Welcome to my life

di The_Ruthless
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: una casa nel campo ***
Capitolo 2: *** Cap 1 ***
Capitolo 3: *** Cap 2 ***
Capitolo 4: *** cap 3 ***
Capitolo 5: *** Cap 4 ***
Capitolo 6: *** Cap 5 ***
Capitolo 7: *** Cap 6 ***
Capitolo 8: *** Cap 7 ***
Capitolo 9: *** Cap 8 ***
Capitolo 10: *** Cap 9 ***
Capitolo 11: *** Cap 10 ***



Capitolo 1
*** Prologo: una casa nel campo ***


Prologo: una casa in mezzo ai campi

Ero riuscita a scappare di nuovo da casa, a mezzanotte passata. Percorsi la mia via correndo e arrivai su quella principale. Una volta attraversata avrei raggiunto la distesa di grano. Presi la strada sterrata che conduceva al cuore dei campi, sentii subito lo sciabordio dell'acqua della roggia, che passava rasente a questa natura coltivata, per scomparire sotto il sentiero sterrato e riemergere subito dopo circondata da alberi selvatici e frondosi, che la seguivano fino alla strada asfaltata della cittadina dove abitavo. Andai avanti, e, dopo circa cinque minuti, il sentiero svoltò e tra i rovi di more comparve la mia amata casa abbandonata. Come me. Era immensa, la ditta che la stava restaurando era fallita lasciando il lavoro incompiuto. Così la villa si era deteriorata, quegli incompetenti dei restauratori avevano usato chili di cemento per restaurare questa casa risalente ai primi del '900. Mi chinai e passai sotto al filo spinato arrugginito, girai attorno alla casa seguendo un sentierino appena tracciato ed entrai nel giardino stracolmo di vecchie TV e computer, li guardai con tristezza: la gente proprio non conosceva limiti. Camminai, saltando i cumuli di tegole e mattoni, e arrivai alle scale esterne di cemento che portavano al primo piano della casa. Gettai un'occhiata a quello che sembrava un incrocio tra una cappela e una rimessa, sprofondato nel terreno. Doveva essere un bunker usato durante la prima e la seconda guerra mondiale. Salii le scale ed entrai nella prima stanza, c'erano scatole di pizze lasciate da ragazzi venuti a fare i cretini, per drogarsi, fumare e rovinare ancora di più quel posto. Alcune sedie erano sparpagliate per la stanza, ne presi una e la portai nella stanza immensa al lato est della casa. Le travi del soffitto erano quasi del tutto rotte, e sembravano dover cedere da un momento all'altro.

Misi la sedia vicino alla finestra gigantesca e mi sedetti, guardando la luna.
Rimasi immobile per un tempo interminabile, ascoltando i rumori della notte, lasciando che i miei pensieri scorressero senza nessun nesso.
Strinsi forte il martello tra le dita cercando di trovare il coraggio di farlo.
Non sarei mai riuscita a realizzare il mio sogno. Se la mia vita doveva finire, sarebbe finita lì, dove tutto era cominciato.
Mi alzai di scatto dalla sedia e con un urlo disumano, sferrai dei colpi alle travi con il martello.
La casa crollò.

Finalmente ero in pace, nel buio, sola.

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Capitolo 2
*** Cap 1 ***


Capitolo uno: il passato


Do you ever feel like breaking down?
Do you ever feel out of place,
Like somehow you just don't belong
And no one understands you?
Do you ever wanna run away?
Do you lock yourself in your room
With the radio on turned up so loud
That no one hears you're screaming?

No, you don't know what it's like
When nothing feels all right
You don't know what it's like
To be like me

To be hurt
To feel lost
To be left out in the dark
To be kicked when you're down
To feel like you've been pushed around
To be on the edge of breaking down
And no one's there to save you
No, you don't know what it's like
Welcome to my life

Do you wanna be somebody else?
Are you sick of feeling so left out?
Are you desperate to find something more
Before your life is over?
Are you stuck inside a world you hate?
Are you sick of everyone around?
With their big fake smiles and stupid lies
While deep inside you're bleeding

No, you don't know what it's like
When nothing feels all right
You don't know what it's like
To be like me

To be hurt
To feel lost
To be left out in the dark
To be kicked when you're down
To feel like you've been pushed around
To be on the edge of breaking down
And no one's there to save you
No you don't know what it's like
Welcome to my life

No one ever lied straight to your face
And no one ever stabbed you in the back
You might think I'm happy but I'm not gonna be okay
Everybody always gave you what you wanted
You never had to work it was always there
You don't know what it's like, what it's like

To be hurt
To feel lost
To be left out in the dark
To be kicked when you're down
To feel like you've been pushed around
To be on the edge of breaking down
And no one's there to save you
No, you don't know what it's like...
Welcome to my life

La mia canzone preferita, descrive alla perfezione ciò che provo, sembra fatta su misura per me. Sento di essere davvero sull'orlo del crollo, eppure una volta non ero così, ero solare, briosa, divertente, non smettevo mai di sorridere...Cosa è cambiato da allora? Perché non posso più essere quella che ero? La rabbia e l'odio che provo sono troppo grandi per cancellarli in una sola notte, sento che il mondo mi è ostile e io sono ostile al mondo. Basta. Non ne posso più di maschere di persone ipocrite, egocentriche che fingono di essere in pena per te. Ormai ho imparato a mie spese, mi sono sempre preoccupata per gli altri, sono sempre stata attenta allo stato emotivo delle persone che mi circondano e ho sempre cercato di farle sentire di nuovo bene, le aiutavo. Ora non più. Davo, davo e non ricevevo mai niente in cambio. Mai una persona che si fosse preoccupata quando mi vedeva piangere, mai una che mi chiedesse "come va?" senza fregarsene della mia risposta. Mai. Ora ho capito. In questo fottuto mondo destinato alla distruzione non vale la pena di preoccuparsi degli altri, bisogna pensare solo a sé stessi. Basta con l'educazione, i falsi sorrisi, i "per favore" e i "grazie". Ne ho piene le palle di questa massa di ipocriti stronzi. La mia vita è grigia, senza colori; li vedo solo quando guardo una persona di quelle che odio soffrire, di un male atroce che non potrà mai essere così grande come quello che mi ha inferto. Atroce, che bella parola no? Sono ridotta peggio di uno zerbino, credo di non poter continuare così...Eppure non mi sembrava di aver chiesto tanto, solo una persona che mi volesse bene. O forse è chiedere tanto? Da quando mi sono trasferita nella nuova casa e ho scoperto questa villa diroccata sono rinata. Qui posso essere me stessa, in questo silenzio magico carico di pensieri ed emozioni. Non devo far finta di essere insensibile, o far finta di essere felice quando sono con le cosiddette amiche o con il mio ragazzo. Già, il mio ragazzo, peccato che in genere ne cambi uno al mese. Non sono troia, no, ma...mi stufo, sono così prevedibili io voglio cambiare voglio nuove esperienze voglio andarmene da questa prigione che è la vita terrena. Eppure resto. Chiamatela codardia o masochismo. Non mi importa. Niente a più importanza ormai...

