Catch me, I'm falling

di boobearandhiscurly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** Chapter 9 ***
Capitolo 10: *** Chapter 10 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


ATTENZIONE: questa storia non mi appartiene, io ed Elisa, l’amica che lavora con me, stiamo solamente traducendo con il consenso della scrittrice. La storia originale si trova a questo indirizzo  http://infinitylourry.tumblr.com/Catch_Me_Im_Falling
   e potete trovare Mattie, l’autrice, qui  http://fattietakesthecake.tumblr.com
Buona lettura!
 
 
 
                                                                                                                                                        Chapter 1
 

17 Gennaio - Giorno 1
 
Avevo sempre amato ed odiato allo stesso tempo il reparto di oncologia. Amavo essere lì per i bambini che non avevano nessuno che li ascoltasse, e per quelli che in primo luogo non sapevano cosa dire. Sapere che avrei potuto aiutarli in qualche infinitesimale modo mi faceva andare avanti quando rimanevo sdraiato sveglio, di notte, chiedendomi cosa diavolo avrei dovuto fare con la mia vita.

Fu nel reparto di oncologia che incontrai Harry Styles il 17 Gennaio, in una serata grigia che non prometteva niente di spettacolare.

Presi il suo file da dove era stato lasciato cadere sulla mia scrivania, soppesandolo tra le mie mani. Era pesante, più del normale. Le mie dita fremevano dalla voglia di aprirlo, ma resistetti, sapendo che sarebbe stato meglio andare ad un primo incontro senza aspettative.

Entrai nella sua camera d'ospedale con il mio normale sorriso allegro sul viso, preparandomi ad incontrare il mio nuovo pazione. Era sdraiato semieretto sul letto, i brillanti occhi verdi incollati al computer portatile sulle sue cosce, la faccia tesa e pallida. Aveva  un alone di riccioli marroni disposti ad arco attorno al viso, in un lato un pò arruffati all'ingiù come se ci avesse dormito sopra.

"Ciao" dissi, portando i miei appunti al petto e cercando di avere un atteggiamento amichevole. "Sono Louis."

Non si mosse, sbattendo appena gli occhi. "Ciao. Sei qui per farmi stare meglio?"

Non mi scoraggiai, avevo già ottenuto questo tipo di reazione in precedenza.  Avevo scoperto che mentre tutti desiderano qualcuno da ascoltare, nessuno vuole davvero aprirsi. "Vorrei solo parlare, farti sentire meglio sarebbe solo un piacevole effetto collaterale."

Gettò lo sguardo verso di me, il suo viso ancora vuoto. "Non sei il primo, lo sai."

Annuii. Il mio supervisore mi aveva informato della tendenza del ragazzo a mandare via correndo i terapisti, ma mi piaceva pensare che io fossi più robusto. "Così ho sentito." Camminai timidamente verso il fianco del suo letto,  tirando fuori una sedia. "Ti dispiace se mi siedo?"

Si strinse delle spalle. "Fai pure."

Scivolai sulla poltrona rattoppata, incrociando le gambe sotto di me e guardandolo, cercando di ottenere un contatto con lui. Lui, dal canto suo, ignorò meticolosamente la mia presenza, guardando lo schermo del suo computer come se stesse provando a fare un buco attraverso di esso.

Sembrava piccolo stretto nelle sue coperte, le spalle forti sminuite da una pila di cuscini e  una trapunta avvolta intorno alla vita. Aveva un'aria sconfitta, come se avesse guadato nel futuro e avesse oramai accettato il suo destino.
Indossava la morte come un mantello, lasciandola penetrare nei suoi pori.

"Hai voglia di parlare, o devo solo stare qui seduto per tutta l'ora?" chiesi con fare colloquiale,  appoggiando i gomiti sulle ginocchia e puntando i miei occhi su di lui.

Fece un mormorio vago, mentre lasciava scorrere lentamente il suo dito sul trackpad.

Annuii, accettando la sua risposta. Se non voleva parlare, non c'era niente che io potessi fare per constringerlo, anche per quanto l'avessi voluto. "Okay." Aprii la mia borsa a tracolla, tirando fuori dalla tasca grande la mia copia malridotta de "Il grande Gatsby".

Lo aprì ad una delle pagine con il margine superiore piegato ad orecchio di cane, lasciandomi sprofondare in paragrafi che avevo letto già spesse volte. Lo avevo letto per la prima volta come matricola nella mia classe d'inglese, ed ero stato risucchiato dalle metafore e dal modo in cui le parole si amalgamassero quasi come poesia. Avevo ancora i miei disordinati scarabocchi  a penna, a margine, in cui erano scritte stupide domande retoriche che mi ero evidentemente annotato e che mi avrebbero 'aiutato a comprendere meglio il romanzo.'

L'ora passò velocemente senza che una sola parola fosse pronunciata in quella scura stanza ospedaliera. Non fu il più innovativo primo incontro che avessi mai avuto, e sinceramente sperai che fossi pronto per la sfida di Harry Styles: rimasi fino a che l'orologio digitale sul suo comodino non segno le nove, dopo di che spinsi il mio libro dentro alla borsa e la richiusi.

"Ci vediamo la settimana prossima, Harry." dissi, rivolgendogli un piccolo sorriso. Ero sul punto di girarmi ed andarmene quando parlò, le sue labbra si mossero appena mentre pronunciava le parole.

"Mi piace quel libro."

Feci una paura, leggermente colto di sorpresa. "Anche a me."

Mi fece un piccolo cenno con il capo. “So we drove on toward death through the cooling twilight.”

Cercai di non far sì che la mia mascella cadesse per terra mentre lo guardavo.  Stava citandoa me. Questo cazzo di bambino che aveva pronunciato non più di dieci parole mi stava citanto Gatsby come se fosse stata la cosa più normale del mondo. "E' bellissimo",  balbettai alla fine , e non fui sicuro di cosa esattamente fosse bellissimo,  ma c'era qualcosa e questo qualcosa mi aveva annebbiato il cervello.

"Lo so."

Lo guardai per un lungo momento, in attesa di vedere se avrebbe detto qualcos'altro prima che lentamente mi girassi per andarmente, a malapena ricordandomi di pronunciare un 'arrivederci' da dietro le spalle, mentre uscivo.
 

24Gennaio - Giorno 8


Non spesi tutta la settimana a ripensare alle sue parole. Sarebbe stato stupido. Non aspettai ansiosamente il martedì e certamente non contai le ore che mancavano alle otto.
Entrando nella stanza dell’ospedale, sentii la stranissima mescolanza di speranza e insistente nervosismo. Harry mi lanciò un’occhiata non appena misi piede lì dentro, ma riportò velocemente i suoi occhi allo schermo di fronte a lui, senza alcun cambiamento nella sua espressione.

“Ciao.” Dissi, accomodandomi accanto al suo letto senza alcun invito. Il tessuto blu di pile era ruvido, ma la sedia era comoda e grande abbastanza tanto che potei ripiegarmi su me stesso, infilando le mie gambe verso un lato. 

Fece solo un cenno con il capo come saluto e sembrò che si fosse reinserito nella sua politica di ignorare la mia attuale presenza. Lasciai uscire un sospiro. Me lo ero aspettato, ma savevo sperato che tutto ciò sarebbe stato più semplice.

"Pensi che riusciremo a parlare questa volta?” chiesi, spingendomi un po’ di più nella speranza di poter ricevere un qualcosa in cambio.

“Cosa c’è da dire.” Rispose, con le parole che uscirono più come affermazione che come domanda.

“Potresti parlarmi di te.” Offrii, rifiutandomi di credere che fosse davvero così spinoso fino al midollo. Sarei potuto riuscire a farlo aprire, lo sapevo.

“Qualcuno non ha fatto i compiti.” Sorrise compiaciuto, accennando con il capo ai documenti nelle mie mani.

“Non mi piace arrivare con prime impressioni piene di preconcetti. Preferisco ascoltare te, prima.” Risposi, provando a non lasciare che il suo atteggiamento mi colpisse. Per l’amor di Dio, aveva il cancro, avevo il diritto di essere almeno un po’ insolente.

Sembrò soddisfatto della mia risposta. “Beh, lascia che ti metta al corrente di ciò. Tu sei qui perché io sono depresso.” Disse quelle parole con una certa malizia, una sorta di finto fastidio, come se le avesse sentite un milione di volte e le avesse odiate ogni volta di più. “Perché apparentemente, avere un fottuto tumore al cervello e sei mesi rimasti da vivere a diciassette anni, è qualcosa di cui dovrei essere felice.”

“Nessuno ha mai detto che devi esserne felice.” Dissi, mentre il mio cuore era completamente vicino al suo. Sei mesi. Sei mesi e il suo corpo avrebbe smesso di respirare. “Ma a me sembra proprio che tu ti sia arreso.”

Mi guardò con uno sguardo impassibile. “Mi chiedo il perché.”

Mi morsi il labbro. “Il punto non è quanti anni hai, è che cosa ne fai di questi.”

“Non sai cosa si prova, vero? A sapere che hai solamente 180 giorni rimanenti, a poter fare il conto al rovescio fino a che non muori? A sapere che non importa ciò che fai, accadrà in ogni caso? Sono già morto, Louis. Sono morto il giorno in cui mi hanno diagnosticato il cancro.” Diventò rassegnato, con i suoi enormi occhi verdi pieni di una tristezza tremenda. “Mi perderò, e non c’è niente che nessuno possa fare.”

Scossi lentamente la testa alla sua risposta, un po’ sopraffatto dalla sua improvvisa ammissione. Capivo tante cose sulla morte, non perché ci stavo passando, ma perché la rivedevo in continuazione. C’erano molte persone che non avevano alcuna idea di come fosse la morte, ma non ero mai stato uno di loro. “Da quando ho iniziato a fare questo lavoro, ho visto sette bambini morire. Potrei elencare i loro nomi, la loro malattia, il loro aspetto, e il giorno in cui sono usciti dalla porta dietro.” Gli lancia uno sguardo duro, sperando di riuscire ad arrivare a lui.  
Il primo strato del guscio è sempre il più difficile, irrompere nella vita di quelli che sono diventati esausti e stanchi anni prima, ma ero speranzoso."

“Credimi quando ti dico che so bene cosa si prova.”

“Cosa si prova?” La sue labbra erano disposte in una linea non ordinata, e i suoi occhi mi sfidarono a rispondere.

Presi un respiro profondo, e mi sforzai a rispondere. “E’ come guardare qualcuno scivolare tra le tue dita; non importa quanto tieni duro. Non so cosa si prova a morire, Harry, ma so cosa significa guardare il cuore di qualcuno fermarsi. E so che non potrò salvarti, ma dannazione a me se non ci provo.”

Piegò il capo verso di me, le sue parole erano basse e dure. “E’ un po’ come cadere.”

“Cosa?” Chiesi, quasi insicuro del fatto che avesse parlato del tutto.

“Morire. E’ un po’ come cadere.” Sorrise, nonostante la sua espressione fosse priva di gioia. “E puoi anche vedere il fondo, e sai che lo colpirai. Forte.”

Rimasi senza fiato. “Ciò non significa che non puoi goderti la caduta.”

Alzò le spalle, affondando nuovamente nel suo cuscino. “Suppongo di sì.”

Mi protesi dalla sedia. “C’è qualcosa di cui vuoi parlare?”

Scosse la testa, senza incontrare i miei occhi. “No.”

Mi alzai, accettando la sua risposta. La cosa peggiore che potessi fare in quel momento era fargli pressione. A dire la verità eravamo arrivati già da qualche parte in quella settimana e iniziai a sentirmi cautamente ottimista. Harry Styles non sarebbe stato il più facile da decifrare, ma sapevo di poterlo fare. “Ok, alla prossima settimana, allora?”

“Te ne vai?” Chiese, e per un momento pensai che magari nella sua voce ci fosse una qualche traccia di tristezza, anche se ciò sarebbe potuto essere più un mio desiderio.

“Se non ti va più di parlare, non ho intenzione di disturbarti.” Gli sorrisi. “Se ti viene in mente qualcosa di cui parlare tra ora e la prossima volta, puoi chiedere il mio numero ad una delle infermiere. Chiamami ogni volta che hai bisogno di me.” 

Annuì, senza rispondere. Solamente una volta giunto alla porta, la sua voce mi bloccò, più chiara e più all'allerta di quanto fosse un minuto prima. “Buona nottata.”

“Buona nottata?” Chiesi, scherzando. “Sembra che tu stia imbustando la mia spesa.”

Alzò le spalle, la sua letargica espressione fiorì in una specie di volgare sorriso compiaciuto. “Beh ti stavo controllando.”

Portai velocemente una mano alla bocca, incapace di fermare la risatina che ne uscì. “Questo è completamente inappropriato!”

“Sono sicuro che sopravvivrai.” I suoi occhi sembrarono luccicare e mi parve di poter intravedere del ragazzo che probabilmente avrebbe potuto essere, affascinante, sfacciato, e inevitabilmente adorabile. Decisi cheanche fosse stata l’ultima cosa che avrei mai fatto, l’avrei fatto sorridere in quel modo ancora una volta.

Ricambiai il sorriso. “Buona nottata, Harry.”

Annuì, mordendosi il labbro. “Buona nottata, Louis.”
 
 
27 Gennaio - Giorno 11


Fui svegliato alle 2:35 dalla mano di Liam che mi scuoteva le spalle. Guardai il mio coinquilino con occhi ancora cisposi, a malapena capace di registrare cosa stesse succedendo, mentre lui mi mostrò il cellulare che vibrava nelle sue mani. "Smettila di lasciare il tuo dannato telefono nella mia stanza." Disse, le sue parole assonnate e scocciate.

"Mi dispiace." Mormorai, più divertito dalla sua irritazione che da qualunque altra cosa. Gli sarebbe passata entro la mattina.  Premetti il pulsante verde per accettare la chiamata, appoggiando poi il ricevitore sull'orecchio e sorridendo assonnanatamente mentre Liam mi mandava a quel paese, arrancando indietro verso la sua camera. "Pronto?"

Una voce, morbida e bassa, mi salutò dall'altra parte. "Ti ho svegliato, non è vero?"

"Non ti preoccupare." C'era una ragione per cui solitamente cercavo di tenere il telefono sul mio comodino. Essere un terapista non era esattamente un lavoro part time, si trattava di esserci incondizionamente per le persone che avevano bisogno di te, e le chiamate a tarda notte erano solo una parte della descrizione di questo lavoro.

"Mi dispiace. Ma avevi detto-" fece una paura, e potei udire il chiaro rumore di coperte strusciare tra di loro dall'altra parte della linea. "Se avessi avuto bisogno di parlare..."

Mi misi seduto, facendomi correre una mano tra i capelli arruffati, tirando sù un cuscino e posizionandolo contro la testata del mio letto. "Questo è quello per cui sono qui. Di cosa vuoi parlare?"

"Volevo solo...sentire la tua voce."

Una sorta di calore sfocato mi crebbe nel petto, un sorriso si arricciò sulle mie labbra. "Beh, sono qui. Di cosa vuoi parlare?"

Emise un leggero rumore con le labbra che lentamente si tramutò in parole. "Parlami di te."

Solitamente non parlavo della mia vita con i pazienti. Non che ci fosse una regola che lo vietasse o che altro, solo loro non lo chiedevano spesso ed io non ne parlavo. Ma Harry me lo aveva chiesto ed era tardi e immediatamente sentì l'impulso di dirglielo, di sussurrare i miei segreti attraverso il filo del ricevitore, dritto nel suo orecchio. "Sono nato il 24 Dicembre del 1991. Ho quattro sorelle e sono cresciuto a Doncaster."

Harry mormorò un piccolo 'mhmm' nel ricevitore e io chiusi gli occhi, avendo come l'improvvisa sensazione che lui fosse lì con me, o che io fossi con lui, o che le essenze dei nostri corpi fossero intrecciate in qualche luogo che i nostri corpi non avrebbero mai potuto visitare.

