che puntò in faccia a Davide.
“Non te lo chiederò di nuovo e sia chiaro, se la tua spiegazione non mi soddisferà, non mi farò scrupoli”
Ci fermammo. Eravamo sulle scale, circa al quart’ultimo piano di una torre attaccata da un mostro gigante, con una pistola puntata contro. Era troppo. Non potevo reggere, così collassai. Inizia a gridare.
“Che cazzo stai facendo? Sei diventata completamente scema?! Credi davvero che abbiamo architettato tutto noi?! Ma hai visto come sono conciata?! Sono ricoperta di ferite cazzo. Perché diavolo avrei dovuto farmi questo? Perché diavolo starei cercando di rovinarmi la vita?”
Davide mi afferrò il braccio per calmarmi, ma fece l’effetto opposto. Mi divincolai. Era tardi ormai, ero partita.
“Sentimi bene stronza, io non intendo restare qui ad aspettare che la torre mi crolli addosso. Se vuoi giocare con le armi smetti di puntarmi quella roba addosso e va là fuori, o sei troppo codarda? È questo il punto, no? Super spia quando fa comodo, ma se le cose si fanno serie ti rintani nelle retrovie.”
Il suo sguardo era glaciale, la mia tirata non stava facendo il minimo effetto, io però non era per far paura a lei che gridavo. Gridavo per me, per rimpiazzare la paura con un sentimento che sapevo gestire meglio, l’ira.
Feci uno scalino. Lei tolse la sicura. Davide mi spinse in dietro e io caddi goffamente a terra. Fu un attimo. Ci fu una luce e partì uno sparo, che andò a vuoto. L’elettricità statica riempì l’aria, assieme ad un vago odore di bruciato. La Vedova Nera era a terra e Davide era su di lei, che cercava di sentirle il cuore. Rimasi in mobile finché non si alzò.
“Sta bene, è solo svenuta”
Feci cenno di sì con la testa, velocemente agguantai la cintura con le pistole, ma al primo tocco presi la scossa e dovetti ritrarre la mano e riprovare. Ne aveva ben due di pistole nel cinturone e devo ammettere che pesavano molto di più di quanto pensassi. Dopo che si fu calmato, Davide si caricò l’agente Romanoff sulle spalle. Anche se era una stronza di proporzioni epiche, non potevamo lasciarla lì.
Dopo un altro piano di scale fu chiaro ad entrambi che non si poteva continuare così, la Vedova era troppo pesante e quelle scale erano davvero troppe per farle tutte a piedi, così decidemmo, contro ogni regola dei vigili del fuoco, di andare all’ascensore. La pulsantiera ricevette l’avvio, quindi di certo la rete elettrica funzionava ancora. Davide Appoggiò il corpo della donna a terra, per riprendere fiato, mentre aspettavamo. Aveva una pessima cera. Gli presi la mano, cercando di tranquillizzarlo. Lui mi guardò.
“Non poteva ucciderla. Anche con tutto quel metallo addosso ero certo che non l’avrebbe uccisa, non le si è nemmeno fermato il cuore. È solo un piccolo shok. Si sveglierà tra poco”
Gli sorrisi facendogli cenno di sì con la testa. La sua voce tremava. Era chiaro che lo stesse dicendo più a se stesso che a me, d’altronde era da quando era ragazzino che era terrorizzato dall’idea di far male a qualcuno.
Uno schianto ci raggiunse alle spalle e una pioggia di detriti riempì la stanza. Quando alzai gli occhi vidi il cielo. La parete era in frantumi, sparsa per la stanze e un essere verde si contraeva sul pavimento. Urlando e facendo forza sulle gambe si rimise in piedi. Hulk ci guardava, tenendo il corpo scalciante di Thor in una mano. Davide mi tirò indietro, mentre alle mie spalle un ombra si alzava, scivolava nella fondina e afferrava una pistola. Romanoff, ci superò, puntando la pistola contro Hulk.
“Lo distrarrò, scappate”
Prima che il suo piano potesse avverarsi, una freccia colpì il terreno. Con un Clik la strana punta si aprì in quattro e iniziò ad emanare tanto gas da riempire l’aria in pochi istanti. Ero accecata da quel fumo giallo, tanto da perdere di vista Davide, che sarebbe dovuto essere ad un passo da me. Sentii Hulk gridare e poi, il Tin dell’ascensore alle mie spalle. Una mano mi afferrò. Mi aggrappai a quella mano e in un attimo fui nell’abitacolo e potei vedere di nuovo. Nell’ascensore per qualche strano motivo il fumogeno non era filtrato, nonostante questo, mi resi conto solo troppo tardi, quando ormai le porte si erano chiuse ed eravamo ripartiti, che quello davanti a me non era Davide.
“Scott… Che-che diavolo ci fai qui?”
Ero confusa e spaventata, le parole faticarono ad uscirmi, ma di afferrare la pistola che mi rimaneva, non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello. Non era un gesto naturale per me e in tutta sincerità non mi riusciva di vederlo come una minaccia. Lui mi sorrise, con quel suo sguardo gentile, che forse cercava di essere rassicurante.
“Non temere, sono venuto a salvarti”
Rimasi a bocca aperta. Quando l’avevo investito dovevo avergli provocato un danno cerebrale, oltre a tutto il resto, eppure sembrava stesse bene quando se n’era andato, non zoppicava neanche più!
“Che cazzo stai dicendo? Dobbiamo tornare giù! Davide è lì e anche…”
La voce mi macò. A quanto pare, per la prima volta da quando l’avevo incontrato, il mio cervello aveva ripreso a funzionare. Iniziò con una constatazione semplice, stavamo andando su e non giù. Se avesse voluto salvarmi, mi avrebbe portato verso una via di fuga e sul tetto non ce n’erano. Poi i pensieri si ammassarono nella mia mente e iniziai a capire ogni cosa, sin dall’inizio. Come se mi mancasse il filtro tra bocca e cervello, iniziai a parlare.
“Appari sempre dopo un attacco, tranne la prima volta… Cazzo, Stark ha ragione è me che seguono. Il giorno dopo che ti ho investito tu stavi bene. Nessuno si riprende tanto velocemente, a meno che non ti fossi fatto nulla fin dall’inizio… Oddio è da allora che i Chitauri mi inseguono! Sei stato tu? Perché? Come hai…?”
Mi schiaccia contro le porte per allontanarmi da lui e da quel suo ghigno il più possibile. Lui non mi lasciò tregua e si appoggiò alle porte, bloccandomi tra le sue braccia. Avevo paura. Solo paura, ma non di lui, bensì della situazione. In un certo senso lo vedevo ancora come il ragazzo fradicio e disperso che era entrato nell’ascensore del mio albergo. Un esplosione fece tremare la torre. L’ascensore vacillò ed una spinta mi fece perdere l’equilibrio. Caddi contro il suo braccio e mi aggrappai a lui per non cadere. Le luci vacillarono e l’ascensore si fermò. Trattenni il fiato maledicendomi per esserci salita, sicura che sarei morta precipitando in una gabbia d’acciaio, ma le luci si riaccesero e l’ascensore ripartì. Lui mi lasciò andare, quasi imbarazzato.
“Avevo bisogno di un diversivo. Stavano cerando me… io..”
Si allontanò da me, portandosi una mano al viso. Ora era lui a sembrare spaventato, forse persino sofferente.
“Ho fatto un errore e ho stretto accordi con loro… accordi che non ho potuto onorare e ora vogliono vendetta.” Si voltò verso di me, con quei suoi grandi occhi sofferenti “Non avrei mai dovuto coinvolgerti, ma credevo che saresti stata al sicuro coi Vendicatori al tuo fianco”
E come mi avevano protetto bene è! Arrivando sempre all’ultimo, sempre troppo tardi, come lui d’altronde. Ammetto che era difficile non solidarizzare con lui. Era stato sciocco e imprudente a impelagarsi con gente così, ma capitava. Erano cose che conoscevo purtroppo, ne avevo incontrati tanti di ragazzi ingenui che cedevano a chi gli proponeva una scorciatoia. Non mi sentivo di dargli la colpa, o quantomeno di accusarlo.
“Quindi pensavano che io li avrei aiutati a trovarti?”
Comunque non capivo che ruolo avessi io in tutta quella storia. L’avevo investito e picchiato, perché cavolo qualcuno avrebbe pensato che potessi farli arrivare a lui? Lui parve imbarazzato.
“Vedi, come ho detto, io credevo che tu fossi al sicuro con i Vendicatori e i Chitauri sono una razza molto diversa da quelle che conosciamo, per questo faticano a distinguere gli individui.”
Spalancai la bocca e rimasi così per un tempo infinito. Pensavano che io fossi lui! Non ci assomigliavamo neanche per sbaglio. Nemmeno un ceco-sordo-rimbambito ci avrebbe confusi. Ero inseguita da un esercito di deficienti!
“I Chitauri ci distinguono grazie alla percezione, sulla terra alcune culture la chiamano aura.”
Dovevo sembrare un deficiente con quell’espressione di stupore sulla faccia, il mio cervello aveva decisamente smesso di nuovo di andare.
“Tipo Dragonball?”
Lui mi guardò con un’espressione a metà tra l’interdetto e lo stupito. Chiaramente non sapeva di cosa stessi parlando. Fu allora che il mio cervello si riattivò e ricominciò a fare collegamenti.
“La sciarpa, hai fatto qualcosa alla sciarpa. Per questo poi hanno attaccato la stazione di polizia. Seguivano la sciarpa.” Abbassai gli occhi, sul mio braccio ingessato, con quei ghirigori a pennarello che avrebbero dovuto significare “fortuna”, ma che ormai ero certa volessero dire una cosa più tipo: Sei proprio un idiota, cara.
“La scritta. Dopo hanno seguito la scritta. Come hai fatto?”
Lui mi sorrise, come se in qualche modo fosse compiaciuto che alla fine ci fossi arrivata. Non aveva tutti i torti, ero stata una deficiente a non pensarci, a non sospettare nulla. Almeno quel suo tempismo dopo l’incidente al bar avrebbe dovuto farmi capire e invece niente. La possibilità di un collegamento non mi aveva neanche sfiorato il cervello. Il Tin dell’ascensore mi avvisò appena in tempo di levarmi dalle porte, per permettere che si aprissero. Uscii immediatamente. Volevo allontanarmi da lì il prima possibile. Era stato un grande errore entrarci, quello era a tutti gli effetti il posto più pericoloso in cui entrare durante un terremoto… o un attacco di Hulk.
Lui mi venne dietro.
“Ormai l’avrei capito, non sono un normale umano. Sono quello che chiamano mutante. Sono come te.”
Gli sorrisi. Era credibile dovevo ammetterlo, in ospedale avevo avuto l’impressione che si ritenesse diverso dagli umani, quasi superiore, ma se credeva che fossi io un mutante, cascava male.
“Guarda che hai capito male, io sono una banalissima umana, al cento per cento”
Lui mi sorrise. Questa volta quel sorriso voleva dire “Smettila di dire balle”. Io però non ne stavo dicendo, anche se Stark, la Vedova Nera e Scott pensavano fossi una bugiarda, io ero sincera. Almeno ero sincera nel dire che non ero IO la mutante. Davide, lui sì.
“Hai sconfitto i Chitauri disarmata. Ho visto bene la fine che ha fatto il tuo secondo avversario. Ammetto che ancora non capisco come…”
Mi si avvicinò, dovevo ammettere che era rassicurante. Fui sul punto di dirgli: “Non lo capisci perché è stato Davide a folgorarlo quasi a morte!”, ma mi morsi la lingua. Dovevo ricordare che mi stava nascondendo qualcosa. L’avevo capito ormai.
“In fondo che importanza ha quali siano i tuoi poteri? Ciò che conta è che ti devo molto e intendo ripagare il mio debito.”
Mi prese il braccio ingessato e passò una mano sulla scritta. Per un attimo il nero si illuminò, poi la luce si esaurì e tutto tornò com’era. Lo guardai confusa.
“Ti ho liberata, ora sarà me che cercheranno… io… avrei dovuto farlo molto tempo fa”
Pareva sinceramente dispiaciuto. Feci qualche passo verso le scale. Avrei voluto poterlo aiutare, poterlo togliere da quella situazione. Mi girai verso di lui. Mi stava guardando, forse voleva il mio perdono, forse credeva che in qualche modo avrei potuto aiutarlo, ma si sbagliava. Io ero solo una ragazza impacciata e ingenua e lui solo un bugiardo. Estrassi la pistola e gliela puntai contro. Lui parve sorpreso, ma sicuramente meno spaventato di me. La mano mi tramava vistosamente.
“Io non so cosa tu sia, ma non sei un mutante e sicuramente non sei nemmeno terrestre.”
Lui mi fissò confuso, poi in un attimo colmò la distanza che ci separava e mi disarmò. Lo guardai lanciare via la pistola con noncuranza. Probabilmente mi guardò seguire la traiettoria dell’arma, che scivolava sul pavimento, superava il tavolo da lavoro di Stark e andava a finire ad un soffio dalla voragine.
“Non fraintendere, anche se la recuperassi sarebbe inutile. Non mi scalfirebbe nemmeno.”
Una luce oro lo circondò. Per qualche istante sembrò un miraggio, poi l’immagine prese consistenza ed il suo corpo fu ammantato da abiti verdi e neri stretti sotto un spessa armatura d’orata. In un certo senso lo trovai familiare. D’altronde l’avevo sempre trovato familiare, nonostante ora più che mai mi apparisse magnifico e in qualche modo distante. Ciò nonostante mi strinsi nelle spalle con noncuranza, lanciando un ultima occhiata rassegnata all’arma. Ad essere sincera mi sentivo più al sicuro ora che non l’avevo più in mano.
“Non che mi sarebbe servita comunque, non so nemmeno togliere la sicura”
Lui mi guardò per un istante a bocca aperta, poi inaspettatamente scoppiò a ridere. La cosa non mi diede poi molto fastidio, in fondo la figura dell’idiota l’avevo fatta molto tempo fa, più di così non potevo peggiorare. Quando si fu calmato mi rivolse nuovamente la parola.
“Quindi finalmente hai capito chi sono?”
Alzando nuovamente le spalle mi avviai verso la scrivania. Lui mi afferrò fermandomi. Io lo guardai sinceramente sorpresa.
“Che c’è? Sarà una cosa lunga, no? Se mi devi raccontare tutto il tuo piano malvagio, come farebbe ogni super cattivo, almeno lascia che mi sieda. È per questo che siamo qui, no?”
Pareva divertito. Mi lasciò andare e io mi sedetti nel posto che sarebbe stato del signor Stark. Quella sedia era davvero maledettamente comoda.
“A sire il vero non ho idea di chi sei… è solo che nessuno sulla terra non sa cos’è Dragonball. Credo che perfino il capitano Rogers lo sappia.”
Scott, che ora dubitavo si chiamasse così, si sedette davanti a me, sogghignando malvagio. Io mi strinsi nuovamente nelle spalle, ostentando tranquillità. Con un tempismo impressionante una nuova scossa percorse la torre, strappandomi un grido oltre che alla mia maschera di donna sicura di se. Mi aggrappai alla scrivania e pregai sommessamente finché la scossa non fu cessata. Non sarebbe durata. La torre ormai era sul punto di crollare me lo sentivo. Sarebbe precipitata e io sarei morta, assieme ad chissà quante migliaia di persone. Quando finalmente riuscii a lasciare la scrivania, tornai a guardarlo. Sembrava deluso.
“Sai, pare che tu sia più spaventata da queste scossette che da me.”
Sì, era vero. Davanti alla prospettiva di precipitare per Dio-solo-sa quanto tempo e morire per l’impatto, o restare bloccata tra le macerie e morire per le ferite dopo giorni d’agonia, lui non sembrava poi così male era anche molto carino. Che dico, era proprio un gran figo e in un certo senso mi stava simpatico. Questo però non potevo di certo dirglielo.
“Se fossi terrestre sapresti che chi vive a New York ha molta più paura dell’undici settembre che degli alieni… Anche dopo aver sperimentato un invasione aliena in effetti”
Sì, mi rendevo conto che effettivamente pareva aver poco senso, ma era così. Lui mi guardò sempre più deluso. Una delusione che sfociava nel disprezzo e nell’odio.
“Davvero stai paragonando due insignificanti torri ad una guerra?”
Scattai in piedi. Come osava! Insignificanti torri? Lui che cazzo ne sapeva? Non era stato lui a costruirle, a lavoraci giorno e notte… bhè non ero stata neanche io, ma capivo cosa volevano dire. Erano un simbolo. Erano un punto di riferimento. Erano un immagine di grandezza.
“Ti credi tanto intelligente perché hai ingannato chi ti voleva aiutare? Dovrei avere paura di te perché sai come approfittarti della mia ingenuità? Ti dirò una cosa, non sei il primo e non sarai l’ultimo –ripensandoci ora, questa affermazione non mi coprì di certo di gloria- di stronzi ne è piena anche la terra, non c’è bisogno di cercarli nello spazio.”
Lui si alzò era infuriato. Una furia fredda, senza grida, ma piena di odio. Probabilmente quello sarebbe stato un ottimo momento per aver paura.
“Tu, se ora non mi temi, sappi che mi temerai. Tu mi sottovaluti, credi che ingannarti sia tutto il mio piano? Il mio gioco è molto più sottile. Ho calcolato alla perfezione tempi e tattiche per fare in modo che arrivasse questo giorno. Né Stark, né Fury, né tantomeno il tuo Capitano si sono accorti di niente, ma sono esattamente dove volevo fossero proprio quando volevo io. Ora che le sentinelle sono finite arriverà un ultimo drappello di Chitauri. Il loro ultimo tentativo. E quello che troveranno saranno i più grandi eroi della terra divisi e feriti. I miei nemici si annienteranno tra loro e io mi ergerò sopra i loro cadaveri. Innalzandomi come nuovo sovrano dei Midgard! E tu… Tutti voi pagherete per avermi sottovalutato.”
Una nuova scossa fece tremare la torre, ma io a malapena la notai. Il mio corpo era già scosso da tremiti da tempo. Era come se fossi schiacciata da quei due occhi pieni d’odio, che mi fissavano.





P.s. dell'autrice
Ecco un capitolo un po' più lungo del solito... Ma ci voleva dopo questa immensa pausa! (e poi c'erano da spiegare tante cose...) ^^'
Un grazie speciale a Elkie12, ammetto che avevo bisogno di sentire che qualcuno stava aspettando e che il nuovo cap non era deludente <3 GRAZIE! E GRAZIE GRAZIE anche a tutti quelli che stanno leggendo ancora!! è bellissimo sapere che c'è qualcuno a cui interessa la mia storia... spero di non deludervi!

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Capitolo 10
*** Quando gli eroi chiacchierano, i cattivi tramano ***


Doveva essere una scena assurda da vedere da fuori. Io e Scott, uno davanti all’altro in piedi a fissarci negli occhi, con solo la scrivania a dividerci. Se non ci fosse stata quella scrivania… se non fossimo stati divisi… me la sarei data a gambe in un attimo. Invece rimasi immobile a fissarlo, finché non fu lui a staccare gli occhi per rimettersi a sedere tranquillo. Con le gambe accavallate e le braccia distese sui braccioli sembrava che avesse saltato qualche fotogramma. Lo guardai un po’ confusa e per un attimo mi chiesi se me lo fossi solo immaginato lo sclero di poco prima. In tutta sincerità non avevo idea di come reagire… Cioè prima mi minacci di morte e atroci sofferenze e poi ti risiedi sorridente? Se avessi dovuto classificarla, l’avrei definita una mancanza di rispetto nei miei confronti… o una mancanza di coerenza, che per come la vedevo io era più o meno la stessa cosa.
“Francesca! Allontanati!”
Mi voltai, Davide era in piedi davanti alla rampa di scale che mi guardava allarmato. Quella reazione mi stupì. Aveva sentito Scott e non aveva detto niente? Non era proprio un comportamento da lui. Per di più sembrava nervoso, quasi spaventato. Era il caso di calmare le acque, se era vero che oltre ad essere un aspirante super cattivo era anche un alieno, non conveniva istigarlo.
“Amore, lui è Scott… Ricordi te ne ho parlato”
Davide aprì la bocca senza dire nulla. Poi la richiuse. Era scoccato, lo capivo, d’altronde eravamo all’ultimo piano di una torre sotto attacco con… bhé con Scott. Era obbiettivamente una situazione assurda. Davide riaprì la bocca.
“Scott? Quello Scott? Lo-lo Scott che hai investito?”
Feci cenno di sì con la testa, cercando di essere paziente. Era una situazione tesa ed era meglio che rimanessimo calmi. Tanto per dimostrarmi di pensarla come me, lui si mise a gridare.
“FRANCESCA, QUELLO È LOKI! CRISTO, C’ERA LA SUA FOTO SU TUTTI I GIORNALI! L’AVRANNO PASSATA ALMENO DUECENTO VOLTE AI TG”
Oooooo…. Ecco perché mi sembrava tanto familiare! Mi girai verso Scott… cioè Loki. Lui mi sorrise soddisfatto. Mi tirai una manata in faccia. Che idiota! Dopo l’assassinio a Stoccarda avevano fatto almeno una decina di servizi televisivi su di lui. Ne aveva parlato persino Barbara D’Urso! Maledetta me e il mio disinteresse per i TG. Maledetta me e il mio disinteresse per la TV spazzatura. Maledetta me e il giorno in cui l’avevo tirato sotto con l’auto.
“Devo dedurre che lui sia l’uomo di cui mi hai parlato… l’uomo che non volevi chiamare in ospedale… il tuo promesso sposo, erro?”
Mi girai verso Loki a bocca aperta. L’uomo che non volevi chiamare in ospedale??? Che cazzo gli veniva in mente di dire! Se stava cercando di mettere zizzania poteva anche rassegnarsi. Ero certa che io e Davide fossimo una squadra super unita e non ci saremmo fatti dividere da un affermazione del genere. Richiusi la bocca e mi voltai verso il mio fantastico ragazzo.
“Ah. Questa mi mancava. Quindi era con te in ospedale? C’è altro che dovrei sapere? Vi siete anche visti per pizza e birra?”
Ecco appunto, una squadra indistruttibile. Sorrisi riconciliante, nonostante avessi una gran voglia di spaccargli la testa. Non era il caso di litigare lì. A quanto pare ero l’unica a pensarla così, visto che gettare benzina sul fuoco doveva essere lo sport preferito di Loki.
“Una cioccolata ad essere precisi”
Dopo quella frase ci fu un momento di silenzio o quantomeno il mio cervello si bloccò per un lunghissimo momento, nel quale non recepii nulla. Poi mi voltai nuovamente verso Loki e finalmente riuscii a concretizzare una frase.
“Che bastardo! Non è per niente andata così! Noi non… cioè mi hai offerto una cioccolata ma…”
Mi voltai verso Davide. Era furioso. Non l’avevo mai visto geloso in vita mia, non fino a quel momento almeno.
“L’ho incontrato per caso! Ero sotto Shok per via degli alieni eccetera… Volevo solo la cioccolata!”
Dovevo sembrare una bambina beccata con le mani nella Nutella e la cosa peggiore era che in realtà non l’avevo neanche sfiorata quella Nutella! Chiusi gli occhi per un istante, per cancellare l’immagine di Davide che mi fissava furibondo. Improvvisamente decisi che quello era un problema dovuto alla distanza e alla poca comunicazione. Non potevo dargli tutti i torti… Insomma, una ragazza, da sola, lontana da casa, in panico prenuziale, con un notevole pezzo di Dio che le ronzava attorno… Decisamente una situazione ambigua, ma nulla che una spiegazione sincera non potesse sistemare. Sincerità, fermezza e tranquillità, questi sono gli ingredienti per un buon rapporto.
“Oltre all’incidente, ci siamo visti solo due volte. La volta della cioccolata è stato dopo l’attacco del Chitauro al pub. Ero sotto shok. Lui mi ha vista in panico. Mi ha offerto una cioccolata. Mi ha aiutata a rialzarmi quando sono caduta e tanti saluti. La volta dell’ospedale ero ricoverata. Lui mi è venuto a trovare. Ha notato che non c’erano fiori a nome tuo. Io gli ho detto che essendo stata ricoverata e non avendo il mio cel non avevo potuto chiamarti. Lui ha tentato di baciarmi. Io l’ho fermamente respinto, anche un po’ infastidita. Gli ho fatto presente che ero fidanzata e totalmente fedele –misi particolare enfasi in quest’ultima parte e lanciai un occhiataccia a Loki, lui accennò ad un vago sì con la testa- e l’ho mandato via. E se vogliamo essere pignoli, sei l’ultimo che dovrebbe farmi la paternale, mister ci-provo-con-la-vedova”
Ok… forse mi ero un po’ alterata durante il racconto e non ero riuscita a tenermi per me quella frecciata gratuita finale… Ma l’avete mai vista la vedova nera? Insomma ammettiamolo, con quel corpo una può anche essere totalmente priva di qualsiasi altra qualità e non mancare comunque di migliaia d’ammiratori.
Davide era pronto a rispondermi per le rime, ma fu bloccato sul nascere.
“Loki!”
Ci girammo tutti verso le scale. Non feci neanche tempo a realizzare chi avevo davanti che sentii il suono della mia voce.
“Ed eccola qui! Cazzo, che tempismo!”
Lei mi guardò. La Vedova Nera, con la pistola in mano e l’espressione cruciata, totalmente ignara delle assurdità che si stavano susseguendo in quella stanza, diede fiato alla bocca tanto per creare un altro po’ di caos.
“Sapevo che seguendovi mi avreste portato da lui. Non vorrete riprovare a conquistare la Terra spero. Perché questo gioco sta iniziando a stufarmi”
Loki scoppiò nuovamente a ridere. Senza dubbio era l’unico a poter trovare quella situazione divertente. Dal canto mio, non ero nemmeno più sorpresa. Rassegnata, questo termine mi si adattava meglio. Con la voce piatta di chi sa già che non sarà ascoltato, provai a riproporre la mia versione.
“Non siamo in combutta con lui, l’ho incontrato per caso e…”
Smisi di parlare, tanto era inutile, non mi stava neanche ascoltando. Mi lasciai cadere sulla sedia e mi godetti la scena di lei che tutta circospetta si avvicinava a Loki, chiedendogli che intenzioni avesse, cosa credesse di ottenere etc. etc.
“Ti conviene arrenderti Loki. Abbiamo già dimostrato di essere più forti di te e ora sappiamo con chi abbiamo a che fare.”
La sua pistola fece Clik. Non so di preciso cosa fosse, ma una luce azzurra filtrò da delle fessure sulla canna. Non c’era da stupirsi che lo S.H.I.E.L.D. avesse inventato nuovi giocattoli di morte dopo il casino di New York.
La cosa non spaventò affatto Loki, che pareva del tutto a suo agio davanti a quel neon blu.
“Vuoi davvero spararmi? Credi davvero che serva a qualcosa?”
“In alternativa puoi portartelo in albergo, pare che funzioni.”
CI fu un attimo di pesante silenzio. Ci voltammo tutti verso Davide. Non era proprio riuscito a tenerselo per se. La Vedova si girò verso di me con un sopracciglio alzato, io neanche la vidi. Ero troppo incredula per realizzare cosa mi stesse accadendo attorno.
Un esplosione mandò in pezzi parte del pavimento. Tra i detriti e la polvere riluceva l’azzurro. in qualche secondo la polvere si depositò ed merse il rosso e l’oro dell’armatura scintillante del signor Stark, che con il braccio teso davanti a sé fronteggiava Loki, intrepido.
“Spiacente bambi, è arrivato il cacciatore e questa volta ti metteremo in gabbia”
Solo Loki lo notò. Io fissavo ancora Davide, lui fissava ancora me e Loki, Natasha fissava me e teneva d’occhio il supercattivo da brava eroina. Contraddetto per la mancanza d’attenzioni, Stark abbassò il braccio.
“Bé? Qualcuno mi spiega che succede?”
“Pare che miss Recidivo sia andata a letto con Loki”
Rapida, concisa, spietata. In una manciata di parole la Vedova Nera mi aveva uccisa. Per un attimo mi godetti la morte celebrale, poi scattai in piedi. Se avessi davvero avuto un mostro verde dentro di me l’avrei fatto spaventare tanto da convincerlo a non farsi vedere mai più.
“NON È andata così, dannazione! Mi ha impietosito e gli ho offerto di dormire sul divano. Punto. Mi ha presa per il culo sì. Sono un allocca e una stupida, è vero. Non l’ho riconosciuto, ok? D’altronde dormivo meno di quattro ore a notte grazie a lei.” Indicai Stark, lui mi guardò sorpreso, come se non ne sapesse nulla. “Ma sapete una cosa? Perché far girare tutto il discorso attorno a me? Insomma siete voi gli eroi, no? Eppure pare che se non foste stati così concentrati a dare addosso a me, avreste dato retta a Davide e avreste bloccato Loki prima che aggredisse il dottor Banner. E dannazione perché mai Davide avrebbe dovuto cercare di avvisarvi se fosse dalla parte di Loki! E Signor Stark lei è un capo pessimo –ok, non c’entrava, ma dovevo togliermi quel peso- anzi è una specie di despota psicopatico e insonne e dannazione era proprio necessario sfondare il pavimento? Le ho costruite le porte, cazzo! …E questo non è il momento per litigare.” Puntai il dito contro Davide, era ora di mettere le cose in chiaro. “Quindi vedi di tenerti per te i tuoi commenti acidi fino alla luna di miele. Perché sia chiaro, tu mi sposerai e né tu, né Loki, né l’apocalisse me lo impedirete.”
Con un tempismo perfetto la torre tremò di nuovo. Mi aggrappai alla scrivania serrando gli occhi. Oramai non riuscivo neanche più a pregare, perché sapevo, sapevo che non poteva durare ancora a lungo. La torre era forte, ma non indistruttibile. Aprii gli occhi, cercando di scacciare quel pensiero, ma ad aspettarmi c’era lui. Loki era lì, calmo, sorridente. Non gli importava? Credeva davvero che non sarebbe morto anche lui? Il terremoto cessò. Lasciai la scrivania e mi rimisi dritta, non volevo sembrare debole davanti a lui. Mi guardai attorno, c’erano solo facce perplesse. Forse era stata la scossa o il discorso troppo complicato, ma il risultato era stato uno stordimento generale. Inspirai profondamente. Dovevo essere io a spezzare quel silenzio. Volevo essere io a far capire che saremmo sopravvissuti, che la mia torre dei vendicatori avrebbe retto.
“Loki potresti cortesemente smettere di invadere la terra?”
Lui mi sorrise. Ormai leggevo i suoi sorrisi meglio delle sue parole, questo significava decisamente: cara, non hai capito nulla.
“Se potessi… Ma domandi all’alieno sbagliato. Come ti dissi, non sono io a condurre l’attacco, io me ne servo soltanto”
“Basta così!” Finalmente Iron Man si era deciso a prendere i pugno la situazione ed imporsi. “La situazione è chiarissima. Loki finirai in gabbia e questa volta ti scorterò personalmente.”
Loki sorrise di nuovo. Un sorriso ampio, sfrontato. Il sorriso di chi si sente già vincitore.
“Io non credo”
Tre parole, una risata spezzata e il fragore della vetrata che andava in pezzi e si frantumava sul pavimento.
Non ho dubbi che il primo pensiero di tutti noi fu verde. O meglio: non è verde. Mi rilassai. Tutti noi ci rilassammo un istante dopo quella costatazione. Poi arrivarono le grida, due grida, una per ogni chitauro, e tornò il panico. Arretrai verso la parete, verso Davide, verso gli Avengers. Sì, gli Avengers. Ne avevano sconfitti a centinaia di quei mostri, non avrebbero avuto problemi con solo due di loro.
Ironman atterrò, fece qualche passo per nulla intimorito e io mi sentii subito più sicura.
Loki si alzò e lo indicò con la mano aperta verso l’alto. Con un movimento fluido ruotò il polso e ritirò la mano a se, come se stesse afferrando qualcosa. Se non avessi visto una tenue luce comporre delle lettere che passarono dalla placca pettorale di Iron man alla mano del dio, avrei creduto che Stark stesse semplicemente inciampando. Iron man si accasciò a terra, schiacciato sotto il peso della sua immensa armatura.
“Davvero credevi che ti avrei lasciato sabotare i miei piani? Quando prima ti ho tramortito per prendere il tuo posto, sapevo che saresti tornato e ho preso precauzioni.”
I chiauri si avvicinarono a noi, a Loki. Uno di loro lo afferrò malamente. Chiusi gli occhi. Non riuscivo, non potevo guardare. Mi aveva ingannata era vero, ma non volevo vederlo fatto a pezzi e io sapevo che sarebbe accaduto, era stato proprio Loki a dirmi che cercavano lui. Lo scoppio di uno sparo mi fece aprire gli occhi. Loki era ancora lì, incolume, i chitauri avevano ricominciato ad avanzare e la pallottola era sospesa in aria. Loki l’aveva fermata. La pallottola cadde a terra tintinnando. Li stava aiutando. Non lo avevano riconosciuto. Mi aveva mentito. Il cuore iniziò a martellarmi in petto. Stavano ancora cercando me.