“Non so nascondere quello che sono: devo essere triste quando ne ho il motivo e non sorridere alle arguzie di nessuno, mangiare quando mi sento e non aspettare i comodi di nessuno, dormire quando ho sonno senza occuparmi di nessuno, ridere quando sono allegro e non piegarmi agli umori di nessuno.” Molto rumore per nulla-W.Shakespeare

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Capitolo 3
*** Cap 2 ***


Capitolo due: una lama nella neve
 

La sveglia suonò sotto il cuscino, erano le tre di notte e in casa mia dormivano tutti. Uscii dal letto, non avevo chiuso occhio, accesi la luce e mi infilai i jeans e una felpa, recuperai la giacca, la kefiah e scesi nel seminterrato. Aprii la porta della lavanderia, misi le scarpe e feci un passo fuori. Imprecai: aveva nevicato; mi piaceva la neve ma così sarebbe stato più difficile raggiungere il mio dolce antro. Salii gli scalini e arrivai nel giardino, lo attraversai e aprii il lucchetto del cancelletto. Camminai lungo il marciapiedi, corsi sulla strada sterrata e raggiunsi la mia adorata casa. Entrai nella mia stanza preferita al primo piano e mi sedetti sul davanzale di cemento, pieno di neve. C'era la luna piena, iniziavo a sentire caldo nella giacca invernale, me la tolsi e rimasi con la felpa, l'aria fredda della notte mi accarezzò il viso, respirai a fondo. Aria pura, non quella nauseante che sentivo solo io in mezzo alla gente, puzza di stronzi. Presi il coltellino svizzero dalla tasca dei jeans, cominciai a giocarci lanciandolo in aria e prendendolo al volo, mi tagliai e mi sfuggì un piccolo gemito. Una goccia di sangue uscì dalla ferita e cadde sul pavimento, andai in giardino e corsi nel campo pieno di neve, tolsi la felpa e mi ci gettai dentro. Sollievo, da bollente che ero diventai ghiacciata, poi il freddo diventò eccessivo  cominciai a sentire male, schizzai in piedi e urlai una sfilza di parolacce, funzionò, mi sentii meglio. Tornai dentro la casa e recuperai il coltellino, sentii un rumore di passi, poi vidi una luce, fredda e ferma. Era una torcia elettrica. "Che ci fai tu qui?"

Non potevo crederci, non volevo crederci. Cosa diavolo ci faceva lui nella casa a quest'ora della notte? Non lo conoscevo nemmeno, era un ragazzo che vedevo sempre in autobus; doveva avere circa un anno più di me. Abitava vicino a me, ma lo incontravo raramente. Mi fissava scioccato e mi resi conto di essere in canottiera, infilai la felpa, e, contemporaneamente indossai la maschera che usavo di solito, quella crudele; impugnai il coltello:-Vattene-dissi a voce bassa, non si muoveva-Vattene!-ringhiai, non ero sicura di potermi controllare. Feci due passi con l'arma in bella vista, la lama luccicava al chiaro di luna. Lasciò cadere la torcia e corsa via, sentii i suoi passi allontanarsi, il coltello mi cadde di mano e rimbalzò sul pavimento di cemento, appoggiai la schiena al muro
e scivolai a sedere, tenendomi la testa fra le mani, una lacrima mi rotolò lungo il viso, non era di tristezza ma di gioia. Ero da sola, nel mio rifugio felice.

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Capitolo 4
*** cap 3 ***


Capitolo tre: ricordi


Mi trovavo nel mio rifugio felice, il dieci dicembre. Questa volta non pensavo a me e alla mia vita di merda. Erano passati più di sette mesi, ormai eppure il dolore non spariva. Avevo provato a dimenticarlo, ma non ci riuscivo.

***
Più di sette mesi prima. Ero a casa mia, guardavo le notizie degli incidenti su internet, adoravo sentire parlare di gente morta o gravemente ferita. Ultimamente alla televisione non c'era proprio un cazzo. Feci scorrere la pagina e vidi scritto in grassetto "Incidente frontale fra un'auto della polizia e una utilitaria in Liguria", interessata, lessi l'articolo. Mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Non poteva essere. Ma il nome era il suo, e lui era in Liguria. Lorenzo. E il poliziotto, la causa della sua morte era vivo. Stavo per morire. Dovevo morire. Perché gli dovevo sopravvivere? Era l'unica persona che mi aveva mai compreso, che mi aveva voluto bene, ci conoscevamo da otto anni, sapevamo l'uno i segreti dell'altra e avevamo giurato di portarceli nella tomba. Già, nella tomba, direi che aveva mantenuto la promessa. Cominciai a ridere, e a piangere. Piangevo e ridevo senza ritegno. Non mi piaceva essere così debole; mi sentivo vulnerabile, potevo esserlo solo con lui. Ormai era finita. Ed io ero sola, senza nessuno a cui aggrapparmi, sola!
***

