I will try to fix you

di Shizue Asahi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 ***
Capitolo 2: *** #2 ***
Capitolo 3: *** #3 ***
Capitolo 4: *** #4 ***
Capitolo 5: *** #5 ***
Capitolo 6: *** #6 ***
Capitolo 7: *** #7 ***
Capitolo 8: *** #8 ***



Capitolo 1
*** #1 ***


#1

Korra ha i capelli arruffati, i muscoli contratti e il fiato corto. Si muove agile, scattando e schivando, nonostante sia quasi allo stremo.
Mako la osserva di nascosto, fingendo di star togliendo un pelucchio dalla sciarpa, mentre Korra rimanda indietro un disco di roccia, mancando la testa di Bolin per unpelo.
-Ehi!- si lamenta il dominatore della terra, incrociando le braccia al petto.
Korra gli fa un cenno di scuse, socchiudendo appena le labbra per prendere un profondo respiro, poi, raggiunge Mako, sul bordo dell’arena.
Ha il viso imperlato di sudore ed emana un odore acre, mischiato a quello della terra, che le ricopre la tuta. Mako fa finta di niente e le passa una bottiglina d’acqua.
L’Avatar gli sorride e lo ringrazia.
Bolin continua a stare al centro dell’arena, esibendosi in una lunga, quanto seria, ramanzina a Pabu per qualcosa che né Korra, né Mako riescono ad afferrare. Si zittisce di colpo, mentre il viso gli diventa completamente rosso.
Intanto Korra si è rovesciata addosso l’acqua della bottiglina, che le si infila nelle pieghe della tuta, andandosi a insinuare nella curva morbida e appena visibile del seno e appiccicandole i capelli sulla fronte e sulla pelle del collo.
Mako si alza rapido, dicendo di avere un appuntamento con Asami. Si allontana cercando di essere il più disinvolto possibile e sperando che nessuno si accorga del rigonfiamento nascosto dal cavallo dei suoi pantaloni.

 

***

Questa cosa(?) è stata scritta per la sfida lanciatami da KumaCla e sarà seguita da altri nove capitoli. Il prompt era allenamento.
In pratica abbiamo deciso di darci dieci prompt e di scrivere io Makorra e lei Borra, scambiandoci quindi gli OTP. Siamo masochiste, lo so u_u
Incrocio le dita e spero che vada tutto liscio come l’olio. Perdonatemi se non tratterò in maniera impeccabile il rapporto tra Mako e Korra, ma faccio ancora fatica ad abituarmi all’idea di loro due insieme. Sono sicura che, però, alla fine di questa raccolta non sarà più così.

Alla prossima, Asahi

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Capitolo 2
*** #2 ***


Aveva i capelli arruffati e le guance arrossate. Le pareti dell’igloo permettevano loro di avere un po’ di privacy, ma Mako era sicuro che almeno uno dei cugini di Korra, e probabilmente anche Bolin, stessero gironzolando là fuori, abbastanza vicini da captare rumori “sospetti”.
La osservò a lungo rivestirsi, indossare con calma i propri indumenti con fare cerimonioso, allacciando con cura lacci e stringhe, fissando un bottone molesto o una cinghia un po’ troppo lenta.
Erano arrivati solo qualche giorno prima nel villaggio dei dominatori dell’acqua, al Polo Sud. La Tribù dell’Acqua, come Mako e Bolin avevano avuto il piacere di scoprire, non era luogo per loro. Tutti si muovevano e avevano una familiarità fin troppo spiccata per l’acqua e, soprattutto, per la neve. La neve. Mako non ne aveva mai vista prima. A Republic City non nevicava mai e Bolin era rimasto estasiato ed eccitato oltre ogni possibile concezione quando il primo fiocco di neve si era andato a posare sul suo palmo.
L’entusiasmo si era spento rapidamente, schiacciato dal freddo e dalla fatica, quando era stato costretto a percorrere il tratto non troppo breve che divideva il porto dal villaggio di Korra.
Naga non aveva potuto dar loro un passaggio, dato che già trasportava i bagagli. L’unico a poter usufruire dei favori del cane polare era stato Pabu, abbastanza leggero da riuscire ad acciambellarsi tra una valigia e un bauletto.  
-Traditore.- gli aveva detto Bolin, offeso.
Mako si grattò la nuca, mentre Korra indossava l’ultimo strato di vestiti. Stava seduto sul letto, un ammasso di pelli di animali sconosciuti e coperte di lana, con i palmi poggiate sulla sua superficie pelosa e i piedi ben piantati per terra. Con un gesto della mano rianimò il fuocherello che si contorceva nel piccolo camino.
-Ridammelo.- esordì Korra, cercando di imitare un tono di voce indicato, di fare il verso a sua madre, ma con pochi risultai.
Mako fece roteare gli occhi, poi si guardò intorno; frugò tra gli strati del letto, alzando anche qualche pelliccia, ma non trovò niente. –Cosa?- chiese allora, passando una mano sulle pieghe del pantalone per rassettarlo.
Korra sbuffò e si portò le mani sui fianchi. Gli si avvicinò con passo marziale, percorrendo la poca distanza che la separava del letto in un paio di falcate.
-Solo i guerrieri lo possono portare.- lo informò, cercando di portarglielo via. Mako si spostò e l’Avatar quasi cadde su di lui. Tentò un altro paio di volte e Mako riuscì a svincolarsi, ma alla quarta ci riuscì. Afferrò il copricapo con fare vittorioso e se lo pose sul capo.
-Stava meglio a me.- obiettò.
Korra carezzò le orecchie del suo copricapo, una testa di lupo polare adibita ad elmetto. Molto antica, a detta della gente del villaggio.
-Non comprendi il fascino della divisa.- lo rimbeccò. Indossava la tenuta dei guerrieri della Tribù dell’Acqua: una pesante veste blu merlata di pelliccia stretta in vita da una cinta di cuoio e rinforzata da una sottile corazza di metallo. Aveva anche stivali e mantello di pelliccia, ma non li aveva ancora messi e Mako per un secondo si chiese come facesse ad andarsene in giro scalza senza perdere almeno un paio di dita.
La osservò, registrando i pochi centimetri di pelle che la divisa le lasciava scoperti e fu quasi tentato di alzarsi, agguantarla e svestirla. Quel letto era particolarmente invitante. Ma si trattenne, aveva scoperto che il padre di Korra era un uomo tanto gioviale quanto pericoloso.
La testa di lupo le copriva la fronte, ma Mako era sicuro che la stesse aggrottando. –Sembri un uomo.- osservò.
-Sono un guerriero.- lo rimbeccò l’Avatar, prima di lasciare l’igloo. Mako avrebbe giurati di averla vista sculettare per una frazione si secondo.
Guerrieri che sculettano.
Si lasciò cadere sul materasso, afferrò una delle coperte e se la portò al naso. Aveva l’odore di Korra.
 