"Mia madre si chiama Jay. Ho un coinquilino che si chiama Liam, che ha una fidanzata che si chiama Danielle e che si arrabbia quando lascio i miei vestiti in giro per l'appartamento. Cosa che faccio. Molto spesso."

Ridacchiò.

"Quando avevo dodici anni.." feci una pausa, pensando se quella fosse l'idea migliore.  Avevo cercato di non parlare di quel mattino, quando il dottore era entrato con un'espressione severa e aveva parlato con mia madre a bassa voce, e lei mi aveva guardato e si era messa a piangere. In più di un modo, era stato il giorno più importante della mia vita, il giorno che mi trasformò in me.
"Mi era stato diagnosticato un linfoma."

Lasciai che le parole si disperdessero nell'aria per un momento, sentendo la mia voce così secca da diventare quasi un sussurro. "L'hanno preso in tempo, ma ho passato un anno facendo avanti ed indietro dall'ospedale. Avevo perso i miei capelli. Avevo perso  44 chili.  Ma non ho mai pensato che stessi per morire. Anche quando ero calvo e stanco non mi sono mai davvero dato pervinto. Non potevo, il mio corpo si rifiutava anche quando la mia mente lo aveva già fatto. Penso che forse qualcosa in me sapesse che dovevo tenere duro."

"E' per questo motivo che fai tutto questo?" chiese lentamente, ed io sperai di poter vedere la sua faccia, per poter leggere le sue emozioni.

"Penso di si. Voglio solo aiutare qualcuno. So che non posso salvare il mondo, ma se solo salvassi qualcuno, anche solo per un piccolo momento, allora ne sarebbe valsa la pena."

Mi fermai, senza parole. Non rispose, la staticità morbida del suo respiro era l'unico rumore nella stanza.

"Penso che forse tu mi stia salvando, Louis Tomlinson." Mormorò, ed il cuore mi sembrò saltare in gola, le sue parole brillarono nel buio come una promessa.

Cercai di dire qualcosa, ma le possibili risposte mi morirono in gola. Strinsi il ricevitore in mano, cercando di trovare un modo per formulare uno strozzato 'grazie'.

"Non hai ancora letto il mio file, non è vero?" chiese, la sua voce era colloquiale, come se non avesse nessuna idea circa l'effetto che le sue parole avevano su di me.

"Non ancora." Avevo programmato di leggerlo con lui il Mercoledì seguente, quando l'avrei rivisto.

"Leggilo." Potei rilevare una nota di stanchezza nella sua voce, come se fosse sull'orlo dell'esaurimento.

"Okay." Mi chiesi cosa avrei  trovato in mezzo a quelle pagine spesse, quali segreti vi fossero nascosti.

"Louis?"

"Si?"

"Sai cantare?"

Feci una pausa, considerando la domanda. Avevo cantato a qualche talent show nella mia vita, ma non mi ero mai considerato un cantante. "Un pochino."

"Cantami qualcosa per farmi addormentare"

"Che canzone?" Avevo bisogno di qualcosa di soft, una ninna nanna da canticchiare attraverso delle linee telefoniche.

"Qualunque cosa tu voglia." Ci fu un sorriso nelle sue parole, caldo e quasi tangibile. C'era qualcosa di lui che mi calmava,  che placava il mio cervello esausto e che rimetteva tutto al suo posto.

Presi un respiro profondo, cominciando a cantare a voce bassa, non volendo svegliare Liam. Ero abbastanza sicuro di essere fuori tempo e che la mia voce scivolasse sgradevolmente sulle note alte, ma ebbi come l'impressione che ad Harry non importasse e quindi non importò neppure a me.

"When you try your best but you don’t succeed, when you get what you want but not what you need.” lasciai che i miei occhi si chiudessero, e mi feci scivolare nuovamente sotto le lenzuola. 

“When you feel so tired but you can’t sleep, stuck in reverse.”

“When the tears come streaming down your face, when you lose something you can’t replace, when you love someone but it goes to waste, could it be worse?”

Il mio sguardo rimase fisso sul soffitto, mentre le note calpestavano il confine tra canzone e sussurro. E quando le dissi, queste non erano solo parole ma promesse. “Lights will guide you home, and ignite your bones, and I will try to fix you.”

Continuai la canzone, il testo discese in un dolce ronzio quando persi il conto delle frasi e quando rimasi con niente se non il coro e la mia promessa. Non ero sicuro di quando tempo ancora rimasi sdraiato così, mandando piccoli pezzi di me stesso giù per la cornetta telefonica, ma quando mi fermai lui non protestò.

"Harry?" chiesi a bassa voce, ma non ci fu risposta dall'altra parte, solo l'inalare ed esalare costante del suo respiro. "Buona nottata."

Pensai di riagganciare, ma alla fine mi girai solo su di un fianco, posizionai il telefono sul cuscino di fianco a me e mi abbandonai al ritmo del suo respiro.


Inala. Esala. Inala. Esala. Inala. Esala.

Il sonno ebbe la meglio su di me.
 






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Buonasera, qui sono Cristina ed Elisa a parlarvi!
L’idea di tradurre questa fic è venuta quasi naturale, sinceramente. Davvero, come potrebbe una meraviglia come questa rimanere nascosta?
Non so, al prossimo aggiornamento! E mi raccomando…non fatevi problemi a scriverci qualsiasi commento, pensiero o che altro. Siete sempre tutti ben accetti qui! :)

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


ATTENZIONE: questa storia non mi appartiene, io ed Elisa, l’amica che lavora con me, stiamo solamente traducendo con il consenso della scrittrice. La storia originale si trova a questo indirizzo  http://infinitylourry.tumblr.com/Catch_Me_Im_Falling
   e potete trovare Mattie, l’autrice, qui  http://fattietakesthecake.tumblr.com

Questo capitolo contiene riferimenti a depressione e autolesionismo, quindi, questo è un avvertimento. Buona lettura! (:
                                                                                                                        

                                                                                                                                                                                        Chapter 2

29 Gennaio – Giorno 13


Lasciai cadere il suo file sul tavolo della cucina, i miei piedi infilati sotto di me, una tazza di caffè appoggiata su un sottobicchiere vicino alla mia mano. Ero ancora in pigiama, godendomi una domenica pigra. Ultimamente ero così stanco, e fu piacevole avere una giornata in cui riposarsi e non fare nulla. Dall’altra parte della piccolissima cucina, Liam si allungò nel mobile, prendendo una scatola di cereali dalla mensola più in alto e versandosene una ciotola. “Nuovo paziente?”

“Relativamente.” Aprii la cartellina, la prima pagina era ordinata ed organizzata, una fotografia sfinita di Harry nella parte superiore, accanto al nome, età, e righe e righe di informazioni personali. “L’ho incontrato martedì scorso.”

Liam annuì assente, immergendo i suoi cereali nel latte. “La nostra affascinante persona che ha chiamato a notte tarda?”

Sorrisi, con il ricordo della sua voce ancora calda e sfocata nella mia mente. “Uno e lo stesso.”  Liam si spostò dalla mia parte del tavolo, guardando oltre la mia spalla per dare
un’occhiata al suo file. “Bei capelli.”

Tirai verso di me il fascicolo giallo. “Confidenzialità del paziente, Liam.”

Tirò fuori la lingua verso di me. “Volevo solo vedere com’era."

“Non devi essere da nessuna parte?” Chiesi, lanciandogli quello che lui chiamava “il sorriso impertinente della regina gay Louis,” qualcosa che probabilmente non avrei dovuto trovare così divertente come in realtà trovai.

“In realtà, sì. Danielle non vuole vedere un film.." Sorrise, alzando il pollice sui suoi cheerios.

“Stai attento.” Risposi, resistendo al desiderio di rotore i miei occhi all’espressione da bambino sul suo viso. Ciò in cui Liam mancava d'intelligenza, riusciva a compensarlo con l’essere completamente adorabile, qualcosa che diventava davvero un problema quando giungeva il momento di schedare le tasse.

“Sai che starò attento, Lou.” Mi fece l’occhiolino, lanciando la sua ciotola nel lavandino e dirigendosi verso la porta. “A più tardi!”

“Ciao, Li!” Richiamai, prendendo un grande sorso di caffè e girando alla seconda pagina, le parole Descrizione del Paziente  stampate nella parte superiore in austere lettere nere.

Feci scorrere lo sguardo fino al fondo del foglio, i miei occhi caddero su due parole che mi tolsero il respiro.  Tentato suicidio.

Le frasi sembrarono offuscarsi. Overdose. Storia di autolesionismo. Ammesso il 12 dicembre. Era solamente due mesi prima. Appoggiai la fronte sulla mia mano, mentre il suo viso
navigava per la mia mente.

Oh Harry, che cosa hai combinato?
 


31 Gennaio - Giorno 15
 
 
Mentirei se dicessi di non aver passato la maggior parte dei giorni successivi a pensare a lui. Sapevo che non avrei dovuto passare così tanto tempo cruciandomi su questo, ma non avevo potuto farne a meno. Ogni tanto avevo sperato di non sentirmi come mi sentivo,  mi stavano sempre così dannatamente a cuore le cose sulle quali non avevo nessun controllo. E questo faceva parte delle ragioni per cui ero così bravo nel mio lavoro, non ero capace di andarmene facilmente.
 
Sentii un improvviso sollievo quando entrai nella sua stanza d'ospedale. Harry era esattamente dove lo avevo lasciato, con le coperte tirate su fino alla vita, il computer in grembo e gli occhi incollati allo schermo. "Sto cominciando a pensare che tu sia attaccato a quella cosa." Scherzai sulla porta, mostrandogli un sorriso amichevole.
 
"L'avevo saldato alle cosce, un paio di mesi fa." Rispose, senza alzare lo sguardo da qualunque cosa stesse facendo.
 
Lo fissai, chiedendomi se fosse possibile che fosse lo stesso ragazzo che mi aveva chiamato così presto di mattina, i cui respiri mi avevano fatto addormentare. Sembrava che, alla luce fredda della stanza d'ospedale, i suoi muri si fossero subito rinnalzati. Potevo ancora vederlo, il ragazzo distrutto dalla voce delicata, ma si stava nascondendo ora. "Allora, stai bene?"
 
"Ho un po’ di mal di testa." rispose, toccando qualcosa sul suo computer.
 
Mi spostai dalla porta, meravigliandomi di come sembrasse essere così viva la stanza di Harry. Il caricatore del computer era stato collegato ad una prolunga di fianco al letto e si snodava sul pavimento fino a raggiungere una presa, il lungo cavo di nastro adesivo arancione a terra. Nel piccolo armadio potei vedere giacche e pantaloni appesi in fila, e qualche paio di scarpe sul pavimento. Il suo comodino era un disastro tra tazze, matite, e alcune fotografie incorniciate raffiguranti dei ragazzi sorridenti, che oramai avevano accumulato un leggero strato di polvere sui bordi superiori. "Chi sono?"
 
"Hmm?"
 
"Le fotografie." Mi inginocchiai, guardando i loro volti luminosi. Harry, che stava tenendo una mano sulla testa, il suo braccio avvolto attorno ad un ragazzo dall'aria pensierosa. Questo stesso ragazzo stava arruffando i capelli di Harry, mentre una ragazza coi capelli scuri e troppo trucco sulla faccia rideva di loro. I tre e un biondo dall'aria allegra su una spiaggia, tutti puntando con lo sguardo a qualcosa fuori dall'obiettivo.
 
"Amici." rispose distrattamente, prima di capire che stavo sperando in una risposta un po’ più consistente. "Mamma ha pensato che mi avrebbero fatto sentire meglio."
 
"E lo fanno?" chiesi, rimettendomi in piedi e occupando il mio solito posto nella sedia accanto al suo letto.
 
"Niente affatto."
 
Rimasi spiazzato dalla franchezza della sua risposta. "Perché no?"
 
Alla fine puntò gli occhi verdi su di me. Erano quasi scioccanti, luminosi, e risplendevano in quella camera piuttosto squallida, incorniciati da ciglia scure che proiettavano ombre nelle cavità scure sotto i suoi occhi. Sembrava stanco, stanco come se non avesse dormito in settimane e come se avesse semplicemente sentito troppo. "Perché sto morendo." disse, come se avrebbe dovuto essere per me.
 
"Hai davvero bisogno di uscire da questa stanza." Riuscivo a sentire il modo in cui aveva quasi messo le radici lì, come fosse oramai praticamente parte della stanza. Lui non stava solo per morire, stava aspettando che accadesse.
 
"Forse domani." rispose, anche se ebbi il forte sospetto che la sua promessa servisse semplicemente per placarmi e convincermi a lasciarlo solo.
 
"Accumula abbastanza domani e ti ritroverai con niente senonché un mucchio di ieri vuoti." dissi. "E in ogni caso, possiamo passare questo incontro con me che ti faccio domande eccessivamente personali o possiamo andare a fare una passeggiata."
 
Lui mi guardò, rendendosi conto che in quella particolare situazione era in mio potere. "Ti odio un po’." disse, scivolando fuori dal letto su piedi instabili, i pantaloni grigi della sua tuta ammucchiati intorno ai polpacci.
 
"Solo un po’?" chiesi mentre mi alzavo in piedi e chiudevo la zip della mia giacca.
 
Catturai un altro scorcio di lui, mentre furtivamente lanciava uno sguardo verso di me, il piccolo accenno di un sorriso sulle labbra. "Solo un po’." Fece poi un cenno verso la porta. "Chiudi la porta, mi sto cambiando."
 
"Stai bene, Principessa" lo rimproverai, sorridendo in direzione della sua maglia stropicciata e dei suoi pantaloni. "Stiamo solo andando fuori per fare una passeggiata."
 
Mi guardò serio, tirando fuori un nuovo vestito dalla valigia sotto il suo letto. "Non sai da quanti giorni indosso questi pantaloni."
 
Abbozzai un sorriso. "Sono sicuro di non volerlo sapere."
 
Fece un movimento rotatorio con le dita. "Girati. I vestiti stanno per essere tolti."
 
Per un momento ebbi la folle urgenza di vederlo, prima che il mio cervello calciasse via questa idea e mi ricordassi che essere squallido con i pazienti, anche quelli con degli incantevoli occhi verdi, fosse probabilmente qualcosa che non avrei dovuto fare. Mi girai, cominciando a giocare con la tracolla della mia borsa mentre lui si sbatteva dietro di me.
 
"Quanto sono carino, su una scala da 1 a 10?" Chiese non appena ebbe finito, posizionando le mani sulla vita e spingendo leggermente in fuori il bacino.
 
"Direi sette. Forse un otto." Risposi con un sorrisetto da furbetto. Stava indossando una maglietta nera dei Ramones che pendeva sulle curve ancora muscolose delle sue spalle e un paio di blue jeans stretti che abbracciavano la linea lunga delle sue gambe. Anche un otto sarebbe stato un vero eufemismo. Sembrava un modello per qualche sorta di colonia costosa, anche con le occhiaie ed i capelli arruffati. Mi resi conto allora che c'era qualcosa di infinitamente bello nelle cose rotte.
 
"Bugiardo. Sono sicuramente da dieci. Forse un 9.8, così siamo in grado di lasciare un certo margine di miglioramento." Si girò leggermente così da poter controllare il suo fondoschiena, poi afferrò un berretto dal comodino e lo incastrò sopra i suoi ricci. Mi piaceva il modo in cui si muoveva, in  improvvisi scatti e piccole torsioni eccitate rimarcate da una calcolata sorta di lentezza che mi ricordava il modo in cui parlava.
 
"Un po’ sfacciato, non credi?" lo presi in giro, sorridendogli mentre si infilò la giacca e si diresse verso la porta.
 
"Fa parte del mio fascino." Non aveva perso la sua insolenza di prima, ma ci fu in lui un calore che non c'era mai stato prima. E questo mi fece pensare che forse, solo forse, Harry non sarebbe stato così difficile da decifrare dopotutto.
 
Portarlo fuori dall'ospedale si rivelò essere una cosa abbastanza facile. Non mi costò nulla di più di un sorriso ed una strizzatina d'occhio alla receptionist che fece cambiare il suo sguardo sospettoso in rossore.
 
