Christine's world.

di Christine02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01. ***


Capitolo uno.



5 Giugno 1988

Santa Rosa, California.

9.04


La finestra di una graziosa casa alla periferia di un piccolo quartiere di Santa Rosa, lasciava intravedere dei raggi di sole che rendevano la stanza piuttosto calda.
Quello, sarebbe stato l’ultimo giorno di scuola per gli studenti della Elmer Brown Field e anche per la sedicenne Christine.
La ragazza si alzò svogliatamente dal letto, “tappando la bocca” a quella maledetta sveglia che non finiva di trillare da ben 5 minuti.
La madre intanto stava bussando con cautela alla porta, cercando di non fare troppo rumore per non disturbare la figlia. La giovane borbottò un “avanti” e la madre, quando la vide, le fece un tenero sorriso.
- Oggi è l’ultimo  giorno di scuola! Ti dispiace un po’?-  Louise si appoggiò allo stipite della porta, osservandola.
- Forse. – Confidò alla madre, senza entrare nei particolari.
Tuttavia, i suoi genitori sapevano che mentiva: era sempre stata una ragazza chiusa, impacciata e piuttosto timida.  Erano certi che non le sarebbe mancata Santa Rosa.
- Ti ho preparato la colazione.. tuo padre ti accompagnerà a scuola appena avrai finito.- Christine rispose con un sorriso per ringraziare la madre e poco dopo si rifugiò nel piccolo bagno della stanza.
Accese la radio e le note di  Bohemian Rhapsody cominciarono ad aleggiare nell’aria.
Suo padre era un musicista e fin dalla tenera età aveva insegnato alla sua unica bambina l’arte della musica. 


No, no, no, no, no, no, no!
Oh mama mia, mama mia, mama mia let me go!
Beelzebub has a devil put aside for me, for me, for me.


La ragazzina  sentiva di potersi esprimere solamente grazie alla musica.
Lo considerava una sorta di potere, perchè non tutti ne potevano usufruire.
Ricordava ancora quando all’età di 11 anni, suo padre cantava insieme a sua madre “I don’t want to grow up” dei Ramones.
Erano in viaggio verso Alabama e alla bambina colpì immediatamente quella melodia, per quanto potesse sembrare ripetitiva.
Così lei cominciò ad appassionarsi a questa musica, giorno dopo giorno. Suo padre sapeva che Christine non era come gli altri bambini, perchè le piaceva isolarsi dal resto del mondo grazie a questo e, infatti, l'aveva fin da subito sostenuta.
In poco tempo aveva la discografia completa dei Ramones, The Clash, The Misfits ed infine del celebre gruppo Rolling Stones.
Nonostante questo, Christine frequentava anche la scuola: i voti non brillavano ma non erano nemmeno così bassi.
Dai compagni spesso si sentiva esclusa: le sarebbe piaciuto far parte di un gruppo di amiche che le volessero bene.. ma purtroppo, il suo carattere glielo impediva.
- Allora Christine, quanti scatoloni pensi di poter riempire con le tue cianfrusaglie? – Mentre suo padre si divertiva a prenderla in giro, una squisita frittella cucinata da sua madre le sorrideva.
- Penso due o tre, papà. – Le rispose a bocca piena. – E te? Con le tue chitarre? -
- Ancora non ho deciso. – Confidò, grattandosi i capelli brizzolati.
Una settimana dopo la famiglia Myers si sarebbe dovuta trasferire presso Berkeley, una città distante poco più di un’ora e mezza dalla tranquilla città di Santa Rosa. Lì, la giovane Christine, avrebbe frequentato la Pinole Valley High School: c’era tempo per pensare a quale scuola scegliere, ma per sua madre era molto importante che la figlia sapesse fin da subito che scuola avrebbe intrapreso a Settembre.
- Vai al ballo di fine anno? – Aveva chiesto gentilmente Louise alla figlia, mentre puliva i piatti.
- No insomma ..ho molto da fare, mamma. Non posso. – In verità, Christine non aveva mai partecipato a un ballo di fine anno. Se ne vergognava troppo, nonostante fosse una bella ragazza. Molte persone le invidiavano il meraviglioso taglio dei suoi occhi color cioccolato e i lunghi capelli mossi che le scendevano lungo la schiena.
- Sarà meglio per te, non voglio uomini in giro per casa. – Sdrammatizzò suo padre, alzandosi dalla sedia della cucina e dirigendosi verso l’uscita di casa.
La ragazza arrossì lievemente, allontanando il piatto.
- Lascialo perdere, è solamente geloso. -
Christine non fece caso all’osservazione della madre, al punto che si alzò dalla sedia allacciandosi la tracolla sulle spalle, per poi salutare Louise.
- Allora, cosa ascoltiamo oggi? – Il padre rovistò fra le mille cassette ma la ragazza gliene prese di mano, afferrando la sua preferita.
- Solo perché sei tu. -







________________Christie.

Allora gente,  questo è il primo capitolo di una lunga serieee..(?)
Okay cazzat* a parte, devo ringraziare MOLTISSIMO Too alive for labels che mi ha aiutata veramente molto!
Ringrazio chi mi lascerà un commento,
alla prossima!

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Capitolo 2
*** Capitolo 02. ***


Capitolo due.



