Caribbean Tales 2 - Davy Jones' Locker

di Laura Sparrow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ritorno a Tortuga ***
Capitolo 3: *** Soli, insieme. ***
Capitolo 4: *** Una visita inattesa ***
Capitolo 5: *** Affari di famiglia ***
Capitolo 6: *** L'uomo eterno ***
Capitolo 7: *** Adoro i matrimoni! ***
Capitolo 8: *** Rottura. ***
Capitolo 9: *** In trappola ***
Capitolo 10: *** Capitano, per sempre... ***
Capitolo 11: *** Dolore ***
Capitolo 12: *** Il patto. ***
Capitolo 13: *** Strategia ***
Capitolo 14: *** Ferite da curare ***
Capitolo 15: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 16: *** Con me o senza di me ***
Capitolo 17: *** Le ultime lettere ***
Capitolo 18: *** “L'acqua si spalanca e precipitiamo dentro...” ***
Capitolo 19: *** Il momento più opportuno ***
Capitolo 20: *** Promessa Pirata ***
Capitolo 21: *** Sailing Homeward ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Avevo imparato che il ponte di una nave non era mai del tutto stabile: anche quando si era concentrati nel combattimento bisognava sempre tenere conto di quel lieve rollio continuo, che se ignorato poteva farti perdere l'equilibrio nel momento meno opportuno.
Ma ora non era quello il problema: il problema, come al solito, era il mio avversario.
Jack mi girava attorno quasi pigramente, le lame delle nostre spade erano vicine, ma mentre la mia era nervosa e pronta a scattare ad ogni movimento sospetto, la sua era rilassata, appena in guardia.
Era una cosa che mi faceva dannare: ti avvicinavi a Jack a spada sguainata e pronta a combattere, e lui non si metteva nemmeno in guardia, come se di duellare non avesse neppure voglia. Ti girava attorno con calma, guardandoti come se ti considerasse il re degli imbecilli, spesso e volentieri ne approfittava per canzonarti con qualche battuta, e a tratti ti stuzzicava facendo cozzare brevemente le lame, mettendoti in allarme, così che non capivi mai quando avesse intenzione di attaccare veramente.
Le lezioni di scherma con Jack si trasformavano sempre in una baraonda: non limitarti a combattere solo con la tua spada, mi aveva insegnato; combatti con tutto il corpo e con tutto quello che hai intorno, sfrutta il posto dove combatti: ogni luogo è buono per sparire davanti al tuo avversario o per costringerlo ad azioni complicate; se puoi combatti anche con le parole, stuzzica il tuo nemico, fallo arrabbiare, confondilo, non fargli capire se stai facendo sul serio o se stai scherzando con lui.
Erano teorie estremamente interessanti, ed era sbalorditivo vedere Jack metterle in pratica: poteva non essere uno spadaccino provetto come lo era Will, ma la sua tecnica compensava tutto. Per questo le prime volte che decise di seguire personalmente le mie lezioni di scherma, per la maggior parte finì in una sorta di rissa vichinga.
La sua lama guizzò: gli avevo permesso di avvicinarsi troppo. Mi scostai di lato, ma non vidi il suo piede provvidenzialmente teso: inciampai, persi l'equilibrio e piombai sul ponte, mentre anche quel duello si concludeva con la mia spada che ruzzolava sferragliando sulle assi di legno.
- Cosa stai per dire?- mi fermò Jack sogghignando con un dito alzato, vedendomi alzare stizzita lo sguardo su di lui. Esitai e richiusi la bocca: regola numero uno, non esiste il “non vale”.
- In ogni caso, stai migliorando. - aggiunse mentre si chinava e mi porgeva la mano per aiutarmi a rialzarmi. - Ho avuto un maestro d'eccezione. - risposi rivolgendogli un sorriso mentre mi rialzavo; lui non mi lasciò subito, tenne stretta la mia mano per qualche secondo dopo che mi fui rimessa in piedi.
- Continua ad allenarti. Non vorrai finire sotto la spada di qualcuno al tuo prossimo arrembaggio, comprendi?- mi stuzzicò con un sogghigno lasciandomi e allontanandosi da me di un passo, facendo dondolare la sua lama. Raccolsi la spada e la infilai nel fodero, fingendomi offesa: - L'altra volta me la sono cavata egregiamente. -
- “L'altra volta” se non c'ero io, Beatrix ti faceva a tocchetti. Non sei ancora un pirata, tesoro. - ribatté lui, strafottente.
- Chi sei, il mio angelo custode?- lo rimbeccai, voltandogli poi le spalle e incamminandomi lungo il ponte. Jack rimase a guardarmi con un ghigno divertito dipinto sul volto: non mi avrebbe certo lasciato andarmene così, voleva avere l'ultima parola anche in quel caso.
- Ti amo, capitano Laura Evans!- mi gridò dietro in tono di pura sfida col sogghigno stampato in viso, allargando le braccia in modo teatrale.
Mi bloccai e mi voltai verso di lui: non seppi replicare, ma mi arresi regalandogli un sorriso mentre mi sentivo le guance dannatamente in fiamme. Anche stavolta aveva vinto lui.
Jack continuò a seguirmi con lo sguardo mentre mi allontanavo, senza cancellare il sorriso compiaciuto dalla sua faccia. Ora si sentiva veramente stupido, ma almeno era uno stupido soddisfatto.

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Capitolo 2
*** Ritorno a Tortuga ***


Capitolo 1
Ritorno a Tortuga



Cara Elizabeth
Che dire di me? Nessuna novità a parte il fatto che mi sono innamorata di un capitano pirata, sono fuggita con lui e ora sono una temibile donna di mare.
Ancora non riesco a crederci. Viviamo sulla Perla Nera con il resto della ciurma, con cui conviviamo fraternamente, Annamaria è un'ottima compagnia, Michael adora essere un pirata: pare che tutti i suoi sogni si siano realizzati in un colpo solo. Beato lui che non ha dovuto aspettare vent'anni. Ma almeno ora posso dire che è valsa la pena dell'attesa. Faith sembra avere trovato il suo posto insieme a quel pirata: Ettore.
Il destino a volte prende strade sorprendenti, non trovi?
Lo so che vorrai sapere di me e Jack, e immagino anche che quando riceverai questa lettera ci sarà William che si fingerà insofferente a certi pettegolezzi da donne, ma che di tanto in tanto butterà l'occhio pensando di non essere visto. Razza di impiccioni, tutti e due!
L'unica cosa che vi dico è che non ho mai amato tanto nessuno prima d'ora, e che non sono mai stata più felice. Io ho trovato il mio posto, e non posso fare a meno di immaginare te, Liz, qui insieme a noi: come nei nostri folli sogni di ragazze, ricordi?
Mi mancate tanto.

La vostra feroce pirata dei Caraibi
Laura


Quando facevamo scalo in un porto, potevo affidare le mie lettere ad un corriere, che presto o tardi le avrebbe portate a Oyster Bay. Se ricevevo risposta, dovevo attendere di ritornare nello stesso porto da cui avevo spedito la prima lettera per poterla ricevere: perciò la mia corrispondenza con William ed Elizabeth era lenta e discontinua.
Nelle loro risposte c'erano sempre resoconti sommari di come andassero le cose da loro, ogni tanto qualche novità e molte domande su quello che facevamo o su come ci trovavamo ad essere pirati. Le acque, da loro, parevano essersi calmate: ora che Will era tornato potevano finalmente cominciare a vivere come una vera famiglia, e da quanto mi pervenne attraverso le lettere si Elizabeth, sembrava che William e il figlio avessero fatto grandi progressi.
Tortuga.
La prima volta che vi ero approdata non avevo saputo apprezzare quella sua folle anarchia, le locande dove i pirati andavano a sperperare un bottino conquistato, quella giostra frenetica di gente nelle strade: la prima volta ne ero anche stata spaventata. Non era ancora il mio mondo.
Ma avevo presto imparato che non si tocca la cenere senza sporcarsi, e avevo scoperto che bastava raschiare la superficie di quella realtà che prima poteva sembrarmi immorale o lontana dal mio modo di pensare, e andare più in profondità per scoprire un suo strano, magico e folle equilibrio.
Tortuga era la città dei pirati per eccellenza: le migliori locande e le case di piaceri, ladri e tagliagole, e complesse corporazioni di briganti. Vi respiravo un'aria diversa, ora che vi ero nel cuore e non più sul confine col mondo civile.
Il giorno volgeva al termine: il sole del tardo pomeriggio rosseggiava su Tortuga che sembrava cominciare i preparativi per la sua danza notturna. Io mi trovavo alla “Testa di Turco”, una locanda senza pretese a pochi passi dal molo: avevamo bisogno di nuovi imbarchi per la ciurma dopo che diversi uomini avevano lasciato la nave in seguito alla spartizione dell'ultimo fortunato bottino, così io e Faith ne avevamo approfittato per andare a scambiare quattro chiacchiere in una taverna.
Avevamo lasciato la Perla poco prima mentre le prime ombre della sera cominciavano a stendersi sulla città e, contemporaneamente, le strade cominciavano a brillare di una luce più viva e scoppiettante: un bacio mandato da Faith ad Ettore che ci aveva salutato da lontano con la mano, poi io avevo avvertito la presenza di uno sguardo su di me, e mi ero voltata perché lui era lassù sul castello di prua, e mi aveva salutata con un cenno e un sorriso speciale come solo lui sapeva farne. Avevo ricambiato, sentendomi invadere da un calore che da qualche tempo era una presenza costante.
Era ancora il mio capitano, su una nave vigeva una gerarchia che andava rispettata, eppure fra noi c'era sempre quella scintilla mai spenta, quello sguardo speciale solo per me, o il modo divenuto per lui del tutto naturale di avvicinarmisi e circondarmi con un braccio quando ci ritrovavamo sul ponte la mattina per controllare la rotta.
Fino a poco tempo fa io e la mia compagna non ci saremmo mai azzardate ad andare da sole in giro per Tortuga, ma ormai avevamo accumulato un po' di esperienza e la città non faceva più paura: ormai tutti sapevano delle donne pirata della Perla Nera, e godevamo anche di un certo rispetto.
Giravamo ormai sempre in abbigliamento maschile per praticità, anche se ormai non avevamo più bisogno di travestirci da uomini per non essere importunate: avevamo imparato ad usare le nostre pistole e spade, e giravamo sempre ben armate.
Probabilmente in quel momento neanche mia madre mi avrebbe riconosciuta, non portavo più l'abbigliamento povero di un semplice mozzo: indossavo una camicia bianca di batista e una lunga giacca di pelle chiara, simile a quella di Jack: il vento che soffiava in mare aperto alle volte era veramente freddo; un paio di pantaloni larghi e comodi, voluminosi stivali di pelle scamosciata, una grossa cintura a cui portavo appese la pistola e la spada che avevo imparato a portarmi dappertutto, la bandana rossa alla quale mi ero ormai affezionata e un cappello a tricorno nuovo di zecca... per quanto può essere nuovo un cappello sgualcito scovato raspando nei bauli della stiva. Era strano, ma ormai avevo fatto l'abitudine alla mia nuova vita da temibile pirata... e il mio ruolo non mi dispiaceva affatto.
- Allora? Niente in vista?- mi chiese Faith, incrociando le braccia sul tavolo. Scrollai le spalle e scossi brevemente il capo: - Niente di nuovo, o almeno, Jack non mi ha detto nulla. Penso che andremo avanti ad arrembaggi: i mercantili sono fruttuosi, come abbiamo potuto constatare dall'ultimo bottino... -
Un lieve sorriso si dipinse sulle labbra della mia amica, che per un attimo lasciò vagare lo sguardo per la taverna. - Insomma, è un po' che non facciamo nulla di veramente eccitante. -
Eccitante? Gettarsi negli arrembaggi non era abbastanza “eccitante”? Avevamo passato due settimane a zonzo per i Caraibi, le acque erano trafficate, quindi i nostri arrembaggi erano fruttuosi, e spesso ci fermavamo in qualche porto sicuro per fare rifornimento. I primi arrembaggi furono indimenticabili: ero eccitata e su di giri per una parte e tesa come una corda di violino per l'altra. Mi ricordavo i racconti di massacri, ponti viscidi di sangue, corpi che precipitavano in mare ai colpi di cannone: a quel pensiero il cuore sembrava deciso a sfondarmi la gabbia toracica e mi si mozzava il respiro in gola, mentre un senso di nausea nervosa mi tormentava quando per la prima volta la Perla Nera aveva raggiunto, rapida e letale, il fianco di un altro galeone.
Invece i mercantili erano piuttosto tranquilli e opponevano una resistenza minima: di solito ci bastava alzare il Jolly Roger e abbordare la nave con le spade sguainate perché tutti si arrendessero. Sapevano che resistere era un invito al massacro, e il più delle volte i marinai semplici non avevano firmato per combattere contro i pirati: prendevamo la nave e tenevamo sotto tiro il capitano e gli ufficiali, Jack non saliva a bordo finché la nave abbordata non era completamente sicura, allora ci raggiungeva sul ponte e costringeva il capitano a rivelare dove erano diretti, quale carico portavano e se ci fosse alcunché di prezioso a bordo, e di norma il capitano della nave prigioniera sapeva bene che mentire sarebbe stato un pessimo affare per se stesso e per la ciurma. Finii per farci l'abitudine: Jack aveva ragione, se la prendevi dal verso giusto era anche piuttosto divertente.
- Niente di eccitante? E quando Michael è caduto ed è rimasto impigliato sulle sartie?- replicai. Scoppiammo a ridere al ricordo: era stata una delle prime arrampicate sulle sartie per Michael, e aveva perso la presa; rimanere impigliato nelle corde era stato una specie di miracolo perché gli aveva evitato una fatale caduta sul ponte, ma la cosa divertente era che c'era voluto un quarto d'ora per liberarlo e i pirati avevano dovuto tagliare le funi per sciogliere il groviglio in cui era finito il ragazzino.
- Perché, e la cassa di rum finita in mare? Credevo che Jack ti avrebbe ucciso!- rilanciò Faith, sogghignando.
- Quella non è stata colpa mia! Le corde che la tenevano ferma hanno ceduto e al primo scossone la cassa è caduta fuoribordo!- mi difesi.
- Già, ma chi era che aveva fatto i nodi alle famose funi di sicurezza?-
- Non rigirare il dito nella piaga. - mugugnai, piccata. - E allora che dire di quando tutti stavamo cercando Ettore perché era il suo turno di vedetta e l'abbiamo trovato imboscato nella stiva con te?-
- Laura!- esclamò lei, diventando subito rossa e sgranando gli occhi alla mia frecciata inaspettatamente maliziosa: io risi di gusto e la fissai insistentemente con aria birichina. - Che ti prende Faith, in fondo non stavate facendo niente di male... Però lo sai che quando mi ci metto sono tremendamente curiosa... -
- E va bene, va bene... - si arrese Faith roteando gli occhi alla mia insolenza. - Se proprio vuoi saperlo volevamo soltanto dieci minuti per stare un po' da soli, cioè... io e lui. Non ci sono molte occasioni durante il giorno, con tutto il lavoro a bordo, e... -
- Capisco, capisco. - le sorrisi per dirle che non aveva certo bisogno di giustificarsi. - Sono contenta per te, Faith. -
Lei ricambiò il sorriso, imbarazzata: forse non ci eravamo ancora abituate del tutto a questa nuova realtà. Prima di allora cos'eravamo state? Due giovani donne sole che avevano dovuto cavarsela contando solo sulle proprie forze e fidandosi l'una dell'altra. Inevitabile che fossimo così unite e che per lungo tempo gli uomini fossero stati l'ultimo dei nostri problemi. Eppure ora entrambe avevamo trovato qualcuno da amare: logico che questo diventasse una parte della vita di ognuna di noi che non riguardava l'altra, era una cosa che ci allontanava e ci avvicinava al tempo stesso.
In quel momento ci si avvicinò la cameriera, una ragazza piuttosto giovane, venuta a ritirare i boccali vuoti: mentre prendeva i boccali sul vassoio ci chiese: - Desiderate altro, signore?-
- No grazie. - risposi, lei si voltò per tornare al bancone, ma in quel momento le tagliò la strada una ragazza sghignazzante inseguita da un pirata ubriaco: la urtarono e il vassoio le sfuggì, con una mano riuscì a prendere al volo uno dei boccali, ma l'altro di frantumò per terra. La cameriera sbuffò con aria rassegnata e si chinò a raccogliere i cocci. - Valerie Lawrence!- sbraitò il proprietario della locanda, arrivando di gran carriera. - Con cosa diamine servo da bere se le cameriere mi fanno a pezzi tutti i boccali?!-
- Oh, e piantala Richard!- lo rimbeccò a tono la cameriera, guardandolo storto. - In questo locale si spaccano dieci boccali al giorno, perché te la prendi con me?- il locandiere le agitò un dito davanti alla faccia. - Non ti permettere di parlarmi con quel tono! E dato che hai la lingua tanto lunga dico che oggi ti tolgo la paga, così impari come ci si comporta!-
La ragazza lo fissò con rabbia, gli occhi sgranati e le labbra strette, per un attimo pensai che avrebbe pianto, invece lei furiosa replicò: - Va al diavolo! A volte non so cosa mi trattenga dal mollarti un calcio dove so io!- - Il licenziamento, ecco cosa! E poi finiresti per le strade, chissà che quel tipo di lavoro non ti si addica di più!- replicò il locandiere, voltandosi e tornando al bancone.
- Te lo meriteresti proprio un bel calcio. - borbottò con rabbia lei, tornando a raccattare i pezzi del boccale. Non mi piacque per niente il modo in cui il locandiere l'aveva trattata, ed ero rimasta impressionata dal suo coraggio di rispondergli a tono, così quasi istintivamente mi alzai e mi inginocchiai accanto a lei.
- Ti do una mano?- mi offrii in tono gentile, lei mi guardò sorpresa. - Grazie. - rispose, guardandomi in modo curioso, come se mi stesse valutando. La aiutai a raccogliere tutto, e quando ci rialzammo Faith le disse: - Quel locandiere è un tiranno, non dovresti permettergli di trattarti così!-
La giovane scrollò le spalle con gesto esasperato. - Poh! Lo so benissimo, ma che ci posso fare? Più di rispondergli ci perdo il lavoro. - appoggiò il vassoio sul nostro tavolo. - Voi siete le donne pirata della Perla Nera, vero? Vi invidio, io sono in questa dannata stamberga da una vita. Mi chiamo Valerie Lawrence, e voi?- mi porse la mano e ce la stringemmo.
- Sono Laura Evans, capitano in seconda della Perla Nera. - Era giovane, doveva avere circa diciotto anni, di certo non di più, aveva lunghi capelli lisci e scuri raccolti in una rigida treccia sulla nuca, la carnagione abbronzata, labbra carnose e gli occhi grandi e castani: una ragazza bella, che forse normalmente sarebbe stato più facile trovare a fare moine ai marinai di passaggio in un bordello. Invece era lì in quella taverna, e il suo atteggiamento non suggeriva niente di delicato. Anche Faith si presentò, quindi Valerie prese a squadrarci entrambe con aria meditabonda. - Sentite... - disse, tormentandosi il mento con due dita. - Non è che sulla vostra nave avete bisogno di un mozzo? Lavorerei volentieri per voi. -
- Vorresti entrare nell'impresa? Tu?- Faith fece tanto d'occhi, ma Valerie le rispose con un sogghigno insolente come sfidandola a dirle cosa non poteva fare. - Non verrete proprio voi a dirmi che non è posto per una donna... - replicò, ironica.
Faith mi lanciò un'occhiata interrogativa chiedendo silenziosamente il mio parere: dopotutto il capitano in seconda ero io. Non vedevo motivo per non permettere a quella ragazza di venire con noi, in più dovevo ammettere che mi piaceva il suo spirito: sarebbe di certo stata una compagnia piacevole oltre a Faith ed Annamaria. Diedi voce ai miei pensieri con una scrollata di spalle. - In fondo, perché no? Penso che a Jack possa andare bene, dopotutto non avevamo bisogno di nuovi imbarchi?- spostai una sedia dal tavolo per invitarla a sedersi. - Siediti, ne possiamo parlare. Sei sicura di volere diventare un pirata? E' una vita interessante ma anche bella dura. -
- Questo postaccio non è tanto meglio. - replicò Valerie sedendosi in mezzo a noi due con naturalezza, come se per lei non fosse strano chiacchierare con due piratesse... e pensai che probabilmente non lo era. - Ho pensato che lavorare su una nave sia più interessante... e forse anche più redditizio. E poi visto che ci siete già voi due penso che non faranno storie anche se sono una donna. -
Mentre la ascoltavo parlare ad un tratto capii perché stavo prendendo in considerazione la sua proposta. Mi ricordava me stessa. Una me stessa più forte, più coraggiosa e disincantata, ma in qualche modo il tono appassionato col quale si era proposta di imbarcarsi con noi mi aveva fatto tornare alla mente l'emozione con cui tempo prima avevo chiesto a Jack di entrare fra i suoi pirati come mozzo, la prima volta che avevo messo piede sulla Perla Nera. Ci pensai sopra un attimo: curiosamente quella ragazza mi era già simpatica e non mi piaceva l'idea che fosse sola a Tortuga col locandiere che la trattava come una serva; ero certa che Jack non avrebbe avuto nulla da ridire, e due braccia in più per il lavoro facevano sempre comodo.
- Va bene, verrai con noi. - decisi, con un cenno affermativo del capo. - Considerati arruolata. -
Valerie sorrise entusiasta ed esultò, gli occhi improvvisamente accesi di gioia come se non avesse aspettato altro che quel momento per tutta la vita:- Fantastico!- si alzò in fretta dalla sedia facendo un mezzo giro su sé stessa. - Prendo le mie cose e vi raggiungo. -
- Valerie!- tuonò una voce alle nostre spalle: il locandiere aveva ricominciato ad urlare, gesticolando arrabbiato verso il nostro tavolo. - Adesso batti anche la fiacca? Torna immediatamente al lavoro!-
Lei gli lanciò un'occhiata storta che vibrava di collera repressa, poi si rivolse a noi con aria di sufficienza. - Scusate un secondo. - si voltò con uno sguardo carico di fredda determinazione, raggiunse a grandi passi il locandiere che ancora sbraitava, gli si piantò davanti, lo squadrò, poi gli rifilò una ginocchiata dritta in mezzo alle gambe: un colpo secco e preciso, di chi sa come colpire e dove. Gli improperi del locandiere si spensero con un guaito, e mentre lui barcollava con le mani strette all'inguine Valerie se la svignò correndo su per le scale con un sogghigno diabolico stampato in viso. Visto quello spettacolo, io e Faith ci guardammo negli occhi e scoppiammo a ridere di gran gusto.
- E' abbastanza tosta!- commentò Faith fra le risate.
- Decisamente!- concordai io, annuendo.
Due minuti dopo la ragazza tornò da noi con un sacco sulle spalle che doveva contenere tutti i suoi averi. - Partiamo?- domandò con impazienza. Effettivamente constatai che era meglio lasciare la locanda prima di attirare troppi spettatori: il locandiere sputava insulti rifugiato dietro al bancone; di lui non c'era da preoccuparsi, ma lo scambio di vedute fra lui e Valerie aveva attirato diversi curiosi, e non era saggio restare e dare opportunità a qualche sprovveduto di sfruttare quel pretesto per attaccare briga: già un paio di mezzi ubriachi ridevano e facevano commenti maligni, suscitando ulteriormente le ire del locandiere. Ce ne andammo in fretta mentre l'atmosfera iniziava a scaldarsi; mentre uscivamo dalla porta Faith mi rivolse uno sguardo divertito: - Riusciamo ad andare da qualche parte senza combinare disastri?-
Uscimmo sul porto: alcune navi erano ormeggiate sul molo e la Perla Nera spiccava come un gioiello tenebroso, come amavo definirla. La mia casa, il mio mondo. Cominciavo a capire perché Jack la amasse tanto.
Diedi un colpetto di gomito a Valerie e indicai la Perla: - Ecco, quella è la Perla Nera. -
Lei fu visibilmente impressionata alla vista della nave; quando salimmo a bordo continuava a guardarsi attorno, ammirando ogni cosa con evidente approvazione. Jack era sul ponte, davanti ad una fila di nuovi marinai e li stava passando in rassegna, o almeno così mi pareva, visto che sembrava parecchio distratto da un piccolo fascio di carte ingiallito che teneva in una mano e continuava a sfogliare col pollice, mentre di tanto in tanto si sporgeva a dire qualcosa a Gibbs che annotava frettolosamente tutto su un foglio.
- Jack!- lo chiamai mentre ci avvicinavamo. - Abbiamo un altro nuovo imbarco. -
Udendomi alzò gli occhi dalle carte che stava sfogliando con aria meditabonda e si voltò verso di me con un mezzo giro quasi leggiadro, con quei movimenti buffi e in qualche modo ipnotici che oramai mi erano familiari. - Sarebbe?- domandò, inclinando il capo. Io semplicemente accennai a Valerie che attendeva al mio fianco. Lui la osservò per qualche attimo, col mento sollevato e gli occhi socchiusi, in quel momento vidi il piccolo fascio di carte spiegazzato sparire nella tasca della sua giacca, poi sospirò alzando gli occhi al cielo. - Tesoro, tu prima o poi mi farai colare a picco la Perla. Non lo sai che porta male avere le donne a bordo?- Scoccandogli un'occhiata di biasimo mi avvicinai a lui e in tutta calma sollevai una mano, minacciando uno schiaffone. - Non ho capito bene, cos'è che hai detto?-
- Buona, buona, scherzavo!- rise Jack, ritraendosi prontamente all'indietro e alzando entrambe le mani per proteggersi. - Certo che può imbarcarsi: qual è il vostro nome signorina?-
- Valerie Lawrence, capitano. - si presentò lei.
- Bene, miss Lawrence, vi do il mio benvenuto sulla Perla Nera. - Jack fece un ampio gesto col braccio indicando il ponte della nave. - Lavorerete in cambusa, d'accordo?-
Valerie annuì, di colpo molto più mite di poco prima all'osteria. - Per me va bene, capitano. -
- Ottimo. - Jack accennò a me muovendo una mano nella mia direzione. - Laura, la accompagneresti da Horge? Saprà lui cosa farne di lei. -
Feci un cenno d'assenso e chiamai Valerie: - Vieni con me. - la portai sottocoperta; mentre la conducevo alla cambusa ad un certo punto lei ruppe il silenzio domandandomi: - Sei la sua donna?-
- Eh?- la schiettezza con cui era stata posta la domanda mi colse impreparata.
- Sei la sua donna? Del capitano, intendo. - ripeté Valerie, candidamente. Sorrisi e mi strinsi nelle spalle. - Be'... sì. - perché nonostante tutto continuavo ad arrossire, accidenti a me? Lei mi lanciò un'occhiata maliziosa da sopra la spalla. - Sei fortunata!- commentò arricciando le labbra.
- Lo so!- mi concessi di ridere, aprendo la porta della cambusa. - E tu invece? Non hai nessuno qui a Tortuga, un parente, un fidanzato?- lei scosse leggermente la testa in un cenno di diniego mentre aggiravamo la stufa.
- No, nessuno, solo qualche amico conosciuto all'osteria. Ho lasciato casa mia alcuni anni fa, e lavoravo lì da parecchio tempo. - improvvisamente mi sembrava triste, probabilmente non aveva avuto una vita facile da sola a Tortuga.
- Anch'io ho lasciato casa mia per cercare lavoro e una vita dignitosa. - le dissi, sentendo ad un tratto come il bisogno di rincuorarla. - E ho vagato per molto tempo, ero con Stephanie e suo fratello Michael, che è con noi sulla Perla, ma il mio lavoro non mi piaceva affatto: figurati, lavoravo in una prigione. Poi lì però ho trovato Jack. -
- Salve miss Capitano!- ci interruppe una forte voce burbera: era Horge, il cuoco di bordo, un tipo grosso e panciuto di carnagione mulatta, completamente calvo e leggermente zoppo: non camminava bene, quindi passava quasi tutto il suo tempo in cambusa: era un tipo allegro e gioviale, e aveva preso l'abitudine di chiamarmi “miss capitano”. - Salve Horge!- lo salutai, lui ci si avvicinò con la sua andatura un po' stentata per via della gamba, piantandosi sui fianchi le braccia grosse come prosciutti.
Valerie si fermò bruscamente e mi guardò con aria allarmata. - Ma voi mi avete presa come cena, non come aiutante!- gemette ad occhi sbarrati scrutando il gigante.
- Ma no!- la rassicurai mentre non riuscivo ad impedirmi di scoppiare in una sonora risata. - Horge è un po' grosso ma ti assicuro che non morde!- mi avvicinai a lui e gli battei una pacca amichevole sul braccio: avevo imparato che i modi di Horge non volevano mai essere bruschi, era invece un tipo estremamente gioviale. - Come te la passi?- lui agitò in aria il mestolo mentre rispondeva: - Non c'è male, ma per fortuna ogni tanto la nostra miss Capitano viene a trovarmi! Che succede di bello?-
- Ti ho portato una cambusiera. - accennai alla mia compagna. - Ti presento Valerie Lawrence; Valerie, questo è Horge. - Horge le strinse la mano così vigorosamente che a momenti le staccava il braccio. - Piacere di conoscervi, signorina! Finalmente qualcuno che da una mano al vecchio Horge!-
- Posso mettermi al lavoro subito se occorre. - si offrì Valerie: Horge riprese a gesticolare col mestolo in mano. - Se occorre? Qui c'è sempre lavoro da sbrigare, mia cara! C'è da lavare tutte le scodelle, poi dobbiamo cucinare la cena per tutta la ciurma... - continuando ad elencare a voce alta tutto quello che c'era da fare si allontanò verso i fornelli, io e Valerie ci scambiammo un'occhiata.
- E' un po' strano ma è simpatico, presto ti ci abituerai. - le assicurai. - Ora devo tornare di sopra, per qualsiasi cosa chiedi pure a Horge o a me. Dividerai la cabina con me, Faith e Annamaria dato che siamo le uniche donne a bordo. Ci vediamo dopo... posso chiamarti Valerie, vero? Mi sembra più appropriato di “miss Lawrence”. -
Lei mi sorrise e annuì. - Certamente. E io posso chiamarvi Laura, capitano?-
- Certo che sì. - la salutai con la mano mentre uscivo dalla cambusa. - Be', buon lavoro!-


Note dell'autrice: Innanzitutto voglio ringraziare di cuore tutte quelle che hanno commentato, davvero non mi aspettavo tanta approvazione per un semplice prologo! Inoltre ne approfitto per scusarmi se l'inizio di questa storia risulta un po' "fiacco", ma come il primo episodio nasce da fanfiction che ho scritto diverso tempo fa, e nonostante il lavoro quasi maniacale di restauro qualche "segno del tempo" rimane ancora. Ho comunque grandi progetti per questo secondo episodio, perciò a quanti avranno il coraggio e la forza (e la pazienza) di seguirmi posso solo dire... che spero di non deludervi!
Wind the sails.

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Capitolo 3
*** Soli, insieme. ***


Capitolo 2
Soli, insieme


Quella sera i pirati che non erano scesi a terra per fare baldoria in qualche osteria si stavano divertendo sul ponte. Le sere che potevamo passare nei porti c'era sempre un'atmosfera molto più allegra a bordo perché tutti sapevano di potersi ubriacare senza il rischio di doversi mettere in azione pochi minuti dopo per qualsiasi evenienza.
Così sul ponte gruppi di uomini mezzi ubriachi brindavano, ridevano e cantavano le adorate ballate piratesche: Valerie, che di festini doveva avere una lunga esperienza, aveva colto subito lo spirito della festa e aveva cominciato a ballare sulla canzone dei pirati e per un attimo temetti per la sua incolumità, ma visto il capitombolo che fece fare ad un ubriaco che tentò di allungare le mani smisi di preoccuparmi: doveva esserci abituata.
Bevvi l'ultimo sorso e posai il boccale vuoto sul legno: ero seduta sulle scalette del castello di prua, al limite del cono di luce baluginante delle lanterne. Mi piaceva assistere al festino dalla mia posizione privilegiata: era un'isoletta di silenzio in mezzo ai cori stonati dall'alcol, un posticino dove potevo assistere ai festeggiamenti senza doverne per forza prendere parte.
La ciurma era la mia famiglia, certo, ma erano pur sempre uomini. E c'erano momenti in cui non avevo voglia di vedermi offerto un bicchiere di rum dopo l'altro o di rispondere a tono alle battute. Tipo quello.
Incrociai le braccia sulle ginocchia e mi chinai appena in avanti lasciando vagare lo sguardo sui pirati che ridevano e bevevano senza vederli veramente. Sentivo quel vago, remoto intontimento di quando senti di avere un po' sonno, solo un poco, e stranamente ne ero contenta perché la maggior parte delle volte arrivavo a sera o completamente distrutta per il lavoro della giornata e crollavo in un sonno spossato sulla mia brandina, o ancora iperattiva e carica di adrenalina e sapevo che mi sarei rigirata per ore fino a fare saltare i nervi alle mie compagne di cabina: ne ero contenta perché probabilmente quella sera sarebbe stato piacevole addormentarsi.
- Tutta sola?- non ebbi bisogno di voltarmi per riconoscere quella voce calda, e per quanto fosse spuntato improvvisamente da chissà dove, non mi fece sussultare.
- Tu da dove spunti?- domandai con un sorrisetto girandomi appena verso di lui. Jack venne a sedersi sullo stesso gradino su cui stavo io, appoggiandosi col gomito a quello superiore, le dita della mano buffamente sospese per aria. - Da tutta questa allegra marmaglia direi... la cambusiera si sta facendo notare, non trovi?- si allungò ad agguantare furtivamente il mio boccale, ma trovandolo vuoto lo rimise giù con una certa delusione. - Non ti piacciono i festini?-
- No no, è che avevo voglia di stare un po' qui, si sta bene. - mi giustificai con una scrollata di spalle. Jack gettò la testa all'indietro nel suo modo strano, fissandomi dal basso in alto, quindi annuì leggermente. Mi trovai a riconoscere quanto stranamente io e lui ci somigliassimo: specie nella tendenza a restare soli anche in mezzo a tante persone.
A me a volte pesava la solitudine. E a lui? Non ci avevo mai pensato, a dire il vero: forse, per quanto io e lui fossimo diventati vicini, non mi ero mai soffermata a chiedermi che cosa veramente passasse per la testa di quel capitano che appariva solo bizzarro e svitato, e lui, dal canto suo, per quanto amasse ciarlare era ben abile a non lasciar trapelare molto di sé stesso.
Avrei voluto chiederglielo. Quanto avrei desiderato che si confidasse con me; sentivo di desiderare fortemente un modo per dimostragli che... io ero dalla sua parte. Che di me si poteva fidare. Che avevo bisogno di lui. Non sarei mai stata in grado di trovare le parole giuste per dirglielo senza cadere nella banalità, specie se rivolte a lui... ma ad un tratto mi accorsi che ce lo stavamo già dicendo: lì, in quell'istante, col nostro silenzio e col nostro starcene semplicemente fianco a fianco al di sopra delle risa del resto della ciurma.
Ad un certo punto Jack si rialzò e mi porse la mano. - Vieni, ho una cosa da mostrarti. -
Un po' sorpresa accettai la sua mano per rialzarmi, quindi Jack mi condusse dalla porta che all'interno del cassero di poppa portava negli alloggi del capitano; entrammo nella sala degli ufficiali e mi invitò a sedere al grande tavolo di mogano sopra al quale dondolava una lanterna accesa: sapevo che la notte era solito passare molto tempo lì, studiando vecchie mappe o correggendo le rotte. Lui prese un'altra sedia, la spinse accanto al tavolo e vi si sedette, accomodandosi mollemente contro lo schienale intagliato. - Hai mai sentito parlare del capitano Roger Dawkins?- esordì unendo le punte delle dita.
Inarcai un sopracciglio; la sua domanda era palesemente retorica considerando che la mia esperienza di pirata non contava che poco più di due settimane: - Dawkins? Mai sentito. Chi è?-
- Chi era, per la precisione. - rispose Jack, prendendo a dondolarsi sulla sedia. - Era un abile mercante vissuto circa una decina d'anni fa: importava tesori dell'Africa per fare affari qui nei Caraibi. Lo sai qual era la sua specialità?-
Naturalmente scossi la testa, ora più interessata: di sicuro Jack non mi stava raccontando queste cose per caso.
- Diamanti. - continuò infatti con uno scintillio eccitato nello sguardo. - Ma non stiamo parlando di semplici ninnoli, quello aveva scovato un'intera miniera da qualche parte sulle coste dell'Africa, e lì tornava ogni volta per rifornirsi all'inverosimile e tornare indietro con la nave carica di bottino. -
- Immagino che quella miniera non sia durata a lungo... - commentai sorridendo tra me mentre incrociavo le braccia sul tavolo. Jack mi puntò contro l'indice, inchiodandomi sulle mie parole. - E' qui che ti sbagli. - mi fece in tono pacato ma decisamente soddisfatto, come se non vedesse l'ora di arrivare a quel punto. - La miniera dalla quale Dawkins prelevava la sua preziosa merce non è mai stata vista da anima viva. -
Ci fu un istante di silenzio, come se mi fossi voluta accertare di avere capito bene, poi battei le palpebre con aria sconcertata. - Scusa, come sarebbe a dire “non è mai stata vista da anima viva”?-
- Credi che flotte intere di pirati non gli siano stati alle calcagna per scoprire la posizione della miniera? Credi che ogni singolo uomo che fosse venuto a conoscenza dell'immensa ricchezza di Dawkins non abbia provato almeno una volta di carpire il suo segreto? Ci hanno provato, oh sì, e anche in parecchi... - Jack sogghignò con aria misteriosa. - Ma... nessuno è mai riuscito a capire dove fosse quella benedetta miniera. Nessuno. E dire che non erano certo in pochi a provarci. Raccontano che c'era chi lo tallonava lungo la costa, quando sembrava pronto ad attraccare, e pare che chissà come... la sua nave sparisse. – fece un gesto con la mano come a mimare qualcosa che svaniva nel nulla. - Come se non fosse mai stata lì, per ricomparire a distanza di qualche giorno di nuovo pronta a prendere il largo carica di bottino. -
- Questa storia ha dell'assurdo. - ribattei, accigliandomi ancora di più.
Lui sfoderò i denti d'oro col sorriso di chi la sa lunga. - Nemmeno tramutarsi in zombi sotto la luce della luna è una cosa da tutti i giorni, no?-
- Lo so, lo so... - roteai gli occhi mentre la sua osservazione mi strappava un sorriso. - Ma questa è una cosa molto più grossa, qui a conti fatti stiamo parlando di una nave che sotto gli occhi di tutti appare e scompare. -
Jack abbassò gli occhi per un attimo e lo vidi assumere una strana espressione, che in un baleno si trasformò in un altro sorrisetto sagace quando rialzò lo sguardo. - Mmh, a dire il vero anche questa è tutto sommato una cosa già vista... non ti pare?-
Aprii la bocca per contraddirlo, ma poi mi tornò in mente la traversata che mesi prima avevamo fatto sotto l'acqua a bordo dell'Olandese Volante, sebbene non avessimo visto nulla essendo ben chiusi sottocoperta, e tacqui.
Jack tagliò corto agitando vagamente una mano: - In ogni caso, a noi interessa questa nave che, quando tutti cercano di capire dove vada, sparisce nel nulla... Evidentemente aveva qualche trucco maledettamente ben architettato per evitare che qualcuno si approfittasse della miniera che aveva deciso di sfruttare tutto solo. -
Ora ero decisamente presa dalla storia: era anche più strana delle leggende che era solito raccontare il vecchio Gibbs. - Non hanno mai provato ad interrogare i suoi marinai?-
- Anche questo punto è ostico. - rispose Jack cambiando posizione sulla seggiola e sporgendosi sul tavolo. - Di certo gli uomini di Dawkins erano ben contenti di arricchirsi coi guadagni dei commerci del loro capitano, ma quelli che ebbero la sfortuna di venire interrogati... e dei pirati in cerca di informazioni non sono esattamente delicati... non furono d'aiuto in nessun modo. Qualunque cosa dissero, se dissero qualcosa, non portò nessuno alla miniera; e anche questo è molto strano, nessuna ciurma è capace di tanta fedeltà da non fare trapelare nemmeno un indizio. -
- Un bell'enigma. - annuii, prendendomi il mento fra le mani. - Ma se in tutto questo tempo nessuno è mai riuscito a saperne niente, cosa ha a che fare con noi?-
A quel punto Jack si alzò in piedi e prese a frugare nella tasca della sua giacca mentre faceva a passi lenti il giro del tavolo, quindi posò davanti a me un involto di foglietti ingialliti ripiegati l'uno sull'altro, e si fermò alle mie spalle mentre allungavo una mano per prenderli. Le riconobbi come le stesse carte con le quali stava cincischiando quando io e Faith eravamo tornate sul ponte in compagnia di Valerie: erano vecchie, macchiata e spiegazzate ma sembravano ancora far parte di un unico fascio come se fossero state strappate via tutte insieme da un libricino che doveva averle contenute. - Che cos'è?- domandai in un sussurro mentre presa dalla curiosità scorrevo le pagine fragili e stropicciate: erano coperte di una scrittura fitta e confusa.
- Guarda qui. - disse Jack a voce bassa, sporgendosi da dietro di me per indicare la prima pagina del piccolo fascicolo. - Riesci a leggere cosa c'è scritto?-
C'erano poche parole in un corsivo irregolare e tanto confuso che dovetti avvicinare di più il foglio alla luce della lanterna per decifrarne le parole, alla fine tentai una traduzione: - Gregory... Wood, quartiermastro su... sulla Golden Princess... al servizio del capitano Roger Dawkins? Jack... - mi voltai repentinamente verso di lui ad occhi sbarrati afferrando di colpo l'importanza del documento che avevo tra le mani. - Questo l'ha scritto uno dei suoi uomini? Dove l'hai preso?-
-Un fortunato incontro di stasera... - ghignò con aria soddisfatta, appoggiato allo schienale della mia sedia. - Alla Sposa Fedele c'era un ragazzino che sembrava morire dalla voglia di fare un po' di soldi: credo che avesse sgraffignato da qualche parte questo frammento di diario e, con una vaga idea del valore che poteva avere, stava cercando di venderlo a qualche ubriaco. -
- E ha cercato di venderlo a te... -
- Proprio così... quando mi sono accorto che tutto sommato quelle carte valevano un'occhiata ho chiesto a quel ragazzino un paio di cose: lo scritto sembra autentico anche se si è rifiutato di dirmi dove l'aveva preso. E' stato contento di cedermelo per cinque penny, sono stato fin troppo generoso... - si piegò un po' di più, posando una mano sulla mia spalla e con l'altra puntando un dito sulle carte: improvvisamente era molto vicino e per qualche attimo feci una certa fatica a prestare piena attenzione allo scritto. - Vale la pena di darci un'occhiata, non pensi?-
- Immagino di sì. - voltai la prima pagina, attenta a non strappare ulteriormente le pagine già lacerate: qualcuno doveva averle strappate via violentemente. - Hai già letto qualcosa?- appena ebbi finito di dirlo, ad un tratto mi fermai e mi voltai verso di lui. Mi era sorto un dubbio. - Jack?-
- Sì?-
- ... Tu sai leggere, vero?-
Si rizzò di scatto, imbronciandosi con aria profondamente offesa. - Certo che so leggere!- rispose, irritato. - Se sono diventato capitano un minimo di cose dovrò saperle, o no?-
- Non ti scaldare, era semplice curiosità. - replicai ridacchiando fra me e tornando ad occuparmi delle pagine del diario. Leggere le memorie del marinaio fu più difficile di quel che pensavo: la sua scrittura era fitta, stretta e tremolante, e in molte parti la carta era rovinata dall'umido o da segni che assomigliavano a bruciature. Le prime pagine non dicevano molto, qualche resoconto sommario della vita a bordo e qualche frase di nostalgia rivolta ad una donna. Le pagine erano poche, e solo le ultime cominciarono a documentare qualcosa di interessante.
- “Ottavo giorno di viaggio”- esordii lentamente tenendo le pagine del diario tra le mani e stringendo gli occhi. - “Abbiamo appena lasciato l'Africa dopo il consueto rifornimento di diamanti. Stavolta buona parte della ciurma è stata scelta per rimanere a scavare nella miniera...”-
- I minatori erano i suoi stessi uomini?- mi interruppe Jack, rizzando il capo e avvicinandosi per vedere coi suoi occhi quel che io avevo appena letto ad alta voce; gli indicai la frase. - Così pare. - feci alzando le spalle, e ripresi a leggere: cominciava a diventare un po' più facile districarsi nella calligrafia del marinaio. - “Non vorrei davvero essere fra di loro: mi va bene fare scalo in quello strano posto, ma mai e poi mai ci vorrei rimanere. Chissà com'è stare in un posto che non c'è davvero, o almeno così sembra?”- alzai lo sguardo. - Credo stia parlando del fatto che la nave sembri sparire quando dovrebbe raggiungere la miniera. -
Jack si accarezzò la barba con gesti lenti, corrucciandosi più che mai. - La cosa non ha senso. - borbottò dopo un istante, camminando nuovamente dall'altro capo del tavolo e sedendosi. - Quindi... nemmeno i marinai sapevano dove stava questa miniera?-
- Se lo dice lui... - mormorai distrattamente continuando a destreggiarmi fra quel corsivo aggrovigliato. - Ci sono ancora poche righe ma non riesco a leggerle bene. - mi sollevai un poco dalla sedia per avvicinare le carte alla lanterna dondolante che mandava una luce poco a poco più smorta, ma non mi fu d'aiuto per decifrare quegli arabeschi di inchiostro sbiadito. Una mano carica di anelli fermò la mia, abbassandola gentilmente. - Non importa. - disse Jack invitandomi a tornare a sedere. - Magari domattina, con un po' più di luce... Quello che ci serve veramente, in effetti, è qualcuno che ci sappia dire qualcosa di più riguardo a Dawkins o a questo Gregory Wood... A pensarci bene credo di conoscere la persona che potrebbe aiutarci. -
- Tu conosci tutti i Caraibi. - replicai con un sogghigno. Jack fece spallucce e tornò a stravaccarsi sulla sua sedia, inclinandola all'indietro. - Be', non proprio... Comunque, c'è un'isola a poche leghe da qui, un ottimo porto. Se l'uomo che cerchiamo è ancora lì allora sono certo che ci potrà dare ottime informazioni. Salpiamo domattina. Non ci metteremo molto. -
- Bene. - feci un cenno d'assenso. - Domattina allora. - - Sì... domattina. -
Quel “domattina” avrebbe dovuto chiudere il discorso, eppure non suonava affatto come un congedo. Per di più, per qualche motivo ero restia ad andarmene, specie dopo tutte quelle interessanti informazioni che sembravano essere il preludio di qualcosa di curioso. C'era uno stilo sul tavolo: lo presi fra il pollice e l'indice e cominciai distrattamente a farlo ruotare. Ce ne restammo in silenzio per lunghi attimi, Jack si dondolava lentamente sulla sedia, con un piede appoggiato al tavolo. Ad un certo punto si levò il cappello e lo lasciò sul tavolo, poi lanciò un'occhiata distratta al cielo scuro oltre il vetro della finestra. - E' tardi. - disse a voce bassa, io annuii di nuovo fissando quei meravigliosi occhi scuri che, mi accorgevo adesso, non mi mollavano un secondo seguendomi con intensità quasi imbarazzante da sotto le palpebre semi abbassate.
Inaspettatamente mi resi conto che quella praticamente era la prima volta che eravamo soli. Cioè, soli insieme, senza i nostri amici e senza il resto della ciurma nei paraggi: come aveva detto Faith per lei ed Ettore. Soli, insieme. Una curiosa contraddizione; due parole che mi trovai a ripetermi stupidamente nella mente come a cercare di afferrarne il senso. - Forse dovremmo andare a dormire. - dissi nello stesso tono.
Jack smise di dondolarsi e posò i piedi per terra, per poi alzarsi in piedi con lentezza: era buffo guardarlo, perché ogni suo movimento era sempre accompagnato dal tintinnio delle chincaglierie che portava appese addosso, ma ormai vi ero talmente abituata che tutto in lui era così... familiare. Quasi rassicurante. - Sì, forse hai ragione. -
Si diresse nella stanza da letto ed io lo seguii fermandomi sulla soglia: gli alloggi di Jack erano veramente spaziosi e piuttosto lussuosi rispetto agli standard delle altre navi pirata, all'ingresso c'era la stanza quadrata occupata quasi interamente dal tavolo di mogano lucido dove eravamo seduti poco prima, usata come stanza di raduno degli ufficiali; una seconda porta portava nella cabina, una stanza più stretta dove c'era il suo letto, un armadio e uno scrittoio, più diverse casse di legno contenenti i suoi averi. Mi piaceva la sua cabina: era come lui, misteriosa, caotica e straripante degli oggetti più svariati raccolti in tutti i suoi numerosi viaggi, così tanti che presa da un moto di curiosità desiderai poterli esaminare uno per uno, solo per il gusto di frugare fra tanta roba proveniente dai quattro angoli del mondo.
Jack si sedette sul letto che cigolò rumorosamente sotto il suo peso e cominciò a liberarsi di giaco di cuoio e stivali. - Cosa ne pensi della nuova cambusiera?- gli domandai ad un certo punto, appoggiata con la mano allo stipite della porta.
Con uno stivale in mano alzò lo sguardo su di me, sollevando un sopracciglio. - Sono quasi sicuro che si tratti di una domanda trabocchetto e non vorrei dare la risposta sbagliata... - disse, sogghignando e alzando l'indice nella mia direzione.
- Stupido!- lo rimproverai con una risata. - Intendevo... è in gamba secondo me, sa farsi valere. Però penso che abbia avuto una vita dura tutta sola a Tortuga. Mi ricorda un po' me stessa. Sono contenta di averla presa con noi. -
Jack si portò una mano al cuore con gesto solenne. - Che cuore d'oro. - mi canzonò alzando il mento in un gesto volutamente strafottente, con più di una sfumatura di ironia nella voce. Fingendomi offesa per i suoi sfottò gli voltai le spalle e feci per lasciare la cabina.
- Ohi, aspetta!- protestò alle mie spalle vedendomi in procinto di andare via. - Stavo scherzando! Non lasciarmi così, vieni qui. -
E va bene, questo potevo concederglielo: tornai indietro e mi avvicinai a lui, che, cogliendomi di sorpresa, mi prese per le spalle facendomi chinare fino al suo viso e mi baciò con calore. Un piacevolissimo brivido mi corse giù per la schiena al contatto con le sue labbra calde che si muovevano sapientemente sulle mie. Intrecciai le dita dietro la sua nuca, ricambiando il bacio; con un rauco mugolio di piacere lui mi tirò verso di sé, facendomi sedere sulla sponda del letto e avvolgendomi con le braccia per tenermi stretta contro il suo petto. Non mi aveva mai baciata così prima; con deliberata, sensuale lentezza, prendendosi tempo per assaporare a dovere tutto quel bacio. Dopo qualche istante le nostre bocche si separarono.
- Buonanotte. - gli dissi sottovoce, poi però volli un altro bacio, e lui era ben lungi dal negarmelo. Era come una droga, una volta provato tutto il sapore delle sue labbra non volevo più farne a meno. Lo strinsi più forte, premendo il mio corpo contro il suo. La mia bocca si fece avida. Finalmente un momento tutto per noi, da soli. Insieme.
Quasi di impulso Jack mi strinse a sé, e prima che me ne rendessi conto mi aveva spinta di schiena sul materasso: lui si stese sopra di me, continuando a baciarmi a lungo, con ardore, mentre sentivo le sue carezze spingersi arditamente fin sotto la camicia alla ricerca del contatto con la pelle nuda. Senza sapere bene come reagire tanto il suo gesto mi aveva colta di sorpresa, passai lentamente le mie mani sulla sua schiena, godendo del contatto profondo e inaspettato col suo corpo caldo, le sue gambe che si intrecciavano con le mie; respirai il suo respiro. Se avevo mai pensato che fosse impossibili sentirsi improvvisamente accaldata e avere allo stesso tempo i brividi, dovetti contraddirmi in quel momento.
Dischiusi appena le labbra sotto i suoi baci, e quasi di sorpresa avvertii il tocco morbido e fugace della sua lingua. Lo baciai ancora con maggior trasporto mentre i baci si facevano più profondi.
Quasi come una folgorazione mi resi conto che potevamo andare anche più avanti di così, lì e adesso, se era quello che desideravo. Quando ancora vivevo nel mio paesino natale non c'era sera in cui, nel tepore di una cucina o attorno al fuoco, le giovani ragazze non si scambiassero di nascosto racconti audaci sulle cose meravigliose e terribili che accadono fra uomini e donne, e quei racconti mi avevano sempre incuriosita e allarmata al tempo stesso.
Sentivo il suo respiro che si era fatto più affannoso, il battito del suo cuore e quello forsennato del mio. Non ero mai stata toccata così da un uomo prima d'ora, e la cosa mi risvegliava due sentimenti totalmente opposti ma ugualmente intensi. Una parte di me era impaziente e disperatamente curiosa, eccitata dalla deliziosa sensazione che mi dava il suo corpo sul mio: voleva che non si fermasse, che andasse fino in fondo lì e ora, una parte di me lo bramava almeno quanto lui desiderava me, ma non potevo ignorare un altro sentimento: avevo paura. Non paura di lui, ma paura di come la cosa era arrivata così, improvvisamente. L'altra parte di me era del tutto spiazzata e sapeva di non essere pronta, non lì, non adesso.
Improvvisamente mi ero irrigidita, e Jack dovette accorgersene perché staccò lentamente la bocca dalla mia e si sollevò sui gomiti per guardarmi in viso. - Che c'è?- domandò, alzando un sopracciglio con aria sorpresa.
- Io... non... - mormorai, senza trovare le parole: era ancora disteso sopra di me, i suoi capelli arruffati gli ricadevano sulle spalle, solleticandomi le braccia, e rabbrividivo di piacere al suo contatto. - Per... per favore, non adesso. -
Lentamente e con un certo sciocco imbarazzo per quello che stava accadendo mi scostai da lui e mi alzai a sedere. Mi sentivo strana, mi girava perfino la testa. Ma che cosa ci facevo lì? Jack seguì i miei movimenti con espressione indecifrabile, e stavo per scendere dal letto quando la sua mano si fermò sul mio braccio, trattenendomi. - Aspetta... - mi pregò a bassa voce, agitando l'altra mano: la sua espressione era quasi ferita. - Non andartene, non importa. Voglio solo... - si interruppe per un istante, annaspando come per cercare le parole, poi disse soltanto: - ...Resta qui solo per stanotte. -
Alzai un sopracciglio e lo fissai per un secondo, anche se tentata dalla sua richiesta. - Così non è peggio?- azzardai.
Jack si strinse nelle spalle. - Perché dovrebbe?- replicò, inclinando il capo.
Sospirai appena: certe cose voleva proprio tirarmele fuori di bocca, a quanto pareva. - Perciò tu passeresti una notte con me senza... - continuai, alludendo alle sue più che chiare intenzioni di poco prima. Lui abbassò gli occhi inarcando le sopracciglia e corrucciando le labbra in una posa rassegnata. - Insolito, magari... ma non vedo perché no. - l'espressione abbattuta si trasformò in un istante in un ben noto sogghigno. - E poi ora che mi hai dato il via dubito molto che riuscirei a dormire da solo comunque. Quindi, se non altro... -
Fui lì lì per dirgliene quattro senza sapere se sentirmi indignata o scoppiare a ridere, infine, indispettita dalla sua mania di prendermi in giro lo colpii coi pugni sul petto senza troppa forza e lui fu svelto a riacchiapparmi fra le sue braccia e trascinarmi al suo fianco sul materasso. - Tu da qui non scappi, madama. - scherzò stringendomi a sé e sorridendomi malizioso.
- Tremo di paura, capitano. Comunque... - insinuai le mie braccia sotto le sue per allacciarle attorno alla sua schiena e strusciai la testa contro la sua spalla con una voluttà del tutto nuova in me. - ...non penso di essere intenzionata ad andarmene. -
Quasi sorpreso, Jack si godette l'abbraccio chiudendo gli occhi con un silenzioso sospiro, poi le sue mani salirono fra i miei capelli fermandosi sulla nuca e mi baciò se possibile con ancora più trasporto di prima. Stretta a lui, con la sua bocca sulla mia, mi sentii invadere da un'ondata di dolcezza così intensa da sembrare quasi tristezza.
Lo amavo.
Continuammo a baciarci dolcemente, muovendoci mollemente sulle lenzuola, sentii le sue mani accarezzarmi il collo. Infilai le dita fra i suoi capelli arruffati, giocherellai con la sua treccia di perline. - Ti amo. - mormorai in uno dei pochi attimi in cui ebbi la bocca libera.
Jack sollevò il lenzuolo e ci ricoprì così com'eravamo, lui mezzo vestito e io con ancora ai piedi gli stivali: risi e mi avvinghiai a lui, strofinando il naso contro il suo collo; il tepore del suo corpo era piacevole, e fra le sue braccia mi sentii protetta. Jack sprofondò la testa nel cuscino e chiuse gli occhi, mentre con l'altro braccio mi stringeva a sé, ricambiai l'abbraccio e premetti la guancia contro l'incavo del suo collo mentre i suoi capelli mi solleticavano la faccia. Ora eravamo vicini, l'uno nelle braccia dell'altra: sospirai soddisfatta, chiedendomi se esistesse cuscino più comodo del suo petto.
- Laura?- mormorò roca la sua voce alle mie orecchie.
- Hm?-
- Ma tu sul serio rimarresti con una carogna di pirata come me?-
Mi protesi a dargli un bacio sul collo, ridendo sommessamente quando lui mi rispose con un verso di approvazione simile ad un gatto che fa le fusa. - Sì. - risposi sottovoce.
- Sempre?- insistette Jack, la sua voce era poco più di un sussurro.
- Sì. - ripetei con convinzione. Jack aprì gli occhi e mi guardò aggrottando le sopracciglia. - Credevo di conoscerti. Ma a quanto pare sei più pazza di quanto immaginavo. - commentò infine, scrollando il capo.
- Lo so: per questo sono qui. - replicai, più seria che mai, poi mi allungai su di lui e ci abbandonammo ad un ultimo, lunghissimo bacio.
“Non mi lasciare.” pensai in cuor mio mentre lo stringevo come se ogni abbraccio potesse essere l'ultimo.

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Capitolo 4
*** Una visita inattesa ***


Capitolo 3
Una visita inattesa

La chiglia sottile del peschereccio tagliava a metà le onde mentre l'imbarcazione procedeva rapida sotto un cielo senza stelle. Il capitano sedeva a prua, scrutando con aria corrucciata il mare scuro dinanzi a sé: doveva avere almeno una cinquantina d'anni, era un uomo alto, col viso bruciato dal sole di chi passa molto tempo in mare; i suoi capelli erano ancora folti, come la sua barba, ma il castano scuro andava ormai ingrigendosi in modo evidente. L'uomo era nervoso: il cielo era nuvoloso e il mare nero come l'inchiostro, non era proprio la notte giusta per navigare, specie per un'imbarcazione piccola come la sua, e per di più dovendo coprire tutta quella distanza.
Ma che scelta aveva? Il pesce si vendeva bene a Greenford, quel piccolo ma fiorente paese situato nell'arcipelago delle Bahamas, e lui e i suoi uomini dovevano cogliere quell'occasione.
Il pescatore chinò il capo, passandosi lentamente la mano sul viso scavato dalle rughe. Era vecchio ormai. Cominciava a sentirlo nel cuore, non solo nel fisico. Ma come stare lontano dal mare, ormai, quando il suo peschereccio e la sua piccola ciurma erano tutto quello che aveva? Sua moglie era morta anni prima, sua figlia era voluta partire in cerca di fortuna come se fosse stata un ragazzo; che cosa gli rimaneva ormai?
Quando sollevò gli occhi tutto quello che vide fu il buio. Sobbalzò e si alzò rapidamente in piedi, voltandosi verso il ponte dove la luce delle lampade a malapena rischiarava quella notte senza stelle: c'era troppo buio, maledizione, troppo buio per navigare in quelle condizioni!
- Bracciate le vele, dannazione, non possiamo andare così veloci con questo buio!- protestò rivolto ai suoi marinai, ma non fece in tempo a finire la frase che il ponte sobbalzò sotto i suoi piedi, e fu solo afferrandosi prontamente ad una cima tesa che non cascò miseramente per terra. Gli altri marinai gridarono allarmati, cercando di riprendere il controllo dell'imbarcazione, ma il capitano udì fin troppo bene il sinistro scricchiolio della chiglia che grattava su qualcosa di duro. Una secca o uno scoglio affiorante, dannazione, decisamente la fortuna non era dalla loro parte.
I marinai si affaccendarono attorno al timone e alle vele, ma l'uomo si limitò a reggersi più forte alla fune, così che fu più preparato quando con uno scossone ancora più violento parte della chiglia si frantumò in mille pezzi contro lo sperone di roccia su cui il peschereccio era andato ad incagliarsi.

*


Quando aprii gli occhi mi ci vollero un paio di secondi per ricordarmi dov'ero: avevo la faccia affondata nel materasso, ad un centimetro dal petto di Jack che si sollevava lentamente nel respiro, e avevo il suo braccio stretto attorno alla vita. I miei vestiti si erano tutti stropicciati per averci dormito sopra; durante la notte mi ero liberata degli stivali che ora giacevano ai piedi del letto.
Chissà se Faith, Annamaria e Valerie si erano accorte della mia assenza in cabina. Chissà che avrebbero pensato? Sorridendo fra me decisi che non importava.
Sollevai la testa a guardarlo: dormiva ancora profondamente, la cabina era immersa nella penombra, doveva ormai essere l'alba. Feci scorrere lo sguardo per la stanza: le bottiglie vuote sul pavimento, lo scrittoio sepolto da mappe, penne d'oca e chincaglierie varie, l'armadio e la cassettiera anch'essi straripanti di ogni genere di cianfrusaglie. Feci una carezza al volto imbronciato nel sonno di Jack, poi piano piano per non svegliarlo mi alzai a sedere sul letto e mi stiracchiai: mi si era addormentato il braccio destro. Un po' della luce mattutina filtrava attraverso la vetrata, giocando sul pavimento della cabina e sullo scrittoio ingombro: feci scorrere con curiosità lo sguardo sugli oggetti che mi circondavano, un piccolo mappamondo dalla superficie ingiallita, un cofanetto di legno pieno di pergamene arrotolate, una grossa clessidra posata sul tavolo, bottiglie vuote e diversi forzieri di legno qua e là che dovevano contenere altra roba ancora.
Ad un tratto Jack emise un grugnito impastato dal sonno, mi voltai e lo vidi stiracchiarsi voluttuosamente, gli occhi ancora chiusi. Vederlo così mi fece del tutto inaspettatamente scappare da ridere, e mi sentì travolgere da una pericolosa ondata di tenerezza per quell'irresistibile canaglia mezza addormentata. Arrivai carponi sopra di lui e gli annunciai nell'orecchio: - Buongiorno capitano!-
Lui fece un altro grugnito, poi finalmente si decise ad aprire gli occhi, esibendosi in uno spettacolare sbadiglio. - Buongiorno. - rispose, in tono ancora assonnato; si stiracchiò ancora, anche se gli era un po' difficile con me accomodata sul suo petto. - Comoda lassù?- mi domandò sorridendo sotto i baffi.
- Sì, molto!- replicai, sottolineando la mia affermazione appoggiando il mento sulle braccia incrociate. Lui si limitò a sorridere più apertamente, quindi si fece indietro appoggiando la schiena al cuscino e senza lasciarmi tempo di reagire mi circondò con le braccia e mi tirò sopra di lui, così che gli finii rannicchiata addosso, con una gamba di qua e una di là del suo bacino. Arrossii improvvisamente e cercai un modo discreto per staccarmi un po' da lui, ma le sue braccia me lo impedirono, e dal suo sogghigno mi apparve chiaro che dal canto suo se la stava godendo un mondo.
- Stai scomodo?- domandai in tono impacciato dopo un attimo.
- Hm hm. - mormorò lui a mo' di diniego.
- Sicuro?- una scusa, una qualunque per provargli che essergli finita a cavalcioni non era assolutamente intenzionale.
Lui inclinò il capo all'indietro e con la mano mi fece sollevare quel tanto che bastava da poterlo guardare negli occhi. - Tesoro, non posso dire di stare comodo perché sarebbe minimizzare. - disse con una calma che era più maliziosa di qualunque insinuazione. - Ma, per non urtare la tua sensibilità... ti dirò che, no, non sto scomodo. Comprendi?-
Alle sue parole cominciai improvvisamente a ridere, e tutto ad un tratto mi avventai su di lui abbracciandolo stretto, stringendo a tradimento anche le cosce sui suoi fianchi, e risi come una bambina birichina quando lo sentii sussultare: non gli avrei permesso di prendersi tutto il divertimento. - Su, adesso. - dissi, raddrizzandomi ma rimanendogli inginocchiata in grembo. - Credo proprio che dovremmo alzarci. -
Fissandomi da sotto le palpebre abbassate Jack si mise lentamente a sedere, accostandomisi fin troppo. - Ti brucia la casa?- scherzò in un sussurro volutamente provocante.
Ci interruppe un insistente bussare alla porta. - Chi scoccia?- esclamò acidamente Jack, evidentemente seccato mentre scoccava uno sguardo astioso alla porta di legno come se fosse tutta colpa sua. Al di là della porta rispose la voce di Gibbs: - Scusatemi capitano, ma qui sul molo c'è un ragazzo che vuole parlare con voi. -
Jack fece un lungo sospiro, roteando gli occhi, ma non sembrò affatto deciso a rassegnarsi. - Digli di tornare più tardi. - rispose, e convinto di aver chiuso la questione riportò la sua attenzione su di me.
Dietro alla porta Gibbs replicò: - Capitano, sembra urgente: vuole vedervi subito. -
- Oh santa Maria del... ! - Jack sbuffò, poi mi guardò con un'espressione da cane bastonato.
- Dai, coraggio!- dissi, spostandomi con una punta di rammarico dalle sue ginocchia; lui si stiracchiò un'ultima volta in modo assolutamente teatrale: spalancò le braccia ed inarcò la schiena emettendo uno sbadiglio sonoro di protesta, poi si alzò facendo cigolare le doghe del letto. Io mi misi a sedere e mi infilai gli stivali che avevo calciato via durante la notte e che ora giacevano ai piedi del letto; nel frattempo non potevo fare a meno di chiedermi incuriosita chi potesse voler parlare con Jack così presto. Chi poteva essere quel ragazzo che Gibbs aveva menzionato?
Rimasi ad aspettare Jack che si agganciava sopra la marsina le consuete due cinture con bussola e pendagli di legno appesi con un cordoncino, quindi calzò gli stivali e in un attimo era in piedi diretto verso la porta.
- Gli ho detto che eravamo in procinto di salpare, però non ha voluto sentire ragioni!- cominciò subito a giustificarsi Gibbs non appena Jack ebbe aperto la porta uscendo in sala ufficiali. - Ha insistito dicendo che doveva... - vedendomi uscire un po' titubante dietro a Jack si zittì di colpo e rimase con la bocca spalancata a metà parola e gli occhi sgranati, fissandomi con espressione assolutamente stupefatta.
Jack si fermò con le mani ciondolanti all'altezza del busto, si voltò verso di me, si voltò di nuovo verso Gibbs squadrandolo con una smorfia. - ...Sì?- lo incitò con una nota di impazienza.
- Eh? Oh, oh sì! ...il ragazzo, ecco... sì, ha insistito dicendo che vi voleva parlare... e che non vi avrebbe lasciato salpare senza avervi parlato, questo ha detto, ecco, sì. - non sapevo se sentirmi in imbarazzo per quello che Gibbs poteva pensare o se scoppiare a ridere per il suo sguardo a dir poco allibito che continuava a rimbalzare da me a Jack: povero vecchio Gibbs, questa probabilmente non se l'aspettava davvero!
Seguimmo Jack sul ponte dove buona parte della ciurma era già in fervente attività: avvertii distintamente su di me gli sguardi incuriositi degli altri pirati quando varcai la soglia degli alloggi del capitano e per lunghi attimi desiderai soltanto scomparire in qualche buco profondo.
Gibbs e gli altri avevano appena calato la passerella per fare salire il ragazzo: era un giovane forse sui vent'anni, alto e ben piazzato, lunghi capelli castani ricciuti gli incorniciavano la fronte alta e scendevano fino alle spalle, un corto pizzetto ispido gli cresceva sotto il labbro, gli occhi grandi e castani erano illuminati da un'aria di bonaria simpatia ma li vidi farsi seri quando si posarono su Jack. Aveva un fare deciso, e non pareva per nulla turbato dalla ciurma di pirati che lo scrutava incuriosita: appena Jack gli fu davanti gli domandò senza tanti preamboli: - Siete voi il capitano?-
Jack lo squadrò con aria di sufficienza, dondolando pigramente su sé stesso. - Sì, ragazzo, e se permetti qui le domande le faccio io. Qual è il tuo nome e che motivo avevi per buttarmi giù dal letto?-
- Mi chiamo Jonathan. - si presentò il giovane. - Voglio imbarcarmi. -
I pirati che stavano a guardare risposero con un coro di commenti e risate al tono determinato del ragazzo; Jack alzò gli occhi al cielo e scosse il capo facendo un gesto di diniego con le mani. - Spiacente figliolo, ma arrivi in ritardo: ho già gli uomini che mi servivano e non vedo motivo di prenderne altri. -
- Posso esservi utile!- insistette il giovane, accigliandosi. - Ho esperienza di navi, ho fatto il carpentiere a bordo. -
Jack non fece una piega e si limitò a scuotere di nuovo la testa con maggiore convinzione. - Ho detto di no, mi dispiace. E ora fa il favore e sparisci, hm?- gli voltò le spalle e dallo sguardo sconfortato del ragazzo pensai che la cosa sarebbe finita lì, ma improvvisamente questi esclamò: - So cosa state cercando, capitan Sparrow! So che ieri notte un ragazzino sprovveduto vi ha venduto delle carte, e so che cosa c'era scritto, perché quelle carte appartengono a me. -
A quelle parole Jack si bloccò per un istante lì dov'era per poi fare un mezzo giro su sé stesso a guardare il giovane. - E cosa sapresti, sentiamo?-
Le labbra di Jonathan si arricciarono appena mentre si concedeva un segreto sorriso di trionfo, sapendo di aver catturato l'attenzione del capitano. - Se vi interessavano tanto le memorie di Gregory Wood può essere per un solo motivo: cercate di scoprire il mistero della Golden Princess, e della miniera che nessuno è riuscito a scovare. -
Suo malgrado, ora Jack era decisamente interessato: si appoggiò con la mano al parapetto e rimase a squadrare Jonathan, accigliato. - Hai detto che le pagine di quel diario ti appartenevano. Come le hai avute, e soprattutto, se sono così importanti per te perché ieri sera ce le aveva quel ragazzetto?-
- Sono il garzone alla Sposa Fedele. - cominciò a spiegare Jonathan, squadrando di rimando il capitano. - Quel ragazzino è Paulie, uno che lavora insieme a me. Ieri sera ha visto che possedevo... quelle carte e mi ha chiesto da dove provenissero: saputo che potevano valere qualcosa me le ha rubate. E ha fatto un affare, vedo. - fece un sorriso stiracchiato accennando a Jack col mento. Non mi era sfuggita l'esitazione quando aveva cominciato a parlare delle pagine del diario, e si fece strada in me il sospetto che forse potesse essere in possesso di qualcosa di più dei miseri documenti che la sera prima io e Jack avevamo esaminato. Jack gli si avvicinò di qualche passo, puntando un dito verso di lui. - Non hai risposto all'altra domanda. - gli fece notare, chinandosi su di lui. - Perché avevi tu quelle pagine di diario?-
Jonathan sollevò lo sguardo, con l'aria di chi ha tenuto il meglio per ultimo. - Quel marinaio, Gregory Wood, era mio padre. Quelle carte sono tutto ciò che mi resta di lui, me le ha lasciate come eredità. -
- E cosa cerchi?- Jack si chinò su di lui e lo fissò dritto in viso, ad un palmo di distanza. - Solo le memorie di tuo padre o qualcosa di più concreto? Speri nella miniera perduta, giovane Wood? Le carte di tuo padre non ci hanno detto granché al riguardo, hanno solo annebbiato ancora di più il mistero. - allargò le braccia in un gesto rassegnato e fece una pausa scrutando le sue reazioni, mentre Jonathan lo guardava senza batter ciglio. - Allora dimmi... - riprese dopo un attimo. - Vuoi fare la parte di quello che arriva per accaparrarsi il suo pezzo di bottino, e in tal caso non avrei proprio nessun motivo per prenderti a bordo, o davvero puoi aiutarmi? Dimmelo tu, Jonathan Wood. -
Jonathan rilassò le braccia lungo i fianchi, continuando a guardare Jack: ora però il suo sguardo mi pareva meno sostenuto, improvvisamente quasi interessato. - Mio padre morì con il resto della ciurma quando la nave scomparve misteriosamente in mare, col loro ultimo carico di diamanti. - disse in tono sorprendentemente tranquillo. Jack si raddrizzò e strinse gli occhi.
- Non lo sapevate?- continuò il ragazzo, con un sorrisetto che gli increspava un lato della bocca. - Dawkins nascondeva ben più della sua miniera, a quanto pare. Quegli ultimi scritti di mio padre mi sono pervenuti grazie ad un suo compagno rimasto a terra, glieli affidò prima di partire per quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio, perché li portasse a me. C'è qualcosa di oscuro in questa storia, capitan Sparrow. E' questo che voglio scoprire... che devo scoprire, e avete la mia parola che sono pronto a tutto pur di arrivare alla verità. -
Jack continuò a fissarlo col capo inclinato, studiandolo con una strana espressione, quindi schioccò la lingua ed agitò brevemente l'indice in aria. - Mi hai convinto. - concesse con un sorriso. - Sei dei nostri: carpentiere. Chissà che tu non possa tornarmi utile fra un po'. -
- Grazie. - Il giovane sembrò molto soddisfatto: Jack chiamò Gibbs e gli disse di indicare al ragazzo dove potesse trovare gli attrezzi e, se ci fosse stato bisogno di riparazioni a bordo, se ne occupasse. Mentre Gibbs conduceva Jonathan Wood sottocoperta, Jack venne verso di me.
- Perché lo hai preso a bordo?- lo precedetti, guardandolo severamente con le mani sui fianchi. Jack sollevò le sopracciglia.- Perché, è forse proibito? E tu allora perché hai preso a bordo la cambusiera?- replicò prontamente.
- Sai cosa intendo. - ribattei, senza voglia di scherzare. - Chi ci assicura che sia intenzionato ad aiutarci? Lo hai visto anche tu, sa più di quanto vorrebbe farci intendere. -
- Ah ha!- Jack annuì con aria soddisfatta. - L'hai detto. Sa molto più di quello che vorrebbe farci intendere, ed è proprio per questo che penso sia un'ottima idea tenercelo il più vicino possibile. - inclinò il capo con fare estremamente rilassato. - E poi andiamo, è a malapena un uomo! Non avrai paura di uno sbarbatello di vent'anni?-
- No, ma conoscendo la gente che frequenti di solito... - replicai, sogghignando per provocarlo. Jack ridacchiò di rimando, poi accennò col capo nella direzione in cui aveva spedito Jonathan Wood insieme a Gibbs: - Tienilo d'occhio... non si sa mai da che parte può girare il vento, comprendi?- detto questo mi passò di fianco mollandomi una pacca sulla spalla mentre faceva per incamminarsi lungo il ponte. - Salpiamo!- dichiarò a gran voce. - Avanti, anche tu, invece di infilarti nel letto del capitano renditi utile e va a dire a quegli sfaticati in coperta di darsi una mossa!-
Fui lì lì per affibbiargli uno scappellotto, ma lo mancai: stava diventando decisamente abile ad evitare le mie sberle.

*


Com'era prevedibile, a poche ore dalla partenza dal molo di Tortuga, ad attendermi sul ponte trovai Faith: se ne stava appoggiata al parapetto con aria impaziente, avvolta nella sua camicia di batista troppo grande, battendo distrattamente la punta di uno stivale sulle assi. Quando mi vide alzò le sopracciglia e fece per venirmi incontro, e capii che mi aspettava: la raggiunsi cercando di non avere un'espressione troppo decifrabile. La sua invece era assolutamente trasparente.
- Non sei venuta a dormire in cabina stanotte? - mi disse mentre mi osservava forse con maggiore attenzione del solito, ma mi accorsi che il suo era solo uno sguardo di sorpresa, non inquisitorio, meno che mai di biasimo.
Scossi leggermente la testa. - No. -
Lei non mi fece altre domande, e la cosa sarebbe potuta finire lì senza scavare più in profondità, ma sentivo il bisogno di vuotare il sacco fino in fondo con lei. - Sono stata da Jack. - dissi.
Faith aprì la bocca una volta, non seppe cosa dire, ritentò: - E... - lasciò la frase in sospeso.
- No. - risposi in fretta, scuotendo la testa di nuovo. - Ho solo passato la notte da lui... sì, ecco, ho dormito nel suo letto. - ma in fondo perché mi vergognavo? Non era forse un residuo del fastidioso pudore del buon costume, secondo il quale bisognava mantenere un certo decoro? E poi cosa diavolo voleva dire “decoro”? Non era indecoroso amare. Non avevo fatto niente di male se avevo passato una notte accanto all'uomo che amavo.
Faith sembrò d'accordo con me, perché il suo viso si aprì in un largo sorriso. - Sono contenta per te. - mi disse con sincero trasporto, come io le avevo detto la sera prima alla locanda. Venne da sorridere anche a me, e sentii di essermi chissà come tolta un grosso peso dal cuore.
- Lo amo Faith... lo amo così tanto!- mormorai a mezza voce, con le parole che faticavano ad uscire a causa del mio stupido orgoglio e che suonavano tanto strane pronunciate da me, proprio da me.
Faith sorrise ancora di più, e la sincera comprensione che vidi col suo viso mi mise in imbarazzo più di qualunque commento malizioso: di certo non ero portata per certe confessioni a cuore aperto. La mia amica mi venne vicino e mi abbracciò calorosamente: ricambiai l'abbraccio più imbarazzata che mai, mentre ridacchiavamo nascondendo il viso l'una nella spalla dell'altra come le due ragazzine che nonostante tutto eravamo sempre state. Ci ritirammo in disparte contro il parapetto, godendo della carezza rinfrescante del vento. Il mare era calmo e la nave andava avanti senza pretese, così che tutta la ciurma era molto rilassata: potevamo approfittarne per fare quattro chiacchiere in tranquillità, piacere che normalmente era relegato alla sera quando ci ritrovavamo in cabina.
- A proposito... - continuò Faith appoggiandosi di schiena al parapetto, la coda di capelli neri spazzata dalla brezza. - Ieri sera durante il festino, mentre tu e il capitano eravate imboscati in cabina... - la interruppi tirandole una gomitata e fingendomi indignata; ridemmo ancora sotto i baffi, quindi la lasciai continuare. - ...sono stata con Ettore, e lui mi ha raccontato tante cose su di lui, del suo passato... del tempo che ha trascorso a bordo della Revenge. -
- Ah!- mi voltai a guardarla, interessata. - Che ti ha raccontato?-
- Da quel che ho capito è nato e cresciuto a Tortuga sotto le cure di una vedova alla quale sua madre lo aveva affidato... non ha mai conosciuto i suoi genitori, nemmeno sua madre che a quanto sembra doveva essere una prostituta. -
Annuii in risposta: sapevamo tutti del passato nebuloso del nostro amico pirata, ma non sapevo neppure se lui avesse mai indagato sulle sue origini per saperne qualcosa di più o semplicemente si fosse lasciato tutto alle spalle come facevano molti pirati figli bastardi di padri sconosciuti. Non avrei saputo dire se questa mancanza di radici gli pesasse.
- Pensa, ha vissuto per sedici anni a Tortuga accudito da quella vedova, poi di punto in bianco indovina chi ha incontrato?- mi fissò con gli occhi sgranati dando enfasi al suo racconto, aspettandosi chiaramente una risposta. Scrollai le spalle. - Non saprei...?-
- Beatrix. - rispose lei in tono secco con più di una sfumatura accidiosa nella voce, e pensai che era comprensibile dopo la prigionia alla quale eravamo state sottoposte sulla sua nave. - Lei aveva già preso il mare da quando aveva tredici anni, come mozzo su una nave pirata. Poi era venuta a Tortuga a cercare proprio lui: Ettore non sa nemmeno perché. Fatto sta che lei gli ha proposto di imbarcarsi con lei: aveva abbandonato la nave su cui lavorava prima, così finirono per arruolarsi insieme su un'altra nave pirata, e lì Ettore cominciò la sua carriera, mentre Beatrix, che aveva la sua stessa età, aveva già un'esperienza di tre anni sulle spalle. -
- Perché partì con Beatrix?- domandai, corrucciata. - Nemmeno la conosceva, quale motivo aveva per fidarsi di lei?-
Faith si strinse nelle spalle scuotendo il capo. - Ettore aveva sempre sognato di prendere il mare; vivendo a Tortuga non poteva essere diversamente. Così, anche se non sapeva perché Beatrix fosse venuta a cercare proprio lui, pensò che fosse un'occasione che valeva la pena di essere colta. -
- Perciò... ha viaggiato con Beatrix da allora?-
- Non esattamente: è stato un po' dovunque in giro per il mondo e ha cambiato diverse navi... diciamo che lui e Beatrix si sono seguiti per un po'. - la mia amica strinse le labbra per un attimo, meditabonda. - Cioè, hanno viaggiato sulla stessa nave per un bel pezzo. Poi per diversi interessi hanno finito col prendere strade diverse, ma in un modo o nell'altro hanno sempre trovato il modo di ritrovarsi, in qualche porto o su qualche nave... -
- Inseparabili... - azzardai lentamente, cauta a non stuzzicare ulteriormente l'animo della mia amica che ora capivo da cosa era turbato, mentre rimuginavo fra me le informazioni che mi stava dando.
Faith annuì in fretta, come a volersi togliere in fretta qualcosa di scottante, e continuò: - Infine Beatrix riuscì a raggiungere il suo obiettivo: una nave tutta per sé, la Revenge. Ed Ettore entrò a far parte della ciurma. -
Mi raddrizzai, appoggiando il gomito sul parapetto e voltandomi a guardare la mia amica negli occhi. - Ti turba quello che ti ha raccontato?-
Lei abbassò gli occhi, quindi annuì appena, timidamente. - E se lui fosse stato... innamorato di Beatrix?-
Detta così mi suonò piuttosto assurda, specialmente ricordando con gelosia bruciante Beatrix che si avvinghiava sensualmente a Jack nella sua cabina... ma forse davvero Ettore era stato legato al suo precedente capitano da qualcosa di più della fedeltà, anche se chiaramente non ricambiato. Ponderai nervosamente questa possibilità: e se Ettore dopotutto fosse sempre stato attratto dalla sua crudele ma a quanto pareva affezionata capitana? Forse quella notte all'Isla de Muerta aveva voluto veramente proteggere noi, ma non finire per far uccidere lei. Se così fosse stato? Allora cambiava tutto... E se in realtà avesse mentito fin da quando aveva chiesto di entrare nella ciurma e stesse tuttora meditando vendetta contro di me e Jack che l'avevamo uccisa?
- Laura?- la voce di Faith era tesa e insicura: sapevo che aveva bisogno di risposte che la aiutassero a dipanare i suoi dubbi, ma stavolta non avrei potuto dargliele poiché gli stessi dubbi avevano cominciato a tormentare anche me.
- Io non credo che sia così. - dissi dopo essermi concessa qualche altro istante di ragionamento. - Sebbene lo conosca da poco... fatico a credere che Ettore mediti una qualche vendetta contro di noi, e che la sua sia solo una messa in scena. - la costrinsi a guardarmi negli occhi. - Io mi fido di lui. Tu no, Faith?-
Il labbro le tremò per un attimo mentre cercava le parole giuste per esprimere il suo tormento: - Io mi fido di lui. Voglio fidarmi di lui. Ma come posso farlo, quando scopro così tante... troppe coincidenze?-
- Ascoltami, credi che se lui stesse solo fingendo ti avrebbe raccontato tutto del suo passato e di Beatrix?- ribattei, sforzandomi di ragionare in modo razionale. - Non sarebbe affatto una mossa astuta, anzi, lo farebbe scoprire subito. Io penso che raccontandoti di lui abbia voluto semplicemente aprirsi con te, dovresti sentirti lusingata. -
- Lo so. - finalmente ero riuscita a strapparle un sorriso. - Ma... mio dio, non posso fare a meno di essere gelosa!-
Sogghignai, battendole una mano sulla spalla. - Comprensibile. -

*


La nave rollò un'altra volta: dolcemente, avrebbe detto uno qualunque dei pirati a bordo; peggio di un cavallo imbizzarrito, pensò Valerie mentre evitava per un soffio di ruzzolare miseramente a terra.
Credeva che lavorare come cambusiera su una nave non sarebbe stato tanto diverso da lavorare nella cucina della locanda, peccato non aver considerato che il pavimento sembrava non volerne sapere di stare fermo sotto i suoi piedi: per di più tutto quel movimento continuo cominciava ad annodarle le budella.
Avanzò barcollando dentro la stiva: Horge l'aveva mandata lì per portare in cambusa un sacco di patate, ma come diavolo avrebbe fatto, si chiedeva Valerie imprecando a bassa voce, quando le stesse patate sembravano reggersi in equilibrio meglio di lei?
La nave rollò leggermente dalla parte opposta: la ragazza si afferrò ad un barile, sentendosi come se tutte le sue viscere si stessero rimescolando. Decisamente qualcosa non andava.
- Fantastico... - gemette, realizzando che anche la testa cominciava a girarle. Ma, del resto, era poi così difficile reggersi in piedi sul ponte che ondeggiava al moto ondoso? Vedeva gli altri pirati farlo senza problemi... ah, adesso capiva la camminata dondolante del capitano. Mosse un altro passo, fiduciosa... e si rese conto che il problema non era tanto il mondo di legno che ondeggiava attorno a lei, quanto tutto quello che stava ondeggiando furiosamente dentro il suo stomaco. Non si sentiva affatto bene.
La sua spietata lotta per reggersi in equilibrio e contemporaneamente non rimettere sarebbe potuta andare avanti ancora a lungo se una figura rannicchiata in un angolo non avesse attirato la sua attenzione: incuriosita prese ad avanzare con cautela reggendosi prudentemente ai barili e alle casse che incontrava sul suo cammino, e si sporse avanti per vedere in viso il pirata che se ne stava seduto su un sacco bitorzoluto, chino su qualcosa.
- Salve. - lo salutò dopo qualche istante di esitazione. Quello sussultò come se si fosse spaventato e voltò bruscamente il viso verso di lei: era un giovanotto, non doveva avere che un paio di anni più di lei, non le sembrava di averlo visto prima a bordo ma era anche vero che lei era cambusiera a malapena da ventiquattro ore.
Il giovane la scrutò ancora per qualche secondo con espressione corrucciata, prima di chiudere con un colpo secco un quadernino dalla copertina sgualcita che teneva sulle ginocchia e chiederle: - E tu chi sei?-
- Uhm... - Valerie scoccò un'occhiata al sacco. - Una che deve prendere il sacco su cui ti sei seduto?-
L'osservazione strappò finalmente un sorriso al ragazzo, che si infilò in tasca il quadernino e si alzò in piedi. Valerie avrebbe voluto ringraziarlo, ma un'altra onda mise a dura prova il suo equilibrio e stavolta la colse impreparata, perché vacillò paurosamente senza niente a cui aggrapparsi e prima che avesse il tempo di rendersi conto cosa stava succedendo si ritrovò bocconi sul ponte, abbracciata al sacco di patate.
- Ehi!- il giovane si inginocchiò per soccorrerla. - Ti sei fatta male? Devi proprio tenerci molto a quelle patate se hai tanta fretta di impossessartene!- tentò di scherzare mentre aiutava un'intontita Valerie a rialzarsi sulle gambe tremanti.
- Come no... temo che non potrò essere molto utile al cuoco di bordo. - bofonchiò Valerie portandosi la mano alla testa con un gesto sgraziato mentre le sembrava che un migliaio di serpenti viscidi le stessero attanagliando lo stomaco. - Credo di stare per... -
- Mal di mare?- rise il ragazzo cingendo col braccio le spalle di Valerie per farla stare in piedi. - Aspetta di vedere col mare grosso!-
Gli occhi di Valerie si allargarono in un'espressione di orrore. - Non... non è già grosso?- gemette in tono supplichevole, facendosi più pallida di quanto non fosse già. Per tutta risposta lui rise di nuovo, poi si chinò a raccogliere il sacco di patate e, trascinandoselo dietro con una mano mentre con l'altra sorreggeva Valerie che, rassegnata, lo seguì senza opporre resistenza. - Su su, non ti preoccupare. - la incoraggiò in tono di conversazione. - Un paio di gallette e passa tutto... mi raccomando, controllale prima di mangiarle che ogni tanto ci sono un po' di “tonchi” dentro... -
Valerie emise quello che somigliava ad un guaito.
Poco più tardi i due erano in cambusa, seduti ed intenti a pelare patate che Horge raccattava in fretta per schiacciare e gettare nel suo pentolone fumante: l'odore intenso della zuppa che cuoceva stuzzicava il naso di Valerie, che con un certo sollievo si rese conto di avere fame. Inghiottì in fretta l'ultima delle gallette che Jonathan le aveva offerto: la nausea aveva finalmente smesso di tormentarla.
- Come va?- le domandò lui, che si era trattenuto in cambusa per aiutarla.
- Adesso meglio, avevi ragione. - fece un cenno ad Horge e gli lanciò la patata che aveva finito di pelare: quello la agguantò al volo quasi senza girarsi, intento a rimescolare la sua zuppa. Jonathan continuava a guardarla aggrottando le sopracciglia in modo curioso: - Ora che ci penso... ma tu non lavoravi alla “Testa di turco”, in città?- domandò ad un tratto, menzionando la locanda presso la quale Valerie aveva lavorato come cameriera. Lei annuì distrattamente mentre si allungava a rubare un'altra galletta dal sacco della cucina. - Sì, ci lavoravo... - si girò di nuovo verso di lui con uno sguardo vivace e la galletta fra i denti. - Perché?-
- Io ero garzone alla Sposa Fedele, ma per un po' ho lavorato su una nave come carpentiere. - il ragazzo scrollò le spalle. - Tu invece... è la prima volta che viaggi per mare?-
Valerie annuì ancora una volta. Trovò che quel ragazzo fosse un po' strano, forse per il modo in cui la guardava, o per quell'aria da semplicione che lo faceva sembrare fuori posto fra i pirati: eppure decise che le piaceva; finora era stato l'unico, esclusa la capitana e Stephanie, con il quale avesse parlato.
- Ma... sai dove ci stiamo dirigendo?- Jonathan la scrutava con un sopracciglio alzato; Valerie si accigliò, chiedendosi se la sua fosse una domanda o se piuttosto il ragazzo fosse a conoscenza di qualcosa che lei avrebbe dovuto sapere.
- Facciamo rotta verso le Barbados, al porto di Greenford, a quanto dicono i capitani. - rispose, ripetendo le istruzioni che la ciurma aveva ricevuto al momento di salpare. Era incuriosita: quel ragazzo la stava forse mettendo alla prova? Da come la guardava le sembrava come se la stesse valutando, e non riusciva a decidere se sentirsene infastidita o lusingata. - Certo, non per una gita di piacere. -
Questo lo fece sorridere; Valerie lo osservò abbassare per un attimo i grandi occhi castani che tradivano uno sguardo divertito prima di rialzarsi su di lei, più seri. - Da quello che il capitano mi ha detto stiamo andando in cerca di informazioni sul capitano Dawkins, qualcosa che ci aiuti a trovare la sua miniera. -
Valerie fece un cenno d'assenso: - Sì, ha detto qualcosa riguardo ad una miniera. -
- Non vi ha detto tutto. - ribatté Jonathan con tranquillità mentre gli guizzava sulle labbra un sorriso bonario.
- E tu invece sapresti “tutto”?- replicò prontamente Valerie, incrociando le braccia e protendendosi verso di lui per fissarlo negli occhi con aria di sfida: se quel ragazzo aveva intenzione di andare avanti ancora per molto con i suoi indovinelli avrebbe fatto meglio a cambiare subito musica; a Valerie proprio non piaceva sentirsi messa alla prova.
- Signor Wood!- una voce tuonò al di sopra delle loro teste: Joshamee Gibbs aveva spalancato la porta della cambusa e puntava un indice accusatore contro di lui. - Come pensate di rendervi utile se vi nascondete in cambusa? Avanti, alzatevi e mettetevi al lavoro, muoversi!-
- Scusatemi, signor Gibbs!- si scusò in fretta Jonathan mentre si affrettava a rialzarsi: mentre lo faceva però ammiccò a Valerie e bisbigliò: - Qui non si tratta di una semplice miniera, missy, sono acque ben più oscure quelle che capitan Sparrow sta andando a smuovere. - e senza aggiungere altro seguii frettolosamente Gibbs oltre la porta della cambusa mentre Horge chino sulla sua pentola brontolava qualcosa riguardo i “mozzi fannulloni”.

