Distance: doesn't matter.

di Blue Eich
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Addio, Orocea ***
Capitolo 2: *** Esordio del Diavolo Rosso ***
Capitolo 3: *** La vita è bella! ***
Capitolo 4: *** Battaglia segreta ***
Capitolo 5: *** Prima lezione di Pratica ***
Capitolo 6: *** Non mi piace arte ***
Capitolo 7: *** Gioco di squadra ***
Capitolo 8: *** Di tinte e spazzole rubate ***
Capitolo 9: *** Ogni scusa è buona ***
Capitolo 10: *** La festa d'inizio anno ***
Capitolo 11: *** Così tanto, così poco ***
Capitolo 12: *** Rivalità musicale ***
Capitolo 13: *** Affetto che non sfuma ***
Capitolo 14: *** Paranormal peluche ***
Capitolo 15: *** Alla stanchezza non si comanda! ***
Capitolo 16: *** Giustificazioni per tutti! ***
Capitolo 17: *** Tema a sorpresa ***
Capitolo 18: *** Bisogna crederci ***
Capitolo 19: *** Libertà di movimento ***
Capitolo 20: *** Un mese in un lampo ***
Capitolo 21: *** Via per l'Inferno: proseguire dritto fino in 1^A ***
Capitolo 22: *** Normalità, eccoti qua ***
Capitolo 23: *** Sweet, sweet ovunque ***
Capitolo 24: *** Giovani spacciatori colpiscono ancora ***
Capitolo 25: *** Parole che feriscono ***
Capitolo 26: *** Animo da cavaliere ***
Capitolo 27: *** Senza rimpianti ***
Capitolo 28: *** Chi sarà il prescelto? ***
Capitolo 29: *** Regina delle lotte ***
Capitolo 30: *** Indigestione rosa ***
Capitolo 31: *** Basta un click ***
Capitolo 32: *** Let's go ***
Capitolo 33: *** Ti prego ***
Capitolo 34: *** Meglio prima che mai ***



Capitolo 1
*** Addio, Orocea ***


Distance: doesn't matter.

1. Addio, Orocea

 

Hello, friends! Mi chiamo Siena Kiku, ho tredici anni e due sogni nel cassetto.

La mia vita cambiò radicalmente quando papà decise d'iscrivermi all'accademia migliore di Ferrugipoli: la Formation Ability Academy. Non perché pensava al mio futuro, ma come punizione. Mi aspettavo un collegio – senza suore – dallo stile di vita meccanico e gli studenti seriosi, invece sbagliavo…

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Da fuori sentivo lo sciabordio delle onde che mi cullava sempre la sera e le risa dei bambini del mio villaggio, già svegli, che si rincorrevano a piedi scalzi sulla riva umida. Respirai per l'ultima volta il sapore di sale sulla punta della lingua e il forte odore di spighe di paglia che mi entrò prepotente nelle narici.

Dopodiché mi vestii. Un po' meglio del solito, perché stavo andando in città e non volevo far brutta figura: pullover senza maniche, mantellina, pantaloncini di jeans e scarpe di tela.

Mi sedetti sul lettino a due piazze e diedi una passata veloce ai miei capelli biondo grano, legandoli come sempre in una pratica coda di Ponyta. Ero così abituata a quell'acconciatura che a momenti mi dimenticavo di scioglierla persino quando andavo a dormire.

D'un tratto, il mio Shinx fece sobbalzare il materasso e usò tutta la forza dei suoi dentini per tirare verso di sé la cerniera del mio borsone di danza, così gonfio che non voleva chiudersi.

Nel frattempo corsi in cucina e aprii le ante della dispensa, sprigionando all'istante nell'aria l'odor di pancarré, succo di Baccaperina e marmellata di Baccakiwi di cui era intrisa. Presi al volo una brioche e tornai in camera: non avevo più molto tempo.

 

Al largo, il mare di Hoenn luccicava alla luce del sole di un profondo arancio; l'inizio del giorno che avrebbe cambiato la mia vita. L'acqua s'increspava placida sotto il battello, che la tagliava come burro, possente. La sabbia sembrava scottare anche solo guardandola e gli Wingull planavano tra le nuvole sfumate di rosa. Le palme cariche di Baccabane si allontanavano sempre di più, fino a diventare pali indeterminati sulla linea d'orizzonte.

Avrei dovuto opporre più resistenza…” Sospirai, rilassando i muscoli contro lo schienale del sedile. Lasciai che la musica, attraverso le cuffiette a forma di bignè, mi distraesse da qualsiasi pensiero.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

L'aria a Ferrugipoli sapeva di benzina, non di frutta tropicale e vento salmastro. C'era il doppio della gente che a Orocea, perciò per strada non si salutava nessuno, troppo occupati a non tardare al lavoro o svolgere commissioni in fretta.

Trovammo senza difficoltà la scuola, poco più in là del Centro Pokémon.

Le ante del cancello erano aperte, recintate lateralmente da due muretti di mattoni. Alzando lo sguardo, si vedeva un'asta appesa a un terrazzino, dalla quale sventolava una bandiera ai comandi del vento. Il cortile proseguiva da entrambe le parti, estendendosi fin sul retro.

Notai innanzitutto una fontana di marmo, con attorni tantissimi ragazzi. Chi con una sigaretta in bocca, chi attaccato al telefonino o chi semplicemente rideva con gli amici.

Uno dei miei timori più grandi era la divisa, ma constatai con sollievo di non essere l'unica a non averla ancora indosso. Dei pantaloncini invece mi vergognai un po'… Solo io li portavo, perciò mi sentii il Mareep nero del gregge, una stupida estranea del posto. D'altronde però c'era anche chi indossava giacconi imbottiti o cappelli di paglia… Senz'altro più decorosi, ma anche un po' buffi.

La maggior parte dei giovani parlavano e scherzavano tra di loro, mentre piccoli Pokémon scorrazzavano tra la folla, o sbattevano le grandi ali, o emettevano scintille dalle guance o battevano le pinne. Avevo un nodo alla gola dall'emozione di vedere tutte quelle novità per la prima volta.

All'improvviso, venni risvegliata da un trillo, così forte che sovrastò ogni rumore. Ci fu silenzio per mezzo secondo, che servì a tutti a metabolizzare il vero significato di quel suono stridulo come un Murkrow. Poi partirono imprecazioni di ogni tipo, creando un caotico coro di insulti misti a sbuffi esasperati.

Fu allora, per merito della zampina insistente di Shinx, che mi ricordai del croissant. O ora o mai più – ecco ciò che cercava di dirmi. Lo tirai fuori dalla tasca, inghiottendolo più veloce che potevo e rischiando di mandarlo per traverso.

Tossicchiai, battendo una mano sul petto e poi passandomi il braccio sulla bocca per pulirla. «A-Andiamo.»

«Sheen!» La lince elettrica usò un'abile mossa della coda per balzare sulla mia spalla. Presi un bel respiro, come se stessi per immergermi sott'acqua. Effettivamente era un'immersione, un'immersione in un mare di persone che ti spintonano e ti schiacciano come uno Stunfisk.

 

 

Il piano terra dava su una larga rampa di scale, con la ringhiera solo a sinistra. In quella direzione, sul muro accanto all'ingresso, vidi una griglia con scritto in alto bacheca con dei ritagli colorati. C'era qualsiasi cosa lì: volantini pubblicitari, post-it anonimi e vecchi avvisi di scuola.

I più grandi si riconoscevano subito, perché erano perfettamente a loro agio. Poi c'era chi, me ad esempio, camminava a passi paralitici in stile Ducklett ubriaco e permetteva agli altri di spintonarlo come una palla da rugby.

Per fortuna fui tra i primi a notare una donna in mezzo al caos. Aveva la pelle pallida e i capelli scuri come l'inchiostro, lisci di piastra. «Le prime con me!» cercava di gridare, con la sua voce soffocata.

Più volte mi urtarono – manco fossi delle dimensioni di un Joltik! – ma riuscii ad accodarmi a lei.

 

Ci volle mezz'ora purché le altre classi sparissero al piano superiore, ognuna con un professore diverso.

«Allora, controllate i tabelloni. Memorizzate il numero della vostra camera e andate in aula magna» fu l'ordine della nostra momentanea tutrice.

A lato della griglia di prima c'era un cartellone, dov'erano segnati una novantina di nomi in ordine alfabetico.

Mi sporsi sulle punte, inutilmente. «Moni, tu riesci a vedere qualcosa?»

«Sheen.» Il felino, arrampicato sulla mia testa, si mise di vedetta come fosse in procinto di sferrare un agguato. Che sciocca a chiederglielo: lui mica sapeva leggere. Facendomi largo, identificai il mio nome a metà della seconda colonna.

«”Siena Kiku – Camera 248”…» ripetei sottovoce, un paio di volte.

Abbandonai la borsa sulla torre formata dalla altre, sperando di ritrovarla in seguito. Poi, con il mio zaino bianco in spalla, seguii la calca.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Nel secondo piano passai in mezzo a due stanze chiuse della quale ignoravo la funzione, poi quella che mi sembrò essere la mensa.

Infine, eccola: l'aula magna. Le poltroncine erano state ripiegate in fondo, una sopra l'altra. Al loro posto, in pendenza, c'erano solo banchi distanziati all'incirca di due spanne. Sul palco una cattedra, a cui la mora dall'aspetto cadaverico batteva una stilografica, impaziente.

Il primo posto libero che individuai fu accanto alla scalinata. Poco distante c'era una ragazza che stava svogliatamente osservando le proprie unghie smaltate di nero, con i suoi occhi smeraldini evidenziati da sicure linee di matita. Mi parve di un certo fascino, con quella chioma cotonata come le ali di un Altaria.

Picchiettai un dito sul suo banco, per attirare la sua attenzione. «Hello!»

Alzò lo sguardo e dapprima sembrò sorpresa, quasi incuriosita dalla mia persona. «Ciao!»

«Ti dà fastidio se mi siedo qua?»

«No no, fa' pure.»

D'altronde non avrebbe potuto rifiutare, o avrebbe fatto la figura della maleducata. Mi sedetti e Moni si posizionò sotto al mio banco, sembrando un cucciolo di leoncino che si riposa dopo una battuta di caccia.

«Come ti chiami?» chiesi poi, frettolosa, nella speranza di rompere il ghiaccio.

La ragazza accavallò le gambe prima di rispondermi, dandomi l'impressione di una tipa orgogliosa e determinata. «Naomy! Tu?»

«Siena.» Accennai un sorriso. «Dovrebbero distribuirci le invalsi… Sarà che il primo giorno c'è trambusto» dissi, sempre per conversare un po'.

«Magari non sono ancora arrivati tutti, ci sono dei posti vuoti al centro» dedusse lei, con un cenno del capo.

«Plala plala plà!» Un topolino dalle guancette di un acceso rosso e la coda a forma di più apparì con esibizionismo sul banco della ragazza, saltandole in braccio.

«Uh, che carino! È tuo, questo Plusle?»

«Sì, me l'ha regalato mio padre quand'ero bambina» riassunse, mentre il mostriciattolo sgusciava svelto sulle sue spalle. «È un pericolo pubblico» sostenne, con un sospiro.

«Lo vedo. Io, invece, ti presento Moni!»

Il mio Shinx si avvicinò alla nostra nuova conoscenza, strusciando il musetto contro i suoi leggins color rosa antico a tre quarti. Anche lei finalmente sorrise, solleticandolo sotto al mento.

 

La stessa professoressa dei tabelloni rientrò, dopo essere uscita per qualche minuto. L'eco dei suoi tacchi rimbombò anche sulla moquette pungente.

«Salve, ragazzi. Io sono Koraline Lightness. In qualunque sezione capiterete sarò io la vostra insegnante di lingue straniere» annunciò, mentre lisciava la copertina di un catalogo scolastico, ancora nuovo di fabbrica. «Iniziamo l'appello, poi vi consegno i test…»

C'era silenzio, tranne qualche matita che ticchettava o della carta che veniva appallottolata.

«BUONGIORNO, MONDO!» La porta dell'aula magna si spalancò violentemente, assieme alle braccia snelle di una ragazza. Una ragazza con un grazioso nasino alla francese e la capigliatura rosa vivo che arrivava appena alle spalle, con una meches viola dietro all'orecchio. Quando vidi un Chikorita dallo sguardo fiero che le zampettava al seguito, non ebbi davvero più dubbi.

Mi sfuggì un «oh my God…» dalle labbra. Mi aspettavo di incontrarla presto, ma non in quel modo.

La Lightness non alzò nemmeno lo sguardo: l'aveva riconosciuta solo dalla voce. «Vogliamo inaugurare il registro anche quest'anno, Kiku? Sarai intenzionata a riempire lo spazio sotto le note comportamentali già di prima mattina, immagino.»

«Ovvio, lo considero un onore» ribatté – spero sarcasticamente – lei, sbattendo i suoi occhioni azzurri dalle mille conquiste. L'avevo sempre considerata bellissima, fin da quando eravamo piccole, invidiandola in segreto.

«Ti aggiudichi il record: un richiamo dopo neanche un minuto dall'inizio della prima ora del primo giorno. Diario.»

«Le voglio bene anch'io, prof!»

«E quella schizofrenica chi è?» mi bisbigliò allibita Naomy, girandosi verso di me.

Lasciai trascorrere qualche istante di silenzio, assaporando l'imbarazzo. «… Mia cugina.» Presi un grosso respiro. «Di primo grado.»

La blu si ammutolì. «… Incantata.»

Ridacchiai, riflettendo su chi delle due avesse fatto la figuraccia più clamorosa.

Il soggetto della conversazione agitò la mano verso di me, andando al proprio posto, sul fondo. Poi batté il cinque a un ragazzo, il cui volto s'illuminò di un sorriso radioso al vederla, segno che forse la attendeva con ansia.

 

 

 

Angolo Autrice
Hola!
So di avere già tante long in corso, ma questa ci tenevo a pubblicarla per la semplice ragione che in realtà i personaggi non sono tutti inventati da me!
Siena è la mia OC, Micaela è l'OC di SweetMiky, Naomy è l'OC di NaoBons.
Gli altri OC, che appariranno nei prossimi capitoli, nell'angolo autrice verrà rivelato di chi sono. Le iscrizioni sono private (e ormai chiuse): gli OC li ho scelti io personalmente, niente selezioni.
“Distance: doesn't matter.” Sicuramente vi chiederete il perché di un titolo simile... Beh, lo scoprirete alla fine della storia :3
Alla prossima!
-H.H.-

 

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Capitolo 2
*** Esordio del Diavolo Rosso ***


Distance: doesn't matter.

2. Esordio del Diavolo Rosso

 

Alla quarta ora ci chiamarono uno a uno nelle rispettive classi. Io ero in prima A, sia con Naomy che con Miky. Non potevo sbagliarmi: pian terreno, ultima aula, vicino alle scale antincendio.

C'erano banchi uniti per due e panchine, tre pancate da tre file. Un pilastro di pietra partiva dal centro estendendosi sul soffitto in entrambe le direzioni. Le finestre scorrevoli erano dietro la cattedra, perciò avevamo vista sul cortile principale.

Mia cugina si sistemò nella pancata della porta, a sinistra in seconda fila, accanto a un brunetto più alto degli altri. Io invece seguii Naomy, a destra nella pancata della lavagna, sempre nella fila secondaria.

In quel lasso di tempo, non tutti i Pokémon restarono al fianco dei proprietari.

A men che non fosse una mia allucinazione, ero certa di vedere una Misdreavus smaterializzarsi a suo piacimento da una parte all'altra, mentre un Houndour e un Tepig si ringhiavano sottovoce a vicenda. Moni sonnecchiava sulle mie cosce e Plusle zigzagava ovunque, ricevendo continui ammonimenti dalla padrona in nervosi borbottii.

Tutto ciò, però, non durò a lungo.

Non appena la porta si aprì iniziai a provare più freddo di prima, al punto che dovetti sfregarmi le braccia e poggiarle sul ventre caldo della mia lince elettrica.

Avevo la sensazione che la colpa non fosse degli spifferi di corridoio, ma della donna stessa che entrò. Capelli rosso scuro, lunghi fino a metà schiena, ogni ciocca che terminava in un boccolo soffice soffice. Labbra e unghie tinte di un rossetto e uno smalto vivido, come sangue fresco. «Buongiorno, ragazzi» esordì, puntandoci addosso i suoi occhi felini.

Tutti si alzarono per ricambiare il rigido saluto. Se il primo professore era così, non mi restava che sperare in bene per gli altri, altrimenti l'anno sarebbe stato terribile.

L'insegnante si sedette, accavallando le gambe. Squadrò Miky, il suo vicino alto e il biondo dietro alla sottoscritta. Era impossibile non accorgersi di quando fissava qualcuno in particolare, perché si avvertiva l'ansia addosso. Ma, contrariamente alle mie aspettative, proruppe in un riso sguaiato. «Ah, allora è proprio vero ciò che dicono sul mio conto! Sono come il Diavolo e, finché non ottengo ciò che voglio, è impossibile liberarsi di me!»

«Questa prof mi fa paura…» sussurrai. «Sembra una strega…»

Naomy arricciò il naso. «Già, ha un che di inquietante.»

«Sorvolando futili osservazioni… Avete di fronte a voi Evangeline Michaelis.» L'adulta ci diede le spalle. Rigirandosi di scatto proseguì, con voce afona: «Il vostro eterno incubo peggiore!» Un'altra folata di vento gelido portò brividi alla classe. «O, semplicemente, colei che vi farà da insegnante d'italiano per i prossimi cinque anni.»

«Che felicità…» borbottai, con una mano sulla guancia.

«Ssh, la vipera ti sente!»

Eh già, purtroppo quel commento non sfuggì all'udito fine della donna: «Sii l'erede di tua cugina, cara Siena, e la scuola risplenderà, talmente tante volte che l'avrai ripulita. Intese?~» raccomandò, schietta e con un sorrisino così tirato che mi chiesi se non avesse male alla mascella.

Non risposi, stranita dal fatto che sapesse già il mio nome, senza nemmeno aver aperto una volta il registro. Questo era inquietante, eccome!

 

All'ultima ora conoscemmo Joseph Hunt, il professore di scienze. Non appena entrò, si lisciò la barba prospera sulle gote, sedendosi alla cattedra e posando il suo bastone di legno sotto alla sedia.

Volle subito fare l'appello per conoscerci e si giustificò di essere lungimirante e di aver dimenticato gli occhiali in macchina, quel giorno. Il clima che si creò poco dopo era di grosse risa, perché non azzeccava neanche un nome.

Entro poco arrivò a me. «Serena Kiku.»

«Mi chiamo Siena!» mugugnai d'istinto, a voce fin troppo alta.

Il biondino dietro di me gracchiò la stessa frase per prendermi in giro e gli altri nelle vicinanze esplosero in un sadico ridacchiare. Arrossi e serrai le labbra, un po' umiliata.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Miky insistette affinché mi mettessi vicino a lei, in mensa. Dovevamo parlare forte, sennò le nostre voci venivano coperte dal caos. Le tovaglie usa e getta in più punti erano già strappate, oppure sciolte grazie all'acqua accidentalmente rovesciatavi sopra. Nell'aria aleggiava un odore di spezie e detersivo di bassa qualità.

«Allora, cuginetta cara!» La rosa masticò una forchettata di pasta al pesto, per poi parlare a bocca piena: «Ho un paio di cose da dirti.»

«Spara!»

«Uno: la Michaelis fa così ogni anno per spaventare i nuovi arrivati, non è un demone.» Fece una smorfia dubbiosa. «O almeno, credo.»

«Wonderful» commentai, distrattamente. Nell'ascoltarla, formavo delle circonferenze con la forchetta attorno alla macchia d'olio sul fondo del piatto.

«Due: il signor Hunt ha davvero problemi di vista per via di un vecchio incidente, ma i nomi ogni tanto li cambia per farci ridere.»

Annuii, chiedendomi di che tipo di incidente potesse trattarsi, ma avevo l'impressione che nemmeno lei ne sapesse molto a riguardo.

«Ma non lo finisci?» mi chiese con innocenza, mentre con una mano impugnava ancora la posata su cui infilzò due nuove penne.

Le spinsi davanti il mio pasto, quasi intoccato. Freddo com'era, ormai non ispirava più il mio appetito. «No, non mi va.»

Mia cugina mi guardò con un misto di rimprovero e comprensione. «Okay… Però devi mangiare qualcosa anche tu, sennò mi svieni in classe!»

 

 

Nello scendere le scale per il piano terra agguantavo un braccio di Naomy, così da non perderla tra la gente più grande che andava e veniva, senza curarsi minimamente di noi. Non si fermavano neanche se cercavamo di chiedere informazioni: del tutto invisibili. I loro Pokémon invece ci osservavano come fossimo alieni, con il risultato di un Moni imbronciato sulla mia spalla che teneva testa a quegli sguardi. Il prezzo di essere matricole, forse?

Ci sentivamo dei Magikarp fuor d'acqua, anche se avevo la vaga sensazione di essere io quella più in ansia.

Per fortuna passò poco e mia cugina spuntò in mezzo a noi, esuberante come sempre. «Tu sei nel secondo corridoio sulla sinistra e anche la tua amica!»

«Grazie! E tu, da che parte sei?»

«Ultimo corridoio, ultima camera: 666… La camera dei party notturni!» rivelò con un sorriso effervescente, pieno di brio. Era sempre stata simpatica, ma la vedevo… Diversa. Due anni prima era decisamente più calma e perbene. «Au revoir!~» Canticchiando con allegria, si fece gentilmente spazio tra tutti fino a sparire, seguita dal suo Chikorita trotterellante.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Spalancai la porta della 248. Il letto a castello si trovava al centro, contro al muro, con i cuscini ancora negli involucri plastificati. L'armadio di legno, a sinistra, aveva una chiave color oro nella serratura. Ce n'era uno uguale accanto, perciò immaginai di averne a disposizione uno tutto per me. Una scrivania occupava il vuoto dall'altra parte, perciò mollai lì vicino la valigia.

«Qua ci vorrebbe un po' di colore…»

«Shen, shen!» Moni diede una codata al pavimento color cachi e al suo agile balzo uno dei due comodini con l'abat-jour traballò. Appoggiando le zampette sulla rete che separava i materassi, salì sul più alto.

Affondai la scarpetta in quello sotto e tenendomi alla sbarra riuscii a salire anch'io. Con un sospiro ricco d'emozione mi stesi, chiusi gli occhi e aprii gli arti. Mi sentivo pronta a lanciarmi da una liana o fare bungee-jumping dalle Alture Vertigine…

Proprio allora, udii un fruscio di tessuti che venivano sfregati e le ante del secondo armadio si aprirono con un colpo di gomito. Intravidi un viso. Apparteneva a un'adolescente dagli ondulati capelli chiari, così come gli occhi, che sembravano diamanti: duri e freddi, di un finissimo azzurro.

«Oh, ciao! Scusami, non ti avevo vista» esordii, felice di avere compagnia. Mi sedetti a gambe incrociate per squadrarla meglio, premendo le dita sul morbido. «Saremo coinquiline, a quanto pare… Senti, potrei dormire sopra? Per favore, ci tengo tanto!»

Alla mia supplica un po' infantile lei annuì meccanicamente. Non sembrava molto interessata a me, giacché continuava a sistemare biancheria nel primo ripiano, attenta che non si spiegazzasse nemmeno un angolo.

«Grazie! Comunque piacere, io sono Siena Kiku e vado in prima A. Tu?» domandai, amichevolmente.

«Seconda D. Mi chiamo Leila Blues e vengo…» affievolì il tono. «Da Johto.»

La mia bocca si spalancò innocentemente per lo stupore, mentre la bionda proseguiva imperturbabile a svuotare la sua valigia.

«Uh, davvero una bella regione!» esclamai, saltando giù. Anche Shinx spiccò un balzo e me lo ritrovai in testa, con artigli stretti alla mia chioma color spiga di grano. «Sai, una volta sono stata ad Olivinopoli… L'oceano, lì, è profondo e salmastro, sempre mosso dal vento.»

Fu così che catturai la sua attenzione per la prima volta, da come alzò il capo per fissarmi, con calcolata lentezza. Intanto, il felino prese lo slancio per lanciarsi sul letto inferiore, scompigliandomi la chioma.

Cercai di aggiustarla alla bell'e meglio usando le dita come setole, per poi proseguire il mio discorso. «Da me, invece, è molto salato. C'è sempre la bassa marea…»

La vidi assorta nelle mie parole, mentre si sedeva.

«Ah, mi riferisco ad Orocea: la città azzurra che più azzurra di così non si può!» terminai, allargando le braccia per enfatizzare il concetto.

Con una naturalezza e pacatezza che mi stupì, Leila prese a dare lievi carezze dietro alle orecchie di Moni, che si lasciò andare a delle fragorose fusa. «Io sono… Di Borgo Foglianova.»

Okay, socializzare si prospettava un'impresa ardua.

 

 

 

Angolo Autrice
Hello! Eccomi tornata con un nuovo capitolo, perdonate il ritardo!
Questa volta i nuovi OC sono: Evangeline che è l'OC di E c h o_ e Leila Blues che è la OC di V o l l e y 0 7. La severissima prof d'italiano avrà un ruolo particolare e cercherò di renderla al meglio, così come la coinquilina di Siena, che rimarrà avvolta per un po' nel mistero e nell'asocialità.
Alla prossima!
-H.H.-
 
 

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Capitolo 3
*** La vita è bella! ***


Distance: doesn't matter.

3. La vita è bella!


Sul mio letto, a braccia conserte dietro alla testa, lasciavo che il tempo scorresse. E speravo che in futuro non mi sarei più annoiata in quel modo, che presto avrei trovato degli amici con cui esplorare gli angoli più misteriosi dell'Accademia.

Da sdraiata arrivavo solo con il dito medio al soffitto, stando in ginocchio potevo poggiarci i palmi. Il lampadario a campanula da spento manteneva un riflesso arcobaleno in base al punto dal quale lo si guardava. Di pomeriggio filtrava luce unicamente dal vetro smerigliato della porta, capace di distorcere l'interno. Solo quelli della scia di camere di sinistra nel primo corridoio avevano una finestra, che dava sull'ala ovest del cortile. Forse era un dettaglio sfuggito all'architetto, chissà quanti decenni fa.

Sbuffai in silenzio. L'MP3 era scarico, perciò addio musica… Di solito ero irrequieta senza un ritmo nelle orecchie e sarei stata capace di ascoltare la stessa canzone per ore. Durante i compiti, infatti, spesso succedeva senza neppure che me ne accorgessi.

Leila pettinava ininterrottamente la sua Vulpix con una spazzola, pompandole i boccoli rosso rubino. Non per niente il suo pelo era di una lucentezza straordinaria, da sembrar finto – e per un attimo mi vergognai di non aver mai fatto lo stesso con il mio starter.

La parola noia risuonava come una nenia nella mia testa, a ripetizione, al punto che le mie orecchie sembravano sul punto di impazzire. Infatti, in uno scatto di zelo, saltai giù dal letto. «Uffa… Basta!»

Rizzato l'udito, la secondina distolse lo sguardo dalla volpe concentrandolo su di me.

«Non ce la faccio più! Parliamo di qualcosa, qualunque cosa! Che materie hai avuto? Cos'hai fatto oggi? Cosa farai domani?»

«Uhm… Nulla di così interessante da dover essere raccontato.»

Pacata e composta, come sempre. Ciò alimentò il mio nervosismo: speravo di riuscire a strapparle una risposta più articolata, di avere uno straccio di informazione da ricollegare alla sua persona.

«Allora ti racconto cosa ho fatto io!» annunciai, cominciando un frenetico andirivieni. «All'inizio qua non ci volevo venire, credevo che fosse un brutto ambiente, invece ora mi sembra un posto mol–»

«Ti va di lottare?»

Silenzio.

Le braccia mi ricaddero lungo i fianchi e inclinai la testa, lasciando ciondolare la coda da un lato. Era l'ultima delle richieste che mi aspettavo. «Qui? Adesso? Ma–»

«Domani sera. Sul tetto della scuola.» Dopo quell'annuncio conciso, chiuse gli occhi immergendosi nei suoi pensieri e per tutta la sera non disse altro.

Che forse in quella biondina enigmatica si nascondesse una spavalda Allenatrice…?

 

Più tardi, Miky mi accompagnò a vedere la bacheca, a cui avevano esposto l'orario dei pasti. Lo scribacchiai sul diario per non dimenticarlo.

Colazione: 7.40
Pranzo: 12.25
Cena: 19.30

«Il coprifuoco è alle undici» mi spiegò. «Basta stare buoni qualche minuto, ogni tanto passano i bidelli, poi si può fare casino!»

Annuii distrattamente alle sue parole. I corridoi erano silenziosi: dava una sensazione strana essere le uniche nella hall, la si vedeva sotto un altro punto di vista, senza paura.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Cacciai un mugugno quando Moni mi affondò le zampe appena sopra al seno. Sbarrai gli occhi, il cuore mi martellava nel petto. «Ma che ore sono?»

Presi il Pokégear celeste sulla mensola nella quale tenevo i beni primari – cuffie, MP3, elastici… – e guardai l'ora.

«Oh my God» squittii: sette e cinquantatré. Se avessi rinunciato del tutto alla colazione, avrei avuto modo di prepararmi e arrivare in tempo.

Ma sì. Tanto non ho fame.

Il felino mi guardò compassionevole, quasi con rabbia, ma sapeva che un qualunque tentativo di fermarmi non sarebbe servito.

Appoggiai una calza sulla superficie piana del comodino, per scendere indenne con un balzo.

Le lenzuola blu notte di Leila non avevano nemmeno un'increspatura, rimboccate alla perfezione agli angoli.

Avrebbe potuto svegliarmi!” pensai, scocciata, ma non avevo tempo per adirarmi, perché ero in un ritardo pazzesco.

Tirai fuori la divisa femminile dalla borsa: gonna beige, morbida morbida come il velluto, insieme a un cardigan porpora. Di lato spiccava l'emblema d'istituto, lo stesso raffigurato anche sulla bandiera appesa nella rampa di scale del corridoio principale.

Infine degli stivali neri, lunghi fino al ginocchio. Ma il capo principale era uno: la bandana, un ulteriore modo di differenziare gli studenti. In pratica uno vedendo la divisa o la bandana capiva subito a che anno eri, senza bisogno di chiederlo. Però era davvero carina, morbida come la gonna, bollata con lo stemma. Feci un nodo poco stretto sul davanti, legandomela al collo. Ah, quasi dimenticavo: anche i Pokémon dovevano indossarne una, così se uno si perdeva identificavano almeno l'anno del proprietario restringendo le ricerche per ritrovarlo, inoltre era questione di buona immagine. Perciò allacciai fieramente l'altra al collo del mio Moni.

 

Stavo correndo nell'atrio, senza fiato, pregando se non altro di non essere l'unica ritardataria, ma dai corridoi deserti sembrava proprio di sì. Mi girai verso il mio starter, per assicurarmi che stesse al passo.

«Sbrighiam–»

Proprio in quell'attimo di distrazione, sbattei contro qualcosa. Barcollai indietro di un passo, mugolando per il dolore al naso, per poi inciampare sui miei stessi piedi, e dico solo che uno Spinda sotto effetto di droga sarebbe stato più coordinato di me.

«Ohi…» Adesso sentivo pulsare anche il fondoschiena. Era decisamente più piacevole cadere sui tappeti di gomma delle palestre dove mi allenavo da bambina per ginnastica artistica.

La ragazza contro cui avevo sbattuto si chinò nella mia direzione. «Niente di rotto, vero?» domandò con premura.

«N-No…» risposi, mettendo a fuoco la sua immagine.

Era bionda, ma un biondo diverso dal mio, più vicino all'oro. Portava un'acconciatura ordinata, con due fiocchetti a sostenere dei codini. A vederla così dava l'idea di essere di corporatura esile e le sue iridi marroncine, dai riflessi aurei attorno alla pupilla, mi fissavano cortesi.

Mi tese la mano per aiutarmi. «Fa' attenzione, la prossima volta…»

Intrecciai le dita alle sue in una calda stretta, rimettendomi in piedi. «Sì, grazie! Sorry, non volevo venirti addosso» dissi, con un veloce inchino in segno di scuse.

«Oh, non preoccuparti!» mi rispose, sorridendo.

Le sorrisi anch'io, come incantata da quel piccolo incidente fuori programma, forse un segno del destino.

Moni mi riscosse, strattonando coi dentini la mia gonna: ops, il ritardo!

 

Naomy allargò le braccia, roteando le pupille all'alto, in segno che stava ringraziando per finta il cielo. «Alla buon ora!»

Mi sedetti in fretta accanto a lei, buttando sulla panca il mio astuccio a macchie bianconere e un quaderno. «Ho saltato la colazione, sennò sarei ancora in camera…»

«La Carter, invece, è arrivata in classe dieci minuti prima di tutti.» La mia vicina indirizzò un cenno alla signorina alla cattedra. I capelli le arrivavano a fatica alle spalle, mossi come una nuvola di zucchero filato. Indossava degli orecchini di fimo a forma di rosa e aveva sulle unghie una precisa nail art in stile french. Stava compilando minuziosamente il registro, ignara del mio ritardo.

«Chi è?»

«Eleanor Carter, insegna storia e geografia.»

Mi persi a fissarla per un po': se non altro sembrava più umana della Michaelis, già questo era rassicurante. «Come mai non abbiamo ancora iniziato la lezione?»

La mia amica fece spallucce. «Ha detto che ci sarà una sorpresa, tra poco.»

«Speriamo non intenda un compito… Ehi, Nao, posso farti una domanda?» chiesi, di punto in bianco.

«Dimmi» rispose la blu, girandosi per guardarmi con leggero interesse.

«In che stanza ti hanno messa? Ieri sembravi un po' arrabbiata.»

La sua espressione s'incupì. Strinse i pugni, lentamente, per poi rispondermi a denti digrignati come un Mightyena: «Nella 201.»

«Evviva! Siamo davvero nello stesso corridoio!» esultai io, al contrario il suo entusiasmo non si manifestò affatto. «Cosa c'è? Hai una coinquilina antipatica? Se ti consola, la mia a stento mi parla.»

Sbuffò. «Coinquilino, uno insopportabile di 2^C.»

«Che?! Ma io sapevo–»

Mi zittì con un gesto. «Lo so, lo so. Ma quest'anno siamo troppe femmine, il suo compagno si è trasferito et voilà…» spiegò, con evidente scocciatura.

«Com'è d'aspetto? Carino?» Mi tirò una gomitata, trattenendo un'imprecazione malevola tra i denti. «Era per sapere… Non te lo rubo mic–» Altra gomitata. «Ahi!»

«Ssh, non vedete che è entrata una?» ci bisbigliò il biondo dietro di me.

«È lei che parla!» si discolpò la mia vicina.

«Ehi!» contestai, mentre lui tornava a ignorarci.

Portando il mio sguardo alla porta, vidi la ragazza di prima, impossibile sbagliare. I codini laterali le svolazzarono leggiadri, nel percorrere il tragitto che la separava dalla professoressa. Tra le braccia avvolgeva dolcemente una Eevee dal manto metallico, vispa e scodinzolante.

«Ragazzi, lei è Azuma Eri. Viene da Fiordoropoli, importante città nella regione di Johto che studieremo l'anno prossimo» annunciò la Carter. «Puoi andarti a sedere dietro a Kiku e Connor, vicino a Law c'è un posto libero.» Fece un cenno sbrigativo all'ultima pancata della porta. Non poteva sbagliarsi, effettivamente il posto mancante era uno, come se i banchi fossero stati contati prima del nostro arrivo in Accademia.

Azuma accennò un sorriso. «La ringrazio.»

Il ragazzo a fianco a mia cugina agitò le braccia in una buffa danza gioiosa. Ripeteva per la terza volta la prima, lui e Miky erano fidanzati migliori amici. Coi suoi capelli castani plasmati all'indietro dal gel e il profumo di menta e more sembrava un vero playboy.

La Carter piegò le labbra in un sorriso. «Non credo che lei sia disposta ad entrare troppo in confidenza con te, Federico.»

«Scommettiamo, prof? Mai dire mai!» affermò lui, ironico e sicuro di sé. «Ehi, piccola! Sei libera stasera?» propose, per poi spaparanzare il gomito sul suo banco e ammiccare.

La giapponese lo fissò, sbigottita. «… No.»

Intervenne Micaela, che chinò indietro la testa per guardarla sottosopra. «Dai, divertiti e fa' un po' di casino: la vita è bella!»

«Certo che lo è, se sei circondato da ragazze sexy!» Il suo “braccio destro” scrollò le spalle, con ovvietà, ricevendo una gomitata nello stomaco. Andavano di moda le gomitate, per caso?

Tutte le femmine, tranne Azuma, risero. Lei, solo per quella spudorata arroganza, gli avrebbe mollato uno schiaffo.

 


 

Angolo Autrice
Hola!
Rieccomi con il terzo capitolo!
Nuovi OC: Eleanor l'OC di Euridyke, Federico è stato creato da superpoltix mentre Azuma è l'OC di A q u i l e g i a! :)
Federico sarà un po' il pagliaccio playboy della serie e vi assicuro che saprete presto con chi shipparlo. Riguardo a Naomy e il coinquilino maschio, non fatevi troppe domande, mi serviva in questo modo per l'andamento della storia e basta.
Ne approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno recensito i due precedenti capitoli: grazie!
Alla prossima!
-H.H.-
 

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Capitolo 4
*** Battaglia segreta ***


Distance: doesn't matter.

4. Battaglia segreta

 

Già ieri, alla quarta ora, avevamo avuto il dispiacere di conoscere Eugen Schulz: sarebbe stato un trauma capacitarsi all'idea che insegnava la seconda materia più frequente di tutte. Non si separava mai dalla sua frusta, secondo i pettegolezzi un prezioso cimelio dei suoi parenti tedeschi, scoccandola ogni qualvolta voleva ordine. La zucca pelata e la pancia sporgente ricordavano… Un nano da giardino, privo di naso e orecchie a punta.

Scrisse alla lavagna un'espressione lunga tre righe, preciso come un robot. Nell'aula scese il silenzio. «Nessuno la sa risolvere?» domandò, accarezzando la striscia di cuoio come un grazioso animaletto da compagnia.

Una mano venne coraggiosamente sollevata. Apparteneva al fratellino di Federico, Nicolas Connor, seduto nella prima fila della porta con le mani in grembo.

Un'altra, alla mia diagonale: era di Francesco Matthews, il classico bravo ragazzo dal sorriso affabile, con la bandana legata al braccio.

«Ebbene? Solo due?»

Si aggregò anche un'albina nell'ultima fila centrale, svogliata, poi nessun altro.

Strizzai gli occhi, tentando senza successo di capirci qualcosa: quelle parentesi e potenze mi avevano mandato in tilt il cervello.

«Kiku?»

Il mio cuore sussultò.

Dopo aver destato timidamente lo sguardo mi accorsi con gran sollievo che aveva interpellato Miky. Per quanto ricordavo, era sempre stata portata per la matematica. «Prof, uffa! Ma è semplicissima! No, mi rifiuto di farla!»

La frusta schioccò con un movimento sinuoso ma sinistro, capace di far salire i brividi lungo la schiena. «Libretto!» inveì, peggio di un Ursaring svegliato dal letargo.

«Subito!» Federico afferrò il quadernino da sotto il banco della compagna e, dopo aver preso la mira, lo lanciò. Finì con straordinaria precisione sull'asse a metà della parete, dove avremmo dovuto appendere cartelloni o disegni.

Scommetto che il prof è così basso che non ci arriva!”

«Ops!»

«GRANDE CONNOR!»

E due…

 

Dopo quella scenetta finirono entrambi dal preside. “Ma sì, andiamo un po' da Robby, a fargli un salutino!” aveva detto il castano, bonario, come se si trattasse di un vecchio amico. Tornarono per l'inizio di francese, con grande sfortuna della Lightness.

Non ci avevano ancora dato l'orario fisso delle materie, perciò non sapevamo cosa ci avrebbe aspettato alla terza ora. Ma fu facile intuirlo all'ingresso della nostra insegnante: aveva un fortissimo profumo al Miele di Combee. Profumo che mi ricordava la medicina che mi dava lo zio quando avevo il raffreddore, proprio a quel melenso sapore.

«Buongiorno ragazzi, io sono Rosalba Violet!» si presentò, allegra, mentre apriva le finestre che davano sul cortile.

I Pokémon non si allontanavano da lei, come con gli altri prof: un Teddiursa annusava di continuo la scia del suo profumo, mentre una Bellossom seguiva aggraziatamente le sue movenze. Sorrideva loro, invece di scacciarli. Era così brava, confronto a Schulz e alla Michaelis, da sembrare un miraggio.

L'ora trascorse mentre ci spiegava l'essenziale sulla sua materia. Dalla prossima settimana in poi ci avrebbe portati nella serra della scuola. Ci disse di portare la bandana – che avremmo dovuto avere comunque – un taccuino a righe e una penna. Questo perché c'erano delle sedie lì e a suo malincuore avrebbe dovuto spiegare teoria, la fioritura delle Bacche e la loro natura, ma anche perché ognuno avrebbe avuto la propria piantina che sarebbe stata valutata una volta al mese in base a come l'avevamo curata.

Durante l'appello, quando Miky rispose al proprio nome, la Violet fece un verso di stupore e batté le mani. «E così sei finita qui. Come stai, cara?»

Lei rispose con un sorriso mesto. «Bene, bene…»

«Per forza, sei in buona compagnia!» La prof fece un risolino, accennando a Derry che alzò un sopracciglio, mentre la francese arrossì lievemente. «E il piccolo Chico, come sta?»

«Chikorì!» Il dinosauro verdino interpellato saltò sul banco della padrona, alzando una zampetta in cenno di saluto a colei che era, dal suo evidente entusiasmo, la sua docente preferita.