Solitamente Christine non adorava mettere al proprio ordine il suo armadietto e infatti, anche questa volta, si era accumulata più roba di quanta lei stessa immaginasse. 
Sospirò milioni di volte alla vista di quello che aveva di fronte.
Ancora non ci credeva: stava veramente lasciando tutto: la scuola, i compagni che tanto odiava, il professore di arte che ce l’aveva tanto con lei e Santa Rosa.
Le sue labbra si incurvarono all’insù, formando un sorriso.
Era felice.
Si fece forza, e cominciò a svuotare il suo armadietto, riponendo tutti i suoi libri dentro uno scatolone datogli dal Preside.
“Mi dispiace che lei se ne vada, signorina.” Aveva detto. “Qua avrebbe avuto veramente un’ottima istruzione.”
Pff, stronzate.
L’unica cosa che le sarebbe mancata di quella scuola era la biblioteca: lì nessuno l’aveva mai disturbata o fatta sentire inappropriata.
Improvvisamente però, tornò seria: “Speriamo che nella nuova scuola non mi tratteranno come un’asociale.” Continuava a ripetersi nella mente.
Non voleva passare i pranzi da sola in un angolo appartato della mensa.
Non voleva sentirsi come un pesce fuor d’acqua.
Non voleva essere criticata per i suoi gusti musicali.
Ed infine, non voleva essere picchiata di nuovo.
Sospirò.
Un libro le cadde dalle mani, facendola tornare al mondo reale.
- Fanculo. – Borbottò fra se e se.
- Myers, dove hai la testa? – James, del corso di storia, le raccolse il libro – Uhm, letteratura inglese.. interessante. – Rise.
Christine non fiatò, come al suo solito; non adorava quel tipo, anche se era l’unico con cui aveva stretto “amicizia “ in questi anni.
- Così te ne vai..-
- Esatto. -
Il corridoio era completamente vuoto: erano le 16 del pomeriggio e le lezioni erano finite da almeno un’ora. Christie si sorprese nel vedere ancora James camminare per i corridoi.. lui non amava per niente la scuola ed i suoi voti lo testimoniavano.
- Cosa ci fai te, ancora qui? – Chiese lei, guardandolo.
- Volevo salutarti.-
Si guardarono, senza fiatare.
- Mi mancherai, un po’. – Per quanto James poteva essere strano, diceva sempre la verità. – Insomma, mi passavi sempre i compiti di storia e mi hai persino prestato un Cd dei Clash. -
Christine rise, abbassando lo sguardo.
Se ne vergognava molto.. non era abituata a parlare spesso con le persone.
- Figurati. -
- Forse questa è stata la conversazione più lunga che abbiamo mai avuto.-  La canzonò, dandole un colpo sul braccio.
La sedicenne rise, afferrando lo scatolone con entrambe le braccia. Era pesante, ma preferì stare zitta: non voleva l’aiuto di James, ce l’avrebbe fatta da sola.
Si guardarono con aria malinconica, per un lasso di tempo indefinito.
Lui non sembrava avere altro da dire, e lei sorrise, voltandosi, come per salutarlo. Ad un tratto però, Christine sentì un tocco sulla spalla destra e d’istinto si girò, senza aggiungere altro.
- Si può essere tutto ciò che si vuole, bisogna solo trasformarsi in tutto ciò che si pensa di poter essere.-
La ragazza sorrise, ricordando immediatamente l’autore di quella frase.
- Freddie Mercury.-
Infine, lasciò quell’edificio, abbandonando alle sue spalle mille ricordi e mille volti.
Per un momento un alone di malinconia la investì, ma passò rapido com'era arrivato.
Stava cambiando vita, e finalmente voleva cambiare anche lei.



