Occhi verde speranza

di dahbanana
(/viewuser.php?uid=256012)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Occhi verde Speranza

 

 

Prologo

 

Amanda e Daniel Stewart oltre ad essere due persone eccezionali, erano due genitori straordinari. La loro vita ruotava attorno alle loro due figlie.
Si erano conosciuti ai tempi dell'Università ed era stato amore a prima vista. Dopo cinque anni di fidanzamento, Daniel aveva chiesto ad Amanda di sposarlo, e lei aveva accettato. Erano felici assieme, perché non sposarsi?
Erano ormai divenuti entrambi degli avvocati di prestigio, quando nacque Aria, la loro prima figlia.
All'arrivo della neonata a casa Stewart, la gioia e l'amore dei suoi genitori crebbe e il loro legame non fece altro che rafforzarsi.
Tempo dopo, per precisione dodici anni dopo, nacque Emma, visino dolce, occhioni verdi e una risata talmente allegra che sarebbe riuscita a rendere di buon umore chiunque.
Non c'era cosa che Dan ed Amy, non avrebbero fatto per le loro due figlie, che tanto amavano. Avrebbero comprato loro il mondo e regalato loro perfino la Luna, se questo le avesse rese felici, perché Amy e Dan avrebbero fatto di tutto per vederle sorridere.
Probabilmente non vi erano genitori dediti al proprio compito come loro due.
Aria ed Emma erano il loro tesoro, la ragione più grande della loro esistenza, e per loro, sarebbero sempre state le loro bambine, indipendentemente dalla loro età.

 

***

 

Era una mattina come tutte le altre, se non per il fatto che di lì a poche ore, una notizia avrebbe travolto la famiglia Stewart. Una notizia che improvvisamente, avrebbe cambiato completamente la loro vita.
«Buongiorno» sorrise Dan Stewart mentre Aria, uniforme scolastica e capelli sistemati in una treccia laterale disordinata, si sedeva al tavolo per fare colazione.
«'Giorno papà» sorrise lei di rimando, allungandosi a prendere la caraffa di succo.
L'uomo ripiegò il giornale e lo poggiò sul tavolo, prendendo a sorseggiare il caffè mentre osservava la figlia, intenta ad imburrare una fetta biscottata. «Pronta ad affrontare l'ultimo giorno di scuola, tesoro?» le chiese dolcemente.
Aria scrollò le spalle, prendendo poi la marmellata di fragole. «Mai stata più pronta. Non vedo l'ora di essere a Parigi...» sospirò con aria sognante.
«A proposito...» Dan le rivolse un'occhiata severa, «di' a Nicholas che prima che partiate, voglio parlargli.» borbottò corrucciato. «Deve sapere che anche se ti ho permesso di partire da sola con lui per le vacanze, ci sono delle regole che dovrà rispettare.»
«Papà!» esclamò la figlia «Non ti azzardare a farmi fare una figuraccia! Nick é il mio ragazzo da quasi un anno oramai» gli ricordò infastidita.
Proprio in quel momento, Amanda Stewart entrò in sala da pranzo con una tazza di tè in mano e il blackberry nell'altra, prendendo posto al tavolo. «Dan, tesoro, é proprio necessario?» si rivolse al marito, cercando di mediare la discussione fra lui e la figlia, evitando di farli litigare. «Conosciamo Nicholas, é un bravo ragazzo» sorrise complice ad Aria.
Dan Steward si voltò verso la moglie indignato «Sì che é necessario! Voglio che sappia che lo tengo d'occhio» insistette perentorio «Ed in più, devo anche ricordargli di tenere le zampe a posto» aggiunse, rivolgendo un'occhiata eloquente alla figlia.
Aria sbuffò infastidita mentre Amanda scoppiava a ridere, scuotendo la testa.
Daniel era esattamente il tipo di padre estremamente protettivo nei confronti delle proprie figlie.
E a proposito di figlie, ce n'era una che mancava all'appello. «Dov'è Emma?» chiese improvvisamente l'uomo cambiando discorso, rivolgendosi alla moglie.
Amanda scosse la testa «Non andrà all'asilo nemmeno oggi. Si sente davvero poco bene... credo che la porterò dal dottore» rispose alquanto preoccupata.
Emma infatti, che era sempre stata una bambina solare e piena di energie, che non si faceva mai abbattere da alcun tipo di malore, da qualche giorno si sentiva debole e faticava anche solo ad alzarsi dal letto. 
«Hai ragione, credo sia un ottima idea» ribatté Dan altrettanto preoccupato.

 

***


C'era stato un tempo, in cui gli Stewart erano considerati la famiglia perfetta.
La tipica famiglia che si vedeva nelle pubblicità della mulino bianco: felice, armoniosa ed unita.
E da un giorno all'altro, quella felicità e quell'armonia erano scomparse, lasciando spazio ad un dolore immenso e una paura ancor più grande.
Quando quel pomeriggio, Amanda Stewart aveva deciso di portare Emma all'ospedale, non sapeva a cosa sarebbe andata incontro. Non immaginava nemmeno che il risultato della diagnosi sarebbe stato quello.

«La signora Stewart?» chiese un uomo alto e giovane, vestito di un camice bianco, attirando l'attenzione della donna, che assentì con il capo. «Sono il dottor Jonathan Fitz» si presentò con tono professionale.
«Ciao» squittì la bambina di soli cinque anni, seduta sulle gambe della madre.
«Ciao» la salutò a sua volta il dottore sorridendole intenerito, per poi sedersi di fianco ad Amanda.
«Allora... ho analizzato il suo emocromo.» dichiarò facendosi più serio in volto «Emma ha i leucociti molto bassi. Presenta anche un 12% di promielociti e 5% di plasti, che é indice di una sindrome leucemica.» le comunicò la diagnosi della bambina.
«Leucemica?» chiese la donna confusa da tutti quei termini troppo scientifici e specifici perché ci potesse capire veramente qualcosa.
«Cancro» spiegò allora il dottore senza mezze parole.
Tempo di dare un senso a quello che aveva appena sentito, che il cuore di Amanda perse un battito. Si coprì la bocca con la mano, mente gli occhi le si riempivano di lacrime.
«Farò un agoaspirato midollare a conferma, ma direi che Emma ha una leucemia acuta promielocitica.» aggiunse il dottore, un po' impacciato.
Non era ancora abituato a dare brutte notizie ed ogni volta, nonostante si ripetesse di non doversi lasciare coinvolgere da ogni caso, finiva per farlo. Inoltre, il fatto che la sua paziente fosse una bambina di appena cinque anni, lo faceva stare anche peggio.
Amanda
chiuse gli occhi e affondò il viso tra le mani. Era talmente devastata da quelle parole da non riuscire nemmeno a collegarle tra loro.
No. La loro vita era troppo perfetta e la loro famiglia troppo felice perché succedesse proprio a loro.
Non riusciva a capacitarsene, eppure era così: Emma aveva la leucemia.

«Mi dispiace» mormorò il dottor Jonathan Fitz.

***


Una decina di ragazzi disposti in riga, aspettavano ansiosamente il verdetto dei giudici.
C'era chi pregava mentalmente, chi si ripeteva che ce l'avrebbe fatta, quasi a volersi autoconvincere e chi invece, avendo magari già perso un'occasione, sperava con tutto il cuore che quella invece sarebbe stata finalmente la volta buona.

«John Welding... Nicola Festa... Paije Richardson... Aiden Grimshaw... Marlow McKenzie... Karl Brown... Matt Carlde...»
Ad ogni nome pronunciato la speranza cominciava a venire meno, mentre la voglia di piangere sembrava volersi impadronire di coloro che non sentivano pronunciare il loro.
«E l'ultimo concorrente che andrà alla casa dei giudici é... Tom Richards» l'ultimo nome venne annunciato.
«É tutto ragazzi, mi dispiace» sentenziò Simon Cowell, uno dei giudici, spazzando definitivamente via qualsiasi residuo di speranza rimasta in quelli che non erano stati scelti.

