Danger.

di MartaJonas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


 

Danger. 


July 15th, 2012 – 10.13pm
 
Era sera, l’uomo era ben nascosto tra gli arbusti, davanti al piccolo stabilimento in cui avrebbero fatto irruzione da un momento all’altro, non appena il comandante avrebbe dato a lui, e ai suoi compagni, il segnale.
Era immobile, tra le foglie di quelle piante, ben confuso con l'ambiente grazie ai suoi vestiti mimetici, su cui si riusciva a distinguere bene, però, il suo nome in nero su una targhetta. La scritta “Jonas” che appariva sul lato sinistro del petto del giovane uomo, era affiancata dal distintivo dei Marines.
Il militare respirava piano e ritmicamente, così lievemente che se gli si fosse messa una candela proprio davanti alla sua bocca, la fiamma non sarebbe nemmeno oscillata.
Non appena vide accendersi una luce all’interno del complesso, portò il mitra più vicino al corpo affinché sopportasse meglio il contraccolpo nell’evenienza in cui avrebbe dovuto sparare. Così le sue vene pulsanti di sangue delle sue mani si mostrarono, proprio vicino al grilletto. I suoi occhi color ambra, sotto quelle sue folte e nere sopracciglia, si muovevano furtivi e attenti. Non osava aprire bocca, mentre si chiese perché si fosse dimenticato un’altra volta di farsi la barba, ormai incolta, quella mattina, proprio per cercare di smorzare quella tensione che aveva ogni volta prima di un’incursione. Quella volta, poi, sarebbero dovuti stare ancora più attenti: dovevano salvare e mettere al sicuro una donna, una reporter per la precisione,che era stata presa in ostaggio, per poi chiedere indietro un riscatto dal paese di appartenenza della civile, cioè gli stessi Stati Uniti d’America. Sarebbe bastato un passo falso per far saltare tutta l’operazione.
Era piena estate lì in Iraq, e quindi faceva anche parecchio caldo. La fronte del marines era imperlata da piccole gocce di sudore, che erano impossibili da asciugare in quel momento, perché non poteva muoversi neanche di un centimetro. I capelli corvini sulla sua fronte si erano un po’ attaccati a questa, doveva ricordare di tagliarli, almeno un po’. Non li aveva tagliati tutti completamente,  come si usava fare una volta entrati in un corpo militare, li aveva lasciati un po’ più lunghi sulla testa e li aveva rasati ai lati. Era sempre stato affezionato ai suoi capelli, fin da quando era piccolo, e non era riuscito a farne a meno completamente. Così si distingueva da tutti gli altri, così non sarebbe sembrato uguale a tutti gli altri, anche se il suo comandante non faceva che rimproverarlo per questo. Tuttavia, li avrebbe dovuti ritagliare, almeno un po’.
Gli era sembrato impossibile, però, pensare a qualunque altra cosa che non fosse stato quell’assalto nei giorni precedenti, tutta la squadra si era concentrata solo e soltanto su quello, tanto dal perdere di vista qualunque altra cosa.