*


- Capitano! Capitano, una nave!-
Il grido del nostromo abbarbicato all'albero storto del peschereccio incagliato riscosse Ephraim dal torpore in cui era caduto: avevano passato tutta la notte incagliati su quello scoglio maledetto, la chiglia sfondata, la barca spezzata in due, il carico perduto e la ciurma esposta agli spruzzi gelati delle onde; lui aveva lottato tutto il tempo per non fare perdere d'animo i suoi uomini, per cercare un modo di fuggire dal relitto ormai inutilizzabile, e ora si sentiva quasi sul punto di svenire.
Aggrappato al cordame delle vele afflosciate fino al ponte, i piedi affondati nell'acqua, si costrinse a rizzarsi e a guardare nella direzione verso la quale il nostromo gesticolava: il suo grido aveva riacceso le speranze degli altri cinque uomini che componevano la piccola ciurma.
Ephraim batté le palpebre. C'era davvero una nave!
- Una nave... - biascicò, con la gola secca, mentre gli occhi stanchi mettevano a fuoco il profilo di un galeone nero che si profilava all'orizzonte. Poi una nuova luce gli accese lo sguardo, e quando parlò di nuovo lo fece a voce alta e chiara: - Una nave! Avanti gente, il vostro coraggio è stato ripagato!- si fece avanti rapidamente lungo il ponte spezzato e mezzo sommerso dall'acqua per arrivare sotto all'albero maestro ed alzare il viso verso il nostromo che scrutava il mare con il cannocchiale. - Fawcett, mostra i nostri colori, dobbiamo essere sicuri che ci vedano!-
Ma Fawcett continuava a fissare l'orizzonte, come paralizzato.
- Fawcett!- ruggì Ephraim, esasperato. - Muoviti, diavolo! Riesci a vedere i loro colori?-
Finalmente il nostromo si decise a rispondere, ma il suo tono aveva perso molta convinzione. - E' senza bandiere, signore. -
Un silenzio attonito calò sui marinai mentre si scambiavano occhiate significative: tutti avevano compreso al volo chi si trovavano davanti. - Pirati. - mormorò Caldwell, un giovane robusto col viso cotto dal sole, sporgendosi dalla murata per guardare meglio la nave che ora sembrava essersi fatta più vicina.
Ephraim sapeva che tutti gli sguardi si stavano rivolgendo a lui per una silenziosa domanda e capii di essere senza via d'uscita: avevano superato con fatica la notte, non avrebbero resistito oltre, o almeno, non avrebbero certo resistito tutti. Quella nave pirata, quell'unica nave che per caso o per grazia di Dio era venuta a trovarsi sulla loro rotta era la loro unica speranza.
- Restare qui è la morte per noi. - proferì ruvidamente rivolto alla sua ciurma. - Su le bandiere, uomini!-

*


Dal cassero di poppa della Perla Nera qualcun altro scrutava il relitto con un cannocchiale: guardai alternativamente il peschereccio arenato sulla secca e Jack, e vidi quest'ultimo aggrottare le sopracciglia prima di abbassare il cannocchiale.
- Signor Gibbs!- sbottò con aria meditabonda senza distogliere gli occhi dal relitto a poche leghe da noi.
- Capitano?- rispose prontamente lui, mettendosi al suo fianco.
Jack accennò col mento all'imbarcazione sfondata. - Naufraghi. - proclamò senza tradire nessuna particolare emozione: mi sporsi dal parapetto cercando di aguzzare la vista; la Perla colmava rapidamente la distanza fra noi e il relitto, ed ero quasi sicura di distinguere sei o sette figure che si agitavano su di esso. Una cosa la riconobbi per certo: lo sventolare frenetico di una bandiera che segnalava una richiesta di soccorso.
Gibbs strinse gli occhi per vedere, quindi fece una smorfia preoccupata. - Avvicinarsi è rischioso, se quel peschereccio ha preso proprio la roccia affiorante per noi c'è il rischio di imbatterci nella secca da un momento all'altro. -
Jack annuì mentre si infilava in cintura il cannocchiale. - Teniamocene alla larga, allora. -
Ancora affacciata al parapetto mi voltai verso di lui proprio mentre Gibbs tornava ad incamminarsi sul ponte gridando agli uomini: - Tutta a tribordo, bracciate le vele!-
- Li lasciamo lì?- domandai a Jack, incredula. Lui mi fissò in modo curioso per un istante, quindi allargò le braccia: - L'idea è quella... purtroppo non siamo pagati per soccorrere i naufraghi. -
- Jack!- lo interruppi bruscamente. - Dobbiamo soccorrerli, non possiamo abbandonarli lì, moriranno di certo... Per favore!-
Lui rimase a guardarmi corrucciato, quindi mi voltò le spalle e incrociò le braccia, ma avevo visto bene il cipiglio imbronciato trasformarsi per un attimo in sogghigno mentre faceva quel movimento. Brevemente alzai gli occhi al cielo, quindi mi accostai a lui e, alzandomi in punta di piedi per fare capolino da sopra la sua spalla lo blandii in tono più dolce: - Per favore?-
Voltò appena il capo verso di me fingendo di riflettere, con l'accenno di un sorrisetto sagace mentre si divertiva a tenermi sulle spine, quindi sospirò come arrendendosi, aprì la bocca per parlare e dopo un attimo disse...
- No. - e ridacchiando fra sé come se avesse appena fatto la battuta più divertente del mondo si allontanò lasciandomi con un palmo di naso. Ero furente. Era mai possibile che quell'uomo non prendesse mai nulla sul serio? Gettai uno sguardo addolorato al peschereccio dal quale la Perla già cominciava ad allontanarsi: perfino i naufraghi sembravano avere capito che non c'era nulla da fare, avevano cominciato ad agitare la loro bandiera con meno vigore.
No, un momento. Ad un tratto mi resi conto che c'era qualcosa che potevo fare. Dannazione, ero il capitano in seconda!
- Uomini!- gridai con voce più sicura che potei, correndo sul ponte e rivolgendomi ai pirati che lavoravano sulle sartie. - Fermi tutti! Alla cappa e vele all'imbando!-
Sia Gibbs che la ciurma mi guardarono con tanto d'occhi, ma una volta che ebbi ripetuto gli ordini tutti corsero rapidi alle vele per fare arrestare la nave: Jack, che si stava incamminando verso il castello di prua, si arrestò di botto lì dov'era e si voltò verso di me con espressione oltraggiata. - Io non ho dato quest'ordine!- protestò, punto sul vivo.
- Ma io sì. - replicai scoccandogli un gran sorriso. La nave aveva rallentato e stava lentamente virando: presto saremmo stati fermi e sarebbero potute essere calate le scialuppe; scrutandomi con evidente irritazione Jack fece un gesto convulso delle mani verso di me come se desiderasse strangolarmi.
- Scendo con le scialuppe e recupero i superstiti, non ci metterò molto. - dissi con calma dopo avere dato l'ordine di calare due scialuppe: rassegnandosi al fatto che ormai non mi avrebbe più fermata, Jack scrollò il capo in un gesto esasperato. - Oh, al diavolo, fa un po' quello che vuoi. -
Soddisfatta mi diressi ad una delle scialuppe sulla quale stavano già due pirati e rapidamente salii a bordo.
- ...Potrei quasi considerare l'idea di lasciarti in mare, sai?- mi gridò dietro Jack come per un ripensamento mentre le scialuppe venivano calate in acqua. Le barcacce si affiancarono l'una all'altra, cavalcando le onde lente, ma alte, che facevano dondolare paurosamente ad ogni colpo di remo: il relitto non era troppo lontano, e dopo lunghi minuti di buona lena da parte dei quattro pirati che due di qua e due di là conducevano le scialuppe, arrivammo allo scoglio dove la sfortunata imbarcazione era andata ad incagliarsi.
C'erano effettivamente sette uomini a bordo del peschereccio fracassato: vedendoci arrivare lanciarono grida, azzardato dire di gioia poiché dovevano avere capito benissimo chi eravamo, ma al massimo di sollievo, e alcuni di loro ci gettarono delle cime perché potessimo ormeggiare accanto al relitto senza rischiare di sfracellarci a nostra volta sulle rocce affioranti. Quando fummo al fianco del peschereccio mi alzai in piedi con cautela sebbene la scialuppa traballasse ancora parecchio per le onde, e mi rivolsi ai naufraghi che si affacciavano da sopra il parapetto spezzato per vederci: - Non abbiate paura! Scavalcate la murata e salite sulle scialuppe, presto. -
Le espressioni di assoluto stupore che mi lanciarono mi fecero intuire che la presenza di una donna doveva averli sconcertati più di tutto quello che era successo fino a quel momento. Tuttavia non si fecero ripetere l'ordine due volte, e uno dopo l'altro cominciarono a calarsi dal peschereccio per saltare sulle scialuppe. Erano sette in tutto: quattro si calarono nella scialuppa guidata dai due pirati, due avevano raggiunto me sulla mia scialuppa; l'ultimo ad abbandonare il peschereccio fu un uomo che sembrava il capitano, colui che aveva supervisionato dall'inizio alla fine lo scomodo imbarco aiutando ognuno dei suoi uomini.
- Avanti... - gli offrii aiuto mentre scavalcava la murata reggendosi con una mano al parapetto e con l'altra alla fune tesa fra la scialuppa e il relitto: doveva avere la sua bella età, almeno cinquant'anni a giudicare dal grigio della barba e dei capelli. L'uomo agguantò la mia mano mentre si reggeva in equilibrio sulla scialuppa: inaspettatamente sussultai al contatto, come se la stretta di quella mano callosa mi fosse sembrata per un attimo inspiegabilmente familiare.
Ma quando il vecchio pescatore alzò su di me quegli occhi scuri in quel viso dai tratti regolari sentii il cuore fare un salto mortale dentro il mio petto, e per dieci secondi netti non seppi fare altro che rimanere a fissarlo ad occhi sbarrati, incredula e immobile come fulminata sul posto.
- Padre!- esclamai, senza fiato. - Padre!-



Note dell'autrice: Un'annotazione per Luciana alla giusta osservazione che mi ha fatto: ti posso assicurare che ho letto che buona parte degli arrembaggi dei pirati, per assurdo, si risolvevano quasi senza spargimenti di sangue quando si trattava di abbordare mercantili o navi i quali equipaggi si arrendevano immediatamente non appena scorgevano la bandiera pirata: resistere sarebbe stato un invito al massacro. Certo, la situazione era ben diversa quando gli equipaggi opponevano resistenza o quando semplicemente la ciurma pirata non era intenzionata ad andare troppo per il sottile. Non ti preoccupare, la “tranquillità” per ora è solo apparente! Un grazie di cuore a tutti quelli che hanno commentato, prometto di impegnarmi al massimo per non deludervi! (PS: Shalnaaaaa, ho bisogno di te! ;-P )

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Capitolo 5
*** Affari di famiglia ***


Capitolo 4
Affari di famiglia



- Papà?-
Nella modesta cucina della casa di William ed Elizabeth Turner, ad Oyster Bay, David si aggrappò alla gamba di suo padre, agguantando con la manina un lembo della sua camicia e tirandola con fare impaziente. Subito Will si chinò su di lui, allungando una mano a scompigliargli i folti capelli bruno dorati. - Che cosa c'è, piccolo?-
David agitò la nave giocattolo che stringeva in una mano, poi con la mano libera prese il dito di Will e lo tirò per farsi seguire; Will sorrise e si fece guidare di buon grado da figlioletto: da quando era tornato a vivere ad Oyster Bay si era posto come primo dovere di colmare l'abisso di tre anni che lo separava da suo figlio, e sorprendentemente i risultati non si erano fatti attendere. Forse per via di tutte le volte che Elizabeth gli aveva raccontato delle gesta del padre, forse per il naturale affetto che li legava, David era sempre il primo a venire a cercare William, fosse per giocare con lui, per farsi raccontare storie prima di dormire, o semplicemente per tempestarlo di tutte le domande che fanno i bambini. Will adorava essere tenuto così tanto in considerazione dal bimbo, si meravigliava perfino di questo insperato successo.
Forse in realtà David temeva di vederlo scomparire da un giorno all'altro, si diceva a volte Will. Forse ancora non riusciva a realizzare che il padre che per tre anni non aveva avuto era tornato per restare.
David si sedette per terra accanto ai suoi giocattoli, Will si accomodò accanto a lui sdraiandosi su un fianco e prese in mano un'altra nave giocattolo. Quanto era piacevole starsene lì, nella quiete della piccola casa.
- Allora... - proferì Will, spingendo la propria nave di legno sul pavimento. - Come si chiama la tua nave?-
- L'Olandese Volante!- cinguettò David con fierezza mentre faceva saltellare la nave giocattolo.
- Accipicchia, hai una gran bella nave!- rise Will spingendo la sua piccola nave incontro a quella del figlio. - E io quale nave ho?-
- La Perla Nera!- dichiarò solennemente il bimbo, tutto preso dal suo gioco.
- Anch'io sono messo bene allora. E che facciamo, combattiamo?-
- Ma nooo!- esclamò David a voce alta in tono indignato come se il padre avesse commesso un errore imperdonabile. - Andiamo insieme! Così!- padre e figlio spinsero le piccole navi sul pavimento facendole procedere fianco a fianco, aggirando abilmente pericolosi ostacoli come la gamba del tavolo o un buco fra le assi del pavimento. Will sorrise guardandole: una dalle vele nere, l'altra bianche. Una volta soltanto, tre anni prima, la Perla e l'Olandese avevano davvero combattuto fianco a fianco: le due navi più potenti del mondo, l'unica forza in grado di contrastare il potere di Lord Cutler Beckett e di spazzarlo via assieme a tutta la sua nave.
Il loro momento di gloria.

*


Fu solo l'urgenza della situazione a riscuotermi dallo stupore, e mi affrettai a liberare la scialuppa dalla cima che la legava al relitto proprio mentre mio padre, incredulo almeno quanto me, mi fissava ad occhi sbarrati balbettando stupefatto: - Laura?-
La prima onda cominciò a far voltare la prua della barcaccia: i due pirati, ignorando il nostro scambio di vedute, presero immediatamente i remi e ci fecero girare per tornare alla nave, mentre gli occupanti della seconda scialuppa fecero lo stesso. Presi per mano mio padre che era rimasto in piedi in equilibrio precario e lo feci sedere accanto a me: ora che vedevo da vicino lui e i suoi uomini potevo considerare che erano ridotti proprio male; tremanti, i visi scavati dalla stanchezza, gli abiti fradici. Non doveva essere stata una notte facile per loro.
Come risvegliatosi improvvisamente mio padre si protese ad agguantarmi per le spalle, costringendomi a voltarmi verso di lui. - Laura, sei proprio tu?!- esclamò scrutandomi come se non credesse ai propri occhi: mi riconosceva ancora, dopo quattro anni che non ci vedevamo, abbigliata da capitano, coi capelli sciolti e spettinati e il tricorno in testa? - Ma come... cosa... che cosa ci fai qui?!-
- Non... non adesso, padre. - come avrei potuto spiegargli in poche parole perché mi trovavo lì? - Ti spiegherò tutto, te lo prometto, ma ora dobbiamo pensare a voi... che cosa vi è accaduto? Da quanto tempo eravate incagliati su quella secca?-
Mio padre batté le palpebre come se l'intera situazione lo sconvolgesse a tal punto da rendergli difficile parlare. - Eravamo... Eravamo sulla rotta di Greenford da un giorno, disgraziatamente siamo finiti sulla secca durante la notte e il peschereccio è andato perduto... - si interruppe bruscamente, scrollando il capo e rivolgendomi uno sguardo quasi spiritato. - ...Ma per tutti i santi del paradiso, perché sei qui a parlarmi di navi e di secche? Di tutti i posti in cui mi aspettavo di trovarti, questo era l'ultimo! Perché non sei a Redmond con Stephanie Westley? Che cosa ti è accaduto?-
Capii che non potevo far fronte a quella raffica di domande, e gli sguardi che mi lanciarono di sottecchi i due pirati ai remi mi ricordarono che la verità non sarebbe stata affatto semplice da raccontare. Eravamo ormai arrivati al fianco della Perla, e la ciurma aveva gettato le cime per farci risalire: liberandomi dalla stretta di mio padre mi sollevai in piedi. - Fra un attimo, ti prego... Un attimo ancora e , ti giuro, saprai tutto... Lascia che saliamo a bordo. -
Non si poteva certo dire che mio padre sembrasse soddisfatto della mia risposta, anzi, ma dovette rassegnarsi a trattenere il suo stupore mentre le due barcacce venivano issate a bordo e i naufraghi fatti scendere sul ponte davanti ad una turpe ciurma di pirati che li scrutavano con espressioni indecifrabili. Scesi al loro fianco e capii che avevano paura: uno di loro, un giovane biondo che doveva avere all'incirca la mia età, stringeva forte al suo fianco una pistola che doveva avere salvato al naufragio.
- Mettila via, nessuno ha intenzione di farvi del male. - gli intimai in tono leggermente esasperato. In quel momento qualcuno alle mie spalle mi agguantò per il gomito e mi tirò all'indietro.
- Come dire... non è stata la tua mossa più ingegnosa. - commentò Jack mentre scoccava un'occhiata di sbieco ai naufraghi che uno dopo l'altro stavano scendendo dalle scialuppe. - Sette uomini in più di cui occuparsi, e noi non siamo esattamente un convento, comprendi?-
Mi divincolai rapidamente e lo guardai quasi con stizza: - Jack, razza di stupido, non hai idea di chi stavi per farmi abbandonare al suo destino!-
Lui inarcò un sopracciglio senza capire: - Qualche rinsecchito pescatore?-
- Mio padre!- gesticolai freneticamente indicando l'uomo che stava smontando dalla scialuppa, circondato da un gruppo di pirati curiosi. - Ephraim Evans! Come ho potuto non pensarci... del resto il mio paese natale è proprio sulla rotta delle Bahamas... - mi interruppi quando mi accorsi che Jack era ammutolito e aveva gli occhi talmente sgranati che poco mancava che gli uscissero dalle orbite.
- Scu... Scusami?- balbettò in tono sconcertato.
- Mio padre!- ripetei, alzandomi in punta di piedi per vedere oltre la massa di pirati che si era assiepata attorno ai naufraghi tagliandoli fuori dalla nostra vista, e indicando mio padre. - Quel pescatore là è mio padre. -
Jack seguì la direzione del mio dito senza dire una parola. - Quello è tuo padre?- gemette assumendo quella che era senza ombra di dubbio un'espressione di orrore. Senza più sapere che dovevo dire, annuii. Per tutta risposta il capitano se ne rimase impalato lì dov'era con l'espressione di uno che avesse masticato del vetro, poi tutto ad un tratto si riscosse e fece un balzo all'indietro alzando le mani fra me e lui. - Tu non mi conosci!- sibilò un istante prima di eclissarsi fra la ciurma.
La sua reazione mi lasciò talmente interdetta che mi riscossi solo quando lo vidi rispuntare dal gruppo di pirati assiepati e fermarsi dinanzi ai sette naufraghi: li squadrò dall'alto in basso con aria sprezzante come a voler ostentare superiorità, quindi domandò imperiosamente: - Ebbene... e voi chi sareste?-
Gli uomini si scambiarono una rapida occhiata rivolgendosi tutti in una silenziosa richiesta al loro capitano, quindi mio padre si fece avanti di un passo: anche se non lo vedevo da quattro anni riconoscevo quello sguardo; non era intenzionato a lasciarsi mettere i piedi in testa da Jack. - Il mio nome è Ephraim Evans. - disse, Jack ebbe un brivido sgradevole. - Io e i miei compagni veniamo dal porto di Sunny Haven ed eravamo diretti a Greenford con un carico di pesce, la scorsa notte il nostro peschereccio si è incagliato su quella secca e vi siamo rimasti fino al vostro arrivo. -
Attorno a noi la ciurma curiosa aveva abbandonato i posti di lavoro lasciando la nave alla cappa e osservava i nuovi arrivati: mentre mi sporgevo da dietro le spalle di due pirati mi accorsi che Faith era arrivata al mio fianco e sbirciava anche lei in direzione dei naufraghi. I suoi occhi scuri si spalancarono quando videro mio padre e si voltò repentinamente verso di me: - Laura, ma quello è...?!-
Risposi al suo sguardo meravigliato annuendo in fretta, quindi senza perdere altro tempo mi feci largo fra il resto della ciurma lasciando la mia amica confusa e sbalordita dietro di me. Jack fece un cenno col capo e scrollò le spalle, distogliendo per un istante lo sguardo da mio padre: - Capisco... be', signor Evans, non credo di volere a bordo voi e la vostra ciurma di pescatori, spiacente. Vi manderò giù con una scialuppa, dopodiché dovrete cavarvela da soli. -
- Ma non abbiamo cibo né acqua!- protestò il nostromo di nome Fawcett. Jack fece un gesto stizzoso con una mano nella sua direzione. - Allora vi daremo lo stretto necessario per permettervi di resistere fino a Greenford, basta che ve ne andate di qui!-
I sei uomini dell'equipaggio fecero tanto d'occhi davanti alla spropositata generosità del capitano pirata, e stavano già sorridendo increduli della loro fortuna quando mio padre avanzò risolutamente verso Jack. - No!- protestò con veemenza. - Chiedo di poter parlare con mia figlia!- e puntò risolutamente il dito contro di me. Alle sue parole dalla ciurma si levò un alto brusio e grasse risate incredule; Jack lanciò repentinamente un'occhiata infastidita attorno a sé con l'aria di un animale braccato, quindi fissò stizzito mio padre.
- Negato. - bofonchiò.
- Concesso!- replicai, facendomi avanti tra i pirati. Il mio intervento servì solo a rafforzare i commenti e le risate dei pirati che stavano capendo in quale scomoda situazione ci fossimo cacciati, e la cosa sembrava divertirli parecchio. Non so chi in quel momento mi guardasse peggio, se mio padre con lo sguardo inquisitore di chi non ammetteva repliche, o Jack con l'espressione di chi avrebbe desiderato soltanto vedermi scomparire. - Ho detto “negato”!- mi redarguì seccamente agitando una mano verso di me.
- E' mio padre!- Protestai, mettendomi fra loro due: Jack fece provvidenzialmente un passo all'indietro come se temesse che gli venissi troppo vicino. - Io sono il vostro capitano!- ribatté.
Mi aveva dato del voi. La cosa fece letteralmente sganasciare dal ridere alcuni dei pirati che assistevano alla scena, e dall'espressione disperata che balenò per un attimo negli occhi di Jack intuii che poteva solo sperare che mio padre non indovinasse il perché dell'ilarità della ciurma.
- Io non me ne andrò da qui finché non avrò parlato con mia figlia. - dichiarò ruvidamente lui incrociando le braccia sul petto come a sfidare a contraddirlo. Sospirai e mi feci avanti: - Jack... - lui stavolta fece un mezzo balzo all'indietro, facendo cenni frenetici col mento in direzione di mio padre alle nostre spalle. Compresi e mi arrestai: la cosa si stava facendo veramente ridicola. - Dieci minuti per poter parlare con mio padre, è tutto quello che chiedo. -
La faccia del capitano era talmente scura che temetti che mi dicesse di no, ma per fortuna si arrese e mi indicò con gesto secco le scale per sottocoperta. - Vi prendete un po' troppo libertà, miss Evans. - non mancò di sottolineare mentre mi avviavo al fianco di mio padre: quell'ultimo appellativo mi fece venire una gran voglia di fermarmi e dirgliene quattro come si meritava, ma decisi di rimandare ad un momento più opportuno. Mi feci precedere da mio padre mentre gli indicavo le scale di sottocoperta, e in quel momento lanciai un'ultima fugace occhiata a Jack: per tutta risposta lui in silenzio agitò gli indici in un frenetico segno di diniego per poi passarsene uno sulla gola. Oh, santo cielo. Scesi in fretta le scale dietro mio padre.
Ci ritirammo nella stiva perché era l'unico posto dove avremmo potuto parlare indisturbati, e perché segretamente osavo sperare che mio padre fosse più propenso ad ascoltare senza avere sotto gli occhi la ciurma dei pirati. Mi voltai per chiudere la porta alle nostre spalle, ma anche per prendere un profondo respiro: sarebbe stata una prova ardua; quando mi voltai mio padre era ritto di fronte a me, fra i sacchi, le casse e le bottiglie, e mi fissava con uno sguardo che credo di avergli visto solo da bambina quando era veramente infuriato.
- Dieci minuti. - sillabò, sprizzando rabbia ad ogni parola. - Hai dieci minuti, signorina, per spiegarmi come diavolo sei finita in questa lurida fogna di topi di sentina!- le ultime parole le aveva quasi urlate: mi avvicinai a lui alzando le mani nel tentativo di calmarlo. - Padre, urlare in questo modo non è molto saggio. - azzardai, ma non migliorai molto la situazione.
- Su una nave pirata!- mio padre ormai stava urlando e non c'era alcun modo di fermarlo. - In mezzo ad una risma di uomini senza dio! Vestita come un uomo!- sputò le ultime parole squadrandomi con un'espressione fra l'orrore e lo sconcerto. - Laura, dio mio, che cosa ti hanno fatto?!-
- Non mi hanno fatto niente!- lo interruppi bruscamente: a quanto pareva dovevo tenere il suo tono per riuscire a farmi ascoltare.
- Oh, ma certo, siamo su una nave di santi!- urlò lui di rimando. - Che cosa dovrei pensare?! Mia figlia che scorrazza liberamente con degli uomini vestita in modo indecente, come una sguattera, come una putt... -
- Papà!- coprii le sue parole strillando con quanto fiato avevo in corpo. Lui esitò come stordito, forse sorpreso dall'appellativo così familiare ed affettuoso che non sentiva da tanti anni: esitammo entrambi, l'uno di fronte all'altro, le gole secche per il troppo urlare, infine la sua espressione di rabbia si tramutò in dolore e vidi le lacrime cominciare a colmargli gli occhi. - Laura... - mormorò lentamente in un basso singhiozzo, e l'attimo dopo mi trovai stretta da quelle braccia paterne che sussultavano scosse dal pianto. Ricambiai l'abbraccio mentre anche le mie lacrime cominciavano a superare pericolosamente il livello di guardia. - Papà... - mormorai trattenendo un singhiozzo che mi saliva dal petto. - Papà... -
Quattro anni che non ero più stata stretta da quelle braccia affettuose, quattro anni passati senza avere notizie l'uno dell'altra e appena riuniti non avevamo di meglio da fare che urlarci contro. Ci concedemmo brevi istanti per abbracciarci forte, piangere e convincerci che eravamo veramente insieme di nuovo, quindi ci separammo: imbarazzati, incerti e increduli, ma forse un poco più calmi.
- Sono sconvolto. - ammise mio padre asciugandosi le lacrime. - Devi capire, Laura... perso in mezzo al mare, il peschereccio e il carico perduti, salvati da un galeone pirata... l'ultima cosa che mi aspettavo era trovare te in questo angolo di mare dimenticato da Dio... è... è stato veramente troppo, ecco tutto. -
- Lo so. - lo rassicurai annuendo. - E so bene come possono apparire le cose, ma ti giuro, e ti prego di credermi, che non mi è accaduto assolutamente niente di male né per mano degli uomini di questa ciurma né di altri. -
Mio padre crollò a sedere su una cassa di rum passandosi le mani sul volto come per schiarirsi le idee, quindi emise un lungo sospiro. - Per quanto mi sia difficile, penso di conoscerti ancora... e voglio crederti. Ma... come sei finita qui? E soprattutto... - sollevò lo sguardo su di me, sempre più incuriosito e confuso. - Il capitano e la ciurma ascoltano le tue parole?-
Mi mossi nervosamente sui piedi, incapace di stare seduta o anche semplicemente ferma sotto gli occhi di mio padre. - Sono... il capitano in seconda, in effetti. - ammisi, preparandomi ad una lotta senza quartiere per rendere abbastanza credibile la mia storia. Se credevo che l'espressione di mio padre fosse stupita dovetti ricredermi quando lo vidi allargare gli occhi così tanto che mi chiesi se non gli sarebbero usciti dalle orbite. - Capitano?! Una donna?!-
- Anche Calico Jack Rackham ha delle donne nella sua ciurma. - osservai sentendomi un po' offesa, per mordermi le labbra subito dopo: effettivamente non aiutava parlare di altri capitani pirata.
- Questo non cambia nulla. - disse infatti lui, inasprendo il tono. - Quello che non capisco è come tu abbia potuto assumere un tale titolo. -
- Ehm... - Jack mi aveva chiesto espressamente di non dire nulla, e in quel momento mi trovai a riconoscere che dopotutto non era un'idea così insensata. Mio padre aveva ammesso di essere rimasto totalmente spiazzate dalle troppe novità tutte in una volta, potevo soltanto immaginare come avrebbe potuto reagire se avessi accennato al fatto che il capitano era il mio uomo. Non ero sicura di voler verificare le mie teorie. - Non riconosci questa nave, padre? Essa ci appartiene più di quanto avrei mai potuto immaginare. -
Lui inarcò le sopracciglia senza capire, io presi fra le dita la catenina che portavo al collo facendo tintinnare la piccola perla nera. - Non ti ricordi chi e come mi ha regalato questa? Oh, andiamo, non riconosci nemmeno la nave che hai fabbricato con le tue stesse mani?-
Mio padre sussultò comprendendo di colpo a che cosa mi stavo riferendo. - La Wicked Wench?- esclamò, come se si rifiutasse di credere ad ogni parola. - Questa? Questa nave è la stessa che costruii tanti anni fa insieme a Joby Price?-
- Proprio quella. - sorrisi e lasciai ricadere la catenella. - E' stato veramente uno stranissimo caso del destino a portarmi qui: il capitano ha un legame molto particolare con questa nave, e ha voluto eleggermi capitano in seconda in onore del legame che unisce invece me a questa nave. Che, per la cronaca, non si chiama più Wicked Wench, ora è la Perla Nera. - la mia spiegazione faceva acqua da tutte le parti e mio padre dovette condividere la mia opinione perché mi scrutò con aria affatto convinta, e per scongiurare altre domande passai immediatamente all'altro discorso che mi stava a cuore. - In quanto a come sono arrivata qui, è una storia complicata... - mi sedetti con lui e gli raccontai tutto... o quasi. Raccontai della prigione di Redmond, di quando io e Faith avevamo conosciuto Jack e avevamo deciso di farlo fuggire.
- Non capisco... - continuava a ripetere mio padre scuotendo la testa. - Ma come avete potuto fare una cosa del genere? Parola mia, mi sembra di avere cresciuto una figlia completamente priva di senno!-
- Tu non hai visto com'era là dentro. - ribattei freddamente. - Dopo quattro anni anche tu se avessi visto una minima via d'uscita, anche se ti veniva incontro con l'aspetto di un capitano pirata, l'avresti presa!- proseguii col mio racconto: gli dissi che avevamo fatto rotta per Oyster Bay e che avevamo ritrovato Elizabeth; sembrò sollevato a sentire parlare di lei e di William, così decisi signorilmente di sorvolare sul fatto che Will fosse stato capitano dell'Olandese Volante e sulla maledizione che lo aveva perseguitato nel suo tragitto con noi. Seppe a grandi linee del rapimento di David e della complicata impresa per salvarlo, e infine di come io, Faith e Michael avessimo deciso di rimanere come pirati a bordo della Perla Nera.
- Non capisco. - ripeté per l'ennesima volta mio padre con più veemenza. - Ho capito che all'inizio la vostra scelta è stata dettata dalla necessità, non eravate in una situazione facile... ma perché rimanere? Potevate tornare con William ed Elizabeth Turner, sarebbero stati loro la vostra garanzia di una vita migliore!-
- Non era quello che volevo. - quasi mi sorprese la semplicità con la quale quelle parole mi uscirono di bocca, seguite da un silenzio di gelo nel quale intuii molto in fretta che mio padre si stava trattenendo a forza per non ricominciare ad urlare.
- Non ti riconosco più, Laura. - disse infine in tono grave. Le sue parole mi ferirono, eppure avevo la sottile, strana sensazione di non riuscire a sentirmi davvero... in colpa. Lo avevo deluso, era chiaro. Lo avevo sconvolto. Ma la “colpa”? No, non riuscivo a sentirmi di avere fatto qualcosa di sbagliato, e più me ne rendevo conto più me ne vergognavo: forse era vero, forse stavo davvero diventando un'egoista.
La porta della stiva si spalancò e senza tante cerimonie Gibbs si affacciò, scrutandoci con una faccia scura che non era proprio da lui. - I dieci minuti sono abbondantemente passati. - ci informò, tetro. Mio padre lanciò uno sguardo prima a lui e poi a me; non disse una parola ma potevo ben intuire il suo stato d'animo: annuii a Gibbs e tutti e tre tornammo sul ponte, dove l'intera ciurma della Perla e i sei naufraghi ci stavano aspettando con impazienza. Li avevamo appena raggiunti quando mio padre, cogliendomi alla sprovvista, si fece avanti verso Jack e gli si fermò di fronte.
- Capitano Jack Sparrow?- chiese, ripetendo il nome che avevo menzionato nel mio sommario racconto dei fatti accaduti.
- Sì?- rispose lui dopo un istante, inarcando un sopracciglio con aria preoccupata come se si stesse chiedendo se gli avessi rivelato troppo.
- Avete salvato la vita a me e alla mia ciurma, quest'oggi... - fece un cenno col capo che poteva assomigliare vagamente ad un gesto di gratitudine. - E navigate sulla nave che tanti anni fa io stesso ho aiutato a costruire. Vi chiedo di concedermi una cosa soltanto. -
Jack si corrucciò, dondolandosi da un piede all'altro: era evidente che non era per niente a suo agio di fronte a lui. - Cioè?- sbottò sbrigativamente.
- Sciogliete mia figlia dal suo incarico e lasciate che venga via insieme a me. -
- No!- esclamai indignata appena le parole uscirono dalla bocca di mio padre: i pirati di nuovo vociarono e si sporsero curiosi di vedere se la discussione sarebbe degenerata in un bel parapiglia. Jack si voltò verso mio padre sfoderando un sorriso fin troppo contento: - Mi pare di intuire che lei non sia d'accordo. - annunciò puntando entrambi gli indici verso di me.
- Fino a prova contraria... - scattò lui con un ringhio che tradiva tutta la rabbia che stava trattenendo. - ...sono io il responsabile di mia figlia!-
Jack sostenne l'attacco di mio padre senza battere ciglio, ora più sicuro della sua posizione di superiorità. - Fino a prova contraria ad ogni uomo... o donna... - accennò a me con un sorriso. - ...della ciurma è concessa la libertà di decidere, e a nessun altro è permesso decidere per un membro dell'equipaggio. Vostra figlia resta qui. -
- Quale diritto vantate su di lei?- la determinazione di mio padre non era stata scalfita minimamente dalla ritrovata sicurezza di Jack: fu quest'ultimo invece a perdere parecchia della sua convinzione alle ultime parole dell'anziano marinaio, e per un istante si morse le labbra con le mani sospese a mezz'aria.
- Diritto di capitano!- annunciò infine, trionfante, facendo scattare l'indice contro il petto di mio padre. - In virtù del sesto... settimo... quinto... uhm... vabbè, non mi ricordo quale, ma in virtù di uno degli Articoli del Codice di bordo, nessun membro dell'equipaggio può interrompere il nostro stile di vita finché non abbiamo guadagnato mille sterline. -
- Siete svelto ad usare le vostre fantomatiche leggi. Sarei curioso di sapere se siete altrettanto pronto ad applicarle quando non si tratta di corrompere una ragazza innocente. - mio padre parlava come un oratore rivolto al suo pubblico; la voce ora non gli tremava più per la collera, anzi, le sue parole suonavano dirette ed impietose, e già i pirati attorno a noi cominciavano a ridere molto meno e a lanciargli sempre più occhiate di astio. Rapidamente feci tre passi avanti per arrivare al suo fianco e farlo voltare verso di me: - Ti sbagli di grosso, padre, lo sai che rimango qui di mia volontà!-
- Dice la verità, signor Evans!- Faith era emersa dalla ciurma alle mie spalle. Mio padre sgranò gli occhi ancora una volta: - Stephanie Westley?- sillabò, con l'aria di domandarsi cos'altro dovesse aspettarsi ancora.
Faith esitò come chiedendosi se avesse sbagliato entrata, io mi misi fra lei e mio padre per costringerlo ad ascoltarmi: - Sono il capitano in seconda e ho delle responsabilità a bordo di questa nave: non ho nessuna intenzione di andarmene, e nemmeno tu hai il diritto di dirmi che cosa devo fare. -
Riuscii a far sì che la voce non mi tremasse anche se quelle parole erano forse le più infamanti che avessi mai detto a mio padre: infatti lo vidi fissarmi con un'espressione divisa fra il ferito e il terribile che mi fece salire il cuore in gola, infine distolse lo sguardo da me per riportarlo su Jack. - Se mia figlia resta a bordo... - annunciò lentamente incrociando le braccia. - ...io farò lo stesso. Senza di lei non me ne vado. -
Gli uomini della sua ciurma, che ancora speravano nella possibilità di andarsene senza discutere, impallidirono; Jack sgranò gli occhi, oltraggiato: - Questo è fuori discussione!- protestò.
- Buttatemi in mare. - lo sfidò mio padre senza smuoversi di un centimetro. L'espressione improvvisamente più vispa di Jack e l'occhiata che buttò alla ciurma mi fecero temere che l'avrebbe preso in parola, ma dovette cambiare idea notando lo sguardo assassino che gli scoccai da dietro la spalla di mio padre. Lui rimaneva ritto a braccia incrociate, alle sue spalle i suoi uomini imprecavano a bassa voce sibilandogli di non condannarli tutti, i pirati presero a vociare chiedendo una punizione esemplare per quel pescatore sprovveduto: Jack sembrò perdere completamente il controllo perché con uno scatto nervoso gettò le braccia in aria e gesticolando furiosamente verso i marinai gridò: - In cella! Tutti e sette! Via! Sciò! Scattare!-
Prontamente alcuni pirati agguantarono in quattro e quattrotto tutti e sette i marinai e li trascinarono sottocoperta; mio padre non fece una piega quando due pirati lo presero rudemente per le braccia, si limitò a guardarmi dritto negli occhi e non distogliere lo sguardo da me finché non lo condussero giù per le scale di sottocoperta. Mi sentivo un verme.
Tolti di mezzo i pescatori Jack diede ordine di spiegare le vele, e in poco tempo la nave fu pronta a riprendere la navigazione. Mi lasciai cadere pesantemente su di una cassa e nascosi il viso fra le mani: troppo, decisamente troppe emozioni in un colpo solo. Mio padre ora era rinchiuso in cella; era sempre meglio del destino che gli sarebbe toccato se l'avessimo lasciato sul relitto in mezzo al mare, dovetti ammettere, eppure il senso di colpa che non avevo provato nel rivelare le mie azioni ora rivendicava il suo posto attanagliandomi la gola.
Una mano mi si posò sulla spalla, al contatto sollevai il viso per trovarmi a guardare quello di Faith che mi si era fermata accanto. - Non gli faranno del male, vedrai. - mi disse lei cercando di rassicurarmi. Notai che c'era anche Valerie insieme a lei, e, forse per una qualche empatia femminile, fui tutto sommato felice di avere anche lei al mio fianco.
- Non è questo che mi preoccupa. - replicai scuotendo il capo. - Maledizione... Ma perché mio padre? Perché dovevamo passare sulla rotta per Sunny Haven?- il nome del mio paesino natale mi evocava una cascata di ricordi estremamente difficile da arginare. - Perché diavolo dovevamo incontrare proprio lui?-
- Quegli uomini sarebbero morti se non ci fossimo fermati a soccorrerli. - puntualizzò Valerie in tono estremamente pacato.
- Lo so!- ribattei, secca. - Ma diavolo, perché doveva andare così? Adesso mio padre è chiuso là sotto, e... e chissà che cosa pensa di me!-
Le sopracciglia di Valerie si inarcarono sopra gli occhi castani mentre si corrucciava in viso. - Che cosa pensa di te?- ripeté lentamente, fissandomi. - Magari... che sei un capitano pirata? Perché, vuoi forse dire che non è così?-
Era più che seria, e di colpo capii quanto fossero sciocche le mie parole, così come era sciocco disperarsi a quel modo. Che cosa poteva pensare mio padre dopo quello che gli avevo raccontato? Niente che fosse troppo lontano dalla verità, in fondo. Avrebbe fatto meglio ad accettarlo e, ora che ci pensavo, avrei fatto meglio anch'io. Dopo qualche istante annuii a Valerie, e inaspettatamente la vidi sorridermi. - Ma se solo non avesse insistito per restare!- sospirai irritata mentre mi alzavo in piedi. - Doveva accettare l'aiuto di Jack e basta, adesso avete idea di quanto rischierebbe se facesse arrabbiare ulteriormente la ciurma? Oh, se solo non fosse così cocciuto... -
Quasi istintivamente Valerie e Faith si scambiarono un'occhiata e si lasciarono sfuggire un sorrisetto divertito guardando vero di me. - Chissà la figlia da chi ha preso. - commentò Faith con aria innocente.
- E voi due piantatela!- sibilai esasperata prima di voltare loro le spalle e allontanarmi.

*

Era scesa la notte e la Perla ancora veleggiava in mare aperto, ombra nera fra le ombre, sotto un cielo oscurato dalle nuvole: sul ponte pochi pirati si davano il turno per tenere la rotta, i più stavano ronfando già da un pezzo nelle loro amache di sottocoperta. Nel ponte inferiore, quasi a livello dell'acqua, il buio era quasi totale, rischiarato debolmente da rare lanterne appese alle umide pareti di legno; le assi scricchiolarono sotto i miei piedi mentre percorrevo l'angusto corridoio che precedeva la stiva e l'entrata delle celle reggendo in una mano una lanterna che proiettava una luce tremolante sulle pareti.
Ad un tratto mi accorsi di un'altra luce tremolante che veniva dalle scale che davano sulla stiva accompagnato dal rumore di passi: mi arrestai incuriosita, e in quel momento il cono di luce giallastra si ingrandì, rivelando una lanterna e il profilo di un vecchio tricorno. Jack comparve sulle scale, quindi si voltò nella mia direzione e accorgendosi di me si fermò improvvisamente.
- Che cosa ci fai qui?- gli domandai, sorpresa. Per tutta risposta lui sollevò la bottiglia che stringeva nella mano sinistra.
- Stai andando da lui?- mi chiese di rimando anche se la risposta era piuttosto ovvia. Annuii, con la lanterna nella sinistra che cominciava a pesarmi. - Volevo assicurarmi che stesse bene. -
Anche lui si limitò ad annuire, poi mi fece cenno di seguirlo: ci spostammo in un angolo appartato dove posò per terra la lanterna e si sedette sul pavimento; lo imitai appoggiando la mia lanterna accanto alla sua e sedendomi a mia volta. Jack stappò la bottiglia con uno schiocco, fece per portarsela alle labbra, cambiò idea e la porse prima a me.
- Mi spiace di averlo messo in cella. - si decise finalmente a parlare mentre prendevo un sorso di rum dalla bottiglia che mi offriva. - Ma vedi... il fatto è che non potevo fare altrimenti, comprendi? Lui non se ne voleva andare, gli uomini si stavano arrabbiando... guarda, li porteremo tutti fino a Greenford e poi li lasceremo andare, semplicemente. -
Gli porsi la bottiglia con un sospiro: - Non se ne andrà nemmeno allora, temo. - dissi mestamente. - E' sconvolto... non accetterà mai di andarsene e lasciarmi qui. -
Jack si strinse nelle spalle ingollando un gran sorso. - E con questo?- fece quando si staccò dalla bottiglia dopo essersene scolato un generoso quarto. - Non può mica costringerti a seguirlo, no?-
Mi rannicchiai su me stessa abbracciandomi le ginocchia; le assi erano umide e cominciavo ad avere freddo. - Non lo vedevo da quattro anni. - mormorai ad un certo punto, dando voce ai miei pensieri che avevano cominciato a correre senza seguire un filo logico. - Quattro anni senza sue notizie... ed ora ci rincontriamo così. -
Jack mi osservava di sottecchi sorseggiando il suo rum. - Ti mancava?- mi chiese, tamburellando con le dita sul suo ginocchio.
- Sì. - ammisi annuendo. - Sai, pensavo di avere ormai imparato a cavarmela da sola... Credo di essermi resa conto solo oggi quanto abbia davvero sentito la sua mancanza. -
Lui continuò a guardarmi con espressione meditabonda: non si portava neanche più la bottiglia alle labbra, limitandosi a tenersela accanto alla bocca mentre si corrucciava come arrovellandosi in cerca delle parole. Dopo un'altra lunga pausa di silenzio finalmente disse: - Se... uhm... se davvero non se ne volesse andare senza di te... tu glielo permetteresti?-
Esitai, eravamo arrivati alla parte scomoda della questione: il punto era che non avevo idea di come comportarmi con mio padre. - Io non so cosa... non so cosa devo fare con lui!- sbottai improvvisamente; era questa la verità: ce l'avevo con mio padre. Ce l'avevo con lui per essermi piombato tra capo e collo quando meno me l'aspettavo... per essere ricomparso portando con sé tutto il mio passato proprio quando avevo ormai deciso di abbandonarlo. Inaspettatamente Jack rise e, posata la bottiglia di rum, fu svelto ad acchiapparmi sottobraccio per tirarmi accanto a sé: - Oh sì, convengo che non so mai come prendervi, voi Evans... che razza di famigliola che siete!- scherzò, prendendomi il mento fra le dita della mano libera.
- Piantala!- protestai divincolandomi per liberarmi, ma lui non mi lasciò andare, continuando a fissarmi col suo mezzo sogghigno come se trovasse tutto molto divertente, e la sua mano scivolò ad accarezzarmi la guancia. - Dico sul serio. - continuai, “rassegnandomi” ad accettare di buon grado la sua stretta. - Non so come comportarmi con lui. Anche quando gli ho raccontato tutto, lui non ha voluto... -
- “Tutto” cosa?!- mi interruppe lui in tono allarmato, irrigidendosi all'istante e fissandomi ad occhi sgranati.
- Non “tutto”!- ribattei esasperata: anche il suo comportamento cominciava a darmi ai nervi. - Ipocrita. - aggiunsi scostandogli la mano dal mio viso.
- Grazie. - replicò lui con un'alzata di spalle. - Il fatto, gioia, è che tuo padre non deve sapere “tutto”. Deve starsene ben lontano dal sapere “tutto”. Non deve neanche sospettare che ci sia un “tutto”. Se lo venisse a sapere allora il nostro “tutto” andrebbe a farsi benedire. Comprendi?-
- Comprendo che starti ad ascoltare a notte fonda mi da il mal di testa. -
Jack si esibì in un teatrale sospiro, quindi strinse il braccio attorno alle mie spalle per farmi voltare a guardarlo in viso. - Per farla breve... se il padre apprensivo viene a sapere che la sua innocente figliola e il capitano non sono semplicemente capitano e il suo secondo... primo, prende il capitano e lo impicca con le sue budella, secondo, lega la figliola innocente mani e piedi e se la porta via. -
- Siamo drastici, capitano... - commentai; almeno le sue idiozie riuscivano a farmi ridere anche ora che mi arrovellavo cercando di capire come saremmo mai potuti uscire da quella situazione spinosa.
- Drastici, magari, ma è così. - Jack scostò il braccio dalla mia spalla, quindi ci rialzammo dalle assi scricchiolanti. - Il fatto è... - continuò mentre si rimetteva in piedi col suo consueto passo ciondolante. - ... che tu hai deciso di scegliere. E' questo che tuo padre non accetterà mai. -
Mi bloccai lì dov'ero proprio mentre mi chinavo a raccogliere la lanterna, fulminata da un'improvvisa consapevolezza. Forse Jack aveva centrato il punto della situazione più di quanto avrei voluto ammettere.
- Notte. - mi salutò con un sorriso prima di voltarmi le spalle e risalire le scale per il ponte di comando. Sollevai la lanterna e tornai ad incamminarmi verso il corridoio che portava alle celle, senza riuscire ad impedirmi di rimuginare sulle parole che mi aveva appena detto. Qualche attimo dopo Jack fece capolino dalla cima delle scale, sporgendosi buffamente nella mia direzione: - Nessuna speranza che tu venga a farmi compagnia anche stasera?- azzardò, sfacciato come pochi. Trattenendomi dal ridere gli scoccai quella che voleva essere un'occhiata di biasimo anche se non riuscii ad essere molto convincente: - Non mi pare il momento più adatto, capitano. -
Lui si strinse nella spalle esibendosi in un sospiro rassegnato, per poi sparire su per le scale, probabilmente diretto alla sua cabina per tracannare un altro po' di rum in santa pace. Ancora sorridendo fra me e me raggiunsi la porta della cella, eppure quando feci per aprirla di colpo esitai.
Ad un tratto non ero più così sicura di voler parlare con mio padre. Che cosa gli avrei detto? Erano ancora ben vividi nella mia mente gli occhi con cui mi aveva guardato mentre i pirati lo portavano in cella, e non credevo proprio che sarebbe stato incline all'ascolto, tantomeno alla comprensione.
La mia mano era sulla maniglia della porta, ma non mi azzardavo ad aprirla. “Ma in fondo, che cosa dovrei dirgli?” pensai, sconfortata. “Cosa raccontargli ancora? Come giustificarmi? Le cose stanno così, non c'è null'altro da dire...”
Avevo scelto una strada, e mio padre non l'avrebbe mai accettato. Jack aveva ragione.
Lentamente, silenziosamente voltai le spalle alla porta della cella e me ne andai, decisa a tornare nella mia cabina e sforzarmi di non pensare più all'accaduto. Temevo mio padre. Temevo quello che avrebbe potuto dirmi. Lo temevo, perché era il mio passato tornato per strapparmi al mio presente.
Non volevo sentire ancora le sue parole di rabbia che avrebbero messo in discussione la strada che avevo scelto: ecco perché non trovavo il coraggio di andare a parlargli. Me ne andai, eppure, mentre tornavo alla mia cabina, non potei fare a meno di pensare di aver fatto esattamente ciò che Jack sperava.


Note dell'autrice: scrivere questi capitoli mi sta dando non pochi problemi... dannato blocco dello scrittore! La verità è che fatico molto a bilanciare i momenti "familiari" a quelli più semplicemente "pirateschi", devo cercare di trovare un equilibrio senza andare in panico -_- ... Sapendo di rischiare di perdere una lettrice mi duole annunciare che Barbossa non sarà presente in questa ff. Con mio grande dolore, vi assicuro. Pietà, ho scritto queste ff quando non era uscito neppure il secondo film, solo ora sto facendo un titanico lavoro di riscrittura per riallacciare tutte le diverse sottotrame! Ma non temete, se riterrete che le mie storie meritano di essere seguite dovrete solo avere un po' di pazienza e in un paio di puntate lo stimato Hector Barbossa tornerà in tutto il suo splendore. In quanto a Shalna: è un dubbio più che lecito quello del "se" Jack saprebbe dormire e basta con una donna, tutt'ora sono indecisa se lasciare la conclusione "romantica" del capitolo o se cambiarla. Grazie tantissimo a tutti quelli che hanno commentato per i loro consigli e il loro sostegno! Wind the sails!

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Capitolo 6
*** L'uomo eterno ***


Capitolo 5
L'uomo eterno



- Greenford!-
Il grido della vedetta fu ripetuto più volte con gioia crescente dagli uomini arrampicati sulle sartie, i quali si misero al lavoro con maggior lena per portare più velocemente la nave verso la striscia di terra verde che si profilava lungo l'orizzonte. Le imponenti vele della Perla Nera si spiegarono al vento frizzante come ali nere contro l'azzurro del cielo mattutino: Ettore, che si reggeva con abilità su un pennone, si concesse un gran sorriso mentre si godeva la carezza quasi violenta del vento che gli soffiava sulla faccia i lunghi capelli ricciuti, quindi si voltò a fare un cenno di assenso ai compagni sulle sartie; tutti avevano svolto egregiamente il loro compito.
In pochi minuti la nave giunse in porto: Greenford aveva il pregio di essere un porto libero, non era né un'isola di anarchia come Tortuga né una provincia sotto il comando della Spagna o dell'Inghilterra; una semplice cittadina di mare che grazie alla sua fama di essere un posto tranquillo si era guadagnata una posizione invidiabile in quanto a scambi commerciali e un posto di riguardo fra gli scali favoriti di mercanti, viaggiatori, avventurieri e semplici pirati. Approdammo, quindi su ordine di Jack sbarcammo in un gruppetto di cinque: lui e io, Faith, Ettore e infine Jonathan che, saputo che scendevamo in cerca di notizie sul capitano Dawkins, aveva insistito per venire con noi. - Bene!- proferì Jack una volta scesi sulla banchina. - Dato che ci siamo tutti... - scoccò a Jonathan un'occhiata chiaramente infastidita alla quale il ragazzo si limitò a rispondere con un sorriso. - ...devo chiedervi di starmi dietro e soprattutto di non fare domande. -
Ettore lo guardò inarcando un sopracciglio. - Pensavo che stessimo solamente raccogliendo informazioni per il momento, capitano... c'è qualcosa di cui dovremmo preoccuparci?-
Jack scosse il capo. - Assolutamente niente. Semplicemente, il mio amico potrebbe non essere di ottimo umore, e so per certo che non ama i curiosi, comprendi?- ci squadrò sbrigativamente. - Tutto chiaro? Bene: con me, gente. -
Quando Jack mi passò accanto, inaspettatamente mi porse il braccio. Lo accettai dopo un attimo, sorpresa dal gesto decisamente inusuale da parte sua. Mentre ci mettevamo in cammino seguiti dal terzetto mi voltai per un attimo verso la nave. - E... riguardo ai marinai?- domandai ad un certo punto.
Jack esitò, quindi si decise a rispondere senza guardarmi: - Ho dato ordine che venissero lasciati a terra prima del nostro ritorno. -
Sussultai e mi fermai bruscamente, ma nel medesimo istante capii perché lo aveva fatto. In fondo non avevo avuto il coraggio di affrontare mio padre la sera precedente, pensavo forse che quella mattina sarebbe stato diverso? Jack però dovette accorgersi dell'espressione di sconforto che mi attraversò il volto perché si accigliò, si voltò verso gli altri e disse, secco: - Scusateci un momento. - quindi si defilò dietro a un angolo ed, io, attaccata al suo braccio, non potei fare altro che seguirlo.
Ci infilammo in un vicolo, dopodiché in tre secondi mi ritrovai presa per le spalle e tenuta contro il muro. - Jack, che diavolo... - cominciai a protestare, ma lui mi mise svelto l'indice sulle labbra. - Sht! Fammi parlare, tu! Voglio che tu sappia che mi dispiace. Veramente. Lo so che non è stato molto gentile da parte mia, ma vedi... o ci liberiamo di tuo padre e dei suoi compari seduta stante o non ce ne liberiamo più, e ciò non è bene né per loro né per noi... Non c'era altro modo, comprendi?- me lo disse in tono quasi di scusa, e mio malgrado dovetti ammettere che mandando via mio padre mi liberava dall'attesa di un confronto che in fondo non volevo affrontare.
In modo doloroso e forse vigliacco, ma me ne liberava.
- Sì, lo so. - risposi annuendo. Jack sorrise sollevato, quindi si protese svelto a rubarmi un bacio. - Pensi di potermi perdonare?- sussurrò sogghignando mentre giocava carezzandomi le labbra con le sue. Ebbi un brivido di approvazione mentre lui si divertiva a stuzzicarmi, ma riconobbi a malincuore che non era né il posto né il momento: - Penso che dovremmo tornare dagli altri. - replicai con un sogghigno, sfuggendogli dalle braccia. Jack alzò gli occhi al cielo e sospirò, quindi tornammo da Ettore, Faith e Jonathan che ci attendevano dietro l'angolo.
Jack ci condusse per le stradine di Greenford sicuro come se vi fosse nato e cresciuto: il repentino cambiamento dal chiasso e il viavai di gente del molo al silenzio improvviso di certe stradine costeggiate da case malmesse mi mise addosso una strana inquietitudine, e vidi che del nostro gruppetto non ero l'unica a guardarmi attorno con circospezione, chiedendomi cosa mai stessimo cercando in quell'ala della città così tristemente desolata. Ad un tratto Jack si fermò davanti ad una piccola casa, così improvvisamente da farmi quasi andare a sbattere contro di lui dato che gli camminavo alle spalle: scrutò per qualche istante la porta con aria pensosa, quindi accennò un sorriso. - E' questa. - annunciò, salendo i tre gradini scricchiolanti che staccavano la soglia della porta dal suolo.
- Chi siamo venuti a cercare, Jack?- domandai, dando voce agli sguardi interrogativi dei nostri tre compagni.
- Uno che ci può aiutare. - rispose lui sorridendo. - Thomas Marlowe. Vecchia conoscenza. - senza aggiungere altro gli bastò dare una spintarella alla porta perché questa si aprisse cigolando.
- Chi è?- esclamò dall'interno una voce acuta che sarebbe potuta appartenere ad una ragazza o ad un bambino. Voltandosi appena nella nostra direzione Jack ci fece cenno di entrare, quindi sparì dentro la casa: scambiandoci occhiate incuriosite non potemmo fare altro che seguirlo. La casa si rivelò essere una piccola bottega, Jack si era fermato davanti al bancone e subito mi domandai chi stesse guardando poiché non vedevo nessuno seduto dall'altra parte, ma avvicinandomi mi accorsi della piccola figura seduta a gambe incrociate su una larga sedia dietro al bancone: era un bambino che stimai dovesse avere poco più di nove anni, piccolo e mingherlino, con corti capelli biondo scuro e gli occhi castani.
- Ah, sei tu... - guardò Jack in modo strano, tamburellando con le dita sui braccioli della sedia.
- Ti trovo bene, Thomas. Dov'è il tuo padrone?- rispose cordialmente Jack. All'udire il nome che aveva menzionato poco prima non potei impedirmi di sgranare gli occhi: era lui la "vecchia conoscenza"? Un bambino? Quello scrollò le spalle e si protese avanti per appoggiare i gomiti al bancone: - E' uscito, aveva degli affari. Io invece temo che presto non gli sarò più utile, anche se è più probabile che mi caccerà via prima. Ormai se ne è accorto, anche se finge di ignorarmi. - parlava con una sicurezza insolita per la sua età, e ne fui sorpresa: per di più il suo viso era serio in modo innaturale, e quando guardò noi tre alle spalle di Jack ebbi la strana sensazione di non essere affatto osservata da un bambino: ci guardò per qualche secondo, quindi domandò stancamente: - Che cosa vuoi?-
- Mi è venuto in mente che un po' di tempo fa ho sentito proprio dalla tua bocca un certo nome... un nome che mi interessa molto, in effetti... -
- Avete acqua?- il bambino lo interruppe improvvisamente, fissandoci con espressione ad un tratto più accesa, quasi famelica.
- No, mi spiace. - gli rispose Faith dopo qualche istante; guardandola di sottecchi capii che anche lei era inquietata dallo strano bambino che avevamo di fronte. Questo corrucciò il viso in una smorfia addolorata, quindi saltò giù dalla sedia e senza più prestare la minima attenzione a noi raggiunse un vicino barile, lo scoperchiò e alzandosi in punta di piedi cominciò ad attingere acqua con le mani per bere avidamente.
- Aehm... Thomas? Hai sentito che cosa ti ho detto?- lo richiamò Jack con più di una sfumatura di impazienza.
- Ti ho sentito, sì. - rispose Thomas dandoci la schiena. - Perdio, che sete... - sbottò con voce rauca mentre continuava a portarsi alla bocca le mani a coppa. - Dimmi il nome. - disse dopo un po'.
- Roger Dawkins. - Jack gli si era avvicinato e si inginocchiò al suo fianco per essere alla sua altezza, mentre quello continuava imperterrito a bere dal barile. - So che lo conoscevi. -
- Ma che state dicendo?!- esclamò ad un tratto Jonathan, senza potersi più trattenere. - Siete uscito di senno, capitano? Perché state interrogando questo bambino? Lui non era neanche nato quando la nave di Dawkins affondò con mio padre!-
Alle sue parole il bambino si voltò di scatto, le mani ancora aggrappate all'orlo del barile. - Tieni la lingua fra i denti, mozzo, prima di parlare di cose che non sai!- ribatté con una prontezza inaudita. Jack si volò verso di noi e accennò al bambino con il capo. - Dice la verità, giovane Wood: la storia di Thomas Marlowe non è affatto quella che si dice una storia comune. L'ho incontrato quando aveva dodici anni. Adesso ne ha nove. -
Un ghigno privo della minima traccia di allegria attraversò il viso abbronzato dal bambino, prima che ci volgesse di nuovo le spalle per abbeverarsi ancora, avidamente, al barile.


- Lo abbiamo preso, capitano!- annunciò Pintel in tono concitato mentre insieme a Raghetti strattonava Jack per le spalle portandolo dinanzi a Barbossa. Jack scoccò un'occhiata di sufficienza ai due che lo tenevano per le braccia senza dare alcun segno di nervosismo. - Si, grazie tante per avermi accompagnato, ora se foste così gentili... -
- Mi stai veramente annoiando, Jack. - la voce di Barbossa risuonò fredda nel silenzio della caverna, rotta dal suono lontano e continuo di quello che era certamente lo sgocciolio dell'acqua: erano arrivati a quella caverna su quell'isola tropicale per vie tortuose, e non era esattamente un caso che si fossero incontrati proprio lì. - Da quanto tempo ci stavi seguendo?-
- Seguendo? Fino a prova contraria ero io ad avere la mappa compare. -
Barbossa avanzò di un passo verso di lui sollevando la pistola. - Tuttavia non sei stato in grado di raggiungere questo posto prima di me, a quanto vedo. Be', mi spiace informarti che hai sprecato il tuo tempo. - puntò la canna contro lo sterno di Jack. - Adesso basta. -
Un rumore improvviso alla fine della galleria fece voltare simultaneamente i due capitani e il gruppo della ciurma di Barbossa radunata nella grotta: in fondo al cunicolo illuminato dai raggi di luce che filtravano da strette fenditure nella roccia era apparsa una figuretta minuta, che si rivelò essere un ragazzetto di appena dodici anni vestito di stracci troppo larghi, con la pelle abbronzata e capelli biondo scuro così arruffati da rizzarglisi in testa come un'assurda criniera.
L'apparizione lasciò tutti quanti talmente stupiti che fu il ragazzino il primo ad avvicinarsi di buon passo e dire: - Salve. E' un bel pezzo che non viene nessuno su quest'isola. - la sua voce squillante era ferma e sicura in modo insolito per un ragazzino così giovane: raggiunse il gruppo dei pirati che lo squadravano con sospetto e si fermò davanti a loro, osservandoli di rimando con curiosità. - Vi chiederei che cosa siete venuti a cercare, se non lo immaginassi di già. -
- Chi sei tu, ragazzo?- domandò secco Barbossa; aveva abbassato la pistola e si era scostato da Jack per voltarsi verso il bambino che lo fronteggiava senza dare il benché minimo segno di inquietitudine.
- Mi chiamo Thomas Marlowe. - li squadrò incrociando le braccia, e soffermandosi per qualche istante di più su Jack ancora trattenuto per le braccia da Pintel e Raghetti. - E' per l'Agua de Vida che vi state dando addosso? Non ce n'è bisogno; vedete là?- si voltò e accennò col braccio al cunicolo dietro di lui. - Ce n'è abbastanza per tutti quanti, se lo volete. Per quanto mi riguarda andate là e prosciugatela. -
Barbossa fissò con espressione indecifrabile quel ragazzetto del tutto fuori luogo in un posto come quello, quindi scoprì i denti giallastri in una breve e roca risata. - Che ragazzino spiritoso. - di scatto fece due passi avanti e agguantò il ragazzo per i capelli tirandolo all'indietro e minacciandolo con la pistola. - Bene, microbo, sembri conoscere bene questo posto: adesso facciamo che tu mi porti alla fonte di cui parlavi e io ti lascio tornare a casa intero. -
- Non ci sai proprio fare coi bambini, eh?- commentò Jack, laconico.
- Oh, se vi ci porto!- ringhiò secco Thomas Marlowe, dimenandosi sotto la presa ferrea del capitano. - Nessun problema, tuffatevi in quella fonte e affogateci!-
Barbossa gli diede una scrollata per farlo stare zitto, quindi si voltò verso la ciurma. - Signori, non muovetevi di qui: se pesco “qualcuno”... - scoccò a Jack un'occhiata di astio. - ...a seguirmi giuro che lo impallino prima ancora che dica “bah”. - e trascinando con sé il ragazzino si incamminò rapidamente fino a sparire in fondo al tunnel.
Jack si girò verso Raghetti che, alla sua destra, ancora lo teneva per il braccio. - Noto che il suo caratteraccio non è migliorato. -
- Eh no... avresti dovuto vederlo alcuni mesi fa quando si è accorto che ti eri preso la mappa!- assentì Raghetti, con aria timorosa al ricordo. Jack sbottò in una risatina che per un attimo contagiò anche i due pirati al suo fianco, prima che si zittissero di colpo come ricordando che stavano tenendo un prigioniero.
- Come andiamo, Cotton?- continuò il capitano in tono amabile accennando col capo al pirata senza lingua: l'anziano uomo gli rispose con un cenno amichevole e il pappagallo sulla sua spalla stridette: - Squaaaaack! Alla via così!-
- Ne sono contento... Marty!- scambiò un cenno di saluto col nanetto, poi si voltò verso altre due facce conosciute. - Signor Murtogg, Mullroy... -
I due ex ufficiali della Marina, ora abbigliati delle camicie più logore che si fossero mai viste e addobbati di svariati cinturoni, esitarono un istante prima di rispondere al saluto, forse chiedendosi il perché di tanta cordialità nei loro confronti dopo che solo pochi mesi prima lo avevano abbandonato a Tortuga col suo primo ufficiale, il signor Gibbs. - Si comincia a fare la gavetta, eh? Ditemi, com'è che il vostro stimato Hector decide di tenersi quella fonte miracolosa tutta per sé?-
- Se tu hai voglia di contraddirlo... E poi devo ammettere che non vedo molti vantaggi nel presunto potere di quella fonte. - ammise in tono esitante Murtogg.
Mullroy gli scoccò uno sguardo incredulo. - Oh, lui non ne vede i vantaggi! Sei uscito di senno per caso? Stiamo parlando della fonte della giovinezza, insomma, della vita eterna!-
- Sì, ma la vita eterna è diversa dall'immortalità, e l'eterna giovinezza non ti protegge dalla morte violenta, no?- puntualizzò Murtogg.
- Be', rimanere giovane per sempre potrebbe essere un buon motivo per indurti a fare di tutto per evitare la morte violenta... no?-
- C'è anche da dire però che di solito la cosa che un pirata ha più da temere è il cappio al collo, piuttosto che la vecchiaia. - si intromise Pintel.
Jack si voltò verso di lui sollevando l'indice: - Però avere tutto il tempo del mondo non è una brutta cosa, non credete?-
- Ma questo vorrebbe dire che una vita che deve concludersi con la vecchiaia e la morte non è degna di essere vissuta?- replicò Raghetti.
- Lui non ha detto questo!-
- Ma non ha detto neanche il contrario!-
Presi tutti e quattro dalla discussione si accorsero a malapena di avere lasciato le braccia di Jack: lui stesso impiegò un attimo prima di rendersi conto di non essere più tenuto da nessuno. Gettato uno sguardo al quartetto che confabulava animatamente, fu svelto a dirigersi in fretta verso il fondo della galleria sulle tracce di Barbossa e del ragazzino: gli altri pirati che attendevano nella grotta rimasero incerti sul da farsi vedendolo allontanarsi indisturbato, infine Marty espresse il comune pensiero scrollando vistosamente le spalle. In fondo capitan Sparrow era sempre stato simpatico alla maggior parte di loro.
Soddisfatto, Jack percorse in fretta il cunicolo e curò di rendere più silenziosi possibili i suoi passi quando gli sembrò di udire l'eco della voce di Barbossa. La galleria svoltava a sinistra per aprirsi in una cavità tondeggiante; affacciandosi con cautela da dietro l'angolo Jack vide al centro della piccola grotta una roccia cava dalla quale sgorgava un vivace rivolo d'acqua limpida che si raccoglieva in una larga polla scavata su quasi tutto il pavimento: non avrebbe saputo dire dove andasse a finire, forse filtrava al di sotto della pietra fin nelle viscere dell'isola.
Barbossa si fermò davanti alla sorgente senza allentare la presa sul ragazzino, Jack lo vedeva di schiena ma era pronto a scommettere che in quel momento gli brillavano gli occhi. - Allora... - proferì Barbossa facendo voltare il ragazzetto verso di lui. - Sarebbe questa la fantomatica Agua de Vida?-
- Provate voi stesso, se non ci credete. - replicò lui, piatto.
- Sicuro che lo farò. Prima però... - con calma lo fece inginocchiare e gli spinse la testa sopra la superficie cristallina. - ...vorrei assicurarmi che tu non mi stia giocando qualche brutto tiro. -
Lui fece resistenza premendo le mani contro il bordo roccioso della polla. - Volete aumentare il mio tormento, capitano?-
- Se proprio vuoi la bevo io. - disse improvvisamente Jack affacciandosi da dietro l'angolo. Barbossa si voltò fulmineo e fu una fortuna che Jack si fosse ritratto così in fretta, perché una pallottola scalfì il muro di roccia dove solo un attimo prima c'era la sua testa. Il capitano lasciò andare l'aria dai polmoni con un sibilo: il rivale non aveva perso la sua mira, a quanto pareva.
- Fermi!- gridò il bambino mettendosi fra Barbossa e Jack. - Ho detto fermi! C'è qualcosa che dovete sapere!-
Molto, molto riluttante -il dito fremeva sul grilletto della pistola fumante- Barbossa ripose l'arma e si limitò a squadrare Jack in cagnesco mentre quello usciva dal suo nascondiglio e li raggiungeva sul bordo della polla. - E' questa, allora, l'Agua de Vida?- domandò adocchiando con curiosità la fonte gorgogliante.
- Sì, la è. - rispose con sicurezza Marlowe.
- Puoi dimostrarlo?- chiese secco Barbossa. Il ragazzo si voltò a guardarlo sfoggiando un sorriso amaro, ancora una volta così strano su un viso tanto giovane. - Se posso dimostrarlo? Guardatemi, capitano. Ho quarantasei anni. -
Jack lo fissò facendo tanto d'occhi, Barbossa ebbe un guizzo nello sguardo cominciando a capire. - Hai bevuto l'Agua de Vida quando avevi poco più di dodici anni e sei rimasto così fino ad ora?- azzardò. Marlowe scoppiò in una risata senza gioia, scuotendo vigorosamente il capo in gesto di diniego. - Magari fosse stato così semplice: la mia storia è molto più ingrata. - di colpo si buttò a sedere sulla roccia fredda incrociando le braccia sulle ginocchia mentre si apprestava a raccontare. - Arrivai qui quando di anni ne avevo ventinove; come voi mi ero messo alla ricerca della leggendaria fonte della giovinezza: volevo a tutti i costi la vita eterna, essere libero di non dover più temere né vecchiaia né morte... ma questo probabilmente lo sapete da voi. - sogghignò. - Allora arrivo al punto: trovai questa fonte. E' davvero una fonte miracolosa e dà davvero l'eterna giovinezza, non dubitatene, ma non è un dono del cielo: è una trappola di Calypso per coloro che credono di poter fregare la morte. Oh, potete berla, certo, e non invecchierete mai più. - accennò con la mano alla pozza d'acqua dove si tuffava il rigagnolo zampillante. - Quello che nessuna sa è che se ne diventa dipendenti: quello che prima era timore della morte diventa terrore, non te ne liberi più, ti chiedi se davvero l'acqua manterrà le sue promesse miracolose, diventa un'ossessione che ti riempie il cervello e non ti dà pace. Ed è allora che volente o nolente torni qui. Non puoi farne a meno. Dovunque tu sia non puoi opporti, non puoi vivere senza quest'acqua. Allora il trucchetto di Calypso comincia a fare effetto. -
Jack, che stava quasi per intingere un dito nella polla cristallina, si ritrasse di scatto e guardò Marlowe: - E... cosa succede?-
- Cresci al contrario. - annunciò lui, tetro. - Ogni anno che passa è un anno all'indietro, e quello che è peggio è che è solo il tuo corpo ad andare al contrario, non la tua mente. Sapete cosa è accaduto a me? Sono tornato ai miei viaggi per mare una volta bevuto alla fonte, ma per ben sette anni non ho potuto fare a meno di tornare continuamente qui per bere ancora l'Agua de Vida: se cercavo di oppormi, di farne a meno, era come se impazzissi. Naturalmente anno dopo anno i miei uomini si sono insospettiti dal mio ringiovanimento sempre più evidente, finché non hanno deciso di abbandonarmi qui credendomi maledetto... e non sono andati troppo lontani dalla verità. - per alcuni istanti fissò prima Jack e poi Barbossa che lo ascoltavano in silenzio come se si aspettasse una qualche risposta, ma non ricevendone alcuna continuò: - Sono sopravvissuto qui da solo per circa dieci anni: fate due calcoli, sono tornato indietro di diciassette anni di vita... e credo, purtroppo, di dimostrarlo. - accennò a sé stesso: Jack osservò in quel momento che i suoi vestiti erano abiti per un uomo, che erano stati ripetutamente lacerati e annodati per adattarsi al suo fisico mingherlino. Come aveva fatto a sopravvivere da solo su quell'isola tropicale?
Un silenzio nervoso era calato sul terzetto, rotto dal gorgoglio incessante dell'acqua che zampillava nella polla: Jack e Barbossa si guardarono quasi per caso per un momento, e Jack si strinse nelle spalle come a chiedere: “E adesso?”
Barbossa abbassò gli occhi, tormentandosi i pugni stretti, infine risollevò lo sguardo quasi con rabbia. - Siamo venuti qui inutilmente. - mormorò piano fra i denti con ira a stento repressa.
- Inutilmente? La fonte è qui... - replicò Jack scrutando l'acqua che sgorgava dalla sorgente come se ne fosse ipnotizzato.
- Bevi allora, se ti pare!- scattò Barbossa allargando le braccia. - Bevi e diventa schiavo! C'era un motivo per cui entrambi desideravamo questa fonte, ma se per guadagnarmi la libertà dalla morte devo diventare schiavo del perfido scherzo di una dea... - sferrò un calcio ad un sasso spedendolo nella fonte con una grande spruzzo. - Oh no, questo scambio non mi va proprio a genio. E io sono stufo... STUFO... di dipendere da assurde maledizioni. -
Jack alzò gli occhi al cielo con aria di sufficienza, quindi si inginocchiò in tutta calma sull'orlo della polla e stappò la fiaschetta che portava appesa alla cintura. - Butti via un'occasione, amico. -
Marlowe sbuffò, Barbossa fissò Jack senza battere ciglio: - Occasione? Ci tieni a finire come questo povero diavolo?- indicò il ragazzino seduto ai suoi piedi. - Se questo è il prezzo io non ci sto: preferisco di gran lunga fare del mio meglio con il tempo che mi resta. -
- E il “tuo meglio” si realizza molto meglio quando il tempo che ti resta è... illimitato. - replicò Jack sfoggiando un sorriso.
- Tu non mi credi!- scattò Marlowe fulminando Jack con lo sguardo. - Credi che sia stato debole o avido, e che per questo non abbia resistito alla tentazione di bere ancora alla fonte! Bene, ti renderai conto molto presto che non è così! Avanti, bevi se ne hai il coraggio! Bevi adesso, ti voglio proprio vedere quando tornerai qui come sono tornato io, assetato di nient'altro che non sia quest'acqua maledetta!-
Jack esitò, ma sia Marlowe che Barbossa avevano perso interesse per lui: il capitano voltò le spalle alla sorgente e fece per risalire il cunicolo, ma il ragazzetto saltò su e lo seguì prendendolo per la giacca. - Aspettate capitano! Vi prego... dovunque siate diretto, lasciate che venga con voi. Mi lascerete al primo porto in cui vi fermerete. -
Alla sua richiesta Barbossa lo squadrò stupito: - Hai appena detto di non poter stare lontano da questa fonte. - sottolineò, corrucciandosi. Marlowe annuì, ma non lasciò la giacca del capitano. - Lo so, e so anche che non passerà molto tempo che tornerò mio malgrado di nuovo qui in qualche modo solo per bere di nuovo quest'acqua... ma vi prego, sono sopravvissuto qui da solo per dieci anni... lasciatemi in un porto, una città, una qualsiasi!-
Tale era la pena nello sguardo e nelle parole di quel bambino uomo, che per una volta Barbossa non se la sentì di lasciar perdere: in più Marlowe gli aveva evitato l'antipatico destino di trovarsi suo malgrado a ringiovanire sempre di più. - E sia, ti darò un passaggio. - concesse con un cenno brusco del capo.
- Gli “daremo” un passaggio. - Jack si era rialzato, tappando la sua fiaschetta con un gesto rassegnato. - No, non l'ho fatto. - aggiunse per rispondere agli sguardi sorpresi di entrambi, accennando alla polla. - E' ben triste un futuro dove non puoi placare la sete con il rum. Ora è meglio se torniamo tutti alla mia nave. -
- Non c'è alcun motivo per cui tu debba mettere piede sulla mia nave. - ringhiò Barbossa con un tono che non ammetteva repliche, ma Jack gli si accostò senza tante cerimonie. - Io invece ritengo, Hector, che ti convenga considerare qualcosa che potrei offrirti... se tu mi lasci tornare sulla mia nave, comprendi?-
Il capitano gli scoccò un'occhiata di astio, detestando l'idea di averlo ancora attorno: - Non hai nessuna merce di scambio, perciò scordatelo. - ribatté.
- No? Davvero? Non ti interessando nemmeno le carte nautiche?- insistette Jack con finta ingenuità.
A quelle parole Barbossa si arrestò sul serio: conosceva il valore di quell'antichissima mappa, e di certo non aveva mai mandato giù che Sparrow gliele avesse soffiate sotto il naso con tanta facilità, mesi prima. - E vorresti farmi credere che saresti pronto a consegnarmele? Non ti credo. -
- Non le ho qui con me. - precisò Jack camminandogli a fianco mentre il bambino li seguiva in silenzio. - Le ho nascoste in un posto sicuro. Il passaggio per i confini del mondo e la fonte della giovinezza non sono gli unici segreti nascosti per il mondo... non dirmi che non ti interessa rimettere le tue zampacce su quelle carte. -
- E che cosa ti aspetti in cambio?- sbottò Barbossa con un ghigno. - Il diritto di comandare la Perla? Fossi in te non ci penserei neanche, anche perché francamente... una volta avute le carte, cosa mi impedirebbe di liberarmi di te?-
- Quanto tempo ci metteresti da solo a decifrare anche uno soltanto di tutti gli enigmi della mappa?- replicò prontamente Sparrow cogliendo la palla al balzo. - Io ho avuto un bel po' di tempo per studiarmele per bene... se mi prendi a bordo, chissà, potrei anche decidere di rivelarti un paio di cose. -
Barbossa stava friggendo. Nulla gli avrebbe dato più soddisfazione che sferrare un pugno a quella persecuzione ambulante di Jack Sparrow e mollarlo su quell'isola, ma era ben cosciente che purtroppo non gli conveniva scartare così in fretta un'offerta allettante come le carte nautiche. Con stizza si trovò a rassegnarsi al fatto che avrebbe dovuto ancora una volta sopportare la presenza del capitano svitato. Non a lungo, beninteso. - Ti prendo a bordo fino a quando non mi avrai consegnato le carte, dopo ne riparliamo. - acconsentì sbuffando.
- Lo sapevo che saresti stato ragionevole!- esultò Jack con un sorriso smagliante.

Il ragazzino stava seduto a cavalcioni del parapetto sul cassero di prua, guardando con aria assente l'isola verdeggiante che si allontanava poco a poco. Si voltò per scoccare un'occhiata strana al capitano che sembrava stare abbracciando il timone della nave nera.
- Ciao bella mia... ti sono mancato?-
- Non ti sembra di esagerare?- sospirò, ciondolando le gambe al di là del parapetto. Barbossa si avvicinò per scostare rudemente Jack con una gomitata. - E levati. - sbottò mentre prendeva il timone. Jack rispose con un'occhiataccia prima di andare ad affacciarsi al parapetto accanto a Thomas.
- Dove siamo diretti?- chiese questi.
- Greenford, dove ho lasciato le carte nautiche che devo consegnare al nostro stimato Barbossa... posticino simpatico. - si sistemò il cappello mentre guardava di sottecchi il ragazzo. - E tu che cosa farai una volta lì?-
- Mi arrangerò. - con un sospiro Marlowe tornò a scrutare l'isola, Jack lo osservava arrotolandosi su un dito le treccine della barba. - Non ti sarà facile. -
- Dodici anni... posso ancora godere di una certa indipendenza. -
- Oh, sicuro... ma fra un anno o due?- Jack scrollò le spalle. - Temo che la tua non sarà una situazione felice. Però sai, conosco della gente a Greenford... e magari... dico magari... potrei prendere in considerazione l'idea di metterti sotto la protezione di qualcuno. Come garzone, per esempio. Potrebbe garantirti un buon posto per un po' di tempo, almeno. -
Marlowe si voltò verso di lui sollevando un sopracciglio, ora più incuriosito. - Che cosa vuoi in cambio?- domandò, cominciando ad intuire dove volesse andare a parare il capitano. Lui allargò le braccia fingendosi indeciso: - Ci devo pensare. -
Marlowe annuì lentamente, quindi tornò a guardare il mare. - Sai... adesso quasi vorrei essere finito come Dawkins. E' affondato con tutta la sua nave e la sua ciurma in un colpo solo e nessuno ne ha saputo più niente: è diventato una leggenda. -
Jack aggrottò le sopracciglia. - Dawkins?- ripeté. - Roger Dawkins. Prima di mettermi in cerca dell'Agua de Vida, quindi parecchi anni fa, ero un corsaro al servizio del governatore dell'isola di Conceicao. Dawkins era un altro dei suoi capitani, e lo conoscevo. Ho saputo della sua scomparsa in circostanze misteriose poco prima di raggiungere l'isola. Buffo. -



- Roger Dawkins, hai detto. - continuò lentamente il bambino mentre si sedeva a gambe incrociate sul pavimento; si era riempito d'acqua fin quasi da scoppiare, ed ora parlava senza guardare in faccia nessuno di noi. - Sì, me lo ricordo. -
Jack era rimasto inginocchiato vicino a lui: sembrava essere il solo al quale Marlowe dava ascolto. - Ho bisogno di sapere il più possibile sul suo conto: chi era e di dove era il governatore che servivate? Di cosa si occupava Dawkins? E, cosa ancora più importante, se Dawkins lavorava per qualcuno è possibile che esista qualche documento che ci possa aiutare a ricostruire i suoi traffici?-
- La miniera. - disse ad un tratto Marlowe a voce bassa, guardandosi le dita intrecciate. - Stai cercando la miniera. -
Jack esitò e per qualche istante parve incerto sul che cosa dire, quindi si chinò nuovamente sul ragazzino e domandò col tono più affabile che poté: - Ehm... ne sai qualcosa?-
- Non più di te. - replicò lui bruscamente. - Quanto tempo... sì, mi ricordo Dawkins e la sua miniera... il nome del governatore ormai non me lo ricordo più, il posto è l'isola di Conceicao. Adesso è sotto il dominio spagnolo. Dawkins riforniva di diamanti le sue navi mercantili, quando non commerciava per conto suo. Non era stupido, sapeva far fruttare il suo tesoro. Tutti ci chiedevamo dove diavolo Dawkins trovasse tutto quel ben di dio... la miniera io non l'ho mai vista. Nemmeno il governatore l'ha mai vista. Documenti? Oh... sì, probabilmente ce ne sono anche se ormai saranno roba così vecchia... forse li hanno conservati, il caso di Dawkins ha sempre interessato un sacco di persone, ho saputo. -
Un guizzo negli occhi di Jack tradì un'espressione di trionfo. - Interessante... molto interessante. C'è altro?-
Il ragazzino scosse il capo con aria assente.
- Bene allora... - fece Jack rialzandosi. - Era quello che volevo sapere. Conceicao, giusto?-
Un altro cenno del capo ci comunicò una risposta affermativa: Thomas Marlowe sembrava avere nuovamente perso ogni interesse per noi. Guardandoci e indicando la porta Jack ci fece intuire che era ora di togliere il disturbo, così in silenzio cominciammo ad avviarci alla porta. - Grazie di tutto, Thomas. - lo salutò Jack, senza ottenere risposta. Mentre uscivamo dalla piccola bottega non potei fare a meno di girarmi più volte a guardare quel bambino biondiccio e magrolino seduto sul pavimento dandoci le spalle, immobile nella luce polverosa della vecchia bottega. Aveva qualcosa di triste ed inquietante insieme.
Sentii la mano di Jack sulla spalla e quando mi voltai verso di lui mi accennò col capo la porta: dovevamo andare. - Che cosa gli è accaduto?- gli domandai una volta che fummo fuori.
- Un giorno te lo racconterò; è una storia interessante. -
Lo avevo intuito, però era un altro il dubbio che mi tormentava da quando aveva accennato al modo inaudito in cui i suoi anni scorrevano all'indietro. - Cosa ne sarà di lui?-
Jack tacque a lungo, facendosi molto serio, infine si decise a guardarmi e stringersi nelle spalle. - Non ne ho idea. - ammise, con un tono dal quale traspariva un briciolo di pena.


Il chiacchiericcio e la musica della taverna non sembravano scalfire minimamente la concentrazione di Barbossa che, chino sul suo tavolo, faceva ruotare con la punta delle dita le fasce concentriche che costituivano la complicata mappa. Un sorrisetto amaro gli scivolò fra le labbra quando fece combaciare due fasce per fare apparire nei pressi di Cuba il disegno di un calice contrassegnato da un cartiglio che citava: “Agua de Vida”.
Alla luce delle rivelazioni di Thomas Marlowe ora sì che capiva che cosa significassero le altre frasi che si componevano lungo le fasce: “Eterna sete di eterna giovinezza” “La vecchiaia inverte i suoi passi, bevi e torna per la strada da cui sei arrivato”
Una truffa davvero ben architettata, convenne il capitano ruotando di nuovo le fasce e cancellando definitivamente le indicazioni per la fantomatica fonte della giovinezza alla quale era arrivato così vicino. Non importava. Gli bruciava aver dovuto rinunciare ad un boccone tanto ambito, ma ora almeno aveva la mappa: una porta aperta su molti più misteri. Sorrise mentre vuotava il proprio boccale: buona parte della ciurma si stava divertendo in città, e poco prima aveva visto Jack Sparrow appartarsi al piano di sopra con alcune prostitute: con ogni probabilità non si sarebbe fatto vivo fino al mattino seguente. Riprendendo a studiare attentamente le carte nautiche che teneva fra le mani, Barbossa si disse che forse per quella sera non doveva preoccuparsi.

Il pirata scavalcò non senza fatica il davanzale della stretta finestrella e arrancò sul tetto, reggendosi alla meno peggio alle tegole.
- Mi dispiace veramente, mie signore... - disse con rammarico voltandosi verso la finestra dalle quali arrivavano strilla indignate femminili. - Prometto che mi farò perdonare!-
Strisciando lungo il tetto spiovente raggiunse la grondaia, alla quale si aggrappò saldamente prima di cominciare a lasciar pendere cautamente le gambe, una dopo l'altra. Diede una rapida occhiata sotto di sé: un vicolo nel quale erano ammucchiati un bel cumulo di rifiuti. - Non è male. - borbottò, calandosi dal tetto finché non si ritrovò appeso per le braccia alla grondaia come un fantoccio: due metri buoni lo separavano da terra, si dondolò leggermente , poi sempre con maggiore energia, augurandosi che la grondaia arrugginita sostenesse il suo peso, piegò le gambe e infine si lasciò andare. Atterrò nei rifiuti con un tonfo sonoro, terrorizzando qualche gatto che fuggì di corsa, quindi si rialzò barcollando e si ripulì alla meno peggio della roba che gli era rimasta attaccata addosso. Non appena si fu ripreso si diresse di corsa verso il porto.
Il molo era buio, rischiarato solo dal lucore arancione di alcune fiaccole: accanto alla Perla ormeggiata, sulle assi della banchina, erano riversi tre pirati profondamente addormentati e ubriachi fradici. In quel momento Thomas comparve sulla passerella abbassata fra la nave e la banchina, grugnendo e imprecando a voce mentre spingeva con tutte le sue forze Pintel che ronfava della grossa. Non senza fatica lo spinse sulla passerella inclinata, dove rotolò fino ad atterrare scompostamente nel mucchio coi suoi compagni, che altri non erano se non Raghetti, Murtogg e Mullroy, tutti nelle sue stesse condizioni.
- Ottimo lavoro, veramente. - si complimentò Jack mentre lo raggiungeva, scavalcando Raghetti riverso priva di senso sul porticciolo di assi. Thomasi si appoggiò al parapetto della nave mentre riprendeva fiato: - Farli ubriacare è stato semplicissimo... spingerli tutti e quattro fuoribordo è stato un lavoraccio!- si asciugò il sudore dalla fronte. - Maledette braccine magre. - sbottò con una mezza risata.
- Ma come, nessuno della ciurma ti ha dato una mano a sbarazzarti di loro?- scherzò il capitano con un sogghigno: il ragazzo scosse il capo. - No; credo che abbiano capito che cosa sta succedendo, lo trovavano divertente ma non si sono mossi per aiutarmi. Adesso è tutto nelle tue mani, immagino. -
- Grazie veramente per l'aiuto. - Jack risalì la passerella e salì sul ponte guardando ogni asse e ogni corda con crescente orgoglio. - Pensi di potertela cavare da solo ora?-
Thomas si strinse nelle spalle senza tradire nessuna emozione: - L'impiego di garzone che mi hai trovato mi manterrà per un po'. I problemi forse cominceranno a venire quando il padrone si accorgerà che invecchio al contrario. -
- E riguardo all'acqua?- continuò il capitano, incuriosito.
- Prima o poi dovrò tornare là in un modo o nell'altro, temo. Oppure chissà, forse semplicemente impazzirò del tutto. -
Jack rimase in silenzio per qualche istante, tamburellando sul legno del timone: era impaziente di ripartire eppure c'era un'altra domanda che moriva dalla voglia di porgere al ragazzo. - E... quando sarai tornato indietro “del tutto”? Insomma, non puoi morire nel vero senso della parola... no? Che cosa ne sarà di te?-
Thomas lo guardò con aria grave: - Tu che cos'eri quando stavi nel grembo di tua madre?- replicò in tono eloquente.
- Ehw... - il capitano fece una smorfia disgustata: non era un pensiero piacevole.
- Non credo che sentirò dolore. Forse semplicemente sparirò... in ogni caso ho almeno altri dodici anni che mi aspettano. - il ragazzetto gli voltò le spalle, scese dalla nave e rimase a guardarlo dalla banchina dove ronfavano i quattro pirati ubriachi. - Buon viaggio, capitan Sparrow!-
- E a te buona fortuna, Thomas Marlowe!- Jack gli fece un gesto di saluto con la mano, quindi si voltò verso il ponte e rivolto ai pochi pirati rimasti a bordo gridò: - Gentiluomini! Questa nave salpa ora, se non avete intenzione di rendervi utile siete pregati di scendere a terra immediatamente e di non stare nei piedi, in caso contrario fareste meglio a mettervi al lavoro!-
Il piccolo gruppo rimasto lo fissò con tanto d'occhi. - Metà ciurma è ancora a terra!- azzardò Marty.
- Me la sono cavata con meno uomini. -
- E il capitano?- gli fece eco un altro pirata. Jack strinse il timone e si raddrizzò, esibendo un sorriso smagliante: - Il capitano è al timone. - annunciò semplicemente. I pirati esitarono per qualche momento, quindi quasi all'unanime corsero ai loro posti perché la nave prendesse il largo: mentre lo facevano sembrò di sentire il pappagallo di Cotton ridacchiare.
Jack accarezzò il timone con affetto, felice di essere di nuovo al comando della sua nave: l'aveva trascurata, non se ne era occupato a dovere e aveva perfino permesso che Barbossa gliela soffiasse di nuovo da sotto il naso. - Ma questo non succederà più, promesso. - sussurrò sorridendo, dando un colpetto al timone.
Era il momento opportuno per un brindisi speciale: prese dalla cintura la sua fiaschetta e la stappò.
L'acqua cristallina dondolò al suo interno.
Non avrebbero davvero pensato che avesse fatto tutta quella strada per niente? Trovarsi la fonte della giovinezza fra le mani e andarsene senza averne preso nemmeno una goccia? Proprio no. Solo non era certo il momento più adatto con Barbossa e quello strano ragazzino: per questo si era curato di riempire la borraccia mentre i due gli voltavano le spalle.
Ridacchiò fra sé mentre avvicinava la borraccia alle labbra: non avrebbe subito lo stesso destino di Marlowe, ne era sicuro; bastava che ne bevesse una volta soltanto e poi mai più. Non ci voleva niente. Non sarebbe diventato dipendente, non lui: ne era assolutamente certo.
Eppure qualcosa gli fermò la mano: non riusciva a decidersi. Esitò, ad un passo dal conquistarsi la vita eterna, tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Perché esitava? Solo un idiota si sarebbe tirato indietro davanti a quell'opportunità, sarebbe stato veramente stupido avere rischiato così tanto per poi rinunciare così facilmente...
“Bevi allora! Bevi e diventa schiavo! Se per guadagnarmi la libertà dalla morte devo diventare schiavo del perfido scherzo di una dea...”
Possibile che Barbossa avesse ragione?
“Ma questo vuol dire che una vita che deve concludersi con la vecchiaia e la morte non è degna di essere vissuta?”
Oh no, non poteva cominciare a dare ascolto perfino ai filosofeggiamenti di Raghetti...
Esitò ancora per lunghi attimi senza sapere che fare con la borraccia in mano; infine, quasi con lentezza irreale inclinò la borraccia e versò tutta l'acqua sulle assi del ponte, prima un filo, poi un rivolo sempre più intenso fino a svuotare del tutto la piccola fiasca. Al diavolo. Quando non ne fu rimasta neanche una goccia, con un'espressione rassegnata gettò fuoribordo la borraccia, che finì fra le onde con un debole “pluf”.
La Perla Nera cominciava ad allontanarsi dal molo, Barbossa avrebbe avuto una bella sorpresa. Jack manovrò il timone, rammaricandosi del gesto forse più stupido di tutta la sua vita: aveva appena rinunciato all'immortalità. Di nuovo. E non sapeva neanche perché. Molti pensieri gli si affollavano in testa, fra i quali spiccava una frase riguardo il fare del proprio meglio col tempo che gli era concesso.
- Oh insomma... resto della mia idea, se il rischio è venire assalito da una sete che non passa nemmeno col rum, non ne vale proprio la pena. - concluse a voce alta come a voler dare una giustificazione anche a sé stesso, e convenne che in fondo era meglio così.
Curiosamente a quel punto gli venne da sorridere: non aveva più le carte nautiche ed era una grande perdita, ma almeno era riuscito a buttare giù diversi appunti delle parti più interessanti delle mappe che aveva affidato a Gibbs perché li conservasse al sicuro finché non ne avesse avuto bisogno. Era tempo di tornare a Tortuga per rimpinguare la ciurma: Jack pensò che avrebbe dato volentieri tre scellini per vedere bene la faccia del signor Gibbs quando lo avrebbe visto ritornare in porto al timone della Perla.
Cinque, invece, ne avrebbe dati per vedere la faccia di Hector quando si sarebbe reso conto di essere stato giocato.




