La via della voce

di shaka666
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Occhi freddi e orme roventi ***
Capitolo 2: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 3: *** La festa di inizio estate ***



Capitolo 1
*** Occhi freddi e orme roventi ***


Il mio nome è Ivan lo Stretto Indispensabile, figlio di Simien Ludico dei Ludici del villaggio di Lud, nel regno di Argentum. E questi, sono i racconti del Bardo. I Miei racconti.

Bene. Dopo questa pretenziosa introduzione tipica dei cicli epici posso dirvi qualcosa in più sul Bardo. Ovvero il protagonista. Ovvero me.

Bene, cominciamo col dire che sono un uomo di un metro e dieci. A questo punto tanto basta alla più parte delle persone per allontanarsi disinteressate. Sapete, quelle in fondo, che non arrivano a vedere. Se vi chiedete cosa ci fa dunque la folla di persone in prima linea che impedisce la vista non chiedetelo a loro: le trovereste impegnate nel lancio dell'ultimo mese di raccolto o nella competizione, a quanto sembra largamente conosciuta, del 'tiro al nano'. Sembra che le folle siano più euforiche tanto più l'obiettivo è piccolo e risulta difficile da colpire. Ho visto nascere grandi amicizie tra i fiumi d'alcol che scorrevano nelle locande dopo che due grandi tiratori avevano centrato il nano ripetutamente alla testa. Be', sì. Ho una gran testa. In tutti i sensi s'intende. Quindi il mio parere, anche se vi potrà sembrare un parere di parte, è che non si trattava di tutta questa gran difficoltà.

D'accordo, basta calunniarmi. Bisogna essere morigerati anche nella modestia, altrimenti si rischia di convincere il proprio pubblico che si ha ragione, che stanno perdendo tempo e in men che non si dica proveranno odio nei confronti del Bardo che ha fatto perdere loro del tempo prezioso, che li ha fatti sentire in imbarazzo per Lui e che per questo li ha fatti sentire stupidi. Sapete che vi dico? Hanno ragione! Persino io lancerei un sasso o due ad un uomo che s'appella Bardo ma si costuma mendicante!

Ma perché interrompere il filo conduttore. Come dicevo ho una gran testa. Questo mio ben pensare mi ha cavato d'impaccio, e ben spesso molto più che d'impaccio, ben più di una volta! Anzi, sono quasi convinto che date le mie doti fisiche, il risultato delle mie avventure sia del tutto imputabile alla mia intelligenza. Ma ve ne accorgerete... Parlando piuttosto delle mie doti fisiche: molte delle donzelle inebriate dai fumi delle locande non finivano quasi mai tra le lenzuola con gli aitanti tiratori, piuttosto preferivano il 'nano'. Ahah!, so che non ci credete. Vi state domandando il motivo e subito dopo lo domanderete a me. Bene. Potrei dirvi che la causa potevano essere i fumi dell'alcol stessi, oppure un'inspiegabile epidemia di istinto materno, il quale le spingeva a coccolarmi, detergermi, tirarmi su il morale e... il resto. Anche in gruppo sapete? Ma se devo pronunciarmi sinceramente direi che un nano ha Due vantaggi indiscutibili: l'altezza. Oh no, vi sbagliate! Non si tratta di un vantaggio solo. Perché vedete, se uno dei due l'avete ben immaginato non siete abbastanza accorti da pensare che generalmente un nano, quando si sdraia, resta più o meno della stessa altezza. Oh su! Non fate quelle facce, così è troppo facile! Siete creta nelle mie mani...

So che non volete credermi. Già, proprio così, non volete. E so quanto v'infastidisce il mio sorriso, ma non ve ne andrete. Ormai siete miei. Da quanto tempo credete che incanti le folle! Non potete sfuggirmi! A proposito di questo. Per ora non saprete la mia attuale età, serve a tenervi sulla corda nei momenti di massima tensione...

In ogni caso non preoccupatevi, ho smesso da tempo d'inserire avventure di letto nei miei racconti. Solo bardi alle prime armi ne hanno bisogno e se sapete eccitare gli uomini può rivelarsi molto avvilente, si finisce con loro che raccontano la tua storia e poi si scambiano le loro.

E detto questo succede che solitamente un'altra porzione di folla si allontana. Ah! La gente! Kemel ce ne scampi e liberi.

Direi che è ora di cominciare...


 

La mia storia comincia, come gran parte delle storie, con un viaggio. Ma con una sottile quanto fondamentale differenza, il viaggio in questione era un Ritorno.

Certo, certo. Questo faceva di me un uomo con una partenza, ma non è lì che comincia la mia storia. Non vi è alcun bisogno di andare a scavare nei ricordi del mio apprendistato. E come vi dicevo ero di ritorno... a Casa.

Il villaggio di Lud è un piccolo agglomerato di tronchi, canniccio e gente intrecciata che raramente supera le trecento anime. E' circondato da una fitta foresta su tre lati e, a due giorni di cammino, sul quarto lato, si estende per un altro giorno di cammino una palude nebbiosa che sbarra il sentiero per la capitale del regno. Resta comunque l'unico passaggio. Già, come avrete capito la mia gente non campa di turismo.

Alle propaggini di questa palude troviamo Me, il Bardo. Tre giorni di cammino lo separano dalla famiglia che non rivede da otto lunghi anni ed essendo Bardo e nano è dotato di un'ingombrante prudenza. Si trova a cavallo del fido quanto mai vile Vago, un pony dal manto non ben definito ed entrambi attenderanno ad una degna distanza dalla palude che un'altra alba si appresti a sorgere portando seco la carovana settimanale diretta a Lud.

Mezzo dì era trascorso da tempo e poche ore mancavano al tramonto in quel giorno di fine primavera. Io di primavere ne avevo vedute ventidue. Purtroppo un'altra mia ben nota e deprecabile qualità fisica non mi permette di essere più preciso: tendo a dimenticare le cose. Cose come le date, i compleanni, nomi e orari dei pasti... nulla d'inconveniente per un Bardo del mio livello. Io non ho bisogno di rimembrare. Io so.

Come sapevo che le mie scorte di cibo non permettevano il ritardo di un giorno. Non ricordavo quante ne avessi e quindi le ho contate, così lo sapevo.

Mi apprestavo dunque ad una rapida cacciagione ma la Sfortuna era ormai già mia compagna di viaggio. Poiché sfortunatamente la preda che avevo scelto era un coniglio. Quel coniglio... ebbi l'onore e la disdetta d'imbattermi in Long John Silver! Un coniglio così furbo e veloce da meritarsi un nome nel villaggio di Lud, altri nomi nei villaggi vicini e anche il posto in qualche canzone da osteria. Voi penserete di no, ma io credo che sia ancora vivo da qualche parte pronto a farsi beffe del prossimo incauto avventore.

E così quella notte dovetti fare affidamento sulle mie scorte. Ma se avessi saputo quello che mi attendeva avrei evitato di mangiare quella notte, come le successive.

L'aria di casa spinge l'uomo cauto, come anche il mezz'uomo, a certe imprudenze. Quali ad esempio decidere d'esercitarsi con la propria cornamusa in vista di una palude lugubre e nebbiosa. Lo ammetto, ero leggermente intimorito. Non spaventato, perché effettivamente non avevo riflettuto precisamente sui pericoli che potevano approssimarsi, ma intimorito. Doveva essere l'atmosfera oppure la mia, al tempo ancora latente, Veggenza. Fatto sta che decisi di suonare per tenermi compagnia e di lì a poco notai le prime avvisaglie della mia infausta scelta.

Un piccolo focherello alitava vicino a me e Vago. Abbastanza piccolo da non essere notato, abbastanza piccolo da non riscaldare se non la legna e abbastanza piccolo da non permettere di vedere altro se non il fuoco stesso. Un Focherello inutile, ma anch'egli di compagnia.

Pochi minuti dovevano essere passati dal momento in cui avevo riposto lo Strumento nella sacca. Il suono pareva ancora riverberare tra le valli e l'atmosfera si faceva sempre più opprimente. Fu a quel punto che smisi di cercare di chiudere gli occhi e diedi retta ai miei timori cominciando a scorrere lo sguardo sulle nebbie della palude. E di tra le nebbie, attutito o amplificato, notai un lucore, una biancastra luce morta della durata di un lampo ma che, come il lampo, restava negli occhi a lungo, impressa. Eppure fu talmente flebile da farmi dubitare di averla veduta davvero. Più tardi ne ebbi la conferma.

Come prima cosa spensi subito il fuoco spargendo legna e braci. Calò un'oscurità perfetta e con essa si avvicendarono nuovi suoni che la gaiezza della luce nasconde. Suoni di grilli, di lucertole scattanti, richiami lugubri di civetta e passi. No, non passi. Crepitii. Passi crepitanti. Come calpestare il grano maturo, ma suoni più secchi, meno prolungati. Si avvicinavano, da tutte le parti tutto intorno a me. Evocai quindi un po' di luce e la chiamai a mia immagine, sei volte me. Speravo di distrarre la 'loro' attenzione, ma non vi riuscii. E quegli occhi, perle di ghiaccio, occhi cechi nell'oscurità dei 'loro' volti fissavano solo me.

Fui salvato dalla mia Veggenza. La quale con una voce di comando spazzò via le presenze e mi riportò nel mio mondo, all'alba di un nuovo giorno. No messeri, non si trattava del nostro mondo ma di un mondo d'incubo, reale e tangibile quanto le vostre carni. So che il mondo era quello dell'Incubo perché la Veggenza mi ordinò di svegliarmi. Si trattava di un avvertimento. Alla luce dell'alba notai come l'incubo poteva essere insidioso, finanche mortale. Dal nulla giungevano in cerchio, intorno a me, orme nell'erba, orme bruciate di passi non umani, orme e artigli. Ecco dunque cosa crepitava: occhi freddi e orme roventi.

Il buon giorno si vede dal mattino e il sole cancella i brutti sogni. Infatti poco dopo essermi preparato al nuovo giorno ed aver ottemperato a tutte le mie necessità vidi arrivare la carovana. Dal punto rialzato su cui mi trovavo potevo scorgerla ben distante. E' per questo che mi stupii di vederla così vicina in così poco tempo, come mi stupì il fatto di vedere sobbalzare e sbandare il povero carretto trascinato da un cavallo scosso e imbizzarrito. Montai in fretta in groppa a Vago e tentai di precederlo a tutta corsa per il sentiero così da potermi avvicinare, capire cosa succedeva e magari tentare di calmare il cavallo. Tentai ho detto, non sono un domatore di cavalli. Dunque, il cavallo mi ignorò, il carretto prese un'altra buca e si staccò, il cavallo continuò la sua corsa spericolata preda del terrore, il carro rimbalzò ancora poche volte vicino al sentiero ed io lo raggiunsi.

C'era qualcosa che avevo notato da subito. Una bruciatura. Un'orma. Stavolta impressa sul legno del carro. Un'orma simile ad una mano con lunghi artigli che sembrava voler afferrare il bordo e montar su. Diversa era la mano che sporgeva dall'interno. Non artigliava nulla, pendeva come morta e più morta di così non poteva sembrare dato che per essere lo scheletro di una mano gli restava da perdere solo la pelle. Solo che questa ormai era un tutt'uno con le ossa. Insomma, era mummificata. Su ciò che la doveva tenere in bilico in quel modo era adagiato un telo. Voi direte per buona grazia! Ed anch'io lo dissi dentro di me. Subito prima di sollevarlo.

