escape.

di exitwounds
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** uno. ***
Capitolo 2: *** due. ***
Capitolo 3: *** tre. ***



Capitolo 1
*** uno. ***


Escape.

(1)

Mi chiedo sotto effetto di quale sostanza stupefacente sia la gente che dice che l'amore sia una cosa meravigliosa. La gente che dice che l'amore esista. Perché per me l'amore non esiste. É una finzione, una fottuta invenzione dell'uomo che sente il bisogno - inutile - di credere in qualcosa. Un po' come Dio.
Io all'amore ci credevo all'inizio, ma sono gli avvenimenti che mi hanno indotta a rivedere la mia teoria. Vieni ferita una volta, due, tre, alla quarta cominci a farti qualche domanda. Perché a tutti gli altri va bene e a te no? E cominci a darti le colpe. Ti trovi miliardi di difetti, sia nel tuo corpo che nel tuo carattere, e passi intere giornate a criticarti. E alla fine nell'amore non ci credi più. Un po' come me, dopo che Jack se ne é andato da casa mia lasciandomi nella merda e piena di debiti fino al collo.
Ed é stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Io già sono una persona perfezionista di mio, pretendo che tutto sia sempre a posto ed in ordine, e la fuga del mio ragazzo Jack ha sconvolto la mia vita regolata dalla mia minuziosa precisione.
L'unica via di sfogo é la musica. Non credo nell'amore, ma credo nella musica e nel suo potere di salvare le vite. Quando ero piccola, nonna mi ha raccontato che nel periodo in cui litigava con nonno e stavano preparando il divorzio stava male e piangeva di continuo, l'unica cosa che la faceva stare meglio era la musica dei Depeche Mode. Aveva detto che se non fosse stato per loro non saprebbe in che condizioni starebbe adesso. Aveva usato la musica come appiglio per uscire dalle difficoltà, che é quello che sto cercando di fare anche io. Lei crede seriamente che la musica salvi la vita. Ed ha ragione. Lei si é aggrappata ai Depeche Mode, io ai Simple Plan. Li conosco fin dai loro esordi con i Reset, essendo di Montréal avevo assistito ai loro primi passi nel mondo dello spettacolo, ed avevo sempre ammirato il loro coraggio e la loro forza di volontà. Mi aggrappavo e mi aggrappo alle loro canzoni per star meglio, per non sentirmi un errore, uno scarto del mondo. Ogni volta che metto un loro disco sembra che compaiano vicino a me per dirmi «Ehi, stai tranquilla, tutto andrà bene.»
E nonostante il fatto che io viva nella loro stessa città, non ho mai avuto la possibilità di scambiare neanche una parola con loro, di ringraziarli per tutto quello che hanno fatto e stanno facendo per me, senza neanche saperlo. Una volta ad un concerto, anni fa, diedi una lettere indirizzata a loro ad un bodyguard, ma dubito che sia mai arrivata nelle loro mani.
Ad ogni modo, le cose hanno cominciato a precipitare tre mesi fa. Ero in un momento di crisi, buttata nel bagno a piangere, ripetendo mentalmente tutti i miei difetti, quando avevo trovato, appoggiata sulla mensola, nascosta dietro il mio profumo, una delle lamette per la barba di Jack. Doveva averle dimenticate quando il mese prima se ne era andato. L'avevo presa in mano e con mano tremolante avevo fatto un'incisione sul mio polso sinistro. Non avevo provato dolore, all'inizio. Avevo fatto un'altro taglio, vicino al primo, più lungo e premendo più forte. Quello sì che aveva fatto male, ma in qualche modo mi aveva fatto sentire... libera. Libera dal peso del ricordo di Jack, libera dal dolore, dai pianti, da lui, da tutta la merda che c'é in giro, libera da tutto.
E così ero entrata nel vortice dell'autolesionismo. Non riesco ad uscirne. I tagli mi bruciano, fanno malissimo, e a venticinque fottuti anni mi sto rovinando la vita, ma non riesco a farci nulla.