«Mi fa piacere vederti così in forma!» commentò la donna, posando di nuovo gli occhi sul registro. «Vediamo un po'… Numero otto, Siena Kiku?»

«Presente!»

«Oh! Allora sei tu la Piccola Kiku, finalmente ti conosco!» Il sorriso gigante che mi rivolse mi fece scoppiare il cuore di gioia. «Sono stata l'insegnante di tua cugina, l'anno scorso. Sei anche tu un peperino come lei?» chiese, sempre sorridendo.

Sorrisi di rimando e scossi il caso.

«No? Beh, meglio così!» Poi si rivolse all'intera classe: «Ragazzi, ricordatevelo: Kiku significa crisantemo, le vostre compagne hanno un cognome bellissimo!»

Quella notizia e quel momento mi fecero sentire importante, finché non udii quello dietro di me ridacchiare dopo aver detto al suo vicino: «A me sembra una marca di smalti!»

 

«Oh, già finito? Dovrebbero fare una giornata solo di botanica» pensai ad alta voce, mentre Moni scese e andò a girovagare un po'. Dopo ginnastica artistica, pianoforte e danza mi ero detta “niente più hobby” ma credevo già che botanica sarebbe diventata entro poco una delle mie materie predilette.

Naomy si girò svogliatamente verso di me. «Quella prof parla troppo a vanvera per i miei gusti.»

«Ma cosa dici…» feci, delusa. «Non è affatto vero! È la più brava che ci è capitata finora.»

«Il punto è che è troppo, brava! Arriveremo alla fine della quinta a dover fare l'esame senza sapere niente di questa materia.»

Chi aveva parlato? Leonard Ririshi. Mi ero sforzata di ricordare come si chiamasse, perché era stato lui il primo giorno a canzonarmi durante l'appello del professore di scienze e anche poco prima con quel commento sul mio cognome. Andava sempre in giro con un tenerissimo Marill che aveva la bandana tra le adorabili orecchie. Quanto al suo aspetto era biondo e i suoi di occhi di un colore davvero bello, verdi come chicchi d'uva, di una certa trasparenza.

«È presto per dirlo…» ribattei, pur consapevole che fosse una causa già persa. Erano due contro uno e anche con le migliori motivazioni del mondo avrebbero continuato a pensarla a modo loro.

«Sono d'accordo: questa non era una vera e propria lezione, ma un incontro per fare conoscenza!» Francesco, il vicino di Leonard, era accorso in mia difesa. Mi era sembrato intelligente fin da subito, perché alzava spesso la mano per rispondere alle domande.

Poco distante, Federico sbuffò e s'intromise nella conversazione. «A cosa servono i fiori nella vita?»

Miky sbucò alla sua destra, stringendogli le dita sulle spalle. «Semplice, se vuoi conquistare una ragazza devi regalarle un mazzo di fiori, caro il mio Derry!»

Il castano schioccò pollice e indice, improvvisamente attirato da quell'idea a cui il suo cervellino non aveva mai pensato, ammesso che pensasse a qualcosa di non perverso o stupido, di tanto in tanto. «Giuuustooo!»

Entrò un'altra professoressa, dai riccioli più fitti della criniera di un Rapidash, interrompendo quel momento di socializzazione. Aveva degli occhiali piccini da lettura sul naso arcuato. Sui suoi polsi spiccava una scia di braccialetti, visibili grazie alle maniche della giacca di pelle rimboccate fino ai gomiti.

«Buongiorno, ragazzi! Scusate il ritardo.» Posò sulla sedia lo zaino, da cui dondolava la coda di un Liepard in versione chibi.

Estrasse un libro giallo. Osservato il rigo musicale su di esso sulle mie labbra splendette un sorriso: finalmente, musica!

 

Purtroppo nessuno aveva flauti, chitarre o quant'altro. Solo dalla settimana successiva in poi saremmo andati in aula musica, come per botanica, perciò assistemmo alla spiegazione un po' particolare di Monica Merodi.

Accavallò le gambe sulla cattedra, incastrando le dita tra di loro. «Iniziamo dalle basi. Chi può farmi un esempio di “ritmo”?» domandò a gran voce.

Con tempismo Plusle sfilò dall'astuccio di Naomy una penna, rubando anche quella accanto al mio quaderno. Saltò, usandole a mo' di cimbali. «Plaaa!»

«Plusle!» si accigliò la proprietaria, con un tono a dir poco oltraggiato, strappandogli gli oggetti di mano e imprecando sottovoce qualcosa sulle brutte figure.

«È pur sempre un ritmo, ragazzi!» considerò la donna, annuendo.

Cominciai a battere le mani, la coda di Shinx a frustare il terreno. Miky e Federico sollevarono e sbatterono a tempo la loro panca. Tonfi di righelli, gomme, punte del tacco degli stivali… Durante la confusione notai una ragazza rannicchiare la testa sul banco e tapparsi le orecchie, tremante.

«Okay, è sufficiente! Ora facciamo un gioco» annunciò la donna, per poi frugare nella borsa, dalla quale estrasse un lettore CD.

Ci avrebbe fatto sentire delle note e avremmo dovuto indovinare di quali si trattava.

Uno: un suono energico, tuttavia acuto, di flauto dolce…

«Secondo me è un la!»

«Oppure un si!»

«Ma che dite, è ovvio che era un mi!»

Azuma, masticando una chewing-gum alla Baccaliegia senza dare nell'occhio, parlò per ultima sovrastando il confuso coro: «Eh, invece è un re alto.»

«Esatto, è proprio un re alto!» confermò stupita ma allegra la Merodi.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Dovevo riempirmi la pancia, volente o nolente. All'intervallo mia cugina fregò un pugno di patatine dal sacchetto di Fede per darlo a me e chiesi a Francesco un pezzettino della sua barretta alle nocciole. Invece, a pranzo ordinai due involtini primavera anziché uno – il martedì era il giorno del cibo orientale.

Tutta questa preoccupazione per il cibo insolita da parte mia perché, per disputare l'incontro che avevo promesso a Leila, io e lei avremmo saltato la cena.

 

Dal tetto si vedevano le cime di tutti i condomini, le insegne di colori luminosi dei negozi, i lampioni dalla luce soffusa. Sporgendosi si udiva il rombo delle macchine che sfrecciavano sulla strada. Non c'erano stelle nel firmamento, coperto da una nidiata di nuvole di uno scuro blu.

«Cominciamo» disse Leila, pacata, dall'altro lato del pianerottolo.

«Un attimo!» esclamai, mentre sganciavo le cuffiette a forma di bignè dall'MP3. Dopo averlo capovolto nel taschino della gonna selezionai la prima melodia della Play-list. «Spero non ti dia fastidio. Sai, io mi alleno sempre con la musica! Ne approfitto per esercitarmi nei passi di danza.»

L'adolescente scrollò le spalle e le note si diffusero nell'aria.

«Un, due, tre! La prima mossa a me!» Battei tre volte le mani, mentre iniziavo a volteggiare su me stessa e Shinx imitava i miei movimenti. «Scarica!»

Il leoncino diminuì le distanze tra lui e il nemico, per poi scagliargli contro una saetta turchese.

«Braciere!» ordinò Leila, tempestiva.

Il risultato fu uno scontro delle due mosse: i chicchi incandescenti fecero un botto contro la scarica dagli scoppiettii azzurri, eludendola in una nuvoletta fumogena.

«Un, due, tre… Sei brava, Leila!» commentai, indietreggiando e continuando a seguire il coinvolgente ritmo della canzone. Shinx batteva la coda a stella ninja sul terreno come io vi stavo battendo il piede.

«Anche tu!» La bionda accennò un sorriso combattivo. «Attacco Rapido!»

Senza perdere tempo, la volpe si lanciò all'inseguimento del felino; quello regredì aggraziatamente a balzi, imitato da me a pochi passi.

«Scintilla!» ordinai, corsa sul rialzamento del terrazzo e puntato il dito contro Vulpix.

L'Allenatrice non si scompose. «Lanciafiamme!»

La lince generò corrente tramite i muscoli e sparò la sfera dorata che gli era comparsa sulla bocca. Libera nell'aria, inseguì la volpe dal manto candido che la rispedì al mittente con un vortice di fiamma.

Moni ne uscì con delle ustioni sulla schiena e sul musetto.

«Riprenditi, piccolo!» lo incoraggiai, un po' in apprensione.

Leggermente intontito, il mio starter riuscì a rialzarsi e puntare una zampa davanti all'altra, così potemmo continuare.

«Un, due, tre…» Giravolta di classe. «Tuononda!»

Il Pokémon Baleno fece scaturire dal proprio corpicino una radiazione elettrica ronzante.

«Salvaguardia!»

Contrariamente a ciò che mi aspettavo, Vulpix s'illuminò di una luce verde speranza e respinse il problema di stato.

«Sei un fenomeno, Leila-chan!» la elogiai con sincera sorpresa.

«L'attacco è la miglior difesa» spiegò imperterrita lei.

«Un, due, tre… Fulmindenti

Il mio inseparabile leoncino illuminò i canini di scintille e si scagliò contro la Pokémon, che però approfittò di un Doppioteam per svanire e riapparire alle sue spalle con nostro sgomento.

«Morso!» disse la bionda con decisione.

Moni non riuscì a sfuggire al suo assalto improvviso, sentendo un dolore espandersi all'orecchio che lo costrinse a stringere i denti e assottigliare le pupille.

L'agitazione s'impossessò di me, perché non sapevo più come contrattaccare. Inoltre, la canzone si stava esaurendo insieme alla mia smania.

A distrarci furono dei passi pesanti giù per le scale e un urto, probabilmente di uno dei bidoni all'entrata.

«Ehi! C'è qualcuno!»

«Dove?»

«Non lo so, ma potrebbero averci viste, forse è meglio smettere… Continuiamo un'altra volta» proposi, con un sorrisino amareggiato.

«Aspetta…»

«Ti prometto che continueremo, ora è tardi! Se non ci trovano in stanza saremo nei guai.»

«Va bene…» si rassegnò la bionda.

Sollevai Shinx, correndo verso i dormitori.

 

 

 

Angolo Autrice
Hello!
No, non ero morta. Sì, sono in un mostruoso ritardo. Ma sorvoliamo: vi dico solo che non ho abbandonato la storia e dovrete avere un po' di pazienza.
Nuovi OC: Francesco è di Franciesco td, Nicolas di superpoltix.
Leonard si ispira alla mia crush dell'epoca, che nonostante mi trattasse un po' male considerandomi poco riusciva in qualche modo a piacermi. La Merodi, invece, prende ispirazione proprio dalla mia prof di musica delle medie! Il dettaglio del Liepard chibi è dovuto al fatto che la mia maestra di matematica delle elementari 
(la odiavo a morte) avesse questa borsa di pelle, con attaccato un leoncino di peluche.
La proprietaria di Azuma ha sul serio l'orecchio assoluto! 
Anche il professor Schulz, per l'aspetto, si ispira a un mio prof delle medie - che, se ogni tanto urlava come un pazzo e aveva degli scatti di rabbia, era decisamente più simpatico e permessivo.
Grazie infinite per le belle recensioni precedenti!
Alla prossima!
-H.H.-
 

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Capitolo 5
*** Prima lezione di Pratica ***


Distance: doesn't matter.

5. Prima lezione di Pratica


Erano le sette e mezza di mercoledì, di Leila nessuna traccia. Dopo aver messo la divisa andai nel bagno a fine corridoio per sciacquarmi la faccia. Uscendo, legai velocemente i capelli nella mia adorata ponytail e piegai la bandana in modo simmetrico, annodandola infine con morbidezza al collo. Quella di Shinx dovevo di continuo sistemarla perché gli dava fastidio e mi era già capitato spesso di trovarla in classe, per terra.

Naomy ci aspettava davanti alla 201, camera iniziale del nostro andito, nonché la sua. Il suo starter cambiava zampina in continuazione, agitato come se avesse assunto un eccesso di caffeina.

«Ehi!» mi salutò appena mi vide, levando il busto dalla parete.

«G'day! Sono in orario, oggi.»
 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

La mensa non era così affollata, perché i più grandi spesso e volentieri si fiondavano in cortile con il vassoio in mano e naturalmente erano i primi accusati dai bidelli, quando trovavano in giro tovaglioli sporchi o altra sporcizia.

Se avevo capito bene, il menù della mattina era fisso tranne un cibo diverso che cambiava in base al giorno. In cucina c'erano due calderoni pieni di latte caldo di Miltank. Per chi non lo voleva caldo, doveva invece chiedere al primo bancone un cartocino dove c'era freddo normale, freddo alla fragola o freddo al cioccolato. Per il caffè o il tè invece bisognava recarsi alle macchinette in un punto preciso della scuola. Sempre in quel bancone si trovavano vaschette di marmellate, zucchero e cacao. Nel secondo i cornetti vuoti, il pane tostato e dei biscotti un po' troppo duri. Tutto ciò era gestito da Assunta, la cuoca dai ricci amaranto racchiusi in una retina.

Dalla parte opposta, una donna di nome Soccorro si occupava dal banco per i Pokémon. Purtroppo non avevano molta scelta: gli veniva data una busta con sopra il simbolo del loro tipo, segno che quei croccantini contenevano ingredienti nutrizionali apposta per loro.

Mi ficcai in bocca il cucchiaino di plastica, gustandomi la morbida consistenza del mio budino, specialità del giorno. Naomy invece aveva preso un toast in cui spalmò marmellata di Baccaguava e la sentii borbottare che le mancava il suo solito panino al gelato. Quando le chiesi spiegazioni, scosse il capo con noncuranza.

Scorsi Miky andare verso le sue amiche. Aveva sul vassoio solo un cartone di latte – al cioccolato, conoscendola. Chico trasportava nella propria foglia una busta, inebriandosi dell'odore d'erba cipollina e prezzemolo.

Nel tavolo accanto, Derrick sorseggiava un bicchierino di caffè delle macchinette. Due ragazze di quarta dal sorrisino ebete gli circondavano il collo con le braccia. Suo fratello gli sedeva vicino, buono buono.

Con la coda dell'occhio localizzai Leila: sedeva in un angolo, accanto a un individuo dall'aria gentile con il quale confabulava sottovoce. Allora ce li aveva degli amici, all'infuori di me. Forse era stato cattivo pensare il contrario.

«Cosa abbiamo la prima ora?» chiese Azuma, alla mia diagonale. Finito il proprio cornetto, masticava già un chewing gum. Aveva questa mania, l'unico sgarro che si permettesse anche in classe.

Sentendola, Federico esclamò da lontano: «Un palloso supplizio, offerto da matusalemme in persona!»

 

L'insegnante a cui si riferiva, un certo Eichi Saishi, sembrava anziano per via capelli di un antico bianco. Indossava giacca e cravatta, insieme a dei lucidi mocassini, come un vero signore. Dal suo tono filosofico si poteva intuire cosa insegnasse. Ne ottenemmo la conferma quando piazzò sulla cattedra una statuetta di Arceus in posizione d'impennata, posta su un rialzamento bronzeo.

Fece un lungo discorso riguardo alla vita e alla giovinezza, ogni tanto con qualche pausa, ma nessuno osava commentare. Anzi, non ero sicura che qualcuno lo stesse sul serio ascoltando e un po' lo compativo.

«Ragazzi, che senso ha lottare tra di noi, far combattere i propri Pokémon?»

Alzai la mano, causando stupore generale. Eichi fece un cenno col capo, per cedermi la parola.

«Lottiamo tra di noi per migliorarci e imparare gli uni dagli altri, per diventare sempre più bravi…»

«Ed è sempre così?» incalzò, felice che avessi preso parte al discorso.

Smorzai la voce. «No, alcuni finiscono con lo sfruttare i Pokémon e non diventa più un gioco…»

«Esatto, esatto.» Annuì con gioia. «Brava, Piccola Kiku!» proclamò, bonario.

Mi spuntò un sorriso soddisfatto e fu divertente vedere le facce sconcertate dei miei compagni, mentre il mio petto si gonfiava d'orgoglio.

Al cambio d'ora tutti si sparpagliarono.

Naomy scosse il capo. «Come si fa a trovare interessanti botanica o religione?»

«Come si fa a non addormentarsi, durante botanica o religione?» rettificò Federico, strofinandosi gli occhi. Dopo il suono della campanella scattava subito in piedi, come se avesse una molla sotto al sedere.

Una ragazza dai riccioli color pesca comparve, allungandosi verso il nostro tavolo. A colpirmi furono le lentiggini che le imporporavano le guance e il suo sorriso sprizzante di brio. «Non dite così! Io penso che botanica sia una materia meravigliosa.»

Nel frattempo, la sua Bellossom s'inchinò a Moni e Plusle; strinse la zampa al primo, mentre il secondo la fissava indiscreto.

«Davvero?» le chiesi con gli occhi che brillavano.

«Certo!» mi rispose allegra.

Secondo i dati in mio possesso, si chiamava Elena Bailey e sedeva nella prima fila centrale. Mi sarebbe piaciuto moltissimo diventare sua amica.

La Carter non era mai in ritardo, perciò la libertà durò poco.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«Cosa c'è di meglio di un intervallo con la sottoscritta?~»

La Michaelis ci aveva appena sommersi di esercizi, che avevano occupato più o meno metà facciata del mio povero diario.

«Nulla, adorata luce dei miei occhi!» la adulò Federico, come l'attore di una commedia d'altri tempi.

Azuma alzò un sopracciglio, stranita, come tutti. «Ha battuto la testa?»

«Da piccolo è caduto dal letto e ha picchiato contro una gru di plastica… Può darsi sia stato quello!» rivelò il fratello.

«Striker, ti senti bene?» domandò Ryder, il suo migliore amico della prima, storcendo la bocca in una smorfia di profondo disappunto. Continuò ad assistere alla scena sbattendo gli occhi eterocromi per assicurarsi di vederci bene.

A malinconico detto di Miky, una delle motivazioni della tripla bocciatura del signorino Connor era che tormentava Evangeline con continue avance. E non per scherzo, ecco il problema.

«… Incantata» sussurrò Naomy, dopodiché scosse il capo. Usava spesso quell'espressione, che prima di conoscerla non avevo mai sentito.

La ragazza dell'ultima pancata centrale, Crystal, si ravvivò la capigliatura azzurra e mostrò un sorriso quieto. «Ognuno ha i suoi gusti! Vero, Tyler?»

«Grow!» abbaiò il suo Growlithe, trangugiando al volo un quarto della merendina che la padrona gli lanciò.

 

Gino Torein era di carnagione bronzea, dagli apatici occhi a palla e le orecchie a sventola. Non aveva l'aria di essere simpatico e quel maglione di lana lo invecchiava parecchio. Insegnava motoria e Pratica, tradotto anche come Lotte Pokémon. Dovevamo sfidarci o assistere a scontri e c'era una valutazione in palio, ovviamente.

Il pavimento conduceva a quattro arene rialzate e precise linee di gesso segnavano le postazioni. Un tabellone a schermo piatto, sulla parete principale, serviva ad aggiornare le vittorie e registrare chi sfidava chi. L'obiettivo mensile era far disputare almeno un incontro a ogni alunno.

Il professore si rivolse all'incaricato di portare giù il registro: «Francesco, sorteggia tu.»

«Uhm, va bene!» accordò il castano, prima di girare sottosopra il quaderno, per nulla dispiaciuto di svolgere quella mansione. A occhi chiusi, puntò l'indice su una riga verso la metà. «Quattordici, Achille Moreno!»

A quel punto, Leonard infilò la testa nel fascicolo. «Quattordici! Quattro più uno uguale cinque e la metà di cinque è due e mezzo! E il due è… Cecilia

Tutti fissarono l'oggetto della conversazione: la primina più popolare della scuola, che sedeva accanto a Chicco nella pancata dei famosi.

«Taci, Ririshi!»

«Ma sì, dai! Avanti, Clover.»

La ragazza, in un attacco d'isteria, affondò le mani nella chioma rosa confetto. «Questa me la paghi!» minacciò poi il biondo, che aveva battuto un cinque a Federico e Ryder.

 

«Oh santo Arceus» feci, quando da una parte uscì un Teddiursa adorabile e dall'altra un altrettanto adorabile Jigglypuff.

La logica dovrebbe prevedere che il maschio possegga un orsetto e la femmina una palla rosea. Invece…

«Vai, Marshmallow!~» esclamò il quattrocchi. Nonostante i suoi capelli fossero blu come il più profondo degli oceani, le due meches arcobaleno ben visibili ai lati non lo rendevano esattamente la persona più ordinaria del mondo… Il suo mostriciattolo dagli occhioni teneri, poi, di certo non aiutava.

«Honey, incantali!» intimò la ragazza al cucciolo marroncino, che la squadrava con un artiglietto in bocca.

Gino allargò le braccia, annunciando così l'inizio dell'incontro. «Via!»

«Graffio!»

Il Pokémon Orsetto avanzò in direzione del pallone con le orecchie e, incattivito, gli lasciò tre tagli sul ciuffo.

«Nuoo, Marschy! Forza, piccolo di papà, riprenditi!»

Aggrottai le sopracciglia, stranita dalle sue tendenze poco virili.

«Jiggly!» Il folletto si gonfiò e colpì l'avversario con Botta, lasciandogli uno stampo sulla guancia.

Azuma, dopo una sessione di deboli contrasti, scosse il capo. «Quest'incontro è…»

«Penoso» soggiunse apatica Naomy, che non si vergognava mai di dire la propria opinione.

Ryder allungò seccamente una banconota a Miky. «Allora, io scommetto cinque dollari sulla vittoria della spocchiosa.»

«Secondo me vince l'effeminato!» disse lei, senza offesa o cattiveria.

«Marshy! Canto!»

Jigglypuff si ricordò all'improvviso di avere un microfono tra le zampette e decise quindi di usarlo.

Prima che ne avesse il tempo, però, Cecilia si scostò la frangia e ordinò con tono altezzoso: «Honey, stendi quel buffone!»

«Oesa!» Teddiursa concentrò tutte le energie per addossare il proprio peso al terreno.

Non ricevendo l'ordine di scansarsi, l'ingenuo nemico subì quel ridicolo Terremoto, capottandosi all'indietro.

«Jigglypuff non è più in grado di continuare. Vince Clover!» dichiarò il professore, inespressivo.

Achille andò a prendere in braccio il Pokémon Pallone, senza mostrarsi neanche lontanamente triste o in collera. «Acc… C'eravamo quasi! Vedrai, la prossima volta andrà meglio!» commentò infatti, scrollando le spalle.

«Sì, ho vinto! Sono la migliore!» Al contrario, la falsa reginetta aveva piantato i pugni sui fianchi, sentendosi al di sopra del mondo.

«Anche un bambino di prima elementare riuscirebbe a sconfiggere Moreno!»

Non passarono due secondi che Leonard ricevette un violento pugno sulla testa dalla vincitrice.

«Uffa…» Miky ficcò il denaro in mano a Ryder, accertandosi che nessuno li stesse osservando.

Lui si fece tintinnare le monete sul palmo, gongolando per il guadagno.

«Quanto hanno preso?» domandò Francesco, non per farsi gli affari loro, ma per semplice curiosità.

«Cinque al sei Moreno, sei e mezzo Clover» sentenziò secco Torein. La rosa sbuffò, insoddisfatta, mentre l'altro non si lasciò minimamente turbare.

«Prossimo incontro?» domandò Miky, impaziente di avviare una nuova scommessa sperando di avere più fortuna.

«Wilhelms contro Ririshi.»

«Chi sono?» mi sussurrò Azuma.

«Quei due lì» bisbigliai in risposta, puntando l'indice verso Leonard. Poi indicai Chiharu, un ragazzo timido che nascondeva le iridi azzurre sotto degli occhiali dalle grosse lenti, cercando sempre di passare inosservato.

Mi domandavo cosa sapesse fare il biondino dispettoso. Il suo allegro Marill mi stava simpatico, perciò si sarebbe beccato un po' d'incitamento.

 

 

 

Angolo Autrice
Hello!
Sono sempre io, Alex, ma ho cambiato recentemente nick :3
Nuovi OC: Elena ispirata a una mia amica d'infanzia, Ryder di xMyo, Crystal di PervincaViola, Achille (in questa storia ci saranno solo coppie Het) di superpoltix e Chiharu di una mia disegnatrice. Cecilia è un personaggio di mia invenzione, che servirà per fare un po' la reginetta della situazione, in stile Mean Girls.
In alcune scuole non si danno 5/6, 6/7, 7/8 e via dicendo, ma da me sì perciò li metterò anche qua.
Spero non abbiate smesso di seguirmi, dato lo scarso numero di visite e recensioni della volta scorsa.
Alla prossima!
-H.H.-

 

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Capitolo 6
*** Non mi piace arte ***


Distance: doesn't matter.

6. Non mi piace arte

 

Gino Torein azionò una leva nel muro. Il campo numero tre si trasformò in una piscina con quattro pedane galleggianti, spargendo nell'aria un odore di cloro che mi entrò senza permesso nelle narici. Bleah: preferivo mille volte la salsedine del mare.

Il biondino saltò con energia su una delle pedane sparse nell'arena, che ondeggiò lievemente sotto al suo peso. «Mirou, tocca a te!»

Obbediente, Marilll si tuffò schizzando qualche gocciolina tutt'attorno.

«Vai!» esclamò Chiharu per incitare il suo Charmander, per nulla convinto. Infatti mi chiedevo come avrebbe fatto un Pokémon di Fuoco a lottare in una piscina, perché era un'ingiustizia bella e buona.

Come se non bastasse, il professore aveva approfittato del nostro stupore per svignarsela dietro la porta. Perciò, toccò a Francesco sedersi su una sedia per arbitrare. «Ehm… Che l'incontro abbia inizio!» annunciò ad alta voce.

Il dinosauro prese a scappare da un cerchio all'altro, per evitare di essere colpito dall'acqua che lo circondava o da quella che sputava fuori il suo avversario. Cercava comunque d'indebolirlo usando Braciere o Muro di fumo, sempre più affaticato.

Tra tutti si borbottava sull'assurdità della situazione e sull'irresponsabilità dell'insegnante, seduti a terra, chi con le gambe incrociate e chi stravaccato.

Dopo un po', mi feci coraggio e mi voltai verso la mia vicina di banco. «Nao, vorrest–»

«No» negò, senza nemmeno aver sentito la mia richiesta.

«Azu-chan? Vuoi fare la cheerleaders con me?» mugugnai poi, con una nota di disperazione.

Quella scosse la testa, ma in compenso Crystal spuntò in mezzo a noi. «La faccio io!» si offrì, mostrandomi il segno di vittoria.

 

«Forza, Marill! Forza, Charmander!» gridammo con entusiasmo a bordo piscina.

«Dai, Ruggito!» ordinò il ragazzo a destra, che quella mattina dava l'impressione di essere uscito senza pettinare i suoi capelli, di un biondo più scuro dell'avversario.

La lucertola, mostrando un'espressione agguerrita, gonfiò il petto e ruggì con determinazione a Marill che si trovava nel ripiano di fronte. Quello, però, anziché il ruggito di un minaccioso dinosauro sembrò il latrato di una bestiola.

«Uh, che paura!» li sfotté Federico.

Chiharu abbassò gli occhi, sentendosi arrossire, ma non aveva scelta se non andare avanti sperando che tutto finisse presto.

«Rotolamento!»

Al comando deciso di Leo, Mirou si chiuse a sfera e rotolò lungo lo specchio trasparente, tagliandolo al proprio passaggio come una fetta di torta.

«Salta!» ordinò in fretta Chiharu.

«Chaaar!» fece il mostriciattolo, dandosi lo slancio con la coda di fuoco per catapultarsi in aria.

«Forza, Charmander!» lo incitammo io e la ragazza dalle iridi color cenere, aiutate anche dall'ululare del suo Growlithe scodinzolante.

«Tanto prima o poi ti prendiamo! Bollaraggio!»

Il roditore, come gli era stato chiesto, sparò una raffica di bolle dalla bocca che andarono a centrare lo starter di Kanto. Ricadde sulla pedana, visibilmente debilitato e con la fiamma sulla coda molto debole.

«Basta così!» dichiarò Francesco, alzando un braccio. «Charmander non è più in grado di lottare. Vince Leo!»

Chiharu tirò un sospiro di sollievo, sistemandosi gli occhiali, poi richiamò il suo compagno nella Sfera Poké pensando che avrebbe dovuto passare al più presto in infermeria, per affidarlo alle cure dell'Infermiera Joy.

Mirou era corso subito dal padrone, per saltargli allegramente attorno, felice di aver incassato la prima vittoria dell'anno.

«Bene… Ora come si fa per i voti? Non c'è il prof» ricordò Azuma al gruppo di persone attorno a noi.

«Boh… Scegliamo una persona a caso che metta voti a caso!» propose Ryder, con una scrollata di spalle.

Leonard rise nervosamente, negando con l'indice. «No, col cavolo!»

Ma Federico e mia cugina non gli diedero ascolto, mettendo subito in atto quella piccola follia, veloci come uragani.

«Ehi, Delevigne!» chiamò il castano, rivolto a Scarlett.

Non avevo ancora avuto occasione di conoscerla, ma a primo impatto pareva una ragazza calma e gentile dai riccioli color caramello. Si voltò con aria leggermente confusa, interrogandosi sul perché il più figo della classe stesse parlando proprio con lei. «Sì?»

«Dicci un numero da uno a dieci!» la intervistò Miky, fingendo di avere un microfono sottomano.

«Mmh… Sette!»

 

«Stai scherzando, spero.»

No, Fede non scherzava quando aveva preso il libretto di Leonard per segnargli uno scarabocchio che avrebbe rappresentato proprio un sette. E la firma, poi… Illeggibile. E illegale, ma tralasciamo su quest'ultimo punto. Nemmeno Miky scherzava quando aveva fatto lo stesso con Chiharu, ignorando le sue contestazioni. Almeno la calligrafia di lei era più comprensibile… Non seppi dire se fosse un bene o un male.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

La sera, alle nove, decisi di farmi una doccia. Le docce pubbliche erano situate all'interno dei bagni alla fine di ogni corridoio, men che nell'ultimo, infatti Miky veniva sempre nel mio.

Maschi e femmine erano separati, inutile dirlo. Tuttavia, mia cugina mi confidò che ogni tanto qualche pervertito – Federico, tanto per citare un esempio casuale – sbucava sulla soglia e si prendeva una scarpa in testa.

 

«Azu, posso farti una domanda?»

Eravamo rimaste in tre, la voce si amplificava tra le pareti ma si attutiva con lo scroscio dell'acqua.

«Sì, dimmi» acconsentì la mia amica, dal box accanto.

«Come mai l'altro giorno non sei venuta subito in classe?» domandai, strofinandomi con cura la spugna sulla pancia e sulle braccia.

«Avevo un po' paura» ammise lei, che invece si stava già sciacquando i capelli.

«Non ne avrai più, però, vero?»

«No.» Purtroppo non potei vedere il tenero sorriso sulle sue labbra vermiglie. «Io ho finito. Sayonara!» salutò, sporgendosi per afferrare il candido panno sull'appendiabiti. Al suo passaggio lasciò dietro di sé una scia di profumo alla Baccafrago e si avviò nello spogliatoio, costantemente allagato da due dita d'acqua fredda e annebbiato dal vapore.

«Bye…» ripetei, distratta. Stavo cercando di spremere con forza il flacone tra le mie mani, ma non usciva più niente. «Ehi, Miky, mi presti il tuo shampoo?»

«Certo!»

Poco dopo mi atterrò un oggetto di plastica sul capo, con un tonfo sordo. «Ahi!» mugolai. Si trattava proprio del contenitore verde chiaro alla Baccalampon.

«Ooops, scusa, cuginetta! Fatta male?»

«No, tranquilla» risposi, mentre mi massaggiavo la nuca versando un'eccessiva quantità di liquido roseo sul palmo.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Miho Ato era abbastanza brava, anche se le dimensioni spropositate del suo naso all'inizio stranivano un po'. Insegnava arte e ci aveva già assegnato un lavoro, per vedere a che punto fossimo. Nel mio caso, a un punto morto.

Arte era una delle materie in cui andavo peggio. Alle elementari i miei disegni erano sempre scherniti, perché non sapevo dosare acquarelli e tempere o proporzionare i corpi. Le risate maligne alle mie spalle, i commenti che mi avevano fatta sentire inferiore… Per questo pregai lo zio di lasciarmi a casa da scuola e non toccai più un pennello. Oltre alla bellezza di mia cugina invidiavo anche la sua bravura proprio in quella materia, che ora io mi ritrovavo davanti dopo anni.

Sembrava un lavoro semplice. Il ritratto di un Pikachu, da copiare dal cartellone posato sulla lavagna.

«Non mi viene» sbuffò Naomy, mollando nervosamente la matita sul banco.

«Magari la zampa è un po' storta, ma puoi sempre aggiustarla! E la coda dovrebbe essere… Ehm, seghettata.»

«Sai, non penso tu sia in condizione di giudicare!» disse Leonard con aria d'ironico scherno e mi girai subito per ribattere.

«Senti chi par–» Mi bloccai al vedere la precisione con la quale aveva riprodotto, per ora, solo la testa del mostriciattolo. Era anche meglio dell'originale, tra un po'.

«Dicevi?»

«Niente, niente» rettificai, rossa sulle guance. Poi per caso osservai il lavoro del suo vicino. «Wow, è bellissimo! Non c'è da stupirsi, tu hai nove in tutto.»

«Beh, grazie! Scommetto che, se t'impegni, verrà bene anche il tuo!» m'incitò Francesco, sorridente.

«Lo spero…» mormorai, ancora con il morale un po' a terra. Nel rigirarmi, udii un riso proveniente dal fondo della classe.

Federico teneva in ostaggio la tavolozza di Azuma, che lo stava fulminando con uno sguardo di ghiaccio, chiedendosi perché non potesse essere lasciata in pace.

«Ridammi i colori. Subito.»

«Altrimenti?»

«Daglieli, dai!» Miky afferrò la refurtiva, ripassandola alla bionda dietro di lei.

Mentre partivo dalle lunghe orecchie del topo, con linee tremanti, ascoltai i discorsi intorno a me.

«Achille, quello è… Un arcobaleno?» domandò Elena, un po' perplessa.

Come darle torto?

«Sì, ti piace? Io lo trovo uno sfondo perfetto!»

Cecilia cominciò a lamentarsi perché c'era mancato poco che Smog – l'ingordo Totodile di Nicolas – sbranasse il suo disegno, mentre il padroncino si scusava umilmente.

«Plusle! Guarda che hai combinato!»

Al sentire quell'isterico stillo, mi voltai. Il vivace Pokémon Incitamento aveva la zampa spalmata di fluido verde, con il quale aveva contornato il disegno della mia vicina di banco.

«Magari si può ancora salvare… Prova a ritagliarlo» suggerii, sentendomi a disagio per loro.

Moni non combinava mai guai: durante le lezioni dormiva, oppure socializzava con gli altri mostriciattoli. In quel momento stava conversando con Lucifero e Kira, cioè il Dratini di Federico e l'Eevee dal manto argenteo di Azuma. I due, al contrario dei rispettivi Allenatori, sembravano andare d'amore e d'accordo.

Per pura casualità, notai il lavoro di Chiharu – seduto davanti a me – e rimasi a bocca aperta. Quello non era un semplice Pikachu, ma un'opera d'arte.

Dopo un po' si accorse che lo fissavo e, con leggero d'imbarazzo, mi disse: «Lo so, devo non è granché, devo ancora aggiungere le ombre, ripassare i contorni e…»

«No» lo bloccai, muovendo appena le labbra, incantata. «È il disegno più splendido che abbia mai visto…»

«M-Ma no, devo ancora migliorare…» mi rispose il timido biondo, distogliendo gli occhi e stringendosi nelle spalle.

In quel momento mi sentii uno sguardo addosso. Voltando innocentemente il capo, vidi per un nanosecondo la smorfia di Leonard, prima che tornasse a disegnare. Mi scappò un sorriso: stavolta era Chiharu ad averlo battuto in qualcosa.


 

 

Angolo Autrice
Hello! :)
Stavolta non sono tanto in ritardo, vero?
Nuovi OC: Solo Scarlett di MarykoLove. Ma questo non significa che le presentazioni siano finite! Rimangono un bel po' di OC da svelare, chi più importante e chi meno.
Come vedete in classe sono molti con la passione per il disegno: Miky, Leonard e anche Chiharu, che per questa serie purtroppo avrà un ruolo marginale. Ogni capitolo che passa Achille è sempre più gay, lo so, ma c'est la vie.
Ringrazio infinitamente chi ha recensito i capitoli scorsi: non so come farei senza di voi che mi spronate ad aggiornare!
Ora vado: alla prossima!
-H.H.-

 
 

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Capitolo 7
*** Gioco di squadra ***


Distance: doesn't matter.

7. Gioco di squadra

 

Stavamo facendo una verifica di francese. Non ero mai stata brava in francese, perché mio zio da piccola mi aveva sempre insegnato solo l'inglese, mentre mia cugina avendo abitato a Luminopoli lo parlava con scioltezza. Perciò la mia ancora di salvezza erano stati i suggerimenti che Francesco dava a Leonard e riuscivo a cogliere anch'io, fortunatamente.

A un certo punto Miky ruppe il silenzio e sventolò la mano come una bandiera. «Prooof, j'ai finis, mi annoio! Posso andare fuori?»

«Non hai ancora fatto niente di stupido, perciò non vedo perché» fu la distratta risposta della Lightness, che scribacchiava sul registro.

Delle frasi che poteva dire, aveva scelto quella più sbagliata. Chico con un gesto fulmineo spedì una lama rotante in direzione della scatoletta dei gessi, che cadde e si capovolse, lasciando esplodere una nuvola nella zona della cattedra.

La prof starnutì, coprendosi il viso con il dorso della mano. «Sono allergica alla polv» Altro starnuto.

I granelli, alla ricerca di una superficie su cui poggiarsi, avevano imbiancato tutto il pavimento. Un disastro, mentre tutti tacevano e osservavano curiosi la scena.

La mora si allontanò, tenendosi le narici tappate. «Pulite sub–» Ennesimo starnuto.

«Agli ordini: Idrondata!»

Lucifero creò uno tsunami in scala ridotta, indirizzandolo al soffitto. Pochi istanti dopo c'era acqua ovunque: goccioline sulle finestre, chiazze sui quaderni, pozzanghere sul pavimento in cui i Pokémon sguazzavano e si schizzavano ridenti.

«GRANDE KIKU. GRANDE CONNOR!»

«Oddio, un mostro!» rise Miky, piegata in due.

La veste nera di Koraline le aderiva alla pelle, così come i lunghi capelli corvini che, data la liscezza, sembravano di un fantasma. Le coprivano la fronte e gli occhi, lasciando intravedere solo la bocca e la carnagione pallida.

«USCITE IMMEDIATAMENTE DA QUELLA PORTA!» strillò, conficcandosi le lunghe unghie nei palmi dalla disperazione. Un'immagine a dir poco lugubre.

«Te l'ho detto che ci lasciava uscire» ridacchiò la quattordicenne all'orecchio del migliore amico.

 

«Sono affiatati» notò Naomy, quando la situazione tornò alla normalità, salvo i nervi a fior di pelle della Lightness che continuava a compilare il registro pur con le ciocche marce davanti agli occhi.

«Già… Peccato che Derrick sia un donnaiolo e Miky non s'impegni a conquistarlo.»

«Se son rose fioriranno» commentò la blu, scrollando le spalle.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Dovevamo aspettare Torein per cominciare la lezione di ginnastica, approfittando della palestra tutta per noi, senza regole. Era un po' strano vedere tutti con indosso maglietta e shorts bianchi, ma io mi sentivo a mio agio con un outfit così leggero, per muovermi liberamente.

Mi lasciai convincere da Elena a una gara a chi resisteva di più a testa ingiù, rette solo sulle mani. Da quella posizione un po' scomoda, vidi Moni giocare ad acchiapparello con Kira e lo Skitty di Scarlett. Naomy invece stava minacciando Plusle di scendere dalla struttura d'arrampicata, altrimenti l'avrebbe lasciato senza cena. Sentii Azuma e Francesco parlare d'atletica, uno dei loro sport preferiti, mentre poco distante Ryder e Derry si passavano un pallone a colpi di testa.

La mia attenzione cadde, infine, alla panchina più vicina all'ingresso. Un'albina, stretta nell'angolo, osservava loscamente il mondo. La sua fronte veniva coperta dalla frangetta magnolia e gli occhi grigio ghiaccio spegnevano il suo visetto da bambolina, annoiata ma tenera. Una Misdreavus si smaterializzava a scatti al suo fianco, fluttuante. Si chiamava Jeanne Mirai e sedeva vicino a Crystal, tuttavia allontanava sempre il banco ancora più in fondo, finché lo schienale della sua sedia non toccava il muro.

Stavo per andare a parlarle, quando il professore batté le mani e tutti, tranne lei, si allinearono contro alla parete.

 

A fine lezione, mia cugina mi consentì di bere un po' dalla sua bottiglia. I miei polmoni rivendicavano aria, dopo quell'atroce correre in tondo. Dovetti portare su Moni in braccio, poiché non sentiva più molta sensibilità alle zampe.

Con il cuore che batteva più moderatamente, rientrammo adagio in classe. Ad aspettarci, con un sorrisino demoniaco, c'era la Michaelis.

 

«Federico.»

Gli occhi di lui divennero a cuore. «Sì, mio eterno amore?»

Naomy finse di mettersi due dita in gola. Ridacchiai in silenzio.

«Vieni alla lavagna, su» gli intimò l'adulta, senza scomporsi.

«Ogni suo desiderio è un ordine!» rispose il castano, marciando fin dove richiesto con Dratini che gli strisciava fedele al seguito.

