Pieces.

di VioletBow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rainy days. ***
Capitolo 2: *** Forever hold your peace. ***
Capitolo 3: *** I can't resist you. ***
Capitolo 4: *** Just another girl. ***
Capitolo 5: *** Stay with me. ***



Capitolo 1
*** Rainy days. ***


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Rating: Verde.
Prompt: Locale.
Note: Triste; One-shot [856 parole].
 
Tirò su con l'unica mano libera il colletto del pesante giubotto nero per abbassare la testa e nasconderci parte del volto mentre, stringendo con l'altra mano il manico del suo ombrello verde mela, si faceva strada tra fidanzati a braccetto sotto un unico ombrello e passanti di corsa che tentavano di ripararsi al meglio da quella pioggia che aveva iniziato a scendere, fitta e improvvisa, sull'affollata città di New York.
Alle sue spalle, a chilometri di distanza, giaceva l'Empire State Building che, confondendosi con il cielo grigio, sembrava non avere fine ma a cui lui non era mai stato interessato; viveva lì da ormai cinque anni, da quando, grazie alle raccomandazioni del padre, si era trovato un buon posto di lavoro appena finiti i quattro anni al college ma, per quanto potesse sembrare irreale, odiava quella città sempre così caotica e piena di gente che non sa guardare al di là del proprio naso.
Ricordava ancora gli sguardi invidiosi dei suoi compagni ogni volta che ammetteva di avere già un posto assicurato nella Grande Mela ma a lui non era mai andata a genio l'idea di doversi chiudere in un ufficio spoglio, che non riusciva ad arredare se non con l'essenziale perché non lo sentiva suo... Avrebbe voluto allontanarsi dall'America e dal trambusto delle grandi città, viaggiare il mondo, camminare sotto l'Arco di Trionfo, festeggiare il Capodanno cinese e magari gettare una moneta nella fontana di Trevi.
Lottando ancora un po' contro la folla, giunse finalmente nel luogo a cui stava puntando fin dall'inizio: era un locale poco frequentato che aveva conosciuto per caso, in un giornata uggiosa come quella, giusto l'anno prima.
Chiuse l'ombrello e spinse la porta in legno, che ogni volta gli lasciava qualche pezzo di vernice arancione sulla mano, in fretta perché il posto non offriva neanche un tettoia sotto cui ripararsi... Infatti bastò quel breve lasso di tempo perché alcune gocce di pioggia, che era riuscito a evitare per tutto il tragitto, si infilassero tra i capelli neri che si ostinava a non pettinare in un modo che potesse almeno un minimo considerarsi ordinato.
Il campanello posizionato sopra lo porta suonò come ogni volta ma l'unica ad ascoltarlo fu una giovane ragazza che, da dietro il bancone, gli sorrise come se lo stesse aspettando.
- Ciao, David. - lo salutò, tenendo con una sola mano due boccali di birra e riempiedoli di una birra chiara mentre lui si sedeva su uno sgabello foderato di rosso e con una gamba che, dopo essersi rotta, era stata aggiustata alla meno peggio.
Quel locale aveva visto tempi migliori, ne era certo, e gli sarebbe piaciuto esserci... Lo pensava ogni volta che gli capitava di posare lo sguardo sul biliardo la cui palla bianca era andata persa, sull'angolo di pavimento in cui erano saltate le mattonelle la volta che il proprietario aveva provato a spostare il vecchio stereo e l'aveva fatto cadere o sulla lampadina che oscillava appesa al soffitto senza paralume.
- Come è andata al lavoro? - gli chiese la ragazza, porgendogli la solita birra che prendeva ogni volta che andava lì.
- Una seccatura, come sempre. - le rispose. - E a te come è andata la giornata, Sunjong?
Lei era il motivo per cui aveva iniziato ad andare in quel locale almeno tre volte a settimana da quando era entrato la prima volta.
Trascorreva in quel posto squallido quasi tutto il suo tempo per potersi permettere una vita decente ma continuava a sorridere, dandosi da fare come se avesse sempre dell'energia di riserva, e non smetteva mai di sperare che, mettendo da parte qualcosa un po' alla volta, un giorno sarebbe riuscita a tornare nel suo Paese di origine dal quale era stata portata via dal padre dopo la separazione dei suoi genitori.
Sognava di tornare in Corea, ritrovare la madre e il fratellino più piccolo di lei di sei anni che ormai era sicura fosse diventato un bel diciassettenne e agognava a farsi anche una famiglia lì perché, per quanto potesse amare New York, gli sguardi dei passanti non erano sempre dei migliori.
- Lo sai che qui non succede mai nulla. - gli ricordò, portandosi dietro l'orecchio una lunga ciocca di capelli color pece che era scappata dalla grande molletta, con cui teneva su il resto dei capelli, che gli aveva regalato lui qualche mese prima per il suo compleanno.
La parte superiore della molletta rappresentava un fiore di ciliegio: gliel'aveva regalata perché sperava le avrebbe ricordato il suo adorato Oriente anche se, doveva ammetterlo, lui non ne capiva molto e spesso confondeva Corea, Cina e Giappone; sperava capisse che sarebbe voluto partire con lei, che se solo gliel'avesse proposto avrebbe anche lasciato il lavoro da un giorno all'altro e si sarebbe sostenuto come possibile finché non avesse trovato lì un lavoro che gli avrebbe consentito di poter badare a una moglie e a un figlio.
Sorrise di nascosto, ripensando ancora una volta all'eventualità di parlarle di quello che provava, poi finì la birra, pagò e uscì con le mani in tasca per affrontare la folla ancora una volta, lasciando l'ombrello verde mela, che si sarebbe di certo fatto notare adesso che aveva smesso di piovere, nel locale che l'indomani non avrebbe trovato aperto.