 
 

***

 
Perdonate il ritardo infinito, ma tra il pc che è crepato (con tutte e nove i capitoli, sì ç_ç) e la Maturità, la voglia di scrivere non c’è proprio stata.
Ad ogni modo, dato che sono idiota, a poche ore dalla Terza Schifosissima Prova, mi è venuta voglia di mettere mano a Word e questo è il risultato. Qualcuno mi auguri in bocca al lupo ç_ç

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Capitolo 3
*** #3 ***




”Vuoi venire in slitta sulle foche-pinguino con me?”
 
 
 
*
 
 
 
 
C’è qualcosa di maligno nel modo in cui Korra sogghigna, ma Mako non è abbastanza svelto per coglierlo.
La neve cade fitta, gli si insinua tra i capelli, nelle pieghe della sciarpa; ha il naso congelato e le mani intirizzite. Ogni volta che evoca il dominio del fuoco rischia di sciogliere la casa di qualcuno, le gambe gli fanno male per lo sforzo perenne di non affondare nella distesa di neve che Korra chiama strada e il padre dell’Avatar continua a guardarlo arcigno e minaccioso.  
Mako odia il Polo Sud, con le sue distese bianche e abbaglianti, con il freddo, le pellicce e le prugne di mare. Non pensava fosse possibile, ma Bolin si è rivelato molto più versatile di lui e si è ambientato con maggiore facilità al villaggio ghiacciato, sebbene gli manchi la terra e non possa esercitare il proprio dominio da nessuna parte.
Korra gli spiega che le sue difficoltà sono indotte solo dal suo istinto: si trova nel suo opposto naturale, è ovvio che fatichi a sentirsi a proprio agio. Ovviamente l’Avatar non manca di sottolineare quanto sia stupido.
L’umore di Mako è un crescendo di ansia, rabbia e iperattività. Il freddo lo infastidisce, lo costringe a un’immobilità a cui non è abituato e il Dominio richiede di essere esercitato, sfogato.
Allora Korra aggrotta le sopracciglia, le fa quasi combaciare, e fa quell’espressione non proprio intelligente di quando è intenta a spremersi le meningi.
- Ho trovato! – esclama tutto d’un tratto, un sorriso enorme a deformarle il viso.
 