Più tardi nel backstage, durante un'intervista un irlandese aveva cominciato a piangere, coprendosi il volto dalle telecamere con il suo maglione scuro. Un ragazzo inglese invece, quello che credeva che finalmente avrebbe avuto la sua occasione di dimostrare il suo talento al mondo, veniva abbracciato e consolato dal conduttore, mentre un altro, dai capelli scuri ricci, asciugava lacrime silenziose con la sua cuffia blu di lana.
Così come per loro, essere stati lì ad aspettare che il loro nome fosse chiamato senza invece sentirlo pronunciare, era stata l'esperienza più brutta della loro vita.

Quello che però cinque dei ragazzi non scelti non sapeva, era che il destino aveva in serbo qualcosa di speciale per loro...



~
 


                                                                                                  *Spazio Autrice*


Ehilà bellezze mie :)
Ecco a voi un assaggio di un'altra delle mie pazze idee.
Anche in questa storia, pretendo fare di tutto per renderla un po' diversa da tutte le altre e cercare di non cadere nel banale.
In questo prologo vi ho dato un'idea generale del tema che verrà trattato, ma ciò che veramente avverrà ancora non si può capire, essendo rimasta abbastanza sul vago.
L'unica cosa che vi posso anticipare é che sì, ci sarà una specie di storia d'amore ;)
Spero vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito almeno un pochino. Vi prego di non esitare a dirmi ciò che pensate, ci tengo davvero molto :)
Bacioni,

-S

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


 

 


Capitolo 1

 

 

Le luci di scena si spensero mentre la folla li acclamava per un'ultima canzone.
I ragazzi scesero dal palco, dirigendosi verso il loro camerino saltellando, abbracciandosi, ridendo e sorridendo, troppo felici ed orgogliosi per l'ennesimo concerto portato a termine con successo.
C'era ancora troppa adrenalina nei loro corpi, erano troppo attivi ed avevano bisogno di un bis su quel palcoscenico. Ed era sempre così. Si era appena concluso il loro secondo tour mondiale, eppure ogni concerto sembrava essere il primo: la stessa sensazione incredibile che li invadeva prima di salire sul palco, l'emozione che provavano nel sentire le urla delle fan, i sorrisi che sorgevano spontanei nel leggere dichiarazioni d'amore scritte in enormi cartelloni che le directioner tenevano sollevati in modo che loro potessero vederli.
Quella era stata l'ultima tappa del
Take Me Home Tour, che avevano scelto di fare a Londra, la città dove la loro vita era cambiata per sempre.
Il backstage era in festa e da qualche parte si sentiva scoppiare la risata spacca timpani di Josh Devine, il batterista della band.

«Ancora non ci credo di essere qui» sospirò Niall, che sembrava stesse vivendo sulle nuvole.
«É davvero incredibile come possa cambiare la tua vita in soli tre anni» aggiunse Harry, scuotendo la testa. Sorrideva talmente tanto da sentire addirittura male alle guance, ma non riusciva proprio a smettere. Era più forte di lui. Stava vivendo il suo sogno, insieme ai suoi migliori amici, esisteva per caso motivo più valido per essere felice?
«Ragazzi, sono contento di star vivendo il mio sogno insieme a voi.» esordì Liam, facendo voltare tutti verso di lui. Louis con il suo solito sorriso canzonatorio, Niall con un sorriso dolce e profondamente sincero ad increspargli le labbra, Zayn con il suo sorriso infantile ma terribilmente irresistibile e Harry, con il suo sorriso estremamente magnetico.
«Lo so che é un po' troppo sdolcinato, ma non m'importa. Vi voglio bene e dopo tutto quello che abbiamo condiviso, ormai vi considero come fratelli.» aggiunse stringendosi nelle spalle.
«Oh Liam, sei talmente dolce! Oddio ti amo troppo» squittì Louis con tono acuto congiungendo le mani, imitando la voce di una fan e cominciando subito dopo a ridere insieme agli altri quattro.
Improvvisamente vennero interrotti da Paul Higgins, il loro manager/guardia del corpo che li aveva raggiunti
«Il SUV è qui, dobbiamo andare» dichiarò con il suo solito tono autoritario. I ragazzi si ripresero dalle risate ed annuirono.
«Forza, andiamo» Paul si sistemò meglio l'auricolare, facendo segno agli altri addetti alla sicurezza di stare attenti.
Aveva un'aria parecchio seria e se i ragazzi non avessero saputo chi fosse veramente, ovvero un tenerone di prima categoria, probabilmente avrebbero avuto paura di lui. Paul infatti, si era dimostrato una persona magnifica, ed era diventato quasi un padre per quei cinque ragazzi.
Arrivarono al SUV, completamente circondato da bodyguards, che cercavano di tenere lontana la folla di fan impazzite.
I ragazzi sorrisero
a tutte le ragazze che continuavano a mandare loro baci volanti e a salutarli, urlando e cercando di attirare la loro attenzione in tutti i modi possibili.
Posarono velocemente per alcune foto con alcune fan fortunate ed infine entrarono nell'auto, sedendosi sui
comodissimi sedili in pelle.
«Ah quasi dimenticavo! Ottimo lavoro ragazzi» si complimentò con loro Paul, sorridendo, mentre l'autista metteva in moto.
«Grazie Pauly» Louis gli stampò un sonoro bacio sulla guancia mentre gli altri quattro non poterono fare a meno di scoppiare a ridere.
«Tomlinson quante volte dovrò ripeterti di non chiamarmi con quel soprannome ridicolo?» chiese l'uomo retoricamente, scuotendo il capo sconsolato. «Se continui ti scordi la storia della scorta di carote, ti avverto.» lo minacciò fingendosi serio.
Louis rise, alzando le mani arrendevole
«Okay, la smetto promesso, ma lascia in pace la mia scorta di carote»
Paul alzò gli occhi al cielo, non riuscendo però a trattenere un sorriso. «Comunque, devo dirvi una cosa» confessò improvvisamente guardandoli con una strana luce negli occhi.
«Domani dovrete essere alla casa discografica per una riunione.» continuò «Una riunione che riguarda me» precisò poi, facendo voltare i cinque ragazzi tutti verso di lui.
«Te?» chiesero quasi all'unisono allarmati.
Che Paul volesse dare le dimissioni? Che volesse abbandonarli?

«Sì, ho avuto un'idea e l'ho proposta alla Sony» esclamò, con una punta d'orgoglio e i ragazzi tirarono un sospiro di sollievo.
«E quale sarebbe questa idea?» chiese Liam, particolarmente interessato.
«L'altro giorno ho visto un servizio in televisione sui bambini affetti da malattie gravi, come il cancro.» cominciò a spiegare «E l'idea che mi é venuta, é che credo sarebbe bello andare a visitare un'ospedale. Sono sicuro che molti bambini sarebbero molto felici di conoscervi.»

***


Gli One Direction entrarono nel Royal Marsden Hospital, accompagnati da Paul, mentre all'esterno, la polizia evitava che l'ospedale venisse invaso da fan impazzite. Era davvero incredibile come riuscissero sempre a scoprire dove fossero.
«Vado a parlare con il direttore dell'Ospedale. Vedete di non mettervi nei casini per cinque minuti.» raccomandò loro Paul, prima di avvicinarsi ad un'infermiera per chiedere indicazioni.
«Ho fame» sbuffò Niall improvvisamente, cominciando a guardarsi intorno.
«Io sto morendo di sonno» Zayn si passò una mano sugli occhi gonfi e stanchi.
«Smettetela di lamentarvi!» Liam fece un gesto disinteressato con la mano, mentre Louis si metteva in mezzo a Harry e Niall, poggiando la testa sulla spalla di quest'ultimo.
Era famoso per riuscire ad addormentarsi in un nano secondo.