Gli occhi del ragazzo e dei suoi compagni, ormai suoi amici, furono catturati dalla luce intermittente di quella pila elettrica che puntava il suo chiarore su uno degli alberi vicini: era il segnale. Questo significava che l’altra parte della squadra aveva fatto il suo lavoro, e quindi la via era libera, almeno fuori dall’edificio. Cominciarono a muoversi, furtivamente e nello stesso tempo velocemente, verso lo stabilimento. Arrivarono fuori dalla porta sul retro e Mike si appoggio proprio affianco ad essa, e guardando i suoi compagni, mimò con le labbra un “tre, due, uno” e poi sfondò la porta. Gli otto marines si separarono, a due a due, in modo che ognuno dovesse guardare le spalle al compagno.
-Danger – sussurrò Mason all’orecchio del suo compagno, Jonas, appellandolo con il suo soprannome. Ormai tutti lì avevano un soprannome.
-Sì? – rispose altrettanto piano.
-C’è troppo silenzio. – sentenziò, ricevendo indietro un semplice “lo so” dall’amico, che poggiò la schiena alla parete affianco alla porta della stanza più vicina e fece segno al primo di sfondarla con un solo cenno della testa.
Come entrarono ricevettero dei colpi di pistola un uomo che teneva ferma la giornalista, con una delle due mani, mentre con l’altra tentava di difendersi. Nessuno dei proiettili sparati li aveva colpiti fortunatamente e i due marines si ritirarono subito al di fuori della stanza incolumi. Danger fece un respiro profondo, trattenne il respiro, puntò il mitra alla spalla dell’uomo, e più sicuro che mai, con la possibilità di sbagliare mira e colpire la ragazza, sparò. L’uomo cadde a terra un attimo dopo dolorante e ferito con l’impossibilità di muovere il braccio, ma non morto; mentre la ragazza, con il viso ancora coperto da un sacchetto di stoffa nero, piangeva disperata e spaventatissima, dopo aver gridato al momento dello sparo.
Il moro, che aveva appena scagliato quella pallottola, tirò un sospiro di sollievo correndo verso la donna.
-Vai a chiamare gli altri, io mi occupo di lei. Stai attento, però. – disse questo all’ amico Mason che annuì uscendo dalla porta.
Prese da terra la pistola usata dal rapitore per evitare che potesse rinvenire e fare qualcosa di male, e se la mise alla cintura.
-Ti prego, non farmi niente … ti prego … ti prego … - disse la donna spaventata,
-Stai tranquilla Abbey, sono arrivati i buoni, è tutto finito – affermò piano, con voce ferma il ragazzo mentre si inginocchiava davanti a lei, le toglieva il sacco nero dalla testa, lo buttava a terra e con un coltello le tagliava le corde con cui le avevano legato i polsi.
Si ritrovò davanti a una giovane donna dagli occhi grandi e verdissimi, e dai capelli castani; era distrutta ma era semplicemente stupenda, così tanto che il ragazzo per un attimo smise di respirare.
-È tutto finito sul serio? – chiese ancora, non riuscendo a crederci mentre guardava fisso negli occhi quel ragazzo sconosciuto di cui non sapeva neanche il nome, ma le aveva salvato la vita. 
-È tutto finito.- le sorrise il moro e si accorse che non sorrideva così da tempo ormai.
La ragazza abbracciò il giovane piangendo, e questo sorpreso ricambiò l’abbraccio stringendo la ragazza a sé.
 