***



5 Giugno 1988.

18.30

La cena si stava allungando terribilmente e la sedicenne, annoiata, continuava a torturare la bistecca sul suo piatto. “Mamma, lo sai che non vado pazza per la carne.” Le aveva ripetuto per la centesima volta quella sera.
Davanti a lei, l’osservava sua nonna, che aveva tutt’altro che l’aspetto di una donna premurosa e gentile.
Quando scoprì che sua figlia era rimasta incinta a 18 anni, l’aveva maledetta ogni giorno. Non aveva mai aiutato sua madre né tantomeno abbracciato sua nipote.. Christine la odiava e non riusciva mai a capire per quale motivo Louise continuava a invitare sua nonna alle feste familiari.
“ Come puoi invitare una donna che non ti ha mai amato?! “ Aveva urlato Christine quando scoprì, lo scorso Natale, che al pranzo avrebbe partecipato anche quella donna.
“ E’ tua nonna, in fondo..e mia madre! “ Replicò Louise, guardando la figlia.
“ Non mi ha mai amata! “
La ragazzina sospirò, ripensando a quella conversazione.
In fondo, quell’anziana signora metteva anche inquietudine: Christine aveva quasi paura  nel guardarla negli occhi. Aveva due occhi di ghiaccio, freddi, che non trasmettevano niente, e uno sguardo ferreo, quasi immobile. In sedici anni, pensò che non l’aveva mai vista sorridere.
- Christine se vuoi, puoi andare di sopra. –
La ragazza si alzò dalla sedia e mimò al padre un “grazie”.
- Un momento..- Christine chiuse gli occhi e sospirò. Le sembrava troppo strano che sua nonna non le avesse detto ancora nessuna cattiveria.
La ragazzina si voltò, mostrando a sua nonna il sorriso più finto che riuscisse a fare.
- Esci con i tuoi amici, vero? – Le domandò.
- No, nonna. -
- Non hai amici, Christine? Sai..-
- Gabriella. – Suo padre le poggiò delicatamente un braccio sulla spalla, come per fermare il discorso.
- Mi sembri così sola, Christine. – Rise. – Non ti vuole nessuno? -
Christine provò a dire qualcosa, ma dalla sua bocca non uscì niente. La sua gola era chiusa, anche se voleva urlare al mondo ciò che provava. Voleva urlare a quella donna di smetterla, di tappare quella stupida bocca e di andarsene.
Ma non poteva.
“Che fifona che sei, Christine” si ripeteva nella sua mente.
Ma lei non rispose, fissò sua madre per un lasso di tempo, ma non ricevette nient’altro che uno sguardo di compassione.
Ma la compassione in quel momento era soltanto inutile.
- Perchè vuoi farmi sempre del male, nonna? -
Se ne andò, chiudendosi in camera.
Un suo grande difetto era proprio questo: non sapeva affrontare i problemi.
Preferiva scappare dai problemi.
E forse, era proprio questo il motivo per cui non aveva amici.
Christine, all’occhio di tutti, somigliava a una ragazzina debole e indifesa.
Ed era proprio vero.
Affondò il candido viso nel cuscino e cominciò a piangere ininterrottamente.
Si sentiva una vera e propria nullità.
Dal piano di sotto cominciarono ad arrivare voci contrastanti: quella triste di sua madre, quella arrabbiata di suo padre e quella semplicemente insopportabile di sua nonna.
Dopo pochi minuti, le voci si calmarono, e Christine sentì dei passi avvicinarsi alla porta della sua camera.
- Christine, posso entrare? –  Suo padre la stupiva ogni giorno di più: come riusciva a trattenere la calma in certe situazioni?
- Sì. – In un attimo la ragazzina incrociò le gambe sul letto, osservando le coperte bordeaux.
Suo padre si avvicinò a lei e le cinse una braccio intorno alle spalle, facendola aderire al petto.
Era incredibile come Christine riuscisse a sentirsi a proprio agio fra le sue forti braccia.
Cominciò a piangere, mentre suo padre per rassicurarla di tanto in tanto le sussurrava un “Va tutto bene, ci sono io qui.”
Fra le lacrime intravide sua madre, che si appoggiava allo stipite della porta come suo solito e li guardava. Il rumore della porta d'ingresso che sbatteva arrivò puntualmente poco dopo. Finalmente la nonna aveva lasciato quella casa e la famiglia Myers era libera di ascoltare le lacrime della figlia. 


____________________Christie.
Hola amigooos!
In tanto..Grazie grazie grazie delle quattro recensioni! Sono troppo felice hybgjrfbhty.
Comunque un ringraziamento particolare a Too alive for labels che mi sopporta ogni giorno <3
Spero di rivere anche qui tante recensioni!
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 03. ***


Capitolo tre.




13 Giugno 1988.


Berkeley.


18. 47


Christine si accorse che non stava più ascoltando la canzone che seguiva sul suo walkman, così, lo poggiò di fianco a sé, guardando incuriosita il paesaggio di Berkeley: non era molto diverso da Santa Rosa, ma sicuramente era una città molto più caotica e importante.
La sedicenne era partita con il presupposto che sarebbe uscita dal suo “tunnel” e che prima o poi, avrebbe partecipato a qualche evento non troppo lontano dal suo quartiere.
Quella volta ce l’avrebbe fatta.
Si affacciò al finestrino, curiosa di ciò che aveva intorno: era nel pieno centro della cittadina di Berkeley e ci sarebbero voluti almeno  venti minuti per raggiungere la periferia.
Le strade erano colme di persone: chi correva, chi mangiava, chi rideva ed infine chi provava disperatamente di vendere cianfrusaglie.
La macchina intanto continuava il suo cammino: pian piano la gente diminuiva, i palazzi diventavano più radi, la strada si stringeva.
Poi, finalmente, suo padre svoltò all'ennesima curva, e Christine la vide.
La sua nuova casa.
- Siamo arrivati, tesoro. – Annunciò sua madre, dipingendo sul volto un dolce sorriso.
D’istinto Christine aprì la portiera della macchina ed osservò quella villetta anni ’60 che aveva davanti agli occhi. La guardò attentamente: il minuzioso giardino che si apriva davanti al suo sguardo, le finestre di legno che facevano esaltare  il color giallognolo delle mura ed il tramonto del cielo che rendeva tutto più pittoresco.
Tutto questo rendeva la ragazza notevolmente più felice del suo trasferimento e, in quel preciso istante le vennero in mente le parole che le aveva confidato James “Si può essere tutto ciò che si vuole, bisogna solo trasformarsi in tutto ciò che si pensa di poter essere.”
Ancora una volta, un grande mito come Mercury, aveva ragione: di lì a poco avrebbe fatto nuove amicizie, ed iniziato una nuova vita.
Non per sua nonna, ma per il suo bene.
- Cosa ne pensi? –Il padre le poggiò un braccio dietro le spalle, indagando le sue sensazioni.
La figlia rimase in silenzio per qualche secondo, riempiendosi ancora gli occhi di quella vista.
-È bellissima.-




22 Luglio 1988.


Berkeley.