Mako si agita, ingoia di nuovo la parte di stomaco che ha tentato la fuga dalla sua bocca, e si stringe maggiormente all’animale sotto di sé. La foca-pinguino scivola rapida sulla neve e Mako avverte appena la voce di Korra dirgli qualcosa, mentre l’aria gli sferza il viso e il freddo lo costringe a chiudere gli occhi.
Capisce troppo tardi che gli ha detto di saltare: il cumulo di neve lo investe in pieno e se la ritrova ovunque. Bocca, naso, occhi, orecchie.
Korra ride fin quasi alle lacrime, si tiene la pancia e per poco non crolla a terra quando la foca-pinguino lo morde per protesta.
- Te l’ho detto che lo avresti adorato. Un altro giro?-
 
 
***
 
Storia partecipante a La Corsa delle 48 ore di Torre di Carta.
Prompt: A ama uno sport e vuole coinvolgere B
 







 

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Capitolo 4
*** #4 ***


  • La storia partecipa alla terza settimana del COW-T9;
  • Prompt utilizzato: L’unico modo per non temere la morte è non pensarla e non crederle. (Stefano Benni, La traccia dell’angelo);
  • 721 parile;
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando il mondo inizia a sgretolarsi sotto i suoi piedi, Mako non se ne accorge immediatamente. Avverte appena il terreno un po’ più cedevole sotto di sé, il passo un po’ più incerto, l’equilibrio messo un po’ più alla prova.
Il Dominatore del Fuoco neanche ci fa caso, troppo preso dal lavoro, immerso completamente in quella missione che ha fatto diventare la propria vita e il proprio scopo. Segue sempre un ritmo serrato tra il lavoro di ufficio, gli arresti, le scartoffie e poi altro lavoro che non sa bene perché si sia accollato proprio lui, ma che è lieto di svolgere.
Mako è un ufficiale di polizia, si assicura che la città e i suoi cittadini siano al sicuro – che mai più accada quello che è successo a lui e a Bolin da bambini. Mako è anche il fidanzato dell’Avatar, Korra, ma questo gli procura sempre più grattacapi che altro e spesso si ritrova a chiedersi se troverà mai un equilibrio tra quello che è lui, il suo compito, e quello che è lei, la sua missione; poi Korra gli sorride o gli fa una carezza sbadata, e tutto torna sereno. Mako si lascia distrarre e non si accorge che, sotto di lui, la terra ha ceduto un po’ di più.
Korra è bella in quel modo frizzante e vitale che le appartiene, con la pelle scura e gli occhi chiarissimi. Quando torna da lavoro, stanco, è la prima cosa che Mako guarda. La cerca nel piccolo appartamento che condividono ed è facile scovarla in appena quaranta metri quadrati. Lei gli sorride e lo bacia, alle volte sembra genuinamente felice di vederlo, in altre invece fingere le costa uno sforzo sovrumano, ma Mako è stanco e Korra è bella e lui neanche ci fa caso.
Realizza che il terreno sta franando solo quando un giorno torna a casa e la trova vuota – vuota davvero – non perché Bolin si sia dimenticato di fargli visita o perché Korra sia impegnata con qualche faccenda da Avatar. La ragazza non c’è, le sue cose sono sparite e Mako si sente un po’ più stanco del solito.
Hanno litigato e lei semplicemente se ne è andata.
 
*
 
- Lavori troppo –  gli aveva detto, ancora, di nuovo. Era sempre la stessa lamentela, la stessa accusa e Mako ogni volta si stupiva che proprio lei – l’Avatar – non lo capisse.
- Il mio lavoro è importate – le aveva ripetuto ancora, di nuovo, nella replica esatta dell’inizio di tutti i loro litigi. Mako sapeva già come sarebbe finita, si sarebbero gridati addosso e poi sarebbero finiti a fare sesso riparatore in qualche angolo impensabile della casa.
- Anche io dovrei essere importante – Korra però era uscita dal copione, aveva cambiato battuta e nella voce non aveva né la collera né la foga che da sempre aveva accompagnato le loro discussioni; era semplicemente stanca e consapevole.
 
*
 
Mako rimane in quella casa vuota e aspetta, continua ad andare a lavoro e più passa il tempo, più Korra diventa lontana, sbiadita. Non è arrabbiato o deluso, solo intontito. Alla fine smette di aspettare che torni, non si informa più su di lei, non permette più a Bolin di parlare dell’Avatar. Tutto diventa più semplice senza di lei, non è più costretto a scegliere tra l’essere il suo ragazzo o un poliziotto.
Korra scivola via dalla sua vita e Mako quasi non se ne accorge.
Quando alla fine realizza che il pianeta si è sgretolato, che la terra gli è franata sotto i piedi e che il suo mondo non esiste più, è troppo tardi per rimediare.
Mako si senta l’aria mancare e i piedi privi di appoggio e tenta di ignorare la cosa come se non lo riguardasse, come se fosse solo un’altra delle tante informazioni secondarie che gli passano sotto gli occhi e che non hanno abbastanza importanza per essere salvate nella sua mente.
Quando però il nuovo Avatar si manifesta e il nuovo ciclo comincia, fingere diventa inutile. La vede, la riconosce, nei movimenti di quel ragazzino del Regno della Terra, con le spalle troppo esili per essere di Korra, ma con lo stesso passo, lo stesso sorriso, lo stesso Dominio.
Alla fine Mako è costretto a credere, ad accettare che Korra non ci sia più e il mondo cade.
 