E finalmente ecco che si intravede l'azione! prometto che nel prossimo capitolo cercherò di mettere il minor numero possibile di chiacchiere... che diciamocelo non se ne può più di sentirli parlare... XD
Ci tengo a ricordare che la scritta in Comice Sans sta a significare che i personaggi parlano in Italiano...
  Spero che questo colpo di schena (Scott è Loki? ma va? non si era capito già dal primo capitolo!) non via abbia deluso per com'è avvenuto... se così fosse insultatemi pure :P non che io sia una pazza masochista... solo credo che le critiche non possano che farmi bene XD
Grazie milla a Blackmoody, Mellen e Elkie12 che ancora recensiscono (davvero grazie mi fa super piacere e mi da una spinta in più per continuare a scrivere!) e in generale a chi ancora legge questa storia strampalata!

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Capitolo 11
*** Mentre gli altri combattono ***


So che non aggiorno da una vita e che nel frattempo sono usciti altri filme e quindi bhé... risulta ormai poco interessante... ma posso assicurare che il periodo che mi si presenta davanti è meno caotico e potrò aggiornare più spesso, sempre ammesso che importi ancora a qualcuno ^^' nel dubbio... ecco un riassunto scrauso per rinfrescare la memoria
RIASSUNTO SCRAUSO
In una notte di pioggia, l’Architetto Francesca Recidivo investe per sbaglio un bel ragazzo, Scott, che finisce a dormire sul divano della sua camera d’albergo. Il mattino dopo Francesca viene attaccata da un chitauro, per qualche benedizione divina si salva, ma finisce in ospedale. Lì incontra nuovamente il bel Scott, che gli fa una romantica dedica sul gesso. Appena ripresa Francesca torna di corsa al lavoro, ma il suo capo/tiranno Tony Stark la convince a presenziare ad una riunione degli Avengers in merito ai fatti accaduti. Lei però all’ultimo improvvisa una romantica fuga con il suo fidanzato Davide che preoccupato per la sua scomparsa l’ha raggiunta dall’Italia, il tutto finisce nuovamente con l’attacco di un chitauro. I due piccioncini vengono quindi messi sotto la custodia degli Avengers, che iniziano a sospettare di loro. Durante il pigiama party però Tony (che in realtà è Loki travestito) da fuori di matto e fa andare fuori di testa anche Bruce. Mentre gli Avengers cercano di calmare Hulk che sta facendo a pezzi la torre, Francesca viene salvata da Scott, che sorpresa delle sorprese, si rivela essere Loki. Loki ammette di averla incantata, facendola sembrare lui agli occhi dei chitauri, che lo vogliono morto. Tanto per non farci mancare niente anche Davide, la Vedova Nera e Iron Man (quello vero), li raggiungono, e dopo un breve scenata di gelosia tra i due fidanzatini, arrivano pure due bei chitauri che come il prezzemolo stanno bene su tutto. La battaglia a quindi inizio, ma non prima che Loki renda inutilizzabili le armi della vedova Nera e l’armatura di Tony, che finisce a terra bloccato sotto al peso dell’acciaio.

Ehm… So che sembra un gran macello… Ma non è poi così male… Giuro!







“Stanno cercando me, credono che io sia Loki… Lui ha fatto una specie di incantesimo”
Davide mi afferrò una mano, spingendomi verso le scale. Vidi distrattamente la Vedova che riponeva la pistola nella fondina e avanzava. Se voleva farsi ammazzare, affrontare disarmata due alieni e un dio vichingo era di certo un ottima idea. Per un attimo esitai, era una stronza, ma lasciarla sola in quella situazione… Mi fermai, non tanto per i sensi di colpa, quanto per il Kitauro urlante che ci bloccava la strada. La bestia allungò il braccio per afferrarmi, ma io fui più veloce e riuscii a schivarlo spostandomi di lato, allontanandomi da Davide. Iniziai a indietreggiare, cercando di prendere tempo, il Kitauro si avventò su di me cercando di schiacciarmi con un pugno. L’aria scricchiolò, ci fu un lampo e il colpo sospeso della bestia si contorse in uno spasmo di dolore. L’alieno cadde a terra gemendo, al suo fianco Davide si reggeva a malapena in piedi. Non sembrava un eroe coi pochi capelli che spuntavano da sotto al berretto scompigliati dall’elettrostatica e il viso bianco. Tremava, anche se non avrei saputo dire se per la paura o per lo sforzo, quello che sapevo era che non si sarebbe mosso da lì per un altro po’. Corsi verso di lui, decisa a trascinarlo via. La Vedova Nera se la sarebbe cavata anche meglio senza di noi.
“Perdonami, ma non credo proprio di potertelo permettere”
Loki si mise davanti a me, afferrandomi il braccio. Cercai di divincolarmi, triando con tutte le mie forze, per arrivare da Davide. Per qualche assurdo motivo ero profondamente convinta che se solo fossi riuscita a sfiorarlo, sarei stata in salvo. Forse anche Davide ebbe lo stesso pensiero, perché fu lui ad afferrarmi, per un lungo istante lo tenni stretto, ma il gesso mi concesse solo una fragile presa e la forza sovrumana di Loki fece il resto.
Fui strappata via appena in tempo per non essere trascinata dall’altra parte della stanza con Davide. Impotente vidi il ragazzo che amavo cadere a terra. Non si era nemmeno rimessa in piedi quella bestia, che già lo afferrava, lanciandolo contro la parete.
Un grido di dolore mi sfuggì dalle labbra. Lo avrebbe ucciso, perché ormai sapeva che era pericoloso, perché aveva tentato di proteggermi.
Gli occhi si riempirono di lacrime, mentre Loki mi allontanava da loro.
“Ammetto che sono un po’ deluso, avrei sperato che fossi tu ad essere più che un semplice umana, ma in fondo non fa alcuna differenza.”
La voce di Loki era tranquilla, rinfrancante, gentile.
La torre tremò. Loki mi lasciò andare ed io caddi a terra. Mentre ancora il mio mondo vibrava, minacciando il collasso alzai gli occhi su di lui e lo vidi sorridere. Lo sapeva. Sapeva che avevo bisogno del suo aiuto se volevo sopravvivere e purtroppo lo sapevo anche io.
“Cosa vuoi da me?”
Il terremotò si fermò, ma non mi rialzai. Fu lui a inginocchiarsi. Con un braccio pigramente appoggiato al ginocchio mi guardava dall’alto in basso.
“Tu mi incuriosisci, lo ammetto. È disarmante il modo in cui riesci a sopravvivere, nonostante la tua spiccata mancanza di qualunque dono.”
Fece una pausa, ma io non raccolsi la provocazione. L’insulto mi scivolò addosso.
“Non sei intelligente, né sveglia, non hai una grande forza… e sei ingenua, terribilmente ingenua. In tutta sincerità sono solo curioso di vedere se ti salverai”
Una macchiolina rossa invase il mio campo visivo, attirando la mia attenzione. La Vedova Nera stava schivando i colpi del kitauro, era rapida e non sembrava affatto in difficoltà, ma non riusciva a contrattaccare. Non avevo idea di cosa avesse in mente, ma non sembrava stesse funzionando.
In un impeto d’ira il Kitauro si avventò su di lei, istintivamente voltai lo sguardo per non vedere cosa le stesse capitando, sfortunatamente mi imbattei in qualcosa di peggiore: il viso rilassato di Loki. Avrei voluto insultarlo, gridargli in faccia il mio odio o maledirlo, ma le parole mi si bloccarono in gola e la mia vista iniziò ad annebbiarsi. Mi alzai di scatto. Non mi importava se lui mi credeva debole, non volevo comunque dargli ragione. Prima che potesse alzarsi mi allontanai. Non ero stupida, mi rendevo conto che più mi allontanavo da lui più mi esponevo a rischi. In qualche modo lui mi teneva al sicuro… o meglio, sapeva dove stare durante una battaglia.
I tacchi della Vedova Nera stridirono sul pavimento. Mi voltai di scatto verso quel rumore, lei stava bene ed era vicina, pericolosamente vicina. Improvvisamente l’idea che mi ritenesse ancora una nemica si insinuò nel mio cervello e si diffuse in tutto il mio corpo, trasformandosi in tremito. Feci un passo indietro, cercando di capire le sue intenzioni e non mi accorsi del chitauro che nel tentativo di schiacciarla con un pugno, quasi mi colpì. Il mio corpo si paralizzò per il terrore, mentre la belva fissava i suoi occhi nei miei. Non si può dire che io sia intuitiva, ma quando i nostri sguardi si incontrarono, io ebbi la certezza che in lui ci fosse qualcosa di diverso. Non per sembrare razzista… ma davvero… avete provato a guardare un chitauro? Sono tutti maledettamente uguali. Lui non faceva eccezione. Era identico a quello che mi aveva aggredita sulla Torre dei Vendicatori a quello del caffè. Era identico ad ogni maledetto alieno arrivato a New York, eppure quando ci guardammo negli occhi io fui certa non poteva essere un semplice alieno.
Non saprei come spiegarlo… non erano gli occhi di una belva quelli che stavo guardando, c’era una tale risolutezza e determinazione in quello sguardo che avevo visto raramente in vita mia. Non mi sembrò di aver davanti una belva o un mostro, mi sentii davanti ad un Capitano, uno Steve Rogers alieno, un essere formato per la guerra, a qualcuno che avrebbe fatto qualunque cosa per raggiungere il suo obiettivo e il suo obiettivo ero io.
Pregai con tutte le mie forze che non mi riconoscesse, che non capisse. Non so se le mie preghiere non furono ascoltate o se semplicemente non fosse in grado di distinguermi dalla Vedova Nera, so che chiuse una mano sulla mia testa e mi strinse tanto da non farmi respirare. Iniziai a tremare tanto violentemente da perdere la cognizione di ciò che avevo attorno. Ero certa che il panico avesse avuto la meglio e che sarei morta, tanto che il primo respiro che riuscii a prendere mi sembrò qualcosa d’innaturale. Iniziai a tossire violentemente, aggrappandomi al pavimento. In qualche modo ero caduta a terra. Il chitauro era ancora lì accanto a me sul pavimento e tremava. Con qualche istante di ritardo capii che non ero io a tremare, ma l’intera torre. Un sonoro schianto mi fece voltare. Il lampadario era crollato a terra, dietro alle scintille, Davide si reggeva in piedi a stento, aggrappato allo stipite della porta. Prima ancora che il mio cervello realizzasse cosa stava succedendo, il mio corpo iniziò a strisciare verso la scrivania. Solo quando ci fui sotto ricominciai lentamente a ragionare. La torre stava per collassare. Ormai questa era una certezza. Per quanto fosse maledettamente a prova di terremoto, quella struttura ormai era sotto attacco da troppo tempo, non poteva reggere all’infinito. Le menzogne, Loki, i chitauri, niente di tutto questo aveva davvero importanza, non davanti alla prospettiva di un collasso della struttura. Dovevo impedirlo. Dovevo far finire quella follia. Era una mia responsabilità e se non ce l’avessi fatta sarei morta e avrei trascinato con me migliaia di persone.
Mi aggrappai alla scrivania che si stava lentamente spostando, cercando in quel precario supporto l’aiuto per rimettermi in piedi. Riuscii a trovare l’equilibrio, quindi la lasciai, con il patetico risultato di finire nuovamente a terra, accompagnata da un cassetto, a cui avevo tentato di aggrapparmi in extremis. La cancelleria si riversò tutta attorno a me, mentre un paio di forbici mancavano per un soffio la mia unica mano buona. Quel paio di forbici mi sembrarono un messaggio divino. Non avevo idea di come si usasse una pistola, o di come si combattesse un dio, ma le forbici le sapevo usare. Con la forza della disperazione le afferrai e iniziai ad incidere il gesso. Riversai su quel gesso tutto l’odio che provavo. Non era stato l’inizio di tutto, ma era senza dubbio il simbolo della mia stupidità, ingenuità, debolezza ed ero davvero, davvero incazzata. Notai a malapena un ombra farsi grande su di me e poi scomparire. Nella mia follia, non importava se il chitauro mi avrebbe afferrata e uccisa, importava solo che riuscissi a togliere quel maledetto gesso.
Quando alla fine riuscii a liberare l’arto era passato parecchio tempo, la torre aveva smesso di tremare. La Vedova stava tenendo di nuovo a bada il chitauro e io ero distrutta. Anche senza gesso la mia mano era violacea e continuava ad essere scossa da fitte. In quelle condizioni mi era di peso, ma non importava. Avevo perso parecchio tempo. Con tutta probabilità mi ero fatta salvare dalla Vedova Nera, ma anche questo non importava. Era decisamente tempo che facessi qualcosa di intelligente e per quanto pensassi l’unica alternativa che avevo era Loki.
La vedova Nera aveva portato il suo avversario a debita distanza e Davide arrancava dall’altra parte della stanza, cercando di allontanarsi dal suo malandato assalitore. L’armatura di Ironman era ancora immobile a terra, non avevo idea delle condizioni in cui era il signor Stark, ma non potevo credere che potesse stare bene e contemporaneamente zitto. Inspirai profondamente e superai l’armatura. Dovevo ignorarle tutti loro, proprio come faceva lui.
Era in piedi tranquillo, in mezzo a tutto quel caos. Osservava distrattamente la battaglia che si articolava attorno a lui. Eppure, nonostante vi fosse così vicino, Loki e il caos sembravano in due mondi separati. Lui era l’occhio del ciclone e non potei fare a meno di pregare che non fosse per via di un incantesimo. Mi fermai davanti a lui, ma non si voltò. Era impossibile che non mi avesse notata. Lo si vedeva da come dominava la scena che ci stava tenendo tutti sott’occhio. Ci sorvegliava, per assicurarsi che le cose andassero come aveva programmato.
La lama delle forbici era fredda, strinsi il manico con forza, per darmi coraggio.
“Sei una tale delusione”
Loki si voltò lentamente. Il suo sguardo trasudava disprezzo. Non so cosa avesse creduto, o cosa si aspettasse da me, io non ero un eroe, ero solo una ragazza con delle forbici, per questo per quanto sapessi che non aveva senso, alzai la mano e mirai a quello sguardo deluso.
Non mi avvicinai nemmeno al suo volto. A metà strada Loki mi afferrò il polso. Quella goffa pugnalata rimase a mezz’aria.
“Pensi davvero di potermi nuocere con questo… giocattolo?”
Scoppiò a ridere, stringendo il mio polso con più forza. Il braccio iniziò a farmi male, ma ero ancora determinata ad eseguire il mio piano. L’unico maledetto braccio che avevo iniziò a pulsarmi dal dolore. Iniziai a strattonare con forza, cercando di liberarmi, ma più tentavo, più la stretta si serrava. In preda al dolore le dita si aprirono e le forbici caddero. Mi lasciò andare. Istintivamente mi afferrai il polso. Una mossa decisamente stupida visto che l’altra mano era persino messa peggio. Nonostante il dolore, ero orgogliosa di me stessa.
“Tu… Ti sei liberata del gesso” La voce di Loki appariva incerta e divertita.
Per un attimo sorrisi, poi incontrai i suoi occhi. Il suo sguardo era tutt’altro che divertito. Fece un passo in avanti, costringendomi ad arretrare. Alle sue spalle l’ombra del Kitauro divenne più grande, ma io non riuscii a capire cosa stesse facendo. I miei occhi erano incastrati nello sguardo pieno d’odio di Loki.
“Tu… piccola ingenua. Credevi davvero di potermi ingannare? Di poter ingannare ME?”
La voce di Loki tremava dalla rabbia. Con un gesto secco, strappò il frammento di gesso incollato con lo scotch al suo mantello.
Attaccare addosso a Loki la formula magica che aveva scritto sul mio gesso, non era certo il piano più geniale che si potesse escogitare, lo ammento… in effetti era più uno di quei piani che possono venire in mente solo ad un bambino… o a Giovanni Muciaccia… Ma sul serio, sfido chiunque a tirare fuori qualcosa di meglio col poco che avevo.
Loki si chinò verso di me.
“Mi hai deluso”
La sua voce era piena di disgusto e mi sentii male. Aprii la bocca, ma le parole mi morirono in gola. Per questo le forzai e gli risposi. Ormai mi ero ripresa. Ero uscita dallo stato di panico e catalessi che mi aveva assalita e non intendevo ricaderci. Dovevo essere la testa calda di sempre se volevo uscirne.
“Tu… hai decisamente degli standard troppo alti”
Per un attimo lui mi fissò in silenzio. Non so se volesse uccidermi, di certo stava per dire qualcosa, ma io oramai ero partita, così ignorai lui e la lotta alle sue spalle. Non mi sarei fermata facilmente.
“Sì, lo ammetto. Ho sconfitto due chitauri, ho evitato il crollo di questa torre più di una volta e tenuto testa ad un dio nordico, ma non tutto nello stesso tempo! Erano suddivisi, ok? Sapevo su cosa concentrarmi. Non puoi passare da livello uno al boss finale. Non sono pronta e poi…  Io non devo essere pronta. Io sono un Architetto, non un Supereroe e comunque ho fatto meglio del signor Stark.”
Non avevo dubbi che dentro alla sua gabbia di metallo, il signor Stark stesse brontolando a più non posso. Mi avrebbe stressato l’anima appena ne fosse stato in grado, cercai di non pensarci, avevo altro su cui concentrarmi. Tipo il dio che avevo davanti.
“Non sei totalmente in errore. Se i più grandi eroi dalla terra non possono nulla contro di me… cosa mai potresti fare tu?”
Un sorriso ebete mi illuminò il volto. Finalmente ci eravamo capiti.
“Questo gioco non poteva durare, non ne sei all’altezza. Sarà meglio che ti incida questo marchio in fronte e prosegua col mio piano”
Il mio sorriso si spense mentre fissavo il pezzetto di gesso brillare nella mano alzata di Loki. Non ci eravamo capiti. Non ci eravamo capiti per niente. Feci un passo indietro, cercando di raccogliere le forze per mettermi a correre, poi mi fermai.
“Tu non ti stai comportando con onore”
Lui mi guardò divertito, ma nuovamente non gli lascia tempo per replicare.
“La prima volta che ci siamo incontrati mi hai dato la tua parola che ti saresti comportato con onore. Lo so, ok? La gente mente e tu… bé tu di minchiate me ne hai raccontate un sacco… Ma a quella ci ho creduto molto più delle altre e… non so molte cose sull’onore è vero, ma per ora mi sembra che le tue azioni siano state mirate a salvarti e ad indirizzare la guerra in una certa direzione. Questo invece… Ormai hai raggiunto il tuo obiettivo quindi, questa sarebbe una cattiveria gratuita e di certo non onorevole.”
Lui mi guardava. I suoi occhi erano freddi e ostili. Non si fidava di me era chiaro, come era chiaro che stessi cercando di salvarmi. Sì, era vero. Volevo salvarmi, ma questo non significava che non pensassi davvero le cose che avevo detto.
“Credi davvero di trovare salvezza in questo modo? Sono stato io a distruggere questa città. Credi che non abbia il coraggio di far del male ad una singola donna?”
La verità era che non avevo idea di chi fosse, o di cosa fosse capace. Sapevo che mi aveva curato le ferite al viso, che probabilmente l’aveva fatto solo per darmi una probabilità in più di sopravvivere per non far fallire il suo piano. Sapevo che la prima volta che l’avevo visto lui era fradicio di pioggia, mi era sembrato solo e triste e io avevo abboccato. Mi aveva solo presa in giro, eppure…
“Io non so nulla di guerra. Non so cosa sia successo. Non so perché l’hai fatto. Non so se lo volevi o meno. Ma… Non mi sei sembrato così… Spietato. Mi sei sembrato determinato” e solo e disperato, ma queste ultime considerazioni me le tenni per me, a nessuno piace guardare in faccia la realtà.
Senza alcun preavviso quella piccola luce scomparve, inghiottita da un enorme mano azzurra. I lineamenti sottili di Loki si distorsero in una smorfia di dolore e sorpresa. Il chirauro stava stritolando la sua mano, probabilmente incidendovi il marchio che sarebbe stato destinato a me. Non sapevo se i chitauri avessero capito cos’era successo o se semplicemente avevo avuto fortuna, le mie gambe decisero prima del mio cervello e io mi ritrovai a correre verso l’ascensore. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo attorno a me, vedevo soltanto la strada che mi divideva dell’ascensore.
Contro ogni logica ed ogni buon senso mi fermai. Diedi un’occhiata alle mie spalle e vidi Loki che cercava di liberarsi. Per un attimo esitai, poi afferrai la gamba metallica del mio capo ed iniziai a tirare.
Con uno stridio insopportabile l’armatura iniziò a strisciare lentamente sul pavimento. Ero riuscita a trascinarla solo di qualche centimetro prima di fermarmi. Il braccio mi esplodeva di dolore, ma la mia mente non poteva fare a meno di pensare a quel povero pavimento di marmo, che avevo fatto importare direttamente da Carrara. Una mano mi afferrò la spalla ed io sobbalzai terrorizzata. Il viso sporco di polvere e sangue di Davide mi apparve davanti e io fui talmente sollevata che i miei occhi si riempirono di lacrime. Senza dire nulla Davide prese l’altra gamba e ricominciammo a trascinare il mio capo verso l’ascensore. In un attimo eravamo dentro l’ascensore. Il dolore al braccio mi fece girare la testa e prima che me ne accorgessi mi trovai seduta a terra accanto all’armatura. Per un assurdo istante chiusi gli occhi, cercando di far fermare il mondo attorno a me, quando li riaprii il caos era ancora ovunque. Davide, con la mano appoggiata alla pulsantiera, si sporgeva fuori dalle porte gridando qualcosa. Cercai di concentrarmi su quello che diceva, ma prima che ci riuscissi un tacco cozzò violentemente contro l’armatura di Stark. Un altro tacco lo seguì in rapida successione, portandosi dietro il sottile profilo della Vedova Nera, che senza un minimo di decenza se ne stava in piedi sopra al corpo inerme del mio capo. Per un attimo la guardai, intenzionata ad insultarla, ma le porte si chiusero, facendo apparire la battaglia solo un brusio lontano e io mi persi in quella tranquillità apparente.

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Capitolo 12
*** Su o giù? ***


L’ascensore non era grande. O meglio, era grande, ma non era una camera da letto… Insomma non ci potei stare sdraiato comodamente. Così dopo aver trascinato il signor Stark nell’abitacolo, lo avevamo dovuto stipare dentro a forza. Non si può dire che si stesse proprio scomodo, semplicemente era faccia a terra con le gambe in su, appoggiate alla parete. Forse la cosa più scomodo era avere 70 kili di donna sulla schiena… Ok, lo ammetto, al massimo quella donna potrà pesare 60 kili… I muscoli pesano, ok? Bhé, comunque la voglia di insultarla mi era passata. In fondo era improbabile che Stark ne sentisse li peso sotto tutta quella corazza… e poi essere calpestato da una donna, per uno come lui è quasi una punizione Karmica. Sì, in fondo se lo meritava proprio e sono certa che anche la signorina Potts sarebbe stata d’accordo con me e Natasha.
Erano passati pochi istanti da quando le porte dell’ascensore si erano chiuse, ma Davide e la Vedova Nera avevano già iniziato a confabulare qualcosa, in teoria il loro discorso riguardava anche me, ma io ero troppo intenta a stare rannicchiata su me stessa tenendomi il braccio dolorante per preoccuparmene.
Ovviamente però poter restare rinchiusa nel mio piccolo mondo di dolore era chiedere troppo, ci pensò Miss Superspia a venirmi a disturbare.
“Alzati e dacci una mano, dobbiamo girare Stark”
Sorrisi il più gentilmente possibile, pensando a quale epiteto la rispecchiasse meglio, devo dire che ero molto combattuta tra sociopatica e un più banale stronza.
“Lasciala stare… Con quel braccio è meglio che non si muova”
Ci voltammo entrambe verso Davide. Non mi guardava, era sicuramente ancora arrabbiato, ma almeno ci teneva ancora a me. Iniziai a sorridere come una deficiente, mentre Davide e Natasha cercavano di girare l’armatura. Non ci volle molto, anche se il moribondo quasi mi tirò un calcio in faccia. Quando finalmente fu in una posizione più umana, ossia seduto con la schiena contro le porte, la Vedova iniziò ad armeggiare con il suo elmo, mentre un brusio familiare riempiva il silenzio. Io… Sinceramente mi era passata anche la voglia di arrabbiarmi con Stark… Insomma cosa puoi dire ad uno che passa l’intero combattimento faccia a terra e prima ancora di essere liberato inizia già a lamentarsi.
“Non si apre così” “Devi… no! Non toccare lì” “è talmente semplice che potrei farlo bendato, perché non bla bla bla”
Insopportabile. Davvero, se fossi stata Natasha gli avrei sclerato in faccia. Fortuna che il viaggio in ascensore stava durando un po’ altrimenti non avrebbe fatto tempo a liberarlo. Solo allora me ne accorsi. Non ci stavamo muovendo. Feci un profondo respiro e chiusi gli occhi. Espirai mentre li riaprivo e facevo mente locale. Eravamo bloccati in ascensore, in una torre che stava per crollare. Bene. Ottimo.
Amore?
Parlai in italiano sperando di riuscire a tenere la Vedova fuori dalla conversazione. Sapevo che sarei risultata solo più sospetta, ma aveva messo già abbastanza zizzania. Davide si girò verso di me e per un attimo temetti che potesse fulminarmi… o meglio che volesse fulminarli, ma sembravo ancora viva quindi continuai.
“L’ascensore è fermo”
Lui alzò un sopracciglio. Doveva essere una cosa chiara da un po’ visto che se n’era accorta anche la spia rossa che lampeggiava ad intermittenza sul tastierino.
“L’ascensore si è bloccato, ora liberiamo Stark e poi proviamo ad uscite da sopra”
Per un piano del genere non serve essere una superspia, chiunque abbia una TV può escogitarlo e io ero abbastanza grande per sapere che fare le cose viste in TV è un idea del cazzo. Comprese quelle che dei programmi televisivi per bambini… Tipo Art Attack per dirne uno a caso. Cercai di mordermi la lingua ed essere gentile.
“Capisco che la signorina qui sappia bene il fatto suo, ma non mi sembra una grande idea. Insomma anche ammesso che riusciamo a salire poi? Non sappiamo neanche quanto sia in alto la prima porta. Senza contare che poi dovremmo riuscire ad aprirla quella porta e non è come nei film. Queste porte non le apri a mano, hanno un sistema di sicurezza che…”
Hai un piano migliore Francesca? Perché l’unica alternativa che vedo io è restare fermi qui fino a che l’ascensore non precipiti”
In realtà l’ascensore aveva freni idraulici e corde di metallo rinforzate, quindi non sarebbe mai precipitato, al limite la torre si sarebbe accartocciata sull’abitacolo schiacciandoci… ma forse questo era meglio tenermelo per me.
Magari siamo fortunati… Intendo dire, magari si è fermato solo per il protocollo anti incendio che è partito in ritardo. Quando la torre è sotto attacco Jarvis stacca l’elettricità dove non è indispensabile, ma si può farla tornare”
Lui mi guardava in silenzio. Un po’ guardava la mia faccia e un po’ il mio braccio. Per un attimo lanciai un occhiata alla Vedova Nera. Era perfetta cazzo. Neanche un capello fuori posto. Io invece dovevo sembrare una disperata. Ero coperta di terra, con un braccio livido, il viso graffiato e dio, non volevo sapere in che condizioni fossero i miei capelli. Potrò sembrare superficiale a pensare una cosa simile in un momento del genere, ma io non ero stupida né superba: sapevo bene che non potevo salvare il mondo, il mio quasi matrimonio invece… Per quello avrei potuto fare qualcosa forse. Un sonoro clang e un concitato “Era ora!” mi riportarono alla realtà. Stark era senza maschera e totalmente intenzionato a sapere cosa stesse succedendo. Iniziò a tartassarci di domande, visto che l’unica cosa che aveva visto lui del combattimento era stato il pavimento. Prima che chiunque potesse parlare lo interruppi, volevo che la prima versione ad essere sentita fosse la mia.
“Per farla semplice: i chitauri vogliono Loki morto, ma fanno fatica a distinguerci per l’aspetto, più che altro captano una specie di aura. Per questo Loki mi ha messo una specie di marchio, prima su una sciarpa e poi sul gesso, che mi faceva sembrare lui. Credo volesse che vi uccideste a vicenda… Comunque, prima durante la battaglia ho tagliato il gesso e per culo un chitauro si è avvicinato mentre Loki aveva in mano la formula. Credo che ora stiano combattendo… Io e Davide ti abbiamo trascinato dentro l’ascensore e ce la siamo data a gambe. Fine della storia”
La Vedova Nera mi fulminò con lo sguardo, non mi sembrava molto convinta. Probabilmente non credeva a nulla di quello che avevo detto.
“Credo che dovrai impegnarti di più se vuoi convincerci. Ad esempio iniziando a dirci cos’è lui”
Cos’è lui?! Come fosse un animale. Come fosse una bestia da etichettare. Fu un attimo, il sangue mi salì al cervello nello stesso tempo che miss superspia impiegò ad alzare il braccio e ad indicare il mio ragazzo col pollice, io scattai.
“LUI, brutta stronza, è quello che ti ha salvato il culo. Senza di LUI le porte dell’ascensore ti si sarebbero chiuse in faccia e tu saresti ancora là. Quindi vedi di ridimensionare i toni!”
Ero arrivata al culmine. Non riuscivo più a sopportare insinuazioni sul mio presunto coinvolgimento, ma più di tutto mi faceva impazzire che parlasse di Davide con quel tono. Lei mi guardava con calma, per nulla impressionata. Si mosse in un attimo e mi afferrò con forza la maglietta. Giuro che per un istante vidi una lama balenare nella sua mano.
“Sono un mutante”
La Vedova mi lasciò andare e si voltò verso di lui. Sembrava sorpresa e la cosa mi confuse, i mutanti al mondo sono pochi è vero, ma una che fa il suo lavoro doveva averne già visti molti. Eppure c’era uno strano silenzio teso nell’abitacolo. Era appunto per questo che non lo diceva dopo il ciao, per questo e per l’argomento Test di laboratorio.
“Appena si aprono le porte corri.”
Davide mi guardò dubbioso, ma io avevo sentito parlare di Hulk abbastanza a lungo per avere la sgradevole sensazione che presto avrebbero iniziato a discutere del “bene dell’umanità” e delle “possibili ripercussioni sul progresso scientifico”.
“Va via. Fidati. Vattene prima che arrivi qualche agente governativo o prima che –Lancia un occhiata tesa a Natasha, cercando il coraggio di dire quella frase che tanto mi terrorizzava- inizino a parlare di una cura”
Natasha mi sorrise era chiaro che non gradisse sentirci parlare in una lingua sconosciuta. Peccato. Bé, se ne sarebbe fatta una ragione, perché io non intendevo smettere. Le risposi al sorriso.
“L’unica cura che riceverà se proverà a svignarsela sarà la sedia elettrica”
Per un attimo mi chiesi se avrebbe potuto fargli male. Sembra sciocco, ma non mi ero mai chiesta se potesse fulminarsi. Solo dopo che questo pensiero fu passato realizzai che la Vedova Nera parlava un ottimo Italiano, con persino un vago accento del Nord, d’altronde era una superspia, probabilmente parlava più o meno tutte le lingue al mondo. Davide scoppiò a ridere, probabilmente dovevo avere un’espressione davvero stupida, oppure era tutta la situazione a sembrargli ridicola.
“Hai sentito anche la parte sul come riattivare l’ascensore?”
“Intendete andare avanti a lungo? Non che mi dispiaccia sentire chiacchiere in una lingua incomprensibile mentre sono comodamente intrappolato nella mia armatura…”
In un certo senso apprezzavo che il signor Stark se ne fosse stato buono tanto a lungo, in ogni altro senso gli ero grata per aver cambiato discorso. Senza dire nulla la Vedova Nera gli passò sopra, letteralmente, e dopo averlo scavalcato si dedicò al tastierino, per far ripartire l’ascensore. Il silenzio non durò molto, d’altronde c’era Stark tra di noi.
“Bhé? Questo gene mutato che bel regalo ti ha fatto?”
Davide stette zitto per un attimo, ma ormai era tardi per ripensarci.
“Ho degli organi in più…” I suoi occhi vagavano nell’abitacolo senza meta, si vedeva che la cosa lo metteva a disagio. Stark ovviamente non sapeva nemmeno cosa volesse dire Privaci quindi non poté fare a meno di spronarlo a continuare.
“Su! Non essere timido… Sei tra semi umani qui. Ok, prometto che se farai il bravo poi potrai vedere il reattore che ho nel petto”
Davide mi lanciò un’occhiata, ma prima che potessi risponderli lui si voltò verso la Vedova, che riusciva a svolgere il suo compito e tenerci d’occhio contemporaneamente. Lentamente Davide si arrotolò le maniche, mettendo in mostra quella specie di voglie che gli coprivano gli avambracci.
“Sono organi elettrici… in pratica sono dei muscoli mutati che contengono più tessuti nervosi del dovuto”
Non so neanche come descrivere la scena. Il sigor Stark sembrava un bimbo a Natale… o, come temevo, un piccolo secchione a cui è stato detto che potrà sezionare una rana. Natasha invece…
“È grazie a quelli che riconosciuto Loki?”
Lei aveva lo sguardo gelido di chi non ti considera un essere umano. Se fossi stata meno coinvolta forse mi sarei accorta che guardava tutti così, Avengers compresi, ma siamo franchi gli Avengers erano tutto tranne che umani e quello era il mio ragazzo, quindi ero molto, molto coinvolta.
“Ah… no, io non ho riconosciuto Loki. Più che altro non mi sembrava Stark. Io ho degli elettroricettori…” Davide si tolse il berretto, mostrando quei puntini che gli segnavano la fronte, molto simili a lentiggini.
“Quindi riesci a sentire le aure come un chitauro?”
E ridaje con ‘sta storia del complotto alieno! Sembrava che la Vedova Nera proprio non riuscisse a farsi una ragione del fatto che non c’entravamo niente. Stavo per alzarmi in piedi e farmi prendere a pugni dopo averla insultata di nuovo, ma Davide mi batté sul tempo scoppiando a ridere.
“Direi che somiglio più a uno squalo che a un supersayan. Sinceramente non ho idea di cosa sia un’aura. Sento i campi elettrici soprattutto se sono in acqua e se sono molto forti, ma comunque è molto difficile che li percepisca… per via di tutti questi aggeggi elettronici in giro. Lui è molto riconoscibile però.”
Non era difficile da credere. Insomma reattore nel petto a parte con tutta la tecnologia che si portava sempre addosso come Iron Man era strano che non gli fosse già venuto il cancro. Un sonoro Clang decretò la rimessa in movimento dell’ascensore. Non c’erano state più scosse e questo mi faceva ben sperare, magari avevano trovato il modo di fermare Hulk. Pensandoci bene era paradossale che fossimo lì tranquilli a parlare delle interiora del mio fidanzato, mentre un mostro verde stava cercando di spiaccicarci, due mostri azzurri avevano appena cercato di ucciderci e un mostr… no dai mostro no… un sexy psicopatico stava cercando di diventare re del mondo. Mi stava tornando addosso la depressione.
Stark si lasciò sfuggire una risatina.
“Peccato ci saresti stato utile! Per riuscire a individuarlo dallo spazio Loki deve avere un’aura potentissima! Almeno più di 9000”
Scoppiammo a ridere. Persino la Vedova Nera si lasciò sfuggire un sogghigno (cosa che non fa altro che confermare la mia teoria secondo cui nessun terrestre non conosce Dragomball). Eravamo in una situazione disperata e ridevamo come degli idioti, se questo era il modo di prepararsi alla battaglia degli Avengers era il caso di preoccuparsi. Feci un profondo respiro, cercando di prendere in mano la situazione.
“Signor Stark… Cosa facciamo con la sua armatura?”
A giudicare dall’euforia con cui mi rispose, sembrò che non aspettasse altro che quella domanda.
“Ho intenzione di interrompere l’impulso energetico che continua a creare sbalzi di energia intermittente impedendo il funzionamento dell’armatura, controbilanciandolo con una carica maggiore continuata che mi dia il tempo di riprendere il controllo del sistema.”
Non avevo dubbi che avesse parlato difficile apposta per non farmi capire niente, ma per quanto volessi evitarlo, non potevo fare a meno di fissarlo con un’espressione imbecille dipinte in faccia. Dopo qualche istante di godimento il despota decise di sbuffare, tanto per continuare la pantomima e spiegare con tono monotono:
“Il ragazzo batteria darà una bella scossa all’armatura mentre io la riavvio”
Ah ecco. Altro che Controbilanciare, stava per spegnere e riaccendere! A giudicare dalla faccia bianca di Davide ero certa che lui avesse qualcosina da ridire sul piano, ma Stark non gli diede tempo di protestare.
“Non avevo mai incontrato un ragazzo-ornitorinco. Sai, sarebbe molto interessante fare qualche piccolo prelievo oppure…”
Cosa avevo detto? Secchione e vivisezione? Ecco appunto. Se voleva l’aiuto di Davide lo stava cercando proprio nel modo sbagliato. Avrei voluto tirare uno schiaffo a Stark. Invece mi voltai verso la Vedova Nera, quello per quanto sembri assurdo poteva essere un ottimo momento per dimostrarle che non eravamo avversari, ma non feci in tempo a dire nulla. Le porte dell’ascensore si aprirono, facendo cadere il mio capo pesantemente a terra, normalmente sarei scoppiata a ridere, ma una nuvola di detriti e urla entrarono nello stretto abitacolo. Una sagoma enorme che di umano non aveva nulla si stagliava poco lontano, nascosta dietro ai detriti del solaio superiore crollato nella stanza. Indietreggiai, schiacciandomi contro il fondo dell’ascensore, senza un minimo di pietà la Vedova mi afferrò il braccio dolente e mi trascinò fuori.