Dovete capire, quella carovana rappresentava il mio salvacondotto per attraversare le paludi, risaputamente infestate di banditi, senza che mi dovessi guardare costantemente le spalle. Anche una compagnia silenziosa riesce a salvaguardare la propria salute mentale in quelle situazioni, inoltre io non sono una compagnia silenziosa, quasi mai. Ecco il motivo per cui mi apprestai a sollevare il telo, scoprire il braccio che teneva in equilibrio la mano e il corpo a cui una volta il braccio era stato sicuramente attaccato. Io dovevo sapere. Un po' perché altrimenti non potrei vantarmi di sapere e un po' perché, be', sapete, morto un carovaniere se ne fa un altro. E magari passava di lì a poco. E magari avrei potuto raccontare a lui com'era morto il carovaniere precedente. Avremmo passato una bella giornata e viaggiato senza pensieri... E quindi stavo morendo di paura. Il corpo era integralmente ed indiscutibilmente una mummia. Il pensiero che qualche burlone potesse aver dissotterrato una mummia, averla messa sul carro e spaventato a morte un cavallo per farlo correre per almeno un'ora di cammino tentò più volte di sfiorare la mia mente. Purtroppo non c'era nessun burlone accanto a me a dissertare di amenità e quel pensiero venne scacciato da una ragione spronata a frustate da un puro terrore. Qualcosa, un qualcosa con cui avevo trascorso qualche momento intorno ad un fuoco da campo, aveva ridotto quel povero uomo in quello stato con un solo gesto.

Magari anche due, ma non è questo il punto.

Cercai di capire dai vestiti e da ciò che portava con sé chi fosse, se lo conoscessi. Purtroppo non aveva segni di riconoscimento, non ai miei occhi per lo meno. Lo lasciai dunque sulla strada. Non avevo con me nulla per scavare una buca. Avevo poco cibo. Avevo poco tempo. Il mattino avanzava. E qualcun altro, magari io stesso e qualche altro ludico, avrebbe poi potuto seppellirlo e, se Kemel voleva, riconoscerlo.

Guardai il cielo. In quel momento mi tornò in mente l'aquila che avevo visto la sera prima sorvolare la palude. Al tempo non avrei saputo dirvi perché. E con quel pensiero montai Vago e lo spronai verso le paludi nebbiose. Tanto più veloce quanto ci era permesso.

Ironia della sorte superai la palude senza incidenti se non per una leggera pioggerellina più simile a della semplice umidità condensata. Il mio scopo era cavalcare fino a trovare un casotto di caccia in cui passare la notte. Purtroppo nessuno cacciava nelle prossimità delle paludi. Mi spinsi quindi oltre le paludi fino alle propaggini della foresta. Lì, ormai a notte inoltrata, notai un casotto di caccia ampio abbastanza per me e Vago. Si trovava fuori dal limitare della foresta, un limitare definito dall'opera degli uomini. Era costruito con assi di legno vecchie più di me e non aveva finestre. La porta doveva dare sulla foresta. Quindi lo aggirai e voltato l'angolo mi trovai di fronte lo spazio vuoto dell'interno. Il casotto mancava di tutta la sua parete frontale. Dei mozziconi d'asse partivano dai tronchi d'angolo piantati in terra e dopo un palmo terminavano in schegge e marciume. La parete che una volta aveva costituito l'ingresso era stata strappata via, in direzione della foresta. La cosa mi provocò una certa premura ma il marciume del legno mi faceva desistere dal preoccuparmi: qualsiasi cosa era successa, doveva essere passato del tempo.

Vago non sembrava tranquillo, ma non lo ero neppure io e la cosa non fece suonare in me nessun ulteriore campanello d'allarme. Così guidai il pony all'interno, uscii per svuotarmi la vescica e quella sera riuscii anche a sbocconcellare qualcosa dopo un giorno di digiuno. Poi mi lasciai cadere disteso vicino a Vago, libero dai lacci. Pensai che qualsiasi cosa avrebbe potuto spaventarlo sarebbe venuta dall'esterno e non c'era ragione che scappasse in direzione del pericolo. O se volete è più una scusa meditata successivamente per la mia disattenzione. In ogni caso dopo un intero giorno di cavalcata crollai subito a dormire. Mi risvegliai a notte fonda nauseato dall'odore di putrefazione e dal suono di passi. Aprii lentamente un occhio. Le due lune ancora sorgenti regalavano un'oscurità totale ai miei persecutori. I passi cessarono e qualche minuto passò prima che decidessi di muovermi. Posai una mano sul manto di Vago per tentare di calmarlo e saggiarne il nervosismo. Era umido di sudore. E tremava. Una civetta mandò il suo richiamo e Vago terrorizzato si lanciò al galoppo lontano da me, in quel pozzo di abissale oscurità. Mi sentii perso ed incredibilmente stupido. Tentai anche di chiamarlo, inutilmente. Poi, spaventato e sconsolato, chiusi gli occhi nel tentativo di abbandonarmi al sonno e quello stranamente non si fece aspettare.

Il sole penetrò all'interno del casotto e mi colpì in viso. Dovevano essere le sette del mattino circa. La prima cosa che feci fu di prendere sella e briglie e andare in cerca di Vago. Se si era addentrato nella foresta non avrei faticato a seguire le tracce di un pony al galoppo. Non faticai in ogni caso, la terra morbida portava il segno dei suoi ferri e mi bastò alzare lo sguardo per vederlo poche centinaia di metri più in là intento a brucare l'erba. Buttai un sospiro di sollievo. Lo ricondussi alla briglia verso il casotto per rifocillarmi e caricarmi dello zaino. Ma, dannazione, persi nuovamente l'appetito scoprendo che i passi e l'odore di putrefazione erano responsabilità di due fonti distinte. In particolare l'ultima delle due si trovava distesa ai miei piedi sotto forma di mummia. Non volendo entrare a far parte delle ultime tendenze del circondario evitai di prestargli l'eccessiva attenzione che avevo dedicato alla sua compagna e la superai per raggiungere il mio giaciglio. Così, appena prima di entrare, alzai lo sguardo e lo vidi. Era fermo in mezzo al sentiero, voltato nella mia direzione, quindi leggermente di traverso al sentiero. E mancava di una parte, quella che lo faceva stare così immobile. Non so per quale motivo ma un carro senza un cavallo in mezzo a una strada dà sempre un'idea sconsolata di desolazione. Andai da lui dopo aver legato Vago a uno dei pali del casotto.

Questa volta il carro non portava un carico macabro, ma probabilmente il motivo era che il carico macabro aveva tentato di scappare e si trovava in terra a pochi passi da Vago. Povero Vago, ripensandoci fu un po' una cattiveria. In compenso il carico comportava di un sacco pieno di cibo, un sacchetto più piccolo e un foglio leggermente arrotolato contenuto in una scarsella aperta e senza cinghia. Il cibo sarebbe bastato a chiunque per una decina di giorni, a me anche un ventina viste le mie condizioni e la sensazione che la vista del cibo mi provocava. Quindi evitai di saltare di gioia. Non saltai di gioia nemmeno alla vista delle monete d'oro contenute nel sacchetto, non sono quel tipo di persona, ma stimolarono la mia curiosità. Infine presi la lettera, la quale proprio come dovuto al rango di lettera recava un sigillo di ceralacca. Era aperta, ma avvicinando i lembi si riconosceva un monogramma: una B. Il contenuto era sufficientemente più illuminante. La lettera era di Brend. Brend era il fabbro di Lud, impossibile per me scordarmi di lui. Era il tipo d'uomo grande e grosso persino per un uomo normale. E il tipo d'uomo ricoperto di troppe cicatrici persino per le cicatrici stesse che di sicuro soffrivano il sovraffollamento. Era anche il tipo d'uomo che mandava a letto i bambini dispettosi che invece non volevano andarci. In realtà era un gran simpaticone, ma questo potevi scoprirlo solo da grande, quando a letto ci andavi senza tante storie e tua madre non ricorreva a trucchetti tanto bassi. La lettera era da Brend per Adelbert. Adelbert era il mio vicino di casa e su di lui non vi annoierò con particolari d'infanzia perché lo ritroveremo tra poco. Ora devo cercare di ricordare il contenuto della lettera. Dunque:

Mio caro Adelbert mi dispiace...

Ho deciso di partire per Cristallia...

Ti lascio queste monete d'oro...

Non venire a cercarmi...

Be' lo devo ammettere, ricordo davvero poco. Credo che Brend si sentirebbe offeso ed io devo tentare di essere giusto, quindi dirò che la lettera riusciva commovente, con toni allarmanti e premurosi. In ogni caso non aveva senso. La lettera era da Brend, in partenza per Cristallia, per Adelbert, che si trovava a Lud. Il carro era voltato verso nord, verso Cristallia. E la lettera era sul carro. Non andava da Adelbert. Non aveva senso. A meno che Adelbert non avesse disobbedito alle raccomandazioni di Brend per tentare di raggiungerlo a Cristallia. Certo, non era da lui. Ma si trattava di una soluzione abbastanza semplice. L'avrei accettata volentieri pur di non doverlo fare. Eppure una parte auto punitiva di me mi spinse ad andare a fondo. E così, con lo sguardo torvo e lo stomaco chiuso tornai indietro per perseguire il mio nuovo passatempo di ficcanaso in affari di mummie.

Dopo una prima occhiata si capiva che il corpo era proprio quel carico macabro appartenente al carro: intorno alla tunica portava una cinta su cui si notava lo strappo della scarsella. Purtroppo questo non bastava per capire chi fosse. Di sicuro non era Brend, il corpo era troppo piccolo e, nonostante fosse una mummia, non aveva la pelle così rovinata, inoltre i pochi capelli rimasti erano castani e non rossi. Rimaneva solo da convalidare la mia supposizione. Sapevo come fare, ma non volevo farlo. Adelbert era monco di un dito al piede sinistro a causa di un brutto incidente con un aratro. Quella ferita mi provocò non pochi incubi quand'ero ancora un ragazzino. Riuscì a salvare il piede ma prese inevitabilmente a zoppicare. Dunque sapevo di dover sfilare lo stivale alla mummia. Avete presente la repulsione che si può provare nello sfilare lo stivale ad un vecchio che magari non ha i piedi buoni, che si è permesso giusto due sole paia di stivali nella vita e che non fa che sgobbare e sudare da mattina a sera? Ora provate a immaginare di fare lo stesso su un corpo che puzza di putrefazione. Corpo che è stato esposto almeno al vento e alla pioggia. Ma non i piedi, al sicuro, putrescenti, negli stivali di cuoio. D'accordo, d'accordo, vi ho fatto soffrire abbastanza. In fondo anche per me è passato del tempo. Quindi passiamo avanti. Lo sfilai e la cicatrice si trovava lì. Non dirò altro. Altrimenti saremmo tutti costretti a fare una pausa. Personalmente ne feci una lunga. Soprattutto per quello che mi apprestavo a fare. Presi Vago, il quale pur volendo fare il recalcitrante perché opportunamente offeso, si fece condurre via volentieri. Lo portai al carro e misi fine a quell'atmosfera da relitto che aleggiava intorno a questo legando le corregge e riportandolo così in servizio. Quindi tornai indietro. Con Vago e il carro. Dalla mummia. Non si tratta di un mio feticcio messeri. Adelbert era mio vicino di casa ed era sposato con Esbeth, una cugina di mia madre. Sì, a Lud, come quasi ovunque d'altronde, sono tutti cugini, ma tutti voi dovreste sapere i rapporti di scambio che si instaurano con i vicini. Non potevo tornare al villaggio con la notizia e senza il corpo. Non potevo. Non fu così difficile come immaginavo, disgustoso sì, ma non difficile. Le mummie hanno l'inessenziale vantaggio di essere leggere e rigide. Fu come caricare una fascina di rami secchi. Vago non la pensava allo stesso modo e continuava a lanciarmi occhiatacce piene di sussiego. Quel pony era espressivo quanto un bastardino.