 




 

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Capitolo 5
*** #5 ***


  • La storia partecipa alla terza settimana del COW-T9;
  • 888 parole;
  • Zombie!AU | A kurenai88 che mi ha aiutata a promptare;
  • prompt: L’unico modo per non temere la morte è non pensarla e non crederle. (Stefano Benni, La traccia dell’angelo);
 
 
 
 
Quando il mondo è finito, quando è arrivata l’Apocalisse, nessuno se lo aspettava. È iniziata come una normale influenza e si è conclusa con gli esiti più disastrosi. La gente ha iniziato a morire come mosche – e non era la parte peggiore – e poi a rialzarsi e a mordere, masticare, lacerare e infettare in un circolo infinito a instancabile. Le città sono cadute, i contatti si sono interrotti e tutto è diventato preda del caos più totale.
Ora è solo un correre, scappare, sopravvivere; non c’è tempo per guardarsi indietro e per rimpiangere quello che è stato. Molti di loro non ricordano neanche quel prima di cui alcuni parlano.
Affonda la lama del coltello fino a che non avverte la resistenza dell’elsa e poi lo estrae con uno strattone. Il corpo si affloscia per terra privo di volontà, ma Mako neanche ci fa caso, avendo già spostato la propria attenzione su un’altra minaccia. Uno, due, tre. Li abbatte uno dopo l’altro, sbatte contro i mobili e si augura di sopravvivere per veder formarsi i lividi sotto la sua pelle.
- Vieni – gli grida, strattonandolo per un braccio.
 
*
 
Il terrore di morire è stato affiancato da quello di veder morire chi amava ed era una paura e un’angoscia così grande da scavargli dentro, strisciargli sotto la pelle e far divenire ogni cosa un pericolo costante, ogni persona sul suo tragitto un nemico da abbattere o sfruttare a proprio vantaggio. Lui doveva sopravvivere, Bolin doveva sopravvivere, non c’era spazio per altri. Lentamente ha perso se stesso, con la paura della morte sempre a raschiargli la gola e i morti alle calcagna.
Korra è stata una novità inaspettata, una sorpresa, una boccata d’aria. La prima volta che l’hanno incontrata, la ragazza li ha salvati entrambi e Mako ha avuto un po’ più difficoltà che con gli altri a lasciarla indietro; Bolin le si è subito affezionato, incapace di nascondere il bisogno di avere qualcun altro con cui parlare, da toccare, con cui vivere.
Mako alla fine ha dovuto cedere e Korra è rimasta; ha insegnato loro come cacciare, come evitare i morti e come eliminarli nel modo più rapido e sicuro.
- Mio padre era un cacciatore – gli ha raccontato una volta, mentre gli mostrava come fare per costruire una trappola.
Li ha aiutati e si è guadagnata la loro fiducia – con Bolin non è stato certo difficile – e poi li ha convinti a seguirla.
- Lo chiamiamo il Tempio, vi piacerà – gli ha detto, con la voce sicura e il sorriso sulle labbra. Mako non le ha creduto.
 
*
 
La vita al Tempio è frenetica, faticosa ed è un continuo di compiti e missioni da portare avanti, cibo da razionare e gente da medicare. Mako e Bolin non vedevano tante persone vive tutte insieme dai tempi del Prima, e impiegano un bel po’ ad abituarsi alla cosa, ad associare volti a nomi e a fidarsi di quei nuovi compagni che non hanno chiesto, ma che si sono resi conto desiderare più di ogni altra cosa.
Mako, non sa perché, smette di accumulare provviste per la loro partenza e di progettare piani per sparire senza che nessuno li veda; Bolin non ha mai cominciato a farlo.
Riscoprono insieme il piacere di aiutare gli altri, di rendersi utili e Korra è sempre lì per guidarli, per spiegargli qualcosa, per allenarli o per bere insieme uno degli intrugli alcolici e orrendi di Bumi. Talvolta Bolin si sente di troppo e si volatilizza nel nulla, lasciandoli soli.
 
*
 
Ha immaginato tante volte come sarebbe accaduto, ma quello è del tutto inaspettato. Bolin non è con lui – e ne è maledettamente felice – e non c’è nessuno a distrarlo con qualche battuta idiota. La spalla gli pulsa, nel punto in cui i denti del morto sono affondati, e la testa gli gira in una replica poco divertente di un ottovolante.
Le cose iniziano a diventare un po’ confuse e gli viene quasi da ridere. Si chiede se davvero gli passerà tutta la vita davanti agli occhi o se è una stronzata che si raccontano per sentirsi un po’ meglio.
Korra è accucciata vicino a lui, la testa appoggiata alla sua spalla, i capelli disordinati e castani che gli carezzano appena la pelle. Se chiudesse gli occhi Mako potrebbe anche fingere che vada tutto bene, ma fuori i morti sibilano e grattano contro la porta e sa che a breve la barriera cadrà.
- Vorrei un po’ di quella roba che ha distillato Bumi l’ultima volta, non era male – le dice a un tratto.
- Era uno schifo – si sente rispondere e la rivede, qualche giorno prima, a tapparsi il naso per mandare già la nuova ricetta dell’ultimo intruglio di Bumi e poi fare la faccia di chi è lì lì per rivoltare lo stomaco.
- A me piaceva – continua, con gli angoli delle labbra che si sollevano impercettibilmente contro l’alto.
- Quando torniamo a casa ti faccio dare un occhio in infermeria – lo prende in giro e poi ride, anche se le budella di entrambi si contraggono per la consapevolezza che nessuno di loro tornerà più al Tempio.
A Mako tremano appena le mani e Korra gliele stringe.
- Non crederle -  gli dice – la Morte è solo una stronza -