Non ce la faccio più a stare chiusa in casa. Prendo il primo maglione che capita e tiro giù le maniche in modo da coprire i polsi, i tagli così bruciano da morire ma non voglio che nessuno li veda.
Passeggio a vuoto, avvicinandomi sempre di più al centro, durante questa primavera particolarmente fredda.
Entro in Parc du Mont-Royal, mi siedo sulla prima panchina che trovo e stringo forte le gambe al petto. Tiro fuori il mio vecchio e malconcio ipod, che per qualche misterioso motivo ancora funziona, e mi sparo i Simple Plan al massimo del volume. Posso anche distruggermi le orecchie, ma almeno lo faccio con della buona musica. Sembra interminabile il tempo che spendo seduta su quella panchina.
Quando finalmente finisco tutta la loro discografia, mi rendo conto che forse é l'ora di tornare a casa. I tagli bruciano, ma sopporto il dolore in silenzio. In lontananza vedo una coppietta per mano, che si scambia teneri baci ogni due passi. Bleah. Bestemmio a mezza bocca.
Non ce la faccio ad andarmene, non ne ho le forze. Mi abbandono di nuovo sulla panchina, a guardare il vuoto.
Sento i passi di qualcuno avvicinarsi, mentre ormai sta calando il buio, ma non vi do retta. «Tutto bene? Stai piangendo.» una mano mi tocca la spalla mentre uno sconosciuto dalla voce calda mi dice quelle parole. Mi volto di scatto, impaurita.
«Oh. Porca. Puttana.» é l'unica cosa che riesco a sussurrare. Ho Chuck Comeau davanti agli occhi e sto per svenire dall'emozione.
Mi rivolge un sorriso tenero. «Come mai piangi?» mi chiede.
«Non sto piangendo.» mento, mentre mi asciugo le lacrime e tiro ancora più giù le maniche del maglione. Prendo un respiro profondo.
«No okay, questo non può essere vero, é tutto un sogno.» esclamo, poi mi rivolgo a Chuck. «Cioè ho appena incontrato il batterista del mio gruppo preferito, uno dei cinque uomini che mi salvano dalla merda ogni giorno!»
A Chuck scappa una risatina adorabile. «Sono contento che tu dica questo di noi. Mi emoziono sempre quando i fan ci dicono questo tipo di cose.»
«Io.. boh, cioè... grazie di tutto!» lo abbraccio spontaneamente, e lui non mi allontana, anzi, mi stringe a sé.
«Come ti chiami?» mi chiede con voce rassicurante, dopo aver sciolto l'abbraccio.
«Chloe.» gli rispondo con la voce che mi trema. «Me lo fai un autografo?» gli chiedo tirando fuori dalla borsa carta e penna, che firma e mi restituisce.
«Allora, Chloe, mi racconti come mai stavi piangendo?» insiste lui.
«N-non mi va di parlarne. Ciao, grazie dell'autografo, grazie di tutto.» balbetto mentre mi alzo e faccio per andare via.
«Non andare via, ti ascolto.» Chuck si alza in piedi e mi blocca per un polso.
Urlo dal dolore, maledicendomi per quei fottuti tagli e per aver appena fatto una figura di merda davanti ad una delle persone che reputo più importanti della mia vita. Il dolore mi costringe a mettermi di nuovo seduta.
«Cos'hai? Perché reagisci così?» mi chiede preoccupato. Non rispondo, allora ha la geniale idea di fare da solo. Mi alza una manica del maglione, facendomi gemere dal dolore, e appena vede i tagli impallidisce.
«Chloe, io ti voglio aiutare.» mi dice con voce ferma, guardandomi negli occhi.
«No Chuck, no!» sbotto. «Non metterti in mezzo! Nessuno mi vuole aiutare davvero, nessuno!» mi alzo ma Chuck mi blocca di nuovo per il braccio, facendomi volutamente vedere le stelle.
«Io voglio aiutarti sul serio, Chloe!» adesso sta urlando anche lui. Quando vede che sembro essermi calmata, abbassa il tono della voce. «Se vuoi io sono qua, Chloe.»
Scoppio a piangere e tremo, nessuno ha mai voluto aiutarmi, nessuno si é mai neanche lontanamente interessato di me.
«Sono qui Chloe, non ti preoccupare, sono qui.» mi sussurra Chuck stringendomi forte a sé.




myspace.
non so dove voglio arrivare con questa fan fiction, davvero non lo so.
la sto scrivendo per dimostrare quanto la musica e l'aiuto delle persone possano salvare la vita.
e poi mi rispecchio molto in Chloe. non sono un'autolesionista, ma i suoi pensieri sulla musica, sull'amore... sono i miei.
e la storia della nonna é vera. me lo ha raccontato nonna l'ultima volta che é venuta a trovarmi.
ho scelto Chuck come protagonista per le sue risposte su twitter, ha sempre donato parole di conforto a tutti nel momento del bisogno.
boh, non so che altro dire.
spero vi piaccia e di trovare qualche recensione c:
un bacio, howyouremindme.