Salii in groppa al bastardino ovviamente, non sul carro, Vago scalpicciò un po' ma si calmò quasi subito. Poi scesi nuovamente, tornai dal carico, presi il sacco di provviste e lo divisi nelle bisacce della sella. Questo se lo fece andare meno bene ma non poteva evitarlo. Non so, c'era qualcosa di profondamente sbagliato nel tenere un sacco pieno di cibo vicino ad un cadavere mummificato. In quel momento notai che dietro il sacco si trovava un coltello, una delle opere di Brend. No, nulla d'eccelso, non dovete pensare che solo perché ne riconoscessi l'opera si trattasse di un fabbro d'eccezione. Sul manico di corno era inciso l'occhio di Kemel ma alla fine quel coltello era in viaggio su un carro di Lud, tanto sarebbe bastato a chiunque. Era comunque migliore del mio che ormai era ridotto ad un troncone di metallo, ma ero affezionato al mio troncone e in ogni caso quel coltello andava restituito. A quel punto mancavano ormai due ore a mezzo dì e osservando la posizione del sole vidi volare a grande altezza un'altra aquila. Nulla di strano, erano solite nidificare sulle montagne vicine. Notai solamente che andava nella stessa direzione presa da quella del giorno prima, forse era pure la stessa. E così, costringendomi a concentrare i miei pensieri sulle aquile, c'incamminammo. Io, Vago e la mummia Adelbert.

La giornata trascorse relativamente tranquilla. Gli unici tumulti erano dentro di me. Oppure anche tutto intorno a me, dove non potevo scorgerli. Ma se avessi dovuto scommettere sulla cosa più inquietante nei paraggi avrei scommesso sul nano con la mummia nel carretto. E così, tranquillizzato dal mio nuovo sembiante di mostro mi rilassai e, pipa alla bocca, cominciai a canticchiare. Al tramonto giunsi sulle colline, un paesaggio di rocce e anfratti in cui crescevano rovi e arbusti. Trovai una macchia ideale, in cui nascondere il carro, riparata dal vento del nord. Liberai Vago dalle corregge e la sella, lo legai con una corda lunga e sistemai tutto in un angolo. Non ebbi bisogno di cercare della legna, sterpi e rami secchi si trovavano ovunque. Così con la poca luce che rimaneva presi a malincuore la mia coperta dallo zaino e vi avvolsi dentro Adelbert. Andare in giro in quel modo canticchiando con quel particolare carico in vista mi aveva fatto riflettere sul mio ingresso a Lud. Non potevo portarlo in giro così, inoltre avvolto nella coperta avrebbe certamente puzzato di meno. Dovetti legarlo come un salame poiché la coperta non era abbastanza per mantenerlo avvolto da sé. Quindi legai l'involto ad un asse del carro di modo che scossoni e buche non lo facessero cadere. Certo non avevo pensato all'evenienza che si sarebbe presentata quella notte. Accesi il fuoco e mangiai. Stavo finendo l'acqua e dalla palude non avevo trovato altri corsi a cui attingere, ma l'indomani sarei giunto a Lud, poco male. Ormai Adelbert era divenuto un compagno di viaggio come Vago, avevo fatto presto ad abituarmi a parlare con lui. Credo che gli avvicendamenti di quegli ultimi tre giorni e il fatto che in un modo o nell'altro non avessi veduto altre genti nel raggio di chilometri avessero contribuito ad estraniarmi. Mi sentivo fuori dal mondo. Cominciavo quasi a temere di non trovare nessuno neanche a Lud.

Era notte fonda quando venni nuovamente svegliato, stava diventando un'abitudine. Forse per il caratteristico colore chiaro delle rocce quella notte le due falci di luna permettevano di individuare due sagome più scure dell'oscurità notturna. In ogni caso quel ringhio era inconfondibile. Si trattava di due lupi intenti a trafugare Adelbert dal carro, senza tuttavia riuscirci. Vago nitriva spaventato, proprio come un piatto prelibato che tenti di vendersi a chi sta dedicando attenzioni ad altre merci, quello stupido. Strano che puntassero ad una mummia. Allungai una mano verso il piccolo arco che mi portavo dietro da quando partii. Mio padre mi aveva insegnato a prendermene cura, ad esempio incordandolo solo quando pensavo di doverne aver bisogno, ma io non vi prestai mai molta attenzione per cui, l'arco, ormai sformato, aveva perso molta della sua elasticità e forza. Presi una freccia, incoccai e puntai verso una delle due sagome scure. L'uggiolio mi comunicò che avevo fatto centro e non fu l'unico avvertimento. L'altra sagoma si era immediatamente fermata, mentre l'altra era riversa in terra, e pareva decisamente osservarmi, come anche, decisamente, si sarebbe detta in avvicinamento. Il carro si trovava a poco più di 5 metri e la sagoma con due lucciole al posto degli occhi era già a tiro della mia gola. Preso dal panico tentai una cosa immensamente stupida, un trucchetto che usano i musici in osteria per acquietare i vocii e richiamare l'attenzione. Semplicemente si emette una nota stridula con il proprio strumento, uno di quei suoni capace di farti prendere a pugni in faccia anche la persona che ami. Sembra un azzardo richiamare l'attenzione così dato l'immenso e incontrastabile odio che ci si guadagna all'istante, ma quando si suona in una locanda piena di ubriachi è l'unico sistema per far notare la propria presenza e ricavare qualche mancia: gli uomini sbronzi non sono in grado di portare rancore a lungo. Con la cornamusa emettere quel suono è piuttosto facile, basta schiacciare la sacca con tutte le proprie forze. E questo fu quello che feci. Afferrai il sacco di tela cerata che conteneva la mia adorata cornamusa e strinsi con la forza della paura. Potete solo immaginare il cupo e totale silenzio interrotto improvvisamente da quel frastuono e posso dirvi che lo immaginate male. Ma ci riuscirete meglio sapendo che il lupo stramazzò al suolo. Non potevo crederci! Certo nemmeno io me lo aspettavo. Ebbi comunque la prontezza necessaria per estrarre Troncone, il mio coltello, e piantarglielo nella gola. E stessa caritatevole morte donai all'altra bestia ancora uggiolante. Mi voltai verso Vago, ora tranquillo. Certo lui era abituato al frastuono della capitale ma quel suono improvviso aveva spaventato anche me. Dopo essermi assicurato che lui e Adelbert stessero bene trascinai i corpi dei lupi il più lontano possibile, quanto mi era permesso senza che perdessi la strada, così da non venire disturbati da altri animali. E anche per quella notte le avventure finirono.

Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, giunsi a Lud. Ma prima di condurvi a casa devo dirvi qualcosa in più sul mio conto. Come potrete capire, Lud è un villaggio che vive della coltura dei campi e dell'allevamento degli animali e come sono sicuro il vostro intelletto continui a permettervi d'intuire, un uomo della mia statura viene considerato inutile per la maggior parte dei lavori. E un uomo considerato inutile non viene richiesto per lavorare. E un uomo che non lavora viene quindi considerato uno scansafatiche. Ecco chi sono, uno scansafatiche involontario. All'età di 14 anni dovevo già stare a spezzarmi la schiena nei campi per farmi le ossa, ma ovviamente non se ne parlava di tirare o spingere l'aratro. O maneggiare un forcone. O qualsiasi altra cosa vi venga in mente. Un giorno ebbi un'idea brillante. Il lavoro consiste nello spezzarsi la schiena, in un modo o nell'altro. Magari avrei potuto risparmiare loro questa tortura mungendo le vacche. Seduto davanti a delle mammelle da mungere sto indicibilmente comodo. Credevo fosse quello a non andar bene loro. Dovevo!, spezzarmi la schiena. Invece il problema è che si tratta di un lavoro da donne. Ci avete mai riflettuto? Un uomo può fare qualsiasi lavoro, alle donne ne competono alcuni e non altri, ma se ci sono le donne a farli, quegli alcuni, ad un uomo non deve sfiorare nemmeno l'idea di potercisi imbattere. E finché ci sarà una donna presente a poterlo fare, l'uomo eviterà di farlo anche a costo di non avere nulla da mangiare sulla tavola. Un bardo conosce molte cose, cose incredibili, ma personalmente non sono mai riuscito ad entrare in possesso della chiave di comprensione di certe regole sociali. In ogni caso non c'era niente da fare per me. Ero al centro dell'antipatia del villaggio e, anche se spaventato dal mondo esterno, partii per sgravare la mia famiglia di quel peso. Mio padre era fortemente contrario. Ritengo fosse il fatto che si sentisse responsabile. Vedete, Lud non è famosa per fabbri come Brend o conciatori come Adelbert, ma di sicuro la fama delle opere di mio padre è rinomata in tutta Argentum. Mio padre Simien è il discendente di una lunga tradizione di mastri liutai e il suo lavoro rappresentava uno dei pochissimi motivi di visita da parte dei forestieri. Accadeva che qualche cliente piuttosto esigente venisse a richiedere uno strumento su ordinazione e più raramente restava per seguire qualche fase della lavorazione. Il resto delle sue opere partivano con la carovana. Ma il suo mestiere in un modo o nell'altro non ci rese mai benestanti e a noi stava bene così. Da qui nasceva un po' di risentimento per il fatto che, piuttosto che continuare la tradizione ed imparare l'arte, avevo deciso di riuscire ad essere accettato dalla comunità fino a, non riuscendoci, decidere di partire. La parte di responsabilità gli veniva dalla sua abitudine di raccontarci, a me e mia sorella, delle vecchie storie di antichi dei e mitici eroi, seduti intorno al fuoco, la sera. E quella divenne col tempo la mia più grande vocazione. Cosa che per la vostra fortuna mi ha condotto qui da voi.

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Capitolo 2
*** Ritorno a casa ***


Ora è il momento di entrare a Lud.