20.58



Da cinque giorni Christine era ossessionata dalla scritta a caratteri cubitali Gilman Street che aveva incontrato casualmente a Berkeley, mentre passeggiava in compagnia di sua madre. Per qualche strano motivo, quel manifesto l’aveva ipnotizzata: in basso era scritto in modo piuttosto chiaro “  Mercoledì 22 Luglio  – The Lookouts – “
Era arrivata a Berkeley da più di un mese ormai, e forse quello era il momento giusto di uscire e iniziare una nuova vita.
Sì: quella sera sarebbe nata la nuova Christine.
Quando la sedicenne annunciò la notizia ai suoi genitori, loro rimasero sopraffatti: la madre non sapeva cosa dire ed il padre cercò in tutti i modi di non sembrare ridicolo con le sue espressioni del tipo “Attenta agli sconosciuti” “Non accettare le caramelle di nessuno” “Non tornare dopo mezzanotte.”
Ma, dopotutto, riuscì ad ottenere le chiavi della  macchina di Louise: era la quarta o la quinta volta che la guidava e ci mise veramente molto a mettere in moto.
- Come diavolo…ah, finalmente! – Esclamò, quando sentì il motore accendersi.
Il locale non distava molto dalla sua nuova casa, e grazie alle numerose uscite con sua madre Christine si accorse di sapersi orientare piuttosto bene.
Il sole non era ancora calato del tutto, e a terra c'erano le ombre lunghe tipiche del tramonto.
Prima di rendersene conto, si trovò proprio davanti al Gilman. Due ragazzi, più o meno della sua età, stavano entrando in quel momento, e Christine si sentì all'improvviso abbandonata dal poco coraggio che era riuscita a raccogliere.
Quando entrò, fu accolta da un vagone di emozioni: le pareti erano coperte di scritte, nomi e quant’altro, e le persone testimoni di tutto ciò erano veramente strane.
- Dove cazzo sono capitata? – Bisbigliò la sedicenne ancora incredula: sembrava che il famoso 7-11, suonata dal suo gruppo preferito, fosse proprio lì davanti.
Cercò di avvicinarsi di più al palco, ma l'impresa si rivelò più complicata del previsto. La gente lì dentro era davvero tanta, e nessuno sembrava molto contento di doversi spostare un po' più in là per farla passare.
- Permesso... permesso.... scusami... permesso... E CHE PALLE TI SPOSTI?? -
L'ultima frase era uscita prima che si potesse bloccare, e il ragazzo a cui l'aveva rivolta si voltò, leggermente irritato.
Christine non ci fece caso e finalmente, aveva conquistato la prima fila: non sapeva nemmeno chi fossero questi “Lookouts” ma l’idea di essere ad un concerto in prima fila, la elettrizzava così tanto.
Ad un tratto, le luci si spensero e Christine cominciò a urlare alzando le mani in alto, confondendosi a tutti gli altri partecipanti dello spettacolo.
- It’s California, BABY! – Urlava il cantante saltando di qua e di la assieme alla sua fedele chitarra.
Era incredibile il modo in cui la ragazza aveva completamente mandato a fanculo tutto quello che aveva intorno. Sembrava come se fosse rinchiusa in una bolla di sapone, che nessuno sapeva distruggere. Le gocce di sudore le stavano tormentando il viso mentre i lunghi capelli svolazzavano di qua e di la, insieme a lei.
Chiuse gli occhi, assaporando quel momento.
Si sentiva a casa.



 Do you know how it will be with nothing on your mind?