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Capitolo 2
*** due. ***


(2)
 

Ho raccontato tutto a Chuck. Ogni singolo dettaglio. Ho sputtanato la mia vita ad uno dei miei idoli, ho pianto tra le sue braccia, mi sono lamentata come una bambina di tre anni e non ho ancora ricevuto alcun “vaffanculo”. Forse perché è rimasto in silenzio tutto il tempo.
«Chloe, voglio aiutarti, davvero.» è l’unica cosa che riesce a dirmi, dopo avermi ascoltata parlare ininterrottamente per più di un’ora.
Non so se ridere o riprendere a piangere. Quante volte ho sentito questa frase... e tutte le persone che l’hanno pronunciata non hanno mosso un dito per aiutarmi.
«Grazie per l’interessamento, Chuck, ma nessuno si interessa a me.» sussurro alzandomi dalla panchina e tentando di andarmene, ma lui mi blocca di nuovo. Mi posa una mano sulla spalla ed io mi fermo, ma senza voltarmi.
«Nessuno merita di soffrire, tantomeno se si fa del male da solo.» mi dice serio. «Non permetterò che tu ti rovini la vita in questa maniera. E’ finita, amen, la vita va avanti, e fidati che senza un tipo del genere la vita va avanti dieci volte meglio.»
Mi volto verso di lui. Mi sta guardando negli occhi, il suo sguardo sincero mi trasmette sicurezza. Decido di fidarmi. «Ok.» mormoro, e Chuck mi regala un sorriso confortante – e meraviglioso.
«Vieni con me.» mi dice portandomi un braccio intorno alle spalle. Mi accoccolo accanto a lui, come facevo con papà quando ero piccola. E la sensazione è la stessa. Sono al sicuro, potrebbe esplodere un vulcano e neanche me ne accorgerei, potrebbe nevicare anche se è aprile e non ci farei caso, la terra potrebbe cominciare a tremare in perpetuo e me ne fregherei. Era da anni che non mi sentivo così.
«Dove andiamo?» gli chiedo dopo qualche minuti in cui avevamo camminato in silenzio.
«A casa mia.» mi risponde mentre giriamo in Boulevard Saint-Laurent, ancora stretti l’un l’altra. «Ormai è buio, non ti lascio tornare a casa da sola. Stasera rimani da noi, ti va?»
Il respiro quasi mi si mozza. Sicuramente è un sogno, ora mi do un pizzicotto e mi sveglio.
«Ehi, tutto okay?» mi richiama Chuck.
Sì, una favola, ho appena rischiato un collasso per quello che mi hai detto ma per il resto sto benissimo.
«S-sì,» balbetto «è che non riesco a crederci, mi sembra un sogno, io...»
Chuck mi sorride e svoltiamo in Rue Saint-Denis. «Non mordiamo, tranquilla!» scherza strappandomi un sorriso.
Dopo pochissimo siamo arrivati a casa sua e dei ragazzi, una villetta enorme vicino al campo da calcio di Rue de Mentana.
Una mezz’oretta buona a piedi dal parco, ma camminare con Chuck accanto è rilassante. Sa infonderti calma e pace anche se non spiccica una parola.
Apre il portone con le sue chiavi ed entriamo direttamente nel salotto, una stanza grande all’incirca come il mio appartamento, ed alla nostra sinistra ci sono esposte in bella mostra le chitarre ed i bassi. Fa strano vederle ferme lì, dopo tanti anni in cui le ho viste tra le loro mani sul palco.
«Wow, qua è tutto fantastico.» mormoro guardandomi intorno.
Chuck nota che mi sono soffermata a lungo sulle chitarre. «Sai suonare?» mi chiede.
«Una volta suonavo il basso... ma ora non riesco più...» rispondo tirando più giù le maniche del maglioncino e stringendole forte tra i pugni.
«Se ti va puoi suonare un po’ con David, così riprendi la mano.» mi propone allegro.
E’ assurda la maniera in cui stare con lui solo per qualche ora mi ha fatto tornare il sorriso, mi ha fatto dimenticare tutta la merda che mi circonda.
«Ragazzi, sono tornato!» urla Chuck per farsi sentire da tutti.
«Ciao Chuck!» giurerei che è la voce di Jeff quella che viene dalla cucina. Sono tutti e cinque qui. Stanno respirando tutti la mia stessa aria, oddio, siamo nella stessa casa, e oddio sto fangirlando troppo. Devo riprendermi.