«Vedete di copiare, voialtri: chi dorme non piglia pesci!» esclamò Evangeline. Non perdeva mai occasione per ripeterci tale frase, cioè il suo motto preferito.

 

«Oh, sì, ricordo perfettamente quella volta che misi una suoneria fastidiosissima al telefono. Era un Torchic. O forse uno Skitty che miagolava?»

«Mia adorata, scusa se interrompo il tuo coinvolgente racconto.» Derry si schiarì la voce. «Potresti rispiegarmi cos'è questo?»

«Tsk. Ovviamente si tratta di un complemento di stato in luogo, ovvero…»

Cessai di prestarle attenzione, poiché non m'interessava per niente l'analisi logica. Mi girai verso Azuma, che aveva già terminato l'esercizio, accanto a me e Naomy solo per quell'ora. «Azu, secondo te Federico non ha dei gusti orribili?»

«In effetti…» rispose lei, con un'alzata di spalle.

«Avrebbe bisogno di un paio di occhiali! Magari come quelli di Achille.»

Scoccai un'occhiata alla montatura del ragazzo, mezza arancio e mezza viola. Immaginando il nostro compagno con quelli addosso, fu impossibile non ridacchiare.

«Siena, Azuma, se state dicendo qualcosa di divertente ditelo anche a noi, così ridiamo tutti insieme» ci riprese l'insegnante, in un sibilo.

«Ehm…!»

«Non era nulla d'importante» ci giustificò la biondina, con un sorriso tirato.

«I pavimenti saranno molto felici di ascoltarvi quando, dopo scuola, li ripulirete finché non diventeranno bianchi

«Come?!» squittimmo all'unisono.

«Ahi, ahi…» sentii sussurrare da Ryder all'orecchio Miky, in bilico sulla sedia e di conseguenza stravaccata sul suo banco, mentre nella classe si creavano brusii di scandalo.

Oddio, non dirà mica sul serio?

La donna sfoggiò un sorriso sadico, mettendo gli affilati canini in mostra. «Avete capito bene. Siete in punizione, signorine: chiedete ai bidelli e vi forniranno tutto l'occorrente necessario. Almeno imparate a non scherzare con il Diavolo Rosso!»

«M-Ma…»

«Per caso volete pulire anche la 1^C?»

«NO!» ci affrettammo a ribattere.

Il trillo della campanella mi arrivò alle orecchie distante. Lasciai cadere le braccia, come una pianta in procinto di appassire.

Abbassai lo sguardo e lo stomaco mi si contorse dal senso di colpa. «Sono stata io a farci ridere, mi dispiace…»

«Non fa niente…» rispose Azuma, con un sospiro. Concesse una carezza a Kira, rassegnata. «Beh, che dire: ci aspetta un lungo pomeriggio.»



 

Angolo Autrice
Hello! :)
Ho imparato che è bello avere metà capitolo già scritto e anche il successivo :'3
Qui viene accennata Jeanne, di artemisius.
Come vedete, Miky e Federico insieme sono piuttosto pericolosi, e sinceramente quella dei gessi è una delle mie scene preferite che ha loro come protagonisti. Da qui Evangeline inizia a prendere un lato più umano: è sbadata e tergiversa spesso, ma è anche una grande amante delle pulizie - a proposito, mi ero dimenticata di specificare che il suo personaggio è ispirato a Grell di Kuroshitsuji mentre il cognome a Sebastian, sempre di quell'anime.
Grazie a chi continua a seguire/recensire, siete degli angeli come Leonard <3
Alla prossima.
-H.H.-
 

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Capitolo 8
*** Di tinte e spazzole rubate ***


Distance: doesn't matter.

8. Di tinte e spazzole rubate

 

Ormai l'aula, a parte noi, era deserta. Miky aveva preso in custodia Moni e Kira, cosicché almeno loro pranzassero.

Aumentai la presa sul manico della scopa. «Ora penserai che sono una che va in cerca di guai e mi starai alla larga, eh?» dedussi, con amarezza.

«Ma no, figurati!» mi consolò Azuma, che stringeva la stoffa flaccida con ambedue le mani, inginocchiata sul pavimento come una moderna versione di Cererentola.

Non sapevo se crederle, era sempre così educata con tutti…

Era strano vedere le pancate da una prospettiva diversa dalla mia abituale. Vuote, senza Pokémon in mezzo… Dopo un sospiro, continuai.

 

Partii con il presupposto che, a cena, non avrei preso niente. Sarei andata solo per stare in compagnia. Tuttavia, non resistetti a una fettina del dolce: crostata di Baccamele, la mia preferita. Adoravo le mele, infatti il mio soprannome più celebre prima di Piccola Kiku era sempre stato Little Apple.

Alle ventidue mi stesi sul letto, con le cuffie premute all'interno delle orecchie. Il tempo perse importanza, da quant'ero stanca. Quando iniziai ad avvertire un po' di mal di testa, cliccai a tentoni il tasto stop e caddi in un sonno profondo, senza sogni.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

La mattina, Shinx decise di svegliarmi con una leccata sul naso. Mi passai una mano sulla fronte tiepida e controllai il Pokégear: sette e un quarto. “Andare a dormire presto ha i suoi vantaggi!” pensai, soddisfatta.

«Ah-ah! Ti ho beccata, per una volta!» dissi, lasciando penzolare i miei capelli verso il basso. Da lì in alto, riuscivo a vedere la mia compagna di stanza.

Prima di rispondermi, finì d'infilarsi il cardigan e dopo essersi alzata stropicciò compostamente la gonna verde pino. «Sono mattiniera» si giustificò, chinandosi per annodare la bandana all'inizio dello stivale.

«Ho notato. Senti, mi accompagni a chiamare la mia amica Naomy?» domandai, saltando giù.

«Ehm…»

Calò il silenzio, finché non finii anch'io di vestirmi. Tirai la coda nel mezzo per irrigidirla, dopodiché afferrai la busta dove tenevo spazzolino e dentifricio.

«Dai, non fare storie, vieni!» esclamai, prendendola per mano nonostante il suo evidente imbarazzo.

 

«Dammela, decerebrato!»

«Cosa c'è, nanerottola, non riesci a prenderla?»

Quelle voci provenivano dalla 201.

«G'day! Ops, ho interrotto qualcosa?»

All'aprire di colpo la porta, sorpresi la blu e il suo famoso compagno in piedi su un letto coi visi a pochi centimetri.

«Oddio, Siena!» squittì lei. «Non è come pensi! Andrey mi ha rubato la spazzola e stavo solo cercando di riprenderla!»

«Ceeerto!» la presi in giro, lanciando un'occhiatina complice a Leila, che aveva accennato per un istante un sorriso.

«Vai con le tue amichette, sennò farai tardi, McFlowers» la canzonò il secondino, scostandosi la frangia color giada.

Lei prese al volo lo zaino lilla che lui le lanciò. «Non vedo l'ora di liberarmi di te per un po', Moon.»

 

Sorrisi al vedere i suoi occhi sbarrati, dopo che s'appoggiò alla porta come per bloccarla.

«L'avevo detto che il tuo coinquilino era carin– Ahi!»

 

All'ingresso della mensa mi separai da Leila. Fremevo dalla voglia di chiederle chi fosse l'amico a cui andò di nuovo accanto, ma meglio di no, per il momento.

Passando, vidi Leonard in mezzo a Cecilia e alla moretta che la scortava sempre dovunque. Miky aveva appena immerso un biscotto nel caffellatte ancora intoccato di Federico e sulla fetta di pane di Elena c'era un intero vasetto di marmellata alla Baccafrago, esclusiva del venerdì.

Con la coda dell'occhio, mi accorsi dell'albina solitaria: Jeanne. Sgranocchiava un cornetto vuoto in un tavolo solo per lei.

«Ciao!» la salutai, avvicinandomi.

Stava come seguendo dei movimenti invisibili, la mente annebbiata. Allo stridio del vassoio in plastica, che posai accanto al suo, sbatté le ciglia.

Mi rivolse un'occhiata di noia. «Ah, sei quella che non trovava nulla di meglio da fare che fissarmi, durante educazione fisica.»

Un brivido mi percorse la schiena a quella frase, svogliata e tagliente come una lama. «Eh già…» feci, con un sorrisino colpevole.

L'albina mi studiò intensamente per una frazione di tempo indeterminato, durante il quale gli schiamazzi altrui mi arrivarono distanti.

«Ti interesso davvero?» chiese infine, con voce un po' sorpresa.

«Sì! Vorrei tanto esserti amica, sai…»

«Sei la prima persona che sembra essersi accorta di me, qui dentro.»

«È normale, siamo primine. Potrei presentarti io a qualcuno, se vuoi! Non dev'essere bello stare sempre negli angoli, in silenzio…»

Jeanne alzò leggermente le spalle e annuì, le guance più colorite del normale.

«Sei simpatica, in fondo!»

Dopo la mia frase la vidi sbiancare e sbarrare gli occhi. Risi e consumai il mio milkshake con il sorriso – e un po' di cacao – sulle labbra.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Miky si asciugò le lacrime che le erano venute a forza di ridere. «Prof, ma che ha fatto a quei poveri capelli?»

Koraline stirò la sua nuova chioma, non più nero pece ma color mogano. «Cambio di look. Qualcosa in contrario, Grande Kiku?»

La rosa dai limpidi occhi azzurri per poco non precipitò dalla sedia. «Nulla, nulla.»

«In fondo non è così orribile!» la consolò ironicamente Federico.

«Ma grazie, ragazzi!» fece altrettanto ironica quella, dopo aver piegato le braccia lungo la vita.

«Stava meglio mora» commentò Naomy, arricciando il naso. Non c'è due senza tre, giustamente, e lei trovava sempre un lato negativo.

 

«Chi mi va a prendere un tè al limone?» chiese a gran voce la Lightness, all'intervallo.

Mi precipitai alla cattedra, servizievole, dopo aver agguantato il braccio della blu. «Noi, noi, noi!»

L'esperta di lingue sorrise furbamente e indicò Naomy. «Tu no.»

«Noi, noi, noi!» m'imitò Micaela, affiancata dal suo migliore amico.

«No: così imparate a criticare!» fu irremovibile, causando un sonoro sbuffo dei tre.

 

Alla fine mandò me e Nicolas, uno dei pochi alunni di cui si fidasse davvero. E chi non si fiderebbe di un ragazzino sempre composto e innocente?

Imboccammo la doppia scalinata del secondo piano.

Dal muro a destra penzolava l'austera bandiera d'istituto, di un tessuto spesso. Rappresentava una F e una A che unite insieme creavano la P di Pokémon. Sotto, cinque cerchi in successione crescente di diversi colori simboleggiavano il numero degli anni di soggiorno lì: rosso, blu, verde, giallo e nero.

Nel mentre svoltammo a destra cercai di rompere il ghiaccio.

«Ehm, come mai hai la bandana al contrario? Se posso chiedere» dissi, fissando il suo fazzoletto annodato dietro al collo.

«Come i cowboy, ahaha! Perché Fede dice che fa figo» mi rispose, con fierezza.

«Niky, fermati!» esclamai, afferrandogli il maglione, cosicché si voltasse di botto a vedere ciò che avevo intravisto io, di fronte alle terze. «Quelli sono degli armadietti?»

Lui annuì. «Già, questi appartengono ai terzini e secondini.»

«Uffa! E perché noi non ce li abbiamo?» domandai, allibita. Non era giusto: perché i grandi sì e noi no?

«Perché non c'è spazio, ma l'anno prossimo questi passeranno a noi» spiegò in tutta tranquillità il ragazzino, riprendendo a camminare.

 

 

 

Angolo Autrice
Hello! :)
Ho revisionato completamente la storia, modificando moltissime cose, togliendo e aggiungendo. Spero darete un'occhiata ai capitoli vecchi!
Nuovi OC: Svelato Andrey di NaoBons e basta, per ora - quello scostamento di frangia ricorda molto Drew, sì.
Vi svelo un segreto: in realtà le prime non hanno gli armadietti perché, inizialmente, mi ero dimenticata di metterli - e nella cartina non ci stavano sul serio, giuro.
Per farmi perdonare dell'assenza posto la cartina dell'accademia. Se avete da chiedere qualcosa su quest'ultima vi risponderò con piacere!
 
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Vi piace? Ma sì che vi piace, deve piacervi, perché ci ho passato una notte a crearla. (E questa è la mia cartina della mia fic, guai se ne vedessi da qualche parte una simile, vi squarto personalmente con le mie manine.)
Ah, grazie infinite a chi ha recensito l'ultima volta e a chi continua a seguirmi… A proposito, siamo arrivati a 50 recensioni! Cifra tonda! *-*
Detto questo vado, alla prossima!
-H.H.-
 

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Capitolo 9
*** Ogni scusa è buona ***


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9. Ogni scusa è buona

 

La domenica era un buon giorno: l'unico giorno dove non dovevamo andare a lezione, nonché il giorno del cibo americano, quello della mia infanzia.

L'odore di sale e olio si mischiava a quello del pane dolce, le pentoline stridevano sul fuoco oltre la porta girevole che separava il refettorio dalla cucina.

Nel piatto di Derry c'era un uovo al tegamino accompagnato da due fette di bacon, il cui irresistibile profumo penetrava nelle narici.

Naomy serrò la bocca al vederlo mentre ci passavamo davanti. «Dev'essere proprio forte, di stomaco.»

«Un tempo facevo colazione anch'io così, per imitare mio zio» dissi, sfoggiando un mezzo sorriso per quel ricordo felice. «Hai mica visto Azuma?» le chiesi poi, leccandomi i baffetti di cacao sul labbro superiore.

Si guardò intorno. «No. Di solito usciamo a tempo, più o meno: strano.»

«Uhm…»

«Udite, udite!» Micaela sbucò tra le nostre spalle, facendoci trasalire. «Stanotte c'è il mitico party d'inizio anno! Volete venire?» domandò, sventolandoci un foglio a quadretti, da block-notes, sotto al naso.

Naomy glielo strappò di mano, dopodiché arricciò il naso. «No, grazie» rispose con sgarbo, buttandolo all'aria come cartastraccia.

Lo salvai io, prima che cadesse a terra.
 

DATA: DOMENICA 16 SETTEMBRE 2012

LUOGO: CAMERA 666

ORA: DALLE 21 IN POI

INVITATI: TUTTI!

Mi raccomando, raga, questo non deve assolutamente finire in mano ai prof! A presto, baci -Miky di 1^A
 

Sbattei un paio di volte le ciglia, confusa. 

Mia cugina stava girando le tavolate, per offrire quei semplici inviti a chiunque ne volesse uno. Era Chico a trasportarli nella propria foglia, seguendola.

Rivolsi lo sguardo alla mia lince azzurrina. «Tu che dici, Moni, ci andiamo?»

«Beu!» abbaiò vivace in risposta.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Con le cuffiette schiacciate nei timpani riempivo gli spazi vuoti del libro d'inglese che per me erano come esercizi di prima elementare. Ero sdraiata sul mio letto, le gambe si muovevano su e giù.

La mia coinquilina, alla scrivania, concentrava la mente su un paragrafo di storia. Non era decisamente il caso di fiatare o disturbarla.

Lasciai perdere gli esercizi, dopo un po'. Aprii il mio diario nero, con sulla copertina un Deerling forma primavera circondato da cuori e altri Deerling più piccoli. Sul fondo, nei memo, abbozzai la lista delle persone a cui potevo chiedere di venire alla festa con me:

⑴ Leila

⑵ Naomy

⑶ Elena

⑷ Jeanne

⑸ Azuma

Una di loro accetterà, no?

Saltai giù. «Leila-chaaan! Vuoi venire alla festa di stasera con me?»

La bionda mi gelò con le sue iridi diamantate. «Non mi sembra una buona idea.»

 

Dopo aver preso un respiro profondo, bussai all'uscio della 201.

Mi trovai davanti gli occhi color tè di Andrey, che mi scrutarono confusi per qualche secondo. «Nanerottola, è per te!»

«Arrivo!» sentii esclamare, insieme al fruscio di una rivista che veniva arrotolata e lo scricchiolare del materasso. Naomy s'impuntò davanti a me, neutrale, aspettando che parlassi.

Presi fiato. «Nao, vorresti ven–»

«No» decise, chiudendomi la porta in faccia.

«Uffa!» mugugnai, pestando nervosamente un piede sul pavimento del corridoio. «Sei cattiva…»

 

Elena la incontrai nell'ala est del cortile, seduta sul dondolo, in mezzo all'edera e all'odore forte di violette e gelsomini.

Dopo aver udito la mia richiesta, sorrise con un pizzico d'amarezza. «Mi dispiace, Sie, ho degli impegni stasera!»

«Cioè?» domandai, delusa.

Scoprì il contenuto della borsina accanto a lei, ossia un album di carta colorata. «Domani è il compleanno di mia nonna: vorrei spedirle degli origami a forma di Roselia e Cherrim. Mi ci vorranno ore a realizzarli…»

«Oh, capisco… Fa niente, allora.»

Segnata la X accanto al suo nome, sospirai.

 

Trovai la penultima alternativa sul tetto dopo quasi un'ora di ricerca, perché nessuno la conosceva e non avevo idea di quale fosse la sua camera. Aveva un Pokégear in mano, come se stesse esitando a formulare un numero.

«Jeanne! Amica mia!» la interruppi, forzando un sorriso a trecentosessanta gradi.

I suoi occhietti annoiati studiarono i miei. «Cosa vuoi?»

Deglutii, messa un po' a disagio. «Ehm… Miky dà una festa, stasera. Ti andrebbe di venirci con me?»

«Devo tenere compagnia ai fantasmi» mi liquidò con freddezza, dandomi le spalle per fissare il cielo.

Mai in vita mia mi sentii tanto stupida.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Diedi ancora un'occhiata alla mia lista.

⑴ Leila ╳

⑵ Naomy ╳

⑶ Elena ╳

⑷ Jeanne ╳

⑸ Azuma ?

Rimaneva una sola possibilità. Si trovava nell'ala ovest del cortile, con il libro di letteratura sulle ginocchia, cullata dagli zampilli della fontana.


Sbucai di lato, incurante di apparire una stalker. «Azu-chan?»

La ragazza sobbalzò, tuttavia senza scomporsi, per poi sollevare la testa verso di me. «Sì?»

«Dove ti eri nascosta, a colazione? Non ti ho vista!»

«Ho passato un po' di tempo con Yakumo, mia sorella maggiore.»

«Hai una sorella? Ah, non lo sapevo» risposi, rendendomi conto che effettivamente tra i grandi non avevo controllato. «Senti… Vieni alla festa di Miky con me?»

«Eh… Mi piacerebbe davvero tanto, ma…» Si tormentò le dita, in agitazione. «Ho le mie cose!»

M'imbronciai. «Bugia.»

Quasi ingoiò per sbaglio la chewing-gum e tossì. «Err… Io devo studiare!» Nascose la faccia tra le pagine, intrise del fascino degli arcaici poeti.

Eh no, Siena Kiku non si arrende così!” pensai con determinazione.

 

Il silenzio della biblioteca aveva un che di religioso, infrangibile. Un mondo a parte in cui la biondina, come di consueto, si era rifugiata per ampliare le proprie conoscenze. Ripose con cura un libro in uno scaffale, dopodiché prese quello accanto.

La rigida copertina le cadde di mano con un tonfo. «Argh!»

Dal buco il mio viso sorrideva incoraggiante. «Daaaiiii!»

Ricacciò il dizionario al suo posto, sollevando una nube di polvere secca, per coprirmi. «N-No!»

 

Azuma si sistemò i codini allo specchio. La sua immagine si rifletteva, meno nitida, anche nel muretto di ceramica.

Uno dei due nastrini, sfilatosi, scivolò sul pavimento a quadri. Si chinò sulle ginocchia a raccoglierlo. Tirata su, vicino al suo riflesso era spuntato il mio, causandole un altro piccolo colpo al cuore.

«Per favore!» la pregai, unendo le mani con uno schiocco.

Sospirò pesantemente. «Ma è davvero così importante?»

«Sì. È la prima festa dell'anno, non voglio perdermela… Sarebbe bello se ci fossi anche tu…» spiegai, mentre i miei occhi grigio perla si velavano di tristezza.

Contro alle mie aspettative, lei accennò un sorriso e addolcì i lineamenti. «E sia!»

«Aw, grazie!» La stritolai di slancio, felicissima.

 


 

Angolo Autrice
Hello!
Questo capitolo è completamente dedito ad un argomento, come vedete :) volevo farci stare anche la festa stessa, ma in quel caso sarebbe diventato troppo lungo.
Avevo promesso la bandiera d'accademia et voilà:
 
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Beh, che dire, Naomy è sempre la solita scontrosa e l'uscita di Jeanne è una delle battute migliori della storia. Inizialmente Siena avrebbe dovuto pedinare Azuma in altri posti, ma non mi sembrava il caso di farla spuntare fuori persino dal suo armadio, LOL.
Spero che recensirete! Alla prossima.
-H.H.-
 

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Capitolo 10
*** La festa d'inizio anno ***


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10. La festa d'inizio anno


Erano ormai già le nove e mezza di sera. Mi alzai dalle lenzuola azzurro fiordaliso di Azuma, squadrandola: aveva abbondato un po' con il trucco e con il profumo alla ciliegia, ma il suo abbigliamento era del tutto casual. Quanto a me, non mancavano ballerine e mantella bianca per non prendere freddo. Sul mio volto acqua e sapone splendeva un sorriso, da quant'ero emozionata.

 

«Sarà questa?» domandò la bionda, inclinando di poco il capo.

La targa “666” penzolava in diagonale in mancanza di una puntina. Al posto di mia cugina avrei avuto paura a stare in una stanza del genere o come minimo avrei fatto degli incubi, ma non c'era da dimenticarsi che lei sfidava sempre il Diavolo Rosso in persona.

«Strano. Non si sente nemmeno un rumore.»

Aperta la porta venimmo investite da un tunz-tunz para-para tunz-tunz che mi fece sussultare prepotentemente il cuore. Alcuni ballavano, altri si scolavano lattine di Coca-Cola, altri ancora parlavano e ridevano forte.

Quella stanza era grossa come due classi! Notai solo la mini TV coperta da un telo e il lettino singolo, schiacciato al muro cosicché occupasse il minor spazio possibile.

«Sienuccia!» Miky mi venne incontro. Portava una minigonna di jeans, un top lime con la scritta perlata “I'm crazy, dear!~” e delle lunghe calze a righe bianche-rosa.

«Ce l'abbiamo fatta a venire!» le dissi, con un sorriso trionfale.

«Ehm, come mai dall'esterno non si sente niente? Credevamo di aver sbagliato porta» considerò Azuma, alzando il tono per sovrastare il caos.

«Pareti insonorizzate! Sentite qua.» Mia cugina prese un grosso respiro. «La la la! LA MICHAELIS È UNA BRUTTA STREGAAAH!»

Rabbrividii alla pronuncia di tale nome. Un coretto da stadio si creò, invece, poco dopo: battiti di mani, finte voci roche, tutte in enfasi di quella frase e della supremazia della capa della festa.

Allacciò le braccia dietro la schiena, con un sorrisino angelico. «È a poche camere da questa e io posso insultarla. Non è fantastico?»

Qualcuno intrecciò le proprie dita a quelle di lei, permettendole di virare veloce in senso antiorario. «Mi concede l'onore di questo ballo?» chiese Federico, ammiccandole come un vero gentleman.

Rise. «Non esagerare, mi raccomando!»

Quando lui cominciò a farla ruotare come un Baltoy da una parte all'altra della sala, non la finì più di gridare tra le risate. La testa le vorticava e la pancia doleva a furia di ridere, ma avrebbe voluto non smettere mai.

Dev'essere bello avere un migliore amico che ti fa girare…” pensai, rammaricata. Scacciai via quella sensazione angosciante, abbandonandomi al ritmo della musica.

Azuma si avvicinò alla scrivania. C'erano patatine e lattine freddissime al tatto. Fissò una scodella piena per metà. «È succo di frutta?»

Ryder sorseggiava del ginger, appoggiato al muro. «Sì, ma non è un granché.» Il liquido carminio produsse un gorgoglio quando venne travasato da mestolo a bicchiere. «Se aggiungi questo, però, va già meglio» le consigliò, mischiandolo a un alcolico di dubbie origini, dopodiché glielo porse.

«Grazie.» La ragazza gli sorrise, impugnando il vetro ghiacciato. «Anch'io lo bevo sempre con qualcos'altro.»

 

Attorno alla sua cerchia di amici di vecchia data, dopo un po' d'alcol di troppo, Derrick finì a dondolarsi appeso al lampadario. Iniziavo a capire perché gli altri si erano rifiutati di accompagnarmi: se fosse entrato qualcuno di soprassalto, avremmo passato tutti dei grossi guai.

Scorsi anche suo fratello vicino alla banda, un po' come se fosse la loro mascotte, un cucciolo innocente in mezzo a un branco di Mankey scatenati.

Mi avvicinai a lui. «Ciao, Niky!»

«Ciao!»

«Non ti annoi solo a guardarli?» chiesi, tanto per dire qualcosa.

«Quando sarò più grande, vedrai! Ci sarò anch'io in mezzo a loro.»

Non era un ideale esattamente positivo, tuttavia l'entusiasmo con cui lo disse mi suscitò un pizzico di tenerezza. Avevamo una cosa in comune: io ero detta Piccola Kiku e lui Baby Connor. Quindi un po' ci capivamo a vicenda. Sempre all'ombra di qualcuno più importante di noi, a cui volevamo un mondo di bene e grazie al quale ricevevamo un sacco di favoritismi o avvertimenti, ma che nel profondo del cuore invidiavamo.

«So cosa intendi: anche a me piacerebbe avere la spensieratezza di mia cugina! Un giorno, forse anche noi saremo così.»

Lu annuì, sorridendo rincuorato.

 

Io e Azuma rientrammo in camera a mezzanotte e un quarto. Mi facevano male i piedi dal troppo muoverli, in gola avevo ancora il sapore fresco e il retrogusto aspro di Lemonsucco. Il battito cardiaco mi pulsava nelle orecchie, assieme a quel ritmo stupido che non voleva uscirmi dalla testa.

Non mi sorpresi di trovare Leila già dormiente, rivolta su un fianco, con Vulpix rannicchiata sopra le coperte.

Dovetti usare come appiglio il comodino anziché il suo materasso, per salire sul mio e coricarmi.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Martedì, otto e mezza.

«Adesso…» cominciò calma Eleanor, alzandosi di poco gli occhiali. «Devo distribuirvi i moduli degli opzionali.»

«Opzionali?» ripeté Cecilia, con un sopracciglio alzato in modo scettico.

Derry diede una pacca confidenziale alla spalla del fratellino. «Dai, Chicco, se c'è nuoto c'iscriviamo insieme.»

Il Baby Connor annuì, sorridente per via di quella dolce promessa.

Sotto ordine della professoressa, fu Crystal a passare per consegnare a tutti i due fogli pinzati. Impugnai il mio alle estremità, attenta a non spiegazzarlo.

 

Durante l'anno scolastico 2012-2013, agli alunni della Formation Ability Academy sarà offerta la possibilità di praticare, per entrambi i quadrimestri, le seguenti attività pomeridiane:

Martedì: Corsostacoli □

Mercoledì: Editoria informatica □

Giovedì: Educazione musicale □

Barrare l'attività desiderata. Si prega di pensarci con attenzione e riconsegnare il modulo ai docenti entro il 20/09/12, affinché i genitori possano venire informati delle vostre scelte. Non sarà possibile modificare o ritirarsi dei laboratori scelti, salvo casi particolari.

Grazie dell'attenzione.

Cordiali saluti,

Preside Robinson.

Firma Alunno/a: ____________

 

Non riuscii a nascondere lo stupore: non pensavo di dover anche firmare io! Ciò mi fece sentire responsabile, perché alle scuole medie non l'avrebbero mai permesso.

Entro poco, un sottofondo di borbottii in sovrapposizione si propagò per la classe.

Scegliere atletica sarebbe come tradire me stessa” pensai, tracciando una riga tremolante, quasi invisibile, sulla prima alternativa. “Se gli altri prof d'italiano sono come la Michaelis, preferisco non gettarmi tra le fiamme dell'Inferno.” E due. Rimaneva solo musica e francamente ne ero felice.

Naomy, china sul proprio foglio, ruppe il mio distacco dal mondo esterno: «Hai scelto?»

«Uh, sì. Scelgo musica! Te?»

Accavallò le gambe con sufficienza, tirandosi indietro la chioma. «Giornalino.»

Avendoci sentite, Francesco esclamò: «Ehi, Siena, a quanto pare sarai con noi due!» cingendo amichevolmente il collo del suo vicino.

«Oh, evviva!» risposi, con un battito di mani, mentre nel mio stomaco era come se si agitassero dei Beautifly. Quindi a entrambi piaceva musica, uhm? L'avrei tenuto presente.

Leonard incrociò le braccia, sfoderando una smorfia. «Chi ha un bianchetto?»

«Dai, Leo!» lo riprese il migliore amico, notata la mia espressione offesa. Possibile che gli stessi antipatica fino a quel punto?

 

 

La serra si trovava all'esterno e per raggiungerla passammo dal campo di calcio collegato alla palestra. Dentro la casetta di sole vetrate persisteva odore di fertilizzante misto a forti aromi floreali. Le piante erano disposte in vasi di terracotta, sul pavimento di cemento e sulle mensole bianche. Spirava aria condizionata tra uno spazio e l'altro.

Elena era partita in quarta, con Flora – la sua Bellossom – al seguito. Nicolas teneva Smog legato a un cordino rosso, altrimenti avrebbe mangiato qualcosa d'indigesto come un cactus. Miky si diresse subito ad annusare con nostalgia un'orchidea, fucsia come i suoi capelli e dalla corolla delicata come il suo busto.

«Bene» proclamò la Violet. «Scegliete un semino sul tavolo laggiù. Il bello è che saprete solo quando crescerà, di cosa si tratta!»

La mia attenzione la attirò un semino nel mezzo, piccolino, color limone crema, che raccolsi tra i palmi con un misto di curiosità e indecisione.

 


 

Angolo Autrice
Hello!
I finali appaiono sempre come spezzettamenti forzati, lo so D: sorry.
So che la festa dura due pagine e mezzo mentre il capitolo per scegliere con chi andarci quattro ^^”” *sbatte la testa contro il muro* Ma che volete farci, così è uscito u_u
Mi è piaciuto da matti scrivere il momento Miky x Federico iniziale, li amo troppo ♥
Ringrazio tantissimo chi, con pazienza, continua ancora a seguirmi! E se avete potuto leggere questo cap ringraziate una mia CARA amica che mi ha praticamente costretta ad aggiornare.
Bye!
-H.H.-
 

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Capitolo 11
*** Così tanto, così poco ***


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11. Così tanto, così poco

 

Ormai eravamo agli inizi di ottobre. Sempre meno persone si aggiravano in cortile, tra il fischio malinconico del vento e le foglie secche.
Precisamente era un giovedì e la mia testa addormentata rifiutava di formulare pensieri coerenti. Tuttavia, la zampina di Shinx che premeva sulla mia coscia mi riportò alla mente i miei doveri studenteschi.

Leila, come al solito, già non c'era. Chissà qual era l'angolo avvolto da una cortina di mistero in cui trovava la quiete mattutina.

 

Sentii un battibecco proveniente dalla 201 e non mi parve il caso di disturbare Naomy. Al momento non ricordavo il numero della stanza di Azuma, perciò mi toccò andare da sola in fondo al corridoio.

Oltre la porta l'acqua fluiva sul lavandino, accompagnata dal cigolio del rubinetto non esattamente nuovo.

«Buongiorno, Scarlett!» salutai la mia compagna, al vederla. Mi sarebbe piaciuto socializzare con lei, siccome la vedevo spesso da sola, ma non trovavo mai l'occasione adatta.

«Oh, ciao!» mi salutò di rimando. Raccolse un sorso d'acqua nei palmi, riversandoselo sul viso per sciacquarlo.

Mi posizionai nel rubinetto accanto. «Vieni sempre in bagno a quest'ora?» domandai, per rompere il ghiaccio.

«Beh, sì, quando mi sveglio presto» ammise, mentre si asciugava le mani.

Nel mentre feci una coda, con mosse veloci e imprecise, sentendola fastidiosamente molla. «Ehi, l'ho fatta bene?» domandai, voltandomi di schiena in attesa di una sentenza.

La ragazza annuì. «Sì, tranquilla!»

Ci sono così tante persone di cui so così poco…” mi trovai a pensare. Ognuno aveva le sue manie. Ad esempio Azuma la mania dei chewing-gum, Naomy quella di lavarsi sempre i denti… Anche Scarlett, forse, aveva una piccola ossessione? Chissà se l'avrei mai scoperto, questo pensai, guardandola andare via dopo avermi rivolto un mezzo sorriso di saluto.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Shin – la Misdreavus di Jeanne – comparve ghignante a due millimetri dal musetto del mio Shinx, per poi approfittare del suo smarrimento per leccargli il pelo a mo' di un gelato.

«Sheeeee…» soffiò lui, non appena il suo manto si fu rizzato come una saetta a ciel sereno.

Mi frapposi tra i mostriciattoli in ostilità, con un sorriso tirato. «G'day, amica mia!»

L'albina sbatté le ciglia con estrema delicatezza, capacitandosi del mio tempestivo arrivo. «Ah, sei tu. Ciao.»

«Sai mica cosa c'è d'altro, stamattina?» le chiesi, sedendomi sulla panca.

«Focaccia» risposta, svogliata. «Quel ragazzino l'ha immersa nel latte…» Assottigliò gli occhi in direzione di Nicolas, perché nella sua tazza galleggiava un pezzo di focaccia unticcio.

Arricciai il naso. «Sarò io schizzinosa, però dai, dolce e salato no! I Connor hanno dei gusti strani…» commentai, a bassa voce.

Il tintinnio della porcellana cozzata ai cucchiai accompagnava il chiacchiericcio nella sala e le briciole, chissà come, riuscivano sempre a sparpagliarsi lungo il pavimento.

La ragazza di Johto diede un morso al proprio wafer, sporcandosi di cioccolato accanto alle labbra. «Chissà se Angelo ha già fatto colazione…» borbottò, con un pugno piegato sulla guancia.

«Eh?»

Liquidò l'argomento con un gesto del dorso della mano, elegante quanto una lady francese. Jeanne non era la sola, assieme a Leila, ad avere un amore segreto?

 

Il mio disegno di Pikachu non mi piacque, alla fine: era uscito con gli occhi più grandi del muso e le zampette anteriori più simili a tentacoli. La mia vergogna.

Quello di Naomy aveva dei tratti correggibili, più un tocco personale. Che, a quanto pareva, non era stato preso in considerazione.

Strinse l'opera in maniera convulsa. «Plusle, se non mi avessi rovinato l'altro…!»

Il Pokémon Incitamento corse a nascondersi dietro uno zaino, timoroso di ricevere un'altra punizione.

«Sei al sette è più o meno di sei e mezzo?» chiesi innocentemente al mio amico.

«Ehm… Credo siano quasi la stessa cosa!» rispose, reggendomi il gioco.

Sapevamo entrambi che non era vero, ma volevamo consolare Naomy. Sia lui che Leonard avevano preso un voto alto: lo dedussi dal verde smeraldo in cui erano scritti. Vidi chiaramente il dieci di Chiharu che sbatteva le ciglia con leggera sorpresa, impugnando il foglio.

Il mio sei e mezzo, invece, era di uno scurissimo arancio.

Rivolsi a Nao un sorrisino solidale. «Beh… Se ti consola, abbiamo preso praticamente lo stesso voto!»

«No, non mi consola, ma grazie per il tentativo.»

Sospirai.

Non vedendo Moni vicino a me girai l'occhio per poi scorgerlo vicino alla porta, in compagnia di Chico. Da quelle parti, Miky esultava come una fan che ha appena ottenuto i biglietti per il concerto del suo idolo.

Poco distante, Achille batteva le mani sotto l'incredulità di Elena. «Te l'avevo detto che, con l'arcobaleno, avrei fatto colpo!»

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Un senso di ansia mi attanagliava lo stomaco. Erano le nove e quaranta. Avremmo dovuto scendere in palestra. Cioè ammazzarci in una corsa senza scopo, flessioni, esercizi di resistenza…

Tutto quando Torein avesse varcato l'ingresso, aperto, da cui proveniva il vocio indistinto delle altre prime.

Feci una corsa fulminea da mia cugina. «Ti prego, dimmi che non c'è il prof!» le dissi unendo le mani.

«Sembra di no…» rispose lei, con qualche secondo d'attesa, per poi mettersi ad agitare le braccia e canticchiare dalla felicità.

«Donna pazza!» Derrick si spiaccicò una mano in fronte. «È una tragedia!» esclamò, respirando profondamente, con l'espressione di chi non ha abbastanza ossigeno.

«Una tragedia fantastica!» replicò l'altra, condizionata dall'euforia generale.

 

La professoressa che ci prelevò si chiamava Stella Montgomery, insegnava nelle sezioni C e D di tutte le classi. I suoi capelli scuri erano tinti qua e là di ciocche rubino e il suo sorriso splendente riuscì quasi a contagiarmi.

«Gino non c'è, perciò venite giù a fare pratica con la mia classe!»

Al suo annuncio partirono dei gridi d'approvazione e al contempo degli sbuffi infastiditi.

 

Mi staccai dal braccio di Azuma non appena scorsi la treccia di una bionda, di schiena, che passava inosservata al resto del mondo. «Leila-chaaan!»

Sobbalzò, come se avesse appena scorto un fantasma dove invece c'ero io. «… Siena? C-Che ci fai qui?»

«Facciamo supplenza con voi» annunciai, sorridendo emozionata. Scorsi velocemente una serie di facce sconosciute, fino a trovare proprio quella che cercavo, sicura di non sbagliarmi. «Ah-ah!»

Leila mi andò davanti, a braccia allargate in segno di protezione. «C-Cosa vuoi fare?!»

«Voglio conoscere il tuo amico. Quello che si siede sempre vicino a te, in mensa…»

I suoi lineamenti facciali s'irrigidirono più della pietra. «Non è una buona id–»

Troppo tardi, ero già partita verso di lui. Aveva una zazzera di capelli mori, in completo disordine, che tuttavia gli davano un'aria fascinosa. Gli occhi invece erano minuscoli e velati di rassicurazione.

Gli picchiettai la spalla. «Ehi, ciao!»

Si girò, mostrandomi un sorriso ammaliatore. «Ciao. Ci conosciamo?»

«Non ancora. Sai, sono la compagna di stanza di Leila. Sei tu il suo amico, vero?» domandai, con innocenza.

Shinx, intanto, zampettò accanto al lupetto blu dalle orecchie penzolanti di proprietà di quel ragazzo.

«Oh, sì: mi ha parlato di te, Siena. Piacere, Fabiolo Ishikawa!»

Gli strinsi forte la mano. La biondina, da lontano, mi guardava con un misto di rimprovero e ansia, occupata in un disperato andirivieni.

Squadrai il suo abbigliamento con indiscrezione. «Ma dov'è la tua bandana?» chiesi poi, del tutto indiscreta.

Lui si alzò un poco i pantaloni, lasciandomi intravedere il fazzoletto legato con maestria al polpaccio.

«Bella trovata!»

Trascorsi l'ora accanto a Leila, sotto le facce neutre dei miei compagni: a quanto pareva, ero l'unica ad avere un'amica della 2^D e ciò mi fece sentire un po' importante.

La maggior parte dei Pokémon che vidi in combattimento erano al secondo stadio… “Chissà se anche tu l'anno prossimo ti evolverai” pensai, scoccando al mio leoncino uno sguardo pieno d'affetto.

 


 

Angolo Autrice
Hello!
Come stanno venendo i capitoli non mi piace, li sistemerò, prima o poi. Ora preferisco guardare verso il futuro, come mi hanno detto °-°
Ringrazio chi continua ancora a seguirmi. Sono un po' delusa dalle visite, comunque, dato il successo iniziale della fic :c
Nuovi OC: Fabiolo Ishikawa di Lady Mary. Non mi sono state date molte info sul suo carattere e spero di non aver sbagliato :o
Ora vado: alla prossima!
-H.H.- 
 

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Capitolo 12
*** Rivalità musicale ***


Distance: doesn't matter.

12. Rivalità musicale


 

Soffiai dentro il mio flauto dolce, per assicurarmi dell'assenza di polvere.

Azuma mi aspettava davanti alla 207, paziente: immancabili codini, flauto tra le mani chiuse a pugno e Kira accanto.

«Allora, dove si va?» le domandai, con entusiasmo.

«Eh, non lo so… Pensavo lo sapessi tu» mi rivelò con pacatezza.

«Cosa? E ora come facciamo?»

«Non è una tua amichetta, quella?» chiese, in direzione di un'albina che avanzava nell'apertura che collegava i corridoi, tanto spedita e precisa da dare l'impressione di non avere i piedi.

«Ehi, fermati!»

I suoi leggeri passi si arrestarono al mio richiamo e appoggiò con delicatezza la custodia di pelle del suo prezioso violino. «Cosa c'è?»

«Stai andando a musica, vero?» domandai, incrociando le dita per speranza.

Lei annuì di getto.

«Puoi accompagnarci? Non sappiamo qual è l'aula.»

Ci rivolse uno sguardo penetrante, mentre Shin appariva e scompariva alle sue spalle. Fece infine un distratto cenno col dorso della mano, invitandoci a seguirla.

 

L'aula musica si trovava in diagonale all'entrata per il tetto. Dentro, la moquette era setosa e dura. Un calendario decorava il muro, con accanto un mobile d'acciaio e un orologio a pendolo dalle sembianze di Hoothoot. Vidi uno xilofono, dei tamburi, una tastiera collegata alla presa e un pianoforte girato verso il muro. La cattedra brulicava di fogli volanti, più il registro e un portapenne a circonferenza.