"Dove stiamo andando?" mi chiese non appena ci ritrovammo sul marciapiede, i suoi occhi saltavano da un edificio all'altro come se li stesse vedendo per la prima volta. Sopra di noi, il cielo era basso e pesante preannunciando neve, e per un breve momento mi preoccupai del mio viaggio di ritorno a casa. Se le cose fossero andate bene avremmo evitato maggiori manifestazioni di bufere di neve fino a che io non fossi arrivato salvo al mio appartamento.
 
"Dipende. Ti piacciono i cupcakes?" chiesi, aprendo una strada lungo il marciapiede affollato, pieno di pendolari che a malapena ci avevano visto.
 
"Non me lo stai chiedendo seriamente, vero?"
 
Scoppiai in una risata bassa, lasciando scivolare le mie mani nelle tasche foderate di pile della mia giacca mentre un vento gelido si faceva largo lungo la strada. "Mi stavo solo accertando."
 
Lui si limitò a sorridere, una piccola inclinazione verso l'alto delle sue labbra che mi riscaldò in un modo che non era del tutto termico. Aveva nascosto il mento nel colletto della giacca, le mani spinte in profondità, come se raggomitolandosi su se stesso avesse potuto fisicamente evitare il freddo. La sua faccia era rosa, il suo respiro avvolgeva i suoi lineamenti come fumo, turbinava tra i suoi capelli per poi dissolversi nel vento.
 
"Avevo dimenticato che profumo avesse l'inverno." disse piano, alzando la testa e prendendo una boccata d'aria.
 
"Tu non esci molto, non è vero?" chiesi come girammo l'angolo, cercando di combattere l'ombra di tristezza che avevo sentito nelle sue parole. Questo sarebbe stato il suo ultimo inverno, mi resi conto con un sussulto, l'ultima volta che avrebbe camminato attraverso il 17 gennaio e in cui avrebbe potuto alzare lo sguardo ad un cielo nuvoloso.
 
"No." rispose semplicemente, ripiegandosi su se stesso.
 
Camminammo in silenzio per un isolato o due. Io ero a corto di cose da dire e lui era evidentemente contento di condividere quella tranquillità.
 
Lo afferrai per il braccio un paio di minuti più tardi, indicando un'insegna dai colori vivaci. "Siamo arrivati." Aprii la porta, entrando nel piccolo chiosco. Era uno dei miei preferiti, un piccolo foro nel muro con delizioso caffè, deliziose paste e cupcakes ancora migliori. Un fiotto di aria calda ci colpì, spazzando via il freddo dell'inverno.
 
Harry spalancò gli occhi di fronte alle vetrine, ognuna riempita fino all'orlo di prelibatezze meticolosamente decorate. Notai Danielle al bancone, le maniche azzurre arrotolate sino ai gomiti e una leggera spolverata di farina sulla sua pelle color caramello. Mi salutò non appena mi vide e il suo viso s'illuminò. "Hey Louis!"
 
"Hey Dani." Mi diressi al bancone, con Harry stretto dietro di me. "Harry, questa è Danielle. Danielle, Harry."
 
La salutò con un timido movimento della mano, guardando poi verso di me. "La Danielle di Liam?"
 
Annuii, cercando di non sembrare colpito dal fatto che avesse prestato così tanta attenzione. "Proprio lei."
 
Danielle sorrise ampiamente. "Gli hai già parlato di me?"
 
"Solo cose belle." Le assicurai, tirando giù la zip del mio cappotto dato che il calore del negozio aveva cominciato a penetrare nelle mie ossa. "Dunque, avete appena sfornato qualcosa?"
 
Sbirciò in cucina, un piccolo spazio aperto appena dietro al bancone dove altre due ragazze erano intente a glassare una torta piuttosto elaborata. "Bhè, ho appena finito di preparare alcuni cupcakes al cioccolato. Se ne avessi mangiato uno, cosa che certamente non ho fatto, ti direi che erano deliziosi."
 
Guardai verso Harry, che mi rispose con un cenno del capo.
 
"Sembra fantastico."
 
Lei richiamò di nuovo la nostra attenzione. "Volete qualcosa da bere?"
 
"Caffè. Nel solito modo." Danielle era l'unica persona al mondo di cui mi fidassi nel farmi fare il caffè, e questa era una delle tante ragioni per cui speravo seriamente che lei e Liam si sposassero. L'altro motivo, ovviamente, era che erano disgustosamente adorabili, ma questo andava da sé.
 
"Una cioccolata calda, per favore." Harry aggiunse da dietro di me, e rimani ancora una volta colpito dalla bassa e roca qualità della sua voce, da come fluttuò proprio nella pausa della conversazione.
 
Lei gli rivolse un sorriso, lo stesso che aveva reindirizzato verso di me quando aveva attirato la nostra attenzione un momento prima.
 
"Tu vai a prendere un posto a sedere, io arrivo subito." Harry annuii, muovendosi poi verso un piccolo tavolino che si affacciava sulla finestra vicino alla porta posteriore del chiosco.
 
Danielle mi investì non appena lui si trovò fuori portata d'orecchio. "Oh mio dio Louis, è così carino. I vostri bimbi saranno le cose più carine di sempre, oh mio dio."
 
La fulminai con uno sguardo. "1. E' una cosa impossibile dal punto di vista medico e 2. non stiamo insieme. E' un paziente."
 
Il volto le si rabbuiò per un attimo, ma subito ritornò all'espressione precedente. "Ma ti piace."
 
"Bhè, certo che mi piace, è un paziente." risposi,  cercando di mantenere una voce bassa mentre lei stava preparando le bevande. "Non stiamo insieme, Danielle."
 
"Quindi è etero?" chiese, versando la cioccolata calda e aggiungendoci un ciuffo di panna montata.
 
Pensai al suo commento precedente, qualcosa sul controllarmi. "Non esattamente."
 
Quasi rovesciò il cacao mentre si posizionò di fronte a me, l'eccitazione che riempiva ogni suo movimento. "Louis hai bisogno di uscire con questo ragazzo. Ne hai bisogno. E' misterioso (lascia misterioso, non so cosa sia broody) e carino e-oh mio dio, si è tolto il cappello e quelli sono riccioli, Louis. Ricci."
 
Puntai i miei occhi di nuovo verso Harry, il quale era occupato nell'essere immerso nel lavoro a maglia del suo cappello grigio, lo sguardo solenne. Aveva ragione, era carino, molto, incredibilmente e ingiustamente carino. Era però anche qualcuno che avrei dovuto aiutare nel momento del bisogno, non qualcuno verso cui avere una cotta. Sarebbe stato qualcosa di completamente inappropriato. "Non sarebbe professionale."
 
Lei mise il broncio, posizionando il mio caffè affianco alla sua cioccolata e mettendo due cupcakes rosa satinato su piccoli piatti di porcellana. "YOLO, dolcezza."
 
Le lanciai uno sguardo severo. "Ti prego, dimmi che non hai appena usato YOLO con me in modo non retorico."
 
"L'ho appena fatto." fece una pausa, il suo sorriso mi stava prendendo in giro. "YOLO."
 
Alzai gli occhi al cielo, prendendo il nostro vassoio e camminando verso Harry, facendo attenzione a non rovesciare nulla. "Non siamo più amici, Danielle. Non siamo più amici."
 
"Ti voglio bene, Boo Bear!" rispose, il suo grido si dissolse alla fine in risate.
 
Mi sedetti sulla sedia di fronte ad Harry roteando gli occhi. Prese la sua tazza, sbirciando verso di me da sopra il ciuffo di panna montata. "Boo Bear?" chiese, le sue ciglia scomparvero tra i capelli.
 
Morii di vergogna anche se, ad essere sincero, quel soprannome mi divertiva. "Una volta Liam ha sentito mia madre chiamarmi così. Ancora non mi sono abituato ad essere chiamato così."
 
Prese un sorso esitante, procurandosi una piccola linea di schiuma sul labbro superiore. "E' carino."
 
Tu sei carino.
 
Mi bloccai nel momento in cui elaborai il pensiero che mi era appena saltato in mente. Oh santo cielo. Questa era tutta colpa di Danielle. Fui seriamente intenzionato ad ucciderla.
 
Lui mi stava ancora guardando con aria interrogativa. "Stai bene?"
 
Annuii, spingendo la mia mente verso argomenti più sicuri. "Si, sto bene."
 
Harry raschiò un po’ di glassa dalla parte superiore sul suo cupcake con l'indice, leccandola poi via. Piegò la testa di lato, studiandomi. "Louis?"
 
"Si?"
 
"Hai letto il mio file, non è vero." Non riuscivo a leggere la sua espressione. Non era vuota, forse sulla difensiva, un po’ in colpa? E triste. Sicuramente triste.
 
"Mi avevi detto di farlo." dissi, sentendomi improvvisamente come se avessi fatto qualcosa che non avrei dovuto fare, cosa stupida considerando che quello era il mio lavoro.
 
"E' probabilmente meglio che tu sappia." sospirò, e notai il modo in cui appoggiò il braccio sinistro sul lato inferiore del tavolo verso il basso come fosse un'abitudine. Allungai la mia mano, appoggiando l'indice e il pollice sul suo polso, chiedendo silenziosamente il suo permesso.
 
Lui si limitò a sostenere il mio sguardo, restando perfettamente immobile. Feci scorrere la mia mano lungo suo braccio, la pelle pallida del avambraccio segnata da rapide cicatrici rosa. Ce n'erano sei, ordinate e in fila, così accurate da farmi rivoltare lo stomaco. Feci correre le mie dita sulla sua pelle, le minuscole creste in rilievo contro la pelle sensibile dei miei polpastrelli. Poi lo sentì rabbrividire al tocco e per un momento mi chiesi se non mi fossi spinto troppo oltre, ma lui non si mosse,  lasciando solamente che i suoi occhi si chiudessero e stringendo la mano in un pugno.
 
"Perché l'hai fatto?" chiesi a bassa voce, sentendo improvvisamente come se tra l'essere arrivati e l'esserci seduti fossimo caduti nel nostro piccolo mondo.
 
"Perché ero stanco di non provare nulla. C’è stato un tempo in cui sentivo così tanto, ero così terrorizzato e triste e arrabbiato e poi-"  prese un lungo respiro. "Ho spesso di sentire qualsiasi cosa. E non potevo sopportarlo."
 
"Ti ha aiutato?" chiesi, conoscendo la risposta prima che la dicesse.
 
"No."
 
"Ma avevi pensato che ucciderti l'avrebbe fatto?" chiesi, andando solo un pochino oltre, incapace di arrendermi proprio nel momento in cui stavamo andando finalmente da qualche parte.
 
"No." fece una pausa, aprendo gli occhi e lasciandoli vagare per la tavola. Fece scivolare via il suo braccio dalla mia presa, attirandolo a sé come se non volesse più vedere le cicatrici.
 
"Allora perché lo hai fatto?" Avevo avuto a che fare con il suicidio in molte delle sue forme più terribili, e nessuna sembrava davvero rientrare sotto lo stereotipo del "era solo diventato troppo." Ebbi la sensazione che Harry Styles non facesse eccezione.
 
Sembrò deliberare sulla domanda per un lungo momento, portando la tazza di cioccolata fino alla sua bocca  e prendendo un lungo sorso prima di rispondere. "La mia vita è finita un anno fa. Era solo questione di prendere in tempo il mio corpo."
 
"La tua vita non è finita un anno fa, è finita il giorno in cui ti sei arreso. Non sei morto, hai sei mesi da vivere. Non puoi passarli tutti morendo." Dissi, preso dal bisogno improvviso di afferrarlo per le spalle e scuoterlo, per mostrargli cosa si stava perdendo mentre aspettava di scivolare verso un destino che aveva scelto mesi prima.
 
"Ma io sto morendo." rispose, toccandosi le tempie.
 
"Anche io!" sibilai di rimando.
 
"Ma questo è diverso." rispose,la faccia passiva, come se si stesse nascondendo da qualche parte dentro alla sua mente, in un luogo in cui le mie parole non avrebbero potuto raggiungerlo.
 
"Non lo è! Potrei uscire da questo negozio e venire investito da un dannato autobus. Potrei scivolar sul ghiaccio di fuori e rompermi il cranio in due. Ciò non significa che ho intenzione di sprecare la mia vita solo perché un giorno il mio tempo si esaurirà. Tu hai modo di sapere quando morirai, congratulazioni, ora hai una scadenza. Un termine entro il quale fare ogni cosa prima di morire. Capisci quello che sto cercando di dirti? Non puoi pensare alla morte, ma solo alla vita, o la morte finirà per ucciderti." La mia voce aveva assunto una specie di urgenza, il mio intero corpo fremeva dalla necessità che lui capisse.
 
"Ma non posso." disse, con voce bassa e con così tanta malinconia che per un attimo mi chiesi se davvero fosse rotto in maniera irreparabile. "Sto cadendo Louis, e l'ho sto facendo da così tanto tempo che non sono più sicuro di sapere come fermarmi."
 
"Sai, l'unica differenza tra la caduta e il volo è come si atterra." dissi, sentendomi come se stessi citando qualcosa ma incapace di ricordare cosa. "Credo che si possa dire che il mio lavoro è quello di essere il tuo paracadute."  Mi strinsi nelle spalle, imbarazzato per una ragione che non riuscivo ad individuare.
 
"Okay." disse, fissando in basso verso la sua tazza, le mani strette intorno alla porcellana. "Mi dispiace."
 
Presi il mio cupcake e cominciai a staccare l'involucro argento che l'avvolgeva, rendendomi conto di essermene completamente dimenticato nel mezzo della nostra discussione. "Di che cosa?"
 
"Mi dispiace di non essere facile da aggiustare."
 
Mi si mozzò il fiato in un respiro veloce, le sue parole mi avevano colto alla sprovvista. "Non essere dispiaciuto. Niente di questo è colpa tua."
 
Lui annuii, offrendomi un sorriso che cercava davvero di essere un sorriso ma che finì solo con il farmi venire voglia di saltare sul tavolo e abbracciarlo. "Grazie."
 
"Non ti preoccupare." sorrisi, prendendo un pezzetto del mio cupcake, lasciandomi scappare una piccola esclamazione di sorpresa. "Glassa alla fragola. Pensavo fosse solo rosa."
 
Harry portò il suo cupcake alle labbra, assaggiando la glassa sulla parte superiore. "E' abbastanza buona."
 
"Oh Dio, sei una di quelle persone, non è vero?"
 
Sembrò un attimo ferito, la sua espressione resa un po’ più adorabile dalla macchia di glassa rosa sulla punta del suo naso. "Una di quali persone?"
 
Presi un morso grande e borbottai il resto della risposta con la bocca piena di torta. "Una di quelle persone che lecca la glassa per prima."
 
Tirò fuori la lingua verso di me, la tristezza di prima come dimenticata. Era davvero bravo in questo, tutta la farsa del fingere che ogni cosa fosse okay, come se lo avesse fatto per un sacco di tempo. "Mi piace la glassa."
 
"Anche a me." risposi, bevendo un sorso di caffè. "Mi piace sul mio cupcake come dovrebbe essere."
 
"E chi ti rende il re dei mangiatori di cupcake?" chiese, ora sollevando l'involucro e dando un morso all'impasto del cupcake.
 
Schioccai le dita verso di lui. "Io. Proprio ora."
 
Lui ridacchiò, un suono che si trasformò in una vera e genuina risata, che spumeggiò fuori da lui prima che potesse fermarla. Sembrò quasi spaventato dal suono, come se si fosse dimenticato che potesse emetterne di simili. "Non penso che-" si mise una mano davanti alle labbra. "Oh, fanculo."
 
"Cosa?" chiesi, sebbene già lo sapessi. Volevo solo sentirlo dire da lui.
 
"Non pensavo di ricordarmi come si faceva." I suoi occhi erano spalancati, pieni di una sorta di stupore e incredulità che mi fece girare la testa. "Grazie."
 