Note dell'autrice: Ragazzi, che lavoraccio. Come avrete notato, questo è un capitolo particolare e anche decisamente più lungo dei precedenti: era molto tempo che avevo architettato la mia personale storia dell'Agua de Vida e la ripresa della Perla da parte di Jack, questo lungo flashback aspettava solo il momento più opportuno per infilarsi nella trama corrente. Spero di essere riuscita ad inserirlo in modo efficace, e vorrei proprio sentire (sinceramente) che ne pensate voi, miei affezionati lettori! Inoltre mi dispiaceva così tanto non poter usare neanche un po' Barbossa in questo capitolo della mia personale saga che ho voluto a tutti i costi farlo tornare almeno in questo flashback: e anche se so di non essere riuscita a renderlo al meglio, dedico questa sua piccola apparizione alla mia fida compare Black. Hoist the colors, matey! Grazie a Shalna che come sempre adoro per la profondità con cui guarda i miei personaggi, grazie di cuore a Peeves, a Luluzza e a tutti quelli che hanno commentato: non temete, sia la famiglia di Willl che... il signor Gibbs avranno il giusto spazio!
Wind the sails

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Capitolo 7
*** Adoro i matrimoni! ***


Capitolo 6
Adoro i matrimoni!


Con le informazioni che ci servivano, facemmo ritorno alla nave dopo un breve consulto: Jonathan per primo aveva insistito perché cercassimo informazioni riguardo a Dawkins a Conceicao poiché era l'unica pista che avevamo, e tutti eravamo stati d'accordo con lui. Per il momento tutto dipendeva dal governatore di Conceicao e da se avesse o meno conservato qualche documento su Dawkins.
Tuttavia non avevamo preso in considerazione che il nostro problema più grosso si trovava in quel momento a bordo della Perla Nera.
- Io non vi lascio qui, capitano!- esclamò Fawcett piantando risolutamente i piedi sul ponte. Ephraim sospirò, scoccando un'occhiata severa al suo secondo: - Fawcett, siamo rimasti senza barca, senza carico, senza un bel niente: l'ho già detto al resto della ciurma, dovete trovare una barca qui e tornare a casa appena possibile. -
- Più che volentieri, ma venite anche voi!- insistette il nostromo.
- No. -
- Capitano... - Fawcett annaspò, arrovellandosi per cercare di convincere l'ostinato marinaio. - ...sono pirati!-
- Appunto. - un guizzo pericoloso passò negli occhi scuri di Ephraim. - E secondo te potrei andarmene tranquillo lasciando mia figlia su una nave di pirati?-
- Dovrete farlo, signore. - una voce burbera interruppe i due uomini che conversavano sul ponte: Ephraim si voltò verso Gibbs che lo guardava con aria cupa. - Vi abbiamo già chiesto di andarvene con le buone, ora se non seguite immediatamente i vostri uomini... -
- Come potete chiedermi questo?!- scattò Ephraim in faccia all'anziano pirata. - Non avete figli, voi? Non avete mai tenuto a qualcuno?-
Il signor Gibbs si rabbuiò, ricambiando lo sguardo accusatore di Ephraim: dovevano avere all'incirca la stessa età, loro due, e il pirata si stupì di quanta affinità cominciasse a sentire per quel padre testardo. - Non lo so, a dire il vero. - ammise con semplicità. - Figli? Potrei anche averne, per quello che ne so... Ma, da uomo a uomo, vi dico che credo di capire che cosa provate, credetemi. -
- Allora rendetemi mia figlia. - insistette Ephraim con un tono che assomigliava molto alla supplica.
- Rendervela?- Gibbs batté le palpebre e si corrucciò, squadrandolo. - Vorrei che abbiate chiara una cosa: Laura Evans non è nostra prigioniera né simili: è un pirata e di conseguenza una donna libera, nient'altro. -
Una risata sguaiata li fece voltare entrambi verso il ponte dove diversi pirati seguivano con interesse la discussione da quando il capitano si era rifiutato di seguire i suoi marinai a terra: fra di loro uno con un gran cappellaccio e la barba lunga li fissava ghignando. - Lasciateci la nostra bella capitana, marinaio!- sbraitò ridacchiando con evidente divertimento nel vedere l'espressione irata di Ephraim. - C'è il capitano ad occuparsi di lei... e come se ne occupa!-
Gibbs lo guardò come se avesse voluto incenerirlo, ma un attimo dopo dovette unirsi a Fawcett per agguantare Ephraim che era balzato avanti furibondo. - Rimangiati quello che hai detto, cane!- urlò l'uomo, divincolandosi mentre i due lo trattenevano a forza per le braccia. - Rimangiatelo!-
Gibbs e Fawcett strattonarono Ephraim all'indietro, vanificando anche il suo ultimo tentativo di gettarsi sul pirata: appena si fu assicurato che il marinaio non avrebbe tentato mosse azzardate, Gibbs si voltò furiosamente verso l'uomo che aveva parlato. - Tieni la lingua fra i denti, Doughty!- lo rimproverò aspramente: l'animo di quel marinaio era già abbastanza caldo senza che ci si mettessero anche le provocazioni della ciurma, pensò l'anziano pirata; non era proprio sicuro che quella faccenda si sarebbe risolta facilmente.
Ephraim liberò il braccio dalla stretta del suo secondo con un gesto seccato, ma rimase dov'era. - Vattene, Fawcett. - ordinò.
- Ma... - cercò di protestare lui.
- Ho detto vattene!- ripeté il capitano con un tono che non ammetteva repliche. A malincuore il nostromo dovette obbedire e scese lentamente dalla nave, voltandosi più volte a guardare il suo capitano sperando fino all'ultimo che ci ripensasse e scendesse a terra anche lui. Gibbs guardò il marinaio, che era rimasto sul ponte con le braccia ostinatamente incrociate e squadrava con aria di sfida i pirati che borbottavano.
- Immagino che voi non abbiate intenzione di andarvene. - osservò stancamente.
- No, infatti. - Gibbs sospirò grattandosi la barba: - Non voglio dovervi gettare a forza fuoribordo, non lo meritate. Ma lasciate che vi dica una cosa: non ci guadagnate nulla a fare il martire. -
L'espressione risoluta di Ephraim si incrinò per un attimo soltanto, poi lui serrò la mascella con rabbia e non si mosse da dov'era, tornando a fissare di sbieco gli uomini della ciurma che lo osservavano ghignanti, pregustando qualche altra scenata divertente non appena il capitano e gli altri avessero fatto ritorno alla nave.

*


- Mi sembrava di avere dato ordini precisi!- Jack camminava avanti e indietro come un animale in gabbia, agitando freneticamente le braccia. - Non ce lo voglio, lui, sulla mia nave! - Gibbs abbassò gli occhi sul ponte con fare imbarazzato. - Capitano... che potevo fare? In fondo è pur sempre suo padre... e onestamente io non... -
- Date a Laura una possibilità. - li interruppe Faith, che se ne stava appoggiata al parapetto osservando pigramente lo sfogo del capitano; Jack le scoccò un'occhiata imbronciata alla quale lei rispose con un sorriso. - Jack, il signor Evans non è un uomo cattivo. -
- Non è questo il punto. - sbottò Jack in tono irritato, scoccando un'occhiata di sbieco a prua. Là, io e mio padre eravamo impegnati in una seria e più che animata discussione: ero rimasta di sasso almeno quanto Jack nel ritrovarlo saldamente piazzato sul ponte quando eravamo tornati dalla visita all'inquietante Thomas Marlowe, ma ora era chiaro che gli animi di entrambi si stavano decisamente surriscaldando. Avevo preso in disparte mio padre e gli avevo detto che rischiava grosso comportandosi così. Lui mi aveva replicato ostinatamente che se io non fossi scesa a terra non l'avrebbe fatto neanche lui.
- Hai perso completamente il cervello? Tu non ti rendi conto dei rischi che corri!- ero esplosa ad un certo punto; mio padre mi aveva agguantato prontamente per un braccio mentre mi fulminava con gli occhi: - Non ti azzardare a parlarmi così!- mi rimproverò, secco. - Non mi lasci scelta, Laura; se decidi di continuare a comportarti da ragazzina ostinata allora sarò costretto ad adottare lo stesso comportamento!- L'ira e la stizza strinsero lo stomaco in una morsa e strappai violentemente il braccio alla stretta di mio padre, forse anche sorprendendolo per il vigore che ci misi. - Tu non hai idea!- sibilai, inviperita come mai avrei creduto di poter diventare. - Tu non hai idea di niente! Appari dal nulla e ti comporti come se sapessi tutto, mi rivedi dopo quattro anni e vuoi ancora decidere della mia vita... non dai tue notizie per anni e pretendi di avere ancora voce in capitolo!- mi ritrassi da lui ferocemente, fissandolo negli occhi con tanta rabbia che lo vidi squadrarmi stupefatto per lunghi istanti prima di ricambiarmi con un'espressione altrettanto contrariata ed esclamare: - Io sono tuo padre, signorina, e ho sempre voce in capitolo!-
- No. - ero passata in un attimo dal grido al sussurro: feci due passi indietro, scossi il capo e fissai mio padre con aria grave. - Non ne hai più. -
Un'ombra di smarrimento passò sul volto di mio padre: parve calmarsi un poco, e fece un passo verso di me tendendomi una mano. - Laura... - insistette, con la mano tesa. Un'offerta di pace.
Mi ritrassi di nuovo. - Non ne hai più. - ripetei abbassando gli occhi sulle assi.
- Miss Evans!-
La voce di Jack fece sollevare lo sguardo ad entrambi: mio padre gli scoccò un'occhiata cupa, io sospirai fra me ricordandomi che c'era anche quella fastidiosa questione da risolvere. Mio padre tornò a guardare me con espressione addolcita, ora quasi supplichevole: di nuovo scossi il capo, faceva male, ma non potevo permetterglielo; doveva capire, doveva lasciarmi andare. - Mi chiama il capitano. - dissi, e gli voltai le spalle per andare a raggiungere Jack che mi aspettava con aria impaziente sotto il cassero di poppa, a debita distanza da Ephraim.
- Mi avete chiamata?- il mio tono era fin troppo ironico e la mia espressione doveva essere trasparente, perché sia Faith che Gibbs che attendevano lì insieme a Jack mi scrutarono di sottecchi come intuendo che non ero assolutamente dell'umore di scherzare.
- Sì. - Jack mi venne accanto, voltando le spalle a mio padre che ci guardava dalla parte opposta del ponte per mantenere privata la nostra conversazione. - Ditemi, riusciamo o no a disfarci del vostro beneamato padre?-
La sua insistenza era proprio quello che ci voleva per mettere alla prova ancora un po' i miei nervi; mi voltai di scatto a guardarlo faccia a faccia e ribattei: - Grazie Jack, grazie per aver tenuto conto che è pur sempre mio padre!- Jack si ritrasse da me immediatamente, neanche avessi una malattia infettiva: - E ci sta guardando!- mi sibilò accennando con aria preoccupata alle mie spalle. Per tutta risposta sbuffai, quindi abbassai gli occhi e tirai alcuni profondi respiri imponendomi di calmarmi: detestavo essere messa sotto pressione, e in quel momento fra mio padre e Jack non avrei saputo dire chi mi stesse facendo innervosire di più. - ...Capitano... se mi è concesso dire la mia mi sto veramente stancando del vostro gioco infantile. Ah... - lo agguantai per la giacca e lo costrinsi a guardarmi negli occhi. - E scusatemi... scusatemi tanto... se disgraziatamente stavolta non riesco proprio a liberarvi da questa sgradita presenza, mi dispiace davvero tanto!- lo lasciai, e nel farlo lo spinsi bruscamente all'indietro. Jack barcollò fissandomi con tanto d'occhi: - Ma che cosa ti prende?- esclamò, stupefatto: anche Gibbs sembrava sorpreso, Faith invece mi scrutava in silenzio con l'aria di avere capito benissimo il mio stato d'animo. Per un attimo la guardai in cerca di sostegno, lei però non disse nulla e convenni che avrei dovuto sbrigarmela da sola: tornai a fissare severamente Jack e dissi: - Sei un capitano o no? Allora adesso va lì e risolvete la cosa da capitani, se siete capaci di comportarvi come tali. Personalmente sono stufa di tutti e due. - feci un passo indietro e incrociai le braccia sul petto.
Jack mi fissava ad occhi sgranati: sembrava esterrefatto. - Ma... ma... ma... senti, non scherziamo, ho bisogno di te per farlo ragionare, e personalmente non mi piace perdere tanto tempo in sciocchezze quando abbiamo cose ben più importanti da fare. -
- Giusto, nemmeno a me: perciò muoviti. -
- Tuo padre, tu convinci!-
- Tu non lo vuoi a bordo, tuo problema!-
- Aehm... - Faith alzò una mano intervenendo nella nostra discussione. - Laura? Jack? Non per fare la guastafeste, ma vorrei farvi notare che così non arriviamo a nulla. -
- Ha ragione!- Gibbs si mise svelto al fianco di Jack. - Capitano, ci terrei a ricordarle che poco fa mi avete parlato di certi documenti che dovremmo andare a cercare all'isola di Conceicao, e a mio parere trattare con il suo governatore, un certo Burrieza, richiederà tutta la nostra... -
- Burrieza? Volete trattare con Burrieza?- la voce di mio padre fece fare un balzo a tutti quanti: quando si era avvicinato così di soppiatto alle nostre spalle? Mentre per un istante mi preoccupavo di quanto o che cosa fosse riuscito a sentire, lui continuò con l'accenno di un sorriso di scherno: - Conceicao, dite... e come avete intenzione di raggiungere il governatore? Prenderete il forte a cannonate, forse?-
Jack, forse ritenendo che fosse il momento di fare valere il suo titolo di capitano, squadrò mio padre dall'alto in basso per quanto gli era possibile, dato che lui lo superava quasi di una spanna. - Non per fare insinuazioni, capitano Evans, ma magari non siete proprio la persona più adatta per fare commenti del genere... Certamente, è risaputo che tutti i pescatori sono dei grandi esperti in strategia navale. -
- Non mi sembra il caso di fare ironia. - replicò freddamente lui. - Conosco ogni chiodo di questa nave; so bene quanto sia potente, ma di certo non siete in grado di espugnare un forte voi soli. -
- Non c'è bisogno di “espugnare” nulla. - rispose Jack, che sembrava punto sul vivo per come la potenza della Perla era stata sminuita. - Ci basta trovare il modo di “parlamentare” con il governatore e possiamo ottenere tutto quello che vogliamo. Comprendete?-
- Parlamentare... - ripeté mio padre con fare meditabondo. - Questo significa che dovrete trovare il modo di farvi ricevere dal governatore in persona. Non vi presenterete come pirati, è chiaro. E allora, per che cosa vi farete passare? Mercanti, forse?-
Jack esitò per un istante, poi fece scattare l'indice verso di lui inarcando le sopracciglia come se gli avesse appena dato un'idea: - Bella trovata, grazie per l'idea. Siete sveglio, non lo avrei detto... -
- Ma per togliere al governatore ogni dubbio sulla vostra buona condotta... - continuò mio padre che ora, vedevo, sfoggiava un sorriso che era di puro trionfo. - ...avreste bisogno di un documento ufficiale, qualcosa che confermi la vostra posizione di mercante. Qualcosa come... i diritti d'ormeggio, magari?-
Jack esitò, guardando mio padre di sottecchi come se avesse intuito il perché di quella conversazione. - Ah... - fece con un sorriso forzato, annuendo. - Guarda un po'... e immagino che, per caso, voi potreste essere in possesso di questi diritti d'ormeggio; non è così?-
Il sogghigno soddisfatto di mio padre rivaleggiava con i migliori di Jack quando infilò una mano sotto la marsina per mostrare una pergamena arrotolata infilata in una tasca interna. - Troppo preziosa per abbandonarla con il resto della nave: anche se avessero tratto in salvo me e i miei uomini, senza questa sarebbero passati mesi prima di poter continuare l'attività. - spiegò. - Rifornisco i mercati e le navi che si occupano del trasporto del pesce essiccato verso la Louisiana, e ho un accordo con alcune compagnie commerciali: questo salvacondotto sulla merce è stato rilasciato direttamente dalla capitaneria di porto. -
Sbuffando, Jack tese una mano verso di lui. - Vediamo un po'. -
Mio padre si ritrasse stringendo fermamente la mano sul rotolo di pergamena. - Non mi fido certo a lasciarla in mano vostra. - detto questo, con tutta la semplicità del mondo sfilò la pergamena dalla tasca e la porse a me. Per un istante rimasi impietrita mentre gli occhi di Jack, Gibbs e Faith si puntavano all'unisono su di me, infine presi la pergamena dalle mani di mio padre e la srotolai: era cedevole e rovinata per essersi inzuppata d'acqua, ma ancora leggibile. - “Permesso di svolgere attività di commercio via mare entro l'intero arcipelago della Bahamas”- lessi a voce alta. - E' firmata dal Re, e porta il marchio della Compagnia delle Indie Orientali. - lentamente riarrotolai la pergamena e di nuovo rimasi incerta per qualche attimo: Jack alla mia sinistra, mio padre alla mia destra. Allungai la mano e porsi la pergamena... a mio padre. Con un sorrisetto soddisfatto lui se la rimise sotto la marsina, dandosi un colpetto con la mano alla tasca interna.
Jack allargò le braccia. - Siete voi il mercante, dunque. Sparate il prezzo. -
- Datemi il permesso di rimanere a bordo finché lo desidero, e quando saremo a Conceicao vi cederò i diritti d'ormeggio. -
Chiaramente frustrato, il capitano fissò per un attimo il rigonfiamento sotto la casacca di Ephraim, poi me, infine si arrese: - Andata. - concesse con chiara disapprovazione. Mio padre sorrise. - Grazie capitano. -
- Ringraziate il capitano in seconda. - replicò Jack, con una semplicità che era ben più tagliente di qualsiasi accusa: detto questo si allontanò da noi senza neppure guardarmi per tornare a dare ordini agli uomini sul ponte. Sapevo che il passaggio della pergamena non era stato un gesto casuale né privo di significato: mio padre mi aveva chiaramente messa alla prova, e io, nonostante tutto quello che gli avevo detto, avevo involontariamente scelto da che parte schierarmi. E questa parte, dovetti ammettere amaramente con me stessa, non era quella di Jack.

*


Faith ed Ettore tirarono le cime all'unisono, dispiegando al vento leggero del pomeriggio la vela maestra. - Bene così!- gridò Ettore agli altri gabbieri, soddisfatto del lavoro. - Assicurate le cime e alla via così!-
Svelti i pirati assicurarono le funi: la nave avrebbe proceduto spedita e sicura, con quella brezza favorevole. Soddisfatti, gli uomini si apprestarono rapidamente a ridiscendere sul ponte calandosi giù per le sartie: Faith rivolse ad Ettore un fuggevole sorriso prima di rigirarsi agilmente sul pennone e appendersi alle sartie. Ettore non poteva fare a meno di guardarla: si rimproverava più volte che la presenza della giovane donna accanto a sé fosse una seria distrazione dalle sue mansioni di bordo, ma come farne a meno? Come resistere alla tentazione di fingere indifferenza l'uno verso l'altra mentre svolgevano solerti il loro compito, per poi rubarsi baci nei momenti meno opportuni, come nella frenesia del lavoro sui pennoni, o sul ponte? Ettore quasi rise fra sé al pensiero mentre si bilanciava sulle funi intrecciate che componevano il traballante percorso per i gabbieri: la vita era decisamente più dolce ora che al suo fianco c'era la vispa giovane dalla treccia nera.
“Ora o mai più, vecchio bastardo.” si disse mentre inseguiva Faith giù per le sartie: lei stava scendendo rapidamente, ma doveva riuscire a fermarla almeno per un istante... - Faith!- la richiamò bruscamente. Lei si fermò a mezza via e si voltò in su a guardarlo, ancora aggrappata alla sartia con mani e piedi. Con la brezza che le scompigliava i capelli neri trattenuti a fatica in una rigida treccia ad Ettore appariva talmente bella da lasciarlo senza parole: ma cosa diavolo aveva quella ragazza?
- Faith. - ripeté quando le arrivò accanto, come se ripetere il suo nome gli desse coraggio; lei inarcò un sopracciglio. - ...Sì?- lo incalzò, sorpresa da tutta quella titubanza.
- Da quelle vele si può ottenere di meglio, uomini!- li interruppe dal ponte la voce di Gibbs che scrutava critico la tiratura dei velaggi. - Forza, o con questa bava di vento non caveremo un ragno dal buco!-
- Magari ne possiamo parlare più tardi. - sospirò Faith facendo per risalire al suo posto, ma Ettore si protese bruscamente a trattenerla per un braccio. - No, ne parliamo adesso!- replicò con veemenza senza badare agli altri pirati che stavano risalendo su per le sartie. - Stephanie Faith Westley, mi vuoi sposare?-

*


- Laura... - Faith arrivò all'improvviso tirandomi nervosamente per una manica, facendomi riscuotere con un sussulto: me ne stavo sul castello di prua, teoricamente avrei dovuto dare istruzioni agli uomini perché dispiegassero i velaggi al massimo per catturare la leggera brezza che si era decisa a soffiare da ponente, ma in realtà ero rimasta tutto il tempo a fissare, non vista, mio padre che stava seduto in un angolo sul ponte, scrutando distrattamente il lavoro dei pirati con un'irritante espressione di sufficienza sul volto. La mia amica mi tirò la manica con più urgenza, abbassando la voce quasi con fare cospiratore: - Per favore, ho bisogno di parlarti. -
- Cosa c'è?- domandai, ma lei mi stava già tirando dietro di sé perché la seguissi: ci affacciamo sul mare appena sopra il bompresso, e solo allora sembrò decidersi a parlare. - Ettore è venuto da me poco fa.... -
- E allora?-
- Voleva... - deglutì. - Voleva parlarmi. -
- E cosa ti ha detto?-
- Mi ha chiesto... - finalmente Faith si decise ad alzare lo sguardo e mi guardò negli occhi mentre diceva: - ...mi ha chiesto di sposarlo. -
Tale fu il mio stupore che riuscii soltanto a stringere le dita sul legno del parapetto e sgranare così tanto gli occhi che temetti mi sarebbero usciti dalle orbite: per dieci secondi netti non credetti alle mie orecchie. Sposarsi? Faith si sarebbe sposata? La mia amica rimaneva a guardarmi come se stesse valutando la mia reazione e io mi sentii ancora più spaesata: - Te lo... te lo ha chiesto sul serio?- riuscii a balbettare appena fui in grado di formare pensieri di senso compiuto. - Ma come... E tu cosa gli hai risposto?-
Faith abbassò nuovamente lo sguardo, umettandosi rapida le labbra e intrecciando le dita: era un fascio di nervi. - Gli ho detto di sì. - mormorò in risposta dopo qualche istante.
Non sapevo che cosa dire. Non sapevo neppure che cosa pensare, a dirla tutta. Faith si sarebbe sposata. Ma questo come, dove, quando mai era stato deciso? Dunque le cose erano andate così in fretta dietro le mie spalle in quei soli due mesi da quando avevamo intrapreso la vita di pirati? - Ne sei sicura?-
Faith aprì la bocca, esitando, poi rispose con più sicurezza: - Sì... Sì, ne sono sicura. - mi guardò. - Io lo amo. - disse con semplicità.
- E questo è sufficiente?- continuai, incapace di rimanere ferma e cominciando a camminare lentamente avanti e indietro, senza sapere dove puntare lo sguardo. - E lui ama te? E tutti i dubbi che mi hai confessato solo pochi giorni fa? Scomparsi?-
L'avevo colta alla sprovvista, era evidente dall'espressione confusa che rimase per lunghi istanti nei suoi occhi, quindi si ricompose e tornò a replicare sempre con maggiore fermezza. - Io mi fido di lui, e questo è tutto. Io sento... di essere pronta, mi capisci?-
Pronta... feci altri due passi in avanti per poi tornare indietro. La mia amica Faith, pronta ad accettare la proposta di Ettore, pronta a concedersi a lui, sicuramente. Tutto strano. Troppo strano. Per poco non rischiai di scoppiare in una risata amara e del tutto inaspettata: quanto ironica era quella situazione; ero pronta a tutti i rischi che avrebbe comportato la nostra nuova condizione di pirati, ma non a sconvolgimenti sul piano sentimentale. - Non lo so. - ammisi con sincerità. - Vi conoscete da così poco... -
- Poco meno di da quando tu conosci Jack. - protestò debolmente lei.
Scattai come se mi avesse punto un'ape. - E' diverso!- sbottai con stizza, fissandola con aria stupefatta. - Io non sto per sposarlo!- ma appena ebbi pronunciato quelle parole mi trovai a dovere amaramente considerare un'altra cosa: non era che la situazione fra me e il capitano fosse delle migliori, in quel momento.
- Io però ho intenzione di sposare Ettore. - insistette Faith con calma.
E allora che cosa sei venuta a chiedere a me? fui tentata di ribattere con veemenza. Consigli? Partecipazione? Che cosa ho a che fare io con tutto questo, ormai? Sospirai e le voltai le spalle, incrociando le braccia sul parapetto: - E sposalo, allora. - risposi, pentendomi immediatamente del tono acido con sui lo dissi. - Che cosa stai chiedendo, il mio permesso forse?-
Ora sì che l'avevo lasciata di sasso: non la guardai in faccia, ma dal suo silenzio potei intuire la sua espressione stupefatta e ferita insieme, e quando la sentii voltare i tacchi e andarsene mi sentii un verme. Ma perché mai le avevo risposto in quel modo? Avevo lasciato senza parole perfino me stessa. In tutti gli anni che avevamo passato insieme non avevo mai detto una parola contro di lei, mai: perché di punto in bianco mi sembrava di essere diventata aspra come il latte inacidito? Che cosa mi era successo? Mi voltai di scatto, per guardare con una stretta al cuore Faith che si allontanava sul ponte.
“Ti è così difficile essere semplicemente felice per lei?”

*


Jack si accomodò sulla sedia nella sala degli ufficiali, appoggiando i piedi sopra al tavolo, quindi unì le dita delle mani con aria meditabonda. - Quindi tu vorresti che io facessi cosa?-
- Che tu dichiarassi me e Faith marito e moglie, è chiaro. - fece Ettore, che stava in piedi, ma si appoggiava con le braccia allo schienale della seggiola. Jack sfoderò i denti d'oro e indicò sé stesso: - Ti sembra che abbia la faccia da prete, per caso?- domandò sogghignando.
Ettore ridacchiò e scosse il capo: - No, ma siete il capitano: rientra nei vostri poteri. -
Jack si stiracchiò e rimase a guardarsi distrattamente l'unghia del pollice. - Non sono sicuro che a terra spetterebbe ad un capitano celebrare un matrimonio. -
- Ma è quello che un capitano può fare su una nave. - replicò Ettore, chinandosi sul tavolo. Jack sorrise divertito e fece scattare un indice in direzione del pirata. - Astuto. - concesse in tono di approvazione. - Però, amico mio, devi riconoscere che una cosa del genere disturba gli uomini: già è tanto avere quattro donne a bordo, se poi una di loro dovesse addirittura sposare uno della ciurma rischieremmo di stuzzicare un vespaio. Ci manca solo che gli uomini comincino ad insorgere pretendendo di averne una anche loro. - di nuovo sogghignò arricciandosi maliziosamente un baffo.
- Voi non vi fate problemi con miss Evans, capitano. -
Jack tolse gli stivali dal tavolo e si raddrizzò, scrutando Ettore. - Io sono il capitano. - rispose a mo' di giustificazione. - E dimmi, dove intendete consumarla la vostra notte di nozze? Nelle amache di sottocoperta col resto della ciurma?-
Questa Ettore non se l'aspettava proprio, e scoccò a Jack un'occhiata di biasimo. - Capitano... - protestò, risentito, ma lui stava ridacchiando fra sé. - Oh, perdonami, non intendevo essere indiscreto. Comunque sia... d'accordo. - Ettore sollevò di colpo lo sguardo, stentando a credere alle sue orecchie: aveva davvero accettato la sua richiesta! Quella doveva essere senz'altro la sua giornata fortunata. - Porta la tua dolce sposa sul ponte e sbrighiamo la cosa, gli uomini sono sempre contenti di avere qualcosa per cui festeggiare. -
- Grazie... grazie infinite!- esclamò Ettore con un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro. Fece per lasciare la cabina, ma il capitano lo richiamò appena prima che uscisse dalla porta: - Ah, Ettore!- si rimise mezzo sdraiato sulla sedia posando risolutamente gli stivali sul ripiano del tavolo di mogano scuro. - Questa nave ha più cabine che ufficiali, tu e la tua futura mogliettina potete prendervene una. Le amache di sottocoperta sono decisamente scomode. -
Il pirata scoppiò in una risata trionfante e lasciò la sala degli ufficiali: Jack sorrise fra sé sprofondando nella sua sedia. Ma sì, sarebbe stato senz'altro un interessante distrazione.

*


Faith se ne stava seduta sulla sua cuccetta, meditabonda e silenziosa, quando Annamaria aprì la porta della cabina. - Hai visite. - annunciò con una sfumatura di ironia, lasciandomi passare. Appena ebbi messo piede in cabina mi precipitai ad abbracciare la mia amica prima ancora di lasciarle il tempo di rispondere.
- Scusami!- la implorai con la faccia affondata nella sua spalla. - Scusami, ti prego. Ti ho trattata malissimo e non so nemmeno perché... Mi dispiace Faith, non sai quanto mi dispiace!-
- Non fa niente!- si affrettò a rassicurarmi lei ricambiando con slancio l'abbraccio. - Va tutto bene, davvero. -
- Sono felice per te, e sono sincera. - le sorrisi mentre ci separavamo. - Ho una cosa per te. -
Annamaria si scostò per lasciare entrare Valerie che, con il sorriso represso di chi nasconde una grossa sorpresa, si fece avanti con un voluminoso involto di sacco di tela fra le braccia e lo porse a Faith. Lei, presa del tutto alla sprovvista, lo prese e se lo mise sulle ginocchia per vedere che cosa ci fosse dentro: non appena ebbe srotolato l'involto trattenne un'esclamazione di sorpresa. - Una sposa non è una sposa senza il vestito adeguato, no?- commento Valerie sorridendo.
- E' impressionante la quantità di abiti femminili che trasportano le navi mercantili. - aggiunse divertita Annamaria. Io mi godetti l'espressione di meraviglia di Faith mentre liberava dall'involucro un bel vestito color panna e beige, col bordo elegantemente ricamato con del pizzo bianco: lo tenne fra le dita come se fosse stato d'oro zecchino, fissandolo a bocca aperta, l'avevamo lasciata completamente senza parole.
- Avanti adesso!- la richiamò con una certa urgenza Annamaria, senza poter fare a meno di sorridere. - Lo sposo qua fuori sta aspettando!-
La nave era stata messa alla cappa, e tutti gli uomini avevano fiutato l'odore di festa, così che la ciurma si era assiepata sul ponte curiosa di sapere che cosa stesse succedendo: quando uscimmo da sottocoperta scortando Faith ed Ettore insieme i pirati scoppiarono in ululati e grida entusiaste. Jack si fece largo in mezzo alla ciurma e si fermò sotto il cassero di poppa, dove allargò le braccia in modo teatrale per attirare l'attenzione dei presenti. - Gentiluomini!- dichiarò a gran voce. - Poco fa, questo brav'uomo mi ha detto di volere prendere in moglie la qui presente Stephanie Faith Westley... - un boato di grida ed applausi sottolinearono le sue parole, e lui proseguì compiaciuto. - Come capitano di questa nave, mi arrogo il diritto e il dovere di adempire questa cerimonia. Venite avanti, voi due. - fece un cenno nella nostra direzione, ed Ettore e Faith avanzarono fino ad arrivare davanti a lui: io mi accaparrai un posto in prima fila insieme a Valerie e, emozionate come ragazzine al primo ballo, restammo in silenzio ad osservare i due novelli sposi. L'abito che avevamo procurato a Faith le stava benissimo: l'abbigliamento maschile era certamente pratico, ma non le rendeva piena giustizia. Il corsetto impreziosito invece sottolineava le sue forme e le donava un'eleganza insospettata, perfino io ero rimasta stupita dal risultato. Era bellissima.
Distolsi gli occhi dalla scena solo per un momento, per voltarmi verso un punto ben noto in un angolo del ponte: mio padre era ancora là nell'ombra, seduto su di una cassa. Ci osservava senza proferire parola e senza tradire alcuna emozione dal volto. Distolsi lo sguardo, in quel momento desiderosa soltanto che la sua presenza non rovinasse il giorno più bello di Faith.
- Ebbene... - fece Jack mentre Gibbs posava davanti a loro un barile sul quale appoggiò una bibbia. - Mi rammento proprio ora che lo sposo non ha un cognome... che facciamo, Ettore?- domandò al diretto interessato.
- Usate solo il mio nome, capitano. - disse Ettore, voltandosi a guardare Faith. - Il valore della mia promessa non verrà sminuito per questo. -
- Ottimo. - Jack fece un passo avanti. - Mani sul Libro. -
Faith ed Ettore posarono ciascuno una mano su una pagina della bibbia aperta.
- Vuoi tu, Ettore, prendere questa donna come tua sposa, amarla, esserle fedele, eccetera, finché morte non vi separi?-
Ettore tornò a guardare Faith col sorriso che gli si allargava sulle labbra. - Sì. -
- E vuoi tu, Stephanie Faith Westley, prendere quest'uomo come tuo sposo con gli stessi termini di contratto?-
- Sì. - mormorò Faith. Jack si piegò verso di lei portandosi una mano all'orecchio. - Non ho sentito!-
- Sì!- ripeté Faith a voce alta, suscitando nuovamente le grida di giubilo della ciurma. Soddisfatto, Jack si sistemò il tricorno sul capo dandosi un'aria marziale: - Signor Gibbs!-
L'anziano pirata si affrettò a raggiungere il capitano portando in mano un piccolo forziere prezioso che era stato probabilmente recuperato fra il carico di bordo: Jack lo aprì, frugò per un po', infine si voltò con in mano due scintillanti anelli d'oro, ciascuno ornato da una pietra preziosa. - Un po' pacchiani magari, ma andranno bene. - commentò, posando gli anelli sulla bibbia. - Ogni uomo della ciurma ha diritto ad una quota del bottino, e questa è la vostra. - fece cenno di prenderli, e loro se li scambiarono, raggianti. - Come capitano di questa nave, oggi, su questo ponte, io vi dichiaro marito e moglie. -
Un coro di urla di giubilo nel migliore stile pirata acclamò le sue ultime parole, poi, come se l'entusiasmo non fosse già alle stelle, Ettore strinse Faith tra le braccia e la baciò fra le ovazioni della ciurma. Mi unii ai cori sguaiati con le lacrime agli occhi; Faith stringeva Ettore a sé come se non volesse più lasciarlo andare e mi sembrò di realizzare in quel momento, per la prima volta, quanto veramente fosse grande quello che c'era fra di loro. Erano insieme, finalmente. E non sarebbe potuto essere più giusto né più bello di così.
“Vedi, Laura?” mi rimproverai bonariamente mentre guardavo con un sorriso Ettore e Faith che per un breve istante si separavano, si sorridevano, e quindi tornavano a baciarsi con gran gusto dei pirati che stavano a guardare. “Non sei la sola a cui è concesso amare, dopotutto.”
Il giorno tendeva all'imbrunire, e fra il rum che girava di mano in mano e i musicanti che avevano attaccato a divertirsi con i loro strumenti, non ci volle molto per mettere in piedi un festino in piena regola: Faith ed Ettore furono subito circondati dai pirati che un po' li abbracciavano un po' tiravano pacche sulle spalle ad entrambi, gli offrivano boccali di rum, facevano battute sulla sposa. Faith ricambiò con entusiasmo ridendo fino alle lacrime, e abbracciando gli uomini della ciurma dicendo loro che li amava come fratelli, e fui quasi sicura di vedere Gibbs soffiarsi il naso in disparte. Quando finalmente riuscii a raggiungerli li abbracciai entrambi, prima insieme e poi uno alla volta, senza riuscire a trovare le parole adatte per dire loro quanto ero felice: strinsi le mani di Faith mentre, abbassando la voce, le dicevo: - Siete una sorella e un fratello per me, lo sarete sempre. Perdonami per avere dubitato di voi. -
Lei annuì sorridendo, senza lasciare le mie mani. - Non hai fatto nulla. - mi assicurò. Poi, mentre Ettore era ancora alle prese con le energiche felicitazioni del resto della ciurma, si chinò verso di me guardandomi negli occhi. - Laura... - mi disse. - Tu temi di rimanere sola, non è così? -
Scossi appena il capo. - No. - risposi con sincerità. - Non temo di rimanerla. A volte però temo di esserla. -
Faith socchiuse gli occhi annuendo brevemente, comprendendo quello che le volevo dire. - Non la sei. - mi disse tornando a sorridere, e mi strinse in un altro vigoroso abbraccio.
- Ora posso baciare la sposa? In senso figurato. - scherzò Jack affrettandosi subito a correggersi con un cenno di scusa verso Ettore. Sciolto il nostro abbraccio, Faith andò a stringere le mani di Jack, dandogli un bacio sulla guancia. - Grazie, capitano. - gli disse con riconoscenza.
- E' stato un piacere. - replicò Jack, sorridendole, quindi prese sottobraccio sia lei che me e notando che avevamo entrambe le lacrime agli occhi si finse esasperato: - Oh, finitela con questo piagnisteo, è un matrimonio, diamine! Miss Westley, aspettano voi per aprire le danze!-
I violini attaccarono un allegro motivetto, Faith ed Ettore cominciarono a volteggiare insieme sul ponte coi pirati attorno a loro che scandivano il tempo battendo le mani o picchiando gli stivali sul ponte, il rum fu spillato generosamente dalle botti, e quando le prime stelle fecero la loro comparsa nel cielo che si oscurava, il festino era decollato accompagnato dai cori stonati dall'alcol.
Con un boccale di rum in mano passai oltre la folla festante, per raggiungere quel posto in ombra sotto il castello di prua: mio padre guardava la linea scura dell'orizzonte con uno sguardo strano, a metà fra il sognante e il malinconico. Sembrava così assorto nella sua contemplazione che mi sembrò di rompere un incantesimo quando osai domandare: - Stai bene?-
Si voltò verso di me lentamente, come se la mia presenza lo infastidisse, ma ormai sapevo per certo che non era così: lo raggiunsi e mi fermai accanto a lui. - Sei rimasto fermo qui per tutto il tempo?- feci, stupita. - Non sei più un prigioniero ma continui a comportartici. -
- Mi sto facendo un'idea di dove mi trovo. - rispose in tono accuratamente piatto. Mi inginocchiai per incontrare i suoi occhi rivolti sul ponte. - E cosa hai visto fino ad adesso?-
- Cosa vuoi che abbia visto?- replicò lui inasprendo il tono e accennando col capo alla ciurma festante poco più in là. - Pirati. Uomini allo sbando. Briganti. E una figlia che non vuole saperne di ascoltarmi, per giunta. - aggiunse scoccandomi un'occhiata di biasimo. - Che sarebbe questo?-
- Un matrimonio. - risposi stringendomi nelle spalle. - Molto maleducato da parte tua non porgere i tuoi auguri a Faith. -
- Non mi sembra proprio il caso. -
- Come vuoi. - gli misi il boccale di rum in mano, quindi gli voltai le spalle e me ne andai di gran fretta, decisa a sparire in mezzo alla folla festante. Tornata fra i pirati danzanti non ci volle molto perché mi vedessi subito un altro boccale di rum, che accettai senza esitare: lo bevvi in fretta facendo del mio meglio per non farmi urtare dai pirati ubriachi che ballavano scompostamente, godendomi la bevanda speziata e bruciante che mi scendeva in gola. Era una bella sensazione. Ne presi subito un secondo boccale, e poi un terzo, mentre tutto nella mia testa cominciava a farsi deliziosamente più leggero.
Faith ed Ettore avevano già tagliato la corda da un pezzo, ma la festa sarebbe continuata ancora a lungo: mentre, con il mio boccale vuoto in mano, ridacchiavo alle battute di alcuni uomini della ciurma, una mano spuntò apparentemente dal nulla e mi agguantò per un braccio, trascinandomi a sedere su una cassa. Era Jack, seduto con una bottiglia vuota in mano, un sorriso sghembo sul volto e gli occhi lucidi. - Mi stavo proprio chiedendo dove fossi finita!- esclamò con la voce impastata dall'alcol, protendendosi goffamente verso di me per avvolgermi un braccio attorno alle spalle.
- Mi cercavate, capitano?- ridacchiai appoggiandomi contro la sua spalla: di colpo tutto mi appariva estremamente divertente. Jack ebbe un sussulto e agitò goffamente un dito in aria in gesto di diniego. - Non darmi del voi! Non è carino da parte tua!- biascicò in protesta.
- Guarda che avevi cominciato tu!- ribattei, staccandomi da lui e incrociando le braccia per fingermi offesa. Lui rimase lì dondolando il busto per qualche istante, intontito, quindi si allungò di nuovo verso di me. - Oh, vuoi dire che ti ho trascurata?- sussurrò con tono inequivocabile. - Scusami davvero... - mi aveva avvolto le mani attorno alla vita, tirandomi contro di lui: in un attimo trovai le sue labbra ad un soffio dalle mie.
- Hm... e ora che cosa vuoi, capitano?- insinuai con un sorriso, sentendo il suo fiato tra le labbra; Jack mi strinse a sé con più forza e avvicinò il suo viso al mio con decisione. - Sei te quella che voglio... - bisbigliò, prima di intrappolare le mie labbra quasi con ferocia; la sua bocca dischiuse la mia, intrecciando le nostre lingue in un bacio profondo.
Ricambiai il bacio con altrettanto slancio, avvolgendogli le mani dietro al collo: la sua bocca sapeva di rum, il suo calore era inebriante; mi sentivo girare la testa, e non era soltanto per tutti i boccali che avevo bevuto. Jack mi si avvinghiò, le nostre bocche ancora voracemente incollate: le mie mani scivolarono sulle sue spalle e poi più giù, ad accarezzargli il petto. - Oh sì, piccola... - mugolò senza lasciarmi andare, ed inclinò il capo mentre la sua lingua tornava ad incontrare la mia: mi accorsi a malapena che eravamo uno spettacolo assai poco dignitoso anche in mezzo a quella bolgia di pirati ubriachi, gli ero addosso con tutto il mio peso, e le mani di lui erano scese ad accarezzarmi avidamente le natiche. Continuai a carezzargli il petto, sfiorando i muscoli e poi scendendo sul ventre: ansimò e lo sentii sussultare sotto le mie dita.
Lo stavo ancora baciando quando quasi per caso aprii gli occhi... e quello che vidi alle spalle di Jack mi mozzo il fiato in gola. Mio padre si stava facendo largo di gran carriera fra la ciurma festante.
Una terrificante consapevolezza mi fulminò all'istante: ci aveva visti! Idiota, idiota, idiota! In quel momento il fatto che Jack avesse preferito tenere nascosta la nostra relazione mi sembrò perfettamente sensato: l'espressione di mio padre era assolutamente furibonda.
Mi staccai da Jack così in fretta che quasi rischiai di piombare a pelle d'orso sul ponte. - Ci ha visti!- sibilai terrorizzata. - Chi ci ha visti, cosa?!- intontito dal rum Jack si guardò in giro, completamente disorientato. Pensare lucidamente sembrava essere diventato impossibile, vedevo solo mio padre che veniva verso di noi e sapevo che dovevo sfuggirgli in ogni modo; potevo solo immaginare quanto violenta si sarebbe scatenata la sua rabbia, e perdere le staffe in quel momento in mezzo all'intera ciurma poteva rivelarsi un disastro. In quel momento Jack parve rendersi conto di chi si stesse facendo largo a forza fra la ciurma per raggiungerci, perché sbarrò gli occhi, urlò un'imprecazione e istintivamente si buttò all'indietro, rotolando malamente giù dalla cassa per nascondersi dietro di essa.
Effettivamente nascondersi appariva una buona idea, ma non ce l'avrei mai fatta, mio padre già era a pochi metri da noi, un'espressione di rabbia indicibile sul volto mentre scostava con una spallata un altro pirata... Valerie, che fino a quel momento non avevo notato, guardava nella mia direzione. Visto mio padre, in un istante si buttò contro due pirati ubriachi e li spinse; quelli inciamparono e rovinarono sul ponte dritti ai piedi di mio padre, che a sua volta inciampò su di loro per piombare sul ponte. - Vai!- sibilò la ragazza fra i denti facendomi freneticamente cenno di svignarmela.
Non me lo feci ripetere due volte: prima ancora che mio padre avesse il tempo di alzare la testa ero già schizzata via come se mi inseguissero tutti i diavoli dell'inferno. “Sono morta.” fu l'unico pensiero che riuscii a formulare mentre mi precipitavo giù per le scale di sottocoperta. “Morta. Morta. Morta.”



Note dell'autrice: della serie, quando l'ispirazione arriva, quando meno te la aspetti, dalle tue esperienze dirette! Mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo anche se ci ho messo un bel po'. Grazie tantissimo come al solito a tutti quelli che hanno commentato e che mi hanno sostenuta (e lusingata fino all'imbarazzo!!!) con i loro complimenti: grazie di cuore, sono davvero felice di vedere che la mia storia "funziona" come vorrei! Per rispondere alla compare Black, ci troviamo davanti non ad una, ma ben due incredibili coincidenze: il nome di Thomas Marlowe l'ho inventato di sana pianta, precisamente mi trovavo in classe durante un'ora di lezione noiosa e stavo scrivendo il pezzo sull'Agua de Vida; il cognome di Marlowe a cui attaccare un nome comune come Thomas è praticamente piombato dal cielo. In questa straordinaria casualità posso solo dire... pirate! Anche "Pasta di drago" è un libro che da tanto tempo mi piacerebbe tantissimo leggere... ma non ho mai letto. Dovrò rimediare prima o poi. Un vero riferimento letterario, che però è più un omaggio infantile, è il nome del padre della protagonista: Ephraim. L'ho scelto in onore del mio mito "pirata" di quando ero bambina: il capitano Ephraim, padre dell'inossidabile Pippi Calzelunghe. Se non sono revival dell'infanzia questi! Sperando che anche questo capitolo vi piaccia, wind in your sails.

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Capitolo 8
*** Rottura. ***


Capitolo 7
Rottura.


Balzai giù dalle scale facendo i gradini due a due, avevo il cuore in gola e le gambe molli: sentendomi in tutto e per tutto un animale braccato attraversai di corsa il ponte intermedio, infilandomi giù per le scale che portavano alla stiva, pensando che con un po' di fortuna mio padre non sarebbe riuscito a scovarmi.
Purtroppo la mia fortuna sembrava avere raggiunto i minimi storici, perché esattamente un istante dopo udii pesanti passi di corsa alle mie spalle, stivali che balzavano giù per le scale che avevo appena percorso. Corsi verso la stiva, ma prima che riuscissi a trovare un qualche nascondiglio una mano mi afferrò per la spalla bloccandomi con violenza. Scivolai, il mio avversario perse la presa, e io mi ritrovai sul pavimento, riconoscendo solo a stento la voce deformata dall'ira: - Tu dovevi dirmelo!-
Mi rialzai in ginocchio, anche se mi girava la testa: fra il rum e la corsa non ero nelle condizioni migliori. Lucidissima, invece, fu l'occhiata risentita che scoccai a mio padre.
- Mi hai fatto male!-
- Lo vedi che avevo ragione a dubitare di te!- urlò lui. Solo ora che lo guardavo in faccia però mi accorsi di una cosa: il suo viso furibondo era inondato di lacrime. - Lo vedi che sapevo che cosa stava accadendo veramente! Hai lasciato che il capitano si approfittasse di te! Hai lasciato che ti facesse questo! E non mi hai detto nulla! Io lo sapevo!-
La sua mano piegata ad artiglio annaspò verso di me, forse per agguantarmi, forse solo per toccarmi. Non persi tempo a scoprirlo.
- Tu non sai niente!- gridai di rimando, afferrandolo per il polso. Lui divincolò il braccio, sorpreso dalla forza con cui lottavo per impedirgli di liberarsi.
- No! Basta bugie, basta con tutto! Ti ho vista e tanto mi basta, non mi sono mai vergognato tanto in vita mia!-
- Non ne hai motivo!- mi alzai in piedi, respingendo un altro suo tentativo di afferrarmi.
- Oh, non ne ho motivo, dice lei!- ringhiò lui, spingendomi all'indietro. - Ma certo, ultimamente tutto è permesso! E non me lo hai detto! Come se non importasse! Come se credessi che io non fossi in grado di proteggerti! Giuro che se quel lurido porco bugiardo si azzarda a toccarti di nuovo... -
- Vuoi lasciarmi parlare?!- protestai ritraendomi da lui e prendendo fiato. - Non sai quello che hai visto. Io e Jack stiamo insieme. Ecco, l'ho detto. -
Mio padre esitò fissandomi allibito, ancora folle di rabbia e disperazione.
- ...Come?... - balbettò con l'aria di non aver capito che cosa avessi detto.
- Jack è il mio uomo. - dissi, curandomi di scandire bene ogni parola anche se mi sentivo la gola completamente asciutta. - È solo per questo che ci hai visti così poco fa. Per amore. Non permetto a nessun altro di toccarmi. -
Quella doveva essere stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso per lui, perché per qualche attimo barcollò come se si sentisse le gambe molli e si appoggiò al muro fissando il vuoto con occhi spiritati. In quel momento la fitta di pena che provai per lui mi fece quasi passare sopra al dolore delle mie ginocchia pulsanti per la caduta.
- Io lo amo. - continuai, dicendomi che dovevo approfittare di quel momento di lucidità per chiarire le cose una volta per tutte. - Non ti abbiamo detto niente fino ad ora perché temevamo che avresti reagito... be'... come hai reagito. Forse non avremmo dovuto farlo. - mi morsi un labbro. - Ma questo non ti da certo il diritto di trattarmi in questo modo. -
- Diritto... - biascicò mio padre rimettendosi dritto: sembrava quasi ubriaco. - Diritto... che senso ha questa parola, ormai? Sembra che ormai io non abbia più alcun diritto su di te, sembra che tu abbia già fatto le tue scelte, tanto qui tutti hanno il diritto di fare tutto quello che vogliono... Dio, lo sapevo, lo sapevo... - fissava il vuoto scuotendo il capo, e in quel preciso istante le sue parole e il suo tono mi fecero montare una tale collera che per poco non mi venne voglia di scrollarlo come lui aveva fatto con me poco prima.
- Benissimo, volevi la verità e ora l'hai avuta!- sputai, velenosa. - Non so se tu ne sia contento o meno, ma ora sai perché non mi puoi chiedere di lasciare tutto e tornare a terra con te, soprattutto perché non ho mai avuto la minima intenzione di farlo. - barcollai all'indietro, allontanandomi da lui. - E non tentare di colpirmi perché giuro che potrei restituire il favore. -
Mio padre appoggiò la fronte alla parete senza guardarmi. - E' finita. - sospirò continuando a scuotere il capo, incredulo.
- Che sei venuto a fare qui?- gridai, incerta sulle mie stesse gambe. - Nessuno ha chiesto il tuo parere! Nessuno ti ha chiesto di venire qui a giudicarmi! Che diavolo sei venuto a fare qui?!- mentre ancora gli gridavo dietro gli voltai le spalle risalendo le scale che portavano al ponte superiore. Lo lasciai dov'era, e con la testa e lo stomaco in subbuglio raggiunsi la mia cabina.
Il rum e i recenti avvenimenti mi avevano lasciata talmente stordita che prima di riuscire ad entrare tirai accidentalmente una testata contro la porta, e imprecai tanto per gradire. Le quattro cuccette della cabina erano deserte: Valerie e Annamaria erano ancora a festeggiare sul ponte, e Faith al momento aveva di meglio da fare; d'ora in poi non avrebbe più dormito lì con noi.
Mi chiusi dentro la cabina e mi sfogai contro tutto quello che mi capitò a portata di mano; urlai a squarciagola sfornando uno dopo l'altro tutti gli insulti che conoscevo, e quando li ebbi esauriti ne inventai altri sul momento. Il torpore indotto dall'alcol mi venne in soccorso diversi minuti dopo, quando caracollai instupidita fino alla branda dove mi lasciai cadere malamente, sprofondando in un sonno repentino e profondo.

*

Valerie era stata mandata nella stiva per portare su altro rum. Nessuno degli altri pirati sembrava avere dato peso al breve incidente che si era verificato poco prima fra il capitano, Laura e suo padre; ma la ragazza aveva visto Ephraim inseguire la figlia sottocoperta nonostante il suo tempestivo intervento per darle il tempo di filarsela: si augurava che la giovane pirata avesse saputo tenere testa alla più che evidente collera di suo padre. Sospirò scuotendo gravemente il capo: episodi come quello facevano apparire l'essere cresciuta in strada sotto una prospettiva molto più rosea.
Si chinò, afferrando saldamente la cassa piena di bottiglie di rum, e sbuffò mentre la sollevava. Lavoro ingrato. E doveva portarla su per la rampa di scale che portava in coperta. Per quanto la cassa fosse di piccole dimensioni la ragazza barcollò sotto il suo peso mentre si dirigeva alla porta della stiva: in quel momento si accorse del bagliore di una candela in un angolo della stiva, e voltandosi distinse la schiena di qualcuno seduto nel riverbero della fiamma. - Ehi, laggiù!- sbottò dopo un attimo, sorpresa dall'incontro. - Non è che ti darebbe così fastidio venire a darmi una mano? Di rum ce n'è per tutti, ma portarlo su è un altro paio di maniche... -
Al suono della sua voce quello sobbalzò come se fosse stato punto da un'ape e si voltò di scatto: Valerie ammutolì all'istante, sgranando gli occhi. Era Jonathan. Di nuovo.
I due rimasero a fissarsi stupiti per qualche istante, quindi Valerie posò rumorosamente la cassa per terra scuotendo il capo con aria incredula. - Ma tu non hai niente di meglio da fare che rintanarti nella stiva?- domandò con una nota di stizza nella voce: non capiva se a darle fastidio fosse il modo in cui lui continuava sempre a comparirle davanti dal nulla o l'espressione con la quale la stava fissando in quel momento. Prima che Jonathan potesse rispondere, Valerie sussultò, accorgendosi di un'altra cosa.
- Ma sei impazzito?!- esclamò, precipitandosi verso di lui. - Non si possono usare fiamme libere a bordo!- si inginocchiò e spense con un soffio la piccola candela scoperta posata sulle assi ai piedi di Jonathan.
- Non mi serve che tu mi dia lezioni sulle regole a bordo di una nave!- replicò stizzito mentre si chinava rapidamente per agguantare Valerie per un braccio e allontanarla; più che seccato per il rimprovero sembrava preoccupato di non farla avvicinare troppo: la ragazza se ne accorse, e vide anche da cosa stava cercando di tenerla lontana; sul pavimento accanto alla candela spenta giaceva, aperto, il libricino malridotto che era sicura di avergli visto in mano la prima volta che si erano incontrati. Prima che il ragazzo potesse fermarla lo aveva già afferrato.
- Che cos'è che sei così occupato a leggere?- chiese con un sorrisetto sottraendosi alla stretta di Jonathan e brandendo, trionfante, il libricino: Jonathan sgranò gli occhi e la fissò con una rabbia tale che Valerie ne fu quasi spaventata. - Mettilo giù!- ringhiò.
La ragazza esitò, quindi decise che già che era in ballo era il caso di andare fino in fondo: si ritrasse, tenendosi stretto il libricino. - Non ho intenzione di sbirciare i tuoi segreti; mi sto solo chiedendo perché debbano essercene. - disse semplicemente.
- Mettilo giù. Per favore. - il tono e l'espressione di Jonathan si erano addolciti un poco, ma non smorzarono l'urgenza nella sua voce.
- Non sono tua nemica!- sbottò lei, spazientita. - Che c'è, hai paura che possa scoprire qualcuno dei tuoi pericolosi segreti? E' da quando ci siamo parlati per la prima volta che non hai fatto che innervosirmi con le mezze frasi e i tuoi misteri... Vuoi parlare chiaro una volta per tutte?- si rigirò il libricino fra le mani, sotto gli occhi di Jonathan, quindi lo picchiettò nervosamente con l'indice. - E' questo? Ha a che fare con la nostra missione? “Sono acque ben più oscure quelle che capitan Sparrow sta andando a smuovere”... - con una smorfia gli ripeté le stesse parole che lui le aveva detto il giorno prima per spaventarla. - Parla chiaro una buona volta. Cos'è che sai della nostra missione, che io non so? Anzi... - un barlume di consapevolezza le si accese di colpo negli occhi. - ...che cosa sai, che il capitano non sa?-
- Che sei una gran impicciona, ecco cosa. - replicò ruvidamente Jonathan, passandosi una mano fra i lunghi capelli ricci: aveva preso a camminare nervosamente come un'animale in gabbia, scrutando febbrilmente Valerie che stringeva il suo libricino. - Valerie, non sono affari tuoi. -
- Magari se stiamo per finire su un'isola dimenticata da Dio o nella pancia di qualche mostro marino mi farebbe piacere saperlo, non trovi?- voleva essere una battuta per smorzare la tensione, ma Jonathan al contrario apparve ancora più ansioso. - Credi che sia un bel gioco, vero?- sibilò, con gli occhi ridotti a due fessure.
- No, tu credi che sia un bel gioco!- lo accusò con veemenza Valerie, stanca del suo strano atteggiamento. - La finiamo qui con i segreti o intendi continuare ancora per molto?- aprì il libricino a metà e scrutò le pagine ingiallite coperte da una calligrafia stretta e disordinata.
- Valerie, non t'impicciare!- Jonathan avanzò con decisione verso di lei, ma la ragazza gli sfuggì sgusciando rapidamente dietro ad una trave: il giovane prese ad inseguirla, ma lei girò attorno alla trave imprigionandolo in un girotondo senza esito; nel frattempo lanciava occhiate febbrili al libricino. - Gregory Wood!- esclamò in tono trionfante mentre con un balzo evitava le braccia di Jonathan. - Tuo padre, immagino. I capitani stanno seguendo le informazioni di certe carte appartenute a Gregory Wood... ecco chi ha il resto del suo diario. -
Jonathan smise di cercare di acchiappare la ragazza e lasciò ricadere le braccia, fissandola con un misto di fastidio e sorpresa. - Ma che brava la nostra spiona che ha capito tutto: ora sarai contenta spero. - ribatté duramente. - E adesso che hai saputo quel che ti interessava? Che cosa hai intenzione di fare?-
Valerie si strinse nelle spalle e si ravviò i capelli. - Niente. Solo questo mi interessava sapere: gli affari tuoi e di tuo padre, come hai detto tu, non mi riguardano. - lanciò il libricino ad un Jonathan colto del tutto di sorpresa, che lo afferrò a mezz'aria per poi rimanere a fissare Valerie con aria confusa come se cercasse di capire se si stesse prendendo gioco di lui o fosse seria. - Del resto... - continuò lei, voltandogli le spalle e sollevando di nuovo fra le braccia la cassa di rum. - ...se grazie a quel diario tu venissi a sapere che corriamo un pericolo, non ce lo terresti nascosto, vero?- si voltò a guardare Jonathan negli occhi mentre lo diceva, ed era più seria che mai: il suo tono era pura provocazione. Non aspettava una risposta, e lasciò la stiva senza che Jonathan le dicesse nulla: quando se ne fu andata il ragazzo sospirò, si passò una mano sul viso e infilò il libricino in una tasca sotto il panciotto, al sicuro.

*

Il capitano grugnì quando la luce del mattino inoltrato filtrò insistentemente dalla vetrata della cabina arrivandogli dritta in faccia: si stiracchiò, batté le palpebre un paio di volte e fece mente locale per rendersi conto di dove si trovava. Era sdraiato sul suo letto sfatto, completamente vestito e con gli stivali ai piedi: ora cominciava a diventare tutto più chiaro, alla fine la sera prima ci aveva dato un po' troppo dentro con il rum, e quell'anima buona del signor Gibbs doveva averlo trascinato nei suoi alloggi.
Sbadigliò ancora una volta e si rizzò goffamente a sedere, mulinando le braccia per trovare equilibrio: un vago pulsare alle tempie era tutto ciò che gli rimaneva della sbronza, per il resto era tutto a posto. La memoria invece faceva fastidiosamente cilecca riguardo tutto quanto era successo dopo avere celebrato il matrimonio di Ettore e Faith, precisamente da quando il rum aveva cominciato a girare fra la ciurma.
- Tutto nella norma... - borbottò alzandosi dal letto e assicurandosi della stabilità delle proprie gambe: si era ripreso perfettamente come al solito, quello che lo infastidiva era il cervello che aveva cominciato ad andare ad intermittenza, facendo riaffiorare immagini confuse della sera precedente. Vennero a galla alcuni dettagli particolarmente piacevoli sui quali si soffermò con gusto, prima di cominciare a domandarsi che cosa esattamente fosse successo dopo. Si strofinò la fronte col pugno mentre passava per la sala degli ufficiali e poi apriva la porta che dava sul ponte, sforzandosi inutilmente di ricordare con chiarezza. Un gran parapiglia, questo se lo ricordava. Ma era normale, del resto erano nel mezzo di un festino... No, era diverso: era successo qualcosa. Ma cosa? Laura che schizzava via rapida come un fulmine. Lui che si era buttato malamente dietro una cassa. Ma perché, poi? Chi altri c'era?
Lo scintillio del sole sulle onde e la brezza del mattino lo aiutarono a svegliarsi completamente, e quando salì sul cassero di poppa, facendo un cenno a Cotton perché gli lasciasse il timone, si sentiva già meglio. I pezzi della memoria stavano pian piano tornando al loro posto, ma qualcosa ancora mancava: che cosa li aveva interrotti così improvvisamente? “E nel momento meno opportuno, aggiungerei...” commentò fra sé mentre si assicurava che la nave tenesse la giusta rotta. Poi di colpo sbarrò gli occhi: il vecchio Evans? Poteva essere stato lui? Sarebbe stato plausibile, in effetti... ma no, non era possibile: dove si era cacciato quella persecuzione di un marinaio durante il matrimonio? Di certo ben lontano dal festino, ne era sicuro: e poi era certo di non averlo più visto per tutta la serata... O forse sì?
- Capitano... -
- Woah!- Jack sobbalzò, voltandosi di scatto: non si era neppure accorto di chi gli si era avvicinato così rapidamente. “Parli del diavolo...” pensò scrutando l'espressione del vecchio Evans che si era fermato accanto a lui. L'anziano marinaio inarcò un sopracciglio. - Tutto a posto?-
- Ero soprappensiero. - si giustificò bruscamente Jack, fingendo di continuare a controllare la rotta per non doverlo guardare negli occhi che di sfuggita. - Che cosa c'è?-
- Avevo bisogno di parlarvi. -
- Bene, lo state facendo. -
Alla sua risposta, inaspettatamente Ephraim sorrise; sorpreso Jack si voltò appena per scrutarlo di sottecchi: ma cos'era quell'aria di sfida comparsa di punto in bianco sul suo volto? - Allora. - cominciò l'uomo con un tono che già non prometteva nulla di buono. - Così, voi siete l'uomo di mia figlia. -
Jack si paralizzò, stringendo il timone tanto forte che le nocche gli diventarono bianche: fu una fortuna che stesse voltando le spalle ad Ephraim, perché sgranò gli occhi e digrignò i denti in un'espressione di puro terrore. Oh-oh. Forse i vaghi ricordi della sera prima erano fin troppo reali.
Quando sembrò rendersi conto che rimanersene impalato con l'espressione di uno che si era soffocato col rum non gli giovava affatto, si raddrizzò, si voltò verso Ephraim e ciondolò il capo con aria vagamente colpevole sempre evitando di fissarlo negli occhi: - Devo avere omesso questo... uhm... dettaglio. -
Ora capiva il sorriso quasi cattivo di Ephraim: maledetto vecchiaccio, si stava divertendo un mondo. - Perché? Temevate la mia reazione?-
Jack non riusciva a capire se la sua tranquillità fosse vera o se fosse un'altra maschera per prendersi gioco di lui ora che sapeva di averlo incastrato. - Aehm... no. - forse aveva intravisto una via di fuga: vigliacco sì, ma a fin di bene dopotutto. - Lei la temeva. E io ho pensato di rispettare la sua decisione finché non se la fosse sentita di ufficializzare... eh. -
Ephraim rimase al suo fianco ad osservarlo di sottecchi per qualche istante: Jack tornò a fingersi molto impegnato a tenere il timone nel tentativo di togliersi dall'imbarazzo della situazione, finché l'anziano marinaio non se ne uscì candidamente con: - Intendete sposarla?-
Il capitano balzò su come se l'avessero punto con uno spillo e rivolse ad Ephraim uno sguardo allarmato. - Perché queste domande?!-
- Be'... - continuò Ephraim stringendosi nelle spalle, ora la sua falsa gentilezza aveva un che di decisamente minaccioso. - Nell'interesse mio e di mia figlia. -
- Ecco, diciamo... - temporeggiò, con gli occhi che continuavano a saltellare senza sosta dal volto di Ephraim ai propri stivali. - ...ci si può pensare. Più avanti... Fra un po' di tempo... Successivamente. -
Il marinaio distolse lo sguardo, e Jack capì che se mai aveva avuto anche la remota possibilità di sotterrare l'ascia di guerra col vecchio Evans, se l'era giocata in quello scambio di vedute.
- Il nostro accordo è ancora valido. - disse ad un tratto Ephraim, sollevando gli occhi con espressione più dura. - Io sono un uomo di parola e manterrò quanto ho promesso finché anche voi rispetterete la vostra parte del patto. Ma vi giuro... non importa che voi siate un capitano o che siate riuscito a tirare mia figlia dalla vostra parte; se le succede qualcosa io vi giuro che non andrete mai troppo lontano da impedirmi di farvela pagare. -
Jack sgranò gli occhi e increspò le labbra in un'espressione oltraggiata. - Suona molto come una minaccia. - sbottò, acido.
- La era. -

*

Quando Jack, con la faccia scura, mi raggiunse al mio solito posto sulle scale del cassero di poppa; lo stesso posto dove qualche sera prima ci eravamo seduti vicini prima che mi raccontasse la storia del capitano Dawkins; la sua espressione era trasparente.
- Lo sa. - dissi senza tanti preamboli, tormentandomi con le dita la manica della camicia.
- Me ne ero accorto. - Jack fece una smorfia sedendosi accanto a me. - Decisamente... ci mancava solo questa. -
- Che cosa ti ha detto?- avevo notato che poco prima mio padre aveva raggiunto Jack al timone. Lui scrollò le spalle e si rilassò all'indietro, appoggiando la schiena agli scalini di legno: - Mi ha fatto qualche velata minaccia. E, ciliegina sulla torta, il divertente è che non posso farci assolutamente niente per il momento: arriveremo a Conceicao in giornata, e quei maledetti diritti d'ormeggio diventeranno di vitale importanza. Lui ha le carte, io gli ho concesso il diritto di stare a bordo. - sbuffò infastidito.
- Sta pur certo che non ce ne libereremo nemmeno quando e se ti cederà le carte. - sbottai di rimando: lo scambio di vedute avuto con mio padre la sera prima ancora mi bruciava. - Non intende mollare. E' più che mai convinto che spetti a lui decidere per me, e tutto il resto. E' ossessivo. Io... io non lo riconosco più. - incrociai stizzosamente le braccia: la cosa che più mi feriva in tutta quella faccenda era l'impossibilità di liberarmi di mio padre. Abbandonarlo in porto e liberarci dalla sua invadente presenza. Avrei potuto farlo, ma poi come sarei riuscita a vivere con il senso di colpa? Per tutti quei lunghi anni quello di mio padre era stato un ricordo potente al quale aggrapparmi quando mi sentivo sola, una speranza letta nelle poche lettere che mi spediva, una guida e un punto di riferimento, anche se così lontano.
Era tutta la famiglia che mi era rimasta. Come avrei potuto abbandonarlo nel rancore?
Era questa la mia debolezza: vivevo nell'infantile speranza di rimettere le cose a posto quando sapevo benissimo che continuando su quel percorso non si sarebbero mai messe a posto. Avevo avuto modo di rifletterci fin troppo, quella notte: capitano pirata? Macché. Ero sempre, inevitabilmente, una stupida ragazzina.
Jack annuì con aria pensosa, quindi rimase a scrutarmi di sottecchi per qualche attimo prima di continuare: - Uhm... sai, effettivamente, forse ci sarebbe un modo per ovviare a questo scomodo problema. - si voltò verso di me con lentezza studiata, circondandomi come per caso le spalle con un braccio: intuii che stava per spararne una delle sue e lo scrutai con sospetto. - Mi ci ha fatto pensare il tuo vecchio. E' vero, ora come ora, almeno ufficialmente, è tuo padre ad avere responsabilità di te e tutto il resto e quindi può permettersi di venire qui a fare il bello e il cattivo tempo, però... questo non sarebbe più un problema se noi due fossimo... sposati. -
- Cosa?!- sussultai bruscamente, sgranando gli occhi così tanto che temetti mi sarebbero usciti dalle orbite: aveva davvero pronunciato quelle parole o ero io che risentivo ancora degli effetti della sbronza? - Cioè, tu intendi... ma... insomma, prima non vuoi nemmeno che sappia che stiamo insieme e adesso parli di sposarci?- ero sconcertata : l'unica cosa certa era che il discorso stava prendendo una piega assurda.
Jack gesticolò con la mano libera: - Be', in tale frangente tuo padre finirebbe per avere ben poca voce in capitolo: quel che è fatto è fatto, no? Da questo punto di vista non avremmo più nessun problema... e poi hai visto, non ci vuole niente: raduno la ciurma, dico due parole, si brinda ed è fatta. Libera dal paparino apprensivo. - mi guardò col sorriso al dente d'oro più accattivante che poteva fare.
- Oh... - io abbassai lo sguardo, scoraggiata. - Jack... la cosa non è così semplice. -
Lui si accigliò mentre le dita della sua mano tamburellavano nervosamente sulla mia spalla. - No?- sembrava colto alla sprovvista.
- Esatto... e ho anche la sensazione che tu la prenda un po' troppo alla leggera. Quindi alla fin fine sarebbe solo un buon pretesto per schivare il giudizio di mio padre?- lo fissai severamente e lo vidi assumere l'aria colpevole di quando si chiedeva dove aveva sbagliato.
- Be'... no... va bene, non proprio... cioè, non sarebbe solo per... -
- Ma la ragione principale è quella, mi sembra di capire. - Jack si mordicchiò un labbro, corrucciandosi. - Ecco... più o meno sì. - ammise, quindi sollevò lo sguardo inarcando un sopracciglio. - Certo, per essere onesto fino in fondo... lo trovo ben curioso, il matrimonio. Sembra una scommessa a chi dei due smetterà per primo di amare l'altro. -
Sospirai e distolsi lo sguardo da lui: - Io non ti capisco, Jack. Finché la puoi far passare per una cosa da nulla non ci pensi due volte, ma appena comincia a sentire odore di responsabilità ti tiri indietro. -
Lui non rispose, così rimanemmo zitti l'uno accanto all'altra per un po'; nel frattempo un fiotto di pensieri mi si riversava nella mente. Solo a me poteva capitare la domanda giusta posta nel modo sbagliato! Ma non potevo fare a meno di chiedermi... se non avessimo mai incrociato mio padre, se non fossimo stati in quella situazione, me lo avrebbe chiesto lo stesso? Ci strappò al nostro imbarazzato silenzio il grido di Michael dalla coffa: - Terra!- e Jack si rizzò in piedi rapidamente per affacciarsi al parapetto, vedendo il porto di Conceicao che si profilava sulla linea dell'orizzonte.
- Oh, finalmente!- esclamò con aria soddisfatta voltandosi verso di me. - Senti, saremo in porto a minuti ma c'è tempo per fare qualche preparativo per presentarci come mercanti. Prendi con te Faith e la cambusiera, ho un'idea che forse non ti piacerà troppo. -
Fui tentata di replicare “Un'altra?” ma non sarebbe stato leale da parte mia; per di più Jack era riuscito a strapparmi un sorriso.
Jack radunò la ciurma e ci spiegò il piano in poche parole: non potevamo entrare nel forte allo sbaraglio, avremmo dovuto farci accogliere come mercanti, riuscire ad avere un colloqui col governatore e una volta data un'occhiata al posto organizzare un piano che ci consentisse di avere ciò per cui eravamo venuti. Non sarebbe stato difficile passare per mercanti, era un trucco usato da molti pirati. Di merce da vendere ne avevamo in quantità: dalle navi non prendevamo solo oro e gioielli, ma anche stoffe, utensili, cibi, spezie, suppellettili e quant'altro; recuperammo tutto. Un altro elemento importante saremmo state noi tre: io, Faith e Valerie, se ci fossimo presentate come eleganti donne dei mercanti chi avrebbe mai sospettato che eravamo una ciurma di pirati? Così io, Valerie e Faith ci divertimmo a lungo nella stiva ad acconciarci finché non sembrammo vere nobildonne: fra i nostri bottini c'erano anche gli enormi guardaroba sfarzosi delle dame inglesi che si vendevano ad ottimo prezzo; ci strizzammo nei corsetti e sotto strati di vestiti che non finivano più, e ci raccogliemmo i capelli cercando di darci un'aria signorile: rassegnata sottostai alla tortura di Valerie che con una spazzola mi districava i capelli arruffati dal vento e dal sale, anche se mi sentivo come se mi stesse arando il cranio. Quando il risultato fu soddisfacente le presi entrambe sottobraccio e ci rimirammo in un lungo specchio dalla cornice intagliata abbandonato in un angolo della stiva. - Siamo uno schianto. - commentai soddisfatta: Valerie in particolare mi sorprese, dopo averla vista solo col grembiule da locandiera o in panni maschili, vederla così tirata a lucido era impressionante: era veramente bella nel suo abito blu cupo, le forme generose messe in evidenza dal corsetto, la carnagione olivastra e i grandi occhi scuri le davano un'aria esotica.
Quando uscimmo sul ponte diversi pirati si voltarono a guardarci, chi con fischi di approvazione, chi commentando più o meno coloritamente. Ad un tratto mi sentii inadeguata: le scarpette leggere che portavo erano tutta un'altra cosa rispetto ai miei comodi stivali. Rischiavo di inciampare in tutti quegli strati di gonna. La scollatura profonda era un incubo. E per giunta, sembrava che l'intera ciurma si fosse fermata per sporgersi a guardare noi tre. - Miseriaccia, dove sono finite il capitano in seconda e i mozzi?- esclamò Gibbs quando ci vide passare.
Jack, in attesa sul ponte, si voltò proprio in quel momento e vedendomi sbarrò di colpo gli occhi tanto da mostrare il bianco, poi, dopo un attimo in cui sembrò paralizzato con entrambe le mani sollevate in aria fischiò sonoramente con espressione assolutamente sbalordita, senza staccarmi gli occhi di dosso.
- Be', che c'è? Vi accorgete solo adesso che siamo donne?- chiesi spazientita, anche se a dire la verità tutti quei complimenti mi lusingavano perfino. Jack aveva scelto accuratamente il gruppo che sarebbe sceso a terra: io, Valerie e Faith nei nostri eleganti abiti femminili, come sua moglie e le mie dame di compagnia; Ettore, Jonathan e Gibbs vestiti in giacche blu come normali marinai, e anche lui stesso aveva fatto del suo meglio per essere meno appariscente, levandosi a malincuore il grosso cinturone a tracolla insieme ai diecimila bizzarri pendagli che solitamente portava appesi alla cintura, depositando le sue armi e indossando una lunga giacca nera meno consunta dagli anni e dalla salsedine della solita marrone chiaro, e una camicia miracolosamente pulita.
- No, no, assolutamente. Sto semplicemente... approvando. - rispose Jack con fare malizioso, facendo un gesto strano con le mani come a sottolineare le mie forme messe generosamente in mostra dal corpetto mentre mi squadrava da capo a piedi con aria fin troppo interessata, poi si voltò improvvisamente verso Ettore che gli stava accanto e gli picchiettò una mano sulla spalla: - Amico, dovrai tenermi: io sarò distratto!-
- Fareste meglio a non esserlo. - una voce secca zittì le risate dei pirati e mio padre si fece avanti; per un istante mi irrigidii temendo forse un'altra sfuriata, ma lui non mi degnò di uno sguardo e si fece avanti verso Jack, porgendogli una pergamena arrotolata. I tanto contesi diritti d'ormeggio. - Il mio pagamento. - disse, facendo al capitano un cenno col capo.
- Più che giusto. - Jack si fece passare da Gibbs un voluminoso sacchetto di pelle, ne saggiò il contenuto facendo tintinnare lievemente quelle che dovevano essere diverse monete, quindi le consegnò a mio padre. Io guardavo i loro gesti senza capire: pagamento? Quando mai avevano deciso una cosa del genere? - Ora sarete soddisfatto, mi auguro. - aggiunse, mentre mio padre apriva il sacchetto per guardarci dentro: dopo una rapida occhiata alle monete lui alzò lo sguardo senza cambiare espressione e fece: - Oggi non avete comprato solo i miei diritti d'ormeggio, capitano. -
Jack sembrò indispettito per la risposta, ma ordinò ad alcuni della ciurma: - Una scialuppa per il signor Evans, svelti. -
Lo tirai per una manica mentre mio padre si avviava alla scialuppa che stavano calando per lui. - Se ne va?- non riuscivo a credere ai miei occhi.
- Mi ha fatto l'offerta poco fa, mentre ci preparavamo per lo sbarco. - rispose Jack. - Ha detto che mi avrebbe ceduto i diritti d'ormeggio e se ne sarebbe andato in cambio di un po' di denaro, il necessario per comprarsi un'altra barca, immagino. Non ha voluto nient'altro. Continuo a non capirlo... - si corrucciò, passando lo sguardo da me a mio padre che sembrava essersi dimenticato della mia esistenza. - Oh, insomma... abbiamo del lavoro da fare o no? Avanti uomini!- il gruppo scelto per scendere a terra si diresse alle barche; imponendomi di ignorare mio padre che se ne andava senza neppure guardarmi mi unii a loro. Ormeggiammo nel porto, proprio sotto al forte: le vele della Perla Nera erano state ammainate e sostituite con normali vele bianche; la nave dalle vele nere era fin troppo conosciuta nel Mar dei Caraibi. Fu calata la nostra scialuppa e arrivammo sul molo, dove si era radunata una fila di moschettieri non appena la nostra nave era stata avvistata: ci identificammo, i nostri documenti furono esaminati, quindi fummo rapidamente scortati al forte. Questo somigliava molto a quello di Port Royal, o a quello di Redmond: un'imponente costruzione di guardia che sovrastava il porto, con una facciata a picco sul mare dotata di cannoni pronta a respingere qualunque attacco da quella parte, una cinta muraria che circondava un piazzale, e all'interno vi era il corpo di guardia cittadino, le prigioni e con ogni probabilità anche il deposito dell'oro con cui pagavano i soldati e i capitani delle loro navi. Dal modo in cui Jack studiava il forte, carezzandosi pensosamente la barba, immaginai che se le circostanze lo avrebbero permesso, i documenti su Dawkins non sarebbero stati l'unica cosa che avremmo potuto portarci via. Doveva essere passato più volte di mano in mano, ma al momento batteva la bandiera spagnola.
I soldati ci portarono nella sala dove il governatore riceveva i suoi capitani. Il governatore, Claudio Burrieza, ci accolse con ogni riguardo: era più giovane di quanto mi aspettavo, doveva avere forse solo pochi anni più di Jack; era vestito con una lunga livrea blu scuro e oro, non portava parrucca e i suoi capelli erano color oro scuro come la barba, lisci e tagliati appena sotto le orecchie. Ci ricevette in una saletta all'ingresso del forte e ci offrì di sedere attorno ad un tavolino rotondo, invitandoci a dividere con lui il brandy. Figurarsi se Jack rifiutava da bere: si sedette e si unì al brindisi del governatore con una compostezza che mi sorprese. Ci fu versato del brandy, quindi, col tono educato e confidenziale di chi è abituato a ricevere visite del genere, Burrieza ci domandò da dove venivamo e dove eravamo diretti, e sorseggiando il suo brandy ascoltò Jack sciorinare la storia che ci eravamo preparati.
- Sono il capitano Smith, signore, di Santo Domingo. Posso presentarvi mia moglie, la signora Smith?- dovetti controllarmi per non ridere quando Jack mi chiamò in quel modo, ma riuscii a starmene composta e dignitosa e rispondere con un sorriso all'educato cenno del capo che il governatore Burrieza mi rivolse. - Siamo diretti nelle Indie per metterci in affari lì. - continuò Jack, assorto. - Facciamo qualche commercio lungo la via in cambio di oro, gomma, cibo, rum, zanne d'elefante, cose così. Se per caso fosse interessato, ora noi siamo qui solo per proporle un affare, ma saremmo onorati se poi, in un secondo momento, deciderete di comprare. -
- Vendete schiavi?- domandò Burrieza, ora più interessato. L'espressione di Jack si increspò per un attimo prima che lui scuotesse il capo. - No, non vendiamo schiavi. -
Burrieza posò il bicchiere di brandy, annuendo con aria meditabonda. - E' un peccato. Sono sempre necessarie braccia per il lavoro, e questo mese l'ultima nave negriera che doveva portarmi il carico dall'Africa è stata portata fuori rotta da una tempesta, così devo rimandare i commerci. Forse posso fare io un'offerta a voi, che ne dite? Le mie celle sono piene di schiavi negri che valgono tanto oro quanto pesano, avreste solo da guadagnare. -
Jack si concesse alcuni istanti come per pensarci sopra prima di declinare l'offerta. - No, vi ringrazio. Non ne abbiamo bisogno al momento. -
Burrieza domandò cosa potessimo offrirgli, e Jack gli elencò tutto ciò di cui il forte poteva avere bisogno. Quando il governatore chiese il prezzo, Jack gli disse una cifra esageratamente bassa, e questo sembrò convincere Burrieza a prendere al volo l'offerta, convinto sicuramente di avere a che fare con un pivello. Concluso l'affare ci invitò a fare un giro per il forte, il che era esattamente ciò a cui miravamo: prima di agire, un sopralluogo era necessario.
Quando mi alzai Jack mi porse il braccio proprio come un vero signore, anche se la fugace occhiata che non poté trattenersi dal lanciare nella mia scollatura espresse tutto il contrario: seguimmo Burrieza con Valerie e Faith dietro di noi ed Ettore, Jonatham e Gibbs alle nostre spalle, come se fossimo in formazione. Il governatore fu lieto di portarci in giro per il forte, sicuramente impaziente di ostentare la sua ricchezza e la potenza dell'avamposto, e non notò che gli occhi di Jack, e i nostri, dardeggiavano qua e là registrando tutto e annotando ogni particolare: il numero di uomini di guardia, le numerose armi appese alle pareti, le scale, ma soprattutto cercava il posto più probabile dove potesse trovarsi l'ufficio di Burrieza, dove con ogni probabilità erano custoditi i documenti che ci occorrevano.
Il governatore ci condusse nei suoi alloggi personali; larghe stanza con ampie finestre che davano sul mare facendo entrare la piacevole brezza pomeridiana, erano arredate con mobili ci legno pregiato, alcuni dei quali stavano inevitabilmente iniziando ad ammuffire a causa del clima caldo e umido. In quel momento sentii Jack dare una stretta di avvertimento al mio braccio e mi voltai a guardare nella sua stessa direzione: una porta si apriva su una stanza attigua, della quale riuscivo a vedere una grande scrivania, un mappamondo e scaffali pieni di libri. Doveva essere quello il suo ufficio personale.
Analizzai rapidamente la situazione e la strada che avevamo fatto: il nostro obiettivo con ogni probabilità era lì negli appartamenti di Burrieza, per quanto riguardava l'impossessarcene avremmo potuto agire anche in quello stesso momento minacciando il governatore e uscendo con la forza, ma non avevamo un piano d'azione preciso e i nostri uomini alla Perla Nera non erano pronti per tenere in scacco il forte, avremmo solo finito per correre rischi inutili. Ora che avevamo un'idea del luogo, occorreva un piano. Avremmo dovuto prendere in ostaggio il governatore e costringerlo a rivelarci dove fossero i documenti, e se non avesse voluto collaborare ce li saremmo dovuti cercare da soli. Occorreva tempo. Non sarebbe stato difficile, in ogni caso: avevamo già convinto Burrieza a trattare con noi, quindi saremmo dovuti tornare al forte. Organizzarci per l'azione decisiva sarebbe stato un gioco da ragazzi.

*

Per quel giorno Burrieza doveva ricevere alcuni capitani della Marina Britannica, così ci diede appuntamento per concludere gli affari la mattina seguente. Per noi era perfetto, appena tornati a bordo Jack cominciò subito a fare piani, circondato dalla ciurma che pendeva dalle sue labbra: era ovvio che tutti gli uomini erano ben consci di tutto l'oro che il forte doveva contenere, ed era comune pensiero che prendere il forte senza dare nemmeno un'occhiata alla cassaforte sarebbe stato un vero spreco. Esaltato dalla possibilità di una vittoria così semplice, Jack aveva cominciato ad esporre il suo piano sotto gli occhi della ciurma, usando come esempio ciò che gli capitava sottomano. - Se questo è il forte... - disse indicando con la punta della spada un barile. - ...la nave deve mettersi così accanto al molo, in modo che possiamo minacciare di bombardarli se oppongono resistenza. Abbiamo il campo libero, a meno che non portino una batteria di cannoni sulla banchina, ma questo è assai improbabile a meno che non si aspettino di essere attaccati. Quindi, mentre noi siamo all'interno... - punzecchiò il barile con la spada continuando a fare piani.
Nel frattempo io passavo da un pirata all'altro chiedendo se avessero visto in che direzione si fosse allontanato mio padre mentre noi venivamo ricevuti al forte. Non ottenni nessuna risposta soddisfacente, e proprio quando stavo per rinunciare e andare alla sua ricerca completamente alla cieca, mi accorsi che Cotton mi faceva dei segnali con le mani per attirare la mia attenzione.
- Che c'è, Cotton? Tu lo hai visto?- domandai speranzosa, raggiungendo l'anziano pirata.
Lui puntò un dito verso il porto mentre il pappagallo sulla sua spalla gracchiava: - Tutti a bordo, ratti di sentina!- - Sì, Jack aveva detto che probabilmente voleva comprare una barca... In quella direzione? Grazie Cotton, grazie mille!- Quando Jack ebbe finito di fare piani per l'irruzione nel forte congedò i pirati, concedendo a tutta la ciurma una serata di libertà da trascorrere come preferivano nelle bettole del porto, ma quando alzò lo sguardo per cercarmi e non vedendomi cominciò a chiedere dove fossi finita, io stavo già correndo lungo il molo nella direzione in cui si era allontanato mio padre.

*

- Dov'è andata? Vorrei solo sapere dove diavolo è andata!- fece Jack con stizza, sbattendo violentemente il boccale sul tavolo della sala degli ufficiali. Gibbs, che gli stava seduto accanto, si corrucciò in volto, sorpreso da quello scatto d'ira. - Hai sentito Cotton, voleva raggiungere suo padre... -
- Ma perché?- il capitano serrò i pugni sul ripiano del tavolo, ora in tono chiaramente arrabbiato. - Ce ne eravamo liberati, che diamine! Prima non ha fatto altro che dirmi... che non lo riconosceva più, quanto gli dava fastidio come si comportava, e via dicendo... e ora gli corre dietro! E'... è... - annaspò. - E' come venirgli a dire chiaro e tondo che nonostante tutto sta dalla sua parte!-
- “Dalla sua parte”... - Gibbs alzò gli occhi al cielo. - Andiamo, questa non è mica una guerra... -
- Lo dici tu. - bofonchiò Jack incrociando le braccia sul petto in un gesto infantile di offesa.
- ...o chissà cos'altro. - terminò lui in tono comprensivo. - Jack, devi capire che suo padre le manca. Insomma, lei gli vuole bene, mi par di capire, e anche lui gliene vuole... a modo suo. E' da quando lo abbiamo imbarcato che lei cerca di... - esitò per pensarci sopra un attimo, prendendo una lunga sorsata di rum. - Di... farsi capire da lui. Ecco. Non è che vuole liberarsi di lui, vuole che capisca quello che sta facendo e perché. -
Jack si incupì ancora di più, voltando il viso da Gibbs: non gli piaceva sentirsi osservato. - Combatte una battaglia persa, e dovrebbe saperlo. - protestò, trastullandosi con l'anello dalla pietra verde che portava all'indice.
- Cos'è, sei forse preoccupato che non torni indietro?- le spalle di Gibbs sussultarono, l'idea lo faceva ridacchiare: ma quando si accorse che alle sue parole Jack si faceva ancora più scuro torno serio all'istante. - Ehi... non sarà mica così, vero?-
Jack seguitò a chiudersi dietro ad un ostinato silenzio.
- Capitano, non scherziamo... Laura ha più di un motivo per volere rimanere coi piedi saldamente piantati sul ponte della Perla. Te, per prima cosa. - aggiunse con un sorrisetto, puntandogli un dito contro.
Jack fece una smorfia con la bocca come se avessero toccato un punto che preferiva evitare, quindi si voltò appena a guardare l'amico. - Tu pensi che io sia pazzo, vero?- disse con una scrollata di spalle. Gibbs ridacchiò di nuovo, prendendo un altro sorso dal boccale. - Penso che tu sia semplicemente innamorato. - rispose con aria meditabonda. Quelle parole fecero vacillare violentemente Jack sulla sedia tanto che dovette prontamente aggrapparsi al tavolo rovesciando il boccale di rum che vi era appoggiato, per non rischiare di ribaltarsi all'indietro: Gibbs sbarrò gli occhi con sorpresa davanti all'effetto della sua risposta. - ...Non credevo di dire qualcosa di poi così nuovo... - cercò di giustificarsi.
- Sta zitto e basta!- ribatté secco Jack mentre cercava di arginare il lago di rum che si era allargato su tutto il tavolo, gocciolando sulle assi del pavimento; Gibbs abbassò gli occhi con aria colpevole, ma non poté fare a meno di notare che il capitano si affaccendava attorno al tavolo anche per nascondere la propria espressione. Era diventato rosso. - Mettiamola così... - continuò in tono pensoso, ritenendo che fosse meglio sorvolare sul fatto. - Laura ha bisogno di suo padre, e non vuole litigare con lui. Deve essere brutto per lei, cerca di capirla: non è altro che una ragazza... -
- Oh, certo... - Jack si rizzò di scatto con una smorfia, gesticolando col boccale di rum vuoto in mano. - “Ha bisogno di suo padre”, guai chi glielo tocca... E di me non ha bisogno, dunque? Molto lieto di saperlo. -
- Andiamo, non farne una tragedia. - Gibbs si corrucciò al tono acido che il capitano aveva riversato nelle sue ultime parole. - Come ti stavo dicendo, è una ragazza: ha bisogno di qualcuno che la faccia sentire al sicuro, di cui fidarsi, qualcuno... -
Mentre parlava, però, Jack si era improvvisamente fermato lì dov'era, dando le spalle a Gibbs, con le mani a mezz'aria e gli occhi spalancati illuminati da un'improvvisa, spiacevole consapevolezza. Dopo aver ponderato le parole dell'amico con una smorfia addolorata concluse senza guardarlo: - Qualcuno che non sono io. -
Gibbs sussultò, posando il suo boccale. - Ma cosa stai dicendo? Jack... Dove vai?- esclamò vedendo che il suo capitano si stava dirigendo con passo ciondolante verso la porta della cabina senza dire una parola.
- Ho dato alla ciurma la sera libera; mi sembra corretto che me la prenda anch'io. - rispose mestamente mentre se ne andava richiudendo dietro di sé la porta.