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Capitolo 2
*** Forever hold your peace. ***


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Rating: Verde.
Prompt: Mascara Waterproof.
Note: Triste; Flash-fic [401 parole].

Finalmente era giunto quel momento che aspettava da mesi e non riusciva a darsi una calmata; non c'era riuscito quella notte, quando alle cinque del mattino si era ritrovato a fissare l'orologio che dal comodino proiettava l'orario in rosso senza essere ancora riuscito a chiudere occhio, e non c'era riuscito quella mattina, quando aveva rinunciato alla colazione per colpa delle farfalle nello stomaco, quindi era impossibile pensare che si potesse calmare proprio quando stava per avvenire il più importante evento della sua vita.
David smise di picchiettare con il piede a terra nello stesso momento in cui i brusii sommessi delle persone che affollavano la stanza smisero di risuonare nell'aria per lasciare il posto alle prime note della tanto attesa marcia nuziale.
Il portone in fondo alla sala si era appena aperto e, sotto lo sguardo emozionato di tutti, fece i primi passi la sposa nel suo meraviglioso abito bianco che si reggeva al padre per paura di cadere tanto le tremavano le gambe.
Nonostante il velo, si vide benissimo il sorriso che la ragazza rivolse alla madre che, come previsto da chi la conosceva, era già scoppiata a piangere e che subito finì tra le braccia del marito che, lasciata la figlia al futuro marito, corse a stringerla a sé prima che il prete iniziasse a parlare.
Una ragazza dai capelli neri, con un anonimo vestito grigio perla, seduta in una delle ultime file tra un'anziana signora un po' calva e un giovane altissimo con un'improbabile cravatta giallo acceso, aveva subito abbassato il capo, fingendosi intenta a giocare con l'apertura della pochette che teneva poggiata sulle gambe.
Non capiva neanche perché fosse stata invitata a quel matrimonio, si sentiva fuori posto e le veniva da piangere...
Non era neanche sicura di riuscire a resistere fino alla fine della cerimonia.
- Se qualcuno ha qualcosa da dire, parli ora o taccia per sempre. - annunciò il religioso.
Dal suo posto in fondo, Sunjong si alzò e per un momento tutti gli occhi furono puntati su di lei e su quel volto che, se quella mattina non avesse avuto il buon senso di usare un mascara waterproof, in quel momento sarebbe stato rigato lungo le guance da due spesse righe nere.
Stringendo la sua pochette nera, abbinata alle scarpe e al suo umore, uscì in fretta dalla stanza e chiuse la porta giusto in tempo per non sentire il "sì" allegro della ragazza che stava occupando il suo posto sull'altare.