I ricordi...troppo crudeli, troppo orrendi per poterci convivere; mi afferrai la testa tra le mani, urlando. -Basta, basta, basta, basta!-sentivo un fuoco divampare dentro di me-La vita di quell'uomo sarà mia!-gridai alla casa. Il poliziotto sarebbe morto! Forse non ora, forse tra cinque, dieci anni. Ma mi sarei vendicata. Doveva soffrire come avevo sofferto io, anzi il doppio. Uscii in giardino e tirai fuori il coltellino; mi diedi da fare sull'albero, il sudore cominciò a colarmi dalla fronte. Dopo circa cinque minuti, mi allontanai per ammirare il risultato: nella corteccia era inciso, chiaro "L.&T.FOREVER". Era infantile, lo so ma non potevo andare fino in Liguria, sulla sua tomba. Era in suo onore. Non bastava, mi tagliai un dito e lo passai sopra alla scritta. La scia di sangue ci avrebbe unito per sempre.

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Capitolo 5
*** Cap 4 ***


Capitolo quattro: pensieri su me stessa, sul mondo...

 

Un uomo onesto, un uomo probo,
tralalalalla tralallalero
s'innamorò perdutamente
d'una che non lo amava niente.

Gli disse "portami domani"
tralalalalla tralallalero
gli disse "portami domani
il cuore di tua madre per i miei cani."

Lui dalla madre andò e l'uccise,
tralalalalla tralallalero
dal petto il cuore le strappò
e dal suo amore ritornò.

Non era il cuore, non era il cuore,
tralalalalla tralallalero
non le bastava quell'orrore,
voleva un'altra prova del suo cieco amore.

Gli disse "amor se mi vuoi bene"
tralalalalla tralallalero
gli disse "amor se mi vuoi bene,
tagliati dei polsi le quattro vene."

Le vene ai polsi lui si tagliò,
tralalalalla tralallalero
e come il sangue ne sgorgò
correndo come un pazzo da lei tornò.

Gli disse lei ridendo forte,
tralalalalla tralallalero
gli disse lei ridendo forte,
"l'ultima tua prova sarà la morte."
 
Fuori soffiava dolce il vento
tralalalalla tralallalero
ma lei fu presa da sgomento
quando lo vide morir contento.

Morir contento e innamorato
quando a lei nulla era restato
non il suo amore, non il suo bene
ma solo il sangue secco delle sue vene.

(Fabrizio De André)


Lo so, lo so...sto citando troppe canzoni ma fin da quando andavo all'asilo nido erano la mia ispirazione la mia filosofia...alle elementari, per studiare ripetevo i testi cantandoli. Devo ammettere che, quando ascoltai questa canzone per la prima volta, a otto anni, ne rimasi colpita. Molto colpita. Ho sempre trovato coraggioso, romantico il fatto che un uomo fosse morto per una donna che non lo amava nemmeno, ora no. Ora lo trovo semplicemente ridicolo, nonché stupido. Riascoltandola non posso fare a meno di ridere della stupidità di certa gente, che De André ha saputo esprimere molto bene. Che cosa inutile...so che mi definirete cinic ma non credo nell'esistenza dell'amore; è solo un'illusione, prima o poi tutte le relazioni finiscono. Non posso immaginare di restare legata a un uomo per tutta la vita...mi sentirei in gabbia, oppressa. Io voglio cambiare, viaggiare, fare nuove esperienze, e poi le persone sono così prevedibili. Scommetto che mi direte "è solo una fase quando sarai adulta cambierai idea", lo dicono tutti. Cazzate, se diventare adulta vuol dire rimbecillirmi, e seguire tutto il tempo gli ordini di un superiore, del mio convivente, o di qualunque altra persona donna o uomo che sia, forse voglio morire prima. Voglio essere indipendente, libera. Ma in questo fottuto mondo la libertà non esiste, nemmeno quella di parola, ci sarà sempre qualcuno che cerca con l'inganno di rinchiuderti. Non avrò padroni, vivrò nell'ombra, potrei "sdoppiarmi" per così dire. Di giorno la brava cittadina, di notte la terribile criminale. Nessuno lo sospetterebbe, nessuno lo scoprirebbe. Una mia vecchia prof chiamava me e un mio amico la "brutta razza". Che simpatica eh? La prima cosa che farei è andarmene dall'Italia. Non riesco a comunicare con gli italiani...mi riesce più facile parlare di me, di tutto, con gli stranieri. Mi piacciono, mi attirano, hanno modi di fare, tradizioni, lingue, diversi. Sono molto più interessanti delle nostre. Certo, molti extra-comunitari si danno alla criminalità ed è proprio questo, oltre ad altri molteplici motivi, che mi attira, mi affascina, mi piace.

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L'uomo è proprio stupido, e geniale. A volte penso che non ci sia differenza fra le due cose, che se ce n'è una ci deve essere anche l'altra. Pensate alla guerra dell'ex-Jugoslavia. Credete davvero che sia stata fatta per un motivo così stupido come la religione? Certo che no! Dietro c'erano i governi che ci facevano i loro interessi. Molte guerre sono state fatte "in nome di una giusta causa", tutte belle parole ma poi cosa sono diventate? Delle sporche guerre di sterminio!


La guerra è una bestia vorace.
Si nutre di persone,
di odio e di sangue.
E più divora, più ha fame.
Divora, divora
e mai si sazia.

La guerra è una bestia vorace.
Fai un fischio
e lei viene.
Non la puoi fermare:
ti abbatte, ti schiaccia,
e passa ansimante
sopra la tua testa.

La guerra è una bestia vorace.
Ci ingoia tutti.
Nessuno le sfugge.
Ingoia anche quelli
che conservano la vita.
E non son più gli stessi
di prima della guerra.