*
 
July 16th, 2012  – 2.08am
 
C’era silenzio quella sera, più silenzio del solito. Era di guardia quella notte, ma anche se non lo fosse stato non sarebbe stato capace di chiudere occhio. Pensare a quella ragazza e a quello che gli avrebbero potuto fare se non fossero arrivati in tempo lo spaventava e non poco. Non le avevano fatto nulla per fortuna, né violentata o peggio torturata, erano arrivati prima che le potesse succederle qualcosa di davvero irrimediabile. Era spaventata, ma era forte, altrimenti non sarebbe neanche stata lì. Era riuscito a vedere, però, che in quello sguardo verde acqua non c’era altro che innocenza.
Si appoggiò all’albero accanto dall’accampamento in cui si erano stabiliti per qualche giorno, e un momento dopo sentì una mano che gli toccava la spalla destra. Si girò e vide Abbey davanti ai suoi occhi che tentava un sorriso.
-Ciao – sorrise la ragazza.
-Ciao … non dovresti essere qui, sai? – disse il ragazzo alla reporter.
-Lo so, ma mi sono ricordata che non ti ho ringraziato per prima. – disse la ragazza guardando a terra imbarazzata – quindi, grazie per tutto.
-Non è stato solo merito mio, io non ho fatto nulla, è stato un lungo lavoro di squadra. – rispose il ragazzo, mentre si disse che sarebbe sembrato troppo strano se si fosse accorta che stava fissando i suoi occhi da quando era arrivata.
-Lo so, ma mi hai consolata, mi hai liberata tu, e niente, ti volevo ringraziare per questo – disse la giovane massacrandosi il labbro inferiore per l’agitazione.
-Beh, di nulla, solo dovere. – rispose sorridendogli
-Poi … - cominciò Abbey – volevo chiederti il tuo nome. Nel senso, tu sai il mio, e mi sembrava giusto sapere il nome di chi mi ha salvata. Sai com’è, se qualcuno me lo chiedesse, almeno saprei come rispondere. - disse la ragazza castana distruggendosi una pellicina del dito pollice, e il moro si disse che aveva una gran parlantina e che era parecchio emozionata anche se non ne capiva il motivo.
-Perdonami, sono stato un maleducato, avrei dovuto presentarmi. Piacere, Joseph Jonas, puoi chiamarmi Joe. Oppure Danger, è il mio soprannome. – così dicendo le tese una mano che la ragazza non tardò ad afferrare.
-Abbey Scott, hai un bel nome, Joe. – disse la ragazza sorridendogli – e perché ti chiamano Danger?
-Vuoi sapere la versione che racconto a tutti per farmi il figo o la vera versione? – chiese il moro trattenendo una risata che invece provocò in Abbey.
-Entrambe! – rispose divertita.
-La versione che racconto è quella che ho una buona mira e quindi sono un Danger per tutti gli altri, che tra l’altro è anche vero. Ma la vera versione è che da piccolo ero un disastro, cadevo sempre, ero un Danger per me e per gli altri; i miei compagni sono venuti a sapere che i miei fratelli mi chiamavano così, mi hanno preso un giro per qualche mese buono e mi è rimasto il soprannome. – disse Joseph ancora imbarazzato per la seconda parte
-Ma dai, cosa facevi di così pericoloso per arrivare a tutto questo? – chiese la ragazza.
-Pensa che mi sono infilato la testa in un tamburello una volta, questo ti può far capire tutto il resto! – disse il moro facendo scoppiare a ridere la ragazza, e lui si unì a quella risata fin troppo bella da sentire.
-Ho un’altra domanda, prima di andare a dormire. – disse la ragazza guardando il giovane prima negli occhi per poi spostare lo sguardo a terra.
-Dimmi pure! – rispose il moro.
-Mi dai il tuo numero di cellulare, Joe? – chiese, forse sfacciatamente, la ragazza a quell’uomo di cui era rimasta irrimediabilmente colpita. Forse erano quegli occhi, forse quel sorriso, forse quel suo modo di ridere portandosi una mano al petto, oppure quello strano suono della sua risata, non lo sapeva per certo, ma sapeva che stava accadendo qualcosa, e non voleva lasciarlo andare.
-Solo se tu mi dai il tuo. – sorrise il moro, facendo sorridere anche la ragazza. 









Buonasera a tutti!
Bene, come al solito non faccio altro che rompervi le scatole con quello che scrivo. In ogni modo, premtto che questa doveva essere una OS, ma è diventata una mini-FF in 3 capitoli. Quindi, non abbiate paura, finirà presto questa volta ahahahahah
L'idea è venuta da una gift, anche se era da un po' che l'avevo in mente. 
Ho linkato due canzoni, una per ognuna delle due parti in cui è diviso il testo. 
E, per chi mi segue anche in "Help me and let me help you" tranquilli, non la sto abbandonando, anzi, plubbicherò un nuovo capitolo anche lì molto presto! :)
Vi prego di perdonarmi per l'orrible banner, ma è quel che sono riuscita a fare in 10 minuti ahahah
In realtà sono parecchio nervosa e indecisa nel pubblicare questa storia, non so molto giudicarla.
Mi farebbe davvero piacere ricevere dei pareri positivi o neativi che siano!
A presto, un bacione, 
Marta :) 