Scorsi Leonard, notando accanto alla gamba di plastica della sua sedia una chitarra ben tenuta. Francesco e il suo Piplup, che lo affiancavano, stavano entrambi studiando con attenzione uno spartito per il flauto. Nell'angolo c'era un nostro compagno inavvicinabile, di cui non ricordavo il nome, ma ero sicura che fosse il vicino di banco di Chiharu.

Davanti al pianoforte e che poteva guardare bene il resto della sala c'era Scarlett. Afferrai il colletto della camicia di Jeanne, costringendola a sedersi sul gradone accanto ad Azuma, anziché isolata in fondo. Pregai che attaccassero discorso, mentre mi dirigevo dalla ragazza intenta a esercitarsi su un brano.

«Ehi!» la salutai, agitando lievemente la mano. «Non sapevo fossi una pianista.»

Mi rivolse un sorriso. «Sì, prendo lezioni da tre anni. Mio padre è un direttore d'orchestra.»

«Wow, è davvero fantastico!» commentai, impressionata. «Io ho studiato da sola, ma ho sempre avuto tastiere, mai pianoforti…»

«Dillo alla Merodi» mi consigliò con gentilezza. «A quanto ne so, manca un tastierista quest'anno!»

Annuii contenta, ma prima che potessi ringraziarla entrò di corsa proprio la Merodi, con il mini-Liepard attaccato al suo zaino che sbatté sulla tasca davanti. «Scusate il ritardo, ragazzi!»

Mi ero già abituata al suono di quella frase frettolosa che, se non erravo, aveva già ripetuto in un'infinità di lezioni.

«Ora vi accordo tutto, poi vado a fare le fotocopie del brano che proviamo oggi…»

Subito si creò una fila davanti alla cattedra. Andarono anche Jeanne e Leonard, sembrando un po' in disaccordo su chi dei due dovesse stare ultimo, date le smorfie e gli indietreggiamenti.

«Prima le donne!» sostenne il biondino, spingendola in avanti.

Distolsi la mia attenzione da loro, osservando la tastiera. Avevo una voglia irrefrenabile di alzarmi.

 

Voglia che soddisfai quando Monica abbandonò momentaneamente la stanza. Tutti si alzarono, perciò perché non potevo farlo anch'io?

Presi per mano Azuma: mi vergognavo a passare davanti agli sconosciuti da sola. Fu come se non ci avessero viste, per fortuna.

«La sai suonare?» le chiesi, ansiosa.

Scosse il capo, fissando il trio di spartiti sul leggio.

«Io sì, un po'!» Lasciai correre la dita di una mano sola, fulminee e precise, in degli Arpeggi d'un allegria meccanica.

La bionda intonò sottovoce le note, con un po' di sforzo: «Do, sol, mi, sol; do, sol, mi, sol…»

«La conosci?» domandai, sorpresa.

«No no!»

«E allora come…?»

«Sai, ho l'orecchio assoluto» rivelò, posandosi l'indice sul lobo. «Quando sento un brano, riesco a ricordarmi tutte le note e a ripeterle.»

«Wow, che forte!» esclamai, eccitata da quella scoperta.

«Sai, Azuma, sei davvero fortunata» commentò Scarlett, poco distante, che evidentemente ci aveva sentite. «Pagherei per avere un dono simile!»

«Spostati, Serena.» Proprio allora il braccio brusco di Leonard mi scostò. Restai a fissarlo frastornata, mentre si concentrava sullo strumento, serio, prima di cominciare a premere dei tasti vicini in modo insicuro.

«Sol, sol; la, la; mi, mi; sol…» borbottò Azu, attenta a non perdere nemmeno una nota.

Aggrottai un sopracciglio: era la canzoncina ridicola che ci rifilavano a danza all'asilo. «Il ballo dei Ducklett…?»

L'anulare di Leonard, sul finale, premette un si anziché un do alto. Imprecò con nervosismo, dando un pugno che fece tremare il cavalletto.

«Mirou suona meglio» ridacchiai. L'Acquatopo picchiava la codina a forma di galleggiante su un tamburo, a turno con la stellina a quattro punte di Moni. Il fatto che quei due andassero d'accordo era un punto a favore per la sottoscritta.

«Ti credi simpatica o semplicemente scema?» mi sfotté lui di rimando, ad alta voce. «Con questo gioiellino si fa vera musica!» affermò, mettendo a tracolla la chitarra arancio fiamma, con qualche dedica di pennarello.

Storsi la bocca e incrociai le braccia. «Questo lo dici tu! Sfida?»

Quando si avvicinò pericolosamente a me, il mio cuore batté all'impazzata. «Affare fatto, Serena

Coordinò veloce dita e plettro in una melodia, moderata, che dava un'idea di vivacità d'altri tempi.

Scrollai il capo, scrocchiai le dita e risposi con una nenia spagnola, veloce, che espanse un alone di mistero aleggiante per la sala, come se ci trovassimo in una giungla buia.

Non aspettò neppure che finissi per sovrapporvi alcune note rock energiche, pesanti come martelli.

Pokémon e compagni restavano muti, l'attenzione su di noi. Jeanne pareva quasi interessata, mentre Scarlett ci fissava a bocca aperta pregando dentro di sé che non venissimo scoperti.

Gonfiai le guance mentre chiudevo gli occhi e cambiavo in una serenata classica, sempre rapida, premendo i tasti quasi con nervosismo.

Ormai non si distingueva più nulla, ciascuno suonava ignorando il mondo. Un ticchettio acuto sopra degli accordi senza intervallo.

La Merodi spalancò con impeto la porta. Aveva gli occhi strabuzzati e le braccia allargate. Ci fermammo di colpo e stringemmo i denti, aspettandoci una ramanzina di quelle che non si scordano più. «… Bravi, fenomenale!» ci elogiò invece con commozione. «Voi due siete nati per suonare insieme

Sussultai leggermente, mentre Leonard spalancò la mascella, balbettando un: «C-Cosa?!» scandalizzato.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«Sicura che l'hai lasciata là?»

«Sì sì» confermò Naomy. «Oggi pomeriggio.»

I nostri stivali pestavano il pavimento a ritmi diversi. Non c'era anima viva nella hall, ma se avessi chiesto a Jeanne avrebbe sostenuto di sicuro che ce n'erano di non vive.

«Speriamo che il vento non l'abbia portata via.»

«Già. La Carter ha detto che darà una nota a chi perde quelle stupide, insulse bandane» sibilò, alzando gli occhi al cielo scuro.

Eravamo giunte al portone, che lei aprì con cautela; il cigolio stridulo si prolungò qualche attimo di troppo nell'assoluto silenzio. Stavamo rischiando grosso, ma la mia amica sarebbe finita ugualmente nei guai il giorno dopo senza la bandana. Per una volta che mi chiedeva un favore, non potevo rifiutarmi.

Strinsi di più il nodo alla mia, come fosse uno scaldacollo di lana. «A me piacciono. La mia non la tolgo mai, nemmeno per dormire, a volte!»

Accennò una risata. «Wow

 

Recuperammo il suo fazzoletto, infreddolito sulla panca di granito nell'ala ovest del cortile.

Avevo paura che una figura incappucciata potesse tapparmi la bocca e portarmi via, come nei film di spionaggio. O che succedesse ciò al mio Moni, che ci seguiva coi padiglioni tesi. Le zampette giallo-rosse di Plusle, pavido, stringevano la testa della padroncina.

All'improvviso, sentimmo un fruscio scoppiettante, simile allo spostamento di bolle da imballaggio.

Il mio cuore saltò un battito, perché avrebbe dovuto esserci un silenzio tombale, a quell'ora di notte.

Naomy si girò meccanicamente verso di me, mantenendo un piede più avanti dell'altro. «Cos'era?»

Il mio felino rizzò la coda verso sinistra.

«Moni dice che viene da lì… Andiamo a vedere?»

«Okay. Ma se è un ladro vero, io me la do a gambe» avvisò, schietta.

Mi piegai, come quando eseguivo dei passi di danza classica, per avanzare verso il portico di nord-ovest.

Ci aggrappammo al pilastro. La blu, abbassandosi un poco, guardò di sottecchi.

«È arrivato quello che aspettavi?» chiese una ragazza, dalla chioma mossa e i boccoli lucenti. Distinguevo il profilo del suo naso a patata, appena più schiacciato del normale.

«Penso di sì.» L'altra figura, bassina, frugò nello scatolone. «Sì!» Sorrise al buio, la sua emozione era ovvia.

«Ehi, ma quello è il fratello di Federico!» borbottò Naomy. «E l'altra è Anastasia, una nostra compagna!»

«Ah sì?»

Annuì, indicandoli con un cenno del capo. «Ssh, sentiamo che dicono!»

Lui infilò le mani in tasca, ciondolando un po' sui talloni. «A te?»

La moretta batté le mani, piano. «Sì! Proprio quella che ho ordinato!»

«Chissà di cosa parlano…»

La mia migliore amica, dall'altro lato, rispose ironica: «Forse il Piccolo Connor ordina illegalmente droga a nome di Derrick, che la spaccia in tutta la scuola!»

«Potresti aver ragione, eh! I Connor sono imprevedibili. E Anastasia?»

«Spaccerà… Vestiti, per Cecilia! Ahahaha.»

Risi anch'io, piano però.


 

 

Angolo Autrice
Hello!
Ci tenevo a specificare che “Il ballo dei Ducklett” sarebbe “Il ballo del Qua Qua” ma siamo nel mondo dei Pokémon, quindi l'ho adattato XD
Anche se è abbastanza ovvio che a Siena piaccia Leonard, come vedete il loro rapporto non è tutto rose e fiori, anzi. Comunque mi ha fatto spuntare un sorriso scrivere di musica opzionale, ricordando le ore passate alle medie in quella stanzetta piena di strumenti che ho cercato di descrivere... E ricordando i momenti in cui la prof doveva lasciarci da soli e ovviamente tutti si davano alla pazza gioia.
Domani pubblicherò i DUE capitoli di Halloween, perché ci tengo alle date.
Spero che questo vi sia piaciuto e a domani!
Alla prossima.
-H.H.-
 

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Capitolo 13
*** Affetto che non sfuma ***


Distance: doesn't matter.

13. Affetto che non sfuma

 

Era il 28 ottobre. Giacché spirava dell'aria non esattamente calda avvolsi le braccia attorno al collo peloso e morbido del mio leoncino. Così attraversai l'apertura che collegava i corridoi, la cui breve scalinata all'estrema sinistra conduceva al secondo piano.

Arrivata nell'ultimo, il mio cuore per poco uscì dal petto.

«Ma che…!» borbottai, al vedere mia cugina. Portava sul capo un cerchietto con due orecchie da Porrloin e grazie a un pennarello spesso si era disegnata tre baffi per guancia e un pallino sul naso.

«Voilà!» Girò su se stessa, con eleganza. «Ho anche un bel vestitino aderente per la festa di domenica di Derry! Sarà da paura.» Agitò su e giù le dita in enfasi del concetto.

«Oh, non sono stata invitata.»

«Cooosa?» domandò, sporgendosi dalla mia parte mentre continuavamo a camminare.

«Tanto non so se sarei andata, non ho nessun costume!»

«Non è obbligatorio! Vieni, e dai» mi pregò sbattendo le ciglia in cui, mi accorsi, l'eyeliner era applicato con abile leggerezza.

«Domenica vedrò…»

 

Stetti vicino a lei a colazione. Ordinò una doppia scodella di latte freddo per immedesimarsi nel ruolo gattesco, che avrebbe mantenuto nei successivi tre giorni. Ogni tanto qualcuno le rivolgeva uno sguardo stranito, per poi distoglierlo subito.

«Fossi in te sarei un po' in imbarazzo» le dissi, con sincerità.

Alzò la bocca dalla ciotola e diede una leccata ai finti baffetti. «Ricorda: non deve importarti cosa pensa la gente.»

Uno scatto fulmineo seguì delle labbra sensuali accostate al suo orecchio: «Corre voce che, il 31 ottobre, tutti gli spiriti dei professori più cattivi e severi vadano alla ricerca degli alunni che non si comportano bene…» Qualcuno le alitò sul collo, facendole salire brividi scaltri come migliaia di Spinarak. «Come Micaela Kiku, ad esempio» bisbigliò poi puntandole un coltellino alla gola, che circondò con un braccio.

Lei deglutì e girò lentamente il capo. «Derry!» esclamò, alzandogli la maschera di carta da squartatore, con solo due fori per la vista.

«Ti sei presa un colpo, eh?» chiese il sedicenne, sfiorando la sua guancia con l'arma di plastica.

«Uh, guarda! Una ragazza sexy in bikini!»

«Dove? Dove?»

Chico colse l'occasione per afferrare la ciotola coi denti davanti, rovesciandone metà sopra la divisa del ragazzo. La padrona completò l'opera, cosicché anche l'ultima gocciolina gli appiccicasse i capelli al capo.

«Ehi, tesoro!» sbraitò ironico il castano. «In teoria quello andrebbe bevuto, non usato per fare la doccia agli altri!»

Risi sonoramente, mentre la rosa gli faceva la linguaccia. Avevano un rapporto meraviglioso, quei due.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Trascorsi il pomeriggio nella camera di Elena, la 297. Sulle pareti erano dipinte rigogliose ramificazioni che s'intersecavano. Il copriletto di sopra, cioè il suo, era di tulle e nell'aria aleggiava un acre odore di Vinavil.

La rossa si sfregò i palmi. «Ti insegno a fare i peluche a mano, come mi hai chiesto. Dai, dimmi un Pokémon!»

«Uhm… Woobat, visto che Halloween si avvicina!» decisi, infine.

«Oh!» esclamò, battendo le mani. «Hai scelto un modello non molto semplice, contenta?»

Quasi cascai a terra. «… Tantissimo!»

 

«Ha il naso spastico, ti dico.»

«Ma no, dai!» La risata argentina della ragazza rimbalzò tra le quattro pareti come una palla. «Non è così brutto.»

«Anche l'ala destra è spastica» sostenni con fermezza.

La rossa afferrò il pompon alle estremità e me lo agitò davanti alla faccia. «Dì ciao alla tua creazione!»

Mi sentii assai stupida. «Ciao, pipistrello dal naso spastico!»

Rise di nuovo. «Perché non gli dai un nomignolo? Sarebbe carino» propose, muovendogli le alette come un burattino di legno.

«Lo chiamerò Mister Kori-Miro!» inventai, con uno schiocco di dita.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Il giorno della fatidica festa delle streghe ero in camera mia, come se aspettassi l'arrivo di qualcuno che non doveva arrivare.

Sfoggiai un sorriso troppo grande, mentre la zampetta del mio felino tastava il corpo senza vita del peluche.

Erano le dieci e un quarto di sera. Blues, sul materasso inferiore, era sommersa da penne e quaderni. Regnava odore di mina consumata, la temperatura nella stanza sembrava più abbassata della norma.

«Leila?»

«Uhm?»

«Qual è il tuo colore preferito?» domandai, lasciando sprofondare le mani sulle guance. «Il mio è il bianco: le nuvole sono bianche, anche il latte e la panna.»

La sua attenzione si concentrò alla mia domanda, anziché sulla seconda coniugazione di verbi francesi. «Il bianco è un colore puro e soffice…» abbassò il tono. «A me piace il blu, perché è profondo e misterioso, come se non se ne potesse mai arrivare all'origine.»

«Wow» mi sfuggì, in un mormorio. «Il blu, per me, rappresenta il mare.» Quando chiusi gli occhi mi osservò di sfuggita. «Mare, tramonto, schizzi, risa. Orocea.»

Calò il silenzio. Ma non un silenzio imbarazzante e opprimente, più che altro un silenzio di voluta armonia.

Tutto finché la luce non saltò a scatti. Un ululato, lontano o vicino non seppi dire, accompagnò uno spiffero proveniente dal corridoio che, chissà come, aveva oltrepassato l'uscio.

«Oddio» squittii. Shinx si mise sull'attenti, afferrando Mister Kori-Miro con i denti, non saprei dire se per proteggerlo o sacrificarlo in caso di un attacco. Nessuna delle due provò a cliccare l'interruttore.

La copertina del librone di Leila si chiuse di botto e illuminò il proprio viso in penombra grazie al Pokégear. «Correva l'anno 1996» bisbigliò, a velocità tale che sembrò uno scioglilingua o l'incantesimo di una strega.

«Uhm?»

«Denise Hamilton. Sedici anni. Mandata qui spontaneamente.» Vedevo di sfuggita solo i lenti movimenti della sua bocca. «Piena di amici, la ragazza altruista che sognava di allestire un ranch per i Pokémon malati. Sui suoi occhioni grigio glicine non c'era mai traccia di tristezza.»

Come i miei…” Deglutii. «Cosa le successe?»

«Fu trovata priva di vita il 31 ottobre 1996 nella propria camera, la 567» smorzò il tono, dopo un colpetto di tosse moderato. «Regarde, la sua Gardevoir, era andata a riprendere la bandana che lei aveva dimenticato nell'aula di scienze. Tornata, vide il corpo steso sul pavimento. Freddo

Un brivido di ghiaccio risalì la mia spina dorsale.

«Lasciò cadere la bandana, sgomenta. Alcune voci dicono che abbia sorpreso l'assassino ma fosse troppo scossa per attaccarlo. Si cercarono indizi per i due anni successivi, durante il quale Regarde non smise di aggirarsi nei corridoi con la speranza di scorgere il viso sorridente della sua Denise, che fosse stata tutta un'illusione. Nel 2002 il caso venne archiviato come irrisolto e la sua compagna sparì nel nulla.» Prese un silenzioso respiro. «Tuttavia, qualche alunno dell'ultimo corridoio sostiene di sentire ancora il suo stridulo lamento scandire il nome della ragazza, durante le notti di plenilunio.»

A gambe incrociate tremavo un po', stringendo Shinx al petto. «Che storia…»

Balzata giù, infilai le mie pantofole rosa, con sul davanti un Minccino e un cuoricino giallo. «Idea! Perché non scopriamo se esiste davvero?» domandai, alla ricerca della mantellina nell'armadio, per metterla sopra al pigiama.

«Ma…»

«Conosco la persona che, di sicuro, ci aiuterà!» dissi con un battito di mani, come per incitarla. «Coraggio, Leila!»

Attese qualche istante, prima d'infilarsi una larga felpa blu e svegliare Vulpix così da assorbire il calore che il suo manto, più lucente di un rubino, emanava.




 

Angolo Autrice
Hello!
Questo capitolo doveva essere l'unico su Halloween, ma penso sia meglio dividerlo: pensavo di pubblicarli entrambi oggi, tuttavia ho cambiato idea.
Comunque, il titolo si riferisce al fatto che Regarde non ha mai smesso di cercare Denise. Avete idea della persona a cui si rivolgerà Siena?
Spero che recensirete e mi scuso per gli aggiornamenti, tutto d'un tratto, lampo! Un grazie speciale a superpoltix che, da brava bimba, sta recensendo tutto. E grazie ovviamente anche AnaDarkLady97: l'unica lettrice spontanea della storia nonché più fedele
Ora vado e… BUON HALLOWEEN!
-H.H.-
 
 

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Capitolo 14
*** Paranormal peluche ***


Distance: doesn't matter.

14. Paranormal peluche

 

«Jeanne! Sono Siena!» bisbigliai.

Un cigolio esasperante segnò l'apertura di pochi centimetri della porta.

La candela sulla scrivania emanava una fiammella tremolante, grazie alla quale le ombre del lettino e del violino venivano proiettate sul pavimento. La collezione di foto incollate alle pareti senza ordine sembrava essere il portale per il mondo dei ricordi di Jeanne. Gli scacciapensieri, un po' ovunque, tintinnavano grazie agli spostamenti impercettibili del vento.

L'albina sedeva su una sedia intrecciata in vimini, dinnanzi al calorifero, con il gomito schiacciato sul davanzale della sua finestra. «Cosa c'è?» chiese, senza distogliere lo sguardo dalla luna che trasudava candore.

«Stanotte caccia ai fantasmi.» Presi una boccata d'aria, che sapeva di frescura serale e cera bruciata. «Tu sei un'esperta: chiediamo il tuo aiuto!»

Appoggiò i piedi nudi sulla moquette e si stropicciò la vestaglia, lunga fino alle ginocchia. «Perché no.» Stese le labbra piccoline in un sorriso, un po' tetro. Pensandoci, era forse la prima volta in assoluto che la vedevo sorridere.

A quel punto, sentii una lingua appiccicosa percorrermi dietro al collo e mi paralizzai, attraversata da un brivido.

«Shin!» al richiamo di Jeanne, la colpevole l'affiancò immediatamente con un sorrisino irrequieto sulla bocca.

 

«Leila, Jeanne. Jeanne, Leila!» Spinsi le due più vicine, con la speranza che socializzassero quel minimo indispensabile.

La bionda la penetrò con lo sguardo. «Ciao.»

«Ciao.»

Si fissarono un minuto buono senza sbattere le ciglia o muovere i muscoli.

«Ehm… È un inizio!» ottimizzai, un po' a disagio. «Chi ha una torcia?»

Due flash chiari, provenienti dai loro polsi, accecarono in contemporanea il mio viso. «Beh, bene, possiamo andare!»

Queste due si somigliano più di quanto credono!

«Uh, Jeanne, ti presento Mister Kori-Miro! Viene anche lui» annunciai poi, strappando il pompon dalle piccole tuttavia pericolose fauci di Shinx.

La primina asociale alzò un sopracciglio, imperterrita, chiedendosi forse che tipo di problemi avessi.

 

«Ci troviamo a pochi metri dalla festa di Derrick, lo sapete?» chiesi, in testa alla fila.

Leila storse il naso. «Non ci sono rumori» considerò senza esitare.

Scrollai le spalle. «Avrà anche lui le pareti insonorizzate, credo.»

L'ultimo corridoio era largo e lungo quasi il doppio degli altri tre, poiché non c'erano i bagni e le docce in fondo.

Jeanne, stretti i pugni, si arrestò. «Avverto una presenza» sussurrò e il suo dito indicò l'uscita collegata al pian terreno, a quello inferiore e al secondo.

Scambiai un'occhiata d'intesa con la bionda di Johto: lasciammo all'albina l'onore di avanzare, come le sensitive che si vedono nei programmi di misteri.

 

Gli occhi vacui di Jeanne sbatterono, di colpo. «Lei è qui. Ci sta osservando» parlò, afona, rivolta al muro di sinistra.

Leila fu la prima ad avanzare, solenne. «Mostrati a noi, Regarde.»

Attesi con un pizzico di adrenalina in circolo, anche se il mio lato pauroso pregava che non succedesse nulla dimostrando la falsità della leggenda.

«Sheeeen!» mugolò Moni, allarmato.

Al girarmi soffocai un grido. «Oddio, il mio peluche è vivo!»

Mister Kori-Miro sbatteva gli arti sopra le nostre teste, cerchiato da un alone azzurrino come un soffio invernale. Il suo naso risplendé di rosso luminescente, dopodiché spiegò al massimo le ali.

Fissai i suoi occhietti realizzati con un filo sottile e, d'improvviso, mi parve che la sua espressione ricordasse un Houndoom rabbioso. Avevo creato un mostro?

«Dee-Dee Deniiise…» tale gemito, capace di cullare come una nenia, mi distaccò dalla realtà.

Vidi una scena appannata. Si trattava del momento in cui Gardevoir sentiva emettere alla padrona l'ultimo verso strozzato, prima che il suo cuore cessasse di battere. Lacrime, che bruciavano come sale sulle ferite, inondavano il suo muso bianco. La ragazza distesa riscontrava una verosimile somiglianza con me negli occhi e nella forma del viso.

Sei tornata, Dee-Dee…” parlò sempre nella mia testa, in modo talmente rassicurante da suscitare inquietudine. “Sapevo che saresti tornata, un giorno…

Non riuscivo a muovere le labbra. L'immagine dello spirito si materializzò sopra il peluche immobile in aria, lieve tuttavia visibile, davanti alla mia faccia. Lacrime di felicità le facevano capolino ai lati degli occhi. Si stava lentamente avvicinando a me, ancora immobile, trascinandomi verso l'alto…

La voce determinata di Leila si sovrappose a quella perentoria di Jeanne: «Protezione!»

Vulpix e Shin crearono un doppio scudo che, espandendosi, liberò il mio corpo sospeso da un vincolo. Sbattei il sedere a terra e presi coscienza di ciò che era successo. La mia testa, alleggerita come un palloncino, implorava pietà.

«Io… Non sono lei, mi dispiace…» farfugliai, sentendo una profonda angoscia dentro.

Regarde, allibita, non si mosse. Mi osservò più attentamente, dopodiché la delusione prese il posto della confusione.

Leila mi aiutò a rialzarmi. Moni strusciò la pelosa guancia sulla mia gamba, sollevato che ne fossi uscita incolume benché un po' sotto shock.

«Ti senti sola, non è vero?»

Rizzammo tutti le orecchie alla frase di Jeanne, girata di schiena.

«So come ci si sente.»

Lo spirito tacque ancora, leggermente dominato dallo stupore.

«Scriverò un articolo, a giornalino, su di te. Dirò di non avere paura» promise, schietta. «Se vuoi compagnia, stanza numero 100.»

Regarde mostrò un sorrisetto mesto, di chi ha ritrovato la pace. «Ti sarò grata» parlò soave, dissolvendosi lentamente in una nebbia di mistero.

La calma e il silenzio regnarono.

«Denise fu uccisa da una malattia al cuore, voluta dal destino: era un'anima troppo pura per appartenere a questo mondo» sentenziò Jeanne, che evidentemente sapeva qualcosa in più di tutti noi.

«I Gardevoir non perdono mai la fedeltà nel loro proprietario, buono o cattivo. Neanche dopo anni e anni» sussurrò Leila.

«Adesso è più felice. Sono contenta per lei. Sono contenta per te, Regarde!» ripetei gioiosa.

Dalla 600 provennero un verso infastidito e delle coperte che frusciavano. «Cos'è questo fracasso?» mugolò la voce assonnata di Evageline, come un felino in dormiveglia interrotto.

«Oddio, ho svegliato la Michaelis!» borbottai nel panico. Dovevamo cercare una via di fuga, poiché il coprifuoco era stato superato da più di un'ora. «Di là!»

Afferrai le mani di entrambe, spalancando e richiudendo la porta della 569.

Entrate, il tunz-tunz para-para tunz-tunz uguale all'altra volta c'investì come un treno ad alta velocità. Festoni di cartapesta brillanti, arancio-neri, giravano attorno ai mobili. La gente dal viso sepolto sotto trucco e maschere ballava.

«Sienuccia!» trillò Miky, nel suo immancabile completino da Pokémon Furbizia. «Sapevo che non ti saresti persa il divertimento per niente al mondo! Chi sono le tue amichette?»

Jeanne e Leila, imbronciate, regredirono di un passo.

«Amiche, care amiche» sottolineai.

 

La bionda emise un respiro, profondo quanto la gola di un dirupo. «A una festa di Halloween.»

«In pigiama» proseguì l'albina, tanto comoda nella sua vestaglia più bianca della neve.

«Oltre il coprifuoco.»

«Davanti a tutti.»

Le due si abbandonarono contro il muro, dopo un contemporaneo sospiro di rassegnazione.

Dopo poco un ragazzo si avvicinò a Jeanne. Troppo vicino, per i suoi gusti.

Gli mostrò un sorrisetto macabro, mettendo in vista la dentatura trasparente. «Ehi, sai qual è il colmo per una lattina? Trentatré centilitri!» disse, ispirata dalla Coca-Cola che quello teneva in mano.

Lo sventurato si guardò in giro, frenetico, prima di allontanarsi a passi larghi.

Invece la secondina si voltò di scatto, interessata. «È una tattica per la solitudine, uhm?»

L'altra annuì con un cenno del capo.

«Sembra efficace. Dovrei provarla.»


 

 

Angolo Autrice
Hello!
Inizialmente volevo pubblicare entrambi i capitoli di Halloween insieme, ma ho pensato che non fosse il caso.
Va beh! Spero che vi piaccia, a me sembra un po' incompleto.
Il titolo comunque si riferisce che, da quando Kori-Miro 'prende vita', il seguito viene da sé.
Ringrazio coloro che mi seguono ancora e anche chi legge solo :)
Sono avanti con i capitoli (mia mania), giusto per informarvi.
Ora vado: alla prossima!
-H.H.-
 

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Capitolo 15
*** Alla stanchezza non si comanda! ***


Distance: doesn't matter.

15. Alla stanchezza non si comanda!

 

Naomy mi scosse con decisione le spalle. «Siena? Torna in te!»

Il mio viso, in risposta, affondò così tanto che sentii la punta del naso a pelo del latte freddo. «Nnnnnggghh.»

«SI-E-NA!»

I pugni nervosi della blu sbatterono tanto forte da far sobbalzare l'intera tavolata. Non le fregava niente che tutti gli sguardi si fossero posati su di noi.

«Okay, mi costringi ad usare le maniere forti. Doppio Tuonoshock! Forte, mi raccomando!»

Plusle e Shinx si concentrarono al massimo e, dopo aver emesso i loro versetti in sincronia, liberarono due scariche ronzanti su di me.

«Waaa!» La mia testa scattò su, confusa, come se avessi appena toccato un filo della corrente.

Naomy mi schiaffeggiò leggermente in guancia. «Svegliaa! Tra poco sono le otto, non hai ancora mangiato e sembri uno zombie.»

«Pazienza» mormorai, chiudendo le palpebre che rifiutavano di stare aperte senza un motivo essenziale. C'era qualcuno – Miky, ad esempio – che senza cibo dava subito cenni di sfinimento. Oppure altri come me o Leila, il cui corpo era abituato alla fretta.

«Ma che hai combinato ieri?» chiese allibita, riferendosi al motivo della mia momentanea assenza nella vita sociale.

«Incontro ravvicinato con un fantasma e party fino all'una» spiegai, sempre con quel tono da morta. Probabilmente non mi aveva presa sul serio, ma come biasimarla.

 

Avere la Michaelis alla seconda ora del lunedì era uno splendido modo per proseguire la giornata. Per i masochisti come Federico, s'intende.

Durante la sua spiegazione su qualche nuovo complemento avevo finalmente trovato la pace mentale, con le braccia incrociate sul banco e la testa poggiatavi sopra. Un'isola felice.

«E poi ti ritrovi gente che si addormenta ovunque» disse la prof con evidente disappunto. «Sulle panchine, in macchina, durante i pasti… Ma, soprattutto, durante le lezioni.» Tossicchiò, garbata. «DICO BENE, SIENA?»

Sobbalzai e sgranai gli occhi: al mio cuore era venuto un bell'infarto!

La classe ridacchiò con perfidia, tranne Naomy e Jeanne. Quest'ultima aveva due occhiaie sconcertanti che risaltavano per via della sua pelle chiarissima, delicata come il petalo di un fiore.

 

Era la seconda volta che Hunt ci portava al laboratorio di scienze. Si trattava di un'aula dove le panche erano solo tre, disposte in orizzontale. La lavagna disponeva dei quadretti, con un lavandino vicino. Alle pareti era appeso lo schema del corpo di un Bulbasaur, mentre sul fondo dell'aula uno scheletro umano a grandezza naturale suscitava l'inquietudine femminile.

«Bene, ragazzi miei!» Il professore indirizzò a tutti un sorriso più grande di una casa. «Iniziamo l'appello.»

Tesi le orecchie, nonostante la mia faccia fosse schiacciata sul tavolo. In quel momento non desideravo altro che il mio letto caldo e il silenzio pacifico esclusivo della 248.

Comunque, l'appello di Hunt fu divertente come sempre. Ormai alcuni di noi si erano rassegnati e non protestavano più, prendendoli come soprannomi. Ma si sapeva quanto fosse trasgressivo Derrick.

«Enrico?!» sbottò indignato. «Enrico è un nome da sfigati! Forza, ripeta con me: Fe-de-ri-co…» Bastò un istante purché la sua malizia prendesse il sopravvento sulla scemenza: «F come figo!»

E dopo quello alcuni si spiaccicarono una mano sulla faccia, altri sospirarono e altri ancora – me compresa – sorrisero per il quarto d'ora successivo.

Quando la campanella suonò non ricordavo più gran parte della lezione. La pelle, se non erravo… Mi era rimasto impresso solo l'esempio dell'insegnante: alcune persone particolarmente sensibili come Jeanne rischiano molto se non si proteggono dal sole… O dalla stanchezza psicologica. Il primo motivo era soprattutto riferito ai Pokémon e si era ispirato al Marill di Leonard in quanto acquatico.

Mi alzai barcollante, alla ricerca di un buon samaritano disposto a donarmi anche solo una briciola di qualcosa. Il primo che individuai fu Nicolas, che mi cedette senza storie due cracker.

Forse Francesco mi avrebbe dato un po' del suo cioccolato, ma la roba dolce proprio non mi andava.

«Ehi, Siena!» Elena mi sgommò davanti come una macchina di formula uno. «Sto facendo una lista dei soprannomi di tutti: mi serve anche il tuo!» esclamò convinta.

Ragionai qualche secondo in più per rendermi conto che… Effettivamente Sie non era granché come diminutivo. «Piccola Kiku o Little Apple» dissi senza neanche pensarci.

Se non altro fu divertente vederla che, come un folletto del bosco, picchiettava la penna sulla fronte di qualcuno, ribattezzandolo e scribacchiando su un quadernino.

Quando fossi stata più lucida, avrei chiesto come si “chiamavano” gli altri per non rimanere un passo indietro.

 

Quarta ora. Il quattro era un brutto numero, poiché era anche la mia media in matematica. E – destino burlone – c'era proprio matematica.

Sentivo le grida degli altri prima che entrasse il prof, anche lo striscio di una penna equivaleva a dolore alle mie orecchie… Come se un Durant me le divorasse a intermittenza.

Ignorai il sapore di vuoto e sangue in bocca, dopodiché mi appoggiai di nuovo al banco con la calda pelliccia di Moni sulle gambe.

Sentii un leggero sbuffo di Naomy che però stavolta mi lasciò in pace.

Tutti all'improvviso fecero silenzio. Sentii vagamente dei passi calcolati sempre più vicini, mentre la mia testa galleggiava tra le nuvole.

D'un tratto una punta pizzicante mi accarezzò l'estremità del naso. Infastidita lo storsi…

«Buh.» Schulz, con un ghigno sadico, schioccò la frusta all'improvviso.

Scattai all'indietro tremante dopo un urletto acuto: peggio della Michaelis! La classe stavolta rise più forte, ma l'insegnante la zittì subito. Il mio povero cuore non ci trovava niente da ridere!

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Quando mi addormentai Shinx era acciambellato in fondo alle mie gambe; invece, al mio risveglio, di lui rimaneva solo la traccia di calore nell'aria.

Strofinai contemporaneamente entrambi gli occhi: dopo un pomeriggio di completo riposo, mi ero ristabilita!

Senza curarmi dello stato in cui erano ridotti i miei capelli, feci sbucare ingiù la mia testa come un Drillbur sbuca dalla tana. Leila accarezzava dolcemente il mento caldo del mio Pokémon, che emetteva delle fusa rumorose.

Alzò lo sguardo verso di me. «Buongiorno» disse semplicemente.

«G'day» risposi con un sorriso fiacco. Mi rimisi dritta e cercai il mio diario con i Deerling rosa, per vedere eventuali compiti – alle mie compagne piaceva tanto e in effetti non era costato poco. Non appena lo aprii dove il cordino di velluto indicava, rimasi interdetta dal ritrovamento di un biglietto:

Cara cuginetta, ho saputo che oggi non stavi molto bene, mi dispiace! Spero che domani starai meglio perché voglio portarti… *rullo di tamburi* … Al Centro Commerciale, con me e Derrick!

Avevo la faccia più confusa del mondo in quel momento. Girai il foglietto accorgendomi del continuo:

Ormai ho imparato la scrittura di mia madre e posso falsificare tutto a tutti! Domani in segreteria troveranno una letterina che ci autorizza a saltare le lezioni. Portati qualche soldino, mi raccomando.

Ci vediamo alle nove dalla fontana all'ingresso

Baci, Miky

Rimasi ancora interdetta: non avevo idea che qualcosa del genere fosse possibile!

Ma con Micaela Kiku l'impossibile perdeva significato.

Avevo in mente di portare con noi anche altre due persone e dovevo avvisarla prima che spedisse il falso permesso. In fondo non volevo stare in disparte rovinando loro l'intimità.

 

 

 

Angolo Autrice
Questo capitolo teoricamente non dovrebbe esistere, ma esiste, quindi lasciamolo esistere (?).
Chiedo scusa se il biglietto di Miky è troppo formale: non ho trovato altre maniere per inserirlo o:
Comunque sono abbastanza soddisfatta, perché ho dato spazio alla maggior parte dei personaggi, stavolta.
So che alcuni appaiono veramente poco, ma tenete conto che ho intenzione di scrivere 4 seguiti e le idee mi spuntano come Foongus.
Questo capitolo lo dedico a superpoltix: happy birthday!
Ora vado, spero recensirete, bye!
-H.H.-

 

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Capitolo 16
*** Giustificazioni per tutti! ***


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16. Giustificazioni per tutti

 

Era la prima volta, dopo lo sbarco da Orocea, che avevo l'occasione di constatare la modernità di Ferrugipoli. Il vento ci tagliava il collo come una lama senza pietà, oppure spingeva qualche foglia friabile verso il cielo, mentre i Taillow si libravano al sud con lunghi versi gracchianti.

 

Lanciai uno sguardo a Naomy, imperterrita alla mia sinistra.

«Io, Miky e Derry mariniamo la scuola. Vuoi venire con noi al Centro Commerciale?»

Al sentire quella proposta fece per chiudermi l'uscio in faccia. «Non se ne par–»

«Sono cominciati i saldi, lo sai? All'intervallo, ieri, ho sbirciato su una rivista di Cecilia: c'era un vestito blu che sembra fatto su misura per te, scontato del venti percento! S'intona…» Esitai un istante. «Ai tuoi capelli!»

La sua presa sulla maniglia si allentò. «Uh, ho improvvisamente voglia di venire! Ehi, coso!» chiamò, sporgendosi all'interno della stanza. «Bada tu a Plusle, okay?» gli disse, afferrando dall'appendiabiti un giubbotto azzurro effetto lomo. «In città combinerebbe qualche danno, se lo lascio libero idem.»

Andrey finì di allacciarsi una scarpa e alzò il capo per guardarla. «Hm! Silenzio e babysitting. Cosa ricevo in cambio, Ice Queen?»

«Boh, vedremo!»

 

Poi voltai il capo verso Azuma.

La bionda intrecciava i morbidi capelli di lato, controllando il proprio riflesso allo specchio orlato di rifiniture. «Se va contro il regolamento, è no.»

«Peccato!» cantilenai allegra. «Scarlett mi ha detto che tutti i libri sono scontati del quarantacinque percento. Solo per questa settimana.»

«Uhm… Come hai detto che funziona la cosa?»

 

La sensazione di compiacimento non mi abbandonava: come se Arceus fosse appena sceso in terra, inchinandosi alla sottoscritta.

I più grandi, davanti a noi, indicavano di sfuggita dei reparti e poi controllavano una lista, su una pagina a quadretti grandi strappata dal diario di lui.

 

L'aria condizionata esaltava l'odore fruttato misto a carne e pesce che c'investì e non ci abbandonò neanche un secondo. Gli articoli passati rapidamente sotto al detector delle cassiere producevano dei regolari bip.

«Noi siamo nel reparto schifezze!»

«Vorrai dire delizie» la corresse Derrick, con un sorriso furbetto.

«Andiamo, compare!» Micaela prese la sua mano, melodrammatica, trascinandolo tra la folla. Che buffi, che dolci.

«A me troverete nel reparto romanzi: sayonara!» Anche Azuma sparì al largo ed entro poco fu inutile cercare la sua snella figura tra il tumultuoso viavai di passanti.

Spostai di lato il cordino del mio borsello nero, traspirante, con attaccato un portachiavi a forma di mini tavola da surf. Conteneva tutti i miei risparmi, seppur miseri.

Sola con la mia migliore amica, intuivo già la nostra meta comune.

«Dove hai detto che è quel vestito?» incalzò con apparente disinteresse.

Le agguantai il braccio, cercando una qualche indicazione dagli articoli esposti in vetrina. D'un tratto mi strattonò con vigore.

«Ehi, guarda che belli!» esclamò, con gli occhi che le luccicavano. L'origine di tanta meraviglia erano un paio di tacchi da otto centimetri.

«Carini!» commentai. Nella mia mente corse il ricordo di quand'ero piccina e mi esercitavo a far giravolte proprio sui tacchi, retta al muro del corridoio di casa, trovandola un'attività divertente e per nulla difficile.

«Mmmh… Li compro!»

Infilate le sue scarpette vertiginose in una borsa di plastica, il nostro giro proseguì. Io mi limitai all'acquisto di una maglietta bianca, con allacciato un gilè mimetico sopra. Scoprimmo infine che quel famoso prendisole scartavetrato, con del raso in fondo, costava…

«Mio dio!»

«È più caro di casa mia!» commentò la blu, scioccata. L'etichetta segnava una X orizzontale su ottantamila Pokémonete ed evidenziava il sessantamila. Che follia!

Sconfortata, Naomy optò per un vestito lungo sino alle ginocchia con un motivo di margherite fucsia. Non mi sembrava tipa da comprarne uno, tuttavia mai dire mai…

L'appuntamento con i due piccioncini era alle dodici, indi trovammo il tempo anche per comprarci dei CD: il mio era di musica rigorosamente pop, il suo un misto degli ultimi successi moderni.

 

Azuma arrivò prima di noi all'ingresso. Da tutti i libri che aveva comprato le sarebbe servita una carriola anziché quella microscopica borsina.

Una Miky spensierata come sempre agitò entrambe le braccia verso noi tre. «Eccoci!»