 
Ed eccoci quà! Ho cercato di seguire il consiglio che mi diede Elkie12 aggiungendo un po' d'Italiano in più ^^ a proposito... grazie mille per le recensioni che mi lasci! bé, grazie a tutti quelli che hanno recensito ^^

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Capitolo 13
*** Fa qualcosa! ***


Accecata dal dolore barcollai per qualche passo, seguendo la direzione indicatami dalla morsa che mi attanagliava la mano. Inciampai su qualcosa di metallico e due mani forti mi afferrarono, impedendomi di cadere. La luce bianca che mi aveva invaso gli occhi iniziò a sfocare, mentre una voce ferma e femminile mi ordinava di non svenire. Certo! Ovvio, no? Ora che me lo hai detto evito di perdere involontariamente i sensi. Come se fosse una cosa che potessi controllare! Mi aggrappai alle braccia sottili e muscolose che mi afferravano, facendo forza per rialzarmi o meglio, per arrivare alla sua gola e strangolare quella sociopatica. Lei però mi lasciò andare appena si accorse che riuscivo a stare in piedi e si voltò verso le porte dell’ascensore ancora aperte. Tese il braccio indicando il mio povero ragazzo che col volto bianco e gli occhi spalancati guardava l’armatura esanime di Iron Man.
“Ci serve Stark. Ricaricalo!”
La chioma rossa ruotò su se stessa e scomparve nella polvere. Non mi voltai. Non volevo sapere cosa stesse succedendo dietro di me. Avevo deciso di affrontare Hulk optando per la strategia “se non lo vedo non esiste”, così finsi di ignorare le grida e i tonfi e mi concentrai sui due uomini nell’ascensore.
“I-io non posso…”
Davide richiamò la mia attenzione. Non avevo idea di cosa potessi fare per lui, ma era chiaro cosa si aspettava che facessi. Voleva che lo tirassi fuori da quella situazione. Inspirai profondamente. Ok, piano d’azione: farmi forza, afferrare Stark, rimetterlo nell’ascensore e mandarlo al piano terra. Afferrai per le spalle l’armatura, il dolore al polso mi fece aprire la mano, l’armatura non si era neanche mossa, ma io non mi arresi. Facendo forza sulle gambe come se fossi in una pubblicità del Voltaren, tirai quel maledetto idiota metallico e alzai l’armatura. Non era neanche a dieci centimetri dal terreno quando un grido si alzò alle mie spalle. Istintivamente la lasciai andare e mi voltai dicendo addio alla mia strategia da struzzo.
Fortunatamente non vidi Hulk, vidi soltanto lo scudo di Cap cozzare contro una parete e incastrarsi in un pilastro. Il mio cuore mancò di un battito mentre osservavo una crepa allargarsi nell’edificio. Qualcosa mi forzava a gridare, ma la voce non usciva, era come incastrata nella gola e mi soffocava. Non so dire se fosse la paura di un imminente crollo o solo il dolore che provavo a vedere la mia amata torre ridotta così, ma so che smisi di respirare per un tempo infinito. Ero sull’orlo di un attacco di panico o forse ne ero totalmente schiava. Una sagoma precipitò sul pavimento contorcendosi su se stessa mentre scivolava verso l’ascensore. Con un ultima contrazione Clint si rimise in piedi. Un grido mi sfuggì dalle labbra quando vidi la posizione innaturale della sua spalla. Non si voltò nemmeno a guardarci, con un gesto fermo si afferrò il braccio e lo tirò, ricollocando l’osso nella cavità della spalla. Zoppicando leggermente raggiunse lo scudo di Cap e lo afferrò con lo stesso braccio che pochi istanti prima sembrava non far più parte del suo corpo. Bastò uno strattone perché lo scudo fosse di nuovo libero. Un attimo dopo Clint era scomparso, di nuovo inghiottito nella battaglia ed io avevo ripreso a respirare. Sembra assurdo, eppure l’aver visto il coraggio e la forza di quello che avevo sempre considerato un cretino con un arco, mi spingeva a cercare di fare di meglio. Io non sarei mai riuscita a rialzarmi così, come se non provassi dolore, lo sapevo. La mano mi andò al polso livido. Se pensavo a come la Vedova Nera mi aveva afferrata mi girava ancora la testa, eppure ora in qualche modo la capivo, non era il momento per usare i guanti di velluto quello in cui ci trovavamo, era il momento di reagire e fare qualcosa.
Senza più lo scudo a sorreggerlo, il pilastro scricchiolò. Riuscivo a vedere le barre metalliche, che sarebbero dovute essere celate nel calcestruzzo, piegate. Male, andava dannatamente male, non dovevano essere così. Mi voltai verso Stark, cercando la solidarietà di Davide, ma lui era ancora bianco e terrorizzato. Lo capivo. Noi non eravamo eroi. Non c’entravamo niente. Non dovevamo restare lì, eravamo solo di peso e in pericolo. Mi inginocchiai accanto a Stark, che stava dicendo qualcosa e lo ignorai. Non volevo essere un eroe e non volevo nemmeno che lo fosse Davide.
Amore, devi riaccendermi il Capo”
Ma Davide non aveva scelta, lui doveva fare l’eroe. Davide allargò ancora di più gli occhi, scuotendo leggermente la testa. Sapevo di cos’aveva paura, temeva di fulminare quel borioso genio a morte. Non era affatto impossibile che lo facesse, anzi, forse era fin troppo probabile, ma se fossimo semplicemente scappati senza fare nulla e la torre fosse collassata sarebbero morte migliaia di persone.
“Davide, puoi farcela. È una batteria ambulante, non puoi fulminarlo a morte”
Non avevo idea se fosse vero o meno, in realtà non sapevo niente dell’armatura, ma Stark credeva che avrebbe funzionato quindi sarebbe andata così.
Amore, il signor Stark è un cretino, ma come ingegnere è un vero genio e se dice che funzionerà, allora funzionerà”
Stark si schiarì lo gola, cercando attenzioni, era ovvio che voleva sapere perché era stato interpellato, ma io mi limitai a tirare un colpo alla sua maschera, facendola richiudere di scatto. Un basso brusio di dissenso uscì dall’armatura.
“No… Io… Io non posso… Non so neanche se ho abbastanza energie per farcela…”
La voce di Davide tremava. Mi allungai, cercando di afferrargli la mano, ma non riuscii a raggiungerlo. Così mi alzai e feci qualche passo indietro. Sentivo il solaio tremare sotto i miei piedi. Davide era ancora seduto in ascensore, uno dei posti peggiori quando si è in situazioni d’emergenza. Avrei voluto trascinarlo fuori e correre giù dalle scale, ma non mi mossi.
“Tesoro, se non lo farai probabilmente moriremo tutti”
Non voglio essere fraintesa, non credevo davvero che Stark fosse così insostituibile come eroe, ma non avevamo molta altra scelta visto che tutti gli altri eroi erano già in azione.
Davide mi guardò, guardò l’armatura brontolante a terra ed ero certa che vedesse anche il caos che avevo alle spalle e questo lo avrebbe spronato. Non ero stata rassicurante o incoraggiante, ma io conoscevo bene quel ragazzo pallido e sapevo che Davide non era uno che si tirava indietro quando hai davvero bisogno di lui… E se mi fossi sbagliata sarei morta prima che qualcuno potesse rinfacciarmelo, quindi tanto valeva provare.
“Ok… Ok… Proviamo… S-Stark… Sei pronto?”
Un boffonchiare altero uscì dall’armatura, coprendo la voce tremolante di Davide. Il pallidissimo ragazzo si tirò su le maniche, guardandosi gli avambracci. Inspirando profondamente Davide chiuse gli occhi, mentre serrava i pugni e contraeva i muscoli. Lentamente espirò, riaprendo gli occhi. C’erano delle piccole scintille tra le sue dita. Appoggiò le mani sull’armatura ed i pesanti pezzi d’acciaio si contrassero, mentre la maschera si illuminava. Non ho idea di cosa esattamente stesse facendo Stark, ma quando iniziò l’involucro metallico dell’ascensore venne avvolto da una ragnatela di piccoli fulmini. In un attimo era tutto finito. I fulmini si spensero e Davide si accasciò a terra. Il buon senso mi disse di stare fuori da quella gabbia metallica che conteneva due uomini batteria, peccato che le mie gambe si mossero prima che il cervello potesse comunicare l’ordine e io mi ritrovai in ginocchio di fianco al corpo immobile del mio ragazzo. Sapevo che usare i suoi poteri lo stancava molto, soprattutto per via del fatto che a generare l’elettricità erano i suoi sistema nervoso, ma non l’avevo mai visto perdere i sensi. Improvvisamente mi resi conto che questo voleva dire possibili danni al cervello ed entrai nel panico.
Scricchiolando l’armatura si rimise in piedi. Lo sguardo fluorescente di Stark si posò su di noi.
“Non muovetevi, sistemo il bestione e vi porto in ospedale”
Per un attimo Stark mi sembrò quasi rassicurante e invincibile, mentre si voltava e, anche se odio ammetterlo, quell’immagine mi rincuorò. Poi mi ricordai che aveva poco da fare il figo, visto tutto il tempo che aveva passato a farsi spostare da noi e mi venne quasi voglia di ammazzarlo. Avrebbe almeno potuto ringraziare! Invece ci mollò lì e si avventò contro la montagna di muscoli verde che gridava come una belva. Abbassai gli occhi sul ragazzo privo di sensi davanti a me. Cercai di farlo sdraiare, mettendolo in una posizione che permettesse al sangue di arrivare al cervello. In verità non avevo idea di cosa avrei dovuto fare per aiutarlo. L’idea di indirizzare l’ascensore a piano terra mi tentava tantissimo, ma decisi di resistere. Volevo fidarmi di Stark e forse l’idea che la vita di Davide dipendesse da una mia decisione mi terrorizzava. La cosa migliore sarebbe stata trascinarlo fuori da quella trappola di metallo, come mi avrebbe suggerito ogni buon vigile del fuoco, ma non ero pronta ad abbandonare l’idea di poter fuggire. Mi sforzai di capire come stavano andando le cose per gli Avengers, più per prendere una decisione che perché credessi di poter far qualcosa per loro. Non andavano bene. Capitan America era ferito. La sua divisa era strappata in più punti e impregnata di sangue, soprattutto sulla spalla destra. Con il braccio sinistro reggeva lo scudo. Ansimava mentre indietreggiava alzando lo scudo per pararsi da un pugno. Il colpo non arrivò a segno. La scintillante armatura di Iron Man colpì il mostro verde alle spalle, per un attimo pensai che sarebbe caduto, invece non perse l’equilibrio, al contrario, si voltò verso l’aggressore ancora più incazzato. Gli bastò una mano per fermare Iron Man e iniziare a stritolarlo. L’armatura scricchiolò, ma subito una freccia si conficcò nel dorso della mano del mostro ed esplose, facendo gridare il mostro di dolore. Stark riuscì a divincolarsi, ma subito Hulk lo riafferrò, prendendolo per una gamba e scagliandolo contro Clint. Nonostante la spalla di Occhio di falco fosse di una dimensione innaturale, si moveva rapidamente e riuscì a lanciare un’altra freccia esplosiva contro il mostro, mentre schivava Iron Man. Lo scudo del capitano colpì Hulk sul volto e tornò dal suo proprietario. Il mostro non la prese bene. Si voltò verso il capitano e gli tirò un pugno. Cap fece in tempo ad alzare il braccio e a coprirsi con lo scudo. Ero certa che Capitan America sarebbe andato a spiaccicarsi contro la parete opposta, invece non si mosse. La belva ringhiò confusa ed abbatté nuovamente un mastodontico pugno contro lo scudo immobile. Insoddisfatto del risultato cercò di colpirlo ancora, ma una freccia gli affondò nella tempia, minacciando di esplodere. Con un grido Hulk l’afferrò e la scagliò a terra. Clint questa volta non fu sufficientemente veloce. La freccia gli esplose accanto ai piedi, si coprì il viso appena in tempo, ma finì a terra poco distante, coperto di graffi e sangue. Hulk si mosse verso di lui e fui certa che volesse finirlo, ma Iron Man lo colpì alle spalle con una luce azzurra, facendogli dimenticare di Clint. Il mostro si voltò verso Stark appena in tempo per vedere uno scudo che gli arrivava in piena faccia e tornava nelle mani di Cap. Se la stavano cavando bene gli Avengers, eppure non vedevo come avrebbero potuto sconfiggere quella montagna di muscoli verdi, a cui non erano riuscita a fare nemmeno un graffio. Cap alzò lo scudo per parare un altro colpo, ma il pugno non arrivò a segno. I rumori della battaglia erano forti, quasi assordanti, eppure quando lei parlò sembrò come se ci fosse solo la sua voce. Anche per Hulk fu così e nonostante l’ira, non poté fare a meno di fermarsi.
“Perché? Perché lo fai? Perché ci aggredisci… Noi siamo tuoi amici!”
La voce di Natasha era spezzata e sofferente. Un rivolo di sangue le scendeva sulla fronte e la sua giacca nera era strappata all’altezza della spalla, doveva essere ferita gravemente, eppure non sembrava dolore fisico quello che traspariva dalla sua voce, sembrava l’odio di una persona tradita. Istintivamente abbassai gli occhi su Davide, domandandomi se anche lui si fosse sentito tanto male quando aveva saputo di Loki (Che poi non era successo niente con Loki, ma va bé).
Il grido di Hulk spezzò il silenzio. La battaglia si era interrotta, Stark e il capitano Rogers erano fermi a fissare la scena, lanciandosi sguardi confusi e persino Hulk sembrava diverso, sempre incazzato certo, ma in qualche modo meno aggressivo.
“Io non voglio questo Hulk… Io non voglio combatterti”
La voce rotta di quella ragazza che non assomigliava affatto alla stronza superba che avevo conosciuto, mi spezzarono il cuore e dovetti trattene l’impulso che mi spingeva ad alzarmi e ad abbracciarla quando vidi delle lacrime rigarle il viso. Non era solo per la voce rotta, o l’espressione da donna ferita. C’era qualcosa in lei, nel suo sguardo, nel suo modo di muoversi, che mi comunicava un immenso dolore. Un dolore così forte che anche Hulk lo sentì e pentito allungò la mano, cercando di asciugarle le lacrime. Lei gli andò in contro, come se non stesse aspettando altro e gli accarezzò il braccio gentilmente.
“Ero certa che avremmo fatto pace.”
Natasha sorrise e Hulk con lei. Il mostro verde si rilassò, lasciando distendere i muscoli contratti, che lentamente diminuirono di grandezza, facendolo sembrare sempre di più il dottor Banner. Quando finalmente Hulk se ne fu andato e rimase solo l’uomo gentile, ricominciai a respirare e mi sentii in salvo. Quel sentimento mi abbandonò immediatamente quando, abbassando gli occhi, vidi Davide. Avevo voglia di gridare a Stark di portare il mio ragazzo in ospedale, ma per qualche motivo avevo paura di spezzare quell’innaturale silenzio. Fortuna che c’era Stark a farlo al posto mio.
“Dovevi andare a prendere le bombole di anestetico… ma credo che anche così possa andare bene”
La Vedova Nera si voltò verso di lui. Le lacrime le rigavano ancora il viso, ma la sua espressione era totalmente cambiata. Non c’era più traccia di dolore o gentilezza nei suoi occhi e io non potei fare a meno di pensare che forse anche lei si era ritrasformata, proprio come Banner.
“Ho dovuto improvvisare, visto che avete fatto crollare la stanza in cui le tenevamo”
Chiusi gli occhi inspirando profondamente. Nel mio cervello la parola “Crollare” riecheggiava funesta. Espirai riaprendo gli occhi. Avrei potuto assassinarli più tardi, ora la priorità era Davide.
“Complimenti per l’interpretazione comunque! Credo ti candiderò all’Oscar”
Stark ghignava, mentre la superava e si dirigeva verso di noi. Devo ammettere che mi sentii truffata quando Natasha sogghignò come ad accettare il complimento. Quel momento strappalacrime da commedia romantica mi era sembrato così vero. Avevo creduto con tutta me stessa che lei avesse un cuore in fondo, ma d’altronde avevo anche creduto a tutte le balle di Scott/Loki.
Stark fece per inginocchiarsi e prendere Davide per portarlo in ospedale come aveva promesso, ma la Vedova Nera lo fermò e appoggiò una mano sul collo del mio ragazzo.
“Il battito e il respiro sono regolari. È solo svenuto per lo sforzo, può aspettare. Ora abbiamo bisogno di te qui”
Può aspettare?! Certo! In fondo aveva solo sovraccaricato il suo sistema nervoso per parare il culo ad un supereroe, roba di tutti i giorni in fondo. Altro che ragazza ferita era proprio una stronza egoista. Che diavolo poteva esserci di più urgente?
Il solaio del soffitto crollò a terra e una figura in armatura si alzò in mezzo alla polvere. Loki era sporco di sangue alieno, ma illeso e rise guardando gli Avengers esausti e sanguinanti.


 
Nuovamente grazie a chi recensisce! Mi aiuta molto sapere cosa piace e cosa funziona e cosa no. Ho cercato di finire questo capitolo prima possibile...anche per questo forse è un po' corto rispetto agli altri... spero non si veda e non sembri fatto di fretta ^^' Alla prossima!!

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Capitolo 14
*** Facciamo i conti ***