«Sarà meglio trovare del caffè prima che Louis si addormenti» commentò Harry, ridendo mentre osservava l'amico, che da un momento all'altro si sarebbe messo a russare.
Quella mattina erano stati svegliati prestissimo per andare alla casa discografica, in seguito si erano diretti all'ospedale e non avevano ancora avuto il tempo di fare colazione.

«Quando lo trovi prendine uno anche per me» ribatté Zayn, prima di andarsi a sedere su una delle sedie della sala d'attesa insieme a Liam, in attesa che Paul tornasse.
In quel momento il riccio si accorse di una giovane infermiera bionda dai lineamenti delicati, che non aveva smesso di fissarli da quando avevano fatto ingresso nell'ospedale.
Le rivolse un sorriso ammiccante.
«Adesso risolvo io» rassicurò i suoi due amici, senza toglierle gli occhi di dosso.
La raggiunse e la giovane per poco non svenne. Evidentemente era una sua fan.

«Ehi bellezza» la salutò.
«C-ciao» balbettò lei in risposta.
«Io sono Harry Styles.» si presentò «Tu come ti chiami?» e chiedendoglielo non aveva smesso un attimo di sorriderle.
«Ehm... io... cioè, so chi sei» continuò a balbettare lei «Becky. Cioè Rebecca. Il... il mio n-nome, é Rebecca.»
«
Perfetto, Rebecca. Sai per caso dove posso trovare del caffè?» le chiese.
L'infermiera rimase un attimo incantata a guardarlo e Harry la scosse leggermente
«Ci sei?» ridacchiò e lei arrossì.
Annuì mestamente
«Te lo procuro io» si decise finalmente a rispondere.
«Davvero? Grazie mille, Becky. Davvero» le sfiorò un braccio e la sentì rabbrividire.
Sorrise soddisfatto mentre la ragazza si dirigeva di fretta verso un corridoio, per poi sparire dietro l'angolo.

***


«Buongiorno Connor» sorrise la mora al signore anziano dietro al bancone.
«Ciao Aria, come sta tua sorella?» domandò Connor mentre finiva di sbrigare un'ordine.
Aria sospirò stringendosi nelle spalle
«Dicono che stia reagendo abbastanza bene al trattamento.»
«Ne s
ono davvero felice» le sorrise sincero «I tuoi genitori invece?»
«
Loro... sono ancora molto scossi. Mia mamma non vuole accettarlo, ma prima o poi dovrà farlo. E mio padre... beh, sta andando avanti.» spiegò la ragazza mentre gli occhi incominciavano a pizzicarle.
«E tu Aria?» le chiese il signore, assumendo un'espressione preoccupata.
«
Io sto bene» mentì lei forzando un sorriso. Ormai le riusciva fin troppo bene. Era da quando aveva scoperto della malattia della sorellina, che Aria si imponeva di essere forte. C'erano già i suoi genitori a disperarsi e lei doveva essere forte anche per loro, pensava.
«Vedrai che si sistemerà tutto, stai tranquilla» tentò di consolarla «Allora, cosa posso offrirti?» le chiese poi Connor, cambiando argomento.
«Due caffè, per piacere.»
Connor le diede per alcuni istanti le spalle, giusto il tempo di sbrigare l'ordine e poi si girò porgendoglieli.
«Quanto ti devo?» domandò la mora prendendo il portafoglio dalla borsa.
«Oh no, non ti preoccupare» le sorrise dolcemente «per questa volta offre la casa».
La ragazza provò ad insistere ma Connor fu irremovibile, quindi alla fine non poté fare altro che ringraziarlo e fargli giurare che la prossima volta si sarebbe fatto pagare senza fare storie.
Uscì dal bar e si diresse verso l'ospedale. Girò l'angolo e attraversò la strada, e una volta entrata salutò Carmen, la donna delle pulizie, ed alcune infermiere con cui ormai aveva fatto amicizia. Percorse un lungo corridoio, con l'intenzione di raggiungere la stanza di sua sorella, quando però si imbatté in un gruppo di ragazzi.

«Grazie mille Becky» le disse uno dei ragazzi, prendendole i due bicchieri di caffè dalle mani. Aveva i capelli ricci, gli occhi verde smeraldo e una voce profonda e roca.
Aria rimase un attimo interdetta, guardandolo a bocca aperta
«Scusa?» domandò poi, incredula.
Il riccio parve accorgersene
«Ah giusto. L'autografo, ma certo.» esclamò come se si fosse appena ricordato di qualcosa, tirando fuori una penna dalla tasca.
La ragazza intanto non aveva smesso un attimo di fissarlo
«Autografo?» chiese non capendo «Sei pazzo? Io non voglio nessun autografo. Non so nemmeno chi sei» continuò guardandolo male, mentre il ragazzo le rivolgeva uno sguardo pieno di sorpresa. Era completamente spiazzato e forse anche un po' imbarazzato.
«Ora se non ti dispiace mi riprendo il mio caffè e me ne vado» concluse riprendendo bruscamente i bicchieri dalle mani del riccio, che era rimasto immobile e zitto, incapace di proferire parola.
Sentì delle risate provenire da dietro il riccio, e poco prima di andarsene, notò altri due ragazzi: un era biondo, probabilmente tinto dato che gli si vedeva la ricrescita, aveva degli occhi azzurrissimi e un viso angelico, mentre l'altro aveva i capelli castani, un sorriso malandrino e gli occhi molto simili ai suoi.
Salì le scale ancora incredula per quello che le era appena successo: o quel ragazzo era completamente pazzo, oppure aveva dei seri problemi mentali. Cioè, le rubava il caffè, la ringraziava e le chiedeva anche se voleva un suo autografo? Ma era scemo o cosa? Scosse la testa scocciata, fermandosi davanti alla stanza di Emma.
Sospirò ed entrò, trovandosi davanti agli occhi una situazione che le fece formare un groppo in gola, come tutte le volte che l'andava a trovare, del resto.
Emma, la sua sorellina di sette anni che era sempre stata abituata a veder correre per tutta la casa, ora se ne stava sdraiata su un lettino d'ospedale a guardare dei cartoni animati alla piccola televisione posizionata davanti a lei.
Aria le si avvicinò, appoggiando i bicchieri sul comodino
«Buongiorno piccolina» la salutò, lasciandole un bacio sulla guancia.
La bambina si aprì in uno dei suoi soliti sorrisi allegri, nonostante il pallore del suo viso dal quale traspariva la sua stanchezza e anche il suo stato di salute.

«Aria!» esclamò mettendosi seduta improvvisamente e allacciando le braccia al collo della ragazza, per stringerla in un abbraccio.
Le sorelle Stewart avevano sempre avuto un ottimo rapporto. Non erano mai state il tipo di sorelle che litigava tutto il tempo, anzi. Si volevano fin troppo bene ed era questo, uno dei motivi per i quali Aria stava ancora più male per la malattia di Emma.
Avrebbe preferito di gran lunga essere al suo posto, che vederla in quelle condizioni.
La ragazza rispose all'abbraccio, accarezzando i morbidi boccoli biondi della sorellina, per poi staccarsi
«La mamma? Non ha dormito qui?» le chiese guardandosi intorno.
Quando Amanda aveva scoperto la malattia della figlia infatti, aveva smesso di lavorare, per poter passare praticamente tutto il tempo all'ospedale con la figlia.
Emma annuì «Sì che ha dormito qui.» rispose «Ma é andata a prendermi le caramelle» aggiunse sorridendo furbamente.
Aria non poté fare a meno di sorridere a sua volta. La sua sorellina era sempre andata pazza per le caramelle e da quando stava in ospedale, se le faceva ricomprare puntualmente ogni volta che le finivano.