Già da lontano si vedevano le persone in mezzo ai campi e più mi avvicinavo più il mio umore peggiorava. Non potevo tornare a festa come mi ero sempre immaginato. Stavo tornando al mondo reale e Adelbert non era più uno strano compagno di viaggio ma motivo di pianti e cordoglio. Così, col cuore pieno di questi pensieri mi diressi, senza rivolgere altri sguardi altrove, all'Albero di Lud. Lud aveva uno spiazzo con al centro un Acero rosso che si diceva fosse stato piantato da Seilen stessa all'inizio di tutte le cose. Era immenso. Probabilmente non era così vecchio ma sembrava essere piuttosto raccomandato. Non è certo l'unico e di certo voi li conoscete, si tratta di un Albero del Mondo. Tra le case che davano sullo spiazzo, all'ombra della Grande Chioma, c'era quella di Markut, il capovillaggio. Una carica antica ed ereditaria ormai facente funzioni onorarie. Grandi accadimenti non ne avvenivano per cui a Markut toccava accogliere nel villaggio persone ricche e importanti quando ne fossero capitate e dei piccoli discorsi celebrativi all'apertura delle festività annuali. Oppure, come in questi casi, quando un ludico lontano da troppo tempo tornava con cattive notizie per qualcuno del villaggio, era compito del capovillaggio fare da intermediario. Non sarebbe stata comunque una visita di cortesia. Markut e sua moglie Loire erano di quelle persone aperte e oneste che se avevano qualcosa da dirti in faccia lo facevano senza troppi problemi e, altrettanto apertamente, se non avevano nulla da dirti in faccia non ci dicevano proprio nulla alla tua bella faccia. Insomma, come capovillaggio si era preso anche l'onere di convogliare e tener ben salda l'antipatia e il pregiudizio che i suoi villici avevano deciso di portarmi. Le attese non si smentivano. Nel percorso lungo la via principale per giungere da Markut le persone che mi riconobbero non si affrettarono a salutarmi, giusto una persona o due alzarono la mano in cenno di saluto, ma una delle due probabilmente stava facendo cenno a qualcuno dietro di me. Le altre che mi riconobbero voltarono lo sguardo altrove in cerca di qualcosa di più interessante. Certo era difficile confondermi con qualcun altro.

Smontai da Vago appena giunto a quella che doveva essere la porta giusta, ma bastò poco tempo per farmi avere i primi dubbi. Bussai. In quel momento riflettei sul fatto che sarebbe stato giusto avere un cappello da togliersi in questi casi. Dovevo procurarmene uno. In qualità di Bardo ho ben presente quanto la forma e le apparenze siano importanti.

Una Loire con otto inverni in più sulle spalle aprì quella porta ed un enorme sorriso e una voce squittente proruppero fuori sotto forma di saluti esaltati. Dannazione, come avrei voluto un cappello da togliermi! La mia reazione fu altalenante cercando di passare da 'nessuna', per 'quasi qualcosa', a 'meglio lasciar stare le espressioni' e finì per sfiatare in uno spento 'ciao', appena mi ricordai il motivo per cui avevo bussato alla fine di quella cerimoniosa messa in scena di 'saluto dopo tanto tempo in quattro atti'. Ero esterrefatto. Loire doveva aver perso il ben della vista, ma allora perché quell'accoglienza spropositata. Aveva un lontano cugino nano?

-Ivan! Che piacere vederti!-

No, a meno che il cugino in questione non si chiamasse Ivan. Non era il momento di riflettere sulle relazioni intercorrenti tra nomi e menomazioni fisiche. Ah e, sì, dopo circa due minuti di saluti vari e cerimonie era riuscita a dire il mio nome finalmente. Che volete farci, ognuno ha i suoi talenti.

-Ehm, piacere mio Loire!-

-Vieni! Vieni! Ti offro un bel bicchiere di latte! Devi essere accaldato! Sentito che caldo!? Ma siediti qui! Su! Non fare complimenti eh! Manchi da così tanto! Che hai fatto di bello!? Devi raccontami ogni cosa! Ogni cosa! Sei così cresciuto! Ti ricordavo più basso!

Quello di parlare attraverso il solo uso di esclamative doveva essere un talento acquisito con l'età invece. Mi stava stordendo. Ma forse ero io ad aver sbagliato qualcosa. Probabilmente la vecchia Loire di bene aveva perso quello dell'intelletto ed io senza poterlo sapere stavo rivolgendo attenzioni ad una rincitrullita. Decisi di sondare il terreno chiedendole di mio padre Simien.

-Ehm,- odio cominciare le frasi con 'ehm'! Sono io a dover avere il controllo della conversazione! -sono appena arrivato. Hai mica visto mio padre Miquel?- Le chiesi

-Miquel!? Ma tu non sei il figlio di Simien!- No, non era rincitrullita. O perlomeno la memoria funzionava ancora.

-Heh! Sì, sì. Ehm, sono io che adoro chiamarlo col suo secondo nome...- Mentii. Un altro 'ehm'. La stavo odiando. Dovevo recuperare il controllo -Senti, Loire. Sono venuto qui per una faccenda importante. E delicata.-

-Certo! Dimmi pure caro!- Caro!? Doveva essere uno scherzo ben architettato. Fino a poco prima nutrivo dubbi certi persino sul fatto che chiamasse 'caro' suo marito, tra le lenzuola. Non era il controllo che mi ero ripromesso.

-Ho bisogno di tuo marito Loire. Devo parlare con lui... voglio dire: anche con lui, di questa cosa-

-Certo Caro! Markuuuut! Tesoroooo!- D'accordo, qui si sfiorava il ridicolo. Stavo per mandarla al diavolo quando sentii la voce accondiscendente e paciosa del suo ritrovato tesoro rispondere -Arrivo Amore!- “Se non puoi sconfiggerli, alleatici” pensai. Stetti al gioco. Non ero mai stato in casa di quei due. D'altronde era identica a ogni altra singola casa di Lud. L'arredamento non era il nostro forte. Era difficile arredare l'interno di una casa quando le uniche cose che potevi usare per farlo erano cose che vedevi ogni giorno all'esterno. Così rinunciavano tutti inevitabilmente. Distratto da questi pensieri, appena Markut giunse nella stanza, Loire ne approfittò per sferrare un attacco. Un altro colpo basso.

-Guarda chi c'è!- disse al marito con una voce da bambina gongolante. La mia espressione cordiale e granitica mascherava una nuca imperlata di sudore freddo.

-Non ci posso credere! E' proprio quella canaglia di Ivan! Giovanotto, ti sei fatto un uomo! Da quant'è che non ti si vede... che piacere rivederti!- Questo era Markut messeri. Bene, il gioco continuava.

-Anche per me Markut. Anche per me. Ma devo dirvi che purtroppo non è una visita di piacere. E che torno con spiacevoli notizie. E' successa una cosa terribile e speravo... ecco, potresti aiutarmi a darne notizia.- ...Nulla. Non interloquivano. Erano intenti ad ascoltarmi senza reagire a quanto avevo appena detto loro. Quel gioco mi stava davvero stretto.

-Ecco. Ve lo dico senza girarci intorno.- Se solo avessi avuto un cappello da rigirarmi tra le mani! -Ho trovato il corpo di Adelbert sul sentiero, mentre tornavo. Il carretto qui fuori è il suo. Lui giaceva a pochi passi. E' morto. Io non ho cuore di dirlo ad Esbeth.- Ecco fatto. Ora avrebbero smesso di fare gli stupidi. Mi sentivo un po' in colpa ad usare Adelbert in quel modo, come fosse un asso nella manica, ma se lo meritavano.

-E che problema c'è! Tranquillo! Glie lo dico io alla vecchia Esbeth.- Sempre Markut messeri. Ero basito. Non mi aspettavo questa regola nel gioco. O meglio, era un gioco in cui, o non capivo le regole oppure in cui, le regole, nemmeno erano contemplate. Non mi restava che rigiocare la stessa carta.

-Non sto scherzando signore. Il corpo di Adelbert è qui fuori, nel carretto. E' morto.-

-E che problema c'è! Muoiono tutti!- Sì, Markut. Immagino che ormai riconosciate lo stile. Non fu l'ultima volta che ascoltai quelle parole, anzi, da lì in avanti sarebbe successo più volte. Io accolsi quelle parole scuotendo la testa come per scacciare una mosca. Era quello il modo in cui quella frase era giunta alle mie orecchie. E la testa, istintivamente, aveva reagito per scacciarla proprio come una mosca. Carta, Mano e Incontro. Il banco mi aveva stracciato. E ora? Ora non mi restava che rinsaldarmi il fantomatico cappello in testa e andarmene a capo chino.

-Be', sì, è vero. Muoiono tutti, parenti e amici.- Adesso la fuga. -Ora se non vi dispiace dovrei andare a salutare i miei. Sapete, ancora non li ho visti da quando sono arrivato. Sempre che non siano morti! Ahahah! Quindi devo proprio andare. Mi ha fatto piacere però. Tornerò quanto prima. Markut. Esbeth.- Parole a torrente per una ritirata senza ostacoli. Saltai in groppa a Vago e mi diressi verso casa senza rivolgere sguardi a nessuno. Mi girava la testa. La follia serpeggiava a Lud sotto spoglie di crudo cinismo. Non potevo aspettarmi qualcosa di così... sconosciuto. Era destabilizzante. L'immagine di una Lud deserta e abbandonata ora riusciva quasi consolatoria. Per fortuna c'era sempre casa.

Erano otto anni che non rivedevo mia sorella Evelin e, facendo un rapido calcolo, pensai che doveva avere quattordici anni ormai. Ricordavo con un'enormità di affetto quel batuffolo di femminuccia di sei estati che persino io riuscivo a tenere in braccio. Sapevo cosa dovevo aspettarmi, di certo doveva essere diventata molto alta. Vi parlo di lei perché fu la prima che vidi. Era china nell'orto a badar alle verdure, di spalle rispetto alla direzione da cui venivo. Mi avvicinai a casa, per nulla cambiata, e fermai Vago e il carro sul fianco di questa. Superai l'angolo muovendomi di soppiatto per prenderla di sorpresa e proprio quando stavo per saltarle addosso lei si girò, mi afferrò e mi prese in braccio ridendo di gioia. Finalmente la mia felice normalità. La tenni abbracciata stretta finché anche lei, rimettendomi giù, non m'inondò di parole. Non ricordo granché di ciò che ci dicemmo, le solite cose immagino e non c'è comunque alcun bisogno di riportare questa parte. Nel forte vociare sopraggiunse, incuriosita, mia madre Melven e la gioia si protrasse ancora un po'. Infine, fermo sulla porta, vidi mio padre. L'espressione era immobile e adombrata. Io frenai le risate di gioia e le trasformai in un sorriso cordiale, glie lo rivolsi e m'incamminai verso di lui, pronto a tendergli la mano. Lui mi guardò fisso ad ogni passo, poi fissò la mano, la spinse da parte e mi cinse in un forte abbraccio. Ero talmente contento da essermi scordato di tutto. Ma c'è sempre qualcosa pronto a ricordarti come stanno davvero le cose a questo mondo.

Si parlava di grandi festeggiamenti, bisognava approntare un pranzo da re per il mio ritorno. La sera successiva ci sarebbe stato il Falò, la festa dell'estate. Si erigeva una grande catasta di legna, al tramonto le si dava fuoco e finché non si fosse spenta da sé sarebbero continuate le danze e le bevute. Tradizione voleva che nel fuoco venissero buttate tutte le cose del vecchio anno di cui ci si voleva disfare, alimentando così il Falò e prolungando idealmente i festeggiamenti.

Mio padre e mia madre rincasarono per preparare la tavola, io chiesi aiuto a mia sorella per prendere una piccola parte delle cibarie dalle bisacce di Vago. Giunti al carretto io mi diressi in tutta fretta alle bisacce per caricare mia sorella di cibo ed evitare che mi potesse fare delle domande, in ogni caso speravo nella sua discrezione. Invece lei fu più veloce e appena svoltato l'angolo e visto il carretto si fiondò sulla salma cominciando a tirare la coperta.