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Sto pensando troppo, e su troppe cose. Dovrei concentrarmi su me stessa. Dovrei risolvere i miei problemi invece di pensare a quelli mondiali. Dovrei trovare il coraggio di affrontare me stessa. Dovrei provare a rialzarmi. Di nuovo. Ma stavolta avrei bisogno di una mano, una mano che tarda a venire e che forse non arriverà mai. Mi sto spegnendo, lo sento. Sprofondo in questo mare scuro, eppure non sembra niente di così terribile; è caldo, piacevole. Un'onda mi accarezza la mano. La sollevo, e porto il liquido alle labbra. Chiudo gli occhi, assaporandolo. Dovevo immaginarlo: è un mare di sangue.

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Capitolo 6
*** Cap 5 ***


Capitolo cinque: tradita, di nuovo



Arrivo correndo nella mia stanza preferita della casa e mi fermo di colpo. Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi, tiro un pugno al muro. E poi un altro, e un altro, e un altro, finché le nocche non cominciano a sanguinarmi. Come ho potuto essere così stupida? Ormai avrei dovuto sapere che non potevo fidarmi di nessuno e invece, niente, ci sono cascata come un pollo! Un'altra pugnalata al cuore, e l'ultima. Adesso il mio cuore si è ridotto in cenere, non esiste più. Mi fidavo di lui credevo che fosse un amico vero, che fosse sulla mia stessa lunghezza d'onda. A lezione parlavamo dei nostri problemi, ci confidavamo, credevo di aver trovato finalmente qualcuno che mi capisse. Bastardo senz'anima! Come aveva potuto farmi questo?! Ci eravamo messi d'accordo per suicidarci insieme, buttandoci giù da un palazzo. Da sola non ce l'avrei mai fatta e anche lui voleva porre fine alla sua vita. O almeno così credevo. All'ultimo quel codardo si era tirato indietro. Ora non mi rivolgeva nemmeno la parola, e continuava a dire dalla mattina alla sera "Sono una merda". Mi trattenevo a stento dal dirgli "Lo so". Mi aveva ferito e io volevo ferire lui, mi aveva lasciato dov'ero, tra la vita e la morte, senza darmi una mano a decidere da che parte andare.

Me l'avrebbe pagata, me l'avrebbero pagata tutti quelli che mi avevano ferita, e, perché no? Anche chi non mi aveva fatto niente. Perché sapevo che alla fine sarebbe successo, mi avrebbero deluso anche loro, quelli che non mi avevano fatto nulla. Mi sentivo la testa esplodere, una marea di pensieri vi scorreva dentro e non riuscivo a fermarli. Stavo impazzendo. Il lato razionale del mio subconscio mi ricordò che non esistevano i pazzi. Vero, esistevano solo le persone mentalmente instabili, a causa della vulnerabilità del loro cervello. Mi abbandonai ai miei sogni a occhi aperti. Sarebbe stato così terribile uccidere qualcuno, anche solo un centinaio di persone? Chi se ne sarebbe accorto? In questo mondo eravamo troppi. Nella mia mente si fecce strada un piano, un piano perfetto.

"Ero pronta. Quel giorno avrei dovuto compiere più di una missione, avevo poco tempo. Ero vestita di nero, perfino i guanti lo erano. il cappuccio della felpa nascondeva la testa, e la kefiah il volto. Controllai lo zaino un'ultima volta, la mina anti-uomo della seconda guerra mondiale, che apparteneva a mio nonno c'era; sperai che fosse ancora funzionante. C'era anche il coltello militare, affilato da me, usando il vecchio metodo dell'arrotino. I vestiti di ricambio erano al loro posto, così come il cellulare e la varechina, per togliere le tracce di sangue. Non mancava nulla. Presi la bici e percorsi la strada fino alla base militare di via Cividale, le mura erano alte, e una parte di esse dava su una strada laterale. Accostai la bici ad un punto d'ombra, presi la mina e tolsi la spoletta. La lanciai velocemente dall'altra parte del muro, inforcai la bici e pedalai velocemente verso casa. Non dovevano trovarmi li vicino, mi sarei goduta lo spettacolo al telegiornale. Dovevo muovermi, la mia prossima vittima mi stava aspettando. Andai in uno dei bagni del parco vicino a casa mia e mi cambiai. Misi la minigonna, la maglietta scollata, le calze a rete e gli stivali con i tacchi. Mi sciolsi i capelli sulle spalle e ritoccai il trucco. Feci una smorfia alla mia immagine riflessa, messa così mi sentivo molto una puttana ma era l'unico modo per fargli abbassare la guardia. Uscii dal bagno e andai con lo zaino in spalla, verso una delle panchine isolate. Lui era seduto lì. Rudy. Sorrisi al pensiero che presto gliel'avrei fatta pagare. Era stravaccato sulla panca, le gambe aperte, indossava i soliti jeans stracciati, e un giaccone nero; teneva le mani in tasca. Quando mi vide sorrise, lo stesso sorriso che fece quella sera, quando io avevo undici anni e lui quindici. Si alzò e mi circondò con le braccia. -Sei cresciuta, vedo, stai benissimo così-Sentivo il suo respiro caldo sulla guancia, mi fissava la scollatura, con sguardo compiaciuto. Sorrisi a mia volta e lui mi baciò, lo stesso bacio prepotente, che mi toglieva il respiro, se mi fossi opposta come quella sera mi avrebbe morso il labbro, ne ero sicura. Non era cambiato. Ma io sì. Non ero più quella ragazzina innocente di una volta. Mi staccai e gli sussurrai:-Conosco un posto isolato-
Mi seguì, tenendomi stretta. -Vedo che sei migliorata da quella sera, i miei insegnamenti ti sono serviti, eh?-
Gli scoccai un'occhiata maliziosa:-Già-Certo, erano serviti ad autodistruggermi, testa di cazzo di un rom! Andammo dentro alla mia casa, ed entrammo nella prima stanza disponibile. feci entrare prima lui e di nascosto estrassi il coltello. Si girò verso di me, inclinando la testa di lato come un leone che osserva la sua preda. Fece un passo e mi fu addosso, mi fece andare contro il muro, ma io avevo tempestivamente messo in mostra il coltello. Si bloccò, mi guardò sorridendo ironico:-Be'? Che vuoi fare? Uccidermi?-
Mi avvicinai con l'espressione angelica:-Lo vedrai-"