*

Si avvicinava la sera, e il molo era popolato di pescatori che tiravano le loro barche in secca: tutt'attorno alle reti da pesca c'era un viavai di gabbiani che stridevano, speranzosi di accaparrarsi qualcuno dei pesci appena pescati. C'era una barca un po' discosta dalle altre, un piccolo peschereccio: era notevolmente più piccolo della barca che mio padre aveva perso sugli scogli, ma rispettabile. Mi avvicinai in cerca del suo occupante, e lo trovai girando attorno all'imbarcazione: era inginocchiato per terra, intento a raschiare via la sporcizia dallo scafo della barca; quando sentì i miei passi alzò improvvisamente lo sguardo e vedendomi sgranò gli occhi. - Sei venuta!- esclamò, saltando in piedi come se non avesse aspettato altro fino a quel momento, e cogliendomi completamente impreparata mi gettò le braccia al collo. - Perdonami Laura... perdonami per le cose che ho detto prima di andarmene, non le pensavo davvero. Ho dovuto farlo... per provocarti capisci? Ma sì che capisci, se sei tornata... Ed è stato così... sei venuta! Perdonami per averti lasciata in quel modo e per avere dubitato di te... Ma io me lo sentivo che potevo fidarmi di te!-
Si scostò da me tenendomi le mani sulle spalle, con un sorriso così raggiante e così diverso dal padre arrabbiato con cui avevo avuto a che fare la sera prima che fui assalita dal senso di colpa al pensiero di doverlo disilludere. - Papà... - tentennai. - ...sono felice di sentirtelo dire, ma ho paura che tu ti stia sbagliando. -
- Ma come?- la sua presa sulle mie spalle si rafforzò. - Sei venuta da me di tua volontà, o no? Questo vuol dire che hai capito, devi aver capito... che ho ragione. - aveva un tono supplichevole.
- Pensi che dovrei venire con te e tornare a casa? E poi che futuro avrei? Dovrei andare a rinchiudermi in convento?- sorrisi divertita. - Temo che sarei un po' troppo libertina per i loro gusti. -
Mio padre abbassò gli occhi, ma fui sicura di avervi visto per un attimo un guizzo divertito. - Vorrei che tornassi con me. - mi disse con sincerità; tranquillo, non più autoritario né ferito. - Mi sei mancata molto, lo sai? Sarebbe bello se ci fossi tu con me, potremmo ricominciare insieme. -
La sua proposta era molto commovente, ma sapevo che le cose non sarebbero mai potute tornare come prima, né avrei mai potuto abbandonare tutto ciò che avevo ottenuto; appoggiai la mia mano sulla sua, ancora posata sulla mia spalla, e la strinsi. - Ti voglio bene. - gli dissi in tutta sincerità. - Ma ormai... be', non sono più una bambina!- risi sommessamente, accennando a me stessa con uno sguardo. - Adesso ti rimangi le tue stesse parole? Se a sedici anni non facevi altro che ripetermi che avrei dovuto sistemarmi, trovare qualcuno... -
- Sei impossibile!- mio padre sembrava avere voglia di ridere e piangere insieme. - Mai le cose al momento giusto, tu, quando eri in età da marito non ne volevi neanche parlare di certe cose!-
- Allora non conoscevo Jack Sparrow. -
Il sorriso si cancellò lentamente dal volto di mio padre. - Ti stai illudendo, Laura. Ti sei infatuata di un capitano pirata e credi di sapere qualcosa dell'amore. - ricordando quanto avesse sofferto per la morte di mia madre preferii non dire nulla, ma le sue parole furono una buona stilettata. - Perché sei venuta da me?- continuò.
- Per sentirti dire quello che hai detto: che ti fidavi di me. -
Sospirò e alzò gli occhi al cielo ma, ora lo vedevo chiaramente, sorrideva. Mi lasciò e tornò a pulire lo scafo della barca: io mi inginocchiai accanto a lui e osservai il suo lavoro. - Ti rimetterai in mare con questa?-
- Una buona barca, anche se non l'hanno tenuta nelle condizioni migliori... guarda che roba!- additò con stizza un mucchio di robaccia appiccicata allo scafo. - Ma con un po' di pazienza la farò tornare come nuova, vedrai. -
- Non ho dubbi. Ah, questo ti servirà. - frugai sotto la giacca e gli porsi la pergamena arrotolata: lui guardò il cartiglio con sorpresa e inarcò le sopracciglia. - L'ho venduto al capitano, non vi serve per...?-
- Ci siamo già conquistati la fiducia del governatore, questo documento ha fatto il suo lavoro. - insistetti perché lo prendesse. - Prendilo. Sai quanto ci metteresti a fartene dare un altro?-
Lui lo prese con una certa titubanza, quindi se lo infilò in tasca e tornò a lavorare sulla sua barca: io gli rimasi accanto, aiutandolo quando mi sembrava che facesse fatica, e dopo un po' lui cominciò a fischiettare una vecchia canzone da osteria, che mi riportò immediatamente con la mente sotto un cielo azzurro di un pomeriggio d'estate, su una barchetta dove una ragazzina sdraiata sul fondo si rilassava guardando all'insù e al suo fianco un uomo teneva la sua canna da pesca, fischiettando.

*

Non era certo Tortuga, ma come locanda poteva andare: la ciurma si era dispersa nella zona più malfamata del porto tanto per non correre rischi, dove il rum si versava come acqua fresca e donne succintamente vestite si divertivano a provocare gli avventori ubriachi. C'era una gran baraonda, e Jack era andato a sedersi su una panca prendendo generose sorsate dalla bottiglia che teneva in mano: ad ogni sorso si sentiva più leggero, i pensieri svanivano uno ad uno e rimaneva solo il sapore bruciante del rum sulla lingua e nella gola che gli faceva pizzicare gli occhi e lo riscaldava in ogni fibra del corpo. Ne aveva decisamente bisogno, per alleviare l'opprimente e del tutto inaspettato nodo che gli si era formato all'altezza dello sterno e che non riusciva in nessun modo a cacciare via. Che stupido. Sentirsi male per cosa, poi? Decisamente da un po' di tempo non capiva più nemmeno se stesso; sentiva che era ad un passo dal tornare a parlare da solo, assediato dalle deliranti visioni di sé che tendevano a farsi vive quando la realtà cominciava ad andargli stretta.
L'alcol stava cominciando a fare effetto perché non si accorse subito di chi gli si era avvicinato; solo quando una mano bianca gli scivolò sulla spalla distolse la sua attenzione dalla bottiglia per portarla sul bel viso incorniciato da riccioli neri di una donna in abito cremisi che gli si era avvicinata con un gran sorriso sulle labbra rosse.
- Guarda un po'... - disse in tono suadente, ammiccandogli maliziosa e facendosi un po' più vicina. - Era parecchio tempo che non si vedevano facce nuove da queste parti. Per caso hai voglia di... compagnia?-
- Magari, dolcezza. - le fece lui, sorridendole di rimando. Lei era bella, di una bellezza sfrontata che il trucco pesante e il corpetto stretto sui seni prorompenti non accennavano certo a celare: Jack non era affatto nuovo agli ammiccamenti delle prostitute; col sorriso più accattivante che gli riusciva di fare e con qualche lusinga la avvicinò ulteriormente e ne approfittò per avvolgerle le braccia attorno alla vita: lei però rise e finse di volerlo scacciare, era una di quelle a cui piaceva giocare a fare la difficile.
- Su, non c'è bisogno di essere così scortesi... - sussurrò Jack in tono ammaliatore, sorridendo a quel divertente diversivo. - Che devo fare per farti sedere qui? Oh, così va meglio. - la donna si sedette di buon grado sulle sue ginocchia e gli gettò le braccia al collo; il suo profumo lo inebriò tanto da fargli girare la testa, sapeva di fiori, di sudore e di donna, tutto insieme, il che gli risvegliava dei desideri rimasti sopiti un po' troppo a lungo.
- Ma non è il famigerato Jack Sparrow?- una voce acuta si levò da un punto imprecisato al suo fianco; un'altra prostituta, con un vistoso vestito verde scuro che lasciava poco all'immaginazione, lunghi capelli ramati e occhi chiari, si era fatta avanti verso di lui e lo scrutava con meraviglia. - Rosie, non vorrai tenertelo tutto per te, razza di egoista!- rise maliziosa, attaccandosi al suo braccio.
- Niente paura, mie signore, ce n'è per tutte. - sogghignò lui avvolgendo col braccio anche la seconda. - Noi due ci siamo già visti, sbaglio? Clarisse... Carlotta... -
- Cloe, razza di smemorato!- ridacchiò quella, strusciandoglisi contro.
- Sì ecco... Cloe... - Jack cominciava ad essere decisamente distratto da quelle due bellezze che gli si avvinghiavano addosso; la mora, quella chiamata Rosie, si abbandonò al suo abbraccio strofinandosi contro le sue gambe. La scarica di brividi che gli provocò e il rum bevuto fecero il resto: Jack la attirò a sé e la baciò con trasporto, gustandosi il sapore delizioso di quelle labbra fameliche. L'altra gli si era appesa di fianco, baciandolo sul collo e carezzandolo, le mani dappertutto. Da lì Jack non capì più niente: baciava una, baciava l'altra, e sentiva il bisogno farsi sempre più prepotente; tirò contro di sé la giovane dai capelli ramati e le sue mani presero a lavorare coi lacci del corsetto con abilità consumata, lei fece per tirarsi indietro ma non poteva fare a meno di sospirare mentre le mani di lui si insinuavano sotto i vestiti a tastarle i seni morbidi, la bocca di lui mordeva le sue labbra con dolcezza disarmante.
Incredibile quanto potesse essere caldo il corpo di una donna, pensò mentre stringeva a sé le due donne, mai sazio né dell'una né dell'altra: quello che sapeva era che il suo corpo gli stava dicendo in tutti i modi più spiacevoli ma soprattutto piacevoli, che aveva bisogno di soddisfare il suo desiderio, e subito. La cosa sarebbe potuta andare avanti ancora a lungo se una terza voce non avesse bruscamente esclamato: - Capitano!-
Con un sussulto Jack si scostò dalle due donne e gettò uno sguardo intontito davanti a sé: ci mise qualche istante per riconoscere chi aveva davanti, poi vide che era Ettore, che lo stava fissando con gli occhi ridotti a due fessure. Le donne si voltarono incuriosite a guardare l'uomo che le aveva interrotte, Ettore le squadrò di rimando, infine tornò a rivolgersi a Jack in tono duro: - Che state facendo?-
Jack scrollò le spalle e allargò le braccia, accennando alle due che gli stavano in braccio: - ... Secondo te?- rispose, mentre gli veniva da ridere senza un vero motivo. Le prostitute risero con lui, quindi Cloe si raddrizzò senza neanche prendersi la briga di aggiustarsi il corpetto e scoccò ad Ettore una languida occhiata di apprezzamento. - Non c'è bisogno di agitarsi, tesoro... forse ti piacerebbe unirti a noi?- allungò una mano verso di lui, invitante, ma Ettore la ignorò: senza tanti complimenti si fece avanti, prese Jack per la collottola e lo tirò in piedi di peso, suscitando i gridolini irritati delle due.
- Ehi, ehi, ehi, che ti prende?- protestò Jack cercando di allontanare Ettore, ma proprio in quel momento le sue ginocchia si rivelarono meno stabili di quanto pensasse e fu costretto a tenersi al braccio del pirata per tenersi in piedi.
- Vorrei sapere che cosa prende a te!- replicò ruvidamente Ettore abbandonando ogni formalità verso il suo capitano. - Jack! Sei ubriaco!-
- Non è vero!- la sua impossibilità di reggersi in piedi però diceva tutto il contrario; a malincuore Jack dovette ammettere di essere messo peggio di quanto pensava. Ettore lo portò via con sé sotto gli sguardi allibiti delle prostitute; Jack caracollava impotente appeso al suo braccio, ma questo non gli impedì di protestare per tutto tempo con il suo accompagnatore: - Diavolo, ma va a rovinare la nottata a qualcun altro! Andava tutto benissimo, che accidenti sei venuto a fare?-
- Ti evito di fare un grosso errore, ecco cosa faccio. - replicò freddamente Ettore, senza mollarlo mentre si allontanava con lui verso l'uscita della locanda.
- Ma sentilo!- biascicò il capitano, gesticolando in aria con la mano libera. - E cosa cavolo vai a ficcare il naso nelle faccende degli altri? Sei in grossi guai, marinaio, grossi guai!-
- Finiscila... - Ettore alzò gli occhi al cielo. - Sei il mio capitano, non lo nego. Ma sei anche l'uomo che ha sposato me e Faith, qualcosa te lo devo. E sei l'uomo di Laura, anche se al momento sembri aver perso di vista questo punto. -
- Ammutinamento... canaglie insubordinate... - continuò a borbottare confusamente Jack mentre si faceva trascinare da Ettore lungo il molo. - Non sono affari tuoi quello che faccio o non faccio! ...e levami le mani di dosso, sono io il capitano!-
- Se ti “levo le mani di dosso”, caschi per terra. - spiegò lui pazientemente mentre arrivavano in vista della Perla Nera ormeggiata nel porto. Jack imprecò e protestò ancora per un bel pezzo, ma le sue capacità di resistenza sembravano essere finite lì, perché si lasciò scortare a bordo dal pirata senza muovere un dito.

Note dell'autrice: mi scuso con le mie lettrici per essermi fatta aspettare così a lungo, ma questo capitolo è stato molto difficile da trattare, e lo stesso sarà per i prossimi. Intanto grazie a tutti, sono felice che il capitolo precedente vi sia piaciuto, in particolare il matrimonio di Ettore e Faith che vedo che ha riscosso un gran successo. :-D Attendo la vostra anche su questo!

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Capitolo 9
*** In trappola ***


Capitolo 8
In trappola.


Gli occhi di Elizabeth si aprirono all'improvviso e le mani le si strinsero d'istinto sui lembi del lenzuolo, mentre provava quella spiazzante sensazione che si prova a volte nel risveglio, come di essere appena precipitata nel suo letto da un'altezza vertiginosa. Aveva il cuore che le batteva all'impazzata e le immagini dell'incubo ancora nella mente: confuse e indistinguibili, ma non per questo era meno reale il senso di terrore che le avevano messo addosso. Si rigirò bruscamente nel letto, per guardare al suo fianco. Will non c'era.
Questo bastò a farle mancare il fiato per dieci secondi netti mentre il terrore provato nell'incubo si riabbatteva su di lei più spiazzante e terribile che mai, ma appena ebbe recuperato il controllo si impose di pensare razionalmente: nel lato del letto dove dormiva lui le lenzuola erano scostate, si era solo alzato, probabilmente era nei paraggi; non c'era motivo di sentire quella morsa opprimente allo stomaco. Respirando profondamente per calmarsi si alzò, scostandosi dal viso i lunghi capelli biondi con gesti frettolosi: a piedi nudi varcò la soglia della camera, nella piccola stanzetta a fianco dormiva David, anche da lì poteva sentirne il respiro lento e pesante nel sonno. Will non era lì.
In silenzio raggiunse l'ingresso. Nessuno neanche lì. Il cuore aveva ripreso ad accelerare: con un sussulto si accorse della porta d'ingresso; era socchiusa. Uscì, e non poté fare a meno di sgranare gli occhi davanti ad una luna enorme, quasi perfettamente tonda che si stagliava contro un cielo nero come l'inchiostro punteggiato di stelle: il mare scintillava sotto tutte quelle luci, la stessa sabbia della piccola spiaggia sembrava scintillare, fu su quella spiaggia che con enorme sollievo Elizabeth riconobbe la figura di Will, seduto su una piccola duna di sabbia, con lo sguardo rivolto al mare.
- Will!- mentre si avvicinava lo chiamò, a bassa voce. Non avrebbe saputo dire perché, era come se non volesse disturbare la notte. Will si voltò verso di lei, guardandola con aria sorpresa: era evidente che non si aspettava il suo arrivo. - Elizabeth!- esclamò di rimando, scrutandola stupito per qualche istante. - Non dormivi?-
- Mi sono svegliata quando mi sono accorta che non c'eri. - rispose lei sedendoglisi accanto: la sabbia era morbida e cedevole, ci si stava bene seduti. Will le sorrise dolcemente e le avvolse un braccio intorno alle spalle: - Scusami se ti ho spaventata. -
- No, no, non è... - cercò di giustificarsi lei, arrossendo improvvisamente ora che il terrore provato poco prima le appariva così sciocco. - Che cosa ci fai qui?-
Ora sembrò lui ad essere stato colto in flagrante: tentennò per qualche istante come sforzandosi di trovare una scusa adeguata, infine rinunciò e alzò le spalle con aria impotente: - Non lo so, a dire il vero... semplicemente non dormivo, e allora sono venuto qui. -
Elizabeth annuì in silenzio appoggiandosi alla sua spalla: per lei gli incubi non erano una novità; aveva passato tre anni di sogni cupi o talmente nostalgici che la facevano risvegliare in lacrime, e adesso che Will era tornato da lei la assaliva a volte il terrore che lui potesse sparire un'altra volta. Sapeva che era una paura sciocca, che loro due ormai erano al sicuro, ma non riusciva a sfuggirvi. E ora Will guardava il mare con quell'espressione così seria: riteneva di conoscerlo abbastanza per pensare cosa stava passando per la sua testa. - Pensi a tuo padre?- sussurrò piano.
Lui annuì. - Sì, anche a lui. - ad un tratto un piccolo sorriso si fece strada furtivo sul suo volto. - Sai, se un giorno... se fra dieci anni davvero tornerà qui per spendere il suo giorno a terra gli farò conoscere David. -
Questo fece spuntare un sorriso anche sul viso di Elizabeth. - Una specie di riunione di famiglia?- scherzò, stringendosi a suo marito: lui quasi rise, e sollevò una mano a scompigliare i capelli di lei. Era bello stare abbracciati, seduti sulla spiaggia, davanti a quella notte stupenda. Eppure Will non poteva ignorare quella strana sensazione che lo accompagnava già da diverso tempo da quando era tornato a vivere sulla terra con la sua famiglia: gli mancava qualcosa. Anche lì, con la donna che amava e il figlio che aveva sempre desiderato, non riusciva a sentirsi completo. Perché?
- C'è qualcos'altro. - mormorò Elizabeth al suo orecchio, e la sensazione delle sue labbra così vicine gli provocò un piccolo brivido. - Cosa c'è che non va, Will?-
La lontananza non li aveva cambiati; Elizabeth sembrava sempre in grado di leggergli nel pensiero: inutile, quindi, sperare di fingere con lei, anche a costo di alimentare le sue paure. Prima che potesse dire qualcosa, però, lei lo precedette quasi con impazienza: - Ti manca la vita di prima?-
- Cosa?- Will sussultò, voltandosi di scatto verso di lei. - Essere legato a Calypso e all'Olandese Volante? Essere obbligato ad un compito che non volevo? Assolutamente no!-
Elizabeth gli carezzò una spalla, invitandolo a tranquillizzarsi: - Non intendevo questo. Dicevo... ti manca essere un pirata?-
Will ridacchiò e abbassò lo sguardo, scuotendo il capo. - Pirata? Io? Non credo di esserlo mai stato. E vogliamo parlare di te, allora? Al mio Re dei pirati non manca il suo momento di gloria?- la stuzzicò scherzando su quel titolo che si era conquistata con la complicità di Sparrow tre anni prima; lei sorrise di buon grado, accoccolandosi contro di lui e lasciando vagare lo sguardo sull'orizzonte scuro davanti a sé. - A me un po' manca. - ammise dopo qualche istante, quindi la sua voce assunse un tono sognante. - Sai, ci ho pensato spesso... e adesso che siamo di nuovo insieme forse presto o tardi potremmo... -
- Elizabeth. - Will si voltò nuovamente a guardarla, improvvisamente serio. - Non scherzare, per favore. Non rischierò ancora una volta la tua vita... o la sua. - accennò col capo alla loro casa pochi metri dietro di loro, dove nella sua camera dormiva tranquillo David. Elizabeth rimase a guardarlo negli occhi per un attimo chiedendosi se non si fosse sbagliata, se quell'ombra di nostalgia che le sembrava di cogliere nelle parole di lui non fosse una mera illusione... ma poi lasciò perdere, curandosi soltanto di avvicinare il viso a quello di Will, baciarlo e sentire le sue braccia che la avvolgevano, sempre in silenzio, per non svegliare la notte.

*

Rimuginava. Rimuginava e non riusciva a darsi pace, affacciato al parapetto scrutava l'acqua sotto la chiglia della nave senza vederla davvero perché la sua testa era da un'altra parte.
Era nervoso? No, non era quello.
Si sentiva in colpa? Sfortunatamente nemmeno quello, anche se già si avvicinava di più. Sentirsi in colpa... il capitano si soffermò su quel pensiero. A dire il vero non ricordava di essersi mai sentito veramente in colpa, e non lo era davvero nemmeno in quel momento: il concetto di “colpa” era qualcosa di così vago per lui... Un po' come il concetto di fedeltà, si obbligò a riconoscere con una punta di amarezza.
Era stato infedele, lo riconosceva. Ma cosa poteva farci lui, capitan Jack Sparrow, al quale l'idea stessa di fedeltà sfuggiva come il rum da un barile bucato? Si era goduto le moine di due donzelle allegre e non aveva problemi ad ammettere che quella mattina si sarebbe probabilmente svegliato nel letto di qualcuna di loro se Ettore non fosse intervenuto per riportarlo sulla Perla, la sera prima. Aveva visto chiaramente l'accusa nell'espressione del pirata, ma lui... lui non riusciva ad accusarsi di avere fatto qualcosa di “sbagliato”.
Era fatto così. Era stato infedele anche alla Perla, abbandonandola più volte al suo destino mentre lui correva dietro ai suoi progetti, per poi tornare a rincorrerla anche per anni con un'ostinazione che aveva dell'ossessivo.
Sentiva di voler bene a Laura. Sentiva di tenere a lei come teneva a poche persone. Doveva per forza esserci qualcosa, altrimenti come si spiegava la sua capacità di mandarlo in confusione, di agitarlo per un nonnulla? Sapeva bene che se per un caso incredibilmente sfortunato la sera prima fosse stata lei e non Ettore a sorprenderlo alla locanda, ne sarebbe rimasta profondamente ferita: il pensiero lo rattristava molto, ma ciò che curiosamente gli faceva più male -forse era finalmente riuscito ad arrivare dove voleva- era ammettere con sé stesso che se si era lasciato andare con quelle donne era perché aveva voglia di farlo.
Era il capitano Jack Sparrow: mai lo aveva pensato con più amarezza, si disse mentre picchiettava distrattamente con le dita sul legno nero del parapetto, lo sguardo perso sull'acqua. Era abituato a fare a modo suo.
Ma no, non poteva essere finita lì. In effetti, ora che aveva smaltito la sbronza e recuperato la capacità di ragionare lucidamente, doveva riconoscere un'altra cosa: c'era qualcosa di cui sentiva il bisogno, che le donzelle della sera prima non erano riuscite a dargli in alcun modo. E proprio in quel momento notava qualcosa: anzi, notava che non c'era niente da notare. Notava la mancanza di quella che fino al giorno prima era stata una presenza costante, rumorosa ed evidente. Dov'era Laura? Dov'era il piccolo capitano che di solito la mattina era la prima ad aggirarsi per il ponte con aria impaziente, quello scricciolo di ragazza che rideva allegramente, ma pronta a trasformarsi in un uragano quando si infervorava per qualcosa?
Come tutte le donne che incontrava sul suo cammino, era rimasta affascinata da lui: c'era abituato, era ben consapevole dell'effetto che faceva. Eppure anche lei quasi inconsapevolmente l'aveva catturato, come lui aveva fatto precedentemente con lei. Era quella sua ironia, la sua risata graziosa e quasi infantile, e quella spinta di coraggio, avventatezza e vitalità che forse proprio lui aveva stuzzicato, ad allettarlo, intrigarlo pericolosamente. Forse se Laura non avesse scelto di rimanere sulla Perla Nera quella notte dopo la sconfitta di Beatrix Barbossa, Jack sarebbe riuscito a dimenticarsene in fretta. E invece lui stesso le aveva chiesto di rimanere, e lei lo aveva fatto, diventando la sua più dolce compagnia ed occupazione, ma anche la prima donna che non era a bordo solo per lui, che prendeva decisioni e che aveva preso a vivere gomito a gomito con lui nell'impresa. Con l'eccezione di Elizabeth, forse, però c'era da considerare la differenza che quest'ultima non aveva mai ricambiato veramente il suo interesse.
Quel peso che la ragazza aveva cominciato ad acquistare nella sua vita, quel suo essere legata a lui, forse un tempo avrebbe alla lunga cominciato ad infastidirlo come un'intromissione nella sua libertà, eppure... Eppure si era accorto che ora era la sua assenza, piuttosto che la sua presenza, a pesargli. Gli mancava. Solo una notte che non la vedeva, e già gli mancava il dolce assillo di averla accanto a chiedergli che cosa si doveva fare. Gli mancava lei, per il solo motivo che stava tardando ad uscire dalla sua cabina. E con un certo stupore riconobbe che erano piuttosto le prostitute della locanda ad avere lo stesso noioso sapore, ma non certo lei.
Aggrottò le sopracciglia mentre si metteva a camminare avanti e indietro per il ponte, ignorando le occhiate incuriosite che gli lanciavano quelli della ciurma, mentre rifletteva dubbioso sulle sue ultime considerazioni. Sì, sarebbe stato diverso, probabilmente, se non le avesse chiesto di venire con lui. Ma lo aveva fatto. E per essere del tutto onesto con sé stesso, ciò che aveva mandato in confusione la sera precedente era stata l'improvvisa fuga di lei da suo padre. Lei. Sempre lei. Una persecuzione. E ora che ci era cascato con tutte le scarpe stranamente non aveva nemmeno più voglia di tirarsi indietro: accarezzò distratto il legno della nave, mentre pensava che cominciava a farsi un'idea più chiara di quella parolina subdola ma stranamente interessante chiamata “fedeltà”.

*

- Commodoro, è un vero piacere riceverla! Prego, prego, accomodatevi... -
Burrieza fece strada , invitando l'ufficiale in livrea blu a seguirlo. Il commodoro era un uomo non molto alto, con un viso pieno e lentigginoso che lo faceva sembrare più giovane di quanto non fosse: non sembrava del tutto a suo agio insieme al governatore spagnolo, ma accettò il suo invito a sedersi con lui e dividere il suo brandy. Burrieza prese un lungo sorso prima di continuare: - Ho intrattenuto numerosi rapporti con la Marina di Port Royal, ma non credo di avervi mai incontrato a quattrocchi, signore. Perdonatemi, il vostro nome...?-
- Gillette. Commodoro Gillette. - rispose in fretta l'uomo, sistemandosi nervosamente la parrucca. - Ho ricevuto la promozione un anno fa, questi sono i miei primi incarichi diplomatici. -
- Oh... - Burrieza annuì con aria pensosa mentre versava dell'altro brandy al suo ospite. - Be', del resto i cambiamenti non sono una novità a Port Royal dopo tutto quello che è successo, la morte del governatore Swann... - fece una pausa, rabbuiandosi in volto. - Povero vecchio Weatherby Swann, lo conoscevo bene... La sorte non è stata gentile con lui. - mandò giù il contenuto del proprio bicchiere in un colpo solo, quindi tornò a rivolgersi a Gillette in tono più allegro. - Ma non voglio annoiarvi con i tristi ricordi, commodoro: ditemi, siete venuto per trattare delle future collaborazioni in commercio di Port Royal e Conceicao, mi pare. -
- Esattamente. - anche il tono del commodoro Gillette si era fatto più vivace. - Il governatore la ritiene un'offerta molto vantaggiosa... Inoltre avrei anche una seconda proposta: una collaborazione in armi, se capisce che cosa intendo. - sorrise, fiero. - La flotta della Marina spagnola fianco a fianco a quella britannica... pensateci, signore, sarebbe un enorme vantaggio per entrambi, non trovate?-
Il governatore si prese il mento fra due dita mentre studiava pensieroso il liquore dorato sul fondo del suo bicchiere. - Un'alleanza in armi fra Port Royal e Conceicao... non c'è che dire, direi che la cosa potrebbe avere dei risvolti interessanti. -
- Ne sono sicuro. - Gillette accennò ad un brindisi col suo bicchiere, e stava per portarlo alle labbra quando la mano gli si fermò a mezz'aria. Stava osservando il paesaggio attraverso la grande vetrata dello studio, che dava sul porto dove in quel momento erano ormeggiate alcune navi: qualcosa di terribilmente familiare gli era balzato agli occhi. Batté le palpebre un paio di volte, quindi aguzzò lo sguardo e osservò meglio la polena della nave sospetta: ma no, non era possibile, per di più quella aveva le vele bianche...
Un momento. Senza dire una parola Gillette si alzò da dove era seduto e si precipitò alla finestra, senza staccare gli occhi da quel che aveva visto. - Qualcosa non va?- fece Burrieza, fissando stupito il suo ospite.
- Quella nave!- esclamò Gillette con voce strozzata, incollando il viso al vetro. - Quella nave!-

*

Quella mattina mi ero svegliata più tardi del solito, così che arrivai in coperta di corsa, maledicendo fra me le mie compagne di cabina che non mi avevano svegliata. - Ce la siamo presa comoda, capitano?- fu lo scherzoso buongiorno di Faith che mi attendeva seduta al suo posto preferito sotto l'albero maestro proprio accanto all'argano.
- Né Anamaria né Valerie si sono degnate di svegliarmi, pensa te!- brontolai salutandola con un sorriso. Lei ridacchiò, ravviandosi con fare distratto la coda di capelli che il vento mattutino le soffiava contro il collo: dal giorno del matrimonio era se possibile ancora più radiosa.
Jack era già sul ponte e stava radunando gli uomini che ci avrebbero accompagnati sulle scialuppe: stavolta oltre ad Ettore e Jonathan ci saremmo portati dietro un drappello di pirati, mentre Gibbs sarebbe rimasto a bordo della Perla per tenere sotto tiro il forte: una volta dentro, più eravamo meglio era. - Scusa il ritardo!- mi scusai frettolosamente quando mi avvicinai a lui, toccandogli una spalla. - E' colpa mia, lo so... vado a cambiarmi con Faith e Valerie e torniamo subito, d'accordo?-
Appena sentì la mia mano sulla spalla Jack fece un balzo come se lo avessi punto e si girò di scatto a guardarmi. - Oh!- fece, sgranando gli occhi. - ...ehm... sì. Andate pure. - bofonchiò l'attimo dopo cercando di mascherare il sobbalzo: notai che faceva di tutto per evitare il mio sguardo.
Avrei voluto chiedergli cosa gli era preso, ma avevamo già poco tempo, così mi limitai a condurre Faith e Valerie sottocoperta per sottoporci alla tortura degli abiti eleganti.
*Mentre scendevo al ponte intermedio mi ricordai di non avere visto Jonathan in coperta, così lasciai andare avanti le altre per mandarlo a chiamare. - Il giovane Wood?- mi fece Marty mentre riarrotolava la sua amaca; quando eravamo in porto la ciurma poteva permettersi di prendersela comoda. - Non ha avuto incarichi stamattina, credo che sia ancora lì che legge il suo libretto. - accennò vagamente ad un punto fra le amache penzolanti.
Lo ringraziai e cominciai a farmi largo: trovai Jonathan quasi subito, tutti gli altri pirati stavano riponendo le proprie amache, lui era seduto per terra con un libricino dalla pagine ingiallite aperto sulle ginocchia. Quando lo chiamai alzò gli occhi e mi fissò sorpreso. - Oh, salve capitano!- fece rialzandosi in fretta.
- Ti vogliamo nel gruppo che ci accompagnerà da Burrieza; partiamo fra pochi minuti, d'accordo?-
- Certo. - mi fece un cenno d'assenso e fece per tornare sui suoi passi. Però il libricino che stringeva sotto il braccio aveva catturato fastidiosamente la mia attenzione. Perché non riuscivo a distoglierne gli occhi?
Proprio mentre mi passava accanto per sorpassarmi e salire in coperta ebbi come una folgorazione: le pagine! Avevo visto pagine di quella stessa dimensione in mano a Jack, le avevo sfogliate con le mie stesse mani. Istintivamente bloccai Jonathan prendendolo per un braccio: - Aspetta un istante. -
- Cosa...?- non gli lasciai neanche il tempo di protestare: gli sfilai il libricino da sotto il braccio e col pollice ne scorsi rapida le pagine. Non era possibile che fosse solo una coincidenza. - Ehi, giù le mani!- di colpo Jonathan abbandonò ogni formalità; liberò bruscamente il braccio che gli tenevo stretto e cercò di impossessarsi del diario che gli avevo sottratto. Riuscii a tenerlo fuori dalla sua portata, ma malgrado fosse più giovane di me e, almeno a bordo, mi dovesse una certa obbedienza, se non ci fossero stati gli altri pirati in quel momento avrei avuto perfino paura di lui.
- Fermo dove sei, sono il tuo capitano. - lo rimbeccai aspramente, nascondendo il libricino dietro la schiena. - Se permetti questo lo tengo io, potrai riaverlo dopo che ci avrò dato un'occhiata. Adesso fila in coperta come ti ho detto. -
Lo sguardo di Jonathan bruciava di rabbia: poteva anche essere che avessi solo preso un abbaglio, ma più lo guardavo più mi convincevo di avere messo le mani su qualcosa che avrebbe potuto chiarire molti punti rimasti in sospeso. - Non puoi farlo!- ringhiò.
- Ti ho dato un ordine. -
Appena mi fui liberata di Jonathan spedendolo in coperta fumante di rabbia, raggiunsi Faith e Valerie nella stiva. Mi prudevano le mani mentre stringevo al petto il piccolo diario sul quale avevo scorto inequivocabilmente il nome di Gregory Wood. Possibile che per un assurdo colpo di fortuna mi fossi ritrovata in mano la parte mancante del diario? La cosa peggiore era sicuramente non avere il tempo per leggerlo con calma: così, preferendo tenere per me la mia scoperta, mentre indossavo gli abiti femminili lo nascosi con cura dentro la fascia che mi legai in vita, nella quale tenevo anche le armi.*
- Mi raccomando, gente!- annunciò Jack alla ciurma radunata in coperta. - Massima attenzione oggi! Se tutto va bene noi entreremo lì dentro, prenderemo il governatore e al nostro segnale voi potrete tenere il forte sotto tiro coi cannoni; se tutto va male, e ci sono almeno una decina di modi in cui le cose potrebbero andare storte, dovremo solo trovare la maniera di uscire da lì in fretta. Tutto chiaro?- gettò uno sguardo attorno a sé. - Bene. Possiamo andare allora. -
Eravamo dieci in tutto: con noi venivano altri quattro pirati. Di nuovo lo stesso tragitto in scialuppa, la medesima accoglienza dei moschettieri di guardia, e fummo introdotti nel forte: Jack mi porse il braccio ma continuava a tenermi a distanza ed era palese che si sforzava di non guardarmi negli occhi nemmeno per sbaglio. Pensai che avesse saputo che la sera precedente ero andata a parlare a mio padre e facesse l'offeso per quello. Era così irritante che più di una volta fui tentata di sbottare: - La vuoi piantare?!- ma tacqui per non rovinare tutta la nostra messinscena.
Burrieza non ci aspettava nella sala stavolta, fummo portati direttamente nei suoi appartamenti ai piani superiori: il governatore ci accolse con la consueta cortesia, ma qualcosa nella sua espressione catturò la mia attenzione; era molto più serio del giorno prima, e non più così gioviale per i tanti bicchieri di brandy. Mi dissi che era probabilmente perché era mattina presto, ma il nervosismo aveva già cominciato a stringermi fastidiosamente la gola.
- Signor Smith, signora Smith, è un piacere rivedervi. - ci salutò educatamente, rivolgendo a me un piccolo inchino. - Perdonate se i miei impegni mi hanno costretto a posticipare ad oggi le nostre trattative. -
- Nessun disturbo, signore, è un piacere fare affari con voi. - replicò Jack come da copione. Il sorriso di Burrieza però continuava a non piacermi per niente. Faith, Valerie e i pirati insieme a noi sembravano tutti tranquilli, sicuri che la nostra azione sarebbe proceduta senza intoppi, ma io non riuscivo proprio a cacciare l'ansia. Cercai di guardarmi intorno senza muovere troppo la testa per non dare nell'occhio: c'erano un paio di guardie fuori dalla porta, e un'altra nella stanza accanto, le avevo viste anche la prima volta che eravamo entrati. Era normale o la loro presenza avrebbe dovuto suggerire che avevano intuito qualcosa? Qualsiasi dettaglio non faceva che accrescere il mio nervosismo.
- Tuttavia. - continuò Burrieza. - Questo ritardo si è rivelato anche un insperato colpo di fortuna. Ieri ho ricevuto diversi capitani da alcune città che commerciano con Conceicao, mentre questa mattina ho potuto conferire con una persona di una certa rilevanza. -
Percepii il tremito nervoso del braccio di Jack: anche lui era sulle spine mentre rispondeva cercando di essere più naturale possibile: - Sul serio? E di chi si tratta, se è possibile saperlo?-
- Credo che voi lo conosciate. -
Una figura in livrea bianca e blu si mosse attraversando la porta della stanza accanto, comparendo dritta davanti a noi: la prima cosa che vidi fu la pistola puntata su Jack. Poi il viso rotondo dell'uomo imparruccato che con un sogghigno diceva: - Edward Gillette, commodoro di Port Royal. Fine della corsa, signor Sparrow. -
Ci fu un unico, infinitesimale istante di gelo mentre tutti nella stanza realizzavano esattamente ciò che stava succedendo, quindi fummo salvati dalla prontezza di Ettore che gridando: - ARMI!- afferrò un basso tavolino e lo scagliò con tutte le sue forze in direzione del commodoro. Jack non fu da meno: nell'istante in cui il commodoro premette il grilletto, nonostante il tavolino che si fracassò ai suoi piedi, si buttò a terra trascinandomi con sé e travolgendo un tavolo che ci fece da scudo. In un istante si era scatenato il finimondo: Burrieza si era tolto di mezzo, lasciando il lavoro ai suoi soldati che erano spuntati da ogni parte, bersagliandoci con i moschetti; i nostri uomini avevano reagito prontamente, sfoderando le pistole e sparando a ripetizione, sollevando una nuvola di fumo acre: nessuna pietà, né da una parte né dall'altra. Conscia che la nostra mascherata era bellamente andata in frantumi, presi le due pistole che tenevo nascoste sotto la fascia in vita e mi sporsi appena da dietro il tavolo per prendere la mira. La sala del governatore si era appena trasformata in un campo di battaglia: c'era poco spazio e le guardie sparavano stando spalla a spalla, incuneati negli angoli o nel vano delle porte, mentre noi rispondevamo al fuoco usando i mobili come scudi. Uno dei pirati cacciò un urlo e stramazzò a terra con un foro sanguinante in pieno petto: Ettore si alzò con una specie di ruggito e sparò a ripetizione, abbattendo due soldati prima di buttarsi nuovamente al riparo dietro un cassettone rovesciato.
- Arrendetevi!- gridò Gillette al di sopra del frastuono, sporgendosi da dietro il vano della porta dove si riparava. - Gettate le armi adesso e forse vi sarà concessa clemenza!-
- Come no, una pallottola in fronte o un cappio alla gola... - commentò Jack, sardonico, mentre allungava la pistola da dietro il tavolo e apriva un foro nel muro a solo poche spanne dalla testa del commodoro, che si tirò indietro all'istante.
- Venite a prenderci!- gridò caparbiamente Jonathan. In quel momento fece un cenno d'intesa ad Ettore e un altro pirata, e all'unisono i tre si scagliarono contro un gigantesco armadio a vetri pieno di cimeli d'argento. L'armadio tremò, poi si inclinò con lentezza quasi innaturale mentre precipitava sul pavimento, proprio fra noi e i soldati: questi ultimi si tolsero immediatamente di mezzo un attimo prima che il mobile si schiantasse al suolo in un'esplosione di vetri e schegge di legno; mi addossai al tavolo rovesciato mentre l'armadio terminava la sua caduta in un frastuono degno dell'Apocalisse. - Via di qui!- gridò Jack afferrandomi per un braccio e facendomi alzare.
Senza smettere di voltarci indietro per fare fuoco sui soldati che scavalcavano coraggiosamente i resti dell'armadio per inseguirci, ci precipitammo a rotta di collo fuori dalla stanza. Era una fortuna che sapessimo da dove si usciva, ma di certo tutto il forte era stato allertato e avevamo i minuti contati: corremmo come pazzi giù dalle scale, seguiti dalle urla e gli spari dei soldati che ci stavano alle calcagna.

*

Dal ponte della Perla Nera, Gibbs guardava le finestre del forte, certo che da un momento all'altro avrebbe scorto qualcuno dei nostri a fargli il segnale di via libera; allora i pirati avrebbero tolto i teli che nascondevano i cannoni e Burrieza si sarebbe convinto che non gli conveniva opporre resistenza. In quel momento però qualcosa attirò la sua attenzione: sul porto stava avanzando una numerosa truppa di soldati, trascinandosi dietro... Un brivido corse su per la schiena dell'anziano pirata. Cannoni. Un'intera batteria di cannoni su ruote, che i soldati trasportavano rapidamente sul molo, chiaramente per fare fronte a qualche attacco dal mare.
Gibbs cominciò a sudare freddo: qualcosa era andato storto, ormai ne era certo. Quei cannoni avevano il loro nome scritto sopra, e dal modo in cui i soldati lanciavano occhiate bieche nella loro direzione non aveva dubbi che sapessero quale nave dovevano bersagliare.
- Batteria di cannoni sul molo!- gridò ad Anamaria: in assenza di entrambi i capitani non aveva idea di a chi rivolgersi. - Ci hanno scoperti!-
La giovane mulatta sussultò, scrutando gli avversari con rabbia: - Non possiamo permettergli di fare fuoco per primi!- sibilò, comprendendo la gravità della situazione. - Se attacchiamo possiamo resistere alla loro bordata?-
- Forse, e solo per poco di certo!- continuò Gibbs, che non distoglieva gli occhi dal molo dove si radunavano sempre più in fretta i soldati. - Gli esponiamo tutto il fianco destro, bastardi! Sanno che a distanza così ravvicinata e con così tanti cannoni ci sfonderebbero la chiglia!-
Anamaria si voltò verso la ciurma. - Allora non possiamo aspettare ancora: uomini!-
- Ci sono il capitano e gli altri là dentro!- protestò Gibbs additando freneticamente il forte.
- Fuoco sui soldati, o non ne usciremo vivi! E spiegate le vele, è probabile che dovremo andarcene molto in fretta!-
- E va bene... va bene. - Gibbs deglutì; aveva la gola completamente secca. - Uomini, aprite il fuoco!-

*

In fondo alle scale ci attendeva una brutta sorpresa: altri soldati stavano arrivando di corsa nel salone, tutti con le armi in pugno. Ci facemmo largo a suon di pallottole, abbattendo tutti i mobili che trovavamo sulla nostra strada: volarono diverse sedie, abbattendo qualche soldato in corsa. Mai come in quel momento avevo sentito la nostalgia delle spade: non potendo portarci dietro armi troppo evidenti avevamo sperato che ci sarebbero bastate le pistole.
Un soldato sparò: Faith lanciò un gridò e inciampò, cadendo sul grande tappeto che ricopriva l'intero pavimento. - Faith!- urlai, correndo verso di lei, ma Ettore mi precedette, abbrancandola alla vita e portandola via con sé. Era pallida come un cencio ma si reggeva in piedi: col cuore in tumulto seguii gli altri che correvano a rotta di collo verso il portone.
- Le porte! Chiudete le porte!- sentii qualcuno urlare.
I soldati ci furono addosso: ormai, in corpo a corpo, pistole e fucili erano pressoché inutilizzabili, così i nostri uomini cominciarono a farsi valere con pugni e calci. - Tienila!- Ettore affidò Faith a Valerie un attimo prima che un soldato piombasse su di loro: il pirata gridò e si avventò su di lui, trascinandolo a terra con violenza.
Valerie indietreggiò in fretta tirando con sé Faith che si trascinava dietro la gamba, e febbrilmente estrasse la pistola, facendo fuoco in pochi secondi contro tutti i nemici attorno a sé.
- Che il diavolo mi porti, ha una buona mira!- rise sguaiatamente uno dei nostri pirati vedendo il suo attuale avversario azzoppato da un colpo preciso di Valerie. L'attimo dopo però strabuzzò gli occhi e sussultò: un altro soldato gli era arrivato alle spalle, piantandogli un coltello nel fianco.
Balzai in piedi sopra un divano e sparai all'impazzata per tenere i soldati lontani da me: ne centrai alcuni, ma la situazione era disperata; avevano chiuso le porte d'ingresso, e se continuavano ad arrivare soldati sarebbe stata solo questione di tempo prima che ci prendessero. Lo sguardo mi cadde sulle ampie vetrate che coprivano quasi completamente la parete accanto.
- Le vetrate!- urlai per farmi sentire dagli altri al di sopra del putiferio. - Usciamo dalle vetrate!- e tanto per cominciare l'opera sparai una raffica di colpi contro i vetri, che andarono in frantumi: avevamo una via d'uscita.
Jack stava giocando ad acchiapparella attorno ad un tavolo con due soldati: i tre si rincorrevano attorno al mobile senza riuscire a raggiungersi, Jack cercava di confonderli con qualche finta ora a destra, ora a sinistra. Quando i due persero la pazienza e cercarono di piombargli addosso insieme, lui si tuffò sotto il tavolo. - Lo teniamo!- esultò il primo abbassandosi anche lui per intrappolare Jack nel suo nascondiglio, ma dovette repentinamente ritrarsi quando gli arrivò in piena faccia un cazzotto.
Senza tanti complimenti Jack spostò con una spallata il soldato col naso sanguinante e sgusciò rapido fuori da sotto il tavolo. - Ahia!- protestò mentre si massaggiava le nocche doloranti della mano scoccando uno sguardo risentito al soldato che aveva steso.
Valerie e Faith furono le prime ad uscire dalla vetrata, calpestando vetri e schegge di mobili: mi concessi un brevissimo respiro di sollievo quando le vidi correre via verso il molo, seguite un attimo dopo da Jonathan che balzò oltre le finestre con le sue pistole in pugno. Rimanevamo io, Jack, Ettore e gli altri due pirati della nostra ciurma: Ettore non sarebbe riuscito a coprirci la fuga ancora per molto; saltai giù dal divano, corsi attraverso la stanza facendomi scudo con le braccia mentre attorno a me schizzava di tutto, schegge, vetri, piatti e porcellane usate con armi improvvisate, sangue, pallottole. - Fuori, Jack!- urlai quando lo vidi correre in mezzo alla baraonda. Lui guardò nella mia direzione come per rispondermi, ma di colpo lo vidi sbarrare gli occhi e gridarmi: - Attenta!-
Quando pensai di scansarmi fu un istante troppo tardi: qualcuno mi piombò addosso da dietro serrandomi un braccio attorno alla vita e uno attorno al collo; rotolammo per terra, il braccio dell'uomo mi soffocava e lui non sembrava affatto intenzionato a mollarmi. - Ne ho presa una! Ne ho presa una!- lo sentii gridare ai suoi compagni. Mi divincolai e cercai di prenderlo a calci, ma mi spiaccicava sul pavimento impedendomi di muovermi.
- Non lasciateli scappare!- gridò la voce del commodoro Gillette. Anche i due pirati saltarono attraverso la vetrata in frantumi guadagnandosi la libertà.
A pochi passi dalla nostra unica via di salvezza Ettore lottava forsennatamente contro tre soldati alla volta: aveva strappato la spada ad un nemico ferito e col cuore in gola respingeva i suoi avversari con violenza inaudita.
In quel momento Jack si avventò contro il soldato che mi tratteneva e me lo strappò di dosso: veloce rotolai di lato, cercando a tentoni la pistola che mi era caduta sul pavimento. Il soldato si rivoltò contro Jack, colpendolo al viso con un pugno che lo fece barcollare violentemente: preso dalla foga l'uomo colpì ancora e ancora, spedendo Jack per terra. Trovai la pistola. Con un grido di rabbia agguantai il soldato per il colletto e lo colpii in testa col calcio della pistola con tutte la forza che avevo: quello gemette, strabuzzò gli occhi e rovinò per terra privo di sensi.
Purtroppo non avevo fatto i conti con tutti gli altri soldati che c'erano nella stanza: almeno tre mi agguantarono cercando di disarmarmi, altri si diressero verso Jack che, ancora a terra, indietreggiava il più rapidamente possibile. Ettore abbatté i suoi avversari e gettò uno sguardo speranzoso alla vetrata: così vicina! Una corsa e ce l'avrebbe fatta senz'altro, ma... guardò verso di noi e si sentì mancare il fiato vedendo tutti quei soldati piombare come un sol uomo su di me e Jack.
- Jack!- urlò, paralizzato. - Laura!-
- Prendetelo! Non lasciate che scappi!- gridò in quel momento il commodoro, additando forsennatamente Ettore. A completare il finimondo arrivarono delle urla dall'esterno e sentii il cuore perdere un battito: Faith e Valerie! Le guardie di Burrieza avevano raggiunto loro e gli altri anche là fuori?
Jack si rialzò, rotolando via dalla presa di due soldati che cercavano di fermarlo: io ero bloccata dai soldati che mi avevano praticamente sollevata di peso, ma vedendo Jack liberarsi osai sperare per un istante che almeno lui potesse farcela e raggiungere Ettore fuori dalla sala. Invece si fece avanti con una pistola in ciascuna mano e attaccò i soldati.
- Va via!- gli urlai mentre ancora mi dimenavo contro gli uomini che mi bloccavano, lottando per strapparmi la pistola. Jack fece fuoco. Un soldato indietreggiò, ferito; un altro corse avanti impugnando il moschetto come se fosse stato una mazza. - Jack, va via!- gridai di nuovo, intuendo le intenzioni del soldato.
L'istante dopo accaddero una decina di cose contemporaneamente: una mano mi strappò a forza la pistola, e vedendomi finalmente disarmata gli uomini mi bloccarono a terra impedendomi qualsiasi movimento; con una guancia schiacciata sul pavimento vidi di sbieco tre soldati correre in direzione di Ettore coi moschetti spianati, e solo allora lui saltò attraverso la vetrata con un urlo di rabbia. Da fuori rimbombò il boato di alcuni cannoni, e non seppi riconoscere se fossero quelli della Perla, o del forte, o di entrambi. Jack si voltò per respingere due soldati, e quello che gli arrivava alle spalle fu svelto a colpirlo alla nuca col calcio del fucile. Jack barcollò, perse la presa sulle pistole e cascò per terra come al rallentatore.
Mi mancò il fiato quando vidi tutti i soldati scagliarsi addosso a lui per poi sollevarlo da terra, privo di sensi, e gridare trionfanti: - Commodoro, lo abbiamo preso, lo abbiamo preso!-
- Bene!- il commodoro si fece avanti di corsa, seguito da Burrieza, per fermarsi davanti a Jack con un'aria di trionfo dipinta in faccia. - E' lui, governatore, ne ero sicuro... perdonate per questo putiferio, erano più tenaci di quanto pensassi. -
- Sono sacrifici necessari, purché le canaglie siano messe al loro posto. - replicò caparbiamente il governatore, ma si vedeva che era scosso. Gli uomini sollevarono rudemente da terra anche me e mi portarono davanti a Burrieza e al commodoro: - Abbiamo preso anche questa, le altre due sgualdrine sono riuscite a scappare con gli altri. - disse uno. Il governatore e il commodoro mi squadrarono facendo tanto d'occhi: di certo dovevo avere l'aspetto di una pazza in quel momento, scarmigliata, ansimante, con gli occhi spiritati e con graffi ovunque: Gillette mi fissò con un certo disprezzo, Burrieza parlò con cipiglio severo: - Feccia di pirati e ladri. E tu chi saresti, mujer*?-
Quasi mi sfuggì una risata amara: non potevo certo sperare che avrebbero avuto la mano meno pesante con me solo perché ero una donna. - Secondo voi?- replicai, acida. Il commodoro Gillette sbuffò impaziente: - Solo un'altra delle loro... prostitute. - fece in tono sprezzante, distogliendo subito l'attenzione da me. - Tutti quelli che possono mi seguano nel cortile, è possibile che riusciamo a prendere qualcun altro dei loro. Gli altri chiudano quei due in cella, muoversi!-
I soldati eseguirono gli ordini senza discutere: attraversammo in un attimo la sala devastata per poi scendere ai piani sotterranei, dove immaginai che tenessero le celle. Jack non dava segno di riprendersi, e se lo trascinarono dietro senza tanti complimenti: quando entrammo nella prigione il fetore mi levò il fiato, e non appena i miei occhi si furono abituati al buio capii perché; ovunque dietro le sbarre si affacciavano visi di persone dalla pelle nera, magri, emaciati, sofferenti. Eravamo nel sotterraneo dove tenevano gli schiavi.
Ci buttarono in una cella, chiusero la grata e se ne andarono serrando la porta alle loro spalle, facendo sprofondare di nuovo la prigione in quella semioscurità opprimente: appena le guardie se ne furono andate gli schiavi presero a parlottare tra loro, ma non prestai attenzione a nessuna delle loro parole; mi precipitai da Jack, esanime sul pavimento, e col cuore in gola lo presi per le spalle. - Jack... Jack... - sussurrai; le dita mi tremavano. - ...Jack... svegliati, ti prego... andiamo... rispondi!... -
Lui rimase immobile: gli presi la testa fra le mani e con infinita cautela tastai per sentire se la botta gli aveva lasciato qualche danno; infilando le dita sotto i capelli sentii dell'umido sulle dita quando gli sfiorai la nuca. Aguzzai la vista più che potei, ma mi rassegnai ad affidarmi al tatto: almeno non sembrava grave, se la sarebbe cavata con un'ammaccatura sulla testa. Io però di certo non sarei riuscita a calmarmi finché non l'avessi visto sveglio: - Avanti, Jack, per favore... - lo implorai un'altra volta, stavolta scuotendolo un po' per cercare di farlo reagire in qualche modo. Continuai così per minuti che mi sembrarono ore, infine Jack cominciò finalmente a dare segni di vita: prima emise un vago mugolio dolorante, poi piano, faticosamente, aprì appena gli occhi.
- Mi senti, Jack?- gli sussurrai, con una piccola punta di sollievo nel vederlo riprendere i sensi: lui fece un altro verso stentato, quindi annuì appena. Lo avevo disteso per terra, con la testa appoggiata sulle mie ginocchia: vidi che cercava di voltarsi per vedere dove eravamo. - Stai fermo, hai una bella ammaccatura. - gli dissi appoggiandogli una mano sulla fronte. - Siamo nelle prigioni. -
Jack rimase in silenzio per qualche secondo, quindi mi sembrò che annuisse di nuovo. - ...cosa è...successo?- domandò in un sussurro.
- Ti hanno stordito e ci hanno presi. Ettore ha seguito gli altri fuori, ho sentito rumore di cannoni e il commodoro ha detto che li avrebbe inseguiti, ma credo che se la siano cavata... lo spero. - una cosa alla volta. Una preoccupazione alla volta. Trattenni dentro di me la paura che fosse successo agli altri mentre valutavo le condizioni di Jack. - Il commodoro ti ha riconosciuto, lui e Burrieza avevano progettato tutto per incastrarci. Per ora siamo prigionieri qui... non so che cosa abbiano in programma per noi. -
Jack sollevò lentamente una mano: pensai che se la stesse portando alla testa, invece si chiuse sopra la mia. - Oh, mannaggia. - fece con un profondo sospiro, richiudendo gli occhi.


*mujer: donna, ragazza in spagnolo.

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Capitolo 10
*** Capitano, per sempre... ***


AVVISO: nel mio totale delirio scrittorico doveva sfuggirmi qualcosa... e infatti mi è sfuggito un intero paragrafo del capitolo prima che avrei dovuto scrivere e non ho scritto, dimenticando totalmente un pezzo fondamentale della storia. Me ne scuso tantissimo... non picchiatemi! Il paragrafo è stato aggiunto nel capitolo precedente e si trova tra due asterischi, prima della scena dello sbarco a Conceicao: riassunto, Laura trova Jonathan con il diario e glielo confisca. Mi scuso per la svista!


Capitolo 9
Capitano, per sempre...



Non dovemmo aspettare molto nel buio di quella prigione: Jack sembrava essersi ripreso e misurava a passi lenti la cella stretta, avanti e indietro, avanti e indietro, senza fermarsi, ma scrutando con vaga curiosità le sagome degli schiavi imprigionati attorno a noi. Li sentivo parlottare fra di loro nella loro lingua; non capivo una parola ma nella semioscurità vidi che molti guardavano nella nostra direzione. Potevo dire in tutta sincerità che in quel momento la loro presenza non mi interessava minimamente: avrei dato qualsiasi cosa pur di essere fuori dal quel sotterraneo soffocante.
- Certo che per noi due sta diventando una specie di abitudine quella di trovarci dietro le sbarre, hm?- fece Jack rompendo il silenzio con una giovialità del tutto fuori luogo; si appoggiò contro le sbarre e si sedette per terra, levandosi il cappello e gettando uno sguardo contrito alle sottili feritoie che fornivano una scarsa illuminazione al sotterraneo. - Mi chiedo perché debbano sempre tenere tutto così buio; o forse cercano di trasformarci in talpe?-
- Perché sprecare olio o candele per degli schiavi?- spiegai ruvidamente, con la testa da tutt'altra parte. Nei minuti che avevano seguito la nostra cattura non avevo fatto che sentire cannonate e spari dal porto, e i miei pensieri non si erano allontanati neanche per un attimo da Faith e il resto del nostro gruppo: non avevo modo di sapere se fossero riusciti a mettersi in salvo.
L'arrivo del governatore fu preceduto dalla sua voce che gridava imperiosamente ordini in spagnolo, prima che la porta del carcere fosse aperta con violenza facendo entrare la luce accecante di alcune fiaccole e Burrieza in persona seguito da alcuni dei suoi soldati. - Estos piratas las pagaràn todas juntas! Intentar estafar a mi! El gobernador! El senor Gillette habrà lo que quiere, pero antes... - il governatore si avvicinò rapidamente alla nostra cella, facendosi illuminare la strada da uno dei suoi soldati con la torcia in mano: quando il suo sguardo si posò su di noi vidi i suoi occhi stringersi pericolosamente prima di ricominciare a ringhiare le sue minacce in spagnolo. - ...antes tengo que saber. Cogedlo. El sòlo. -*
Non capivo quello che diceva, ma come vidi due dei soldati spalancare la cella e afferrare brutalmente Jack per le braccia afferrai il senso: presa da un folle istinto subito cercai di oppormi, tenendo stretto Jack per la camicia nel vano tentativo di impedir loro di portarmelo via, ma uno dei soldati mi respinse con uno spintone tale da sbattermi per terra.
- Atràs, puta!-** il disprezzo nelle sue parole non aveva bisogno di traduzioni. Lo portarono via in tutta fretta, curandosi anche di colpirlo alle costole col calcio di un moschetto quando gli sembrò che non camminasse abbastanza svelto: Jack incassò, ma dalla sua espressione vidi che la mazzata gli aveva levato il fiato. - Dove lo state portando?!- gridai con rabbia appendendomi alle sbarre, prima che chiudessero dietro di loro la porta della prigione senza degnarmi di uno sguardo. Il buio ricadde su di me come una coperta soffocante mentre, col cuore in gola e il fiato mozzo, non riuscivo a distogliere lo sguardo dal punto in cui Jack era scomparso trascinato a braccio dai soldati. Solo dopo alcuni istanti abbassai gli occhi per incontrare quelli di un negro nella cella accanto che mi osservava in silenzio. - Voi... sapete dove lo portano?- domandai febbrilmente, ma quello rimase a fissarmi senza aprire bocca: gli altri suoi due compagni, un uomo e una donna, fecero altrettanto.
- Lo sapete? Sapete dove lo stanno portando? C'è qualcuno qui che mi capisce?- freneticamente mi guardai attorno, ma vedevo solo visi color del carbone che mi scrutavano dall'ombra senza accennare una risposta. - Dove lo stanno portando? Dove lo stanno portando?! Per favore! Ditemelo, per favore!- la mia voce era sempre più stridula, mi sentivo sull'orlo di un attacco isterico. Per fortuna mi salvò un uomo due celle più in là che in quel momento, forse spinto da pietà, forse era uno dei pochi a capire la mia lingua, prese a fare dei cenni verso di me chiamandomi piano: - Senora... milady... -
Mi sporsi più che potei per riuscire a parlargli a quattrocchi: - S...sì?- - ...Tu e quel hombre... quell'uomo... - parlava un inglese stentato con un forte accento, infilando ogni tanto qua e là lo spagnolo che doveva avere imparato dai suoi carcerieri. - ...siete pirati? Dice pirati. El gobernador... Burrieza: diceva pirati. - puntò insistentemente l'indice contro di me, per sincerarsi che afferrassi le sue parole.
- Sì... - annuii in fretta. - Dove lo portano? Non vorranno... - avevo la gola secca. Non potevano ucciderlo così, seduta stante, no? Era un prigioniero prezioso, di certo non ci avevano chiusi in cella per ammazzarci subito dopo... o almeno così speravo.
Il negro annuì di rimando e continuò, sforzandosi di parlare un inglese comprensibile: - Burrieza caccia i pirati. Li vuole. Tutti i pirati. Todos, comprendes?- quando presa dal nervosismo mi feci sfuggire una risatina amara sentendomi dire il familiare “comprendi?” in una lingua straniera il negro dovette concludere che ero un imbecille, così alzò gli occhi al cielo e riprese scandendo bene le parole. - Burrieza prima detto che voleva sapere. Sapere, capito? Chiedere. Interrogare. Avete barco? Una... nave? Avete una nave? Nave fuggita, forse?-
Interrogare... sì, probabilmente aveva portato via Jack per un interrogatorio. Questo tuttavia non servì a calmarmi: non conoscevo le usanze spagnole, ma se non erano troppo diverse da quelle della marina britannica gli interrogatori non potevano essere niente di piacevole.
- Abbiamo... - mi morsi la lingua appena in tempo scrutando lo schiavo con sospetto: si era mostrato disponibile ad informarmi, ma cosa gli avrebbe impedito di passare a Burrieza qualsiasi dettaglio riguardo la nave o la ciurma che mi fossi lasciata sfuggire? Non potevo sbilanciarmi in nessun modo. Quando vide che non rispondevo scrollò le spalle: - Se avete nave e nave è fuggita allora Burrieza la vuole. Interrogare, capito? Fa male, anche: torturas. A noi fa sempre. -
Il mio cuore perse un battito: sfortunatamente avevo visto giusto. Con un vago cenno di ringraziamento all'uomo dalla pelle nera tornai a rintanarmi in un angolo della cella, lo stomaco in subbuglio: sentivo la nausea nervosa salirmi alla gola, e quello che era peggio era non sapere quanto tempo sarei potuta rimanere lì da sola, aspettando, con l'orribile immagine di Jack trascinato via dai soldati e quello che gli sarebbe potuto accadere di lì a poco.

* “Questi pirati la pagheranno cara! Cercare di ingannare me! Il governatore! Il signor Gillette avrà quello che vuole, ma prima... prima devo sapere. Prendetelo. Solo lui.” ** “Indietro, puttana!”

*

Avevano corso lungo tutto il porto, fra il fuoco dei cannoni nemici e quelli della stessa Perla Nera: i soldati non avevano rinunciato facilmente alle loro prede, ma alla fine avevano desistito ed erano indietreggiati dietro la batteria di cannoni schierati nel piazzale. Mentre correva quasi trascinandosi Faith appresso, Ettore aveva scorto Gibbs sul ponte della nave che guardava in direzione dei fuggitivi: entrambi avevano compreso che per la pattuglia non c'era speranza di salire a bordo.
Mentre la Perla levava l'ancora, facendo fuoco da prua a poppa per rispondere all'offensiva del forte, lo sparuto manipolo di pirati era fuggito lontano dalla città, in direzione della zona boscosa dell'isola.
Faith strizzò forte gli occhi sollevando appena la testa dal tronco sul quale l'aveva appoggiata, mentre confusamente si chiedeva perché di colpo il mondo fosse diventato verde e dorato. Quando si fu schiarita la vista riconobbe sopra di sé la vegetazione intricata attraverso la quale filtravano i raggi del sole, tappezzando il sottobosco di un mosaico di luci ed ombre. Un dolore acuto alla gamba le fece ricordare molto in fretta perché si trovavano lì: quando Ettore l'aveva fatta stendere contro il tronco dell'albero lei doveva avere quasi perso i sensi per qualche attimo.
Faith strinse i denti trattenendo un singulto mentre con infinita attenzione Ettore le incideva la gamba con un piccolo coltello che portava in tasca e che era solito usare per incidere il legno o tagliare le funi, estraendo il proiettile. - Fatto. - la rassicurò il marito appena il piccolo corpo di metallo cadde a terra. Faith respirò profondamente: il proiettile non era penetrato in profondità e avevano potuto estrarlo rapidamente, ma il taglio le bruciava da morire, così diede subito istruzioni ad Ettore per fasciare accuratamente la ferita.
- Va meglio?- Valerie era rimasta per tutto il tempo accanto a lei, appollaiata sulla radice di un grosso albero.
Faith annuì, quindi sollevò lo sguardo e disse in fretta: - Dobbiamo tornare alla Perla il prima possibile, non c'è un attimo da perdere!-
- Rallenta. - la mano di Ettore le si posò con decisione sulla spalla perché rimanesse seduta. - Tu per ora non vai da nessuna parte, non con la gamba conciata in quel modo. -
- E' il momento di muoverci, invece. - Jonathan si raddrizzò mentre si infilava in cintura le due pistole, più per abitudine che per necessità dato che le aveva scaricate entrambe nella scaramuccia. - Qui non siamo al sicuro, la Perla Nera ha lasciato il porto e non ci vorrà molto perché Burrieza ci metta i suoi uomini alle calcagna. Scusami Faith... - fece un cenno col capo verso di lei. - ...ma non abbiamo tempo, ti devi alzare. -
- E' esattamente quel che avevo intenzione di fare. - replicò caparbiamente Faith mentre con gesto secco accettava la mano di Valerie per alzarsi. Ettore si mosse di scatto come se la volesse fermare, ma poi ci ripensò e si rassegnò, rimanendo a guardarla di sottecchi con aria di disapprovazione. Uno scalpiccio fra le piante di mangrovie li fece sussultare, ma erano solo i due pirati sopravvissuti che tornavano dalla ronda: quando Ettore aveva fatto fermare il gruppo per assistere Faith li aveva mandati a sorvegliare i paraggi per riprendere prontamente la fuga nel caso fossero stati inseguiti.
- Nessuno in giro. Per ora. - riferì sbrigativamente il pirata barbuto. - Ma ce ne dobbiamo andare, siamo troppo vicini a quel dannato forte e io non resterei qui un secondo di più. -
- Dove andiamo?- chiese Valerie mentre aiutava Faith a camminare: il fitto sottobosco la intralciava, ma almeno lei si reggeva sulle gambe. I pirati si scambiarono occhiate dubbiose per lunghi istanti, infine Jonathan azzardò: - Meglio se andiamo dove il bosco è più fitto, so che molti schiavi fuggiti si nascondono in posti come questo. E poi se raggiungiamo la spiaggia nel lato disabitato dell'isola è probabile che riusciamo a farci recuperare dalla Perla... -
Ettore sospirò e scosse la testa: - Allontanarci dalla città e sparire nel bosco? E per quanto tempo? Siamo feriti e quasi non abbiamo armi... colpi in canna?- si girò attorno squadrando i suoi compagni: uno dei due pirati sollevò una pistola, Valerie sollevò una delle sue. Nessun altro. - Due pistole in tutto. Io ho qui una spada e un coltello per il cordame, non è molto e di certo non è sufficiente se intendiamo darci alla macchia... -
- Ephraim. - il nome pronunciato da Faith a mezza voce fece voltare tutti verso di lei ad occhi sgranati; vedendosi di botto al centro dell'attenzione lei sussultò e alzò le mani. - Cioè, stavo solo pensando... Ephraim Evans, il padre di Laura, è ancora qui in città. -
Le sopracciglia di Jonathan erano talmente aggrottate che formavano un'unica linea sulla sua fronte. - E allora?-
- Potremmo chiedere aiuto a lui!- esclamò Valerie, capendo dove Faith volesse andare a parare. - Potrebbe essere l'unico modo per rimanere al sicuro finché non troviamo il modo di contattare la ciurma o di aiutare Laura e il capitano. E di certo il signor Evans... -
- ...non rifiuterà il suo aiuto se c'è di mezzo sua figlia. - terminò Faith per lei, con lo sguardo acceso da una foga improvvisa. - E' questo che dobbiamo fare, la cosa più importante adesso è liberare Laura e Jack!-
- La cosa più importante adesso è restare vivi!- protestò il giovane.
- Io non intendo abbandonarli!- Ettore si era fatto avanti; l'uno di fronte all'altro, il pirata superava Jonathan di due spanne buone. - Abbiamo una possibilità di salvarli? Usiamola. -

*

Passarono probabilmente diverse ore, perché la luce che filtrava dallo spiraglio vicino al soffitto aveva lentamente attraversato il pavimento per tracciare una sottile linea luminosa nel quadrato della mia cella: dopo avere vagato avanti e indietro nei due metri scarsi circondati dalle sbarre senza trovare pace, alla fine mi ero accasciata sul pavimento e c'ero rimasta senza più nemmeno la voglia di alzarmi. C'era una puzza soffocante, l'odore di decine e decine di uomini e donne ammassati nelle celle: non avevo idea di quanto grande fosse la prigione e di quanto schiavi ci fossero intrappolati là sotto con me.
Mentre mi rigiravo nel mio angolino mi accorsi finalmente di qualcosa sotto al vestito che mi dava fastidio e che non riuscivo a capire cosa fosse: me ne ricordai di colpo solo quando sentii il piccolo oggetto quadrato premermi contro la pancia sotto la fascia del vestito. Il diario... Lentamente allentai la fascia in vita ed estrassi il libricino tutto spiegazzato, la copertina era rovinata e ruvida sotto le mie dita; rimasi per lunghi istanti a contemplare il diario nella luce fioca della prigione. Non provai nulla se non un senso di macelato rancore: avevo perfino perso ogni curiosità per ciò che avrebbe potuto esservi scritto. Era quel diario che ci aveva portati lì.
Con leggerezza, quasi distrattamente, lo buttai in un angolo e ve lo lasciai.
Di colpo si spalancò la porta e la luce del corridoio mi ferì gli occhi a tal punto che non vidi i soldati che portavano Jack finché non furono davanti alla cella: aprirono la cella e lo buttarono dentro come un sacco di patate, Jack crollò inerte sul pavimento. Mi si mozzò il fiato in gola.
Mentre i soldati se ne andavano senza dire una parola mi inginocchiai accanto a lui, cercando di farlo alzare. - Jack!-
- ...ci sono, ci sono... Ah!- la sua voce era stentata, e il gemito di dolore che gli sfuggì appena lo sfiorai mi fecero temere il peggio.
- ...Cosa ti hanno fatto?-
Senza rispondere lui si tirò indietro, trascinandosi sul pavimento finché non appoggiò la schiena alle sbarre: la sua mano incontrò il suo cappello per terra, e lo vidi rimetterselo in testa con un certo sollievo. I suoi movimenti però erano terribilmente troppo deboli per non preoccuparmi. Un po' della luce che filtrava dalla feritoia rischiarando l'ombra cadeva proprio su di lui: prima che potesse opporsi mi avvicinai a lui e gli tolsi con decisione il cappello sotto il quale si ostinava a nascondersi. Sussultai: aveva un labbro spaccato e sotto lo zigomo destro c'era un'ammaccatura sanguinante.
- Oh, Jack...!- mormorai, soffocando un singulto di rabbia. Sospirando lui mi arruffò i capelli con una mano e cercò di sorridere: - Non è niente, ho ricevuto botte peggiori. -
Inghiottendo a fatica anche quel boccone amaro strappai un pezzo di stoffa penzolante dalla mia gonna e cominciai a pulire alla meno peggio il viso di Jack: odiavo anche quello stupido vestito ingombrante, quell'involucro che non ero io. Jack mi lasciò fare senza protestare, a occhi bassi: mentre lo osservavo notai nuovi lividi sul petto che si intravedevano appena, di poco scoperti dal bavero della camicia; potevo solo immaginare quanto duramente lo avessero pestato. Mentre tamponavo il sangue sul labbro spaccato mi tremavano le mani: se Jack quella volta non aveva parlato, la prossima sarebbero passati a torture più raffinate?
Quando lo ebbi ripulito dal sangue aveva un aspetto un po' migliore: - Su, adesso basta. - disse allontanando gentilmente la mia mano. - Tu stai bene? Non sono venuti a prendere anche te, vero?-
- No. - scossi la testa. - Cosa ti hanno fatto? Volevano sapere che cosa ci facevamo qui?-
- Anche. - Jack si abbandonò contro le sbarre con una smorfia. - Volevano sapere che cosa siamo venuti a cercare qui e soprattutto dove fosse andata a nascondersi la Perla. Mi hanno fatto un po' di domande, sì... e il fatto che non gli dessi le risposte che volevano sentire li ha fatti un tantino, come dire... irritare. -
Non riuscivo a parlare, non riuscivo a fare altro se non scuotere incredula la testa, mordendomi le labbra per non fare uscire la rabbia sorda che mi annodava la gola, mi pulsava nelle tempie, mi impediva di fermare il tremito nervoso nella mani. - Se ti toccano ancora io li... li... -
- Sì, probabilmente lo faresti. - Jack increspò le labbra sanguinanti in un sorrisetto. - Ma per favore, non cacciarti nei guai. Burrieza non sa chi sei, e nemmeno quel simpaticone del neocommodoro Gillette, perciò vedi di non farli innervosire, comprendi? Se gioco bene le mie carte credo di avere qualche possibilità di tirarti fuori da qui. -
- Smettila di proteggermi!- quasi urlai, dando pericolosamente sfogo a tutta la rabbia che avevo in corpo. Lui inarcò un sopracciglio, senza capire: lo avevo lasciato di stucco. - La devi smettere! Perché non sei scappato via con gli altri?-
Jack inclinò il capo all'indietro, scrutandomi con espressione indecifrabile. - Sembra quasi che ti dispiaccia. - mi canzonò in un tono che sapeva di sfida.
- Be', se ti devono fare questo!- non capiva, anche ridotto in quelle condizioni proprio non capiva. Perché diavolo ridacchiava sotto i baffi quando a me piuttosto veniva da piangere? Dio, a volte glielo avrei voluto cancellare dalla faccia quel mezzo sogghigno che sfoggiava anche nelle situazioni più disperate... Che cosa potevamo fare? Cosa?
A quel punto Jack chiuse gli occhi e chinò il capo: sembrava esausto. Si rannicchiò nell'angolo della cella e vi rimase, immobile col cappello calato sopra gli occhi; stranamente in quel preciso istante, anche se eravamo l'uno accanto all'altra e la cella era tutto meno che spaziosa, lo sentii improvvisamente lontano da me. Il suo silenzio, un muro alzato fra di noi. Il cappello, a coprire gli occhi e le ferite che gli erano state inferte.
Mi voltai per quanto potevo, appoggiando la schiena alla sua spalla: era appena pomeriggio, e quel che restava del giorno si prospettava angosciante quanto la mattina. Distrattamente lisciai sulle ginocchia la stoffa del vestito, adesso lercia di polvere, sangue e tutto quello che imbrattava il pavimento della prigione. I minuti si trascinarono nel silenzio totale finché la striscia di luce proiettata dalla piccola feritoia non si assottigliò fino a scomparire.
Poco prima che il buio nella cella si facesse totale, mi caddero gli occhi sul diario che avevo gettato sul pavimento: se ne stava nel suo angolo, lacero, stropicciato, se non avessi saputo che era lì probabilmente non lo avrei neanche notato.
Era per colpa di quel diario se eravamo lì.
Il respiro pesante di Jack mi comunicò che forse si era finalmente addormentato. Allungai un piede e in un moto di rabbia calpestai ulteriormente il libricino.

*

La baraonda che c'era stata al forte non era certo passata inosservata dalle gente del posto, e con le navi che il mattino dopo cominciarono a battere la costa alla ricerca della scomparsa Perla Nera si sparse presto la voce che un famoso capitano pirata si trovava nelle prigioni di Burrieza.
Quella mattina i pescatori si scambiavano la loro versione dell'accaduto, e per quella sera stessa la novità era giunta a tutti i porti più vicini.
Fortuna volle che uno dei bastimenti partiti da Conceicao facesse porto all'isola di Oyster Bay, dove la parlantina dei mozzi fece presto a far girare la voce in tutto il porto. Stava calando il sole e i mercanti erano sul punto di ritirare i loro banchi: due donne discutevano a voce alta mentre raccattavano le ceste del pesce quasi vuote: - Dicono che sia stato un vero macello... uno scontro armato proprio nella casa del governatore!-
- Da non credere... per me hanno avuto quel che si meritavano, quei manigoldi senza dio... chi è quel capitano che hanno catturato?-
- Ah, non mi ricordo... si dice che le navi del governatore spagnolo, Burrieza, non siano mai state così allerta, stanno girando attorno all'isola per cercare la loro nave, la Perla Nera o qualcosa del genere... -
Will sussultò, drizzando le orecchie: aveva sentito bene? Si voltò verso le due donne e in pochi passi le raggiunse mentre ancora parlottavano. - Scusatemi... - le due sollevarono gli occhi e lo fissarono, sorprese dal suo tono urgente. - Perdonate se vi ho ascoltate, ma mi è sembrato di sentire nominare la Perla Nera... -
- Sì signore, parlavamo dei disordini a Conceicao, non ne avevate sentito nulla?- gli rispose una delle due mentre cincischiava con la sua cesta di vimini. Will scosse il capo: - A dire il vero no, niente... che cosa è accaduto?-
- Una nave pirata!- sopraggiunse la seconda donna, felice di potere fare sfoggio dei propri pettegolezzi. - Ha assalito il forte spagnolo giusto l'altro giorno, ma sembra che il capitano sia stato catturato. -
Will avvertì una fastidiosa morsa di nervosismo allo stomaco mentre ringraziava le donne e si allontanava dal banco del pesce: non c'era pericolo di sbagliarsi, c'erano ben poche navi che si potessero confondere con la Perla Nera.
- Will!- Elizabeth lo chiamò e venne verso di lui sorridendo: era rossa in viso per il caldo, con una mano reggeva il paniere pieno delle cibarie appena comprate e con l'altra teneva per mano David che sembrava voler fare tutto tranne che starsene buono al fianco di sua madre. Will pensò quanto fosse strano vederla senza spada al fianco. - Possiamo andare a casa adesso? Oh, tienilo d'occhio tu per favore... - spinse gentilmente il bambino verso di lui. - ...è tutto il giorno che mi sta facendo impazzire!-
Will prese per mano il figlio che subito cominciò a saltellare, tirandolo insistentemente per il polso: - Papà, quando torniamo a casa mi fai usare la spada? Eh? Posso?-
- Non adesso, David. - tagliò corto Will forse un po' più bruscamente di quanto intendesse, quindi prese Elizabeth per un braccio. - Elizabeth, ti devo parlare. -
Elizabeth lo guardò con un sopracciglio inarcato mentre il marito conduceva lei e il bambino lontani dalle strade del mercato: appena raggiunsero un posto appartato Will si fermò e disse d'un fiato: - Hai sentito gente parlare di Conceicao, al mercato?-
Un'ombra allarmata passò negli occhi di Elizabeth, e Will intuì che qualcosa doveva avere sentito anche lei: - Alcuni mercanti ne stavano parlando... dicevano che c'è stato l'attacco di una nave pirata, e che il capitano... - si fermò di colpo vedendo l'espressione rivelatrice sul viso di Will. - Oddio... credi che si tratti di lui?-
- Due donne al banco del pesce hanno nominato la Perla Nera. - David stava diventando impaziente e Will si arrese a lasciarlo andare perché potesse gironzolare liberamente. Elizabeth stava per aggiungere qualcos'altro, ma Will improvvisamente le voltò le spalle e si incamminò sulla strada di casa come se non avesse intenzione di continuare quella conversazione: lei restò spiazzata da quel gesto; aveva visto la preoccupazione nel suo sguardo mentre parlava della Perla Nera, e aveva creduto che...
- Vieni David. - lo chiamò Will senza voltarsi mentre si allontanava. Lo sguardo del bambino rimbalzò per un istante tra i due, mentre sollevava un sopracciglio in un gesto che aveva molto di sua madre, quindi si avviò trotterellando dietro di lui.
- Ehi!- scattò Elizabeth indispettita, stringendosi al petto il cesto delle vivande e correndo rapida dietro ai due. - Will! Aspetta! Will!-
Il giovane rimase silenzioso durante tutta la sera: mentre la famiglia cenava riunita attorno al piccolo tavolo della cucina Elizabeth cercò più volte di riprendere il discorso di prima chiedendogli continuamente cosa esattamente gli avessero detto le due donne e cosa fosse accaduto al forte spagnolo, ma Will non appariva minimamente interessato ad approfondire la questione, limitandosi a rispondere a monosillabi. Quando la già precaria pazienza di Elizabeth superò il limite, lei si rizzò di colpo sbattendo con rabbia i pugni sul tavolo, facendo fare un balzo tanto al marito quanto al figlio. - Ma come puoi infischiartene?!- gridò, inferocita. - Smettila di rispondermi solo sì e no come se fossi una scema, diamine! Ma non pensi a Jack, non pensi che potrebbe essere successo qualcosa a lui, o a Laura e Faith che sono a bordo anche loro? Non te ne importa niente?-
- Elizabeth!- la riprese severamente Will mentre la fissava sconcertato: sentita che aria tirava, David aveva pensato bene di ficcarsi sotto il tavolo in attesa che passasse la tormenta. - Calmati, insomma, non c'è alcun bisogno di urlare. - si chinò per fare un cenno a David sotto il tavolo, che, rassicurato, si azzardò a mettere la testa fuori e guardare incuriosito che cosa accadeva. Elizabeth si sentì in colpa per avere spaventato il bambino, ma non poteva non parlare: - Allora dimmi come faccio a farti ascoltare quello che dico. E' tutta la sera che cerco di capire se c'è un modo di aiutare i nostri amici e tu stai lì senza dire niente... -
- Io andrò. -
Quelle due parole misero silenzio per venti secondi buoni mentre sia Elizabeth che il bambino fissavano Will ad occhi sgranati: il giovane con calma si alzò da tavola e guardò la moglie negli occhi mentre continuava: - Voglio andare a Conceicao, capire che cosa è successo e, se mi è possibile, aiutare Jack: se lui si trova là, la Perla Nera non sarà troppo distante, e allora saprò a chi rivolgermi per cercare aiuto. -
Elizabeth aprì la bocca per parlare, non trovò le parole, quindi ritentò: - Will... -
- Glielo devo. - la interruppe lui. - Hai ragione tu; non lo posso abbandonare. -
- Will, veniamo con te. -
Tutta la solennità sul volto del giovane andò in pezzi in un attimo: - No!- protestò con veemenza. - Non se ne parla neanche, tu e David dovete restare qui!-
- Sono tre anni che io e David “dobbiamo restare qui”!- esclamò Elizabeth quasi con rabbia, fissando Will con una determinazione che il giovane ricordava di averle visto in volto soltanto tanto tempo prima, ritta sul parapetto di una nave al comando della più grande flotta di pirata mai esistita. - Veniamo con te, non voglio discussioni: credi che non abbia a cuore la vita di Jack o delle mie amiche di infanzia?-
- Elizabeth... - Will annaspò, come far ragionare sua moglie quando si infervorava per qualcosa? - Ti prego, non voglio che vi accada qualcosa di male, possibile che tu non riesca a capirlo? Sarà un altro viaggio pericoloso, un'altra impresa rischiosa, credi che potrei mai perdonarmi se a uno di voi due venisse fatto del male?- accennò freneticamente a lei e a David che aveva cominciato ad ascoltare la discussione dei genitori con crescente interesse.
Elizabeth sfoderò un sorriso strano e si avvicinò a David, posandogli le mani sulle spalle. - E tu credi che permetterei a qualcuno di fargli del male? Dimentichi che non sei l'unico che sa usare la spada, Will. -
Con un un moto di stizza Will alzò gli occhi al cielo e voltò le spalle alla moglie, prendendo a camminare in cerchio per la cucina senza trovare qualcosa da risponderle: odiava essere messo con le spalle al muro da lei, anche perché aveva già largamente intuito che qualunque cosa avrebbe detto non sarebbe servito a smuoverla dalla sua decisione.
- E come avresti intenzione di liberare Jack una volta a Conceicao?- continuò Elizabeth col tono di chi sapeva di avere ormai la vittoria in pugno. - Un forte spagnolo non è una nave da abbordare, non puoi entrare con la spada in pugno e sperare di cavartela con un bel finimondo: qui ci vuole un piano. -
Will si voltò bruscamente verso di lei. - E tu ce l'hai un piano?- replicò, sardonico. L'allargarsi del sorriso di Elizabeth però fece sparire in fretta il sarcasmo dalla sua voce. - Si da il caso di sì. - rispose lei con semplicità. - Conceicao, vero? Il forte sotto il dominio spagnolo. E hai detto di avere udito il nome di Burrieza, nome che io ricordo piuttosto bene: è governatore da diverso tempo, e mi ricordo che una volta venne in visita a Port Royal per trattare con mio padre quando io avevo quattordici anni, quindici al massimo. Mi ricordo di lui, e lui conosce il mio nome. Anche se sono sparita dalla politica di Port Royal il nome Swann forse varrà ancora qualcosa, non credi?-
Mentre rifletteva sulle sue parole Will dovette ammettere che aveva una sua logica, anzi, poteva rivelarsi il modo perfetto per essere accolti nel forte dal governatore in persona senza colpo ferire, ed arrivare così molto più vicini a Jack di quanto si potesse sperare con un assalto da parte dei pirati. Tentennò senza sapere che fare: Elizabeth non gli aveva lasciato scelta ormai. - Oh... e va bene. - si arrese infine.
- Questo vuol dire che torniamo con i pirati?- saltò su improvvisamente David, che durante tutta la discussione se ne era rimasto zitto: ora i suoi occhi castani brillavano di gioia. Elizabeth ridacchiò divertita, Will avrebbe voluto rimproverarlo per quella mancanza di serietà davanti ad un'impresa così delicata ma non poté nascondere di provare una punta d'orgoglio per il figlio. - Sì David. Torniamo dai pirati. -
- Evviva!- il ragazzino balzò giù dalla sedia e si lanciò in uno sfrenato balletto di gioia saltellando attorno a sua madre.
- Oh David, non... ah, che importa. Elizabeth, partiamo domani mattina al più presto, metti da parte un po' delle provviste che ci serviranno per il viaggio, poi dobbiamo recuperare qualche arma, ci sarà utile... - mentre si affaccendava per preparare il viaggio imminente Will non poteva fare a meno di provare una certa eccitazione all'idea di ciò che li aspettava. Avrebbero preso un bastimento per Conceicao, e se non ce ne fossero stati avrebbero preso una barca e sarebbero andati da soli. Una volta lì avrebbero dovuto informarsi su ciò che era veramente accaduto, quindi studiare nei dettagli il piano di Elizabeth per introdursi nel forte e liberare Jack... L'adrenalina saliva, non lo poteva ignorare. Tornava per mare.
Inghiottendo un groppo in gola, senza capire se fosse maggiore la paura o l'eccitazione, sentì risuonare nella mente la voce di suo padre: - ...una volta che hai giurato, l'Olandese non si lascia più... Capitano, per sempre... -


Note dell'autrice:ci ho messo un bel po' di tempo ad aggiornare e me ne scuso con le lettrici, spero che vorrete continuare a seguire questa storia. Fra poco tempo in arrivo anche il capitolo 10 che è quasi finito, però questi capitoli mi stanno dando parecchi grattacapi: ogni commento, osservazione, suggerimento è come sempre ben accetto! Wind the sails!

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Capitolo 11
*** Dolore ***


Capitolo 10
Dolore.


La frusta schiocco per l'ennesima volta lasciando un'altra striscia sanguinante sulla carne. I muscoli di Jack si irrigidirono mentre lui stringeva i denti e sbarrava gli occhi, il viso premuto contro la grata di metallo alla quale era legato strettamente con la schiena nuda esposta al carnefice. Quella aveva fatto male.
- Allora, cane, pensi di averne avute abbastanza?- la voce di Burrieza era tranquilla mentre lo fissava dall'altra parte della grata, in modo da poterlo guardare negli occhi. Jack fece una smorfia e abbassò lo sguardo.
- Parla!- l'ordine imperioso dello spagnolo arrivò insieme ad una nuova frustata: Jack sussultò. - Che cos'hai da perdere, ormai? Sappiamo chi sei, sappiamo che tu e i tuoi scagnozzi eravate qua per derubare la mia casa; come vedi non c'è più niente che tu possa nascondermi, pirata. -
- Allora avreste la bontà di spiegarmi perché mi trovo appeso qui?- borbottò lui amaramente, raddrizzandosi per quanto poteva contro la grata. Burrieza gli si avvicinò fissandolo con occhi di fuoco: - Tu ti trovi qui... - disse scandendo le parole col suo forte accento spagnolo. - ...perché a quanto dice il commodoro Gillette, la tua maledetta nave è uno dei più pericolosi vascelli pirata di tutti i Caraibi. Certamente la tua morte vale qualcosa, ma non quanto la cattura di un'intera nave pirata. Dimmi dove l'hai mandata a nascondersi. -
- Quale delle parole “non lo so” non vi è chiara, vostra grazia?- un'altra frustata repentina quanto dolorosa lo fece sobbalzare bruscamente. - ...Così non è che ottenete molto, sapete?- protestò fra i denti non appena ebbe ripreso fiato. - Non so dove se ne sia andata. Il piano è fallito e la nave è andata a mettersi in salvo: “ogni uomo che indietro rimane indietro viene lasciato”, come si suol dire... comprendete?-
- Perfino il capitano? Non vi credo. - insistette Burrieza, minaccioso.
- A me è successo tre volte. -
Lo spagnolo sbuffò e si allontanò di qualche passo mentre anche il carceriere, con la frusta stretta in mano, si prendeva un attimo di pausa: Jack si mosse sulla grata come per stirare gli arti indolenziti. - Tu non me la racconti giusta. - continuò il governatore. - Per esempio, chi è la donna che portavi con te?-
Jack esitò, e il carceriere sembrò prepararsi a sferrare una nuova frustata per sciogliergli la lingua. - Non so chi sia, esattamente. - ammise dopo un istante, precedendo la frusta. - Ma credo che potreste passare dei guai se le faceste del male: penso sia una nobildonna finita per mare per vie... traverse. -
Lo spagnolo si accigliò: sembrava avere abboccato perfino più di quanto Jack avesse osato sperare. - Qual è il suo nome?-
- Miss... - Jack tentennò, con la lingua tra i denti. - ...Swann. Miss Swann. -
Centro. Burrieza spalancò gli occhi, raggiungendo il pirata in due passi e accostandosi alla grata tanto da guardarlo dritto negli occhi: Jack si augurò che la propria espressione non tradisse la bugia colossale che aveva appena detto. - Swann? Elizabeth Swann, per caso?-
Jack meditò sulla risposta per qualche secondo, abbassando lo sguardo: se lo spagnolo conosceva di persona Elizabeth, allora anche quella debole facciata sarebbe crollata. Però il solo fatto che Burrieza avesse visto Laura in faccia e ora fosse dubbioso sulla sua identità lasciava ben sperare: confondere le due ragazze era piuttosto difficile. - Sì... Elizabeth o qualcosa del genere. -
Burrieza gli voltò di nuovo le spalle, tornando sui suoi passi, ma adesso la sua espressione era turbata. - Non si è più saputo nulla di Elizabeth Swann dalla morte di Weatherby... possibile che... senor, llame a Gillette, es el ùnico que puede confirmar la identidad de la mujer. -* aggiunse rapidamente, rivolto alla sua guardia personale che attendeva all'entrata del sotterraneo.
- Es imposible, senor, el comodoro està en mar para dirigir la bùsqueda del barco de los piradas... -** rispose quello, stringendosi nelle spalle. Il governatore alzò gli occhi al cielo, quindi di voltò verso il carceriere. - Slegatelo. - ordinò indicando Jack. - E andate dalla ragazza. -

* “Signore, chiami Gillette, è l'unico che può confermare l'identità della ragazza.”
** “E' impossibile, signore, il commodoro è in mare per dirigere la ricerca della nave dei pirati.”