-Ehi Ivan! Cosa c'è qui sotto eh? Cosa ci hai riportato di bello?! Dai, voglio saperlo! Cos'è?- continuava a strattonare la coperta per poter guardare sotto. Non mi ero aspettato un comportamento simile. Non potevo prevedere che tipo di donna potesse essere diventata mia sorella avendola lasciata all'età di sei anni, ma un tipetto così capriccioso e sprovveduto! Insomma, a parte la mancanza di tatto, si vedeva che si trattava di una salma! E anche a voler essere ciechi l'odore era sopportabile giusto per me che dovevo essermi abituato! Ma devo dirvi una cosa: a fare da contrappeso al suo comportamento c'era l'aspetto. Evelin non era ancora matura come una donna eppure era già di una bellezza inusuale. Potete credermi, dopo otto lunghi anni di viaggi, le mie donne le avevo avute e molte altre ne avevo viste. Mi sono esibito per il re di Argentum ed ho contemplato le bellezze di corte. Ma era la prima volta che mi trovavo di fronte all'incarnazione della primavera. Evelin aveva capelli rossi sbarazzini, uno spruzzo di lentiggini sparse su un naso che era un narciso e sotto agli occhi furbi, che esprimevano malizia anche se distratti. Le labbra, umide come se avesse appena addentato una pesca. Era flessuosa e snella. La pelle d'ambra sottolineava una muscolatura scattante e nervosa e le forme di ragazza promettevano una tempestiva esplosione. Lo dico senza vergognarmi, da quel giorno in poi desiderai non fosse mia sorella. Certo avrei fatto di tutto purché avesse un uomo degno di questo nome. E non un nano.

Tornando a quel momento imbarazzante a quanto pare è proprio vero che non si può avere tutto.

-Evelin, aiutami con le vettovaglie. Parleremo dopo di quello, non è argomento da tavola. Né da festa.- le dissi.

-Ma io voglio vedere! Voglio saperlo adesso! Daiiii!- insistette lei. Fantastico! Non solo era immatura, era anche estremamente irritante! I miei dovevano essersi leggermente lasciati andare con lei. Eppure qualcosa non mi tornava. Le posi in braccio direttamente una delle due bisacce e le dissi -Evelin, non ora. Piuttosto, senti... Che mi sai dire di Markut e della vecchia Loire? Voglio dire, stanno apposto con la testa?- le chiesi.

-Perché? Certo che stanno apposto con la testa. Sicuramente meglio di come sarà la tua tra poco se non mi dici cos'è!- Ecco fatto. Dannata curiosità. Ormai un'ombra aveva irrimediabilmente fatto il nido su quei pochi momenti di gioia che mi attendevano. Ero stato impaziente, me l'ero cercata. -Dai entriamo, ti dirò tutto.- Presi l'altra bisaccia e l'accompagnai in casa. Riuscii poco dopo per sistemare Vago e il carro nella piccola stalla sul retro. Non riuscivo a liberarmi dal pensiero che ci fosse qualcosa che non andava. Markut e Loire non erano matti. Non secondo Evelin perlomeno. E non c'è scampo, in un villaggio, se c'è da sapere qualcosa su uno degli abitanti, la si sa. Punto e basta. Che altre spiegazioni potevano esserci? Ma non era solo quello a mettermi in ansia. Lo sapevo che c'era qualcos'altro ma non riuscivo a centrare il problema. Si trattava di piccole cose, segnali, da parte della gente nelle strade, di Evelin, dei miei genitori. Coincidenze. O forse mancanze. Ad esempio com'era possibile che mi fossi portato la mummia Adelbert in giro per la via principale di Lud senza che nessuno la notasse o facesse domande? E' un villaggio! Se c'è da sapere qualcosa la si sa!, punto e basta! E poi c'era l'atmosfera di casa. Sì, vi ho detto che eravamo felici di esserci ritrovati e son sicuro che la scena vi abbia regalato un caldo clima familiare. Ma qualcosa mancava: delle tappe. Si era svolto tutto troppo velocemente, anzi, in modo sbrigativo. Prendeva sempre più corpo in me la convinzione di star facendo parte di una recita o di un gioco senza esserne stato informato.

Il sole era al tramonto ormai e tornando indietro dalla stalla vidi la porta dell'officina di mio padre aperta. Un altro elemento quotidiano sul palcoscenico. Capitava spesso che mio padre si ritirasse a lavorare a lume di candela, anche dopo cena. Il suo lavoro gli piaceva. Tornai dentro col cuore pesante cercando tuttavia di emulare il sorriso che avevo poc'anzi. Mio padre mi cedette il posto d'onore a capo tavola, mia madre svolazzava intorno a me per imbandire la cena e mia sorella mi teneva il muso perché ancora non le avevo detto nulla. Il pasto trascorse a cuore più leggero. Raccontai loro alcune delle cose più incredibili che avevo visto e altre apparentemente normali, ma più vicine a loro e per questo più interessanti. Infine, venne il momento delle brutte notizie e delle domande. Eppure avvenne un altro cambio di mano nel gioco. O cambio di scena nello spettacolo a seconda delle metafora che preferite.

-Devo darti una grande notizia figliolo!- Esordì mio padre. Io credevo di essere pronto al peggio ma il peggio doveva avere di meglio da fare e così aveva lasciato posto all'assurdo. -Ho deciso di fare il pescatore!- Fiuu. Mi era andata bene. Tentai di sforzami di ridere come se avesse fatto una battuta davvero divertente. Non era mai stato granché nell'arte comica ma non cessava mai di cimentarvisi. A noi non restava che incoraggiarlo come meglio potevamo.

-Devo dire, padre, che per un attimo ho avuto paura che parlaste sul serio!- dissi.

-Ma io sono serio! Da domani sarò un pescatore.- disse lui.

-State scherzando.- feci serio io.

-No, perché dovrei? Non posso fare il pescatore?- fece serio lui.

-No, non potete.- replicai io.

-E perché no?- Replicò lui.

-Perché siete un liutaio! Un Mastro Liutaio. Uno dei migliori! E lo siete da sempre! E vi piace esserlo!- Sbottai allora. E lui, sempre pacificamente: -Sì, lo so. Ma basta. Mi ha stufato! Voglio fare il pescatore!-

-Madre, vi prego. Fatelo ragionare. E' pazzesco! E' completamente sbagliato!- disperai.

-E perché? Se è quello che vuole fare...- Nulla nemmeno da quel fronte.

-Evelin, almeno tu. Dimmi che lo trovi assurdo. Che non ha senso.- L'ultima spiaggia. O la va o la spacca.

-Non vedo cosa ci sia di male. La pesca è divertente. Molto meglio di quel noiosissimo mestiere che faceva prima. Il liutaio.- Lo disse con disgusto. Lei! La stessa Evelin che guardava con occhi sognanti al padre e che ogni giorno non faceva che ripetere che voleva essere come suo 'papa'.

-Che faceva prima!? Ma quando avete smesso? Quanto tempo è che non lavorate su uno strumento? La porta dell'officina è aperta!- Perché la mia latente Veggenza non mi diceva di svegliarmi? Non avevo nemmeno il tempo per rendermi conto della mia disperazione. Ogni parola era un colpo atto a sconvolgermi.

-Mah, giusto ieri. Non voglio più fare il liutaio. La porta dell'officina è aperta perché tanto è vuota.-

-Vuota? E i vostri attrezzi? E gli ultimi lavori? I pezzi da ultimare! Dove sono!?-

-Oh sì, ho dato tutto al comitato della festa. Li getteranno nel Falò.-

-Cosa faranno!?- gridai. E corsi fuori, verso l'officina. Mi posi davanti l'entrata e vidi la forma del mondo d'incubo. Era vuota. Oltre a qualche piccolo ciocco di legno sparso qua e la, una piccola sgorbia dimenticata in un angolo e il banco di lavoro ancora fisso alla parete, l'officina era vuota. I suoi attrezzi. Il Falò. Assurdo. Solo dalla vendita di quegli attrezzi ci si sarebbe ricavato denaro sufficiente per sistemare tre famiglie. Il Falò. C'erano troppi pensieri che mi correvano in testa per pigliarne uno e dirvelo. Fatevi un'idea che fate prima. Tanto nessuno di quelli significherebbe nulla. Tornai dentro. Volevo piangere ma non ci riuscivo. Volevo gridare ma non ci riuscivo. Ero disorientato e non sarei più riuscito a fare nulla senza aver prima rimesso i piedi a terra.

-Non riesci ad essere contento per tuo padre?- mi si rivolse lui. A quel punto tentai la via della logica per combattere l'assurdo. Tutti noi sappiamo che è inutile ma quando ormai non hai altro con cui combattere tanto vale tentare no?

-Padre, perché non ci ripensate? Non potete fare il pescatore. Nessuno è pescatore a Lud. Il primo fiume pescoso è a tre giorni di cammino da qui! A chi venderete quel pesce?!-

-Sì, be', c'inventeremo qualcosa no!- Davvero senza speranza. Sconfitto su tutta la linea abbandonai quel percorso e nella disperazione trovai ancora un argomento da affrontare.

-D'accordo, va bene. Rimandiamo il discorso. Ora devo dirvi una cosa più importante. Si tratta del corpo che si trova sul carro.- Evelin tornò interessata tutta d'un tratto.

-Dimmi pure figliolo.- Corpo: Uguale nessuna reazione apparente. Bene, per lo meno anche nel mondo dell'assurdo i conti si facevano di volta in volta allo stesso modo.

-E' il corpo di Adelbert quello. L'ho trovato al limitare della palude, vicino al sentiero. E' morto.-

-E che problema c'è. Muoiono tutti.- Bene, lo so. Evitate pure di credermi, ma ve lo dico lo stesso. Stavo per scoppiare a ridere. Lo sconforto lo fa, sapete?

-Bisogna dirlo ad Esbeth, padre. Non credo sia il caso che lo faccia io. Avrà bisogno di qualcuno che le stia...- Non mi fece finire la frase.

-Ah, tranquillo, se è solo per questo... Esbeeeeeeeth!- Gridò

-Aspettate! Cosa state facendo! Non vorrete mica gridarglielo da...-

-Oi Simien! Dimmi.- Gridò la voce di Esbeth di rimando.

-Vieni! Devo dirti di...-

-Padre! Smettetela accidenti! Lo faccio io, d'accordo?! Lo dico io a Esbeth. Lasciate fare a me.- Riuscii a fermarlo ma Esbeth era già fuori di casa e procedeva verso la nostra. Uscii di corsa per intercettarla.

-Ivan! O Kemel! Che bello rivederti! Come sei cresciuto...-

-Salve Esbeth. Anche per me è bello- La mia voce si addolcì all'improvviso. -Devo dirti una cosa importante Esbeth. Puoi... ascoltarmi un minuto?-

-Certo, di cosa si tratta?-

-Da quanto tempo è che Adelbert è partito, Esbeth? Da quanto non lo vedi?-

-Oh, sarà una settimana più o meno. Sì, credo una settimana.-

-Sai perché è partito?-

-Uhm no, non me lo ha detto. Ha preso ed è andato via.-

-Ma, be'... Esbeth, non lo vedi da una settimana, se ne è andato senza che ti dicesse nulla e non sei preoccupata? Non ti sei fatta domande? Non sei andata a cercarlo?-

-No. Perché? Dovrei?- La testa ricominciava a girarmi. Il vortice di quello strano gioco stava per riafferrarmi. Non dovevo permettergli di ritrascinarmi sul fondo.