- Guarda dove metti i piedi, stronza! -
Poi tutto si spense.
Una ragazza l’osservava dall’alto: sguardo minaccioso, capelli rosa e trucco pesante.
La sedicenne si guardò intorno, di nuovo impaurita.
- I-io..- Balbettò, senza trovare parole da dire.- Tu cosa? È dall'inizio del concerto che mi stai venendo addosso. -
Christine non sapeva cosa dire. Non se n'era accorta, semplicemente.
- Scusami, non... -
- Sei un’amica di quella troia di Ashley, vero? -
La ragazza aggrottò le sopracciglia, non capendo cosa stesse dicendo.
- Ashley? Non..capisco, insomma..-
- Sai che ti dico? Che mi avete proprio rotto il cazzo. Tornatene al tuo quartiere! Non voglio vederti più qui, hai capito? -
Christine boccheggiò qualcosa, senza sapere cosa rispondere.
Era impaurita.
In un secondo, sfuggì allo sguardo di quella ragazza e cercò l’uscita del locale, provando a trattenere le lacrime che spingevano contro i suoi occhi bruni.
Poi finalmente si accasciò a terra, con le spalle rivolte al muro, mentre il suo candido viso era protetto dalle sue ginocchia.
-  Perché? Perché sbaglio sempre tutto? – Urlava disperatamente mentre il silenzio l’ascoltava.
In quel momento si sentiva profondamente colpevole di tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento: nascere, respirare e vivere.
Trovava completamente inutile la sua esistenza e non capiva il motivo per cui fosse così fragile.
Mentre i singhiozzi si calmavano e le lacrime continuavano a scendere, sentì l’odore di sigaretta provenirle accanto. Si voltò e la sagoma di un ragazzo snello, le comparì davanti ai suoi occhi. Frettolosamente, asciugò le lacrime con il bordo della manica e continuò a scrutare quel ragazzo coperto dall’ombra della notte.
Lui invece, continuava a fumare quella sigaretta guardando la luna piena davanti ai suoi occhi cristallini.
- Hai presente quella sensazione in cui non ti senti amato da nessuno? -
Christine continuò a fissare il ragazzo, chiedendosi chi era e perché era lì, cercando di capire perché proprio quella sera, stava parlando con lei.
Inaspettatamente il suo viso si voltò verso la ragazza, attendendo una risposta.
Christine si limitò ad annuire, continuando a guardare quel ragazzo che la incuriosiva tremendamente.
- In ogni modo, piangere non ti servirà a nulla. Fidati.-
Christine borbottò qualcosa, facendo sprofondare di nuovo  la testa fra le braccia.
- Nemmeno parlare in questo modo ti aiuterà molto.-
- Ho detto che lo so. Lo so che piangere non mi porterà da nessuna parte. -
- Allora perché lo stai facendo? -
 - Perché faccio schifo a tutto, okay? Perché  non riesco mai ad avere..ad avere dei cazzo di amici. – Alzò lo sguardo  -  E mi dispiace. Mi dispiace perché sono solo una ragazzina che vorrebbe migliorare il suo carattere .. senza riuscirci. Mi sento una nullità. -
Il ragazzo spense la sigaretta a terra e le sue iridi cristalline si incrociarono con quelle brune della sedicenne.
- Ora, sai darmi una riposta ? – Chiese lei.
- Se potessi dare delle risposte a domande così, mi chiamerebbero Dio. -
Christine accennò un sorriso, cercando di non farlo notare..ma pochi attimi dopo, cominciò a ridere, poggiando la testa al muro dietro a lei.
Di nuovo si guardarono, senza aggiungere nient’altro.
Il silenzio parlava per loro.
- Ora devo andare. – Disse la ragazza, alzandosi in piedi.
Lui le annuì, rimanendo immobile nella sua posizione.
Infine, Christine tornò a casa, continuando a domandarsi chi fosse quel ragazzo: si pentì amaramente di non avergli chiesto il suo nome o meglio, se si chiamava realmente Dio.





___________________________________________________________________

Perdonatemi per il megagalattico (?) ritardo!
Mi odio per questo, veramente.
Ma ho avuto: gita, debiti da recuperare (maledetta matematica e fisica..), verifiche, interrogazioni....e blablabla.
Comunque..ecco a voi, il nuovo capitolo!
Bhe, qua succedono veramente molte cose ma.. chi sarà il ragazzo con cui ha parlato?!
Dai dai, voglio leggere le vostre risposte v.v
Ringrazio veramente, VERAMENTE tanto le persone che mi hanno recensito!
 Cristo, è la prima volta che ne ricevo così tante, htjbktg, vi amo.
Un ringraziamento SPECIALE a  Too alive for labels, che ha il grande potere di sopportarmi SEMPRE e che mi aiuta moltissimo. Ti lovvo proprio <3

Alla prossima! Ps. http://ask.fm/ChristineMyers Il profilo di Christine!

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Capitolo 4
*** Capitolo 04. ***


Capitolo quattro.




23 Settembre 1988


Berkeley, California.


8.55




Quella notte Christine non riuscì a chiudere occhio: era agitata, nervosa e impaurita.
Continuò a interrogarsi su com’erano i ragazzi in quella città o meglio, se erano tutti come il Dio che aveva incontrato poco più di un mese fa.
Non passava un giorno, un’ora, un minuto che non pensasse a lui.
Sentiva lo stomaco contorcersi ogni volta che il suo volto piombava nella sua mente.
“Magari me lo sono solo immaginata..” Credeva, mentre continuava a girarsi di qua e di la, in cerca di una posizione più comoda che la distogliesse dai pensieri.
Era colpita, ammaliata, rapita dalla curiosità che nutriva nei confronti di quel ragazzo.
Non ne aveva parlato con nessuno, nemmeno con sua madre.
Se ne vergognava, semplicemente.