*

Credetti di impazzire, quando gli spagnoli vennero a portare via Jack per la seconda volta: lui sembrava essersi ripreso durante la notte, ma non fecero in tempo a filtrare dalla nostra misera finestra le luci dell'alba che i soldati ritornarono per lui. Un altro giorno a marcire nella semioscurità della prigione.
Poco dopo gli schiavi vennero portati fuori per occuparsi dei loro lavori e nella prigione non rimase quasi nessuno. Temevo per Jack, temevo per Faith e gli altri, e l'idea di dover passare un altro giorno chiusa là dentro aspettando soltanto che Jack mi fosse riportato nelle stesse condizioni in cui era tornato la sera prima, se non peggio, mi faceva stare male. Camminavo avanti e indietro nel piccolo quadrato della cella: se fossi rimasta raggomitolata sul pavimento per un altro minuto probabilmente non sarei riuscita a rialzarmi mai più: mentre mi giravo e mi rigiravo tirando profondi respiri per combattere il senso di claustrofobia, di nuovo mi caddero gli occhi sul diario che la sera prima avevo abbandonato nell'angolo. Mi fermai e rimasi a fissarlo a lungo, come se mi avesse ipnotizzata: lo scrutai senza osare muovere un passo mentre lentamente mi schiarivo le idee che la paura aveva ingarbugliato. In fondo era sciocco provare rancore per un oggetto. Per di più quel diario poteva veramente essere importante, forse conteneva informazioni che avrebbero potuto aiutarci: mi diedi della stupida per averlo gettato via d'impulso la sera precedente e soprattutto per non averlo mostrato a Jack.
Così mi chinai e raccolsi il libricino da terra: lo sollevai per esporlo alla luce mentre ne valutavo le condizioni; non ero stata molto delicata, le pagine già rovinate si erano tutte spiegazzate. Mi ripromisi di scusarmi con Jonathan non appena lo avessi rivisto, quindi senza smettere di misurare la cella a piccoli passi per sgranchirmi le gambe aprii il diario e aguzzai la vista per decifrare la stretta calligrafia che ricordavo.
Mancavano alcune pagine iniziali, che dovevano essere quelle che io e Jack avevamo avuto per le mani: immaginai che Paulie, il ragazzino che le aveva vendute a Jack e che Jonathan conosceva, fosse venuto a sapere in una certa misura del valore che potevano avere quelle memorie e avesse approfittato di un momento per appropriarsi, non visto, se non dell'intero diario almeno di alcune pagine.
Le pagine coperte da quella scrittura stretta e disordinata sembravano promettere un lungo lavoro di traduzione. “Tanto meglio.” mi dissi, e col naso quasi incollato alle pagine ingiallite cominciai a leggere.

Giorno diciannove
I commerci in tutto il Golfo del Messico, dal Nuovo Messico alla Florida, sono stati fruttuosi:, i diamanti sono andati via come il pane e siamo tutti pieni d'oro. A Panama molti hanno preso la loro parte e hanno lasciato la ciurma, ma io ho deciso di rimanere sulla Golden Princess. Dawkins è un bravo capitano. Visto quanti soldi ricaviamo da ogni viaggio ci sono uomini che ucciderebbero pur di entrare nella ciurma, ma il capitano è molto scrupoloso su chi prendere a bordo o chi no.

Giorno ventiquattro
Riprendiamo il largo domattina al più presto: oggi ho seguito il capitano in lungo e in largo per Fort Walton mentre sistemava i suoi affari, voleva che io fossi presente. Tutto il ricavato degli ultimi diamanti è andato nella paga della ciurma, sia quelli che sono andati che quelli che sono rimasti, mentre Dawkins è andato in banca e ha prelevato tutto ciò che aveva depositato. Tutto. Parola mia, non ho mai portato un sacco d'oro così pesante! Sono l'unico del quale il capitano si fida ciecamente, non avrebbe rivelato ad altri la presenza di tanto oro a bordo, specialmente non alle nuove leve della ciurma appena recuperate lungo queste coste: anche se il commercio dei diamanti riempie le tasche a tutti, nessuna ciurma è completamente affidabile. Quando ho chiesto al capitano cosa se ne facesse di tanto denaro lui mi ha detto solo: - Saldo un debito. - Non credo che parlasse di debiti di gioco, soprattutto perché anche se ama molto le carte è abbastanza abile da non farsi fregare. Penso che le cose si faranno più chiare quando avremo finalmente deciso la rotta, anche se, da parte mia, io ho già smesso di voler vedere chiaro nelle sue faccende da un bel pezzo.

Giorno venticinque
Deviazione sulla nostra solita rotta: siamo diretti in Inghilterra, a Bath, a casa del capitano. Me lo ha detto questa sera quando sono stato invitato a cena alla tavola degli ufficiali assieme al primo ufficiale, il medico di bordo e i due tenenti, Hume e Jameson. Ha imbandito una cena con ogni ben di dio e abbiamo gozzovigliato fino a tardi, una serata un po' più libertina del solito, ma il capitano sembrava desideroso di divertirsi. Deve andare a casa per “sistemare alcune faccende”, ha detto, poi mi ha preso in disparte e mi ha detto che i soldi sono tutti per la sua famiglia e da investire nei suoi possedimenti a Bath perché la miniera sta per sparire per sempre. Io non capisco cosa intenda e lui si rifiuta di dirmi di più: però mi è venuto da pensare a Lucy e al piccolo Jonathan. Pensare che ho visto solo una volta il mio bambino quando aveva poco più di tre mesi. Insolito, ma ho davvero tanta nostalgia di casa. Non so perché il capitano non confidi più nella miniera che ci ha arricchiti fino ad ora, ma le sue parole sembrano una specie di premonizione: ho deciso che quando torneremo dall'Inghilterra tornerò da Lucy.

Giorno trentaquattro
Bath. Il capitano mi ha voluto nella sua scorta personale mentre portava a casa sua i frutti dei suoi commerci: sembrava contento di essere a casa, e a ragione; miss Eveline Dawkins è una donna deliziosa, e come scorta di suo marito siamo stati accolti con tutti i riguardi. Mi ha fatto conoscere i suoi tre figli: Dawkins ne è orgogliosissimo e si vede, credo che sia tornato qui per investire i suoi soldi per il loro futuro. Ho passato la giornata con lui fra le sue scartoffie, mentre lui faceva conti e borbottava dell'arruolamento in Marina del figlio maggiore, Philipp, della sua secondogenita che vuole dare in moglie e del più piccolo che ha solo undici anni ma che potrebbe cominciare presto l'addestramento per entrare nell'esercito. Mentre lo guardavo scartabellare non ho più resistito e gli ho chiesto il perché di tanta fretta: ci conosciamo da anni e non l'ho mai visto comportarsi così, sembrava un invasato. Lui si è fermato e mi ha guardato con un sorriso strano, e poi mi ha fatto un gran discorso che suonava più o meno così: - Io sto per andare via e non voglio lasciare niente a metà. Non hai idea di cosa abbia dato per avere quella miniera... quella miniera mi ha dato tutto! Il denaro, il prestigio, questa magnifica casa, il mio matrimonio e i miei figli! Wood, arriva un momento in cui un uomo si chiede cosa è stata la sua vita, e io posso dire di averla spesa bene. Alla fine ne è valsa la pena, capisci? Ne è valsa la pena. Ma il tempo sta per scadere, e presto la miniera non potrà più essere utile a nessuno: ho un grosso, grossissimo debito da saldare. Sta per finire tutto. -
Mi ha spaventato, credevo che fosse impazzito e stesse pensando di uccidersi! Quando gliel'ho detto, dicendogli da amico che temevo che fosse uscito di testa, lui si è messo a ridere e ha detto che non sta assolutamente pensando al suicidio. Poi ha ripreso a parlare in modo nostalgico, e io non ho smesso di chiedermi se non mi stia mentendo e non stia davvero pensando di farla finita. Ha cominciato a parlare dei suoi figli, di sua moglie... ecco, in tanti anni che lo conosco non mi ricordavo di averlo mai sentito parlare in modo molto affettuoso di sua moglie. Non perché non le sia affezionato o sia un marito crudele, certo. Ma stavolta per la prima volta sembrava in vena di romanticherie; ha cominciato a dire: - Mi rendo conto ora di quanto valga Eveline: è stata un'ottima moglie, mi capisci, Wood? Una bella e brava donna e un'ottima madre, non si può desiderare di più dalla vita. Che peccato accorgersene davvero solo quando è il momento di andare... - e via dicendo. Sembrava calmo, felice perfino. Poi ha detto che l'eredità andrà ai suoi figli, ma la nave, la sua Golden Princess, vuole lasciarla a me. Mi ha lasciato a bocca aperta come un tonno per dieci secondi netti: una nave, a me? Un quartiermastro? Ho cercato di spiegargli che stava farneticando, ma lui aveva già programmato tutto: ha tirato fuori una lista stilata non so quando con tutte le cariche che vuole assegnare; il suo primo ufficiale vuole farlo capitano di un'altra nave in suo possesso, e, fra una decina di altri, ci sono anch'io. - Ti spiegherò, non preoccuparti. Capirai. - mi ha detto.
Sarà, ma io non capisco.


Immersa com'ero nella memorie di Wood non mi accorsi subito quando la porta della cella si aprì, ma appena rizzai la testa sussultai vedendo qualcuno avvicinarsi: era troppo presto perché fossero gli schiavi di ritorno dal lavoro quotidiano, quindi onde evitare di destare sospetti mi cacciai frettolosamente il diario di nuovo nel posto dove l'avevo tenuto nascosto quando mi avevano catturata, appiattito sotto la fascia in vita. Mi raddrizzai in tutta fretta aspettandomi di vederli riportare dentro Jack, ma stavolta i due soldati spagnoli giunsero da soli: rimasi a guardarli mentre venivano verso la mia cella, quindi uno dei due si fermò davanti a me e domandò senza preamboli: - Elizabeth Swann?-
Aggrottai le sopracciglia sentendo l'ultimo nome che mi sarei aspettato di sentire pronunciare in quel luogo: che cosa poteva avere a che fare Elizabeth con tutto questo? Poi di colpo mi tornarono in mente le parole di Jack della sera precedente: “Burrieza non sa chi sei... credo di avere qualche possibilità di tirarti fuori da qui...”
Presi un grosso respiro augurandomi di avere avuto l'intuizione giusta e, fissando negli occhi il soldato che mi aveva rivolto la parola, annuii lentamente. L'altro soldato diede una gomitata al primo con aria stizzita, e dai suoi borbottii irritati intuii il perché: il secondo aveva commesso un grosso errore dicendomi subito il nome che voleva sentire invece di mettermi alla prova chiedendolo direttamente a me. Quella svista poteva andare a mio vantaggio.
- Come sapete il mio nome?- continuai, tanto per rincarare la dose. I due non mi risposero, ma se andarono mentre dietro di loro arrivavano le altre guardie tirandosi dietro un Jack più morto che vivo: come una macabra replica del rituale del giorno prima lo buttarono nella cella e se ne andarono. Tornai accanto a lui col cuore in gola, se possibile ancora più in ansia del giorno prima: lo avevano lasciato in pantaloni e aveva la schiena inzuppata di sangue; quando gli girai attorno per controllargli le ferite vidi chiaramente le lacerazioni delle frustate.
- Abbiamo una via d'uscita. - annunciò Jack con un ottimismo che faceva a pugni con lo stato in cui era ridotto.
- Sei stato tu a farmi passare per “Elizabeth Swann”?- sibilai a bassa voce, incredula. Lui annuì vigorosamente mentre lo facevo appoggiare alle mie ginocchia: - Burrieza conosce Elizabeth ma credo che non la veda da diversi anni... perciò ricordati bene, tu sei miss Swann caduta in disgrazia e imbarcata per disperazione su un nave pirata, d'accordo? Ai dettagli penseremo dopo. Gillette è in mare e per un po' non potrà dare problemi, se almeno tu esci da qui forse riusciamo a portare a casa la pelle, comprendi?-
- Jack, se ti torturano un'altra volta non avrai più pelle da portare a casa!-
Jack emise un grugnito che assomigliava vagamente ad una risata. - Che esagerata... -
Lo presi per le spalle mentre lo facevo appoggiare più comodamente contro di me perché stesse dritto. Era tutto imbrattato di sangue. Con un groppo in gola mi ricordai le continue raccomandazioni di Faith su quanto fosse importante tenere pulite le ferite per impedire che si infettassero. - Jack, tu stai male. - mormorai, chinandomi su di lui.
Fece un sorriso forzato. - Sono stato peggio. -
- Bugiardo. -
Lo abbracciai piano, passando con infinita cautela le mani dietro alla schiena ferita. Jack esitò a ricambiare il mio abbraccio, poi mi cinse la vita con le braccia e appoggiò la testa sulla mia spalla: restammo a lungo abbracciati senza dire una parola, poi gli presi il viso fra le mani e avvicinai le labbra alle sue. Lo baciai affondando le dita nei suoi capelli, Jack sospirò stringendomi le braccia ai fianchi e ricambiò, abbandonandosi contro di me, lasciandosi coccolare a lungo in quel bacio... Ad un tratto si staccò da me e mi lasciò andare, allontanandomi da sé in tutta fretta. - Questo non me lo meritavo. - disse in tono grave alzando le mani fra me e lui.
Lo fissai senza capire mentre si tirava indietro. - Che diavolo vuoi dire?- ribattei, piuttosto spiazzata dalla sua reazione: tutto mi sarei aspettata meno che quel repentino rifiuto.
- Che non ne vale la pena, ecco cosa voglio dire. Che non avrei mai dovuto trascinarti fin qui. - Jack si trascinò indietro fino al muro della cella senza guardarmi. - La sera che tu sei andata a cercare tuo padre io ero con due prostitute. Non sono un brav'uomo, Laura, non lo sono mai stato. Perciò lascia stare. -
Non avrei saputo dire se a fare più male fossero state le sue parole o il tono addolorato col quale le aveva pronunciate: il peso della sua rivelazione mi crollò addosso con la violenza di una mazzata, lasciandomi ammutolita e con una devastante sensazione di vuoto. Chinai il capo con gli occhi sbarrati, scuotendo lentamente la testa senza riuscire a credere alle sue parole.
- Perché diavolo mi dici questo adesso? Io non posso credere... - dissi in tono tagliente rialzando lo sguardo dopo attimi di insopportabile silenzio. - ...che nonostante tutto... nonostante tutto... tu ti sia preso gioco di me in questo modo. -
Con una smorfia addolorata Jack abbassò gli occhi a terra per non incontrare i miei.
- Scusa. - mormorò senza cambiare tono.
Arrabbiata, ferita, incredula, mi allungai e irrigidii il braccio come se avessi intenzione di colpirlo con uno schiaffo sulla guancia. Ma mi fermai. A che diavolo sarebbe servito aggiungere dolore al dolore, anche se lui aveva appena fatto altrettanto con me?
Jack non reagì: non si mosse nemmeno quando abbassai bruscamente il braccio, prima di rintanarmi nell'angolo opposto della cella. Lui non disse più niente, e guardando di sottecchi le sue ferite mi sentii divorata dai sensi di colpa per avere anche solo pensato di reagire con uno schiaffo, ma la rabbia era più forte di qualsiasi altro pensiero.
In quel momento persi in un colpo solo ogni brandello di speranza: perfino l'uomo che amavo e di cui avevo fiducia mi aveva appena dato prova di non meritarne alcuna.

*

Il sole era sorto da poche ore sul porto di Conceicao quando Ephraim Evans entrò in una locanda semideserta in compagnia di una giovane donna: il marinaio passò a lei l'involto che teneva in mano, un pacco di bende e medicinali che avevano comprato per Faith, quindi le disse sbrigativamente: - Aspettami qui. - per poi raggiungere la locandiera seduta al bancone.
Mentre il signor Evans attaccava bottone per tentare di sapere qualcosa riguardo ai prigionieri di Burrieza, Valerie andò a sedersi ad uno dei tavoli vuoti, tenendosi l'involto sulle ginocchia. A quell'ora del mattino era normale che ci fosse così poca gente nella locanda; alcune sedie erano ancora rovesciate sopra i tavoli mentre un giovane garzone magro e lentigginoso ramazzava il pavimento con evidente svogliatezza: le ricordò il suo lavoro alla Testa di Turco, a Tortuga, e sorrise fra sé.
Ephraim tornò da lei dopo un po', con la faccia scura: Valerie sapeva molto bene che l'anziano marinaio aveva accolto lei e i suoi compagni solo per via di Laura, e per Faith che era ferita e aveva bisogno di cure. Avevano raggiunto la sua barca la notte prima, protetti dall'oscurità: sapevano che non era ancora salpato ed erano venuti a bussare alla porta della sua piccola cabina, e la ragazza non avrebbe saputo dire se per Ephraim fosse stato più lo stupore o il fastidio nel trovarsi davanti tutta la truppa in malarnese che gli chiedeva rifugio.
Alla fine glielo aveva concesso: sette pirati da nascondere; non dovevano farsi vedere alla luce del sole, dove qualcuno al porto avrebbe potuto notare la loro presenza, così tutti erano dovuti rimanere stipati nello spazio angusto di sottocoperta della piccola barca. L'unica comodità era stata riservata a Faith, che doveva rimanere sdraiata sulla cuccetta con la gamba ferita immobilizzata in attesa di cure: Ephraim si era premurato anche di questo, e dopo il suo giro per la raccolta di informazioni lui e Valerie sarebbero tornati per prendersi cura della gamba della ragazza. Valerie indossava ancora il vestito elegante del giorno prima per farsi passare per una donna del posto: per renderlo meno appariscente aveva strappato ricami e orpelli durante la notte, e lo aveva ripulito dal sangue; ora chiunque l'avesse vista l'avrebbe giudicata nulla più che una bella ragazza ben vestita, ma niente che potesse destare sospetti.
- Avete saputo qualcosa di nuovo?- chiese Valerie a bassa voce mentre Ephraim le si sedeva accanto.
- Le voci corrono in fretta. Per fortuna. - borbottò l'uomo, gettando un'occhiata circospetta attorno a sé anche se nella locanda non c'era nessuno di cui preoccuparsi. - Il commodoro Gillette di Port Royal è stato mandato a perlustrare le acque attorno all'isola per cercare la Perla Nera... mi auguro che la vostra ciurma sia abbastanza sveglia da mettersi al sicuro da sola. - abbassò ulteriormente la voce.
- Sapranno cavarsela. E poi c'è Gibbs con loro. - Valerie liquidò la faccenda con un cenno del capo. - Laura e il capitano?-
- Sono giunte delle voci dalla cameriera del governatore, quindi spero proprio che siano abbastanza affidabili... si dice che i prigionieri saranno affidati al commodoro Gillette da un momento all'altro, però ci sono delle beghe in corso: hanno detto che c'è una donna prigioniera... Laura... - i suoi occhi mandarono un guizzo. - ...che sembra che sia un personaggio importante, una che conosce il governatore. Questo forse potrebbe salvarla. -
Valerie emise un sospiro di sollievo senza poter evitare di farsi sfuggire un sorriso: - Diavolo di una ragazza... lei e il capitano ne avranno inventata una delle loro. Ma allora c'è ancora qualche speranza che non li diano al commodoro?-
Ephraim si strinse nelle spalle: - Be', quello che è certo è che quei due non si muoveranno dalle prigioni finché Gillette non torna dal suo giro di ricognizione, e sono abbastanza sicuro che lui vorrà trovare anche la Perla Nera a tutti i costi. Intanto magari, qualunque sia il trucco che quei due hanno usato per fare passare Laura per una che il governatore conosce, forse potranno ritardare la sentenza, se non altro. Il problema è: noi cosa possiamo fare per salvarli?-
Nello stesso momento si aprì la porta della locanda; Valerie scoccò un'occhiata oltre Ephraim, che dava le spalle alla porta, ma si tranquillizzò subito: era solo una famigliola, un uomo giovane, una donna e un bambino piccolo. Forse erano personaggi importanti in quella città o avevano dei possedimenti, perché erano ben vestiti e lei soprattutto aveva un'aria aristocratica, ma quale che fossero i loro interessi lì a Conceicao Valerie se ne disinteressò subito, e riprese la conversazione con Ephraim mentre i tre passavano in fretta dietro di loro per raggiungere il bancone.
- Il vero problema è che non abbiamo nessuno dei nostri da mandare dentro la casa di Burrieza... - rimuginò. - Noi non possiamo entrare, loro non possono uscire. Diamine, ci deve pur essere un modo. -
- C' un momento in cui usciranno. - fece Ephraim ad un tratto. - Quando li consegneranno a Gillette. Credo che li trasferirà a Port Royal per giustiziarli... e allora saranno sulla sua nave. -
Valeire ponderò quell'informazione per qualche istante, poi esasperata batté un pugno sul tavolo: Ephraim la guardò di sottecchi; decisamente doveva ancora abituarsi ai modi della ragazza. - Una nave è un po' meno irraggiungibile di una fortezza, d'accordo... ma siamo noi senza nave! Quando li porteranno via sarà l'unico momento in cui forse potremo recuperarli, ma solo se abbiamo la Perla Nera. Come facciamo senza?-
- Allora dobbiamo metterci in contatto con la ciurma della Perla Nera. - la voce di Ephraim era poco più che un bisbiglio. - In qualsiasi modo. E dobbiamo sapere con precisione quando il commodoro salperà con i prigionieri, sarà la nostra unica occasione. -
Mentre i due confabulavano, alle loro spalle Will, Elizabeth e David interrogavano la locandiera sugli ultimi avvenimenti: quella rise gioviale davanti a tutti quegli stranieri curiosi di sapere dell'attacco sferrato al forte e soddisfò la loro curiosità con dovizia di particolari. Una volta saputo tutto ciò che interessava loro sapere, i tre si ritirarono in un angolo dalla locanda, lontani da chiunque avesse potuto allungare un po' troppo le orecchie e, con David che si ostinava ad arrampicarsi su e giù per le seggiole, decisero rapidamente il da farsi.
- Gillette è qui. Ricordo che era il tenente di James Norrington, non sapevo che fosse stato promosso commodoro... - Elizabeth parlava in fretta, mentre nella sua mente si delineava un piano disperato. - Mi riconoscerà lui, se non lo farà il governatore. -
- Dobbiamo evitare ad ogni costo che qualcuno di Port Royal ci riconosca, invece!- protestò Will. - Dimentichi che sei fuggita di casa con l'accusa di cospirazione tre anni fa? Certo, di tempo ne è passato e Gillette conosce la tua storia, ma lui non è Norrington e non credo che ci vedrebbe di buon occhio anche se eravamo il genero e la figlia di Weatherby Swann. -
Elizabeth esitò: a questo non aveva pensato. Effettivamente non sapeva che cosa aspettarsi da Gillette: era stato un soldato devoto al suo governatore, ma come avrebbe reagito alla sua ricomparsa? Non si era mai data pena di conoscere quel tenente pallido, un po' goffo e sempre smanioso di eseguire gli ordini, che James Norrington si portava sempre appresso come un uomo fidato: non sapeva proprio se rivedendola l'avrebbe accolta con sollievo, come la figlia del suo defunto governatore, o se l'avrebbe arrestata come una fuggiasca e una fuorilegge.
- E' anche vero che... - Will rimuginò, prendendosi il mento barbuto fra le dita. - ...stando a quanto ci hanno detto, Gillette è alla ricerca della Perla Nera attorno all'isola. Quindi sarà via per un po' di tempo... Pensi che Burrieza ti proteggerebbe?-
Elizabeth annuì. - Se mi presento come Elizabeth Swann e gliene fornisco prove inequivocabili, ci proteggerà tutti e tre: era un grande amico di mio padre. -
Will sospirò e annuì: - Allora rischiamo e puntiamo tutto sulla sua protezione: dubito che riusciremo ad avere liberi Jack e Laura prima del ritorno di Gillette, ma possiamo tentare di parlamentare. -
- Almeno saremo nel forte: questo è già un vantaggio. - rincarò Elizabeth, caparbia.
I due discussero ancora per un poco sul come agire, quindi Elizabeth prese per mano David e il terzetto se ne andò in fretta com'era venuto: passarono di nuovo dietro il tavolo dove erano seduti Ephraim e Valerie, che si limitarono ad abbassare la voce per precauzione quando li sentirono camminare troppo vicini. Forse se Ephraim si fosse voltato avrebbe riconosciuto il viso di Elizabeth Swann, che per breve tempo era stata amica e confidente di sua figlia quando ancora il governatore di Port Royal veniva a Sunny Haven per affari o per piacere, ma non si voltò e non vide chi gli passava accanto. Il terzetto uscì dalla locanda e la porta cigolò leggermente al loro passaggio.
Due gruppi lavoravano di nascosto per tirare fuori due persone dalla prigione di Burrieza: adesso è quasi ironico pensare a quanto vicino fossero stati quella mattina a formare quell'alleanza che sarebbe stata l'unica possibile per liberare me e Jack.
Ma, almeno per il momento, l'occasione era sfumata.


Note dell'autrice: Qualche settimana fa mi è stata mandata un bella e-mail da Corvy; spero che tu passi di qua perché ho provato due volte a risponderti ma mi tornava indietro sempre la notifica di invio messaggio fallito. Volevo solo dirti che ti ringrazio molto per i complimenti, è sempre un grande piacere sapere che il proprio lavoro è apprezzato! Scrivere è da sempre la mia passione, e sono molto felice che la mia storia sui pirati, che mi stanno così tanto a cuore, ti sia piaciuta. Spero di sentire qualche altro tuo parere sulle prossime storie, se vorrai leggerle.
Grazie ancora.

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Capitolo 12
*** Il patto. ***


Capitolo 11
Il patto.


Le dita di Jack battevano ritmicamente sulle sbarre. Tic. Tic-tic.
Si fermavano un istante, più lungo o più breve a seconda di come gli girava, poi ricominciavano: tic-tic tic tic-tic-tic seguendo il ritmo sconclusionato di una musica tutta sua, che tamburellava sulle sbarre soltanto per ingannare il tempo... e il dolore, che doveva essergli rimasto in ogni fibra del corpo, dopo quel che aveva passato.
Io ero già sveglia da un po', ma fu quel frenetico tamburellare a convincermi ad aprire finalmente gli occhi. Prima me ne ero rimasta raggomitolata nel mio angolo, un po' per il desiderio di dormire ancora un po' quando invece la luce dell'alba filtrava impietosa con lame di luce dagli spiragli, un po' per sottrarmi almeno per un po' alla presenza di Jack con me nella cella.
Nessuno dei due aveva più aperto bocca dopo quello che ci eravamo detti la sera prima. La notte era stata lunghissima: dopo un'interminabile ora di silenzio gelido avevo finto di addormentarmi, ma in verità ero rimasta sveglia per un bel pezzo prima di scivolare finalmente in un sonno agitato. Però mentre fingevo di dormire avevo sentito ogni suo movimento: non aveva dormito neanche lui, probabilmente per il dolore delle ferite, e perché stava male.
Aprii gli occhi e battei le palpebre mentre la luce fastidiosa, per quanto smorzata, mi feriva gli occhi assonnati: Jack se ne stava rannicchiato contro le sbarre e non la smetteva di tamburellare con le dita. Non diede segno di essersi accorto di me e continuò il suo passatempo con aria assente, fissando distrattamente il vuoto davanti a sé. Stranamente vederlo così mi inquietò, e non poco: non era il Jack al quale ero abituata; mentre lo osservavo non potei fare a meno di guardare le sue ferite, molte delle quali non ancora del tutto rimarginate, e il pasticcio di sangue che era la sua schiena scoperta. Mi sentivo la gola annodata, ma la rabbia in sospeso fra di noi era ancora troppo forte per essere ignorata.
Jack continuò a tamburellare distrattamente sul ferro. Tic-tic-tic. Anche se non ci guardavamo negli occhi sapevo che aveva visto che ero sveglia, ed entrambi stavamo aspettando il momento in cui qualcuno si sarebbe deciso a rompere il silenzio. Era chiaro che non aveva la minima intenzione di essere lui a farlo.
Mi mossi appena e sentii la presenza del diario di Wood nascosto sotto la fascia: come per uno strano impulso mi raddrizzai improvvisamente, slacciai la fascia e ne tolsi il libricino, per poi porgerlo a Jack con un gesto secco quanto rapido.
- Ho il diario di Wood. - dissi senza tanti preamboli. Lo colsi così di sorpresa che non afferrò subito, ma rimase a fissarmi inarcando le sopracciglia. - Cosa?- fece, fissando il libricino massacrato che gli sventolavo davanti.
- Il diario di Gregory Wood, genio! Tutta la parte che a noi manca. Lo aveva Jonathan. Ce l'ho nascosto sotto il vestito da quando siamo entrati qui dentro. Volevo parlartene ieri sera, ma... - mi zittii: terreno pericoloso. Tacqui e con una smorfia stizzosa mollai il libretto nelle mani di Jack, che lo esaminò con curiosità sfogliando rapidamente le pagine consumate.
- Hai scoperto niente?- sembrava che si rivolgesse al libretto più che a me, perché non mi guardò neppure.
- Per ora niente che ci possa aiutare: sto cercando di leggere tutte le pagine per vedere se ci tiro fuori qualcosa di sensato, ma per ora racconta del capitano come di un invasato. Sembrava quasi che Dawkins stesse progettando la propria morte. - pensavo che avrei dovuto penare per mantenere l'argomento accuratamente solo sul piano e su null'altro, invece man mano che andavo avanti la voce cominciava a tremarmi per l'irritazione: come parlare ad un muro; Jack sfogliava il libretto come se non mi avesse neanche in nota.
Stavo accarezzando l'idea di strapparglielo dalle mani, così almeno sarebbe stato costretto a guardarmi, quando del fracasso all'ingresso della prigione ci fece sobbalzare. Jack alzò rapido gli occhi, digrignò i denti per un attimo con l'espressione di chi è stato colto in fallo e mi lanciò immediatamente il libretto: - Nascondilo. Ora. Subito. E tienilo nascosto. - mi sibilò.
Frettolosamente nascosi di nuovo il diario sotto la fascia, e un istante dopo davanti alla nostra cella comparvero alcune guardie, e non da sole: il governatore Burrieza era con loro, i pugni piantati sui fianchi, così elegantemente abbigliato da risultare del tutto fuori posto in un posto angusto e bui come quello. Respirai profondamente, dicendomi che con ogni probabilità era arrivato il momento di raccogliere i frutti della nostra bugia.
Ad un cenno del governatore le guardie aprirono la cella e vennero a prendermi: ebbi solo un brevissimo istante di esitazione prima che mi conducessero fuori, ad un tratto automaticamente mi voltai di scatto a guardare Jack che, accasciato nel suo angolo, per un istante ricambiò lo sguardo con altrettanta intensità. Poi le guardie richiusero la porta e mi condussero con loro seguendo Burrieza che camminava in fretta, chiaramente impaziente di lasciare al più presto l'aria irrespirabile della prigione.
Mi ero così abituata al buio che uscire alla luce del giorno mi lasciò fastidiosamente abbagliata, tanto che dovetti strizzare ripetutamente gli occhi mentre ci trasferivamo negli appartamenti di Burrieza: il governatore ci fece accomodare in un piccolo salotto dalle pareti bianche ricoperte di quadri. Al gesto educato anche se brusco di uno dei soldati mi sedetti nervosamente su di una sedia dalla fodera rossa: Burrieza esitò per qualche attimo in piedi accanto al camino incassato nella parete più vicina, quindi prese a sua volta una sedia e si sedette di fronte a me, fissandomi con un'intensità che era quasi imbarazzante.
- Se devo credere a quello che mi ha detto quel pirata che abbiamo lasciato nella sua cella, voi siete Elizabeth Swann, sparita dalla casa del governatore Swann tre anni or sono. - mi disse con la sua voce dal forte accento, fissandomi dritta negli occhi.
Accorgendomi che esigeva una risposta annuii: - La sono. -
Burrieza si corrucciò. - Potete dimostrarlo?-
Presi fiato, augurandomi che i mesi passati a bordo della Perla mi avessero almeno insegnato a mentire a dovere. Anzi, qui non si trattava neanche di mentire. Solo recitare. - Mio padre si chiamava Weatherby Swann, è stato fatto assassinare da Lord Beckett durante la sua campagna per combattere la pirateria... -
- Dove eravate voi mentre accadeva tutto questo?- mi chiese a tradimento il governatore.
Raddrizzai il capo cercando di assumere un'espressione determinata: - Sono fuggita da casa mia perché altrimenti sarei stata uccisa, governatore. - esclamai. - Mi sono dovuta rifugiare nei bassifondi, tra la gente della peggior specie, mentre capivo che quella delle specie peggiore era quella che aveva messo le mani sulla mia famiglia e l'aveva distrutta. - era una fortuna che da giovane avessi passato così tanto insieme ad Elizabeth, ora riuscivo a replicarne abbastanza bene il modo di fare.
Vidi un'ombra di compassione passare negli occhi di Burrieza e osai sperare di averlo convinto. - Sono davvero dispiaciuto per le difficoltà che avete dovuto affrontare. - mi disse in tono sentito. - In un certo senso è una vera fortuna che alla fine il destino vi abbia condotta in questa casa. -
Mi fece qualche altra domanda che riguardava la posizione della famiglia di Elizabeth fra la gente altolocata dei Caraibi, tutte cose che bene o male ricordavo dai discorsi fatti con la mia amica, e alla fine sembrò essere completamente convinto della mia identità: infine mi sorrise educatamente con aria sollevata e disse: - Sono lieto di offrirvi la protezione della mia casa, miss Swann. Perdonatemi per il trattamento che vi è stato riservato, ma vi credevamo una della risma di quel pirata: adesso invece so che posso fidarmi di voi. - si alzò e fece chiamare due cameriere. - Le mie governanti saranno a vostra disposizione per qualsiasi cosa di cui avrete bisogno. -
Frenai a stento l'impulso di chiedere cosa ne sarebbe stato di Jack: ora che lo avevo appena convinto della mia identità, mostrare troppo interesse nei confronti del pirata che mi accompagnava sarebbe sembrato sospetto. Così fui condotta via dalla governanti, con la testa da tutt'altra parte, mentre mi portavano in una camera degli ospiti: tornai di colpo cosciente di cosa stava accadendo attorno a me quando vidi le due donne preparare l'acqua e la tinozza per un bagno e quasi alzai gli occhi al cielo per l'esasperazione. Un bagno? Chi diavolo aveva tempo per questo quando c'erano ancora tutte quelle cose ancora da sistemare; Jack in cella, la Perla braccata, la miniera che non si trovava, il dilemma del diario di Wood...
Mi rassegnai al volere delle governanti, ma protestai quando vollero aiutarmi a svestirmi: - Da sola, faccio da sola!- protestai frettolosamente infilandomi dietro il paravento: non potevo permettere che vedessero il diario. Ci misi più tempo possibile a spogliarmi per trovare il tempo di riflettere: di certo avrebbero buttato via il mio vestito, strappato, insanguinato e lurido com'era, quindi non potevo lasciare il libricino fra i miei stracci. Allora dove nasconderlo?
Svelta mi inginocchiai e feci scivolare il piccolo diario sotto un cassettone.
Era da tempo che non mi facevo un vero bagno e, sebbene con riluttanza, dovetti riconoscere che mi fece bene: le governanti mi assistettero come si assiste una bambina indisciplinata e questo stuzzicò ulteriormente i miei nervi già messi a dura prova, ma ce la cavammo senza drammi.
Come previsto una delle due raccolse i miei stracci arricciando il naso con disgusto, mentre l'altra preparò sul letto un abito viola spuntato fuori da chissà dove. Stavolta dovetti accettare il loro aiuto per indossarlo perché altrimenti fra il corsetto e le allacciature varie non sarei mai riuscita a cavarmela, poi quando ebbero finito le congedai, impaziente soltanto di rimanere per un po' da sola.
Per il momento ero salva. Ma ero ben consapevole di essere passata da una prigione all'altra; l'inganno di Jack era servito solo per mettermi al sicuro da ciò che stavano facendo a lui.
Deglutii: pensare a Jack non aiutava certo a tranquillizzarmi. Ero furibonda e ferita per ciò che aveva fatto con le prostitute mentre io voltavo le spalle. Ero preoccupata da morire per le sue condizioni. Avevo paura di quello che avrebbero potuto fargli. Di una cosa ero certa: prima di tutto dovevo tirarlo fuori da quella cella, poi ci sarebbe stato tempo per tutto. Una cosa alla volta. Un passo alla volta.
Giravo per la camera come un animale in gabbia, incapace di stare ferma: chiusi la porta a chiave e mi inginocchiai per frugare sotto il cassettone e riprendermi il diario, che strinsi fra le mani come un tesoro. Al momento quella poteva essere l'unica vera arma in mio potere: sapere di più sulla storia della miniera prima o poi avrebbe potuto aiutarci. Così mi costrinsi a stare seduta sul letto e aprii il diario, cercando la pagina alla quale ero arrivata.

Giorno quaranta
Siamo tornati alla miniera: tutto l'equipaggio odia arrivarci, ma è pur vero che è lì che ci siamo sempre guadagnati i diamanti. La cosa più impressionante è quando ci dirigiamo a tutta forza verso la scogliera: nessuno sarebbe così folle da spingere la propria nave a tutta velocità verso le rocce! Poi, come tutte le volte, succede quella cosa stranissima: l'acqua si spalanca, e noi precipitiamo dentro la miniera, nave e tutto. Terrorizzante, però posso quasi dire di averci fatto l'abitudine.


“L'acqua si spalanca?” pensai, tornando sulle parole che avevo appena letto. “Che cosa vuol dire? Magari l'entrata è nascosta da una cascata... ma no, avrebbe parlato di una cascata e basta, senza tanti giri di parole. L'acqua si spalanca... precipitiamo dentro... che razza di ingresso segreto usava Dawkins?”

Dawkins ha seguito tutte le operazioni di carico che sono durate per tutta la giornata, attento come sempre. Quando abbiamo finito ha richiamato tutti i lavoratori e li ha imbarcati, nessuno escluso: nella miniera non è rimasto nessuno, e non ha voluto darci spiegazioni. Passeremo la notte alla fonda nei pressi dell'isola di Sherbro e ripartiremo domattina.

Le righe successive erano state aggiunte in fretta, tanto che la calligrafia disordinata era ancora più difficile da decifrare.

Il capitano è impazzito davvero!
Stasera mi ha confessato che cosa aveva intenzione di fare e io non ho potuto fare niente per fermarlo, si era già messo d'accordo coi suoi ufficiali e tutti noi non abbiamo potuto fare altro che obbedire ai suoi ordini. Si è fatto preparare una scialuppa e, quando era già buio e buona parte della ciurma dormiva, ha chiamato me e gli altri ufficiali e ci ha detto addio. Ci ha detto di non aspettare che torni indietro, e di ripartire domattina secondo le istruzioni che ci ha dato. Lui se ne va. Non so assolutamente dove, ma se ne va. Si è fatto calare in mare sulla sua scialuppa portandosi dietro solo una lanterna, e anche se ci ha parlato col tono più tranquillo del mondo io lo conosco e potrei giurare che era terrorizzato. Le cose si mettono male per lui, me lo sento, ma che il diavolo mi porti se sto capendo qualcosa di quel che sta succedendo. Dawkins ci ha ordinato di spegnere tutte le lampade, così la nave è rimasta al buio e abbiamo visto solo quella della sua lanterna che si allontanava poco a poco fino a sparire. Io sono corso sottocoperta ma non credo che riuscirò a dormire, continuo a tornare sul ponte per vedere se il capitano ricompare. Gli ufficiali sono nervosi. C'è qualcosa di brutto là fuori e credo che non mi calmerò se non quando questa notte sarà passata. Ma dove diavolo se ne va Dawkins?


Ero così presa dalla lettura di quelle parole scribacchiate in fretta e furia sulle pagine rovinate che mi accorsi del brusio che veniva dal piano di sotto soltanto quando qualcuno cercò di aprire la mia porta e, vedendo che la maniglia girava a vuoto contro la serratura chiusa a chiave, bussò energicamente sulla porta.
- Sì?- esclamai, buttando il povero diario stavolta sotto al letto.
- Signorina, credo proprio che sia richiesta la vostra presenza di sotto!- mi rispose la voce di una delle domestiche in tono concitato. - Il governatore ha chiesto di voi: sembra che sia appena arrivata una signora, e dice di chiamarsi Elizabeth Swann!-
Il cuore mi fece un triplo salto mortale nel petto e si schiantò contro lo stomaco. Rimasi senza fiato. Come era possibile, un'altra Elizabeth Swann? Diavolo, non potevo essere così drammaticamente sfortunata da incappare nella...
Nella vera Elizabeth?

*

Corsi al piano di sotto in tutta fretta, scortata dalla sfortunata governata che dovette penare per starmi alle costole: dirigendomi verso il piccolo salotto dove Burrieza riceveva i suoi ospiti udii il governatore parlare a voce alta con qualcuno.
- Mia signora, perdonatemi se metto in dubbio la vostra parola ma vi posso assicurare che Elizabeth Swann, figlia del governatore di Port Royal, è ospite nella mia casa in questo momento!-
- Ma questo non è possibile!- la voce di Elizabeth. Se prima credevo di essere sorpresa dovetti ricredermi in quel momento: era l'ultima persona che mi sarei aspettata di incontrare, specialmente in quel momento. Ma cosa...? - Io non... - la sentii esitare e in un lampo intuii che cosa le stava passando per la testa: se era venuta lì voleva dire che sapeva della cattura mia e di Jack. E forse proprio in quel momento aveva intuito chi poteva averle preso il nome e assunto la sua identità.
La porta dello studio era davanti a me e la voce di Elizabeth continuava a tacere: era una situazione senza via d'uscita, toccava a me intervenire.
Spalancai la porta e mi precipitai dentro, trovandomi di fronte Burrieza, i cui occhi presero subito a saltare da me alla mia amica, Elizabeth, in piedi nel centro della stanza, e alle sue spalle perfino William e il piccolo David, e tutti mi fissarono ad occhi sbarrati come se fossi il diavolo piombato in mezzo a loro.
Per un pericolosissimo istante rischiai di bloccarmi e rovinare tutto, ma mi controllai e mi portai le mani al volto, fissando Elizabeth ad occhi sgranati.
- Miss Swann... ci troviamo di certo in una situazione problematica. - si decise a parlare Burrieza, esitando però a chiamarmi con quell'appellativo. La nostra facciata stava per crollare.
Prima che chiunque potesse fare qualcosa mi gettai in ginocchio ai piedi di Elizabeth e le agguantai le mani: - Oh, miss Swann, miss Swann, perdonatemi, per favore!-
Mentre recitavo quella scena madre Elizabeth si chinò repentinamente verso di me. - Salvami. - sibilai, alzando il viso verso di lei senza farmi vedere da Burrieza. - Di' che sono la tua dama di compagnia, tua parente, quello che vuoi!-
Elizabeth reagì con stupefacente prontezza: mi strinse le mani e alzò il viso verso il governatore, sgranando gli occhi ed esclamando in tono emozionato: - Oh mio dio... governatore, vi assicuro che posso spiegare questo incidente!-
Aggrappata alla gonna di Elizabeth per recitare la mia parte, stavo ricominciando a respirare normalmente quando la porta del salottino si aprì di nuovo, lasciando entrare la figura in livrea blu e parrucca impomatata del commodoro Gillette. Will trattenne il respiro, io strinsi i denti: non lui, non proprio adesso!
Lo spettacolo che apparve agli occhi del commodoro dovette lasciarlo spiazzato, perché sobbalzò ed esclamò: - Che diamine sta succedendo qui?!- fissando Elizabeth e William come se fossero stati due serpenti velenosi.
- Commodoro!- gridò Burrieza, totalmente sconvolto dalla confusione che si era creata in quella manciata di secondi. - Mi dica chi delle due è Elizabeth Swann!-
Vedendo l'indice del governatore che fremeva nella nostra direzione, Gillette si corrucciò e indicò a sua volta Elizabeth: - Lei, signore... la donna bionda è Elizabeth Swann. -
- Come vi stavo dicendo, signore!- gli saltò sulla voce Elizabeth, approfittando degli eventi che cominciavano a volgere a nostro vantaggio. - Io sono davvero Elizabeth Swann, e lei è Laura Evans, che per lungo tempo ha abitato con me a Port Royal come mia dama di compagnia. -
- Governatore!- insistette Gillette, arrossandosi in viso mentre gesticolava verso di noi. - Quello che volevo dire è che questa è Elizabeth Swann, accusata tre anni fa di tradimento alla corona, e fuggitiva dal carcere in cui era stata rinchiusa in attesa del processo!-
- Non ho mentito riguardo a come la mia padrona è finita prima in carcere e poi per la strada!- mi intromisi, rialzandomi senza lasciare le mani di Elizabeth.
Burrieza strinse gli occhi. - Secondo quello che ho sentito, miss Swann e la sua famiglia, fra cui il mio caro amico Weatherby, sono stati preda di un complotto, commodoro. -
Gillette si voltò verso di me con aria cupa. - Io non ricordo di averla mai vista a Port Royal. - protestò, indicandomi.
- Non è affare vostro preoccuparvi delle mie dame di compagnia, no, commodoro?- replicò prontamente Elizabeth, scuotendo la chioma bionda e fulminandolo con uno sguardo. - Signor Gillette, io vi conosco da quando siete entrato nel corpo di guardia del Fort Charles... se avete a cuore la memoria dell'ammiraglio James Norrington, lasciatemi finire. -
Questo sembrò scuoterlo davvero, perché aprì la bocca per replicare ma poi ci rinunciò, facendosi indietro e restando a guardare con aria incerta. Avvertii appena William tirare un sospiro di sollievo. Elizabeth si fece avanti e continuò il discorso che aveva interrotto: - Questa donna è una mia cara amica da anni, e godeva di un posto di riguardo nella famiglia Swann: lei, come tanti altri fedeli servitori nella mia casa, è andata incontro ad un destino crudele quando noi Swann siamo stati spodestati da Lord Beckett, il responsabile della più grande sconfitta della marina britannica nei Caraibi. - chissà come avrebbero reagito se avessero saputo che era stata proprio Elizabeth a guidare la ribellione che aveva fatto mangiare la polvere alla marina? - Per quanto ne so, mentre io fuggivo dal carcere nel quale sarei di sicuro stata messa a morte, lei era finita sulla strada, perdendo tutto ciò che la protezione della mia famiglia le aveva dato. -
Mi bastò guardarla per capire che avevamo Burrieza in pugno: era un po' da vigliacchi fare leva sui sensi di colpa che dovevano legare il governatore spagnolo al suo vecchio amico, ma era anche l'unico modo di riuscire a venire fuori da quel pasticcio. Strinsi la mano di Elizabeth per darle un segnale: ora era il mio turno di parlare.
- La mia signora è fin troppo buona a parlare in mia difesa, governatore... - rincarai, mostrandomi emozionata e balbettante. - Come unica scusante per avere cercato di ingannarvi fingendomi un'altra posso solo dire... che avevo paura, ero terrorizzata... i pirati mi avevano presa a bordo insieme ad altre donne, eravamo state comprate come schiave... - raccontare storie era una cosa che mi riusciva piuttosto bene, del resto. - A loro servivano delle donne per la loro sceneggiata qui al forte, si sono fatti passare per dei gran signori e noi facevamo parte della recita. -
- Avete impugnato delle armi e ucciso alcuni dei miei soldati durante lo scontro, signora. Come spiegate questo?- domandò Burrieza, più freddo.
- I pirati ci avevano messo in mano le armi e ci avevano detto che se le cose fossero andate male noi dovevamo solo uscire di lì. Saremmo state uccise, signore... ero terrorizzata. -
Il governatore fece un cenno col capo e sperai di averlo convinto. - Perché è stato il capitano stesso a farvi passare per miss Swann?- insistette.
- Perché... perché io mi ero già presentata a lui e ai pirati come miss Swann. Quando mi hanno comprata come schiava non valevo niente, e avrebbero potuto fare di me ciò che pareva: per salvarmi la vita mi sono fatta passare per la figlia del defunto governatore, così hanno pensato di poter ottenere un qualche riscatto tenendomi viva e salva. - chinai la testa e unii le mani, prendendo a supplicare Burrieza. - Vi prego, mi dispiace tantissimo per tutto quello che i pirati vi hanno fatto passare, e mi dispiace di avere cercato di ingannarvi, ma era l'ultima speranza che mi rimaneva. Che valore avrebbe avuto il nome di una dama di compagnia? Voi mi avete salvata, signore, io non potrò mai ringraziarvi abbastanza. -
Per essere una recita improvvisata sembrava avere funzionato a meraviglia: il tocco finale lo diede Will, avanzando fra me ed Elizabeth con David che camminava dietro di lui, osservandoci come se fossimo tutti impazziti. - Mi permettete, governatore? Sono William Turner, il marito di miss Swann: suo promesso sposo da ben prima che la sua famiglia perdesse il proprio posto a Port Royal. Sono stato coinvolto nel complotto che Lord Beckett aveva messo in atto alle sue spalle, e ho ritrovato mia moglie poco dopo la sua fuga. L'ho protetta fino ad oggi e vi chiedo, se non altro in onore della memoria di Weatherby Swann che è stato un vostro caro amico, di accogliere me, lei, nostro figlio e la nostra cara miss Evans sotto il vostro tetto. Dopo tutti questi anni Elizabeth ha pensato a voi, e abbiamo osato sperare che sotto la vostra protezione la nostra famiglia sarebbe stata finalmente al sicuro. -
Giuro che in quel momento avrei potuto baciarlo: era stato perfetto. Burrieza si tormentò la barba scrutandoci con costernazione, ma ero abbastanza sicura che le nostre parole lo avessero convinto a sufficienza. Infine allargò le braccia e disse: - Signori, devo ammettere che mi avete proprio... disorientato con tutto quello che è accaduto. Signori... Turner, la vostra è una faccenda delicata, ma penso di potermi permettere di tenervi sotto la mia protezione per un po', siate i benvenuti. Lo stesso vale per voi, miss Evans, siete perdonata. -
Così, risolto tutto il parapiglia, fu assegnata una stanza per gli ospiti anche a Will, Elizabeth e David, dove ci ritirammo tutti dopo esserci congedati dal governatore fra sorrisi e ringraziamenti. Appena Will richiuse la porta alle nostre spalle mi lasciai crollare su un divanetto sentendomi i nervi a fior di pelle.
- Tanto così!- esclamai con voce stridula avvicinando il pollice e l'indice. - Mancava tanto così a farci scoprire! Mamma mia... siete stati perfetti a reggere tutto il gioco, mi sa proprio che ci avete salvati... ma... che cosa ci fate voi qui?-
- Shh!- mi avvertì Will portandosi l'indice alle labbra, e sbirciando ancora fuori dalla porta prima di chiuderla una volta per tutte. - Parlate piano, non so chi potrebbe esserci in ascolto. -
Elizabeth mi si avvicinò: - Abbiamo sentito parlare della vostra cattura fino ad Oyster Bay, non potevamo restarcene con le mani in mano! Scusa per quello che è successo, non avevo proprio immaginato che ti sarebbe venuto in mente di farti passare per me... -
- Se è per quello nemmeno io. - borbottai, sentendo l'adrenalina che poco a poco se ne andava lasciando finalmente che il cuore tornasse a battere a ritmo normale. - Era una brillante idea di Jack. -
- Dov'è Jack adesso?- domandò Will.
- Giù nelle prigioni. Sentite, io non so proprio come potremo fare a tirarlo fuori... ma almeno, adesso che ci siete anche voi qui forse riusciremo ad organizzare qualcosa, forse... -
- L'idea era quella di metterci in contatto con la Perla e studiare un piano per liberare Jack. - continuò Will. - Però finora siamo riusciti soltanto a ritrovare te, e per il momento sei al sicuro... hai qualche idea su come potremmo contattare la ciurma?-
- Non... saprei... - dovevo pensare: la Perla con ogni probabilità se ne era andata ben al largo per non farsi trovare dalle navi del commodoro Gillette. Tuttavia... - Aspettate, c'è una parte della ciurma che non se ne è andata con la Perla! Faith, Ettore, Valerie, Jonathan... ho almeno sei pirati là fuori, se sono riusciti a cavarsela. E ora che ci penso... adesso non sono più rinchiusa qui, no? E nemmeno voi... se possiamo girare fuori dal forte forse li possiamo trovare. -
Elizabeth ascoltava con aria corrucciata mentre David sembrava divertirsi molto a testare il materasso saltellando sul letto come una cavalletta impazzita, ad un certo punto mi chiese: - E' una brutta situazione, di certo. Laura, ma perché avete attaccato il forte? Che cosa stavate cercando?-
Sospirai. - E' una lunga storia... - di tempo ne avevamo da vendere, dato che messi com'eravamo non potevamo fare molto. Raccontai loro sommariamente della miniera sulla quale Jack aveva messo gli occhi e del fatto che speravamo di ottenere qualche informazione su di lui da Burrieza: non sapevamo nemmeno dove la nave di Dawkins facesse porto quando prendeva i diamanti... in quel momento mi ricordai di una cosa. Un momento, sul diario di Wood non si faceva mai cenno a dove esattamente si trovasse la miniera, ma negli ultimi appunti che avevo letto faceva il nome dell'isola di Sherbro, in Sierra Leone. E parlava di un lavoro di carico durato tutto il giorno, quindi la sera non potevano essere troppo lontani...
Dannazione a Jonathan, avevamo in mano tutte le informazioni che ci servivano e invece lui era stato zitto e ci aveva fatti infilare nel forte e catturare da Gillette!
Con questo pensiero mi separai dai miei amici promettendoci che avremmo ripreso a cercare un piano di fuga più tardi, magari quando si fosse calmato un po' tutto il clamore che il loro arrivo aveva suscitato in casa del governatore. Per il momento potevamo aspettare.
Così tornai nella camera che mi era stata assegnata e, dopo avere chiuso la porta a doppia mandata, ripescai il diario da sotto il letto mentre fra me stramaledicevo Jonathan per non avercelo mostrato fino all'ultimo secondo. Lui probabilmente lo aveva già letto e riletto diverse volte, perché aveva fatto finta di non sapere nulla e ci aveva seguiti nella nostra inutile incursione nel forte?
Perché non ci aveva detto ciò che sapeva fin da subito? Perché ci aveva ingannati? Con l'amaro in bocca mi dissi che non avremmo dovuto fidarci di lui, e tornai con gli occhi sulle ultime righe che avevo letto. Restavano ancora poche pagine coperte dalla calligrafia fitta, dopo il diario aveva qualche pagina bianca e nulla di più. Tanto meglio.

Giorno quarantuno
Non riesco a crederci. A quanto pare ho fatto bene a non dormire per tutta la notte, perché ad un certo punto nel buio ho visto brillare la lanterna del capitano, e quasi non credevo ai miei occhi. Era lui davvero. E' tornato indietro remando come un pazzo, e io appena l'ho visto ho cominciato a gridargli: “Capitano! Capitano! Da questa parte!” E' tornato a bordo e sembrava pazzo di paura, tutto il contrario di come era partito: ha ordinato che si levassero subito gli ormeggi, che si partisse immediatamente, e così in fretta e furia abbiamo levato l'ancora e siamo scappati via come se avessimo tutti i diavoli alle calcagna. Dawkins si è chiuso in cabina e non voleva parlare con nessuno, io sono andato da lui e ha fatto entrare soltanto me. Era stravolto, bianco di paura come lo avevo mai visto, stava quasi piangendo come un neonato. Io ero contento di vederlo vivo perché credevo che avesse voluto legarsi una palla di cannone al piede e buttarsi giù dalla sua scialuppa, però gli ho chiesto che cosa stesse facendo, e perché fosse tornato quando prima ci aveva detto addio con tutti i crismi.
Allora lui per la prima volta mi ha detto la verità.
Lui era stato il primo a scoprire quella miniera sotterranea proprio sulla costa: ci era andato letteralmente a sbattere contro con una nave quando ancora era un tenente, e le onde lo avevano trascinato là dentro per caso, facendogli trovare una miniera gigantesca sotto gli occhi mentre lui era ridotto in fin di vita dopo che la nave si era schiantata sugli scogli. E' stato lì che ha incontrato il demone del mare. Dawkins mi ha raccontato tutto e mentre parlava sembrava pazzo, ma non posso che credere alle sue parole perché corrispondono a molte leggende: ha fatto un patto con il diavolo, e gli ha chiesto di lasciarlo vivo e permettergli di sfruttare quella miniera. In cambio tredici anni dopo, precisamente oggi, avrebbe lasciato tutto e gli avrebbe dato la sua anima entrando a far parte della sua ciurma infernale.
Ha aggiunto una clausola, però: voleva essere l'unico a potere sfruttare quella miniera, e a nessun altro doveva essere concesso di sapere dove si trovasse. Era stato preciso e metodico come sempre perfino lì, con la morte in faccia: ha detto che avrebbe scelto personalmente gli uomini che avrebbero dovuto lavorarci, ma pur potendo entrare e uscire dalla miniera, non gli sarebbe stato possibile raccontarlo a nessuno, nemmeno sotto tortura. Un piano perfetto. Il demone del mare ha accettato le sue condizioni, e così per tredici anni Dawkins si è arricchito e ha avuto tutto quello che desiderava: una nave tutta per sé, un ottimo matrimonio, una casa, il potere e il prestigio. Ecco perché si comportava così negli ultimi giorni, si stava preparando a lasciare tutto e andare a saldare il suo debito!
Però proprio stanotte è successo qualcosa che non aveva previsto. Ha avuto paura. Io glielo avevo visto negli occhi che era sul punto di farsela addosso, lui, il capitano più forte che io avessi mai conosciuto: voleva andarsene sulla sua barchetta incontro al demone del mare e dargli la sua anima come pegno per tutto quello che aveva avuto, ma all'ultimo momento ha avuto paura ed è scappato. E' tornato alla nave di corsa e adesso stiamo tutti scappando via dal demone del mare, che non sarà affatto contento di trovarsi senza il suo pagamento.
Ancora non riesco a crederci, e non posso nemmeno arrabbiarmi con Dawkins per quello che è successo perché anch'io avrei una paura matta di dovere pagare lo scotto di un patto così folle. Dawkins è distrutto, non sa nemmeno dove stiamo fuggendo. Ha detto soltanto: “Adesso dobbiamo essere solo più veloci dell'Olandese Volante.”


Sbarrai gli occhi. Avevo letto bene? L'Olandese Volante. Il demone del mare. Il patto.
“Will... tu ne sai qualcosa?!”



Note dell'autrice: grazie come sempre alla mia fida Black (ahoy matey!) e a Stellysisley, Krisma e ScissorHands per avere recensito e per continuare a seguira la mia storia: spero davvero di continuare a meritare i vostri complimenti!

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Capitolo 13
*** Strategia ***


Capitolo 12
Strategia


Quando un grosso pappagallo giallo e azzurro piombò sul ponte del peschereccio ormeggiato al molo e si mise a starnazzare a più non posso, Ephraim credette di avere le traveggole.
- Vento alle vele! Caricate i cannoni!- l'uccello attraversò il piccolo ponte del peschereccio, prendendosela con Faith che stava seduta in un angolo con la gamba fasciata, a prendere un po' d'aria. Ephraim afferrò la prima cosa che gli capitò sottomano,un martello abbandonato sul ponte, e corse verso l'uccello brandendo la sua arma: - Non muoverti, lo caccio via io!-
- Signor Evans, no!- gridò Faith, scattando a braccia spalancate per proteggere il pappagallo che ora gracchiava allegramente mentre svolazzava attorno a lei. - E' Cotton! Ce lo manda la ciurma, ci scommetto!-
Dopo alcuni tentativi riuscì a convincere il pappagallo a fermarsi e posarsi sul parapetto accanto a lei, così che si accorse di una lettera legata alla zampa. Lo prese con delicatezza, slacciando la pergamena.
- Fuoco!-
- Zitto Cotton, anch'io sono contenta di vederti... sei stato proprio bravo a trovarci!- Faith lisciò le penne del pappagallo, quindi aprì la lettera arrotolata mentre Ephraim la osservava incuriosito. Era stata veramente una fortuna che lei fosse stata sul ponte quella mattina, si disse Faith, chissà da quanto il povero Cotton stava volando in lungo e in largo per la costa alla ricerca di lei e dei suoi amici... Lo scritto confermò i suoi pensieri:
Abbiamo mandato il pappagallo nella speranza che riesca a trovarvi: prima di lasciare il porto abbiamo visto alcuni di voi fuori dal forte, quindi ci auguriamo che stiate tutti bene. Ci stiamo tenendo più lontani possibile dall'isola e siamo sempre in movimento perché la nave della marina britannica non smette di darci la caccia, per potervi aiutare dovevamo assolutamente metterci in contatto con voi e non avevamo un mezzo migliore. Se potete rispondete, e ci organizzeremo per recuperarvi.
Joshamee Gibbs

- Gibbs è un genio!- esultò Faith, scattando in piedi e dimenticando per un attimo le condizioni della sua gamba.
- Che succede?- domandò Ephraim con espressione sempre più confusa, guardando di sbieco il pappagallo che ora si lisciava le penne comodamente appollaiato sulla murata della barca.
- Ho buone notizie dalle Perla, stanno cercando un modo per raggiungerci, e... oh, devo dirlo a tutti quanti!- in fretta Faith ed Ephraim scesero nello spazio angusto di sottocoperta dove era stipato il resto del gruppo: Ettore, il più impedito da quello spazio ristretto a causa della sua statura, era rintanato sulla cuccetta che di solito era riservata a Faith; Valerie se ne stava seduta sul pavimento intenta ad affilare con cura un coltello che aveva trovato a bordo; i due pirati parlottavano fra loro e Jonathan era in disparte con lo sguardo perso nel vuoto. Quando Faith piombò tra loro con le novità sembrarono tutti ridestarsi di colpo, e in un attimo si ritrovarono a parlare tutti insieme, tutti suggerendo un'idea diversa.
- Ehi, ehi, calma, calma ho detto!- gridò ad un tratto Valerie agitando le braccia per chiedere silenzio. - Allora, il fatto è questo: possiamo comunicare con la ciurma e possiamo dirgli che ci venga a riprendere... -
- Ma Jack e Laura sono ancora nel forte, e questo Gibbs non lo sa. - la interruppe Faith.
- Ci stavo arrivando. - Valerie fece un cenno verso di lei. - Quindi la prima cosa da fare è dire a Gibbs quello che sta succedendo e chiedergli di aiutarci. -
- Il problema rimane, però!- protestò Ettore, battendosi una mano sulla coscia. - Come tiriamo fuori Laura e il capitano di prigione? La ciurma non può aiutarci in questo. -
Ad un tratto Ephraim rizzò le orecchie e si voltò di scatto verso la botola che conduceva in coperta, portandosi un dito alle labbra: - Ssshh!- sibilò, secco. Tutti ammutolirono di colpo. Un lieve scricchiolio e il rumore di passi leggeri rivelarono la presenza di qualcuno sul ponte: l'istante dopo qualcuno batté tre colpi sulla botola.
- Non muovetevi... - sibilò Ephraim muovendo solo le labbra mentre con cautela si dirigeva verso la botola. I pirati rimasero in silenzio mentre l'uomo apriva la botola e risaliva la scaletta, e dal ponte arrivava la voce gracchiante del pappagallo che strideva: - Aaawk! Per mille balene!-
La botola si richiuse, e i sei pirati rimasero ai loro posti, così immobili da avere quasi paura di respirare troppo rumorosamente. Faith fissava la botola col cuore in gola: erano i soldati del governatore? Li avevano inseguiti fin lì? Se li avessero trovati, che cosa ne sarebbe stato di Ephraim?
Le voci dal ponte arrivavano attutite: riuscì a capire che Ephraim stava parlando con un uomo, ma non avrebbe saputo dire che cosa si stessero dicendo o a chi appartenesse la voce. Poi del tutto inaspettatamente la botola si riaprì ed Ephraim si tuffò sottocoperta con tanto impeto da farli sussultare tutti quanti, temendo il peggio: ma l'anziano marinaio si voltò verso di loro con un sorriso da un orecchio all'altro, mentre dietro di lui scendeva l'ospite misterioso.
- Animo, gente! Pare proprio che almeno oggi la fortuna sia dalla nostra parte. - dichiarò in tono vivace, spostandosi per lasciare passare l'uomo che lo seguiva. Faith lo vide in faccia e ci mancò poco che gridasse di gioia.
- Qualcuno mi ha detto che probabilmente avrei trovato suo padre su un peschereccio qui al molo. - disse William avvicinandosi ai pirati con un sorriso soddisfatto. - Ma non immaginavo che avrei ritrovato tutta la ciurma. -

*

Scorsi distrattamente col dito le coste dei libri ordinatamente allineati sugli scaffali della biblioteca del governatore: da quando quello mi aveva impedito di lasciare il forte o di andare oltre le mura del giardino, “per la mia sicurezza” come si era giustificato, avevo ben pochi modi di ingannare il tempo.
Will era andato al molo, ufficialmente per affari, in verità per cercare mio padre come gli avevo suggerito: sospettavo che non avesse ancora lasciato Conceicao col suo nuovo peschereccio, e se avesse saputo che ero in pericolo forse ci avrebbe aiutati a metterci in contatto con la Perla, o almeno con Faith e il resto della ciurma dispersa.
Elizabeth e David erano rimasti con me: il bambino si divertiva ad esplorare quella nuova grande casa ed Elizabeth lo seguiva assicurandosi che non si arrampicasse su troppi mobili. Da quando Will ci aveva lasciate per andare in cerca di mio padre, sia io che lei eravamo rimaste insolitamente silenziose. Non sapevamo che dirci. Non potevamo parlare apertamente perché c'era sempre il rischio che qualcuna delle governanti ci sentisse, così che non avevamo la minima idea di come rompere quel silenzio pesante che durava da ore: sospettavo che Elizabeth avesse intuito che qualcosa in me non andava, ma vedevo che non aveva il coraggio né il modo di chiedermelo.
Tanto meglio così, pensavo. Non avevo voglia di parlare di Jack, se non per decidere come tirarlo fuori di prigione.
Mi sedetti su un divanetto, mascherando uno sbuffo di esasperazione: l'attesa mi snervava. Al momento era quello il mio principale pensiero: liberare Jack, tornare sulla Perla. Basta, per ora. Al resto avrei pensato poi, tutto quel miscuglio di rancore, disperazione e irritazione che mi strangolava lo stomaco l'avrei affrontata più avanti, ma non ora. Non lì e non adesso. Adesso avremmo liberato Jack e basta.
- Mie signore... - Burrieza era comparso sulla soglia della sua biblioteca: io ed Elizabeth ci alzammo in fretta e gli rivolgemmo un piccolo inchino. - Perdonatemi se vi disturbo, ma avrei bisogno di parlare con voi. -
- Nessun problema, governatore. - rispose educatamente Elizabeth, tirando David per la mano perché la seguisse suo malgrado. Il governatore ci portò nel suo studio, quello dove prima eravamo convinti che avremmo trovato i documenti che ci avrebbero portato a Dawkins, e ci fece sedere: lui si sedette alla sua scrivania e intrecciò le dita, scrutandoci con aria pensosa; intuii che stava per farci qualche domanda scomoda e mi preparai. - C'è una questione che mi tormenta, e forse voi potete aiutarmi. - cominciò col tono più accattivante che poté. - Il capitano pirata che abbiamo nelle prigioni si rifiuta di fornire ulteriori particolari riguardo le sue intenzioni qui al forte. Certo, c'è molto da rubare qui, fra l'oro e quant'altro di prezioso contiene questo forte, ma c'è qualcosa nell'agire di questo pirata che mi ha incuriosito. Sospetto che non stesse cercando soltanto oro. Voi eravate nella sua ciurma, una prigioniera, ma pur sempre fra di loro, signorina: sapete qualcosa al riguardo?-
Si rivolgeva a me, e per qualche attimo tentennai: era possibile che sapesse più di quanto dava a vedere? Forse anche lui era a conoscenza della curiosità che la storia del suo antico collaboratore ancora stimolava fra i pirati? Mi domandai anche se sapesse qualcosa di più sulla faccenda dell'Olandese Volante...
- Non saprei proprio cosa dirvi, signore... - però, in effetti, magari potevo tentare di lanciare un'esca? Accennare il discorso come se non ne sapessi niente e vedere se sarebbe stato lui quello abbastanza incauto da rivelare qualcosa? - Come vi ho detto, io e le altro donne eravamo uno strumento del piano, e nulla di più... Però ricordo che il capitano spesso parlava di un certo Dawkins, o un nome del genere... mi pare che fosse in cerca di qualcosa che lo riguardava da queste parti. -
Avvertii, più che vedere, lo sguardo di Elizabeth sopra di me: le avevo raccontato tutta la storia la sera prima, e aveva capito subito che mi stavo avventurando su un sentiero pericoloso. Studiai attentamente il viso del governatore mentre parlavo: lo vidi inarcare un sopracciglio ma niente di più. Mi strinsi nelle spalle con aria innocente: - Non so altro, signore... lo so che non è molto. -
Burrieza mi fece un cenno con la mano, meditabondo: - Al contrario, signorina, credo di avere capito di che cosa si tratta. Ebbene, pare che la curiosità per un po' di vecchie storie abbia tratto in trappola il nostro comune amico. -
Lo disse fra sé, ma non potei fare a meno di provare un brivido nervoso a quelle parole: se avesse saputo quanto gli davo ragione... Mi accorsi che Burrieza aveva sollevato lo sguardo su di me e mi affrettai a riprendere un'aria tranquilla. - Scusatemi, mi rendo conto che non sono discorsi adatti ad una signora. - disse, probabilmente pensando che il mio turbamento fosse dovuto all'accenno agli interrogatori. - Vi ringrazio molto per l'aiuto, potete ritirarvi. -
Ci alzammo, salutammo e e uscimmo dalla stanza: mentre stavo per varcare la soglia rallentai per un attimo soltanto, voltandomi appena verso il governatore che se ne stava ancora seduto alla sua scrivania. Si era chinato e frugava nella cassettiera dei documenti. Terzo cassetto. Mi ritirai facendo finta di nulla proprio nel momento in cui si rialzava con alcune carte in mano, sfogliandole pigramente.
- Oh, a proposito... - ci raggiunse la voce di Burrieza mentre noi eravamo già fuori dalla stanza. - Ora che il commodoro Gillette è tornato, il pirata sarà trasferito sulla sua nave domani stesso, all'alba. Sarà portato a Port Royal: non dovete più preoccuparvi di lui né della vostra incolumità. -
Raggelai. Oh, ma che bella notizia.
Elizabeth portò me e David nella camera che divideva con Will, e una volta che ci fummo chiuse dentro io scattai: - Dobbiamo assolutamente fare qualcosa! Adesso! Subito!- - Laura, per prima cosa sangue freddo, o non ne usciremo vive. - replicò Elizabeth, voltando le spalle alla porta accuratamente chiusa a doppia mandata. - Ci serve tempo per organizzare un piano... -
- Tempo?- sgranai gli occhi. - Abbiamo il tempo agli sgoccioli!-
- Appunto! Dobbiamo pensare... Jack sarà portato sulla nave del commodoro domani all'alba... -
- Domani... - mi premetti le nocche contro le labbra mentre riflettevo: anche se c'era poco tempo, c'era una via d'uscita, c'era una minima possibilità ora che ci pensavo... - Abbiamo un unico vantaggio: Jack sarà fuori di cella... e di certo è più facile raggiungerlo fuori dal forte che non dentro. Questo vuol dire che quando verrà portato dal commodoro sarà l'unico momento in cui potremo cercare di portarlo via?-
Elizabeth stava per rispondere quando qualcuno bussò insistentemente alla porta: eravamo così tese che sobbalzammo entrambe, mentre David saltellò verso la porta cinguettando: - E' tornato papà!-
Aveva ragione, perché quando la mia amica aprì fu Will ad entrare nella stanza, con un sorriso soddisfatto stampato in viso. - Will!- esclamò Elizabeth appena lo vide entrare. - Dobbiamo muoverci, Jack verrà trasferito a Port Royal... -
- ...domani all'alba, lo so. - la interruppe Will annuendo. - Non me ne sono rimasto con le mani in mano e ho cercato informazioni da tutti quelli che ho potuto. Sono anche andato a cercare Ephraim come mi avevi consigliato. - fece un cenno verso di me.
Ebbi un tuffo al cuore: - Lo hai trovato?-
- Meglio ancora: ho trovato Faith e tutto il resto della ciurma. -
Mancò poco che gridassi di gioia mentre saltavo in piedi esclamando: - Loro?! Stanno tutti bene?-
- Faith ha una ferita alla gamba ma non è nulla di grave, gli altri stanno bene... tuo padre li tiene nascosti sulla sua barca. Ascoltate... - ci fece cenno di venire vicino e abbassò la voce: intuendo che le cose si facevano serie perfino David assunse un cipiglio solenne mentre rizzava le orecchie per stare a sentire suo padre. - Il gruppo a terra è in contatto con la Perla Nera, questa è la cosa fondamentale. Ho fatto mandare un messaggio perché la ciurma intervenga ad un'ora precisa, ma il resto dell'operazione spetta a noi che possiamo agire dall'interno. Ora statemi bene a sentire, ci serve un piano ed io ho pensato a questo... -

*

Quella mattina al forte accaddero alcune cose strane uno dopo l'altra.
Prima un bimbetto di tre anni particolarmente vivace entrò nello studio del governatore seminando scompiglio fra i suoi libri e rovesciando un paio di cassetti. Poco dopo lo stesso bambino si infilò nella lavanderia scatenando il finimondo e mobilitando la madre e tutte le governanti in una caccia spietata, che si concluse col piccolo frignante trascinato via di peso dalla madre, e con la sparizione di un sacco contenente alcune divise pulite da soldato.
Quando ci trovammo in camera, con Elizabeth che abbracciava e baciava il figlioletto riempiendolo di complimenti per le malefatte compiute alla perfezione, io rimiravo sogghignando il contenuto del sacco prelevato in lavanderia. - Troppo facile. - sbottai, divertita.


La porta della cella cigolò e Jack sollevò lo sguardo di scatto: vedendo incombere su di lui due militari spagnoli increspò le labbra in un sorrisetto di scherno. - Siete venuti a trovarmi presto, stamattina... a che devo questa visita di prima mattina?-
- In piedi. -
Si lasciò afferrare per le braccia e sollevare, poi cercò di tenersi in piedi da solo: era ancora ridotto male ma non aveva ancora perso la sua naturale e pungente ironia. - Ehi, ehi, perché tanta fretta? Tanto il carceriere e la sua simpatica frusta non scappano mica, no?-
- Il tuo tempo qui dentro è finito: sarai portato sulla nave del commodoro Gillette e condotto a Port Royal per essere impiccato. - il secondo gli parlava senza guardarlo da sotto il cappello a tricorno. Jack alzò gli occhi al cielo, storcendo la bocca. - Che meraviglia. - borbottò.
Lo tenni stretto per il braccio e mi avvicinai un po' di più a lui, tenendo gli occhi bassi e riducendo la voce ad un sussurro perché nessuno a parte lui se ne accorgesse. - Jack, siamo qui. Sta allerta e fa esattamente tutto quello che ti diciamo. -
Lui non sussultò ma sbarrò gli occhi di colpo, voltandosi appena a scrutare il soldato alla sua sinistra che gli aveva appena parlato... io, mascherata sotto una giacca troppo grande da militare spagnolo e un tricorno che mi copriva il viso e nascondeva i capelli raccolti. Voltandosi alla propria destra e osservando bene sotto il cappello riconobbe con stupore Will, conciato allo stesso modo: in effetti la voce di prima aveva un che di familiare.
- E tu che diavolo ci fai qui?- bisbigliò, spalancando gli occhi.
- Ti spiace se ne parliamo dopo? Sono il più riconoscibile qua in mezzo, e dovrei evitare di farmi notare. - sibilò Will, mentre insieme io e lui continuavamo a tirare Jack verso l'uscita della prigione: l'ideale sarebbe stato che quella parte la ricoprissimo io ed Elizabeth, ma Will si era rifiutato di lasciare a lei la parte più pericolosa del piano. Ogni minuto che passava però mi ripetevo quanto fosse stato rischioso ascoltarlo: se Gillette avesse riconosciuto Will tutto sarebbe saltato in un istante.
Arrivati alla porta della prigione quasi ci scontrammo con un gruppo di cinque soldati inglesi che cercavano di entrare: quando ci videro con Jack rimasero di stucco. - Che succede? Eravamo stati incaricati noi di venire a prendere Sparrow, signori. - esclamò uno dei soldati, squadrandoci da capo a piedi.
- Il governatore ha ordinato che fossimo noi due a portarvelo, e desidera che lo scortiamo fino a Port Royal. - risposi abbassando più che potevo il timbro della voce e facendo del mio meglio per imitare l'accento degli spagnoli. - Ordini del governatore. Non ne eravate stati informati?-
I soldati tentennarono per un secondo, poi si strinsero nelle spalle e si disposero attorno a noi, scortandoci fuori dalla prigione. Sudavo freddo ad ogni passo, ma sembrava che la cosa stesse funzionando: il corridoio sotterraneo, le scale, il salone. Ci avvicinavamo. Secondo i nostri calcoli avevamo abbastanza tempo prima che qualcuno cominciasse a chiedersi dove fossero finiti i Turner e la misteriosa miss Evans.
Fuori dal forte, in marcia lungo l'elegante banchina di pietra che portava fino al molo. In cielo non c'era una nuvola, e il sole era così accecante che Jack strizzò gli occhi più volte: io e Will lo trascinavamo praticamente di peso, perché sembrava avere pochissima forza nelle gambe; per di più era ancora ricoperto di ferite: per qualche motivo gli avevano restituito la sua camicia lacerata, ma ricordavo il pasticcio insanguinato che era la sua schiena dopo che lo avevano ripetutamente sottoposto alle sferzate.
- Jack, è importante: pensi di farcela a nuotare?- sibilai al suo orecchio.
Annuì in fretta. - Quando?- aggiunse.
- Non ora. Presto. -
La nave del commodoro era ormeggiata accanto alla banchina, e stavano finendo in quel momento di caricarla con gli ultimi rifornimenti. Lo stesso Gillette era in piedi sulla tolda, immobile in una posa marziale, e guardava verso il nostro gruppetto con aria tesa: era un momento pericoloso, Will abbassò ancora di più il capo e io mi augurai di essere abbastanza irriconoscibile da non destare sospetti. Quando fummo abbastanza vicini alla nave sentii Gillette gridare dalla sua postazione: - Quei due spagnoli?-
Uno dei soldati alla testa del nostro gruppo si prese la libertà di rispondere per noi, e in un certo senso gliene fui grata: - Ce li manda Burrieza, vuole che scortino il prigioniero fino a Port Royal. -
Alzai lo sguardo quel tanto che bastava per vedere il commodoro fare un gesto come a dire “va bene”, quindi il nostro gruppo marciò sulla passerella, quindi sul ponte. Ero tesa come una corda di violino ma cercavo di non darlo a vedere: sul ponte insieme a noi c'erano abbastanza soldati e marinai da far sì che il commodoro non prestasse troppa attenzione a me e a Will, ma a me sembrava ugualmente di essere terribilmente in vista.
Gillette si avvicinò a grandi passi: mi irrigidii, mentre Will fingeva di guardare da un'altra parte. Troppo vicino, troppo vicino, decisamente. Per nostra fortuna sembrò avere occhi solo per Jack, e lo squadrò per qualche secondo con evidente disprezzo. - Hai evitato il cappio al collo fin troppo volte, Sparrow. Non sperare di svignartela, o che ti piombi dal cielo qualche aiuto, perché non accadrà. -
- Ne avete fatta di strada, signor Gillette. - replicò vivacemente Jack, appoggiandosi a me e a Will. - Però ritengo che in Marina dovrebbero insegnarvi qualche lezione di vita fondamentale... che so, per esempio, “non dire quattro finché non l'hai nel sacco” trovo che sia un ottimo promemoria. -
Il viso paffuto del giovane commodoro si infiammò di collera, e quello fece un gesto stizzito. - Non ho tempo di stare a sentire le tue chiacchiere. Sottocoperta, muoversi. -
Qualche secondo, ci serviva qualche altro secondo!
- Barcolla!- sibilai, disperata.
Non so se Jack capì esattamente che cosa doveva fare, ad ogni modo di colpo crollò a peso morto come se gli fossero cedute le gambe, e ci mancò poco che trascinasse davvero a terra me e Will. - Non si regge in piedi, signore!- esclamai, mentre io e lui prendevamo tempo fingendo di affannarci per sorreggerlo.
All'improvviso risuonò una detonazione, poi un'altra e un'altra ancora: tre spari in rapida successione. I soldati gridarono subito allarme e si precipitarono al parapetto, scrutando i dintorni pronti a ricevere chiunque avesse sparato. Era il momento che aspettavamo, e avevamo pochissimi secondi.
- Tempo di tuffarsi! Ora!- prima che qualcuno potesse capire che cosa stavamo facendo, tutti e tre insieme ci precipitammo al parapetto, esitammo un attimo soltanto e poi ci piegammo all'unisono, barcollando in bilico per un istante interminabile prima di precipitare dall'altra parte della murata, dritti verso l'acqua quattro metri più sotto.
- No, no!- urlò Gillette appena vide quel che stavamo facendo, un istante troppo tardi per fermarci. - Fermateli! Fermateli, maledizione, riprendeteli immediatamente!-
Non ebbi neanche il tempo di gridare che l'acqua mi colpì come uno schiaffo gelido, togliendomi il fiato: l'attimo dopo cominciai ad affondare, ancora avvinghiata a Jack e a Will. Mi divincolai e cercai di nuotare col braccio libero: con uno reggevo ancora Jack, che non mi aiutava per niente perché sembrava che si limitasse ancora a farsi tirare; dall'altra parte vidi agitarsi Will, ma non riuscii a capire se si stesse facendo strada verso la superficie o se stesse affondando come me.
Il peso di Jack mi trascinava a fondo. Fui colta da una fitta di panico e presi ad agitare forsennatamente le gambe: “Dannazione, Jack, nuota!” gridai fra me, affondandogli le unghie nel braccio perché recepisse il messaggio. Finalmente anche lui prese a nuotare a grandi bracciate verso la superficie, così io, lui e Will accelerammo e ci spingemmo su, sempre più su, fino a riemergere sputacchiando e ingoiando sorsate di acqua salata.
- Fermateli!- quel grido e il suono secco di colpi di moschetto fin troppo vicini furono le prime cose che udii appena riemersi: pochi metri sopra di noi, affacciati alla murata, i soldati di Gillette si sporgevano per prendere la mira coi fucili. Noi tre ci prendemmo giusto il tempo di tirare un grosso respiro, poi ci rituffammo di nuovo sott'acqua per sfuggire alle pallottole.
Affondai in una cortina verde-azzurra: alle nostre spalle vedevo l'imponente chiglia della nave di Gillette, e sotto di noi il fondale. Voltai lo sguardo in avanti ed ecco, davanti a noi, a pochi metri ma ancora incredibilmente lontana, una chiglia più piccola e più sottile che puntava a tutta velocità proprio verso di noi.
Will guizzò avanti, diminuendo ancora la distanza che ci separava dal peschereccio in arrivo: due proiettili attraversarono l'acqua a poca distanza da noi nello stesso istante. La chiglia della piccola barca aveva coperto i metri che ci separavano a velocità considerevole; ormai sarebbe bastato un ultimo sforzo... Mi voltai. Dov'era Jack?
Lo vidi poco più indietro, che si faceva strada a fatica: le bracciate avevano perso il vigore iniziale, e adesso riusciva soltanto a sguazzare miseramente per non affondare. Deviai bruscamente la mia traiettoria per gettarmi verso di lui e agguantarlo per un braccio: lui si aggrappò a me e continuò a mulinare inutilmente il braccio libero, ma io con quel peso aggiuntivo non riuscivo ad andare né avanti né indietro, lo strattonavo invano verso l'alto mentre lui continuava a scivolare in basso, e intanto sentivo che i polmoni mi stavano scoppiando mentre la superficie scintillante dell'acqua era solo poco sopra di me...
Diverse braccia affondarono in acqua tutte insieme e ci afferrarono entrambi, trascinandoci di peso in superficie per poi issarci di slancio sul ponte del peschereccio: tossii e sputacchiai, mezza soffocata, mentre cercavo di mettere a fuoco le figure in movimento attorno a me oltre il velo d'acqua salata che mi bruciava gli occhi.
- Ce li abbiamo! Ora inverti la rotta e filiamocela il più in fretta possibile!- gridò mio padre non appena lui e gli altri ebbero scaricato me, Jack e Will sul ponte del peschereccio. Jonathan girò il timone così alla svelta che la barca per poco non si inclinò su di un lato, ma riuscì a farci virare prima di andare a speronare la nave del commodoro che ci marcava stretti.
- La nave...!- riuscii a rantolare tra un colpo di tosse e l'altro, mettendomi goffamente a sedere sul ponte fradicio d'acqua. - ...togliamoci... dalla portata dei cannoni!-
- Non preoccuparti!- Elizabeth era sulla prua, insieme a David. Erano tutti lì attorno, Jontahan, Faith, con una gamba strettamente avvolta nelle bende e con il mano il fucile dal quale aveva esploso i colpi per distrarre i soldati, Valerie, Ettore e i due pirati della ciurma, che ci avevano tirati a bordo con l'aiuto di mio padre. Quest'ultimo era inginocchiato accanto a me, la mano che non lasciava la mia spalla da quando mi aveva issata di peso sul ponte: con la mano libera cercò la mia, e me la strinse per un lungo istante senza dire nulla, solo fissandomi negli occhi. Gli rivolsi un sorriso esultante, forse anche un po' folle per quello a cui eravamo appena sfuggiti; lui ricambiò, poi balzò in piedi e tornò con Jonathan al comando della barca.
- Stanno caricando i cannoni!- gridò Valerie, che teneva d'occhio i movimenti dei nostri nemici sporgendosi dalla murata.
- Tutta a babordo, togliamoci dalla linea di tiro!- gridò di rimando mio padre.
Sul ponte della nave avversaria i soldati si preparavano a fare fuoco sul piccolo bersaglio: Gillette corse fin sul cassero di poppa per seguire coi suoi occhi la fuga del peschereccio. - Prendeteli prima che ci sfuggano!- urlò, indicandoli. - Pronti a far fuoco? E, fuo... -
Un boato coprì le sue parole, ma non fu colpa di un cannoniere in anticipo. Da dietro l'insenatura rocciosa che circondava la baia era apparsa la Perla Nera, le vele color cenere spiegate al vento e i cannoni fumanti di polvere da sparo: la vidi avvicinarsi al galeone britannico rapida come un uccello da preda e pensai che mai quella nave mi era sembrata più bella.
Gillette era completamente senza parole. La Perla Nera. Aveva giocato a rimpiattino per giorni con quella nave, e ricompariva dal nulla adesso. Pareva davvero che quello stramaledetto vascello fosse dotato di poteri magici. Quello che doveva riconoscere però era che adesso il nero galeone a tre alberi aveva tutti i cannoni puntati sulla sua nave, e che se non avesse opposto resistenza avrebbe rischiato di farli uccidere tutti. Il peschereccio, intanto, se la stava filando a vele spiegate, portando il capitano Sparrow con sé.
Dio, come lo odiava quell'uomo.
Dal peschereccio tutti lanciammo grida di gioia quando vedemmo la Perla tagliare ogni possibilità di inseguimento al galeone britannico, e ci concedemmo qualche istante di euforia. Ancora grondante d'acqua Will corse ad abbracciare Elizabeth, uscita dal forte con una scusa quella mattina presto dopo avere compiuto con David la sua opera di distrazione, e andata a raggiungere mio padre e gli altri sul peschereccio. Valerie lanciò un grido di euforia pura e prese ad improvvisare una sorta di balletto che fece dondolare tutta la nave finché non le gridammo di smetterla.
Io mi gettai ad abbracciare Faith e un po' ridendo un po' gridando le chiesi se stesse bene. - Un proiettile nella gamba, ma sembra che sia andato tutto per il meglio. - mi disse allungando la gamba fasciata. - Sta guarendo bene: ho avuto un ottimo allievo. - aggiunse sorridendo dolcemente ad Ettore, che, sollevato per la riuscita del piano, diede una calorosa stretta alla spalla sia a me che a lei.
- Jack, stai bene?- una volta sciolto l'abbraccio con Will, Elizabeth si rivolse in tono apprensivo a Jack. Tutti ci voltammo all'unisono verso di lui, che si era sistemato con le spalle contro la murata e le gambe distese sul ponte: lui ricambiò l'occhiata e si limitò a farci segno con entrambi i pollici in alto; tutti ridacchiarono, ancora esaltati per la riuscita della nostra fuga, ma a me era improvvisamente passata la voglia di ridere.
- Faremmo meglio a portarti alla Perla appena sarà possibile, sei conciato male. - fece Ettore accostandosi a lui, che annuì e si voltò verso mio padre: - Quando ci raggiungerà la mia nave?-
- Appena si toglierà di torno quelli della marina, e non credo che ci vorrà molto. - mio padre aveva ripreso il timone mentre Jonathan era andato a sedersi sul ponte poco più in là. - Intanto pensiamo ad andare il più lontano possibile da qui, non oso pensare che cosa abbiamo scatenato con la vostra bella fuga rocambolesca di oggi. -
Armeggiai coi bottoni della mia giacca blu, era talmente fradicia che mi sembrava pesasse una tonnellata: a fatica liberai dall'involto zuppo il libricino di pelle e lo lanciai a Jonathan, che sorpreso lo prese al volo. - Il tuo diario, Jonathan... temo di averlo un po' distrutto, mi dispiace davvero. -
Lui lo scrollò per asciugarlo alla meno peggio e si strinse nelle spalle. - Non importa. -
Con non poca fatica liberai dal pasticcio dei miei abiti bagnati anche le altre carte che ero riuscita a portarmi dietro: peccato non avere potuto trovare nessun'altra via d'uscita che non fosse via mare, perché l'acqua di certo avrebbe rovinato quel poco che potevamo trovare su quei documenti. Non c'era voluto molto, avevo sgraffignato in fretta tutti i documenti che citavano il nome di Dawkins che mi erano capitati sottomano: non molti, un paio di scritti ed una cartina, prelevati rapidamente da uno dei cassetti “malauguratamente” rovesciati da David. Quel bambino stava diventando un maestro di tattica diversiva.

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Capitolo 14
*** Ferite da curare ***


Capitolo 13
Ferite da curare.