L’armatura d’oro era macchiata di rivoli viola, il mantello era strappato in più punti e attorno a lui c’erano solo macerie eppure la sua risata riempiva l’aria ed era un suono dannatamente bello. Con il fascino che può avere solo il principe dei dannati, Loki si strappò il mantello logoro e lo gettò a terra. La sua risata cessò e i suoi occhi scivolarono su tutti noi, come alla ricerca di qualcosa. I chitauri dovevano essere morti e il sangue degli Avengers copriva i loro costumi da eroi, eppure nello sguardo di Loki c’era un’ombra di insoddisfazione. Qualunque cosa volesse non la stava ottenendo e se c’era una cosa che avevo capito di Loki, era che non si arrendeva. Un brivido mi percorse la schiena e istintivamente strinsi Davide a me.
“Arrenditi Loki! Questa è l’ultima opportunità che avrai”
La voce decisa di Capitan America si alzò sopra al silenzio. Nonostante avesse il braccio destro sanguinate e la sua voce fosse rotta dalla fatica, il capitano Rogers si ergeva contro la tirannia come aveva sempre fatto. Per quanto potesse sembrare patetico e misero come tentativo, io non potei fare a meno di sorridere d’ammirazione e sentire il cuore che si riempiva di speranza. Il più grande eroe di tutti i tempi e il principe continuarono a guardarsi, quando Loki si incamminava verso di lui, pronto ad affrontarlo, mentre allo stesso tempo restava dov’era e si voltava a fronteggiare noi. Strizzai gli occhi per assicurarmi di non essere impazzita. Poi li ricontai. Erano due. Ora c’erano davvero due Loki, oppure un Loki e uno Scott…
“Pensaci bene Loki, se fai come ti ha detto Cap ti risparmierai un sacco di calci in culo”
Se il signor Stark si era accorto che i Loki erano aumentati non lo stava dando a vedere… e da com’era sicuro di sé non sembrava essersi accorto che la sua scalfita armatura sembrava sempre meno luminosa.
“Non so se sia più ammirevole la vostra testardaggine o disdicevole la vostra stupidità. Ho già vinto Stark. Siete sopravvissuti solo perché io potessi darvi il colpo di grazia. Gli unici che potevano preoccuparmi erano mio fratello e la belva verde… e oserei dire che se mio fratello fosse vivo sarebbe nel mezzo della battaglia, mentre Hulk…” Loki si voltò indicando il povero signor Banner a terra, che non si reggeva più in piedi.
Devo ammettere che molto più del Dottor Banner mi preoccupava l’assenza di Thor. Come avevo fatto a non accorgermi che era sparito? Contai rapidamente le teste per assicurarmi di non aver dimenticato altri. Davide, io, Banner, Cap, Loki, Clint, Stark, La vedova e Loki e Loki e… No un attimo… li ricontai, ma continuavano a muoversi... Strizzai nuovamente gli occhi e ammetto che egoisticamente pregai il cielo che le Vedove non fossero aumentate. Riaprii gli occhi e la vidi. La Vedova Nera stava aiutando il dottor banner ad alzarsi, ma era ancora appeno fuori all’ascensore a guardare con la mascella contratta la scena. Dannazione!
Stark fece un passo avanti, ma la Vedova ancora accanto a lui lo fermò.
“No, lasciali andare. Non gli farà del male, sa di non poterlo battere e noi non lo vogliamo qui almeno quanto lui”
Sensato devo ammetterlo. Anche se devo ammette anche che mi dava un po’ fastidio notare l’assoluta mancanza di qualcuno deciso a illustrarle come ora fosse lei quella sospetta… o lei lei o l’altra lei.
Mentre parlavamo Cap afferrò lo scudo saldamente e si preparò ad attaccare Loki 2.0. Con le spalle basse e la guardia alta si avvicinò all’avversario, che non sembrava affatto preoccupato. Cap sembrava sicuro di sé, forse anche perché da non molto distante una macchia viola e rossa si stava lentamente muovendo, incoccando una freccia che non avrebbe mai potuto mancare il bersaglio. Nascosto dietro ad una colonna che impediva la visuale di Loki 1.0, l’arco si tese in silenzio alle spalle di Loki 2.0. Le dita si allentarono e la freccia sibilò tagliando l’aria. Loki 2.0 intento a schivare un pugno di Cap non si voltò a guardare cosa fosse successo e allo stesso momento lo fece ed afferrò la freccia che esplose sullo scudo di Cap. Ok. Cercai di non strizzare gli occhi anche questa volta. Ora i Loki erano tre e l’ultimo arrivato sembrava avercela con il mal ridotto Clint. Osservai il dio nordico allungare il passo verso l’arciere, chiedendomi ipocritamente perché nessuno stesse facendo niente. L’arco di Clint si tese per l’ennesima volta e per l’ennesima volta la freccia venne deviata. Clint era gravemente ferito e per quanto sembrasse deciso a piantare una freccia in un occhio di Loki, era improbabile che ci riuscisse… non da solo quanto meno. Alzai gli occhi sui due presunti eroi che mi davano le spalle cercando di avvertirli, ma l’attenzione del signor Stark era tutta per Loki, la Vedova invece… Si voltò verso di me, nell’esatto istante in cui io alzai gli occhi su di lei e posso dire che tra noi ci fu uno di quei rarissimi istanti d’intesa. Bastò quello sguardo, correlato da un gesto rapido per farmi capire cosa si aspettava che facessi e… cazzo, ero pienamente d’accordo con lei. Mi alzai, controllando per un’ultima volta Davide, mentre lei iniziava a correre ed in un istante era dall’altra parte della stanza al fianco di Clint. Loki 1.0 la lasciò andare, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo, probabilmente stava aspettando fossimo tutti dove lui aveva previsto, compreso Iron Man che era ancora in piedi immobile.
“Cosa intendi fare? Iniziamo?”
Lo invitò Loki. Probabilmente il mio capo stava ancora cercando di non fare quello che gli veniva chiesto, come sempre, ma Loki non gli lasciò troppa scelta. In un attimo fu davanti all’ascensore e Stark dovette proteggersi con le mani per evitare un pugno in faccia che probabilmente avrebbe sfondato il suo elmo. Era chiaro che l’avesse preso di sorpresa, d’altronde Loki non sembrava tipo da corpo a corpo. Mentre Stark lo incalzava, cercando di colpirlo con uno dei suoi raggi, Loki si girò verso di me e mi sorrise. Fu un istante, un attimo dopo era nuovamente girato verso Stark, ma le sue parole erano per me.
“Non credere che mi sia dimenticato di voi due… ho dei piani anche per voi”
Un brivido mi percorse la schiena e ammetto che non potei fare a meno di domandarmi se fare ciò che la Vedova suggeriva fosse davvero una buona idea. Le mia gambe non si mossero ed io rimasi in piedi, appena dentro all’abitacolo a fissare Loki e gli Avengers che se le davano. La battaglia aveva perso di senso per me, cercavo di seguire i loro movimenti, ma appena mettevo a fuoco uno di loro perdevo di vista gli altri e iniziavo a vedere Loki ovunque. Fu soltanto quando il mio sguardo e quello di Loki si incontrarono di nuovo che mi ripresi. Nel sui occhi c’era un’espressione sorpresa mista a sconcerto ed io dovetti inclinarmi di lato per continuare a guardarlo, mentre le porte dell’ascensore si chiudevano. Alzai le spalle, cercando di sorridere come per scusarmi, come se fossimo al suo compleanno ed io stessi lasciando la festa dopo solo un quarto d’ora… ma in fondo avevo un moribondo di cui occuparmi… e poi lui stava cercando di ucciderci tutti! Non avevo nulla di cui scusarmi e poi era stata Natasha a dirmi di andarmene. Abbassai le spalle quando ormai le porte erano chiuse e tornai dal mio ragazzo, aspettando di sentire l’ascensore precipitare o fermarsi o qualunque altra cosa. I piani scorsero uno dopo l’altro sul tastierino che s’illuminava a cadenza regolare. C’era silenzio in quel maledetto abitacolo e il mio cervello non poté fare a meno di occupare quella tranquillità costringendomi a domandarmi cos’avrei fatto una volta arrivata a terra, prospettiva che comunque trovavo improbabile.
Non avevo un cellulare per chiamare soccorsi e non potevo trascinare Davide a braccio, non ero abbastanza forte e non sapevo se la cosa l’avrebbe ucciso. Una scossa fece tremare l’ascensore e io fui certa che sarebbe caduto. Una piccolissima parte di me desiderò che l’ascensore si fermasse e basta, che Loki entrasse e facesse finire quell’agonia. Le porte si aprirono. Una luce accecante mi venne puntata in faccia, costringendomi a voltare lo sguardo, mentre una voce imperiosa mi abbaiava contro qualcosa che non capii. Il corpo di Davide mi scivolò davanti, attirato dalla macchia sfocata che teneva la luce, istintivamente mi lanciai su di lui, cercando di fermarlo, di trattenerlo a me. Strinsi più forte che potei, afferrandogli il braccio, ma il mio polso malandato non mi permise una presa degna di questo nome e quando un’ombra mi afferrò, strappandomi da lui, le mie mani si aprirono e lo lasciarono andare. Fui trascinata fuori dall’ascensore, mentre tentavo di seguire almeno con lo sguardo Davide. Nonostante la macchia viola che mi riempiva gli occhi intuii che lo stavano fissando su una barella o qualcosa del genere. Era attorniato da persone che parlottavano di qualcosa, cercai di concentrarmi su quello che dicevano, ma credo fossero termini medici perché non li capii appieno. Uno scossone deciso mi costrinse a voltare lo sguardo e a rendermi conto che anche io ero circondata da persone. Militari, ma non proprio militari. Il mio cervello ci impiegò un po’ a capire chi mi stesse inveendo contro, eppure Stark ne parlava spesso e non era proprio un tipo che passasse inosservato.
“Signorina Recidivo mi sente? Deve dirci com’è la situazione! Dov’è Hulk? E i chitauri? Loki? Come sono le condizioni? A che piano sono? Come stanno gli Avengers? Sono uniti o stanno combattendo su più fronti?”
Ok, ok. Stavo capendo e sapevo la risposta a più o meno tutte queste domande, aprii la bocca decisa a dargli tutte le informazioni che voleva e anche il pin del mio bancomat se me l’avesse chiesto, ma il mio cervello si stava ancora riavviando.
“Nick Fury?”
Ipotizzai. Lui mi fissò per un attimo in silenzio, poi sbuffò e riprese a parlare, ricominciando da capo. Arrivato alla domanda su Loki lo fermai. Ero rintontita, non deficiente.
“Ok, ok! Ci sono. Credo che i chitauri siano morti e Loki sta combattendo contro gli Avengers loro sono… Come cazzo lo sai chi sono?”
Il mio cervello ci aveva messo un po’ ad avviarsi, ma ora era partito e io avevo iniziato a realizzare cosa stava succedendo attorno a me. Lui mi guardò con il suo unico occhio imbronciato e freddo come una lama sentenzio: “Io ho creato gli Avengers, direi che so chi sono meglio di chiunque altro”
Gli rinfacciai lo sguardo duramente e con davvero molta poco diplomazia gli sbattei in faccia la sua stupidità.
“Bravo, ti regalerò una scatola di biscotti. Stavo parlando di ME! Come sai chi sono IO!?”
Fury mi fulminò con lo sguardo, mentre mi ammoniva di quanto fosse stupida e superflua la mia domanda, che stavo perdendo tempo prezioso, ma io non ascoltai nulla, perché tornai a voltarmi verso Davide, giusto in tempo per vedere una siringa sospesa sopra di lui. Il panico ebbe la meglio. Inizia a correre verso il mio ragazzo, non feci nemmeno un passo prima che un agente mi afferrasse bloccandomi. Fury stava ancora parlando, ma io sentivo solo la mia voce gridare di non toccare il mio fidanzato. La siringa rimase sospesa in aria, mentre l’uomo che la impugnava guardava in maniera interrogativa una donna inquietante, che si stava avvicinando a me. Era una bella ragazza, aveva lo sguardo serio e la mascella squadrata, ma c’era qualcosa di dolce nei suoi lineamenti che mi fece ben sperare. Si fermò davanti a me con le gambe leggermente divaricate, come se fosse in soldato a riposo e mi tirò uno schiaffo in piena faccia tanto forte da farmi rimpiangere la Vedova Nera.
“Vedi di darti una calmata. Questo non è un gioco, ci servono quelle informazioni per intervenire e se non ce le fornirai volontariamente ti costringeremo. È solo questione di risparmiare tempo”
Alzai lo sguardo. Razionalmente sapevo che probabilmente il loro intervento sarebbe stato decisivo per fermare Loki e non far crollare la torre, ma non potevo fare a meno di pensare a quella maledetta siringa e a quella fottuta Cura di cui parlavano tutti. Inspirai profondamente, cercando di soppesare le opzioni e cosa fosse peggio. La possibile morte di chissà quante persone da una parte e un fidanzato normale dall’altra. Alzai gli occhi su quella stronza e dovetti ammettere a me stessa che su una cosa aveva ragione: avrebbe ottenuto comunque quello che voleva. Io ero malandata, stanca e dolorante e anche se fossi stata in ottima forma non sarei stata neanche lontanamente in grado di tenere testa ad una superspia come lei o la vedova nera. Feci cenno di sì con la testa e mi rilassai, mentre l’agente alle mie spalle allentava gradualmente la presa lasciandomi andare.
“Sono al penultimo piano… Loki si è moltiplicato e lo stanno combattendo, ma sono messi male. Clint è ferito gravemente e anche Capitan America e Thor è disperso…”
Cercai di fare mente locale, mentre riprendevo per un attimo fiato essendo finalmente stata liberata totalmente. Non ero idiota, sapevo bene che non era cambiato niente, mi stavano ancora tenendo sott’occhio e loro erano ancora delle superspie ed io una persona normale, ma cazzo io non avevo paura neanche della Vedova Nera. Tirai un calcio tra le gambe alla stronza che avevo davanti e da donna posso dirvi che fa un male boia pure a noi femminucce, anche perché non te lo aspetti. Con un’espressione tra lo stupito e il sofferente lei si piegò leggermente, dandomi il tempo di sfilarle la pistola dalla fondina aperta. Cercai di spostarmi di lato, per svignarmela dall’agente che mi aveva tenuta ferma, ma lui fu più veloce e mi afferrò il braccio, fortunatamente quello sano. Strattonai per liberarmi e lui si allungò cercando di disarmarmi, appena allungò la mano però la pistola scattò esattamente come aveva fatto quella della Vedova nera, illuminandosi d’azzurro. Appena la vide lui ritirò la mano e si allontanò, lasciandomi stupefatta.
Era successo tutto in una frazione di secondo. Un attimo prima ero la cretina da prendere a schiaffi, l’attimo dopo era la tizia con l’arma di distruzione di massa. Non avevo idea di come si impugnasse una pistola, per questo la tenevo con entrambe le mani con le braccia semi tese come avevo visto fare nei film e ad essere sincera lo facevo anche perché la pistola pesava e io ne avevo un po’ paura... quindi più stava lontana meglio era.
“Signorina Recidivo, mi consegni immediatamente quell’arma”
Fury fece un passo avanti tendendomi una mano aperta. Era una comoda soluzione, ma quell’arma era il mio passaporto, me l’ero guadagnata, era MIA e non me la sarei fatta soffiare.
“No.”
Lo fissai con aria imbronciata, tirando l’arma un po’ più verso di me. Cavolo dovevo sembrare una bambina! Lui sbuffò seccato e allungò di più la mano.
“Me la consegni immediatamente!”
Il tono della sua voce divenne più imperioso e ammetto che mi sentii un po’ in colpa, come se quel giocattolo in effetti non fosse proprio mio… e io non lo dovessi avere. In fondo io non sapevo nemmeno come si usava quell’aggeggio. Vedevo l’arma luccicare minacciosa, cercavo di non fermarmi a guardarla, Fury doveva essere molto forte se non faceva nulla per fermarmi forse era perché voleva davvero aiutarci. Sarebbe stato bello potermi fidare, ma io non potevo togliermi dalla mente l’immagine della siringa. E poi ammettiamolo: avevano passato la giornata a dirmi che ero troppo ingenua, avevo qualche problemino a fidarmi.
“Hulk si è ritrasformato nel dottor Banner, Loki travestito da Vedova Nera lo sta portando giù dalle scale. Non c’è altro. Io vi ho detto tutto quello che volevate sapere. Quindi, visto che abbiamo finito, credo che prenderò la barella e porterò il mio ragazzo in ospedale.”
Fury mi fissò per un lungo momento in silenzio. Probabilmente stava soppesando quanto valessero le parole di chi gli puntava un’arma addosso, o forse semplicemente sembravo una pazza isterica.
“Agente Hill, hai il comando, prendi gli uomini e intervieni”
La Stronza si mosse lentamente guardandomi in cagnesco, ma fece quello che le era stato detto e iniziò ad arretrare, strillando ordini. Gli agenti iniziarono a muoversi e un dolore lancinante mi attraversò la testa, oscurandomi la vista.
La prima cosa che vidi fu Davide. Aveva la schiena dritta, appoggiata ad un sedile e grazie agli dei era sveglio. Mi stava fissando e quasi mi saltò addosso quando mi vide sveglia. La testa mi pulsava, ma la parte peggiore era il polso. Avevo le mani legate dietro alla schiena, credo con delle fascette di plastica, che mi tagliavano i polsi e premevano dolorosamente sul braccio. Anche Daivide sembrava legato e mi venne da piangere mentre lo guardavo. Cercai di trattenermi. Eravamo seduti fianco a fianco nel retro di un souv credo, con le mani legate e non era il momento per le scenate. Iniziai a respirare profondamente, per mantenere il controllo.
“Un agente mi ha detto che sono dello SHIELD, noi… siamo in arresto credo. Dicono… dicono che gli hai puntato una pistola contro –Davide iniziò a ridacchiare, era ovvio che lo trovava ridicolo- io ho provato a dirgli che tu non sai nemmeno come si tiene una pistola, ma loro…”
“Loro avevano una siringa e te la puntavano contro e io…”
Scoppiai in lacrime. Piangevo talmente tanto che non riuscivo più a parlare. Tra un singhiozzo e l’altro sentii Davide avvicinarsi sul sedile.
Amore, poteva esserci qualunque cosa dentro… Io non mi sento diverso… Non credo mi abbiano dato niente... Ehy, tranquilla.”
Affondai la faccia nella sua felpa, continuando a piangere a dirotto. Anche se era diventato il mio fazzoletto umano, Davide continuò a ripetere che andava tutto bene. Eravamo ammanettati nel retro di un furgone, non andava bene niente, ma almeno il mio Davide era ancora lui e in un certo senso era la cosa più importante. Continuai a piangere anche quando la portiera accanto a me si aprì e qualcuno chiamò prepotentemente per attirare la nostra attenzione. Io non mi mossi finché non mi afferrò e mi trascinò fuori. Mi ritrovai in piedi, mentre tiravo su col naso, accanto alla stronza a cui avevo tirato un calcio e faccia a faccia con gli Avengers, o quantomeno quello che ne rimaneva. L’armatura di Iron Man era scheggiata e segnata, Clint era seduto a terra, con una gamba fasciata grande quasi il doppio dell’altra, il capitano Rogers era chinato, mentre un agente gli puliva la ferita alla spalla. Non sembravano per nulla rilassati, ma decisamente sorpresi di vedermi, anche se non mi diedero molto peso intenti com’erano a parlare tra loro. A farsi avanti fu Fury.
“Hanno recuperato il Dottor Banner, ma non la copia di Loki. Quando siamo arrivati dagli Avengers si stavano combattendo l’un l’altro.”
Mi fissava serio, come se si aspettasse una risposta, ma io di domande non ne avevo sentite. Tirai su col naso e cercai di darmi un tono.
“E quindi se è scomparso tanto meglio e noi possiamo andare, giusto?”
Azzardai. Lui mi guardò impassibile.
“No.”
Lo immaginavo, ma valeva la pena tentare.
“Dov’è Loki?”
Aprii la bocca e la lasciai aperta. Io non mi ero nemmeno accorta di chi fosse quando ce lo avevo davanti. Non avevo davvero idea di cosa stesse facendo, a malapena sapevo cosa stavo facendo io. Davvero lo stavano chiedendo a me?
“Davvero lo state chiedendo a noi?”
Davide si sporse dal Souv con un’espressione stupita dipinta in faccia. Probabilmente credeva che ormai avessimo superato la fase “complotto alieno” e a dirla tutta lo avevo creduto anche io. Ok, forse avevo incasinato un po’ tutto con la storia del calcio, ma avevo buone intenzioni.
“Non sanno niente Fury. Meglio mandarli via, non abbiamo tempo né risorse da sprecare per loro”
La Vedova Nera si fece avanti e devo ammettere che era l’ultima da cui mi aspettavo sostegno. Aveva la fronte macchiata di sangue e diverse escoriazioni. Insomma non aveva una bella cera, ma sembrava essere rinsavita. Afferrò un coltello dalla cintura e mi fece cenno di voltarmi io feci come mi era stato detto, aspettando che mi venissero tolte le fascette dai polsi.
“Ferma. È sotto arresto per aggressione a pubblico ufficiale”
Il tono dell’agente Hill era glaciale. Doveva essere una di quelle che si legano le cose al dito. Mi guardai attorno cercando solidarietà, ma l’unico sguardo che incrociai fu quello contrariato di Cap.
“Ha iniziato lei! Mi ha tirato uno schiaffo e io ero ancora sotto shock”
Stark scoppiò a ridere, mentre la lama fredda scivolava tra le mie mani e spezzava la plastica delle mie manette. Non vidi Fury, ma ero certa che fosse d’accordo con la Vedova Nera, altrimenti non credo proprio che sarei stata liberata. Istintivamente mi guardai le mani. Erano in condizioni davvero orribili e non riuscivo a smettere di tremare. Sentii la Vedova muoversi alle mie spalle e la vidi distrattamente arrampicarsi nel Souv. Cap si alzò in piedi, lo avevano ricucito ed era intenzionato a tornare a combattere, come non mancò di affermare. Non credo avesse idea di come trovare Loki, ma era decisamente intenzionato a farlo… come tutti gli altri del resto. Se catturare il supercattivo del momento era la loro priorità, allora erano diventati tutti cretini.
“Vi siete dimenticati che la torre rischia di crollare?”
Era ovvio già da un bel po’, ma a quanto pare nessuno stava prendendo in considerazione il problema e io non potevo lasciar correre. Se proprio ci tenevano sarebbero potuti correre dietro a Loki dopo aver rimesso a posto il casino che avevano fatto. Capitan America si voltò verso di me, con aria rassicurante.
“Lo SHIELD è già intervenuto, sono certo che tra non molto sarà sicura”
Detto questo si voltò verso gli altri membri degli Avengers. Alle mie spalle Davide imprecò a bocca stretta. Ma perché imprecare? Che problema c’era? In fondo la torre era sotto il controllo dello SHIELD, no? Il famosissimo architetto e ingegnere strutturista SHIELD si stava occupando della MIA bambina, la mia piccola e dolce torre martoriata! Lasciare un capolavoro in mano di un branco di sbirri? No. Non lo avrei permesso.
“Lo SHIELD sta facendo cosa?! E nessuno mi ha avvisata? Chi se ne sta occupando? E sia chiaro, voglio un nome vero.”
Fury mi guardava contrariato. Era ovvio che stavo dando fastidio in un momento che loro ritenevano fondamentale, bé era fondamentale anche per me. Con tono imperioso l’uomo mi si rivolse spazientito.
“Non fraintenda il gesto dell’agente Romanoff. Siamo ancora in stato di emergenza e voi siete sotto arresto in attesa di chiarimenti. Scortateli sull’eliveivolo”
Ammetto che la parola Eliveivolo mi aveva confusa. Avevo solo un’idea vaga di cosa potesse voler dire, ma ero certa che non fosse un bel posto e soprattutto non era il luogo dove dovevo stare. Un agente mi prese sotto braccio gentilmente come per farmi strada, ma io non fui altrettanto gentile e mi divincolai con uno strattone. Se credevano di potermi liquidare così si sbagliavano di grosso.
“Ora mi ascolti attentamente Fury. Io non sono nemmeno cittadina Americana, se sono qui è perché sono stata assunta dalle Stark Industies, quindi forse sul suo Vascello Volante lei potrà permettersi di dire e fare quello che vuole, ma QUESTO è un terreno delle Stark Industries e io QUI non prendo ordini DA UN FOTTUTO PIRATA!”
Ero incazzata nera e sapevo di star facendo una scenata, ma non mi importava. Mi voltai e feci per andarmene, ma l’agente mi afferrò nuovamente e più saldamente. Erano intenzionati a non darmi peso, con tutta probabilità non avevano capito il punto fondamentale del mio discorso. Loro potevano anche avere delle belle uniformi, ma io avevo Iron Man.
“Signor Stark, per cortesia accompagnami nella torre per il sopraluogo e hai la mia parola che ti dirò quanti anni dimostra secondo mia madre”
Stark si voltò di scatto verso di me, dimenticandosi della conversazione che stava avendo. Se c’era una cosa su cui potevo sempre contare era la vanità del mio capo ed ero certa che quella storia se l’era legata al dito.
“Affare fatto!”
Cap lo afferrò contrariato, ma ormai l’attenzione del miliardario era passata a me. Persino Fury provò a protestare, ma era tardi ormai: avevo vinto.
“Tranquilla mamma, tanto non sappiamo cosa fare. Resto in contatto, se trovate qualcosa volo da te in un attimo”
Ebbi appena il tempo di lanciare un occhiata a Davide, mentre il signor Stark mi trascinava nella torre. Non sembrava sorpreso e mi sorrise quando i nostri sguardi si incontrarono, d’altronde se si parlava di alieni o bellimbusti potevo anche dargli regione se si incazzava, ma che ero una stacanovista pazzoide lo sapeva già da prima di chiedermi di sposarlo.


 
spero che questo capitolo non abbia tropo delluso... l'ho riscritto due volte perché non sapevo bene come far quadrare tutto. Ammetto che non sono pienamente soddisfatta, ma almeno sono arrvata dove volevo. Insomma mi pare ovvio che non sia ancora finito nulla, ma siamo alle battute conclusive. Spero che abbiate voglia di dirmi cosa secondo voi non va! Eeeeee niente, ciao ^^

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Capitolo 15
*** Al lavoro? ***


RIASSUNTO SCRAUSO
In una notte di pioggia, l’Architetto Francesca Recidivo investe per sbaglio un bel ragazzo, Scott, che finisce a dormire sul divano della sua camera d’albergo. Il mattino dopo Francesca viene attaccata da un chitauro, per qualche benedizione divina si salva, ma finisce in ospedale. Lì incontra nuovamente il bel Scott, che gli fa una romantica dedica sul gesso. Appena ripresa Francesca torna di corsa al lavoro, ma il suo capo/tiranno Tony Stark la convince a presenziare ad una riunione degli Avengers in merito ai fatti accaduti. Lei però all’ultimo improvvisa una romantica fuga con il suo fidanzato Davide che preoccupato per la sua scomparsa l’ha raggiunta dall’Italia, il tutto finisce nuovamente con l’attacco di un chitauro. I due piccioncini vengono quindi messi sotto la custodia degli Avengers, che iniziano a sospettare di loro. Durante il pigiama party però Tony (che in realtà è Loki travestito) da fuori di matto e fa andare fuori di testa anche Bruce. Mentre gli Avengers cercano di calmare Hulk che sta facendo a pezzi la torre, Francesca viene salvata da Scott, che sorpresa delle sorprese, si rivela essere Loki. Loki ammette di averla incantata, facendola sembrare lui agli occhi dei chitauri, che lo vogliono morto. Si scatena il putiferio nella torre, gli avengers riescono a fermare Hulk, ma non Loki, che con un'intelligente tranello riesce a non essere catturato. Francesca e Davide riescono a scappare dalla battaglia, ma finiscono nelle mani dello Shield, che li sospetta di complicità con Loki. Quando gli Avengers si ricongiungono a loro, Francesca sfrutta la curiosità del signor Stark, che aspetta ancora di sapere che età dimostra (per la madre di Francesca), per farsi riaccompagnare nella torre, che ormai è gravemente danneggiata.



Eravamo in ascensore da almeno cinque secondi quando il signor Stark iniziò a scalpitare. Aveva tentato di convincermi a farmi portare in volo fino a destinazione perché a dir suo avremmo fatto prima. Non aveva torto, ma io avevo avuto già abbastanza emozioni per tutto il resto della mia vita. Non era stato intelligente da parte mia prendere NUOVAMENTE l’ascensore in una torre che stava crollando, ma se volevo togliere la mia torre dalle mani di quei pazzi incompetenti non avevo altra scelta se non impedire a Stark di scappare prima che mi vedessero con lui. Quindi chiuderlo in una gabbia di metallo era la soluzione migliore.
Arrivammo al piano molto prima di quanto avessi previsto. Facendo una stima approssimativa più di un terzo della torre era danneggiata. Le porte si aprirono e immediatamente cercai di lanciarmi fuori, ma Stark mi afferrò e mi impedì di uscire.
“Wooo, calma, calma! Prima di tutto rispetta i patti”
Ci guardammo. Fissavo la faccia di Stark cercando di capire se potevo fidarmi di lui o no. Sapevo bene che non era un tipo affidabile e quindi ero piuttosto preoccupata che se ne andasse all’istante, ma l’avevo già fatto aspettare troppo, in fondo se lo meritava un contentino.
“Trentacinque” Non feci nemmeno in tempo a finire di dire il numero che quello già gongolava, felice come se gli avessi consegnato il premio miglior supereroe di sempre. Sono certa che se avesse scoperto che gli avevo mentito mi avrebbe ammazzata o peggio licenziata, ma in quel momento mi era sembrato se li meritasse tre anni in meno.
“Trentacinque anni! Ne ero certo. Sono in gran forma”
Senza smettere di parlare il signor Stark entrò nella sala. Io lo seguii a ruota. Ero finalmente dove dovevo essere e mi sentii semplicemente soddisfatta, almeno per un secondo. Uscendo dall’abitacolo una stretta al cuore mi fece mancare il fiato, le condizioni della torre erano davvero pessime. Il piano in cui mi trovavo era il primo in cui lo Shield stava intervenendo, ma non era il primo piano a cui avrebbero dovuto pensare. Non sono un Ingegnere e molte delle tecnologie dello Shield non le avevo mai viste prima, ma avevo passato abbastanza tempo a redigere perizie di danni e relativi interventi per sapere che non stavano cercando di conservare la torre, ma solo di non farla crollare. Iniziai a temere che volessero smantellarla. Più di tutto però a farmi salire il sangue al cervello fu il vedere all’opera un solo agente. Con tutti i tizi che stavano andando a zonzo nei pressi dell’ingresso avevano mandato un solo agente che per di più stava giocando con una putrella senza avere la minima idea di come si montasse o di cosa servisse. Un solo agente e persino incompetente. Avrei potuto inveirgli contro o sbatterlo fuori a calci e devo ammettere che la cosa mi avrebbe fatto piacere, ma al prossimo piano avrei incontrato un altro idiota e avrei dovuto ricominciare da capo, probabilmente senza il supporto del Signor Stark. Meglio optare per una soluzione più diplomatica.
“Signor Stark, per cortesia dica a questo signore chi comanda”
La testa di Iron Man si voltò verso di me. Non sembrava molto concentrato, probabilmente gli stavano parlando dall’interno del casco. Gli tirai un pugno al braccio, nella speranza che questo lo facesse riprendere, peccato lui fosse coperto di metallo e l’unica cosa che ottenni fu di farmi male. Vedendo la mia smorfia di dolore l’agente trattenne un risolino, guadagnandosi tutto il mio odio.
“A quanto pare hanno appena trovato Thor. Hulk lo ha mandato a tre miglia di distanza… Devo andare”
Dannazione, ero certa che mi avrebbe almeno spalleggiata per due secondi… Avrei potuto incazzarmi e insultarlo fino ad ottenere qualcosa, ma le condizioni di Thor mi preoccupavano un po’. Poteva anche essere un dio nordico, ma non credo che essere lanciato per miglia gli facesse bene.
“Come sta? È ferito?”
Se avevano chiamato Stark, nonostante avessero già a disposizione svariati supereroi e tutta un’agenzia di super agenti significava, di certo che la situazione era seria. Forse era sotto attacco, o stava male. Inizia a sentirmi seriamente tesa a quella prospettiva.
“Casa? No… Non è in pericolo, è solo un po’ ammaccato e decisamente incastrato! Non posso perdermelo”
E io che per un attimo avevo creduto che Stark potesse davvero servire a qualcosa. Ero pronta a gridargli in faccia, ma lui non me ne diede il tempo, fece immediatamente qualche passo in avanti e spiccò il volo verso l’esterno, ma al posto di varcare la vetrata sfondata si girò verso l’agente dello SHIELD.
“Tu fa quello che ti dice lei”
Detto questo se ne andò. Mi aveva appena piantata lì con un uomo che non conoscevo e già odiavo, dopo che ero stata più volte quasi uccisa da un uomo che non conoscevo, ma mi sembrava affidabile, insomma, le premesse erano terribili, ma almeno mi aveva lasciato il comando. Sospirai rumorosamente, guardando l’uomo che avevo davanti, aveva un’espressione compiaciuta, ma non ne capii il motivo visto tutto il lavoro che avevamo da fare e quanto male lui lo stesse facendo.
“Hai iniziato dal piano sbagliato. Vieni, andiamo al piano di sotto, dobbiamo iniziare a mappare i danni.” Mi avviai all’ascensore senza degnarlo di uno sguardo.
“E per l’amor di dio, posa quella putrella.” Sbuffai ancora, ma non potei trattenermi dal sorridere quando sentii i suoi passi leggeri accelerare per raggiungermi. Aveva capito chi comandava.
“Faremo un veloce sopralluogo tra i piani danneggiati per individuare i punti critici e determinare le priorità, solo dopo inizieremo un consolidamento d’emergenza. Non abbiamo materiale infinito e nemmeno tempo da dedicare ad operazioni non prioritarie. Dobbiamo fare in fretta, ho notato che molte travi non direttamente danneggiate si stanno flettendo, suppongo che molte abbiano già raggiunto il punto di snervamento.” Ero quasi arrivata alle porte, ma ci ripensai. Avevo sfidato abbastanza la fortuna con quell’ascensore, molto meglio prendere le scale.
“Se posso. Suggerirei di iniziare dai laboratori, sarebbe più prudente assicurarci che il materiale pericoloso sia al sicuro.”
Non ero scesa nemmeno di un gradino e già mi ritrovavo a roteare gli occhi per il nervoso. Chissà com’era che me l’ero proprio aspettato che mister non-so-tenere-un-putrella avesse qualcosa da ridire.
“Se ci fosse qualche problema lì, Jarvis ci avrebbe già informati. Seguiremo il piano che ti ho detto. E ora al posto di dire cretinate, chiedi allo shield di procurarci un’equipe adeguata, anzi digli di contattare la MIA equipe e anche l’architetto Jo Bridge, ci servirà aiuto qui.” Non mi andava di chiamare quel cretino che Stark aveva assunto durante la mia convalescenza, ma ad essere onesti dovevo ammettere che aveva fatto un buon lavoro e non era il momento di essere schizzinosi. Nuovamente la voce dell’agente mi arrivò alle orecchie polemica e fastidiosa.
“Signorina Recidivo, mi dispiace dovermi imporre -Inspirai profondamente, cercando di mantenere il controllo- ma ho ricevuto ordini precisi –espirai, se dovevo incazzarmi era meglio aspettare quantomeno di aver finito le scale- e devo occuparmi per prima cosa del controllo delle attrezzature a rischio di…” fanculo le scale, mi sarei accontentata del pianerottolo. Mi voltai di scatto appena appoggiai un piede sul piccolo spiazzo prima dell’ultima rampa e lo interruppi.
“Forse non ti è chiaro, ma non abbiamo tempo per queste cose. La torre rischia di crollare e gironzolare in giro per controllare se l’arma aliena di turno è intatta o meno, è solo un enorme perdita di tempo. E se la logica non bastasse a convincerti allora ti ricordo che Iron man, ti ha ordinato di seguire i miei ordini.”
Lui mi fissò per un attimo in silenzio, poi sospirò rassegnato. A quanto pare ero riuscita a fargli arrivare il mio messaggio chiaro e forte. Purtroppo non mi ero resa conto di che messaggio gli avessi mandato in realtà.
“Con te bisogna proprio usare le maniere forti…”
Aprii la bocca per protestare, ero confusa e anche un po’ spaventata, ma prima che potessi dire qualcosa l’immagine dell’agente sfumò e si confuse, per un attimo mi sembrò di non riuscire a mettere a fuoco. Mi aggrappai alla parete, temendo di star per svenire, senza capire che non ero affatto io il problema, era l’agente davanti a me che stava cambiando. Quando capii chi avevo davanti era già tardi. Loki era nuovamente davanti a me e io ero nuovamente da sola, senza nemmeno un cellulare per chiamare aiuto. Lui sorrise, un sorriso malvagio che si compiaceva della mia espressione orripilata. Dopo un tempo infinito il mio cervello riuscì a realizzare cosa fosse successo e perché ci fosse solo un agente nella torre. Con tutta probabilità Loki li aveva eliminati tutti e ora stava cercando qualcosa che si trovava nei laboratori.
“No… No. NO! Dannazione ancora tu!? Non ora maledizione. Si può sapere che problema hai? Perché non puoi lasciarmi fare il mio maledetto lavoro in santa pace?”
Lui mi fissò per qualche istante, era senza dubbio sorpreso e anche un po’ contrariato. Probabilmente si era aspettato più terrore e meno ira, ma io ero davvero troppo esasperata per provare terrore. Inspirai profondamente, cercando di recuperare il sangue freddo. Sfortunatamente l’unica idea che mi venne fu, col senno di poi, decisamente stupida.
“Senti, ti propongo un accordo: Facciamo che non ci siamo mai incontrati, ok? Io torno a fare il mio lavoro e tu va pure a fare… qualunque cosa malvagia tu stessi facendo.” Senza aspettare una risposta mi voltai e feci per andarmene, ma lui mi afferrò, mentre a stento tratteneva una risata.
“E lasciarti chiamare i tuoi amici in costume? Non credo proprio. Tu mi mostrerai dove tengono il mio scettro – la sua morsa si fece più forte sul mio già malandato braccio- e ti consiglio di sbrigarti, o non ti resterà tempo per salvare la tua bella torre”
Boccheggiai come un pesce che soffoca per qualche secondo a causa del dolore e del disappunto. Stava andando tutto male, di nuovo. Era come se sentissi il momento del crollo avvicinarsi senza che potessi fare nulla per impedirlo. La torre sarebbe crollata, ormai ne ero certa. Il panico iniziò a premere sui miei polmoni cercando di soffocarmi e impedendomi di pensare, ma riuscii comunque a rispondere.
“No. Ma non capisci? Non c’è tempo da perdere. La torre sta…”
Loki mi strattonò avvicinandomi a sé, forse voleva farmi riprendere, o più probabilmente terrorizzarmi tanto da costringermi a seguire i suoi ordini.
“La torre crollerà, qualunque cosa tu faccia. È già troppo tardi… e non parlo solo della torre. Lo Shield ti considera una traditrice. Ho sentito le loro comunicazioni, vi credono in combutta con me e non intendono rilasciarvi. Ormai nemmeno Stark potrebbe aiutarvi.”
Sapevo che mi avrebbe detto qualunque cosa pur di convincermi a fare quello che diceva, eppure non posso negare che una parte di me sentiva che lui aveva ragione, soprattutto perché intuivo come quel discorso sarebbe finito.
“… ma tu sì, vero?”
Sul suo viso iniziò ad allargarsi un sorriso compiaciuto. Finalmente stavamo iniziando a parlare la stessa lingua.
“Esattamente. Conducimi allo scettro e io ti porterò via da qui. Sarai salva.” Il suo sorriso divenne improvvisamente dolce. Sapevo che era una menzogna, ma quando lui mi lasciò andare non tentai nemmeno di fuggire.
“Se la torre crollerà, moriranno migliaia di persone” Voleva essere una constatazione la mia, ma suonò più come un piagnucolio patetico, quasi stessi cercando di farmi consolare, farmi dire che non era una mia responsabilità.
“Lo Shield avrà già evacuato l’area. A morire saranno soltanto gli agenti e se siamo fortunati, qualche Avengers.”
Sentirlo parlare di noi come se fossimo una squadra con la sua voce melodiosa mi faceva odiare me stessa, eppure mi domandai se sarei riuscita ad accettare una simile offerta, se ci sarei riuscita pur sapendo che laggiù sotto alla torre non c’erano solo agenti pronti a morire in missione, ma anche l’uomo che amavo. La mano di Loki si appoggiò gentilmente sulla mia spalla.
“La torre crollerà comunque. L’unica cosa che puoi fare è cercare di salvarti”
Ogni volta che sentivo quelle parole una parte di me si arrendeva. Avevo aggiustato quella torre decine di volte e sapevo bene a cosa poteva reggere e qual era il suo limite. Non sapevo se era solo la mia immaginazione, ma quando stavo in silenzio sentivo stridere le travi di metallo che lentamente si piegavano, nel vano tentativo di sorreggere anche il peso che sarebbe stato sostenuto da ciò che Hulk aveva distrutto. Eppure non sarei mai tornata dentro se non avessi pensato che non era troppo tardi, se non avessi creduto che potessi fare in tempo a salvare la torre. La voce sicura di Loki mi faceva tremare, lui era certo che mi sbagliassi, era certo che fosse già troppo tardi, ma lui era anche l’agente dello Shield che teneva la putrella al contrario. Che cazzo poteva saperne lui della mia torre?
“Sai cosa? Io non sono così sicura che non ci sia più niente da fare. Forse lo sarò DOPO un sopraluogo, ma per ora, penso che possa reggere. Quindi prima ci mettiamo al lavoro, prima finiamo e prima avrai il tuo scettro”
La mano di Loki si strinse con più forza sulla mia spalla. Le sue dita che serravano la mia carne mi fecero ricordare che aveva detto d’essere intenzionato ad usare le maniere forti. A quell’idea mi attraversò un lieve tremito, non abbastanza lieve per passare inosservato.
“Fai bene a temermi e farai meglio a eseguire i miei ordini. Dov’è il mio scettro? Lo tengono nei laboratori, vero?”
Io non sapevo nulla dei giocattoli di Stark, o almeno mi sarebbe piaciuto non saperne nulla, ma la verità era che lui non faceva altro che parlarne e parlarne… e quindi sì, io sapevo tutto di quel maledetto scettro blu, non c’era molto di cui dubitare in fondo, quello era l’unico dannato scettro in tutta la torre ed era tenuto sotto stretta osservazione nei laboratori, non ci voleva un genio a capire che era proprio quello che voleva Loki.
“Io non lo so dov’è… Non so nemmeno di che stai parlando”
Sapevo bene di essere una pessima bugiarda, ma ero riuscita ad ingannare Stark poco prima… su una cosa insignificante è vero, ma era pur sempre un inganno, quindi magari stavo diventando più brava.
“Sei una pessima bugiarda. Smetti di tentare di ingannarmi e dimmi la verità, prima che perda la pazienza”
Il mio tentativo era miseramente fallito e io in tutta sincerità non potevo dire di non essermelo aspettato.
“Francesca, tu sai di cosa sono capace. Ti torturerò se mi costringerai, ma sappiamo entrambi che non serve arrivare a tanto. Tu non vuoi essere un eroe e comunque ormai è tardi per fare la cosa giusta. Tutti ti credono una traditrice”
Forse glielo avevo detto io, o forse l’aveva semplicemente capito, ma aveva ragione, io non avevo mai desiderato essere un eroe e non sentivo il bisogno di comportarmi come tale. Non potevo fare a meno di tremare terrorizzata, ma la mia idea di lui non era cambiata da quando avevamo parlato qualche ora prima. Nonostante sapessi cosa avesse fatto, lui continuava a sembrarmi più disperato che malvagio. Questo non lo rendeva meno pericoloso. Sapevo bene che un uomo disperato è capace di qualunque cosa.
“Tu hai ragione. Io non sono un eroe, gli eroi sono quelli che si lanciano nella battaglia e sanno sempre cosa fare. Io non sono così, ma ti sbagli, non mi condanneranno per questo. Io non sono in combutta con te e… anche se fosse, non si può giudicare una persona per le cose che fa quando è disperata…”
Loki trattenne una risata. Mi guardava con una punta di compassione, una cosa strana da parte sua.
“Sei così ingenua. Credi che gli importi cosa sia successo davvero o perché lo hai fatto? Loro vogliono soltanto qualcuno da incolpare”
No, non era vero. Mio nonno mi aveva parlato spesso di capitan America, di ciò che faceva quando era in guerra. Era un uomo giusto, che aveva visto il lato più oscuro delle persone, ma non si era lasciato scoraggiare. Lui mi avrebbe ascoltata ne ero certa. Ma non era a lui che dovevo la mia coscienza, era a me stessa.
“Un uomo non è solo ciò che fa quando tutto va in pezzi, quando è provato dagli stenti e dalla disperazione, un uomo è anche ciò che fa quando ormai la guerra è finita. Quando non restano che macerie e lui si rialza e inizia a ricostruire. Io non riuscirò mai ad essere un eroe, ma posso essere quel genere di persona che mette tutta la sua vita nel ricostruire, per questo non lascerò la torre crollare. Tu e Thor siete stati cresciuti per essere re, dovreste capirlo questo. I re potranno anche essere ricordati per le guerre che vincono, ma le civiltà diventano grandi grazie a ciò che viene costruito, che viene creato. Anche tu Loki dovresti…”
Gli occhi di Loki si strinsero e la sua voce divenne tagliente.
“Attenta umana non sfidare la mia pazienza.”
Sapevo che probabilmente lo stavo solo facendo incazzare, ma ormai ero partita, avevo iniziato a parlare e non mi sarei fermata fino a che non avessi detto tutto quello che pensavo, anche se questo significava mettersi nei guai.
“Sinceramente Loki, tu hai l’aspetto di un uomo a pezzi. Al posto di continuare a negare la sconfitta, dovresti accettarla e cercare di rialzarti in piedi”
La mano di Loki si mosse rapida e spietata, mi artigliò la gola ed iniziò a stringere. Dal suo viso era scomparsa anche l’ombra del sorriso compassionevole di prima, i suoi occhi bruciavano d’odio mentre mi guardava.
“Come osi? Tu patetico insetto! Io sono un Dio, una creatura superiore a voi miseri umani. Siete voi che dovete imparare a stare in ginocchio non…”
Loki continuò parlare, ma il resto del discorso non arrivò alle mie orecchie, l’aria mi mancava e la sua mano che mi artigliava il collo era l’unica cosa che riuscivo a sentire. Cercai di dirgli di fermarsi, ma la voce rimase intrappolata nella mia gola. Luci bianche iniziarono a riempirmi gli occhi e sentii i sensi venirmi meno, solo allora Loki mi lasciò. Prima ancora di iniziare a riprendere fiato presi a tossire convulsamente. I polmoni mi briciavano e mi servì qualche momento per tornare a respirare. Probabilmente impiegai troppo per gli standard asgardiani, perché Loki si spazientì. Mi afferrò per un braccio e mi tirò in avanti, forse per impedirmi di cadere sulla rampa retrostante. Io, che ancora cercavo di respirare, non riuscii nemmeno a costringere le mie gambe a muoversi. Andai a sbattere contro al primo gradino e caddi. Istintivamente misi le mani davanti al volto. L’idea peggiore che potessi avere. Il polso rotto colpì la rampa. Il dolore mi attraversò il braccio come una scossa che raggiunse gli occhi e mi accecò, facendomi cadere nell’oscurità. Svenni.