 

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Capitolo 6
*** #6 ***


Scritta per la quinta settimana del COW-T9 | prompt: scontro;
 1972 parole;
 




Un calcio. Un pugno. Una parata. I gesti si ripetono in una sequenza infinita e Mako ne perde il conto, più concentrato a colpire, ferire, abbattere, che su qualsiasi altra cosa gli sia intorno.
Il Dominio del Fuoco è impetuoso, inarrestabile, chiama sangue e Mako avverte la necessità di colpire più forte, di mirare con più precisione, di trattenersi di meno. Lo scontro diventa un gioco di resistenza e i nemici solo ombre da ferire, senza faccia, senza identità. È più facile, si dice, non guardarli.
Un altro corpo cade e lui non sente niente, neanche il tonfo poco promettente di quell’ammasso di carne bruciata e sangue che fino a qualche momento prima aveva provato a far loro la pelle.
In un attimo di lucidità, cerca suo fratello con gli occhi, i muscoli ancora tesi e allerta nel caso lo scontro non sia terminato. Bolin è lì, fermo in mezzo al niente, gli occhi vitrei e l’incredulità di quel bambino che non credeva Mako in grado di fare una cosa del genere.
- Andiamo – gli dice Bolin solamente, con la voce flebile e acquosa che precede il pianto – Prima che arrivino gli sbirri -
Mako lo segue senza dire niente. Hanno provato a ucciderli e a derubarli, era necessario.
I bassifondi di Città della Repubblica sono – sfortunatamente – la loro casa ed entrambi li conoscono come le loro tasche. Si infilano in una stradina laterale, poi in un’apertura in una vecchia rete, passano dietro al deposito del fruttivendolo e si inerpicano per una stradina fetida e desolata, per poi fare di nuovo il giro in lungo e sbucare in una delle traverse laterali. A un occhio esterno potrebbe sembrare che si siano persi, ma per loro far perdere le proprie tracce è un’arte che hanno dovuto apprendere piuttosto in fretta.
Quando arrivano al loro rifugio, Bolin sparisce. Si rannicchia in una delle brandine scassate e traballanti che usano come letti e infila la testa sotto le coperte.
Mako si fissa le mani sporche e i polsini della casacca anneriti dal fuoco – o sono macchie di sangue quelle? – e avverte un prurito molesto all’altezza del petto, un fastidio che gli gratta sotto la pelle e gli fa pungere gli occhi.
Devi essere forte, vorrebbe gridare a suo, in un impeto di rabbia, dargli uno scossone e fargli capire che non vuole che faccia la fine dei loro genitori, ma poi lo guarda di nuovo e si ferma. Bolin ha solo undici anni e ancora l’animo gentile che ha coltivato loro madre.
Lui di anni non ne ha molti di più, ma non ha importanza.
 
*
 
Città della Repubblica è un luogo sporco, marcio, e lui sguscia tra i bassifondi per rimediare qualche lavoretto non proprio legale per tirare avanti. Rapinare i passanti è redditizio, ma deve spingersi nei quartieri per bene e non si sente a proprio agio, non conosce ogni strada e ogni scorciatoia ed è più rischioso; lavorare per una delle bande di strada, invece, gli dà la certezza del guadagno e, in caso di necessità, della fuga facile.
Mako ha diciassette anni e la metà li ha passati per strada e a prendersi cura di suo fratello. È sveglio e lesto e intelligente e la gente continua a ripetergli che sta sprecando la propria vita e che prima o poi farà una brutta fine. Mako ne è consapevole.
Dormono nel retro della palestra di uno degli amici di loro padre e Bolin lavora per lui: tiene in ordine l’attrezzatura, insegna ai marmocchi le basi del Dominio della Terra e fa delle piccole commissioni. Mako l’ha tenuto lontano dalle cattive amicizie e si compiace che gli sia venuto su proprio bene. Bolin è rimasto un po’ bambinone, col sorriso facile e l’altruismo radicato così in profondità nel suo animo da essere inestirpabile – e Mako ci ha provato.
Tutto sommato, se la sono cavata meglio delle aspettative. Nessuno di loro due è finito abusato o morto, hanno un tetto sulla testa e un piatto caldo all’occorrenza. Possono persino permettersi un animaletto domestico e Bolin si porta il furetto perennemente in giro. Pabu è una creatura graziosa e intelligente, col musetto pezzato e gli occhietti neri; gli si appollaia sulla testa a mo di cappello o si acciambella attorno al suo collo. Le ragazze apprezzano molto e Mako lo prende in giro dicendogli che ha trovato un ottimo modo per rimorchiare.
- Sta zitto – gli risponde sempre Bolin prima di ridere in quel modo rumoroso e genuino che mette sempre Mako di buon umore e fa saltare Pabu dalla sorpresa.
 