«Ah ma che furbetta!» le fece il solletico ed Emma scoppiò in una risata allegra e contagiosa, mentre si dimenava per sfuggire alla sorella maggiore.
Aria amava la sua risata. Le ricordava i tempi felici in cui non vi era nessuna malattia e nessuna sofferenza. Solo lei, Emma e i loro genitori, sempre felici e sorridenti come una famiglia perfetta. E le mancavano da morire quei giorni.

«B-basta... A-Aria!» riuscì a dire fra le risate la biondina e l'altra si bloccò, sorridendo soddisfatta.
«Cosa guardi di bello?» cambiò completamente argomento.
«SpongeBob» squittì dolcemente la bambina. Era sempre stato il suo cartone preferito.
«Ti va se lo guardiamo insieme?» le chiese ed Emma annuì felice, spostandosi leggermente, così da lasciarle il posto per distendersi al suo fianco.
Aria ed Emma cominciarono a guardare la televisione insieme, mentre la prima sorseggiava anche il suo caffè.
Quando l'episodio finì, la bambina voltò il visino nella direzione della sorella
«Ti voglio tanto bene» le disse semplicemente.
La mora si sciolse e sentì gli occhi pizzicarle, ma non avrebbe pianto.
Cacciò indietro le lacrime ed accarezzò la testolina bionda di Emma
«Anche io te ne voglio. Tengo tantissimo a te, piccolina»
«
Come SpongeBob tiene a Patrick?» le chiese l'altra innocentemente, puntando i suoi occhietti verdi su quelli azzurri della sorella maggiore.
Aria sorrise e l'abbracciò forte
«Sì. Come SpongeBob tiene a Patrick» confermò, mentre una lacrima sfuggitale al controllo, le rigava il volto.

***

Un'infermiera, accompagnata da Amanda Stewart, entrò nella stanza di Emma, trovandola accoccolata sul petto della sorella, mentre assieme, guardavano i cartoni animati.

«Buongiorno» esordì sorridente, avvicinandosi con la colazione della bambina.
«Ciao Backy!» risposero all'unisono le due sorelle.
«Come ti senti, tesoro?» si rivolse questa ad Emma.
«Benissimo» le rispose entusiasta. «Dove sono le caramelle?» chiese subito dopo, spostando lo sguardo sulla madre e scatenando le risate delle altre due.
«Sono qui» rispose Amanda, porgendole un pacchetto che la bambina afferrò allegra.
«Non prima della colazione, signorina» la giovane infermiera le prese il pacchetto dalle mani, appoggiandolo sul comodino.
Aria allora si alzò dal letto, avvicinandosi alla madre e salutandola, mentre l'infermiera si accertava che Emma mangiasse la colazione.

«Ti avevo portato il caffè... ma credo che ormai si sia raffreddato» Aria si rivolse ad Amanda, la quale distolse lo sguardo dalla bambina, che in quel momento stava addentando una merendina.
«Non importa. L'ho appena preso» la tranquillizzò sorridendole dolcemente. «Come stai?» le chiese poi, appoggiandole una mano sulla spalla.
Nonostante Aria fosse bravissima a nascondere le proprie emozioni, Amanda era pur sempre sua madre, quindi riusciva a percepire il suo vero stato d'animo. Sapeva che Aria non avrebbe mai ammesso di stare male, ma lei continuava comunque a chiederle come stesse, nonostante sapesse che le avrebbe mentito.

«Tutto bene» rispose infatti la ragazza, sorridendole forzatamente. «Ho ricevuto i risultati dell'ultimo esame ed ho preso il massimo» cercò di cambiare discorso.
Amanda accarezzò una guancia alla figlia, osservandola con un sorriso stanco sulle labbra «Bravissima tesoro, sono davvero contenta. Te lo meriti, sei una ragazza molto intelligente» le baciò la fronte.
Aria accennò ad un sorriso, mentre la madre tornava a posare il suo sguardo su Emma. «
Tu mamma come stai?» le chiese allora.
La donna sospirò scuotendo la testa, mentre gli occhi le si facevano lucidi e la figlia l'abbracciò.

«Andrà tutto bene mamma» le mormorò ad un orecchio e la madre le depositò un bacio fra i capelli, prima di staccarsi ed annuire, cercando di forzare un sorriso.
In quel momento l'infermiera attirò la loro attenzione, cominciando a parlare.
«Indovinate chi ho visto qui in ospedale?» domandò con gli occhi che le brillavano.
«Chi? Chi?» chiese Emma curiosa, tirandole un lembo della divisa bianca.
«Gli One Direction!» esclamò l'infermiera in risposta, facendole spalancare gli occhietti sorpresa, prima di ridere allegramente e battere le manine.
Le altre tre non riuscirono a fare a meno di ridere a loro volta. Era davvero incredibile come Emma riuscisse sempre a ridere e sorridere. Infatti, nonostante il peso della sua malattia, lei non aveva mai pianto, anzi era rimasta la stessa bambina allegra, solo che si stancava molto più facilmente e non aveva più la forza e l'energia di una volta.

«Sono venuti per vedere voi bambini.» continuò Rebecca dolcemente «Da un momento all'altro entreranno da quella porta, quindi sarà meglio che tu finisca la tua colazione, così sarai forte per giocare con loro».
La bambina annuì senza smettere di sorridere, ricominciando a mangiare
«Harry é venuto per me! Noi ci sposiamo» affermò fra un boccone e l'altro, facendo scoppiare a ridere tutte.
Harry era uno dei componenti della band, ed Emma ne era innamorata follemente. Non faceva altro che parlare di lui e del fatto che un giorno si sarebbero sposati.

~
  


*Spazio Autrice*


Ehilà bellezze mie :) 
Ecco qui il primo capitolo! Allora come vi sembra?
Prima di tutto vorrei specificare, per chi non l'avesse capito bene leggendo, che rispetto al prologo, sono passati TRE ANNI, quindi dato che nella realtà non hanno ancora terminato il secondo tour, ma praticamente appena incominciato, temporalmente si svolge nel "futuro" ahahah.
Secondariamente, vorrei ringraziarvi tutte di cuore per aver letto/recensito il prologo di questa storia, e anche quelle che hanno già messo la storia fra le seguite/ricordate/preferite! Siete dei tesori :)
A questo punto, non avendo nient'altro da dire, spero vi sia piaciuto questo capitolo, ed aspetto con ansia di sapere le vostre opinioni.
Bacioni,

-S

PS:
Crediti a _Sparks_ per aver realizzato il magnifico banner che trovate ad inizio capitolo :)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 

 

Capitolo 2


 

«Purtroppo la leucemia di Emma non é più in remissione.» la informò il dottor Fitz «Dalla citodiagnosi é emerso che le cellule leucemiche sono il 23%.»
«E dovrebbero essere?» chiese Amanda aggrottando le sopracciglia.
«Assenti» rispose il dottore. «Dovremo provare con la chemioterapia. Questo trattamento sembra non funzionare più» continuò e la donna annuì.
«Certamente. Tutto quello che serve. Emma é troppo piccola, dobbiamo provare di tutto. Prima o poi il cancro se ne andrà, ne sono sicura.»ribatté la donna cercando di dimostrarsi sicura di sé, quando la verità era che stava morendo di paura e gli occhi lucidi e le mani tremanti ne erano la prova.
Il dottore annuì un po' meno convinto «Dobbiamo provarci» concordò «ma c'è una cosa...»
«Cosa?» chiese la donna allarmata
«Emma perderà i capelli.»