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è da tantissimo che non posto nulla, ma anche se ci metterò 500 anni intendo finire questa storia, quindi eccomi qui ad augurare a chi ha ancora voglia di seguirmi Buon anno!!! eeeee scusate se ci sto mettendo tanto ^^'

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Capitolo 16
*** Visita guidata ai laboratori Stark ***


Non so per quanto rimasi svenuta, ma è certo che quando rinvenni, Loki era lì, i suoi occhi erano fissi nei miei e io non potei fare a meno di notare quanta rabbia ci fosse in quello sguardo. Lasciò che mi alzassi in piedi lentamente, senza mettermi fretta. Stare sdraiata a terra il più possibile sarebbe stato senza dubbio il piano più intelligente, ma io ero troppo intontita per capirlo. Prima che potessi iniziare a lamentarmi del dolore pulsante che mi attraversava il polso, mi trovai in piedi con la testa che girava, a maledirmi per non essere rimasta a terra. Loki, in piedi davanti a me sembrava stesse tentando di controllarsi, ma fuoriusciva da ogni centimetro del suo viso che avevo ampiamente superato il limite svenendo, come se la debolezza fosse una colpa.
“Ora ascoltami attentamente: se non mi dirai dove si trova il mio scettro, io ti ammazzerò e poi lo troverò da solo”
Il suo tono suonò pacato e disteso, decisamente in netto contrasto con gli sguardi d’odio che mi lanciava. Per la prima volta mi domandai se lui davvero non avrebbe preferito ammazzarmi. Cercai di non pensare a questa possibilità, ma non ci riuscii. Oramai era probabile che mi odiasse. Se gli avessi dato ciò che voleva forse mi avrebbe uccisa comunque, ma l’avrebbe fatto sicuramente se non gli avessi rivelato nulla. Sembrava che qualunque scelta avessi fatto sarei morta.
“Io… ti ci porto”
Non era il piano dell’anno quello di accompagnare il super cattivo al suo scettro, ma almeno mi avrebbe fatto prendere tempo e poi chissà che non sarebbe arrivato qualcuno a salvarmi nel frattempo. Lui fece un cenno d’assenso allargando un braccio, come per farmi cenno di precederlo. Senza dire una parola io iniziai a salire le scale.
“Se provi ad ingannarmi, hai la mia parola che lo rimpiangerai”
Grazie tante. Con un braccio sempre più nero, un dolore insopportabile e una paura maledetta che la torre mi crollasse addosso, mi serviva proprio uno sprone. Non ce l’avrei fatta senza una bella minaccia. Digrignai i denti, mi tenni i miei pensieri per me, soprattutto perché la maggior parte di loro riguardava il dolore che stavo provando e in tutta sincerità avevo iniziato un po’ a vergognarmi di essere tanto debole.
Camminai piano e feci la strada più lunga. Mentre procedevamo in silenzio i miei occhi correvano da una trave all’altra, non era il momento di fare diagnostica strutturale lo sapevo, ma non potevo farne a meno. Nonostante il braccio e le minacce, la torre restava la mia prima preoccupazione. Nonostante i miei sforzi arrivammo davanti alla porta dei laboratori fin troppo presto. Non provai nemmeno ad aprirla, una voragine nella parete proprio lì accanto era grande abbastanza per farci entrare nei laboratori. Probabilmente qualcosa o qualcuno aveva scelto di tagliare dritto, senza curarsi delle pareti, la scia di devastazione iniziava dalla stanza di fronte ai laboratori e seguendola scorsi un frammento di cielo.
Con una fitta di dolore al cuore attraversai il varco. Fortunatamente lì dentro i danni alla struttura non erano molti, probabilmente il combattimento aveva solo sfiorato quelle stanze. Lo squarcio nella parte si apriva nel cemento di tamponamento, lasciando indenne gli elementi portati. I laboratori erano stati organizzati in uno spazio a doppio livello con un ampio soppalco che circondava uno spazio a doppia altezza centrale, riempito da uno di quei tavoli olografici che piacciono tanto al signor Stark. Un gran numero di macchinari di cui non riuscivo nemmeno a pronunciare i nomi coprivano interamente le pareti del piano inferiore. Molti oggetti parevano danneggiati, ma se non avessi saputo degli scontri appena avvenuti, arei sicuramente pensato che il signor Stark stesse cercando di creare qualcosa, visto il disordine che lasciava in giro di solito. Le stanzette a tenuta stagna del piano superiore, che di dottor Banner teneva sempre ordinate, anche per assicurarsi che materiali nocivi non fuoriuscissero, sembravano essere rimaste illese. Non potei fare a meno di sospirare sollevata, nel constatare che lo spesso cristallo che le chiudeva era rimasto intatto. Per quanto non avessi un’idea precisa degli esperimenti che venivano fatti lì, sapevo che se lo scettro di Loki era pericoloso, probabilmente era tenuto proprio in una delle stanze di cristallo al piano superiore, sempre ammesso che non fosse in giro perché Stark ci stava giocando, questa informazione comunque era meglio tenermela per me.
“Allora?”
Loki mi lanciò uno sguardo impaziente, probabilmente si aspettava che io aprissi un armadietto e tirassi fuori il suo giocattolo, ma io avevo solo una vaga idea di dove potesse essere ed in quel caos mi sembrava del tutto plausibile che non potessi aiutarlo, quindi mi strinsi nelle spalle.
“È qui in giro credo…”
Loki mi afferrò un braccio costringendomi a voltarmi verso di lui per guardarlo. Era furioso e tutta la sua rabbia si riversò nella voce.
“Sappi che se mi stai solo facendo perdere tempo te la farò pagare molto cara. Consegnami lo scettro, ora!”
Il braccio che mi stringeva non era quello rotto, ma la sua forza era tale che iniziai a temere che mi avrebbe spezzato anche quello. Si aspettava risposte. Si aspettava che io ritrovassi il suo scettro. Si aspettava che io magicamente esaudissi ogni suo capriccio, proprio come Stark, ma almeno Stark mi pagava dannazione. Il suo sguardo e la sua voce mi terrorizzavano, almeno quanto la torre, eppure quando lo sentii parlare la sua minaccia mi sembrò vuota. Probabilmente ero solo troppo intontita dal dolore, ma non riuscii a prenderlo sul serio. Che voleva fare? Uccidermi? Sai che originale… oramai sembrava che ogni maledetta cosa stesse cercando di farlo. Lui, gli alieni, la torre, lo SHIELD (ok, forse loro non volevano proprio uccidermi, ma stavano collaborando al mio esaurimento nervoso). Ero stufa di quella storia, non era il mio lavoro quello. Io non sapevo niente di scettri o supereroi. Così, istintivamente la prima cosa che feci dopo aver sentito le sue parole fu incazzarmi.
“Senti. A me pare di averlo visto qui, ma forse non lo hai notato: qui c’è un fottuto macello! Ci sono robe sparse ovunque e io non sono una cameriera né una babysitter e nemmeno una fottuta guida turistica, quindi scusa tanto, ma la tappa “Scettro malvagio” te la dovrai trovare da solo. Se hai tanta fretta di riaverlo, smetti prendertela con me e mettiti a cercarlo”
Per un attimo Loki mi sembrò sorpreso, ma non feci tempo a realizzare la cosa che il suo viso tornò risoluto. La sua presa si fece leggermente meno ferrea, ma non abbastanza per permettermi di divincolarmi.
“Mettersi a frugare in questo caos sarebbe solo uno spreco di tempo. Tu li conosci, ragiona, dove potrebbero tenere un oggetto di tale potere?”
Gli occhi di Loki saltavano da una parte all’altra della stanza alla ricerca di un posto che potesse sembrargli adatto. Da parte mia comunque non avrebbe avuto suggerimenti, non volontariamente comunque.
“Cosa tengono in quelle celle?”
Per un lungo momento boccheggiai. L’unico posto in cui non doveva entrare era il primo che aveva adocchiato. Non sapevo perché le avesse chiamate celle, ma era chiaro che si riferisse alle stanze a tenuta stagna. Senza aspettare che io mettessi insieme qualcosa che sembrasse vagamente una frase, lui iniziò a trascinarmi verso le scale di metallo.
“Aspetta… Loki… Ci tengono le cose tossiche lassù…”
Non mi ascoltò nemmeno, né fece cenno di lasciarmi. Cercai di aggrapparmi alla balaustra delle scale per rallentarlo, ma lui era troppo forte e il braccio libero era troppo dolorante, non riuscii a fargli perdere nemmeno un secondo. Le stanze non erano poche, ma eccezion fatta per un tavolo e dello scarso mobilio non erano nemmeno piene, sarebbe bastato un rapido giro per trovare quelle con dentro un mobile grande abbastanza da tenere uno scettro. Iniziammo a passare di fianco alle stanzette finché non sembrò convinto di quella che aveva davanti. Non potei fare a meno di dire una silenziosa preghiera quando ci fermammo davanti alla porta scorrevole. Il signor Stark in fondo era una persona intelligente, sicuramente aveva pensato ad una serratura iper tecnologica che impedisse l’ingresso di un malintenzionato qualunque. Loki appoggiò la mano sulla maniglia della porta, che scivolò silenziosamente, aprendosi. Stupido Stark! Con tutte le cavolate che ha inventato non poteva pensare anche ad una serratura a prova di dio!?
Una fitta mi attraversò il petto, se avesse trovato lo scettro non gli sarei più servita e mi avrebbe potuta uccidere. Non sapevo nemmeno perché non l’avesse ancora fatto. Arrivato al mobile Loki mi lasciò andare, era ovvio che quell’oggetto fosse più importante di me. Mi sembrò che il tempo si dilatasse, Loki stava per aprire il mobile e poi che avrebbe fatto? Lo sguardo mi finì sulla pulsantiera accanto alla porta, lontana da me, sapevo che serviva per settare la chiusura stanga, la temperatura ed altre cose, e poi c’era un pulsante rosso, più grande degli altri… non ero certa di cosa facesse, ma era un pulsante rosso e quella era un’emergenza. Loki stava aprendo le ante del mobilio, se fossi stata attenta e silenziosa, forse non mi avrebbe notata mentre indietreggiavo verso l’uscita e sarei riuscita a svignarmela senza dare nell’occhio, peccato che quando formulai questo pensiero stavo già correndo verso la porta. Feci del mio meglio per non voltarmi, ma quando mi lanciai sul pulsante rosso lo vidi con la coda dell’occhio sobbalzare al suono della sirena. Era dietro di me, ma era anche abbastanza veloce per raggiungermi in un istante, temevo che non sarei riuscita a scappare, ma quando vidi la porta iniziare a chiudersi, mi mossi istintivamente ed uscii. La porta si chiuse alle mie spalle. Mi voltai appena in tempo per vedere Loki fermarsi appena di fronte al cristallo. La sirena suonava ancora, probabilmente era l’allarme anti incendio, pensavo che Loki avrebbe fatto di tutto per disattivarlo o per raggiungermi, ma non sembrava troppo intenzionato ad avvicinarsi al cristallo.
“Apri la cella! ORA!”
Loki mi sbraitò contro, la sua voce piena di ira, rispecchiava l’odio che gli filtrava dagli occhi e la sua rabbia sembrò ancora più terribile quando la sirena si spense. Non aveva lo scettro in mano e questo mi fece tirare un sospiro di sollievo. Per un attimo ascoltammo entrambi il silenzio, poi ci fu un suono sordo, come un sospiro profondo e intenso, Loki sgranò gli occhi e le sue labbra si mossero, ma non ne uscì suono. Improvvisamente ricordai qualcosa su un sistema antincendio di risucchio dell’aria. Senza aria il fuoco si sarebbe spento e non sarebbero stati necessari estintori e caos. Mi era sembrata un’idea sensata quando lo avevamo progettato, molto prima di vedere Loki annaspare alla ricerca di aria. Per un attimo rimasi a fissarlo, mentre lui si afferrava la gola, un gesto inutile, quanto straziante. Rimasi immobile a fissarlo. Non sapevo cosa dovevo fare. Forse sarei dovuta andare via, lasciarlo morire, chissà quante persone si sarebbero salvate se fosse morto, senza contare che io non sapevo come aprire la porta, quindi in fondo non c’era nulla che potessi fare. Ma lui era lì, dall’altra parte del cristallo, in ginocchio, con lo sguardo perso nel nulla fisso nella mia direzione, il vuoto nei suoi occhi mi fece tremare, se quelli erano i suoi ultimi momenti, il suo sguardo si stava già affacciando all’altro mondo. Scossi la testa e mi voltai. Non volevo vedere. Non volevo esserne responsabile. Corsi verso le scale. Forse era il vetro che stava fissando, forse non stava morendo. In fondo non erano passati più di pochi istanti da quando la porta si era chiusa e poi lui non era umano, quindi magari poteva tenere il fiato più a lungo. Lui era forte, era un dio, avrebbe potuto rompere il cristallo e allora perché non lo faceva? Mi fermai appena davanti al primo scalino, avrei potuto uscire in pochi istanti, andarmene e dimenticare, ma mi voltai. Loki alzò una mano, verso la porta, verso di me e qualcosa dentro di me si ruppe. La sua morte sarebbe stata colpa mia, ero io che lo stavo uccidendo. Non potevo farlo, non potevo essere un’assassina. Mi prese il panico. Non sapevo cosa fare, non sapevo come si apriva la camera stagna. Pensai al tavolo olografico. Era spento, ma se fossi riuscita ad avviarlo, forse… Non c‘erano interruttori o cose simili, serviva Jarvis per farlo andare e senza elettricità… Ma il sistema anti incendio funzionava quindi qualcosa doveva andare, ma come lo avviavo? Frustrata colpii la balaustra con un pugno e il terreno tremò leggermente. Contrariata guardai il mio pugno malandato, non potevo essere stata io. Mi voltai, guardando Loki. Adesso era in piedi, appoggiato al vetro, si reggeva a malapena, ma il pugno che aveva sferrato era stato abbastanza forte da far crepare il cristallo, ma non abbastanza per infrangerlo. Lo guardai mentre alzava il braccio per colpire nuovamente. Ce l’avrebbe fatta, un altro colpo così e si sarebbe rotto e poi sarebbe venuto ad uccidermi. Un brivido mi attraversò la schiena quando la sua mano si abbatté sul cristallo, debole e insicuro il pugno scivolò sul vetro, senza alcun effetto. Loki cadde a terra, immobile.
Gridai. Non potevo credere che fosse successo. Non potevo credere che fosse morto. Non potevo averlo ucciso. Era impossibile. Sentii lo stomaco rivoltarsi. Cercai di non perdere il controllo, di non vomitare. Inspirai profondamente e mi sforzai di espirare senza scoppiare a piangere. Cercai qualcosa su cui concentrarmi, qualcosa che non fosse il cadavere nella camera stagna. Ma lui era lì, anche quando chiudevo gli occhi. Era passato meno di un secondo dalla sua morte e i sensi di colpa mi stavano già lacerando dentro, non potevo vivere il resto della mia vita con quel peso. Non poteva essere successo davvero. Il desiderio che non fosse successo, diventò così forte che inizia a crederci. Corsi di nuovo verso alla cella. Avevo bisogno di qualcosa per rompere il cristallo, qualcosa come un giocattolo di Stark. Lui li lasciava un po’ buttati ovunque, ma un posto specifico c’era. Superai la gabbia di cristallo in cui era chiuso Loki ed entrai in quella successiva. C’era un altro armadio, identico a quello di fianco, le stanze dotate di quell’armadiatura erano soltanto tre così non fui sorpresa di trovare proprio in quella lo scettro di Loki. Mi ero aspettata che sarebbe stato un momento epico, quello del suo ritrovamento, ma in quell’istante ero troppo presa dal mio compito per soffermarmi a pensare. Lo afferrai senza cerimonie, dovetti strattonarlo per levarlo dai supporti che lo reggevano e poi via, fuori, di corsa verso la ragnatela di crepe che copriva il cristallo. Sapevo che lo scettro aveva qualche capacità energetica, come le armi degli alieni, ma non tentai nemmeno di capire come funzionasse. Con tutta la poca forza che avevo lo abbattei contro il cristallo, neanche fosse una mazza da baseball. Una scarica di dolere attraversò il mio braccio arrivandomi agli occhi, che si riempirono di luci bianche. Attraverso l’annebbiamento di un principio di svenimento intravidi il cristallo accendersi di crepe azzurre ed esplodere. Venni spinta all’indietro dal rinculo del colpo, ma prima che potessi essere buttata a terra un’altra forza mi tirò verso la cella. L’aria aveva ricominciato a riempire la stanza e il cambiamento di pressione mi tirò con sé. Feci appena in tempo ad alzare le braccia sul volto quando colpii il terreno. Non era stata una spinta forte, ma io ero troppo debole per combatterla. Caddi di lato, sul braccio buono che aveva dato la spinta per colpire. Al posto del dolore sordo dell’impatto sentii i frammenti di cristallo graffiarmi la carne e conficcarsi nelle gambe. Appena lo stordimento datomi dal dolore si attutì, cercai di rimettermi in piedi, il terreno sotto di me sembrava scosso da spasmi, ma puntai comunque il braccio buono sotto di me e lo usai come appoggio per tirarmi in piedi. Stringevo ancora lo scettro in quella mano. Per un attimo rimasi imbambolata a fissare l’oro di quell’oggetto, domandandomi perché non fossi madida di sangue. Scesi con lo sguardo sulla gamba e il fianco a contatto con le mattonelle bianche del pavimento, che stavano lentamente puntellandosi di rosso. Tornai allora sul braccio, cercando di dare un senso alla sua mancanza di ferite. Eppure anche lì c’erano frammenti di cristallo che si muovevano, li vedevo chiaramente tremare sul nero e il verde del pavimen… il pavimento non era nero e verde. Il pavimento era bianco e non si muoveva. Loki era vestito di nero e verde e Loki si muoveva. C’era voluto qualche secondo, ma finalmente avevo realizzato cos’era successo e non andava affatto bene: Ero caduta per metà su Loki, avevo il suo scettro in mano e lui si stava riprendendo. Presa dalla paura, senza sentire il dolore mi trascinai in piedi, Loki tossiva ancora, mentre i suoi polmoni riprendevano aria, eppure nonostante il quasi soffocamento e i miei sessantadue chili piombatigli addosso, era molto più lucido di me. Sapeva a cosa mirare. Lo scettro. Ancora a terra lo afferrò e lo tirò a sé. Era forte, maledettamente forte e io avrei dovuto mollare quell’oggetto e rinunciare, invece gli tirai un calcio sul braccio e appena lui allentò la presa scappai via.
Corsi giù dalle scale senza voltarmi, fino al corridoio. Mentre lo percorrevo lo stato di panico misto a qualunque altra cosa mi avesse aiutata finora mi abbandonò e io iniziai a riprendere consapevolezza di cosa stava succedendo. La prima cosa che realizzai fu il dolore. Lentamente come in un crescendo, le ferite iniziarono a bruciare e pulsare, fino a togliermi il fiato, fino a rendermi impossibile continuare a correre. Ansimando e con il dolore che mi accecava guardai alle mie spalle, Loki era lì in piedi. Come se niente fosse successo stava camminando lentamente nella mia direzione, scuotendosi di dosso gli ultimi frammenti di vetro. Con la coda dell’occhio però lo vidi traballare mentre avanzava. Forse anche lui era provato, ma dentro di me sapevo che non sarei riuscita a scappare, lo sapevamo entrambi. Con un ultimo idiota gesto disperato seguii la scia di distruzione che il combattimento contro Hulk aveva lasciato, fino allo spiraglio di cielo che avevo intravisto quando ero arrivata. Ormai arrancavo, mi tremavano le gambe e mi girava la testa, ma cercai di resistere. Mi lasciai cadere a terra solo quando arrivai accanto alla voragine che si apriva in una delle pochissime pareti opache che davano sull’esterno. Il vento a quell’altitudine filtrava forte dallo squarcio e mi impedì di sentire le prime parole che Loki mi rivolse. Però lo sentii avvicinarsi, sentii la sua presenza stagliarsi su di me, così tesi il braccio che reggeva lo scettro e l’asciai l’oggetto pendere nel vuoto. Quel dannato scettro pesava, o forse ero io ad essere troppo debole come diceva Loki, comunque mi era chiaro che non sarei riuscita a sostenere la mia minaccia per molto. Come sempre lui mi anticipò.
“Cosa credi di ottenere?”
Per quanto apparisse composta, nella sua voce sentii un accenno di esasperazione. Probabilmente era esausto quanto me. D’altronde non ero la sola ad essere quasi morta. Quando mi voltai a guardarlo però, l’uomo che mi apparve davanti non mi sembrò affatto essere appena scampato alla morte.
“È un’ottima domanda…” Cercai di smettere di fissare il suo volto, ma era difficile non notare come fosse totalmente privo di graffi, al contrario mio.
Comunque dovevo cercare di dare una risposta a Loki. Inspirai profondamente, quella era un’ottima occasione per fare mente locale: Allora… avevo cercato di ucciderlo più o meno per sbaglio, poi però gli avevo salvato la vita. Se ne era reso conto? Bhe, non importava molto. La cosa importante era che lui voleva lo scettro e ora ce lo avevo io.
“Credo che riuscirò a non lasciarti prendere lo scettro.” Avrei voluto dare di me un’impressione risoluta, ma la mia vice era impregnata di incertezza.
Loki si passò lentamente una mano tra i capelli. Gli ultimi frammenti di cristallo che si portava addosso tintinnarono, cadendo a terra.
“Ora basta.” Fu come un sibilo, il uso sguardo era torvo e pieno d’ira. “Sono stanco di te e dei tuoi giochetti. Avrei dovuto ucciderti quando ne ho avuto l’opportunità, ma correggerò l’errore se mi costringerai.”
Non risposi, né gli tesi lo scettro. Sapevo che non mentiva, ma il dolore mi rendeva difficile concentrarmi e per qualche motivo non riuscivo più ad aver paura di lui quanta ne avevo degli scricchiolii che ormai mi riempivano le orecchie. Forse era solo la mia immaginazione, forse ero talmente provata da iniziare ad impazzire, ma sentivo le travi di metallo stridere sotto allo sforzo a cui erano sottoposte. La torre, la mia povera torre stava collassando ed ogni momento che perdevo a parlare con Loki o a pensare a quanto la gamba mi facesse male era un attimo che mi avvicinava alla morte. Eppure non avevo idea di come risolvere la cosa.
“Probabilmente non ci sarà nemmeno bisogno che ti finisca, siete talmente deboli voi umani, che morirai per le ferite a breve, sempre ammesso che la torre non crolli prima.”
Il peso di quelle parole fu talmente grande che non notai nemmeno il disprezzo della sua voce. Per un lungo istante boccheggiai alla ricerca di aria, ma non appena tirai il fiato le parole iniziarono a filtrarmi dalla bocca, senza che potessi fermarle.
“Oh certo, e tu ne sei sicuro al cento per cento, perché “medicina umana” è un corso del secondo anno all’università di Asgard, subito dopo “Diagnostica strutturale”. Facciamoci un favore Loki, io evito di dirti come tramare i tuoi piani malvagi e tu evita di dirmi quando crollerà la mia torre.”
Per un momento vidi la confusione prendere il posto della rabbia nei suoi occhi. Sfortunatamente quel momento durò troppo poco.
“Tu… impertinente… Io sono un dio. Ho conoscenze che la tua mente limitata non può nemmeno concepire, cose come la resistenza di un’insignificante costruzione umana, sono di una tale semplicità per me che non devo nemmeno soffermarmi ad osservare per prevederne il destino.”
La voce di Loki era piena di veleno e superiorità, ma anche io sapevo tirare frecciatine e se ci teneva a giocare a questo gioco, bhé fanculo il dolore, lo avrei battuto.
“E sei talmente preparato sul funzionamento di questa insignificante costruzione che resti mezz’ora a fissare il cristallo mentre soffochi al posto che prenderlo a pugni. Ma bravo!”
I suoi occhi si strinsero.
“È stata una ben comprensibile prudenza la mia, ho già sperimentato celle simili create dallo SHIELD e non sarebbe stato strano che possedesse lo stesso genere di meccanismo per eliminare i reclusi.”
Per un lungo momento rimasi a fissarlo inebetita. Non avevo capito niente di quello che aveva detto. Parlava inglese in modo troppo strano e se avevo capito bene e le camere a tenuta stagna di Stark somigliavano alle celle dello SHIELD, allora avrei dovuto chiedere i diritti per plagio… o loro avrebbero potuto chiederli a me. Il mio momento di silenzio bastò a Loki per rendersi conto che stava giocando con me a “chi è più bravo”, senza tirare in ballo le mie scarse capacità.
“E tu invece cosa sai del mio scettro?” Non attese una mia risposta, anche perché sapevamo entrambi che non ne sapevo proprio niente.
“Non sai nemmeno cosa stai facendo, non hai idea di cosa tieni tra le tue deboli mani. Cosa credi che succederà quando lo scettro colpirà il terreno? Consegnamelo prima di fare qualcosa di cui l’intero universo potrebbe pentirsi.”
L’intero universo, che esagerato. Ok, quello che avevo in mano era un mistico aggeggio alieno dagli strani poteri, ma non poteva essere poi così pericoloso. Nella peggiore delle ipotesi io l’avrei lasciato andare, lui sarebbe caduto a terra, si sarebbe rotto e magari sarebbe esploso. Quanto poteva essere forte l’esplosione? Come quella di una granata? Di una bomba atomica? Di più? Un buco nero? Ci pensai per qualche momento, ma alla fine l’unica cosa che riuscii a capire fu che Loki aveva ragione, non avevo idea di cosa stavo facendo.
“Francesca… Tu non lascerai andare quello scettro, perché non sai quale danno terribile causerà la sua distruzione.” La voce di Loki divenne più calda, più gentile, mentre si inginocchiava di fianco a me. “So che stai soffrendo. Posso immaginare il tuo dolore, la tua stanchezza. Sappiamo entrambi che non riuscirai a salvarti se non accetti il mio aiuto”
Per un momento restai zitta a guardarlo. Sapevo che stava cercando di raggirarmi, ma lo faceva talmente bene! Insomma anche la Vedova Nera ci aveva provato e ci aveva messo molto più tatto e può darsi che fossi anche intontita dal dolore, ma il modo che Loki aveva di parlarmi, la sua voce melliflua e compassionevole, quella finta solidarietà e la dolcezza nella sua voce, mi facevo venir voglia di credergli. Era stato Loki ad infilarmi in quella stupida situazione, ma guardandolo facevo davvero fatica a ricordarmi che era tutta colpa sua. Adesso ero sola, davvero sola, lo Shield non credeva in me e probabilmente nemmeno parte degli Avengers, ero esausta e dolorante e Loki era lì, davanti a me. Forse il suo fascino dipendeva soprattutto dal suo tempismo, un tempismo calcolato e costruito quasi del tutto da lui, ma non potevo fare a meno di desiderare di potermi fidare. Iniziai a bofonchiare, cercando di non assecondare il mio desiderio di salvezza.
“No… tu non hai motivo di aiutarmi e poi c’è la torre. Io devo…”
Le mani di Loki si strinsero attorno alla mia, la sua prese era gentile e confortante e nell’altra mano lo scettro era gelido e pesante.
“Non c’è più niente che puoi fare, è troppo tardi per salvare la torre, mi dispiace.” Continuava a dirlo, perché doveva ripeterlo per forza!? Sentii le lacrime iniziare a scorrermi lungo il viso. Mi concentrai sulla sua mano per non pensare al dolore. Il suo tocco era più che gentile, aveva qualcosa di nostalgico che mi ricordava il nostro incontro in ospedale. Essergli vicino mi faceva sentire bene, fisicamente bene.
“Nonostante tutto, mi hai salvato la vita ed io ti sono debitore… - un sorriso timido gli sfiorò il viso, ma quella risposta non parve abbastanza- E poi… In un certo senso mi affascina il tuo essere così…”
La sua pausa imbarazzata mi fece sorridere. Me lo ricordavo il discorso sulla mia “assenza di qualunque dono” e non negherò che me l’ero un pochino presa, ma adesso, sentire che non riusciva a finire la frase, che non riusciva a definirmi, come se fossi qualcosa di incomprensibile ed ineffabile anche per un dio… Ok, era tenero, lo ammetto. Scossi la testa, per ricordarmi che mi stava raggirando. Dovevo cercare di pensare razionalmente, ma strinsi un pochino la sua mano per farmi forza. La mia mente si arrovellò per qualche attimo su quello che mi aveva appena detto, sulla torre, sullo scettro, sulla mia vita. Aveva ragione, la parte razionale di me sapeva che aveva ragione, ma non era per raziocinio che stavo scegliendo, era per paura. Io volevo sopravvivere, molto più di quanto volessi salvare tutte quelle persone. Io non ero un eroe. Non lo ero mai stata, ma non volevo nemmeno essere un’assassina e Loki mi stava dando la perfetta scappatoia per potermi dire che non era stata colpa mia. Se la torre crollava, avevo fatto del mio meglio e scelto quello che sembrava il minore dei mali. Senza contare che lo scettro pesava tanto da farmi desiderare di fare qualunque cosa pur di liberarmene, mentre la sua stretta era confortante e aveva il sapore di una promessa di salvezza a cui volevo disperatamente credere. Nonostante tutto questo, mi appellai comunque alla mia parte razionale.
“Se è davvero troppo tardi per salvare la torre allora… io… a maggior ragione non posso darti lo scettro.”
I suoi occhi si sbarrarono per la sorpresa, mentre la stretta sulla mia mano si serrava.
“Se ti consegno lo scettro, tu mi salverai, ma avrai lo scettro e quindi il potere di dare il via ad un'altra guerra. Moriranno molte altre persone e… se non posso salvare la torre e chi morirebbe a causa del crollo, la mia vita è solo una e non vale più di quella di chiunque altro. Non so cosa capiterà se lascio cadere lo scettro, ma so che tu dici un sacco di balle e quindi sono convinta che ci sia un’enorme possibilità che non succeda proprio niente.” Per quanto riuscivo a ragionare, questa era la scelta più logica, ma quella logica faceva davvero schifo. Grandi lacrime iniziarono a rotolarmi sul volto.
Loki ancora mi stringeva la mano e non gli servì molta forza per strattonarmi lontano dalla parete. Il mio corpo venne tirato e caddi a terra. Lanciai un grido, mentre il dolore invadeva il mio corpo e lo sguardo si oscurava. Ceca per il dolore sentii il grido riempire la stanza mentre perdevo conoscenza, solo ad un passo dall’oscurità totale mi resi conto che non era la mia voce a gridare, era Loki. Avevo lasciato cadere lo scettro.