- Faith... - sul ponte della nave Jack si avvicinò alla ragazza, con Gibbs che lo aiutava a camminare. - Lo so che non è il momento più opportuno, con quella gamba e tutto, ma ho davvero bisogno di te. -
Lei si voltò e per poco non si diede una manata sulla fronte: la felicità per la riuscita del piano le aveva quasi fatto dimenticare le condizioni del capitano! - Certo, non c'è problema. -
Tutti e tre scesero sottocoperta, in infermeria: Faith ormai riusciva a muoversi speditamente anche con la gamba ferita, e non ebbe bisogno di aiuto per scendere le scale di sottocoperta... al contrario di Jack, non poté fare a meno di notare, che non poteva fare un movimento senza contare sull'appiglio di Gibbs.
Arrivati nella piccola stanza Faith fece sedere Jack sull'asse che fungeva da tavolo operatorio e gli fece togliere la camicia sbrindellata per controllargli le ferite: rabbrividì vedendo la rete di cicatrici sulla sua schiena, alcune delle quali non ancora rimarginate. - Non un bello spettacolo, eh?- commentò Jack con un sorriso forzato. Gibbs, che aspettava appoggiato in un angolo, storse il naso.
- Sei messo male. - ammise Faith mentre esaminava da vicino le ferite. Gli girò intorno per poi appoggiargli le mani sul torso, tastando le costole alla ricerca di ossa rotte. Jack sussultò e strinse i denti, e Faith, accortasi che qualcosa non andava, cercò di proseguire l'esame con più delicatezza. - Hai almeno due costole incrinate. - gli disse mentre risaliva con le mani fino allo sterno. Sollevò gli occhi e incontrò lo sguardo di Jack, e sconcertata si accorse che stava ridendo sotto i baffi. - Così mi fai il solletico... - protestò bonariamente Jack indicando le sue dita, trattenendosi per non ridacchiare. Faith si tirò indietro, sentendosi arrossire senza un vero motivo. - Scusa!- ora la presenza di Gibbs che li stava a guardare era quasi di troppo. Si rese conto che c'era una sorta di strano imbarazzo tra loro due, ed era anche troppo facile capire perché: dopotutto una volta si erano addirittura baciati, anche se diversi mesi prima; e sembrava ormai una vita prima del suo matrimonio con Ettore.
Capendo cos'era che li rendeva entrambi così impacciati, Faith ridacchiò a sua volta e tornò ad occuparsi delle ferite di Jack, pulendole accuratamente, e alla fine dell'opera il torso massacrato del capitano aveva un aspetto un po' migliore. - Ecco fatto. - fece in tono soddisfatto mentre riponeva la spugna bagnata e Jack si concedeva un sospiro di sollievo. - Le ferite non sono profonde quindi non penso che ci sia bisogno di ricucire: basterà una fasciatura fatta bene, anche per le ossa. Gibbs... - si rivolse al nostromo. - Ti spiace chiamare qui Laura e tutti gli altri? Elizabeth, Will, e anche Ettore, Valerie e Jonathan... Laura ha detto che aveva bisogno di parlare con noi al più presto, e qui penso che possiamo parlare in privato. Mi serve anche qualcuno che mi aiuti a cambiare la fasciatura alla mia gamba, per favore. -
Così pochi minuti dopo fummo tutti radunati in infermeria, e per qualche oscuro motivo Jack si sentì autorizzato a lamentarsi quando fino ad un minuto prima non aveva aperto bocca.
- Ahia!- Jack sobbalzò e scoccò un'occhiata di biasimo a Will che stava stringendo le fasciature attorno alla sua schiena. - Ma vuoi stare attento o lo stai facendo apposta?-
- Dio, Jack, fa quasi meno storie David quando si sbuccia un ginocchio!- esclamò Will esasperato. - Deve stringere, se no non servirà a niente. -
- Il carceriere era più delicato di te, macellaio... ahi!- si morse le labbra mentre doveva, suo malgrado, permettere che Will tirasse la fasciatura per bloccarla. Lì accanto io ed Elizabeth stavamo aiutando Faith a cambiarsi le bende: quando avevo visto la sua gamba completamente fasciata mi ero preoccupata molto, ma mi rassicurai vedendo che l'unica cosa da medicare era il taglio che le era stato praticato per estrarre il proiettile dalla coscia, e che quello stava guarendo bene.
- Allora... - Ettore se ne stava seduto, tamburellando le dita sulle ginocchia. - Che cosa ci dovevi dire, Laura?-
Finii di legare la fasciatura come mi aveva mostrato Faith, quindi mi voltai verso i miei amici: - Dunque... credo di avere scoperto quello che ci serviva sapere sul capitano Dawkins. -
- Grazie al diario?- mi domandò Jonathan senza tradire nessuna emozione: non mi sembrava che fosse arrabbiato con me, ed era una fortuna.
- Anche. - risposi facendo un cenno verso di lui. - Grazie a quel diario, l'intero diario del marinaio Gregory Wood, ho scoperto che il posto che cerchiamo è vicino all'isola di Sherbro, da qualche parte in Sierra Leone. E grazie a queste, invece... - tirai fuori dalle tasche la mappa ripiegata su sé stessa che avevo sgraffignato dall'ufficio di Burrieza. - ...ho scoperto il punto esatto. E' qui, alla foce del grande fiume che si tuffa nel mare proprio dietro l'isola. - aprii la mappa appoggiandola sul tavolo operatorio, mentre gli altri si protendevano attorno a me per vedere il punto che stavo indicando: una linea rossa tracciava la rotta lungo la quale Dawkins compiva i suoi traffici, e la linea si fermava proprio lì, sulla scogliera della Sierra Leone nascosta dalla piccola isola di Sherbro. Alzai gli occhi e incontrai per un attimo lo sguardo di Jack: ci guardammo in silenzio per un momento, poi entrambi ci affrettammo a tornare a guardare la mappa. - Ma non è finita. - continuai. - C'è qualcosa di molto strano in quella miniera, l'ho capito leggendo le memorie di Wood. Ad un certo punto Dawkins torna alla miniera e si congeda da tutti come se stesse per morire, dicendo che ha un debito da saldare e che non potrà più sfruttare la miniera: Wood parla di un patto con il “demone del mare”... e cita l'Olandese Volante. -
Gli occhi di Will si allargarono lentamente a quelle parole, quindi a voce bassa mormorò: - Un patto con Davy Jones... -
- Ecco che cos'era. - Jack annuì con aria grave. - Diavolo, non ci avrei mai pensato... devo dire che l'aveva organizzato proprio bene. -
- Esatto, Dawkins aveva scoperto la miniera, e aveva stretto un accordo con Davy Jones perché lui potesse essere l'unico a potersene servire. - proseguii. - La miniera lo ha reso molto ricco e ha avuto tutto quello che voleva: in cambio tredici anni dopo avrebbe dovuto lasciare la sua nave e tutto per unirsi alla ciurma dell'Olandese. Ma cosa succede? Dawkins torna indietro. Il giorno del riscatto non ha il coraggio di raggiungere Davy Jones e torna alla sua nave, racconta tutto al suo marinaio più fidato, Gregory Wood appunto, e ordina ai suoi di scappare più in fretta possibile. -
- Che bei ricordi. - commentò Jack in tono amaro scambiando uno sguardo con Gibbs.
- E poi che è successo?- domandò Elizabeth.
Mi voltai verso Jonathan. - Jonathan, ti spiacerebbe leggerci l'ultima pagina del diario di tuo padre?-
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, quindi recuperò il diario dalla tasca e lo sfogliò: l'acqua aveva rovinato le pagine, ma qualcuna doveva essere ancora leggibile, perché lui si schiarì la gola e iniziò: - “Giorno quarantatré. Siamo fuggiti da qualunque cosa ci stia inseguendo risalendo fino ai confini della Guinea, sempre tenendoci il più vicino possibile alla costa: il capitano è in stato confusionale e riesce solo ad ordinarci di andare avanti, nessuno della ciurma ci capisce più niente, tutta la loro fiducia per un capitano che era stato così forte in passato è crollata in due secondi. Non so proprio come andremo a finire, di questo passo. Gli uomini insistono di volere tornare nei Caraibi, ci siamo trattenuti in Africa ben più del solito, e il carico di diamanti che abbiamo a bordo aspetta solo di essere venduto: il capitano però è titubante, ha paura di prendere il largo e probabilmente io sono l'unico che sa il perché della sua paura. Dice che l'Olandese Volante ci sta inseguendo, e che lui è un uomo condannato. Che cosa dovrei fare? Se confesso alla ciurma tutto ciò che so corro il rischio di scatenare un ammutinamento, e io non voglio che abbandonino Dawkins. L'unica alternativa è fuggire, e se davvero l'Olandese ci insegue forse possiamo riuscire a seminarla. Forse dovremmo lasciare le coste dell'Africa. L'ho suggerito al capitano e lui ci ha riflettuto molto sopra prima di darmi una risposta: l'idea di attraversare l'Atlantico lo terrorizza, ma è d'accordo che forse potrebbe essere l'unico modo per fare perdere le sue tracce. Se non cambia idea partiremo domani stesso. Oggi abbiamo fatto porto a Conakry e per un colpo di fortuna ho incontrato un mio vecchio amico, Lewis Dalton, che conosco da quando eravamo entrambi mozzi sul primo mercantile sul quale mi sono imbarcato: è imbarcato su una nave negriera ed è ovviamente qui per lavoro, il loro prossimo scalo è in Inghilterra e io di colpo ho pensato a Lucy. Pensavo di tornare da lei appena avessi esaudito le ultime volontà del capitano, ma ora la situazione si è complicata e non so quando potrò rivederla... così ho deciso di mandarle questo diario. Mi sono messo d'accordo con Lewis, glielo consegnerò stasera stessa e lui si prenderà l'incarico di farlo avere a Lucy, dovunque lei sia. Ti consegno le mie memorie, amore mio, spero che tu possa riceverle così come te le ho scritte. Da' un bacio al piccolo Jonathan da parte mia, domani salpo di nuovo per i Caraibi ma spero davvero di riuscire a tornare in Inghilterra al più presto. In fede: tuo marito, Gregory Wood.”-
La voce di Jonathan si spense lentamente sugli ultimi saluti di suo padre: chissà quante volte aveva riletto quelle pagine, e mi domandai se era giunto alla stessa conclusione alla quale ero giunta io. Il silenzio aleggiò nella stanzetta ancora per lunghi istanti, infine mi decisi a prendere la parola: - Ho qualche ipotesi su come la storia può essere andata a finire. Jonathan, tua madre ha avuto il diario da questo Lewis Dalton?-
Jonathan annuì lentamente: mi accorsi che era impallidito. - Sì. Lei me lo ha lasciato quando ho lasciato l'Inghilterra per venire nei Caraibi. -
- E secondo quello che siamo venuti a sapere, la Golden Princess è affondata con tutta la sua ciurma e il suo carico... mi domando, è affondata proprio durante il viaggio attraverso l'Atlantico?-
- Sì. - il ragazzo stavolta rispose con più prontezza. - Sì, non ha mai raggiunto i Caraibi quando partì dalla Guinea. Sparì nel nulla e non si seppe più nulla né della nave né del suo capitano... o della sua ciurma. -
- Il kraken. - terminò Jack, lapidario, scuotendo il capo. - Non avrebbe dovuto affrontare il mare aperto: avrebbe fatto meglio a restare in Guinea e salvarsi la vita. -
Per un bel pezzo nessuno di noi parlò; la conclusione di quella storia era stata più cruda di quanto ci fossimo immaginati. Mi chiesi se Jonathan sapesse di Davy Jones e del kraken, o se conoscendo le leggende avesse immaginato come poteva essere andata la storia. - Sarebbe interessante... - saltò su Jack voltandosi a guardare Will che stava in silenzio dietro di lui. - ...sapere che cosa ne è stato del capitano Dawkins dopo che la bestiola lo ha affondato con lo sua nave. Tu ne sai niente?-
Will strinse così forte la fasciatura da levargli il fiato. - Ahia!- Jack strabuzzò gli occhi e sobbalzò come se lo avesse punto un'ape. - Che ho detto?-
- No, non ne so niente. - e detto questo Will prese su e lasciò la stanza, scuro in volto, lasciando tutti a guardarlo sbigottiti. Jack si massaggiò le costole, quindi, guardando Jonathan di sottecchi sospirò in tono accuratamente udibile: - Eh, dura essere stato il capitano dell'Olandese. -
Sentii Jonathan trattenere il fiato, e in quel momento persi la pazienza: scattai in piedi, sbattendo le mani sul tavolo. - Jack, smettila una buona volta!- gridai, prima di girare sui tacchi e lasciare la stanza come Will. Il gruppetto rimasto nell'infermeria fece tanto d'occhi davanti a quello scatto di rabbia, e Gibbs espresse il comune pensiero esclamando: - Ma che diavolo succede a tutti?!-
Me ne andai a grandi passi, benedicendo tra me la semioscurità del corridoio deserto: dopo le troppe emozioni di quella mattina avevo un impellente bisogno di stare da sola. L'ultimo colloquio con gli altri e soprattutto con Jack mi aveva irritata: sapevo perché Will se l'era presa e sapevo anche perché Jack si fosse premurato di far sapere che lui era stato capitano dell'Olandese; anche se ora sapevamo tutta la storia, forse Jonathan non ci avrebbe rivelato spontaneamente perché si era voluto imbarcare con noi e mettersi alla ricerca della miniera... e di informazioni su Dawkins, se già conosceva o intuiva come erano andate le cose. Lanciando “per caso” quella vitale informazione Jack contava che il ragazzo non resistesse alla tentazione di andare a fare domande direttamente a Will, in modo da fargli rivelare spontaneamente che cosa stava cercando.
Ma che bravo burattinaio, come al solito. Chiederglielo di persona era troppo facile? Ah no, non si sarebbe preso la briga di interrogarlo e valutare se credere ad altre bugie. Lanciargli un boccone succulento come l'ex capitano della nave che si era presa suo padre era un modo molto più rapido di fargli scoprire personalmente le carte.
Accarezzai con lo sguardo le ombre di sottocoperta, le lame di luce dei boccaporti nei quali si infilavano i cannoni, le assi di legno che scricchiolavano appena sotto i miei passi. Ero a casa. Riuscii quasi a sorridere mentre raggiungevo la mia cabina: era un sollievo trovarsi finalmente da sola e al sicuro.

*

Will si trovava sulla tolda della Perla Nera quando Jonathan lo raggiunse. - Signor Turner?- azzardò quando gli arrivò alle spalle. Will si voltò verso di lui e gli rivolse un piccolo sorriso: - Sapevo che saresti venuto a cercarmi. Dopotutto è quello che lui voleva. - fece una smorfia accennando con un cenno vago del capo a sottocoperta.
Jonathan si appoggiò alla murata di fianco a lui e si voltò a guardarlo: - E' vero quello che ha detto?-
Will annuì. - Sì. Sono stato il capitano dell'Olandese Volante, per tre anni, per essere precisi. Credo di sapere che cosa mi vuoi chiedere. -
- Già... Il fatto è che dopo avere letto il racconto di mio padre ho cercato per anni informazioni sull'Olandese, su Davy Jones e i suoi accordi letali coi marinai per cercare di capire che cosa fosse successo veramente. C'è una cosa che non mi ha mai dato pace. - distolse un attimo lo sguardo, tentennò, quindi riprese: - Dicono che coloro che vengono presi da Davy Jones non muoiono, ma si uniscono alla sua ciurma. E' vero?-
Will si mordicchiò un labbro, capendo dove il ragazzo voleva andare a parare e sentendo già in cuor suo di doverlo deludere profondamente. - Vero per metà. Davy Jones attaccava e affondava le navi, e ai sopravvissuti offriva la possibilità di unirsi alla sua ciurma. Ma ogni tanto stringeva patti di altro genere, con persone come il capitano Dawkins, per esempio... o lo stesso Jack Sparrow, tanto per dirne due. In questo caso concedeva qualcosa, ma poi allo scadere del contratto pretendeva il loro servizio sulla sua nave, come per tutti gli altri. Sia Dawkins che Jack hanno infranto l'accordo e hanno cercato di scappare al termine del contratto: in questo caso Davy Jones lasciava fare al suo kraken, che era incaricato di trovare i capitani traditori e trascinarli sul fondo del mare, con nave e ciurma, se necessario. -
- E' proprio quello che è successo a Dawkins, con mio padre sulla sua nave... -
- Aspetta. Coloro che vengono presi dal kraken effettivamente non muoiono nel vero senso della parola... o almeno, deve essere così, perché noi tempo fa siamo andati a recuperare Jack dal Locker di Davy Jones, un posto fuori dallo spazio e dal tempo dove Jones teneva coloro che non rispettavano i patti. Ma vedi... era un posto riservato soltanto alle sue vittime. La ciurma dei capitani che inseguiva, gli innocenti che finivano in mezzo... non contavano. - Will prese fiato scorgendo nello sguardo di Jonathan la paura di scoprire quello che in fondo già sapeva. - Sono diventato capitano alla morte di Jones e ho navigato per tre anni ai confini del mondo: ho pensato che Jones avesse altri prigionieri nel suo Locker e li ho cercati a lungo per liberarli, ma non ho trovato niente. Credo che il Locker stesso non esista più da quando è morto Davy Jones. Forse alcuni dei sopravvissuti alle navi prese dal kraken si sono uniti alla sua ciurma, ma fra gli uomini che ho trovato sull'Olandese non c'era nessun Dawkins. E nessun Wood. -
Jonathan abbassò gli occhi, semplicemente: non sembrava sconvolto né altro, solo annuì e tirò un lieve sospiro rassegnato. - Alla fine l'ho sempre saputo che era morto. - disse con calma. - Però dovevo sapere. Mettermi sulla rotta di Dawkins era l'unico modo che mi era rimasto per sperare di scoprire qualcosa di più sul suo destino... e mi è andata meglio di quanto avrei potuto sperare, mi pare. - rivolse un sorriso a Will, che ricambiò. - Bene... ti ringrazio, signor Turner. Almeno adesso so che cosa ne è stato di lui, e... va meglio, davvero. -
- Ti capisco, credimi. - rispose Will, a voce così bassa che Jonathan lo sentì appena.

*

Quando Ephraim entrò negli alloggi del capitano lo trovò seduto sul proprio letto, col busto fasciato e un cuscino dietro alla schiena per stare dritto, che armeggiava per stappare una bottiglia di rum.
- Oh, signor Evans!- lo salutò facendogli cenno di avvicinarsi. - Vi avrei ricevuto da qualche altra parte, ma qui sembrano tutti convinti che non mi debba muovere... -
- E non hanno tutti i torti, signor Sparrow. - aggiunse Ephraim. Jack gli indicò una sedia lì vicino ed Ephraim si sedette.
- Dunque... - fece Jack schioccando le labbra dopo aver buttato giù una sorsata di rum. - Da quel che mi è stato riferito abbiamo bisogno di fare porto... e voi avevate qualche suggerimento, giusto?-
Ephraim annuì: - Il porto di Sunny Haven non è lontano da qui, e vi permetterebbe di approdare in sicurezza... se non vi presentate come pirati, chiaro. Ho parlato con il vostro primo ufficiale, e non siete in una situazione felice: la nave ha bisogno di fare rifornimento, mentre voi siete ferito e avete bisogno di riprendervi. Se trainate il mio peschereccio io ho il vantaggio di tornare a casa mia più in fretta. -
- E voi non vedete l'ora di tornare a casa, specialmente insieme a vostra figlia, giusto?- il capitano non fece niente per dissimulare il tono di sfida col quale pronunciò l'ultima frase. Ephraim si incupì subito in volto e scrutò Jack con aria indispettita: - Tutto quello che ho da dire è che non mi pare che abbiate saputo proteggerla a dovere, signor Sparrow... non sapete proteggere nemmeno voi stesso. -
- Mai stato un problema. - replicò Jack facendo scattare l'indice in alto.
- Per voi no di certo. - gli occhi di Ephraim si strinsero. - Ma vi faccio notare che ho appena salvato la vostra vita e quella di mia figlia, dopo che grazie a voi e ai vostri piani lei è stata catturata e imprigionata... non mi fido di voi, capitano, e so benissimo che la cosa è reciproca. -
- Siete un uomo sveglio. - rispose Jack, strafottente. - Ebbene, andiamo a rifugiarci nella vostra isoletta come suggerite, ma non aspettatevi niente, comprendete? Questo è quanto. -
Le labbra di Ephraim si strinsero mentre per un lungo istante scambiava con Jack un'occhiata di puro disprezzo, quindi ad un tratto accennò ad un sorrisetto. - Sembrate molto sicuro di voi, io però ho notato un brusco cambiamento in mia figlia nei vostri confronti... o sbaglio? Per esempio, perché non vi ha avvicinato neanche una volta da quando siete tornati a bordo? Forse vi rifiutate di vedere che la situazione non gioca a vostro favore come credete. -
- Fuori. - sbottò bruscamente Jack. Ephraim lasciò la cabina con quell'insopportabile aria di vittoria, e a Jack bruciò ancora di più non potere dire nulla per contraddirlo. Irritato sprofondò di nuovo nel cuscino e si portò la bottiglia alle labbra, ingoiando generose sorsate: effettivamente Gibbs aveva ragione, un po' di riposo e tanto rum lo avrebbero fatto tornare come nuovo, ormai c'era abituato.
Sfortunatamente c'era un dolore che non riusciva a sedare in nessun modo, e non veniva dalle ferite né dalle costole incrinate. Le parole di Ephraim, poi, avevano contribuito a scavare nella piaga aperta e a sbattergli in faccia cosa c'era che non andava. Dopo tutto quello che aveva passato, ora che tutto era finito, ora che bene o male ne era uscito, con lividi e qualche osso rotto, ma come al solito ne era uscito... l'unica persona che avrebbe voluto con lui in quel momento non c'era. Ed era colpa sua.
Faceva male. E tanto anche.

*

La porta della cabina si aprì e Faith si affacciò quasi con cautela, come se avesse paura di disturbare. - Laura, sei qui?-
- Sì... - mi rigirai sulla brandina per voltarmi a guardarla. - Che c'è?-
- Che cosa fai? Dormivi?- sembrava sorpresa.
- No, no. - era la verità: non ero per niente stanca nonostante le emozione delle ultime ore: avevo soltanto bisogno di stare per conto mio, e la piccola cabina era il luogo più indicato. Mi misi a sedere e mi stiracchiai, poi mi accorsi dello sguardo che Faith mi lanciava di sottecchi. - Faith? Davvero, che cosa c'è?-
La mia amica chiuse la porta e venne a sedersi sulla cuccetta accanto a me: in quel momento mi venne da pensare alle prime settimane che avevamo passato sulla Perla Nera, quando lei ancora non era sposata con Ettore avevamo passato tante sere a parlare a voce bassa sulle nostre cuccette, chiacchiere alle quali spesso e volentieri si univa anche Annamaria, che anche se non lo ammetteva si vedeva che era felice di avere compagnia femminile a bordo. Faith si appoggiò sulla cuccetta e disse: - Quello che vorrei sapere è cosa c'è che non va fra te e Jack. Non gli hai rivolto la parola da quando sei salita a bordo... insomma, tutti hanno notato che qualcosa non va. -
Abbassai lo sguardo reprimendo un sospiro esasperato: fantastico, adesso che il pericolo era passato mi toccava affrontare la questione di Jack. - Be', immagino che non fosse difficile da intuire. - sbottai, guardandomi gli stivali. - “Qualcosa” non va? Tutto non va, Faith... è finita. -
- Cosa?- la mia amica sgranò gli occhi, sconcertata. Ecco, adesso che cominciavo a tirare fuori tutto mi rendevo conto di quanto la cosa mi facesse male. Mi tornarono alla mente le parole di Jack: non si erano schiodate dalla mia mente da quella maledetta sera e aspettavano soltanto il momento più opportuno per uscire allo scoperto e risuonare più chiare che mai... Lascia stare. Me lo aveva detto lui. Non sono un brav'uomo, Laura, non lo sono mai stato. Perciò lascia stare.
- Laura...?- la mano di Faith era sulla mia: in poche parole le raccontai tutto, di come Jack nella cella mi avesse confessato il suo tradimento, di come non ci fossimo praticamente più parlati dopo quel momento. Non avrei mai detto che la tristezza potesse provocare dolore fisico: avevo un senso di oppressione sul petto e mi sembrava di soffocare, nella mia testa non facevano che risuonare quelle parole disarmanti che sembravano farmi male più di tutto il resto... Lascia stare. E' andato tutto in malora, perciò lascia stare.
Faith mi ascoltava in silenzio, mortificata. Alla fine tirò un profondo respiro e fissò come me il pavimento, alla ricerca di qualcosa da dire, pur sapendo che niente di quel che avrebbe detto sarebbe servito. - Io non riesco a crederci. - disse infine con sincerità, alzando lo sguardo. - Io davvero non riesco a crederci. Non pensavo che avrebbe mai potuto farti una cosa del genere. -
- Dillo a me... - le maledette lacrime cominciavano a pungermi le palpebre e mi strofinai rapidamente i pugni serrati sugli occhi: non volevo piangere, diavolo... ma il nodo che avevo alla gola si strinse ancora di più strappandomi una specie di singhiozzo. “Se non adesso, quando? Lasciami piangere almeno, stupida. Fammi piangere. Ho bisogno di piangere, adesso.”
Faith si protese verso di me e mi abbracciò: ecco, adesso davvero non avrei più potuto nulla contro le lacrime. Ricambiai brevemente l'abbraccio sentendomi salire i singhiozzi alla gola, poi mi staccai da lei e mi ritrassi. - Faith per favore... voglio stare da sola. -
La mia amica esitò solo un attimo, poi annuì e si alzò dalla cuccetta. - Va bene... - mormorò. - Ehi... chiamami se hai bisogno, d'accordo?- aggiunse prima di lasciare la cabina. Una volta che ebbe richiuso la porta dietro di sé mi raggomitolai sulla cuccetta come un gatto e mi concessi il peggiore degli sfoghi: in un attimo ebbi il viso inondato di lacrime bollenti senza che potessi fare nulla per fermarle, e tutte quelle lacrime servirono solo a chiamarne altre, all'infinito. Mi resi conto che in tutto il tempo passato dentro il forte non avevo avuto il tempo o le forze di ammettere quanto stessi male, e tutto il dolore sembrava essersi accumulato per esplodere in quel momento.
E mentre piangevo pensai, pensai e rimuginai, sviscerando ogni mio pensiero per giungere all'inevitabile fonte di tutto il dolore che stavo scaricando a suon di lacrime.
Non era mio. Alla fine era quel semplice fatto a stringere il nodo che sentivo nel petto, a farmi salire agli occhi lacrime di sconfitta, a chiudermi la gola con quel groppo di... impotenza. Jack era tutto ciò che avevo sempre desiderato, l'unico uomo che sentivo di poter amare. Avevo creduto di vedere nei suoi gesti verso di me gli stessi sentimenti che provavo per lui, ma a quanto pareva mi ero ingannata. Jack Sparrow non era mio e non lo sarebbe stato mai: questa era la beffa più crudele.
Com'era stata perfida la sorte a mettermelo accanto per poi strapparmelo via in un secondo: mi era arrivato il premio su un piatto d'argento, ma il premio mi aveva guardata, mi aveva fatto educatamente l'inchino e se l'era svignata lasciandomi con un palmo di naso. Davvero avevo creduto di poterlo legare a me? Sì, mi ero felicemente illusa per un po': peccato che fosse stato lo stesso Jack a sciogliersi in fretta e senza troppo pensiero dal legame che c'era fra di noi.
Non era mio. Avevo trovato Jack Sparrow, e lui non era mio: quanta amara, amarissima sconfitta in quelle tre parole. Affondai la faccia nel rozzo materasso della cuccetta, cercando di rallentare il respiro affannoso che saliva coi singhiozzi: “L'ho perso...” continuavo a pensare senza riuscire a fermarmi. “L'ho perso... l'ho perso...” Avevo fallito, perché l'unica opportunità che mi era stata data si era rivelata una farsa.

*

Gillette se ne stava in piedi nell'ufficio del governatore, troppo sulle spine per accettare il suo invito a sedersi. - Governatore... - si dondolava da un piede all'altro, incapace di restare fermo: poche volte si era sentito così terribilmente colpevole e umiliato. - Governatore Burrieza, non ho scusanti per quello che è accaduto... Sono stato incauto e lo riconosco. -
Ma quei due maledetti travestiti da soldati spagnoli... da dove erano usciti fuori? Gillette era certo che dovessero trattarsi di William e di Elizabeth Turner, e anche di quella sconosciuta miss Evans, certamente in combutta con loro: Burrieza stesso aveva convenuto che i Turner dovevano centrare con il piano poiché l'intera famiglia era scomparsa nel nulla poco prima della fuga del prigioniero. Dentro di sé Gillette ribolliva: perché lo spagnolo non aveva vigilato meglio i suoi sopiti? Era anche colpa sua se Sparrow e la Perla Nera gli erano sfuggiti da sotto il naso.
Burrieza sedeva alla sua scrivania, le dite intrecciate davanti a sé. - Non siate troppo severo con voi stesso, commodoro, siamo stati tutti vittime di un inganno. - rispose con calma. - Ma se vogliamo riprendere il nostro pirata allora dobbiamo agire in fretta. -
Gillette aggrottò le sopracciglia, senza capire. - Riprenderlo, signore...? Ma, governatore, la Perla Nera ha fatto perdere le sue tracce e non c'è modo di sapere dove... -
- C'è, invece. - Burrieza si chinò a prendere una mappa dal suo cassetto e posarla sul tavolo. - I miei ospiti hanno rubato alcuni documenti riguardo le rotte commerciali di un certo capitano Dawkins che lavorava per me... probabilmente ne avete sentito parlare, almeno le leggende che circolano riguardo a lui. Sospetto che fosse questo l'obiettivo della loro incursione qui dentro: fortunatamente posseggo più di una copia del tracciato delle sue rotte. Non c'è niente che attiri un pirata più di un tesoro, signor Gillette... - il governatore puntò il dito su un punto preciso della mappa. - La miniera perduta del capitano Dawkins. Lo aspetteremo lì, e stavolta non gli permetteremo di fuggire. -


Note dell'autrice: un aggiornamento a tempo di record per due capitoli che sono venuti fuori da soli in poco meno di due giorni... decisamente sto migliorando. :-D (Con una parte che ancora non riesco a capire se mi piace o non mi piace come è venuta... forse perché è troppo realistica.)Grazie a chi ha recensito, grazie a Black, Stellysisley e bentornata a Luluzza che sta recuperando questa storia, sono felice che ti piaccia e un applauso alla tua pazienza nel recuperarla! Al prossimo capitolo; wind the sails!
PS: per rispondere all'annosa (e imbarazzante) questione se il nome del caro capitano dell'Olandese si scriva Davey o Davy... posso dire che so per certo che la scrittura corretta è Davey, ma dato che la pronuncia è uguale e in uno scritto la "e" risulta perfino eccessiva, mi concedo il "Davy". :-D

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Capitolo 15
*** Ritorno a casa ***


Capitolo 14
Ritorno a casa.


Quando sotto il sole cocente del pomeriggio di due giorni dopo la nostra fuga dal forte raggiungemmo la spiaggia dorata di Sunny Haven quasi non credetti ai miei occhi. La Perla gettò l'ancora in quella piccola baia sabbiosa, discosta dal porto e dalla città per evitare altri guai, e parte della ciurma scese sulle scialuppe, ridendo ed esultando quando raggiunsero la spiaggia spruzzata dalle onde: finalmente eravamo al sicuro, un posto dove fermarsi e riprendere fiato, dove andare in città a divertirsi e spendere la propria paga... questo era un porto sicuro, e gli uomini non aspettavano altro.
Non seppi resistere e fui più che felice di guidare lo sbarco: saltai giù dalla scialuppa nell'acqua bassa, e con gli altri pirati cominciai a tirare per portarla all'asciutto; la marea mi spruzzava le caviglie, e la refrigerante brezza marina sembrava una benedizione con quel caldo. Quando posai i piedi sulla spiaggia e mi guardai intorno mi accorsi di essere sul punto di commuovermi. Ero tornata a casa.
- E' bello qui. - fece Elizabeth, arrivando alle mie spalle e sorridendomi: aveva portato con sé David perché si sgranchisse le gambe, e il piccolo stava già provvedendo correndo avanti e indietro per la spiaggia.
- Già. - concordai, sorridendo e facendo una mezza piroetta come a voler abbracciare il paesaggio che mi circondava. - E' strano da dire, ma mi sembra che non sia cambiato niente in tutti questi anni... ehi, guarda Faith!- indicai alla mia amica una roccia tondeggiante che spuntava dall'acqua bassa poco più avanti; lei la vide e sorrise divertita capendo che cosa stavo ricordando. - Chissà se è comoda come allora... -
Raggiunsi la roccia in quattro salti e mi ci arrampicai sopra; quindi mi accomodai, voltata a guardare l'orizzonte come avevo fatto tante volte da ragazzina: Faith mi guardava con un sorriso curioso, impaziente di sentire il mio verdetto. Inclinai la testa e aggrottai le sopracciglia fingendo di concentrarmi, quindi mi rivolsi a lei accennando con la mano al mare davanti a noi: - Certo, l'orizzonte fa tutto un altro effetto con quella splendida nave di mezzo... ma per il resto è come me lo ricordo. -
Questo fece ridere sia Faith che Elizabeth, e mi sentii di colpo leggera e senza pensieri mentre saltavo giù dalla roccia spruzzando acqua tutt'intorno.
Mio padre camminava sul bagnasciuga lì accanto, davanti ai pirati che stavano tirando in secca le scialuppe: aveva un'espressione serena quando mi raggiunse, e mi sorrise perfino. - Mi sembra che tu stia bene. - mi disse.
Mi strinsi nelle spalle. - Be', è sempre bello tornare a casa, suppongo. - camminammo insieme, tenendoci un po' discosti dagli altri, fino a che non raggiungemmo la penombra degli alberi che crescevano a ridosso della spiaggia: lì faceva più fresco, e ci appoggiammo a due tronchi all'ombra. La brezza continuava a soffiarci in faccia, scompigliandomi i capelli: mentre me li sistemavo sotto il cappello domandai: - Ora che cosa hai intenzione di fare? Porterai il tuo peschereccio al porto e tornerai nella tua casa?-
- Probabilmente sì... - avevo notato già da un po' che mio padre evitava di guardarmi: teneva gli occhi fissi sui propri stivali e giocherellava distrattamente con un ramoscello raccolto da terra. Lo lasciai bollire nel suo brodo per un po' finché si decise ad alzare lo sguardo e continuare: - Laura, senti... è tutto il viaggio che cerco di dirtelo, ma c'è stato così tanto da fare fra te che dovevi, be'... governare la nave, farla arrivare qui, e poi tu e... il capitano eravate appena fuggiti dalla prigione... Insomma, figlia mia, lo so che crederai che io non abbia mai ascoltato una parola di quello che mi hai detto fino ad ora, ma io insisto perché tu venga con me. -
Sospirai, e stavolta fui io a distogliere lo sguardo: mi aspettavo che prima o poi avrebbe ritirato fuori quell'argomento, il problema era che adesso mi erano rimaste ben poche motivazioni per opporre un rifiuto.
- Ne avevamo già parlato, mi pare. - tentai comunque di obiettare.
- Lo so, ma questo era prima!- mio padre si raddrizzò di colpo e venne davanti a me, chinandosi per guardarmi in faccia. - Prima di quell'assurda missione al forte, prima che tu finissi in prigione! Puoi immaginare come mi sono sentito quando sono venuto a sapere che l'attacco al forte era stato sventato e che c'era stata una sparatoria e dei prigionieri? Ho temuto che fossi morta! E poi ho temuto per la tua vita quando eri in prigione, e ancora quando ti abbiamo fatta evadere! Laura... in nome di cosa rischi la tua vita in questo modo? Dimmi solo in nome di cosa?-
Mi aveva preso le mani fra le sue e me le stringeva come un disperato; io avevo chinato il capo, nascondendo lo sguardo dietro la falda del tricorno per non sentirmi obbligata a rispondere. Che cosa avrei risposto, comunque? Fino ad allora era stato l'amore per Jack e la fedeltà alla mia ciurma a tenermi legata alla Perla Nera; adesso che tutto stava venendo meno, il tarlo del dubbio tornava ad insinuarsi nei miei pensieri.
- Non rispondi?- lui non sembrava sorpreso del mio silenzio. - L'avrei immaginato. Fino a pochi giorni fa scommetto che avresti risposto che era quello che c'è tra te e il capitano a tenerti qui, adesso non mi rispondi. Qualcosa è cambiato, dunque. Perché non lo ammetti?-
Sollevai gli occhi di scatto, colta da un misto di stizza e dolore: perché dovevano accorgersene tutti? Ma soprattutto, perché dovevano tutti sentirsi autorizzati a dire la propria? Inoltre, mi resi conto, mio padre stava facendo la cosa peggiore che avesse mai potuto fare: si stava approfittando della situazione per tentare ancora una volta di convincermi a dargli retta.
- Voi uomini non imparate proprio, non è così?- esclamai stizzita, strappando le mie mani dalle sue ed alzandomi bruscamente in piedi. - Sei sempre pronto a parlare male di Jack, ma non è che tu ti comporti molto meglio!-
Mio padre mi fissò ad occhi sbarrati: - Che cosa intendi dire?- esclamò, punto nell'orgoglio.
- Che sono stufa degli uomini che mi mentono, che fanno i finti tonti... che fanno tutto alle mie spalle! Anche tu! Guardati adesso, padre! Le cose per me non vanno bene, d'accordo: questo però non ti autorizza a cercare di approfittartene per farmi cambiare idea!- gli voltai le spalle e mi diressi a grandi passi di nuovo verso la spiaggia; lui però mi rincorse e cercò di fermarmi.
- “Approfittarmene”?- ripeté, sembrava infuriato. - “Approfittarmene”?! Cercare di far ragionare mia figlia sarebbe approfittarmene? Cercare di insegnare a mia figlia l'obbedienza... - pronunciò quella parola in tono tagliente. - ...sarebbe approfittarmene? Non lamentarti per gli uomini che ti mentono, Laura, se tu per prima non ti comporti da persona rispettabile!-
- Ma certo, ora sono io!- avevo passato il segno: stavo urlando, e di certo l'intero drappello dei pirati sulla spiaggia si era voltato per assistere a quel penoso scambio di vedute fra padre e figlia. - Sono io quella che non si comporta da persona rispettabile, io quella che non merita fiducia, io quella che non sa prendere le decisioni da sola! Ma certo, che stupida, è tutta colpa mia e non me ne ero accorta! Bene, stammi a sentire! Non ho bisogno né di te, né di Jack... - per poco non mi tremò la voce sul suo nome. - ...né di nessun altro seccatore bugiardo approfittatore! E adesso lasciami in pace!- mi allontanai da lui, stavolta definitivamente, e passai davanti ai miei pirati silenziosi come una furia. - Che cos'hai da guardare?- strillai al pirata più vicino che mi aveva gettato un'occhiata strana. - Torna al lavoro, marinaio, abbiamo una nave da rifornire. Muoviti!-
- ...sì capitano!- il pirata fu ben contento di svignarsela alla svelta: dovevo fare davvero una pessima impressione.

*

Mio padre tornò alla sua casa, quella dove io e lui avevamo abitato: tanto sapeva che per un po' non ce ne saremmo andati da lì perché nessuno aveva fretta di lasciare un porto sicuro. Passammo la notte a Sunny Haven e sorse l'alba del terzo giorno. Finora il periodo più lungo durante il quale io e Jack non ci eravamo parlati.
Ormai perfino Faith aveva iniziato a suggerirmi con delicatezza che il mio comportamento era strano. Valerie invece senza peli sulla lingua l'aveva definito per quello che era: ridicolo.
In effetti dovevo darle ragione: chiuderci nel reciproco silenzio non ci avrebbe fatti andare né avanti né indietro. Per di più cominciavo a sentirmi un po' in colpa per non essere andata a trovarlo neanche una volta da quando se ne stava chiuso in cabina in convalescenza: a dire il vero qualche volta ero passata ripetutamente davanti alla porta dei suoi alloggi... sempre “per caso”, naturalmente. Ma ogni volta dopo avere tentennato per qualche secondo lì davanti me ne ero sempre andata. Con una voce interiore neanche troppo smorzata che mi ripeteva: “Vigliacca, vigliacca.”
Vigliacca sì, tantissimo. Per questo non potei che rimanere sorpresa e in una certa misura infastidita quando quel mattino Will e Gibbs vennero da me con una faccia scura che non lasciava presagire nulla di buono: - Jack chiede di te. - mi disse Will senza tanti preamboli.
Già partivamo malissimo; inarcai un sopracciglio e replicai: - Che cosa vuole?-
Will tentennò, Gibbs gli saltò sulla voce con una certa premura: - Precisamente dice che si rifiuta di farsi cambiare la fasciatura se non vieni a farlo tu... davvero, ho cercato di dirgli di non fare storie, ma non c'è verso di farlo ragionare... -
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo, distogliendo lo sguardo dai due: ci mancavano soltanto i suoi capricci infantili... però sospettavo che ci fossero ben altri motivi sotto la sua richiesta e dovetti ammettere che era proprio per non affrontare questi motivi che negli ultimi giorni mi ero rifiutata di varcare la soglia della cabina. - Laura... - Will mi distolse dai miei pensieri, mi voltai a guardarlo: - E' importante. Parla con lui, per favore. -
Era molto serio, e mi chiesi se anche lui come tutti avesse capito che le cose tra me e il capitano non andavano affatto bene, o se addirittura glielo avesse rivelato Jack stesso. Dopo un istante scartai la seconda ipotesi; no, non era da Jack confidarsi con qualcuno. Più probabilmente l'atmosfera a bordo era diventata irrespirabile con due capitani che non si volevano neanche vedere.
- Va bene, va bene... -
Ci andai da sola: quando entrai nella sala degli ufficiali deserta mi sembrò quasi di intrufolarmi in campo nemico. Aprii la porta della sua cabina e lo trovai in piedi che guardava distrattamente fuori da una delle spesse vetrate; aveva addosso solo i pantaloni e l'abbondante fasciatura che gli ricopriva la schiena e buona parte del petto: sentendomi entrare si voltò e mi guardò inarcando le sopracciglia.
- Non dovresti alzarti. - fu la prima cosa che gli dissi, e perfino in tono piuttosto acido. Me ne pentii subito dopo perché lui, sentendo in che toni partiva la conversazione, rispose in modo altrettanto distaccato: - Mi alzo quando me la sento, e si da il caso che in questo momento me la sentissi. - in quattro passi andò a sedersi sul letto e mi squadrò da capo a piedi come se stesse cercando di valutarmi. - In effetti sarei potuto venire a cercarti personalmente, ma trovo che qui si possa parlare indisturbati. -
- Tu hai bisogno di farti cambiare quella fasciatura. - sospirai, vedendo che distrattamente si grattava sotto le bende. - Dammi qua. -
Jack si rassegnò a lasciarmi fare il mio lavoro e non proferì parola mentre slacciavo le bende e preparavo quelle pulite. Con un certo sollievo constatai che ben presto non ce ne sarebbe stato nemmeno più bisogno perché le ferite di Jack erano cicatrizzate e quasi completamente guarite; le cure di Faith avevano fatto un ottimo lavoro. Mi dava le spalle, così non fui obbligata a guardarlo mentre facevo quel lavoro, ma ad un certo punto mentre gli passavo la mano davanti per annodare un capo della benda lui mi agguantò la mano nella sua e se la trattenne contro il petto, così che quando si voltò a guardarmi da dietro alla spalla non potei tirarmi indietro. - Come ti devo dire che mi dispiace?- mi chiese ad un tratto, duramente.
- Lo hai già detto, e ho già preso atto. - replicai, vagamente irritata: cercai di liberare la mano ma lui la trattenne nella sua. - Sarei curiosa di sapere a quante donne hai ripetuto “mi dispiace”, sai?- gli buttai lì, velenosa.
Jack esitò per un attimo, cincischiando con la mia mano; continuavo di tanto in tanto a cercare di liberarla ma lui non ne voleva proprio sapere di lasciarla andare, se la teneva in grembo senza arrischiarsi a mollarla, così ero costretta a starmene lì, china contro la sua spalla. - D'accordo, ammettiamo che solitamente quando ho detto “mi dispiace” ad una donna ero sincero una volta su tre. Facciamo così allora: mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace. E tre. Almeno una quindi me la devi dare come sincera, comprendi? Adesso mi ascolterai?-
- Non se continui a dire idiozie. - replicai, anche se dovevo ammettere che per poco non mi aveva strappato un sorriso.
- Ci proverò. - mi lasciò andare e si voltò sul materasso, in modo che fossimo faccia a faccia. - Lo so che ce l'hai con me, ne hai tutte le ragioni. Però dopo quello che ti ho detto non intendevo che noi due tagliassimo i ponti, comprendi?-
- Ma che cosa ti aspettavi?- scattai. - Jack, mi hai ferita e tanto anche! Tu sei... diavolo, sei andato con delle altre donne appena io ho girato lo sguardo! Che cosa dovrei pensare?- mi sentivo salire la rabbia e tremavo, perché sapevo che se mi fossi fatta prendere dalla foga non sarei riuscita a dirgli quello che volevo veramente fargli capire. - Tu ti sei preso gioco di me! E io non ho mai... tradito la tua fiducia, o...o anche solo dubitato di te! Mai! Non lo capisci questo?-
Jack aveva abbassato gli occhi, ma annuì.
- Ah, lo capisci? Allora dimmi un po', caro il mio capitano, se mentre ti divertivi con le tue allegre puttane per un minuscolo istante ti è venuto da pensare a quanto mi avresti ferita con quello che stavi facendo... avanti, sono proprio curiosa. -
- Non ho fatto niente. - Jack rialzò il capo di scatto, allargando le braccia. - Cioè... quasi niente, d'accordo. Ettore era presente, è stato lui a portarmi fuori dalla locanda perché ero troppo ubriaco per reggermi in piedi. Era la sera in cui tu te ne eri scappata via per raggiungere tuo padre, ricordi? Era per quello che io sono andato in quella locanda e mi sono ubriacato... -
- Cosa?- la faccenda si faceva più ingarbugliata e più chiara al tempo stesso. - Cosa intendi con “era per quello”? Ero solo andata a raggiungere mio padre, perché non sei venuto a cercarmi, o che so io, se volevi... -
- Perché ero arrabbiato!- scattò Jack, gesticolando furiosamente. - Senti un po', credi di essere l'unica a cui è concesso offendersi? Io avevo provveduto a liberarci, noi... - indicò frettolosamente me e lui. - ...da tuo padre che stava diventando un grosso problema, tu che di punto in bianco molli tutto e gli corri dietro come a dirgli “oh sì, papà, hai sempre avuto ragione tu”... Anche tu non è che mi hai fatto fare i salti gioia, uh?-
Per diversi secondi non seppi che cosa rispondere e rimanemmo semplicemente lì, con la tensione alle stelle: ci eravamo entrambi liberati tutto d'un botto di qualcosa che ci appesantiva il cuore, ora c'era solo da vedere come avremmo gestito lo scontro.
Ripresi la parola, scandendo le sillabe più lentamente che potrei. - ...Tu sei andato con le prostitute... perché eri geloso di mio padre?!-
Jack esitò per un istante storcendo la bocca, quindi annuì in fretta. - E perché ero ubriaco. - si affrettò ad aggiungere. - Fradicio. -
Mi battei una mano sulla fronte e ce la lasciai mentre sospiravo, guardando il pavimento. L'assurdità dell'accaduto non lo rendeva meno brutto, eppure... eppure osavo sperare che scavando fossimo arrivati ad un barlume di giustificazione, alla piccola speranza che forse, nonostante tutto, avremmo potuto...
- Jack, sei un cretino. -
- Anche tu. - borbottò lui giocherellando con le coperte. Ancora silenzio. Mi posai le mani sulle ginocchia e feci vagare lo sguardo per la cabina. - Be', è già qualcosa sapere che alla fin fine c'era una spiegazione. -
- Lo so, e ho già detto che mi dispiace per quello che ho fatto. - Jack si era fatto improvvisamente più serio, e mi si accostò un po'. - Però per quelle prostitute non mi sono fatto frustare. - alzava il pollice ad indicare le cicatrici che aveva sulla schiena.
Mi tirai indietro cercando di evitare il suo sguardo. - Che cosa diavolo c'entra adess... -
- No, ascoltami. - di colpo le mani di Jack erano sulle mie spalle, e lui mi venne più vicino di quanto avessi pensato di permettergli. - Ho fatto molti errori nella mia vita, è vero, e forse è stato un errore anche farsi catturare da Burrieza... -
- Forse? Forse? Per caso ti è sfuggito che ti stavano massacrando?- replicai di scatto: il ricordo di quello che gli avevano fatto in cella era ancora troppo vivido per passarci sopra. Perché doveva parlare con voce bassa e tranquilla anche con la carne solcata dalle cicatrici? Perché doveva continuare a guardarmi di sottecchi col suo sogghigno di chi la sa lunga anche dopo quello che aveva passato là dentro?
- No che non mi è sfuggito. - rispose lui senza scomporsi. - Ma la vuoi sapere una cosa? Non mi sono pentito di quasi nessuno dei miei errori... quasi, ho detto, eh? Ma non mi pento di questo. - il suo sogghigno si era fatto, se possibile, ancora più sfacciato. Lo respinsi bruscamente, scostandomi da lui: non volevo più ricordare quella prigione, non volevo più pensare al puzzo di morte, al buio opprimente, al terrore che mi attanagliava tutte le volte che vedevo le guardie portare via Jack per poi restituirmelo sanguinante. - Jack, tu sei pazzo... Dio, quando ti deciderai a guardare in faccia la realtà?- dissi fra i denti, e fui tentata di alzarmi e andarmene, ma lui non mi aveva ancora lasciato le spalle, anzi, fece scivolare una mano dietro il mio collo per costringermi a guardarlo negli occhi.
- La realtà la sto guardando in faccia ora più di quanto abbia mai fatto prima. - continuò in un sussurro animato. - E io... oh, io non potrei mai pentirmi di aver fatto qualcosa che volevo fare. -
I miei occhi si strinsero. - Volevi finire in una prigione e farti torturare?!- esclamai, pungente. Jack sollevò il mento con l'aria di trovare divertente ciò che avevo detto. - No. - rispose semplicemente. - Ma volevo proteggere te. E credimi quando ti dico... che non c'è cosa che non sarei disposto a fare per questo. Io mi sono innamorato di te, posso darmi dello stupido, ma pentirmi... - sogghignò con aria estremamente soddisfatta. - No, no. -
Quelle parole, così strane in bocca a lui, così stupide considerata la situazione nella quale ci trovavamo, servirono solo a farmi traboccare del tutto inaspettatamente due lacrime dagli angoli degli occhi. Furiosamente afferrai Jack per il bavero della camicia: - E tu... tu aspetti di essere ridotto in fin di vita per dirmelo? Cretino!- lo lasciai andare che ancora ridacchiava fra sé. Perché rideva? Io stavo piangendo a dirotto! - Sei... sei impossibile! Devi finire sotto tortura per dirmi queste cose? -
Stavolta Jack rise sul serio, avvolgendomi il braccio libero attorno alla vita: sussultai leggermente, da quanto tempo non stavamo così vicini? - Sono il capitano Jack Sparrow. -
- La zucca più vuota dei Caraibi. - aggiunsi, strofinandomi gli occhi bagnati con gesto brusco. - Ti prenderei volentieri a pugni se non fossi già ridotto così... -
- Non mi dispiacerebbe se lo facessi. - ridacchiò, abbracciandomi a tradimento e affondando il viso nei miei capelli; per un po' gli resistetti, combattuta, ma poi mi arresi e ricambiai l'abbraccio stringendogli le braccia al collo. - Se non altro è già qualcosa rispetto a tre giorni di silenzio assoluto, con te che neanche ti sogni di venire a vedere se sono ancora al mondo. -
- Ero arrabbiata. Che cosa volevi?- le mie parole bofonchiate però avevano tutto un altro effetto ora che le dicevo nascondendo il viso sulla spalla di Jack.
- Che tu mi perdonassi. - rispose lui con dolcezza disarmante. - E poi di botte mi sembra di averne già prese abbastanza, non trovi?-
Annuii lentamente, quindi ci separammo: lui però non smise di tenermi le mani sulle spalle, come se temesse che mi allontanassi troppo, e continuò a guardarmi col suo mezzo sorriso. - Tu sei una persecuzione. - sogghignò beffardo mentre lo diceva, scuotendo la testa.
- Tante grazie. - replicai, sardonica. - La fasciatura te la cambi da solo la prossima volta se questa è la soddisfazione. -
Lui scoppiò a ridere, gettando il capo all'indietro. - Oh no, bellezza, mi hai frainteso. Tu sei la mia persecuzione personale. - ad un tratto mi lasciò andare e si rialzò con calma dal materasso, per raggiungere in quattro passi il piccolo tavolo lì accanto dove era appoggiata una bottiglia che agguantò prontamente. - Anzi, sei uno strumento di tortura di prim'ordine. - con abilità consumata stappò la bottiglia e se la portò alle labbra per ingollarne una generosa sorsata mentre io rimanevo lì, ferma sul letto, e ancora mi chiedevo che cosa avesse voluto dire. Jack si curò di scolarsi quasi metà bottiglia prima di separarsene schioccando le labbra e continuare, con una mano che gesticolava in aria: - Sei una di quelle che quando ti danno un bacio di colpo ti sembra che tutto vada a meraviglia, di quelle che ti stanno tra i piedi così tanto che la volta che non ci sono ti chiedi quando diavolo arriveranno... comprendi? Sei una di quelle che uno comincia a pensare che sarebbe bello avere nel letto tutte le mattine, che ti piacerebbe portarti dietro per tutti e sette i mari... e diavolo, decisamente sei una di quelle che quando ti tengono il muso ti senti da cani finché non riesci a strapparle almeno un sorriso. - ciondolò il busto come suo solito mentre si appoggiava al tavolino e cominciava a scolare il resto della bottiglia, senza però staccarmi gli occhi di dosso.
Ero rimasta senza parole. Non mi aveva mai parlato così, e per assurdo pareva proprio che ogni volta che cominciava a fare discorsi del genere dovesse scegliersi i momenti meno opportuni. Che cos'era, una richiesta di pace e una dichiarazione insieme? Dovevo ammettere che dopo averlo sentito dirmi quelle cose avevo un morso tutt'altro che spiacevole allo stomaco, ma non potevo ignorare tutto quello che c'era stato prima.
Mentre Jack abbassava la bottiglia e restava a seguirmi con lo sguardo io mi alzai dal letto e ricambiai la sua occhiata: - Io mi chiedo soltanto... - feci, allargando le braccia con aria impotente. - ...quante altre volte dovrò perdonarti?-
Jack sembrò colto alla sprovvista e dopo aver tentato un attimo di parlare cambiò idea, abbassò gli occhi e giocherellò col collo della bottiglia che teneva in mano. Sospirai e mi strinsi nelle spalle, quindi venni vicino a lui e gli posai una mano sulla guancia: sembrò quasi sorpreso dal contatto e sollevò il viso, inarcando un sopracciglio in modo buffo. - Sono contenta che tu stia bene. - gli dissi con sincerità, dandogli un buffetto sulla guancia e concedendomi finalmente un sorriso. Lui ricambiò. O almeno, fece del suo meglio. Dopodiché mi voltai e lasciai la cabina.

*

Will sedeva sulla spiaggia su un masso piatto, affilando con cura la spada. Poco distante sul bagnasciuga erano allineate le barche dei pirati, reclinate su di un fianco, mentre i pirati stessi se ne stavano a gruppetti sulla spiaggia: presto sarebbe calata la sera, e gli uomini si radunavano attorno a piccoli falò per mangiare, bere rum o contare i soldi che rimanevano loro per una serata di divertimenti in città.
Diede un ultimo colpo alla lama con la pietra abrasiva, quindi se la rigirò davanti al viso con aria soddisfatta: era un'abitudine che non aveva mai perso, quella di tenere la propria arma in condizioni impeccabili.
- Elizabeth non si offende sapendo che passi tutto il giorno con la tua spada in mano?-
Si voltò: Jack si avvicinava dietro di lui, ciondolando sulla sabbia. - E tu perché sei in giro?- domandò Will di rimando, girandosi verso di lui e appoggiando la spada. Jack si fermò accanto a lui, con una scrollata di spalle: - Sto bene, ormai, e preferisco prendere un po' d'aria piuttosto che marcire in cabina, comprendi?-
In effetti Will doveva riconoscere che il capitano si era ripreso assai bene: era tutta un'altra cosa rispetto a come era conciato quando lo aveva recuperato dalle prigioni di Burrieza, quando riusciva a malapena a tenersi in piedi. Jack si sedette pesantemente sul masso, quindi scoccò al giovane un'occhiata curiosa. - Come mai qui?-
- Si sta bene. - Will si strinse nelle spalle mentre automaticamente continuava a seguire con gli occhi il filo della spada alla ricerca di imperfezioni. - E' una bella serata e neanche a me andava di rimanere a bordo. -
- No no, mi hai frainteso: intendevo, come mai qui... - Jack indicò a terra con entrambi gli indici per enfatizzare il concetto. - ...e non sulla tua isoletta felice? Io sono rimasto a quando mi sei spuntato davanti vestito da soldato in cella quando in teoria saresti dovuto essere da tutt'altra parte. -
Will finalmente distolse lo sguardo dalla spada per fissare Jack con un sopracciglio inarcato. - Te l'ho detto, abbiamo sentito della tua cattura al mercato a Oyster Bay, quindi siamo andati a Conceicao sperando di poterti venire in aiuto. E' stato allora che abbiamo incontrato Laura e gli altri e abbiamo organizzato un piano per tirarti fuori. Tutto qui. -
- Oh. - Jack annuì, meditabondo, poi ridacchiò fra sé come se trovasse la cosa divertente. - Non dovevi scomodarti. Oppure magari non aspettavi altro che una scusa qualsiasi che ti permettesse di alzare le chiappe e rimetterti in mare?-
- Che cosa vuoi dire?- protestò Will, voltandosi bruscamente verso di lui.
- Hm... Abbiamo fatto una bella chiacchierata un po' di tempo fa: c'eri tu appeso al boma dell'Interceptor, ricordi?- Jack gesticolò verso gli alberi di una nave immaginaria. - Pensaci su, magari ti chiarisci le idee. - così detto si alzò da dove era seduto e si stiracchiò vistosamente.
Will si corrucciò, indispettito dalle parole di Jack: con la mente tornò a quel ricordo di quasi quattro anni prima, quando lui e il pirata erano partiti insieme alla ricerca di Elizabeth... dio, sembravano i ricordi di un'altra vita. Ricordava quello che gli aveva detto Jack Sparrow in quel particolare frangente: qualcosa di simile a “Hai sangue pirata nelle vene, e dovrai farci i conti un giorno o l'altro...”
Il giovane si alzò e di scatto e fronteggiò Jack, costringendolo a guardarlo in faccia. - Guarda che lo so quello che stai cercando di dirmi, Jack, ma ti sbagli. Credi sempre di sapere tutto di tutti ma, lascia che te lo dica, ti sbagli!-
Jack sollevò le mani e si strinse nelle spalle con aria innocente. - Ricevuto. Chiaro. D'accordo. Mi sbaglio. Non è il caso di prendersela tanto... - distolse l'attenzione da lui, cominciando a trastullarsi con l'elsa della propria spada, quindi ad un tratto risollevò lo sguardo su Will. - Tiri ancora di scherma con quella spada, oltre che a lucidarla fino allo sfinimento?-
- Ogni giorno. - replicò prontamente Will, fra l'offeso e l'orgoglioso.
- Ottimo. - con un unico gesto fluido Jack sguainò la propria spada e la fece dondolare sotto il naso di Will. - Diamo un'occhiata a come te la cavi, ti va?-
Will esitò, senza sapere come prendere quella che sembrava una sfida. - Sei sicuro di essere abbastanza in forma per tirare di scherma?- obiettò mentre saggiava incerto la propria spada. Jack inarcò un sopracciglio: - Noi hai che da provarlo. -
Il capitano fece guizzare la spada in avanti in un finto affondo, mirato solo a fare indietreggiare di scatto Will e a fargli sollevare la propria arma. Le lame si incrociarono. I due girarono in cerchio per alcuni secondi, fronteggiandosi e incalzandosi con rapidi movimenti delle spade, quindi Will scattò in avanti, facendo indietreggiare Jack che assecondava uno dopo l'altro i suoi movimenti, limitandosi a parare.
- Sei migliorato. - commentò lui affacciandosi da sopra le lame incrociate. - Devi esserti tenuto allenato anche in questi tre anni, deduco. -
- Te l'ho detto, Jack: ogni giorno. - Will continuò a farlo arretrare con stoccate precise; ad un certo punto Jack respinse il suo ultimo colpo con più energia e a tradimento fece guizzare la lama verso il suo braccio; Will parò e respinse, ma ora era Jack a condurre il duello.
- Sei uno che non si annoia mai!- Jack tornò ad attaccare: un fendente dall'alto e uno dal basso, e Will li parò entrambi, cominciando ad indietreggiare verso il bagnasciuga. - O magari ti annoi troppo. -
- Non ti seguo... - si rese conto con un istante di ritardo di avere abbassato la difesa, e quando parò un fendente tirato a tradimento la lama di Jack passò pericolosamente vicina alla sua faccia.
- Vedo; un'altra parata del genere e ti troverai senza un occhio!-
Indispettito dalle battute del pirata Will si impose di restare concentrato sul duello, ma era difficile con Jack che continuava a canzonarlo ed incalzarlo a quel modo. Anche quella era tattica, doveva riconoscerlo.
- Tu non me la racconti giusta... - ma come diavolo faceva a continuare a parlare come se stessero facendo un'amichevole chiacchierata mentre girava in cerchio tirando due fendenti dall'alto? - Tu non vuoi rimanere a fare il marito felice su un'isoletta qualunque! Oh certo... - due colpi secchi, e le lame si incrociarono portandoli l'uno vicino all'altro; Will per poco non incespicò, sulla sabbia ci si muoveva con difficoltà. - ...è quello che puoi fare. Non quello che vuoi. -
Will si liberò del suo avversario sfilando rapido la spada e contrattaccando con una stoccata che Jack evitò per un soffio. - Che cosa ne vuoi sapere tu?- esclamò, piccato. - Chi sei tu per dire cos'è che voglio o non voglio?-
- Oh, io giudico solo da quanto vedo. - Jack si tirò indietro mentre distraeva Will con una finta alla sua destra. - Ti è rimasto un malsano retaggio di onestà, ma saresti un bravo pirata... e un brav'uomo. - con un colpo secco scostò da davanti a sé la spada tesa di Will, e questo non fece nemmeno resistenza: si era improvvisamente fermato.
- Non voglio, Jack. - disse con veemenza, abbassando gli occhi e scuotendo vigorosamente il capo.
Il capitano puntò la propria spada al petto del giovane senza che questi facesse niente per fermarlo e rimase a scrutarlo col capo inclinato, studiandolo. - Perché no? E' evidente che fermo non ci puoi stare, e che la vita fuori porta... o “fuori-porto”, chiamala come vuoi, ti piace di più. Prima non lo credevo, è vero, ma adesso direi che sei davvero il tipo da volere una nave tutta sua, per andare libero dove gli pare insieme alla sua sanguinaria consorte. -
Will alzò di scatto lo sguardo e fissò Jack che ancora gli puntava pigramente la spada al petto. - E' per Elizabeth e David, non lo capisci? Non ho intenzione di metterli ancora in pericolo, non posso farlo. -
- ...E la bandiera col vessillo, certo. Nera con... due palle di cannone, ecco. Giusto per scaramanzia, sai... - ridacchiò fra sé come se non avesse sentito una parola di quel che gli aveva detto Will, che si infervorò e protestò: - Ma non riesci a prendere sul serio proprio niente?!-
Il sorriso sparì dalla faccia di Jack in un secondo, e lui avanzò con la spada ancora puntata. - Oh, perdonami. Seri, allora. - scattò avanti levando la spada in alto e costringendo Will a fare un passo indietro e a parare il colpo sopra la propria testa; mentre lottava per respingere Jack sentì l'acqua lambirgli la caviglia e si sentì pericolosamente sbilanciato.
- Paura di mettere in pericolo moglie e marmocchio?- continuò Jack in tono più tagliente, spingendolo. - Conoscendola, è più facile che prima o poi sia proprio Elizabeth a prendere il largo e lasciarti appiedato, bello!-
Will sgranò gli occhi aprendo la bocca per protestare e Jack ne approfittò per fargli lo sgambetto, tirandogli via bruscamente con la punta dello stivale il piede su cui poggiava tutto il peso. Il giovane incespicò, perse l'equilibrio e piombò nell'acqua bassa sollevando uno spruzzo.
Jack si ritrasse e rinfoderò la spada con tutta calma. - Detesto dovermi rimangiare le parole... ma a quanto pare non sei migliorato granché. - commentò ostentando un'aria delusa; Will si rialzò imprecando a mezza voce e scrollandosi di dosso l'acqua e la sabbia bagnata: si era fatto fregare ancora una volta.
- Di solito i miei avversari non la fanno tanto lunga con le chiacchiere!- replicò irritato mentre si alzava in ginocchio, fulminando Jack con lo sguardo. Ma perché faceva così? Si divertiva a confondergli le idee e poi a farlo cadere nel ridicolo? Se era così avrebbe fatto meglio a smetterla, perché lui si stava veramente stufando di essere trattato in quel modo.
- Allora frequenti avversari piuttosto scadenti: io mi sentirei insultato se un avversario non provasse nemmeno ad insultarmi, comprendi?- stranamente si avvicinò e gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi: Will rimase sorpreso per un attimo, non se l'aspettava, quindi accettò il suo aiuto e si rimise in piedi.
E ad un tratto come per un'illuminazione improvvisa gli parve di capire dove Jack avesse voluto andare a parare coi suoi discorsi senza senso e le sue provocazioni. Stava giocando! Non aveva fatto che giocare con lui per tutto il tempo, mettendolo sotto pressione e divertendosi a sentire le sue risposte, tutto con la scusa del duello. Effettivamente non avevano mai usato parlare molto, loro due... aveva la sensazione che quelle di Jack non fossero soltanto frasi canzonatorie, ma che davvero avesse voluto dirgli cosa pensava fosse meglio per lui.
Will aggrottò le sopracciglia, scrutando il pirata che ora gli dava la schiena mentre si incamminava sulla spiaggia verso gli altri pirati. Era sincero in quello che diceva, dunque. Lo sarebbe stato anche se fosse semplicemente venuto a parlargli? Will credeva di no. Probabilmente nessuno dei due avrebbe neanche saputo come iniziare il discorso.
La scusa della sfida, invece, aveva sciolto la lingua ad entrambi molto più in fretta. Will rinfoderò la spada , si asciugò il volto bagnato e seguì Jack.
- Tieni. - Jack aveva rimediato due boccali traboccanti di rum da uno dei gruppetti di pirati riuniti sulla spiaggia, e ne porse uno a Will, che lo prese cercando non senza fatica di non versare il liquore che lo riempiva fino all'orlo. - Consideralo un premio di consolazione... -
Si sedettero sulla sabbia bevendo e osservando distrattamente i pirati che cuocevano strisce di carne sui falò; Will inghiottì un grosso sorso di rum, tossicchiò, quindi riprese a sorseggiare con più cautela. Jack aveva già tracannato metà boccale quando Will si voltò per chiedergli: - Ora che ti sei ripreso immagino che ripartiremo al più presto. Hai ancora intenzione di raggiungere la miniera?-
- Sicuro. - Jack abbassò il boccale e si asciugò le labbra con la manica. - Ah... sbaglio ho hai parlato al plurale? Verrai con noi?-
Will si accorse in quel momento di avere dato praticamente per scontato che lui, Elizabeth e David avrebbero seguito la Perla fino alla fine del suo viaggio: esitò un attimo prima di giustificarsi. - Volevo dire... be', ormai siamo qui, perciò se possiamo aiutarvi, noi... Ma è solo fino alla fine del viaggio, non volevo dire altro. -
- D'accordo, d'accordo... io non dico niente perché tanto “mi sbaglio”, e allora... - Jack tornò a bere, non senza aver scoccato a Will una fastidiosa occhiata di sufficienza che era pure provocazione.
- E di te che cosa mi dici invece?- rilanciò Will, di nuovo irritato. - Credi che non abbai avvertito che aria tira sulla tua nave? Da quello che sentito non erano rose e fiori fra te e il tuo... come dovrei chiamarlo, futuro suocero?-
Jack sussultò e si voltò di scatto verso Will fissandolo con aria oltraggiata. - Non chiamare così quel vecchio bastardo invasato!- sibilò, stringendo gli occhi e agitando furiosamente la mano libera. - Non sai che sollievo quando finalmente se ne è andato... ohi, ma aspetta un momento, chi è che ti ha raccontato di questo?-
- Dovresti saperlo che Gibbs adora avere storie nuove da raccontare. - Will non poté evitare di sorridere divertito mentre Jack imprecava a bassa voce e abbassava gli occhi con aria offesa. - E... Laura?-
Lo aveva chiesto in tono improvvisamente più serio, sapendo di toccare un punto delicato. Jack esitò, col boccale fra le mani. Poteva dire ciò che sperava, poteva dire che era andato tutto a posto e così rassicurare anche sé stesso... ma per una volta, sorprendentemente, preferì essere franco e stringersi nelle spalle rispondendo onestamente: - Non lo so. -
Will annuì con l'aria di capire che cosa intendeva, per poi chinarsi sul proprio boccale.
- E' assurdo, non trovi?- fece all'improvviso Jack corrucciandosi e scoccandogli un'occhiata obliqua: lui sollevò gli occhi e aggrottò le sopracciglia senza capire. - Che cosa?-
- Noi due non siamo “amici”. - Jack mosse la mano da sé stesso al giovane. - Eppure gira che ti rigira... - allargò le braccia, stringendosi ancora nelle spalle. - Siamo sempre qua, per un motivo o per l'altro. -
Will rifletté su quelle parole mentre si portava il boccale alle labbra: dopotutto era vero, non erano mai stati amici. Erano stati alleati improvvisati, si erano salvati la vita a vicenda per poi piantarsi ripetutamente coltellate nella schiena, erano stati di nuovo giocatori della stessa partita, erano stati dalla stessa parte e poi Will aveva lasciato il mondo e le persone che conosceva per tre anni, dopo il gesto di Jack che lo aveva salvato e maledetto contemporaneamente. No, in tutto quel precipitare di avvenimenti forse non erano mai stati amici nel vero senso del termine. Però in qualche modo erano stati legati, e questo non lo si poteva negare.
- Già, però stavolta le parti sono scambiate, no?- rispose in tono tranquillo. - Stavolta a quanto pare sei tu che ti devi mettere in gioco per qualcun altro. -
Intuendo a chi Will stesse alludendo, Jack lo fissò per qualche momento storcendo stranamente le labbra, poi distolse lo sguardo agitando una mano in aria. - Bah, sta zitto. -
- Perché?- ora il sorriso di Will era beffardo; aveva trovato un punto debole nella corazza del pirata ed era intenzionato a sfruttarlo, ma non per ferire: come prima Jack aveva fatto parlare lui, adesso era intenzionato a ricambiare il favore. - Non ti va che questa cosa ci renda più simili? Non sei fatto di pietra, no? Allora non hai che da dimostrarlo. -
- Non ostinarti a bere il rum se poi non lo reggi. - replicò acido Jack continuando a guardare risolutamente davanti a sé.
- Sono serio, Jack. - Will posò il boccale, fissando il capitano anche se lui si ostinava ad evitare il suo sguardo. - Che cos'è che ti preoccupa? O magari pensi che ti screditi tanto volere bene a qualcuno?-
Nessuna risposta; Jack stava col mento in aria fissando il mare con espressione del tutto assente. Will gli si accostò un po' per costringerlo ad ascoltarlo: - Perché tu vuoi bene a Laura. - non era una domanda. Jack continuò a non rispondere per un bel pezzo, rimanendo a scrutare il cielo come se si fosse incantato, poi ad un tratto si voltò verso Will lanciandogli un'occhiata quasi sprezzante, per poi alzarsi in piedi con un movimento brusco che fece tintinnare tutti i ninnoli che portava addosso.
Will non insistette oltre, bevendo l'ultimo sorso di rum mentre il capitano si allontanava lungo la spiaggia con la sua ormai familiare camminata ondeggiante. Che Jack lo ammettesse o no, si disse, era cambiato e non poteva far finta di niente. Gli aveva dato di che rimuginare col suo discorso di prima, ma almeno... adesso erano pari.
Stranamente gli venne da sorridere di nuovo senza sapere veramente perché: era curioso, in qualche modo sentiva che le cose cominciavano ad andare per il verso giusto.
Jack si allontanò rimuginando: le cose stavano decisamente cambiando, si disse, tant'era vero che in qualche modo, volente o nolente, stava cominciando a diventare amico di Will Turner.


Note dell'autrice: E ce la fece! Finito anche questo capitolo, gli ultimi mi stanno veramente del filo da torcere anche perché come avrete notato sto cercando di "mettere a confronto" la personalità e insieme i dubbi di diversi personaggi ed è un lavoro complicato. Grazie a Stellysisley e a ScissorHands per le recensioni!

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Capitolo 16
*** Con me o senza di me ***


Capitolo 15
Con me o senza di me


Poiché era apparso chiaro fin da subito che né la Perla né la sua ciurma sarebbero salpati di lì per qualche giorno, e dato che dopo aver speso tutta la loro paga in divertimenti in città gli uomini si trovavano con le mani in mano, il capitano aveva deciso che la nave aveva bisogno di una revisione completa.
Così in quei due giorni la ciurma non aveva fatto altro che andare avanti e indietro pulendo ponti, riparando travi marce, ricucendo vele strappate e fare grandi rifornimenti di viveri, in particolare di rum che sembrava andare via come l'acqua fresca ora che praticamente tutte le sere la ciurma si radunava attorno ai falò sulla spiaggia per fare baldoria.
- Proprio te cercavo!- disse Gibbs arrivando di corsa sul ponte, rivolto a Jonathan che si stava godendo un attimo di pausa giocando a dadi con altri tre pirati. Il brizzolato primo ufficiale si fermò davanti al quartetto tutto trafelato, e indicò frettolosamente gli alberi. - C'è bisogno di te, carpentiere: ci sono gli alberi danneggiati e alcuni pennoni da aggiustare, forza! -
Con un sospiro Jonathan lasciò i dadi e si alzò. - Non posso fare tutto da solo però, mi serve un aiuto. - aggiunse, squadrando il vecchio Gibbs con un sopracciglio inarcato.
- Va bene, trovati qualcuno. - rispose Gibbs, sbrigativo, e si allontanò in fretta alla ricerca del prossimo a cui appioppare un lavoro. I tre pirati che stavano giocando a dadi con Jonathan lo seguirono con lo sguardo con aria divertita. - Si diverte tanto a fare il capitano, eh?- fece con una risatina Hua Zhe, il pirata cinese, scuotendo i dadi nel pugno.
- Già... avete notato che anche se il capitano si è ripreso non si fa più vedere a bordo?- replicò, serafica, Annamaria dal suo angolo: la bella mulatta se ne stava sul ponte a gambe incrociate, raggomitolata come un gatto, e seguiva Gibbs con uno sguardo strano. Jonathan si voltò verso di lei aggrottando la fronte.
- Che intendi dire?- protestò Marty, rizzandosi di scatto. Annamaria gli rivolse un sorrisetto: - Be', sai dirmi dov'è il capitano in questo momento?-
La domanda colse il nano di sorpresa: esitò, ci pensò sopra quindi scrollò le spalle mentre rispondeva: - Uhm... in cabina, forse, o magari è tornato sulla spiaggia ad allenarsi con Turner... -
- Esatto. E' un po' che fa soltanto quello: sta ricominciando a lasciare la ciurma a sé stessa. Brutto segno. Significa che sta pensando. - aggiunse, sarcastica.
- Certo, perché tu conosci il capitano molto bene. - la canzonò Jonathan, scrutandola con un mezzo sorriso: l'occhiata con la quale la mulatta lo incenerì glielo fece svanire dalle labbra; e dire che la sua voleva essere semplicemente una battuta... Annamaria abbassò gli occhi, anche se per nulla punta dall'insinuazione del giovane: negare che fra lei e Jack Sparrow, molti anni prima, fosse accaduto qualcosa non avrebbe avuto molto senso. Ma per Annamaria vivere e lavorare sulla sua nave non era mai stato un problema: non era mai stata innamorata di Jack e mai la sarebbe stata, né tantomeno ne sarebbe stata gelosa. Solo conosceva il capitano da diverso tempo, ed era diventata abbastanza brava da indovinare il suo umore. Ma a parte qualche notte brava in passato, la passione fra lei e Jack Sparrow si era consumata molto in fretta senza lasciare residui.
Jonathan si allontanò lungo il ponte domandandosi come facesse quell'uomo a destreggiarsi fra tanti passati amori senza scatenare burrasche: a Tortuga aveva visto perfino delle prostitute litigare ferocemente solo per decidere chi fosse la favorita di qualche pirata di fama!
Si impose di concentrarsi sul lavoro che lo aspettava: Gibbs gli aveva detto di trovare qualcuno che lo aiutasse. Quasi involontariamente -ma ripensandoci avrebbe dovuto ammettere che l'aveva fatto spudoratamente di proposito- cercò con lo sguardo sul ponte e vide chi voleva vedere, intenta a sistemare un rotolo di cime appena intrecciate.
- Valerie!- la chiamò avvicinandosi. La ragazza posò le cime e si voltò. - Sei al lavoro?-
- Ho appena finito. - diede un colpetto all'ammasso di funi.
- Vieni ad aiutarmi in coffa? Ho un po' di lavoro da sbrigare e avrei bisogno di una mano. -
Valerie annuì in fretta, infilandosi le mani dietro il collo per spostare i capelli dalla nuca sudata. - Va bene. Che c'è da fare?-
- Un sacco di roba, da quello che ho capito: abbiamo ancora gli alberi danneggiati da quando ci hanno cannoneggiati al forte. Tu vai su per le sartie, io ti raggiungo con la scala perché devo portare gli attrezzi. -
Valerie annuì in fretta un'altra volta, quindi raggiunse la fiancata e cominciò subito ad arrampicarsi su per le sartie. Jonathan per alcuni attimi la seguì con lo sguardo: pensò che era bella, anche negli sformati abiti da uomo che indossava; il vento le scompigliava i capelli lunghi e corvini mentre si arrampicava verso gli alberi, agile come uno scoiattolo. Distolse gli occhi da lei e raccolse i suoi attrezzi, poi cominciò a salire per la scala di corda fissata all'albero maestro.
Quando finalmente arrivò in coffa, Valerie era seduta sul pennone e lo aspettava dondolando pigramente le gambe nel vuoto. - Ce ne hai messo di tempo. - lo canzonò scoccandogli un sorriso quando lui la raggiunse in cima all'albero.
- Non ho la vostra ammirevole agilità, miss. - replicò lui, raccogliendo la sfida. Valerie scrollò il capo, godendosi il vento che soffiava forte a quell'altezza, e fece: - Bando alle ciance: abbiamo da lavorare, no?-
Così si misero al lavoro: Jonathan cercò di concentrarsi esclusivamente sui pennoni che dovevano riparare, ma mentre raschiava e martellava, con Valerie che gli passava gli attrezzi o accomodava il cordame allentato, non poteva fare a meno di rimuginare. Non capiva se i suoi larghi sorrisi che elargiva quasi con sfrontatezza nascondessero una punta di malizia o se fossero del tutto naturali. C'era uno strano rapporto tra la ciurma e le donne a bordo: Laura era il capitano insieme a Jack, gli uomini avevano fiducia in lei e la trattavano come un normale membro della ciurma, e lo stesso accadeva per Faith, Annamaria... e sì, certamente anche per Valerie. Alcune battute di tanto in tanto volavano, ma erano poche. Ogni tanto i pirati sembravano addirittura dimenticarsi che fossero donne, ma in momenti come quello Jonathan se ne ricordava più che mai. Valerie era perfettamente integrata fra di loro, forse era quella che, insieme ad Annamaria, si trovava più a suo agio in mezzo agli uomini: veniva da Tortuga dopotutto. Jonathan non sapeva se considerarla un mozzo o una bella ragazza.
Ma perché pensava a lei? si trovò a chiedersi mentre martellava. Non sapeva neanche perché rimaneva a bordo della Perla Nera ora che tutte le sue domande avevano avuto una triste risposta, figurarsi se capiva cosa fosse accaduto da rendergli così vicina quella piccola ragazza che volente o nolente si era trovato di fianco fin dal primo giorno che aveva messo piede sulla nave.
- Credi che così possa andare?- domandò Valerie dopo diversi minuti di lavoro. Sollevò lo sguardo sul giovane al lavoro. - ...Jonathan?- lo chiamò di nuovo, vedendolo imbambolato. - Può andare?-
- Uh? Cosa?- mormorò lui, strappato alle sue riflessioni.
- Sei il primo che vedo addormentarsi mentre martella. - commentò lei con una risata argentina, dondolandosi sopra al pennone. - Abbiamo finito? Mi sembra che ora sia a posto. -
Lui guardò il pennone che aveva appena accomodato: sì, era a posto, era la sua attenzione ad essere seriamente provata. - Penso di sì. Bene, possiamo passare al prossimo. - fece cenno a Valerie di raccogliere gli attrezzi e si fece strada verso il pennone danneggiato più vicino. La ragazza eseguì, cercando di non pensare a cosa sarebbe potuto succedere se le fosse sfuggito un attrezzo a quell'altezza. Magari avrebbe potuto urlare: - Caaaaaaa-deeeee!- e sperare che nessun malaugurato pirata se lo prendesse in testa. Però un poco le dispiacque dover abbandonare la sua postazione privilegiata: si era accorta che le piaceva guardare Jonathan mentre lavorava.

*

Più ci pensavo più mi convincevo che i casi dovevano essere due: o ero completamente senza cuore o stavo imparando ad essere un po' meno impulsiva.
La seconda ipotesi mi piaceva di più, tuttavia non riuscivo a scacciare l'altra a priori: ebbi modo di pensarci quella sera stessa, quando mi unii alla ciurma che si era radunata attorno ai fuochi sulla spiaggia a mangiare, fumare e bere rum. Si stava bene seduti sulla sabbia calda, e sebbene non fossi dell'umore di partecipare attivamente alla conversazione, stare a sentire Faith ed Elizabeth chiacchierare con Gibbs era piacevole. Eravamo radunati attorno allo stesso falò: David correva da un fuoco all'altro senza sosta suscitando l'ilarità dei pirati che ormai lo avevano preso in simpatia come una piccola mascotte della ciurma, Will sedeva al fianco di Elizabeth e scambiava ogni tanto qualche parola con Jack, che più che altro tracannava delle gran sorsate di rum e basta.
Il nostro era diventato una specie di gruppetto obbligato: ci eravamo seduti tutti insieme istintivamente, anche se alla fin fine non avevamo molto da dirci fra di noi. Per fortuna c'era il buon vecchio Gibbs, al quale il rum rendeva la parlantina ancora più sciolta del solito, ed era deliziato di poterci intrattenere con aneddoti e curiosità a non finire. Ettore al momento era vicino ad un altro focolare, impegnato a bere e a scherzare con altri della ciurma, ma ero pronta a scommettere che di lì a poco sarebbe tornato per tenere compagnia a Faith: era difficile tenerli separati troppo a lungo.
E in quella bella atmosfera di baldoria io me ne stavo seduta a gambe incrociate con un boccale mezzo pieno in mano, ascoltando la conversazione senza prenderne parte e di tanto in tanto scoccando a Jack qualche occhiata furtiva, rimuginando sulle sopracitate due opzioni.
Jack era seduto lontano da me. Ce lo avevo di fronte, mentre al mio fianco avevo da una parte Faith e Gibbs e dall'altra Elizabeth e Will. Bloccata sul nascere ogni possibilità di avvicinamento. Era vero che Jack si era unito a noi più tardi, ovvero quando i posti erano già stati presi e l'unico spazio era stato quello fra Will e Gibbs, ma non potevo fare a meno di chiedermi se quella distanza che esisteva ancora fra noi fosse intenzionale o meno.
Magari ero davvero senza cuore. Più guardavo Jack più me ne convincevo: quale donna sarebbe rimasta così fredda come la ero stata io davanti alle parole che mi aveva detto la mattina del giorno prima? Sul momento mi era sembrata la reazione più sensata, adesso quasi me ne stavo pentendo. Era colpa mia se non si era ancora colmata quella distanza abissale fra noi due?
Lo guardavo sorridere sornione ai racconti di Gibbs, portarsi il boccale alla labbra, strizzare gli occhi alla luce del fuoco. Me lo mangiavo con gli occhi. Perché non lo avevo abbracciato, non avevo lasciato che mi baciasse, non avevo fatto nulla dopo la sua dichiarazione?
“Perché ti ha tradita e la cosa ti fa ancora male.” mi risposi da sola, per quanto mi amareggiasse quella risposta. “Non si passa sopra certe cose in due secondi, e tu lo sai. Anche tu hai le tue ferite da curare. Ma questo non toglie che quello che ha detto ti abbia fatto piacere...”
Molto piacere. Però la vocina nella mia testa aveva ragione: non ero ancora pronta a perdonarlo in quattro e quatrotto, ma se non altro mi ero messa sulla via. Bevvi un po' di rum gustando il sapore intenso e speziato che mi faceva sentire come se mi avessero acceso una miccia sulla lingua. Sì, probabilmente anch'io stavo cambiando: se fossimo stati agli inizi probabilmente la gelosia mi avrebbe spinta a gesti sconsiderati, come supplicarlo in ginocchio di amare me e soltanto me. Ci pensai con una punta di sgomento: a pensarci bene ero talmente presa da lui che avrei perfino potuto farlo. Ma ora non più. Aveva detto di amarmi e mi era sembrato sincero: questo mi bastava per ora, ma per colmare la distanza tra noi ci sarebbe voluto ancora un po'.
- ...e poi dovete sapere che la nostra Annamaria è sulla Perla soltanto di passaggio, credetemi!- Gibbs si era lanciato in un'altra delle sue dissertazioni. - In realtà tre anni fa Jack le aveva dato una nave, come aveva promesso... è un'altra lunga storia. Ah, era una gran bella nave, la Sposa del Vento l'aveva chiamata. Ma poi qualche anno dopo ci sono stati dei problemi... -
- Gliel'hanno affondata. - terminò placidamente Jack, ammiccando.
- Cosa?- Elizabeth rimase a bocca aperta, sembrava amareggiata. - Ma... dio, che sfortuna! E non ha fatto nulla per averne un'altra?-
- Intanto aveva già da parte un cospicuo gruzzoletto, e poi è tornata a proporsi per la mia ciurma perché le serviva un altro po' di denaro e voleva trovare qualche posto dove comprare una nuova nave. - continuò Jack gesticolando pigramente in aria, scoccando un'occhiata ad Elizabeth. - Quindi per il momento l'ho ripresa volentieri nella ciurma. Consideratela un capitano in incognito, aspetta solo che riesca a mettere le mani su una nave che le interessa e la vedremo sparire rapida come un lampo... -
- Mi ero chiesto infatti perché non l'avevo più vista nella ciurma quando ti ho ritrovato sull'isola dei Pelagostos. - disse Will con aria meditabonda. - Sono contento che almeno lei non sia finita sotto i denti dei cannibali... -
Jack agitò l'indice: - No no, in pancia ai Pelagostos ci finì mezza ciurma, ma se non altro salvammo la metà migliore, nevvero?- indicò Gibbs. - Un po' mi sarebbe dispiaciuto se si fossero mangiati anche te. Sì, è stato un bene che la nostra Annamaria non fosse con noi al tempo, non so se quelli trovino la carne delle donne più saporita o cosa, comprendi?-
Parlavano, parlavano, parlavano di tante cose, molte delle quali appartenenti ad un passato che conoscevo appena: anche per questo continuavo ad ascoltare senza intervenire, sentendomi partecipe ed estranea al tempo stesso.
Mi accorsi che un po' mi infastidiva la confidenza che il capitano aveva con Elizabeth, il loro rievocare avventure passate come vecchi compagni d'armi, come due persone così... affiatate. No, scacciai quel pensiero. Ero già abbastanza gelosa per conto mio, mi avrebbe fatto solo male aggiungere altra carne al fuoco.
Però ora che avevo toccato il tasto non potevo fare a meno di guardare anche Elizabeth e notare quanto lei fosse bella, come pirata. Aveva messo via il vestito che indossava la prima volta che l'avevo vista quando era arrivata al forte e si era messa in stivali, pantaloni e camicia nera: i suoi lunghissimi capelli biondi erano sciolti sulle spalle e catturavano i riflessi del fuoco. Aveva un viso grazioso.
Di bene in meglio: di questo passo non solo non sarei mai riuscita a perdonare Jack, ma sarei stata schifosamente gelosa di qualsiasi essere di sesso femminile interagisse con lui.
O forse non ero innamorata di lui quanto credevo: nuova, orribile opzione che mi si presentò alla mente strisciante e del tutto inaspettata. Poteva veramente essere per quello? Quella la causa della mia freddezza? Quella la causa della mia incapacità di tornare a fidarmi di lui?
No, non volevo pensarlo. Se c'era una cosa che non volevo mettere in dubbio erano i miei sentimenti per Jack, specie adesso che lo vedevo sorridere ad Elizabeth, scherzare con Faith, ma a me non rivolgere niente di più che qualche sguardo furtivo. Era tutta la sera che ci stavamo spiando di sottecchi io e lui, peccato che nessuno dei due prendesse l'iniziativa e spezzasse il muro di imbarazzato silenzio che si era alzato a livelli vertiginosi.
La serata proseguì tranquilla, fra chiacchiere e rum, poi neanche a farlo apposta cominciarono tutti ad andarsene uno dopo l'altro: Ettore ci raggiunse e si trattenne un poco con noi per scambiare due parole, quindi lui e Faith ci diedero la buonanotte e si defilarono sulla nave con ammirevole rapidità. Con una punta divertita di malizia mi feci l'appunto mentale di strapparle prima o poi almeno qualche dichiarazione riguardo agli affari notturni suoi e di Ettore: finora la mia amica era stata molto abbottonata al riguardo, ma io avevo almeno un paio di domande da farle.
Poi Elizabeth e Will si alzarono e andarono a raggiungere David che giocava da qualche parte sulla spiaggia: a quel punto i miei occhi si piantarono su Gibbs con una punta di supplica. Non te ne andare anche tu. Ti prego, non sentirti il terzo incomodo. Non piantarci in asso qui da soli quando non troviamo neanche il coraggio di parlarci.
Chiunque ascoltasse le mie preghiere doveva avere un bizzarro senso dell'umorismo, perché in effetti il primo a decidere di alzarsi e andarsene non fu Gibbs. Fu Jack.
Stavo per ripiombare nello sconforto pensando che adesso non aveva neanche il coraggio di stare nello stesso posto dove mi trovavo io quando, passandomi accanto, lui fece scivolare la sua mano sulla mia spalla in una carezza quasi casuale. Solo dopo si allontanò. La cosa mi lasciò piacevolmente sorpresa e, dovevo ammetterlo, lusingata. Il silenzio tra di noi era pesante, e anche se evidentemente non se la sentiva di essere lui il primo a romperlo, non faceva che mandarmi messaggi di pace.
Ero io che ero confusa: volevo assolutamente abbattere quel muro di diffidenza, ma allo stesso tempo sapevo di non poter ancora dimenticare il male che mi aveva fatto. Tempo. Forse serviva solo tempo. Dio, quanto lo odiavo il tempo.
- Elizabeth. - proclamò con decisione Gibbs, che era rosso in viso per le troppe bevute e cominciava decisamente ad accusare i colpi dell'alcol.
- Hai davvero esagerato con il rum, Gibbs. Io sono Laura. - gli feci notare.
- No no, io dicevo proprio Elizabeth... - biascicò l'anziano pirata scuotendo in fretta il capo e poi indicando con un gesto goffo la ragazza che, la vedevo ora, se ne stava in piedi accanto ad un altro falò, dicendo qualcosa al piccolo David. - ...è strana quella donna, lo sai? Sempre stata strana. La conosco da quando era alta così... - si portò la mano a metà busto. - ...me la ricordo piccolina che veniva dall'Inghilterra, quando io ero ancora un buon diavolo al servizio della Marina... oh, diavolo se siamo cambiati, tutti quanti!- scoppiò in una grassa risata, prima di ricomporsi: io avevo preso ad ascoltarlo con più interesse. - Quella piccina, lì, Elizabeth, l'avevo detto fin dall'inizio che portava guai. In senso buono, ora, capisci... Il povero commodoro Norrington perse la testa per lei, e avrebbe potuto essere suo padre. Bah. - allungò un braccio e dopo qualche tentativo riuscì ad agguantare la bottiglia di rum più vicina. - ...L'ho rivista dopo, quando già ero un pirata e lei era ancora la principessa da salvare... ahaha, ma non la è rimasta per molto!- sembrava trovare estremamente divertente ogni parola. - Dopo è diventata una con le palle, te lo garantisco. Ops... - in un barlume di lucidità sembrò rendersi conto con chi stava parlando. - Scusa, sono un vecchio cafone... -
- Gibbs, secondo te dopo mesi su una nave pirata mi scandalizzo per una parola?- stavolta riuscì a fare ridere perfino me, e sghignazzammo come veri ubriaconi per qualche istante. Dopo un po' lui si riprese e, col volto arrossato e gli occhi lucidi riprese a biascicare il suo racconto: - Che poi non le rende giustizia chiamarla “una con le palle”, perché di uomini gliene ronzavano intorno, oh, eccome! Va bene, essere l'unica donna tra tanti uomini aiuta, è risaputo che gli uomini hanno dei bisogni... ma te lo garantisco io, quella ragazza ha qualcosa!- cullava la bottiglia fra le braccia come un bambino piccolo avrebbe stretto l'orsetto.
A me era tornata la stretta allo stomaco. - Anche Jack...?- domandai a bruciapelo.
Gibbs ci mise qualche istante a capire la domanda, poi esclamò: - Anche Jack? Sicuro, anche Jack! Lei è stata sulla Perla con noi per un po' una volta, figurati se se la lasciava scappare!-
Cominciava a straparlare, ma proprio per questo ero più che mai convinta che quello che stava dicendo fosse tutto terribilmente vero. Ero impallidita. Già che avevo rigirato il coltello nella piaga tanto valeva affondarlo del tutto. - Perché dici così? Cos'è successo?-
E Gibbs, il povero vecchio Gibbs che ormai era talmente ubriaco da non rendersi quasi più conto con chi stava parlando e cosa mi stava rivelando, si lanciò in racconto a pezzi e a bocconi che mi rivelò più cose di quante avrei mai voluto venire a sapere.
Mi raccontò di Elizabeth che si mostrava un po' troppo favorevole alle avances del capitano, Gibbs stesso li aveva visti sul ponte chiedendosi perché mai Jack non sapesse tenere a bada i bassi istinti anche quando loro correvano un pericolo mortale.
Mi raccontò di Elizabeth che intrappolava Jack sulla Perla Nera attaccata dal kraken, con un trucco meschino quanto sconcertante: lo aveva baciato e incatenato all'albero maestro. Peggio ancora, sotto gli occhi di Will. - Lì per lì non ce ne eravamo neanche accorti, lo venimmo a sapere dopo... - continuava a biascicare Gibbs, lo sguardo perso nel vuoto. Io ero sulle braci. Non riuscivo a respirare. Il solo pensiero di Elizabeth -Elizabeth!- che si stringeva a Jack e lo baciava mi faceva ribollire il sangue nelle vene.
Sbronzo com'era, Gibbs non ebbe pietà di me, e io fui abbastanza masochista da lasciarlo continuare: proseguì raccontandomi di Elizabeth che veniva con loro ai confini del mondo per liberare Jack dalla prigione ultraterrena nel quale era stato rinchiuso, Elizabeth che nominata capitano da un defunto pirata cinese arrivava in un posto chiamato Baia dei Relitti e guidava il consiglio dei nove Lord dei pirati (ma quante cose della pirateria nei Caraibi ancora non sapevo?) arrivando perfino a farsi eleggere... Re dei Pirati. Re della Fratellanza.
- ...Fu tutto per merito di Jack anche questo... ci aveva pensato, gli serviva lei come Re... due manipolatori belli e buoni, che coppia quei due... - quelle parole che Gibbs biascicò prima di crollare completamente furono la goccia che fece traboccare il vaso: mentre lui si addormentava di botto e profondamente io mi alzai con furia, sentendomi il cuore in gola e una furia a stento repressa che mi opprimeva il petto.
Non respiravo. Dovevo costringermi a prendere profondi e faticosi respiri per convincere l'aria ad entrare. Mi fischiavano le orecchie, avevo lo stomaco in subbuglio, ma la cosa peggiore era sentire quella rabbia sorda crescere senza controllo e urlare furibonda pregando soltanto di essere liberata ora, subito...
“No. No. No. Calmati.” ma non era per niente facile.
Era come se tutto ad un tratto il mondo mi fosse crollato addosso, senza lasciare altro che macerie. E la cosa più odiosa era non vedere altro che conferme a quella che era stata una delle mie paure più segrete, che le parole di Gibbs aveva riportato completamente in superficie e scoperto in tutti i suoi dettagli.
Jack ed Elizabeth. Elizabeth e Jack. Il solo pensiero mi rivoltava lo stomaco e mi stringeva la gola col nodo soffocante della furia.
Ma certo, mi dicevo, come aveva detto Gibbs, come avrebbe potuto lasciarsela scappare? La principessa in pericolo, la “donna con le palle”, la feroce pirata e infine Re dei pirati: oh sì, Elizabeth Swann si era proprio dimostrata degna di capitan Jack Sparrow.
Era vero che Will sapeva di quanto era successo? Se tutto quello che Gibbs aveva detto era vero, come poteva stare tranquillo e sereno accanto ad Elizabeth e parlare con Jack come se fossero amici? Io al suo posto gli avrei volentieri spaccato la faccia. Cominciavo ad accarezzare il segreto desiderio di spaccarla a tutti e due: lui e lei. Be', a lui magari no. Ma ad Elizabeth volentieri.
Doveva per forza esserci una spiegazione, o adesso Elizabeth e Will non sarebbero stati lì, sposati e con il loro primo figlio. Ma se qualcosa era successo allora dovevo saperne di più... soprattutto dovevo sapere perché tutti, tutti me lo avevano tenuto nascosto. Perché la mia amica di infanzia mi avesse sostenuta, consigliata e incoraggiata, ma non si fosse mai sognata di dirmi che anche lei, una volta, aveva provato quelle cose.
Voltai le spalle ai falò, ai pirati, a Elizabeth e Jack, a tutti, e mi diressi di gran carriera alla Perla: forse stavo diventando meno impulsiva ma non per questo meno emotiva.