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***



December 20th,  2014 – 7.15pm

 
Abbey non riusciva ad aspettare seduta, in quel grande aeroporto di Los Angeles. Continuava ad alzarsi e camminare cercando di aspettare che quel volo arrivasse finalmente.
Aveva smesso di respirare negli ultimi quattro mesi, da quando se ne era andato. Ora che mancavano solo pochi minuti e lei avrebbe potuto riabbracciarlo di nuovo e riprendere a respirare sembrava davvero che non passassero mai.
Viveva pensandolo, viveva delle sue foto, di quei suoi video stupidi che le lasciava sull’i- Phone ogni volta che glielo rubava. Restava in vita grazie a quei pochi minuti di videochiamata ogni sera, e quelle sue lettere che le scriveva ogni volta che si trovava in missione in luoghi in cui non c’era linea, nelle quali le ricordava quanto la amasse.
Abbey contava i gironi, i minuti, i secondi che non trascorrevano insieme, e allo stesso modo teneva il conto di quanto mancasse per riaverlo tra le sue braccia. Viveva nel terrore che potesse succedergli qualcosa, nonostante fosse lui quello che si chiamava Danger.
Quando vide che l’aereo era atterrato  il cuore le accelerò. Si guardò intorno e vide una marea di gente arrivare dallo stesso lato. Lo cercò con lo sguardo, non riusciva a trovarlo.
Poi, all’improvviso, lo vide, cappellino al contrario, sacca in spalla, sorriso sul viso, e occhi che si guardavano intorno, come se stessero cercando lei.
Si aprì in un sorriso e lo chiamò facendolo girare dalla sua parte. Si corsero incontro, e Abbey saltò addosso al ragazzo che lasciò la sacca cadere a terra e strinse a sé la ragazza che gli era fin troppo mancata. Si baciarono, ancora ed ancora, come se fosse passata una vita. Si baciarono proprio come fanno due innamorati. Si baciarono davvero. Abbey aveva cominciato a piangere. Le era mancato troppo, da morire. Quando le fece toccare di nuovo terra con i piedi, si accorse che si era commossa così le asciugò le lacrime, e senza aver bisogno di parole la abbracciò e la baciò di nuovo. Lei sorrise ancora.
-Mi sei mancata da morire. – disse Joseph guardandola fissa negli occhi.
-Non sai quanto tu sei mancato a me – affermò la giovane abbracciandolo di nuovo.
 
*
 
December 22th, 2014 – 8.10pm
 
 
Abbey e Joe si tenevano per mano e camminavano sul molo di Santa Barbara, senza curarsi di niente e di nessuno. Era pieno di gente lì, ma sembravano essere da soli loro due. Quando erano insieme scomparivano tutti gli altri. Era come una strana specie di magia, di quelle che si parla nei libri di fiabe oppure nei romanzi rosa che le ragazzine amano leggere. Il loro amore era così, era come quello di un libro, era come quello di un film.
Erano una sintonia perfetta, erano l’uno la parte essenziale e immancabile dall’altro, senza la quale sembrava impossibile vivere.
Abbey parlava del suo articolo sul New York Times di cui andava tanto orgogliosa, mentre Joseph le raccontava come avessero fatto a fornire gli aiuti necessari alla popolazione, che stavano aiutando perché dilaniata da quegli scontri.
Chiunque li avesse visti, avrebbe invidiato il loro amore, avrebbe invidiato il modo in cui si guardavano e poi si sorridevano attenti ognuno a ogni parola dell’altro. Li avrebbero invidiati perché il loro amore era più forte e più bello di qualunque altro.
Arrivarono alla fine del molo e restarono un attimo lì a guardare il mare agitato dal freddo vento di dicembre. Amavano il mare, entrambi. Avevano già deciso che la loro casa sarebbe stata in riva al mare, proprio come la sognavano.
Joseph poggiò alla ringhiera dando le spalle al mare e sospirò come se fosse nervoso.
-Tutto bene? – chiese la ragazza prendendogli la mano.
-Sì … cioè, dovrei chiederti una cosa. – disse il moro
-Beh, chiedi quello che vuoi! – rispose la ragazza.
-Nel senso, in realtà avrei voluto chiedertelo la sera del 24. Però, non lo so. Nel senso, vorrei chiedertelo, ma non so come reagirai, perché non ne abbiamo mai parlato. Ma io ci ho pensato. Nel senso, non ho deciso due giorni fa. Ci ho pensato prima e … - cominciò a parlare il ragazzo ma fu interrotto da Abbey.
-Poi dici che io ho la parlantina! Avanti, chiedimi quello che devi chiedermi e smettila di farmi venire l’ansia! – disse ridendo, ma quando il ragazzo le prese la mano e si inginocchiò a terra il cuore le si congelò in petto. No, dai, non poteva essere vero.
Joseph mise una mano nella sua tasca e cacciò fuori da questa una scatolina di velluto blu.
-Abbey Scott, mi vuoi sposare? – disse con voce tremante il giovane agitatissimo fissandola negli occhi. La ragazza era completamente stupita, e non riusciva a dire una parola quando vide davanti ai suoi occhi l’anellino di diamanti che avrebbe rappresentato il loro amore e il suo Joseph che le aveva davvero chiesto di diventare sua moglie.
-Oddio, sì! Sì sì sì, lo voglio! assolutamente sì, Joe, certo che sì! – disse buttandosi addosso al ragazzo e baciandolo con tutto l’amore del mondo. 