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Capitolo 17
*** Pensaci bene ***


La prima cosa che sentii fu il freddo. Il mio corpo era indolenzito e tremavo. Impiegai un tempo infinito ad aprire gli occhi e mettermi a sedere. Mi girava la testa. Pensai che fu perché avevo perso molto sangue, ma invece che cercare in qualche modo di curarmi mi afferrai la mano, quella con il polso rotto, quella che Loki aveva tenuto stretta tra le sue. Feci un profondo respiro e lascia andare la mano che Loki aveva usato per sbattermi a terra e farmi svenire. Mi guardai attorno, il mio personale persecutore era scomparso. Ero rimasta solo io nella stanza. Una sensazione di urgenza proveniente dalle profondità della mia mente mi spingeva a muovermi, ad alzarmi, ma io non riuscivo a capirne il motivo, così cercai di non assecondarla. Mi guardai le gambe, cercando di muoverle il meno possibile, avevo un’infinità di piccoli tagli, che però avevano smesso di sanguinare. Non dovevo aver perso poi così tato sangue in fondo. Non sapevo se uno di essi fosse realmente profondo e sinceramente non mi andava di indagare.
Lentamente, con movimenti piccoli e brevi, mi misi in piedi. Appena ci riuscii, delle punture di dolore mi attraversarono le gambe. Feci un profondo e lungo respiro. Non ero morta e di certo non stavo morendo. Loki non c’era. Andava tutto bene. Avevo buttato lo scettro dal palazzo, ma non c’erano buchi neri, quindi andava tutto bene. Con calma adesso sarei dovuta andare all’ascensore, scendere al piano terra e farmi medicare. Stavo male, ma ce la potevo fare. Potevo buttarmi tutta questa storia alle spalle, tornare in Italia, sposarmi e vivere una bella vita, dimenticando New York, l’America e gli alieni. Pensandoci in quel momento era stata un’idea cretina fin dall’inizio. Lasciare la mia vita, la mia famiglia e il mio fidanzato solo per una stupida torr…
OH CAZZO!”
La torre. La torre era a pezzi. Come avevo fatto a dimenticarmene? Come faceva a non essere stato il mio primo pensiero al risveglio? Come facevo adesso? Ero da sola ed avevo perso dio-sa-quanto tempo. Ok, stavo per avere un attacco di panico. Bene. Perfetto. Feci un profondo respiro. Inspirai quanta più aria potei ed espirai lentamente. Stavo perdendo tempo, ma se non ragionavo lucidamente tanto valeva lasciar stare. Mi dissi che una torre non crolla in dieci minuti. Mi dissi che dovevo ragionare, chiedere aiuto e continuare il sopraluogo. L’avevo anche già iniziato, avevo scritto tutto sulla mia cartelletta. Mi guardai attorno. Non c’era. Cercai di sforzarmi per capire dove l’avevo lasciata, ma nel mio stato confusionale, non ero nemmeno certa di averla mai avuta. Forse mi era caduta quando ero svenuta sulle scale, oppure nei laboratori… Dannazione proprio non mi veniva in mente. Era meglio ricominciare, tanto non avevo fatto praticamente niente finora. Dovevo trovare carta e penna. Dovevo… improvvisamente mi accorsi che c’era anche un’altra priorità che riguardava qualcosa che avevo perso. Gli occhi mi caddero sulla voragine che si apriva verso l’esterno, il vuoto che dava sul nulla a cui avevo affidato lo scettro di Loki. Mi avvicinai lentamente alla voragine. Se Loki aveva ragione sullo scettro, allora chissà cosa avrei visto guardando giù. Per un distratto momento mi domandai se quello era il punto catartico di un film horror, uno di quelli in cui c’è una porta da non aprire o dov’era meglio non girarsi, o una cosa così. Sfortunatamente quel raro momento di saggezza passò, afferrai la parete e mi sporsi. Non c’era nessun gigantesco cratere alla base della torre, non vidi segni d’esplosione e nemmeno cadaveri, da quella distanza non avrei potuto distinguere chiaramente lo scettro, ma non era difficile capire che non aveva mai toccato terra, visto che Loki lo reggeva con un braccio, mentre con l’altro si teneva aggrappato alla parete qualche piano più sotto.
Oh cazzo!
Mi ritirai nella torre. Non ci voleva un genio a capire che si era buttato di sotto per afferrarlo e ce l’aveva pure fatta! Ma che diavolo di problema hanno questi Asgardiani!? Buttarsi da un grattacielo per afferrare uno scettro? ma dai! Non lo puoi fare se non sei Jason Borne.
Imprecai ancora mentre mi allontanavo dal buco nel muro. Non sapevo da quanto tempo Loki era appeso laggiù, ma qualcosa mi diceva che non ci sarebbe rimasto per sempre. Zoppicando uscii dalla stanza. Avrei voluto battere in ritirata. Se solo Jarvis fosse stato funzionante avrei impiegato un attimo a sistemare ogni cosa, ma era dal momento dell’attacco che non si faceva vivo, quindi non avevo molte speranze di rintracciarlo ora.
Zoppicando mi diressi nuovamente verso i laboratori. Mi pareva ci fosse una cassetta del pronto soccorso lì e sicuramente avrei trovato una connessione internet. Impiegai un’infinità di tempo per arrivare e trovare quello che cercavo. Tra tutti i giocattoli di Stark trovai uno di quelle sue tavolette touch funzionanti, tipo un tablet griffato Stark industries. Fortunatamente Stark non era il tipo d’uomo da avere la pazienza di mettere password ovunque.
Quando provai ad accedere ad internet però iniziarono i problemi. Per una questione anti spionaggio industriale era ovvio che le comunicazioni verso l’esterno fossero limitate, ma in quello stupido aggeggio non andava proprio niente! Imprecai per qualche tempo, mentre cercavo tra i programmi. Insomma Stark aveva installano pemball e non un programma per una chiamata d’emergenza?
Ammetto che non sono un genio dell’informatica. A dirla tutta ho parecchi problemi con i pc. Cioè, a me i pc piacciono anche, sono loro che non solidarizzano molto con me. Tendono a rompersi inspiegabilmente o a lasciare che i programmi si chiudano senza ragione. Insomma, alla tecnologia io non piaccio, ma i programmi che mi servono per lavorare, quelli li uso da dio e a forza di problemi qualche trucchetto l’ho imparato. Così dopo aver smanettato un po’, trovai nel pannello di controllo niente popò di meno che un programma dal nome Jarvis. Iniziai a picchiettare sul nome ossessivamente, accettando senza leggere ogni finestra che si apriva, finché non si decise ad avviarsi. Una bella schermata blu brillante con al centro l’immagine di una sfera che pulsava mi apparve davanti.
“Jarvis ci sei vero?”
“Sì, signorina Recidivo.”
La voce calda dell’intelligenza artificiale mi fece venire le lacrime agli occhi. Non mi ero resa conto di quanto sentissi il bisogno di non essere più circondata da avversari, capi pazzi o persone a cui dover dare spiegazioni.
“Dio, come mi sei mancato! Ma dov’eri finito!? Aspetta, lascia stare, non importa. Contatta gli Avengers. Loki è qui, è appeso fuori dal palazzo e ha lo scettro… e digli anche di mandare una squadra medica e una di cui possa disporre per il consolidamento della torre, per favore”
Un lungo silenzio intercorse dopo le mie richieste, sapevo che Jarvis stava facendo del suo meglio così restai in disciplinato silenzio attendendo la voce gentile dell’intelligenza artificiale.
“Scusi l’attesa, mi è stato chiesto di riferirle di scendere al piano terra”
La voce di Jarvis non aveva particolari intonazioni e non credo che lui sapesse cosa significa mentire, ero certa però che sapesse cosa significa omettere. Lo Shield doveva aver insinuato di nuovo che era tutta colpa mia, che ero una complice, magari persino che gli avevo consegnato lo scettro di mia iniziativa. Bhe, pensassero quello che volevano, io non intendevo andare proprio da nessuna parte. Quantomeno non da sola.
“Cortesemente signor Jarvis, riferisca che se intendono mandarmi via, devono alzare il culo e venirmi a prendere con tanto di medico. Io da sola non intendo andarmene in giro in una torre dove c’è un dio vendicativo in illibertà”
Jarvis riferì e mi comunicò un sacco di motivazioni valide per cui sarei dovuta andare via il prima possibile. Non le ascoltai. Ogni volta che mi avevano lasciata gironzolare da sola mi ero ritrovata preda del cattivo di turno, questa volta non avrei fatto lo stesso errore. Al contrario dedicai tutta la mia attenzione al frugare tra gli armadietti. Trovai il kit di pronto soccorso e persino degli abiti di stoffa leggera, quel genere di vestiti che mettono gli infermieri, probabilmente un cambio in caso di contaminazione. Decisi di approfittarne e liberarmi dei pantaloni coperti di sangue. Togliermi i vestiti fu un vero dramma. I graffi e il braccio rotto resero tutto estremamente complicato e doloroso. Fortunatamente quando mi ritrovai in mutande mi accorsi che non avevo tagli molto profondi, erano solo tanti. Sicuramente le gambe sarebbero diventate un unico gigantesco livido, ma decisi di non preoccuparmene. Finii le bende e quasi ogni altra cosa ci fosse nella cassetta del pronto soccorso, ghiaccio spray compreso, visto quanto mi faceva male il polso. Finte le cure mi infilai i pantaloni da infermiera.
Il buon senso mi diceva di starmene buona buona seduta lì ad aspettare che venissero a prendermi, anche perché quello era il piano che avevo riferito allo Shield. Così rimasi tranquilla e aspettai per una decina di minuti. Dieci interi minuti che avrei potuto dedicare alla torre e invece sprecai seduta.
Sarò sincera, il mio non fu un gesto avventato guidato dalla noia o dalla paura. Al contrario, feci un ragionamento semplice: non avevo idea di cosa avrebbe fatto Loki e di dove sarebbe andato, quindi in pratica ogni posto era egualmente pericoloso. Certo, girando per la torre avrei aumentato le possibilità, ma almeno mi sarei resa utile. Così raccolsi le forze, mi procurai un blocco degli appunti e zoppicando dichiarai ricominciato il mio sopralluogo.
Contro ogni buon senso partii dal piano in cui mi trovavo. Avrei dovuto iniziare da quello sottostante, che sapevo essere il più devastato, ma sinceramente avevo paura di avvicinarmi a Loki. Quando ebbi finito il sopralluogo senza essere interrotta, ero però talmente presa dal mio mestiere che decisi di scendere di sotto e miracolosamente riuscii a eseguire il mio giro persino lì. Mi ero vagamente abituata al bruciare delle gambe e avevo capito che se mi prendevo una pausa ogni tanto e non tentavo di strafare, potevo fare il mio giro senza problemi. Quando ripercorsi le scale, zoppicando uno scalino alla volta, ero piena d’euforia. Ce la potevo fare. Avevo già segnato sul mio blocco tutte le contromisure da prendere per il consolidamento di due piani e per quanto la situazione fosse nera mi sentivo positiva. Anche traforata come la gruviera la doppia struttura della torre sarebbe certamente resistita per qualche altra ora. Decisi solennemente che mi sarei fatta bastare quel tempo per terminare il giro nei piani superiori e comandare l’equipe per attuare gli interventi più urgenti. Il fatto che ci mettessero tanto ad arrivare mi stava innervosendo non poco e forse anche preoccupando, così quando sentii delle voci provenire dalla tromba delle scale non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo. Senza pormi alcuna domanda, iniziai a scendere la rampa, avvicinandomi alle voci.
“… Non sono le tue radici, bensì i tuoi atti che ti condannano.”
La prima frase che colsi chiaramente, mi fece rabbrividire. Conoscevo quella voce profonda e anche quel modo strano di parlare. Apparteneva senza dubbio a Thor. Sospirai, continuando a scendere. Non era difficile capire a chi avrebbe rivolto delle frasi simili e se si era messo a chiacchierare con quel tono superiore, sicuramente questo significava che avevano già combattuto e Loki aveva perso. Probabilmente non mi sarebbe dovuto importare, eppure un pochino mi dispiaceva.
Arrivai al piano e mi sporsi per guardarli, pronta a vedere l’adunata degli Avengers al completo, invece trovai solo Thor e Loki, in piedi, uno di fronte all’altro in quella che se fosse stata arredata, sarebbe stata una sala conferenze. Esaminai con cura Loki alla ricerca di manette o cose simili, ma non scorsi nulla di simile, né su di lui, né sugli altri quattro lui.
Mi coprii la bocca per non gridare. Non avevano per niente finito di combattere! Non avevano nemmeno iniziato! Chi cazzo è che si perde in chiacchiere al posto che combattere? Dov’erano gli altri vendicatori? Dov’era Irno Man? Imprecai sottovoce vedendo le varie immagini di Loki muoversi piano, circondando lentamente Thor. Il dio del tuono non parve affatto preoccupato, al contrario, lasciò che Loki procedesse, senza tentare di opporsi. Solo quando ormai era attorniato dall’avversario si decise a parlare.
“Dovresti sapere ormai che questo trucco non può funzionare con me” il dio alzò il martello e con un deciso e minaccioso movimento, lo abbatté sul pavimento. Il mio pavimento in parquet di rovere scuro. Il mio pavimento posato su una soletta in latero cemento e travi di calcestruzzo armato, forse uno degli ultimi elementi strutturali ancora in piedi.
“NO!”
Mi sentii gridare ancor prima che il mio cervello finisse di realizzare la situazione. Thor si fermò all’istante e trattenendo il martello ad un soffio dal pavimento si voltò verso di me. L’espressione dipinta sul volto del dio trasudava sorpresa. Era ovvio che non mi avesse notata prima, forse non sapeva nemmeno che fossi nella torre. Al contrario Loki, sembrava non aver atteso altro. Una delle sue copie si mosse rapidamente, alzando lo scettro che emanò un luminoso raggio azzurro. Thor, ancora voltato verso di me, non lo vide nemmeno arrivare. Spinto a terra dal colpo, strisciò sul pavimento e andò a sbattere contro la parete. Non posso negare che tirai un sospiro di sollievo quando vidi che il muro non si ruppe e quasi non notai uno dei Loki che lentamente avanzava verso il suo avversario a terra. Con una smorfia di dolore dipinta in volto, Thor fece forza sulle braccia per rialzarsi.
“Arrenditi fratello ed avrai la clemenza di Asgard. Sai bene che non hai speranze”
Lo scettro del dio degli inganni si avvicinò minaccioso al volto del fratello, mentre scariche di energia azzurra si accumulavano nel cristallo.
“Sempre così pieno di te… Non hai mai capito quando era il momento d’arrendersi fratello.”
“No!” Mi ritrovai nuovamente a gridare, questa volta non per la torre però. Feci qualche passo verso Loki, avrei voluto afferrare lo scettro e strapparglielo di mano. Ma ero piccola e debole e Loki era un dio, diviso in un’infinità di sé stesso. Una delle sue immagini mi si parò davanti, bloccandomi la strada ed io mi fermai alla sua vista e indietreggiai. Istintivamente mi afferrai il polso, sentivo ancora il dolore pulsante dalla sua stretta. Tremavo e questa volta non potevo fingere che non fosse Loki a terrorizzarmi.
“Non contro la parete. Va ad ucciderlo sulla vetrata, dannazione!”
La mia voce tremava e non aveva nulla che potesse essere scambiato per convincente, ma Loki si stava attardando a sferrare il colpo, così continuai.
“È strutturale Loki! È una parete strutturale. Se la abbatti la torre crollerà. Non sono rimasti molti sostegni integri e questo è uno dei pochi. Loki non farlo… ti prego. Ti prego. Moriranno migliaia di persone se la torre crollo e nemmeno tu puoi uscirne indenne.”
Gli occhi di Loki che mi si ergeva davanti, erano puntati su di me, erano fissi nel mio sguardo supplicante, tremante e bugiardo. Quello che Thor aveva alle spalle era un divisorio in cartongesso per gli impianti. Se lo avessero sfondato probabilmente la stanza si sarebbe riempita d’acqua e scarichi, disgustoso certo, avrei dovuto far cambiare i pavimenti e ritinteggiare le pareti, ma non avrebbe fatto crollare la torre. Senza contare che l’impatto dovuto al primo colpo non aveva nemmeno scalfito la superficie della parete, quindi era molto improbabile che un secondo attacco potesse avere una sorte differente. Ero una pessima, pessima bugiarda, lo sapevo, senza contare che la mia scusa avrebbe al massimo fatto guadagnare qualche momento a Thor, di certo non lo avrebbe salvato, ma che altro potevo fare? Gli occhi di Loki si fissarono sul fratello.
“Alzati se non vuoi portarti all’inferno anche migliaia dei tuoi amati umani.” La voce di Loki tuonò imperiosa e davvero non so se fui più sorpresa che ci fosse cascato o di vedere Thor che lentamente si tirava in piedi e si voltava, verso la vetrata. Successe in un’istante. Thor aprì una mano e il martello che fino ad un attimo prima era caduto dio sa dove, riempì la sua presa. Prima ancora che il martello arrivasse a lui, il corpo di Thor stava già ruotando, scaraventando un possente colpo sulla figura cangiante del fratello. Loki scomparve. Lo scettro, la minaccia, forse non era stato vero niente, forse se n’era già andato. O più probabilmente quello vero era quello che puntò nuovamente l’arma verso Thor e lo colpì con un raggio di luce. Thor ruggì per il dolore. Si piegò su sé stesso, afferrandosi il fianco ferito, ma si rialzò rapidamente, scagliando un poderoso colpo nel vuoto per allontanare l’assalitore. Loki sorrideva, mentre guardava suo fratello soffrire. Senza smettere di ridere, il dio alzò nuovamente lo scettro, mentre centinaia di frammenti di vetro esplodevano nella stanza. Per un fugace istante vidi il viso di un Loki contrarsi per la sorpresa, poi alzai le braccia per proteggermi il viso, quando le abbassai, c’era un dio degli inganni solo ed era terra. Fuori dalla vetrata, l’armatura scheggiata e graffiata di Iron Man si ergeva imponente.
“Volevi confonderci eh? Ma il trucco delle copie non poteva funzionare per sempre e il vantaggio di un edificio di vetro è che è facile da controllare dall’esterno”
Stark varcò la vetrata infranta ed atterrò sul parquet. Il rovere si annerì sotto i repulsori dell’armatura, senza notarlo l’eroe si rivolse alla ricetrasmittente nel casco.
“Loki è al cinquantesimo piano, nella sala conferenze a sud”
Dio come lo odiavo.






__________________

Ho impiegato un sacco a revisionare questo capitolo... l'avrò risistemato una decina di volte e ancora non mi convince.... Mi verrebbe voglia di cancellarlo e riscriverlo da capo come ho fatto altre volte, ma sinceramnete credo di aver fatto aspettare abbasatnza eee quindi niente... spero che non vi deluderà troppo. fatemi sapere cosa non ha funzionato per voi mi raccomando!