Aprii la bocca per rispondere, le parole mi sfuggirono. C'era qualcosa in lui, il modo in cui mi guardava, come la sua voce aveva una cadenza così ritmata da lasciarmi spesso senza parole. Non sapevo cosa fosse, ma era speciale in un modo che non avevo mai incontrato prima.
 
I suoi occhi brillarono in direzione della finestra, diventando ancora più larghi. "Louis, sta nevicando."
 
Guardai attraverso il vetro, il mio sguardo cadde sugli spessi fiocchi bianchi che turbinavano nell'aria invernale, appoggiandosi sulle grondaie e sul marciapiede come fossero una piccola spolverata di zucchero. "E' adorabile."
 
"Camminiamoci attraverso." disse, una specie di sorriso timoroso si stabilì sul suo volto.  Sembrava così a casa lì, la sua espressione distesa ed infantile, come se non gli importasse nulla al mondo. In quel momento, nella neve turbinante di quella fresca notte, pensai che forse aveva dimenticato che stava cadendo.
 
Posizionai il mio caffè bevuto solo a metà sul tavolo, mi alzai in piedi e chiusi la zip del mio cappotto. "Va bene."
 
Si alzò, lanciandosi l'ultimo pezzo del suo cupcake nella bocca e dirigendosi verso la porta, a malapena fermandosi ad aspettarmi prima di correre fuori. Faceva freddo, ma nel bagliore arancione degli edifici e dei lampioni mi sentivo stranamente caldo, come se stessi trasportando dentro di me una specie di fuoco che si diffondeva nelle mie vene e che mi riscaldava le ossa.
 
Cominciammo a camminare indietro verso l'ospedale,  affondando nel nevoso paese delle meraviglie intorno a noi.
 
"Non mi è mai piaciuto l'inverno." disse, quasi andando addosso ad un uomo d'affari nel momento in cui era stato distratto dai fiocchi di neve alla deriva. "Ma è...bello, non è vero?"
 
"Tutto è bello se si sa come guardarlo." risposi, guadagnandomi un rumore divertito da parte di Harry.
 
"Sei così dannatamente filosofico." sorrise, fermandosi al passaggio pedonale e fissando in alto verso il cielo, tirando fuori la lingua per catturare qualche fiocco.
 
"Le frasi criptiche sono la mia specialità.” Scherzai, osservandolo mentre aspettavamo che la luce cambiasse.
 
Ritirò la lingua indietro così velocemente da spararmi una risposta. "Dovresti incontrare il mio amico Zayn. Potreste fare una battaglia di citazioni profonde."
 
"Vincerei." risposi, cercando di tenere lontano il sorriso da ebete che era disperatamente vicino dall'irrompere sulla mia faccia.
 
"Non essere così sicuro." Fece un movimento rotatorio su se stesso lasciando che le sue braccia si alzassero e si staccassero dal suo corpo. Lo guardai girare, chiudere gli occhi e girare come se, se ci avesse provato con tutte le sue forze, sarebbe potuto volare via.
 
Guardai come i suoi piedi scivolavano sotto di lui e come cadde tra le mie braccia, il suo peso poggiato sul mio petto. Lui guardò in alto verso di me con ancora le vertigini, i suoi occhi verdi  incatenati ai miei da una luce calda, i fiocchi di neve che si scioglievano sulla sua pelle porcellana.
 
"Ti tengo." lo rassicurai, stringendo la mia presa intorno alla sua vita.
 
Lui sorrise solamente, sembrando completamente in pace. "Lo so."
 
Mi resi conto allora che Harry si sbagliava; non era difficile da riparare, aveva solo bisogno di qualcuno che lo facesse.


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Eccoci con un altro meraviglioso capitolo di questa fanfic! Ci abbiamo messo un po’ per aggiornare, ma non vi preoccupate: da ora in poi lo faremo con più regolarità, almeno un capitolo a settimana (:
Come trovate la traduzione? Per qualunque cosa, come già vi abbiamo detto, fateci sapere il vostro parere: ci aiuterebbe molto e ci farebbe davvero davvero tanto piacere!!
Ora basta però, non vi rubiamo altro tempo! Al prossimo aggiornamento lettori!!
Baci, Eli e Cri. x

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


ATTENZIONE: questa storia non mi appartiene, io ed Elisa, l’amica che lavora con me, stiamo solamente traducendo con il consenso della scrittrice. La storia originale si trova a questo indirizzo  http://infinitylourry.tumblr.com/Catch_Me_Im_Falling
   e potete trovare Mattie, l’autrice, qui  http://fattietakesthecake.tumblr.com
Buona lettura!
 

      
 
                                                                                   
                                                                                                                                                                              Chapter 3
 
7 Febbraio  - Giorno 22
 

La sedia con il tessuto blu ruvido e la pezza di nastro telato sull’estremità cominciava ad essere familiare, diventando lentamente non più la sedia accanto al letto di Harry, ma la mia sedia. Harry sedeva nella sua solita posizione, il computer sulle ginocchia, lenzuola avvolte intorno a lui. Mi lanciò un saluto marginalmente amichevole quando entrai, un “ciao” che, sebbene non fosse allegro, aveva un po’ di vita in sé.

“Qualche programma per oggi?” Chiesi, sistemandomi la borsa sul grembo e spostandomi, così da poter essere di fronte a lui.

Alzò le spalle. “Niente di particolare.”

“Potremmo uscire di nuovo.” Offrii, chiedendomi se avesse atteso con la mia stessa impazienza il nostro incontro. La settimana era sembrata trascinarsi e mi ero ritrovato a contare i giorni fino a quando avrei potuto vederlo di nuovo.  Non volevo che accadesse, ma lui si stava lentamente facendo strada nella mia coscienza. Volevo conoscerlo, conoscere le sue profondità e apparenze e volevo aggiustarlo, più di quanto avessi mai voluto niente al mondo.

Fece spallucce, facendo scivolare il suo computer sulle cosce e strisciando più a fondo nelle  coperte fino a che non si fu sdraiato su di un fianco, gli ampi occhi verdi puntati su di me.  Arricciò la sua mano sul grande piumino blu, portandoselo su sopra alla testa come un cappuccio.

“Non voglio andare da nessuna parte oggi.” Sembrava così vulnerabile tutto arricciato lì, con il naso appena fuori dalle pieghe della coperta,  da farmi sentire di non poterlo spingere a fare qualsiasi cosa. Inoltre, potei immedesimarmi nei  suoi desideri, perché nemmeno io stavo avendo una bella giornata. Uno dei miei pazienti, una ragazza più giovane con un rabdomiosarcoma, un genere di cancro ai muscoli, stava peggiorando, e non ero sicuro che avrebbe superato il mese. In più, non mi sentivo proprio alle stelle, la mia gola era tutta gonfia, come se stessi per prendere un raffreddore, le mie articolazioni erano leggermente doloranti. Improvvisamente, nascondersi sotto una coperta di piumino non sembrò poi un’idea così pessima.

“Hai mai fatto una fortezza di coperte?” Chiesi lentamente, infilando le mani nella tasca della mia felpa,  assaporando la sensazione del pile caldo.

Annuì, con un pizzico di nostalgia negli occhi. “Cher ed io ne facevamo nel mio salotto quando eravamo più piccoli.”

“Ne vuoi fare una ora?”

Sembrò considerare la proposta per un momento, prima di acconsentire, scivolando fuori dalle sue coperte e rimanendo in piedi di fronte a me, guardando  la mia faccia rivolta verso l’alto, con una specie di sorriso. “Okay.”

Mi alzai, togliendo la mia borsa a tracolla dalle spalle e mettendola sulla sedia, per poi allungarmi verso la coperta. “Penso che se la infilassimo sotto al piede del letto, potremmo fare una specie di tenda, giusto?”

Mi lanciò un cenno del capo dall'aria professionale. “Tu fai quello, io prendo i cuscini.”

Tirai la spessa coperta blu verso il letto e verso il fondo, notando come l’intera stanza sembrasse avere un odore appena differente dal resto dell’ospedale. Non riuscii ad individuare con esattezza che cosa fosse, era solamente un’intangibile aurea che parlava del calore di Harry.

Allungai la coperta, fissandola ponendo la gamba della sedia su un angolo e la gamba del tavolo sull’altra, così da regalarci un piccolo triangolo rettangolo di tenda. Harry lanciò alcuni cuscini dentro al rifugio, organizzandoli così che il pavimento di mattonelle fosse completamente coperto, e poi strappò le sue lenzuola, drappeggiando con il cotone sul quale erano stampate delle stelle i lati in vista finché non fummo interamente rinchiusi in quello spazio poco illuminato.

Si stava bene nella fortezza, con la luce proveniente dal corridoio e dalla piccola lampada di Harry che filtravano di colore blu, le ombre si accumulavano nel piccolo spazio. Fu solo una volta sistemati, io appoggiato contro il suo letto, lui sulla sua schiena, con i piedi accanto alla mia testa, che Harry parlò, delicatamente come per non rompere il silenzio che era disceso sopra di noi come fumo. “Louis, stai bene?”

“Sono qui per parlare dei tuoi problemi, non dei miei.” Dissi, evitando la sua domanda mentre cercai di non lasciarmi uscire un sospiro che sorse dal mio petto, cercando di fargli un sorriso. Ero riuscito a contenerlo per tutto il giorno senza problemi, ma c’era qualcosa di questa stanza, il modo in qui i suoi occhi sembrarono attraversarmi, che mi rese impossibile riuscire a mentire ulteriormente.

“Va bene non stare bene, sai.” Disse, fissando in alto il tessuto blu scuro.  “E tu non stai bene.”

Emisi un sospiro. “Lo so.”

E’ più facile qui dentro, però.” Disse,  un piccolo sorriso si fece strada attraverso il suo viso. Lo faceva spesso, i suoi sorrisi non raggiungevano quasi mai la loro piena capacità mentre si arricciavano pigramente sulle sue labbra. Desideravo ridesse ancora, perchè le sue fossette aumentavano le sue guance, come in quelle fotografie in cui era abbronzato e felice e non malato.

“Lo è.” E improvvisamente sentii l’impulso di piangere per ragioni che non riuscivo a spiegare, perché non era giusto, vero? Non era giusto che il suo corpo lo stesse tradendo, perché ragazzi con splendidi occhi verdi e una voce soffice e capelli ricci non dovrebbero morire nel giro di sei mesi.

“Louis?” Stava guardando me ora, la preoccupazione corrugata sulla sua fronte.

“Sto bene.” Dissi, nonostante non penso di essere stato del tutto convincente. Sentii le sue dita avvolgersi intorno alle mie e poi strinsi la sua mano come se fosse un'ancora di salvezza, ed ebbi la debole sensazione che forse lo fosse davvero.

Dopo un lungo momento allentai la presa, riprendendo controllo su di me. Mi sentii un po’ stupido, ero tenuto a tenere i miei problemi personali al di fuori di questi incontri, giusto? Ed in quel momento ero lì, ad avere un crollo emotivo in un rifugio fatto di coperte con un ragazzino che conoscevo da meno di un mese. “Mi dispiace. Non so che cosa fosse.”

Girò il suo viso, così che i nostri occhi si incontrarono, blu contro verde, comunicando un accordo silenzioso. Va bene, ho te.

“Sai che cosa c’è tra una settimana?” Mi chiese, cambiando strategicamente argomento, ma senza lasciare la mia mano. Pensai di lasciarla andare, ma realizzai che non volevo.

“Cosa?”

“San Valentino.”

“E chi potrebbe essere il tuo Valentino, Mr. Styles?” Chiesi, cercando di mantenere la mia voce leggera.

“Il gelato è il mio Valentino.” Rispose, i suoi occhi leggermente brillanti.

“Oh davvero?” Chiesi, lasciando il peso scivolare via dal mio petto mentre appoggiai  la mia testa contro il letto e mi concentrai sulle emozioni delle sue dita tra le mie e sull'alzarsi ed
abbassarsi del mio petto.

“Davvero. Ne abbiamo discusso, i sentimenti sono reciproci.”

“Sono sicuro che i vostri bambini saranno adorabili.” Risposi, desiderando che tutto potesse essere così facile come sedere lì con lui.

“Per non dire deliziosi.” Replicò, guadagnandosi una piccola risata da me che, ad essere onesto, fu molto più di una risatina.

Cademmo in un comodo silenzio, il suono dell’ospedale tenue e silenzioso attraverso le pareti di cotone. Le lontane conversazioni dei dottori e il rumore dei macchinari si trasformarono in un sordo mormorio che non sembrò mai toccarci veramente mentre galleggiavamo nel nostro piccolo bozzolo di confort.  Non era perfetto, ma era ok, ed era tutto quello che potevo desiderare in quel momento.

“Sai cos’è divertente?” Chiese qualche minuto più tardi, la sua voce delicata, come se non stesse realmente parlando con me, ma stesse recitando i suoi pensieri ad alta voce. “In questo periodo, l’anno scorso, pensavamo fossero emicranie.”

Presi una lunga pausa prima di rispondere, cercando di trovare le giuste parole. “Non mi suona affatto divertente.”

Si lasciò scappare un piccolo accenno  di risata, che era triste più di ogni altra cosa. “No, ma suona meglio di ‘sai cosa fa schifo,’ giusto?”

“Credo di sì.” Risposi, scivolando così da poter essere sdraiato accanto a lui, le mie ginocchia sfioravano la parte inferiore della coperta. Ero attentamente consapevole del modo in cui le sue mani si spostarono contro le mie mentre mi muovevo, le sue lunghe dita e ampi palmi rinchiusero le mie nella loro calda presa. Da qualche parte, nel retro della mia mente, sapevo che ce l'avrei dovuta avere con me stesso perchè non ero in grado di rispettare le regole vigenti tra dottore e paziente,  ma non riuscivo a far si che m'importasse più di tanto.

“Ti è stato diagnosticato circa un anno fa, vero?” A dire la verità, era stato abbastanza fortunato; il cancro al cervello era quasi impossibile da diagnosticare in tempo. I miei pensieri si concentrarono sulle cicatrici sul suo polso e mi chiesi se quella rapida diagnosi fosse stata veramente una benedizione.

“Il giorno dopo San Valentino.” Disse, con una nota di malinconia nella voce. “E’ così strano pensare che quella fu l’ultima notte in cui non sapevo.”

Mi ritrovai a chiedermi che cosa avesse fatto nelle sue ultime ore di libertà. Con chi fosse stato, che cosa avesse detto. “Com’è stato il tuo ultimo giorno?” Chiesi, per ragioni estremamente importanti e interamente professionali.

Felice.” La parola fu poco più di un sussurro. “Uscivo con Zayn in quel periodo, anche se non fummo più insieme a lungo, dopo quella notte.”

“Non riusciva a sopportare il cancro?” Chiesi, conoscendo tutto troppo bene, come le persone diventano quando la malattia entra in gioco. Faceva diventare le persone imbarazzate e distanti e molto molto caute, come se il cancro ti trasformasse in vetro.

“L’ho finita io.” Rispose semplicemente. “Avrei solo finito per fargli del male, alla fine. E se n’è andato e ha fatto diventare Niall gay adesso, quindi credo che tutto sia andato nel migliore dei modi.”

Sorrisi mio malgrado. “Povero Niall.” C’era qualcosa di davvero eccezionale nel modo in cui Harry riusciva a farmi sorridere parlando di come aveva rotto con il suo ragazzo perché aveva contratto il cancro. Era come diceva le cose, il modo in cui pronunciava le parole in modo strascicato con la sua bassa e grave voce, come se la vita fosse una grande scherzo in cui l’universo l’aveva lasciato entrare.

“In qualche modo non penso che Niall sia disturbato da tutta questa storia.” Rispose, con un pizzico di divertimento nelle sue parole.

“E di te cosa mi dici?” Chiesi, chiedendomi quando avevo iniziato ad interessarmi a lui.

“Io non esco con nessuno.” Rispose, il suo tono nuovamente serio.

“Perché?” Cristo, sono davvero sembrato deluso?

“Non sarebbe giusto. Non ho abbastanza da donare, non ho tempo a sufficienza.” Si affievolì, come se in qualche modo avesse perso se stesso tra l’inizio e il termine della frase.