-Capitava spesso negli ultimi tempi che se ne andasse senza motivo?-

-No. Non mi pare-

-E che si allontanasse per una settimana?-

-No. Nemmeno...- Ormai avevo cominciato la discesa. Tanto valeva puntare dritti al centro.

-Senti Esbeth. Non vorrei essere proprio io a dirtelo ma... Mentre tornavo qui ho trovato il carro di Adelbert, Esbeth. Si trovava in mezzo alla strada, senza il cavallo. Poi, ho trovato anche Adelbert. Te l'ho riportato, Esbeth. E' morto. Mi dispiace.- Era fatta. I secondi di silenzio scandivano la mia condanna.

-E che problema c'è. Muoiono tutti.- “E che diavolo! Ma non è possibile.” Pensai.

-Esbeth, si tratta di Adelbert. Tuo marito!-

-Sì certo lo so.-

-Non vuoi vederlo? Il suo corpo è nel carro nella mia stalla! Che vuoi fare?-

-Oh perfetto! Bald!- Chiamò. Dalla casa di fronte si staccò la figura di un ragazzo che non avevo mai visto o che più probabilmente non riconoscevo. Sono tutti uguali a una certa età. -Eccoti qui ragazzo. C'è un carro lì, nella stalla. Sopra c'è il corpo di mio marito. Volevo darlo al Falò. Puoi pensarci tu a prenderlo e metterlo con le altre cose? Grazie, sei un tesoro.- Bald schizzò via senza che io fossi ancora riuscito a proferire parola. Effettivamente avrebbe dovuto aspettare un po' perché vi riuscissi. Inutile continuare il discorso. Più inutile ancora parlare loro delle condizioni del corpo e di quello che era accaduto alla carovana. Le cose non andavano bene. Non andavano affatto bene.

-Be' se è tutto qui io torno dentro. Devo finire di rassettare. Ma vienimi a trovare intesi? Devi raccontarmi tutto!- E se ne andò con in regalo un mio sorriso di circostanza. L'essenziale per poter evitare di rispondere. Solo in quel momento s'inserì nella mia testa una voce cadenzata e sermonica che doveva essere lì già da un po'. Mi voltai e più in là, nel mezzo della strada, vidi un folto di persone che facevano capannello intorno a quello che sembrava proprio essere Wingann il pazzo. Credo che ogni villaggio debba avere come minimo un pazzo detto tale. Il nostro era Wingann. Certo, ora avremmo dovuto aumentare leggermente la media, almeno secondo i miei canoni. C'era qualcosa di strano però. Wingann non era il tipo di pazzo arringatore di folle, apostolo della fine del mondo. Lui era più che altro scemo: capiva una cosa per un'altra e si comportava sempre in modo imbarazzante. Eppure era proprio ciò che stava facendo. Arringare e postulare.

-La fine sta arrivando! A lungo l'abbiamo attesa. Non disperate. Non sperate. La fine porterà via ogni cosa. Gioia e dolore. Il Muro cadrà. Il cielo Cadrà. La Luna di Sangue inonderà il mondo. Ascoltate! La fine è Vicina!- Lo faceva bene però. Insomma, si trattava delle solite cose. Un'accozzaglia di leggende e catastrofi buttate alla rinfusa. Però riusciva ad attrarre l'attenzione. Io che sono del mestiere li riconosco certi meriti. Una particolarità che notai subito in qualità di professionista fu il libro. Quando devi farti credere dalle persone non è mai bene metterci la faccia. A certa gente non piace chi si attira l'attenzione e vuol tenersela tutta per sé. Così è facile che decidano di andare contro il polo d'attenzione appena formatosi e quindi attaccarlo. Se riescono ad abbatterlo riceveranno loro, come merito dell'impresa, l'attenzione catalizzata. Io li chiamo parassiti da palco. Non riescono a procacciarsi il cibo da soli e appena qualcuno ci riesce loro giungono per fregarselo. Nelle folle ce ne sono sempre due o tre. Bisogna stare attenti perché ne basta uno a fare breccia e in men che non si dica tutta la folla sarà contro di voi con il parassita a capo. E un'ottima strategia di difesa è rappresentata dalla “fonte alternativa”. Nessuno può accusarti di nulla se, delle cose che dici, ti fai solamente portavoce e sono state dette da qualcuno che non è presente fisicamente in quel momento. Ecco, è semplice no? Quello che non quadrava è che il libro in questione era vuoto. Non aveva scritta alcuna. Praticamente un diario nuovo nuovo. Al di là della questione di dove potesse aver trovato un diario Wingann il pazzo, c'era il fatto che chiunque stesse lì ad ascoltarlo poteva perfettamente osservare come il libro che tenesse in mano fosse ineluttabilmente bianco. Così la fonte alternativa non aveva senso! Certo, con tutto quello che stava succedendo era davvero una piccola cosa per cui appellarsi al comune senso di logica. Nel frattempo che io elucubravo inutilmente, il pubblico di Wingann si produceva in assensi vacui e spiritati tipici dei fanatismi da culto. Poi, improvvisamente, Wingann chiuse il libro con un tonfo secco, scese dalla cassetta su cui era salito e si avviò lungo la strada verso la locanda di GelCormann con il suo pubblico al seguito.

Tornai verso casa passando prima dalla stalla per controllare Vago. Il bastardino aveva un'espressione tipo “sono venuti e se lo sono portato via. Non dare la colpa a me!”. Stavo quasi per decidere di dormire lì, nella stalla con Vago. Non capiva la follia in cui eravamo precipitati ma di certo non ne faceva parte. Purtroppo per quanto folle, anche in questo nuovo mondo avrei dovuto cercare di giustificare il mio comportamento. Inoltre era un bel po' di tempo che non dormivo in un letto. Al diavolo tutto! Mi fermai alla latrina ma quella pausa mi fece venire in mente solo più domande e nessuna risposta. Tornato dentro sentii le voci dei miei genitori provenire dalla loro stanza. Salii di sopra e trovai mia sorella Evelin già nel suo letto. Mezza svestita dato il caldo. Una visione davvero pericolosa.

-Evelin, copriti con qualcosa. Sei grandicella ormai.- Un mugolio in risposta. Era crollata. Orari da contadini. Dovevo smettere di fissarla. Ma gli occhi sembravano non averne mai abbastanza. Ma com'era potuto succedere. Poteva davvero essere la stessa paperella che mi seguiva ovunque e sbatteva dappertutto? D'altronde se non fosse stato per il fatto che si trattava di mia sorella c'era sempre il fatto che in quel momento era preda della follia. O forse... Be' forse ero io il folle. Che osservava tutti senza comprendere, che se la prendeva tanto per un morto, che vedeva strane creature nell'oscurità e che covava malsane voglie per la sorellina di quattordici anni. Perfetto. Questo risolveva tutti i problemi in un colpo solo! Trasformandoli in un solo, enorme, problema. Soluzioni? Le stesse di prima. Sempre quota zero. Mi buttai sul letto sperando in una sana e abbondante dose di tempestivo oblio.

Buio. Una voce. Luce.

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Capitolo 3
*** La festa di inizio estate ***


-Ivan! Scendi, la colazione è in tavola!- Aprii gli occhi alla luce di quel nuovo giorno. Profumo di pane caldo. La festa d'inizio estate era un dono dal cielo. Era di certo stato tutto un incubo. Fantastico. Mi tirai su a sedere. Il letto di Evelin era vuoto. Tutto filava liscio. Non poteva andare meglio. M'infilai i vestiti preparatimi da mia madre. Mentre li mettevo pensai che dovevo decisamente farmi un bagno. Un folle pulito sembra molto meno folle di un folle sporco. Forse perché l'acqua lava via la follia? Chissà, magari avevo trovato la cura eh! Scesi e mi sedetti. Mia madre era intenta a riparare dei calzoni. Mentre mangiavo pane caldo e un paio di pesche entrò di slancio mio padre.

-Grandi notizie gente!- il mio stomaco si chiuse immediatamente. -Ho deciso di fare il contadino!- Mia madre batté le mani eccitata. Il mondo cambiò colore e riassunse i toni nauseabondi del giorno prima. Le pesche stavano tentando di saltar fuori come se avessero rimbalzato sul fondo dello stomaco.

-Padre, ma cosa dite! Solo ieri avete detto di voler fare il pescatore!-

-Io? Noo! Assolutamente. Io sono un contadino. Sempre stato un contadino.-

-...e... allora, perché dite di volerlo diventare?-

-Non ho detto di volerlo diventare, ma di volerlo fare. Intendendo dire che da oggi mi piacerà quello che ho sempre fatto!- Mia madre si dimostrava sempre più estasiata.

-No padre! Non siete mai stato un contadino! Per quasi trent'anni non avete fatto altro che costruire strumenti! Ecco cosa siete, siete un liutaio!-

-Io!? Mai stato liutaio, io!- mio padre era sempre più perplesso, intravedevo una breccia e all'improvviso ne intravidi un'altra. Un liuto, una delle sue opere migliori era sfuggita per disattenzione o per emozione, alla mano della follia e se ne stava sopra alla mensola del camino, dov'era sempre stato. Lo presi e glie lo misi sotto gli occhi.

-Guardate qui! Vedete queste? Sono le vostre iniziali! Questo l'avete costruito voi! Ed è un'opera d'arte!-

-Ma com'è possibile... io sono un contadino- Continuava ad osservare perplesso i due monogrammi, così spinsi ancora più in là la sua coscienza. Aprii la porta e lo spinsi fuori.

-Guardate casa nostra! Vedete campi qui intorno?-

-Certo che no! Li abbiamo fuori del villaggio!-

-No che non li abbiamo, padre! Non abbiamo terreni! Avevamo solo la vostra officina prima che voi decideste di vendere tutti i vostri attrezzi! L'unica cosa che abbiamo è quel piccolo orto lì! Di cosa vivrete d'ora in poi!?- In realtà la cosa non mi preoccupava affatto. Loro non erano certo stati in grado di capire la portata del mio successo. Avrei potuto ricomprare i suoi attrezzi tutti in blocco e persino di migliori e solo perché, in un mondo normale, i suoi attrezzi lo rendevano felice. Altrimenti non avrei affatto faticato a mantenerli io stesso. Ma questo ora non era importante.

-Be', vivremo del mio lavoro e di quello di tua madre-

-Di quale lavoro state parlando padre?- gettai un'occhiata in direzione di mia madre, anche lei perplessa.

-Anche tua madre è una contadina. Vedrai, in due ce la faremo.- mi voltai nuovamente verso di lei che, sentitasi chiamata in causa, si difese:

-no Simien, non ho mai fatto la contadina. Non ho mai lavorato in un campo in vita mia.- Non era vero. Per certe raccolte tutto il villaggio si riuniva per lavorare insieme, ma quelle occasioni in effetti venivano considerate più che altro delle feste. Mio padre guardava sua moglie sempre più spaesato e non sapeva che dire. Perfetto, la follia stava subendo un dissesto. Solo che io non sapevo cosa fare. Ci fosse stata anche Evelin avrei sicuramente compreso di più.