 

***

 

Quel pomeriggio Aria andò in ospedale ed entrando nella camera di Emma, notò il corpicino della sorellina scosso da fremiti. Capì che stava piangendo e le si spezzò il cuore. Non l'aveva quasi mai vista piangere. Cos'era successo? Perché stava piangendo?
Le si avvicinò e le sfiorò una spalla «Emmy perché piangi?» le chiese preoccupata.
La bambina sussultò, voltandosi a guardare la sorella.
Aveva gli occhietti rossi e gonfi e molteplici lacrime le bagnavano il volto.
Si alzò leggermente, senza proferire parola ed abbracciò Aria, non smettendo per un attimo di piangere.
«Emmy? Piccola dimmi cos'è successo, per favore.» insistette la ragazza, stringendola forte fra le sue braccia.
Emma cercò di calmare i singhiozzi, divenuti troppo violenti, per poi staccarsi dalla sorella «I capelli» sussurrò con la voce ancora spezzata dal pianto. «Stamattina ho sentito il dottore dire alla mamma... che avrei perso i capelli.» riprese a piangere più forte.
Quella mattina, dopo la solita visita infatti, il dottore era uscito dalla camera per parlare con Amanda, ed Emma, alzatasi alla ricerca delle sue caramelle, che Rebecca doveva aver sicuramente nascosto da qualche parte per evitare che le mangiasse prima di pranzo, li aveva sentiti parlare.
Emma aveva sempre amato i suoi capelli e per quello, ci era rimasta malissimo. Lei non voleva perdere i suoi capelli. Non voleva e non voleva.
Aria sentì un groppo alla gola e si sedette sul letto di fianco alla sorellina, abbracciandola meglio.
«Shh...» le sussurrò accarezzandole i boccoli biondi «Non piangere» le ripeteva, ma la bambina non le dava ascolto. Non riusciva a smettere.
Infine, vinta dalla stanchezza, Emma si addormentò.

 

***

Il giorno seguente.

«Emmy, che stai combinando?» domandò divertita Aria, attirando l'attenzione della sorellina e della madre.
La mattina precedente, quando era andata a trovarla stava piangendo ed era rimasta triste per tutto il giorno, fin quando Aria non se n'era dovuta andare, a causa di un esame che avrebbe avuto all'Università, e in quel momento invece sembrava tornata ad essere la bambina allegra e sorridente di sempre.
«Aria! Sei arrivata» squittì Emma scendendo dal letto alla velocità della luce e fiondandosi tra le braccia della sorella.
«Come stai, piccolina?» le chiese la mora, accarezzandole i capelli.
«Benissimo» Emma incominciò a saltellare sul posto, un sorriso a trentadue denti sulle labbra rosee.
Aria non riusciva a capire il motivo di un cambiamento così improvviso di stato d'animo da parte della sorellina. «Come mai é così contenta oggi?» domandò alla madre.
«Fattelo raccontare da lei, io vado a prendermi un caffè.» sospirò la donna stancamente.
La ragazza osservò confusa la madre uscire dalla stanza e poi si sedette affianco ad Emma.
«Hai parlato con Madison?» provò a domandarle Aria, riferendosi alla psicologa dell'ospedale, una ragazza di una ventina d'anni sempre molto disponibile e carina.
«No» Emma scosse la testa con vigore, senza perdere il sorriso.
«E come mai oggi sei così contenta?» le chiese curiosa la sorella, osservandola inclinando di poco la testa.
«Sono fidanzata» dichiarò la bambina, sorridendo felice.
«Fidanzata?» domandò Aria curiosa, senza riuscire a trattenere un sorriso divertito.
«Sì. Il mio fidanzato é bellissimo e mi vuole bene. Gli ho detto che perderò i capelli. Ero tanto triste prima di parlargli... Lui però mi ha detto che secondo lui sarò bellissima comunque, con o senza capelli. Io allora gli ho detto che secondo me anche lui era bellissimo e lui mi ha chiesto se volevo essere la sua fidanzata.» le raccontò con gli occhietti che le brillavano e un sorriso enorme stampato in viso.
Aria ricambiò il sorriso. Era felice. Sentire quelle parole pronunciate dalla sua sorellina le avevano fatto bene. Aveva avuto così tanta paura che Emma cominciasse ad essere triste e a deprimersi. Non sarebbe mai riuscita a sopportare di vederla piangere ogni volta che avesse perso un po' di capelli.
«E chi è questo tuo fidanzato?»
«Harry!» squittì la bambina eccitata «Harry Styles é il mio fidanzato» batté le mani felice.
Aria rise, ma non ebbe tempo di dire niente che Emma scappò fuori dalla stanza.
«Emmy» urlò allora rincorrendola «Emma dove stai andanto? Fermati!».
La vide correre fino alla sala d'attesa e buttarsi a capofitto addosso a qualcuno e Aria si immobilizzò immediatamente sul posto, riconoscendo quel qualcuno.
Era il ragazzo che qualche mattina prima le aveva quasi rubato il caffè. Quello che le aveva chiesto se volesse un autografo.
«Aria lui é Harry» lo presentò Emma.
«Tu?» chiese la ragazza incredula.
«Non ci posso credere.» ribatté lui, altrettanto sorpreso.
«Vi conoscete?» chiese la bambina facendo saettare il suo sguardo tra i due: prima sulla sorella, poi Harry.
Aria scosse la testa «Non direi...»
Emma la osservò per un attimo incerta, tornando poi a posare il suo sguardo su Harry «Comunque Harry, lei é Aria, mia sorella.»

 

***

 

«Quindi Emma é tua sorella?» chiese Harry divertito, mentre Emma era stata chiamata da una sua amichetta per giocare.
«Esattamente» sussurrò Aria, cercando di non distogliere lo sguardo da lui, per non mostrare il suo leggero imbarazzo. In quel momento la sua frase di giorni prima sembrava aver senso. Aveva creduto che lei fosse una sua fan, e per questo le aveva chiesto se volesse un autografo. Strano come non l'avesse riconosciuto, nonostante i telegiornali e le riviste fossero sempre pieni di sue foto. Per non parlare di tutte le volte che Emma le aveva parlato dei suoi ricci perfetti, oppure dei suoi occhi verdi, che lei definiva “verde speranza”. Eppure al momento non le era passato nemmeno lontanamente per la testa che potesse essere lui e non aveva nemmeno collegato la descrizione al suo aspetto, che combaciavano alla perfezione: i capelli ricci, il fisico tonico, stretto da vestiti all'ultima moda e i famosi occhi color verde speranza.
«Quindi immagino tu non sia Becky» continuò divertito il ragazzo.
La mora scosse la testa «Rebecca é un'infermiera, ed é bionda. Non so come tu sia riuscito a confonderci» ribatté stizzita.
«Dovrai perdonarmi, ma non avevo ancora bevuto il caffè quella mattina, e il mio cervello non funziona molto bene senza.» si giustificò non perdendo il suo tono divertito.
Anche con doppia dose di caffè, Aria dubitava che il cervello di quel ragazzo sarebbe riuscito a funzionare bene, ma si astenne dal dare voce ai suoi pensieri, limitandosi a sorridere falsamente.
«Harry dobbiamo andare» Louis li raggiunse in quel momento, accorgendosi solo dopo della presenza della ragazza, che subito riconobbe.
Trattenne una risata «Tu devi essere la ragazza dei caffè» si rivolse alla mora.
«Aria» si presentò lei.
«Io sono Louis» si presentò lui a sua volta. «Beh, é stato un piacere conoscerti. Ora però dobbiamo andare» si scusò, rivolgendole un sorriso amichevole, che la ragazza apprezzò.
«Piacere mio» si ritrovò a rispondergli, mentre un leggero sorriso le increspava le labbra.
«É stato un piacere rivederti.» Harry le sorrise ammiccante, prima di allontanarsi insieme al suo amico.