Salve gente!
Bene, secondo e penultimo capitolo di questa mini-FF.
Per qualunque cosa sappiate che sono sempre disponibile sia qui su efp che su twitter.  
Grazie infinite per le recensioni, siete fantastiche!
Il prossimo e ultimo capitolo farò del mio meglio per concluderlo e postarlo al più presto!
Un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***





August 15th, 2025 – 10.05am

 
Abbey in quella afosa giornata d’agosto strinse la mano al bambino e si addentrò in quel luogo così freddo e triste da farle venire i brividi.
Il viso della giovane donna era spossato, magro, distrutto. Tentava di non sembrare così devastata, ma sembrava essere qualcosa di più forte di lei.
Quelle pareti grigie rendevano quel posto ancora più disperato. Quel vialetto scomposto che ormai aveva percorso più di una volta sembrava aver visto così tanta gente piangere da aver perso il suo colore. L’erba a terra era bagnata e verde, viva, come da far notare la differenza tra questa e quelle lastre di marmo grigiastre che di tanto in tanto ricoprivano il terreno.
Il bimbo lascò la mano della donna e in silenzio la seguì camminando affianco a lei e tenendo ben stretta tra le sue manine una rosa rossa. Quell’ometto si guardava intorno quasi spaventato, come se ricordasse, nonostante fosse piccolo, tutto quel che era successo l’anno prima. Di sicuro ricordava le lacrime della madre, e il suo completo rifiuto alla vita, quello era impossibile dimenticarlo.
Abbey si scostò i capelli dal viso e nel momento in cui vide di nuovo quella lapide di marmo ruvida e grigia non riuscì a trattenere le lacrime.
Rimase in piedi, immobile, mentre le lacrime continuavano a rigarle il viso. Era un pianto silenzioso, che nessuno era davvero capace di capire.
Vide suo figlio, avvicinarsi cautamente alla tomba del padre e poggiarci sopra la rosa che il giorno prima aveva premurosamente raccolto nel suo giardino.
La giovane sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e girandosi vide Kevin, fratello di Joseph, che con gli occhi lucidi tentava di rivolgerle un sorriso, che lei cercò di ricambiare.
Insieme a lui era arrivato il resto della famiglia Jonas. C’era la moglie di Kevin, Danielle; c’erano Nicholas e Frankie gli altri due fratelli di Joe, e infine i suoi genitori Paul e Denise.
Non dissero nulla, bastarono pochi sguardi e un gran silenzio.
Abbey guardò quella piccola foto sulla sua lapide. Il ragazzo sorrideva. Ricordava che l’aveva scelta Nicholas, suo fratello, perché lei era troppo distrutta anche per uscire di casa. “Era un ragazzo felice, ed è così che dobbiamo ricordarlo” così aveva detto.
Sotto la foto c’era una scritta.
 

“ Joseph Adam Jonas
Un fantastico amico, fratello, figlio, marito, padre,
uomo che ha servito lo stato
come pochi hanno saputo fare.
15 agosto 1989 – 20 settembre 2024”