“Quindi non proverai nemmeno ad amare qualcuno perché sai già che gli farai del male, alla fine?” Chiesi, desiderando di non riuscire a vedere la logica in quell’affermazione. Non avrei dovuto essere così emotivamente coinvolto, non con qualcuno con così poco tempo.

“Ho speso l’ultimo anno assicurandomi di non avere nessuno rimasto da ferire.” Sembrò così solo in quel momento, così disperatamente solo che strinsi forte la sua mano nella mia, cercando di trasmettergli  una qualche specie di conforto attraverso il nostro contatto.

“Non puoi salvare nessuno spingendolo via. Le persone si interessano, devi lasciare che lo facciano.”

“Beh, non devono preoccuparsi di me.”

Mi si mozzò il fiato, le parole che volevo dire sospese sulle mie labbra.


Io devo.


Ma in qualche modo ero abbastanza sicuro che non fosse ciò che volesse sentirsi dire, perciò mormorai l’unica altra cosa a cui potevo pensare. “Okay.” E in realtà non lo era, perché Harry stava precipitando e in qualche modo avrei finito per scivolare insieme a lui. Volevo solo prendere tutto il suo dolore e lasciarlo vivere di nuovo, perché non stavo solamente cadendo, mi stavo innamorando di lui e non ero sicuro di sapere come fermarmi.

“Hai ancora Gatsby nella tua borsa?” Chiese dopo un lungo momento, scuotendomi dal mio sogno ad occhi aperti.

“Penso di averlo levato.” Risposi, con la voce leggermente tremante per una ragione che non riuscivo proprio ad indicare con esattezza. Rimettiti a posto, Tomlinson.

“Nessun altro libro?”

“Forse.” Raggiunsi sotto la gamba di Harry e tirai la borsa sul mio petto, frugando attraverso il suo contenuto e trovando il volume blu che Danielle aveva ficcato nelle mie mani qualche giorno prima, dichiarandolo ‘un’assoluta perfezione’ e una ‘montagna russa di emozioni.’ Non ero molto sicuro di che cosa una montagna russa di emozioni fosse, ma mi assicurò che era una buona cosa. Glielo mostrai. “Si chiama The Fault In Our Stars.”

Mi sedetti, lasciando scivolare via le sue mani mentre lo aprii per leggere la parte interna della copertina.

“Di che cosa parla?”

“Di una ragazza. Di cancro.” Risposi, sfogliando le prime pagine, passando le dediche e alcune citazioni riguardanti i tulipani.

Fece una smorfia. “Non ne hai abbastanza già da queste parti?”

“Evidentemente Danielle crede di no.” Scorsi verso il fondo della prima pagina, lasciando che i miei occhi si immergessero nelle righe di lettere ordinatamente stampate. “Non so, non sembra così male.”

“Leggimelo.” Disse, strisciando verso dove io ero sedevo e appoggiandosi lungo la ringhiera del letto, le sue gambe allungate davanti a lui, piedi scalzi incrociati all'altezza delle caviglie.

“Adesso?”

“Hai altri piani?” Chiese, alzando un sopracciglio verso di me.

“Non particolarmente.” Afferrai un cuscino dal lato opposto della fortezza, infilandolo dietro di me e sistemandomi. Harry era appoggiato sul mio fianco, con la testa sospesa sulla mia spalla come se volesse farla appoggiare lì ma non fosse sicuro che potesse e fosse spaventato di chiedere il permesso. Sorrisi, assaporando il delicato solletico dei suoi ricci sulla mia spalla mentre iniziai, la fioca luce blu appena sufficiente per leggere.

"Nel tardo inverno del mio diciassettesimo anno di vita, mia madre decise che ero depressa, presumibilmente perché uscivo raramente di casa, spendevo la maggior parte del mio tempo nel mio letto, leggevo lo stesso libro in continuazione, mangiavo infrequentemente, e dedicavo molto del mio tempo libero pensando alla morte.”

“Mi piace.” Harry interruppe delicatamente quando mi fermai per riprendere fiato.

Gli lanciai un’occhiata di finto fastidio che fece solamente illuminare un piccolo sorriso sul suo viso. “Non riesco a leggere se mi interrompi.”

Si girò, affondando il suo naso nella mia spalla e borbottando la sua risposta nel cotone della mia maglietta. “Mi dispiace.”

Cercai di ignorare il modo in cui il suo respiro si fece sentire sulla mia pelle. “Non è vero.”

Guardò verso di me, un asimmetrico sorriso compiaciuto sul suo volto. Mi piaceva quell’espressione, era scaltra, un po’ sporca, e sembrava essere piena di segreti che scoppiavano per essere raccontati. “E’ vero, non mi dispiace.”

Tornai a guardare acutamente il libro, iniziando di nuovo, con autorità. Fu silenzioso dopo ciò, con la testa appoggiata sulla mia spalla, inizialmente come tentativo, poi con più sicurezza.

Pensai a quello che aveva detto mentre leggevo, a come aveva speso l’ultimo anno accertandosi di non avere più nessuno da ferire. Non ero sicuro che lo sapesse ancora, ma come mi ero seduto nella penombra ero certo che avrebbe finito per fare del male a qualcuno.


Quando sarebbe morto, avrebbe portato via un pezzo di me con lui.
 





 
 
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Siamo state veloci, non trovate?
Grazie a tutti quelli che, nel bene o nel male, continuano a seguire questa fanfic.
Un abbraccio,
Eli e Cri.

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Capitolo 4
*** Chapter 4 ***


                                                                                                                                      Chapter 4
 

14 Febbraio - Giorno 29
 

C'è differenza tra sapere e capire. Sapevo che Harry stava morendo, sapevo che aveva così poco rimasto da vivere e che ogni momento lo portava un po’ più lontano da me, ma non lo avevo davvero capito fino a quella sera.

La sua stanza, come di consueto illuminata dalla lampada che aveva agganciato alla testata del suo letto, era buia, l'unica luce ad irrompere nella camera proveniva dalla porta.

Attraverso l'apertura delle tende, tirate fino al mezzo, potei scorgere la sagoma della sua fragile figura avvolta in una coperta blu, morbida ed indistinta nella penombra.

Come feci cautamente un passo oltre la porta, un'infermiera che riconobbi vagamente sbucò fuori da dietro la tenda, un sorriso irruppe sulla sua faccia nel vedermi.

"E' un piacere vederla, Signor Tomlinson." Sussurrò, scarabocchiando qualcosa di veloce sul suo block-notes e appoggiandolo poi sul fianco, puntando in direzione di Harry. "Ha avuto mal di testa tutta la mattina, uno abbastanza forte da quello che si può vedere, quindi non so se gradirà compagnia."

Fece qualche passo indietro verso il punto in cui giaceva disteso, la sua voce assunse un tono rassicurante.

"Harry, hai un visitatore, va bene?"

Ci fu un lungo momento di silenzio prima che lui lasciasse sfuggire un 'si' così sommesso da essere a malapena udibile. Lei mi fece un cenno con il capo, spostandosi pronta ad
andarsene. "Provaci e cerca di essere quieto. E' molto sensibile alla luce e al rumore. E assicurati di chiudere le tende quando te ne andrai."

Lasciai che mi passasse affianco, poi entrai nella piccola alcova di fianco al suo letto e chiusi la tenda mentre nel frattempo posizionai con cura sul pavimento la mia borsa a tracolla. Non appena i miei occhi cominciarono ad abituarsi, i punti e i contorni del suo viso vennero messi a fuoco, i suoi tratti circondati da uno sfocato alone di tenebre. Nel semibuio sembrava una specie di angelo, e mi chiesi per un attimo se non fosse troppo bello per questo mondo.

Guardarlo fu strano. Mi fece attorcigliare qualcosa dall'interno, i miei organi sembrarono riordinarsi alla vista di lui, lasciandomi confuso ma in qualche mondo in pace, come se forse fossero stati sbagliati prima. Scivolai fuori dalla giacca e focalizzai il mio sguardo sul pavimento, sentendomi in imbarazzo per una ragione che non riuscì ad individuare. Mi era mancato la settimana precedente, mi era mancato durante i miei altri appuntamenti, durante le mie cene allegre in compagnia di Liam, e in quelle notti in cui Danielle ci aveva trascinato in discoteca. Era lecito dire che mi era sempre mancato un po’, che si era in qualche modo insinuato dentro alle mie ossa.

Mi guardai intorno cercando la mia sedia, scoprendo che dall'ultima volta in cui ero stato lì questa doveva essersi alzata e doveva essersene andata.

Appesi la mia giacca alla spalliera del letto e mi mossi per sedermi sul pavimento, poco disposto a lasciarlo fuori dal mio campo visivo, ma al corrente del fatto che non sarei potuto stare lì in piedi per tutta l'ora. Lui sporse una mano fuori dal letto, le sue lunghe dita si arricciarono e distesero lentamente come se stesse cercando qualcosa a cui aggrapparsi.

Prima che potessi pensare due volte a quello che stavo facendo, allungai la mia mano verso la sua lasciando che le mie dita stringessero le sue. Si tese brevemente al contatto, le nostre mani armeggiarono una contro l'altra prima di intrecciarsi, la sua presa forte e disperata.

"Lou." Respirò, come se la parola gli causasse del dolore fisico.

"Harry non devi parlare, va bene." Risposi, spostandomi sulle mie mani e sulle ginocchia.

Non disse nulla per un lungo momento, poi finalmente, due parole. "Vieni qui."

Mi alzai lentamente, lasciando che le sue dita scivolassero dalle mie mentre camminavo attorno al letto, sedendomi sul materasso con più delicatezza possibile. Lui aprì i suoi occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte prima di trovare i miei, grandi e vitrei e pieni di dolore. Mi chiesi se fosse dovuto al mal di testa, o a qualcosa di completamente diverso.

Allungai il braccio quasi involontariamente, la mia mano trovò la sua guancia, strofinando la sua pelle pallida.
"Buon San Valentino."

Canticchiò sottovoce in risposta, prendendo il mio polso libero e utilizzandolo per guidarmi in una posizione orizzontale. Mi sdraiai al suo fianco, la silhouette del suo viso offuscata nella luce bassa. Non avrei dovuto farlo, sapevo che non avrei dovuto, ma tutto di lui faceva si che il mio corpo vibrasse di qualcosa che poteva essere descritto solo come una grande, non rimpiazzabile calma.

Spostai una mano sopra la sua, lasciandomi sprofondare nella tenerezza del momento, come se in qualche modo con il contatto della nostra pelle avessi potuto portare via tutto il suo dolore. Mi lasciai affondare nel materasso, le mie palpebre divennero pesanti. Ero abbastanza sicuro che mi sarei potuto addormentare lì e non svegliarmi mai più, solo Harry ed io nel buio.

Stare con lui era come leggere un libro che qualcuno ti ha già anticipato. Sapevo come sarebbe andata a finire, con la vita che abbandonava il suo corpo mentre il tumore lo consumava, ma giravo comunque le pagine, nella vana speranza che forse sarebbe potuta andare a finire diversamente.

Così rimasi con lui ed assaporai la vita all'interno di quelle pagine numerate. Chiusi gli occhi, lasciando che le nostre dita rimanessero incatenate insieme.Insieme, ci siamo tenuti nel buio.


         xx


Mi svegliai lentamente.

Non ero davvero cosciente, più vagamente consapevole della pallida luce blu e di coperte vellutate e di una forte aura di contentezza. Non c'erano dubbi, solo calma e il dolce fruscio di cose senza alcuna importanza.

Ero in un letto. Non era il mio, ma in qualche modo questo andava bene. C'era una mano nella mia, una calda e adorabile mano a cui era molto importante rimanere aggrappato. La mia pelle era solo un po’ umida, la camera solo un po’ troppo calda. La cintura dei miei jeans era premuta contro la pelle del mio bacino, le maniche della mia camicia erano strisciate sino ai bicipiti. I vestiti della scorsa notte...

Mi mossi e un tranquillo rumore che a tratti era simile al russare mi portò solo un po’ più lontano dal sonno. Potevo sentire il debole odore di antisettico dell'ospedale mescolarsi con qualcosa di confortevole.Harry. I miei occhi si spalancarono, e mi chiesi quando fosse diventato mattino. Non avevo intenzione di addormentarmi lì, solo stare sdraiato con lui per l'ora, ma come guardai alla sua figura addormentata non potei davvero convincermi a pentirmene.

La luce del sole si insinuava dallo spazio tra la tenda ed il soffitto, illuminandolo di pallidi riflessi dorati. Eravamo quasi naso a naso, ognuno sul proprio fianco così che i nostri
corpi si fronteggiavano. Sembrava così fragile, come se il più piccolo contatto avrebbe potuto romperlo. Lasciai che le nostre mani si separassero con la massima cura, portando le mie dita sulla sua guancia, sentendo l'impulso di toccarlo, ma con quella paura irrazionale che lui si potesse sgretolare sotto i miei polpastrelli.

Pensai allo sguardo nei suoi occhi quando mi aveva visto per la prima volta. Mi ricordai di aver pensato che sembrasse sconfitto, come se fosse vuoto dentro. Ora, guardandolo dormire di fianco a me mi chiesi se magari consumato fosse la descrizione più adatta. Per tutti i suoi discorsi sulla morte e sull'arrendersi aveva mollato sino a questo punto, e nella nebbiosa illogicità mattutina mi chiesi se in qualche modo fosse solo stato in attesa di essere trovato da me, affinché raccogliessi i suoi pezzi rotti e lo aggiustassi nell'unico modo di cui ero a conoscenza.

Lasciai che le mie dita sfiorassero i suoi ricci, caldi e setosi sotto i raggi del sole. Sembrava a malapena reale, e mi meravigliai di lui, i miei occhi trovarono le sue labbra appena dischiuse e l'incavo del suo collo e il modo in cui il suo petto si alzava e si abbassava ad ogni respiro.

Un piccolo suono squillante raggiunse le mie orecchie, portandomi a dirigere la mia attenzione sulla borsa che avevo abbandonato sul pavimento. Indugiai per un lungo momento
prima di scivolare fuori dal letto e recuperare il mio telefono, tre messaggi che illuminavano lo schermo.


9:32 Liam

           -Dove sei?

9:33 Liam

         -Sei almeno tornato a casa la notte scorsa?

10:01 Liam
 
         -Se non mi chiami entro 5 minuti supporrò che tu sia morto.

 

Non potei trattenere un sorriso di fronte ai suoi messaggi, digitando velocemente un 'non sono morto, non ti preoccupare, babe.' per assicurargli che facessi ancora parte di coloro che vivono nella terra dei vivi. Mi misi la giacca, feci scivolare la borsa sul mio collo e lanciai un ultimo sguardo ad Harry.

Sapevo di dovermene andare, soprattutto perché avrei dovuto fare una doccia prima del mio primo appuntamento della giornata, ma le mie gambe sembravano non voler funzionare nel modo giusto, facendomi trovare invece con le ginocchia premute sul lato del suo letto.

"Ciao Harry." Sussurrai a nessuno in particolare. "Ci vediamo la settimana prossima."

Mi chinai lentamente, non del tutto sicuro di ciò che stessi facendo, fino a quando le mie labbra non trovarono la sua fronte e lasciai sulla sua pelle un bacio leggero. Lui a
malapena si scosse alla pressione del mio tocco, e io mi raddrizzai, sentendomi un po’ frastornato.

"Buona giornata."

Non lo fu fino a che non mi trovai sul treno diretto a casa, un ridicolo sorriso fissato in modo permanente sulla mia faccia non appena un pensiero mi venne in mente.


Forse non stavo solamente riparando Harry, forse lui mi stava salvando.