*
 
Una spallata lieve, una colluttazione apparentemente accidentale, una pacca sulla spalla e un sorriso furbo prima di sgattaiolare via tra la folla. È un espediente che ha temprato negli anni, da ragazzino, con Bolin che gli faceva da palo e l’ansia perenne di essere acciuffato e portato via.
Quella del borseggiatore è un’arte che ha affinato con calma, collezionando tutta una serie di tentativi non sempre ben riusciti, ma che ora gli riesce naturale e facile come esercitare il suo Dominio. Anche quando non è in giro per quello, adocchiare i passanti e soppesare quanto potrebbero fruttargli è ormai un’abitudine e quasi non ci fa caso.
Korra la incontra per caso, ma la nota subito, con quegli occhi di un azzurro acceso e i caratteristici abiti della Tribù dell’Acqua. Va in giro con un cane polare enorme. Più grosso di lei di diversi centimetri e con l’aria di chi non sa dove si trovi. Turista, la registra subito Mako e quasi si sente un po’ in colpa – come al solito – mentre le si avvicina per sfilarle il borsello.
Si scontrano come per caso, le dà una spallata e si sorprende nel trovarla solida e nel fatto che la ragazza non vacilli, ma si lui, anzi, a essere sbalzato via.
Il grosso cane lo osserva pigro, non reputandolo un pericolo.
- Scusa – gli dice, anticipandolo, come se fosse lei a essergli andata addosso.
- Non è niente – le risponde, passandole appena una mano attorno la vita, fingendo si star controllando se stia bene e sfilandole una delle piccole sacche tintinnanti che porta legate alla cintura – Buona giornata -
Fila via con le tasche piene e l’impressione di aver scampato un pericolo non indifferente.
 
*
 
Registra che l’Avatar si trova in città con poco interesse. Lo ha letto distrattamente al giornale e nelle strade se ne parla allarmati. Mako sa solo che è una ragazzina di chissà quale villaggio sperso in mezzo al niente, non un grande pericolo per i loro affari e non condivide quell’aria tesa che sembra impregnare la parte marcia di Città della Repubblica.
A differenza sua, Bolin sembra essere più eccitato del dovuto e più di buon umore del solito – come se fosse possibile.
- Conoscerà Toph? – gli chiede, più parlando tra sé e sé che davvero con suo fratello.
Mako fa roteare gli occhi e sbuffa – Non lo so, Bolin, tu che dici? –
- Beh, l’Avatar Aang conosceva Toph. Quindi tecnicamente sì? –
- Sai, sono piuttosto sicuro che non funzioni proprio così –
 
*
 
Quando un pomeriggio fa ritorno a casa e la trova seduta sul suo divano con suo fratello dire che è sorpreso è un eufemismo. Bolin neanche lo sente arrivare, preso a raccontare qualcosa di divertente – o imbarazzante – con Pabu che gli pende da una spalla e le gambe incrociate; la ragazza, invece, si volta e lo fissa.
- Hai qualcosa che mi appartiene – esordisce, allungando una mano col palmo aperto verso do lui. Per qualche assurdo motivo Mako rimane a fissarlo, studiando i piccoli calli che ne deturpano i polpastrelli, identici a quelli di Bolin. Dominatrice della Terra, registra il suo cervello.
- Come mi hai trovato? – le chiede, senza troppi giri di parole. Non ha l’aria di uno sbirro e in fin dei conti è consapevole che non sia particolarmente difficile, trovarlo. Insomma, non è esattamente un segreto dove viva – colpa di Bolin e della sua lingua lunga.
- Ho chiesto in giro – gli risponde, senza dargli sorpresa, col sorriso, quasi a prenderlo in giro. – Puoi tenerli, i soldi, ma mi devi un favore –
Bolin segue in silenzio quello scambio di battute, senza riuscire a seguirlo in pieno e Mako avverte già la fregatura arrivare.
 