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Capitolo 7
*** Cap 6 ***


Capitolo sei: un oggetto
 



Sono le quattro del pomeriggio. Strano come passi in fretta il tempo; prendo la bici e vado al Parco del Torre. È un parco per modo di dire, una specie di foresta selvaggia usata come discarica situata ai margini del fiume Torre. C'è un posto, però, che mi piace particolarmente, vicino al sentiero c'è un campo incolto, ed in mezzo ad esso c'è un albero gigantesco. D'estate mi siedo li sotto, a leggere e guardare il cielo. Anche questo freddo pomeriggio del venti dicembre sono li, a pensare. Perchè mi ha lasciata di nuovo? È la terza volta che lo fa, arriva, torna nella mia vita e una volta che mi ci sono abituata, sparisce senza lasciare tracce. È la persona che mi è più cara al mondo, lo conosco da una vita, ha trentacinque anni ma non ha ancora messo la testa a posto. Gli voglio bene, come potrei non volergliene? Ma non può continuare così, se n'è andato di nuovo, un'altra pugnalata al cuore. Un cuore ridotto a brandelli. L'avevo avvisato, l'avevo avvisato che se fosse successo di nuovo non lo avrei più accettato. Se tornerà di nuovo, gli darò talmente tanti calci in culo che diventerà molto simile alla marmellata di fragole. Lo giuro.

Mi sento vecchia, sento di essere solo un'oggetto. Servo solo a schifare o soddisfare gli altri. Sono vuota, come la mia mente, è del tutto inutile e superflua. Ieri mi sentivo soddisfatta, come oggetto avevo compiuto il mio dovere, avevo soddisfatto il mio ragazzo. Oggi mi sento depressa, sono destinata a questo, a una vita senza colori? I colori li vedo solo quando ferisco qualcuno, allora sale l'adrenalina, c'è l'eccitazione. Altrimenti tutto è grigio, niente ha più effetto su di me. Sono sempre stata un po' strana, quando ero piccola, ferivo le formiche per poi curarle e ferirle di nuovo e cosìvia finche non morivano; spesso poi, giocavo a fare finta che la casa fosse allagata e mi salvavo sul letto a castello lasciando i peluche morire per poi salvarli all'ultimo minuto. Non ero normale, lo ammetto, ma i maschi mi accettavano, a differenza delle femmine...

Continuando a pensare alla mia infanzia, chiudo gli occhi. Quando li riapro mi accorgo che è già buio, e c'è un ragazzo sui diciassette anni che mi osserva. Mi alzo in piedi diretta al sentiero e li mi fa:-Ciao bella, come va?-Mi fermo e llo guardo, indecisa. COme mi devo comportare? Lo devo soddisfare o schifare? Decido di ignorarlo, passandogli accanto, ma all'ultimo minuto lui mi afferra un braccio. D'istinto gli tiro un pugno in piena faccia e mentre lui è piegato in due dal dolore me la do a gambe. Forse dovevo aiutarlo, e se poi mi avesse stuprata? Di certo non sarebbe stata una bella esperienza ma non ce l'avrebbe mai fatta. Eravamo uno contro uno. E se anche ci fosse riuscito? Chissene frega, ormai non me ne frega più niente di me stessa. Potete fare ciò che volete di me, non sono altro che un oggetto, privo di vita.

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Capitolo 8
*** Cap 7 ***


Capitolo sette: uomini, inventati e reali


Avete presente "il codice Da Vinci"? Che libro fantastico, anche il film è sorprendente ma sono sempre rimasta delusa dalla fine. Ho sempre provato un'attrazione pazzesca per Silas, il monaco albino. Per quanto io non creda in Dio e penso che tutte le religioni sarebbero da sopprimere, Silas mi ha affascinato fin dall'inizio. La fede che provava lo spingeva a uccidere ed a ferirsi con le pratiche cattoliche più antiche, come il cilicio, la cintura con gli uncini che si portava su una coscia. E poi aveva avuto un passato tremendo, odiato per essere nato diverso, la madre era stata assassinata dal padre e lui l'aveva vendicata; era poi diventato un criminale finché, grazie ad un terremoto, scappa dalla prigione e un vescovo lo cura e lo istruisce su Dio e il resto...Peccato che sia solo un personaggio inventato.
Highlander, un altro capolavoro del cinema. Dio come amo Kurgan, l'immortale che si comporta da cafone nella chiesa...mi sciolgo al solo pensiero di farlo io stessa...quando poi ha leccato la mano del prete per pigliarlo per il culo...cristo magari esistessero persone così nella realtà.
Questo Natale è stato a dir poco deprimente, metà giornata in casa a far finta che tutto vada bene, l'altra metà fuori...e indovinate che mi è successo? Non l'avrei mai detto, un tizio sconosciuto ci ha provato con me! Ma che strano eh? Ormai ci sono quasi abituata...Ieri notte però, la notte della vigilia..ho visto qualcosa che non avrei mai voluto vedere.