*

La mattina dopo Elizabeth si attardò sottocoperta: da quando eravamo partiti da Conceicao lei, Will e David erano stati sistemati in una delle piccole cabine sul ponte inferiore; un posto dove poter dormire separati dal resto della ciurma.
A quell'ora non c'era nessuno e la maggior parte della ciurma stava dormendo sulle amache del ponte di mezzo: Elizabeth si aggirò con aria pensierosa negli spazi ristretti di sottocoperta, riparata dalla penombra . Fu lì che si accorse di me, seduta su uno dei cannoni che si affacciavano dai boccaporti.
- Oh!- rimase per un istante a bocca aperta, sorpresa di vedermi, poi mi sorrise. - Non mi ero accorta che eri tu... che cosa fai qui?-
- In un certo senso ti stavo aspettando. - risposi, senza tradire nessuna emozione: la fissavo da sopra il timone con le braccia incrociate. - E tu perché sei qui in giro così presto?-
Elizabeth esitò come se fosse incerta sulla risposta, quindi si strinse nelle spalle, scrollando i capelli biondi: sembrava non avere dato troppo peso al tono freddo delle mie parole. - In verità mi chiedevo dove fosse andato David, ha preso il vizio di correre in giro a qualsiasi ora. Ma perché mi aspettavi? E' successo qualcosa?-
- Avevo bisogno di parlare. -
Elizabeth si fece più seria e mi fissò inarcando un sopracciglio, un gesto che le avevo visto fare fin da quando era ragazzina. Mi si avvicinò e si chinò su di me per guardarmi negli occhi: - Laura, che cosa c'è? Lo sai che a me puoi dirlo, non ci siamo tenute in contatto per tutto questo tempo proprio per questo?-
Mi ritrassi quasi di scatto, raddrizzandomi indispettita. - Oh certo, dimenticavo: sei sempre pronta a guidarmi passo dopo passo, a offrirmi una mano amica, ma chissà perché poi vengo a scoprire che hai la cura di tenermi ben nascosti i dettagli che potrebbero venirti scomodi, non è così?-
Stavolta fu Elizabeth a ritrarsi con un'espressione indecifrabile. - Ma di che cosa stai parlando?-
- Di Jack!- replicai violentemente; per un attimo fra noi cadde un silenzio di gelo, ma proprio quando Elizabeth fece per aprire la bocca e ribattere tornai alla carica: - Sembri molto felice di essere tornata sulla Perla Nera, Liz... è solo perché sogni da sempre la vita da pirata o c'è qualcos'altro? Qualcosa di cui ti sei guardata bene dal raccontarmi perché guarda caso riguarda l'uomo che amo... -
- Smettila!- la voce della mia amica aveva ora una nota più dura, e aveva preso a fissarmi con le labbra strette e uno sguardo severo che per qualche istante mi inchiodò sul posto. - Smettila e ascoltami: non so che cosa tu abbia sentito, ma hai frainteso tutto. Fra me e Jack non c'è niente di quello che temi, e non c'è bisogno che tu... -
- Tu lo hai baciato!- ringhiai, alzandomi di scatto dal cannone sul quale me ne stavo appollaiata: se dovevo dare sfogo al dolore che mi stava divorando le viscere dalla sera precedente, che fosse. Elizabeth storse la bocca squadrandomi con aria di sufficienza. - Anche Faith. -
- Faith non l'ha incatenato e lasciato a morire, almeno. -
Toccata. Per un attimo boccheggiò con aria oltraggiata, quindi si ricompose e insistette: - Laura, per favore... ho capito che cosa sei venuta a sapere, ma devi credermi quando ti dico che tu non hai niente da temere da parte mia, e noi non abbiamo nessun motivo per discutere così. Per favore. -
Tirai un respiro profondo cercando di calmare la tempesta che mi si era scatenata dentro, ma ebbi scarso successo. - Non potevi dirmelo e basta? Credo che avrei potuto sopportarlo un po' meglio. - replicai, battendo nervosamente il tacco dello stivale contro la ruota del cannone.
- Se non ti ho detto niente è perché non ce n'era bisogno. - replicò lei bruscamente. Per tutta risposta le scoccai un'occhiata di sbieco: - Oh certo... confortami, rassicurami, fai l'angelo custode e non sognarti di dirmi che anche tu sei stata innamorata di lui... -
- Io non sono mai stata innamorata di lui!- Elizabeth si piantò davanti a me, fissandomi con occhi furenti ad un palmo dalla mia faccia. - Laura, vogliamo ragionare da persone civili?-
- No, non vogliamo. - ribattei, pungente.
- Stammi a sentire!- replicò lei, con un tono indispettito che mi fece solo irritare ancora di più. - Il fatto che io sia stata attratta da lui in passato non vuol dire niente adesso. Anche quella storia del bacio e del tradimento... è una cosa di cui non vado per niente fiera ma lo feci per metterci in salvo tutti... per mettere in salvo Will. Io ho sposato Will. Ero pronta ad aspettarlo per dieci anni fino al suo ritorno. - la voce di Elizabeth si era caricata di un'emozione involontaria, e mi accorsi di quanto ancora il ricordo delle cose passate la toccasse. - Con Jack... con Jack non c'è mai stato nulla di tutto questo. Nulla di vero, mai. Non ti ho detto niente perché appunto non aveva importanza. -
Mi scostai, allontanandomi da lei di qualche passo: non mi ero mai sentita tanto divisa in due, perché da una parte avevo avuto tutte le prove possibili dell'amore che legava Elizabeth a William, eppure quella faccia della ragazza innamorata che conoscevo non coincideva del tutto con la nuova di pirata ribelle e regina della fratellanza che le si era sovrapposta. Mi aveva nascosto la verità una volta, cosa le impediva di farlo ancora?
- La cosa che mi secca... - dissi fra i denti mentre mi sforzavo di mantenere un tono di voce tranquillo. - E' che sempre, e dico sempre, mi trovo qualcuna che per un motivo o per l'altro ha avuto a che fare con Jack. -
- Ah be', di questo lamentatene con lui!- fece lei, con l'abbozzo di un sorriso.
Forse avrei dovuto riderne anch'io. Mettere a tacere il senso di rabbia e gelosia che mi rodeva lo stomaco e chiarirmi con calma con Elizabeth.
Ma non era quello che volevo: l'unica cosa che volevo era una valvola di sfogo, forse perfino ferire Elizabeth: - E un'altra cosa che mi dà estremamente fastidio... - continuai, velenosa. - E' che certe amiche si nascondono sfacciatamente dietro l'aspetto di una persona gentile, fedele, premurosa... - la fissavo, sprizzando velenosa ironia ad ogni parola e vedevo la collera salire nei suoi occhi ad ogni istante. - ...che dicono di essere dalla tua parte, ma mai che ti vengano a dire la verità. -
- Ora stai esagerando!- Elizabeth gridò e mi agguantò per una spalla per costringermi a voltarmi e guardarla in faccia. Ero stupida. Ero capricciosa. Ero cattiva. Non mi importava: era quello che volevo. - La verità la volevi e l'hai avuta, non ho niente da nascondere con te... Sei un'ingrata, ecco cosa sei! E' così che mi ripaghi per essermi preoccupata per te? Forse ti è sfuggito che conoscevo Jack meglio di te, e volevo soltanto che le cose per te andassero bene... Anche nella lettera che gli ho scritto, io... -
- Co... Tu gli scrivi delle lettere?!- l'adrenalina mi scosse tanto da farmi tremare i pugni stretti. - Cos'è, un'altra cosa che mi hai accuratamente tenuta nascosta?-
- Per te, maledizione! Lo conosco, e l'ultima cosa che volevo era che si prendesse gioco di te come se tu fossi una qualunque, perché so quanto tieni a lui! L'ho sempre e solo messo in guardia perché considerasse seriamente che cosa stava o non stava facendo!-
- Oh, ma quale amorevole premura! Sono commossa!- fumavo di rabbia. - Ma come ti permetti? A quanto pare non ti fai scrupoli a ficcare il naso nella vita degli altri!-
- Adesso basta, ti comporti da stupida!-
- E tu sei una bugiarda!- la mano partì prima ancora che potessi pensare di fermarla, e l'attimo dopo colpii Elizabeth con uno schiaffo secco sulla guancia così forte da farle piegare bruscamente la testa di lato. Si girò immediatamente, fissandomi con uno sguardo talmente gelido che per un attimo sentii quasi sfumare del tutto la mia rabbia e desiderai soltanto poter cancellare il gesto inconsulto che avevo appena fatto, ma durò un attimo e basta per poi lasciare spazio alla rabbia.
- Allora è così?- mormorò, ben più gelida di qualsiasi insulto. - Laura ti avverto, smettila immediatamente: non c'è alcun bisogno di abbassarsi a prendersi a botte. -
- Come no, miss gioco pulito. E di Will che mi dici? Cornuto e gabbato pure lui?-
- Non ti permettere!- avevo toccato un nervo scoperto, perché l'attimo dopo lo schiaffo arrivò a me. Mi ritrassi con una mano sulla faccia: la guancia mi bruciava e sentivo il colpo pulsare fin nelle orecchie, ma per qualche stupido motivo dentro di me esultavo per avere provocato finalmente una sua reazione.
Barcollai all'indietro e per lunghissimi istanti ci fissammo negli occhi. Potevamo continuare, potevamo riprendere ad attaccarci e sbranarci, distruggerci a vicenda.
Lo feci: con un grido mi buttai su di lei, con una mano le afferrai i capelli e con l'altra il braccio che aveva sollevato per difendersi, e finimmo contro la parete. I nostri strilli dovettero attirare l'attenzione perché in pochi minuti diversi pirati si precipitarono giù dalle scale di coperta, fra i quali Gibbs, Will e Jack, e fecero tanto d'occhi davanti al bizzarro spettacolo di noi due che con grida acute ci azzuffavamo come gatti inferociti. - Venite a vedere, una rissa!- gridò uno dei pirati fissandoci con aria eccitata. Will lo spinse via senza troppi complimenti e si fece largo per raggiungerci di corsa, Jack lo seguì, anche se con meno entusiasmo.
- Elizabeth! Laura! Ma che diavolo state facendo?- gridò Will quando finalmente ci raggiunse e ci afferrò tentando di dividerci mentre ancora ci prendevamo a calci e pugni. Cercai di dare uno spintone ad Elizabeth ma lui riuscì a trattenermi. - Smettetela! Ma cosa vi è preso?-
- Chiedilo a lei!- ruggì Elizabeth, rossa di rabbia e coi capelli biondi scomposti davanti alla faccia; aveva rinunciato a cercare di colpirmi e mi fissava ad occhi sbarrati. Will stringeva saldamente sia la sua spalla che la mia, e in quel momento Jack mi abbrancò da dietro e mi trascinò di peso lontano da lei. - Basta! Basta, ho detto! Niente risse a bordo. -
Mi divincolai furiosamente perché mi lasciasse ma non ne volle sapere; scrutò alternativamente me ed Elizabeth inarcando un sopracciglio e chiese: - Allora? Qualcuna ha la bontà di dirci che diavolo è successo qui?-
- Capricci da bambine. - rispose secca Elizabeth fissandomi negli occhi in un modo che per un attimo credetti che mi avrebbe incenerita. Will ci guardava senza capire, trattenendo Elizabeth come Jack faceva con me come se temesse che potesse scattare da un momento all'altro; i pirati che erano accorsi sottocoperta attratti dal baccano rimanevano lì con facce curiose: avrei tanto voluto che se ne andassero da qualche altra parte.
- E' colpa mia. - ammisi riluttante sotto lo sguardo assassino di Elizabeth. - Ho cominciato io, va bene? Sono affari nostri. -
Jack mi lasciò andare, ma mi strinse il polso con una mano tanto forte da farmi quasi male e mi fissò scuro in volto. - Se ci sono questioni personali possiamo risolverla secondo il regolamento: a terra con spada e pistola, per esempio. Allora? Che vogliamo fare?- il suo tono era molto severo, così abbassai gli occhi e scossi rapidamente la testa. - Non, non ce n'è bisogno. - mormorai in fretta, poi alzai appena lo sguardo su Elizabeth. - Scusami. - lo dissi velocemente e a mezza voce, quindi probabilmente non fui molto credibile. Elizabeth si limitò ad arricciare le labbra e distogliere gli occhi da me.
- Bene. - senza la minima traccia di soddisfazione Jack mi tirò per il polso e mi costrinse a seguirlo mentre si dirigeva a grandi passi verso le scale. - Sciò, sciò, non c'è nulla da guardare qui. - fece in tono stizzito agli altri pirati che si toglievano dal nostro cammino.
- Mollami!- cercai di protestare, ma lui non mi ascoltò e non mi lasciò andare finché non mi ebbe trascinata nella sua cabina: solo dopo aver richiuso pesantemente la porta dietro di noi prese un profondo respiro alzando gli occhi al cielo e lasciò il mio polso, che aveva stretto tanto forte da lasciarmi il segno delle dita.
Rieccoci da soli, pensai. Jack gesticolò a vuoto per qualche istante e digrignò i denti come faceva spesso quando era nervoso, quindi finalmente si decise a guardarmi. - Siediti. -
- Sto anche in piedi. -
- Siediti!- insistette, premendomi le mani sulle spalle: mi rassegnai e mi sedetti su una delle sedie della cabina. Lui rimase davanti a me in silenzio per un po', quindi si appoggiò ai braccioli, chinandosi un poco su di me, e fece: - Allora... fuggiamo da una prigione spagnola, tagli i ponti con me, litighi con tuo padre, poi quando finalmente mi sembra di vedere un barlume... - agitò due dita davanti alla faccia. - di segnale di cessate ostilità fra di noi tu attacchi briga con Elizabeth. Ora, è troppo chiedere che cosa ti sta succedendo?-
Mi morsi le labbra: Jack aveva fin troppo ragione, da quando eravamo usciti di prigione le cose sembravano ruotare vorticosamente e non volere più tornare al loro posto. Ma cosa diavolo era successo? Me lo domandavo anch'io.
- Jack, devo farti una domanda, e ti prego, rispondi sinceramente. -
Jack allargò le braccia con aria rassegnata: - Spara. -
- Tu sei mai stato innamorato di Elizabeth?- ogni parola di quella stramaledetta domanda sembrava pesare una tonnellata. Il capitano rimase per un attimo con un sopracciglio inarcato e le mani a mezz'aria come se quella fosse l'ultima domanda che si fosse mai aspettato. - Ti ho chiesto di rispondere sinceramente. - aggiunsi, tanto per mettere le cose in chiaro.
Lui aprì la bocca per parlare, esitò, abbassò lo sguardo, tornò ad appoggiarsi ai braccioli della mia sedia: - Dopo attente considerazioni, posso rispondere... No. - disse. - E ora sta me farti una domanda: perché questa domanda? Oh, aspetta... - si paralizzò con l'indice puntato verso di me e una smorfia sconvolta in faccia. - Non dirmi che era per questo che tu ed Elizabeth vi stavate picchiando... vero?... -
Sbuffai ed annuii mio malgrado. - Sì, era per questo. -
- Oh! ...dio... - Jack strinse gli occhi e fece una smorfia disperata, prima di tornare a guardarmi. - Ascolta... ascoltami un momento: mi dispiace che tu l'abbia presa male, ma credo che qui ci sia un equivoco o due, comprendi?-
- E' il modo in cui l'ho saputo che... - scattai, ma mi bloccai l'attimo dopo: così avrei dovuto mettere di mezzo anche Gibbs e non volevo assolutamente che Jack o perfino Elizabeth potessero arrabbiarsi col buon nostromo.
Jack sembrò decidere di volersi mettere più comodo e si inginocchiò davanti alla sedia, incrociando tranquillamente le braccia sulle mie ginocchia. “Ma certo, fai pure...” dissi tra me, squadrandolo.
- Innanzitutto, che cos'è che saresti venuta a sapere?- mi domandò, agitando vagamente le dita verso di me.
- Mah, per esempio del modo fin troppo “amichevole” con cui ti comportavi con una donna già quasi sposata... o del suo atteggiamento verso di te. - non riuscivo in nessun modo ad evitare che la voce mi si inasprisse così tanto. - O la storia del bacio, ecco, o dei tuoi sforzi per eleggerla Re della Fratellanza... diavolo, io non so neanche che cosa sia la Fratellanza ed Elizabeth intanto mi diventa Re dei Pirati?-
Jack annuì, facendomi cenno di aspettare. - Capisco, capisco... allora, intanto in mia difesa posso dire che non avevo chiesto io di essere baciato, incatenato all'albero e lasciato a morire, quindi lì magari una scusante me la puoi dare. In quanto alla Fratellanza... be', ti spiegherò nei dettagli quando avremo più tempo, ma in tal caso l'elezione della nostra miss Turner era necessaria per convincere gli altri pirati Lord a combattere contro la simpatica Compagnia delle Indie... non c'era nessun secondo fine, te lo assicuro, anche perché al tempo avevo altro per la testa. - abbozzò un sorriso al dente d'oro mentre mi scrutava dal basso in alto. - Per quanto riguarda il resto... credo di poter ammettere più o meno candidamente che di solito non resto indifferente quando una come Elizabeth incrocia la mia strada, comprendi? In ogni caso, penso che tu possa stare tranquilla, ora. - si raddrizzò e mi guardò incrociando le braccia sul petto. - Non credo che la suddetta fanciulla pericolosa abbia mai provato nulla... uhm... di quel genere nei miei confronti: se avesse avuto altre intenzioni avrebbe avuto la bellezza di dieci anni per colmare l'assenza del suo attuale marito... ma non lo ha fatto ed era fermamente decisa ad attenderlo per i dieci anni a venire: questo ritengo tagli la testa al toro, comprendi?-
Era strano ammetterlo, ma dovevo davvero riconoscere che starlo a sentire mi faceva sentire meglio: in effetti quel che mi aveva detto era a grandi linee ciò che aveva cercato di spiegarmi Elizabeth. Al pensiero del penoso spettacolo che avevo dato aggredendola come una pazza mi sentii schiacciata dalla vergogna e dal senso di colpa: non erano state solo le rivelazioni di Gibbs a ferirmi, era stato anche l'atteggiamento di Elizabeth, quel suo nascondermi le cose scegliendo che cosa era opportuno raccontarmi e cosa no, quel suo “preoccuparsi per me” che però io non potevo fare a meno di leggere come una presa di posizione al di sopra di me... mi aveva infastidita e mi ero lasciata prendere dalla foga. Mi sembrava di stare impazzendo.
Abbassai il capo e mi strofinai il viso con le mani, cercando di riportare un po' di ordine in quel caos ronzante che era la mia mente: sentii le mani di Jack prendere le mie e scostarmele gentilmente dalla faccia, e quando rialzai gli occhi lui era davanti a me. - Che cosa c'è che non va?- mi chiese dolcemente, sorridendomi. - Hai sempre avuto un gran bel caratterino, ma ultimamente ti vedo sempre sulle braci. -
- Lo so... - il senso di colpa affondò come un macigno nell'acqua, piombando sul fondo dello stomaco e incagliandosi. - E lo so che devo essere insopportabile... mi dispiace, davvero. E' solo che... non capisco più nulla. Credo che sia cominciato tutto con mio padre, e da quel momento non ho più avuto un attimo di pace! E' come... è come se tutto si muovesse, non c'è niente che sta fermo, che rimane com'è... io non so mai che cosa aspettarmi, gira tutto continuamente e io non trovo un solo punto fermo a cui aggrapparmi! Io... io sto uscendo di testa, Jack!-
Jack annuì in silenzio, abbassando gli occhi con aria pensosa e trastullandosi con le mie mani fra le sue. - Mi piacerebbe davvero poterti dare qualche “punto fermo”, dolcezza, se questo ti aiutasse a farti stare meglio... ma sfortunatamente non sono famoso per il mio equilibrio, e non solo in senso figurato... -
Stavolta riuscì a farmi quasi ridere, e gli strinsi le mani di rimando. - Non preoccuparti... passerà. - dissi, ma non ero sicura di stare dicendo tutta la verità. - Un'altra cosa... Elizabeth diceva di averti scritto delle lettere. -
Jack alzò un sopracciglio. - Lettere? Io me ne ricordo una sola, di lettera. -
- E' vero anche questo, allora?-
Jack mi lasciò le mani, sollevando entrambi gli indici, quindi si alzò in fretta e andò a rovistare in mezzo alle diecimila cianfrusaglie che ingombravano la sua cabina: rimasi a guardarlo mentre scartabellava fra vecchie mappe, annusava incuriosito una bottiglia vuota e arricciava il naso con aria disgustata, si gettava alle spalle decine di ninnoli, oggettini, monete e dio sa cos'altro prima di esclamare: - Hah!- e girarsi brandendo in mano una pergamena arrotolata e un tantino stropicciata, che mi porse. - Prego. - mi invitò, in tono quasi di sfida.
Deglutii e cominciai a leggere: era la calligrafia di Elizabeth, su questo non c'erano dubbi.

Jack,
ho voluto che fossi tu soltanto a leggere questa lettera perché ho un discorsetto da farti. Vorrei davvero essere lì a quattrocchi per essere sicura che tu afferri il concetto, ma date le circostanze dovrò accontentarmi della lettera. Ho alcune domande per te, e riguardano Laura: è una mia cara amica e non intendo permetterti di farle del male. Non mi ha stupito che si sia innamorata di te: sembri avere fin troppo successo, ma è questo il punto. Quindi voglio sapere questo: che intenzioni hai nei suoi confronti? Sii sincero, perché io non ti perdonerò mai se finirai per ferirla. Sei sicuro di quello che fai, capitan Jack Sparrow? Se non è così sta sicuro che finirai per pagarne le conseguenze, Laura farebbe tutto per te, lo so per certo. E tu, cosa sei disposto a fare per lei?


Ripresi a respirare normalmente solo quando ebbi terminato di leggere la lettera, ma mi sentivo un verme. Era vero, forse Elizabeth era stata un po' troppo invadente pretendendo di controllare le intenzioni di Jack nei miei confronti, ma in fondo potevo biasimarla? Aveva cercato di proteggermi.
C'era però un'ultima curiosità che mi tormentava. - E tu che cosa le hai risposto?- domandai con un mezzo sorriso sollevando gli occhi dalla lettera e riportandoli su di lui.
Jack sembrò improvvisamente molto concentrato sui propri anelli. - Uhm... non credo di avere avuto tempo di rispondere. - si giustificò. Sogghignando gli mostrai la lettera indicandogli l'angolo in alto a destra: Elizabeth era ancora così puntigliosa da segnare la data nei proprio scritti. - Risale a poco dopo che io e Faith ci siamo imbarcate, di tempo ne è passato abbastanza. Avanti, non vuoi dirmi cosa hai risposto?-
Jack si inumidì le labbra, roteò gli occhi, sempre evitando accuratamente di guardarmi in faccia, quindi stringendosi nelle spalle rispose semplicemente: - Le ho detto di non preoccuparsi. -
- Tutto qui?-
- Tutto qui. -
Ridacchiai, e questo dovette sorprenderlo perché mi guardò con tanto d'occhi. - Mi basterà. - feci con una scrollata di spalle, quindi feci per alzarmi, poi cambiai idea e avvicinai un poco il mio viso a quello di lui, già così pericolosamente vicino, e dopo un istante appena di esitazione gli deposi un bacio sulle labbra. La bocca di Jack trattenne la mia per qualche attimo -dio, sembrava un'eternità che non lo baciavo!- poi ci separammo e lui mi lasciò alzare.
- Devo andare, ora... credo di dovere delle scuse ad Elizabeth. - mi scusai, senza però riuscire ad impedire ad un sorrisetto ebete di tremolare sulla mia faccia. Jack però mi fece cenno di aspettare. - Magari non ora, gioia, anche lei ha bisogno di sbollire un attimo prima di parlarti di nuovo, comprendi? Anche tu hai bisogno di distrarti cinque minuti. - prese una delle bottiglie di rum piene da sopra il tavolo al centro della stanza e me la porse. - Tieni, questo aiuta. -
Mi lasciò andare da sola in sala ufficiali con la mia bottiglia di rum; aveva intuito che anche se la nostra conversazione mi aveva fatta sentire meglio adesso avevo bisogno di passare qualche minuto a sbollire per conto mio. Riconoscente, mi sedetti nella sala degli ufficiali e cominciai a sorseggiare il rum, riflettendo su quanto ci eravamo detti poco prima. Forse il problema era solo questo: che mi ero imbarcata pensando di avere delle certezze, Jack e il mio voler essere un pirata per prima cosa, ma poi le cose avevano cominciato a rimescolarsi, ruotare e trasformare tutto in una girandola confusa dove non sapevo più chi ero, dove andavo e che cosa volevo, e questo mi faceva impazzire. Lo stesso Jack aveva ammesso di non sapere come darmi un appiglio, un punto fermo. Questo un po' mi aveva ferita: ma come, proprio lui che avrebbe dovuto essere lui stesso il mio personale appiglio a quanto di più amavo?
Forse era davvero questo il problema, mi dissi mentre bevevo, forse tutto stava nello scegliere che strada prendere... con o senza Jack.
Mentre io bevevo sulle mie confuse riflessioni, nella stanza accanto Jack rileggeva le ultime righe di quella lettera che aveva sepolto tra le sue carte ormai da diverso tempo. Ora ricordava esattamente quando l'aveva ricevuta, e si ricordava anche quel che aveva pensato leggendola e successivamente scrivendo la risposta. Lo sguardo gli tornava continuamente sulle ultime parole: tu cosa sei disposto a fare per lei?
Jack sorrise al pensiero: alcuni anni addietro aveva fatto una domanda simile a Will. - Morirei per lei. - era stata la fiera risposta del giovane. Al tempo Jack aveva quasi compatito quella cavalleresca risposta da eroe delle favole, ma ora, con la fitta della costola rotta che ancora ogni tanto tornava a farsi sentire, forse doveva rivedere un attimo le sue considerazioni.
“Non ti preoccupare” aveva scritto ad Elizabeth. Quello che si preoccupava di più, al momento, era proprio lui.



Nota dell'autrice: Allora allora allora... questo capitolo è venuto per metà di getto e per l'altra metà ponderato: l'ho riletto più volte e spero di avere dato alla mia protagonista reazioni credibili anche se sono cosciente di stare mettendo un bel po' di carne al fuoco. E poi avevo ancora un piccolo conto in sospeso con Elizabeth dal secondo film. Spero che continui a funzionare tutto a dovere ma, nel caso abbia incasinato troppo i fatti, datemi pure tutti i suggerimenti che potete darmi. ;-) Anche questa ff si sta avviando alla sua conclusione, quindi è probabile che in tre o al massimo quattro capitoli possa mettere la parola "fine" a questo secondo episodio. Grazie a chi continua a seguirmi, alla Black, a ScissorHands, a stellysislsey, a tutti quelli che hanno recensito e anche a chi legge senza commentare. Ahoy!

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Capitolo 17
*** Le ultime lettere ***


Capitolo 16
Le ultime lettere.


Seduto al tavolo degli ufficiali, Burrieza scrutava pensieroso la mappa sulla quale erano segnate tutte le rotte commerciali intraprese dai suoi capitani da più di dieci anni: quella perduta del capitano Dawkins sembrava spiccare sulle altre come un faro acceso.
- Che cosa sanno quei pirati?- borbottò fra sé in spagnolo mentre seguiva con gli occhi quella linea tratteggiata come se fosse l'unica risposta a tutte le sue domande. - Che cosa sanno che io non so? Volevano la rotta di Dawkins... l'hanno avuta. Ma non potevano non sapere che tanti hanno cercato la sua miniera e non hanno trovato niente. Invece hanno rischiato tutto pur di scoprire il punto esatto... perché? Sanno qualcosa, di certo sanno qualcosa... - si tormentava le mani e non riusciva a darsi pace: ora che, col turbolento episodio dei pirati, la storia di Dawkins era stata riportata a galla, anche la sua curiosità ne era stata risvegliata. Anche se non l'aveva mai ammesso, la miniera perduta gli aveva sempre fatto molta gola, e come tanti altri nei Caraibi vi avrebbe volentieri messo sopra le mani... se solo il capitano Dawkins non fosse morto portando con sé il suo segreto.
Aveva esaminato i giornali di bordo, aveva seguito passo passo la sua rotta, aveva scrutato personalmente la stessa costa frastagliata della Sierra Leone proprio dietro l'isola di Sherbro, esattamente come era segnato nelle mappe, ma non aveva trovato nessun ingresso nascosto né nient'altro che potesse fare pensare ad una miniera nascosta. Aveva dovuto rinunciare con rabbia: il mistero della miniera era morto col capitano.
O forse no. I pirati erano sembrati determinati ad andare a fondo nella faccenda come aveva tentato di fare lui anni prima. Perché? Forse avevano qualche informazione preziosa, qualche dettaglio che a lui era sfuggito? Doveva saperlo.
La porta si aprì e il commodoro Gillette si affacciò alla sala: - Governatore, il capitano dice che entro tre giorni dovremmo essere in vista delle coste africane. -
Burrieza annuì in fretta, senza distogliere gli occhi dalla mappa. - Sì... ottimo. - era di vitale importanza che arrivassero prima dei pirati. Nascosti, ma prima di loro in modo che potessero osservare che cosa facevano, se riuscivano davvero a scovare l'ingresso per quella maledetta miniera che a lui era sfuggita.
Vedendo che non avrebbe ottenuto altre risposte, il commodoro rivolse al governatore un saluto militare e si richiuse la porta alle spalle, ritornando sul ponte di comando.
- Il nostro governatore è nervoso?- gli domandò in perfetto inglese una voce accanto a lui. Colto di sorpresa Gillette si voltò bruscamente: era il cappellano di bordo, che se ne stava dietro di lui avvolto nella sua tonaca bianca, con le braccia incrociate e un sorrisetto sul volto paffuto. Il commodoro gli rivolse un cenno affettato: non era sicuro di trovare molto simpatico padre Quinn, ma faceva parte del suo equipaggio già da tempo e non poteva fare altro che accettarlo come membro della ciurma.
- Non mi pare. Perché?-
- A me sembra estremamente nervoso da quando abbiamo lasciato Conceicao. - insistette Padre Quinn, appoggiandosi alla murata. - Doveva avere molta fretta di partire se invece di far approntare una nave per lui ha acconsentito a salpare sulla nostra nave accompagnato da un manipolo dei suoi. E anche i marinai, sia i nostri che quelli di Burrieza, sembrano molto agitati all'idea del posto che stiamo cercando di raggiungere. Forse che le antiche leggende li spaventano?-
- Antiche leggende o no, quegli uomini sono pagati per eseguire gli ordini. - rispose Gillette, freddo. - Perciò mi aspetto che nessuno sia tanto stolto da mostrare segni di codardia quando verrà il momento di confrontarci con quei pirati. Detto fra noi, Padre, mi pare di vedere in giro un po' troppo interesse per quella fantomatica miniera: il mio interesse è soltanto quello di consegnare Sparrow e i suoi alla giustizia, ed è quello che farò. -
- Naturalmente. - Padre Quinn annuì distrattamente. In quel momento davanti ai due passò in tutta fretta un giovane trafelato, che si distingueva dagli altri marinai al lavoro da un unico dettaglio; anche lui indossava la tonaca bianca. Vedendolo, Padre Quinn si protese in avanti e afferrò il giovane per la spalla fermando la sua corsa. - Fermo, fermo, e tu dove stai correndo così di fretta?-
Il giovane sussultò come se fosse stato distolto in quel momento dai suoi pensieri e frettolosamente rivolse un cenno di saluto al prete e al commodoro. - Scusatemi, Padre, è che sottocoperta ci sono alcuni marinai che sono affetti da febbre alta e pensavo che avrei potuto aiutarli. -
Padre Quinn alzò gli occhi al cielo, quindi diede una pacca sulla spalla del giovane: non era molto alto ed era magro e asciutto; il suo viso al contrario di quello del prete aveva preso un po' di colore sotto il sole, e i suoi tratti erano squadrati, tanto da sembrare scolpiti nel legno, con naso e fronte pronunciati e due occhi un poco incavati che in un certo senso sembravano ancora più grandi, profondi e vigili.- D'accordo fratello Matthew, ma vedi di non intralciare i marinai. - concesse il prete lasciandolo andare. - Dovete scusare frate Beadle, è un giovane che ha voglia di imparare ma si fa sempre trascinare dalla sua mania di aiutare il prossimo a tutti i costi. Spero che non arrechi disturbo ai vostri marinai. -
- Nessun disturbo Padre Quinn, il vostro apprendista si è sempre rivelato un elemento affidabile. - “Molto più di voi.” si concesse di aggiungere in cuor suo il commodoro Gillette. Il prete sorrise appena e gli fece un cenno col capo, quindi il commodoro si incamminò lungo il ponte di comando.
Tre giorni e sarebbero stati in vista delle coste dell'Africa, così avevano detto.

*

Chiedere scusa ad Elizabeth fu più difficile ed imbarazzante del previsto. In fondo le mie accuse non erano tutte infondate: lei si era effettivamente comportata in modo per niente corretto vero Will in passato, e non ritirai l'accusa di avere una volta condannato a morte l'uomo che amavo. Ma ormai era stato tempo fa, e non aveva senso rivangare il passato.
Fu una riconciliazione un po' sofferta, ma cessammo finalmente le ostilità anche se ero sicura che fra di noi le cose non sarebbero mai più tornate come prima. Avrei dovuto accettare anche questo.
- Mi dispiace per quel che è successo. Sai, è che a volte ti invidio. - osai ammettere quando i toni fra di noi furono tornati ad un livello amichevole.
Elizabeth aggrottò le sopracciglia senza capire. - Me?-
- Sì... - mi strinsi nelle spalle. - Te... Faith... un po' tutte a dire il vero. A volte mi sembra che Jack sia più sincero con voi che non con me. -
- Cosa?!- lei fece tanto d'occhi e rimase a fissarmi a bocca aperta, quasi sconcertata. Eppure era davvero così, era una sensazione che avevo avuto spesso, ed era anche quello che mi aveva veramente ferita nei tormentati giorni precedenti: il suo sembrare perfettamente a suo agio con le altre donne, e con me arrivare sempre a beccarci a vicenda. Le uniche conversazioni pacifiche erano state proprio le ultime due che avevamo avuto.
- Tu che ci invidi per come Jack si comporta con noi? Laura... torniamo sempre a cozzare su questo punto: lui ti ama! Prima ti accanisci su di me, adesso questo. Possibile che proprio tu non riesca a vederlo?-
Cogliendo di sorpresa sia lei che me stessa ridacchiai amaramente, ma era una risata molto forzata. - Tu dici? E allora perché mi sembra sempre che entrambi siamo molto più a nostro agio quando non siamo insieme? Finora non è che sia andata sempre a gonfie vele per noi due. -
- Forse è perché ancora non lo conosci bene. -
- Tu sì?-
Dovette cogliere la sfida nella mia voce, perché prima mi lanciò una lunga occhiata strana, poi scosse il capo. - Lo vedi quanto tu stessa ne sei ancora innamorata? Se vuoi il mio parere tu e lui state perdendo tempo. -
Non risposi e abbassai lo sguardo: non era il mio amore verso Jack che mettevo in dubbio, infatti. Poco fa ci eravamo parlato, ma lui stesso aveva ammesso candidamente di non sapere come aiutarmi.
Elizabeth si ravviò i capelli con aria meditabonda. - Ascoltami... - esitò, cercando le parole. - Jack è abituato a “trattare” con le donne: è affascinante e lo sa benissimo. Però chiunque lo conosca almeno un po' si accorgerebbe che con te si comporta in modo del tutto diverso. Sai perché?-
La guardai: mio malgrado aveva decisamente catturato la mia attenzione.
- Perché con te si comporta esattamente come uno che non c'è abituato, e qui sta la differenza. Ho visto come Jack sa lusingare una donna, ma vederlo... tenero, con qualcuna? Questo non era mai capitato. Anche per questo ti ripeto che ti fai dei problemi che non esistono: è inutile prendertela con me o con chiunque altro se non riesci nemmeno a vedere tutto questo. Tu... te la prendi e ti arrabbi per qualsiasi cosa, così che non avrai mai la mente fredda per riuscire a vedere le cose come stanno. Ti devi calmare e affrontare le cose, non c'è nessun'altra soluzione e non starai mai bene finché non lo capirai da sola. -
E così avevamo lasciato cadere il discorso. Nel frattempo un'altra cosa aveva catturato completamente la nostra attenzione e messo in fermento tutta la ciurma: stavamo per salpare. Finalmente riprendevamo il largo: avevamo fatto abbondantemente rifornimento di viveri e acqua, la ciurma aveva avuto tutto il tempo per distrarsi e dilapidare la sua prima paga nel porto di Sunny Haven e il capitano era tornato in ottima forma, così che non avevamo più nessuna ragione di restare ancorati lì ancora a lungo.
Quando rimisi piede sul ponte di coperta e trovai la ciurma in piena attività che si occupava di caricare a bordo i rifornimenti e di approntare la nave per la partenza mi sembrò di tornare di colpo a respirare.
Qualcosa se ne era finalmente andato dopo la mia furibonda litigata con Elizabeth, liberandomi non so come dal peso opprimente che mi aveva soffocata per quei lunghi giorni insopportabili a terra. Cominciavo a pensare un po' troppo come Jack, mi trovai ad ammettere con un sorriso mentre camminavo lungo il ponte gridando a tratti qualche ordine per fare accomodare una cima o assicurare parte del carico. La terra mi stava stretta e non mi ci sentivo a mio agio. Ma ora finalmente si ripartiva. Mare, mare aperto!
- Assettare le vele! Forza, un po' di vita o questa bagnarola non si muoverà mai più da questo fondale!- gridava Gibbs ai marinai: eravamo in tre a gridare ordini a destra e manca, io lungo il ponte, Gibbs ai gabbieri e Jack dal cassero di poppa, al timone. Senza dubbio eravamo tutti esaltati per la partenza.
Mentre passavo mi accorsi di Faith che stava affacciata alla murata, e le battei un colpetto sulla spalla. - Su, Faith, la nave non si muoverà da sola!- la spronai, contagiata dall'euforia generale.
La mia amica si voltò bruscamente come se si fosse accorta di me solo in quel momento, quindi, senza rispondere al mio sorriso, indicò qualcosa sulla spiaggia. - Laura, guarda là!-
Guardai. Laggiù, su quella striscia di spiaggia dove ero nata e cresciuta, ai confini col boschetto che divideva quella piccola baia segreta dalla città, c'era mio padre, immobile come una statua, appena nascosto dall'ombra degli alberi tanto che se Faith non me lo avesse indicato forse non l'avrei visto.
Per un attimo sgranai gli occhi, sorpresa, e rimasi a guardarlo sentendo, più che vedere, che anche lui stava guardando me. Quindi lui girò sui tacchi e sparì nel boschetto.
Faith, al mio fianco, aprì la bocca come se volesse dire qualcosa poi ci ripensò e si morse le labbra. Io rimasi appoggiata alla murata aggrottando le sopracciglia... ma non ero confusa. Non ero nemmeno più sorpresa, passato il primo attimo di stupore nel trovarmelo lì a guardare la mia partenza. Sapevo che mi avrebbe lasciata andare così, senza che fra di noi ci fosse stata una vera riconciliazione, e forse col tempo avrebbe anche imparato a convivere col dolore che gli avevo dato.
Esitai un secondo. Due. Poi ad un tratto seppi che cosa dovevo fare. Mi scostai dalla murata, incontrando lo sguardo preoccupato di Faith, ma penso che la lasciai di stucco quando le rivolsi il mio miglior sorriso. Mentre sul ponte fervevano i preparativi per la partenza io mi precipitai negli alloggi del capitano per procurarmi penna, calamaio e un foglio.
Pochi minuti dopo uscii di corsa dalla cabina, stringendo sotto la giubba la lettera più importante e più rapida che avessi mai scritto in vita mia, e mi diressi in tutta fretta verso la passerella abbassata dalla quale i pirati stavano caricando le ultime botti di acqua dolce. Non mi fermai davanti alle loro occhiate incuriosite: scesi sulla spiaggia, con gli stivali che sprofondavano sulla sabbia cedevole. In fretta, dovevo fare in fretta!
Avevo attraversato metà spiaggia quando mi accorsi di essere stata seguita, e me ne resi conto davvero soltanto quando Jack mi afferrò per un braccio fermandomi e facendomi voltare verso di lui.
- Dove stai andando?- mi chiese, sembrava sconcertato.
Quasi gridai dall'esasperazione: ma doveva mettersi in mezzo anche adesso? - Ho visto mio padre. - risposi rapidamente. - Devo raggiungerlo per... -
- Ancora lui?!- ora era Jack ad essere esasperato. - Credevo che avessimo chiuso questa storia!-
- E' chiusa. - con stupore mi accorsi che per la prima volta... mi sentivo tranquilla. Per la prima volta stavo agendo veramente a mente fredda, come mi aveva detto Elizabeth. Nessun dubbio e nessuna preoccupazione: avevo solo un'ultima zavorra di cui liberarmi prima di salpare, e l'avrei fatto.
- Non mi pare. - Jack invece era decisamente turbato; non voleva lasciarmi il braccio. - Ascoltami... basta correre da una parte e dall'altra, d'accordo? Se devi fare una scelta falla qui ed ora, se sei una pirata la sei, punto e basta. O salpi con noi o resti qui. -
- Io salpo. -
Un barlume di sollievo passò negli occhi di Jack, poi il suo tono tornò preoccupato. - Allora perché diavolo stai andando da tuo padre?-
- Gli devo dare questa!- sfilai la lettera arrotolata da sotto la giubba e la agitai sotto il naso di Jack. - Ascolta, io so cosa voglio. Ma non posso semplicemente lasciare mio padre, non prima di aver chiarito un paio di cose. -
Jack mi fissò, boccheggiando a vuoto come se cercasse di dire qualcosa: sembrava più che mai confuso. - Ma... hai già sentito le sue ragioni. Lui vuole solo una cosa, che tu torni a vivere con lui. Perché gli corri dietro? E se lo avesse fatto apposta, per ordinarti di restare?-
Questo mi fece davvero perdere la pazienza. - Sai Jack, magari non te ne sei accorto... ma so prendere le mie decisioni da sola. Non dipendo dalla volontà di mio padre... e nemmeno dalla tua!- sembrò che gli avessi tirato uno schiaffo in faccia, per come mi guardò. Temetti di averlo ferito con le mie parole, quindi continuai: - Senti, ti prometto che vado, consegno la lettera e torno. Io vengo con te, Jack, non c'è niente che potrebbe impedirmelo. Non ti basta?-
Jack mi fissò per un lunghissimo istante, e quello sguardo mi lasciò senza parole perché nascondeva tutto il dubbio e il sospetto che aveva cercato di reprimere fino ad allora. Poi molto semplicemente si portò la mano in cintura e sfilò la sua bussola che si portava sempre appresso.
- Hai detto di sapere quello che vuoi. - disse in tono duro, porgendomela. - Vediamo. -
Guardai prima la bussola e poi lui, senza capire. - Cosa c'entra la tua bussola?-
- Credi che sia rotta, vero?- replicò in tono quasi di sfida, continuando a tendermi la bussola. - Non la è. Funziona benissimo. Lo sai dove punta?-
- Dove?- osservai l'oggetto con un certo timoroso sospetto.
- Verso la cosa che desideri di più al mondo. - con quell'ultima lapidaria spiegazione mi tese ancora con più insistenza l'oggetto ed io non potei fare altro se non prenderla, ma esitavo ad aprirla. - Avanti, questa è molto utile per togliersi tutti i dubbi. - insistette piantandosi i pugni sui fianchi e restando a guardarmi, in attesa. Io tentennavo ancora, con la bussola stretta in mano. Perché in un certo senso avevo paura ad aprirla? Temevo quello che avrebbe potuto mostrarmi? O quello che avrebbe potuto pensare Jack? Ma io sapevo cosa volevo fare, non ero mai stata più sicura in tutta la mia vita! Anche se veramente quell'oggetto funzionava come Jack aveva detto, non sarebbe cambiato nulla.
Sollevai il coperchio della bussola e guardai il quadrante; davanti a me Jack si sporse per vedere con una certa apprensione.
L'ago della bussola puntò di fronte a me, proprio verso di lui. Poi, con lenti scatti, ruotò puntando alle mie spalle. Verso la città. Verso la casa di mio padre. All'improvviso cambiò di nuovo direzione puntando ancora verso Jack, per poi girare e indicare la direzione opposta.
Sentii Jack sospirare e lasciare cadere pesantemente le braccia lungo i fianchi: io sollevai lo sguardo. - A me sembra che ancora non funzioni. - azzardai, stupita e un po' preoccupata dall'espressione mortificata che lo vidi rivolgermi.
- No. - Jack chiuse la bussola e la ripresa dalla mia mano, senza guardarmi negli occhi. - Come vedi funziona benissimo. -
- Quella bussola non ti ha detto né di più né di meno di quello che ti ho detto io!- esclamai. - Perché non provi a fidarti di me una volta tanto? Ti ho promesso che tornerò, quindi tornerò!-
Jack non rispose, facendo qualche passo all'indietro come se fosse ubriaco. Sapendo che di tempo ormai me ne rimaneva ben poco ripresi a correre verso il boschetto. - Dammi qualche minuto, Jack! Soltanto qualche minuto!- gli gridai da dietro la spalla mentre correvo. Lui continuò a non rispondermi, guardandomi mentre mi allontanavo. - Aspettami, Jack!- aggiunsi prima di sparire fra gli alberi.
Il capitano rimase solo sulla spiaggia, fissando il punto in cui era scomparsa fra gli arbusti, quindi ad un tratto allargò le braccia e gridò in tono amaro: - Oh! Oh sì! Fantastico! Stupefacente davvero! Ma sì, abbiamo tirato fuori le unghie ultimamente... E va bene... va bene, guarda, va bene così! Ma sì, torna da tuo padre, parlate, fate le vostre cose che poi lo sappiamo che il paparino ha sempre ragione!-
Si voltò con un furioso e barcollante mezzo giro come se fosse veramente ubriaco, per allontanarsi a grandi passi lungo la spiaggia.
- Sei ridicolo. - fece una voce al suo orecchio.
- Sta zitto. - replicò lui, ma al suo fianco non c'era nessuno. Stava parlando con sé stesso.
Era possibile sentirsi furibondi e abbattuti allo stesso tempo? Perché era esattamente così che si sentiva, e mentre si allontanava nella sua mente era in corso una feroce battaglia.
- Dove stai andando?- ebbe quasi la visione di un altro sé stesso che gli si piantava davanti a braccia conserte, bloccandogli il passaggio.
- Secondo te? Me ne torno alla nave, lei è tanto impaziente di tornare dal suo caro papà. -
- Ti ha detto di aspettarla. -
- Come no: continua a ripetertelo, prima o poi finirai per crederci. -
- Fermo dove sei!-
- Un vero colpo basso, nevvero?- sibilava un'altra voce al suo orecchio. - Come dire, è piuttosto imbarazzante venire piantato in asso proprio adesso, dopo che hai rischiato la vita per salvarla, dopo che hai perso la testa per riuscire a capirla, dopo che le hai detto che l'amavi... -
- Lo so, lo so, lo so!- Jack dimenò furiosamente le braccia nel vuoto come per scacciare tutte quelle voci. - Non voglio che se ne vada. -
- Hai visto quanto è legata a suo padre. -
- Tanto legata che farà tutto quello che lui riterrà giusto, è così?-
- Ha detto che gli consegnerà quella lettera e poi tornerà. Perché non puoi fidarti di lei?-
- Non voglio che suo padre la costringa a restare!-
- Cos'è, ti brucia che abbia messo suo padre prima di te?-
- Ma lei ama me!-
- Ne sei sicuro? No che non lo sei... altrimenti perché l'avresti messa alla prova con la bussola...?-
- Ma io la... -
- E che vuoi fare allora, sentiamo? Rincorrila e riportala indietro con te, allora. -
Jack ebbe uno scatto nervoso. - Ah no, neanche per sogno! E' lei che ha voluto correre dietro al vecchio Evans, ora se la sbriga lei. -
- Ma tu la ami!-
- State zitti!- Jack si voltò di scatto: come al solito non c'era nessuno con lui, erano solo i suoi pensieri che si facevano sentire fin troppo forte. Ma ora erano spariti tutti. Guardò verso la Perla Nera che attendeva, ormai trattenuta alla riva soltanto dall'ancora che i pirati erano impazienti di issare a bordo.
Deglutì. Qualche minuto? E va bene. Ci avrebbe provato.

*

Quanto diavolo correva veloce mio padre?
Questo mi chiedevo mentre emergevo sbuffante e sudata dal piccolo boschetto e arrivavo finalmente in vista della città. Sapevo esattamente dove abitava: attraversai le stradine come una furia, svoltai angoli che non sapevo neppure di ricordare e finalmente mi trovai davanti ad una piccola casa di mattoni grigi che, non fosse stato per le crepe e i pezzi di mura che il tempo aveva via via scrostato, sarebbe sembrata rimasta perfettamente immutata per tutti quegli anni.
La porta era chiusa. Mi ci avventai contro ma la trovai chiusa a chiave così presi a bussare, prima con gentilezza, poi picchiando il pugno sulla porta con dei colpi che avrebbero svegliato un sordo.
- Papà!- chiamai, spazientita. - Lo so che sei lì dentro, ti ho visto! Apri, per favore! Apri!-
Continuai a picchiare il pugno, imperterrita. Non potevo vederlo, ma dall'altra parte Ephraim Evans si appoggiava con la schiena alla porta con aria sconsolata, fissando il pavimento senza vederlo. Tirò un lungo sospiro e attese che me ne andassi.
Insistetti ancora per un po', poi, quando fu chiaro che mio padre non avrebbe aperto, mi scostai dalla porta, alzai gli occhi al cielo e dissi a voce alta in modo che lui potesse sentirmi forte e chiaro. - D'accordo. Forse tu vuoi che dopo tutti questi anni ci separiamo senza dirci una parola... ma io no. - mi chinai e infilai la lettera arrotolata sotto la porta, spingendola con le dita finché l'ultimo centimetro di carta non scomparve sotto il legno. Non avrebbe potuto fingere di non vederla. - Quello che avevo da dirti l'ho scritto lì, papà. Eccetto una cosa. - mi accostai un po' di più. - Ti voglio bene. Non te lo ripeterò mai abbastanza. -
Non ebbi nessuna risposta dall'altra parte, ma ero sicura che avrebbe letto la lettera. Questo era quello che contava.
- Ora ti devo proprio salutare. - sorrisi. - Ho una nave da prendere. -

Caro papà
lo sai che sono sempre stata più brava con la penna che con le parole. Dopotutto cosa ci si poteva aspettare dalla figlia del pescatore a cui piace scrivere come un poeta? Me lo ricordo che ti chiamavano così quando ancora vivevamo insieme a Sunny Haven.
Ti scrivo perché sento che le parole non sono bastate: volevo dirti tutto ma non ci sono riuscita, questi ultimi minuti che passo su questa isola serviranno a raccogliere tutto quello che dovevo dirti.
So che sei spaventato da quello che hai visto e che hai paura per me dopo quello che mi è successo. Ti capisco, mentirei se ti dicessi che non ho paura anch'io: però questa è la vita che mi sono scelta. Fare il pirata è una vita crudele, non lo nego: non sono più una persona innocente, ho ucciso degli uomini. Però questo è il prezzo da pagare per vivere come voglio: sento che non potrei mai essere felice da nessun'altra parte e di certo per me non è più possibile lasciare la pirateria e ricominciare da capo, perché non è quello che voglio.
Sono un pirata, come la è Faith, come lo è Jack: essere dei ribelli ci mette davvero così in basso come vorrebbero farci credere? Noi uccidiamo chi minaccia la nostra vita: dobbiamo lottare perché non dipendiamo da nessuno. Rubiamo, è vero, ma gli stessi vascelli che assaltiamo sono nelle mani di nobiluomini che rubano in modi molto più subdoli e che finiscono per ferire molte più persone. Non siamo né più né meno colpevoli di nessuno: abbiamo il nostro codice d'onore, e gli uomini crudeli esistono fra di noi come fra i conquistatori spagnoli. La differenza fra noi e loro è che noi siamo liberi e non dobbiamo nulla a nessuno: per questo ci odiano. Ci odiano perché vorrebbero tenerci tutti in pugno, usare le nostre navi e i nostri cannoni per fare la giustizia come piace a loro, decidere le nostre rotte per accaparrarsi la maggior parte del bottino. Noi non ci stiamo, semplicemente. E la mia non è nemmeno una fuga come quella di tanti che si danno all'impresa per disperazione: a loro non importa di vivere o morire. A me sì. Io non sarò una pedina sulla scacchiera di nessuno. Voglio solo vivere: ad ogni costo. Io e la mia ciurma abbiamo scelto di vivere così: forse è vero che finiremo tutti all'inferno, ma a parere mio sono in pochi a meritarsi il paradiso.
E poi c'è Jack. Non ti nasconderò che gli ultimi giorni non sono stati tranquilli per noi due, ma non posso ignorare quello che provo per lui. Io ho bisogno di lui e, cosa ancora più sorprendente, lui ha bisogno di me. Questo l'ho capito solo da poco. Credo di amarlo quanto tu amavi la mamma, e dato che certamente ricordi quanto ti ha fatto soffrire la sua morte, puoi capire cosa sia per me l'idea di rinunciare a lui. Non posso sapere che cosa ci succederà, ma non posso e non voglio lasciarlo andare.
So cosa penserai: dirai che torno in mare solo per lui, perché lo amo e non posso stare senza di lui. Ti sbagli. Io sono un pirata e voglio continuare ad esserla: per questo sono decisa ad andare avanti... con o senza Jack, se le cose dovessero andare male.
Ma dato che sono più che decisa a fare di tutto per mantenere in vita quel “con”, io vado.
Ti voglio bene e te ne vorrò sempre: ritrovarti è stato ritrovare tutto ciò che c'è di bello nel mio passato, ma capisci anche tu che non posso più lasciare tutto e tornare indietro. Non voglio. Detesto l'idea di doverti lasciare di nuovo, ma è quello che prima o poi avremmo dovuto fare comunque, no? Non è una buona cosa che lo faccia accanto all'uomo che amo, con la vita che desidero?
Sei il padre migliore che potessi desiderare. Se proprio non puoi capirmi almeno perdonami: come disse “qualcuno” sta tutto in quello che un uomo può e quello che un uomo non può. Potevo voltarti le spalle e andarmene senza una parola, e non me lo avresti impedito, ma non potevo lasciarti senza nemmeno cercare di spiegarti. Non posso rinunciare a Jack e alla pirateria. Posso invece soltanto sperare che tu mi capisca ancora una volta.
Tua figlia, che non riuscirà mai a dimostrarti abbastanza quanto ti vuole bene
Laura Evans

*

Jack attendeva, tamburellando nervosamente le dita sul timone. La nave era pronta a salpare, ma ancora non aveva dato l'ordine: la ciurma si stava innervosendo. Erano fermi lì da giorni, cosa aspettavano ormai a levare le ancore?
I minuti passavano e Jack diventava sempre più incapace di stare fermo: Gibbs lo scrutava di tanto in tanto con aria preoccupata, poi, con aria ancora più preoccupata scrutava la spiaggia. Deserta.
Faith salì le scale del cassero di poppa, seguita da Valerie; vedendole, il capitano sobbalzò come punto da uno spillo. - Laura è tornata?- domandò a bruciapelo anche se non aveva visto nessuno arrivare dalla spiaggia.
Faith e Valerie si scambiarono un'occhiata interrogativa, quindi scossero entrambe il capo. Jack abbassò gli occhi e sbuffò, stringendo quasi convulsamente il timone. Per qualche attimo rimase fermo ciondolando sul posto, quindi si raddrizzò bruscamente. - Allora non abbiamo più niente da fare qui. Forza voi, issate l'ancora. - fece rivolto alla ciurma che attendeva sul ponte. - Avanti, partiamo!-
- No!- protestò Valerie, facendo tanto d'occhi. - Come sarebbe a dire “partiamo”?-
Faith corse davanti a lui e lo fissò agitandogli davanti l'indice. - Ordina di fermarsi, non ce ne andiamo senza Laura!-
Jack la guardò dall'alto in basso, quindi alzò lo sguardo sui pirati che, anche loro, per un attimo esitavano. - Rapidi con quelle vele!- abbaiò, scostandosi dal timone.
- Ma brutto... - anche Valerie gli corse incontro, bloccandolo quando lui avrebbe voluto andarsene. - Non pensarci neanche! Da qui non ci muoviamo. -
Lui rimase ad osservarle di sottecchi, sostenendo il loro sguardo risoluto, quindi si accigliò e disse: - Ho dato un ordine, signore, e fareste meglio ad eseguirlo. Gibbs. - richiamò l'attenzione dell'anziano nostromo con un cenno. - Prendi il timone. - scansò le due ragazze e scese le scale del cassero.
Valerie e Faith si scambiarono uno sguardo e per un attimo una scintilla di intesa brillò negli occhi di entrambe. Quindi con passo marziale si misero al fianco del capitano, lo agguantarono a braccetto da entrambe le parti e in un attimo Jack si ritrovò trascinato all'indietro per il ponte della Perla.
- Ehi!- protestò lui, cercando di liberare le braccia dalla stretta delle ragazze, ma le due lo trattennero vigorosamente.
- Una nave senza capitano non pare, vero?- fece candidamente Valerie mentre lei e Faith tiravano Jack verso la passerella ancora calata sulla spiaggia.
- No, non credo proprio. - rispose Faith in tutta calma.
- Che state facendo? Gibbs!- il capitano si rivolse irritato al suo primo ufficiale, ma prima che questo potesse fare o dire qualsiasi cosa Valerie si voltò e disse: - Non partiamo ancora, il capitano ha un appuntamento importante. -
- Già, e farebbe meglio a non tornare prima di avere chiarito un paio di cose con una certa persona. - aggiunse Faith dando uno strattone al braccio del capitano.
- Sì, e soprattutto a non tornare solo. -
- Parole sante. -
Le due trascinarono un riluttante Jack Sparrow fin sulla spiaggia, dove lo lasciarono e gli diedero un deciso spintone in direzione del boschetto, per poi tornare belle soddisfatte a bordo della Perla, in attesa.

*

- Arrivo... arrivo... aspettatemi!- saltellavo come una pazza fra gli arbusti e le felci del boschetto, col cuore in gola e il terrore di non arrivare in tempo. Quasi inciampai in una radice e imprecai, appellandomi a tutti i santi che conoscevo per riuscire a fare in fretta. - Dannazione, un attimo! Arrivo... -
Mi tuffai fra due alberi, desiderando soltanto vedere comparire finalmente la spiaggia... e finii praticamente addosso a qualcun altro che correva nella direzione opposta.
- Aaaah!-
- Woah!-
- Jack!- Per poco non finii lunga distesa per terra e dovetti aggrapparmi a lui per non cadere; ci agguantammo per le spalle a vicenda, col fiato corto per la corsa, e ci fissammo ad occhi sgranati. Io non riuscivo più a dare un senso alle mie emozioni, ma in quel momento provai una gioia assurda e incontenibile. Era qui! Era rimasto!
- Cosa ci fai qui?!- non lo volevo più lasciare andare.
- Ti stavo venendo a cercare, maledizione!- neanche lui sembrava tanto intenzionato a staccarsi da me, dopotutto. Ci fissammo negli occhi per un lungo istante, piombando in un silenzio imbarazzato.
- Te lo avevo detto che sarei tornata. -
- Volevo assicurarmene. -
- Assicurartene?- lo afferrai per il bavero della giacca e lo scrollai. - Brutto stupido, tu non ti sei mai fidato di me! Anche prima, tu e la tua stramaledetta bussola... tu mi hai messa alla prova!-
- E tu hai provato i miei nervi ben più di una volta, signorina!- protestò lui in tono offeso. Un'altra pausa, poi ad un tratto mi buttai tra le sue braccia e lo strinsi forte, e lui ricambiò con altrettanto impeto affondando il viso nei miei capelli.
- Ho fatto quello che dovevo fare. - mormorai, aggrappandomi a lui come se non riuscissi più a stare in piedi da sola. - E' tutto a posto. Tutto a posto. Possiamo andare ora? Voglio tornare alla Perla... voglio tornare a casa. -
- Ci andiamo... ci andiamo ora, non preoccuparti. - forse era solo una mia impressione, ma sembrava che stesse facendo del suo meglio per nascondere l'emozione nella voce. Fatto sta che essere stretta fra le sue braccia lì, in quel momento, era senz'altro la cosa migliore che mi fosse accaduta nelle ultime settimane.
Ce ne stavamo ancora lì, incerti se sciogliere l'abbraccio e muoverci a tornare alla nave o rimanere lì ancora un po' quando una voce ci fece sussultare. - Laura!- ci voltammo di scatto e io sgranai gli occhi vedendo mio padre -sì, mio padre!- uscire tutto trafelato dalla boscaglia.
- Ti credevo già a bordo! Pensare che ormai credevo che non ti avrei più raggiunta... - era tutto rosso in viso e, pensai, probabilmente non era solo per la corsa. Jack sembrò indeciso se lasciarmi andare o se tanto valeva lasciare le mani dov'erano.
- Come... Come hai fatto a raggiungermi? Sono partita con un certo vantaggio, ecco... - non sapevo che cosa dire: l'ultima cosa che mi aspettavo era trovarmelo ancora davanti. Lui mi scrutò inarcando un sopracciglio. - Be'... c'è un sentiero proprio qui accanto, è stato aperto da poco e... oh giusto, tu probabilmente non ne avevi idea. -
Jack emise uno sbuffo come se trattenesse a stento una risata, io rimasi interdetta per qualche attimo riflettendo su quanto scema potessi essere, quindi ridacchiai anch'io.
- Laura... - mio padre mi si avvicinò. - Ho letto la tua lettera. Scusami se non ho voluto vederti, ma... Ecco, io ero venuto da te prima, sulla spiaggia, mi hai visto. Sono venuto perché dovevo darti... ecco, io dovevo darti questa. - aveva in mano qualcosa. Una lettera. Ma non era quella che avevo scritto io. Un sorriso incredulo si allargò sul volto accaldato di mio padre. - La cosa assurda è che a quanto pare mentre tu scrivevi una lettera, io ne scrivevo un'altra. Cioè, non proprio... questa io l'ho scritta prima. Ero venuto per dartela, ma poi... cioè, è stato un attimo, ma di colpo ho pensato che se ti avessi vista non ce l'avrei fatta a lasciarti andare. E io volevo lasciarti andare. Comunque... questa è per te. Ecco... tienila. Sono... sono felice di essere riuscito a dartela. - me la mise in mano, mentre io rischiavo seriamente di commuovermi. - Non ora però, avete una nave da prendere. - mi disse quando feci per aprirla, quindi si rivolse a Jack. - Voi, capitano... Jack... - sembrò non sapere bene cosa dire, quindi gli porse la mano e Jack, dopo avere esitato solo un attimo, gliela strinse.
- Non so cosa altro chiedere da te se non di avere cura di mia figlia. - gli disse con l'accenno di un sorriso.
- Si prende cura di sé stessa egregiamente. - replicò lui, ridacchiando. - Ma farò del mio meglio. -
Andai da mio padre e lo strinsi in un abbraccio rapido, fin troppo rapido: ci dovemmo separare in fretta perché Jack si schiarì la gola in modo piuttosto eloquente e aggiunse che non era sicuro che la ciurma avrebbe resistito alla tentazione di scaricarci sull'isola e partire senza di noi.
Io e Jack ci mettemmo a correre verso la spiaggia, e l'ultima volta che mi voltai vidi solo mio padre, in mezzo agli alberi, che mi guardava. Stava sorridendo.
Finalmente gli alberi si diradarono e davanti a noi comparve la baia, con la Perla ancora ormeggiata e la ciurma, affacciata lungo tutta la murata, che sembrava attenderci anche con una certa impazienza. Quando risalimmo fummo accolti da un coro di grida più o meno soddisfatte, ma in quel momento badai soltanto al sorriso più che soddisfatto che Jack scoccò a Gibbs e dalle ben poco ortodosse grida di vittoria che lanciarono Faith e Valerie, appostate sotto l'albero maestro, quando ci videro tornare insieme a bordo.
- Uomini, vogliate scusarci per il ritardo. - annunciò Jack con tutta la calma del mondo. - Trovo che adesso sia veramente ora di partire senza altri intoppi. Avanti, levate l'ancora e andiamocene prima di marcire in questa baia!-
Gli ordini furono gridati dalla coffa fino alle sentine, e finalmente gli uomini si misero in moto girando il pesante argano che sollevò dal fondale l'ancora, lasciando la Perla libera di muoversi. La nave becheggiò sotto la spinta delle onde e mi sentii come se il mio cuore stesse prendendo il largo insieme a lei verso l'orizzonte che luccicava sotto il sole. L'aria era già diversa anche solo stando lì sul ponte, viva, frizzante, soffiava forte scompigliandomi i capelli e gonfiando le vele nere. Le strida dei gabbiani sembravano adesso grida di benvenuto.
In mare, finalmente! Stavo esultando, e non mi ero mai sentita così leggera come in quel momento. Era come se tutto d'un colpo avessi lasciato a terra tutta la zavorra, tutto quello che era andato male in quei mesi. In mare! In mare e respiravo di nuovo. Ero tornata nel mio elemento.
Dopo essermi goduta fino in fondo quel momento mi trovai un posticino appartato sulle scale che portavano al cassero di poppa e, accomodandomi sull'ultimo gradino, srotolai la lettera di mio padre osservando per qualche attimo quella calligrafia familiare prima di cominciare a leggere.

Laura,
prima di tutto mi sento in dovere di chiederti scusa per le parole che ti ho detto. Nonostante tutto, nonostante mi arrabbi e faccia la voce grossa come quando avevi dieci anni credo di avere finalmente capito. Anzi, mi arrabbiavo perché stavo capendo.
Sbagliavo, quattro anni fa, quando mandandoti a Redmond credevo di consegnarti finalmente ai tuoi doveri di adulta: in verità per me eri ancora la mia bambina, nella mia mente non ti lasciavo andare ma semplicemente ti mandavo in un posto dove avresti potuto renderti utile e dove saresti stata protetta. Non con la vigilanza di un padre, ma protetta. Ti consideravo ancora mia, anche dopo quattro anni che abbiamo passato separati: e io ti credevo ancora a Redmond come domestica mentre in realtà tu imparavi in pochi mesi quello che io non sono riuscito ad insegnarti in anni.
Devi capire, per noi padri è difficile: i figli sono una cosa meravigliosa e terribile, nostri eppure al di fuori della nostra portata. Appartenete sempre di più alle vostre madri, sai? Credo che te ne accorgerai quando sarai madre anche tu. Le madri vi portano in grembo, vi fanno nascere: noi padri rimaniamo a guardarvi con meraviglia quando siete fagotti strillanti quasi apparsi dal nulla, vi seguiamo con orgoglio mentre sgambettate e non sappiamo mai se fermarvi prima che inciampiate o tenerci solo pronti ad afferrarvi quando rischiate di cadere. Forse ci manca quella spontaneità verso di voi che è solo delle madri: tua madre è stata con noi finché non sei stata una giovane donna, poi se ne è andata e per me è stato come se tutto crollasse. C'eri solo tu, non più bimbetta ai primi passi, ma altrettanto smaniosa di correre avanti rapida come un gatto, e io che non sapevo mai se fermarti o afferrarti al volo.
Quello che voglio dire è che tu mi hai finalmente fatto capire che puoi andare avanti da sola: sei una donna, una donna forte che avrà quello che vuole, e so che ora l'unica mano di cui hai bisogno nel caso dovessi cadere è quella di Jack Sparrow.
Ho capito che lo ami, finalmente, e che lui ama te: ecco un altro discorso che potendo vorrei tanto rifilare a tua madre, ma qui ci sono solo io e la mia impacciataggine in questi casi. Il vostro amore è curioso, diverso e più combattivo di quello che c'era fra me e tua madre, ma non meno intenso: per questo non me la sento più di dire qualcosa contro ciò che provi per lui. Io posso solo fidarmi di te e di lui. Lo farò perché tu sei davvero una donna forte e lui è l'uomo che ti ha resa così, per questo non posso che fidarmi di voi.
So quante ne dovrai ancora passare e mi piange il cuore al pensiero che io non potrò più esserci, ma so riconoscere che il mio compito finisce qui e che devo lasciarti andare. Grazie per quello che mi hai detto, grazie per non avermi abbandonato anche quando l'avrei meritato. Sono fiero di te.
Ti voglio bene e ti auguro tutta la fortuna del mondo: ora sei come una di quelle navi che hai finito per amare tanto, le navi che io costruivo. Ti ho dato una chiglia, alberi e vele, ma per quanto possa piacermi averti vicina a me tu non sei fatta per rimanere a marcire in un porto. Allora devi prendere il largo, credo.
Amami come il buon padre che ho cercato di essere, ama Jack Sparrow come l'uomo che ti guiderà d'ora in poi.
Con tutto il mio affetto
Ephraim Evans

Giuro che arrivata alla fine dovetti tamponarmi ripetutamente gli occhi con la manica della camicia, e allo stesso tempo mi veniva da ridere incontrollabilmente. Dio, era da quando mi raccontava le favole da bambina che dicevo che mio padre avrebbe dovuto fare il poeta.
Presa da un impeto di tenerezza baciai la lettera con le sue parole di saluto e la misi al sicuro nelle mie tasche, dicendomi che appena possibile l'avrei messa da qualche parte tra i miei effetti personali in modo da non perderla mai. Più leggera che mai salii sul cassero di poppa dove Jack si era messo al timone; vedendomi lui mi strizzò l'occhio e i suoi denti d'oro scintillarono: sembrava anche lui di ottimo umore.
- Allora, tutto bene?- mi domandò, e sapevo benissimo a cosa si stava riferendo.
- Sì. - annuii con decisione. - Ho il padre migliore del mondo. - aggiunsi in un impeto di allegria, scivolandogli a fianco: lui ne approfittò per avvolgermi il braccio attorno alla vita e tirarmi accanto a sé, tenendo il timone con una mano sola. - Guarda che sono geloso. - scherzò, sogghignando.
Risi e appoggiai la testa contro la sua spalla, stringendomi a lui; forse non era il modo migliore per governare una nave... ma francamente, chi se ne importava?
La Perla lasciò la baia di Sunny Haven e si lanciò a tutta velocità verso un orizzonte così azzurro che cielo e mare si confondevano. Ci attendeva un lungo viaggio. Avremmo attraversato l'Oceano. Ci aspettava l'Africa.



Note dell'autrice: dato che per un bizzarro caso del destino mi prende la voglia di mettere on line il nuovo capitolo proprio oggi, ne approfitto per augurare un buon compleanno alla Black con tanto di barili di rum e un bacio da Hector Barbossa! Sì Hector, sto parlando con te. Muoviti che qua c'è gente che deve lavorare. Dicevo... non ho programmato con esattezza in quanti capitoli si concluderà la storia, ma ad occhio e croce direi che in un paio di capitoli (tre solo a dire veramente tanto) dovrei riuscire a terminarla. Sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo, ma ditemi voi se vi risulta troppo rapido o troppo confusionario, che ci tengo sempre alla vostra opinione! Alle mie affezionati lettrici che ne approfitto per ringraziare tanto per i bei commenti, ovvero stellysisley, ScissorHands e Black, ricordo che questa saga continua, quindi se le mie storie mi piacciono e vorrete continuare a seguirmi ne sarò più che lusingata.
Wind the sails!

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Capitolo 18
*** “L'acqua si spalanca e precipitiamo dentro...” ***


Capitolo 17
“L'acqua si spalanca e precipitiamo dentro...”


Udendo dei passi leggeri alle sue spalle Valerie alzò lo sguardo, e un sorriso divertito le si dipinse per un attimo sulle labbra. - Ormai è destino che continuiamo a ritrovarci qui, eh?-
- Come se non sapessi dove potevo trovarti. - replicò Jonathan con lo stesso sorriso mentre faceva il suo ingresso nella stiva, mettendosi a sedere sulla stessa cassa sulla quale stava Valerie. La navigazione era tranquilla, il vento era stato a favore per tutto il giorno e la nave veleggiava sicura lungo la sua rotta.
- Adesso mi cercavi? Non hai più voluto parlare con nessuno da quando Turner ti ha detto... be', quel che ti ha detto. - era la verità: c'era stato il piacevole intermezzo del giorno in cui avevano lavorato insieme in cima ai pennoni, ma dopo quella volta il ragazzo non era più tornato a cercarla neanche una volta, e sembrava aver perso qualsiasi gusto nel parlare con lei o con chiunque altro della ciurma.
- Ho bisogno di riflettere ogni tanto. - Jonathan si strinse nelle spalle e la guardò con un'espressione quasi di scusa.
- E hai riflettuto abbastanza?- era ovvio che alla ragazza non era piaciuto il suo comportamento, ma il tono bonario smorzò la frecciatina, facendo sorridere Jonathan.
- Forse sì. - rispose il ragazzo, annuendo. - Sai, è stato strano... Perché in un certo senso io ho vissuto con in testa la vicenda di mio padre... dovevo far luce sulla sua leggenda, ed è quello che ho fatto. Però... -
Esitava: Valerie lo scrutò, addolcendosi un po' in viso. - Speravi di trovarlo, vero?-
- Forse. - ripeté lui.
- Cosa ti ha detto Turner?- si lasciò sfuggire la ragazza, senza più riuscire a trattenere la curiosità. Sapeva che i due si erano certamente detti qualcosa, ma la sua conoscenza dei fatti si era fermata a quanto aveva udito in cabina insieme agli altri prima che l'ex capitano dell'Olandese se ne andasse, e con lui Jonathan. Si era imposta di tenersi la curiosità per non passare per una ficcanaso, ma non resisteva più.
- Non molto di più di quel che ha detto il capitano Sparrow, mi ha solo precisato le cose. I debitori di Davy Jones finivano nello scrigno, gli innocenti ci andavano di mezzo. - lasciò andare il fiato lentamente, rialzando lo sguardo. - E mio padre, purtroppo, era nel posto sbagliato al momento sbagliato. -
Stavolta fu Valerie ad abbassare gli occhi, non sapendo che cosa dire senza sembrare scontata o fuori luogo.
- Tu come stai?- domandò infine.
La domanda sorprese Jonathan: si era aspettato un “mi dispiace” o un'altra frase di circostanza, e invece la ragazza era riuscita a sorprenderlo ancora una volta. - Starò bene, immagino. - rispose dopo averci pensato un attimo. - Siamo imbarcati adesso, da qualche parte andremo, no?-
Valerie ridacchiò fra sé, allungando una mano a dare un buffetto al mento del ragazzo. - Sono d'accordo. - fece in tono vivace mentre gli agguantava la guancia fra due dita tanto per stuzzicarlo. Jonathan rise, circondandole le spalle con un braccio e stringendola a sé brevemente.
Voleva bene a quella piccoletta, non poteva negarlo, e ora che ci pensava anche a lui erano mancate quelle piacevoli chiacchierate.
Adorabile piccola pazza.

*

Col vento in poppa e le correnti favorevoli, giungemmo in vista delle coste dell'Africa tre settimane dopo.
Furono tre settimane di calma talmente piatta da diventare perfino noiosa, e fu un vero sollievo per tutta la ciurma quando, due giorni prima di avvistare all'orizzonte il profilo della Sierra Leone, cominciammo a vedere attorno a noi segni inequivocabili della terra ferma, come rami trasportati dalle onde o stormi di piccoli uccelli.
Il grido di: - Terra!- lanciato da Michael, più abbronzato di un negro per avere passato interi pomeriggi appeso alla coffa, fu salutato da un collettivo urlo di gioia.
Era pomeriggio inoltrato quando ci trovammo a flottare nello stretto fra la piccola isola di Sherbro e il resto del continente, infilandoci nella foce del grande fiume che sboccava nel mare. Piena di curiosità osservavo le scogliere sporgendomi dalla murata, letteralmente affamata di terra dopo tre settimane nel mezzo dell'oceano: l'aria era più calda e pesante che nei Caraibi, impregnata di profumi curiosi.
Non ero l'unica ad affacciarsi dal parapetto con curiosità: molti marinai si guardavano in giro, colti come me dalla nostalgia per la terra ferma; individuai Faith e Valerie sulle sartie e le vidi fissare la scogliera come incantate. Condividevo il loro stupore, dopotutto era il nostro primo viaggio oltreoceano.
David attraversò il ponte di corsa, ridendo. Will ed Elizabeth erano a prua, vicini, che guardavano verso la terraferma.
Era stata una sorpresa, quella. Quando avevamo lasciato Sunny Haven pensavamo di fare un ultimo scalo ad Oyster Bay per lasciare che i Turner tornassero a casa: ci avevano dato un grande aiuto, e pensavo che ormai fosse ora di lasciarli tornare alla loro vecchia vita. Eppure con gran sorpresa di tutti, ma a pensarci bene nemmeno tanta, la prima ad impuntarsi contro questa decisione fu Elizabeth.
- Non ci potete lasciare qui proprio adesso!- aveva esclamato fissandoci sbalordita quando io e Jack avevamo detto che ci saremmo fermati nella loro isola. - Ma come, noi siamo venuti per aiutarvi e voi vorreste scaricarci?-
Jack sembrava confuso quanto me: Will, alle spalle di sua moglie, non diceva niente. - Non è che vi stiamo scaricando, Liz, è solo che mi sembrava che ormai aveste fatto abbastanza e non vorrei tenervi lontani da casa troppo a lungo... -
- Noi veniamo con voi, non abbiamo ancora finito con questa storia!- protestò indignata lei. - Non è vero? Will!- si era voltata verso di lui in cerca di sostegno. - Diglielo anche tu, non possiamo mollare tutto ora!-
Tre paia di occhi si erano puntati su Will, che trovandosi improvvisamente al centro dell'attenzione sembrò più spiazzato che mai, anche se fui quasi sicura di vedere Jack sogghignare.
- Io penso che sia tu quella che non vuole essere “scaricata” adesso. - aveva replicato Will alzando gli occhi al cielo, ma sorrideva. - Comunque... se si tratta di andare in fondo a questa storia io sono d'accordo. -
- E David?- avevo obiettato, anche se ormai era fin troppo chiaro che i Turner sarebbero venuti con noi. Elizabeth aveva preso in braccio il bambino fino ad allora se ne era rimasto placidamente seduto sul ponte giocando con due balocchi che aveva sempre con sé, due piccole navi di legno, e se lo era stretto al petto con fare possessivo. - A David piace piace stare qui, non è vero David? E poi non disturberà i marinai, non è così Jack?- lo aveva fissato in un modo che per metà era supplichevole, per l'altra ebbi l'impressione che se lo sarebbe mangiato se avesse osato contraddirla. Per poco non ero scoppiata a ridere: Elizabeth era rimasta la solita Elizabeth, alla fine.
Così eravamo tutti quanti lì, sotto un sole così cocente che sopportavo a malapena di tenere addosso la camicia, scrutando con un certo sollievo i dintorni. Però sapevamo benissimo che la calma non poteva durare a lungo: eravamo tutti in attesa di qualcosa, e quando lanciai un'occhiata a Jack che stava sul cassero di poppa confermai i miei pensieri. Jack si guardava attorno con le mani piantate sui fianchi, apparentemente rilassato, poi però lo vidi voltarsi verso Gibbs che teneva il timone e dirgli: - Teniamo gli occhi aperti. -
Il canale che stavamo percorrendo era la striscia d'acqua che separava perfettamente l'isola dalla terraferma, e proseguiva per qualche chilometro fino alla punta della stessa. La corrente era contraria e il vento non bastava più a spingerci avanti, così che Jack aveva dato l'ordine che si mettesse mano ai remi.
Passata l'euforia generale dell'arrivo sembrava essere calata una strana, innaturale calma a bordo: come se tutti avvertissimo qualcosa di strano che aleggiava fra di noi, su quel ponte, in mezzo alle vele flosce nella brezza troppo debole per gonfiarle.
Procedevamo, accompagnati solo dallo scroscio del fiume.
Io continuavo ad andare avanti e indietro per il ponte, osservando dall'alto il lavoro dei rematori e lanciando più volte occhiate alle pareti di scogli che ci circondavano, ma non c'era bisogno di temere: il canale era largo quanto bastava perché il galeone potesse muoversi comodamente, però temevo qualche restringimento improvviso o rocce affioranti che avrebbero potuto sfondarci la chiglia. Fortunatamente non incontrammo niente del genere, e la Perla proseguì il suo percorso senza intoppi.
I minuti si trascinavano, scanditi dal rumore dei remi nell'acqua. Qualche ora dopo avevamo raggiunto la punta dell'isola: qui il canale si ingrandiva, per dividersi in tre rami: uno era quello dal quale venivamo noi, il secondo seguiva il profilo opposto della piccola isola andando anch'esso a tuffarsi nel mare, mentre il terzo era quello che ci interessava: si spingeva in profondità nella costa rocciosa, ed era quello che alimentava gli altri due. Stavamo raggiungendo la foce.
Michael era ancora di vedetta sulla coffa e si accorse del pericolo prima di chiunque altro.
- Gli spagnoli!-
In un attimo fummo tutti affacciati al parapetto: sentii il mio cuore balzare in gola quando vidi ciò che la nostra piccola vedetta aveva annunciato. Nel canale opposto al nostro, quello che costeggiava l'isola dall'altro lato, ci attendeva un enorme tre alberi che puntava verso di noi come un falco sulla preda.
Batteva una doppia bandiera: quella della marina britannica e quella spagnola. Sbarrai gli occhi rendendomi conto di chi ci trovavamo davanti. Burrieza!
Per un attimo soltanto l'intera ciurma indugiò, in un silenzio carico di tensione, poi Jack si girò di scatto verso Gibbs e con un gesto frenetico della mano gridò: - Date volta!-
La reazione dei nostri fu immediata: Gibbs tenne il timone e proseguì imperterrito la manovra, mentre i pirati corsero ognuno al proprio posto, tenendosi strette spada e pistola poiché già immaginavano che presto avremmo potuto averne bisogno.
Mi voltai precipitosamente verso Jack. - Finiamo la manovra?-
Lui annuì. - Finiamo la manovra. Nel canale!-
Ripetei il suo ordine fino a che non risuonò lungo tutto il ponte: il galeone britannico ci incalzava da destra come un arpione pronto ad infilzarci, ma noi puntavamo con sicurezza verso la foce.
Era una cosa piuttosto folle da fare: ci stavamo infilando in una strada senza uscita e lo sapevamo. Ma che altro avremmo potuto fare? Non avevamo tempo di invertire la rotta, e l'idea di prenderci a cannonate in quello spazio angusto non allettava nessuno.
Il canale che portava alla foce era molto più stretto: due navi insieme non ci sarebbero mai passate. Il galeone avrebbe anche potuto inseguirci, ma non avrebbe più potuto mostrarci il fianco per cannoneggiarci. Sperai vivamente che non avesse cannoni sulla prua, o almeno che ne avesse pochi.
- Muoversi, muoversi!- gridai con una certa urgenza vedendo la nave avversaria cominciare a virare per averci alla portata dei cannoni. Fortunatamente i nostri rematori sapevano il fatto loro, e avevamo già acquistato una certa velocità: superammo Burrieza per un soffio, tuffandoci nello stretto canale.
Alcuni degli uomini sul ponte tirarono un sospiro di sollievo e si alzò un coro di grida di scherno agli inglesi che ci eravamo appena lasciati alle spalle. Sapevo però che c'era ben poco da festeggiare, e cominciai a guardare ansiosamente sia la nave dietro di noi, sia il canale che stavamo imboccando.
Jack sembrava più tranquillo, e ignorò completamente il galeone che ci tallonava da vicino, limitandosi a guardare davanti a sé con aria rilassata, malgrado Gibbs continuasse a lanciare occhiate preoccupate ai nostri inseguitori.
La nave britannica era più grande e il canale che si restringeva le diede qualche difficoltà, ma i nostri nemici sembravano decisi a non farci scappare. Se non altro non ci presero a cannonate, non ancora almeno.
La nave avanzava lentamente fra le due muraglie di scogli risalendo la foce del fiume: man mano che procedevamo cominciai a sentire qualcosa di simile ad un lungo sibilo nell'aria. All'inizio pensai ad uno scherzo delle mie orecchie, ma quando ebbi visto che tutti quanti si guardavano attorno e tendevano l'orecchio per ascoltare meglio capii che qualcosa doveva esserci per forza.
Il sibilo continuò e aumentò di intensità fino a rivelarsi per quello che era: lo scroscio dell'acqua, rumoroso e potente. Volsi lo sguardo verso la prua della Perla Nera: avevo una mezza idea di quello che avremmo potuto incontrare quando avessimo aggirato la parete di scogli.
Il canale curvava leggermente, ma le pareti rocciose erano ancora abbastanza distanti fra loro da permettere alla nave di svolgere la manovra in sicurezza: intanto lo scroscio era diventato quasi assordante, e ci bastò attendere pochi istanti prima di capire che avevamo raggiunto la meta.
La corrente era più forte in quel punto e rischiava di spingerci indietro, tanto che gli uomini avevano dovuto sudare sui remi per far sì che potessimo procedere: avevamo raggiunto la foce. Le pareti rocciose si aprivano in una conca circolare, nella quale l'acqua cadeva da un'enorme cascata spumeggiante che si tuffava ruggendo dalla scogliera.
I nostri rematori rallentarono, anche perché ormai c'era ben poco da remare. La cascata correva in un letto scavato nella roccia, per poi buttarsi in un salto di vari metri fino alla conca, creando davanti a noi un vero e proprio muro d'acqua. Non c'era altro posto dove andare: eravamo chiusi dentro, con il galeone britannico alle costole.
Vidi Will correre sul ponte facendo a Jack dei segnali e gridando qualcosa, ma il rumore della cascata coprì le sue parole e non riuscii a capire cosa stesse cercando di dire. Io, dal canto mio, stringevo il parapetto quasi da affondare le unghie nel legno mentre scrutavo freneticamente le pareti di roccia che ci circondavano, cercando invano una qualsiasi via di fuga dalla trappola per topi in cui eravamo andati ad infilarci.
I rematori rallentarono gradualmente il ritmo, e poco a poco la nave si fermò. La spuma bianca che si sollevava dagli spruzzi della cascata arrivava fino a noi, riempiendo l'aria di goccioline: voltandomi verso l'imboccatura del canale vidi che il galeone britannico vi si era fermato proprio in mezzo, chiudendosi ogni uscita e possibilità di manovra. Il commodoro Gillette era in piedi sulla tolda.
Quando guardai verso di lui lo vidi muovere la bocca gridando qualcosa, ma lo sciabordio dell'acqua si portò via anche le sue parole. Allora lui con un gesto imperioso indicò i due cannoni di prua puntati su di noi, con gli artiglieri pronti a far fuoco.
Il messaggio era chiaro: potevamo arrenderci e consegnarci a loro, o esporci al fuoco.
In quel momento qualcuno mi afferrò il braccio, facendomi voltare, e inaspettatamente mi trovai faccia a faccia con Jonathan. - Abbiamo una possibilità!- mi gridò direttamente nelle orecchie per farsi sentire: improvvisamente sembrava tutto eccitato e non riuscivo a capire perché. - Guarda! Guarda lì!-
Strizzai gli occhi per cercare di vedere cosa mi stesse indicando al di là della nube di vapore che si sollevava dalla cascata, e tutto quello che vidi furono le rocce acuminate che ci circondavano.
- “Guarda” che cosa?- gridai di rimando.
- Questo è il punto dove la nave entrava, ne sono sicuro! Non ricordi che cosa scriveva mio padre? Diceva che la loro nave correva verso le rocce... e poi spariva! E' qui che dobbiamo entrare, sono sicuro!-
- Contro le rocce?!- ripetei, fissandolo come se fosse impazzito, e, almeno a giudicare dall'espressione spiritata dei suoi occhi, forse lo era. - Ci crederei di più se mi chiedessi di infilarci sotto la cascata... ma è impossibile anche che quella nasconda un ingresso segreto, c'è troppa roccia sotto!-
- Ma è l'unica possibilità che abbiamo!- insistette Jontahan, supplichevole. - Non ci possiamo fermare adesso! Mio padre parlava di una specie di magia che accadeva quando la nave si avvicinava alle rocce, forse funzionerà anche per noi!-
Frettolosamente fissai il galeone alle nostre spalle, poi la parete rocciosa che vedevo oltre l'acqua spumeggiante. Agguantai il giovane per le spalle e lo fissai negli occhi. - Se non funziona saremo cibo per pesci. -
- E se la marina ci prende saremo pendagli da forca. -
D'accordo, aveva una sua logica.
- E va bene. - concessi. - Corri ad avvertire i rematori, che remino dritti verso la cascata! Al resto penso io. - lasciai Jonathan mentre correva sottocoperta e risalii in quattro salti le scale del cassero di poppa.
- Lo prendo io!- gridai a Gibbs, quando lo spostai per impossessarmi del timone. La nave stava cominciando a girare lentamente spinta dalla forza dell'acqua: girai il timone per dirigere la prua dritta contro la cascata e le sue rocce assassine. Deglutii a fatica e mi augurai di tutto cuore che Jonathan avesse visto giusto.
Jack arrivò al mio fianco in un attimo, afferrando il timone dall'altra parte. - Che stai facendo?!-
- Secondo Jonathan abbiamo ancora una possibilità!- gli spiegai in tutta fretta, facendo del mio meglio per nascondere tutta la mia agitazione. - Possiamo sfruttare il passaggio usato da Dawkins!-
Jack sgranò gli occhi fissando alternativamente me e la parete di rocce. - Quale passaggio?-
- Non lo so!-
- Woah!- la nave fece una specie di impennata quando i rematori ci portarono abbastanza vicini alla cascata: prendemmo a rimbalzare letteralmente sulle onde, e Jack barcollò vistosamente prima di aggrapparsi di nuovo al timone.
Questa gli inglesi non sembravano aspettarsela, infatti non fu esploso nessun colpo neanche quando ci videro dirigerci a tutta forza verso la cascata: probabilmente pensavano che fossimo impazziti completamente. L'acqua cominciò a batterci addosso, inzuppandoci da capo a piedi, mentre io cercavo di tenere dritta la nave in quello spazio angusto.
Al di là dell'acqua vedevo solo rocce aguzze, e nient'altro.
Sentii Jack cercare di strapparmi di mano il timone, ma opposi resistenza: e poi, ormai, anche se avesse cercato di far virare la nave saremmo finiti comunque contro la parete; non sarebbe mai riuscito a fermare la nostra corsa.
Serrai gli occhi e mi accucciai contro il timone senza lasciarlo neanche per un attimo, preparandomi a sentire l'impatto.
Invece accadde qualcosa di totalmente diverso.
La cascata picchiava forte su una fiancata della nave, ma dall'altra parte vidi alzarsi dall'acqua una nebbiolina grigia che in men che non si dica ci avvolse dalla poppa alla prua. Non vidi più le pareti di roccia della conca, né il galeone britannico che ci era pur così vicino. Tutto era sparito in un batter d'occhio, come nascosto da un muro bianco.
“Ecco come faceva la nave di Dawkins a sparire.” pensai, un attimo prima che l'ingresso che stavamo cercando si rivelasse nel più inaspettato dei modi.
Sentii il ponte vibrare sotto i miei piedi e sussultai, aggrappandomi al timone. Udii alcuni dei pirati gridare, e non riuscii a capire perché finché non gettai uno sguardo oltre il parapetto: era come se l'acqua sotto la chiglia si stesse rapidamente abbassando... Si stava abbassando. Anzi, si stava letteralmente spalancando sotto la nave, risucchiandoci sul fondo.
Ebbi appena il tempo di voltarmi e di vedere Jack al mio fianco gridarmi: - Tieniti!- che la prua della Perla si inclinò bruscamente in avanti, trasformando l'intero ponte in un pericolosissimo scivolo.
Mi avvinghiai al timone come se ne andasse della mia vita -e probabilmente era così- e mi mancò il fiato quando vidi che cosa c'era davanti a noi: dopo essersi magicamente spalancata al nostro passaggio, l'acqua stava defluendo rapidissima in una sorta di grande cunicolo sotterraneo aperto sul fondo della conca, molti metri sotto la fine della cascata. E noi ci stavamo finendo trascinati dentro!
Non ebbi neppure il tempo per pensare. La corrente ci afferrò e finimmo risucchiati nel tunnel insieme a tutta la nave.
Gli attimi successivi furono una picchiata frenetica all'interno di un tunnel buio, col ruggito dell'acqua nelle orecchie. La parte di me che ancora ragionava si diceva che era impossibile che non fossimo già tutti annegati, eravamo dentro un tunnel subacqueo! Ma qualunque cosa avesse fatto sì che l'acqua si spalancasse sembrava continuare a proteggerci anche lì: terrorizzata vidi l'acqua spumeggiare sull'orlo della murata, gettando spruzzi sul ponte, ma ancora non affondavamo. Udii uno schianto quando l'albero grattò contro il soffitto di pietra del cunicolo.
Qualcuno gridò qualcosa, forse un avvertimento, ma erano già in tanti ad urlare a bordo e non afferrai neanche una parola. E comunque l'istante dopo me ne accorsi da sola: il tunnel finì all'improvviso, sputandoci letteralmente fuori. Sopra di noi si aprì una volta di pietra molto più grande, una caverna sotterranea.
La nave beccheggiò ancora un po' sotto la spinta della corrente che l'aveva spinta fin lì, poi sembrò cominciare a stabilizzarsi: alle nostre spalle l'acqua continuava ad uscire impetuosa dal piccolo tunnel, ma dov'eravamo noi si raccoglieva in un placido fiume sotterraneo. Forse eravamo arrivati a destinazione.
Uno dopo l'altro ci rialzammo, bagnati fino all'osso e con le ginocchia tremanti: Jack mi afferrò per la collottola e mi aiutò a rimettermi in piedi. - Ehi, siamo al sicuro adesso. - mi disse in tono un po' più vivace.
- Dici?- replicai mentre lanciavo uno sguardo dubbioso ai dintorni.
Per fortuna sembrava che tutti stessero bene: i pirati si rialzavano tossendo, con gli stivali che sguazzavano nelle quattro dita d'acqua che si erano raccolte sul ponte. Vidi Elizabeth e Will rialzarsi; Will stringendo in braccio un David fradicio, ma più arzillo che mai. Non era stato poi tanto peggio di quello che si affrontava durante una tempesta di quelle forti, e l'acqua in eccesso stava già defluendo dal ponte e dai boccaporti. Ce l'avevamo fatta.
La cosa che mi sfuggiva invece era “dove” esattamente fossimo finiti.
Anche Jack si guardava attorno, e il sorriso sparì rapidamente dalla sua faccia. - Signor Gibbs?-
L'anziano nostromo si fece avanti in fretta, ancora strofinandosi gli occhi bagnati. - ...Capitano?-
- Avete una vaga idea di cosa potrebbe essere questo posto?-
Gibbs guardò a lungo la volta rocciosa che ci sovrastava, e il fiume che si snodava come un lungo nastro scintillante segnalando che la caverna doveva continuare ancora per diversi chilometri nelle profondità della terra. Poi fu scosso da un brivido e prese a strofinarsi le braccia. - Direi il posto più freddo in tutti i Caraibi, capitano!-
Aveva ragione: faceva veramente un freddo innaturale, e zuppa com'ero mi trovai a tremare da capo a piedi. Tutto là sotto era strano, a partire dalla luce. La volta era di pietra compatta, nemmeno un raggio di sole poteva entrare in quel posto... eppure la caverna era illuminata da un bagliore flebile e irreale, che sembrava quasi provenire dalle pareti stesse.
Mi avvicinai alla murata e mi sporsi per cercare di vedere meglio una delle pareti di roccia più vicine. Era strana, non sembrava affatto roccia, ma ghiaccio nero. Arretrai, scossa da un altro brivido: stavolta però non era colpa solo del freddo. Che stava succedendo lì sotto?
- Accendete tutte le lampade. - l'ordine di Jack risuonò sul ponte silenzioso, e gli uomini si affrettarono ad eseguire. In poco tempo la nave fu illuminata, ma questo non bastò a dissipare l'atmosfera innaturale che permeava quella grotta, anzi: il bagliore aranciato delle lampade si rifletteva sulle pareti, accentuando la sensazione di essere imprigionati sotto una cappa di ghiaccio.
Incontrai Faith camminando sul ponte e non potemmo fare a meno di stringerci in un rapido abbraccio: avevo temuto fortemente che lei o qualcun altro della ciurma potesse essere caduto fuoribordo durante la nostra corsa nel cunicolo. - State tutti bene?-
- Sì... - la mia amica non smetteva di voltarsi da tutte le parti. - E questa sarebbe la miniera di Dawkins?-
- Potrebbe. - concessi con un cenno del capo.
Ritrovai anche Jonathan, nervoso come tutti gli altri, mentre la Perla avanzava lentamente lungo il fiume. Ci scambiammo un'occhiata. - Tuo padre non aveva mai parlato dell'interno della miniera. - dissi.
Lui scosse il capo, mordicchiandosi un labbro. - No, infatti. -
Quanto ci sarebbe stato utile se Wood avesse lasciato nelle sue memorie qualche spiegazione riguardo a quello che stava succedendo lì dentro. Non era un semplice passaggio sotterraneo: c'era ancora qualcosa di misterioso a permeare quel luogo, come aveva dimostrato il modo in cui eravamo riusciti ad entrare. Lì sotto, in quel freddo innaturale, sembrava di essere in un posto al di là dello spazio e del tempo.
Will era sulla tolda, sporgendosi in avanti per scrutare le profondità del tunnel davanti a noi. Ad un certo punto sussultò e si voltò di scatto. - Laura, Jack, venite a vedere. - ci chiamò in tono urgente.
Io e Jack lo raggiungemmo e ci affacciammo alla murata accanto a lui, aguzzando la vista per cercare di vedere nel bagliore irreale al di fuori del cerchio di luce delle lampade.
Qua e là, sui bordi del fiume, spuntavano dei grossi macigni che sembravano essere rotolati lì da chissà dove. Man mano che ci avvicinavamo, però, mi resi conto che l'intera riva era un mucchio di macigni impilati gli uni sugli altri.
- Qua è crollato tutto... - mormorai. Solo in quel momento ci rendemmo conto che stavamo navigando in mezzo alle macerie di quella che era stata la miniera perduta di Dawkins.