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Capitolo 18
*** Parliamo d'amore ***


Parliamo d'amore


La vita di un architetto non è semplice. Passi giorni ad impazzire per progettare qualcosa che sia grandioso. Qualcosa che concili funzionalismo e composizione. Qualcosa che non sia semplicemente bello, ma che sia un fondamento, un fattore di svolta, un riferimento, arte. Dai il sangue per ideare qualcosa di simile. Passi notti intere attaccata al pc a progettare. Passi giorni interi a divincolarti tra peripezie burocratiche e a rincorrere i capricci di un insensibile e viziato committente. Se tutto va bene, dopo giorni di lacrime, riesci ad avviare il cantiere, a cui ovviamente dovrai sovrintendere, mediando tra errori, imprevisti e assurdità varie. Se sei davvero sfortunata, come lo sono io, ti ritrovi persino dall’altra parte della terra a dover gestire tutto questo da sola. Eppure fai tutto volentieri, perché ami il tuo lavoro, perché non c’è niente di più bello di creare qualcosa, soprattutto se questo qualcosa è un pezzetto di mondo. Proprio per questo, nonostante fossi ammanettata e lasciata a sedere per terra, accanto al più grande supercriminale che ricordassi, non riuscivo proprio a sentirmi depressa o sconfitta. L’unica cosa che riuscivo distintamente a sentire era la rabbia che mi provocava sapere che gente la cui occupazione principale era ammazzare cose, si stava occupando della messa in sicurezza della mia torre. Avevano preso i miei appunti, il che significava che potevano seguire chiare e precise indicazioni sugli interventi da attuare, ma nonostante questo ero nervosa. Non sapevo cosa lo Shield stesse facendo, né come lo stesse facendo, senza contare la Vedova nera, che in piedi di fronte a me, ci controllava a vista d’occhio, accrescendo sensibilmente il mio fastidio. Sinceramente credo fosse più preoccupata di Loki che di me, ma essendo, come già detto, ammanettata accanto a lui, con la schiena appoggiata alla parete e le mani sulle ginocchia, proprio come lui, non mi sentivo d’escludere di essere anche io in un brutto guaio. Almeno non ero stata imbavagliata com’era stato per Loki.
Gli Avengers e lo Shield avevano fatto irruzione tutti assieme in una volta sola, qualche secondo dopo l’arrivo del signor Stark, così non era stato difficile per loro acciuffarci e ammanettarci. Non mi sorpresi affatto quando mi misero le manette ai polsi, ormai era chiaro che sarei finita così. Ero comunque fiduciosa che presto sarebbe stato tutto risolto. In fondo io ero innocente ed ero circondata da uomini che amavano la giustizia, quindi presto sarebbe stato chiarito tutto.
Cercando di combattere la rabbia e il nervosismo decisi che questo era il momento giusto per fare quattro chiacchiere, con Loki, visto che l’unica alternativa era parlare con la Vedova Nera.
“Sai, credono che noi siamo in combutta”
Loki mi rispose con un’occhiataccia di sbieco. Ovvio che lo sapeva, ne avevamo persino parlato. Immagino che per lui non ci fossero speranze di salvezza e che quindi l’unica cosa che desiderasse, fosse potersi autocommiserare in santa pace, ma io mi stavo davvero molto annoiando e non mi sarei fatta scoraggiare da uno sguardo velenoso.
“Non vedo proprio come si possa pensare una cosa simile… insomma perché dovrei? Cos’avresti da offrirmi”
Loki si voltò verso di me, con un sopracciglio alzato. Anche imbavagliato riusciva ad essere molto eloquente, il suo sguardo supponente parlava per lui. Ripensandoci in effetti era abbastanza ovvio cosa mi avrebbe potuto offrire: ricchezza no, stavo portando avanti un lavoro molto proficuo che mi avrebbe aperto molte porte; potere? Non l’avrei saputo gestire e comunque non ero il tipo da desiderare cose simili; non restava che la più ovvia e inappropriata delle possibilità, ossia l’amore. Pensandoci adesso effettivamente qualche tentativo di approccio romantico con Loki c’era stato, se solo non fossi stata già felicemente impegnata, avrei persino potuto cascarci, ciononostante sbuffai, trattenendo una risata. La sola idea che Loki ed io potessimo avere una relazione era ridicola.
“Ma dai! Noi due innamorati?” Non trattenni più le risate. Lo sguardo di Loki divenne tagliente. Era chiaro che lo avevo offeso, almeno quanto era chiaro che lui non aveva capito il punto del problema.
“Oh, eddai. Non fare quella faccia. Sei decisamente un bell’uomo, insomma… hai un corpo perfetto e uno sguardo che… ehm… sei affascinante lo ammetto. Hai quel modo di fare elegante e anche un po’ sfacciato, che ti rende magnetico. Insomma se fossi stata libera e non fidanzata con l’uomo migliore della terra, avrei anche potuto cascarci, ma non sarebbe durata. Insomma, non sono tanto stupida da non rendermi conto che non sono la ragazza adatta a te.”
Lo sguardo affilato di Loki si smussò leggermente, era chiaro che aveva apprezzato la mia osservazione, ma non era ancora totalmente convinto.
“Per te ci vorrebbe una più… meno… goffa e ingenua. Uno come te non potrebbe mai innamorarsi di una ragazza cristallina e facile da raggirare come me. A te piacerebbe una sveglia, che ha sempre la risposta pronta. Una ragazza decisa, irrispettosa e piena di forza. Qualcuno che sembri indomabile, che ti faccia desiderare di poterle almeno lasciare un segno. Qualcuno di cui ti ripeti di aver bisogno e accampi storie per aver vicino, quando in realtà, semplicemente vuoi averla accanto a te, perché con lei ogni battibecco è elettrico, stimolante, eccitante… Qualcuno che non ti ami perché hai fatto in modo che accadesse, ma perché è capitato e basta… perché vede in te esattamente quello che sei e le piace… e ovviamente non deve avere grandi principi morali, oppure sai… con la storia del genocidio potrebbe avere qualche problema. Anche fisicamente credo sarebbe meglio fosse prestante, sai… per star dietro alla super forza divina. Ecco, magari ti servirebbe una super spia sexy come la Romanoff, ma meno frigida.”
Loki si lasciò sfuggire una risata soffocata, mentre gli occhi della Vedova Nera si puntarono su di me. Era chiaro che le mie fantasticherie mi avevano portato ad una constatazione che non aveva apprezzato. Alzai le mani in segno di resa, ma lei non apprezzò il gesto.
“Rimetti le mani sulle ginocchia, dove posso vederle.”
Sbuffando eseguii l’ordine. Non vedevo che differenza ci fosse tra tenerle aperte di fronte a lei o appoggiate alle ginocchia, ma sinceramente non mi andava di scoprire quanto avrei potuto tirare la corda.
“E comunque nemmeno tu vai bene per me. Ti aspetti troppo dagli altri… e con “gli altri” intendo “me”. Mi metti in difficoltà, capisci? Con Davide è tutto diverso, con lui sono sempre io e va sempre bene così, anche quando faccio casini, lui alla fine mi capisce sempre. Tra me e lui c’è una specie di sintonia… a volte è come se sapesse quello che penso, quado lo guardo sento che mi posso davvero lasciare andare, che mi sosterà sempre, anche quando litighiamo o non mi dimostro all’altezza. Con te è tutto complicato e confuso… Alla fine gli unici momenti in cui andavamo d’accordo, erano quelli in cui fingevi.”
Lo guardai e non ebbi bisogno di notare l’offesa nel suo sguardo per sapere che mi sbagliavo, che probabilmente c’era stata davvero una sottospecie di simpatia tra di noi.  Guardandolo negli occhi mi ritrovai a pensare a quando lo incontrai per la prima volta, alla sensazione di solitudine e malinconia che emanava. La sentivo ancora. Quel giorno mi aveva detto che non gli era permesso tornare a casa, o quantomeno questo era quello che avevo capito, adesso almeno avrebbe fatto ritorno.
Non potei fare a meno di abbassare lo sguardo. Era difficile guardare i suoi occhi intelligenti senza capire che così era persino peggio. Tornare da sconfitto, da criminale, da reietto, era un’onta incancellabile, più dolorosa dell’esilio. Il disprezzo non è qualcosa che si dimentica, è qualcosa che si appiccica addosso e ti segna per sempre. Chissà per quanto tempo aveva temuto un simile epilogo, forse aveva iniziato ad averne paura persino prima che tutto andasse in pezzi, forse quello era uno spettro che aveva sempre aleggiato su di lui. L’avevo potuta vedere chiaramente quell’ombra nera nei suoi occhi, quel dolore silenzioso che non si poteva curare e adesso il peggio stava per avverarsi ed era inevitabile. Mi ritrovai a desiderare che anche Loki, come me, trovasse qualcuno che fosse una certezza, qualcuno che ci sarebbe stato nonostante tutto, qualcuno che credesse in lui –e non nelle sue parole- in maniera illogica e irrazionale.
Una grande tristezza si impadronì di me. Sapevo che Loki si meritava tutto questo, si meritava l’umiliazione e l’isolamento, aveva fatto cose terribili e anche con me era stato un vero bastardo, ma non riuscivo a togliermi la sensazione che tutto questo fosse un pochino anche colpa mia. Forse se fossi stata più sveglia, se avessi capito subito con chi avevo a che fare… forse allora avrei potuto fare qualcosa, o più probabilmente mi sarei messa a gridare istericamente e avrei chiamato la polizia.
Solo la voce petulante del signor Stark mi fece rinvenire.
“Alzati galeotta, hai del lavoro da fare”
Puntai i piedi e con una torsione esageratamente complicata del busto, posai le mani sulla parete e mi diedi la spianta per rialzarmi. Peccato che appena fui in piedi, la Vedova Nera mi riaccompagnò con un leggera pressione sulla spalla a sedere.
“Non posso lasciartela prendere, ordini di Furi”
Ostinato e capriccioso come sempre il Signor Stark mi afferrò per un braccio e mi rimise in piedi.
“Francesca è un mio dipendente, quindi decido io per lei.”
La vedova Nera gli puntò uno sguardo minaccioso in faccia.
“È sospettata di complicità in…” Il signor Stark non la lasciò finire “In cosa? Abusivismo edilizio? Scelta inappropriata di pavimentazioni infiammabili? Essersi fatta raggirare? L’unica cosa di cui è colpevole è di essere un’idiota.”
“Hai sentito anche tu il resoconto di Thor prima. Loki le dava retta, magari non è sempre stata implicata, ma non puoi escludere che possa aver collaborato”
Ero a dir poco allibita. Che piccolo bastardo ingrato. Come aveva potuto dire una cosa simile quando era chiaro che il parquet era la scelta ideale per una sala conferenza! Rende l’ambiente molto più caldo ed ospitale, favorendo un’atmosfera professionale più rilassata. Come facevo io ad immaginare che mister armatura ci sarebbe atterrato con i suoi stivali sbruciacchianti, sventrando la vetrata tra l’altro. Feci un profondo respiro cercando di calmarmi e ricordando a me stessa che non era quello il mio più grande problema. Solo quando tornai ad ascoltare la conversazione che stavano portando avanti di fronte a me, capii qual era il vero problema.
“…Loki verrà rimpatriato immediatamente questa volta e…”
“Wo! Frena, frena!” Il signor Stark e la Vedova si voltarono di scatto a guardarmi, come se fossi improvvisamente impazzita.
“Prima di tutto ci portate a terra” Gli occhi della super spia si assottigliarono guardandomi, era ovvio che non mi stavo facendo un favore dandole contro.
“Assicurarsi che Loki sia imprigionato è una priorità.”
“Bhé, porterai le tue priorità fuori dalla mia torre. Quella specie di Stargate Asgardiano lascia a terra dei segnacci neri che non vanno via e mi pare abbiate già fatto abbastanza danni qui dentro, quindi da adesso andrete a giocare sul suolo pubblico.”
Cinque minuti dopo ero chiusa nello stesso SUV in cui mi avevano precedentemente segregata, accanto a Davide e nuovamente a Loki. Faccio ancora fatica a credere che fossi davvero riuscita a convincere la super spia rossa con quella che, ammettiamolo, a lei doveva sembrare una motivazione priva di senso. Ripensandoci adesso anche l’aver messo tutti i sospettati del complotto in un solo piccolo spazio è senza senso, o forse era un accurato piano per farci dire cose incriminanti.
“Ahahah”
La risata di Davide, quella sì che era incriminante. Gli avevo raccontato tutta la storia, compreso di come avevo quasi ucciso Loki, di come gli avevo salvato la vita, di come mi ero ferita e di come ero stata accusata, senza tralasciare nessuno dei miei numerosi svenimenti. Era passato dal terrorizzato, al sollevato, al preoccupato a morte per la mia salute e quando ero arrivata al punto clou era scoppiato a ridere e non aveva più smesso per 10 minuti buoni. Insomma, non fai a tempo a spiegare al tuo fidanzato che lo Shield l’aveva probabilmente escluso dai sospetti, visto che mi sospettavano di essere implicata in una sordida relazione con un dio Asgardiano, che quel cretino si mette a ridere. Non vedo proprio cosa ci potesse essere di divertente o ridicolo in quella prospettiva. La mia faccia offesa non passò inosservata.
Oh eddai Franci, obbiettivamente è una cosa davvero irrealistica.” I miei occhi offesi si strinsero, potevo eccome essere l’innamorata di un dio.
Eppure non ti è sembrata tanto assurda quando rodevi di rabbia e gelosia
Sì, bhé… Quando eravamo al telefono non sapevo chi fosse e poi quando l’ho visto… insomma… l’ho visto!” Davide fece cenno con le mani ammanettate, in direzione del dio nordico dal corpo da Karateka e lo sguardo intrigante. Era vero che anche io avevo fatto un discorso simile poco prima, ma questo non significava che potesse farlo lui! Dovevo ammettere a me stessa che lo preferivo geloso piuttosto che realista.
ok, lo so che ti sei offesa, ma è perché non hai capito il punto. Un conto è pensare che possa essersi innamorato di te, un altro è credere che abbiate complottato per… fare qualcosa di malvagio dentro la torre che stai costruendo” Mi misi a ridacchiare, soprattutto perché Davide credeva che avrei potuto far innamorare un dio e questo mi lusingava un sacco.
Quantomeno avrei scelto un altro posto” ricominciammo a ridere. Non c’era nemmeno motivo di essere così allegri. Insomma, non mi metterò di nuovo a elencare tutti i problemi che ci attorniavano, ma era una brutta situazione, eppure ridevamo. Con Davide era così, bastava niente e ci ritrovavamo a ridere come due idioti, lui non era il tipo da grandi discorsi romantici o da gesti eclatanti, ma lo vedevo nel suo sguardo, nel suo modo di starmi vicino che mi amava, che avrebbe fatto di tutto per rendermi felice. L’amore era quello in fondo, non grandi drammi e cuori che si struggono, ma bellissimi momenti di complicità, passati assieme a farsi forza a vicenda.
Davide alzò le mani ammanettate e mi passò il braccio attorno alle spalle, immediatamente mi appoggiai a lui e chiusi gli occhi. Avevo dannatamente voglia di addormentarmi, ma un grugnito disgustato di Loki mi arrivò all’orecchi, dissipando quel sentimento di protezione che mi aveva sopraffatta.
Franci… non farti più male, ok?” mi ritirai su di scatto, puntando gli occhi in quelli del mio fidanzato. Era una richiesta illogica e senza senso, ma la sua voce seria mi fece passare sulla schiena un brivido.
non ti piaccio rappezzata? Credevo che le cicatrici fossero sexy” provai a scherzare, ma il suo sguardo non cambiò. Ora lo capivo, non era serio, era preoccupato. Probabilmente era da quando era arrivato a New York che stava morendo dalla voglia di dirmelo.
Non m’importa delle cicatrici, ma non mi piace per niente vederti soffrire” Aprii e chiusi la bocca un paio di volte. Non sapevo che dire a quegli occhioni tristi.
Ci proverò.” Davide sorrise, anche se nel suo sguardo si leggeva ancora molta preoccupazione, nonostante questo si piegò verso di me e mi pose un bacio sulle labbra. Avrei voluto afferrargli il viso e baciarlo ancora e molto meglio, ma il grugnito di disgusto di Loki mi ricordò che non era proprio il luogo adatto.
Allora da domani prometto che smetto con gli dei Asgardiani… tutti a parte Thor temo.
Davide ridacchiò.
Tanto meglio… e poi tra te e Loki non sarebbe durata. Per uno come lui andrebbe bene una superspia come la Romanoff… solo più ironica e meno… sai no?
I miei occhi si sgranarono a quelle parole. Non potevo crede che se ne fosse venuta fuori con una cosa simile.
È esattamente quello che ho detto anche io!
Non avevo ancora iniziato a ridere quando le porte del furgone si aprirono. Appena fuori, Thor, Capitan America, la Vedova Nera, Clint, l’agente Hill e un significativo numero di agenti dello Shield erano schierati e avevano la faccia seria di chi porta sventure.


Nota a margine...
Mi dispiace, questo capitolo è decisamente pieno di ciancie... Non mi piace quando si parla di sentimenti e cose del genere, lo trovo sempre un po' noioso, ma prima di concludere mi sembrava d'obbligo mettere in chiaro quale fosse la situazione sentimentale dei tre protagonisti e che personalmente non riesco a veder bene nessuno con Loki, eccezion fatta per una Fic che seguivo e che ora purtroppo è stata cancellata... (mi riferisco proprio alla protagonista quando Francesca descrive quella che per lei è la donna giusta per Loki)

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Capitolo 19
*** Qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo ***


               Thor si fece avanti. Il veicolo si piegò sotto il suo peso. Il dio mi passò ad un palmo da naso, quasi senza notarmi. Aveva il viso segnato dalla stanchezza e dal dolore. Era chiaro che fosse esausto. Lo vidi afferrare il fratello per un braccio e tirarlo fuori dall’abitacolo, senza che opponesse resistenza. Attorno a loro, lo Shield e gli Avengers si fecero da parte, lasciando un cerchio di vuoto di cui i due Asgardiani erano il centro. Vidi Thor fare un cenno con la testa ai suoi compagni, una specie di saluto e capii che stavano per andarsene. Una leggera sensazione di sollievo e inquietudine si impadronì di me. Quella brutta storia stava per finire, anche se non sapevo ancora come.
“Thor… cosa gli faranno? Ci sarà un processo o…?”
Il dio si voltò verso di me, aveva negli occhi uno sguardo serio, privo persino del leggero sorriso che normalmente gli attraversava gli occhi.
“La sentenza è già stata emessa. Lo condurrò personalmente fino alle prigioni e verrà rinchiuso nelle celle di Asgard”
Lo sapevo. Sapevo già da tempo che sarebbe successa ogni singola cosa che mi venne detta, ma quando lo sentii parlare spalancai la bocca e mi immobilizzai. Il mio cervello era in preda ad un assurdo tumulto. Sapevo che Loki meritava la prigionia, sapevo che probabilmente persino io sarei stata più al sicuro una volta che fosse stato dietro alle sbarre, eppure non volevo che succedesse. Mi concentrai su come Loki mi avesse minacciata e quasi uccisa più di una volta, ma soprattutto mi concentrai sulla prospettiva di venir considerata una sua complice e finire a mia volta in cella. L’unica scelta sensata da fare era lasciare che accadesse in silenzio.
“Thor, ma che cazzo!?”
L’uomo biondo spalancò gli occhi e ammetto che anche io fui sorpresa di sentirmi parlare. La verità era che non avevo niente da dire, non c’era un singolo motivo per liberarlo, eppure…
“Ignorala e vai”
La Vedova Nera fu laconica. Se avevo per caso apprezzato la sua risolutezza in una o due circostanze, bhè, ora avrei voluto infilargliela giù per la gola. Forse voleva solo che Loki fosse portato via, d’altronde era pericoloso e risoluto, eppure mi sentii come se lo dicesse solo per zittire me.
“Perché? Hai paura che abbia ragione?” Mio dio, che risposta da dodicenne che mi venne fuori.
“Ho paura che tu stia prendendo tempo” Il suo sguardo si appuntò su di me, freddo e sincero. Un sottile senso di pericolo mi ricordò in quale situazione delicata mi trovassi. Iniziai a tremare sommessamente. Stavo procedendo su una strada che mi avrebbe portato alla rovina.
Francesca, lascia stare…
La voce di Davide mi arrivò all’orecchio leggera, sapevo che aveva ragione, almeno quanto sapevo che parlando in favore di Loki avrei solo finito per ferirlo e per cosa poi? Per aiutare un tizio che aveva cercato di distruggere il mio quasi matrimonio.
“No, mi dispiace no.” Sentii il dolore far tremare la mia voce, non volevo fare a Davide più male di quanto non glene avessi già fatto, ma in fondo alla mia mente aveva iniziato a rivedere ogni istante da quando avevo conosciuto Scott e per la prima volta, mi ero resa conto di qualcosa di terrificante.
”Prendere tempo per cosa? Ma per piacere! Non sono una specie di spia o cazzate simili. Ma siete tutti impazziti? Sul serio… che diavolo vi prende? Pensate davvero che io centri qualcosa? E Loki… che diavolo volete fare? Lo ficcherai in una cella e poi cosa? Aspetterai che muoia di vecchiaia?”
“E perché non dovremmo?” La voce di Thor mi arrivò alle orecchie fredda e spietata, ma io ci lessi comunque una richiesta sincera. Forse davvero voleva una motivazione per non fare ciò che sapeva essere necessario. Voleva una motivazione che io avevo, anche se non era abbastanza. Feci un profondo respiro, sentendo li corpo di Davide irrigidirsi alle mie spalle, lui più di tutti aspettava quella risposta. Aspettava di sapere cosa diavolo mi prendesse.
“Perché l’unica cosa che otterrai sarà di riempirlo ancora più di odio e risentimento. Thor, non riuscirete a farlo redimere chiudendolo in una gabbia”
“è tardi per la redenzione” Ci fu un vociare confuso tutto attorno a noi. Fury fece un passo aventi ponendo la mano sulla spalla di Thor e dicendo qualcosa di molto intelligente su degli accordi presi. Ma in tutto questo Thor guardava ancora me, quindi io gli risposi.
“Ma se è a proprio questo che servono le carceri! Che cosa lo mettete in galera a fare allora!?”
“Per impedirgli di fare alto male! Loki è pericoloso. Non ti rendi conto di cosa ha fatto?” Maria Hill quasi gridava. Era esausta, lo eravamo tutti. Forse lei era più esausta di avere a che fare con me che di tutto il resto, ma questo non svalutava affatto il mio livello di stanchezza.
“Sì! Sì che l’ho visto! E a quanto pare sono l’unica qui ad aver capito che non riuscirete a tenerlo lì dentro.” La mia voce si spezzò e il tremore che mi aveva preso le mani divenne così forte da essere incontrollabile. “Aveva pianificato tutto, da prima di incontrarmi… lui, probabilmente sa già come uscire e se non è così, troverà un modo e allora sarà ancora più arrabbiato e assetato di vendetta.” Tirai forte su con il naso. In maniera molto infantile. Affianco a me il corpo di Davide era sempre più rigido e distante.
“Questa non è la soluzione a niente. Le prigioni dovrebbero servire a rieducare le persone, così che possano reimmettersi nella società e in questo caso, non ci riusciranno, allora cosa cazzo lo mettete dentro a fare!?” Impensabilmente fu la Vedova Nera a venirmi incontro.
“Ha ragione. Dovremmo giustiziarlo” Cosa cazzo sta succedendo!?
“No!” Grazie a Thor la mia non fu l’unica voce a dare questa risposta.
“Perché non gli togliete i poteri come avevate fatto per Thor?” Alcuni continuarono a parlare, ma tra me e Thor ci fu un breve silenzio. Forse valutò l’idea per un momento. Poi scosse leggermente la testa e disse qualcosa sottovoce. Un raggio di luce iridescente non li colpì. Quando le macchie scure da accecamento furono passare e io riuscii nuovamente a mettere a fuoco, in mezzo alla guardia schierata era rimasta soltanto la bruciatura scura del teletrasporto Asgardiano.
La mia mente arrancava cercando di realizzare quello che era appena avvenuto. Loki se n’era andato. Era scomparso, tornato ad Asgard probabilmente per sempre. Sapevo che sarebbe successo e sapevo che sarebbe successo ora, ma…
È stato un tentativo stupido, finiremo di nuovo nei guai e per cosa? Per un tizio che ti ha cercato di ucciderti? Tremavo ancora e le parole di Davide mi ferivano più di ogni altra cosa. Iniziai ad accasciarmi sul mio sedile. Sentivo i suoi occhi che mi fissavano. Lo sentii sospirare e sentii il tonfo della sua testa contro la parete.
“Quella gigantesca bruciatura la dovrai togliere tu? Cavolo, sarebbe anche potuto andare in mezzo alla strada o stendere un telone di plastica per terra prima, o cose simili.”  Tirai di nuovo su con il naso, mentre mi giravo a guardarlo. Lui aveva ancora la faccia seccata, ma tra i suoi lineamenti iniziava a filtrate poco a poco della dolcezza. Anche lui era stanco ed essere arrabbiato o geloso consuma un sacco di energia. Provai a farmi venire in mente qualcosa di arguto, ma riuscii solo a fare un vago singhiozzo che poteva sembrare una risata.
“Signorina Recidivo, lei verrà con noi allo Shield. Dovrò rispondere ad alcune domande. Quanto a lei signor Corso, è libero di andare, ma non lasci il paese e si tenga a disposizione.”
Un agente si fece avanti, tendendomi la mano e interrompendo i miei pensieri. Istintivamente mi tirai indietro, stringendomi a Davide. Non avevo ancora realizzato cosa stava succedendo e un tizio armato e vestito di nero si faceva avanti. No, grazie.
“Francesca è ferita, ha bisogno di essere visitata da un medico”
Sentii le braccia di Davide stringere attorno a me. Una cosa mi era chiara, mi volevano portare via, come avevano fatto per Loki. Il cuore iniziò a battermi forte, ma mi rincuorai, ricordandomi che il signor Stark non mi avrebbe lasciato portare via. Lui lo avrebbe impedito, lui… Lui era in cima alla torre a supervisionare la ricostruzione, per una volta. Dannazione! Mi morsi le labbra. Avevo creduto che mi avessero portata giù perché ero stata convincente, invece era solo l’ennesimo inganno.
“Allo Shield abbiamo degli ottimi medici”
Il tono mellifluo della vedova nera mi fece venire i brividi. Stavano ancora cercando di raggirarci? Sapevamo che loro erano i buoni, ma anni di discriminazione avevano insegnato una cosa a Davide: meglio non fidarsi nemmeno dei buoni, soprattutto se sono tanti.
“All’ospedale hanno degli ottimi medici.”
Nonostante il tentativo della rossa, la stretta di Davide non si era alleggerita. Improvvisamente mi sentii al sicuro. Anche se non era un supereroe, Davide era lì ed era determinato a proteggermi. Sentii l’agente Hill sbuffare.
“Non credo che vi stiate rendendo conto della gravità della situazione in cui vi trovate. La sua posizione è ancora da chiarire.”
Avevo ancora paura, ma mi sentivo forte ed ero stanca di sospetti e insinuazioni, così finalmente aprii bocca e risposi.
“Ok, allora chiariamo. Che mi volete chiedere?”
Sguardi attoniti mi colpirono da tutte le parti. Era ovvio che non si facevano così gli interrogatori, ma non mi interessava molto.
“Bhé? Niente? Posso andare?” Ero diventata strafottente e questo non era saggio, lo so. Il primo a parlare fu Clint, disse qualcosa a voce troppo bassa perché la mia spocchia potesse sentirlo, ma la Vedova Nera lo sentì e dopo un’occhiata poco convinta al collega, reagì rivolgendosi a me.
“Come sei entrata in contatto con Loki?”
La voce della Vedova era ferma e insapore. Avevo già risposto a questa domanda, ma non importava. Feci un profondo respiro e mi preparai all’interrogatorio lampo.
“L’ho investito con l’auto, ma era un suo piano per manipolarmi. Io non l’ho riconosciuto e ci sono cascata. L’ho soccorso e senza che me ne accorgessi lui mi ha marchiata con un segno magico che mi faceva sembrare Loki agli occhi dei chitauri. Il marchio era sulla sciarpa. Poi, dopo il primo attacco, mi ha raggiunto in ospedale e ha messo il marchio sul gesso”
Sintetica e chiara. Questa era la mia tattica, poteva funzionare.
“E…?”
Il tono supponente della Vedova Nera mi colpì.
“E niente.” Risposi acidamente. Ero davvero stanca di insinuazioni sulla mia fedeltà.
“Cos’è successo mentre eri sola?”
Finsi di non capire che si riferiva a me e Loki soli nell’albergo e saltai direttamente a quando il signor Stark mi aveva abbandonata nella torre, poco tempo prima.
“Loki era travestito da agente, mi ha ordinato di portarlo ai laboratori perché pensava che lo scettro fosse lì. Io ce l’ho portato e… ho fatto un casino. È salito subito nelle camere di contenimento. Mentre cercava ho attivato il sistema anti incendio credo, ma poi… Loki era dentro e stava soffocando, io ero fori e mi è preso il panico. N-non sono un’assassina e… ho trovato lo scettro e rotto il vetro… ma poi lui si è svegliato, io sono scappata con lo scettro, l’ho buttato dalla finestra, lui mi ha buttata a terra e si è lanciato a prenderlo. Poi sono andata via e ho contattato Jarvis”
La mia voce aveva iniziato a tremare, non mi ero resa conto di quanto fosse difficile rivivere quei momenti. Non era stato così le altre volte. Forse era tutta colpa delle mie azioni assurde e del plotone d’esecuzione che avevo schierato davanti, ma iniziavo sinceramente a temere per me stessa.
“Thor ha detto che Loki ti ascoltava…”
Ero esausta e sotto pressione. Così reagii nel modo più naturale per me, mi arrabbia. Il mio self control andò in pezzi, non la lasciai nemmeno finire.
“Sì, certo! La torre stava crollando, persino un cretino se ne accorgerebbe e io gli ho detto che se avesse sparato contro una parete sarebbe crollata tutto e lui mi ha creduto, perché l’ho costruita io quella cazzo di torre. Ma ovviamente non era vero. Stavo solo cercando di prendere tempo. Insomma quella parete è fatta di fottuto cartongesso. Mio dio, almeno controllate prima di fare domande. Se chiedete a Thor vedrete che dico la verità.” Difficile, visto che era appena partito per un altro mondo, ma non impossibile.
“Perché non hai seguito gli ordini e non hai abbandonato la torre quando ti è stato detto?” Questa volta fu l’agente Hill a parlare, il suo tono inquisitorio fu peggio persino di quello della Vedova nera.
“Perché…” C’era un dio incazzato in giro? Facevo fatica a camminare? Ero terrorizzata? No, non era vero, non del tutto almeno. Forse lo era stato per qualche momento, ma poi quel momento era passato. Feci un profondo respiro. Dovevo dire qualcosa e non valeva la pena di sfidare la fortuna. Espirai lentamente. la verità non gli sarebbe piaciuta, ma era la verità.
“Perché quella è la mia torre ed era a rischio di crollo. Non potevo lasciare che accadesse senza fare nulla. Sentite, io lo so che non capite, ma tutto questo casino non è altro che uno stupido incidente d’auto. Io lo so che quelli come voi e Loki, credono che il futuro si plasmi attraverso le grandi guerre, gli intrighi politici e gli assassinii, ma io e il signor Stark invece crediamo che il mondo si costruisca un pezzo alla volta, con ingegno e abnegazione. Per noi la storia non è solo una sequela di epici momenti d’eroismo o lutto, quelli sono solo intermezzi sconvolgenti. La storia è fatta di un flusso continuo di ricerche ed evoluzione. Il mondo è in continuo movimento e viene creato da ogni nostra azione. Per questo quello che costruiamo è altrettanto importante quanto una disputa su chi sia il migliore a sedere sul trono. Io non dico che voi non abbiate le vostre ragioni a credere che quello che stia succedendo ora sia importante, ma non è l’unica cosa importante.”
“Stai davvero cercando di farmi credere che saresti morta per…” Lo sguardo supponente della Hill mi fece andare il sangue alla testa. Non volevo sapere come intendeva stuprare il mio discorso. Sapevo cosa volevo dire. Sapevo in cosa credevo.
“Sto dicendo che senza persone come me, non ci sarebbe nulla da proteggere. Sto dicendo che se non capisci l’importanza di tutto questo, allora dovresti prendere il tuo giacchetto nero e andare a riporti nella scatola dove ti tengono e restarci fino alla prossima apocalisse, lasciando le persone come me ad impegnarsi per ricostruire.”
Ero arrabbiata. Stavo gridando e lo sapevo perché sentivo Davide tirarmi per calmarmi, ma io non intendevo farlo. Ero stanca di sentirmi dire che ero in errore. Io sapevo d’aver ragione, io sapevo che ciò che facevo era importante e non avrei lasciato che una bambola killer mi mettesse in dubbio.
“Per me è sufficiente. È chiaro che sia esausta, portatela in ospedale.”
La voce di Cap mi fece sobbalzare. Non lo avevo mai sentito dare ordini in quel modo imperioso. Non mi sorprese notare che gli obbedirono. Vidi distrattamente l’agente Hill parlottare con un suo sottoposto e gli occhi della Romanoff colmi di un sentimento a cui non riuscii a dare nome, ma il portellone si chiuse prima che capissi cosa stava provando. Dieci minuti dopo ero in ospedale.
Passai davanti a tutti appena entrata, credo che la causa fu soprattutto la mia scorta governativa, ma devo dire che questa volta furono tutti molto efficienti. Mi bendarono, curarono ricucirono e operarono. A quanto pare le condizioni del mio braccio erano peggiorate parecchio. Ricordo che mi dissero che mi avrebbero fatto un’anestesia locale, ma appena poggiai la testa sulla barella mi addormentai. Mi svegliai solo il pomeriggio seguente. Avevo le gambe piene di quei piccoli cerotti che tengono chiuse le ferite, il mio braccio era stato ricucito e ingessato, riempiendomi di dubbi su quanto fosse igienico ingessare una ferita fresca e mi faceva male la testa, ma stavo bene e Davide era lì… assieme ad un tizio in completo nero in piedi appena fuori dalla porta. Non nego che appena sveglia il mio primo desiderio fu quello di rimettermi al lavoro, ma avevo promesso a Davide che mi sarei impegnata a non farmi più del male, così mi ritrovai costretta a prendermi una pausa per malattia. Scoprii di avere un sacco di tempo per rimuginare su come Loki fosse stato portato via, sotto ai miei occhi e iniziai a formulare una tragica teoria dopo l’altra riguardo cosa gli stesse succedendo. Il terzo giorno di riposo stavo impazzendo. Non sapevo cosa stessero facendo alla mia torre e Stark non mi rispondeva al telefono. Dio come lo odiavo. L’unico rimedio che riuscii ad ideare per non pensare a cose depresse fu quello di far stampare a Davide delle nuove partecipazioni per il matrimonio, non mi aspettavo di certo che gli Avengers si sarebbero presi una vacanza per venire a trovarmi, ma sarebbe stato troppo scortese non invitarli nemmeno. In uno slancio di “simpatia”, Davide si arrogò il diritto di scegliere di stamparne una in più di quelle pattuite. Lo fulminai con lo sguardo quando notai il nome elegantemente vergato: Scott Fitzgerald, da Asgard. Nonostante l’avessi preso a male parole però, alla fine non buttai quel pezzetto di carta, in fondo una piccola parte di me, sarebbe stata felice di vederlo tra gli invitati.
Tra tutte le mie sventure, almeno mi era stato portato il mio Pc, in cui c’erano i progetti delle torri, così da poter passare il tempo ricontrollando le rifiniture della nuova Stark Tower, o almeno tentare. Davide mi aveva chiesto e richiesto di mettere il progetto da parte e riposare e visto che non volevo farlo preoccupare e che lui passava più tempo possibile con me, io l’avevo fatto, almeno finché non si era addormentato. A quanto pareva non dormiva bene in albergo, probabilmente continuava a sognare l’attacco alla torre e passare tutto il tempo restante davanti a me, tutta rappezzata, non lo aiutava a rilassarsi. Così, per la prima volta da quando era arrivato a New York quel pomeriggio si addormentò sul divanetto, mentre gli leggevo il giornale per dimostrare al mondo che avevo imparato qualcosa da quella brutta esperienza, ossia che le notizie d’attualità sono fondamentali per non cadere vittima dei delinquenti. Appena notai che era collassato, chiusi quell’affare. Avevo letto le prime pagine e mi dissi che sarebbe bastato per conoscere le facce dei supercriminali. Immediatamente dopo averlo chiuso, accesi il pc, come già accennato, ma il mio lavoro continuò solo pochi minuti prima di essere interrotto da una visita. Quando lo vidi entrare dalla porta rimasi a dir poco allibita. Non riuscii a capacitarmi che fosse davanti a me finché non si schiarì la voce, porgendomi il mazzo di fiori che aveva tra le mani.
“Posso entrare signorina Recidivo?”
Lo vidi sorridere timidamente, mentre io annuivo come un ebete, chiudendo il portatile e sistemandomi meglio sul letto. Al contrario di quando ero stata ricoverata in precedenza, questa volta la mia camera non somigliava affatto ad un vivaio, così i fiori che mi portò furono una boccata di colore nel bianco candido dell’ospedale. Tesi le mani per poterli ricevere e lui me li porse con eleganza.
“Grazie infinite capitano Rogers”
“Di nulla signorina Recidivo, è un piacere.”
Wow. Per il capitano Rogers era un piacere portarmi dei fiori. Feci del mio meglio per trattenere un risolino da liceale. Fortuna che Davide dormiva, altrimenti quello sarebbe stato un momento tremendamente imbarazzante.
“Ti offrirei una sedia, ma…” Indicai discretamente Davide che era ancora assopito sull’unica sedia della stanza. Cap sorrise. Scivolai sul letto, facendogli posto. Lui si sedette rigidamente accanto a me. Era vagamente in imbarazzo, ma era carino da parte sua cercare di non farmi sentire a disagio.
Mi ritrovai a passare le dita sui petali dei fiori, erano davvero bellissimi. Rose rosa e velo della sposa. Fiori classici e terribilmente dolci. Non erano i miei preferiti, ma erano dei bei fiori
“Mi ha molto colpito il discorso che hai fatto.”
Vidi il capitano Rogers stropicciarsi le mani. Era teso, ma non capivo perché, in fondo ero io quella che aveva dato nuovamente di matto davanti a tutti.
“Io… non ci sono stato durante la Ricostruzione o gli anni del boom economico e ora… mi è stato chiesto di andare a Washinton, quindi…” Sgranai gli occhi sentendo quelle parole. Non mi aspettavo un simile discorso e probabilmente nemmeno lui.
“Non ci sarai nemmeno questa volta.” Anche se capivo quale fosse il punto, non riuscivo a vedere il motivo per cui fosse così cupo. Mi strinsi nelle spalle, cercando di sembrare rassicurante.
“Non è colpa tua… e mi dispiace se ti è sembrato che io disprezzassi il vostro lavoro, non penso affatto che sia poco importante, è solo diverso”
Cap mi guardò per qualche istante. Il suo era uno sguardo sincero, ma nei suoi occhi lessi ancora quel sentimento incomprensibile, che per un attimo avevo visto negli occhi della Romanoff
“No, è stata molto chiara, ma… Ho perso così tante cose e sto continuando a farlo. Non sono il genere d’uomo che fugge dal suo dovere. Capitan America è sempre stato un simbolo di speranza e dovrebbe esserlo anche in questi tempi, ma quando mi guardo intorno…”
Ci fu un lungo silenzio tra di noi. Le parole gli erano scivolate fuori dalle labbra senza che potesse fermarle. Non sapevo cosa gli passasse per la mente, né quali sarebbero state le parole giuste da dire, non ero una psicologa o una cosa simile, ma sapevo bene che se non avessi spezzato velocemente il silenzio, lui si sarebbe tirato indietro.
“Mi dispiace di averti importunata con queste sciocchezze”
No! Cavolo…
“Aspetta!” Non sapevo che dire, ma una cosa potevo farla. Frugai goffamente nel comodino per qualche secondo, per poi tirarne fuori vincitrice la sua partecipazione.
“So che siete molto occupati, ma abbiamo voluto scriverle lo stesso…”
Guardai il mio eroe rigirarsi il mio invito tra le mani, sorridendo leggermente.
“Sarà una cosa tranquilla, niente di esagerato. Cerimonia cattolica in chiesa e poi ricevimento, però il cibo sarà strepitoso e degli amici di Davide suoneranno qualche canzone, credo faranno anche qualcosa di Elvis, sarà divertente.”
Capitan America mi guardò un po’ confuso.
“Ommioddio, non sai chi è. Tu non hai idea di cosa ti sei perso. Fidati sarà bellissimo sentirlo per te, lui è degli anni 50, ma è ancora considerato il re indiscusso del Rock, lo adorerai”
Agguantai una penna e senza pensarci girai la partecipazione a faccia in giù, per poi vergare a chiare lettere il suo nome e quello di un paio di sue canzoni. Come si faceva a non conoscere Elvis? Era quasi come non conoscere Dragonball! Nessuno sulla terra non sa chi sia... Avevo appena finito di scrivere e stavo per consegnargli la partecipazione quando mi resi conto di cosa voleva dire lo strano discorso di Cap. Per lui il nostro era come un mondo alieno, non riconosceva niente di ciò che aveva attorno. Aveva lottato tanto solo per ritrovarsi totalmente spaesato. Come avrebbe potuto uno come lui mettersi a ricostruire o a parlare di speranze per il futuro, visto che nemmeno capiva il presente? Mi morsi il labbro.
“Forse dovresti inserirlo nel tuo programma di allenamento” Gli tesi la partecipazione “Non-non intendo Elvis, ma sai, rimetterti in pari… Cioè… non intendo un allenamento vero, più una cosa divertente” Chiusi la bocca, stavo biascicando come una liceale. Cap mi sorrise in modo teso, mentre prendeva la partecipazione.
“Potrei fare una lista.”
“Sarà una lista super divertente, non hai idea di quanta roba assurda sia successa.” Feci una piccola pausa poi ricominciai “Sul serio, sei obbligato a divertirti. Insomma non ti puoi perdere anche questi festeggiamenti”
Cap fece un altro sorriso teso. “Magari inizierò da qui” e detto questo sventolò leggermente la partecipazione.
“Potresti farmi da portafortuna… Sai qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di blu…” Ancora rigirandosi tra le mani la partecipazione Cap alzò le sopracciglia facendo una smorfia.
“Io sarei qualcosa di vecchio quindi”
“A dire il vero pensavo che se venissi in costume, potresti fare tutte e tre le cose.”
Ci mettemmo a ridere. Se ne andò qualche minuto dopo, promettendomi di venire alle nozze come il nuovo Cap, qualunque cosa volesse dire.