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Capitolo 3
*** I can't resist you. ***


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Rating: Verde.
Prompt: Barack Obama.
Note: Fluff; Flash-fic [454 parole].

Scese, con passo pesante, le scale a chiocciola che dividevano l'area giorno da quella notte della casa e, con un sonoro sbadiglio, volse lo sguardo al soggiorno dove, seduta a gambe incrociate sul divano, Sunjong guardava la televisione con aria assorta.
Assonnato, si trascinò fino al salone e le si sedette accanto.
- Cosa guardi? - le chiese, poggiandole la testa sulla spalla.
- Il telegiornale. - rispose lei, senza prestargli troppa attenzione.
- Alle sei del mattino? - si stupii lui.
- C'è un servizio sui discorsi dei candidati alle elezioni presidenziali. - si giustificò.
David mugugnò qualcosa di incomprensibile e nascose il volto tra i suoi capelli.
- Sai, sono finalmente passati cinque anni da quando ho iniziato a lavorare quindi quest'anno posso votare. Ho un po' le idee confuse, però. - lo informò, tentando di non distrarsi da ciò che Obama stava dicendo alla stampa.
- Non posso aiutarti... Non ne ho mai capito niente, infatti non ho mai votato.
La ragazza lo ignorò, nonostante disapprovasse la sua scelta.
- Sì ma non mi snobbare solo per questo. - si lamentò David, abbracciandole i fianchi e guardandola leggermente dal basso.
Sunjong fece nuovamente finta di nulla, inarcando le sopracciglia per lo sforzo di non lasciarsi distrarre.
Il ragazzo gonfiò le guance contrariato ma non si perse d'animo, avvicinandosi al suo collo per sfiorarlo con il naso.
- Dai, smettila, sto cercando di seguire. - ribatté debolmente lei, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Continuò a tenere lo sguardo fisso sullo schermo ma, anche senza vederlo, era sicura che stesse sorridendo soddisfatto, cosciente che quello fosse uno dei suoi punti deboli.
Infatti, nonostante le sue repliche, continuò a stuzzicarla, baciandola e lasciando lievi segni di morsi su quella pelle candida che difficilmente lei lasciava abbronzare.
- Non mi stai facendo capire niente. - borbottò, spostandosi per quanto possibile.
- Se mi dai un bacio, non ti disturbo più... Lo prometto. - decretò allora, sorridendole.
La ragazza staccò finalmente gli occhi dalla televisione per guardarlo, poco convinta di quella sua promessa, ma l'espressione scettica che avrebbe voluto rivolgergli non le riuscì quando vide quel suo solito, meraviglioso sorriso.
Gli sorrise di rimando e, allungando le gambe per potersi avvicinare di più a lui, gli prese il volto tra le mani e gli posò un dolce bacio a stampo sulla bocca.
- Contento? - ebbe il tempo di chiedergli, inutilmente, prima che David si spingesse contro di lei e la costringesse a sdraiarsi sul divano, appropriandosi con foga delle sue labbra.
- Avevi promesso. - lo rimproverò Sunjong, quando finalmente riuscì ad allontanarlo dal proprio viso.
- Puoi sempre leggerlo su internet il telegiornale, no? - si scusò, guardandola con aria ingenua.
La ragazza rise, scuotendo leggermente la testa e constatando ancora una volta che non riusciva a prendersela con lui... Obama e i suoi discorsi avrebbero dovuto aspettare.