«C-Ciao…» Il povero Derry teneva due borse per mano, a quanto pare ognuna del peso pari a quella singola della giapponese. Dalla sua spuntavano gonfie confezioni colorate e bottigliette fresche di frigo.

«Ma che ci abbiamo messo dentro, pietre o mattoni?» disse ironicamente, soppesando il goloso malloppo.

L'altra gli diede una pacca sulla spalla, rischiando per poco di sbilanciarlo. «E dai, che tu sei forte!»

Sulla strada del ritorno, Naomy chiese con dubbiosità: «Cosa dobbiamo dire se ci chiedono dov'eravamo?»

«Già, non sospetteranno qualcosa?» si aggiunse la bionda.

I due compari si guardarono. «Nah!» risposero all'unisono.

«La versione ufficiale è che io devo fare una visita dal dentista e voi mi accompagnate» c'informò la rosa.

«Dal dentista… Chissà come mai!» disse la mia vicina di banco, rivolta alle loro svariate spese.

Una risatina leggiadra si levò nell'aria in risposta.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Avevo dimenticato il mio fermaglio preferito – cuoriforme, di perline argentee – nelle docce. La regola diceva che agli alunni non era consentito farsi la doccia oltre le undici: a quell'ora ci andavano i professori. Ma – ne ero certa – se avessi atteso l'indomani, del fermaglio non ci sarebbe stata più traccia. Trovandone uno così bello in giro, io lo avrei preso subito.

Se Moni fosse stato una femmina ci avrei mandato lui in esplorazione, invece mi toccò infiltrarmi da sola.

La nebbiolina dell'ora precedente si era un poco dissolta e l'acqua sulle piastrelle del pavimento un po' asciugata. Il panico mi catturò come in una rete di Ariados quando sentii il flusso d'acqua… “C'è qualcuno! Help me!

La vista a cui assistetti fu pressoché inquietante: la voce garbata della Michaelis che canticchiava dietro alla tendina e un flacone di shampoo a terra, in balia dell'acqua risucchiata dallo scarico. In un impeto di curiosità mi abbassai lievemente e riuscii a leggere bagno di sangue sulla confezione.

Deglutii, scossa da quel dettaglio che non avrei mai voluto scoprire e smaniosa di andarmene. Per fortuna trovai il fermaglio dietro uno degli sgabelli su cui potevamo poggiare i vestiti. Lo strinsi con vigore, tanto che ebbi paura di deformare il metallo, dopodiché sgusciai fuori.

 

Prima di tornare in camera mia dovevo fare un'ultima tappa: la 201. Sperai che Naomy non fosse già a letto, dato che ci andava sempre a orari diversi.

Una sensazione di pericolo bloccò la mia mano sul pomello aureo. Anche Shinx fiutò la tensione e rizzò le orecchie con cautela. Accostai l'orecchio accanto allo stipite, sperando non aprissero proprio in quel momento.

«Lo sapevo! Lo sapevo! Non avrei dovuto fidarmi di te!» uno sbraito misto a disperazione impulsiva. Nao.

«Senti, Ice, mi dispiace! Non pensavo potesse accadere una cosa simile!» la giustificazione, un po' brusca un po' realmente pentita, di Andrey.

Udii anche uno «Snì» superbo che apparteneva a un altro Pokémon e il pianto ininterrotto di Plusle, come quello sommesso di un neonato.

Mi girai a occhi sbarrati: cos'era successo?

Stetti lì ancora qualche minuto, incantata. Ascoltai le grida furiose della mia migliore amica, roche per via delle lacrime, che intimavano al verde di uscire per sempre dalla sua vita. Poi, silenzio precario e un ansimo segnò l'inizio di un bacio al sapore d'amaro.

Forse sarebbe stato meglio andare da Azuma a chiedere se l'indomani c'era la verifica di storia. Scossa, corsi via. Dopo quella scena drammatica non riuscii a prendere sonno, formulando dalle ipotesi più gravi alle più lievi.

 


 

Angolo Autrice
HolaaaaH :3
All'inizio, quando si spiega come ha fatto Siena a convincere le sue care amichette, non sono certa di aver usato il tempo verbale giusto, ma credo che lo lascerò così.
Dico solo due cosucce: scoprirete presto perché tanta disperazione da parte di Naomy. Chiedo scusa se Azuma per ora ha un ruolo marginale: provvederò a rimediare in futuro :\
Ora vado che devo finire un cap più avanti. Bye!
-H.H.-

 

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Capitolo 17
*** Tema a sorpresa ***


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17. Tema a sorpresa

 

Si levarono borbottii di sconcerto quando Naomy McFlowers varcò la soglia della mensa. Proseguì imperterrita, senza dare a vedere troppo l'irritazione che provava nell'essere oggetto di chiacchiere malevole o, peggio ancora, compassionevoli. Non voleva la compassione di nessuno, solo essere lasciata in pace.

Il rimbombo dei suoi tacchi da otto centimetri, quelli del Centro Commerciale, risuonò forte e chiaro finché non si sedette accanto a me. La guardai, notando subito delle occhiaie d'insonnia e una smorfia inviperita.

«Ciao.»

Ignorando la freddezza del saluto, presi il coraggio a due mani. «So che è successo qualcosa! Ti prego, dimmelo…» la determinazione di quella frase andò subito sfumando. Di solito ero brava nel convincere le persone, ma lei sembrava da sempre immune alla mia abilità.

Non si lasciò turbare troppo dalla domanda. «Il preside vuole farmi lasciare la scuola. Me ne andrò all'inizio della vacanze di Natale e non tornerò mai più.»

Tali parole mi colpirono come un pugnale in pieno petto. Naomy se ne andava? Non l'avrei rivista più? Lei, la mia migliore e scorbutica amica? «Come sarebbe a dire?! Cos'è successo?!»

«Scusa, preferirei non parlarne» mi liquidò, nervosa.

«Neanche alla tua migliore amica vuoi parlarne?» chiesi, estremamente delusa. «Forse Miky conosce qualcuno che può aiutarti!»

«No! Senti, Siena, ho già abbastanza problemi a causa tua.»

«Te ne vai all'improvviso e non vuoi neanche dirmi perché?»

«Non sono dell'umore in questo momento!» sbraitò in risposta.

«Oh, già, dimenticavo. Sei sempre tu quella che si arrabbia… Io non posso arrabbiarmi, vero?» replicai con amarezza. Non le diedi il tempo di rispondere, perché raccolsi il mio vassoio e mi spostai nel tavolo accanto, incurante di essere vicino a Leonard.

Io all'amicizia con lei tenevo, tanto, tuttavia… Avevo l'impressione che per lei non fosse lo stesso. Se voleva sfogarsi, bene, sennò… Ero stufa di correrle dietro, sempre. Ero ingenua, ero paziente, ma tutto aveva un limite. O almeno così la pensavo in quel momento.

Comunque, accanto alla blu di Plusle nessuna traccia. Sbirciai tra i secondini accorgendomi che era seduto sul tavolo di Andrey, anche lui d'umore nero.

 

«Quella là sembra bulimica» commentò Leonard, ironico, in direzione di Miky e le sue guance piene come quelle di un Emolga. «Perché mangia come un Tepig e non ingrassa! Mentre tu sei anoressica eppure ti reggi in piedi.»

Feci una smorfia. «Miky non è bulimica, ma fortunata… E io, sì, sto diventando anoressica!» risposi, quasi con insolenza. Di solito mangiavo poco quando ero di pessimo umore, oppure anche in generale, perché mio padre mi aveva sempre detto che per fare la ballerina dovevo essere magra altrimenti non mi avrebbero accettata ai corsi.

«Dovresti mangiare di più, altrimenti potresti svenire!» mi consigliò Francesco, dolce come una caramella al latte.

«Vivo bene anche così.»

I due si scambiarono uno sguardo. «Non dire sciocchezze!» Insieme, mi spiaccicarono una brioche collosa in bocca, facendomi arrossire di botto.

Tutte le volte che ero scontrosa io, Leonard era gentile con me o viceversa. “Scommetto che c'è qualcuno, lassù, che si diverte alle mie spalle.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«Oggi facciamo antologia.»

«Non c'era grammatica?» domandò Nicolas, a dir poco allibito: non gli era mai capitato di dimenticare un libro o un quaderno… Era l'inizio dell'apocalisse?

Evangeline tossicchiò. «Tranquilli, la recupereremo presto… Con il doppio delle ore.»

«E ti pareva» bofonchiò Ryder, alzando gli occhi al cielo.

Quello che fu interpretato come momentaneo silenzio servì invece a nascondere gli sbuffi appena accennati di noi alunni.

La rossa appoggiò sulla cattedra la sua borsa di pelle, da cui estrasse dei pezzettini di carta ritagliati. «Oggi facciamo… Un bel giochino.» Il sorriso sulle sue labbra s'ingrandì tanto da sembrare inquietante. «Leonard, vieni alla lavagna, per favore.»

Il biondino si alzò, soddisfatto.

«Prooof!» mugugnò Miky. «Non è giusto, l'anno scorso scrivevo sempre io!»

«Ssh» fece lei, composta. «Ogni anno si cambia. Leonard, sai cosa fare.»

Puntammo tutti lo sguardo al biondino. Si servì di un gesso azzurro chiaro e fu veloce come un matematico che risolve un'espressione, nel trascrivere alla lavagna ciò che copiò da un foglio all'orlo della cattedra.

Intanto, Evangeline incaricò Federico – che si sbracciava da mezz'ora pur di essere scelto – della distribuzione dei biglietti da compilare.

«Scrivete il motivo per il quale siete stati mandati in questa scuola: punizione, studio, casualità… Deve restare anonimo all'inizio, eh.» La prof caricò il timer di una sveglia, posandola sul ripiano legnoso. «Cinque minuti, da ora!»

Tutti finimmo con le matite alla mano e la mente aperta, un po' messi in ansia dall'ipnotico ticchettio.

 

Scrissi soltanto ciò: “Mi hanno mandata in questa scuola, perché… Mentre mi allenavo con Moni, lui per sbaglio ha colpito la presa della corrente ed è saltata la luce in tutto il quartiere! A papà non ha fatto piacere e lo zio Jack gli ha consigliato di mandarmi qua.”

 

Allo scadere del tempo passò sempre Derrick a ritirare i foglietti. Finito il giro li sparpagliò all'interno di una boccia di vetro, simile a un acquario per pesci.

«Ora ci divertiamo» sussurrò a Ryder, tornato al proprio posto.

La Michaelis si coprì la vista col dorso della mano e pescò, come a una lotteria. « – Mio padre è un ricco giornalista di Fiordoropoli, che è riuscito a creare un impero mediatico con la fondazione di uno dei quotidiani più venduti del paese. Pertanto ha potuto permettersi la mia iscrizione a quest'accademia, tutt'ora frequentata anche da mia sorella maggiore. – »

Tutti ci lanciammo sguardi d'intesa, alla ricerca di un indizio che ci aiutasse a capire l'artefice di quel testo tanto articolato.

«Chi l'ha scritto?»

La mano di Azuma si alzò dopo alcuni istanti.

«Bravissima, cara: tutti dovrebbero prendere esempio da te» si complimentò la Michaelis, docile come un Mareep. Poi ne lesse un altro: « – Mi hanno spedita qui con un calcio nel sedere perché ho dato fuoco, per sbaglio, a casa mia! – Questo è della Grande Kiku: non ho dubbi.»

«Esaaattooo!» confermò Miky, con una risatina furba.

Il successivo, inaspettatamente, fu: « – L'ultima volta mi hanno cacciata dalla scuola di Rupepoli perché il mio Plusle ha rubato il parrucchino del preside durante il discorso di fine anno. – » L'espressione della Michaelis si stranì mentre scappavano risatine generali. « – Quest'anno, invece, devo andarmene perché lui ha rovesciato una tazza di caffè su tutti i registri. È una maledizione. – »

Nella classe scese un silenzio tombale, mentre l'interessata al mio fianco guardava fisso a terra e la frangia le nascondeva il viso in ombra.

« – Anzi, forse è meglio così – » fu il termine del messaggio. La prof intercettò la blu con lo sguardo. «Naomy. Anche se sono i tuoi ultimi giorni qui, non sei esentata dall'indossare la divisa» la riprese, una volta notati i suoi tacchi altissimi al posto degli stivali.

«A chi può importare?»

La rossa non insistette: per una volta non era stato a causa sua che la temperatura era scesa come al Campo Sottozero.

Mi sentivo tremendamente in colpa per quello che era successo a colazione. Il pensiero che lei aveva affidato Plusle ad Andrey, perché io avevo insistito per farla venire al Centro Commerciale, era atroce.



 

Angolo Autrice
Hiya!
Sorry, il tema orale doveva stare in un capitolo solo, ma ce ne sarà un pezzetto anche nel successivo.
La prima stesura è stata disastrosa perché non mi venivano la sensazioni ecc, ma credo di averla aggiustata, ora.
Ringrazio per l'ennesima volta chi mi segue e vorrei dire una cosa solo:
Quando la storia era fatta male a tutti piaceva e tutti recensivano smaniosi. Ora mi piange il cuore se leggo le visite drasticamente diminuite e le recensioni che, da 8-9, sono passate a 1-2. Certo, non posso farci nulla e non ho diritto né di arrabbiarmi né di mollare tutto. Ma se sapessi che qualcuno che mi segue c'è ancora… Beh, sarei più sicura di me. Tutto qui :)
Bye
-H.H.- 
 

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Capitolo 18
*** Bisogna crederci ***


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18. Bisogna crederci

La lettura dei biglietti non era ancora terminata.

« – Io odio molte cose e persone. Soprattutto, persone. E, da quando provai ad uccidere quel tizio in quel vicolo, con quel pugnale, in quella buia notte di quel gelido inverno… – » Sugli aggettivi determinativi l'inchiostro era calcato con nervosismo. « – Passai di riformatorio in riformatorio. Ora, i riformatori sono finiti e mi ritrovo in questo covo di psicopatici. – » Silenzio tombale. « – Vi odio tutti. – »

Finale perfetto.

Eravamo basiti o, meglio, spaventati. Nessuno lì dentro aveva l'aria di un potenziale killer. Fosse per me avrei detto Ryder, tuttavia il suo biglietto era stato letto prima: verso le due di notte, in una limpida serata estiva, sua madre l'aveva beccato ubriaco nella dispensa del bar di famiglia.

«Di chi è?» chiese la Michaelis, totalmente sgomenta.

Elia Saknser alzò la mano, disinteressato. I capelli tenebrosi, mossi, gli arrivavano alle spalle. Il cappuccio di un mantello gli era perennemente calato sul capo. Fissò la prof con i suoi occhi scuri, aventi la pupilla verticale come nei rettili.

«Inconcepibile! Inaccettabile!» Evangeline entrò in modalità psicologa. «Cielo, chissà che razza di educazione ti hanno propinato!»

Passammo il resto dell'ora a discutere sul divieto di uccidere le persone: a quello ci pensavano già i demoni e gli shinigami.

Peccato, alla fine il mio non l'avevano letto. Quello di Nicolas diceva che voleva seguire le orme di suo fratello, mentre Francesco grazie alle sue numerose capacità aveva vinto una borsa di studio valida cinque anni.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Era una domenica di fine novembre. Con la bandana avvolta al collo, quella mattina mi recai nel cortile principale, avendo una sorpresa inaspettata.

Immacolati fiocchi si depositavano lentamente sul suolo, tra l'entusiasmo e la meraviglia dei ragazzi.

«This is fight!» gridò Nicolas, infagottato nella sua giacca color panna con il cappuccio di pelo beige. Il suo Totodile leccava il terreno credendolo un ghiacciolo enorme, mentre lui sparava mine nevose come una mitraglietta.

Se ci fosse stata Naomy accanto a me, avrebbe commentato con qualcosa tipo: “Gli hanno messo la grappa nel bicchiere, stamattina?” Di lei, invece, nessuna traccia. Ancora due giorni e non l'avrei rivista più.

«Ci sono!» esclamai d'improvviso. «Ho un piano!»

 

In biblioteca vidi la blu discutere pacificamente accanto ad Azuma. Sentii una punta d'invidia al cuore, ma scelsi di approfittare dell'occasione.

Entrai nella 201, senza avvisi o preavvisi. «Ciao!»

«Chi sei e cosa vuoi?» Andrey chiuse di scatto il portatile adagiato sulla scrivania, forse perché stava guardando qualcosa di poco casto.

Gli porsi la mano con aria professionale. «Detective privata Siena Kiku, molto piacere.»

«Uh, sì, e io sono il figlio del cugino di Babbo Natale» rispose scettico, girandosi stravaccato sulla poltroncina con un colpo di tacco.

Feci uno sbuffo. «Okay, senti… Io non voglio che Naomy se ne vada. E nemmeno tu!» gli ricordai, con le braccia sui fianchi.

Ottenni il silenzio desiderato con immensa soddisfazione.

Prima d'iniziare il fatidico discorso, mi sedetti sul letto dalle lenzuola a fiori. Gli spazi di lei erano divisi da quelli del coinquilino da spesse strisce di scotch e un'abat-jour dipinta ad acquarelli spiccava sul comodino di destra.

«Allora, signorino Andrey Moon… Dov'era alle undici del giorno in cui abbiamo marinato la scuola?»

«In classe, dove avrei dovuto essere?»

«E Plusle?»

Stavolta esitò nel rispondere. «Chiuso a chiave, in camera.»

Rimasi in un primo frangente perplessa, chiedendomi come caspita fosse uscito, se non disponeva del dono dell'incorporeità.

«Peccato che mi sia dimenticato della chiave di scorta sotto al tappeto…» ammise, rammaricato. «Quel demonietto finirà in galera, un giorno. Però, in fondo, è un grande.»

Restammo un minuto in silenzio, forse proprio in onore del demonietto giallorosso.

«Comunque, Andrey… So cosa fare» proclamai, solenne, guadagnandomi attenzione anche dallo Snivy orgoglioso sul letto accanto.

«Spara» m'invogliò con un cenno del capo.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Non era tanto presto, eppure il sole stava ritardando l'ascesa verso il cielo, forse appositamente. Quel giorno niente e nessuno aveva fretta: sarebbe stata una lunga, estenuante agonia.

Naomy, con un berrettino di lana in testa, stava seduta sui duri gradini all'ingresso. Nella valigia bianca accanto a lei c'era tutto: divisa, trucchi, romanzi… Ci avrebbe infilato anche Plusle, ma lui era ancora in compagnia del traditore.

E i traditori non tornano” pensò gelida. Se avesse voluto, l'avrebbe seguita al momento dell'addio un attimo prima della chiusura della portiera.

Ecco. Un'auto parcheggiò nel vialetto fuori dal cancello semiaperto. La ragazza si alzò, evitando accuratamente la vista dietro a sé.
«Naomy» chiamai con sicurezza.

Non appena si girò vide la cerchia di persone buone che aveva conosciuto fino a quel momento: i nostri compagni di classe, la professoressa Carter, Leila e, per ultimo ma non per importanza, Andrey.

«Che ci fate qui?» chiese in un sussurro.

Intanto, dalla macchina scese un'adolescente di straordinaria somiglianza con lei; a braccia incrociate, accostò il busto alla portiera richiusa.

«Siamo qui per te, Ice Queen» le rispose il verde, in sincerità.

Le sue guance arrossirono un poco, non solo per il freddo alimentato dalla cortina di nebbia invisibile tutt'intorno.

Mia cugina e il suo braccio destro sovrastarono la folla, la prima con un megafono puntato alla bocca – ma non potevano scegliere un'arnese più decoroso? – e il secondo con il fiato pronto.

«Svegliaaa, è mattina, i Torchic cantano e il sole splendeeee!» l'eco delle loro voci strafottenti venne prolungato alcuni secondi.

Gli altri trattennero il fiato quando le ante della finestra del terrazzo del terzo piano, lì di fronte, si spalancarono con una spinta forzuta.

Il preside Robinson, in vestaglia, pantofole e copricapo con pompon incluso sbucò retto sulle ginocchia. «Che succede qui?!»

«Hey, Robby! Il verdolino ha una confessione da fare!» Fede lanciò il megafono al ragazzo di seconda.

L'uomo si aggiustò gli occhiali tondi e sforzò la vista per metterlo a fuoco. «Bah… Spero che sia qualcosa d'importante!»

Andrey prese fiato, mentre il cuore di Naomy palpitava all'impazzata. «Ehm… Okay. Mi dispiace. È colpa mia: in realtà, Plusle era stato affidato a me e non pensavo riuscisse a scappare. Se qualcuno deve andarsene, preferisco essere io.»

Il preside tacque. Forse, giorni fa era di pessimo umore e non aveva riflettuto né valutato i dettagli dell'accaduto.

«La prego! Naomy, anche se è un po' permalosa, è la mia migliore amica.» Non sapevo se la mia aggiunta avesse aiutato la decisione finale o solo interrotto un momento di precarietà. «Se se ne va lei, me ne vado anch'io!»

Borbottii sgomenti partirono dalla gente presente.

«Plaaaaaaa!» Un pianto disperato, seguito da uno zampettare frettoloso, segnò l'entrata in scena di Plusle.

«Plusle…» mimò commossa lei con le labbra, mentre la vista le si appannava leggermente e gli occhi già le pizzicavano.

«Plaa!» Il corpicino minuto del topolino improvvisò una serie d'inchini verso l'omaccione da cui dipendeva il futuro di ciascuno di noi. «Pla paa! Pla laa, pla plà!»

Gli sguardi di tutti, a quel punto, si concentrarono scrupolosamente al signor Robinson. Era rimasto rigido come un monumento storico.

Deglutì, messo sotto pressione e un po' scosso. Si lasciò andare a un lungo sospiro. «E sia. La signorina McFlowers potrà riprendere regolarmente le lezioni al termine delle vacanze natalizie.»

«Davvero?! È stupendo! Grazie! Grazie!» strillò senza parole, mentre una lacrima di felicità luccicante come un orecchino le rigava la guancia.

Andrey lasciò che lo abbracciasse con vigore: ormai non contava più niente di quel che era stato e bisognava guardare avanti.

«Amiche?» chiesi infilando la mano vicino ai loro corpi avvinghiati.

«Per sempre» rispose abbracciando anche me. Era la prima volta che Naomy mi abbracciava e perciò non riuscii a evitare un sorriso.

 

Miky si rigirò tra le mani il megafono, non di loro proprietà. «Credo che dovremmo rimetterlo in camera della Michaelis.»

Derrick controllò che non ci fosse nessuno in giro. «Uhm… Ti spiace se lo tengo io?»

Poco dopo la rosa, senza pensarci una volta di più, lo lanciò oltre l'alto muretto: ma quant'era idiota anche solo per proporle una cosa del genere?

Fede assunse l'espressione tipica dell'Urlo. «Nooo! Cos'hai fatto?!»

«È cosa buona e giusta» sostenne lei con un inchino religioso. «Anche tutti i registri strappati, quindi irrecuperabili, sono cosa buona e giusta.»

L'altro congiunse le mani. «Amen.»




 

Angolo Autrice
Hiya!
Lo spazio per Naomy ci voleva, gente! Mi rincresce, ma devo comunicare alla proprietaria che dovrò darle un ruolo più marginale, d'ora in avanti.
Ognuno avrà il suo momento, più o meno, comunque.
Ringrazio le mie tre recensitrici preferite e anche i lettori che, pian piano, si stanno facendo più regolari.
Mi sento tipo una dea (evviva la modestia XD) perché ho finito già il capitolo 31 e, in tutto, ce ne saranno 35.
Ora vado: bye!
-H.H.-

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Capitolo 19
*** Libertà di movimento ***


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19. Libertà di movimento

 

C'era trambusto nei corridoi: persone frustrate perché non trovavano un calzino o la spazzola, altre che si lamentavano del ritardo dei genitori.

Sentii un bruciante senso di frustrazione pensando alla busta arrivata per me tramite Pelipper. Un bollo di cera la chiudeva e aprendola avevo trovato una lettera scritta su una semplice carta a righe, dai bordi a strisce.

My daughter, ti scrivo dall'aeroporto di Ponentopoli. Purtroppo mi hanno assegnato il comando di un'altra missione: non tornerò a casa, for Christmas.

Se ti va puoi andare con Miky dagli zii. So che l'accademia non ti piace, ma cerca di capire, it's for your future.

Happy Christmas and happy new year.

Your dad, Jonah.

Non era cambiato: scrittura sempre italo-americana e una certa freddezza nascosta da un velo d'affetto. Se la stringevo al petto, sentivo odor di sigarette e lavanda.

Non dissi nulla a mia cugina. Non perché non volessi trascorrere le feste con la sua famiglia, bensì perché non volevo dare a mio padre la soddisfazione che la sua autorità avesse prevalso sulla mia. A me piaceva l'accademia, anche se sentivo la mancanza del mio villaggio…

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Sotto i miei occhi afflitti tutte le macchine abbandonarono il viale, con figli bisognosi di riposo e bagagliai gonfi.

Naomy se n'era andata con suo fratello maggiore, Rupert, lo stesso di quella mattina. I nonni di Elena guidavano una macchina d'epoca sgangherata, che era un mistero come fosse riuscita a partire. Vidi Azuma e sua sorella del quarto anno sparire a piedi: avrebbero preso il primo treno per Johto, se ben ricordavo. Ad attendere la principessina Cecilia, invece, c'era una lucida limousine…

 

Durante il periodo festivo ci sarebbe stata solo la signora Elsa a badare a noi e alla scuola. Era un'anziana con lo chignon, gli occhiali tondi e il sorriso morbido come il burro.

Eravamo in nove, ma dovevano essere tutti più grandi di me, dal momento che non li avevo mai visti in giro. L'unico di mia accidentale conoscenza era…

«Chi ha una lametta? Questa situazione è così patetica…» Elia Saknser, detto Elia lo Squartatore da inquietanti voci di corridoio.

La cena sembrò lunga un'eternità. Forse perché eravamo placidamente spalmati ognuno su un tavolo diverso e il silenzio era così marcato che avevo quasi paura a respirare.

«Come mai non mangi, signorina?» mi chiese la voce raggrinzita e calda della nostra responsabile. «Sei così magra.»

«Ehm…»

«Cos'ha che non va questa cotoletta?»

Riflettei un attimo prima che le parole sgorgassero da sole dalla mia bocca, come acqua da un rubinetto rotto. «Se penso che prima era un'animale… Non ce la faccio. Mi sale il vomito.»

«Oh, oh!» La sua allegria mi lasciò spiazzata. «Conosco un trucco che uso sempre con il mio nipotino: vieni con me!»

La seguii, entrando per la prima volta in cucina. Notai subito un ampio banco lavorativo sulla linea d'orizzonte. Sul fondo c'era il forno a legna, affiancato dal mobile con i fornelletti e il lavello d'acciaio.

La vecchina aprì lo sportello del frigorifero a destra, dopodiché tornò dalla sottoscritta con una sacca per decorazioni. La spremette, per disegnare sulla carne un sorriso sghembo fatto di senape.

Un sorriso vero sfuggì dalle mie labbra. «Grazie! Credo proprio che adesso la mangerò!»

 

Come consolazione per non aver potuto passare le vacanze a casa, ci era concesso di muoverci ovunque. Solo, era vietato uscire in giardino o sul retro, anche perché il portone era chiuso a chiave… Per i ladri, effettivamente, sarebbe stato facile rubare qualcosa.

Potei gettarmi sotto l'acqua bollente senza fretta, perché non c'erano altre ragazze in attesa nelle docce. Indossato il morbido accappatoio rosa confetto, avevo tutta la tranquillità di una sera davanti.

 

«Esploriamo un po', okay?» Ormai potevo parlare solo con il mio inseparabile compagno elettrico.

«Shen, shen!» rispose lui, scodinzolando in assenso.

I corridoi apparivano grandi il doppio, come se non li avessimo mai attraversati. Come se quella crepa sulla parete, la disposizione delle scartoffie sulla cattedra della hall o l'immensità del soffitto fossero nuovi.

Il primo corridoio era quello che ci suscitava più curiosità, giacché non avevamo mai occasione d'attraversarlo. Lo percorremmo da cima a fondo, soffermandoci alle stanze. Erano tutte semichiuse e all'interno mantenevano gli effetti personali dei proprietari: poster, calendari indietro di un mese, quaderni abbandonati sulle scrivanie…

La mia attenzione venne attirata da un uscio chiuso e privo di targhetta. Avrebbe dovuto essere la 194, quella. Spiai dalla serratura. All'interno c'era un semplice letto, delle pesanti coperte sciatte e alcune scatole di cartone sigillate. Sicuramente non ci aveva mai abitato nessuno.

Sfilai la forcina ondulata, ricca di brillantini, che mi teneva su il ciuffo centrale. La posizionai all'interno del buco ovoidale, speranzosa. Un giro di qua, un giro di là… Meccanismo sbloccato!

Moni diede un attacco Bottintesta alla porta. Mi affrettai a richiuderla alle nostre spalle, con quel briciolo di delicatezza necessario. Mi appoggiai a essa con un sospiro tremolante, tesa come se avessi appena rapinato una banca.

Mi sentivo la bambina curiosa di un film fantasy che esplora la soffitta disordinata e piena di ragnatele della nonna di campagna.

Come visto dall'esterno, la parte destra era occupata da scatoloni e da un armadio dalle rifiniture eleganti. Shinx volle subito testare il lettino a sinistra: era un po' sporco, ma lo si poteva usare allo stesso modo delle foglie-trampolino delle Alture Vertigini.

Mi precipitai alla finestra, arrampicandomi sul davanzale marmoreo. Inginocchiata, vedevo i fiocchi di neve destreggiarsi in una danza gioconda finché non si posavano sul terreno, nelle acque pure della fontanina oppure sulle panche rettangolari. Tutto era avvolto da una cortina bianca, che spargeva con sé una perfetta atmosfera pre-natalizia.

L'abbaio energico del felino mi fece ricordare le scatole chiuse. Quello, c'avrei scommesso, non era un deposito di materiali scolastici. Aveva una storia, quel posto.

Scesi con un balzo, dopodiché mi accucciai davanti al primo scatolone. Moni strappò lo scotch con i dentini, evitando alla sottoscritta di sporcarsi le mani. Quando lo aprii venni invasa da una nuvola di polvere, che aveva un vago odore fognario. Non ci badai troppo. Piuttosto, feci riemergere dagli abissi un'agenda dai bordi sgualciti.

«Wow…» sussurrai, sfiorandone con cura la copertina. Il primo strato si stava separando dal secondo. Le pagine erano giallognole, oserei dire come le pergamene o le mappe dei tesori sotterrati dai pirati. Dentro trovai molte informazioni sulla vita scolastica dal 1981 al 1985, come la piantina dell'accademia o disegnini a penna. Intere facciate erano occupate da scritte scarabocchiate e dediche di vari colori. Decisi di tenerlo con me, anche se non ero sicura che avrei decifrato tutte le calligrafie.

 

 

 

Angolo Autrice
Hola
Questo cap non mi piace molto, sinceramente... Sarà che ho usato le virgole in maniera troppo frettolosa, o non sono riuscita a comunicare quello che volevo, come volevo.
Ho deciso di aggiornare senza aspettare tutti i recensori perché sinceramente mi sono stufata. Volete recensire recensite altrimenti amen.
Scusate, sono di pessimo umore :c
Comunque, nel mio PC mancano due capitoli per completare la storia! Poi comincerò la seconda serie, ovviamente!
Beh, non ho altro da dire. Bye!
-H.H.-
 

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Capitolo 20
*** Un mese in un lampo ***


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20. Un mese in un lampo

 

Un timido spiraglio di luce filtrava dalla serratura della porta. Nessuna sveglia, quel giorno – come gli altri, del resto.

Guardai il cellulare sulla mensola, che non utilizzavo praticamente mai.

Una chiamata persa alle otto e cinquantuno, da Naomy. Sospirai: quanto poteva essere mattiniera, quella ragazza?

Poi c'era un messaggio di Miky, che si offriva per l'ennesima volta di venirmi a prendere anche in capo al mondo.

Diedi un'occhiata al letto di sotto, chiedendomi come se la passasse Leila. Chissà se a Borgo Foglianova tirava vento freddo, com'era la sua camera e se le mancavano la mia allegria o le fusa di Moni.

 

L'ultima lettera di papà diceva che i miei Pokémon sarebbero arrivati presto. Infatti, una mattina, la signora Elsa mi consegnò un pacco di cartone.

Sfilai il nylon, trovando dentro due Poké Ball. Chissà quanti sballottamenti avevano subito, durante il viaggio sul traghetto e il portapacchi della bicicletta del postino. Feci una smorfia: la mia squadra, Moni compreso, era da sei.

Superata la delusione iniziale, il mio cuore traboccò di gioia sincera: «Fuori, tesori!»

Una lupa nera, quando la pioggerella di abbaglianti si dissolse, scodinzolò e abbaiò vivacemente. L'orsa maculata al suo fianco mi sorrise con emozione.

«Fatevi abbracciare!» Spalancai le braccia e le due si gettarono al mio collo da entrambe le parti. «Mi siete mancate tanto.»

Alù, la Mightyena più fedele che ci sia, mi diede una leccata tiepida e appiccicosa sulla guancia. Poi si gettò addosso a Moni, per giocare alla lotta.

Nel mentre sorrisi calorosa alla mia Spinda, Macchia. «Siete contente di essere qui?» le sussurrai con dolcezza.

«Spiiiin» acconsentì, mantenendo il mio stesso tono basso.

 

Ogni giorno andavo un po' a sbizzarrirmi alla tastiera, oppure in aula magna… A volte, però, la temperatura scendeva davvero troppo e rinunciavo ai pantaloncini.

La signora Elsa, seduta alla cattedra nella hall, si faceva rimbalzare in mano tre palline di pezza rattoppate, come un giocoliere in pensione. Gli altri non so esattamente dove andassero, ma al pomeriggio beccavo spesso Elia in aula musica a suonare uno strumento di canne incollate a zattera. Produceva suoni dolci come una ninnananna, perciò a volte mi accostavo alla parete per ascoltarlo di nascosto.

Poi c'era una ragazzina di nome Aki, che stava sempre a uno dei PC della biblioteca e scriveva come un fulmine, con quegli occhietti vacui fissi sullo schermo. Indossava un vestito lungo con le bretelle e teneva sempre un Teddiursa di peluche in grembo. Non poteva avere undici anni, magari era la nipotina di Elsa, o forse ne aveva davvero undici ma era gracile di costituzione.

C'era anche un ragazzaccio dal sorriso lugubre, che si limitava a fissare da lontano. La tipica persona che non avrei mai voluto incontrare da sola in un vicolo, nel timore di vedergli spuntare una motosega o chissà che altro da dietro la schiena.

Una sera dissi ad Alù di seguirmi: volevo portarla sul tetto, affinché ammirasse la miriade di luci colorate della città. Poi, però, vidi quel tizio appoggiato alla ringhiera per fumare e preferii evitare.

 

Sul letto di Leila, Moni e Alù giocavano a dare zampate a Mister Kori-Miro, che penzolava grazie allo spago attaccato alla sbarra di sopra.

A spezzare la mia monotonia, fu l'arrivo di un messaggio: “Come va l'esistenza? Ahah.”

Naomy si era ricordata di me: ormai non ci speravo più. “Bene, dai! A te?”

“A posto. Tra poco è Natale e da me tutti già dormono.”

“Qui non so… Ci si perde nella scuola, ora che è vuota.”

“Ahaha, immagino! Ti posso chiamare?”

Passammo i minuti successivi a chiacchierare: mi mancava la sua voce un po' soffiata un po' chiara. Mi disse che Plusle era distruttivo il doppio in compagnia di sua sorella Agnese e al Centro Commerciale di Rupepoli aveva visto la Michaelis, indecisa nel reparto congelatori a basso costo. Mi domandai perché le servisse un congelatore: le bastava fissare intensamente qualcosa purché a questa venissero i brividi.

Io invece le raccontai delle lettere di papà, di quanto fosse simpatica la signora Elsa e di come il tempo rallentasse sempre.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Natale trascorse sempre nella prigionia della Formation Ability. Non fu un giorno diverso dagli altri, salvo per la cena: tacchino affumicato con patate al forno e torta al limone ripiena di crema. Nella ciotola di ogni Pokémon venne messo un pungente agrifoglio, per creare un po' d'atmosfera.

La signora Elsa regalò un collarino cucito a mano con un campanello – senza sonaglio, per evitare troppo rumore – a Shinx. Rimasi colpita da quel pensiero generoso, che mi avrebbe aiutata a non scordarmi di lei.

 

A Capodanno il ragazzo misterioso rubò una bottiglia di liquore dallo scantinato, scolandosela direttamente dal collo di vetro, o almeno così avevo sentito dire.

La memoria del mio telefono straripava di messaggi d'auguri, maiuscoli o dove abbondavano punti esclamativi e smile. Sorprendentemente, Azuma era molto più socievole in chat e fu con lei che battei il mio record personale di messaggi. Per l'occasione si trovava ad Amarantopoli con la famiglia, nel ristorantino sotto casa di Jeanne, gestito dai suoi genitori. Mi sarebbe piaciuto essere là con loro, assaggiando deliziosi yakisoba, takoyaki e sanbei…

Dopo cena, la nostra responsabile ci disse di prepararci, se volevamo vedere i fuochi d'artificio: saremmo usciti in cortile, dopo quasi un mese di reclusione!

Mi pulii frettolosamente la faccia con un tovagliolo: dovevo sbrigarmi!

Però il mio occhio curioso cadde su Elia Saknser. Un rigonfiamento gli spuntava da sotto la felpa e si guardava ossessivamente in giro. A un certo punto si alzò, camminando come camminano i criminali nei vicoli malfamati di Austropoli.

Detective Siena in azione! Lo seguii, fingendo di contare le travi sul soffitto con ingenuo interesse.

Quando stette per aprire la porta, bastò una serie di salti paralleli – una sciocchezza per una ballerina – in diagonale per pararmi davanti a lui.

«Ciao!»

«Lasciami in pace.» Dal tono gelido e le sopracciglia aggrottate, dedussi che non gradiva affatto la mia presenza.

Fu allora che un abbaio acuto, proveniente da sotto le coperte a quadri della 321, mi convinse ancora di più a fare irruzione.

«Oooh, che cucciola!» esclamai, davanti alla testolina minuscola di una Poochyena che giocava a nascondino spuntando dal lenzuolo. Aveva due ciglia puramente femminili e una codina folta.

Elia m'inchiodò al muro puntandomi l'oggetto occulto, ossia un cartone di latte fresco, alla gola. «Azzardati a dirlo a qualcuno e non ci penserò due volte prima di usare quel pugnale sotto a quel cuscino, in qualsiasi momento.»

Rabbrividii a tale frase, sibillina come un Arbok, mentre lui stringeva il contenitore in modo convulso.

Quando le pulsazioni incontrollabili del mio cuore me lo consentirono, risposi con uno strozzato: «T-Ti aiuterò…»

Il pugno pressato sui miei polmoni allentò di scatto la presa, così potei prendere un respiro completo.

«Non ho bisogno del tuo aiuto.»

Raccolsi la cucciola, che presentava un graffio in prossimità dell'orecchio sinistro. «Guarda che so come trattare un Poochyena, ne avevo una.»

«Non m'interessa» ribatté imperterrito. «E ora dammela.»

«Alù la trovò mio padre: era tra i superstiti della grande guerra e aveva una pallottola conficcata nella schiena» servii il racconto nudo e crudo, come carpaccio. «Non disse ai superiori che l'aveva trovata sul campo, ma nei pressi dell'accampamento. I medici la curarono per miracolo e oggi è una Mightyena bellissima che, al momento, si trova in camera mia.»

Tacque alcuni secondi, forse per rispetto, forse no.

«Ho incontrato Anger nel bosco dietro la scuola e da allora non ha smesso di seguirmi» riassunse, piatto.

Ecco di chi era l'ululato che abbiamo sentito ad Halloween…” «Se qualcuno dirà qualcosa, non sarò stata io.»

Le acque della tempesta lasciarono il posto a una silenziosa quiete.

Diedi un'ultima carezza alla Pokémon prima di correre fuori: non volevo perdermi i fuochi!




 

Angolo Autrice
Hiya!
Le vacanze nella scuola servivano, nonostante siano più i contro dei pro. Dal prossimo capitolo torneranno alla vita normale.
Vi comunico ufficialmente che… L'HO FINITA! HO SCRITTO TUTTI I CAPITOLI! WAAAAA, mi viene da piangere <3
Aggiornerò ogni quando li aggiusto ben bene ma è sicuro che la finirò!
Questo sarebbe il momento più clou di Elia °w° m'inquieta quel ragazzo.
'abbè, grazie infinite a chi legge, recensisce o segue, come sempre.
Bye!
-H.H.-

 

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Capitolo 21
*** Via per l'Inferno: proseguire dritto fino in 1^A ***


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21. Via per l'Inferno: proseguire dritto fino in 1^A

 

Mancava meno di un'ora all'arrivo degli altri. Spiavo impaziente dalla finestra della mia Base Segreta, così denominai la 194. Dal mio arrivo non c'erano più ragnatele sottili come spilli, sporcizia sul pavimento e coperte odoranti di muffa; ne avevo prese un paio in infermeria, che ricordavano quelle negli orfanotrofi. A proposito del letto, pensavo di metterci dei cuscini e trasformarlo in un divano. Sempre se avessi potuto continuare a venirci, con la scuola piena… In compenso mi rimaneva il diario d'altri tempi, di cui dovevo decifrare ancora le pagine iniziali.

Le prime macchine si stavano accostando in cortile. Scesi dal davanzale, sfiorai l'intonaco della parete un'ultima volta e uscii.

 

Un senso di delusione affiorò non appena mi accorsi che non conoscevo la maggior parte di quelle persone se non di vista: ero invisibile ai loro occhi.