Pierre, Jeff, Séb e David entrano in salotto e fanno una faccia strana, un po’ sorpresa, nel vedermi. Sto per sentirmi male. Cristoddio Chloe Roy, difendi quel minimo di dignità che ti è rimasto, prendi un respiro profondo ed evita figure di merda.
«Lei è Chloe, una nostra fan.» mi salva Chuck dall’imbarazzo. «Spero non sia un problema se oggi resta con noi.»
I ragazzi mi accolgono sorridendo e si presentano – pft, come se non sapessi già chi sono. Sono molto accoglienti e mi fanno sentire a mio agio.
Quei cinque sono una forza della natura, molto piú di quanto si vede dai video e dai concerti. Non stanno fermi né zitti un attimo, e sono simpaticissimi. Mi riempiono di domande, e rispondo tranquillamente a tutte, ma quando Séb mi chiede «Non hai caldo con quel maglioncino a maniche lunghe?» un brivido mi percorre la schiena. E ricacciando indietro le lacrime racconto tutto anche a loro.
Può sembrare strano, pazzo o addirittura stupido raccontare tutti i miei problemi a persone che in fin dei conti sono sconosciuti, ma non lo é. Non sono sconosciuti. Sono le persone che mi hanno salvato la vita, sono le persone che mi accompagnano da quando ero una ragazzina, sono le persone che mi tengono agrappata a questa vita di merda.
«Se io sono qui é grazie a voi. Dio, vi seguo da quando andavo ancora alle elementari, quando le mie amiche si sentivano i Blue io nelle cuffie avevo i Reset. Non scherzo quando dico che mi avete salvato la vita. La conoscete quella sensazione di totale inutilitá? Quel momento in cui ti rendi conto che sei un nulla, che il mondo gira lo stesso anche senza di te, e anzi, che se non ci fossi girerebbe meglio? Ecco, cosí é come mi sento ogni giorno. É assurdo il modo in cui sentendo la vostra musica io ritorni a sentirmi viva. Non sapete quante volte, prendendo in mano quella dannata lametta, ho pensato di farla finita una volta per tutte. Un colpo secco ed era fatta, ponevo fine alle mie sofferenze. Ma poi affioravate voi nei miei pensieri. Do you ever feel like breaking down? Do you ever feel out of place? Like somehow you just don't belong and no one understands you? canticchiavo questo, mi facevo forza e gettavo la lametta per terra, lontano. Voi, attraverso quelle cuffie, mi capivate, mi eravate vicini in ogni istante. Smettevo per voi. Pensavo che se avessi messo fine alla mia vita non vi avrei mai incontrati, non vi avrei mai detto grazie, non vi avrei mai detto tutto ciò che vi ho detto ora, non avrei mai avuto l'opportunitá di abbracciarvi, non avrei mai potuto spiegare ai miei figli quanto abbiate significato per me. Ecco il motivo per cui ogni volta che uscendo sul balcone ed avevo voglia di saltare di sotto mi fermavo e tornavo dentro casa. Ora capite perché dire che mi avete salvato la vita non é un'esagerazione? Alcune persone mi prendono per pazza quando spiego quanto significate voi per me. La verità é che neanche io so esprimere con le parole le emozioni che mi fate provare e la maniera in cui mi tenete aggrappata alla vita. Non ci sono parole per spiegarlo. L'unica sarebbe "grazie", ed anche se é troppo banale, semplice e riduttiva non posso fare altro che ringraziarvi per tutto quello che avete fatto anche senza accorgervene.» dico tutto d'un fiato. Mi viene da piangere, un po' perché finalmente ho realizzato il mio sogno di dir loro che mi hanno salvata, un po' per aver portato a galla vecchi ricordi.
«Sono storie come questa che ci rendono fieri ancora di piú di ciò che facciamo.» mi dice Pierre. «Siamo stati dall'altra parte anche noi, sappiamo cosa vuol dire essere fan e mettere la propria felicitá nelle mani di una band. Ed era proprio questo ciò che volevamo, essere un punto di riferimento per chi ci ascolta, come altre band lo sono state per noi.»
«Posso abbracciarvi?» chiedo con le lacrime agli occhi, e tutti ci stringiamo in un abbraccio di gruppo. Un sogno che diventa realtá.