 




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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


ATTENZIONE: questa storia non mi appartiene, io ed Elisa, l’amica che lavora con me, stiamo solamente traducendo con il consenso della scrittrice. La storia originale si trova a questo indirizzo  http://infinitylourry.tumblr.com/Catch_Me_Im_Falling e potete trovare Mattie, l’autrice, qui  http://fattietakesthecake.tumblr.com
Buona lettura!
                                                                                                                      


                                                                                                                                                        Chapter 5

16 Febbraio -  Giorno 31
 

Mi sedetti sul divano nel più ampio significato del verbo, i piedi appoggiati alla cima dei cuscini, la testa pendente da un lato, e il cellulare in mano. Danielle era poggiata accanto a me, assorta in un particolare ed avvincente episodio di “Dance Moms” mentre Liam arrangiava qualcosa per pranzo nella cucina. Dani mi aveva costretto a restare a casa, dopo aver notato la mia tosse e praticamente forzando un termometro giù per la mia gola, solo per poi scoprire che avevo la febbre. Odiavo cancellare appuntamenti, ma forse aveva ragione. Avevo cercato di combattere la malattia per settimane, e magari qualche giorno di riposo era quello di cui avevo veramente bisogno.

Rigirai il telefono tra le mie dita, considerando se fosse troppo presto per mandare un messaggio ad Harry. Dato che la nostra ultima sessione era stata interrotta dalla scomoda realtà della sua malattia, speravo che potessimo incontrarci di nuovo per recuperare il tempo perso, prima della seguente sessione.

Non era solamente il fatto che lo volessi vedere di nuovo. Sarebbe stato stupido.

Aprii un nuovo messaggio, tenendo il mio cellulare a due pollici dalla faccia, e iniziai a scrivere.

   Ci vogliamo vedere qualche volta prima del prossimo incontro?

Fissai le parole, cancellandole con un sospiro. Sembravo un fottuto tipo alquanto inquietante.
   
   Ciao, saresti disponibile ad avere un altro incontro dato che…


Beh, questo non suona affatto imbarazzante, bravo Tomlinson.

Danielle mi tocco con il dito del piede, sporgendosi per cercare di dare un’occhiata allo schermo. “A chi stai scrivendo?”

Strinsi il mio telefono al petto, cercando di non sembrare colpevole e, giudicando dallo sguardo sul suo viso, stavo fallendo miserabilmente. “Nessuno.”

“E’ un ragazzo?” Chiese, i suoi occhi grandi dall'emozione mentre io maledicevo in silenzio le interruzioni pubblicitarie.

“Non sono affari tuoi.” Risposi, emanando un’aria di distacco al meglio delle mie possibilità.

Si sporse ancora di più, la televisione completamente dimenticata. “E’ il tuo fidanzato, quel ragazzo riccio?”

Liam apparì sul ciglio della porta con una vaschetta di spaghetti. “Quale fidanzato?”

Danielle si girò di scatto. “Quello che è venuto con lui alla panetteria la scorsa settimana, e che sta cercando di nasconderci!”

Afferrai un cuscino e lo premetti contro il mio viso, lasciandomi sfuggire un gemito. “E’ un paziente, Danielle! Un paziente!”

Diede al mio cuscino un colpetto piuttosto forte. “Un paziente che devi frequentare. E’ la definizione in persona del bello imbarazzante, e se non lo prendi, lo farò io.”

“Dani, e’ gay e tu hai un fidanzato che è qui in questa stanza.” Risposi, entrambi divertiti e un po’ afflitti dal suo continuo sollecitare.

“Sembrava una buona minaccia al momento.” Rispose, buttando i suoi piedi sul mio petto. “Hey Liam, ti dispiace portarmi un po’ di pasta?”

Esitante, levai il cuscino dai miei occhi, percependo che, nonostante non avesse  nemmeno lontanamente finito con questo argomento, me ne fossi liberato, almeno per il
momento. Continuava a lanciarmi sguardi diretti, ma i suoi occhi non facevano nulla se non scintillare di felicità mentre portai nuovamente a me il telefono e feci un terzo tentativo di mandare un messaggio ad Harry.

   Hey, non siamo proprio riusciti a parlare giovedì scorso, ti interesserebbe riprogrammare?

Lo esaminai per un istante, poi inserii una faccina sorridente alla fine, inviandolo prima di pensare di lasciar perdere.

Rispose circa un minuto dopo, il che suppongo non fosse poi tanto sorprendente considerando che trascorreva la maggior parte del suo tempo con il suo computer all’interno della sua bolla personale.

       12:32 Harry

          Va bene.

      12:32 Harry
          Vieni quando ne hai voglia. Non mi allontano esattamente cosi tanto.
 
Sorrisi, immaginando l’espressione sul suo viso mentre componeva il messaggio, la sarcastica cadenza che avrebbe assunto la sua voce, se avesse pronunciato quelle parole. Accettante,  quasi autoironico, e un po’ stanco.
 
      12:33 Louis
          Domani alle 4?
     
      12:33 Harry
          Attendo il piacere della tua compagnia con il fiato sospeso.
 
Iniziai abbastanza velocemente a trovare un po’ impossibile mandargli messaggi, in quanto il bisogno di rispondere ad ogni suo messaggio con ‘Gesù cristo, sei adorabile’ rendeva difficile formulare risposte concrete.
 
       12:34 Louis
           Okay. (:
      
       12:34 Harry
           TFiOS?
      
       12:34 Louis
           TFiOS.
       
       12:35 Harry
          Okay.
 
Fissai il soffitto, chiedendomi da quando respirare normalmente fosse diventato cosi difficile.
 


17 Febbraio - Giorno 32

 
Camminai rapidamente lungo il corridoio dell'ospedale, ancora cercando di riprendere fiato dopo aver tentato di spingere il mio corpo decisamente non atletico su per le scale. Avevo percorso circa metà del corridoio in cui si trovava la stanza di Harry, quando una melodia giunse alle mie orecchie. Era un suono strano da sentire in un ospedale, ma certamente non uno di quelli spiacevoli.

"And I know that we can be so amazing, and baby your love is gonna change meee and now I ca- No! No, fermati coglione!" La canzone si era fermata di colpo con un clangore di corde di chitarra e con uno stridio di risate, tutti proveniente dalla camera di Harry.
Aveva compagnia?

Sembrava strano che Harry avesse degli amici, ma mi aveva parlato di loro, e avevo visto le foto, quindi non mi sarebbe dovuto sembrare così strano. Penso che ciò derivasse da una piccola parte del mio subconscio che considerava Harry mio. Lui era il mio paziente dai capelli ricci che amava ascoltarmi leggere e che faceva fortezze con le coperte e che leccava la glassa dalla parte superiore dei suoi cupcakes. Direi che era semplicemente strano doverlo condividere.

Mi soffermai sulla porta, notando il semicaos che c’era sul letto vuoto accanto a quello di Harry. La chitarra giaceva abbandonata sul pavimento mentre il ragazzo dai capelli scuri, Zayn, ero abbastanza sicuro si chiamasse così, aveva un biondo alto e magro inchiodato sotto di sé sul letto e lo stava solleticando senza pietà mentre questo ansimava oscenità tra una risata e l'altra. Harry, che stava osservando lo spettacolo con una aria di divertimento distaccato, puntò lo sguardo sulla mia figura, un piccolo sorriso apparve sul suo viso.

"Ciao" Salutai con una mano, usando l'altra per giocare con le mie bretelle di un rosso luminoso.

"Curioso incontrarti qui." Rispose Harry dal trespolo del suo letto. Non era completamente sotto le coperte, avendo optato invece per l'avvolgersi il piumino attorno alla maglietta, coprendosi così le spalle. Si voltò verso i suoi amici che stavano ancora lottando. "Heilà, Terra degli Omosessuali, mi sentite?"

Non ci fu alcuna risposta dai due, che a quel punto non si stavano più facendo il solletico a vicenda ma che avevano cominciato a ridacchiare e stavano lasciando che le loro mani scorressero sul corpo l'uno dell'altro. 
Lui roteò gli occhi in mia direzione, alzando un po’ la voce. "Oh! Smettetela di tastarvi e levatevi dal cazzo. Mi avevate detto che ve ne sareste andati per le tre e mezza e ora sono quasi le quattro."

"Cosa Harry, hai qualche posto in cu-" Iniziò Zayn, prima che i suoi occhi si posassero su di me. Shock e confusione lampeggiarono brevemente sul suo viso prima che un sorriso sghembo si facesse strada sul suo bel viso. "Harry è estremamente scortese quando cerca di nascondere persone eccitanti da me e Niall. Potrei considerarlo come un tradimento in piena regola, non sei d'accordo Nialler?"

Niall rise, un forte suono gioioso che fece comparire un sorriso sul mio volto. "E' fottutamente terribile. Proprio un comportamento spregevole."

"Sai, penso ci sia solo un modo per poter rimediare." Disse Zayn, premendo pesantemente il dito sul mento ispido.

Niall si appoggiò in grembo a Zayn. "Lo stai pensando anche tu?"

"Penso che ce lo debba presentare."

Niall annuì entusiasta. " Si Harry, il tuo fidanzato segreto?"

Harry si strofinò le tempie, come se i due gli stessero procurando dolore fisico. "E' il mio terapista, completi sacchi di idioti che non siete altro, e lo stavo nascondendo da voi per la sua sicurezza."

"Harry, caro, non sei per niente simpatico. Quando si vedono culi come questo non si può fare altro che toccarli. Velocemente poi." Rispose Zayn, pizzicando Niall nel fianco proprio quando lui aveva trovato una posizione comoda nel sul grembo, mandandolo quasi fuori dal letto.

Harry si girò verso di me. "Mi dispiace. Li controllerei se potessi."La sua faccia si inarcò nel suo normale mezzo sorriso stanco, ma come guardai da più vicino vi trovai sotto uno strato di allegria che ebbi la sensazione stesse facendo del suo meglio per sopprimere.

"Non ti preoccupare, va bene. Voglio dire, io ho un gran bel culo." Sorrisi, lasciandomi scivolare la giacca dalle spalle e lasciandola cadere sopra ad un mucchio sul pavimento.

Zayn mi fece un occhiolino giocoso, tornando a baciare Niall sulle labbra. "Penso che questo sia il nostro segnale, Niall."

"Va bene." Sorrise lui smagliante. "Mi porti ancora al cinema, non è vero?"

"Qualunque cosa per te, baby." Rispose Zayn scherzando, sorridendo indulgentemente al suo fidanzato.

Harry, per la terza volta, roteò gli occhi di fronte alle loro buffonate. "Divertitevi, ragazzi."

Zayn, che aveva lasciato libero il letto e stava tirando su Niall, si girò a guardare Harry. "Prenditi cura di te, Riccio." E per un momento potei vedere l'amico che si trovava dietro al suo sorriso pigro ed ai commenti provocanti. C'era una notevole nota di interesse in qualunque cosa dicesse, un sottofondo di calore e confort, segnato solo da un po’ di tristezza che stava cercando al suo meglio di non lasciare che toccasse Harry.

"Lo farò Zaney." Rispose Harry, lanciando all'altro ragazzo un sorriso genuino.

Zayn annuì, lasciando un bacio veloce sulla sommità della sua testa mentre Niall rimetteva la sua chitarra nella custodia. "Bene."

Si girò poi verso di me, tirando fuori la mano. "Assicurati che si comporti bene." Afferrai la sua mano, sorpreso dalla ferocia del suo sguardo. Sembrava che quando
Harry aveva affermato di non aver lasciato più nessuno da ferire, avesse fatto un grande errore di calcolo non tenendo in considerazione Zayn
. Da tutta la sua spavalderia e allegria, sembrava che il ragazzo dai capelli scuri non fosse ancora così pronto per lasciar andare Harry.

"Lo farò." Risposi, cercando di comunicare in qualche modo la mia comprensione a Zayn. Con Harry, entrambi ci eravamo ritrovati sulla stessa barca del "mi-importa-troppo".
La barca degli affetti fuori luogo che stava affondando.

Niall prese la chitarra, premendo un bacio sciatto prima sulla guancia di Harry e poi sulla mia. Fu veloce, sorprendente e un po’ strano, ma in qualche modo fu bello in un modo che non mi riuscivo a spiegare. "E' stato un piacere conoscerti." Disse vivacemente, il suo sorriso quasi troppo grande per la sua faccia, mentre si dirigeva in direzione di Zayn, afferrando poi la sua mano come se, se avesse aspettato a lungo, questa se ne sarebbe potuta andare.

Fu solo dopo che si fecero strada nel corridoio che Harry si lasciò sfuggire un lungo sospiro, avvolgendosi ancora ulteriormente nella sua coperta e passandosi una mano tra i riccioli scompigliati ad arte. "Gliel'ho detto un milione di volte che non devono venire." Disse infine. "Pensi che quando hai il cancro forse cominceranno ad ascoltarti, ma cazzo non lo fanno."

Sembrava stanco, come se avesse rinchiuso la malattia dentro di lui e ora questa si era riversata sopra all'assenza dei suoi amici, la sua facciata stava rapidamente cadendo a pezzi. "Un milione di fottute volte e ancora si ostinano a venire. Cher ha finalmente smesso qualche mese fa, Ed, Olly e Perrie un po’ prima, ma cazzo Zayn e Niall..." Si spostò indietro, facendo scivolare i suoi piedi sotto le coperte e nascondendosi tra le pieghe del tessuto come se avesse potuto dissolversi in esse, se solo ci avesse provato con tutto se stesso.

Sentii improvvisamente come se avessi troppe parole rinchiuse dentro di me, tutte le frasi del mondo imballate nel mio cervello, ma niente da dire. Dio, di solito ero così bravo in questo, questo riportare i pezzi di nuovo insieme con le parole, ma guardandolo tutto era diventato inutile. "Non puoi impedire alle persone di curarsi di te." E questa fu una cosa totalmente di merda ed inadeguata da dire, ma l'avevo detto e non c'era modo di riprendermelo indietro.

"Ma io lo voglio." Disse, la sua voce ovattata e morbida, come se avesse inalato da fuori un giorno nuvoloso e ora lo stesse espirando fuori da sé.

"Questa è una cosa sull'amore," dissi, citando in parte il volume blu che si era insinuato nel mio cervello dal giorno in cui avevano fatto quella fortezza di coperte. Non c'era niente di singolarmente spettacolare in esso, ma c'era qualcosa di perfetto nel modo in cui le parole scorrevano tra le pagine e l'onestà dei personaggi che mi aveva spinto a rileggere la sezione 'Harry' e l'avevo riniziato almeno tre volte nel corso dell'ultima settimana e mezzo. "Chiede di essere sentito."

"Mi venne in mente allora che non c'era nessuna differenza tra gli uomini, per intelligenza o razza, così profonda come la differenza tra il malato e il sano." Rispose, anche lui con la cadenza di qualcuno che stava recitando qualcosa che aveva memorizzato tempo prima. Guardando Harry avevo avuto la vaga sensazione che fosse più grande sul suo piccolo corpo, come se avesse troppo nella testa e nel suo cuore a confronto dei sei mesi che gli rimanevano, e questo era quello che lo stava uccidendo più del cancro.

"Cosa?"

Alzò lo sguardo verso di me, tutto innocenza e grandi occhi verdi. "F. Scott Fitzgerald. Gatsby."

"Certo." Avevo sempre avuto una strana affinità con quel libro, un romanzo di sogni in decomposizione e d'amore e di una luce sempre irraggiungibile, alla fine del molo, e si adattava a lui come un guanto.

Si guardò le mani, e fui colpito dalla strana idea che fosse sul punto di piangere, prima che si girasse di nuovo verso di me con una domanda negli occhi, indicando con un dito semicoperto dalle lenzuola il libro nelle mie mani. "Potresti leggere per me solo per un po’?"

"Dovremo pur parlare qualche volta." Dissi, come se ci fosse una reale possibilità che io rimanessi in piedi a guardare la sua faccia.

Sorrise debolmente tenendo la trapunta e facendo spazio per me sul letto, accanto a lui. Vi salii senza pensarci due volte, perchè Harry era fatto così, tutto emozioni e calore.