«Francy!»

Il bruno, con una valigia nella mano, si voltò verso di me. Non ero mai stata tanto felice di vederlo. «Bonjour, mon amie!»

Non riuscii a trattenere un sorriso. «Come va? Hai passato bene le vacanze?»

«Très bien! Dimmi, è stato così terribile restare all'accademia?» C'era cautela nella sua voce gentile, forse perché non voleva ferirmi.

Repressi un sorrisino mesto. «Tutti dicevano di sì, invece io mi sono divertita.»

Annuì, pensoso. «Ora vado dalla mia famiglia: a dopo!»

Agitai la mano, vedendolo incamminarsi da una bimba graziosa e due adulti dall'aria simpatica.

Poco più in là, Leonard giocava a rincorrersi con un bambino dagli occhiali tondi come lecca-lecca. Trovai la scena troppo dolce per i suoi standard.

Subito dopo intercettai Crystal. Parlavamo spesso all'intervallo ma per breve tempo, un'amica discreta e matura.

«Ehi, Cristy!»

La ragazza posò a terra il suo borsone. «Buongiorno, Siena!» ricambiò il saluto, posando le mani sulle mie per un secondo.

«Ragazze, ci sono anch'io!» Scarlett spuntò dalla folla, un po' trafelata. «Oggi consegnano le pagelle, ho già paura!»

«Oddio, è vero.» Il mio cuore perse un battito accelerando pericolosamente.

«Non perdiamoci d'animo: andrà tutto bene!»

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Le udienze con allegate le pagelle quadrimestrali mi erano proprio passate di mente.

Ecco perché i genitori di tutti non se n'erano ancora andati e sarebbero rimasti fino a sera. Mi stavo giusto chiedendo chi avrebbe pensato a me…

«Siena!» Una figura snella e carina si alzò in piedi sul sedile, a bordo di una macchina senza tettuccio che si fece largo tra i presenti. «Eccoti qua.»

«Miky! Mi sei mancata tanto!» esclamai, abbracciandola di slancio.

«Anche tu, cuginetta, anche tu» rispose, sorridente.

La donna alla guida tolse il foulard arabo avvolto alla testa e gli occhiali scuri, rivelando la propria zazzera di riccioli fucsia e due occhietti occidentali.

«Ciao, zia Lætitia…» la salutai con cautela.

 

«Zio Jonah ha detto a mamma che non potrà venire a parlare ai prof, perciò lo farà lei al posto suo. Va bene?»

Annuii, nel profondo delusa che nemmeno alle udienze riuscisse a venire. Non poteva scegliere un lavoro meno rischioso?

«Dai, non fare quel musetto triste» mi consolò la rosa. «Ti ho portato dei regali!» annunciò, con un battito di mani. Dal nulla fece apparire due pacchetti e me li porse.

«Oh, grazie!» risposi, sinceramente sorpresa. «Io però non ho potuto comprarti nulla…»

«Non importa, dai, prendili» m'incoraggiò con dolcezza. «Il primo te lo manda tuo padre, mentre il secondo è da parte mia.»

Sul fiocco di quello rettangolare c'era attaccata una lettera.

Happy Christmas, my daughter. Dai alla zia l'indirizzo scritto sotto, per rispedire a casa i tuoi Pokémon. Remember, soldier: non smettere mai di combattere.

Scartai con cura la carta, finché non emerse la custodia di una pistola ad aria compressa allegata a un barattolo di pallini fluorescenti. Sorrisi emozionata: anch'io ero un soldato. L'avrei messa nello zaino e tenuta sempre lì, in caso di bisogno.

Il regalo di mia cugina consisteva in un peluche di Pikachu, fatto così bene da sembrare reale. Come biglietto d'auguri c'era un graziosissimo disegno di noi in versione chibi vicino a un albero di Natale.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«Leila-chaaaan!»

«Ehi» mi salutò la bionda, riponendo la borsa contro alla gamba del letto. Vide Mister Kori-Miro penzolante dalla sbarra e mi fissò con un sopracciglio alzato.

Fischiettai come se niente fosse, nascondendo il finto Pokémon sotto al cuscino, accanto al Pikachu regalatomi da Miky.

«Oggi consegnano le pagelle. Non sei in ansia?»

Alla mia domanda sorrise, accarezzando la superficie del suo confortevole letto, come a dargli il buongiorno. «Un po', anche se so di non avere insufficienze.»

«Io ho quattro di mate…» ammisi, con forse un po' troppa spensieratezza. «Come mai sei preoccupata, scusa? Sei sempre sui libri…»

«Gli insegnanti dicono che mi perdo nei miei pensieri e non socializzo abbastanza» rivelò, con lo sguardo basso. «Sicuramente lo faranno presente i miei genitori.»

Mi ammutolii, come un Wishiwashi rimasto solo nell'oceano.

«Non sarà la fine del mondo!» tentai di consolarla. «Piuttosto, mia zia è francese e di francese io ho un misero sei. Non sai che vergogna.»

Abbozzò un sorriso. Solo allora mi accorsi dei mocassini e i collant bianchi che le lasciavano scoperto un pezzetto di ginocchio robusto e la gonna, leggera come carta velina.

«Oh, no: la divisa di primavera! Me n'ero scordata!»

In men che non si dica sul pavimento si creò una montagna colorata di vestiti che non vedevano un ferro da stiro da tanto, troppo, tempo.

«Siena» s'intromise Leila, scostandosi dal viso una maglietta che le era arrivata addosso per sbaglio. «Non l'avevi lasciata nel terzo ripiano del tuo armadio, vicino al pigiama di scorta?»

«Ah, damn, è vero!»

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Micaela si gettò a terra, a mani unite in segno di preghiera. «Nooo, mamma, ti prego!»

La zia sospirò pesantemente. «Alzati, su! Una vera signorina mantiene contegno in ogni situazione.»

La quattordicenne obbedì, tenendo le obbiezioni per sé.

Oltre la porta della 1^A, seduta alla cattedra con le mani congiunte, stava la Michaelis. Sembrava le avessero messo dello scotch invisibile per non far mutare quel sorriso crudelmente felice. Lì dentro vedevo le fiamme dell'Inferno che divampavano di rosso sanguine e giallo vivido, mentre una coda a forma di forcone si agitava dietro al sedere del cosiddetto Diavolo Rosso.

«Good luck» le dissi, dispiaciuta. “Tanto ci metterà il doppio perché, dopo, tocca a me.

Le converse a chiazze di Federico comparvero all'orizzonte, assieme alla sua Coca-Cola fresca di distributore. «Ehi, bellezze! Siete pronte per il giorno più brutto della vostra vita?» domandò con finto entusiasmo, sorseggiando la bibita.

«Pronta? Scherzi?!» Miky andò a strattonarlo per il colletto del cardigan. «Se mia madre vedrà i miei voti d'inglese mi manderà in un collegio di sole suore!»

Dal ghigno perverso del ragazzo dedussi che, fosse stato al suo posto, a lui quell'alternativa non sarebbe dispiaciuta poi molto.

«La mia è appena uscita dalla Lightness.» Una smorfia gli comparve in viso. «Ha detto: “Lui e la Grande Kiku sono in combutta, vogliono rovinarmi!”… Ma vai, va'!» Fece il gesto dell'ombrello, scocciato.

La rosa piantò le mani sui fianchi, fiera. «Finalmente quella vecchia megera ha capito che io sono grande e deve temermi!»

«Miky…» Tossicchiai, sorvolando il fatto che la Lightness e la Michaelis fossero le prof più giovani che avessimo. «È per distinguerci, lo dicono anche la Carteer e persino Schulz!»

Il suo entusiasmo andò in frantumi, ma mantenne un briciolo di orgoglio. «Dettagli!»



 

Angolo Autrice
Hiya!
Se il precedente capitolo si chiama “Un mese in un lampo” mi è sembrato giusto che le vacanze finissero all'inizio di questo. Facendo i calcoli, quindi, la loro scuola è durata/durerà:
Dal 10 Settembre al 28 Novembre, dal 10 Gennaio all'8 Giugno.
Pagelle e udienze insieme: poverini i miei personaggi! Ma hanno avuto praticamente due mesi da passare in famiglia, perciò non possono lamentarsi.
Ringraziate Miky se ho aggiornato oggi, dato che me l'ha ricordato lei xD
Grazie a chi continua a seguirmi :3 bye!
-H.H.-
 

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Capitolo 22
*** Normalità, eccoti qua ***


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22. Normalità, eccoti qua

 

Sotto i giudizi analitici di Miky spiccavano le parole “pericolosa” e “piromane”, mentre sotto i miei “vivace” e “distratta”.

Controllai rapidamente le valutazioni del primo quadrimestre:

ImgLand.net image

Dentro un riquadro giallo ananas, nella facciata dietro, era scarabocchiato un otto di condotta disciplinare. Forse perché una volta ero finita in punizione con Azuma, o per i numerosi richiami fatti a me e Naomy. L'importante, comunque, era che fosse sufficiente.

Secondo la Lightness potevo prendere tutti dieci d'inglese, mancava l'impegno. Schulz invece aveva gonfiato le guance come una mongolfiera, dicendo: “Un caso irrecuperabile. Quell'altra, almeno, quando vuole si applica.” Quasi gli usciva il fumo dalle orecchie, manco avesse in bocca un peperoncino di troppo.

 

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«Fede, dov'è la tua pagella?» chiese Eleanor, allegra e inflessibile al tempo stesso.

«Ehm…!» Il ragazzo si guardò attorno, allarmato. «Me l'ha mangiata il Pokémon!» affermò di fretta, come un bimbo di cinque anni.

A Lucifero tornò in mente la sera prima, quando il suo padrone cercava di ficcargli in gola la carta. “Magna, magna, ch'è buono” sibilava con aria da pazzo.

«Fa niente!» trillò la mora. «Era solo una fotocopia. Quelle vere le abbiamo sottochiave, nei vostri dossier. Non le diamo certo a voi.»

Il brunetto si spiaccicò una mano sulla faccia. Voci di corridoio sostenevano che avesse le materie più importanti insufficienti, non compensate dall'ottimo di motoria. In più, il sette di comportamento era un ulteriore problema.

Invidiavo da morire Baby Connor e Francesco: quasi tutti i loro voti non scendevano sotto all'otto e la loro scheda era compilata con ordine maniacale. Anche Azuma sorrideva con fiera grazia e Jeanne non poteva lamentarsi.

Naomy sventolò la pagella verso sé come un ventaglio, svogliatamente. «Non vedo l'ora di liberarmi di quest'affare.»

 

Levigai con il dito la terra scurissima attorno al mio germoglio. Dopodiché scrissi sul taccuino a righe che dall'ultima lezione di botanica era sempre uguale.

«Ehi, Niky» chiamai, voltandomi. «Quanto avevi di musica?»

«Sette» rispose il più piccolo della classe, chinato sulla sua pianta con due foglioline alle estremità. «Tu e Leonard avete preso i voti più alti, complimenti!»

Lo ringraziai e le mie guance s'imporporarono leggermente. Cercai il biondino dispettoso, intento a parlare con Francesco. Era bello come sempre, ma incurante della mia esistenza… Come sempre.

«Derry dice che, forse, verranno bocciati lui e Achille» mi raccontò il piccoletto, riportandomi alla realtà. «A rischio c'è anche Miky.»

Risposi con un verso di sincero dispiacere. Senza quei tre elementi saremmo stati una classe… Normale, noiosa. Preferivo non pensarci.

«Sai, mi fa un po' pena Achille» confessai, per cambiare argomento. «Sento che quelli grandi lo prendono sempre in giro, in mensa.» Nel frattempo innaffiai quello che, dal gambo esile e il bocciolo chiuso, era chiaramente un fiore.

«Io non lo prendo in giro» decretò Chicco, orgoglioso. «Era con me, alle elementari.»

Sorrisi: ero felice di non essere l'unica con un po' di umanità.

«Ma perché capitano sempre tutte a me?» bisbigliò Naomy, alla mia destra, stringendo i denti chiari come neve sciolta.

Quando rivolsi lo sguardo al suo vasetto d'argilla vidi un gambo che si propagava in ordine sparso, dove ogni tanto spuntavano foglie acuminate.

«Cos'è? Un rampicante?»

La blu allontanò il nasino roseo di Shinx appena in tempo, facendogli soffocare uno starnuto. «No, edera velenosa

«Ti si addice» commentai con una leggera risata, beccandomi una smorfia capricciosa.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«Allora, riproviamoci.» Azuma richiuse con delicatezza la copertina fasciata del suo libro, che raffigurava le Antiche Rovine di Solarosa.

«No, ci rinuncio. È impossibile…»

«Su, su» m'incitò, riaprendo il testo scolastico dove teneva la mano come segnalibro. «È facile. Nel 1858 la città-stato principale e da cui partivano tutte le iniziative d'innovazione era Ferruggipoli; era governata da un imperatore severo, che pensava al guadagno ma non al benessere cittadino…»

Tendevo le orecchie per ascoltare, ma le informazioni sembravano passarmi da un orecchio all'altro, distanti.

«… E dopo quest'importante svolta politica, il figlio del nipote lo uccise per prendere il suo posto sul trono. Hai capito?» chiese la bionda, masticando rumorosamente una saporita gomma.

«Uhm-uhm.»

La mia attenzione era rivolta, in verità, alle goccioline di ghiaccio sciolto che pendevano dal ramo sotto la fontanina, per poi cascarci dentro con dei limpidi flop.

«Quell'imperatore aveva la mania di sfruttare i Pokémon e sua figlia si chiamava… SIENA?»

«Eh? Cosa? Chi si chiama Siena?»

Azuma sospirò, prima di dare un altro morso schioccante alla chewing-gum. «Senti, io ti aiuto. Però tu collabora, eh?»

Annuii, un po' abbuiata.

 


 

Angolo Autrice
Hiya!
Ammetto di aver riscontrato difficoltà ad allungare il capitolo. Comunque più o meno ce l'ho fatta :)
E' così comodo avere tutto già scritto :') mi fa sentire dannatamente potente.
Ringrazio tanto i soliti recensori e anche i nuovi ;D
Ci vediamo al prossimo cap, bye
-H.H.-
 

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Capitolo 23
*** Sweet, sweet ovunque ***


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23. Sweet, sweet ovunque

 

Quel giovedì mi svegliai con uno spicchio di luce in faccia e un piacevole tepore allo stomaco dovuto alle coperte. Non avevo mai avuto bisogno della sveglia, anche perché non ne possedevo una. Anzi, Moni era la mia sveglia, che ogni mattina con un morsetto all'orecchio o il peso delle zampe mi riportava alla vita di sempre.

«A dopo, Siena!» Leila era già vestita e, scortata dalla sua volpe del fuoco, aveva appena sbattuto l'uscio. L'incarto di cartapesta che intravidi tra le sue mani, non più grande del mio palmo, mi ricordò che era il quattordici febbraio. Un flashback invase la mia mente alla vista del sacchettino verde mirto appoggiato sulla mensola dove tenevo elastici, mollette e CD.

 

La lezione era finita ed eravamo rimasti in tre.

«Dai, ti dico che funzionerà!» sostenne Elena, ottimista come sempre.

Strinsi al petto il pacchettino di carta, chiuso con una cordicella di velluto. «E-E se scopre che sono io?»

«Non glielo diremmo mai» intervenne Francesco, sincero. «Potrebbe metterglielo Piplup sul cuscino, mentre io lo distraggo!»

«Oppure glielo do io di persona!» si offrì Achille, con un sorriso innocente. «Farò il bravo. Promesso.»

«No!» Arrossii di botto, stringendo i pugni. «Voglio che glielo dia Francy!»

Elena e Achille, alla mia decisione irrevocabile, apparirono un po' delusi.

«Soldato.» Poggiai solennemente le mani sulle spalle del mio amico. «Affido a te e Piplup questa missione di vitale importanza.»

«Sissignora!» mi rispose, con un tradizionale saluto militare, imitato dal pinguino in piedi sul suo banco.

Presi un altro respiro profondo. Sì: forse sarebbe andato tutto bene. «E se non gli piace il cioccolato?»

«Ma sì che gli piace, tranquilla!»

«Mangiare il cioccolato dà la sensazione di essere innamorati, lo sapevate?» commentò Achille, radioso come un raggio di sole.

 

 

Nessuno, salvo quei tre, era al corrente del mio dono per Leonard Ririshi. Si trovava dentro la tasca davanti del mio zaino, accanto alla pistola ad aria compressa.

«Non ti sembra un gesto un po' vago?» disse Naomy, non appena le esposi l'idea. «Io ad Andrey ho regalato un portachiavi con attaccate le lettere A e N. Se lo perde, è un uomo morto.»

«E quello? Te l'hai dato lui?» chiesi, in direzione dell'anello al suo indice con su un diamantino sfavillante.

«Ah-ah. Non me l'aspettavo proprio!»

«Quindi ora state insieme?» azzardai, sorpresa.

«Sì sì. Chi l'avrebbe mai detto, eh?»

Risi, complice. «La Detective Siena ovviamente lo sapeva! Chi odia ama!» commentai con convinzione.

Poi fissai il mio bicchierino di cioccolata calda fumante. L'avevo preso alle macchinette, cosa che mi ero concessa solo la sera di Natale. Se era vero ciò che aveva detto Achille, mi sarei sentita ancora più attratta dal mio angelo biondo.

Il mio occhio curioso cadde su Miky e Fede. Erano in tavoli opposti, ognuno con biglietti rosa e regalini incartati accanto a sé. Sorridevano comprensivi a tutti ma non sembravano spensierati come al solito.

 

Entrando in classe con Elena notai che, sui banchi di tutte le femmine, c'erano delle graziose borsine rosee in miniatura.

«Chissà chi è stato!» esclamai, osservando la mia, mentre la confusione tra le altre regnava. Era rettangolare e profumava di cioccolata bianca.

«Li ho messi io» ammise il Baby Connor, un po' impacciato. «Alle elementari ci facevamo regali tra di noi, così ho pensato che vi facessero piacere…»

Io e la rossa ci guardammo e andammo nella pancata della porta apposta per abbracciarlo contemporaneamente, sentendolo impietrirsi.

«Sei stato davvero carino» commentai, sorridente.

«Già, grazie.» Azuma, appena arrivata, mostrò un'espressione calma ma dolce. Quando si sedette notò che sotto al suo banco c'era qualcos'altro. Un pacchetto di carta argentea legato da un fiocco blu.

Lanciai uno sguardo confuso alla bionda coi codini. Posò l'indice sulla bocca e nascose il regalo misterioso nello zaino, forse perché si vergognava e ne sapeva meno di me.

 

Tutto, quel giorno, riportava a San Valentino. Nella bacheca erano appesi post-it firmati con soprannomi misteriosi e tempestati di cuoricini, i prof erano allegri come fringuelli e tutti avevano la testa altrove.

«A che pagina?» chiesi, girandomi da Francesco.

«Quarantuno» sussurrò, indicandomela. Aprii il libro ma la facciata era totalmente diversa.

Mi rigirai. «Sicuro?»

«Qua-ran-tu-no» sillabò Leonard, un po' innervosito. Serrai le labbra in preda all'umiliazione.

«Piccola Kiku, qualche problema?» mi domandò la Lightness con premura.

«Non trovo la pagina» mugugnai, esasperata.

Nao voltò il mio libro verso sé per controllare la copertina. «Per forza: hai preso inglese! Ora c'è francese!»

Mi ero sentita così scema solo quella volta che Jeanne aveva preferito uscire “con i fantasmi” anziché con me. A proposito di lei: quel giorno si era assentata perché doveva spedire un pacco di massima importanza all'ufficio postale.

«Sei innamorata, allora, per essere così distratta!» mi canzonò Koraline, con un sorriso bonario.

Sobbalzai, affrettandomi a negare, rossa come un peperone.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Stava per avere inizio l'Operazione Vai E Consegna. Quando all'ultima ora tutti abbandonarono l'aula di scienze afferrai il braccio di Francesco, tirandolo appena accanto alla porta aperta.

«Ecco a te, soldato.»

«Non si accorgerà di nulla, promesso!» mi assicurò lui, in un borbottio. Prese il sacchetto, simile a quelli che consegnano nelle gioiellerie.

«Ah, tieni!» Prima di dimenticarmi, gli diedi un cioccolatino rotondo con il ripieno all'amarena. Odiavo l'amarena. Precedendo qualsiasi richiesta, gli dissi: «In teoria sei il mio migliore amico e ti devo questo favore!»

Mi ringraziò e sostenne che, entro quella sera, mi avrebbe fatto sapere qualcosa.

 

«Dimmelo, dimmelo, dimmelo» sembravo un giradischi inceppato e seguivo Azuma come un insetto fastidiosamente appiccicoso.

«Non. Lo. So!» rispose per l'ennesima volta. «Non ne ho davvero idea. E poi perché un oggetto del genere?» Alzò la catenina dipinta di rosso all'alto. Non c'era attaccato niente e un gancetto serviva per aprirla.

Ci fermammo appena prima delle panche di granito nell'ala ovest. C'era un bel sole caldo che scaldava l'erbetta e le siepi a forma di Pichu e Charmander.

«Bun, bunnè!» Una coniglietta marroncina arrivò a suon di saltelli verso di noi, interrompendo la conversazione.

«Dai, torna qui!» Ryder, il suo proprietario, la seguiva a distanza.

Shinx si parò davanti a lei con un balzo olimpionico. «Sheen!» la salutò con un'alzata di zampa.

La coniglietta, amichevole, saltellò ancora unendo la zampetta morbida alla sua.

«Batuffola! Qui!» intimò il ragazzo dagli occhi bicolore, inginocchiato in attesa che la Pokémon gli corresse incontro. «Scusatela.»

«F-Figurati.»

Il suo sguardo non resse quello di Azuma né lei resse il suo, capace di stregare. Corse via, intimando alla sua Buneary di non scappare più all'improvviso. Voleva solo salutare il mio Shinx, però…

La nostra attenzione passò subito altrove, a una voce dolce come un pandoro: «Ti ringrazio per essere venuto. Ci tenevo immensamente.»

Girato il capo vedemmo qualcosa d'impensabile. Evangeline Michaelis indossava dei tacchi, una camicetta bianca e dei jeans casual; vista così non sembrava una Guerriera della Lingua. Accanto a lei c'era un ragazzo, dall'aria misteriosa e gli occhi più gelidi di un iceberg.

Io e la bionda ci nascondemmo dietro alla siepe di Pichu per spiarli.

Il giovane le sorrise cortesemente. «Allora, cosa dovevi dirmi?»

Giurai di aver visto la rossa tormentarsi una boccolosa ciocca. «E-Ecco, Mirton. Ci tenevo a darti questo.» Gli porse un'elegante borsa bianca di marca. Conoscendola, probabilmente conteneva dei cioccolatini extra fondenti.

«Non avresti dovuto disturbarti.»

«Accettalo, altrimenti mi offendo.» Soffocò una risata insicura, mentre un rossore lieve le imporporava le guance.

Anche lui mostrò un sorriso sghembo. «Ti ringrazio.»

Scambiai uno sguardo di pura meraviglia con Azuma. «La Michaelis non è un demone! Ha un cuore, è innamorata!» esclamai, battendo le mani dall'emozione.

«E molte conoscenze: quello è uno dei Superquattro di Unima, mi domando come faccia a conoscerlo!»

Non mi scorderò mai la sua espressione. Mi ricorderà che sotto quella maschera professionale, ogni insegnante ha una vita privata.

 

 

 

Angolo Autrice
Hiya!
Preciso che la scenetta del libro mi successe in prima media (1^D), solo al contrario: presi francese al posto d'inglese e la prof fece quella battutina imbarazzante >//<
Chiedo scusa se il personaggio di Mirton è appena accennato, ma purtroppo non lo conosco affatto e mi sono mossa alla cieca.
Ringrazio come al solito chi mi segue e chi recensisce :D
Bye
-H.H.-
 

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Capitolo 24
*** Giovani spacciatori colpiscono ancora ***


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24. Giovani spacciatori colpiscono ancora

 

Il soldato Francesco Matthews fece rapporto la sera stessa.

«Piplup è stato un fulmine, l'ha messo sotto al suo cuscino appena in tempo! Poi io gli ho detto che era lì già da stamattina» m'informò. «Ovviamente, Leo è curioso di sapere il mittente.»

Deglutii, mentre una voragine di paura mi s'apriva nel petto. «Non glielo hai detto, vero?»

«Certo che no!» mi rassicurò, allargando un palmo sul cuore in segno di sincerità.

Sospirai, sentendomi più tranquilla.

Forse era stato un gesto inutile. Chiunque avrebbe potuto spacciare il pacchetto per proprio… Ma non avrei mai potuto firmarlo, altrimenti lui mi avrebbe evitata ancora di più.

 

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Un tornado fucsia fece irruzione in camera mia. «Lo detesto, lo detesto!»

Distolsi lo sguardo dal diario antico della 194, nascondendolo dentro la federa del cuscino. «M-Miky! A cosa devo la tua visita?»

Anche Leila, stranita dal turbamento della quiete, alzò gli occhi diamantati dal libro che aveva preso in prestito dalla biblioteca.

«Cuginetta, devo assolutamente parlarti» annunciò la rosa, guardandomi dritta negli occhi, mai stati più seri. «Oh, ciao! Scusa, non ti avevo vista!» esclamò poi, agitando la manina in direzione della mia bionda compagna.

 

Erano passati un po' di giorni da San Valentino. Era tutto normale, tranne che mia cugina e il suo migliore amico avevano distanziato i banchi di parecchie spanne e s'ignoravano volutamente.

Mentre camminavamo lungo i corridoi, lei mi svelò il mistero.

 

Non era ancora ora di colazione. I due amici s'incontrarono sul dondolo dell'ala destra del giardino, dove regnavano i boccioli in piena fioritura e il chiarore mattutino.

«Ehi, Miky! Guarda che roba!» Derrick allentò il laccio con cui era chiuso un sacco pieno come quello di Babbo Natale, venendo sommerso da molteplici cioccolatini, biglietti d'auguri glitterati e scatolette cuoriformi. «E questa è solo una piccola parte: dovresti vedere la mia stanza… Le mie fans stanno letteralmente cercando di farmi venire un'intossicazione diabetica!»

Il viso di lei si spense di colpo, come se qualcuno avesse schiacciato un interruttore proibito incastrato nel suo cuore. «Tsk, che sbruffone…» affievolì il tono che, però, diventò più nervoso. «Ti credi chissà chi solo perché ti regalano del misero cioccolato!»

L'altro s'imbronciò, ferito nell'orgoglio. «Dici così solo perché scommetto che a te ne sono arrivati molti di meno!»

La ragazza vacillò per un istante, quasi delusa dal suo comportamento. «Sei veramente uno stupido…» Attese qualche attimo, girandosi indietro. «E, per tua informazione, me ne sono arrivati tanti quanti ne sono arrivati a te.»

 

Annuii, un po' scossa: mi aspettavo tutto dal Grande Connor, tranne quello. Non lo credevo così insensibile…

«Ci sono rimasta male» confessò la rosa, mentre ci avvicinavamo alle scale della hall. Siccome era pomeriggio filtrava luce tra i corridoi, grazie al portone spalancato che riscaldava le pareti. Le persone si muovevano libere, ignorando chi non conoscevano.

«Immagino. Oh, eccolo là il nostro colpevole.»

Il brunetto era in fondo alla rampa di scale, in compagnia di un amico che teneva il cardigan quasi del tutto sbottonato. Quando passammo le lanciò un'occhiata di sufficienza, continuando il suo discorso.

Ciò servì soltanto a peggiorare ulteriormente l'umore di Micaela, che per tutto il giorno rivolse gli occhi azzurrini al basso.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Naomy sospirò come se avesse un peso a pressarle sullo stomaco. «Sicura? Non è che è sotto al letto o in classe, o nel cassetto, o in mensa, o nello zaino, o… Plusle, vieni immediatamente qui!»

Scossi il capo con sicurezza, mentre il demonietto tornò ad aggrapparsi alla sua gamba.

«Ma te lo giuro, quasi tutti i pomeriggi io e Azuma studiamo lì. Oggi ce l'avevo addosso e quando sono tornata in camera non più! Solo che me ne sono accorta, ehm, cinque minuti fa…»

«Okaaay.»

Rispetto all'ultima notte della nostra uscita di recupero il venticello ci solleticava le pelle, le stelle in cielo erano tanti pallini chiari a rischiararlo e l'erba sotto ai nostri mocassini era carica di delicata rugiada. Poi eravamo più agevolate nei movimenti grazie alle gonne leggere e le lunghe calze.

«Lì! Eccola!» bisbigliai.

Dietro la fontana nella facciata principale giaceva la mia felpa bianca, con al centro una P racchiusa in uno stemma grigio, con stelle dagli angoli sfilacciati e il numero tredici ovunque. Era una felpa speciale, che mi avevano regalato l'estate del mio ultimo compleanno, infatti mi diede fastidio vederla buttata lì tra terra e residui di fogliame.

All'improvviso, un violento tonfo scosse Naomy, facendola sobbalzare come le molle di un letto mal-funzionante. «Oddio! Cos'era?» chiese, mentre la presa di Plusle si saldava ancor di più alla sua caviglia.

Sentimmo due risatine complici provenienti dal portico che si estendeva per metà dell'ala est del cortile, lontano dal gazebo decorato di rampicanti rigogliosi che ospitava il dondolo.

«Sono loro!» borbottammo all'unisono.

Quella volta che la mia amica aveva dimenticato la bandana sulle panche di granito, avevamo sorpreso i nostri compagni Nicolas e Anastasia in cortile in un orario sospetto.

«È arrivato il momento di vederci chiaro» dichiarò con una smorfia insoddisfatta.

 

Come previsto: il Baby Connor e la moretta erano seduti sullo scalino a inizio portico. Dietro, due scatoloni semichiusi scuriti dalle loro ombre.

Il piccoletto, a gambe divaricate e dita salde sul punto d'appoggio, sorrise con calore. «È bello avere questo segreto con te, Ana.»

L'altra, con il peso rivolto su un fianco e i pugni in grembo, sorrise di rimando. «Sì, hai proprio ragione, Chicco! È strano che finora non abbiamo destato sospetti.»

Plusle stette per andargli incontro, quando Moni, con tutta la scaltrezza possibile, lo afferrò per la coda a croce con i denti. Poggiai l'indice sulle labbra: sarebbero rimasti dietro al pilastro e, in caso di urgente bisogno, una doppia scossa e via. Quando il topolino finì di dimenarsi uscimmo allo scoperto.

«Fermi!»

Puntai il dito contro i due piccioncini, mentre Naomy gli rivolse un'occhiata severa con le braccia piegate sulla vita.

«Niky, se tuo fratello ti costringe a ordinare roba illegale, non ascoltarlo. Dovrebbe farlo da solo, se proprio ci tiene!»

«Ma io…»

«E tu, Anastasia, cosa spacci? Minigonne, calze a rete e tacchi alti? In tal caso, non è che me ne vendi un paio?» chiese la blu in trepidante tentazione.

La mora inarcò un sopracciglio. «Come, scusa?»

«No!» Nicolas si parò davanti a lei, drammaticamente. «Non è nulla di pericoloso! Anch'io come tutti ho un hobby, ma Derry non lo sa! Non diteglielo, per favore, mi prenderebbe in giro!»

«Non è una buona ragione. Cosa c'è, lì dentro, eh?» Naomy non s'intenerì e marciò dritta dalla prima delle due scatole.

Mi aspettavo flaconi di cocaina, foglie di marijuana et simili, invece…

La blu si bloccò alla vista del contenuto. «… Okay, ora mi sento davvero stupida.»

Le corsi accanto. In mezzo a riccioli da imballaggio, in appositi incavi, erano disposte cinque statuette di Pokémon in miniatura di vetro cristallino rifinite in maniera eccellente.

«Non è nulla di pericoloso!» ribatté il proprietario. «Non fatene parola, ve ne prego.»

«Oddio! Scusa. Credevamo fosse droga!» Entro poco l'imbarazzo di Naomy lasciò il posto a una risata sdrammatizzante.

«Macché!» Anastasia roteò le pupille. «Visto che ormai metà del segreto è stato svelato, beh… Io ordino ogni mese riviste di moda. Cecilia non deve saperlo, di sicuro vorrebbe prendermele tutte» ammise, rivolgendosi allo scatolone accanto.

Sorridemmo: allora non c'erano circoli di sostanze pericolose a scuola. O forse sì, ma i nostri compagni non vi erano entrati.

«Quando dirò ad Andrey che mi hanno scambiato per una drogata si metterà a ridere anche lui!»

All'udire quel nome i sensi della blu si misero in allerta. «Andrey? Andrey Moon di 2^C?»

«Sì, il mio fratellone! Non so se hai notato che mi chiamo AnastasiaMoon» disse l'altra, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Naomy ci mise alcuni secondi per metabolizzare la notizia: il suo fidanzato aveva una sorella che andava in classe con lei e si era preso la libertà di non informarla. Entro poco diventò rossa come la coda a spigoli di Plusle.

«ANDREEEEEEEEEEEEEEEEEYYYY!»

Il suo urlo rabbioso – che probabilmente il poverino al computer aveva sentito, cascando dalla poltroncina girevole – diede la sensazione di un terremoto imminente mettendo a dura prova la stabilità dell'edificio.

Mi unii a una risata sincera con gli altri due.

 


 

Angolo Autrice
Hiya!
Scusate il ritardo dell'aggiornamento, ma ho avuto dei problemi di connessione.
Oggi è un giorno felice e ho voglia di aggiornare u.u anche perché Miky mi ha praticamente obbligata lol
Alcune parti sono imprecise ma non riesco ad aggiustarle più di così :0
Il prossimo cap sarà totalmente dedito ad un argomento che… Vedrete.
Ringrazio tanto chi segue e recensisce ed ora vado, byee
-H.H.- 


 

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Capitolo 25
*** Parole che feriscono ***


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25. Parole che feriscono

 

Il lunedì era un brutto giorno semplicemente perché cominciava con la Michaelis e finiva, con la Michaelis.

«Oh, oh, oh» canticchiò lei, come Babbo Natale quando deve compilare la lista dei cattivi. «Orsù dunque, interroghiamo qualcuno.»

La boccia di vetro dove l'ultima volta avevamo messo i foglietti del gioco era diventata il posto ufficiale dei bigliettini da sorteggio.

La rossa li miscelò, come se la sua mano affusolata fosse un mestolo da Intenditore di Pokémon e il contenuto un impasto di crema alle mandorle. Ne prese uno di dimensioni un po' più grandi degli altri. Storse il naso.

«Piccola Kiku!»

Una freccia intrisa di panico mi colpì al petto e tale sentimento si espanse a macchia d'olio nel mio corpo.

Achille, in prima fila al centro, si sistemò gli occhiali e sbatté le ciglia con innocenza. «Ma… In controluce, io leggo Chiharu!»

La Michaelis appallottolò il foglietto, nervosa. «Sarà una tua impressione. Oh, andiamo, credete che io possa essere così crudele?»

Intanto tirai il libro di Naomy più vicino a me, ripassando vanamente le parole in grassetto che – ne ero certa – non mi sarei ricordata lo stesso.

«Sì» confessò mia cugina dal fondo dell'aula. «Eccome se lo è.»

«I commenti per sé» la ammonì il Diavolo, senza esitazione. «Cominciamo. Allora, Siena, parlami dei componimenti poetici realizzati nel 1876.»

Spiccicai solo qualche sillaba confusa. Il giorno prima c'era una festicciola in camera di mia cugina – niente Derry appeso al lampadario – e avevo passato il pomeriggio con Elena, a truccarmi e decidere se sopra la maglietta bianca con il gilè mimetico era meglio la mantellina o no.

«Suvvia, è facile. Il nome dell'autore inizia per… La terzultima lettera prima della O nell'alfabeto.»

Cercai nella mia testa, ma in quella sezione c'era una nebbia di vuoto dove si sarebbe potuto galleggiare alla cieca con un dirigibile.

A, b, c, d, e, f, g, h, i… I?” non ero sicura nemmeno di quello.

Mentre pensavo e c'era silenzio tombale, la Michaelis tirò fuori una trombetta da stadio che strizzò come uno Psyduck di gomma. «Sienaa? Sei tra noi?»

Sobbalzai leggermente. «Non so cosa viene prima della O.»

Naomy mi rivolse uno sguardo sconcertato. «Davvero?» bisbigliò quasi senza muovere le labbra.

La rossa trasformò l'interrogazione di letteratura in una di grammatica. «Siena, potresti dirci ad alta voce l'alfabeto italiano?»

Boccheggiai come un pesce mezzo morto. «I-Io…»

«Caspita, se non sai dire “a b c” sei messa peggio di me!» Dopo quella frase inopportuna, Federico soffocò un'imprecazione di dolore non appena Miky gli diede un pizzicotto sul braccio.

Anche Moni, finora rimasto al mio fianco, rizzò il pelo puntando la coda contro il castano. Sperai che non gli desse la scossa, non subito almeno.

Tacqui, nascondendo la testa tra le braccia.

Cecilia aggrottò un sopracciglio, soffocando un verso. «Pff… Io l'ho imparato a quattro anni.»

Sentii le lacrime bruciarmi il viso. Un normale bambino di quattro anni però non sapeva fare dieci ruote di seguito e non sarebbe riuscito a stare in equilibrio su una sbarra, né a suonare la tastiera senza un maestro.

Evangeline mi porse un fazzoletto azzurrino, orlato ai bordi. «To'. Vediamo di darci un contegno in futuro, che non siamo all'asilo, neh.» Il pizzico di dolcezza con cui lo disse mi fece piacere. Quella era la stessa giovane donna innamorata di un Superquattro, non quella sadica che aveva giocato sporco per interrogarmi.

«Se facesse domanda credo che lei la accetterebbero volentieri, all'asilo.» Ecco la batosta finale di Leonard, d'un ironia sfacciata.

Affondai un istante nel fazzoletto, giacché faticavo a tenere aperti gli occhi. «You don't care anything, and just think to hate me!»

Era la prima volta che parlavo la mia lingua madre in classe, infatti tutti ammutolirono di botto. Scese un gelo spaventoso.

Lanciai uno sguardo di disprezzo a Leonard e Cecili, prima di correre fuori. Non sapevo dove né perché, solo via.

 

Qualche secondo dopo la campanella suonò e tutti si alzarono, sistemando la loro roba.

«Fermo lì, tu.» Micaela marciò dritta al banco di Leonard, mentre Azuma e Jeanne stavano di guardia davanti alla porta. «Frustata!»

Le spesse liane di Chikorita legarono gli arti del biondo, intrappolandolo contro al muro di destra e ignorando il suo dimenarsi disperato.

Marill si portò le zampine alla bocca, non sapendo come intervenire.

«C-Cosa vuoi fare? Prof! Aiuto! Vogliono sacrificare le mie carni per qualche strano rito oscuro!»

La Michaelis si mise tranquillamente a tracolla la borsa di pelle. «Va bene, basta che non sporchino l'aula.»

«Proooof!» La presa delle liane aumentò, mentre l'adulta se ne andava.

«Come hai osato prendere in giro Siena?!» Naomy, imbronciata, estrasse la pistola ad aria compressa dalla tasca davanti del mio zaino. Leonard deglutì a fatica. «Mi stai facendo alterare. E quando mi altero, io divento pericolosa.» Puntò la pistola alla sua gola, cosciente che i proiettili fossero semplici pallini. «Molto pericolosa. Il che è male, molto, molto male.»

«N-Non vi pare di esagerare, adesso?»

In risposta, al biondo arrivò una frustata sulla schiena, come uno schiavo dei tempi antichi quando disobbediva agli ordini di sua maestà.

«Tu non sai niente di ciò che ha passato Siena e non hai il diritto di giudicarla!»

Al rimprovero di Miky, diventò bianco come un cencio e strabuzzò gli occhi, mentre il suono simile a una cerniera segnò l'allentamento delle corde vegetali attorno alla sua vita.

«Già… Dovresti chiederle subito scusa» gli disse Francesco, mordendosi con disappunto il labbro.

«Cheee sfigato!» commentò Derrick a Ryder, senza il minimo tatto.

Mia cugina mentre usciva si fermò un attimo davanti a lui, pestandogli il piede con tutta la rabbia che aveva racchiuso in quei giorni di distacco. Nella stanza rimasero solo Derry contorto dal dolore, il suo amico a guardarlo e infine Francesco, che sgridava il coinquilino in modo più lieve e confidenziale.

 

 

Il primo posto dove andai fu la mia Base Segreta. Erano tutti in mensa a mangiare penne al pesto, arrosto e purè. La sottoscritta, però, ovviamente non aveva fame.

Tirai pugni ai cuscini disposti contro al muro del letto, tolsi le scarpe e mi accucciai sul davanzale. Il vetro era umido e c'era la condensa sopra.

I can't do more…” scrissi con la punta dell'indice. Fuori batteva una pioggerella leggera che mi cullava come un respiro infinito, l'erba si annacquava e le gocce scivolavano sulle panche di granito. Il cielo era grigio e piangeva pioggia insapore, i miei occhi erano grigi e piangevano lacrime amare ©.

Ripensai al diario trovato nella scatola che ora era impilata sulle altre. Le avrei aperte, ma dal loro peso sembrava fossero piene di palle da bowling. Francamente mi mancava la forza di muovermi.

Qualcuno grattò la porta. Il mio cuore saltò un battito. Forse qualche professore mi aveva trovata e voleva mandarmi dal preside. Già mi ci vedevo, con le spalle strette e le gambe molli come gelatina, in piedi davanti alla cattedra della presidenza.

Quando sentii un lamento sommesso capii che le mie preoccupazioni erano futili. «Moni!» mormorai, con un mezzo sorriso mesto.

Uscii in fretta e furia e usai la forcina a onde per richiudere la 194: se il mio starter era venuto a chiamarmi era perché, di sicuro, qualcuno mi cercava.