-Non vi preoccupate. Le risposte arriveranno.- Non sapevo cos'altro dire, ma stavo riacquistando sicurezza. Se i loro ragionamenti cominciavano a presentare delle buche allora non erano i miei ad essere totalmente campati in aria. Decisi di fare un giro di ricognizione. Se in un villaggio tutti sanno tutto di tutti chi sa più di tutto di tutti e prima di tutti è il locandiere. GelCormann. Dovevo giusto rivolgergli un paio di domande. Mi lasciai dietro i miei, già intenti a parlare del più e del meno e di come prepararsi alla festa. Già, la festa. Forse intravedevo un'occasione.

La locanda non era altro che una comunissima casa di Lud, l'unica particolarità è che aveva un piano in più del normale. Kemel solo sa perché. Col traffico di forestieri per Lud sarebbe bastata una sola stanza a quel posto. Ma le sorprese non finivano qui. Aveva anche un piano seminterrato che fungeva da magazzino. Alla locanda quindi si accedeva tramite una breve rampa di scale. Non so come quel posto fosse passato in mano a GelCormann ma ricordo che prima aveva un'altra funzione e che era stato costruito con la collaborazione di tutti. Storie sentite e risentite e da me personalmente ripetutamente dimenticate.

-Guarda un po' chi si rivede! Che gli dei mi fulminino se quello che vedo non è Ivan lo Stretto!-

-Indispensabile, Yian. Indispensabile.- ecco un altro momento ideale per possedere un cappello da togliersi. Cavolo!

Il mio soprannome non ha ovviamente bisogno di essere spiegato. E' uno di quei nomi che nascono dal nulla e che finiscono per rimanerti attaccati addosso e per attaccarsi anche ai propri figli magari. Diversamente da quello di mio padre il cui nome di famiglia è tipico di Lud e significa semplicemente abitante di Lud. Capita che le radici di una famiglia, in un momento difficile di un certo periodo, si possano perdere per sempre e così si rimedia mettendo un nome di comodo. In quei periodi può capitare di doverlo fare con ben più di una singola famiglia. Così, al bando la fantasia, si risolve con un solo nome di comodo. Ecco perché probabilmente i miei figli prenderanno il nome di “lo Stretto Indispensabile”. E più probabilmente ancora mi odieranno per questo. Quello che odierei io invece è se, per colpa dei pigri come Yian, il mio nome dovesse finire per diventare “lo Stretto” e basta.

La locanda era vuota, tranne per un tipo riverso su un tavolo che forse aveva cominciato a festeggiare troppo presto e per Yian stesso, impegnato a sistemare varie casse e cassette dietro il bancone. Lui doveva essersi preparato a lungo per la festa di quella sera. La maggior parte dell'alcol di Lud passava per le sue facoltose e untuose mani. Mi arrampicai all'altezza del bancone tramite uno sgabello.

-Allora! Cosa vuoi che ti dia da bere Ivan?-

-Storie, Yian. Dammi da bere delle storie-

-Ma quello non è compito tuo? Io sono quello che le ascolta le storie, signor Bardo. Forse siete un po' disorientato.-

-Allora facciamo così Yian. Io chiedo e tu rispondi. Cominciamo con le domande facili. Chi è a capo del comitato organizzativo della festa? C'è ancora posto per il Bardo migliore del regno?-

-Quest'anno è Markut. Da non credersi eh!? Ghgh. Pensare che le ha sempre evitate come l'acqua un ciucco queste cose.- Sì, rideva proprio così. Assomigliava vagamente al suono che potrebbe fare una vecchia bottiglia piena di sabbia intenta a scatarrare. -Per quanto riguarda i posti non ti devi preoccupare. Abbiamo la solita Orchestra “Gran Quartetto d'Archi” degli ultimi quarant'anni. Non mi stupirei se continuassero a suonare dalla tomba. Ma per evitare pericoli inutili li seppelliremo ben lontano da Lud!-

-Fantastico! Ehi, ma che gli ha preso a Wingann!? Ieri sera l'ho visto entrare qui blaterando sulla fine del mondo...-

-E io che ne so! Un giorno ha fatto qualcosa di strano come al solito e si è messo a cianciare in mezzo alla strada come al solito. Solo che ora è più convinto. Lo considererei un miglioramento se fossi il vecchio druido. Ma in fondo cosa importa. Li capisci i matti tu?-

-Mh, già. Ma quando ha cominciato?-

-Perché così interessato?-

-Storie, Yian.-

-Direi due giorni fa. Ma chi vuoi che gli badi!-

-E la gente che gli va appresso?-

-Perdigiorno, fannulloni. Oggi si divertono così, domani si stuferanno. Dovresti conoscere la specie Ivan.-

-Certo, certo. Forestieri in città ultimamente?-

-A parte te? L'ultimo tre mesi fa. Vuoi il libro contabile?-

-No grazie. Non ce ne sarà bisogno. Come sta il vecchio druido?-

-E' scomparso. O almeno è una settimana che non si fa vedere.-

-D'accordo. E' tutto quello che hai da dirmi?-

-E' tutto quello che hai da chiedermi?-

-Va bene Yian. Potrai ascoltarmi stasera al Falò. Son sicuro che ti piacerà.- scesi dallo sgabello e mi apprestai ad uscire, ma poco prima dell'uscita mi fermai un attimo e dissi: -ah, Yian. E se ti dicessi che Adelbert è morto?-

-Muoiono tutti, Ivan.-

-E se ti dicessi che era morto mummificato?-

-Ognuno ha il diritto di crepare come gli pare.-

-Sacrosanto.- Uscii pensando di rinfilarmi il cappello.

Era ora di approfittare della neonata cortesia di Markut nei miei confronti. Mi diressi da lui. Intorno all'Albero era tutto un fermento di attività. Bussai. Questa volta fu lo stesso Markut ad aprirmi.

-Ehi Ivan! Che bello che sei tornato a trovarmi! Entra, dai.-

-No, grazie Markut. Vado di fretta. Ho saputo che sei a capo dell'organizzazione della festa e volevo chiederti se puoi ritagliarmi un posto. In fondo, da qui al confine opposto del regno, Lud è tra i pochi che non può vantare una mia esibizione. Imperdonabile no?-

-Imperdonabile davvero! Detto fatto Ivan, saremo tutti contenti di ascoltare qualcosa di nuovo da queste parti.-

-Grazie mille Markut. Allora a stasera.- ascoltai di sfuggita il suo saluto, deciso a continuare il mio giro perlustrativo. Dovevo capire i limiti e le nuove regole del gioco. Insomma, GelCormann era sembrato quasi normale. Come quasi tutti se non si tenevano in conto i cambiamenti di personalità e se non ci si finiva a parlare di morti e lavoro. Ah sì, poi ovviamente c'erano casi di memoria più breve della mia. Inaccettabile. Il villaggio era il solito. Ogni tanto questo o quello scorcio mi riempivano di nostalgia ma non durava mai troppo a lungo, il villaggio era in fermento e traboccava di vitalità. Effettivamente mi accorsi che mancando da otto anni non potevo accorgermi dei piccoli segnali che avevo dato per scontato di notare, ma ad un certo punto qualcosa venne fuori. Dalla casa degli Aldebaran giungevano suoni e voci niente affatto felici. La conversazione che intercettai fu pressappoco questa:

-Fuori da casa mia!-

-Ma è anche casa mia questa!-

-Fuori di qui! Brutto porco!-

-Non era mia intenzione... davvero.-

-Non era tua intenzione? Non era tua intenzione!? Ma certo! Può capitare a chiunque di risvegliarsi in casa d'altri nel letto di una donna! E come no!-

-Ti ho detto che questa è anche casa mia!-

-Non ti ho mai visto! Bugiardo! Profittatore! Schifoso!- Nel frattempo gettava via le sue cose.

-Nemmeno io ti ho mai vista! Non capisco! Ma lo vedi da te. E' la mia roba quella che stai buttando in strada, come è possibile!?-

-Che vuoi che me ne importi!-

-Ti prego, non ho dove andare. Non ho denaro con me!-

-Dormi con quelli della tua specie! Maiale!- Pum. Portone chiuso. Non ero l'unico spettatore. In vita mia, mai vista folla di curiosi meno curiosa e partecipe di quella. Ora, Gavin e Lorial Aldebaran erano due persone dabbene, possidenti terrieri che avevano lasciato tutto in eredità ai svariati figli sparsi nel mondo e campavano di una rendita di tutto rispetto, il rispetto bastante per comprare il villaggio di Lud con foreste annesse direttamente dal re di Argentum. Loro erano persone semplici e quindi risparmiavano mettendo i loro risparmi sotto le assi del pavimento. Tutta Lud sapeva di dormire su una vena d'oro artificiale. La caratteristica principale degli Aldebaran era la loro longevità, sia come persone che come coppia. Insieme quei due raggiungevano il secolo e mezzo e avevano festeggiato il mezzo secolo insieme poco prima della mia partenza se non ricordo male. Cosa possibile, certo. Ma che ricordassi così male da averli solo immaginati insieme lo escludo persino io. Mi avvicinai ad un Gavin mortificato e confuso intento a racimolare le cose sparse in strada e a confabulare fra sé frasi masticate e incomprensibili.

-Signor Gavin...-

-Oh, tu sei Ivan. Ma guarda! Ivan, da dove salti fuori?- Non ricordava la moglie con cui aveva condiviso quasi tutta la sua vita e si ricordava del nano in fondo alla strada. Dovevo decisamente rivalutare le mie capacità mnemoniche.

-Senta, non vorrei metterla in imbarazzo, ma se non ha soldi per la locanda posso farla stare da me. Non c'è problema. Venga.-

-Eh? A casa di Simien? No, non è possibile. Non ha spazio.-

-Sì che c'è, c'è un'intera stanza che l'aspetta. Io e Evelin possiamo dormire nella stalla, siamo giovani, dormiamo dove possiamo.-

-No. Non lo permetterei mai. Ma se me lo concedi dormirò volentieri io nella stalla. Grazie.-

-Certo, come preferisce signor Gavin. Tanto con la festa di stasera ognuno dormirà dove si troverà in quel momento. E scommetto che lei e Lorial farete pace prima di domani.-

-Eh? Lorial? Chi è, la signora che mi ha sbattuto in strada?-

-...-

-Non ho intenzione di far pace con quella vecchia strega! Che accuse assurde! Se anche mi funzionasse ancora non andrei certo a cercarmene una rassomigliante ad una pera cotta!- Senza continuare ad aggiungere altro lo accompagnai alla stalla per essere sicuro che non si perdesse. Disorientato non sembrava, ma io lo ero eccome. Le regole di questo gioco mi erano sempre più oscure e quindi non mi restava che seguire il buon senso e l'educazione. Gli mostrai la stalla e gli preparai un giaciglio mentre continuava a confabulare e masticare frasi incomprensibili. Attinsi l'acqua al pozzo e riempii l'abbeveratoio a Vago, dopodiché, mentre Gavin si allontanava per la strada in camicia da notte, tornai al pozzo e finalmente mi lavai. Mi affacciai in casa. Non c'era nessuno. Mezzodì era trascorso senza che mi facessi vedere, loro dovevano aver mangiato e dovevano essere tornati ognuno ai propri affari. Qualunque questi fossero. Salii in camera. Vuota. Aprii la cassapanca e tirai fuori i vestiti da festa. Non erano essenziali, l'unico abito essenziale che vedrete addosso ad un bardo è il suo mantello. Ognuno ha il proprio e già da solo basta a raccontare la sua storia. Al tempo il mio non era granché ma ora ha tessuto, a volte anche l'uno sopra l'altro, pezzi di stoffa ognuno collegato ad una storia diversa. Alcuni firmati da persone considerate ormai degli eroi, altri talmente raffinati da valere una moneta d'oro anche così ridotti, altri ancora appartenuti a donne talmente belle da indurre a sentirne l'odore anche ora che sono indosso ad un nano viaggiatore. Improvvisamente mi bloccai. Stavo tentando di frenare quell'impulso, ma sapevo che vi avrei ceduto. E quindi vi cedetti. Mi voltai verso il letto di Evelin, mi ci gettai e affondai il volto nel cuscino. L'odore di sudore m'inebriò e scatenò dentro di me la lussuria. Avevo ceduto. Ora non sarei riuscito più a guardare mia sorella con gli stessi occhi. Anche qui, col senno di poi, poco male.