Note dell'autrice: Chi non muore si rivede! Eh sì, mi spiace di avere lasciato questa fanfiction in sospeso così a lungo, però una serie di eventi mi hanno costretta a lasciarla da parte per un po' per dedicarmi ad altro (sia in campo scrittorico che non). Ma adesso l'ho ripresa e ho intenzione di finirla al più presto, anche perché ho grandi progetti in cantiere! E perché succeda quel che succeda, ma non smetterò mai di scrivere sui Pirati. Rinnovo i ringraziamenti per quanti hanno commentato, sperando di farmi perdonare della lunga pausa con questo regalino di Natale in ritardo. Ahoy!
PS: Sono conscia di avere forse detto una boiata... tre settimane di navigazione dai Caraibi all'Africa. Ho controllato le distanze ma mi sono rivelata incapace di calcolare il tempo effettivo sulle miglia marine, quindi ammetto di avere puramente tirato a caso. Ma del resto nei film vediamo anche i nostri pirati scorrazzare da un capo del mondo all'altro in tempo non meglio specificato. Comunque se qualcuno avesse una vaga idea del tempo effettivo, me lo comunichi pure!

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Capitolo 19
*** Il momento più opportuno ***


Capitolo 18
Il momento più opportuno.


Continuammo a seguire il fiume per un po', ma attorno a noi non vedevamo che massi crollati e macerie: anche il letto del fiume andava restringendosi, e la chiglia della Perla passava sempre più vicina alle rocce affioranti. Ero certa che presto ci saremmo trovati la via bloccata.
Fu di nuovo Will a spezzare il silenzio. - Che cosa facciamo?- domandò ad un certo punto, voltandosi verso me e Jack. - Qui sotto ci sono solo rocce, tutto è crollato. Non credo che abbia senso rimanere qui. -
- Dopo tutto quello che questa miniera ci ha fatto passare mi sembra il minimo dedicarvi più di un paio di minuti, comprendi?- replicò Jack, che dal canto suo sembrava piuttosto tranquillo mentre si trastullava col calcio della sua pistola.
- Cosa suggerisci?- chiesi io mentre mi strofinavo le braccia, rabbrividendo.
- Suggerisco di andare a dare un'occhiata un po' più da vicino. -
Fu calata l'ancora e approntata una scialuppa: era evidente che quasi nessuno degli uomini della ciurma moriva dalla voglia di mettere piede giù dalla nave, così quello che decise di scendere a terra con me e Jack fu il solito gruppo; Faith, Ettore che scrutava tutto ciò che ci circondava con aria sempre più corrucciata, Jonathan che non aveva più detto una parola da quando ci eravamo inoltrati nel tunnel, ed Elizabeth e Will. Anche se a dire la verità uno molto impaziente di scendere a terra c'era, ma Will dovette praticamente trattenerlo con la forza.
- Ma perché?- protestò violentemente David, divincolandosi quando Will lo staccò dalla scialuppa e lo rimise sul ponte. - Voglio venire! Voglio venire anch'io!-
- Tu resti qui senza fare storie, hai capito?- replicò Will, messo chiaramente in difficoltà dal dovere affrontare i capricci del bambino anche in quel frangente. David lanciò a lui e a sua madre un'occhiata terribilmente offesa e piombò a gambe incrociate sul ponte: Will tentennò perché in fondo si vedeva che gli dispiaceva ogni volta che gli toccava rimproverare suo figlio.
- Torniamo presto, d'accordo?- riprese in tono più dolce. - Dobbiamo soltanto dare un'occhiata là sotto, e non voglio che tu ti faccia male: fa il bravo e aspettaci qui, va bene?-
Alla fine riuscì a convincerlo e poté raggiungerci sulla scialuppa dove noi altri lo stavamo aspettando: una volta salito a bordo lo vidi scambiare uno sguardo con Elizabeth e alzare gli occhi al cielo, e ridacchiai fra me.
- Come padre fai decisamente pietà, lo sai?- lo canzonò Jack mentre la scialuppa toccava l'acqua.
- Tu fatti gli affari tuoi. - replicò Will, piccato, mentre insieme ad Ettore prendeva i remi e la scialuppa cominciava ad avvicinarsi alla riva di massi ammucchiati. Curiosamente non potei fare a meno di pensare che i rapporti tra quei due, Will e Jack, erano cambiati, negli ultimi giorni che avevamo passato insieme: forse tutto sommato qualcosa era successo, dopo che i Turner erano venuti a salvarci. Non avevo mai saputo veramente come considerarli, se come amici, rivali o semplicemente due persone che si sopportavano di malavoglia. Adesso invece c'era qualcosa di diverso, come la reazione che aveva avuto Will alla pigra battuta di Jack: infastidito magari, ma non certo offeso, come se ormai sopportare le frecciatine del capitano fosse diventata un'abitudine.
Sporgendomi un po' dalla scialuppa immersi una mano in acqua, e sussultai sentendola freddissima: non era semplicemente il freddo di una fonte sotterranea, era qualcosa di diverso, e considerato che il modo in cui eravamo entrati nel condotto non aveva niente di naturale, ero più che certa che qualunque cosa avremmo potuto trovare là sotto non sarebbe stata affatto qualcosa di “normale”.
La scialuppa si accostò alle rocce ed Ettore fu svelto ad afferrarsi alla riva: lo vidi sgranare gli occhi sorpreso, e fissò stupito la roccia al quale si era attaccato. - E' gelida!- fece, stupito.
Quando mettemmo piede sulla riva verificammo che aveva ragione: le rocce crollate erano dello stesso strano materiale di cui era composta la volta della grotta e, come il ghiaccio scuro che sembravano, erano più fredde di quanto avessi immaginato. Mi issai sulle rocce seguita dal resto del gruppo, e cominciammo a guardarci intorno. Apparentemente non c'era granché da vedere, a parte massi crollati e detriti, ma continuammo per un po' a girare su e giù per il terreno sconnesso, arrampicandoci e calandoci dai macigni.
Non sapevo nemmeno che cosa stessimo cercando, e avrei scommesso che non lo sapeva con esattezza nemmeno Jack.
Ad un certo punto mi trovai davanti a due massi piuttosto grossi, e cercando con le mani un appiglio per issarmi nel solco fra i due sentii qualcosa di strano sotto le dita. Mi fermai, portandomi la mano davanti al viso: sulle dita mi era rimasto qualcosa di simile ad una fine sabbia nera, strofinando i polpastrelli sentii i piccolissimi grani appuntiti, quasi fossero fatti di vetro.
- Guardate qua!- feci agli altri, mostrando la mia scoperta. Uno dopo l'altro i miei compagni si abbassarono per frugare con le dita fra i massi, trovandosi in mano la stessa sabbia nera. Jack si chinò a sua volta, prendendo a frugare in una delle fenditure che si aprivano fra un masso e l'altro: ad un tratto lo vidi sgranare gli occhi e abbassare lo sguardo sulla fenditura; ritrasse la mano lentamente, e un attimo dopo potei vedere che cosa stringeva fra le dita: lo scheletro di una mano umana, con tutto il braccio attaccato.
- Aaaaah!- io, Faith ed Elizabeth lanciammo un urlo quasi all'unisono, Will ed Ettore balzarono indietro con una smorfia di orrore sul volto. Jack arricciò le labbra con disgusto, poi però continuò a tirare il braccio con aria interessata come se cercasse di disincastrarlo da sotto il masso. - Abbiamo compagnia. - commentò.
- Jack, che schifo... - protestai mentre mio malgrado mi avvicinavo.
- Considerando che faccio il pirata da quando avevo tredici anni, il mio concetto di “schifo” si è un po' attenuato... - replicò lui, inginocchiandosi per sbirciare attraverso la fenditura dalla quale sbucava il braccio inerte e scheletrito, quindi lo vidi sgranare gli occhi. - Qui c'è tutto il resto... credo che dovremmo dare un'occhiata anche sotto gli altri massi. -
- Credi... che ce ne siano altri?- domandò Will, nervoso. Jack si strinse nelle spalle mentre con aria distratta sollevava il braccio ossuto e lo rigirava, osservandolo.
Con un senso di inquietudine crescente cominciai insieme agli altri ad esaminare le fenditure fra una roccia e l'altra; scavavo con le mani, un po' titubante viste le ossa umane che Jack aveva appena disseppellito, ma non trovai niente se non un bel po' della sabbia nera e granulosa che mi rimase sotto le unghie. Ma proprio quando cominciavo a pensare che lo scheletro appena trovato non fosse altro che un caso isolato, due cose mi fecero cambiare idea. La prima fu il grido di Faith che con un certo disgusto annunciò: - Ne ho trovato un altro!-
La seconda fu Ettore, che ad un tratto si addossò ad un masso, digrignando i denti e spingendo con tutte le sue forze: dopo qualche attimo il masso scricchiolò, si mosse, quindi il pirata gli diede un'ultima spinta e quello si spostò completamente dalla sua sede, rotolando sugli altri massi e piombando nel fiume con un grande spruzzo. Ettore fece una smorfia e arretrò di un passo vedendo quello che aveva appena riportato alla luce: nel solco lasciato dal masso c'erano altri due cadaveri mezzo scheletriti, e a giudicare da quel poco che si vedeva sotto gli altri massi, ossa sparse e pezzi di vestiti, dovevano essercene molti altri.
Stavamo camminando su una gigantesca fossa comune.
- Jack, che significa? Che cosa è successo qui?- esclamò Elizabeth, guardandosi attorno come se temesse di vedere spuntare di colpo tutte le ossa umane che ormai eravamo certi di stare calpestando.
- Non ne sono sicuro... - Jack si fece avanti barcollando fra i massi, scoccando un'occhiata disgustata ai due cadaveri rimasti nel solco.
- Non sono i minatori. - lo interruppe ad un tratto Jonathan: sembrava spaventato. - Non possono essere loro, mio padre dice chiaramente che Dawkins lasciò la miniera deserta prima di andarsene. -
Jack inarcò le sopracciglia e aprì la bocca, esitando qualche istante prima di dire: - Be'... se questa brava gente non sono i minatori... dobbiamo dedurre che sono quelli che sono venuti a cercare la miniera di Dawkins dopo. -
Deglutii, sentendo colare sudore freddo lungo la schiena: non riuscivo a smettere di voltarmi da tutte le parti come se in ogni momento temessi di vedere qualcuno arrivarmi alle spalle. La situazione si stava facendo decisamente troppo inquietante.
- Dopo...?- mormorò Jonathan, e sentii la sua voce tremare. - Ma allora... allora nonostante tutto qualcuno è riuscito ad arrivare alla miniera... di nascosto da tutti... -
- E cosa hanno trovato? Non vedo vene di diamanti qua sotto!- replicò Faith, allargando le braccia ad indicare tutto ciò che ci circondava.
- No, infatti. - la voce di Will, di colpo terribilmente seria e sicura, ci fece voltare tutti: era inginocchiato accanto al solco lasciato scoperto dal masso che Ettore aveva spinto via, e affondava la mano nella sabbia nera che ricopriva tutto quanto. - Non ci sono più diamanti, Davy Jones non ne ha lasciato traccia dopo che Dawkins ha infranto il suo debito. Guardate. - sollevò la mano, facendosi scorrere tra le dita i granuli vetrosi. - Questo è tutto quello che resta dei diamanti. E agli sfortunati che sono comunque riusciti a scovare l'ingresso, la grotta è crollata in testa. Questo posto è maledetto!-
Appena ebbe finito di dirlo, un tremendo frastuono di acqua scrosciante ci fece sobbalzare: avevo già i nervi a fior di pelle per conto mio, e quella fu veramente l'ultima goccia; per poco non scivolai sui massi, e quando recuperai l'equilibrio mi resi conto di cosa stava succedendo. In fondo alla grotta il passaggio attraverso il quale eravamo entrati aveva cominciato improvvisamente a buttare ancora più acqua, un fiotto gigantesco che agitò le acque finora tranquille del fiume sotterraneo con un'onda che arrivò fino alla Perla. La nave beccheggiò furiosamente per lunghissimi istanti prima di stabilizzarsi: mi arrivarono fin lì le imprecazioni di tutta la ciurma, ma ero molto più concentrata sul cunicolo, perché credevo di sapere cosa stava succedendo.
Il galeone britannico venne sputato fuori dal condotto insieme alla massa d'acqua rimbalzando sulla superficie come se fosse fatto di sughero e, viste le sue dimensioni, lo spettacolo era notevole.
Il grosso tre alberi dalle vele completamente fradice continuò a rollare per un po' prima di stabilizzarsi, e vidi sul ponte gli uomini rialzarsi, confusi e storditi come noi poco prima, osservando lo strano posto in cui erano finiti. A quanto pareva alla fine anche Burrieza e il commodoro avevano voluto tentare la sorte, e si erano sentiti abbastanza temerari da buttarsi nel passaggio come noi: evidentemente la stessa magia che aveva trasportato la Perla fino a lì aveva funzionato anche per loro.
Sia io che i miei compagni eravamo rimasti ad osservare l'arrivo del galeone, completamente stupefatti. Questo davvero non ce lo aspettavamo.
Mi sembrò di vedere il commodoro Gillette rialzarsi, grondante d'acqua, sulla tolda del galeone e guardare proprio verso di noi. - Eccoli là!- lo sentii gridare mentre gesticolava furiosamente verso di noi. - Questa volta non ci sfuggono!-
Seguirono alcuni attimi di silenzio totale durante i quali gli uomini di Gillette, zuppi fino all'osso, corsero ai cannoni, mentre noi ci voltammo tutti quanti verso Jack. Lui, accortosi di cosa volevano fare i nostri avversari, sbarrò gli occhi. - Oh oh. - fu il suo unico commento.
- Al riparo!- gridò Ettore, prendendo Faith per un braccio e abbassandosi con lei dietro ad un masso: in un attimo tutti quanti ci affrettammo a fare altrettanto, proprio mentre dal ponte del galeone sentivamo Gillette gridare: - Fuoco!-
Feci appena in tempo ad allontanarmi di corsa e buttarmi dietro un masso, ma mi sembrò ugualmente che tutto il mondo saltasse in aria. Strizzai gli occhi e serrai la testa fra le braccia, ma nemmeno il terreno era più saldo sotto di me: per lunghissimi istanti tutto quanto tremò, e sentii il fumo acre della polvere da sparo entrarmi nei polmoni, togliendomi il respiro. Quando mi azzardai ad alzare gli occhi vidi solo un'altra esplosione rossastra, e il boato di una nuova cannonata mi rimbombò nelle orecchie: quel pazzo di Gillette aveva ordinato una bordata.
- Smettila!- sentii Jack urlare in un attimo di pausa fra un botto e l'altro. - Smetti di sparare, ci crollerà tutto addosso!-
Il commodoro non lo ascoltò, perché seguirono altre due cannonate che fecero tremare l'intera caverna. Mezza accecata e soffocata mi alzai dal mio rifugio pericolante e corsi via, scivolando dietro un altro masso: attesi qualche attimo, ma sembrava che Gillette avesse finalmente smesso. In compenso risuonò uno scricchiolio per nulla rassicurante, e vidi una grandinata di sassolini precipitare dal soffitto della caverna, piombando in acqua e sulle nostre teste.
Ettore e Faith emersero da dietro un macigno. - Dobbiamo tornare alla nave, subito!- gridò lui.
Elizabeth, Will e Jonathan spuntarono dai loro nascondigli e, incespicando fra i massi, si affrettarono verso le scialuppe. Mi voltai e vidi Jack caracollare verso di me: ringraziai il cielo vedendoci tutti salvi, ma non avevo molta fiducia nella stabilità della grotta. Lo scricchiolio si ripeté, più forte e più a lungo di prima.
Ad un tratto Jack mi agguantò per il polso, facendomi girare bruscamente: mi ritrovai improvvisamente faccia a faccia con lui, e in men che non si dica mi gridò: - Mi vuoi sposare?-
- Eh?!- la situazione era talmente assurda che quella fu l'unica cosa che mi uscì di bocca, dopo averlo guardato come se fosse completamente impazzito.
- Mi hai sentito!- mi gridò di rimando, tirandomi con sé verso la Perla.
- Ma che diavolo di domanda... E me lo chiedi adesso?!-
Jack annuì con piena convinzione.
Sulla nave britannica sentii Gillette gridare qualcosa ai suoi, e si aggiunse una ben nota voce dall'accento spagnolo che doveva per forza essere Burrieza. Avevano visto che prenderci a cannonate sulla terra non era una buona idea, ma questo non voleva dire che ce l'avrebbero fatta passare liscia.
La Perla Nera ci stava aspettando. A mia volta afferrai la mano di Jack e lo guardai negli occhi.
- Se usciamo vivi da qui, giuro di sì!-
- Hah!- esclamò lui, puntandomi contro l'indice, con un sorriso fino alle orecchie.
Corremmo insieme fino alla scialuppa, e la spingemmo a tutta forza verso la Perla che stava manovrando per avere a favore il fianco del galeone britannico. Come diavolo facessi a sentirmi di colpo inebriata e piena di una gioia assurda anche in un momento critico come quello non avrei saputo spiegarlo.
Fummo issati a bordo in tutta fretta, con Gibbs che gridava comandi a destra e a manca perché tutti gli uomini fossero ai loro posti per lo scontro, ma che appena Jack fu sceso dalla scialuppa ed ebbe rimesso piede sul ponte, lo raggiunse di corsa e gli domandò in tono apprensivo: - Ordini, capitano?-
- Te la stai già cavando egregiamente, Gibbs, potrei promuoverti se non avessi già un capitano in seconda!- replicò Jack, risalendo di corsa il cassero di poppa per riappropriarsi del timone. - Gente, ai posti di combattimento!-
Will gli passò accanto di corsa, caricando un fucile: ad un certo punto i loro sguardi si incontrarono, e con l'accenno di un sorriso il giovane accennò col capo alla riva sassosa e gli fece: - Questa me la lego al dito!-
Capendo che si riferiva alla proposta che aveva fatto poco prima, Jack sfoderò un ghigno mentre faceva girare il timone. - Le buone idee esistono per essere sfruttate, comprendi?-
- Caricate i cannoni!- gridai io, attraversando il ponte fra le due ali di uomini che correvano trasportando le palle d'acciaio. - E appellatevi a tutti i santi che conoscete perché questa grotta non ci crolli in testa... -
Le due navi si fronteggiarono nello spazio angusto del fiume sotterraneo, passandosi pericolosamente vicine: solo poche braccia separavano i due scafi, così che le rispettive ciurme si lanciarono urla e improperi per spaventarsi a vicenda. I nostri, da pirati che erano, risultavano ben più convincenti rispetto ai marinai britannici e spagnoli, e sorrisi amaramente fra me vedendo i nostri avversari almeno un po' intimiditi. Poi mi venne un'idea.
- Jack!- dovetti sgolarmi per farmi sentire al di sopra del frastuono, ma poi vidi il capitano girarsi verso di me. - Abbordiamoli! Siamo abbastanza vicini e non dovremo correre il rischio coi cannoni!-
Era una manovra che avrebbe richiesto il suo prezzo, ma poteva salvarci. I cannoni non erano per niente sicuri là dentro, col rischio di venire sepolti dai massi; anche andare all'arrembaggio però avrebbe significato perdere degli uomini. Per qualche attimo vidi i miei stessi pensieri riflessi nell'espressione di Jack, poi strinse le labbra e annuì in fretta.
- Uomini, pronti con i rampini! Prepararsi all'arrembaggio!- gridai, avvicinandomi alla murata dove le due ciurme avversarie si stavano urlando contro. I pirati si prepararono con pistole e sciabole, sapendo che di lì a poco avrebbero dovuto farle valere: la prima linea con i rampini si preparò alle spalle degli artiglieri; avrei preferito non dover fare fuoco, ma non potevo escludere che gli inglesi invece lo facessero, e dovevamo prepararci ad incassare il colpo.
Mi sporsi dalla murata, con una mano stretta su una cima e l'altra sulla pistola, osservando il ponte nemico. Dall'altra parte vidi Gillette e Burrieza fissarmi di rimando e quasi sorrisi notando le occhiate di odio che mi lanciavano. I loro artiglieri accesero le micce.
- Pronti?- sentii gridare a Gillette. - E... -
Prima che potesse terminare l'ordine qualcosa di molto grosso si staccò dalla volta della caverna solo a qualche metro dalle due navi, precipitò con lentezza irreale per poi piombare in acqua con un tonfo e uno spruzzo che innaffiò la tolda del galeone britannico e la poppa della Perla. Le due ciurme ammutolirono, e per un lunghissimo istante non ci fu altro che lo sciabordio dell'acqua smossa, che fece beccheggiare le navi sotto l'onda. Poi ci fu di nuovo uno scricchiolio sonoro, e vidi l'acqua sotto di noi incresparsi ancora di più mentre una nuova scossa faceva tremare tutta la caverna.
- Oh santissima... crolla tutto! Dobbiamo uscire di qui subito!- gridò Gibbs, gettando a Jack uno sguardo disperato. Il capitano lo ricambiò con la stessa espressione. - Suggerimenti?- replicò.
Jonathan si era arrampicato sulle sartie, con la pistola stretta in mano: sentendo il loro scambio di vedute si sporse verso il ponte e gridò a Jack: - Capitano! Se ha funzionato all'andata può funzionare anche al ritorno, no?-
I britannici sembravano essere dello stesso parere, perché di punto in bianco si dimenticarono completamente di noi e il galeone cominciò a virare in tutta fretta, mentre il tremito che scuoteva la grotta da cima a fondo non sembrava attenuarsi neanche un po', anzi, al contrario. Si udì uno schianto, e urla spaventate si levarono da entrambe le ciurme: mi voltai appena in tempo per vederlo; un secondo masso che si staccò dalla parete e, rimbalzando, ruzzolò fino a terra piombando anch'esso nel fiume. Se fossimo rimasti lì sarebbe stata solo questione di tempo prima che uno di quelli ci facesse colare a picco.
- E' l'unica via d'uscita che abbiamo! Dobbiamo provarci!- gridai a Jack dall'altro capo del ponte.
Jack ordinò che si mettesse mano ai remi, e anche la Perla cominciò la sua frenetica fuga verso il condotto: eravamo in vantaggio rispetto agli inglesi perché la nostra nave era già girata nella direzione giusta; li sorpassammo mentre il loro galeone era in piena virata. Mi affrettai a raggiungere la tolda, osservando il condotto poco lontano da noi, mentre ci lasciavamo gli inglesi alle spalle: probabilmente non era stata la mossa più leale, ma due navi affiancate non sarebbero mai passate nel fiume sotterraneo, e non eravamo certo disposti a lasciarli uscire da lì per primi.
L'acqua ruggiva, continuando a scrosciare imperterrita dal condotto alimentando il fiume sotterraneo. Noi navigavamo controcorrente, decisi a rifare al contrario la manovra che ci aveva risucchiati fin là sotto. Eravamo riusciti a fare l'impossibile una volta, saremmo riusciti a farlo ancora? Stringendo i denti mi dissi che Dawkins in qualche modo doveva pur uscire dalla miniera.
La corrente cominciò a fare resistenza contro lo scafo della nave che i remi spingevano imperterriti in avanti: Jack tenne saldo il timone in modo che la Perla non virasse. - Andiamo andiamo andiamo... - mormorò fra i denti, lanciando sguardi preoccupati ora al condotto sempre più vicino, ora alla nave che ci seguiva. L'unica cosa che dovevamo veramente temere, però, era sopra le nostre teste, perché alla scossa successiva da tutta la volta della caverna cominciò a scendere una pioggia di detriti che piombarono nell'acqua, scivolarono sulle vele, rimbalzarono come una grandinata sui pennoni, le assi del ponte e su teste e schiene dei pirati, che sentendosi praticamente già schiacciati sotto il peso dell'intero ammasso di roccia presero a correre frenetici da un capo all'altro del ponte, facendo di tutto perché la nave raggiungesse in fretta l'uscita.
Sul galeone avversario la situazione era la stessa: i marinai avevano improvvisamente capito che seguendoci si erano infilati in una trappola per topi, e che essere lenti gli sarebbe costata la vita. Si alzarono le urla quando altri massi più grossi cominciarono a cadere dal soffitto, sempre più numerosi, piombando in acqua con grossi spruzzi. Uno dei massi colpì in pieno il bompresso del galeone britannico, che si spezzò con uno schianto sonoro e si piegò su sé stesso, completamente divelto.
- Più svelti!- gridai, in piedi dalla mia postazione sulla tolda, guardando preoccupata verso l'alto nel timore di prendermi uno dei massi in testa. La chiglia della Perla Nera fendette la corrente contraria: io mi presi dritta in faccia i primi spruzzi dell'acqua che fuoriusciva dal canale, ma lo presi per un segno positivo: eravamo quasi fuori... se il condotto avesse collaborato.
Jack, con le mani strette sul timone, si voltò appena alla sua sinistra e sgranando gli occhi si accorse che il piccolo David si era rintanato proprio lì e, tranquillamente aggrappato al parapetto del cassero di poppa, osservava tutto il cataclisma che si stava svolgendo attorno a loro con espressione meravigliata. Dopo un attimo di esitazione Jack allungò una mano, acchiappò il bambino per la collottola della camicia e lo tirò indietro. - Fossi in te mi toglierei dai piedi, signor Turner... - stava dicendo, mentre riprendeva il controllo del timone, quando uno schianto tremendo alle loro spalle fece sobbalzare sia lui che il bambino, e si voltarono entrambi di scatto.
Un masso grosso poco più di una palla di cannone era precipitato a neanche un metro da loro e aveva sfondato il legno, aprendo uno squarcio nella murata esattamente dove David era stato fino ad un attimo prima. Il piccolo e il capitano si scambiarono uno sguardo allibito, quindi Jack lo spinse accanto a sé contro la barra del timone dicendo: - D'accordo... non muoverti di qui, intesi?-
Il rumore ormai era assordante e le pareti vibravano visibilmente; i sassi cadevano come grandine, e me ne presi due o tre in testa prima ci appiattirmi sul ponte e ripararmi con le braccia, con gli occhi che lacrimavano. Forse non stava accadendo tutto per caso. Forse era così che la miniera maledetta accoglieva i suoi sfortunati visitatori, come avevamo visto dai cadaveri sepolti dalle rocce.
Udii un altro schianto, e alzando lo sguardo vidi che un masso cadente aveva centrato uno dei pennoni, spezzandolo. Povera Perla... mi alzai in piedi, continuando a ripararmi con le braccia: il condotto era davanti a noi e la nave lottava imperterrita contro la corrente contraria, ma il passaggio non sembrava per niente intenzionato ad aprirsi per noi come prima.
- Nel condotto!- urlai con quanto fiato mi rimaneva, a chiunque della ciurma avesse voluto ascoltarmi. - Entriamo nel condotto! Fate entrare questa dannatissima nave dentro il condotto!-
Più tardi avrei dovuto benedire in cento modi i nostri rematori, perché sotto i loro sforzi la Perla immerse la prua nel flusso scrosciante che ci spingeva indietro, infilandosi dentro il condotto. Nello stesso momento una pioggia di massi più grossi cadde dalla volta: urla tremende seguite da un frastuono assordante mi fecero voltare, e feci appena in tempo a cogliere, dietro la Perla, uno squarcio del galeone britannico spezzato a metà da un macigno particolarmente grosso, quando mi trovai improvvisamente circondata da spruzzi; acqua ovunque, acqua che rapì violentemente la nave e cominciò a trascinarla a tutta forza in avanti mentre di colpo l'intero fiume sotterraneo invertiva letteralmente il suo corso.
- Funziona!- ebbi appena il tempo di urlare, prima che la bocca mi si riempisse d'acqua: allora mi aggrappai forte alla murata mentre le pareti della galleria si richiudevano sopra di noi.


Note dell'autrice: *gasata perché è arrivata ai capitoli finali...* Gente, grazie di avermi seguita fino a qui! Ero preoccupata perché questi ultimi capitoli ogni tanto mi sembravano un po' troppo frenetici, però vedo che vi sono ugualmente piaciuti... non posso non esserne felice. Grazie a ScissorsHands e a stellysisley per i magnifici complimenti, che dire... spero di meritarli! Aspettando che presto o tardi torni a lasciare le sue zampate anche la cara Black (non mi scappi, matey!)mi accingo a scrivere quello che dovrà essere forse l'ultimo capitolo... e prometto che non tarderò così tanto!
Wind in your sails!

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Capitolo 20
*** Promessa Pirata ***


Nota pre-lettura: In questo capitolo c'è una canzone presa direttamente dalla compilation di Rogue's Gallery, che raccomando a chiunque ami le ballate piratesche. La scena è perfetta se ascoltata con l'originale in sottofondo, per chiunque non conosca la canzone, eccola QUI! direttamente dal CD. Enjoy!

Capitolo 19
Promessa pirata


La sensazione fu quella di venire sparati fuori da un cannone, solo che nel nostro caso il cannone era molto grosso e pieno d'acqua.
Emergemmo con un gran spruzzo da dove eravamo entrati, cioè dal passaggio sul fondo della conca, e appena l'acqua tornò con violenza a riempire lo spazio che magicamente avevamo attraversato, la nave tornò a galla come un tappo di sughero. Un tappo di sughero piuttosto malridotto, considerate le pietre che ci erano cadute addosso spaccando la murata e il ponte in diverse parti, e con una ciurma per la seconda volta in poche ore zuppa e mezzo affogata, ma viva. La luce del sole mi colpì gli occhi con violenza, così come avvertii immediatamente il ritorno del caldo dopo il gelo innaturale della caverna, ma accolsi entrambe le sensazioni con sollievo. Ce l'avevamo fatta.
I pirati si rialzarono da dove erano caduti, scrollandosi l'acqua di dosso e imprecando, scrutandosi fra loro con aria stupita, sconcertati e sollevati di essere passati di nuovo in quel condotto impossibile e di esserne usciti tutti d'un pezzo. Guardandomi attorno vidi che non eravamo stati gli unici ad uscire dalla grotta: la corrente invertita aveva risucchiato con sé tutto ciò che aveva trovato, compreso il galeone britannico... o almeno, una buona metà. L'intera poppa doveva essere rimasta nella grotta, e non avevo idea di quello che fosse successo a coloro che erano rimasti là sotto con essa. Ma la metà sopravvissuta era emersa accanto a noi, decisamente in malarnese: quel che restava del relitto galleggiava, e vedevo i marinai a mollo aggrapparsi ad alberi e pennoni divelti, ad assi e vele per tenersi a galla. Non vidi Burrieza, mentre riconobbi l'uniforme blu e dorata del commodoro Gillette: aveva perso cappello e parrucca, e i folti capelli rossi gli ricadevano incollati alla faccia mentre lui, abbarbicato all'albero spezzato, contemplava il disastro, pallido in volto. Tutto sommato non mi dispiacque vederlo sano e salvo: ero molto più soddisfatta di non vedere traccia di Burrieza.
- Commodoro!- gridai affacciandomi alla murata, e lui alzò di scatto il viso verso di me, con gli occhi fuori dalle orbite. - Date le circostanze suggerirei di chiudere le ostilità almeno per oggi, non trovate?-
Prima che potesse rispondermi in qualsiasi modo, e probabilmente non l'avrebbe fatto in modo molto educato, si alzò, ridendo, un'altra voce. - Commodoro, ricorderete questo giorno come il giorno in cui vi siete fatto affondare quasi un'intera nave!-
Mi voltai e vidi Jack venire verso di me, fradicio fino alle ossa e col cappello gocciolante, ma assolutamente raggiante: poche volte lo avevo visto sorridere a quel modo. Si affacciò giusto un attimo dalla murata per gettare uno sguardo al commodoro Gillette che aveva preso a gridare cose poco dignitose riguardo a noi e alle nostre madri, quindi mi posò una mano sulla spalla e ci incamminammo insieme sul ponte.
- Ebbene, tutti quanti ancora interi?- gridò, rivolto alla ciurma. Alle varie risposte affermative sorrise di più, quindi si fermò e mi tirò accanto a sé. - E tu in particolare. Trovo che porti male che la sposa affoghi prima della cerimonia. -
Dopo tutto quello che era successo, dopo essere sfuggiti al disastro per un pelo, non potei fare a meno di scoppiare a ridere. - Magari un po'. - replicai. - Allora... sembra che siamo vivi, dopotutto. -
- E noi abbiamo un accordo, se non sbaglio. - mi prese per le spalle e mi strinse a sé, guardandomi negli occhi. - Spero che non vorrai ripensarci proprio ora... e stavolta niente trucchetti per sfuggire a padri apprensivi o cose del genere... è semplicemente che non potevo lasciarci le penne senza avertelo chiesto e sentire che cosa mi avresti risposto. Mi è piaciuta la risposta. -
Mi prese il viso, e la carezza delle sue mani calde mi diede un brivido per niente spiacevole, ma lo trattenni ancora un attimo fermandomi per guardarlo in faccia. - E' quello che voglio: non ti ho mentito e non ci ripenso. Ma tu? Stavolta sei convinto? Tu... vuoi davvero sposarmi, Jack?-
Jack annuì. - Sì. Sì. Decisamente sì. E' quello che voglio e non mi importa di nient'altro, francamente, se non che tu dica di sì... Se è quello che vuoi, certo. - rilassò la stretta su di me, allontanando un po' il suo viso dal mio. - Mi hai anche già risposto, mi hai detto di sì quando ci stava crollando il mondo sulla testa... Qualcosa vorrà pur dire, no?-
- Certo che vuol dire. - di colpo lo abbracciai e lo strinsi forte, affondando il viso nella sua spalla. - Certo che ti voglio sposare! Ma poi spiegami come fai a sceglierti sempre i momenti peggiori per essere sincero!-
Potevo quasi vederlo sogghignare mentre ricambiava l'abbraccio e con una mano mi accarezzava i capelli. - Sono il capitano Jack Sparrow. - mi fece dolcemente all'orecchio.
Ci interruppe un gemito dolorante seguito da una sfilza di improperi, provenienti da un paio di gambe che si agitavano forsennatamente in mezzo a due cannoni. - Porco... ! Figlio di un...! Fottutissimo... !- le mani di Gibbs annasparono nell'aria mentre il povero nostromo si dimenava per liberarsi dai due cannoni fra i quali era finito incastrato. - Ma porco di un... Aiuto! Tiratemi fuori!-
Io e Jack ci scambiammo un'occhiata, alzammo gli occhi al cielo e andammo ad aiutare il povero Gibbs: lo afferrammo per le mani e riuscimmo a rimetterlo in piedi; si alzò con aria spaesata e discretamente intontito, ma illeso. Tirai un sospiro di sollievo mentre mi rendevo conto quale rischio avesse corso il nostro buon nostromo: era stata una fortuna che non fosse rimasto schiacciato fra i due cannoni smossi dai troppi sobbalzi!
- Siamo ancora qui, vecchio mio!- gli fece Jack battendogli su una spalla, insolitamente vivace. - Su, muoviamoci che c'è tanto da fare, è stato un gran bel viaggetto fino qui, e sai quanto gli uomini odiano rimanere a bocca asciutta dopo tanta fatica. -
Ripresosi dal capogiro, Gibbs assunse un'aria preoccupata. - Ma capitano... questo è un gran bel problema, la miniera si è rivelata una trappola e dei diamanti che speravamo neanche l'ombra... be', non sarà facile da mandare giù, questa, per la ciurma. -
Il capitano si limitò a sorridere più apertamente. - Lo so. Tuttavia possiamo addolcire un po' la cosa, comprendi? C'è un galeone britannico... uhm... mezzo galeone britannico che galleggia qua di fianco, e sta versando in mare tutto quello che trasporta. - accennò col pollice fuoribordo, e guardando il relitto del galeone mi resi conto che effettivamente buona parte del carico e dei rifornimenti si era salvata insieme alla metà della nave: diverse casse e barili galleggiavano a pelo d'acqua, altre sarebbero state probabilmente recuperabili sul fondo della conca. Mi sfuggì un sorriso: tutto sommato anche quel viaggio non sarebbe stata fatica sprecata.
Jack fece un cenno vago con la mano a Gibbs, mentre quello si allontanava a grandi passi verso la prua. - Ordina che scendano sulle scialuppe e recuperino tutto il recuperabile... se gli inglesi intralciano le operazioni la ciurma è autorizzata a rispondere, ma dubito che i nostri amici siano di umore molto battagliero, comprendi? In ogni caso se fanno i difficili abbiamo i cannoni: che non discutano, o gli facciamo a pezzi anche la mezza nave che gli resta. Forza, e vediamo di fare in fretta, ho altri programmi per la serata. -
Nel dirlo, mi rivolse un sorrisetto molto eloquente. Forse fu per la tensione che si scaricava, forse per la troppa emozione che mi aveva procurato prima la fuga precipitosa dalla grotta e poi le sue parole, ma ad un tratto mi sentii sciogliere. Senza il minimo preavviso mi gettai fra le braccia di Jack, con tanto slancio che quasi lo feci cadere, e lui riuscì a tenersi in piedi solo incespicando fino alle parete del cassero di poppa.
Gli presi il viso fra le mani e lo baciai con tanta veemenza da lasciare senza fiato entrambi: quando mi staccai da lui lo lasciai ansimante, con le labbra ancora dischiuse, e le sue mani strette sui miei fianchi.
Ci guardammo negli occhi per un lungo istante, poi io abbassai lo sguardo e accostai la bocca al suo orecchio.
- Andiamo in cabina. Ora. Adesso. - sussurrai, incredula delle mie stesse parole, senza neppure il coraggio di guardarlo in faccia mentre lo dicevo.
Lui invece raddrizzò bruscamente il capo per fissarmi, e sgranò così tanto gli occhi da far sparire le sopracciglia sotto la bandana. Avevo il viso in fiamme. In quel momento, vagamente, mi ricordai dove ci trovavamo.
- ...Momento sbagliato, vero?- mormorai, ridacchiando debolmente. Lui invece mi agguantò per il bavero e mi tirò di nuovo contro di sé, ad un soffio dalle sue labbra. - Non è mai il momento sbagliato. - mi fece in un sussurro animato, mentre con la mano libera già cercava a tentoni la porta dietro di sé.
Proprio in quel momento, da un punto imprecisato verso la prua, si levò il vociare della ciurma, e il richiamo di Gibbs: - Capitano, tutti gli uomini sono ai loro posti! Attendiamo istruzioni!-
Jack imprecò sottovoce, mentre io chiudevo gli occhi e ridacchiavo, con la fronte appoggiata alla sua guancia.
- E va bene, chiamiamolo, in via eccezionale, momento non esattamente propizio... - borbottò, esasperato.
- Abbiamo “altri” progetti per la serata, no?- suggerii, ripetendo quel che aveva detto prima. - Possiamo sempre aspettare fino a stanotte, quando potremo starcene tranquilli. -
Jack sfoderò una delle sue migliori espressioni da cane a cui avevano rubato l'osso. - Quindi mi tocca, per assurdo, non solo aspettare la notte di nozze... ma contare le ore fino alla notte di nozze?!-
- O così, o diamo spettacolo sul ponte. -
- Vada per la seconda. -
- Capitano?- i richiami di Gibbs, accidenti a lui, si stavano facendo sempre più insistenti. Riluttante e vagamente imbarazzata, lasciai andare Jack con un sorriso di scusa. - Non cambia niente. E' solo fino a stasera. - assicurai, con un sogghigno. Lui si staccò dal muro, mi passò accanto e, chinandosi su di me, mi rubò un bacio a fior di labbra.
- Vai, prima che cambi idea. - scherzò, sorpassandomi e dirigendosi a prua.

*

L'operazione di recupero si portò via le ultime ore della giornata, ma si svolsero in tutta tranquillità, o quasi. Come Jack aveva previsto, i marinai inglesi e spagnoli non avevano molta voglia di attaccare briga proprio dopo essere sopravvissuti per miracolo, specie quando ebbero realizzato che i pirati non avevano nessun interesse a catturarli: così, tenendosi rispettivamente sotto il tiro di pistole e baionette e guardandosi in cagnesco l'un l'altro, ma senza che nessuno si avvicinasse abbastanza da scatenare un vero attacco, i nostri pirati recuperarono il recuperabile quasi indisturbati, mentre i marinai sopravvissuti si portavano in salvo sulle rocce. Eravamo stati fin troppo gentili con loro: come sarebbero tornati nei Caraibi era affar loro, ma fu comune accorto che metà della loro ciurma sul fondo del mare -o meglio, sepolta nella grotta- per il momento poteva bastare.
Jack seguiva le mosse dei pirati dal parapetto, e Gibbs era al suo fianco: in verità più che osservare il lavoro degli uomini sulle scialuppe, il capitano valutava preoccupato i danni che la preziosa Perla aveva subito durante la grandinata di massi, ma fortunatamente non si trattava di nulla che un bravo carpentiere non avrebbe saputo riparare. Jonathan avrebbe avuto pane per i suoi denti.
- Signor Gibbs? C'è un grosso dubbio che mi sta tormentando. - disse Jack ad un certo punto.
Gibbs aggrottò le folte sopracciglia. - Sarebbe, signore?-
- Come capitano sono autorizzato a sposare me stesso?-
L'anziano nostromo fece tanto d'occhi per poi squadrare Jack con espressione indecifrabile. - Non vi facevo talmente egocentrico. - scherzò poi, scuotendo il capo. Jack gli scoccò un'occhiataccia: - Non “me stesso” in quel senso, sto chiedendo se posso essere lo sposato e lo... “sposante” allo stesso tempo: è un problema serio!-
- Oh. - Gibbs si fece serio e si prese qualche attimo per pensarci. - Be', Jack... non penso che possa funzionare così. Sposare due persone rientra nei poteri del capitano, ma che valore può avere se giuri davanti a te stesso?-
Jack fece scattare un dito verso il nostromo. - Potresti farlo tu!-
- Oh, no no. - Gibbs parò le mani avanti come a respingere la proposta. - Non varrebbe lo stesso; non sono investito dei poteri di capitano!-
- Che razza di pirati siamo se ci atteniamo così tanto alle regole?!- sbuffò Jack esasperato, per poi voltarsi bruscamente e puntare i gomiti sul parapetto, affondando il mento fra le mani col cipiglio di un bambino offeso. Diavolo, quello sì che era un problema.
- Jack?- lo richiamò dopo un po' la voce di Gibbs; il capitano si voltò di malavoglia, il suo nostromo lo stava fissando con aria estremamente seria e piuttosto incredula. - ...Ti sposi veramente?-
- Ci sto provando. - replicò, laconico, prima di voltarsi di nuovo a guardare i relitti galleggianti. Alcuni marinai e soldati nuotavano ancora fra i resti della nave e li seguì con gli occhi per lunghi istanti mentre si arrovellava sulla questione che gli premeva. Ad un tratto aguzzò la vista e si raddrizzò di scatto, notando due tuniche bianche in mezzo alle divise dei soldati a mollo: a meno che non si sbagliasse di grosso c'erano... c'erano due tizi in tunica, decisamente non soldati né comuni marinai, uno vecchio e grasso e l'altro più giovane, tristemente appollaiati su un pennone galleggiante come due grossi piccioni su una trave.
- Ohi!- il capitano fece un cenno a Gibbs perché venisse a vedere e gli indicò i due sconosciuti in tunica. - Che sono quelli?-
Gibbs si fece schermo con la mano e scrutò i due: - Oh, da come sono vestiti direi che sono due preti di bord... !- si interruppe di colpo e si voltò verso Jack, capendo improvvisamente. Jack sfoderò un sorriso a trentadue denti, quindi si sporse a dare una voce ai pirati che stavano sulle scialuppe.
- Ehi voi! Andate a prendere quelle due specie di preti laggiù, e portatemeli a bordo!-

*

Il cielo volgeva all'imbrunire e tutto quello che di utile era rimasto sul relitto era stato recuperato e caricato, quando dalla scialuppa vennero fatti scendere Padre Quinn e frate Matthew, che, pungolati dai pirati che erano andati a recuperarli, mossero qualche passo incerto sul ponte, tremanti nelle loro tuniche zuppe e lanciando uno sguardo ben più che preoccupato alla schiera di visi truci che si affollavano attorno a loro.
Jack si fece largo fra la ciurma e quando si trovò davanti ai due li scrutò dall'alto in basso con aria incuriosita. - Chi di voi due è il prete?- domandò mentre girava loro attorno come se fossero una bizzarria.
- Siamo entrambi uomini di Dio, signore, un capitano dovrebbe avere più rispetto!- protestò Padre Quinn: certo, le sue parole sarebbero sembrate un po' più veritiere se non le avesse dette mettendo frate Matthew fra sé e il capitano.
Jack si fermò, aggrottando le sopracciglia. - D'accordo, immagino siate voi, signor... prete... padre...?- esitò, poi fece un cenno al prete perché lo aiutasse a finire la frase. - Padre Quinn!- replicò quello con una certa irritazione, ma senza spostarsi da dietro le spalle di Matthew che, dal canto suo, osservava la scena intimidito.
- Padre Quinn! Non immaginate che coincidenza avervi qui... - Jack scostò Matthew senza tanti complimenti per parlare faccia a faccia col prete. - Sarei interessato a chiedervi di fare un piccolo servizio per me, comprendete? Niente di particolarmente impegnativo, certo, una formalità... Si tratta di celebrare un piccolo matrimonio. -
- Un matrimonio?- Padre Quinn non avrebbe potuto fare una faccia più stupita se Jack gli avesse chiesto di celebrare la messa in latino all'intera ciurma. - Un matrimonio?!- fecero in coro padre Matthew e i pirati lì radunati, per poi lanciarsi sguardi dubbiosi l'un l'altro.
- ...Non mi sembra una parola troppo difficile. - disse Jack, seccato dalla reazione dei presenti. - State a sentire, padre: c'è un matrimonio da fare e ho bisogno di un prete, un qualcuno, un'autorità qualsiasi davanti al quale dare la mia parola di pirata, perché a quanto pare certe cose da solo non me le posso sbrigare. Tutto chiaro?-
Padre Quinn si scaldò subito, facendosi rosso in volto e protestando vibratamente: - Oh, non avete proprio il minimo senso del pudore...! Chiedermi di dare i sacramenti a voi, un uomo senza Dio, un brigante...! Voi che probabilmente non siete nemmeno carne battezzata... Ah! Avete un bel coraggio a chiedere i miei servigi! Scordatevelo, scordatevi che muova un dito per voi dopo tutto quello che ci avete causato quest'oggi...!-
Jack si imbronciò e con un gesto della mano allontanò il prete, per poi rivolgersi a due della ciurma. - Vi avrei anche offerto un passaggio all'asciutto per arrivare alla costa, ma nuotare sembra piacervi molto... riportate il Padre Pomposo dove stava prima. E tu... - mentre i pirati afferravano un recalcitrante Padre Quinn e si preparavano a fargli fare un bel tuffo dalla pedana, Jack si voltò a guardare Matthew come se lo vedesse in quel momento. - ...Mi pare che anche tu, tutto sommato, sia un prete, sbaglio?-
- Solo un frate, signore... ma sto prendendo gli ordini. - rispose timidamente Matthew, con la sua curiosa pronuncia che gli faceva arrotondare le erre. Il capitano si strinse nelle spalle. - Per me è più che sufficiente. Dunque, visto e considerato che non c'è stato modo di convincere Padre Quinn a collaborare... - ci fu uno strillo seguito da un tonfo nell'acqua, e si levò un coro di risate dai pirati che stavano a guardare. Frate Matthew deglutì, Jack proseguì come se nulla fosse. - ...ti spiacerebbe svolgere tu questo incarico per me. Bada che ne ho davvero bisogno. Per favore. -
Be', con questa frate Matthew le aveva viste davvero tutte. - Ehm... va bene... perché no?- del resto, tanto peggio non poteva andargli, no?
- Ottimo!- Jack fece scattare gli indici in aria. - Bene, allora se non vi dispiace portiamo la nave in un posto un po' più tranquillo e poi sbrighiamo la faccenda: non preoccupatevi, vi sbarchiamo appena finito... Grazie veramente, eh?-
- Di... di nulla. - sì, decisamente quel giorno le aveva viste proprio tutte.

*

- Laura, smettila di cincischiare con quel bustino: non puoi farci niente, è fatto apposta per strangolarti. -
- Sei molto confortante!- scoccai un'occhiata assassina a Valerie mentre mi sistemavo per l'ennesima volta l'allacciatura del vestito. Checché ne dicesse lei, non era troppo stretto: non avevo messo il corsetto apposta per quello; il motivo per cui continuavo a giocherellare con i lacci era perché mi prudevano le dita dall'agitazione, e dovevo tenerle occupate in qualche modo.
Faith mi venne dietro sistemandomi il vestito sulle spalle, mentre Elizabeth faceva un passo indietro esaminandomi con occhio critico: in barba a tutto quel che ci era successo solo poche ore prima, era bastato che Jack annunciasse il nostro matrimonio per mandare tutti su di giri. Quasi senza alcun preavviso ero stata presa e portata in cabina dalle mie amiche che, a quanto pareva, non avevano intenzione di lasciarmi sposare senza un vestito adatto: trovandomi di punto in bianco nell'epicentro di un vero e proprio tornado di euforia femminile collettiva avevo cercato di protestare, ma alla fine avevo lasciato perdere. Del resto, non potevo negare che in fondo tutte quelle attenzioni mi facevano piacere.
Per la delusione di tutte quante, non avevo nessun vestito femminile a bordo. O meglio, ne avevo un paio che mettevo di tanto in tanto, come Faith, ma erano estremamente semplici... troppo, a giudicare dalle smorfie di disapprovazione che accolsero la rassegna dei vestiti. Gli abiti eleganti che avevamo usato per la nostra mascherata tempo prima erano finiti in pezzi. Ce n'era però un altro, che mi ero completamente dimenticata da quando me lo ero tolto una volta fuggiti da Conceicao, e che ritrovai tutto pesto e appallottolato in fondo alla piccola cassa. Era il bell'abito viola scuro che mi era stato dato in casa di Burrieza. Non lo avevo trattato molto bene, mi ci ero tuffata in acqua e quant'altro, ma era veramente, veramente bello, e appena lo ebbi fra le mani seppi che volevo sposarmi con quello addosso. Nessuna delle altre ebbe nulla da ridire quando mi aiutarono ad indossarlo.
Valerie mi girò attorno e mi guardò con un sorriso di approvazione, poi ad un certo punto le scesero gli occhi sulla mia scollatura e ostentando una faccia meravigliata esclamò: - Ehi! Laura è una donna!-
Scoppiammo a ridere tutte quante, poi fummo interrotte da un insistente bussare alla porta.
- Ne avete ancora per molto là dentro, signore? Abbiamo attraccato e sono tutti impazienti di far festa!- fece la voce di Gibbs.
Allo stesso tempo udimmo le voci dei pirati dal ponte a dare man forte: - Vogliamo la sposa!- - Sì, fuori la sposa!- - Fuo-ri! Fuo-ri! Fuo-ri!-
- Al primo che ride faccio fare un giro di chiglia. - sospirai, alzando gli occhi al cielo. Faith mi prese per un braccio e mi tirò verso la porta. - Su andiamo!- sembrava emozionata almeno quanto me.
- Un momento!- feci resistenza ancora per un attimo, voltandomi verso il mucchio dei miei vecchi vestiti. La perla nera l'avevo come sempre al collo, immancabile. Ma mi mancava ancora qualcosa. Agguantai il tricorno e me lo misi in testa, e solo dopo mi voltai verso le mie amiche con un sorriso raggiante. - Adesso sono pronta. -
- From France we do get brandy, from Jamaica it's rum,
Sweet oranges and lemons from Portugal come;
But stout, ale and cider are England's control,
Bring me the punch ladle, we'll fathom the bowl!-

Sul ponte alcuni uomini avevano tirato fuori gli strumenti e avevano iniziato a cantare una marcetta allegra che in quel momento aveva un che di solenne, col violino che miagolava di sottofondo. Quando uscii dalla cabina seguita dalle altre trovai tutti i pirati schierati, chi sul ponte, chi appollaiato fra le sartie, chi sporgendosi dal cassero di poppa e dal castello di prua: tutti quanti mi accolsero con fischi, grida e applausi, mentre la piccola orchestra che si era radunata sull'argano non smetteva di suonare. Gibbs mi posò una mano sulla spalla e mi guidò fra la folla di pirati vocianti, che si spostarono al nostro passaggio per lasciarci salire le scalette del cassero di poppa, fino al timone dove stava il giovane frate che avevamo imbarcato poco prima e Jack, che se ne stava con un gomito appoggiato sul timone e lo sguardo sui propri stivali.
Quando mi vide arrivare, però, sollevò gli occhi e si raddrizzò, tutto impettito nella sua giacca da capitano, il tricorno calato in testa e i gioiellini fra i suoi capelli che tintinnavano; e mi rivolse uno dei suoi più meravigliosi sorrisi.
Sorrisi di rimando, e di colpo non avevo occhi che per lui.
- Fathom the bowl, fathom the bowl,
Bring me the punch ladle, we'll fathom the bowl. -

- Puoi cominciare, frate. - gli disse senza staccare gli occhi da me mentre mi tendeva la mano; ce le stringemmo, rimanendo l'uno a fianco dell'altra. Sotto, l'orchestra continuava a suonare e i pirati a cantare: il sole volgeva al tramonto e il cielo si scuriva, infiammandosi di rosso sulla linea del mare. Ad un certo punto mi sentii salire le lacrime agli occhi senza neanche sapere bene perché, e strinsi forte la mano di Jack, che ricambiò la stretta.
Il giovane frate tutto sommato mi stava simpatico: ci guardava un po' impacciato, evidentemente un po' confuso dal fatto di dover presenziare una cerimonia fra pirati, ma riuscì a cavarsela con stile.
- Laura Evans, prendete Jack Spar... -
- Capitan!- credo che più o meno mezza ciurma precisò insieme a me a Jack il tanto amato titolo. Per fortuna il nostro frate era un uomo paziente, e dopo aver fatto un cenno di scusa ricominciò da capo. - ...Capitan Jack Sparrow come vostro marito, per amarlo ed essergli fedele, finché morte non vi separi?-
- L'ultima suona molto come una minaccia. - bisbigliò Jack a mezza bocca.
- Sì!- risposi ad alta voce, cercando di coprire i suoi commenti a sproposito. Dalla ciurma si levò il primo urrà, quindi i pirati cominciarono a chiedere a gran voce che passasse la domanda allo sposo. - E voi... - frate Matthew esitò giusto un istante. - ...capitano Jack Sparrow, prendete la qui presente Laura Evans come vostra legittima moglie?-
- Figliolo, dopo tutto quel che ho passato per arrivarci, mi stupirei del contrario. - fece Jack, scoccando al prete un'occhiata esasperata e accennando insistentemente a me col capo. Gli rifilai una gomitata mentre attorno a noi i pirati protestavano che volevano la promessa fatta come si doveva, così che Jack finalmente rinunciò a fare altri commenti e rispose semplicemente: - Sì!-
- Adesso ragioniamo!- gridò Gibbs agitando in alto il pugno, e tutti pirati assentirono con un coro di: - Bravo!- - Ben detto!-
Frate Matthew, che sembrava impaziente di concludere, allargò le braccia e terminò solennemente: - Davanti a questi testimoni, quest'uomo e questa donna sono uniti in matrimonio! Che l'uomo non osi dividere ciò che il signore ha unito. -
Con un sorriso da un orecchio all'altro, Jack puntò il dito contro frate Matthew mentre attorno a noi la ciurma esplodeva in grida, applausi e cappelli lanciati per aria, in un tripudio in puro stile piratesco: - Parole sante! E non era per fare un infelice gioco di parole, giuro... -
- Oh, sta zitto almeno per oggi!- esclamai, fingendomi esasperata mentre senza perdere altro tempo gli gettavo le braccia al collo e incollavo la bocca alla sua. Lui barcollò per un attimo, sbilanciato perché ero praticamente appesa a lui, poi mi avvolse strette le braccia attorno alla vita e ricambiò il bacio: e non sarebbe potuto essere più bello di così; con noi due, su quel ponte, l'una nelle braccia dell'altro e attorno a noi la nostra ciurma che letteralmente impazziva, calandosi giù dalle sartie, cominciando a spillare il rum dai barili, chiedendo a gran voce musica per quella che si prospettava essere la più grande festa che l'equipaggio della Perla Nera avesse visto da settimane.



Note dell'autrice: *si sente onnipotente perché ha finito la storia... ma l'ultimo capitolo ve lo darò fra un po'* Ancora una volta grazie a chi mi ha letta fin qui, grazie a chi commenta, grazie ai lettori vecchi e a quelli nuovi, a chi legge senza commentare, a chi semplicemente butta un'occhio. ScissorHands, come direbbe Jack... "Il matrimonio è solo una questione di punti di vista!" E i nostri due capitani sanno molto bene che cosa vogliono.
Wind in your sails!

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Capitolo 21
*** Sailing Homeward ***


Nota: citazione musicale anche per questo capitolo. Se volete sentire la canzone qui citata seguite questo link:
http://www.youtube.com/watch?v=xGnb530s4-E

Capitolo 20
Sailing homeward


- Su, basta! Basta adesso, che continuate più tardi! La festa è appena iniziata!-
I pirati che provvidero così in fretta a separarci e a trascinarci giù sul ponte di coperta col resto della ciurma avevano proprio ragione, perché l'orchestra aveva ripreso a suonare, i boccali di rum cominciavano a passare di mano e in mano e temevo proprio che noi due saremmo stati l'attrazione principale della serata. Infatti avevo appena messo piede sul ponte che mi vidi offerto un gigantesco boccale da un'intera pinta di rum: a Jack ne venne messo in mano uno uguale, poi i pirati vollero che li bevessimo intrecciando le braccia.
Ci prestammo al loro gioco, e solo dopo qualche istante mi resi conto che era ben più difficile di quanto avessi pensato: incrociai il braccio destro con quello di Jack, e cercai di bere; lui però fece lo stesso movimento e con molta più convinzione così che, mentre lui tracannava, il suo braccio strattonava il mio, e non riuscivo a portarmi alle labbra il gigantesco boccale senza rovesciarmi addosso una buona parte del rum, cosa che fece inevitabilmente sganasciare dalle risate quanti stavano a guardare. Fradicia di rum e con la gola in fiamme arrivai anch'io in fondo al mio boccale, e insieme li sollevammo in segno di vittoria fra grida entusiaste.
- Anche voi, frate, non fate complimenti!- Jack piazzò un boccale anche in mano a frate Matthew. - Avete fatto proprio un bel lavoro, ve la meritate una ricompensa. Ohi, date al frate una bottiglia da portarsi dietro! Ne avrà bisogno... Voi scenderete all'asciutto stasera, amico mio, così potrete raggiungere con calma i vostri amici laggiù... E grazie ancora!-
Mentre alcuni si occupavano di far sbarcare uno stralunato frate Matthew io fui raggiunta da Faith, Valerie ed Elizabeth e, lasciandoci prendere totalmente dall'emozione, ci lanciamo l'una nelle braccia dell'altra un po' ridendo, un po' strillando, un po' piangendo, tanto che i pirati non riuscivano più a capire se fossimo già tutte quante ubriache o cosa. Jack fu svelto a riacchiapparmi al volo e a trascinarmi accanto a sé, soprattutto perché l'orchestra aveva attaccato una marcia indiavolata e la ciurma sembrava aspettarsi che ci gettassimo tutti quanti nella mischia.
Senza riuscire a smettere di ridere -la pinta di rum bevuta a canna qualche effetto l'aveva avuto- gli avvolsi le braccia attorno alla vita e mi appiccicai a lui, sorridendogli quando la musica crebbe di intensità. - Sai ballare, capitano?-
- Come un taglialegna. - rispose lui scuotendo la testa.
- Io come un albero. Siamo perfetti!- insistetti, prendendolo poi per le mani e tirandolo con me in mezzo al cerchio dei pirati danzanti. Prendemmo a saltellare in cerchio, scontrandoci e piroettando follemente: avevamo veramente la grazia di due ubriachi, ma francamente non me ne importava. Ad un certo punto Jack mi prese a braccetto e cominciammo a girare su noi stessi, ci staccammo e poi ci riattaccammo; lui mi prese per la mano e mi fece fare una piroetta.
Saltammo, roteammo, battemmo le mani. I pirati facevano a gara per accaparrarsi un giro di danza con la sposa, così che finii per ballare praticamente con tutta la ciurma passando da un pirata all'altro, perfino col vecchio Cotton, il cui pappagallo era andato prudentemente a rifugiarsi sul pennone dell'albero maestro, e con Marty, cosa del quale sia io che lui ridemmo molto perché dovetti letteralmente chinarmi per ballarci insieme.
Quando la musica finì tutti quanti gridammo e applaudimmo l'orchestra; Rodrigo, che stava insieme ai musicanti, si alzò in piedi sull'argano inchinandosi e ringraziando, poi puntò un dito in mezzo alla folla: - Silenzio tutti!- gridò, e poco a poco le grida si smorzarono. - In onore degli sposi... - fece un ampio gesto di saluto a me e a Jack. - ...il signor Gibbs ora ci delizierà con una canzone!-
Come tirare un sasso ad un vespaio: tutti quanti ricominciarono a fischiare e ad applaudire mentre Gibbs sussultava e cercava di sottrarsi a quanti volevano spingerlo sull'argano insieme ai musicanti. - No, no! Davvero, non fatemelo fare... no, non posso!... -
- Ci faccia sognare, signor Gibbs!- gridai, ridendo, e lui con un sospiro dovette cedere. Si sedette sopra l'argano e Rodrigo gli mise in mano un vecchio violino. - Rodrigo, vieni qua che ho bisogno di una mano!- gli fece il vecchio nostromo, e il nostro musicista non si fece pregare. I due si consultarono per un attimo mentre il resto della ciurma faceva capannello intorno, infine Gibbs attaccò col violino.
Ebbi un tuffo al cuore quando riconobbi le prime note della canzone, una canzone popolare che conoscevo da quando ero bambina, così nostalgica e dolce che quasi mi commosse. Accidenti se il signor Gibbs sapeva suonare! Qualche istante dopo si alzò la voce limpida e potente di Rodrigo.
- Heel yo ho, boys; let her go, boys;
Bring her head round, into the weather,
Heel yo ho, boys,let her go, boys
Sailing homeward to Mingulay. -

Will ed Elizabeth si erano presi per mano e danzavano ad un ritmo lento e ipnotico sulle note della canzone, e lo stesso facevano Faith ed Ettore. Valerie aveva una grazia innata nel ballare, e concedeva volentieri un giro di danza a chiunque glielo chiedesse; fui convinta di vedere perfino Annamaria ballare con alcuni pirati, mentre tutti gli altri seguivano il ritmo come meglio potevano dondolando il capo, prendendosi a braccetto e oscillando tutti insieme, cercando di cantare con Rodrigo. Ritrovai le mani di Jack in mezzo alla folla, ci avvicinammo l'uno all'altra anche se non sapevamo bene che cosa fare.
- Mi piace questa canzone. - dissi, scrollando le spalle e con un sorriso sciocco in viso: ero ancora affannata e tutta rossa in faccia per i balli sfrenati e le troppe bevute.
Jack alzò le spalle anche lui. - Anche a me. -
- What care we though, where the Minch is?
What care we for wind or weather?
Let her go boys; every inch is
Close homeward to Mingulay. -

Girammo lentamente, stringendoci le mani: non conoscevamo nessun passo, improvvisavamo. Ci allontanavamo fino a tenerci solo per la punta delle dita, poi ci avvicinavamo e giravamo in tondo mentre ci separava giusto la distanza di un respiro. Stavolta non mi separai da lui nemmeno per un secondo: ci avevo preso la mano, e mentre lui continuava a girare insieme a me sorrisi, cominciando a capire perché esistessero i balli.
- Wives are waiting, by the pier head,
Or looking seaward, from the heather;
Pull her round, boys, then you'll anchor
'Ere the sun sets on Mingulay. -

Mi tirò verso di sé e fui di nuovo contro il suo petto, guardandolo dritto negli occhi. Non servivano molte parole tra di noi, in momenti come quello poi non servivano affatto. Solo nel modo in cui ci guardammo, nel modo in cui mi rivolse uno dei suoi sorrisi indimenticabili, lessi tutto quello che a modo suo aveva voluto dirmi col suo gesto, col nostro matrimonio e tutto quanto. Ti amo. Ti voglio con me.
E così, mi aveva dato ciò che volevo, ciò di cui avevo bisogno. Il mio punto fermo, qualcosa a cui mi sarei potuta aggrappare sempre e comunque. La sua promessa.
Mi accostai ancora di più e appoggiai la testa sulla sua spalla, perché volevo sentirlo più vicino: reale, vero. Lo amavo. Ed eravamo sposati: lui era mio marito... lui, capitan Jack Sparrow!
- Ships return now, heavy laden
Mothers holdin' bairns a-cryin'
They'll return, though, when the sun sets
They'll return to Mingulay. -

Nel momento in cui la canzone finì, Jack fece qualcosa che non mi aspettavo: si fermò e mi abbracciò, tenendomi stretta a sé a lungo, prima di lasciarmi andare e unirsi anche lui agli applausi per il signor Gibbs. Sciolsi l'abbraccio e applaudii anch'io fino a che i palmi delle mani non mi fecero male: mi sentivo strana, quasi stordita, ma non era una sensazione spiacevole come sentirsi ubriaca; mi sentivo piuttosto... leggera, come liberata. E allo stesso tempo mi sentivo un nodo all'altezza dello sterno, che però era dovuto alla dolce nostalgia che mi avevano lasciato addosso le note della ballata.
Gibbs scese dall'argano e fece un inchino a tutti i presenti, prendendosi complimenti e gran pacche sulle spalle; quindi venne verso di me e Jack e proclamò con aria solenne: - Come ringraziamento però esigo un bacio dalla sposa!-
Jack agitò un dito in aria. - Non costringermi a metterti ai ferri, vecchio mio!- replicò sogghignando.
- Non se la prenda male, capitano! Porta fortuna, tutto qui!- si giustificò Gibbs: io mi avvicinai all'anziano pirata e gli schioccai un bacio su ciascuna guancia.
- Ancora un applauso al nostro lupo di mare, uomini!- esclamai, scatenando un secondo coro di grida e applausi.
Era ormai sceso il buio, e il ponte era illuminato solo dalla baluginante luce delle lampade. Io e Jack ci allontanammo un po' dal ponte dove i pirati ancora non erano stanchi di ballare e andammo a sederci al nostro posto preferito; le scale del cassero di poppa. I nostri amici ci raggiunsero presto per farci le congratulazioni di persona, e Jack doveva davvero essere un po' brillo, perché si alzò e stritolò letteralmente Will in un abbraccio. - Grazie di esservi uniti a noi, eh?- biascicò poi, lasciandolo andare e tornando a sedersi con passo più barcollante del solito.
- Be'... di niente!- rispose lui, un po' sconcertato per quello slancio. Si sedette con noi insieme ad Elizabeth, David, Faith, Ettore e Valerie, che presero posto qua e là, un po' sui gradini un po' seduti sul ponte. Senza sapere cos'altro dirci che non fosse già stato detto, ci passammo altri boccali e brindammo tutti insieme, facendoli cozzare l'uno contro l'altro all'unisono.
- Domattina al più presto salpiamo. - disse Jack una volta svuotato il suo boccale. - L'Africa non è male, ma personalmente comincio a sentire un po' di nostalgia dei Caraibi... come fanno il rum a casa nostra, non lo fanno da nessun'altra parte al mondo, e immagino che dopo stasera saremo piuttosto a secco!-
- Salperemo, allora. Ma per stasera può aspettare. - mi rilassai, appoggiando i gomiti sul gradino e guardando in alto verso il cielo che formicolava di stelle. Stavo bene. Stavo meravigliosamente bene. Se quella mattina me lo avessero detto, quando avevamo finalmente scorto le coste dell'Africa, che quella sera sarei stata sposata...
- Vi abbiamo trattenuti anche troppo, immagino. - fece Jack, rivolto ad Elizabeth. - Ebbene... vi riportiamo a casa?-
Elizabeth esitò, come colta alla sprovvista. Io nascosi un sorriso: era già da qualche giorno che Jack agitava lo stesso osso sotto il naso dei Turner, e non mi era dispiaciuto vederli tentennare quando si parlava di riportarli ad Oyster Bay. E se fossero veramente rimasti con noi? Ormai avevamo condiviso più di tre settimane di viaggio, ci sarebbe voluto così poco per convincerli a restare, ad unirsi alla ciurma...
Ma anche quello, per stasera, poteva aspettare. I nostri amici avrebbero avuto molto tempo per riflettere sulla cosa: infatti senza aspettare oltre una risposta, Jack si alzò, si stiracchiò, quindi si chinò su di me e posandomi la mano sulla spalla mi bisbigliò all'orecchio: - Tutto è bene quel che finisce bene, come diceva... quello. Credo che sia il momento di andarcene in cabina, comprendi?-
Maledetta a me che riuscivo ancora ad arrossire... - Sì, credo di sì. - risposi, alzandomi con lui. Dopo aver dato la buonanotte collettiva a tutti i nostri amici -ma ero sicura di aver visto Faith ed Elizabeth guardarmi col sorrisetto di chi la sapeva lunga- cercammo di defilarci senza dare troppo nell'occhio, ma Gibbs ci vide dirigerci vero la cabina e gridò, facendosi sentire al di sopra della musica e del baccano: - Capitano! La sposa si porta in braccio oltre l'uscio di casa!-
Un coro di ululati seguì la sua affermazione, ed io rassegnata mi voltai verso Jack alzando gli occhi al cielo. - Quale uscio di quale casa?!-
Jack si strinse nelle spalle, poi si rivolse alla ciurma. - Ah davvero? Ma noi siamo pur sempre pirati, e le nostre donne le portiamo così!- così dicendo mi abbrancò per la vita e mi caricò in spalla come un sacco di patate.
- Ah! Mettimi giù, maledetto!- esclamai mentre ridevo incontrollabilmente e cercavo di divincolarmi mentre, con me di traverso sulla spalla, Jack si voltava in tutta tranquillità ad aprire la porta della cabina. Fra un tripudio di risate e fischi non potei fare di meglio che alzare gli occhi verso la ciurma e annunciare: - Buonanotte a tutti!- prima che Jack richiudesse la porta dietro di noi.

*

La festa sarebbe continuata per un bel pezzo anche senza gli sposi, così i pirati si erano radunati a crocchi qua e là sul ponte, chi bevendo, chi raccontando storie, chi giocando a carte e a dadi. Chi preferiva starsene al riparo dalla brezza notturna che aveva iniziato a soffiare si era sistemato nel primo ponte inferiore, come Jonathan e Valerie che da diverso tempo si stavano sfidando a dadi, seduti l'uno di fronte all'altra attorno ad un'asse di legno.
- E' la quinta volta che vinci, dannazione!- protestò Jonathan mentre Valerie si riprendeva i suoi dadi dopo l'ennesima vittoria.
- Devi essere incredibilmente sfortunato. - ribatté lei con un sogghigno tutt'altro che innocente: se la rideva sotto i baffi, e Jonathan le scoccò uno sguardo bieco. - Non so come fai, ma sono certo che i dadi che lanci tu non sono gli stessi che lancio io. -
- Hai solo brindato un po' troppo prima o mi stai dando del baro?- esclamò lei portandosi una mano al cuore e sgranando i begli occhi neri, fingendosi scandalizzata.
- Credo proprio di sì... e tieni in vista le mani quando hai i dadi: prima o poi ti becco!-
Valerie si limitò a sorridere, mentre lasciava cadere i dadi nel boccale di peltro e, tappando l'imboccatura con la mano, li scuoteva. - Facciamo l'ultima giocata?-
- Va bene. - assentì Jonathan, mentre agguantava la bottiglia che aveva appoggiato accanto a sé e ne buttava giù tutto d'un fiato l'ultimo sorso rimasto a galleggiare sul fondo. - Ma stavolta ci scommettiamo qualcosa. -
Valerie si accigliò. - Non si può giocare a dadi per soldi, è il regolamento. -
Jonathan deglutì, senza distogliere gli occhi dalla ragazza che gli stava seduta di fronte, continuando a scuotere i dadi nel boccale. - Ma io non parlo di soldi. - gli occhi di Valerie nei suoi lo ipnotizzavano, e la bevuta lo rendeva temerario. - Un bacio. Se vinco io devi darmi un bacio. -
Lo disse in fretta, e l'attimo dopo allungò il braccio e bloccò la mano di Valerie con la sua, rivoltando il boccale e lasciando che i dadi rotolassero sull'asse che fungeva loro da tavolo. Il ragazzo trattenne il respiro, seguendoli con lo sguardo mentre si fermavano...
Sette. Di nuovo.
Con un certo imbarazzo, Jonathan lasciò la mano di Valerie e si tirò indietro: ad un tratto teneva lo sguardo basso come un bambino vergognoso. - E va bene, hai vinto di nuovo. Scusami per la giocata azzardata. -
Stupido. Fece per alzarsi, ma ad un tratto Valerie, che non aveva detto niente da quando avevano lanciato i dadi, lo fermò posandogli improvvisamente la mano sulla spalla e costringendolo a restare seduto. - No... hai vinto tu a tavolino. - disse sottovoce. - I dadi sono truccati. -
E senza aggiungere altro accostò il viso al suo, le labbra alle sue, e lo baciò per un istante lunghissimo mentre là sotto il tempo sembrava fermarsi.

*

Le candele, nelle lampade che illuminavano la cabina, erano ormai sul punto di consumarsi: Jack fece il giro della stanza spegnendole quasi tutte, e lasciandoci nella penombra.
- Col bello spettacolino di prima, la mia dignità di capitano è andata completamente a farsi benedire!- commentai mentre mi aggiravo per la stanza, senza sapere bene dove stare. Jack ridacchiò mentre si liberava del tricorno e della giacca, lasciandoli su di una sedia: - Nooo, non troppo, almeno... era lo scotto da pagare per riuscire a levare le tende, ecco. -
Sorrisi e scossi il capo, voltandomi verso di lui. - Tu, piuttosto, stai veramente giocando sporco con Elizabeth e Will. Perché non ammetti semplicemente che saresti felice di averli a bordo?-
Jack si strinse nelle spalle mentre si avvicinava a me. - Hm... forse lo farò. Prima o poi. - mi arrivò alle spalle e mi appoggiò le mani sui fianchi, strofinando il mento contro il mio collo: ebbi un brivido piacevole e non potei fare a meno di appoggiarmi contro di lui. - Ebbene, signora Sparrow... - mi sussurrò all'orecchio, carezzandomi la vita. - Posso darle il benvenuto a casa sua?-
Mi voltai e le mie labbra incontrarono le sue da dietro la spalla, mentre le sue mani salivano a lavorare coi lacci del corsetto. La cabina era tiepida, accogliente nella sua semioscurità. Ora quella era anche la mia cabina, la mia stanza, il mio letto.
- Tu resti qui, stanotte. - mi disse in un bisbiglio. - E la prossima, e tutte le altre. -
Mi stupii di quanto i gesti che seguirono mi venissero naturali, quando abbandonammo il vestito su una sedia insieme alla sua camicia, quando mi spinse sul letto, salendomi sopra e continuando a baciarmi senza sosta. Il contatto col suo corpo era così piacevole, così invitante... affondai le dita nei suoi capelli, infilandogli le mani su per il collo mentre le nostre bocche erano ancora incollate in un bacio profondo. La sua pelle sembrava scottare mentre gli carezzavo le spalle, il petto, la schiena nuda.
Lui staccò per un attimo le labbra dalle mie mentre con le dita seguiva il bordo della sottoveste leggera che indossavo; io lo attirai a me e lo baciai sul collo, sussurrandogli di non fermarsi.
Finì lentamente di spogliarmi, levandomi anche la sottoveste: ebbi un momento di fastidioso imbarazzo quando fui davanti a lui, svestita come non ero mai stata per nessun altro uomo, mentre anche i pantaloni di Jack andavano a raggiungere il mucchio, poi lui fu di nuovo sopra di me senza più barriere di vestiti sotto le sue mani.
Era il suo corpo sul mio, i suoi fianchi contro i miei: istintivamente inarcai la schiena con un sospiro di piacere mentre la bocca di Jack scivolava sul mio collo, poi più giù, sullo sterno. Le lenzuola si intrecciavano mentre ci muovevamo languidamente l'uno sull'altra, le mani di Jack mi carezzarono le ginocchia quando gliele strinsi attorno ai fianchi, attirandolo contro di me.
- Jack... - lo chiamai sottovoce, l'unica parola che avevo pronunciato fino ad allora: perché ancora una volta non c'era bisogno di parole, erano solo sussurri, mormorii, risatine a fior di labbra che si trasformavano in profondi sospiri, e lui che mi teneva stretta come se volesse fonderci insieme, e forse stavamo davvero per fonderci come metallo incandescente. Il suo peso mi schiacciò ancora di più sul materasso mentre il mio cuore batteva all'impazzata per l'eccitazione.
Anche il suo cuore batteva forte, e lo sentii emettere un lungo sospiro mentre la luce delle candele andava pian piano affievolendosi.
Chiusi gli occhi e rilassai la testa sul materasso mentre Jack continuava a muoversi, con le gambe saldamente intrecciate con le mie.

*

- Stanca?-
Jack mi si accostò pigramente, scrutandomi con una dolcezza del tutto nuova. Eravamo rimasti a lungo abbracciati sotto le lenzuola, accarezzandoci quietamente e ascoltando i nostri respiri; l'unico rumore insieme al lieve scricchiolio del legno. Mi sentivo come se tutta la cabina fosse avvolta in una bolla.
Era possibile sentirsi così gonfia di gioia tanto da scoppiare e allo stesso tempo in pace col mondo intero? Perché al momento io mi sentivo proprio così. Il braccio di Jack mi avvolgeva la vita in una dolce stretta che già sentivo familiare: lui mi guardava, con la testa sprofondata nel cuscino, in uno stato di dolce abbandono. Ad un certo punto si allungò verso di me avvicinando malizioso la bocca al mio orecchio: - Sei adorabile così, sai? Anzi, scommetto... - mi solleticò il fianco con le dita. - ...che potrei ricominciare da capo e tu non faresti proprio niente per impedirmelo. -
Voltai la testa sul cuscino per guardarlo in faccia; poco a poco il mio respiro stava tornando al ritmo normale. Gli rivolsi un sorriso prima di replicare: - Non credo che la cosa mi dispiacerebbe. -
Jack scoppiò a ridere, e mi resi conto che prima di allora non lo avevo mai sentito ridere di cuore come in quel momento. - Ci abbiamo preso gusto?- mi canzonò. - Con calma, amore mio, con calma... - tornò ad accoccolarsi al mio fianco, tenendomi per la vita, e premette la fronte contro la mia. - Uhm... non ti ho fatto male, vero?-
- No, no. - scrollai le spalle: la tensione c'era stata, il dolore solo per pochi attimi, e una fitta di paura al pensiero di quello che ci stava succedendo, ma poi c'era stato solo l'abbandono, un turbine di emozioni e sensazioni nuove che mi avevano lasciata esausta ma anche incredibilmente felice. - E poi, come dire... - sogghignai, acciuffandolo per le treccine della barba. - ...valeva la pena di sopportare un po', no?-
Lui ridacchiò di nuovo, scuotendo il capo. - A saperlo prima che bastava una mezz'oretta per renderti così dolce... -
Fingendomi offesa per come si prendeva gioco di me feci per girarmi dall'altra parte, ma il suo braccio mi serrò rapido sotto le lenzuola e mi riportò contro di lui. - Dove credi di andare?- sussurrò malizioso, abbracciandomi tanto improvvisamente da farmi sussultare: mi baciò di nuovo e fece scorrere liberamente le mani su di me, abbattendo anche l'ultimo rimasuglio di pudore che mi era rimasto.
Ad un contatto talmente profondo con lui mi ci dovevo ancora abituare, ma lui sapeva come sciogliermi. Poteva essere solo con lui, ora lo sapevo: quello che avevamo fatto quella sera poteva essere solo per noi, e noi due soltanto. Jack mi tirò sopra di sé, io gli presi il viso fra le mani. - Sai, ora ho soddisfatto una mia curiosità. - gli dissi.
Sulle labbra gli si disegnò un sogghigno che non riuscì proprio a trattenere. - Sarebbe?- domandò, ostentando un'aria innocente.
- E' proprio vero... che la bandana non te la togli mai!- strinsi fra le dita la fascia rossa che portava ancora annodata sul capo, ridendo: rise anche lui, senza lasciarmi andare. - Nudo con la bandana! Non ho mai visto niente di più assurdo!- volevo ridere, avevo un'incontenibile voglia di ridere: un'altra inaspettata e piacevolissima conseguenza.
Jack mi rivolse un'occhiata intenerita continuando a ridacchiare sommessamente: io feci scendere le dita sul suoi viso e accarezzai quei tratti che adoravo, i baffi e la barba ruvida, le sue bellissime labbra, gli zigomi alti. Lui rispose al mio tocco scostandomi i capelli che gli cadevano sulla faccia e carezzandomi una guancia. - Capitano Laura Sparrow... - mormorò come assaporando le parole mentre fissava i suoi occhi nei miei. Sorrisi e giocherellai con le treccine della barba che mi piacevano tanto.
Mi allungai su di lui e lo baciai con calore, mentre le candele consumate davano l'ultimo guizzo e si spegnevano, sprofondando la cabina nella tiepida oscurità.
Eravamo a casa.


Fine



Note dell'autrice: I miei due capitani preferiti finalmente insieme... *occhi da triglia*... Dicevo, sono felice di essere finalmente arrivata alla conclusione di questa ff! Ancora grazie di cuore a chi mi ha seguita fino alla fine, a chi si è stancato a metà, a chi legge e non commenta (tanto i counter di lettura pagine li vedo!), a chi si è divertito a leggere questa storia anche solo la metà di quanto io mi sono divertita a scriverla. Grazie.
Un viaggio si è appena concluso, ma un altro sta per cominciare: le acque non rimangono mai tranquille molto a lungo ai Caraibi. Quindi se vi tornasse la curiosità o avrete anche solo voglia di seguirmi nel prossimo viaggio, sarò felice di aspettarvi con un altro episodio delle Caribbean Tales.
Hoist the colours.

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