Erano le undici di sera, credo. Mi stavo avviando lungo le stradine per andare alla mia casa, quando nel parco, ho notato due persone che non mi sembravano particolarmente affiatate. Mi sono avvicinata silenziosamente stando dietro al tronco di un albero e ho sentito cosa dicevano...
-Dai, piccola, qui non ci vede nessuno-Quella voce era familiare, terribilmente familiare.
-Ho detto di no-la ragazzina avrà avuto uno o due anni meno di me.
-Non fare la bambina-il ragazzo l'ha spinta contro un tronco, cercando di spogliarla.
-Ho detto no!-ha strillato lei, cercando di liberarsi. Poi ho sentito la risata di lui, la stessa risata di tre anni prima, crudele, e non ci ho visto più. Sono sbucata fuori dal nascondiglio, e da dietro ho cominciato a riempirlo di pugni. Lui ha cercato di difendersi con le mani, dando il tempo alla ragazzina di fuggire, terrorizzata. Quando lui è riuscito a spingermi via, si è voltato con sguardo collerico e alla fioca luce di un lampione poco lontano ho avuto la conferma che era lui. Rudy. Il coraggio mi era scivolato via così com'era venuto, non riuscivo a scappare, ero inchiodata lì. Si è avvicinato velocemente e mi ha stretto un braccio:-Cosa credevi di fare, eh? Chi ti ha dato il permesso di intrometterti, di rovinarmi la serata?-Rimasi in silenzio, avevo il cappuccio della giacca tirato su, ma potevo vedere i suoi occhi maligni. Non riuscivo a fissarlo, abbassai lo sguardo.-Fatti vedere puttana.-E mi tolse il cappuccio, tirandomi i capelli. Mi aveva riconosciuto, lo vedevo dal suo sguardo:-Oh, bene, bene, bene, vedo che non sei cambiata eh?-
Ero terrorizzata e lui lo sapeva-Visto che mi hai guastato il divertimento, devi rimediare.-Oh, no. Non di nuovo, per favore. Ma cosa pregavo a fare? Chi mi avrebbe ascoltata? Se me la volevo cavare dovevo aiutarmi da sola. Si avvicinò, con lo stesso sorriso maligno che ricordavo:-Andiamo dove non ci possono vedere eh?-sussurrò, tirandomi per il braccio. Feci resistenza e lui mi tirò una sberla in piena faccia:-Non provare a fare la verginella con me, puttana!-Quell'ultimo insulto mi fece esplodere, con la guancia che bruciava, gli tirai una ginocchiata nel basso ventre. E corsi via.

Possibile che non si possa stare tranquilli nemmeno la vigilia di Natale?

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Capitolo 9
*** Cap 8 ***


Capitolo otto: ricordi nel parco Moretti





Arrivo al parco ed entro dall'arcata, passo oltre i giochi dei bambini e salgo su una delle collinette. Mi siedo su una panchina sotto a un salice e chiudo gli occhi, quanti ricordi ho in questo parco, in questa schifosa città...
***
Era l'ultimo giorno di terza media, due anni fa. Perché cazzo mi venivano in mente ora i ricordi di due anni fa?
Ora, lo ammetto mi ero messa una maglia un po' troppo scollata ma era una specie di "addio" a quel periodo bellissimo (più o meno) passato a fare un cazzo...
Eravamo andati in pizzeria, passavo tutto il tempo a scherzare con la mia migliore amica, Gaia, Shimba e Jo, due nostri compagni africani. Arrivati al giardino immenso, io e Gaia ci separammo dagli altri e andammo a fare una passeggiata, piovigginava perciò i giochi d'acqua erano stati annullati. Quando smise di piovere, il cellulare di Gaia squillò.
-Che c'è Enxhi?-chiese piuttosto spazientita. La nostra insopportabile compagna, le disse qualcosa che la fece sorridere.-Ok, arriviamo subito.-
-Se ne stanno andando per fare un giro, muoviamoci!-Ci alzammo e andammo ai giochi dei bambini, dove li avevamo lasciati, non c'era nessuno. Da lontano scorsi i ragazzi e le ragazze rincorrersi, urlando e ridendo, capii al volo. Avevo solo una felpa di ricambio e nient'altro, quel giorno faceva anche più fresco del solito. Mi buttai lo zaino in spalla e cominciai ad allontanarmi di soppiatto.
Mentre Gaia veniva lavata per bene da Enxhi, io iniziai a correre il più veloce possibile, ma Jo mi stava alle calcagna; ad un certo punto mi apparve davanti Shimba, anche lui con una bottiglia d'acqua da un litro in mano, mi fecero andare contro il muro e cominciarono a versarmi l'acqua dentro la maglia e i jeans.
-Bastardi!-strillai, mentre loro ridevano, me ne andai velocemente su una delle colline, per togliermi la felpa zuppa e mettermi quella asciutta. Mi nascosi dietro a una pianta a cespuglio immensa. Cominciai a sfilarmi la felpa, con i brividi, quando sentii uno scricchiolio alle mie spalle. Mi voltai di scatto, era Shimba.
-Cosa cazzo vuoi? Vattene!-mi infilai repentinamente l'altra felpa e feci un passo per andarmene. Mi afferrò il braccio e io mi girai di scatto alzando un braccio per tirargli un pugno sulla mascella, la mia mano si fermò a pochi centimetri da essa. -Mollami, ora, se non vuoi farti molto male.-Per tutta risposta strinse maggiormente la presa, era forte, ma questo giocava a suo sfavore. Eravamo in un parco di giorno, pieno di gente, non poteva farmi nulla. Rimanemmo immobili a fissarci, quegli occhi scuri erano profondi, incomprensibili. Strattonai il braccio e riuscii a liberarmi, rimasi a fissarlo mentre me ne andavo. Li era immobile con uno sguardo indecifrabile.
***
Come passa velocemente il tempo, mi sembra che sia successo ieri...Ripensai allo sfortunato incontro della Vigilia, dovevo tenermi alla larga da lui...fin dalla prima media mi aveva infastidito, sempre, mi aveva quasi fatto investire quando non gli avevo dato il mio numero, era sempre con me alla mia stessa fermata dell'autobus. E quella sera...quando ero andata in centro per comprare del materiale per la scuola, sapevo che non avrei mai dovuto prendere ill sottopasso della stazione...avevo dodici anni....
***
Con le mani in tasca cominciai a percorrere il sottopasso deserto, quando mi accorsi che un ragazzo stava camminando verso di me, il sottopasso era scarsamente illuminato e non riuscivo a vedere la sua faccia, continuai a camminare, facendo finta di niente.
-Fai finta di non conoscermi, bimba?-quella voce, la conoscevo troppo bene. Era lui. Rudy. Lo scansai e cominciai a camminare più veloce, dovevo uscire dalla galleria.
Mi afferrò per i fianchi, trattenendomi:-Dove credi di andare, bellezza?-
Cominciai a pensare velocemente, meglio fare la simpatica e metterla sul ridere:-Dai, Rudy, lasciami che devo andare a casa! Ti prometto che domani ti dò quel cavolo di numero!-esclamai, ridacchiando, una risatina acuta che non convinceva neanche me. Mi fece ruotare su me stessa, mi mise una mano sotto il mento e mi alzò il viso, in modo che lo guardassi negli occhi. Erano maligni, bramosi e sapevo esattamente ciò che lui vedeva nei miei: terrore, terrore puro.
-Ora fai la brava, bambina.-sussurrò al mio orecchio e incominciò a baciarmi sul collo. Sentii la sua mano calda, infilarsi sotto la felpa e salire fino all'altezza del seno.
-Lasciami, cazzo!-esclamai, in preda alla rabbia.
-Le brave bambine non dicono certe cose-ghignò lui-Ma tu non lo sei vero? Lo sappiamo tutti quello che sei.-Ero confusa, cosa intendeva dire con quel "tutti"? E cos'ero io per loro?
Cercai di scostarmi con più forza:-Ma per chi mi hai preso?!-
Sorrise:-Per quello che sei, piccola, quindi stai buona e non rompere, eh?-Gli tirai uno schiaffo e cercai di sgusciare via dalle sue braccia, ma lui mi sbattè contro il muro.-Stai ferma, puttanella!-Mi mise una mano sul collo e mi baciò con prepotenza, facendomi togliere il respiro. Neanche inquella situazione ero capace di odiarlo, mi sentivo solo ferita, profondamente nell'anima. Ero questo per tutti?
A quel punto feci una cosa molto stupida, cercai di tirargli una ginocchiata nelle palle, la evitò. Per un attimo lo guardai negli occhi e vidi solo rabbia, follia. Mi tirò un pugno sullo zigomo, la forza d'urto mi fece andare contro il muro, scivolai a sedere per terra, rannicchiandomi su me stessa. Chiusi gli occhi, aspettando il seguito, ormai non me ne importava più niente.
Sentii il rumore della sua cerniera. Oh no, anche quello no...