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Capitolo 4
*** Just another girl. ***


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Rating: Verde.
Prompt: Tu sei il male, io sono la cura.
Note: Triste; One-shot [756 parole].

- Non credere di essere l'unica dei due ad aver sofferto. - la rimproverò.
Sunjong strinse i pugni, tenendo lo sguardo basso.
Era stata costretta a chiudere la chiamata perché lui le si era presentato davanti all'improvviso.
"Già te ne sei trovato un altro?" le aveva chiesto, ridacchiando, quando l'aveva sentita rivolgersi al maschile alla persona con cui stava parlando.
"No, ho solo fatto nuove amicizie per combattere la depressione... Addormentarsi piangendo, alla lunga, diventa stancante ma immagino che tu questo non possa capirlo."
Aveva chiuso ogni rapporto con lui, perché continuava a tormentarla?
- Strano, perché tu sembravi felice di poter tranquillamente parlare con la tua ex, adesso che non c'ero più io a ingelosirmi. - gli rispose, sforzandosi di rimanere calma.
David rimase per qualche secondo in silenzio, non sapendo come ribattere a quello che lei aveva appena detto.
- Se non mi fosse interessato di noi, non sarei qui per dirti che ho capito di essere stato un cretino. - cambiò argomento. - Sai quanto sono orgoglioso... Non tornerei sui miei passi, se tu non fossi così importante per me.
La ragazza respirò a fondo, alzando la testa ma evitando di guardarlo.
- Se queste sono le tue scuse, non m'interessano, e se invece è un modo per chiedermi di tornare con te, la risposta è no: nonostante sia palese che provi ancora qualcosa per te, non ho intenzione di farmi prendere di nuovo in giro e tu, ormai, hai perso qualunque credibilità quindi vattene, per favore. - sentenziò, con glaciale distacco, aprendogli la porta d'ingresso per invitarlo ad uscire.
- Non ho intenzione di andarmene, non rinuncerò così facilmente... Dammi un'altra possibilità, voglio davvero stare con te! - le urlò contro, chiudendo la porta con facilità dal momento che era più forte di lei.
- Da quanto ne so, non sono la prima a cui dici una cosa del genere. So molte, forse troppe cose di te, ricordi? - rispose lei, sorridendo amaramente.
- Vedi, è questo il problema. - continuò, quando si accorse che David non sembrava intenzionato ad andarsene ma aveva difficoltà a ribattere. - Io sono probabilmente la persona che ti conosce di più al mondo: so quali sono i tuoi cibi preferiti e cosa invece non ti piace, ogni tuo più piccolo complesso, le materie in cui andavi male e anche le frasi con cui in genere lasci le ragazze. Tu di me cosa sai? Qualche mese fa hai addirittura sbagliato la mia data di nascita... Questo mi fa capire che, evidentemente, non t'interesso quanto tu interessi a me.
Il ragazzo aprì la bocca per ribattere ma fu interrotto, ancora prima di poter dire una sillaba, da una nuova cascata di parole.
- Ricordo di una volta in cui abbiamo litigato, ancora prima di stare insieme. - riprese lei, puntando lo sguardo sulle punte delle proprie lucide ballerine nere. - Quella volta ero davvero infuriata con te e ricordo di averti detto che eri marcio dentro. Non so cosa mi abbia fatto cambiare idea, cosa mi abbia convinto a fidarmi di te, ma credo che non avrei dovuto cedere perché, per quanto mi sia dispiaciuto aver detto qualcosa di così cattivo, penso che probabilmente quella volta avevo ragione.
- È solo la rabbia che ti fa dire queste cose. - intervenne lui. - Ti conosco e so che sei troppo una brava persona per dire certe cose.
Ci fu un imbarazzante momento di silenzio poi, come realizzando qualcosa e stupendosi di non averlo capito prima, Sunjong alzò la testa e puntò gli occhi nei suoi per la prima volta dall'inizio di quella discussione.
- Hai ragione... Sono troppo una brava ragazza ed è il motivo per cui, anche se so che me ne pentirò un miliardo di volte e che farà male, non tornerò con te. Tu non hai idea di cosa significhi stare con te, sentirsi sempre messa al secondo posto, essere consapevole di non essere particolarmente intelligente o carina o simpatica e quindi vivere con il terrore che potresti andartene da un'altra o, peggio, tornare da una delle tue ex che sono tante e che di certo possono vantarsi di essere migliori di me in qualcosa; stare con te significa abituarsi a essere data per scontata, ad essere una delle tante e a non aspettarsi un trattamento diverso da quello che riservi alle altre tue amiche. Forse non lo capisci ma, credimi, questo è brutto.
Dovette sforzarsi e respirare a fondo per non lasciare che le lacrime, che già le inumidivano gli occhi, rotolassero lungo le sue guance.
- Tu sei il male e io sono la cura, David, ma non ho intenzione di sprecarmi inutilmente.