Mi lasciai cadere sul materasso, aprendo il libro nel punto dove ci eravamo fermati e cominciai a leggere."Quel pomeriggio, mamma acconsentì a prestarmi la macchina, così avrei potuto guidare fino al Memoriale per far visita ad Isacc." Mi sono strofinato pigramente la gola, notandovi un po’ di gonfiore. Speravo che non stessi per avere il raffreddore, anche se supponevo che quello fosse ciò che meritavo dal momento in cui trascorrevo tutto il mio tempo in ospedale. "Mi feci strada fino alla sua stanza al quinto piano, bussando anche se la porta era aperta."

... O avrebbe potuto essere cancro. Sondai il mio collo, cercando di reprimere il panico che stava facendo del suo meglio per stritolare le mie vie respiratorie e per far battere il mio cuore fuori dalla mia cassa toracica. Ero libero dal cancro da anni, preoccuparmi di questo avrebbe certamente solo provocato stress inutili alla mia esistenza già emotivamente tormentata.

Continuai a leggere, lasciando che mi perdessi nella storia e nel fianco di Harry premuto contro di me. Ci misi dieci pagine buone prima di riportarmi in uno stato di calma, e altri cinque minuti per notare che Harry stava cercando davvero davvero con forza di non piangere.

"Haz?"Chiesi, posando il libro sul mio grembo e guardando giù verso di lui.

"Sono così egoista." Disse con voce strozzata dopo un lungo momento, stringendo così tanto la coperta tra le dita da far diventare bianche le nocche delle sue mani. "Dio, sono così fottutamente egoista."

E all'improvviso mi venne in mente che quando Harry aveva detto che voleva che le persone smettessero di preoccuparsi, non aveva parlato solo di Zayn e Niall.

"Non voglio stare da solo e so che non vogliono farmi visita perchè sono malato e loro non sono malati e...voglio solo morire, Louis. Voglio morire e non ferire più nessuno. Non voglio più fare del male a nessuno." Era uscito tutto velocemente, incespicante e tremante, come se le parole l'avessero corroso dentro, fino a che non le aveva lasciate uscire.

Lasciai che il libro cadesse dalle coperte, raggiungendolo e attirandolo verso di me, aggrovigliando le mie dita tra i suoi capelli ed appoggiando la sua testa sul mio petto fino a quando non fu così vicino da permettermi di sentire ogni singolo respiro irregolare che faceva. "Zayn ti vuole bene Harry. Ti vuole bene e io-" Appoggiai il mio mento sui suoi ricci, fissando  una piccola crepa lungo il muro. "Lo ferirai, non importa quando forte lo spingi via da te. Niall anche. Non vogliono che tu provi ad allontanarli. Tu pensi di essere egoista pechè non puoi lasciarli andare, ma sei egoista nel momento in cui cerchi di farlo a tutti i costi."

Lasciò cadere le mani dalla coperta, avvolgendole lentamente intorno alla mia vita, le sue dita delicate e morbide."Sono a corto di tempo."

Le sua parole lanciarono una fitta di tristezza attraverso me. "Non pensarla in questo modo. Non puoi contare i giorni, devi viverli."

Fece un singhiozzo svogliato e io portai una mano alla sua guancia, asciugandogli la lacrima che era sfuggita ai suoi tentativi di trattenersi. "E' strano," disse, la sua voce lentamente calmatasi. "E' come se io non possa decidere se voglio morire o vivere per sempre."

"Credo che vivere per sempre sarebbe terribilmente triste." Risposi, immaginandomi come avrebbe potuto essere il sapere di poter sopravvivere a dispetto di tutti quelli che hai incontrato nel corso della tua vita. "Diventeresti così solo."

"Non se si ha qualcuno che vivrà per sempre con te." Rispose allentando la sua presa su di me, ma senza lasciarmi andare. Sentivo che il suo breve tracollo emotivo stava passato, le parole si dissipavano nel nulla una volta che le aveva tirate fuori.

"L'universo non è di questo genere.", risposi.

"Nessuno ha mai detto che lo fosse." disse piano. E in quel momento non era più lui che mi stava stringendo ma ero io, perchè io avevo bisogno di lui e della sua voce morbida per lavare via tutto il vuoto che era cresciuto nel profondo del mio stomaco e la paura constante che il cancro sarebbe tornato e la strana intangibile consapevolezza che i tutti i nostri giorni erano contati.

Quella era la cosa strana di Harry, allo stesso tempo mi aveva distrutto e rimesso tutte le crepe a posto.

Liberò una mano dalla presa sulla mia maglia, allungandosi per raggiungere il libro che giaceva chiuso sulle coperte.

"Vuoi che legga per te?" chiese.

Feci del mio meglio per rimettermi in sesto, e per lo più ci riuscii. "Se vuoi."

Fece un mezzo sorriso, sfogliando le pagine. "Capitolo sei?"

"Si." Mi sistemai nella testata, lasciando che i toni gravi della sua voce disegnassero la storia. Leggeva lentamente, fermandosi solo un po’ troppo a lungo dopo i paragrafi,
ma era rilassante piuttosto che irritante, e avevo trovato una specie di morbida sicurezza nelle sue parole.
 

Era un'ancora, che mi teneva fermo, e con lui non fluttuavo più.

 

 
 

________________________________________________________________
 
Scusate davvero il ritardo nella pubblicazione di questo chap ma sono stati giorni abbastanza impegnati per entrambe e a volte il fuso orario ci penalizza un po’ (la cara Elisa attualmente è in America a fare il quarto anno, per cui coordinarci è un po’ impegnativo) MA siamo ancora qui, no?

He was an anchor, holding me in a place, and with him I wasn’t floating anymore.”

Vi salutiamo con l’ultima frase, avrete presto nostre notizie! :)
Buonagiornata,
Eli e Cri

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Capitolo 6
*** Chapter 6 ***


                                                                                                                                                                                                                                                                         Chapter 6
 

 
21 Febbraio - Giorno 36
 

 
 
Sapevo appena entrai che quello era un Buon Giorno. Era stato abbastanza soleggiato per tutto il pomeriggio, almeno a Londra, con sottili raggi che scivolavano attraverso il manto di nuvole. Quella che era iniziata come una giornata piacevole era sbiadita in un bel tramonto violetto, gli ultimi raggio del quale stavano penetrando dalle tende di Harry. Era sdraiato con il capo a fondo del letto, la testa appoggiata alle sue mani, gli ultimi minuti di quello che sembrava un episodio di Skins trasmesso alla televisione appesa alla parete.
 
Sorrise in modo sbilenco quando mi vide, rotolandosi così che la sua pancia fosse all’insù.
 
“Skins?” Chiesi, notando il ritorno della mia sedia blu e tirandola così da poter vedere la tv. Danielle, Liam ed io avevamo proceduto a fatica attraverso la prima e la seconda stagione quando ci eravamo ritrovati tutti con l’influenza dopo esserci trasferiti insieme, e la maggior parte dei miei ricordi dello show erano offuscati dal delirio e dalla malattia.
 
“Episodio numero 4, sto facendo la maratona della prima stagione da tutto il giorno. Mi sto divertendo, anche se non penso che le infermiere stiano apprezzando le quantità di ‘fanculo’ attualmente provenienti dalla mia stanza.”
 
“Beh, di certo ravviva il posto.” Risposi, tirandomi la borsa in grembo e guardando Tony e Sid svolazzare attraverso lo schermo. “Allora, come stai oggi?”
 
Galleggiante.” Rispose, deliziandosi della qualità criptica della sua risposta.
 
“Oh, davvero?” Chiesi con un sorriso, questa nuova esuberanza che si strofinava via da me. Mi ricordai la prima volta in cui l'avevo incontrato, quando non voleva nemmeno incrociare il mio sguardo. Era incredibile vederlo ora, i flash del ragazzo che avrebbe potuto essere che si mostravano ogni volta che mi guardava. Non riuscivo ancora a credere che si fosse aperto in quel modo, era veramente incredibile, e ciò fece attorcigliare il mio stomaco in una sorta di felicità privata. Certamente, era ancora malato, ma ciò era lasciato ai margini invece che a saturare il suo corpo.
 
Mi fece un occhialino giocoso. “Anche se questa potrebbe solo essere l’eroina.”
 
Mi scappò una risata prima che mi potessi trattenere, il modo in cui si stava attorcigliando sul letto combinato alla completa illogicità della sua affermazione resero impossibile mantenere un’espressione seria. “Babe, se fossi sotto eroina, non penso saresti proprio così carino.”
 
Sussultò, facendo svolazzare le ciglia verso di me. “Stai dicendo che sono carino?”
 
“Per essere un pallido, riccio eremita non sei così male,” risposi, chiedendomi che cosa avesse stimolato quell’improvviso buon umore.
 
“Qualcuno sembra felice.” L’infermiera di due settimane prima era affacciata alla soglia della porta, un’espressione amichevole sul suo viso.
 
“Così felice come solo una morte lenta e dolorosa potrebbe essere.” Sogghignò in modo asimmetrico in mia direzione mentre rispondeva, come se la battuta non fosse stata affatto rivolta a lei.
 
Lei lanciò un sorriso incerto, guardandomi per valutare se stesse scherzando o meno. “Abbiamo aumentato i suoi antidolorifici, per cui sarà un po’ iperattivo fino a che il suo corpo non si abituerà. Non sarà nemmeno tanto stabile sui suoi piedi, anche più del solito.”
 
Beh, questo spiegava certamente il quasi abbandono della sua calma precedente. Decisi che un po’ mi piaceva in quel modo, sarcastico e anche un po’ volgare, ma dipinto da una qualità più accesa e stupida.
 
“Bene, grazie.” Le offrii il mio miglior sorriso professionale.
 
Ricambiò il sorriso, evidentemente soddisfatta della mia apparente responsabilità. “Chiamami se hai bisogno di me.”
 
“Lo farò.” Le mandai un saluto, tornando a guardare Harry, che stava ancora sorridendo verso di me dal letto, le sue dita tracciavano l’orlo della sua maglietta in un modo che a dire la verità era abbastanza distraente.
 
“Beh grazie al cielo ce ne siamo liberati, eh?”
 
Lui annuì intelligentemente. “Ew. Ragazze.”
 
Estrassi il suo fascicolo dalla mia borsa, usandolo per colpirlo sulla gamba. “Non tutte le ragazze sono male. Danielle fa dei cupcakes da paura, ricordi?”
 
“Lei è accettabile.” Sorrise, le fossette che tagliavano la sua pelle pallida. Mi mancò il respiro, la leggera, libera qualità nella sua espressione mi rendeva difficile respirare. Steso sul letto, con forti antidolorifici e cattiva televisione, sembrava felice.
 
“Che cosa facciamo oggi?” Chiese, allungandosi verso l’alto così che la sua maglietta si alzasse, rivelando una striscia di pelle pallida. Rimasi impressionato dalla lunghezza del suo torso, tutto muscoloso e lungo mentre portava le sue braccia sopra al capo. Non aveva mai veramente smesso di muoversi da quando ero arrivato, un cambiamento impressionante dal suo normale e letargico essere a quei dimenamenti di quella palla di ricci che aveva al posto dei capelli.
 
"Che cosa vorresti fare?” Chiesi.
 
“Qualcosa di divertente.” Rispose, infilando le mani nuovamente sotto al capo.
 
“Beh, cosa ti piace?” Afferrai i miei occhiali da lettura, facendoli salire con tanta indulgenza e aprendo solennemente il suo file. C’era un breve paragrafo informativo nella seconda pagina che ero intenzionato a leggere, ma i miei occhi si posarono su una data leggermente in alto. “Harry, semplicemente non riesco a crederti.” Dissi in segno di disapprovazione, dando un colpetto alla pagina e lanciandogli un’occhiata da sopra la mia montatura nera.
 
Le sopracciglia gli scomparirono tra i capelli. “Che cos’ho fatto ora?”
 
“Beh, hai completamente trascurato di dirmi che è il tuo compleanno.”
 
Mi rispose con una piccola alzata di spalle. “E' l'ultimo. Non volevo farne uscire un evento.”
 
Le sue parole arrivarono come un colpo, ma cercai di non lasciare che dolore e compassione venissero mostrate sul mio volto. Non ne aveva affatto bisogno in quel momento. “Beh, questa è una ragione buona come le altre per renderlo speciale, non è vero?”
 
“Credo.” Il sorriso di prima sbiadì lasciando posto ad un sorriso più spoglio, le sue labbra si piegarono tristemente su un lato. Decisi allora che non c’era nulla che non avrei fatto per vedere di nuovo le sue fossette.
 
Chiusi il suo fascicolo, facendolo scivolare di nuovo nella borsa tra il portafoglio, TFiOS, un mucchio di scontrini, e caramelle per la tosse, per gli attacchi di tosse che avevo avuto per tutta la settimana. Non è il cancro, non il cancro, definitivamente non il cancro. “Almeno dimmi che hai avuto una torta.” Dissi, cercando di ignorare il sudore nervoso che mi stava facendo formicolare le mani alla luce di quei pensieri negativi.
 
Alzò lo sguardo verso il televisore, mordendosi il labbro colpevolmente mentre cercava di evitare il mio sguardo.
 
“Harry, è il tuo compleanno e non hai nemmeno ricevuto una torta?!” Esclamai, alzandomi in piedi di soprassalto. “Tutto ciò è completamente inaccettabile. Dov’è il tuo telefono, chiamiamo la cucina e esigiamo una torta.”
 
Emise un lungo, interminabile rumore disperato che finì per suonare come la più piccola risatina. “Nooooooo Louis nooo! La torta qui ha il sapore di cartone e tristezza.”
 
“Cartone e tristezza dici?” Spostai lo sguardo da lui alla chiara serata fuori, e un piano si formulò nella mia mente. “Beh, hai voglia di un'avventura?”
 
Il suo sorriso crebbe, non abbastanza da fermare la terra, con accecanti proporzioni di fossette, ma  abbastanza da portare alla luce un malizioso sorrisetto che fece brillare i suoi occhi. “Che tipo di avventura?”
 
“Il tipo che finisce con una torta.”
 
Si mise a sedere, lasciando i suoi capelli di lato in un'onda di riccioli. “Beh, sai cosa penso delle torte.”
 
Sorrisi, chiudendo la mia borsa da postino e muovendo le mie dita verso di lui. “Andiamo, Haz.”
 
Raggiunse le mie mani, intrecciando le sue dita nelle mie e lasciandomi trascinarlo su. Mantenne una posizione retta per un momento, prima di vacillare un po’ e collassare nelle mie braccia con uno scricchiolio. Mi guardò, grandi occhi verdi e sorridenti, ed io ebbi la stranissima sensazione che fosse caduto appositamente. “Oops.”
 
“Ti ho preso.” Risposi, spingendolo in una posizione quasi verticale. “Cosa c'è, i viaggi alla panetteria di Danielle ti rendono impossibile mantenerti in piedi?”
 
Non mi lasciò andare, e che fosse stato per la sua stabilità o no, non ne ero sicuro. Era, a dir la verità, un po’ più alto di me, e dovetti leggermente guardare in alto per incontrare i suoi occhi quando si alzò raggiungendo la sua normale altezza. Per la maggior parte erano i ricci, ma mi superava di uno o due centimetri. “Credo che i prodotti del forno mi facciano tremare le ginocchia.”
 
“Sono conosciuto per essere quasi svenuto alla vista di una ciambella particolarmente buona.” Risposi, cercando di non mostrarmi troppo coinvolto dal fatto che le mie braccia fossero ancora avvolte intorno alla sua vita e le sue fossero appoggiate sulle mie. Sapevo di starmi comportando come un pre-adolescente, ma non riuscii ad evitare le piccole farfalle che presero a svolazzare nel mio stomaco alla nostra vicinanza. Potevo sentire il suo respiro sulle mie labbra, i suoi occhi che sostenevano i miei con un barlume giocoso, e come si stava rendendo un po’ offuscato tutto quello che si trovava intorno a noi.
 
“Penso di poter arrivare all’armadio da qui.” Disse dopo un lungo momento, la sua voce calma e quasi divertita. Annuii, lasciando cadere le mie braccia e guardandolo mentre tirava fuori la sua giacca con una stabilità moderata.
 