- Pinole Valley High School..- Commentò, alla vista della targa posta nel cancello della scuola.
Parcheggiò l’auto e appena spense il motore sospirò, accasciandosi al sedile.
La tensione era al massimo, la paura le faceva tremare le mani e la nausea cominciò a farsi sentire.
- Non fare l’idiota , Christine. – Disse, afferrando la borsa e scaraventandosi fuori dall’auto.
Si guardò intorno e come sempre, gruppi di amici si abbracciavano e si chiedevano come avevano passato l’estate, lamentandosi del ritorno a scuola.
La sedicenne sorrise e osservò di fronte a lei la struttura che aveva davanti: pensava peggio.
Infondo, era una semplice scuola costruita in mattoni, con un grande piazzale in cemento ed un giardino su un lato.
“ Devo trovare la segreteria … maledetti orari! “
Entrando, cercò invano fra i corridoi qualcosa che potesse somigliare a un “Buongiorno nuovi studenti!” o “Il vostro inferno continuerà qui, novellini.” ma non c’era niente di niente.
Dopo quindici minuti di andirivieni decise di chiedere a qualcuno dove si trovasse, così si avvicinò a un gruppo di ragazzi che le sembravano apparentemente normali e picchiettò sulla schiena di uno di loro piuttosto alto, moro.
Il suo cuore era a mille.
- Ehm.. scusa, per caso sai dirmi dove si trova la segreteria? -
- Mh? –
 Il ragazzo si voltò verso di lei ed entrambi non potevano credere ai propri occhi.
Era lui, il ragazzo che le tormentava la mente da quella maledetta sera.
Le sembrò talmente irreale il fatto che lui stesse lì, davanti a lei.
Christine rimase a bocca aperta, senza trovare parole da dire.
Sentiva le guancie andare a fuoco, il cuore che batteva sempre più forte.
Lo stomaco era pieno di vuoto.
- Vai dritta, giri a destra, la prima porta. -
Non era stato il ragazzo moro a parlare, ma uno dei suoi amici.
Ricambiò un sorriso e si allontanò, dando un’ultima occhiata alle iridi cristalline che aveva appena rincontrato.
Era già vicina alla porta della segreteria, quando sentì una voce chiamarla dal corridoio.
Il ragazzo del concerto l'aveva seguita.
Christine si girò verso di lui, piegando il volto da una parte, senza capire cosa stesse facendo.
Poco dopo, i loro sguardi si incrociarono di nuovo, a pochi centimetri di distanza.
- .. Ciao. – Sussurrò la sedicenne, confusa.
-  Alla buon ora! Sembrava avessi visto qualcosa di mostruoso quando mi sono girato! -
Christine spalancò gli occhi. Fece un mezzo sorriso, cercando qualcosa con cui replicare.
- Non pensavo ti dispiacesse, scusa.. –
Il moro scosse la testa sorridendo.
- Sono Michael. -
Finalmente, dopo tanta attesa, la ragazza scoprì il suo nome!
Si trattenne nel chiedergli se “Michael” fosse un sinonimo di “Dio”, ma rimase in silenzio.
- .. Christine. -
- Sai, avevo fantasticato un bel po’ sul tuo nome … Jennifer, Alysha, Morgana.. ma questo lo supera di gran lunga! -
La sedicenne rise di gusto, le sembrava un tipo simpatico, dopo tutto.
- Quanti anni hai, Christine? -
- Ne ho sedici.. - Rispose, torturandosi le mani.
- Se continui così quelle mani ti cascheranno. – La canzonò il ragazzo, accennando un sorriso.
Christine rise, abbassando lo sguardo.
- Posso chiederti un’ultima cosa? – Christine lo guardò annuendo, incitandolo con un sorriso. – Perché quella sera eri così..uhm, triste? -
I due si fissarono per un po’, restando in silenzio.
La ragazza cercò delle parole da pronunciare, continuando ad osservare quegli occhi che erano affamati di curiosità.
- Sai.. -

Panico.

Perché Christine avrebbe dovuto confidare i suoi segreti a un ragazzo che conosceva a malapena?

Si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa che le avrebbe suggerito cosa dire.

Niente.

Sapeva soltanto il nome del ragazzo che aveva di fronte ai suoi occhi.
Soltanto questo.
Gli avrebbe dovuto dire la verità?
O forse era meglio di no..?

- .. E’ una storia lunga. -
Forse era il modo migliore per troncare un discorso.
Aveva fatto la scelta giusta, credeva.
- Certo, non ti preoccupare. -
“ Diavolo Christine, sei una stupida, un’emerita stupida.
Sbagli sempre tutto.”
- .. Ehm, io ora devo andare. -
Logico.
Christine aveva probabilmente annoiato quel tipo.
Ma era comprensibile: chi cazzo vorrebbe rivolgere la parola a una ragazza così.. infantile?
Per un secondo, la mente di Christine sembrava un’enorme vortice di parole e pensieri contorti.
Merda, aveva rovinato tutto.
- Oh, si certo..non preoccuparti.-
Lo aveva detto gesticolando in un modo totalmente impacciato che fece ridere quel ragazzo prima di andarsene chissà dove.
“ Sono una cogliona, una cogliona. “
L’imbarazzo era a mille e come se non bastasse, la ragazzina non si accorse nemmeno di aver finalmente varcato la porta della segreteria.
La mente le si era fermata di nuovo alla vista di sue signore piuttosto robuste che probabilmente la stavano fissando da.. 5 minuti..?
- Cosa vuoi? -
Diavolo, la gente di Berkeley era tutta così.. diretta?
L’unica donna seduta in cattedra la squadrava dalla testa ai piedi, portando gli occhiali alla punta del naso.
“ Cristo, che gente strana. “
Nonostante questo, Christine cercò di presentarsi nel migliore dei modi e, dopo essersi schiarita la voce, parlò.
- Salve, sono nuova..ecco, vorrei i miei orari ed il codice del mio armadietto. -
- Nome? -
- Christine Myers. -
Mentre la donna frugava fra i mille fascicoli che aveva nella sua scrivania, la ragazza si voltò dietro, squadrando l’altra donna che stava imprecando per aver saltato la colazione.
Abbassando lo sguardo, non fece in meno di notare il sedere prosperoso che le scoppiava dentro quei pantaloni un po’ troppo stretti.
 “ ...Spero di non diventare così. “
- Tieni. -
- ..Grazie e buona giornata.-
- Stai attenta la fuori, capito? -
Christine non capì se era interpretabile come una minaccia o una raccomandazione, così si limitò ad annuire a quella donna che sembrava mangiarla con gli occhi.


Sembrava uno di quel telefilm americani che Christine odiava così tanto.. pensava che non sarebbero mai successe cose del genere, finché non accaddero a lei.