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Capitolo 5
*** Stay with me. ***


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Rating: Verde.
Prompt: Tied my hands, Seether.
Note: Triste; Romantico; Flash-fic [423 parole].


Si passò il dorso della mano sul naso che iniziava a pruderle per colpa della polvere e si alzò, tenendo con il braccio un pesante album di fotografie dalla rilegatura rossa e gli angoli rinforzati dorati.
Alzò il braccio libero sopra la testa, chiudendo gli occhi e stirando la schiena e le gambe che sentiva intorpidite per averle tenute incrociate per troppo tempo mentre stava seduta sul pavimento a passare tutti i propri libri, DVD e CD dal mobile allo scatolone che, ormai quasi pieno, ancora giaceva a terra.
Guardò con un po' di malinconia il locale spoglio attorno a sé: non era rimasto più nulla di suo in quell'appartamento... Era come se non ci avesse mai vissuto.
Presa da un momento d'ira, lanciò con malgrazia l'album verso lo scatolone ma non fece centro e questo cadde riverso sul parquet di legno scuro, spargendo attorno a sé qualche foto.
Con un pesante sospiro, si chinò a sistemare il disordine che si era creato.
Le capitò tra le mani la foto di lei con un enorme sorriso e il trucco sbavato dalle lacrime che aveva versato per le risate; anche lui sorrideva, con gli occhi quasi completamente chiusi e l'adorabile fossetta sulla guancia destra, un braccio sulle spalle di Sunjong per stringerla con fare protettivo e l'altro a sostenere la macchina fotografica.
Ne prese un'altra, con le mani tremanti: lei, con la testa appoggiata alle gambe di David, che si era addormentata per la stanchezza dopo una giornata a mare; i lunghi capelli neri a coprirle quasi completamente gli occhi e le labbra leggermente socchiuse... Gliel'aveva scattata senza dirle nulla, neanche la ricordava.
Poi una di David, con gli occhiali da sole dalla montatura blu che amava tanto, che guidava verso non si sa dove; il sole gli illuminava il bel volto tranquillo mentre lui con una mano si tirava indietro i capelli scompigliati dal vento che entrava dal finestrino completamente aperto.
Non ce la faceva proprio.
Quando prese la foto del suo ultimo compleanno, in cui entrambi ridevano con le facce e i vestiti sporchi di farina, le scivolarono tutte sul pavimento insieme alle lacrime.
Le mani, aperte con i palmi appoggiati a terra, dopo non molto furono sollevate da quelle più grandi di qualcuno che era entrato in silenzio, nascosto dai singhiozzi che risuonavano prepotenti nel vuoto della stanza.
Alzò lo sguardo e non poté fare altro che piangere più forte mentre qualcuno s'inginocchiava di fronte a lei per stringerla forte a sé.
- Resta con me. - le sussurrò David, mentre lei si lasciava andare su quella spalla che aveva aspettato per tanto.

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