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Capitolo 10
*** Cap 9 ***


Capitolo nove: diamonds in the sky
 

Ieri sono stata al castello della mia città, da dove si può vedere tutto il panorama. Ero con i miei compagni, in pausa pranzo; mi sono seduta sul muretto che delimitava il piazzale sulla cima della collina, mentre loro ridevano e scherzavano fra di loro. Sono rimasta seduta lì, con "Diamonds" che rimbombava nelle orecchie, a guardare il cielo azzurro. C'era il sole e un vento fresco mi accarezzava il viso, mi sentivo sola come non mai, ma nessuno se ne accorgeva. Nessuno ha notato la mia tristezza, ma questo non è niente di nuovo. Nessuno ha mai capito la mia situazione, e come avrebbero potuto? Nessuno mi conosce. In tutti questi anni, ho finto così bene che tutti pensano che abbia una vita normale. E invece...anni passati nella solitudine, nella violenza. Ma ormai ci sono abituata, quella violenza è diventata parte di me. Possono darmi dell'asociale, della sadica, della terrorista, quello che gli pare ma non sono una classificabile.
Etichette. Non c'è cosa che odio di più.
Le poche persone a cui credo di aver voluto bene le ho perse di vista, scomparse all'orizzonte. Spesso, come molti altri, mi chiedo quale sia lo scopo della mia esstenza. L'ho fatto anche oggi, su quel muretto, in cima alla collina e forse, per la prima volta, sono riuscita a rispondermi. Soddisfare. Ecco a cosa servo. Lo sto facendo da più di 5 anni, ormai, è diventato il mio mestiere. Detto così suona deprimente, e in fondo lo è forse, ma finché nessuno lo saprà potrò ancora andare in giro a testa alta. Anzi, meglio tenerla un po' più giu o rischio di inciampare...cazzo sto davvero sclerando. Non so perché scrivo tutta sta merda...comincio a pensare di non essere una normale adolescente. Ma forse nemmeno un'adolescente. Mi hanno sempre detto che sono nata vecchia. Ultimamente le risposte a tutte le osservazioni che mi fanno sono "Lo so", perché non mi dicono nulla di nuovo...
Oddio, mi sto facendo paura da sola, che cosa penosa e inutile...la solitudine è la mia compagna costante, ormai. Sento l'urlo del vento, adesso, sul tetto della mia casa in rovina. Sorrido urlando con lui. Mi sto lasciando andare, la mia vita mi sta scivolando fra le mani...Ripenso al sogno del lago....ai miei cosiddetti amici, a quelli veri...penso a tutto e a niente.
Poi ripenso alle battute pessime che ieri ha detto un mio compagno. E rido. Di cuore, per la prima volta da anni. Qui, nell'unico posto dove posso essere me stessa.

***
Ieri, 4 febbraio 2013, ore 16 e 35. Stavo scherzando come al solito con Francesco, il ripetente di classe mia, è un tale coglione....Mi stava sparando alcune delle sue battute pessime.
"Le donne fanno la fila per me....faccio il cassiere." e poi: "Ho chiesto l'amicizia su fb a un boscaiolo...me l'ha accettata."e ancora: "A cosa servono la colla e i soldati insieme? Ad attaccare i nemici."e, infine, prima del suono della campanella, l'ultima: "Abbiamo portato mia nonna dall'oculista perché non ci vede più. Le ha fatto il test delle lettere e ha risposto sbagliato a tutte. Solo dopo ci siamo ricordati che è analfabeta."
Pessime davvero...

 

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Capitolo 11
*** Cap 10 ***


Capitolo dieci: un cambio di ideali, un cambio di vita



Sono sempre stata convinta di bastare a me stessa. Ho sempre detestato i bambini e l'idea di avere un figlio, un giorno, mi disgustava. Eppure, i miei ideali sono cambiati rapidi come sono nati, e tutto a causa di un sogno. Un semplicissimo sogno.