Angolo Autrice
Hiya!
La mia assenza è dovuta a problemi di connessione, per cui mi scuso. Buon 2014 a tutti!
Questo capitolo lo scrissi di fretta ma, fortunatamente, prima della pubblicazione riesco sempre ad aggiustarli un po'.
Spero che non abbia fatto così schifo e che Leo non sembri cattivo! Fa sempre la figura dell'acido ma in realtà non sarebbe così…
Ho messo la C di copyright perché tengo TANTO a quella frase e vorrei che non mi fosse rubata.
Bye
-H.H.-
 

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Capitolo 26
*** Animo da cavaliere ***


Distance: doesn't matter.

26. Animo da cavaliere

 

Mi ero ripresa bene dall'episodio dell'alfabeto. Quella sera Jeanne bussò alla mia stanza in veste di portavoce della Michaelis: «Tra due settimane sarai interrogata sull'alfabeto italiano, inglese, francese, russo, spagnolo, giapponese e coreano.»

Deglutii scioccata, mentre l'albina disponeva sulla mia scrivania sette schede di pronuncia con le ventotto o più lettere. Sotto allo spazio libero di quello italiano c'era la scritta: “Buon divertimento, cara!~” e la firma elegante di quel demone di professoressa. In quel momento non seppi se ridere o piangere e venne fuori un'unione delle due emozioni grazie alla quale salì la preoccupazione di Leila nei miei confronti.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Ero seduta con fierezza alla tastiera dell'aula musica e suonavo a volume basso, sperando di non attirare l'attenzione quando mi sfuggiva una nota errata. Tra un brano e l'altro parlavo con Scarlett, ascoltando più o meno tutta la vita del suo cantante preferito. A gambe incrociate sulla moquette, invece, c'erano Leonard e Crystal con le loro chitarre. In piedi, Jeanne accordava il suo elegante violino, infastidita dal caos generale. Anche Elia, in fondo alla sala, non sembrava gradire che altri suoni molesti coprissero il suo flauto di Pan. Il resto della classe usava il flauto soprano, chiacchierando frivolamente.

Il pezzo che eseguimmo per ultimo, con la Merodi che usava una matita a mo' di bacchetta per scandire il tempo, fu l'allegretto di un film.

Finita la lezione della mia materia preferita, schiacciai il pulsantino rotondo per spegnere lo strumento non mio.

«Siena, hai un minuto?» mi chiese la prof dalla criniera indomabile, squadrandomi con attenzione, come se fossi un'adulta al suo pari.

Portai le braccia dietro la schiena, accennando a Shinx di correre in classe con Kira che l'aspettava poco più avanti e i miei compagni. «Certo, cosa c'è?»

«L'altro giorno girovagavo su internet, e ho trovato… La canzone che fa per voi

«Voi?» Alzai un sopracciglio, stranita. Quel voi poteva significare tante combinazioni. Io e Scarlett, io e Jeanne, io ed Elia, io e…

«Tu e Leonard» ammise la prof, guardandomi con un pizzico di divertimento attraverso gli occhiali da vista. «Ci vediamo giovedì alle prove per i dettagli!» E sia la porta che il pupazzetto dalla schiena maculata sulla sua borsa sbatterono.

Mi sedetti sullo sgabello del pianoforte. Il biondo non avrebbe accettato neanche se glielo avesse chiesto il preside con gentilezza. Dall'episodio alfabeto lo incrociai solo una volta nei corridoi: mi biascicò un impacciato «scusa…» e poi nient'altro.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«Chi ne vuole un po'?»

Tutti accorsero alla cattedra, dove la Carter stava spezzando una barretta di cioccolato in cubetti di uguale dimensione. Al sabato era bello l'intervallo con lei perché parlava come una di noi e aveva la risata facile.

Francesco amava i dolci più di qualsiasi cosa, perciò si sporse dietro a Crystal e il Tepig di Anastasia che agitava la zampa.

Anche io e Naomy ci mettemmo in fila, finché sentimmo un dubbioso odore amarognolo nell'aria.

«È fondente?»

«Sì.» Sbuffò, delusa. «Odio il cioccolato fondente, mi sa di catrame… Non che io l'abbia mai assaggiato.»

Annuii comprensiva. «Idem.»

«Che schizzinose!» commentò Leonard, senza però acidità, piuttosto fu un'osservazione passeggera.

«Già.» Miky sgranocchiò la sua parte come se avesse i dentini di un Dedenne. «L'importante è che sia cioccolato!»

«Mi piace come ragioni!» esclamò l'altro, stringendole la mano in segno d'intesa.

La blu annuì con una smorfia mentre io scrollai le spalle.

 

Noi femmine passavamo circa dieci minuti negli spogliatoi. Rimiravamo le nuove scritte di bianchetto sui muri, chiacchieravamo del più e del meno scambiandoci fazzoletti, caramelle e deodoranti.

«Sei tutta bianca» osservai, stupita. Stavo facendo a mia cugina una mezza coda, che la donava un'aria più carina.

Quando ebbi finito appoggiai la gamba sulla panca e lei mi allacciò le stringhe delle sneakers di tela. «Non è niente.»

Sorrideva, ma i suoi movimenti erano un po' più fiacchi della norma. Chikorita la guardava con un musino dispiaciuto, aiutandola anche nei gesti più semplici come il mettere la felpa sull'appendiabiti. Miky era obbligata a fare un'assenza al mese, andando all'ospedale per misurare i globuli rossi nel sangue, carenti, ma a volte prendeva il problema alla leggera e saltava la visita.

Come sperato dalle nostre compagne, andammo all'aperto. Nel cielo azzurro le nuvole si mantenevano basse e striate. Delle strisce di scotch delimitavano gli angoli del campo. Un prato in salita si estendeva, conducendo a un pianerottolo con un ciliegio e una fossa di sabbia.

Mentre noi correvamo, ammassati due a due, i Pokémon erano liberi di giocare ad acchiapparello o nascondino nel campetto di sopra.

Gino ci chiamò a raccolta, quando gli sembrò di averci torturati scaldati abbastanza. «Bene, oggi introduciamo un esercizio nuovo.»

Ci mancavano solo le contorsioni o verticali, peccato per lui che io sarei stata avvantaggiata in tal caso, perché ero campionessa di ginnastica artistica.

Lo seguimmo fino a una quercia imponente situata a est del pianerottolo di svago, dove il ciliegio dava un senso di armonia. L'altezza di essa non aveva nulla da invidiare ai grattacieli di Austropoli. Da un ramo pendeva una corda intrecciata, con un anello di ferro all'inizio e uno alla fine. Ondeggiava ai comandi del vento, come galleggianti bicolore in mare aperto.

«Dovete arrampicarvi e poi tornare giù, avete presente dei Chimchar?» spiegò il professore. «Grande Kiku, vieni qua» ordinò poi, con un cenno del capo.

In un flash mi ricordai del pomeriggio passato con Micaela al Parco Divertimenti di Sciroccopoli, alcuni anni fa. Appena prima che la ruota panoramica decollasse era scesa di corsa, con una mano sulla bocca e l'altra sulla fronte. A fine giro l'avevo trovata sulla panchina, con un bicchiere d'acqua tra le dita. “Non ce la faccio, scusa” aveva detto, mortificata.

«N-No, prof, non me la sento…» sussurrò infatti, pallida pallida come un fantasma.

«Grande Kiku, se non fai l'esercizio ti metto uno.» Sorvolando il fatto che uno non era un voto concesso dal regolamento scolastico, nessuno ebbe il coraggio di difenderla.

«Prof, ma lei non…» Solo Federico avanzò di un passo con un palmo teso, poi lo ritrasse.

Miky, in shorts e maglietta bianchi, chiuse gli occhi. Strinse i denti e mise le mani l'una davanti all'altra, finché al posto della corda non sentì il freddo dell'anello a triangolo. Solo allora deglutì e aprì una palpebra, per poi richiuderla subito.

Tutti la fissavano dal basso, straniti dalla paralitica lentezza dei suoi movimenti.

Ma lei non trovò il coraggio di muoversi. Anzi, strinse di più le ginocchia alla corda tremolante e presto il suolo sottostante si bagnò delle sue lacrime silenziose.

«Ma ci è o ci fa?» sbraitò Federico. «Quella ragazza è anemica, ha le vertigini e lei la manda là sopra?!»

Non ricevette risposta, solo un silenzio di disagio.

Le mie compagne dicevano continuamente “poverina!” mentre i maschi, da bravi egoisti, si lamentavano che stessimo perdendo l'ora.

«Ehi, calma!» Federico prese il comando della situazione e spalancò le braccia, guardandola, rassicurante come non mai. «Salta, giuro sul sole che ti prenderò!»

Ecco, si era già scordato della stupida scenata di San Valentino. Secondo la sua affermazione il sole si sarebbe spento, se avesse mancato la presa. E Miky si sarebbe rotta tutte le ossa. Scambiai uno sguardo d'intesa con Shinx: questo non era per niente rassicurante.

«N-Non ce la faccio…!» rispose la ragazza, senza fare alcuna mossa. La corda oscillava come la bandiera d'istituto e avevo il terrore si spezzasse da un momento all'altro, anche se lei era più leggera del gambo di una margherita.

«Oh, andiamo! Ti fidi di me?»

La rosa sentì un rossore avvamparle nelle guance. Annuì lentamente, prendendo un respiro intenso. Poi lasciò alla gravità il potere di trascinarla giù, ritrovandosi entro poco avvolta dalle braccia accoglienti di Federico. Fece un sorrisetto spossato e l'ultima cosa che vide, prima che la vista le si annebbiasse, fu il volto del suo cavaliere.

La classe esplose in applausi di meraviglia, come quando un pompiere salva uno Skitty dal ramo di un albero o un cittadino insignificante soccorre una bambina durante un incendio.

Chikorita accorse e chinò la foglia verso Derry, umile, come a ringraziarlo di aver protetto la sua padroncina. Non era intervenuto apposta, per dargli una buona occasione di rimediare ai suoi errori.

 

 

 

Angolo Autrice
Hiya!
Ho cercato di rendere bene la scena Fede-Miky e ci ho fatto parecchi ritocchi.
Comunque specifico: Miky piangeva perché ha paura dell'altezza ed è svenuta perché negli ultimi tempi ha smesso di farsi controllare l'anemia :)
La proprietaria di Derry ora avrà il coltello sguainato contro di me per il troppo fluff. Beh, scusate l'assenza causa internet, vedrò di aggiornare di nuovo un po' più presto! Byeee
-H.H.-

 

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Capitolo 27
*** Senza rimpianti ***


Distance: doesn't matter.

27. Senza rimpianti

 

Quando Micaela si svegliò era su un lettuccio bianco. Nell'aria stagnava un odore di disinfettante e caramelline alla menta. La luce sul soffitto illuminava bene l'ambiente, dove una credenza ospitava boccette di sciroppi amari contro l'influenza e compresse insapori.

Si passò il gomito sulla nuca, frastornata, assottigliando gli occhietti stanchi. Ricordava vagamente quel posto, quella rustica pianta da appartamento all'ingresso e quella croce stampata sopra la porta.

«Tutto bene?» Solo allora si accorse che il peso corporeo in fondo al materasso era occupato dal suo migliore amico. Teneva le mani dietro alla schiena e le gambe un po' divaricate.

Mosse il capo in segno d'assenso e strinse le dita all'orlo ripiegato del lenzuolo. L'anno precedente era svenuta due volte. Una in classe, a causa della sua leggera anemia di cui aveva sospeso i controlli. La seconda perché i suoi compagni l'avevano costretta a scavalcare il muretto del cortile. Ecco perché era scattato l'allarme nella testa bacata del Grande Connor, interrompendo l'indifferenza che, ormai, andava avanti da quasi un mese.

«Mi ero preoccupato» aggiunse con dolcezza, accarezzandole una guancia con il dito. Per una volta le fissava intensamente gli occhi, azzurri più del cielo.

«Grazie» rispose lei, arrossita per tanta premura. A volte era un irrimediabile stupido, altre si sentiva fortunata ad averlo accanto. «Sei il migliore» ammise infine, trattenendo un sincero sorriso. «Mi dispiace di essermela presa per i regali.»

«Tutto a posto, dai.» Federico mostrò un sorrisetto da dongiovanni in piena regola, mentre la ragazza gli circondava amorevolmente le spalle con le braccia.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Francesco si era offerto di studiare con me per la verifica di francese e io avevo accettato all'istante. Stare in sua compagnia era piacevole e francamente ero curiosa di vedere come fosse la stanza per metà di Leonard.

Entro poco lo scoprii. Sulla scrivania, straripante da una parte di libri romantici e dall'altra di fumetti, notai subito i pesciolini incollati al portapenne come aquiloni al vento. Immaginai che il letto con il piumone blu e il pigiama stirato con cura in fondo fosse di Francy, mentre quello sfatto e pieno di cianfrusaglie del suo coinquilino.

«Un attimo solo» mi disse il castano con un sorriso radioso, chinandosi per prendere il materiale dallo zaino.

Ne approfittai per continuare la mia osservazione. Sopra il suo letto notai una foto della famosa Coordinatrice Lucinda di Duefoglie, appesa al muro con una striscetta di scotch. Dall'altro lato, invece, era stato piantato un chiodo per esporre una medaglia bronzea con uno strano simbolo floreale.

«È di Leo?» chiesi d'istinto.

Francy annuì distrattamente. «Sì! L'anno scorso è arrivato terzo al campionato di Hontai Yoshi Ryu. Non dev'essere stato facile, con la scuola e suo fratello!»

Assentii stregata, anche se non avevo la minima idea del significato di quel nome giapponese. Uno sport, forse?

«Dai, ripassiamo un po' l'unità cinque» annunciò, sedendosi sul materasso. «Tranquilla: lui non sa che sei qui.»

Un peso volò via dal mio cuore e potei finalmente rivolgere la concentrazione allo studio.

 

«Invite-moi, ne m'invite pas. Questo corrisponde all'imperativo in italiano che esprime ordini precisi. Le desinenze che devi aggiungere dopo il verbo sono queste qui.»

Scarabocchiai la spiegazione a bordo pagina, sperando di ricordarmi tutto. «Ora ho capito, grazie. Facciamo i numeri cardinali?» chiesi, dando una sbirciata alla tabella successiva.

«Sì, dovrebbero essere facili!»

Il ticchettio frettoloso della mia matita era l'unico rumore udibile nella stanza, alternato allo sfogliare pagine del mio vicino.

Giocherellavo con la gomma per la noia, sfregandola tra le dita. Dopo un po' mi cadde e finì sotto al letto.

«Uffa» borbottai, prima di accucciarmi a gattoni per recuperarla.

«Ehilà, Frè!» Proprio allora la porta si spalancò senza preavviso, mentre un brivido mi percorreva la schiena. «C'è meno coda adesso, le docce sono quasi libere.»

«Oh, non posso ora, sto studiando» rispose il mio amico, con gentilezza.

«Come mai ci sono due libri?»

Mi feci coraggio e, raccolta la gomma, sbucai reggendo le mani alla sbarra bassa del letto. Un urlo acutissimo uscì dalle mie corde vocali alla vista del biondino dispettoso con solo l'asciugamano in spalla e dei boxer neri addosso.

«Serena!? Cosa ci fai nella mia stanza?! Esci subito!» Afferrò dall'appendiabiti un giubbotto con il quale si coprì velocemente, mentre indietreggiava verso la porta.

Francesco si frappose tra lui e me rannicchiata sul tappetto. «Calma! Calma!»

«Mi ha invitata Francy!» protestai di getto. «E se la cosa non ti sta bene fatti un giro! Sennò ho una pistola e non ho paura di usarla!»

Mostrò un sorrisetto strafottente. «Non è vero.»

«Dici?» scommisi, tirando fuori dalla tasca inferiore il gioiellino ad aria compressa regalatomi da papà.

Il ragazzo sbiancò non appena chiusi un occhio per prendere la mira. «O-Okay, okay, me ne vado!» si arrese, con le mani in alto come un detenuto. Afferrò qualcosa dall'armadio e la porta sbatté di nuovo.

Solo allora Francesco e io ci concedemmo una sana risata, per sciogliere la tensione nell'aria. Gli avrei chiesto aiuto più spesso.

 

Quella sera trovai un biglietto sul mio cuscino. La camera era vuota.

“Cara Siena, vorrei che ci vedessimo sul tetto della scuola verso le nove, devo parlarti. A dopo, se verrai. -Leila-chan”

Schiacciai il pulsante centrale del mio cellulare perennemente in carica: mancavano cinque minuti alle nove. Infilai la giacchetta bianca a mezze maniche retinata all'esterno, poi uscii.

 

Essendo appena iniziato marzo, rimaneva un po' di gelo nell'aria. Non venivo sul tetto da un po'. Dava sempre una sensazione di libertà e il vento giocava stuzzicando la mia coda, come la criniera di un Ponyta.

Leila era là, sporta dalla ringhiera, con lo sguardo fisso alle poche stelle nel firmamento.

Quando si accorse della mia presenza si voltò, con un sorriso. «Ehi.»

«Ehi» salutai, raggiungendola, seguita a pochi passi da Moni.

Lei si voltò nuovamente verso la strada, assorta. Anche gli occhi a mandorla della sua Vulpix puntavano al largo. Le macchine, viste da lì, parevano piccole quanto le mie unghie e il soffuso calore dei lampioni illuminava i marciapiedi. Forse era lì che andava, la mattina presto, per assistere alla bellezza dell'alba.

«Sai, Siena» cominciò. «È stato bello averti come campagna di stanza. La tua allegria mi distraeva e la solitudine, pian piano, andava via» confessò ad occhi chiusi, come se rievocasse in brevi flashback tutti quei mesi.

«Grazie…»

Aspettavo un “ma”. Di quei “ma” che ci sono sempre, fondamentali per il succo di un discorso. Quei “ma” che ti travolgono in un'onda di amarezza schiantandosi contro di te a tradimento, che vorresti non arrivassero mai.

«Fabiolo l'anno prossimo andrà a studiare in una scuola di Fiordoropoli. Diventerà un eccellente poliziotto.» Fece una pausa, lasciandomi assimilare pian piano le informazioni. «Poco distante c'è un istituto di medicina…»

I miei occhi si fecero già lucidi.

«Ho preso in considerazione l'idea di andarci. Sarei più vicina alla mia famiglia e alla mia adorata campagna, il mondo a cui appartengo e dove posso essere me stessa.» C'era dolce calma nella sua voce. «Questa scuola ha molto da offrire, ma devo inseguire il mio sogno.»

Aveva usato il verbo “dovere”, non “potere”. Questo esprimeva tutta la sua sicurezza. Le luci dei condomini e dei negozi per la mia vista appannata persero uniformità, diventando diamanti sfocati.

«Non te ne andare, Leila…» mormorai, stringendo i pugni.

«Ehi, rimangono ancora questi ultimi mesi» mi rassicurò, mentre sfiorava i boccoli rosso rubino di Vulpix, seduta educatamente sul davanzale. «Dopo, sarei contenta se continuassimo a sentirci tramite mail, se ti va!»

Una gocciolina di pioggia mi bagnò la punta del naso, confondendosi a una lacrima. Ero riuscita a fermare Naomy per un soffio di fortuna, ma Leila era troppo tenace per ascoltarmi. Mi faceva rabbia questo suo atteggiamento, tuttavia annuii. Moni mi strattonò un lembo della gonna, attirando la mia attenzione. I suoi occhi luccicavano d'oro fuso, come quelli di Federico, ma più compassionevoli e dignitosi. Mi abbassai e il cucciolo mi s'arrampicò sulle ginocchia, così affondai il viso nel suo pelo, confortante come una borsa dell'acqua calda.

Leila stava ancora girata di schiena, con un sorriso sereno, come se avesse liberato nell'aria un peso alato che portava in fondo al cuore. Senza rimpianti.

 

 

 

Angolo Autrice
Hiya!
La storia sta prendendo pieghe LEGGERMENTE drammatiche ^^” sorry!
Comunque il prossimo capitolo è del 1 d'aprile e vedrò d'inventarmi qualcosa che riporti.. l'alegrìììììaaa!
Beh alla prossima :)
-H.H.-
 

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Capitolo 28
*** Chi sarà il prescelto? ***


Distance: doesn't matter. ♬
28. Chi sarà il prescelto?


Anastasia e Cecilia si erano prese un giorno vacanza, con la scusa che gli era rimasto sullo stomaco il sushi della sera precedente. In realtà avevano solo paura degli scherzi che avrebbero potuto subire, perché era il primo d'aprile.

Anch'io avevo un po' d'ansia addosso ma non lo davo a vedere. In mensa sembrava tutto normale, finché non entrò Chicco, un po' assonnato. L'unica anomalia era la sua bandana, piena di sbavature bianche che odoravano di menta peperita.

«Ma che gli hanno fatto?» chiese Miky, scioccata. Dalle sue ginocchia, anche Chikorita si sporse curioso per vedere.

Alla sua destra andò a piazzarsi il Grande Connor, con le braccia incrociate e le labbra contratte in una smorfia. «Gli hanno scritto “pesce d'aprile” con il dentifricio, mentre era in bagno. Ora vediamo chi riderà.» Tossicchiò, assottigliando le pupille in modo assassino. «Tre… Due…»

Quando l'ultimo dito del ragazzo si abbassò, da qualche tavolo più in là arrivarono urli di panico, come se si fosse appena scoperto che qualcuno nelle vicinanze era un portatore di peste bubbonica.

Lucifero saettò svelto sul pavimento, spuntando come un delfino domestico nel posto libero a fianco al padrone.

«Ottimo lavoro, Lucy. Nessuno tocca il mio fratellino» affermò Derry, con fierezza. Intuivo che c'entrassero un attacco d'acqua a sorpresa e dei pantaloni. Il suo sorriso trionfale lasciava intendere quanto l'avesse appagato tale vendetta.

L'ingenuità di Achille era pari a un bimbo di prima elementare, mentre avanzava sorridente tra i tavoli, senza accorgersi del foglietto con scritto “Sono gay :)” dietro alla sua schiena. Quando si sedette accanto a Elia, lui glielo strappò via come una striscia adesiva, alquanto seccato.

Stetti tutto il tempo accanto a Naomy: se qualcuno osava torcerle un capello diventava peggio di un Camerupt, per cui non correvo rischi.

 

«L'anno prossimo andrò in pensione» annunciò solenne Saishi, camminando lentamente per l'aula. «Vi dispiace, ragazzuoli miei?»

«Sì!» ammisi, amareggiata. In fondo era il mio prof preferito dopo la Merodi… «Eh, Serenella, che peccato!» commentò, teatrale. Da un po' di tempo era solito chiamarmi così, soprannome usato spesso anche da Elena. “Serenella!” gridava sempre con voce argentina, abbracciandomi di slancio senza preavviso. Era nato tutto dal fatto che Leonard mi avesse sempre chiamata Serena in imitazione di Hunt. Non sapevo se considerarlo un insulto o un complimento al mio carattere.

Dopo un po', Eichi scosse la testa. «Ma su! E c'avete pure creduto, sciagurati?» ci riprese ironicamente, come suo solito.

Sorrisi sollevata per i restanti minuti.

 

All'intervallo tutti schizzarono fuori a una velocità impressionante, forse perché avevano scherzi folli da attuare, o perché non volevano che ne venissero fatti a loro.

«Prof, volevo annunciarle che da oggi in poi il mio cuore smetterà di battere per lei.»

Rivolsi l'attenzione alla cattedra: Derrick si batté un pugno sul petto e scosse la testa, gli occhi velati di una profonda malinconia.

Evangeline tese le orecchie, sbigottita, con un barlume di speranza. «Ma davvero?»

«No, mio amore!~» rispose lui, porgendole con un sorriso immutabile un bouquet di fiori stretti da un nastro rosso, rubati al giardino.

Alla Michaelis venne uno strano tic all'occhio. «F-Fantastico» bofonchiò, sarcastica, mettendo in mostra i canini. Se avesse potuto, l'avrebbe morso pur di farlo tacere in eterno. E anche Miky, ma per ora si limitava a guardarlo in modo malevolo da lontano. Molto malevolo.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Di pratica ero già stata interrogata due volte nel corso dell'anno. Alla prima ero capitata contro Naomy, ma Plusle prendeva l'incontro come un gioco e l'elettricità non aveva molto effetto sull'elettricità. Poi con Scarlett, sconfiggendo il suo Skitty per pura fortuna.

Quella mattina ci radunammo in fila contro al muro dell'aula lotta, con i Pokémon a bada nelle Sfere.

«Allora, ragazzi» esordì Gino, squadrandoci con apatia. «Tra oggi e domani faremo delle sfide e il vincitore rappresenterà questa classe al Campionato di Lotta, il mese prossimo.»

«Ma sono proprio necessarie?» mi chiese Naomy, con uno sbuffo. In effetti, con Plusle gli incontri non duravano molto.

«Ehi, Sie!» mi chiamò Crystal, venendo al mio fianco. «Io ed Elena vogliamo fare le cheerleaders al Campionato. Sei dei nostri?»

«Really?! Certo, che domande!» risposi, già elettrizzata dall'idea.

Agitò la mano verso sé rivolta alla rossa, che ci raggiunse con un sorriso raggiante sul viso, dove spiccavano le sue vispe e caratteristiche lentiggini.

 

Per accelerare i tempi, l'insegnante chiese subito chi volesse tentare e chi no, perché a lui non cambiava niente. Anzi: meno incontri c'erano, prima finiva e poteva prendersi un caffè in compagnia della sua collega. Ad astenersi furono Achille perché non amava la violenza, la mia vicina di banco, Chiharu per la troppa vergogna ed Elia l'asociale.

Per decidere gli scontri usammo il solito metodo del registro sottosopra. Uscirono nove e dodici: Ryder e Jeanne. Il primo era un duro nelle lotte, usava sempre un tono serio e ragionava velocemente. La seconda contava sulla scaltrezza e spesso sorprendeva l'avversario al minimo abbasso di guardia.

Il suono stridulo del fischietto segnò l'inizio del loro confronto.

«Gemmoforza!»

All'ordine della padrona, Shin strizzò gli occhi gialli dall'iride rossiccia. Il campo tremò e il suolo cominciò a spaccarsi, diventando di livelli irregolari.

«Schiva!»

«Bunnè!» Buneary eseguì un balzo all'indietro con estrema facilità, come se le sue zampine morbide avessero saltato su un trampolino. Evitò così gli zampilli di lava bollente e pericolosa che sgorgarono dal terreno.

«Ora Rimbalzo!» proseguì Ryder, attento.

Batuffola prese lo slancio da ancora in aria, spiccando verso l'alto.

Jeanne accennò un sorriso lugubre. «Psicoraggio!»

Gli occhi furbetti della fantasma si cerchiarono di un potere psichico. Un'onda d'urto quasi invisibile catturò la coniglietta, che prese a dimenarsi in preda al panico.

«Cosa succede?» chiesi ad Azuma, riferendomi alla collana di grandi perle della Pokémon Strido: era diventata fluorescente e attirava verso sé flussi di una forza tenebrosa. Buneary intanto s'indeboliva ribellandosi sempre con minore impeto, vincolata a mezz'aria.

«I Misdreavus, come molti altri tipo Spettro, si nutrono di paura» mi spiegò la bionda, sottovoce. «Batuffola è molto spaventata, poverina…» concluse infine, un po' in pena.

«Dai, piccola, Resistenza!»

Mentre la Pokémon di Johto proseguiva la tortura psicologica con aria dolcemente cupa, la coniglia strinse i denti e drizzò il proprio corpo dai piedi fino alle orecchie cotonate.

«Bunn!»

Lo scudo che la imprigionava si sbriciolò in una pioggerella di abbaglianti. Shin chiuse un occhio, affaticata, vacillando un po'.

«Palla Ombra» sibilò Jeanne.

La sua alleata fece un'elegante capriola aerea, dopodiché sparò la sfera che conteneva tutti i sentimenti negativi immagazzinati nelle perle.

Ryder sorrise, entrando nella foga della battaglia. «Un bello Stordipugno, vai!»

Buneary neutralizzò la sfera di mille sfumature violacee in arrivo, grazie alle orecchie che s'illuminarono e a suon di colpi elastici la rispedirono al mittente.

«Missss!» fu il sibilo sorpreso della fantasmina. Il suo stesso attacco le si rivoltò contro, togliendole le ultime energie.

«Shin non è più in grado di continuare. Vincono Ryder e Batuffola!» decretò Francesco. Si divertiva sul serio ad arbitrare al posto del professore, nella sedia accanto e del tutto disinteressato.

Azuma tirò un sospiro di sollievo e sul suo volto spuntò un sorriso, alla vista di Batuffola che saltava al collo di Ryder.

Dopo uscirono quindici e dieci: Leo versus Francy, i due migliori amici, in camera insieme e persino vicini di banco. All'inizio presero la notizia con stupore, poi sorrisero combattivi andando ai propri posti.

 



Angolo Autrice
Hiya!
È stato un po' sbrigativo questo primo d'aprile: Siena e Naomy sono scampate agli scherzi, quest'anno!
Penso che la lotta di Ryd e Jeanne mi sia venuta meglio dell'ultima, no? :) e spero che anche quelle future vengano così, anche se mi spiace non dare sempre il giusto ruolo ai Pokémon.
ringrazio di cuore chi segue e chi recensisce, come sempre <3
bye!
-H.H.-

 

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Capitolo 29
*** Regina delle lotte ***


Distance: doesn't matter.

29. Regina delle lotte

 

«No!» Nicolas si accasciò a terra dalla disperazione. «No… No! No!»

«Accettalo, Chicco» sussurrai, a bocca aperta. «È Azu la nostra regina!»

L'interessata fece un pallone con una chewing-gum, guardando con dolce fierezza la piccola Kira a bordo campo.

«Mi sono fatto battere. Da una ragazza.» Derrick non sapeva più dove sbattere la testa: oltre a rifiutare le sue avance, la bionda era fredda e composta anche in battaglia.

Quindi era deciso: Azuma Eri avrebbe rappresentato la 1^A ai Campionati di Lotta 2012-2013. Perlomeno, per le ultime sessioni d'incontri quel giovedì avevamo saltato motoria.

«Ah, povero piccolino!» Mia cugina diede un pizzicotto alla guancia dell'amico, che in precedenza si era vantato di averla sconfitta.

Ryder invece gli assestò una pacca un po' forte sulla spalla: aveva chiesto ad Azuma di non perdere contro nessun altro dopo averlo battuto, perciò era felice che avesse mantenuto la promessa.

I due si beccarono uno sguardo assassino che faceva concorrenza a quello di Elia, ogni qualvolta una persona che non fosse Achille gli rivolgeva la parola.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Fissavo con svogliatezza l'insalata russa nel mio piatto. Troppi carboidrati e come se non bastasse l''odore fresco della maionese mi dava la nausea.

«Sai» disse Naomy, disinvolta, mentre ingoiava un boccone. «Andrey oggi passerà tutta la giornata con Anastasia. È sul punto di chiederle di trasferirsi in camera nostra…»

Repressi un sorrisino. «Gelosa?»

«Un po', ma non mi sembra un tipo da incesto!» esclamò, soffocando una risata al sol pensiero. «Lei e Cassandra Demon hanno litigato, così va a piangere dal fratellone.»

«Che cosa dolce» commentai, perdendomi a vagare con la fantasia. Sarebbe stato bellissimo avere un fratello maggiore… Non ne avevo, purtroppo, ma ci sarebbe voluto un capitolo intero per spiegare le origini della mia famiglia. «Ma perché hanno litigato?»

«Boh, è un mistero» rispose la mia vicina, con una scrollata di spalle. «Penso perché Anastasia ha detto un segreto di Cecilia a qualcuno e lei l'ha insultata.»

Cecilia Clover non mi era così antipatica, tranne quando stuzzicava Leonard o passava le unghie su una limetta durante le ore di religione.

«A parte questo imprevisto, le cose tra me e Andrey non potrebbero andare meglio. Abbiamo “re-inaugurato” la stanza» mi confidò, orgogliosa, rimirando l'anellino luccicante al dito.

«What

«Beh… Abbiamo tagliato lo scotch che divideva tutto a metà, ahaha! E tu? Come va con Leonard?»

«Ehm… La Merodi ha scritto un assolo per noi due» ammisi, torturandomi le mani con la forchetta ancora pulita.

«Un assolo? Ma è fantastico!» Naomy batté le mani, entusiasta. «E lui? Come l'ha presa?»

Sospirai. «Ancora non lo sa, la settimana scorsa aveva mal di pancia e non è venuto.»

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«Come oggi non ci sei?» squittii, in preda al panico. «Io, te e Francy siamo gli unici che non hanno fatto neanche un'assenza! Non abbandonarmi!»

Azuma sospirò, aprendo di più la porta della sua stanza. Tutto come al solito: un'altissima pila di libri occupava il suo comodino, insieme a un distinto beauty case. Ignorandoci, Kira si crogiolava sul letto con un pezzo di corda tra le fauci.

«Eh, mi dispiace! Devo andare con Yakumo al Centro Commerciale.» La guardai male, finché non specificò: «Tra una settimana è l'anniversario di matrimonio dei nostri genitori, volevamo comprargli qualcosa…»

Annuii, assorta. L'avevo vista sua sorella, qualche volta. Le assomigliava, con la differenza ch'era più alta e portava un taglio più corto e vaporoso. Francamente, erano le persone più responsabili che avessi avuto occasione di conoscere, Leila a parte.

«Non posso che augurarti buon divertimento» mi disse, con un piccolo sorriso. «Ora devo prepararmi. A stasera!»

Dopo averla salutata, strinsi il flauto come fosse un fioretto e marciai verso l'aula musica. Mi rimanevano Scarlett e Crystal, se non altro. Shinx mi diede una leggera scossa per ricordarmi della sua presenza fuori dalla porta, stordendomi un po'.

 

«Ma prof!» protestò Leonard, di fretta. «Ne è proprio sicura?»

«Ovvio.» La Merodi, china, stava sistemando delle fotocopie sulla cattedra ed era il ritratto della calma. «Voi avete un talento eccezionale.»

«Ci sono molti salti di tonalità… Non credo di riuscirci.»

«Idem, gli accordi sono difficili… Mancano solo due mesi allo spettacolo!»

Tutti e due guardavamo fisso a terra. Ad alcuni si sarebbero incrociati gli occhi alla vista di tutte quelle note sul pentagramma, soprattutto a me: troppe lettere o numeri vicini mi confondevano fin da piccola.

«Un po' d'impegno e ce la farete. Dai, dai!» c'incoraggiò l'adulta, con un sorriso vispo. Sì, tanto il problema era nostro…

 

Passammo circa metà della lezione in disparte. Tentennai quando, per l'ennesima volta, gli altri suoni nella sala mi distrassero. Troppe note stonate, troppa confusione.

«Sono negata…» sussurrai, affondando il viso tra le mani. «Non ci riesco. Non ci riesco!»

Vedendo i miei occhi lucidi, Leonard sembrò allarmarsi e per una volta cercò di essermi di conforto. «Anche il miglior pianista del mondo non è un fulmine. Concentrati, Sere…»

Stavolta non mi aveva chiamata Serena. Tirai su col naso e feci un respiro intenso. Passai le dita fredde sulle palpebre, riprendendo un po' d'energia.

Anche Elia avrebbe eseguito un assolo, ma con il flauto di Pan. Eppure ciò non lo preoccupava minimamente: estraniava le orecchie dal mondo esterno, concentrandosi sulle sue note.

«Sì. Scusa, riproviamoci.»

Non dovevo suonare veloce. Anche perché così svantaggiavo lui. Sbagliava di rado, ma mi accorsi che faticava visibilmente a mantenere il mio ritmo.

 

Il resto del pomeriggio, seppur avessi la testa altrove, lo passai in camera di Elena. Scrivemmo su un panno di stoffa “La 1^A vincerà!” con pennarelli dalla punta fine ma di bei colori accesi. Poi lei prese delle striscioline di carta crespa e della colla vinilica, realizzando quattro coppie di pompon. Sì, quattro: anche mia cugina mi aveva chiesto di procurargliene uno.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Era sera ed ero inquieta. Mi mandava in crisi, quella canzone. All'inizio sembrava un pezzo di pura danza classica che, aggiunto alla chitarra, assumeva un'aura più grave e mistica.

Verso le nove arrivarono Naomy e Micaela in camera mia. Dovevo aiutarle per l'imminente verifica d'inglese: entrambe erano insufficienti. Spesso, all'intervallo, parlavo alla Lightness in tale lingua. Altrettanto spesso Miky la insultava in francese e la prof le rispondeva per le rime, sempre in francese.

«La tua amica non c'è?» chiese la rosa, sedendosi sul letto di sotto a gambe unite, con grazia.

«No» risposi, mordendo la matita come un ciuccio. «È fuori, in buona compagnia. Le ho affidato Moni, così prende un po' di fresco anche lui.»

«Anche Derry è in buona compagnia.» Mia cugina s'incupì, esibendo una smorfia. «Come sempre, del resto.»

«Ma perché non ti fai avanti?» le domandò Naomy, d'istinto.

L'altra sobbalzò, nascondendo la faccia dietro alle pagine del libro come uno scudo. «Non so di che parli!»

«Di te e il Grande Connor!» esclamai, con entusiasmo.

«Anche se ci provassi sarebbe inutile…»

«Non è detto» azzardai, sedendomi dritta e con la coda un po' sfatta.

«Sai, Siena, a te ti ci vedo o con Francesco, o con Nicolas» disse Miky, ridacchiando, con il cuscino in grembo.

«N-No!» protestai, agitando le braccia.

«Tale cugina, tale… Cugina» completò la mia vicina di banco, con un sorriso appena accennato.


 

 

Angolo Autrice
Hiya!
I capitoli vengono sempre un po' imprecisi ma, con il tempo che passa, li correggo prima di pubblicarli :)
Ne mancano 5 e la prima serie sarà giunta al termine, finalmente. Sono già al sesto capitolo della seconda, sul mio pc *-*
Con l'arrivo dell'estate spero di poter scrivere un po'. Ieri ho finito l'esame di terza e ora sono LIBERA. I believe I can fl-- ok no.
Ringrazio come d'abitudine le due mie fedeli lettrici.
Bye
-H.H.-
 

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Capitolo 30
*** Indigestione rosa ***


Distance: doesn't matter.

30. Indigestione rosa

 

Era l'ultimo venerdì di aprile. La brezza di primavera trascinava con sé anche i giorni di scuola, rendendoli più brevi del solito.

Moni mi svegliò con una leccatina tiepida e appiccicosa sulla guancia. Aperti gli occhi gli diedi qualche carezza distratta.

Sporsi la testa ingiù. La Vulpix di Leila era sdraiata in fondo al materasso, mentre le coperte erano spostate e spiegazzate all'inizio, segno della sua presenza non molto lontana.

«Dov'è Leila-chan?» le chiesi, con innocenza.

In risposta fissò intensamente la porta. «Vuulp» mi disse, con voce chiara, vellutata e signorile. Mi chiesi se quella volpina avesse mai giocato, oppure se fosse sempre stata responsabile e quieta fin dalla nascita.

Al mio balzo audace il comodino traballò pericolosamente, ma riuscii a non scivolare tenendomi alla sbarra superiore.

 

Scorsi di sfuggita la mia coinquilina: bevve un bicchiere di latte freddo d'un sorso, poi uscì subito dal refettorio. Sempre di fretta…

Naomy il venerdì era più allegra del solito, perché a pranzo c'era il risotto alla marinara: il suo piatto favorito.

«Hai studiato scienze?» mi chiese, con in bocca una fetta di pane bruciacchiato su cui era spalmata delle densa marmellata alla Baccafrago.

«Insomma… Oggi ci spiegherà la riproduzione dei Pokémon» le ricordai, sfoggiando una piccola smorfia.

«Già, vero. Sono proprio curiosa!» Scoppiò a ridere. «Finora è sempre stato un mistero.»

«Beh, pensate che in terza faremo una lezione di… Educazione sessuale!» s'intromise Francesco, accanto a me.

«Oddio.» La mia vicina lo guardò, sconvolta. «Intendi in scienze? O proprio educazione sessuale?»

«Beh…» soggiunse inaspettatamente Nicolas. «Verrà un'ostetrica a spiegarci delle cose…»

«Ossia?»

«N-Non lo so!» si difese agitando le mani, affannato. «Lo scopriremo…»

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Alla quarta ora c'era arte. Al giovedì teoria, al venerdì disegno.

«Per la tavola nove ho scelto un lavoro soggettivo, molto interessante» spiegò la Ato, con un sorriso concitato. Appoggiò sulla lavagna un foglio: raffigurava le lettere S e C in un'esplosione di acquarelli di tonalità calde.

«L'ha fatto un mio alunno, che ora è in terza» spiegò, gesticolando un po'. «Pensate all'iniziale del vostro nome e a quella del vostro Pokémon, poi decorate il disegno.»

«Per me sarà facile!» decantò Naomy, sarcastica. «Basterà colorare la N tutta nera e smorta con i teschi, mentre la P con attorno un arcobaleno.»

Quando disse la parola arcobaleno ebbi già paura di cosa avrebbe potuto realizzare Achille. Girato l'occhio mi accorsi del vivace topolino che agitava su e giù una riga di metallo, usandola come un'asta da salto.

Il mio lavoro volevo fosse basato sulla sincronia che avevo con il mio Pokémon, nei movimenti e nel carattere. Disegnai in stampatello doppio la S e la M, separate da una riga tremolante all'esatto centro.

«Dai, Derry, non fare così» sentii dire da Miky, con premura. «Se vuoi posso chiedere alla prof di toglierlo…»

«Pff. Sto benissimo, donna, non ho bisogno di un bel niente» affermò il ragazzo, acido, scostando la sua mano gentile: il solito orgoglioso. Di sicuro il disegno in esposizione era di un amico delle sue vecchie classi… Perciò forse non era così insensibile, dopotutto.