 

***

 

«Quindi questa band, gli One...»
«Direction» lo aiutò Rebecca.
«Gli One Direction.» ripeté il signore anziano seduto dietro al bancone del bar «Sono venuti a trovare i bambini all'ospedale e li avete conosciuti?» chiese come conferma alle ragazze.
Aria annuì poco interessata, mescolando lentamente il suo caffè, mentre Rebecca sorseggiava la sua cioccolata, senza distogliere lo sguardo da lei.

«Anch'io una volta conobbi una celebrità. Un mio amico conosceva parecchia gente del giro della musica e una volta, al concerto di Elvis riuscì a farci entrare nel backstage. Così lo conoscemmo.» raccontò mentre con la memoria ripercorreva quei momenti indimenticabili della sua gioventù.
«Ci stai dicendo di aver conosciuto Elvis Presley? Quel Elvis?» domandò Aria improvvisamente interessata al discorso.
Connor annuì sorridente «Esatto. Elvis era un grande uomo...»
«Wow. Altro che One Direction...» sospirò Aria, ammirata.
«Per me invece, conoscerli é stata una delle esperienze più eccitanti della mia vita!» ribatté Becky sicura, facendo alzare gli occhi al cielo all'amica.
«Come vuoi» ribatté con tono piatto ed esausto.

Connor scosse la testa, sorridendo divertito dalla scena, per poi tornare al suo lavoro per evitare di dover intromettersi nella discussione.

«Dici che verranno spesso all'ospedale?» chiese improvvisamente Rebecca, passandosi una mano fra i lunghi capelli biondi.

«Chi?» domandò Aria, finendo il suo caffè.

«Come chi?» sbuffò la bionda, alzando lo sguardo cristallino verso il soffitto «Gli One Direction! Chi altri?»
«Dio Becky, ti sembro la loro assistente?» sbottò la mora infastidita «Sono in vacanza! Staranno un po' qui e poi torneranno a girare il mondo e a cantare le loro squallide canzoncine commerciali»
Becky rise. La faceva diverire troppo vedere Aria fuori controllo.
«A me le loro canzoni piacciono.» commentò poi, stringendosi nelle spalle.

«Davvero? Quindi non ti piacciono per il loro aspetto da modelli di Abercrombie, giusto?» le chiese sarcasticamente la mora, rivolgendole uno sguardo di sfida.

«Beh sì, anche quello» ammise Rebecca. «Ma non sono nemmeno male come cantanti!» continuò «E ti ricordo comunque, che Emma li adora»
«Sì ma lei é una bambina! Non c'entra» la difese Aria.
La bionda scosse la testa esasperata, prima di guardare l'orologio che teneva al polso «Come ti pare. Ora devo tornare in ospedale. Il mio turno comincia fra poco» annunciò alzandosi.
«Va bene, vengo con te» rispose la mora, alzandosi a sua volta.
Salutarono Connor e poi uscirono dal bar, dirigendosi verso l'edificio.

 



~
  


*Spazio Autrice*


Saaalve bellezze mie :) 
Come state? Io sono sommersa dallo studio e se non avessi avuto questo capitolo pronto, probabilmente mi sarei rifatta sentire solo fra due mesi minimo, inoltretutto sono stanca come non mai! Ma chi lo dice alla mia professoressa di chimica che non esiste solo la sua materia? 
Vabbé, parlando del capitolo... come vi sembra?
Davvero, se devo essere sincera non l'ho nemmeno riletto per paura di trovarlo bruttissimo e per evitare così il suo cestinamento, quindi fatemi sapere le vostre opinioni! Ci tengo molto :)
Grazie di cuore a tutte quelle che mi stanno seguendo e anche a tutte quelle che hanno messo la storia fra le seguite/ricordate/preferite! Siete troppo tenere ♡
A presto, bacioni.

-S

PS: 
Crediti a _Sparks_ per aver realizzato il magnifico banner che trovate ad inizio capitolo :)

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


 




Capitolo 3

 


Aria camminava per le vie di Londra, stringendosi maggiormente nel suo cappotto verde bosco mentre una leggera pioggerellina prendeva a cadere sulla città.
Accelerò il passo, dopo aver alzato lo sguardo verso un cielo che non prometteva davvero niente di buono, cominciando a sperare di riuscire a raggiungere la biblioteca prima che arrivasse il vero e proprio temporale.
Doveva vedersi con Dean, Gwen e Jack, tre suoi compagni di corso, per fare un compito che il professor Lewis aveva espressamente chiesto fosse svolto in gruppo.
Aria non amava particolarmente i lavori di gruppo, preferiva di gran lunga non dover dipendere da nessuno e fare le cose da sola, a modo suo, ma quella volta non aveva avuto scelta e dopotutto doveva ammettere che non le fosse nemmeno andata tanto male, anzi.
Dean Butler, un simpatico ragazzo dalla battuta sempre pronta e un quoziente intellettivo parecchio elevato, era uno dei pochi con cui era riuscita a stringere una specie di rapporto da quando era entrata alla facoltà di medicina.
Gwen Cox, nata a San Francisco e trasferitasi a dodici anni in Inghilterra, era una ragazza decisamente strana, e forse era per quello che ad Aria era stata simpatica fin dal primo momento, e forse anche il motivo per cui quando si erano conosciute al liceo, erano diventate migliori amiche, decidendo poi di frequentare anche la stessa Università. Con i suoi capelli tinti rosso fuoco, il suo abbigliamento eccentrico, la sua iperattività e il suo carattere esplosivo era addirittura riuscita a convincerla, dopo essersi ubriacate per la prima volta assieme quando avevano sedici anni alla festa di Luke Hill, il ragazzo più bello e popolare della scuola, a farsi un tatuaggio uguale che avrebbe voluto rappresentare la loro eterna amicizia.
Inutile dire che al risveglio, la mattina seguente, Aria avesse dato in escandescenza. Come sarebbe riuscita a spiegarlo a sua madre?
Le aveva tenuto il muso per due giorni e sei ore, ma Gwen alla fine, come sempre del resto, era riuscita a farsi perdonare. Dopotutto l'americana, oltre ad averla sempre cacciata nei guai più grandi della sua vita, era anche una delle poche persone ad esserle rimasta di fianco quando la notizia della malattia di Emma era sopraggiunta nella sua vita, incasinandola e facendo si che Aria si chiudesse in se stessa.
Jack Harvey invece, conosciuto per la sua fama da don giovanni e la sua bellezza incomune, non era esattamente il tipo di persona che Aria amava frequentare, ma dopotutto non poteva certo essere tutto perfetto.
Finalmente, proprio mentre la pioggia cominciava a farsi sempre più forte, raggiunse la British Library. Aprì le pesanti porte in legno, rabbrividendo per il contrasto con il leggero tepore dell'interno e prendendo a guardarsi intorno, alla ricerca dei suoi compagni di studio.
Al centro dell'enorme sala colma di alti scaffali pieni di libri, riuscì a scorgere la chioma rosso fuoco di Gwen, la quale sembrava essere nel bel mezzo di un'animata discussione con un Dean particolarmente infastidito. Alla vista di quella scena, Aria non riuscì a fare a meno di alzare gli occhi al cielo sorridendo divertita, mentre li raggiungeva al tavolo su cui erano seduti.
Era incredibile come quei due bisticciassero sempre. Sembravano proprio due bambini.
La cosa ancora più assurda però, era che da quando aveva conosciuto Dean, Aria l'aveva da subito catalogato come un ragazzo estremamente equilibrato e pacato, che prima di parlare ci pensava almeno cento volte e difficilmente si arrabbiava con qualcuno. Eppure in presenza della rossa sembrava diventare un'altra persona, altamente irritabile.
«Sta zitto!» esclamò Gwen fulminando Dean con lo sguardo, mentre la mora prendeva posto al tavolo salutando tutti, incluso Jack che completamente indifferente a ciò che lo circondava, continuava a mandare messaggi con il suo cellulare di ultima generazione.
Dean rivolse alla rossa un'occhiata decisamente irritata, prima di voltarsi verso la sua amica salutandola. «Finalmente sei arrivata, non ce l'avrei fatta a reggere nemmeno un altro secondo insieme a questa qua.» borbottò riferendosi a Gwen, che per tutta risposta gli tirò un calcio da sotto il tavolo, facendogli emettere un urlo strozzato.
La bibliotecaria, che cominciava seriamente ad arrabbiarsi, gli intimò per la millesima volta di stare in silenzio, con la minaccia che se non avessero smesso li avrebbe cacciati.
Aria quindi, trattenendosi dallo scoppiare a ridere, cercò di ristabilire la quiete per poter cominciare a svolgere il compito di immunologia che avrebbero dovuto consegnare la settimana seguente.