myspace.
ciaao.
come sono in ritardo lalalala.
boh, sul capitolo non so che dire, a parte che scrivendo il discorso di Chloe ho pianto. piango troppo.
(sí, sono una precisina del cavolo perché mi sono incrociata gli occhi con google maps a trovare delle vie che esistono davvero a Montréal nelle vicinanze di Parc du Mont-Royal. sí, sono stupida. e devo smetterla di scrivere tra parentesi.)
al prossimo capitolo c:
fabi.

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Capitolo 3
*** tre. ***


(3)
 

Dopo il mio monologo che faceva molto Terenzio ed i suoi spettacoli pieni di riflessioni filosofiche e psicologiche ed essermi ricomposta – avevo tutto il trucco colato, e a detta di Jeff sembravo un panda –, ci spostiamo tutti sul divano, e Pierre accende la televisione. Assurdo come un uomo della sua età, trentatré anni suonati, ami ancora vedere i cartoni animati e rida come un matto. “Questa notizia la devo postare su tumblr” penso con un sorriso. “Pierre Bouvier ride come un demente guardando i cartoni animati.” Tumblr imploderebbe.
Finita l’ennesima puntata dei Looney Tunes che Pierre ci aveva costretti a guardare – più o meno, perché Sèb ne era rimasto entusiasta – Chuck spegne la tv e ci propone di suonare un po’ insieme.
«Chloe ha detto che suonava il basso, David, magari puoi suonare con lei e le rinfreschi la memoria.»
Tutti ne sono entusiasti, David soprattutto, che saltella a prendere due bassi, quello nero e quello bianco con il battipenna nero, che porge a me.
Lo afferro, tremando, con la paura di fare una figuraccia assurda. Non suono da... tre mesi. Jack se ne è andato via ed ha portato via con sé la mia voglia di suonare, almeno fino ad ora. Jeff e Sèb che accordano le loro chitarre, Pierre che riscalda la voce, Chuck che giocherella con le bacchette ma soprattutto gli occhi di David che brillano guardando il suo basso mi danno quella spinta per ricominciare.
Imbraccio il basso e sistemo la tracolla in modo che le corde mi stiano più o meno all’altezza del fianco. Ho sempre avuto la fissa di tenerlo molto giù, papà mi diceva sempre che ero l’opposto del bassista di un gruppo degli anni ’80 di cui lui andava pazzo, che lo portava praticamente all’altezza del petto.
Appoggio la mano sinistra sul manico del basso, assaporando il contatto delle mie dita con le corde dure e spesse. Dio, quanto mi era mancato quel freddo metallo sulla mia pelle.
«Suonaci qualcosa, dai.» mi propone David.
Prendo un respiro profondo, il polso sinistro brucia ma non importa, e preparo la prima nota. So già che canzone fare, una delle prime che ho imparato ed una delle canzoni con cui sono cresciuta, di una delle band più famose al mondo. Linea di basso inconfondibile, che mi mette i brividi ogni volta che ne sento anche solo un pezzetto.
 
Come as you are,
as you were,
as I want you to be,
as a friend,
as a friend,
as an old enemy.
 
Take your time,
hurry up,
the choice is yours,
don’t be late.
 
Take a rest,
as a friend,
as an old memoria.
 