______
Mi scuso per il terribile ritardo!
Purtroppo ho molte cose da pensare ultimamente.. (scuola gukjfegvtf).
Aspetto dei vostri commenti su questo nuovo capitolo!
Baci.

Ps. EEHHHH MICHAEL.

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Capitolo 5
*** Capitolo 05. ***


Capitolo cinque.




19 Ottobre 1988.


Berkeley, California.


10.30 




- … Allen e Mitchell, interrogati.-
Christine sospirò di sollievo per non aver sentito pronunciare il suo cognome dalla trepidante professoressa di storia; prese un foglio di carta e cominciò a disegnare cose incomprensibili, mentre il suo pensiero era altrove. 
La scuola era iniziata da quasi un mese e doveva ancora iscriversi a uno dei tanti corsi offerti dalla scuola: scrittura creativa, teatro, cucina, cheerleader, lingue oppure iscriversi a uno dei molteplici club studenteschi (solitamente frequentati da nerd.)
Insomma, quella scuola non era poi così male: rispetto a quella di Santa Rosa si potevano fare molte più attività ed i ragazzi erano molto socievoli e disponibili (ad eccezione del personale scolastico..).
A scuola aveva iniziato con il piede giusto: una sufficiente C al compito di matematica e una splendida B in quello in Letteratura Americana.
Mentre la matita danzava sul foglio formando lettere, intrecci e così via, sentì qualcosa colpirle la spalla, suscitando la risata di alcuni compagni.
Sentì chiamarsi da una voce familiare così si girò, con uno sguardo totalmente perso.
- Chris, quaaa! – Jennifer, la ragazza che le aveva chiesto disperatamente delle lezioni di Letteratura, la stava chiamando in un modo piuttosto esagerato, facendo gesti alquanto strani e improbabili.
- Cosa c’è? -  Bisbigliò, cercando di non farsi notare.
- Puoi venire in biblioteca dopo? Devi aiutarmi! -
Il fatto che una coetanea le stava chiedendo una mano in una materia, la rendeva orgogliosa di sé stessa.
Aveva fatto enormi progressi e finalmente, aveva allargato notevolmente la cerchia dei suoi amici.
Christine le sorrise, annuendole – Però mi devi offrire il pranzo. -
- Sarà fatto.-



-



13.50


- ..Uhm, secondo me devi iniziare così. -  Christine si portò una mano al mento, guardando nel vuoto, in cerca d’ispirazione.
Nel frattempo Jennifer la guardava con occhi speranzosi e colmi di curiosità. – Ti ascolto. -
- Allora … potresti iniziare con una sorta di riassunto, che ne dici? -
- Tipo? -
- Ad esempio … potresti dire che gli autori americani si sono ispirati a dei modelli inglesi ed infine citi due grandi scrittori, come Olson o Stevens. -
Jennifer la guardava un po’, come se stesse cercando di mettere insieme le parole che la sua amica aveva appena pronunciato.
- Posso chiederti una cosa? -
- Certo che puoi..-
- Perché hai quella cicatrice sul braccio? -
Tutto si fermò.



3 Marzo 1978.

Santa Rosa, California.

14.45

Uno sguardo sincero e terribilmente dolce, guardava fiero il capolavoro che aveva appena dato al mondo. Le due piccole mani stringevano quel disegno che aveva creato per l’amata maestra di italiano che nelle sue due ore aveva assegnato ai suoi alunni un compito su “Come vedi la mamma e il papà.” 

La bambina era fiera di sé stessa.
- Maestra, maestra!!! – Senza esitazione corse verso la cattedra, mostrando alla Signorina Matchell il suo disegno.
Christine per l’imbarazzo si portò un dito alla bocca, sorridendo.
- Christine è bellissimo! Ti  meriti una stellina! Sei contenta? -
La bambina lo riprese fra le mani saltellando, avvicinandosi alla maestra che le aveva appena appiccicato un adesivo nel grembiulino rosa.
I suoi genitori sarebbero stati orgogliosi della loro bambina.
Pochi secondi dopo la campanella suonò e la piccola Christine si precipitò verso la sua cartella, avvicinandosi poi, agli altri bambini.
Quel giorno però, suo padre stava tardando più del dovuto.
Erano già passati quindici minuti e Christine era seduta a terra, contando i quadrettini del suo grembiule.
- Uno … cinque … due..otto … - O almeno, ci provava.
“ Dove è finito papà? “ Si domandava di tanto in tanto, guardando il corridoio vuoto.
Poi ad un tratto sentì dei passi avvicinarsi a lei.
La bambina alzò il viso fiduciosa di trovarsi il gran sorriso che suo padre aveva sempre stampato in bocca, ma non fu così.
Due ragazzi, che avevano più o meno l’età di quindici anni si avvicinarono a lei, parlando sotto voce.
Christine era incuriosita dai due e soprattutto ignara di quello che le sarebbe successo poco dopo.
- Cos’è questa merda? – Urlò il ragazzo più robusto, strappandole dalle delicate mani il disegno che aveva accuratamente disegnato per l’unica ragione della sua vita: mamma e papà.
Christine non capì subito e soprattutto fu colpita dal gesto di quello.
- Non rispondi? – Domandò l’altro.
La piccolina cominciò ad impaurirsi e bisbigliò sotto voce.
- Non ti ho sentito! -
- .. P..per mamma e..e papà. – Sperava che il suo unico eroe sarebbe giunto lì  come nelle storie che le narrava sua madre prima di andare a dormire; sperava che quello fosse solo un capitolo interminabile di un libro che conteneva miliardi di parole.
I ragazzi alla risposta della bambina risero di gusto ed il più snello, con uno sguardo compiaciuto, fece l’occhiolino all’altro.
-