Ero appena uscita da scuola e avevo raggiunto i miei genitori all'università dove lavorano.
Siamo saliti in auto, una Peugeot Ranch del 2003, con noi c'erano una ragazzina di circa dodici anni e un bambino di sette o otto anni, entrambi stranieri, pakistani credo, anche se i tratti del bambino erano anche un po' rumeni.
La ragazzina si mise in braccio a mia madre, sul sedile anteriore, mio padre si mise al posto guida e mi passò il bambino che mi poggiai sulle ginocchia.
Partimmo e la macchina intraprese una serie di curve brusche che ci fece sobbalzare, strinsi forte a me il bambino, cercando di proteggerlo dagli urti.
Di colpo eravamo in una città araba, mezza distrutta con soldati e civili ovunque.
Ero sola con il bambino e lo tenevo per mano. Correvamo, cercando una via di fuga, inutilmente.
Mi ritrovai in una piazzetta assolata, circondata da gente che fuggiva ovunque e soldati armati. Non potevo fare nulla.
Strinsi a me il bambino, consolandolo con paroline in italiano: "Non preoccuparti, ce la faremo"sussurrai.
Mentivo, certo, ma cos'altro potevo fare? Mi chinai su di lui, stringendolo ancora di più e facendogli scudo dai proiettili. Avrei dato la mia vita, per lui.

***

Delusione. Credevo di aver trovato qualcuno che mi capisse, finalmente.
Mi ha deluso.
Perché ha fatto l'errore che fanno tutti quelli che cominciano a conoscermi. Cercano di aiutarmi, di darmi una mano, mi compatiscono, provano pietà per me.
Ma io non voglio alcuna pietà, alcun aiuto. Cerco qualcuno abbastanza forte da non cascarci, da vedere oltre le mille maschere che indosso. L'unica mia consolazione è la mia migliore amica, nonostante la distanza fra i nostri mondi mi fa uscire brevemente dal mio inferno personale.
Adesso però, la mia vita è migliorata. Relativamente ma è migliorata. Mi sento più felice, più tranquilla, in pace.
Non credevo che sarebbe mai successo e invece...


L'ERBA CATTIVA

Nell'ultimo anno ne ho viste troppe, sentite troppe
Faccio più incubi da sveglio che di notte
Ho tolto i sogni dal cassetto e ci ho messo un arma
Così se entrano i demoni in stanza gli sparo in faccia
Riparo, non c'è mai stato nel deserto che ho dentro
Il cuore è un apparecchio difettoso e l'ho spento
Nessuno è indispensabile al momento
Nella mia vita non ho amici ho sagome di riempimento
Ogni sentimento, te lo senti dentro
Vorrei essere sincero ma se menti, mento
Tanti li ho lasciati indietro senza pentimento
Perché a stare con i lenti poi diventi lento
In mezz'ora, la gente ispeziona
Cambia opinione su di me ma io vi odiavo e non vi apprezzo ora
Ancora no, non mi fido e non mi fiderò
Questa gente chiede quando suono non mi chiede come sto

Rit.
Ti domandi quando morirai
fossi in te non mi preoccuperei
l'erba cattiva non muore mai
nel giardino dei pensieri miei
non o più radici che mi tengono
perché semino soltanto il male
mentre i buoni mi calpestano
vorrei tutto finisse ma sono immortale

L'erba cattiva non muore mai quant'è vero
I cattivi in cima,i buoni al cimitero
Io ancora vivo e non so, se sono buono o cattivo
Ma sto in cima, e penso meglio l'umiltà o la vita?
Chi guida il destino prima o poi si schianta
C'è chi fa l'assassino e poi si ammazza se una stronza lo pianta
Dai piantala, chi ci crede al karma? la fede non ci salva
Per questo mi confesso con il barman
Ogni volta che bevo, la vista si appanna ma vedo
I drammi che mi porto appresso riflessi nel vetro
Non chiedo, nessun'auto a don Pietro
Bestemmio, non prego
Schiavo non lo sarò mai
L'unico momento in cui mi piego è per allacciarmi le nike
E ho capito ormai, che il buon senso, è come un sogno è vivo finché dormi
Quando apri gli occhi te lo scordi, capito il senso?

Rit.

Mi hanno spezzato le ali per tenermi attaccato al suolo
Ma quando spicco il volo mi dico grazie da solo
Tra disgrazie e successi, non molti cambiamenti
Gli occhiali sono più belli ma gli occhi sono gli stessi
E mi resta, soltanto una penna e una melodia in testa
Finche il rimpianto si sveglia e mi meno via merda
Vienimi a prendere, sono stanco di giocare a perdere
Fermate questa giostra voglio scendere

Nel mondo in cui sto "l'erba cattiva"
Nel mondo in cui stai "l'erba cattiva"
Dentro gli occhi miei "l'erba cattiva"
Dentro gli occhi tuoi "l'erba cattiva"
Nel mondo in cui sto "l'erba cattiva"
Nel mondo in cui stai "l'erba cattiva"
Dentro gli occhi miei "l'erba cattiva"
Dentro gli occhi tuoi "l'erba cattiva"

Ti domandi quando morirai
Fossi in te non mi preoccuperei
L'erba cattiva non muore mai
Nel giardino dei pensieri miei
Non ho più radici che mi tengono
Perché semino soltanto il male
Mentre i buoni mi calpestano
Vorrei tutto finisse ma sono immortale

Nel mondo in cui sto "l'erba cattiva"
Nel mondo in cui stai "l'erba cattiva"
Dentro gli occhi miei "l'erba cattiva"
Dentro gli occhi tuoi "l'erba cattiva"
Nel mondo in cui sto "l'erba cattiva"
Nel mondo in cui stai "l'erba cattiva"
Dentro gli occhi miei "l'erba cattiva"
Dentro gli occhi tuoi "l'erba cattiva"

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