*
 
I lavori, soprattutto quelli non pagati, non proprio,  sono una seccatura non indifferente e quello non fa eccezione. Mako fa domande in giro, va della persone giuste e alla fine lo trova, il bersaglio.
Korra, così ha detto di chiamarsi, è bella, ma non passa inosservata. È rumorosa come Bolin e mena le mani con troppa facilità. Non conosce le regole della civiltà, non è mai stata in città prima e quelli come lui lo notano immediatamente.
- Smettila di fare casino – le dice crucciato, dopo che Korra ha quasi fatto crollare una palazzina col Dominio della Terra.
Korra brontola qualcosa sulla gente di città e dà un calcio a un idiota che ha provato ad atterrarla.
- Hai trovato me, potevi trovare anche lui – le dice un’altra volta, piuttosto seccato. Non ha tempo per occuparsi di altro, se non aiutare quella ragazzina strana e che non gliela conta giusta.
- Non avresti dovuto derubarmi – gli risponde altrettanto seccata Korra, impegnata a fissare due marmocchi che si rincorrono.
 
*
 
Alcune sere Korra passa a casa loro e cenano insieme o studiano le nuove informazione che ha trovato Mako e organizzano piani troppo cervellotici per essere attuabili.
Più tempo passano insieme, più Mako trova Korra meno irritante; a Korra, invece, Mako non è mai dispiaciuto. Bolin rimane con loro e di volta in volta si sente più fuori posto, con Pabu che gli fa le fusa sulla testa e lo fissa con pietà, finché una sera non decide si andare a dormire insolitamente presto e di lasciarli da soli.
La mattina dopo non fa domande a Mako sui rumori discutibili che ha sentito la sera prima.
 
*
 
Un calcio. Un pugno. Una parata. Mako ripete i movimenti meccanicamente e il suo corpo si muove da solo, spinto dal bisogno famelico del proprio Dominio. Il fuoco esplode e il nemico cade.
Korra è altrettanto efficiente, anche se non è in grado di seguire uno schema e i suoi attacchi sono un miscuglio di movimenti che imitano vari stili di combattimento. Mako non ha mai visto qualcun altro combattere in quel modo, ma lo trova così da Korra da non poterla immaginare muoversi in modo diverso.
Quando il lavoro è finito e il bersaglio è stato catturato, Mako prova uno strano disagio nel realizzare che il suo rapporto di lavoro con lei è terminato e non ci saranno più incontri di nascosto e cene e riunioni serali; poi Korra lo costringe a scortarla alla centrale di polizia per consegnare l’uomo che hanno catturato e Mako suda freddo e una parte di lui gli sussurra che forse è meglio per la sua pelle che non lavori più per lei.
 
*
 
Scoprire che Korra è l’Avatar è uno shock così grande che lei è costretta a ripeterglielo così tante volte da perdere il conto.  È impossibile, né Bolin né Mako riescono ad associare il personaggio dell’Avatar alla figura della ragazza e ci vuole un quarto d’ora buono prima di convincerli: Korra si stufa e domina davanti a loro i quattro elementi, riproducendo in scala molto ridotta incendi, terremoti, onde e tornado.
- Nessuno doveva sapere che sono qui – dice loro, gesticolando, un po’ a disagio.
- Siamo la Squadra dell’Avatar, quindi? – le chiede, facendo riferimenti a come venissero chiamati i compagni di Aang mezzo secolo prima.
 
*
 
- Potresti presentarmi Toph? – le chiede Bolin e Mako gli assesta un pugno in testa.
 




 

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Capitolo 7
*** #7 ***


  • Scritta per la quinta settimana del COW-T9;
  • prompt: scontro;
  • 902 parole;



Il rapporto con Mako non è mai stato facile, neanche quando erano due ragazzini con una cotta e problemi che credevano più grandi di quanto non fossero. Korra è cocciuta e indipendente, è l’Avatar e il suo lavoro è farsi carico dei pesi degli altri – del mondo; Mako è stato abituato fin da bambino a prendersi cura di sé stesso e di suo fratello, è diventato indipendente e adulto in un istante e non riesce ad accettare che Korra non voglia il suo aiuto, lo ferisce e infastidisce anche se sa che non dovrebbe, che vuole proteggerlo, che è l’Avatar.
Litigare, lasciarsi e non parlarsi è un circolo vizioso a cui non riescono a sottrarsi. Il giorno prima va tutto bene e quello dopo c’è un nuovo problema, un nuovo nemico, da affrontare e i loro approcci sono spesso troppo diversi per poter andare di pari passo.
Korra è l’Avatar e la sua vita è votata a salvare il mondo, a mantenere la pace e l’equilibrio; per Mako non c’è posto al suo fianco e si sente perennemente relegato a un ruolo di secondo piano in cui si sente stretto. Korra non lo capisce – o semplicemente non può farci nulla – e Mako tollera con sempre minore facilità di essere solo un partner, un fidanzato e non un compagno, un alleato.
Non c’è un momento preciso in cui i loro cammini si sono divisi, è semplicemente accaduto. Lentamente, inesorabilmente, un litigio, uno scontro verbale dopo l’altro. Alla fine si sono ritrovati a vivere vite diverse, a essere persone diverse e a non conoscersi più. Quando poi è iniziata la guerra, le cose hanno semplicemente deciso di prendere una piega tutta loro e di allontanarli definitivamente.
Il primo a cadere è stato Bolin, in un modo stupido e sciocco per cui nessun guerriero dovrebbe morire. Si è lasciato colpire come un pivellino e a nulla sono valsi i tentativi dei guaritori di curarlo o alleviare le sue sofferenze. Bolin è morto prima che Mako potesse raggiungerlo; Bolin è morto mentre cercava di aiutare Korra, mentre lottava per la sua causa, per proteggerla. Non sono state le mani di Korra a ucciderlo, ma per Mako non fa nessuna differenza.
 