 

***

 

Verso il pomeriggio tardi di quella stessa fredda giornata, Harry Styles si recò al Royal Marsden Hospital a fare visita ad Emma, ma quando ebbe raggiunto la sua camera, il lettino era disfatto e la stanza vuota. Nessuna traccia della bambina.
Il cantante allora si diresse verso la stanza dov'erano riuniti i giocattoli e dove i bambini ricoverati, spesso andavano a svagarsi.
Anche lì però, nessuna traccia di Emma.
Stava per chiedere aiuto ad una vecchia infermiera, quando scorse dei boccoli biondi dalla finestra.
Aveva smesso di piovere da qualche ora, e lei se ne stava seduta in terrazza, ad osservare il cielo, con indosso solamente il suo camice bianco candido.
I capelli non erano ancora cominciati a caderle, anche se ben presto sarebbe successo.
Il ragazzo uscì dalla porta finestra, raggiungendola.
Si tolse la giacca e gliel'appoggiò sulle spalle, facendola sussultare.
Quando si accorse di chi fosse però, Emma sorrise.
«Ciao piccolina.» la salutò il riccio sorridendole di rimando «Fa freddo, come mai sei qui fuori tutta sola?» le chiese, accostando una sedia a quella della bambina e sedendosi.
Emma si strinse nelle piccole spalle «Harry tu sei già stato dappertutto?» gli chiese con quell'innocenza tipica dei bambini, deviando la domanda e voltandosi verso di lui «Intendo, in ogni posto del mondo?»
Harry scosse il capo, facendo muovere i suoi capelli ricci, un po' troppo lunghi. «No.» le rispose «Non proprio tutto, ma sono già stato in tanti posti» sorrise.
Emma annuì impercettibilmente, voltando lo sguardo verso un punto lontano nell'orizzonte.
Il cielo quel pomeriggio tardi, dopo essersi liberato dei nuvoloni che lo oscuravano, si era colorato di un azzurro scuro, ma allo stesso tempo vivace. Dove stava tramontando il sole però, attraverso una schiera di palazzi ed edifici commerciali, diventava simile al magenta e tutto lo spazio intorno, si colorava di arancione. Arancione come le arance che crescevano nel frutteto vicino alla casa della nonna di Emma ed Aria. E poi c'erano le nuvole, che a seconda che si trovassero dov'era blu o dov'era rosa, erano rispettivamente più chiare e di un viola scuro.
«C'è un posto che ti piacerebbe conoscere?» gli chiese poi la bambina, continuando ad ammirare quel cielo, e quelle nuvole.
Harry si strinse nelle spalle, storcendo le labbra, pensieroso. «Penso il Brasile... ho sempre voluto visitare Rio de Janeiro, dicono che sia uno dei posti più belli del mondo.» le confidò alla fine. «Tu?» le domandò, voltandosi ad ammirare il suo profilo delicato e puerile.
I boccoli di un biondo vivo, quasi brillante, le ricadevano morbidi sulle spalle. Gli occhietti verdi, puntati su un punto indefinito, erano i più vivaci ed espressivi che avesse mai visto in tutta la sua vita. E pensare che lui di occhi, ne aveva visti a migliaia con tutte le persone che aveva incontrato, specialmente da quando era diventato uno dei membri dei One Direction. Eppure come quelli di Emma non ne aveva mai visti, nemmeno di simili. Sembrava quasi che con uno sguardo, Emma, fosse capace di raccontare delle storie, o meglio, una storia. La sua storia.
«A me piacerebbe andare in un paesino sperduto del Giappone, in primavera, per vedere se é vero che esistono certi colori nel mondo, e se è vero che i ciliegi lì son così belli come dicono.» rispose mentre gli occhi cominciavano a brillarle.
Nel sentire la risposta di Emma, Harry rimase incantato da tanta profondità nelle parole di una bambina di soli sette anni e allo stesso tempo, lo fece sentire come se la sua di risposta fosse stata incredibilmente stupida ed insignificante rispetto alla sua.

 

***

 

«Ok, credo che per oggi possa bastare.» sospirò Dean, appoggiandosi allo schienale e passandosi una mano fra i capelli biondo cenere spettinandoli, mentre Jack che stranamente si era dimostrato utile, lasciando da parte il cellulare e collaborando nelle ricerche di informazioni per la formulazione della tesi di immunologia, si stiracchiava facendo tendere leggermente la camicia a quadri che indossava, mettendo in evidenza il suo corpo muscoloso.
Gwen si stravaccò sul tavolo, appoggiando la faccia su alcuni libri e sbuffò stravolta, chiudendo gli occhi. «Finalmente. Non vedo l'ora di sdraiarmi sul mio letto e dormire per un minimo di dodici ore.» borbottò, facendo ridacchiare Aria e alzare gli occhi al cielo a Dean. «Esagerata» tossicchiò, facendole alzare la testa di scatto «Rompi palle» tossicchiò a sua volta, imitandolo e rivolgendogli un'occhiata di sfida, ma prima che ricominciassero a litigare Aria si alzò, attirando la loro attenzione. «Ragazzi io devo andare, ci vediamo giovedì alla stessa ora?» domandò mentre infilava gli ultimi libri in borsa, ricevendo risposte affermative.
Dunque salutò tutti, prima di dirigersi verso l'uscita della biblioteca. Stava scendendo la scalinata, pronta a raggiungere la metro che l'avrebbe condotta direttamente in ospedale dove avrebbe fatto una visita ad Emma, quando si sentì chiamare.
Si fermò, voltandosi ed incontrando due iridi grigie.
«Jack? Che succede?» gli chiese riprendendo a camminare quando il ragazzo l'ebbe raggiunta.
Il moro si strinse nelle spalle muscolose, spettinandosi leggermente i capelli con una mano ed infilando l'altra in tasca. «Dove vai?» le chiese a sua volta, voltandosi ad osservarla. Doveva ammettere che Aria Stewart era proprio una bella ragazza, con quei capelli scuri e lucenti che le ricadevano morbidi sulle spalle, la pelle diafana e due occhi azzurri come il cielo belli da togliere il fiato si sorprese di non averla mai notata prima di allora.
«Al Royal Marsden Hospital» rispose asciutta, continuando a camminare a passo svelto.
Erano le sette e mezza di sera e se non si fosse sbrigata avrebbe trovato Emma addormentata.
«Wow, é davvero lontano» constatò il ragazzo.
Aria si strinse nelle spalle «Non ci vado a piedi, Jack.»
«No, infatti. Ti do un passaggio io, tanto devo vedermi con degli amici in un locale che si trova da quelle parti.»
A quelle parole la mora si bloccò in mezzo alla strada, presa completamente alla sprovvista. Jack Harvey le aveva appena offerto un passaggio? Da quando erano passati dal parlarsi a mala pena all'offrirsi dei passaggi in auto?
«Non serve, davvero. A meno di due isolati c'è la metro che mi porta direttamente davanti all'ospedale, non c'è bisogno che ti disturbi.»
«La mia macchina invece é parcheggiata dall'altra parte della strada, e non sei di alcun disturbo quindi é deciso, ti accompagno.» sentenziò prima di sorpassarla, attraversando la strada.
Aria rimase interdetta ed indecisa sul da farsi. Con la metro ci avrebbe messo sicuramente troppo tempo e rischiava di non riuscire a vedere Emma, mentre se avesse accettato il passaggio sarebbe arrivata in una ventina di minuti al massimo.
«Allora? Hai intenzione di rimanere lì ferma o ti decidi a venire?» le chiese Jack, voltandosi nella sua direzione mentre apriva lo sportello della sua Mercedes decapottabile.
La mora tentennò ancora un attimo, ma alla fine cedette, raggiungendolo di corsa, prima che il semaforo diventasse rosso.
«Grazie» esordì Aria non appena ebbero raggiunto l'ospedale, mentre si slacciava la cintura.
Avevano trascorso tutto il viaggio in silenzio, tranne per qualche occhiata curiosa di sottecchi che si erano rivolti quando l'altro era rigorosamente impegnato a guardare altrove.
«Figurati» Jack le rivolse un mezzo sorriso affascinante che avrebbe di certo fatto perdere la testa alla maggior parte delle ragazze, ma non ad Aria.
La mora fece per scendere dall'auto, venendo però bloccata dal ragazzo per un polso. Gli rivolse un'occhiata interrogativa e lui si affrettò a spiegarsi. «Una mia amica da una festa questo sabato, ci sarà anche gente famosa, se ti va di venire...»
«Grazie dell'invito Jack, ma non credo che verrò, le feste non fanno per me.» lo interruppe prima che potesse finire, rivolgendogli un sorriso di scuse.
Il ragazzo le mollò il polso delicatamente, inarcando un sopracciglio e piegando le labbra in un'espressione fra il sorpreso e il divertito. Quella ragazza era proprio strana. Non gli era mai capitato che qualcuna rifiutasse un suo qualsiasi tipo di invito e quello non fece che accrescere la sua curiosità nei confronti della mora.
Annuì, facendo ripartire il motore. «Ti mando un messaggio con indirizzo e orario, in caso cambiassi idea.»