Mi sporsi in avanti per sbirciare il lavoro di Elia lo Squartatore. Aveva già pronti i pennarelli dai cappucci rossi, viola, grigi e neri. Slasor, la sua Houndour, stava ferma sotto al suo banco come le statue di creta all'entrata dei palazzi.

«Hai già qualche idea?» gli chiesi, indiscreta.

Mi penetrò con uno sguardo gelido. «Lasciami in pace.»

Deglutii, tuttavia non demorsi. «Come sta Anger?»

«È da marzo che l'ho liberata» mi rispose, senza lasciar trasparire emozioni.

All'inizio ci rimasi male. Pensavo che l'avrebbe tenuta con sé, ma forse aveva un concetto di libertà più intenso del mio.

Assottigliò poi le pupille, come un Persian subdolo pronto a scattare in qualsiasi momento. «Spero per te che tu non ne abbia fatto parola.»

«Non l'ho detto a nessuno!»

«Detto cosa?» s'intromise Elena, che aveva appena chiesto in prestito un temperino a Chiharu, a fianco del tenebroso moro.

«Che, uhm… Ad Elia piace tanto il rosso!» improvvisai, dopo aver lanciato un'occhiata rapida al suo zaino.

 

L'ultima ora avevo preso un foglio e ci avevo riprodotto i tasti bianchi della tastiera, così mi allenavo in fretta e furia. Lo spettacolo era il primo giugno e quella dannata canzone mi stava portando all'esaurimento.

«Prof!» chiamò Nicolas, dopo che l'insegnante di scienze si fu sistemato nell'aula. «Guardi!» esclamò, sventolandogli davanti il suo disegno. La N era marrone con un cappello di lana sopra e delle palle di neve come sfondo, la S azzurra con delle onde dietro.

Il prof strinse gli occhi per metterlo bene a fuoco. «Complimenti, Nicola! È davvero bello!»

«Mi chiamo Nicolas!» pretestò il ragazzino, arrossendo: Nicola era un nome da femmina.

Joseph Hunt amava l'arte. Ci aveva raccontato che da giovane lavorava su una nave come marinaio, ispirandosi all'oceano spumeggiante per le sue tele. Un giorno, però, fu coinvolto in una tempesta terribile nelle Isole Vorticose, che gli danneggiò la vista. Per questo ripose per sempre cavalletti e pennelli, passando all'insegnare scienze… Una storia che, al ripensarci, mi stringeva il cuore.

«Allora, prof!» esordì Federico, dal fondo dell'aula. «Dov'è l'organo riproduttivo dei Pokémon?» chiese, con una mano sul fianco. L'altra teneva Lucifero per la coda, appeso a testa ingiù come un salame crudo al mercato. Il Pokémon lo guardava molto male, sperando che un fulmine lo colpisse.

«Ottima domanda, Enrico: adesso ve lo spiego.»

«Fe-de-ri-co… F come–»

«Sì, sì, lo sappiamo» lo interruppe Cecilia, di fronte a lui.

Il ragazzo s'imbronciò. «Ehi, zucchero, non rovinare le mie mitiche performance!»

 

«Aiuto!» squittì Nicolas, allarmato, interrompendo il prof che elencava le compatibilità dei Pokémon. «Aiuto!»

«Cosa c'è, fratellino?» gli domandò Derrick, sporgendosi verso di lui.

«Smog! Mi sono distratto un attimo e ha ingoiato qualcosa di… Grosso!» Il suo ditino indicò l'alligatore: sembrava avere nello stomaco un pallone da basket che gli impediva di muoversi se non a tentoni, come uno Snorlax.

«Non è che è incinto?» chiese Ryder, sfacciato, beccandosi uno sguardo di puro disappunto da Azuma: non c'era nulla di divertente.

Achille si alzò in piedi, smarrito come un cucciolo di Deerling nel bosco. «Dov'è il mio Marshy? Qualcuno l'ha visto?»

Hunt prese in braccio Totodile, che pesava il doppio di prima, portandolo sulla cattedra per controllare dentro alla sua bocca con una torcia. «Non vorrei allarmarvi, ragazzi, ma mi sembra che ci sia qualcosa di rosa…»

«Oddio» commentò Naomy, sbigottita. «Non può averlo davvero mangiato…»

Strinsi istintivamente Shinx al petto, come per proteggerlo. «L'avrà scambiato per un marshmallow vero…»

«Smog è un cannibale» mormorò Niky con le lacrime agli occhi, trattenendo un singhiozzo.

Micaela pestò un piede a terra, autoritaria. «Ma insomma! Il tuo fratellino piange e non lo consoli? Che razza di fratello maggiore sei? Vergognati!»

Federico si rimise in riga, come se avesse ricevuto una bastonata sulla schiena. «Ehm… Dai, Chicco! Ne compriamo un altro!»

«Lasciami in pace, Derry» mugugnò il piccoletto, girandosi dalla parte opposta.

«Oh, il mio povero Marshy!» si disperava Achille, con due occhioni languidi che avrebbero fatto concorrenza a un Minccino abbandonato in una scatola di cartone sul ciglio della strada.

Il professore interruppe la lezione, chiamando il Centro Medico per Pokémon. Lì forse avevano un bisturi o qualcosa per farglielo sputare fuori.

 

 

 

Angolo Autrice
Hiya!
-4 :')
Dai che Alex ce la farà. Si spera. Comunque, 'sta faccenda di Niky e Aki verrà lasciata in sospeso: nel prossimo capitolo non si saprà niente, perché lo spazio mi serve. Semmai lo scriverò nei prossimi :)
La seconda serie intanto procede, un po' a rilento nel mio pc, ma procede.
Grazie a tutti e bye!
-H.H.-
 

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Capitolo 31
*** Basta un click ***


Distance: doesn't matter.

31. Basta un click

 

Soffocai le disperazione inghiottendo, un morso dopo l'altro, tre pancake affogati nello sciroppo d'acero. Metà della mensa cessò ogni attività, concentrandosi sul tintinnio della mia forchetta e la mia foga.

«Siena…» Micaela mandò giù un boccone di cotoletta, a fatica, come fosse un sasso. «Ti senti… Bene?»

«Certo!» Sorrisi nervosamente. «Benissimo!»

Andava tutto a meraviglia. Tranne per una stupida Theme Song da perfezionare entro la scadenza del concerto.

 

Anche quella sera ero irrequieta e continuavo a rigirarmi tra le lenzuola. Shinx frustava il fondo del materasso, scontento. Gira, gira e rigira, finché non trovai più spazio.

«Waaaa!»

«Siena?» La secondina, in allerta come un Growlithe in dormiveglia, scattò su. «Ma che…»

La mia testa bionda, spettinata, barcollò da entrambi i lati. Il pavimento era duro e avevo picchiato di pancia. «Ohi, ohi… Vado in bagno.»

 

Mentre mi sciacquavo la faccia con l'acqua freddissima guardavo la porcellana del lavandino, in cui si riflettevano le occhiaie accennate sul mio viso pallido.

Camminando tra il silenzio religioso dei corridoi pensavo che quella mattina ci sarebbero stati i tornei e, tra due settimane, lo spettacolo.

Era strano non vedere in giro nessuno né essere accompagnata da Moni.

La scuola, seppur buia, lasciava entrare spiragli di luce quanto bastava a non dare zuccate contro le pareti.

Imboccai le scale per il tetto tenendomi alla ringhiera. Spostai la porta con un cigolio lento. Il cielo era un misto di aranci con striature violette e rosa accanto alle prime nuvole e alle prime luci dell'alba. L'intera Ferrugipoli si stagliava ampia dinnanzi ai miei occhi, come se potessi toccarla con un dito.

«Leila?»

Al mio richiamo, la bionda si girò. Sorrideva. Le maniche della sua divisa, arrotolate fino ai gomiti, erano appoggiate sul davanzale. Neanche lei aveva voglia di tornare a letto, con quel panorama di tenue e calda armonia e il resto del mondo semi-addormentato.

Stetti lì, strappandole qualche confessione. Avrebbe rappresentato lei la sua classe ai Campionati. L'incontro finale tra lei e Fabiolo era durato una buona mezz'ora ma era valsa la pena, mi disse.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«Andrey rappresenterà la 2^C!» Naomy mi prese le mani, saltellando su e giù, eccitata come una bambina. Sì, davvero sconcertante: Naomy McFlowers, la Regina del Ghiaccio, era capace di saltellare.

«Wow!» commentai, con un sorriso. Le poche volte che si mostrava euforica, mi sentivo euforica per lei.

Dovevamo recarci tutti fuori, nel campo da calcio, sedendoci dove volevamo. Era una giornata speciale e avremmo anche fatto le foto di classe, nel pianerottolo con il ciliegio.

Alcune ragazze grandi si erano già stese sull'erba, mentre i maschi si contendevano una palla bianconera. Il sole splendeva nel cielo chiaro, donando un'aria frizzante all'ambiente.

«Serenella!» Entro poco mi ritrovai Elena attaccata al braccio, come un Tentacool sotto l'effetto di una pozione d'amore. «Ma dov'eri? Io e Cristy ti stavamo aspettando!»

La blu m'indirizzò un cenno di saluto mentre lei, con la sua risatina contagiosa, mi trascinava al centro del prato.

«Si andrà in ordine» mi spiegò, mentre la nostra socia stirava il manifesto di stoffa.

«Quindi noi apriremo le danze

«Esatto! Saremo contro la B. Poi giocano C e D e il vincitore va contro la sezione che ha vinto prima, ma dopo che anche le altre classi hanno finito il primo incontro.»

Annuii, non certa di aver compreso alla perfezione. I miei pompon erano giallino pallido, quelli di Elena verdi e quelli di Crystal bianchi.

 

Inutile chiedersi come quattrocento persone riuscissero a stare ammassate intorno a quel campo: ci riuscivano e basta.

Dalla parte sinistra c'erano delle scale e una stradina che portava al pianerottolo con il ciliegio; molti erano seduti su quel muretto di marmo muschiato, sopra alla porta da calcio. Miky, costretta a stare sopra le ginocchia del suo fidanzato migliore amico in mancanza di posti, aveva la visuale più alta di tutti. Tra le manine agitava i pompon rosa shocking confezionati da Elena: avrebbe tifato per conto suo, in mezzo ai suoi amici. In fondo era giusto così.

«Buongiorno, miei cari allievi!» disse il preside Robinson, per mezzo di un microfono. L'ultima volta l'avevo visto in pigiama e pantofole, invece quel giorno indossava uno smoking di tutto rispetto.

Il brusio si arrestò di colpo. Rimasero solo, in un sottofondo indistinto, i versi esuberanti dei Pokémon che si rincorrevano liberi.

«Come tutti voi sapete, siamo qui per disputare i Campionati di Lotta annuali. Per le prime sono una novità, per le quinte un evento di degna importanza… Non mi resta che augurare buona fortuna ai prescelti. Si dia inizio al primo scontro!»

L'intera scuola esplose in gridi d'approvazione, come quando un cantante famosissimo dà il via al proprio concerto.

Azuma camminò a passi solenni verso l'arena, scortata dalla cagnolina argentea dalla coda voluminosa. L'avversario – un certo Lorenzo – aveva un ghigno furbo sulla faccia, così come il suo Koffing.

Mostrando un'insolita serietà, Gino Torein allargò le braccia. «Via!»

«Velenogas!»

Il pallone si gonfiò, rilasciando dalle sporgenze a forma di cratere una nuvola che si espanse nell'ambiente.

Azuma si coprì il viso con il gomito, stringendo i denti. «Granvoce!»

Il ruggito acuto e argentino di Kira, amplificato nell'atmosfera, respinse la nube tossica appena in tempo, diradandola in un violento turbine.

Nel frattempo io e le mie amiche gridavamo parole d'incitamento, cambiando di posa in posa, tra il fruscio della cartapesta e il clamore della folla.

Lorenzo guardò Azuma con disprezzo. «Come ti permetti? Voltexpalla!»

«Eeev!»

La sfera d'acciaio si schiantò sul corpo della volpina grigia mandandola a terra, distesa su un fianco. Per un istante, Azuma rimase basita.

«Non arrendetevi!»

Scoccò un'occhiata a noi e al nostro telo. Poi sorrise, rigirandosi, più combattiva. «Attrazione!»

Eevee fece un occhiolino adorabile, creando una schiera di cuori virtuali che entrarono in circolo all'avversario.

«Kooff!» I suoi occhi divennero a loro volta due cuori, abbagliandogli la mente e rendendolo del tutto incapace di ribellarsi.

«Deficiente! Riprenditi!» sbraitò Lorenzo, iniziando a sudare freddo. «Neropulsar!» ordinò, impaziente. «Neropulsar, ho detto!»

Ma il pallone viola galleggiava per aria, stregato dalle tenere movenze della volpe shiny.

La risatina sommessa di Azuma echeggiò. Per una volta si stava facendo valere, dimostrando a un prepotente di non sottovalutarla.

«Dagli il colpo di grazia!» gridò Federico, sbracciandosi, con il pompon fucsia di Miky nella mano.

«Kira!» La giapponese batté le mani. «Asso!»

Mentre la confusione spaziava nella mia testa, Eevee liberò dal proprio corpo un cerchio di quadrati multicolori, schiantandolo su Koffing ancora infatuato. Terminò l'opera scagliandogli un elegante fendente d'artiglio obliquo.

La mascella di Lorenzo, da quanto s'aprì, rischiò seriamente di slogarsi. La platea invece creò un sottofondo di applausi lievi ed entusiasti.

«Yeeeh!» Noi tre saltammo, contentissime, raggruppandoci in un punto comune. Forse la nostra idea era stata un po' infantile ma aveva donato il sorriso alla nostra regina delle lotte.

«Ma io amo quella biondina!» Federico scosse il capo quasi commosso e Miky gli diede una gomitata nello stomaco.

«Pff… L'ho lasciata vincere. Siete solo degli sfigati» si giustificò Lorenzo, a braccia conserte.

«Dicono tutti così!» lo sfotté Naomy, mezza abbracciata ad Andrey nelle prime file.

 

Dopo ogni incontro, le classi che avevano gareggiato si radunavano davanti al ciliegio in fiore per la foto ricordo. Eravamo tutti in divisa primaverile, contenti per la vittoria.

Il fotografo, accucciato sull'erba, chiese ai più bassi di mettersi seduti. Aveva una macchina fotografica professionale, di quelle sul cavalletto.

Io reggevo il mio pompon con una gamba e un braccio alzati, imitata da Moni. Accanto a me, Crystal avvolgeva il suo Tyler con un braccio e con l'altro scuoteva piano il pompon. Nicolas cercava di forzare un sorriso, impedendo a Smog di dimenarsi per via della museruola che gli chiudeva le fauci. Poi c'era Achille che stringeva la zampa al suo Marshmallow, con un'espressione che avrebbe intenerito persino il professor Schulz. I chiudifila erano Chiharu e Jeanne, quasi rintanati pur di non dare nell'occhio.

Nella fila di mezzo, la faccia seria di Ryder veniva scombussolata dalla testolina di Batuffola che spuntava dalla sua spalla. Azuma lo affiancava, sorridendo dolcemente con Kira in braccio. La più vivace lì era senz'altro Elena con la sua linguaccia, che porgeva al nulla i pompon. Scarlett sorrideva timida, mentre Francesco passava un braccio attorno alle spalle di Leonard.

Più in alto, Naomy aveva un braccio sulla vita e Plusle avvinghiato in testa come una stella marina. Cecilia e Anastasia avvicinavano una mano alle labbra, come a voler inviare un bacio all'obbiettivo. Invece Miky abbracciava affettuosamente il collo di Derrick – sulla fronte di quest'ultimo spiccava la scritta di pennarello scemo chi legge. Nell'angolo c'era Elia, ovviamente imbronciato.

Bastò un click per immortalare, in tutti i nostri sorrisi energici, la felicità di un anno ormai quasi del tutto trascorso.

 


 

Angolo Autrice
Hiya!
-3!
Mi spiace ma non posso dilungarmi ulteriormente sui tornei. Che classi hanno vinto? Lo scoprirete nel prossimo!
Nel prossimo cap, comunque, sarà la volta dello spettacolo di musica. Leo e Sie ce la faranno con quella benedetta canzone? Vedremo!
Grazie ai pochi che mi seguono (se ancora ci sono D:)
Byebye
-H.H.-
 

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Capitolo 32
*** Let's go ***


Distance: doesn't matter.

32. Let's go

 

Era il giorno dello spettacolo. Non contavano le spiegazioni al mattino o che fosse l'ultima settimana di scuola. Contava solo che quella sera ci saremmo esibiti davanti a tutti i genitori, invitati tramite posta elettronica dal preside. A vedere me non sarebbe venuto nessuno, ma ero troppo in agitazione per rattristarmene. Tutti questi pensieri mi mulinavano in testa, mentre la Ato spiegava un paragrafo di storia dell'arte.

«Naomy?» bisbigliai, picchiettando il braccio della mia vicina, finché i suoi svogliati occhi smeraldini non si puntarono su di me. «Stasera vieni a vederci?»

«Certo!» trillò, più allegra di quanto mi aspettassi. «Ma tu no, caro.» Afferrò Plusle dietro al collo, che fece il broncio, come un bambino.

«Babysitter Andrey?»

«Per carità!» Sgranò gli occhi, come se le avessi appena proposto di buttarsi giù dal tetto con un tuffo ad angelo. «No, no. Dopo l'ultima volta, non lo ritengo idoneo al mestiere.»

Annuii con un sorriso mesto: non aveva tutti i torti.

La Merodi entrò all'improvviso in classe, trafelata, con la solita borsa effetto vintage e i braccialetti di pizzo sui gomiti. «Miho, scusa, posso rubartene alcuni?»

Quella lanciò un'occhiatina dubbiosa all'orario nel registro. «Eh, non lo so, dovresti chiederlo alla collega.»

«Mi assumo ogni responsabilità.» L'altra sorrise, alzando le mani in segno di arrendevolezza. «Mi servono… Ririshi, Stander, Delevigne, Matthews, Eri, Saknser, Mirai e la Piccola Kiku.»

«Va bene, potete andare.»

Mentre uscivamo, gli altri ci lanciarono occhiatacce malevole, perché avremmo saltato di sicuro l'interrogazione di francese.

 

I proprietari delle chitarre dovevano stare su un rialzamento schiacciato contro un drappo bianco. Invece prime e seconde a terra, a gambe incrociate, rivolte verso la platea. Per terze e quarte c'erano sedie di plastica a lato e, in esclusiva per le quinte, un podio a parte a destra. In assenza del pianoforte, Scarlett avrebbe usato la tastiera fino al mio turno per l'assolo, tra cavi ingarbugliati e prese di corrente.

A inizio anno, alcune classi erano state inserite al giovedì, altre al mercoledì. Ecco perché non conoscevo molta gente: il mio gruppo era in netta minoranza.

La Merodi fermò me e la bionda coi codini, mentre scendevamo i gradoni per accodarci ai nostri compagni. «Azuma, Siena, me lo fate un favore?»

Annuimmo senza neanche guardarci.

«Avete presente dov'è lo sgabuzzino della palestra?» chiese, per sicurezza.

«Sì sì» assicurò la giapponese, cordiale.

«Ecco, mi servirebbe la scatola con le decorazioni per il concerto. Riuscite a portarmela?»

Annuimmo ancora. In realtà non avevo capito bene dove dovessimo andare, ma data l'intelligenza della mia socia non c'era da preoccuparsi.

«Tu non sei agitata?» domandai, mentre ci aggiravamo tra i corridoi.

«Un po', ma Yakumo mi ha spiegato come funziona» rivelò lei, con un sorriso lieve. «Mezz'ora prima che arrivino i genitori andiamo dietro le quinte a prepararci. Oggi ci daranno la scaletta dei brani.»

 

«Accipicchia, quanta polvere» commentai, sottovoce.

Se possibile evitavo di respirare, in quel cunicolo angusto. Proseguiva in discesa, sempre nella stessa direzione.

Azuma tossì, come se avesse un'allergia o un raffreddore improvviso. «Già, questo posto avrebbe proprio bisogno di una ripulita.»

«Che di certo non gli daremo noi» aggiunsi, avanzando a tentoni in avanti.

«Guarda! Dev'essere una di quelle.»

Finalmente giungemmo a fine antro. Lì era più illuminato perché in alto c'era un pannello dal vetro opaco, che lasciava intravedere il cielo. Tale luce picchiava su tante scatole impilate l'una sopra l'altra, un po' come nella 194. Nell'angolo, contro al muro, ce n'era una con la scritta decorazioni concerto, proprio quella che cercavamo.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Erano le otto. Dopo mezzo piattino di lasagna e una fetta di crostata alle mele, ero schizzata in bagno a lavarmi i denti.

Niente coda, stasera” decisi, pettinandomi alla veloce. “Questa però sì.” Pinzai la solita molletta a cuore, come rinforzo per tener su la frangia. Il tempo sembrava così poco e nulla al proprio posto.

 

Mancavano trenta minuti. Ero seduta su una sedia dietro le quinte, in mezzo a persone che parlavano a gruppetti da due o più. Solo un panno bianco ci separava dal vero palcoscenico.

«Jeanne!» bisbigliai, quando incrociai gli occhietti annoiati dell'albina. «Come ti senti?»

«Bene» mi rispose, serrando la bocca. «Ci saranno molte persone, immagino.»

«Ah, non ricordarmelo.» Scossi il capo. «Salvo le chitarre, io e te siamo le uniche a suonare due strumenti.»

«Non sarà il massimo della comodità» commentò infine, scrollando le spalle. Poi andò a ritirarsi nell'angolo, con gli occhi chiusi e l'archetto pronto.

Mi torturavo le dita congiungendole, perché la tastiera era fuori e non potevo ripassare un'ultima volta.

«Siena!» Francesco corse davanti a me, pulito e in ordine più del solito. «Ecco la tua fotocopia.»

Lo ringraziai per la sua gentilezza e scorsi velocemente la lista dei brani, quattordici in tutto. Il settimo era l'assolo di Elia. L'ultimo il mio e di Leonard… Chissà se ce l'avremmo fatta. Ogni tanto io andavo ancora nel pallone e lui perdeva il ritmo, anche se eravamo notevolmente migliorati.

 

«Ragazzi, ci siamo!» sussurrò una dell'ultimo anno, scostando il tendone per entrare dietro le quinte.

Ogni cosa si stava mettendo in moto. Là fuori, dove regnava un perenne brusio, il preside ringraziava i genitori per la presenza.

Presi la mano delicata di Azuma e, in semicerchio, uscimmo tutti allo scoperto; i Pokémon si acquattarono sotto al palchetto delle chitarre, come fosse un portico.

Sui gradoni, i parenti indicavano o sorridevano fieri ai propri figli. Repressi l'invidia per un attimo, ma in fondo c'ero abituata. Alcuni alunni assistevano in piedi, sul fondo, altri spiavano sporti dalle finestre che davano sulle quarte. La sala era immersa in una penombra tipica da cinema, salvo per delle lucine blu sparse nei muri e il riflettore puntato al palco.

Il cuore non smetteva di battere né le mie dita di tremare.

La Merodi si posizionò al centro, seduta sul primo gradone accanto a delle casse acustiche. Diceva sempre di guardarla, mentre suonavamo, così ci dava aiuti con gesti o sguardi.

Let's go!” pensai, mentre contavo i secondi del primo brano, con il flauto in bocca e le dita malferme.




 

Angolo Autrice
Hiya!
-2!
L'anno prossimo ci sarà qualcosa di un po' più elaborato per lo spettacolo, vedrete! ;)
Anche stavolta, per la giusta suspense, devo tagliare e inserirne un pezzo nel prossimo. Forse sarà lungo il doppio ma non importa.
Siccome ho aggiornato l'altra mia long ne ho approfittato anche per aggiornare qui owo anche se ormai... Va beh. Alla prossima.
-H.H.-
 

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Capitolo 33
*** Ti prego ***


Distance: doesn't matter.

33. Ti prego

 

Di quei quattordici brani, noi di prima ne suonavamo circa la metà, essendo nuovi e inesperti. Tra i flautisti c'era cameratismo ogni qualvolta le note finali di una canzone aleggiavano nell'aria: iniziava subito l'interrogatorio sul brano successivo, se aveva il si bemolle, il fa diesis e via dicendo. Potevo parlare solo con Jeanne, accanto al palchetto delle chitarre e di conseguenza alla mia postazione.

«Cosa c'è ora?» le chiesi in un borbottio, al primo attimo di silenzio precario.

«Quella delle quinte. Poi risuoniamo noi» m'informò distrattamente. I suoi occhietti grigio del ghiaccio scrutavano di continuo tra la folla, ansiosi.

Non ci potevo ancora credere di star vivendo il momento al quale avevamo dedicato ogni nostro giovedì pomeriggio dall'inizio dell'anno. Era un'euforia unica e irripetibile.

 

Continuavo a mordermi il labbro, mentre le note della tredicesima canzone spazzavano via il tenue ritmo lasciato dalla precedente. Tra poco sarebbe toccato a me e Leonard. Un senso di paura mi attanagliava lo stomaco.

Quando fissai il biondino mi accorsi che era appena balzato giù dal palco e, agilmente, si stava infilando nel backstage. Mi feci largo tra cavi ingarbugliati come rovi di rose, a passi più lesti possibile.

Da là dietro si sentivano gli strumenti, ma meno che in scena: un rifugio arioso, un po' lontano dal mondo. Leonard si era seduto su una sedia pieghevole da set cinematografico, con una mano sulla fronte. Per via di quel gesto, immaginai che avesse mal di testa.

«Che stai facendo?» chiesi, sorprendendomi all'udire la mia voce così chiara e non balbettante come al solito.

«Senti… Io non suono» dichiarò, con acidità. «Abbiamo avuto troppo poco tempo. Meglio non rischiare.»

Abbassai lo sguardo, demoralizzata. «Vuoi arrenderti proprio adesso?»

Chiuse gli occhi e sospirò, mentre la parte finale della penultima canzone mi dava un po' di coraggio. “Ora o mai più.

Avanzai di qualche timido passo. Le mie mani fredde sfiorarono le sue. «Ti prego, Leo, proviamoci…»

La barriera d'indifferenza attorno al suo cuore vibrò. Catturai i suoi angelici occhi verde uva nei miei, luccicanti di speranza e dolcezza.

Leonard strinse i pugni e lottò contro la propria volontà, alzandosi. «Va bene… Proviamoci.» Accennò un sorriso sghembo, mentre gli applausi là fuori crescevano d'intensità. Una lacrima di felicità mi luccicò sulla guancia.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Naomy mi accolse in un abbraccio, non appena emersi dalla massa di persone. «Complimenti, è stato un vero successo!»

«Grazie!» Sorrisi, ancora con l'adrenalina in circolo. «Ma dov'eri?»

«In fondo» mi spiegò, con le braccia sui fianchi. «Non si trovava posto manco a morire.»

Risi lievemente. «Lo so.»

«Io vado, crepo dal sonno e domani c'è lezione. Ancora complimenti, 'notte!» Agitò la mano, dopodiché sparì tra la folla, come un corpo senz'anima.

Mi sentivo libera, ora che il concerto era finito. Non avrei voluto riviverlo, con le ansie che mi avevano tormentata: preferivo conservarne solo il ricordo.

«Ehi, Sere!» mi chiamò Francesco, che incrociai vicino all'ingresso. «Alla fine è andato tutto a meraviglia, visto?»

«Sì!»

«Beh… Penso che tu debba scambiare due paroline con qualcuno!»

Ebbi solo il tempo di biascicare “eh?” che il castano mi spinse in avanti, con forza e decisione. Mi trovai davanti Leonard che mi fissava, chiedendosi cosa ci facessi lì. Me lo chiedevo anch'io.

«Oh… Uh… Ciao!» improvvisai, unendo le mani dietro la schiena. «Sei stato bravissimo…»

«Grazie. Anche tu!» concesse, con una scrollata di spalle. Avevo sbagliato io verso l'inizio ma, per fortuna, nessuno ci aveva fatto caso: ci eravamo goduti gli applausi con immenso sollievo.

Ora potevo tornarmene in camera. Presi in braccio Moni, che da terra non aveva mai smesso di seguirmi. Gli diedi una carezza intenerita quando strusciò il musetto caldo contro il mio petto.

Mi feci strada tra la gente rimasta, ormai non più così tanta.

«Permiso!» Un ragazzo più grande, all'improvviso, per sbaglio mi sbatté contro. Stetti per perdere l'equilibrio ma mi afferrò la mano, rimettendomi in piedi con una giravolta di classe. «Perdòn, sono di fretta.»

«Figurati. Scusa io…»

Non mi rispose, riprendendo subito il cammino. Sbattei le ciglia, frastornata. Impossibile frenare l'impulso di chiedermi chi fosse, quanti anni avesse, dove andasse e perché. Inoltre, aveva un'aria vagamente familiare…

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

L'anno era giunto al termine e ancora non mi sembrava vero che quello fosse l'ultimo intervallo dell'ultimo sabato dell'ultima settimana.

«Mi mancherai, Serenella!» Elena mi abbracciò, intristita. «Mi mancheranno quasi tutti, in questa classe.»

Sciolsi l'abbraccio, con la malinconia nel cuore. «Anche a me. In particolare tu, Nao, Francy e soprattutto… Fede. Speriamo non lo boccino.»

«Ti piace Derrick?!» esclamò a voce alta, sgranando gli occhi.

Saltai indietro, iniziando a gesticolare animatamente. «N-No!»

«Come, come, come?» L'interessato mi spuntò come un Foongus dietro le spalle, con le braccia stese lungo i fianchi. «Ehm, mi spiace spezzarti il cuore, bambolina: riprova tra qualche anno e sarai più fortunata!»

«Non mi piaci tu!» soffiai, in soggezione, come un Porrloin a cui hanno pestato la coda.

 

«Sapete, vero, che stasera c'è il ballo di fine anno?» chiese Miky a bocca piena, davanti a me. Chico, sdraiato sulla tavolata, usava gli artiglietti per portare più bocconcini alla gola in una sola volta.

«Ma non è solo per quarte e quinte?» chiese Naomy, accanto a me, visionando nel frattempo il suo Plusle con lo sguardo.

«Sì, mia sorella ci va con il suo ragazzo» raccontò Azuma, pulendosi educatamente la bocca con un tovagliolo di carta.

«Uhm-uhm» confermò Miky, deglutendo l'ennesima fetta filante di pizza margherita. «Se conosci quelli più grandi puoi imbucarti, sennò fanno la spia ai prof.»

«Ci vai?» azzardai, curiosa.

«Probabilmente sì.»

 

Tutte le luci erano accese nelle aule e nelle stanze, per donare un'aura di calore più animata alla scuola. Sui muri della palestra erano appesi festoni a catena, alternati a stoffa modellata a fiore. Le casse acustiche dell'aula musica erano state spostate lì, dalla parte opposta del buffet offerto su morbide tovaglie di lino. Il portone antipanico, aperto da entrambi i lati, dava sul cortile buio.

Micaela sedeva su una panca di granito nell'ala ovest, a gambe unite, lontana dal caos. Percorreva in veloci flashback gli avvenimenti di quell'anno: gli scleri della Lightness, il mio ingresso nell'istituto e la sua nuova classe… Le stelle splendevano come milioni di diamanti in una distesa blu cobalto e la luna sembrava un pendente d'avorio.

«Buonaseeeraaaa.» Un Federico in jeans e camicia, coi capelli intrisi di gel, avanzò fino a raggiungerla.

Lo guardò con leggera sorpresa. «Oh, buonasera. Non pensavo t'infiltrassi anche tu.»

«Ma si figuri, ovvio.»

A corto di argomenti, la giovane abbassò lo sguardo sul prato luccicante di rugiada. Le era sembrata carina l'idea d'agghindarsi con un abito da sera fucsia, orlato di pizzo nero in fondo. Dall'arrivo del castano, però, non desiderava altro che una veste più coprente.

Derrick tossì, rompendo l'imbarazzante silenzio. «Sei splendida, stasera» le disse con voce calda, sistemandole una sottile spallina e sentendola sussultare. «Perciò vorrei vederti ogni sera, a patto che tu sia sempre così sexy.» S'inginocchiò, come se quella fosse una proposta di matrimonio. «Vuoi essere sempre sexy per me?»

«Io sono sempre sexy» affermò Miky, con falsa superbia.

Il viso strafottente di lui si trovò a pochi millimetri dal suo. «Oh, non ho dubbi a riguardo. E una ragazza sexy come te non dovrebbe stare in isolamento in una camera doppia.»

Il calore le affluì sulle guance lattee. Lo fissò con occhi languidi, portando un sandalo più avanti dell'altro. Le iridi di lui, due irresistibili calamite d'oro, la attiravano verso sé… Sempre più vicino. Finché le loro labbra non s'unirono in un bacio avido e umido, di pochi secondi ma comunque speciale.

Quando si distanziarono, la sua lingua abile fece il solletico al labbro inferiore morbido di lei. «Quindi è un sì?»

Miky, percorsa da un brivido, annuì.

«Però…» Derrick gettò indietro il capo, sciogliendo la magia. «Impara a limonare meglio, baby.»

«Ma sentilo, il casanova. Il tuo primo bacio non penso fosse stato tanto meglio!»

«Tsk, io ho dato il mio primo bacio che tu neanche eri nata!»

«… Quindi a due anni?» chiese la ragazza, inarcando un sopracciglio.

Federico soffocò un riso. «Sì!» Infilò poi una mano in tasca, per fingersi disinvolto. «Se ti serve un po' di pratica, sai a chi rivolgerti.»

«Si vedrà» trillò la rosa, facendogli l'occhiolino.



 

 

Angolo Autrice
Hiya!
-1!
Ma quanto amo le mie due coppie principali? Ammetto di aver inviato un S.O.S. alle proprietarie di Miky e Derry, ma poi, metà dialogo mi è venuto da me. Spero vi sia piaciuto. FLUFF FOREVER AND EVER!
Ancora non ci credo che il prossimo capitolo sarà l'ultimo, :').
Grazie alla mia fedele seguitrice (?) e chi ancora legge. Bye!
-H.H.-
 

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Capitolo 34
*** Meglio prima che mai ***


Distance: doesn't matter.

34. Meglio prima che mai

 

Mentre Leila ripiegava paia di biancheria nella valigia aperta sul materasso, io ero alle prese con gli elastici: sparsi per la mensola, tra il filo attorcigliato dell'MP3, il Pokégear, il telefono e le mollette in disordine.

«Bye bye.» Strinsi al petto Mister Kori-Miro e Pikachu, prima di girarli su un lato e inserirli dentro la tasca esterna in basso dello zaino. Metà dei libri erano compattati all'interno, insieme alla pistola giocattolo.

«È strano dover mettere tutto via…» commentai, fissando il lampadario a campanula.

«Mi riviene in mente il nostro primo incontro» confessò la biondina, fermandosi un istante. Ancora qualche secondo di riflessione e tornò alla propria valigia.

Sembrava un tempo così remoto, eppure erano passati soltanto otto mesi. Mi sarebbe mancata la mensola alla portata del letto, la scrivania e il letto stesso. Chissà se la mia compagna del prossimo anno sarebbe stata silenziosa, oppure iperattiva. Chissà se nella mia vita, prima o poi, avrei rivisto gli occhi gelidi di Leila Blues… La avvolsi senza preavviso in un abbraccio di cui avevo veramente bisogno. Dopo un secondo di smarrimento ricambiò e gliene fui grata.

 

«Avete già messo via la roba?»

«Più o meno. La mia valigia non si chiude!» si lamentò Elena, a braccia incrociate.

«Saltaci un po' sopra, ahaha!» le consigliò Naomy, allegra per l'arrivo imminente delle vacanze. «Un'ora fa ho detto a Plusle di usare la mia come trampolino, ci sta ancora giocando.»

Trattenni un sorriso.

«Oggi espongono i tabelloni, no?» domandò Azuma, con curiosità.

Annuimmo tutt'e tre.

«Verso mezzogiorno, se non sbaglio» precisò Miky, avendoci sentite anche da qualche posto più a destra.

«Speriamo in bene.» Sospirai, gustandomi l'ultima cucchiaiata di budino alla crema dell'anno.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

«E fammi passare!»

«Levati!»

«Ehi!»

Si sentivano frasi di questo genere quando esposero i risultati in bacheca, dentro cupole trasparenti di vetro. C'era fila fin sopra la scalinata principale.

«Siena» mi sussurrò Jeanne, alle mie spalle. «Guarda tu per me, per favore.»

Annuii, ricordandomi quanto fosse sensibile l'udito dell'albina e la sua tendenza a evitare il caos.

«CE L'ABBIAMO FATTA!» Miky saltò così in alto, a braccia spalancate, che tra un po' arrivava al soffitto. «Ce l'abbiamo fatta!»

Arrancai fino al suo snello corpo che ancora saltellava. «Qualcuno bocciato?!»

«Nessuno!» gridò, in preda alla gioia e senza più fiato nei polmoni. «Siamo passati! Tutti!»

Saltellai anch'io, innalzando le mani. Era come se si fossero spalancate le porte del paradiso! Ci saremmo rivisti tutti! Un altro meraviglioso anno ci attendeva a braccia aperte!

Federico rimase in un primo frangente interdetto, poi rilesse con ossessiva attenzione. Cominciò a urlare dalla gioia: dopo tre bocciature, per qualche miracolo divino, ce l'aveva fatta. Abbracciò chiunque fosse nel suo raggio d'azione, un affettuoso Achille di passaggio compreso. Quando si trovò a stringere mia cugina, però, la sollevò da terra per poi stamparle un bacio sulle labbra dall'emozione.

«Allora?» soggiunse Naomy, quando riuscii a infilarmi fuori dalla massa spintonante e mi ritrovai nel corridoio delle prime.

«Siamo passati! Tutti!»

«È fantastico!» esclamò, battendo le mani. «Vicine anche l'anno prossimo, eh?»

«Ovvio!» risposi, quasi commossa.

 

♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪-♪

 

Mancavano una decina di minuti all'arrivo dei genitori. Dopo aver ritirato le pagelle saremmo andati, finalmente, a casa. Mi sarei riabituata a far colazione con brioche alla crema, svegliandomi alle dieci sul lettino a due piazze, con i raggi del sole che bussavano alla finestra?

Accarezzai il pelo azzurro di Shinx, accucciato sugli scalini accanto a me. «Chissà chi penserà a noi, eh, bello?»

«Guardate lassù!»

«Cos'è?»

«Un aereo!»

Le mie orecchie si drizzarono come antenne di Kricketot, in sincronia al mio Pokémon. Le eliche di un elicottero mimetico inclinato mulinavano aria nel cielo terso.

«Può essere…?» chiesi a me stessa, mentre si levavano borbottii e falsi pettegolezzi tra il mare di gente con il capo rivolto all'alto.

Venne calata una scaletta a pioli da cui scese un uomo dai capelli biondi e brizzolati, in divisa da servizio. Mentre il veicolo si avvicinava a terra i ragazzi avevano creato uno spazio per l'atterraggio, data la forte corrente che costringeva a ripararsi il viso con le braccia.

«Papà!» esclamai, sorpresa. Mi sentivo la protagonista assoluta in quel momento, mentre gli altri guardavano stupiti. Al vederlo, Moni si mise diligentemente in riga.

Piegò una mano in cenno di saluto, mentre balzava a terra con agilità. «Sono venuto a prenderti, Siena.»

Ero indecisa sulla reazione da assumere. Mi avvicinai, alzandomi sulle punte per dargli un abbraccio veloce e pratico: ci stavano fissando tutti.

«Un po' in anticipo.»

«Meglio prima che mai.»

Sorrisi, emozionata. Era tornato vivo anche stavolta e finalmente si era ritagliato un minimo di tempo per me.

«Se desideri, puoi tornare nella tua vecchia scuola. Penso di averti punita abbastanza, ormai.»

Trasalii, presa alla sprovvista. Pensai a tutti i miei nuovi amici. La mia classe, unica e insostituibile… I professori, un po' pazzi ma in fondo che non avrei mai sostituito… I corridoi, il refettorio pieno la mattina, le bandane… Non ero pronta a dare l'addio definitivo a tutto ciò.

«No.» Mostrai un sorrisino sereno, quasi spigliato, complice a quello sul musetto di Moni. «I want to go in this school!»

 

 

Ultimo Angolo Autrice
HO FINITO UNA LONG DI 34 CAPITOLI!!!!!!!!!!!!!!! Cioè, vi rendete conto?! *le somministrano un tranquillante*

Beh, è arrivato il momento di spiegarvi il significato del titolo.
Distance: doesn't matter” = “Distanza: non ha importanza”. Questa storia contiene gli OC delle persone vicine e a distanza a cui tengo di più. Forse non potrò mai abbracciarle o ridere assieme a loro vivendo epiche avventure… L'unica mia consolazione è di poterle scrivere. Forse voi non mi volete così bene, io invece ne voglio un'infinità a voi… Ormai mi avete abbandonata, e questo mi ha ferita, ma continuo a vivere in questo mondo fantastico con i vostri personaggi che ancora mi vogliono bene.
Mi dispiace che Leila e Azuma non seguano più la storia. Grazie a Naomy che si sforza di leggere tutto e Miky che, nonostante la pigrizia, mi sostiene quasi sempre. Un grazie enorme a quella santa di Saphi e a Maty, che purtroppo vedo sempre meno. Non dimentichiamo AnaDarkLady97 che ha avuto una pazienza straordinaria. Grazie anche alla mia playlist ispiratrice e al mio amato portatile, ormai morto.
SIENA E MONI VI ASPETTANO NELLA SECONDA SERIE CHE PUBBLICHERÒ PRESTO, GENTE: BYEEEEE!

 

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