Impossibile non canticchiare mentre suono. Ed è bello sentire i ragazzi cantare con me. D’altronde, chi non conosce questa meraviglia di canzone?
David imbraccia il basso nero e suona con me. Se qualcuno ieri mi avesse detto che oggi avrei suonato “Come As You Are” al basso con David probabilmente gli avrei riso in faccia per mezz’ora almeno. E invece lo sto proprio facendo.
Poso il basso sul divano, accanto a me, sicuramente rossa come un peperone, ripensando mentalmente agli errori che ho fatto. Ho saltato una nota su “memoria” e sono andata fuori tempo ad “and I don’t have a gun”. Penso che questa caratteristica del perfezionismo non riuscirò mai ad attenuarla. Per me non perfetto è uguale a uno schifo, quindi ho suonato da schifo. Due più due fa quattro. “Scusa, Kurt, scusate ragazzi.” penso tra me e me.
«Brava!» si complimentano i ragazzi. Li ringrazio con un sorriso, non pienamente convinta di aver suonato bene ma okay.
 
 
Le ore con i Simple Plan passano ad una velocità assurda. Mi sembra neanche mezz’ora fa quando ho varcato la soglia di questa casa con Chuck, impaurita e silenziosa, ed adesso sono quasi le undici e siamo tutti e sei con una bottiglia di birra in mano, non ubriachi, ma neanche completamente sobri, un po’ brilli.
«Diamine, sono già le undici!» esclama Sèb, guardando l’ora sul suo iphone.
«Devo andare...» faccio per alzarmi dal divano, ma Jeff mi richiama. «Rimani per stanotte, è tardi.»
«Poi dormire nella stanza degli ospiti!» propone Pierre e tutti approvano. «Va bene, grazie ragazzi.»
«Ti faccio vedere qual è la stanza.» si offre Chuck, che mi accompagna su per le scale, al piano superiore.
Il primo piano è composto da un corridoio su cui si affacciano molte porte, che immagino siano le stanze dei ragazzi. Al mio sguardo salta all’occhio una libreria, e nella penombra spicca un libro, “1984” di George Orwell, di cui mi hanno sempre parlato bene, ma non ho ancora avuto occasione di leggere.
«Questa è la tua stanza» Chuck mi indica l’ultima porta verso la destra, «quello laggiù in fondo è il bagno e per qualsiasi cosa chiamami, la mia stanza è accanto alla tua.»
È un attimo. Non so perché, non so come, ma mi avvicino a lui e gli getto le braccia al collo. Mi stringe a sé.
«Grazie per non avermi preso per una pazza, per avermi aiutata, per la tua disponibilità, per tutto.»
«Non devi ringraziarmi, te l’ho già detto.» mi risponde con un sorriso. «Domani pomeriggio noi partiamo.» mi alza il viso, in modo da guardarlo negli occhi. «Abbiamo le prove per il concerto di sabato a Ottawa. Vuoi venire con noi?»
Cerco nei suoi occhi un segno, un qualcosa che mi faccia capire se sia serio o sia io a dare i numeri. Ed è serio. Sarebbe un sogno partire con loro, ma purtroppo ho il lavoro e non posso mollare di punto in bianco, il mio capo si infurierebbe. E perdere il lavoro non sarebbe un grande aiuto data la situazione.
«Chuck...io...darei oro per venire con voi, ma lavoro, non ho ferie e non posso rischiare di perdere il posto, ci mancherebbe solo quello...» abbasso lo sguardo per terra.
«Tranquilla, capisco. Domani ti riaccompagniamo noi a casa, e per qualsiasi cosa ti lascio il mio numero.» gli porgo il telefono e segna il suo numero. «Per qualsiasi cosa non farti problemi a chiamarmi o a scrivermi. Buonanotte!» mi dà un bacio sulla guancia ed ognuno si dirige verso camera sua. Riesco appena a sussurrare un timido “buonanotte” a lui ed ai ragazzi che stanno salendo le scale e mi rifugio nella stanza degli ospiti.



myspace.
siete autorizzati ad odiarmi. non mi arrabbio, giuro, avete ragione. ma in fondo che saranno mai più di due mesi di ritardo nel postare? niente. naaah.
.....lasciamo perdere. sono successi casini su casini e non ho avuto neanche il tempo di pensare di rimettermi a scrivere.
e poi ho abbastanza dato di matto perché vedrò i Green Day e gli All Time Low lo stesso giorno e non riesco a smettere di fangirlare asdfghjkl
vabbè, spero di non tardare troppo con il prossimo lol
fabi <3

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