La festa cominciava al tramonto. Io ero pronto già un'ora prima. Ero un talento naturale e, a parte controllare le condizioni della cornamusa, non avevo bisogno di ripassare granché il mio spettacolo. Per lo più improvvisavo e ripassavo soltanto quelle battute e i tempi delle storie che consideravo azzeccati per quell'occasione. Poche cose sfuggivano al mio controllo, quindi mi preparavo provocazioni e risposte alle provocazioni, poiché sapevo esattamente cosa aspettarmi dal mio pubblico. E le poche cose che sfuggivano al mio controllo erano più che benvenute, più ve n'erano, più mi divertivo. Altrimenti era sempre la solita solfa. Questa volta però era diverso. Non avevo la minima idea di cosa aspettarmi, ero elettrizzato. Non provavo più quell'emozione dalle prime volte che mi ero esibito. L'ultima era stata alla corte di Argentum, ma si era spenta subito, la corte è il luogo più noioso in cui esibirsi. Ma questo pubblico. Mi rendeva di nuovo un principiante. Una sfida complessa e imprevedibile. Dovevo essere abile perché tra le varie storie avrei dovuto inserire quella che raccontava degli strani esseri, della carovana e del suo conducente e poi studiare le reazioni in piccoli campioni di pubblico. Era meglio evitare di parlare di Adelbert. Un po' perché avevo già ottenuto risultati, se così si possono chiamare, dai campioni più interessanti e un po' perché parlando di Adelbert non avrei potuto fingere che la storia appartenesse a una “fonte alternativa”, in più c'era l'effetto riflesso. Le persone tendono a valutare meglio alcune situazioni se le osservano da un punto di vista esterno. Quindi piuttosto che la carovana di Lud e il carovaniere di Lud questa storia sarebbe appartenuta ad un villaggio molto simile a Lud e alla giusta distanza, quanto basta per destare interesse e preoccupazione, ma non sufficiente per presagire una reale minaccia. Una storia, finché ha connotati da storia, risulta paradossalmente più credibile di una notizia. Come vedete è una professione piuttosto complicata e certe cose s'imparano con l'esperienza. Purtroppo da Lud non mi aspettavo certo una risposta convenzionale ai modelli da me appresi. Non ero nemmeno in grado di scoprire l'identità del carovaniere. In un villaggio normale sarebbe bastato allungare l'orecchio nel momento giusto. Ma che dico, sarebbe stato l'unico argomento di conversazione per almeno due settimane. A Lud era inutile persino chiedere. Il massimo della partecipazione a quella conversazione era “Saranno affari suoi di dov'è andato a finire” e per chi lo stesse pensando purtroppo no, non corrispondeva anche al minimo. Se pensate che la gente doveva preoccuparsi dei propri investimenti vi basterà pensare al comportamento del mio vecchio. °

Ed eccoci alla festa d'inizio estate. Adeguandomi al mio ruolo di principiante arrivai puntuale, mentre anche gli altri musici tentavano d'accordarsi. Questo pensavo all'inizio. In realtà ero in ritardo e loro avevano cominciato a suonare già da un po'. Avrei voluto applaudire ed acclamare le brave genti di Lud che riuscivano a ballare quella roba. Be', in ogni caso ero in anticipo sulla mia tabella di marcia. Io arrivavo come piatto forte, mica come antipasto. Ma farmi attendere qui a Lud, dove tutti mi conoscevano dall'infanzia e dove nessuno sapeva della mia fama di Bardo era non solo inutile, ma persino controproducente. Avrei dovuto conquistarli. E non avevo idea di come fare.

Tranquilli, la farò breve. Non è affatto piacevole ricordare quella festa. Fu un fiasco totale. No, nessun parassita da palco e niente 'tiro al nano' per loro. Semplicemente erano ebbri. Ecco il loro segreto, ecco come facevano a ballare sulle musiche del 'Gran Quartetto d'Archi'. Ballavano e acclamavano qualsiasi cosa. Appena me ne resi conto feci un paio di esperimenti, poi altri due, poi esagerai e arrivai a cantar loro una canzone che composi sotto dosi massicce di birra nanica per dei barbari del nord. Erano entusiasti. Lo sarebbero stati anche per il richiamo d'amore d'un gatto in calore. Praticamente gli bastava salire sui palchi e data l'abitudine dei gatti di scegliere i posti alti non sarebbe stato neanche così inusuale. Non a Lud. E' un detto che io stesso ho sparso per i Tre Regni, “succede a Lud” si dice. Esatto, proprio così.

Sotto i miei occhi vidi passare cariolate di oggetti destinati alle fiamme. Tra questi, gli strumenti di mio padre. Fu un duro colpo, ma non potei evitarlo. C'erano anche altre cose ovviamente, ma di certo il pezzo più strano lo conoscete già, inutile farvi altri esempi oltre alla mummia rinsecchita che aveva reso vedova una delle celebranti. Verso il pieno della festa, al limitare del cerchio di luce dato dal Falò, vidi un'ombra allontanarsi, andava in direzione della foresta. Poi mi resi conto del perché mi accorsi di lei. Mi aveva fissato per tutto il tempo con occhi di ghiaccio. Senza pensarci su due volte scesi dal palco e mi gettai all'inseguimento. Nessuno fece storie, proprio come mi aspettavo. Ogni tanto centravo uno schema in questo strano gioco. La figura cominciò a correre ed io le corsi dietro. Ma io ho le gambe corte e quella era decisamente troppo veloce. Dopotutto se l'avessi raggiunta cosa avrei fatto? Di sicuro non le avrei potuto chiedere spiegazioni. Così, ormai fermo in mezzo all'oscurità, mi accorsi di essere in serio pericolo e mi sbrigai a tornare verso la luce. A metà strada, quando ormai pensavo di potercela fare, il fuoco si spense e la luce scomparve. Corsi con tutte le mie forze, corsi in preda al panico. E infine giunsi. La folla cominciava a diradarsi, il Falò era tutto una brace e cataste di legna bruciacchiate. In realtà all'interno bruciava ancora e avrebbe continuato a consumarsi. Magari si sarebbe anche ripreso. Ma la folla si disperdeva. Fermai qualcuno.

-Ehi! Ehi!! Cos'è successo al Falò? Come si è spento?-

-Siamo stati noi. L'abbiamo spento ovviamente. Eh, in effetti non è facile. Il trucco sta tutto nel gettare l'acqua alla base.-

-No, ma perché l'avete spento!?-

-Eh? Perché? Be' ma perché è tardi. La festa è finita-

-Cosa?-

-La festa è finita. E' tardi! Non vedi che è buio? Stai bene figliolo?-

-Cosa?-

-Bah! ...Ragazzini!- disse andandosene.

-Cosa?-

Avanti messeri, tutti insieme! 'Cosa?'! Proprio così. Dannazione, l'unico schema riconoscibile di quel gioco è che appena pensi di averci capito qualcosa quello ti frega e cambia le regole. Al diavolo!

Presi armi e bagagli e me ne tornai verso casa come tutti. Ero stremato. Mai stato così stanco dopo uno spettacolo, figurarsi mezzo spettacolo. I miei si erano rinchiusi nella loro stanza, mia sorella non era in camera. Fosse stata una festa normale, in un villaggio normale l'avrei semplicemente immaginata in giro con un ragazzo o qualche amica. Invece l'unica cosa che riuscivo a immaginare in quella situazione è che fosse lenta a camminare o che a fine festa si trovasse dall'altra parte del villaggio. Non sarei mai riuscito a prendere sonno in quelle condizioni così mi sedetti sul davanzale e scrutai dalla finestra. Dava sul lato della casa e si vedeva sia la strada principale che la stalla. E il problema si trovava qui. O meglio, non c'era più. Non vedevo né Gavin né Vago. Scesi di corsa, mi diressi alla stalla. Niente. Cominciai a chiamare e sentii nitrire poco distante. Trovai Vago, era sellato. Di Gavin nessuna traccia. Maledetto bastardo. Vecchio pazzo. Maledetta Lud! Non c'erano regole. Nessuna! Chi mi assicurava di non essere ucciso nel sonno dai miei stessi parenti?

Con questi pensieri tornai alla mia stanza dopo aver legato nuovamente Vago ed essermi assicurato che stesse bene. Altro non potevo fare. Ancora nessuna traccia di Evelin, disperavo di rivederla. Sapevo che sarebbe stato peggio. Ma non potevo evitare. Mi misi a letto e mi costrinsi a chiudere gli occhi. E questa volta, il sonno, giunse davvero in fretta. °

Non fui svegliato né dal canto del gallo, né dal frinire delle cicale. Fu la semplice luce. Mi sedetti, il sole era alto. Forse le nove, le dieci. Il letto di Evelin era rifatto. Mi affacciai alla finestra. Tutto calmo. Nessuno in vista. Guardai la stalla. Ancora tutto calmo. Nessuno in vista. Sbadigliai. Mi stiracchiai. Presi tempo per svegliarmi. Dopodiché mi fiondai giù per le scale. Rapide immagini senza senso scorsero davanti ai miei occhi. Giunsi alla stalla. Nessuna traccia di Vago. Sella e briglie al loro posto. Chiamai. Niente. Chiamai i nomi dei miei genitori e di Evelin. Nessuna risposta. Tornai in strada. Nessuno in vista. Guardai da un lato della strada, verso il sentiero. Nessuno in vista. Guardai dall'altro lato della strada, verso l'Albero. L'Albero. L'Albero era morto. Secco. Praticamente disidratato. Anzi, mummificato. Un tappeto di foglie in terra. Marroni, come la terra. Un mare, con la sua marea che si dipanava per le strade. E foglie fino a miei piedi. Marce. Corsi in casa di Esbeth. Nessuno. Corsi nella casa di fronte. Nessuno. Feci la stessa cosa con almeno altre tre o quattro case. Nessuno. In mezzo alla strada continuai a voltarmi da un lato all'altro disperando di vedere anima viva. Annientato, caddi in terra. Mani in grembo e privo di forze. Infine, il mio sguardo si abbassò su un oggetto. Una piuma. Una piuma d'aquila. La rigirai tra le dita e la osservai attentamente. Poi la osservai nel modo in cui si osservano le cose quando vuoi capire la loro natura. Era debole, ma c'era ancora una traccia magica. Ora avevo una direzione. L'unica cosa che mancava era un cappello.

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