 
Abbey odiava quelle frasi fatte, odiava che quegli anni tra quelle due annate fossero estremamente pochi, odiava tutto quello. Odiava che il destino fosse stato così insensibile.
Pian piano, dopo i doverosi saluti, tutti se ne andarono, tutti, tranne Abbey, suo figlio Joseph, e Nicholas.
Quest’ultimo si avvicinò alla donna che non aveva smesso neanche per un attimo di piangere.
-Come va? – le chiese, con le lacrime agli occhi.
-Male Nick, va male. – disse Abbey scuotendo la testa piano e si ritrovò ad abbracciare il giovane che ricambiò l’abbraccio.
-Lui non avrebbe voluto vederti così, lo sai. – rispose piano il giovane. Lei annuì.
-Non è facile – disse Abbey.
-Lo so. Ma devi provarci, non puoi smettere di vivere in questo modo, sei così giovane. Pensa al piccolo, pensa che se hai bisogno di qualcuno io ci sarò sempre per te, pensa che Joe vorrebbe il meglio per te. – sussurrò, mentre i suoi occhi diventavano sempre più lucidi non appena aveva pronunciato il nome del fratello.
-Lo so, ci sto provando. Ma senza lui è tutto più difficile. – rispose Abbey. Restarono un po’ in silenzio.
-Lo so bene, manca da morire anche a me. Vuoi … vuoi che ti lasci sola un po’ con lui e che porti io a casa il piccolo Joe?- chiese il castano alla giovane donna.
-Sì, mi faresti un piacere. – disse Abbey. – grazie per tutto.
-Figurati. – rispose lasciandole un bacio sulla guancia ricambiato allo stesso modo da lei.
Il piccolo salutò la madre, e dando un bacio sulla sua mano e soffiando su di essa verso la tomba del papà, salutò anche lui.
Abbey sospirò profondamente e si sedette a terra, accanto alla tomba del marito.
-Finalmente soli. – gli sussurrò piano – Non sai quanto mi manchi, Joe. Sembra impossibile vivere senza di te, ormai da quando non ci sei più mi limito a sopravvivere. Ci sono di quel giorni in cui vorrei rompere qualunque cosa mi capita per le mani, degli altri in cui tutto quello che vorrei fare è rimanere nel mio letto e piangere fino all’ultima lacrima. Sono persa senza di te. Non mangio più, non rido più, non vivo più da quando non ci sei più. Non sai quanto preferirei essere io quella sotto terra. Tu avresti reagito, io non ci riesco. Poi oggi è il tuo compleanno e a ricordare gli anni scorsi tutto questo sembra ancora più difficile da accettare. Perché tu, perché proprio tu, amore mio? A volte penso che sia solo un brutto sogno, e che dopo un giorno o due tu tornerai dalla tua missione in Iraq durata un po’ troppo a lungo. Ma non è così, tu non torni, non torni mai. Ricordo quel che abbiamo passato insieme, ricordo il viaggio a Parigi, ricordo la tua festa del tuo trentesimo compleanno, ricordo il nostro matrimonio. Ma ricordo anche le cose più semplici di noi due. Ricordo come era bello svegliarmi con te accanto, o come fosse magnifico fissarti mentre dormivi e svegliarti con un bacio. Ricordo come mi guardavi ogni volta che mi rivedevi dopo tanto tempo. Ricordo il tuo sorriso e i tuoi occhi che alla luce del sole si illuminavano come stelle. Mi manca sentirmi dire che mi ami, mi manca passeggiare mano nella mano con te, mi manca vederti  giocare con il piccolo Joseph tanto da non riuscire a capire chi fosse il bambino dei due, mi manca litigare con te, mi manca il suono della tua risata, mi manca fare l’amore con te, mi mancano i tuoi baci, mi manca il modo in cui tu riuscivi a farmi sentire unica e speciale. Ogni tanto ricordo il nostro atipico primo incontro, e mi ritrovo a pensare che forse se non mi avessi salvata, ora io avrei preso il tuo posto. Altre volte invece mi dico che è solo stato un brutto scherzo del destino, che mi ha donato la persona migliore del mondo, e me l’ha tolta nel momento più bello della mia vita.
Non credevo fosse possibile soffrire in questo modo prima di adesso. Non posso dimenticarti, non posso far finta che non sia successo nulla, allora, come posso riuscire a rifarmi una vita? Non ci riuscirei mai.
 
-Come fai a vedere tutta quella gente che soffre senza stare male anche tu con loro? –chiese la ragazza al marito, al LAX, appena uscito dall’aereo dopo che le aveva raccontato la situazione che stavano vivendo in missione.
-Il dolore non si può reprimere, non si può nemmeno evitare, bisogna imparare a conviverci. – le rispose il giovane.
 