 

***

 

Il cantante aveva riaccompagnato Emma nel sua camera, proprio mentre Amanda Stewart tornava da una commissione che proprio non era riuscita a rimandare né tanto meno annullare, la quale lo ringraziò per essersene preso cura. Aveva lasciato Emma insieme a Louise, una vecchia infermiera del reparto che le aveva assicurato che l'avrebbe tenuta d'occhio, ma a quanto pare doveva ringraziare che Harry fosse venuto a farle visita, se no la sua bambina sarebbe molto probabilmente rimasta sola. Si sarebbe sicuramente ricordata di non fidarsi più di quell'infermiera.
Il riccio diede un'occhiata all'ora che segnava il suo cellulare, accorgendosi di essere in ritardo per la cena con i ragazzi. Rivolse educatamente un saluto alla signora Stewart, e lasciò un bacio delicato sulla fronte della bambina promettendole con un sorriso dolce che sarebbe tornato presto a visitarla.
Emma sorrise a sua volta felice e Harry le accarezzò una guancia, prima di salutare un'ultima volta ed uscire dalla camera, dirigendosi all'uscita dell'ospedale, verso il parcheggio.
Non appena fu uscito, l'aria fredda lo investì prepotente e il cantante si strinse maggiormente nel cappotto, prima di infilarsi un berretto di lana in testa, quando la figura di una ragazza intenta ad uscire da una Mercedes decapottabile alla cui guida stava un ragazzo, attirò la sua attenzione.
Ci mise circa diciassette secondi a riconoscerla, per poi sorridere sardonico, muovendo dei passi in sua direzione mentre l'auto ripartiva velocemente.
«Ehi Becky» la salutò sbagliandone il nome propositalmente.
Nel riconoscere quella voce la mora alzò gli occhi al cielo, voltandosi poi verso il suo proprietario.
«Mi chiamo Aria» lo corresse seccata, facendolo ridere divertito.
La ragazza sbuffò infastidita. «Cosa ci fai qui?»
«Sono venuto a visitare Emma.» il riccio si strinse nelle spalle, recuperando subito dopo il suo sorriso beffardo «Tu invece? Ti sei fatta accompagnare dal fidanzatino dopo una cenetta romantica?» la canzonò con aria divertita.
«Fidanzatino? Ti sembra che abbia otto anni?» ribatté alzando gli occhi al cielo «E comunque no, nessuna cenetta romantica e nessun fidanzato. Jack è un mio compagno di Università, stavamo studiando insieme e poi si è gentilmente offerto di accompagnarmi.»
Harry inarcò un sopracciglio cercando in tutti i modi di trattenersi dallo scoppiare a ridere senza contegno «Ah già, studiare...» marcò con tono ironico l'ultima parola «Si chiama così adesso» ammiccò malizioso e senza più riuscire a trattenersi, cominciò a sghignazzare.
«Sei proprio un'idiota!» ringhiò Aria tirandogli una sberla sul braccio ed arrossendo per l'allusione davvero poco velata del ragazzo.
«Ahia!» esclamò lui prendendo a massaggiarsi la parte lesa «Che caratterino, Becky» asserì poi scuotendo la testa divertito.
La mora strinse i pugni in risposta, cercando di placare la rabbia che la stava assalendo. Era chiaro che Harry Styles stesse facendo apposta a sbagliare il suo nome per vederla irritata, ma lei non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
«E non hai ancora visto nulla.» rispose allora, prima di cominciare a camminare in direzione dell'ospedale.
«Ehi, dove scappi tigre?» esclamò il riccio ridendo.
«A fare una visita alla vecchia signora della 302, dove se no? Sai poveretta da quando non ha più i suoi ventordici gatti con cui parlare si sente sola.» rispose ironica senza nemmeno voltarsi, dopo aver alzato gli occhi al cielo.
E per la millesima volta, la fregorosa risata del cantante rieccheggiò nella notte.


 



~
  


*Spazio Autrice*


SBEEEEM! Sì, sono tornata, credeteci AHAHAHA ;) 
Lo so che dovrei scusarmi per il ritardo, ma preferisco essere sincera e dirvi che in realtà NON mi dispiace e sapete perché?
Beh, punto uno: sto vivendo una fase della mia vita così piena e bella che alle volte il tempo per scrivere non lo trovo nemmeno.
Punto due: in questi mesi sono passata da momenti di ispirazione massima in cui però avevo così tante idee che non riuscivo a scrivere un capitolo intero che già mi si formava in mente la trama di un'altra storia.
Punto tre: ho avuto dei blocchi assurdi, in cui la fantasia e le idee per scrivere me li potevo sognare.
Per concludere quindi, ho preferito scrivere quando ero certa di poter scrivere qualcosa che potesse soddisfarmi e che potesse quanto meno piacervi, per questo non mi dispiace aver aggiornato prima, perché se lo avessi fatto sarebbe andata a finire che avrei scritto le prime cavolate che mi venivano in mente.
Comuuunque, non disperatevi (certo, come se qualcuna l'avesse mai fatto per una mia storia hahahaha) la trama l'ho tutta in mente dall'inizio, ed anche alcuni pezzi sparsi della storia, ciò significa che cercherò di aggiornare più spesso da ora in poi, promesso.
A questo punto non mi resta che aspettare per sapere le vostre opinioni, perché sapete quanto sono importanti per me e mi farebbe davvero piacere che le condivideste con me :)
Grazie di cuore a tutte quelle che mi stanno seguendo nonostante i vergognosi ritardi e anche a tutte quelle che hanno messo la storia fra le seguite/ricordate/preferite! Siete troppo tenere ♡
A presto, bacioni.

-S


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1641106