La bambina si ritrovò a terra coperta di lividi sul braccio, sdraiata fra i mille puzzle di disegno.
Era distrutta.
Piangeva come non aveva mai fatto prima d’ora, rannicchiata su se stessa.
Poggiò con delicatezza la mano al braccio che le doleva di più, continuando ad urlare disperatamente.
Ma niente.
Era tutto completamente inutile.
- C- Christine! – Poi arrivò.
Ma ella era talmente distrutta che non riusciva nemmeno a pronunciare il nome del suo eroe.
- Oh mio Dio! -
Due forti braccia la accolsero e lei strinse con una mano il bordo della maglietta di suo padre.





-




- Non è niente … Dicevamo? -
La compagna sembrò pensarci, piegando leggermente il viso da un lato.
- HO UN’IDEA! -
La ragazza spalancò gli occhi e fece segno all’amica che erano all’interno della biblioteca e che, in quel preciso istante, la stavano osservando tutti.
- Ho un’idea! – Esclamò, questa volta, a bassa voce.
Christine le sorrise per incoraggiarla a parlare.
- Potrei descrivere TUTTI i romanzi di Charles Dickens, che ne pensi? Dai, è il mio autore preferito! -
Christine scoppiò in una risata, mentre l’amica la guardava storto.
- Dickens è inglese! Non Americano ! -
- Cazzo, me ne ero dimenticata.. - Jennifer, per niente scoraggiata dal suo errore, fece un grosso sorriso continuando a pensare.
Anche Christine stava pensando intensamente a cosa far scrivere all'amica e, proprio mentre stava per dire a Jennifer di aver avuto un'altra idea, la sua visuale fu occupata completamente da un volantino verde scolorito, su cui capeggiava la scritta a caratteri cubitali Green Day.
Allora, ci verrai? -
D’istinto Christine si voltò verso il  proprietario di quella voce maschile, piuttosto comune.
- Mike! –
- .. Hey. –
Spesso, quando i due si incontravano in corridoio si fermavano a parlare.. e presto la ragazza era venuta a sapere che lui suonava in una band.
- Quando ci sarà? -
Michael si accomodò nella sedia affianco, guardandola fiero.
- Questa sera, ore 21, Gilman. -
- Dove ci siamo..? -
- Sì, dove ci siamo incontrati. -
Mike le sorrise, sperando di convincere un’altra persona a partecipare all’evento.
- Spero di esserci..-
- Lo spero, dobbiamo fare il botto! -
Michael sorrise alla ragazza, per poi voltarsi verso l’altra accorgendosi che il loro tavolo che pieno di libri.
- Ah, cazzo.. forse è meglio se io vada. -
Jennifer tirò un sospiro di sollievo e continuò a guardare lo sguardo gioioso della sua amica.
- .. Ciao Michael, a stasera forse .-
- A stasera. -





Berkeley, California.


20.47


Era da quindici minuti che Christine stava cercando disperatamente le chiavi della macchina mentre gironzolava per  casa.
- Mamma, dove hai messo le chiavi della macchina? -
Ma non ci fu nessuna risposta.
- Mamma! -
Christine sbuffò e scese velocemente le scale di casa, ansiosa di fare tardi.
- .. Mamma? -
Il passo della sedicenne si fece sempre più veloce e iniziò a camminare verso la cucina, sempre più ansiosa.


Tre respiri.
Due respiri.
Un respiro.


- MAMMA! -
Il corpo di una donna giaceva a terra.
Un corpo bianco, pallido.
Il colore che spaventa sempre un po’.
Il colore del vuoto, della paura.
Forse era proprio quello il sentimento che provava Christine: paura.
I secondi scorrevano e la paura la stava divorando.
Tutto intorno a lei era crollato.
Ogni singola parete.
Ogni singolo oggetto.
Ogni singolo ricordo.
La osservò per un tempo indefinibile, si buttò addosso a lei, cominciò ad urlare disperatamente.
Le lacrime scorrevano come cascate, la paura era sempre più incolmabile.
In quel momento era sola.


- MAMMA, MAMMA! COSA STAI FACENDO?! SVEGLIATI, MAMMA! -

Ma tutto ciò non occorreva a niente, era tutto completamente inutile.
Le urla erano suoni completamente sordi.

- CHRISTINE! CHIAMA SUBITO UN’AMBULANZA! -
Il padre era corso dalla moglie, stringendole la mano, mentre la ragazzina era corsa al telefono.


Le lacrime continuavano a scendere, la paura continuava ad aumentare.
Era diventato tutto incontrollabile.



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Mi scuso per il ritardo ma ho avuto da fare!
Inoltre ho partecipato anche al concerto dei Green Day a Roma, è stato bellissimo!
Anyway, nel "pezzo" in cui Christine ricorda un frammento della sua infazia, capiamo il motivo per cui lei è una ragazza "chiusa".

Ho cercato di rendere il fatto della madre più tragico possibile, e questo non sarà niente in confronto ai prossimi capitoli..

xx.

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