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Capitolo 20
*** A certe persone la pioggia dona ***


N.B. Ho voluto concludere la storia, quindi sono stati aggiunti 2 capitoli in una volta (sia il 19 che il 20)  



             Appena uscita dalla chiesa, dopo aver detto di sì ed essermi ufficialmente sposata, iniziò a piovere a dirotto. Fu indubbiamente quello il momento più bello di tutto il giorno. Eravamo tutti riuniti sul piazzale della chiesa e il nubifragio arrivò in un istante. Cercai di correre verso l’auto, ma avevo i tacchi e Davide mi tenne stretta costringendomi a infradiciarmi. Il trucco mi colò su tutto il viso e l’acconciatura iniziò a crollare dopo pochi secondi, nel contempo la pioggia riempì fino a far luccicare i ricci di Davide e filtrò sotto la sua giacca nera, incollandogli la camicia addosso. Era bellissimo. Ero terribile.
“Sposa bagnata, sposa fortunata” Ridendo Davide mi prese il viso tra le mani, mentre io lo insultavo. Ci baciammo, sotto la pioggia, mentre tutti scappavano, mentre le ultime ciocche dei miei capelli abbandonavano il loro posto e il mio strascico si impregnava di fango. Poco tempo dopo le foto del matrimonio avrebbero testimoniato che ero davvero la sposa più brutta di tutta la storia, ma in quel momento, mentre Davide mi accarezzava il viso, spezzando le strisce di mascara colato, mi sentii la donna più bella del mondo. E continuai a sentirmi così anche quando vidi la vedova nera che era maledettamente bella anche dopo che “per sbaglio” gli versai il vino rosso addosso. Contro ogni pronostico, il mio incidente non la fece nemmeno arrabbiare, penso che per qualche strano motivo quel giorno fosse felice anche lei, quasi quanto me. La vidi ballare molto, e bere molto e mangiare molto e fare moltissimo da traduttore a Cap, che non parlava nemmeno una parola di italiano, ma che in compenso aveva imparato a memoria le parole di “Can't Help Falling In Love”. Mio nonno quasi pianse quando vide Capitan America e lo stesso posso dire di mia cugina, anche se per un motivo totalmente diverso. Non so se così lontano da casa Cap si sentì per un po’ meno disperso, ma in tutta sincerità, lo spero.
Natasha e Cap furono gli unici degli Avengers a venire e per questo ricordo perfettamente che quella fu l’ultima volta che li incontrai. La cosa comunque non mi rattrista. L’ultimo ricordo che ho di loro è un ricordo bellissimo, in cui siamo stati tutti profondamente felici.
L’unico che incontrai di nuovo, fu Stark. Non venne alle nozze, ma mi mandò il suo regalo: un letto matrimoniale con la messa a terra. Una cosa indecorosa e fuori luogo, che abbiamo usato tantissimo. Io e il signor Stark ci sentimmo il giorno dopo che mi fui sposata, pochi giorni prima di Natale, mi telefonò perché voleva che facessi abbattere una parete di casa sua per far entrare un gigantesco coniglio, o qualcosa del genere. Rattaccai. Non era quello il progetto grandioso che mi aveva promesso e io ero ancora in luna di miele. Due settimane più tardi mi ritelefonò per chiedermi di ricostruirgli la casa, che era riuscito a farsi demolire interamente e questa volta accettai ben volentieri. Il signor Stark non era proprio in formissima a quel tempo, ma la signorina Potts era al suo fianco e sembrava del tutto intenzionata a rimetterlo in sesto, quindi non mi preoccupai poi molto, infatti tornò presto ad essere la solita testa di cazzo. A testimonianza di questo fatto c’è che attualmente sto nuovamente lavorando alla costruzione di un laboratorio di ricerca a Oslo, non dormo più di 4 ore a notte da almeno 2 settimane, ma fortunatamente devo solo stringere i denti perché domani pomeriggio prenderò l’aereo per tornare in Italia. Questa parte di tortura è quasi finita, certo, dovrò comunque tornare per supervisionare l’avanzamento dei lavori, ma non me la sento di stare per troppo tempo lontana dalla mia bambina e da mio marito, già così è fin troppo dura. A rendere ancora peggiore la permanenza qui c’è che il mio albergo è praticamente dall’altra parte del mondo rispetto al cantiere. Così mi sono trovata costretta a noleggiare un’auto. Anche se le strade sono davvero ben tenute, guidare alle 9 di sera con la pioggia battente fa comunque davvero schifo. Dal mio primo incidente ho però imparato che non bisogna mai guardare il cellulare mentre si guida, così sono totalmente concentrata su quello che sto facendo. Sistemo lo specchietto, metto la retromarcia, abbasso perfino la radio, anche se stanno suonano “mamma mia” e mi preparo a parcheggiare. Ok, forse riuscire a non canticchiare durante il ritornello è davvero impossibile, rialzo il volume della radio. Tanto il volume della radio non c’entra niente con la capacità di parcheggiare e poi è un parcheggio facile, devo solo entrare in retromarcia, fermandomi prima di andare a sbattere contro quel palo… in movimento…. Che si avvicina… Non è un palo! Non è un palo! Inchiodo. È un uomo. Oddio, non di nuovo. La cantante degli Abba mi fa eco gridando “here I go again”. Le ruote scivolano sull’asfalto bagnato. Scivolano poco. Pochissimo. Quel poco che basta a farmi fermare una manciata di centimetri prima del cortese gentiluomo. Che dimostra tutta la sua eleganza sbattendo il pugno contro il cofano della mia auto, in un gesto di rabbia. Ma che diavolo! Salto giù dall’auto all’istante, per controllare il danno. Insomma non che io pensi davvero che con un pugno si possa rovinare la carrozzeria di un’auto… E invece si può! Si può eccome! C’è un gigantesco bozzo nel cofano della mia auto. È un’auto a noleggio, non posso riportarla così. Faccio un respiro profondo. Ok, quel tizio ha reagito male, ma magari è solo perché si era spaventato, adesso si dimostrerà ragionevole se io mi dimostrerò ragionevole.
“Mi scusi… Cosa cazzo ha combinato? Pensa di potersene andare così? Ehy!”
È incredibile, lui non si gira nemmeno. Mi pianta lì, sotto la pioggia e senza dire niente, se ne va sotto al suo ombrello. Impreco ad alta voce, mentre gli corro dietro. Poi mi fermo. Ho lasciato l’auto aperta con le chiavi inserite e un parcheggio mezzo fatto, non proprio l’atteggiamento più responsabile del mondo. Così ringhiando torno indietro e finisco il parcheggio.
Fatto questo afferro la borsa, chiudo l’auto e mi fiondo nel ristorante dell’albergo. Avrei voluto mettermi dei vestiti asciutti prima di cenare, ma è tardi e sono piuttosto sicura di aver visto quel deficiente che mi ha ammaccato l’auto entrare qui. Lo individuo subito tra la folla di gente che si trova nel salone, è seduto ad un piccolo tavolo da solo, è alto, con i capelli biondi, gli occhi verdi e i lineamenti affilati, nonostante la pioggia battente è perfettamente in ordine e totalmente asciutto, deve avere un ombrello miracoloso. Al contra io nella mia foga non ho lasciato la giacca all’ingresso, così da poter sgocciolare per tutto il ristorante e mi sono lanciata verso il tavolo con le scarpe antinfortunistiche coperte di fango. Arrivata di fronte a lui mi siedo, anche se il tavolo è apparecchiato per una persona sola.
“Salve, si ricorda di me? Mi ha appena distrutto l’auto. Cosa intende fare?”
L’uomo alza lo sguardo dal menù, giusto il tempo di lanciarmi un’occhiata scocciata, poi con una mano richiama l’attenzione del cameriere che arriva rapidamente.
Sento il mio commensale dire qualcosa in quello che penso sia Norvegese, di tutta risposta il cameriere segna qualcosa sul suo taccuino e poi si volta a guardarmi, sembra imbarazzato. Io gli sorrido e ordino la cena. Ho cenato qui tutte e due le settimane e ho già prenotato per il prossimo mese, quindi non solo so perfettamente cosa c’è nel menù, ma so anche che non mi cacceranno. Il cameriere esita, ma per una volta le cose vanno come dovrebbero e dopo aver segnato la mia ordinazione corre a prendermi le posate e i bicchieri. Mi tolgo la giacca e la appendo dietro alla sedia, mentre il ragazzo che ci sta servendo dispone tutto davanti a me, poi nel più sgraziato possibile dei modi incrocio le braccia e mi appoggio al tavolo.
“Quindi, dicevamo?”
Si sta creando una piccola pozza d’acqua sotto ai miei piedi e noto che il pavimento deve essere leggermente in pendenza, perché un rivolo d’acqua cola fino ad incontrare le scarpe del mio commensale. Il tizio di fronte a me chiude il menù e lo consegna al cameriere, guardando la tovaglia bianca che ormai è bagnata con la bocca semi aperta. Quando ormai il cameriere ha voltato le spalle ed è scomparso il mio commensale fa una specie di risata trattenuta, poi si sistema sulla sedia, appoggia i gomiti sul tavolo e intreccia le dita. Anche se mi presenta un atteggiamento disinvolto i suoi occhi trasudano ira. Per prendere a pugni un’auto con tanta forza da rovinarla penso ci voglia una rabbia che supera nettamente quella che può creare la mia scortesia. Sicuramente ha altro per la testa, ma forse ritiene di potersi sfogare su di me.
“Ed esattamente cosa vorrebbe come risarcimento per avermi investito?” Il completo elegante e le mani curate mi fanno escludere che lui sia passato dal cantiere, eppure questo tizio ha davvero qualcosa di familiare.
“Quasi. Quasi investito” Gli rispondo acidamente. Nel sorriso con cui mi guarda, che prima sapeva solo di   superiorità e spocchia, adesso si è insinuata una goccia di puro fastidio, i suoi occhi pieni di rabbia, che prima sembravano attraversarmi, ora si fissano su di me. Probabilmente riteneva che non fossi in grado di dargli filo da torcere. Ommioddio, ora lo so a chi somiglia. Insomma, la sua faccia è totalmente diversa e lo è anche la sua altezza e il suo taglio di capelli, ma ha lo stesso sorriso che aveva Loki. Probabilmente la mia epifania deve essere trapelata dalla mia faccia perché l’uomo mi guarda in maniera confusa. Insomma non posso essere sicura che sia lui e se lo dicessi e mi sbagliassi sembrerei un’idiota anche perché ufficialmente mi è stato detto che Loki è morto, mi sono persino sentita triste per questo. Molto triste. Ho anche pianto. Parecchio. Inizio a balbettare. Non so bene come gestire la cosa. Dovrei provare a lavorarmelo. Ho visto la vedova nera all’opera e quindi posso replicare la cosa. Lei era melliflua e faceva un sacco di complimenti, certo, se lo facessi io sarei inopportuna, visto che sono sposata quindi serve una tattica simile, ma meno da gatta morta. Cerco di chiudere la sequenza infinita di espressioni strane che sto facendo, dissimulando il tutto con un sorriso e un’idea geniale.
“Per sdebitarti potresti iniziare con l’offrirmi la cena, Scott”
L’uomo non si scompone, ma il suo sorriso diventa improvvisamente gelido. Se la mia faccia non mi ha tradito, l’averlo chiamato in quel modo ha scoperto tutte le mie carte.
“Scott? Non conosco nessuno Scott.”
Lui mi guarda sempre più indispettito. Ormai mi è andata, quindi non ha senso provare a ritrattare.
“Io conoscevo uno Scott. Scott Fitzgerald. Era un tipo simpatico… un po’ stronzo, ma simpatico” Quello che da ora in poi chiamerò Scott, mi serve un’altra espressione a metà tra il sorpreso e il disarmato.
“Scott Fitzgerald, come il poeta?” Non riesco a resistere, mi viene da ridere, a sentirlo dire così sembro ancora più stupida, ma ormai sono passati anni, quindi ho avuto tempo per passare dall’imbarazzo all’autoironia.
“Già, che coincidenza… è la prima notte che passi qui? Non ti avevo mai visto” Provo ad incalzarlo, ma lui non si scompone minimamente.
“Direi che è l’ultima, sai com’è… mi piace la tranquillità” Sta tagliando ogni possibile conversazione, dimostrandomi il suo disprezzo, è ovvio che stia insinuando che sia io la disturbatrice, il che significava che ho fallito con la mia tattica per lisciarlo. Mi serve un piano B, ma non riesco proprio ad idearne nessuno. Non sono in grado di manipolarlo facendolo cadere in una trappola e di certo dal momento che mi ha vista ha iniziato a filtrare ogni parola. Sempre ammesso che sia lui, cosa di cui inizio a dubitare.
“Bhé, sei nella nazione giusta, qui non succede quasi mai nulla… A parte il mio cantiere. Sto costruendo un edificio fantastico”
Scott tende le labbra, poi con insofferenza soffia un grugnito disinteressato. Come un gemito di agonia. Se pensa che la sua sofferenza mi fermerà si sbaglia, ho capito che non otterrò niente, lui mi ha rovinato l’auto, quindi merita di soffrire e io adoro parlare dei miei cantieri, quindi penso che farò questo per il resto della cena.
“Sto progettando un nuovo centro di ricerca. È uno dei primi della Stark industries all’estero e questa volta non è un grattacielo, è una struttura complessa. Sono 5 padiglioni che lavorano in simbiosi. Sono stati ideati per costituire tre livelli diversi di privaci. In questo modo mentre alcune sedi sono totalmente riservate alla ricerca alcuni spazi sono pensati per essere posti a disposizione della città, ad esempio…” Tiro fuori il cellulare e metto sotto agli occhi di Scott la foto della pianta. Contro ogni mia aspettativa, lui allunga lo sguardo “Questo spazio esterno filtra nel padiglione 3 che diventa…”
“Sono in mattoni.” Sembra sorpreso. È inaudito. “Non sono in mattoni, sono in laterizio. Non siamo a New York, mica si progetta tutto in ferro e vetro. L’architettura deve avere relazioni con il luogo.” Lui alza il sopracciglio.
“Non dovrebbero essere in legno allora” Faccio una pausa. Questa conversazione sta prendendo una piega inaspettata. Se sta cercando di vendicarsi facendomi innervosire con osservazioni insensate ha beccato il nervo giusto.
“In legno? Non siamo in mezzo al bosco, siamo in città! Hai fatto un giro qui attorno?” La mia indignazione estorce al mio commensale una risata. Forse trova assurdo che io me la stia prendendo tanto per una cosa simile, ma per me questo è un argomento importante.
“In effetto forse ci sono stato troppo poco” Non mi aspettavo una frase comprensiva. Credevo che stesse cercando di litigare, ma ora non so più che intenzioni abbia.
“Scherzi? Dovresti fare un bel giro! Anche se siamo ai confini del mondo è una bella città, ma forse facendo escursione hai visto posti ancora più belli.” Mi prende una sottile nota di invidia, qui la natura è qualcosa di immenso e bellissimo, per una volta varrebbe davvero la pena di allontanarsi dalla città. Vorrei aver avuto il tempo per fare un bel giro, ma il lavoro mi prende completamente.
Il cameriere arriva in quel momento, portando con sé i piatti. Tra di noi cala nuovamente il silenzio. Per qualche minuto ceniamo senza dire niente. Poi improvvisamente mi viene in mente una cosa e non riesco a tenermela per me.
“Tu perché pernotti qui?” Se è chi penso che sia potrebbe fare avanti indietro, pernottare in un hotel non è per niente una cosa da master pianificatore, a meno che non stesse puntando ad incontrare non-poi-così-casualmente me. Lui si versa un bicchiere di vino e sorprendentemente risponde senza pensare.
“Avevo bisogno di una pausa” Sembra una risposta sincera. Non mi fido delle risposte sincere, non quando vengono da lui, ma ora che lo guardo meglio sembra stanco. Quella di sembrare vulnerabile è una tattica che con me ha funzionato fin troppo bene, quindi non mi dovrei fidare. Non mi dovrei fidare di questo tizio che non so se è il tizio che penso che sia. Dannazione, sono fin troppo confusa. Non so cosa sto facendo, non so con chi lo sto facendo e non so nemmeno perché. Direi che è il momento di finirla e iniziare a godermi la cena.
“È un bel posto per una pausa. Sia l’hotel che tutta la Norvegia voglio dire… oh e… cucinano davvero bene”
Lui fa un sorrisetto superbo, poi con noncuranza dà un colpetto con la forchetta al contenuto del suo piatto e con distacco alza il viso verso di me.
“Mediocre” Mi viene da ridere. Non ho idea di quali siano almeno metà degli ingredienti di quel piatto, ma so di per certo che è ottimo. Certo non è come mangiare in un ristorante stellato o a casa di mia madre, ma è comunque molto meglio di tutto ciò che ho mangiato a New York. Sorprendentemente dopo questo scambio non cala il silenzio, è Scott a continuare la conversazione, mi dice che al contrario questo paese non è mediocre, mi racconta della Norvegia e di alcuni dei posti che preferisce. Mentre parla, la sua voce trasuda un amore e una passione per questo posto che forse sono paragonabili a quelli che provo io per l’architettura. Al contrario mio però, lui sembra anche un po’ nostalgico. Scopro che è appena arrivato e che se ne andrà domani, ma conosce bene questo paese perché veniva spesso in viaggio qui da ragazzo, con la sua famiglia. Anche se mi rendo conto che cita solo mete molto turistiche, finisco persino per prendere qualche appunto. Più parla, più il suo umore migliora. Credo che in fin dei conti volesse sfogarsi e che questa conversazione gliene abbia dato la possibilità. Stiamo mangiando il dolce e mi sta parlando delle isole Lofoten quando dico qualcosa che lo spiazza.
“Mi piacerebbe andarci, ma penso che aspetterò un paio di anni, vorrei che mia figlia si ricordasse l’aurora boreale” La sua faccia rigida mi confonde, è stato lui il primo a nominare la famiglia, quindi non penso di essere stata inopportuna. “Ha solo 3 anni, a quest’età ricordano davvero pochissimo” Cerco di spiegarmi ma lui sembra ancora rigido.
“Hai una figlia” Finisce per dire lui, come per sottolineare quella nozione che fino ad allora aveva perso. Se pensava che ci stessi provando deve aver preso un abbaglio bello grosso.
“Certo che ho una figlia. Sono una mamma e una moglie oltre che un ottimo architetto” Alzo la mano sinistra, mettendo in mostra la piccola fede d’oro. “è una bambina bellissima ed è già molto sveglia” Non voglio essere il tipo di madre che si vanta dei suoi figli, quindi non gli dirò che la mia pulcina parla già discretamente bene, si sa vestire da sola e fa amicizia con tutti. Lui appoggia la forchetta al piattino, muove leggermente le spalle, come per sistemarsi e poi mi risponde.
“È una cosa molto bella. Deve essere difficile lavorare così lontano e per così tanto tempo”
Non sembra, ma è una frecciatina. Alzo lo sguardo dalla mia cena e mi preparo ad affrontarlo. Quando incrocio i suoi occhi capisco che non era una frecciata, non per quello che pensavo io. È peggio. Ci sta provando. In un momento perdo tutta la mia sicurezza e finisco per balbettare goffamente qualche sillaba prima di rispondere.
“Io adoro il mio lavoro, ma adoro di più la mia famiglia” Il suo sorriso si piega leggermente, sta per chiedermi perché sono così lontana da casa se amo più la mia famiglia del mio lavoro. “Anche se non sono presente 24 ore su 24, 7 giorni su 7, non muore nessuno.” Oddio così sembra che non me ne freghi niente “Cioè mi mancano molto certo, ma è anche importante che io porti avanti il mio lavoro” Oddio se ora gli lascio aprire la bocca mi riporterà all’inizio della conversazione. “Insomma io e mio marito pensiamo che sia un bene per nostra figlia vedere che sua madre è appagata dal suo lavoro e lo fa con passione” Ora c’è il rischio che sembri che tutto questo è un’idea di Davide e che io lo faccio solo per obbedienza. “Posso fare entrambe le cose, insomma posso seguire il mio lavoro ed essere presente in famiglia” La mia voce trema un po’, perché è chiaro che io sono terrorizzata dall’idea di non essere una madre presente. Come cavolo ho fatto ad arrivare fin qui senza che lui abbia aperto bocca nemmeno una volta? La sorpresa si deve leggere sul mio viso perché lui si mette a ridere.
“Con la famiglia è sempre complicato” è lui a dirlo, ma non posso che dargli ragione. L’ultima volta che io e Loki ci siamo incontrati lui mi era sembrato così solo, adesso invece parla di quanto sia complicata la famiglia. Mi sembra un progresso, anche se piccolo e non so nemmeno perché, ma questa cosa mi rende felice, più di quanto possa spiegare. Dovrei andarci piano, ma le parole mi sfuggono dalle labbra.
“È per questo che sei qui: Visita ai parenti?” Lo dico con un tono sorpreso e pieno di speranza. Lui fa un sorriso sicuro. Uno di quelli che fa chi è appena stato beccato, ma pensa comunque di riuscire a cavarsela. Si sta mettendo sulla difensiva e non capisco perché, è una cosa splendida, a meno che non lo sia. A meno che non sia una cosa Top Secret. Tipo un intrigo segreto per esiliare suo fratello. No, il signor Stark mi ha parlato di Thor e ha detto che è in giro per i mondi felice come una pasqua a fare l’eroe, che poi è quello che ha sempre voluto fare, quindi non è un intrigo quello di mandarlo in giro, ma un premio. Quindi se non è venuto a trovare Thor chi è venuto a trovare? Che io sappia l’unico altro membro della sua famiglia è il padre. Quindi l’intrigo deve riguardare lui, una cosa come esiliarlo e prendere il suo posto.
“Sì, era un impegno di famiglia” Silenzio. No, è impossibile che sia un intrigo. Come avrebbero fatto a non accorgersi che non hanno più un re? Sarebbe una cosa troppo assurda. Decisamente non è lui.
“Ed è andata bene?” Lui riprende la forchetta e torna a concentrarsi sul suo dolce. Poi si ferma e mi rilancia indietro la battuta.
“È complicato” Mi sorride e io ricambio. Non sembra felice, ma non sembra nemmeno triste come lo ricordavo. Forse perché ora so che non è lui, ma vorrei che fosse lui. Vorrei che fosse in procinto di sistemare ogni cosa. Vorrei che fosse ad un passo dal fare la cosa giusta e vorrei essere io a dargli la piccola spinta che gli serve per far andare bene le cose. Ma lui non c’è più e io non potrò dirgli addio oggi, come non ho potuto farlo sotto alla torre dei vendicatori. Non ha senso far finta che le cose siano diverse da come sono, ma questo non mi impedisce di usare questo piccolo dubbio che mi attanaglia il cervello per finire la serata bene e mettere una croce sul mio lutto.
“Insomma… la famiglia è sempre la famiglia, difficilmente si smette davvero di amarla. Mi dispiace che sia complicato, per fortuna c’è tempo per far diventare le cose semplici.” Lui si mette a ridere. Non ci crede per niente. Io continuo facendo una voce buffa, un po’ esagerata.
“Basta andare e dire una cosa tipo: ti voglio ancora super bene, facciamo super pace.” Ridiamo.
“Ha davvero mai funzionato?” lo vedo dare l’ultima forchettata e prendere l’ultimo sorso di vino.
“Certo. Con mia figlia.”
“Perché ha tre anni” Apro le braccia, per dimostrare che non fa differenza e nuovamente ci mettiamo a ridere. Scott scosta la sedia, facendomi intendere che anche se ho ancora metà dolce, la cena è finita. Lo vedo fare qualche passo verso l’uscita, prima che scompaia però lo fermo.
“Ricorda di pagarmi la cena, mi hai comunque ammaccato l’auto.” Lui risponde senza nemmeno voltarsi.
“Non mi importa di quell’aggeggio, ma le cose che hai detto mi hanno colpito, quindi mi comporterò con onore. Buonanotte Francesca.”
Non posso fare a meno di scuotere la testa. Che frase da spaccone. Come se volesse dire qualcosa poi, non mi sembra proprio di aver detto niente di particolarmente arguto sta sera e quanto all’agire con onore… Bhè, sono stanca, è tardi e non ho intenzione di corrergli dietro per assicurarmi che lo faccia davvero, quindi lo lascio andare. Lo vedo pagare il conto e andare verso l’uscita. Ero convinta che fosse intenzionato a pernottare qui, invece lui esce. Aveva un ombrello quando è arrivato, ma deve averlo dimenticato. Credo che domani andrò a recuperarlo, io non ho l’ombrello e sono certa che il suo mi saprebbe riparare bene. Una fitta di tristezza mi prende, alla fine non gli ho detto addio, ma forse non ce n’era bisogno, questo saluto ha già il sapore di un addio. Sono distante e fuori è buio, ma per un momento, prima che scompaia, lo vedo camminare con la schiena dritta sotto la pioggia ed è bellissimo.

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