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Quando si erano conosciuti, poco più che bambini, non pensavano certo che finisse così. Korra era deliziosa, col suo modo brusco e rumoroso di non sapersi adattare alle regole di Città della Repubblica; Mako confuso e affascinato da quella donna portentosa e irrequieta, testarda e forte che poteva dominare ogni elemento e che si rifiutava di arrendersi; Bolin era lì, allegro e solido, il collante che li teneva uniti e li induceva a riappacificarsi, anche nei momenti in cui si comportavano in modo troppo stupido e sembrava che la faccenda fosse irrecuperabile.
Perdere quel fratello che ha cresciuto e con cui ha condiviso infanzia e adolescenza, sempre gomito a gomito, è stato terribile e distruttivo per Mako. Non sarebbe dovuto accadere, Bolin non poteva essere morto e basta, la colpa doveva essere per forza di qualcuno. Di Mako, di Tenzin, di Asami, di Città della Repubblica – di Korra. Una vita non si spegne e basta e Mako non può sopportare come tutto vada avanti, come la vita ricominci, come i loro compagni si riprendano in fretta per gettarsi nella prossima battaglia, come Korra non sia distrutta per quello che è accaduto. Non piange, non grida, non cade a pezzi come lui, Korra è l’Avatar e la guerra glielo ha fatto realizzare in un modo doloroso e definitivo, costringendola ad accettare il proprio ruolo e i propri doveri. Non c’è posto per il dolore della perdita, per fermarsi a piangere un amico caduto e rischiare di perdere anche il resto del mondo.
Unirsi alle forze nemiche è quasi liberatorio; non dover più vedere quei volti che gli ricordano gli sbagli del passato, che hanno ucciso suo fratello, che gli imputano sempre di non mettere tutto se stesso e più nella causa è quasi liberatorio. Dentro di lui, Mako sa che è sbagliato, ma la follia ha già iniziato ad attecchire da un pezzo nella sua mente, là dove prima c’era solo il dolore e i pezzi avevano iniziato a cadere, e quello che è sbagliato si mescola a quello che non lo è e distinguerli diventa quasi impossibile. Uccide i suoi compagni, i suoi nemici, vendica una colpa di cui non si sono macchiati le mani, ma che tutti loro portano sulle loro spalle. È facile abbandonarsi al Dominio del Fuoco, permettere che lo muova e che combatta al posto suo. Sono le sue mani che colpiscono, ma non sono le sue; sono i suoi piedi quelli che calciano, ma non sono i suoi. È euforia e potere e gli cede ogni volta di più, a ogni combattimento è più arrendevole ed più facile lasciarsi comandare dalla ferocia dell’istinto.
Combattere, uccidere, scontrarsi, non è neanche certo di con chi. Va in missione sperando che sia la volta buona, ma ne rimane sempre deluso tornando a casa vivo.
Quando alla fine arriva il turno di Korra, è facile come con gli altri. Il Dominio del Fuoco è spietato, non chiede, non ha pietà, colpisce, brucia, dilania. Lo scontro è rapido, anche troppo, ma alla fine questa volta Mako non ne è deluso. La morte lo accoglie ed è facile lasciarsi scivolare via, andare incontro all’oblio.
 
Bolin non lo aspetta dall’altra parte come sperava.  




 

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Capitolo 8
*** #8 ***


 
·         Storia scritta per la sesta settimana del COW-T9
·         100 parole;
·         La storia è ispirata all’iniziativa del forum Torre di Carta, «White Day Run - Romantico, Fluff, NSFW»;
·         prompt: gravidanza
 
 
 
 
 
Korra è una donna forte, l’Avatar, e il suo lavoro è quello di prendersi cura del mondo, non può permettersi di dipendere dall’aiuto degli altri e non ne ha bisogno. È una guerriera, sa dominare gli elementi e ha il carattere determinato di chi è nato per comandare. Crescendo ha perso l’insicurezza che l’ha accompagnata durante l’adolescenza.
Adesso Korra è ancora una donna forte, l’Avatar, ma è anche molto molto incinta e a fine giornata apprezza molto che Mako si prenda cura di lei e si concedono quei momenti di coccole che sanno non avranno più alla nascita della bambina.



 

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