-Questo è un dolore troppo grande per provare a conviverci, Joe. Almeno so che hai dato la tua vita per quella di un tuo amico, e questo ti fa onore. Almeno non sei morto invano. Sai? Nella tua famiglia o nella mia dire il tuo nome sembra proibito, non ti nomina mai nessuno. Probabilmente pensano che non nominandoti mi facciano stare meglio, me non è così, è l’esatto contrario. Evitare un argomento non lo risolve, né lo alleggerisce, anzi. Solo Nicholas sembra averlo capito. Gli hai detto di prendersi cura di me se ti fosse accaduto qualcosa, non è vero? Avevi ragione quando hai detto che è un ottimo amico, e ti vuole davvero tanto bene, Joe. Manchi a lui, manchi alla tua famiglia, alla mia, e anche al piccolo Joe. Da morire.
Sai? Penso sempre a quella promessa.
 
-Abbey, mi prometti una cosa? – chiese il giovane dal nulla, mentre in una domenica mattina abbracciava sua moglie sotto le coperte del loro letto nella loro camera.
-Cosa? – chiese la ragazza sorridendogli.
-Se mai mi dovesse succedere qualcosa, mi prometti che non resterai mai sola? Sei una persona troppo speciale per rimanere sola o soffrire. – disse il ragazzo guardandola negli occhi.
-Ma cosa dici, Joe? Non ti succederà nulla, Joseph. – disse la ragazza.
-Lo so, ma nel caso in cui accadesse, anche se non accadrà, non devi rimanere sola, fallo per me – disse serio il moro guardandola. – Promettimelo.
-Te lo prometto. – disse con le lacrime agli occhi la ragazza.
 
-Non credo di riuscire a mantenere quella promessa Joe. Non riuscirò mai a trovare nessuno come te, come potrei? Tu sei unico, amore mio. Non potrei mai sostituirti, sarebbe come tradirti. Vedrei te in chiunque altro. O almeno, dovresti darmi un segno, dovresti farmi capire tu chi mai potrebbe riempire questo vuoto incolmabile. – disse piano, e proprio in quel momento quel silenzio tutto intorno a lei fu rotto da un rumore proveniente proprio fuori dal recinto di quel cimitero. Abbey si girò in quella direzione automaticamente, e vide il piccolo Joseph entrare nell’auto di Nicholas, che si accorse che Abbey li stava guardando e la salutò. Lei ricambiò il saluto con un gesto della mano. Poi, all’improvviso forse capì: forse quel vuoto doveva essere riempito non soltanto da loro figlio, ma anche qualcun altro.
Abbey si girò a guardare la piccola foto di suo marito e cominciò a piangere più di prima, con lacrime copiose e sempre più veloci.
-Sei incredibile. – quasi rise in quel mare di lacrime mentre scuoteva la testa. – No, sei davvero incredibile, Joseph. E so bene che tu mi stai ascoltando, ma non credevo così attentamente. – La giovane sospirò – Buon compleanno, tesoro. Ti amo, e ti amerò per sempre, Joe. – così dicendo baciò la fredda lapide, sorrise dolcemente e si alzò da terra, in quel momento sembrava più forte e pronta ad affrontare la vita.
 

The End

 








Buonasera a tutti, gente!
Lo so che ora mi vorrete uccidere. Sul serio, anche io vorrei uccidermi (?)
Vi dico, ho pianto come una povera pazza mentre lo scrivevo, e ancora di più, mentre lo rileggevo ieri sera. Lo so, è davvero pensante, ma non sempre tutto va a finire come vogliamo. Questa, ovviamente, non è una storia vera, ma è ispirata a situazioni simili ma alla fine è solo quel che è uscito fuori da questa piccola FF già terminata. 
Mi farebbe davvero, davvero piacere se mi diceste cosa ne pensate. 
E come sempre, per qualunque cosa mi potete contattare su twitter, o qui su efp, oppure su qualunque altra mia ff. 
Ah, un grazie per la partecipazione di Emma Stone e Joe Jonas al mio banner ahahahahahah 
Un bacio grande a tutti, e un grazie enorme per tutte le recensioni! 
Al più presto con una nuova ff/os, 
Marta <3

ps: chi è emozionato per Pom Poms che esce domani? *-*   *scappa via esultando*


 

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