"Senza offesa, ma riuscirai a camminare per tutto il percorso fino a là?” Chiesi, guardandolo vacillare per la camera d’ospedale, quasi cadendo mentre si allacciava le converse bianche.
 
Guardò in alto, un sorriso sfacciato sul suo volto. “Cosa, quindi non stavi pensando di trasportarmi per tutto il cammino?”
 
Incrociai le braccia sul petto. “Pensi onestamente che io potrei portarti?”
 
Si alzò, chiudendo la giacca fino al mento. “Non si sa mai.”
 
“Penso che ti dovrai accontentare di essere spinto, trasportarti è un po’ fuori dal reame del possibile.” Risposi, puntando un dito alla sedia a rotelle collassata contro la parete vicino alla finestra.
 
Diede un'occhiata alla sedia e poi di nuovo a me, facendo una faccia che era simultaneamente sia adorabile che completamente terrificante, prima di dirigersi verso la sedia, aprirla, e farsi cadere sul liscio fondo blu. “Andiamo veloce.”
 
Portarlo fuori si rivelò persino più semplice rispetto all’ultima volta. Non c’era nessuno alla reception, e riuscimmo ad arrivare all’ascensore e fuori dalla porta senza alcun problema. Era una serata piacevole per essere Febbraio, solamente resa ancora più piacevole dal tranquillo ronzio di Harry e il nostro minimo chiacchierare mentre lo spingevo lungo il marciapiede.
 
L’amichevole luce della panetteria fu come un'insegna di benvenuto per i miei muscoli stanchi e per i miei polmoni ansanti, e gli diedi una spinta finale attraverso l’uscio della porta nel negozio caldo. Allungai le mie braccia in alto, sopra la testa, prendendo un lungo respiro di aria profumata di dolce e stimolando così un attacco di tosse piuttosto spettacolare.
 
Ci fu un piccolo litigio nel retro, prima che Dani facesse capolino da dietro una cremagliera raffreddante. “Louis!” esclamò, strofinando le mani sul suo grembiule e dirigendosi verso il bancone, i suoi occhi che si illuminarono quando vide il mio ospite. “E anche Harry?”
 
Annuii, lanciandole un’occhiata severa, mentre i suoi occhi si muovevano da me a lui con allegria ed eccitazione. “Possiamo prendere in prestito la tua cucina?”
 
Posò una mano sul fianco. “Prendere in prestito?”
 
“Occupare temporaneamente.” Aggiunse Harry, sciogliendo le gambe ed alzandosi, le sue dita che strinsero forte il mio avambraccio per restare in equilibrio.
 
“E’ una questione di vita o di morte.” Spiegai seriamente, mentre Harry annuiva in segno d'approvazione.
 
Lei fece roteare i suoi occhi. “Sai che chiudo alle otto.”
 
“Vantaggio per il cancro?” Harry offrì speranzosamente, lanciandole il suo miglior sorriso sbilenco. Dio, era così fottutamente affascinante quando voleva esserlo.
 
“Louis, lo faccio solo perché il tuo amico è molto molto carino.” Disse dopo una pausa deliberante, facendomi notare che mi stava guardando e girandosi stancamente del tutto verso il registratore di cassa, cominciando a contare i guadagni della giornata.
 
Sorrisi, sapendo che Danielle non era mai stata capace di resistere a sorrisi adorabili; quella era una delle ragioni per cui amava Liam cosi tanto. “Grazie Dani, sei la migliore.” 
Condussi Harry in cucina, appoggiando leggermente la mia mano sul fondo della sua schiena per far si che rimanesse in piedi.
 
“Si, lo sono!” Mi richiamò lei, il suo tono che ammorbidì le parole.
 
“Sai che posso camminare da solo.” Sussurrò Harry, mentre ci stavamo dirigendo verso l’accogliente cucina, ma non fece alcuna mossa per staccarsi dal leggero tocco della mia mano.
 
Inarcai le sopracciglia verso di lui. “Puoi veramente?”
 
“Per la maggior parte.” Rispose, dirigendosi verso il bancone e sollevandocisi su. “Che tipo di torta facciamo?”
 
“Stavo pensando ad una al cioccolato, con glassa alla vaniglia?” Mi allungai per prendere un libro di cucina da uno degli scaffali, esaminando la familiare copertina rossa. Servivano per lo più come decorazione, visto che Danielle aveva memorizzato quasi tutte le ricette a questo punto, ma io non ero cosi incline all’arte culinaria.
 
Lessi la lista dei contenuti nell'indice e i miei occhi caddero su quella che era etichettata come ‘Supreme Chocolate Cake.’ “Ti sembra buona?” Chiesi, girando alla pagina giusta e sollevando il libro così che Harry potesse vedere.
 
Lanciò un cenno rimbalzante, tenendo le mani piegate verso il di fuori. “Sembra perfetta.”
 
Anche tu.” Gli lanciai un sorriso, cercando di farla sembrare una battuta, anche se a giudicare dal leggero rossore che si insinuò tra sue guance e dal calore che sorse sulle mie, ebbi la sensazione di non aver avuto del tutto successo. Che diavolo era, poi? Tutta questa cosa stava diventando ridicola. Harry era un paziente, un paziente morente che non frequentavo e probabilmente mi stavo degradando. Non avrebbe funzionato, non importava quando lo desiderassi. Non c’era nessun lieto fine per noi.
 
“Leggimi gli ingredienti. Anche se dovrei farti sapere che non sono il migliore quando si tratta di cucina." Dissi, muovendomi verso la cremagliera reggendo due larghi tubi di farina e zucchero e evitando il suo sguardo. Anche se detestavo ammetterlo, ero spaventato da quello che avrei potuto trovarvi.
 
“2 tazze di zucchero, in una ciotola.” Cominciò, la bassa vibrazione della sua voce calmò i miei nervi esausti. Afferrai i misurini e una larga ciotola blu, raccogliendo una grande tazza.
 
“Sai che in realtà devi eliminare l’eccedenza alla cima, vero? Altrimenti è più di una tazza.” Disse, ed ebbi il forte sospetto che volesse ridermi in faccia. Le cose tra di noi non sembravano capaci di rimanere imbarazzanti a lungo, perché Harry era veramente facile. Se  io ero un confusionario fiume tortuoso senza un inizio o alcun concetto di destinazione, Harry era un enorme lago, dalla superficie calma, che lasciava che tutto scivolasse sotto la superficie.
 
“Era quello che stavo facendo.” Mentii, facendo scorrere il dito lungo la parte superiore della tazza e mandando cristalli in cascata su di me, sul pavimento, e parzialmente nel cestino.
 
“Sicuro.” Rispose, un piccolo sorriso che scappò dalle sue labbra.
 
“Fanculo.” Risposi facilmente, versando le due tazze nella ciotola.
 
“2 tazze di farina dentro con quello.” Aggiunse, dondolando i suoi piedi avanti e indietro così da sbattere contro gli armadietti.
 
Mi spostai verso la farina, misurando attentamente le due tazze e lanciandogli di nascosto degli sguardi. Al termine, finii con il ritrovarmi farina su tutto il davanti e polverizzando le mie toms rosso acceso.
 
“Fai un po’ schifo in questo, Lou.” Osservò Harry dal suo posto sul bancone, un sorriso a colorare il suo tono.
 
Gli lanciai un po’ di farina, riuscendo solamente a ricoprire il pavimento con piccole particelle bianche. “Ti negherò la torta se ti comporterai ancora così.”
 
“Mi rimangio tutto.” Alzò le mani in segno di resa. “Solo, metti un cucchiaio di sale e prometti di non tenere lontano il dolce dal povero, malato Harry.”
 
“Questo posso farlo.” Risposi, deliziandomi del facile cameratismo della cucina e del suo sguardo su di me. Mostrava molto attraverso i suoi occhi, stavo notando. Non spendeva veramente  molto tempo a nascondere effettivamente i suoi sentimenti, che fossero felici o tristi, ma i suoi occhi raccontavano storie che libri impiegherebbero anni a raccontare. Immersi il cucchiaio nel sale, lisciando accuratamente la cima con un dito.
 
“Dicevi sul serio?” Chiese, la sua voce timida.
 
“Sul serio cosa?” Chiesi, come se non sapessi di che cosa stesse parlando. Il soffice ronzio della radio nell’angolo riempì il silenzio pesante, qualche leggera nota di piano che fuoriusciva dagli altoparlanti mentre aspettavo che mi rispondesse. Impugnai il cucchiaio con troppa forza tra mie dita, versando i cristalli nella ciotola.
 
“La cosa che hai detto.” Mormorò, e guardai verso di lui. Aveva lo sguardo fisso a terra, le mani spinte in profondità nelle tasche della sua giacca, i ricci che gli scendevano sul viso. C’era una timidezza in lui, come se fosse altrettanto nervoso come lo ero io
.
“Certo che dicevo sul serio.” Risposi, cercando di essere irriverente, mentre sbirciavo nel libro di ricette sul suo grembo per l'ingrediente successivo.
 
“Sì?” Alzò lo sguardo, gli occhi verdi tutto in una volta intatti e penetranti, sbirciando fuori dalla sua massa di capelli, e così vicini ai miei.Tutto ciò che lo riguardava mi portava fuori dalla mia profondità, rendendo le mie parole goffe e il mio cuore appena un po’ più veloce.
 
Annuii, dando la più piccola alzata di spalle. “Sì.”
 
Ci fu una pausa dopo la mia parola, un momento profumato di zucchero che volevo avvolgere e infilare nella mia tasca per sempre.
 
“Hai bisogno delle uova.” Disse alla fine, guardando in basso mentre del rosa si espanse attraverso le sue guance. “Due uova.”
 
Annuii, spostandomi verso il frigorifero e cercando di ignorare la qualità vivace che i miei passi avevano assunto, come se, nel caso avessi fatto un salto, sarei volato in alto e via.
 
“Se butti dentro qualche guscio potrei doverti uccidere.” Mi richiamò, riprendendo a dare calci al mobile.
 
Sorrisi solamente, aprendo la porta del frigorifero con una roteazione degli occhi di proporzioni epiche.
 
Nonostante i miei iniziali tentativi falliti, Harry ed io riuscimmo in qualche modo a mettere insieme lo pastella abbastanza bene, e la versammo nel tegame prima che Danielle tornasse dal suo risistemare il negozio.
 
“Sono abbastanza impressionato, Lou.” Osservò Harry, mentre feci scivolare la padella nel forno. “Questo aveva un grande potenziale per trasformarsi in disastro, e siamo riusciti ad evitarlo.”
 
“Ed eccoci a sperare di non bruciare il nostro duro lavoro.” Risposi, chiudendo il forno con un click.
 
Fece spallucce, dirigendosi verso la parete dalle mattonelle gialle, scivolando sulla superficie con uno sbadiglio. “Non so, se tu ci mettessi abbastanza glassa mangerei praticamente tutto.”
 
“Ti terrò lontano allora.” Scherzai, facendo passare una mano tra i miei capelli professionalmente acconciati con un mio sbadiglio. “Mi stai facendo diventare assonnato, Styles.”
 
Diede dei colpetti sul pavimento accanto a lui. “Fai un pisolino con me, allora. Questa mattonella è molto comoda.”
 
“Lo è davvero?” Chiesi, afferrando la mia borsa dal bancone e sedendomi accanto a lui, appoggiando la mia testa contro la parete.
 
“Non particolarmente.” Fece scivolare le mani nelle tasche dei suoi pantaloni, sembrando decisamente assonnato e un po’ come un orsacchiotto con i capelli flosci.
 
Aprii la mia bocca, poi la richiusi di nuovo, non volendo interrompere il silenzio macchiato dal pianoforte.Pensai che forse una delle mie cose preferite di Harry fosse la sua compagnia silenziosa. Non ero una persona silenziosa, in nessun senso della parola, ma Harry sembrava avere in sé una calma quiete.
 
Avevo quasi memorizzato le righe del forno e del ripiano quando Harry finalmente parlò. “Stanno pensando di ricominciare di nuovo una chemioterapia, forse.”
 
L’affermazione restò sospesa nell’aria per un lungo momento, togliendomi il respiro. “Cosa?”
 
Si strinse nelle spalle, appoggiandosi sul mio corpo. Mi aggiustai, facendolo arricciare su di me. “Pensano mi possa dare più tempo.”
 
Appoggiai il mento sul suo capo. Avrei voluto più tempo, avrei voluto ogni secondo che mi sarei potuto prendere e di più, ma non mancai il suo vacillare nel tono e il modo in cui le sue mani rigiravano nervosamente nelle sue tasche, e pensai che Harry non sentisse lo stesso. Anche se mi faceva male pensare di perderlo, capivo. Per le persone che non hanno mai avuto il cancro, è impossibile capire che cosa voglia dire vivere in un corpo che si sta ribellando contro di loro, e sentire veramente come le radiazioni penetrino dentro le loro ossa e li facciano affogare nella stanchezza, ma quando sta succedendo a te, morire sembra quasi come una tregua dal dolore. “Gli hai detto che non vuoi farlo?”
 
“Non è una mia scelta.” Rispose semplicemente.
 
“Hai diciotto anni, è il tuo corpo. Puoi dire di no.”
 
Scosse impercettibilmente la testa. “Non posso. Solo, lei- non posso accusarla.”
 
“Lei?” Chiesi, raggiungendo la sua tasca e tirando fuori la sua mano, infilando le sue dita tra le mie. Mi dispiace. Sentiti meglio. Ti prego.
 
“Mamma. Non posso dirglielo- non voglio-“ le sue parole si stavano spezzando ora, affievolendosi e riaccendendosi come se non riuscisse bene a mettere le sue emozioni insieme per un tempo lungo abbastanza da formare una frase coerente.
 
Non parlai, accarezzai solo lentamente il dorso della sua mano con il mio pollice, cercando di versare del conforto dentro di lui. Fece un respiro irregolare, continuando. “Pensa che possa continuare a comprarmi del tempo. Più centesimi nel parchimetro, un mese in più, due mesi in più. Più pillole, quelle sono due settimane, forse tre. Un po’ di esperimenti medici, quello sarà un mese. Salvare tuo figlio dal morire sul pavimento della camera a cui appartiene, si ottengono sette mesi. Congratulazioni Signora Cox, deve essere davvero orgogliosa.”
 
“Oh, Harry.” Dissi piano, lasciando che si stringesse contro il mio corpo. Penso che nella metafora dell'acqua, Harry fosse un lago, il tipo con basse e scure profondità e mostri nel profondo. “Lo sta solo facendo perché ti ama.”
 
“Lo so.” Mormorò. “E ciò peggiora le cose.”
 
“Vorrei poter aggiustare tutto questo per te.” Dissi, accarezzando la mia mano sulla sua spalla. “Vorrei poterti comprare tutto il tempo del mondo.”
 
“Non dire così.” Disse, lasciando fuori un lungo respiro.
 
“Perché no?”
 
Pensai di sapere il perché, forse la sua ripugnanza nei confronti di tutti quelli che avevano detto che si preoccupavano, forse perché sapeva che ciò non poteva succedere. Ma evidentemente non avrebbe mai smesso di sorprendermi.
 

“Perché quando lo dici, a volte penso che magari tu possa farlo davvero.”
 
 
 
E mentre sedevamo insieme sul pavimento della cucina, penso di aver compreso che cosa volesse dire Hazel quando aveva detto che si era innamorata nel modo in cui ci si addormenta: lentamente, e poi tutto in una volta.
 
 
 

 

____________________________________________________________________________________________________
 
 Catch me, I'm falling.

Dire che questo è un super ritardo è un eufemismo. Davvero, scusateci ma sono settimane del cavolo un po' per tutti..
Non è uno di quei capitoli che mi fanno arrivare alla fine con il naso che gocciola e la vista tutta annebbiata. A voi piace? :)
Comunque, davvero un grazie immenso a chi ha messo questa storia tra le preferite (dio siete un sacco e mi viene da piangere), tra le ricordate e nell'altra categoria di cui non ricordo mai il nome. Questa storia merita, a prescindere... Se poi reputate che la traduzione sia decente, tanto meglio per tutti, sicuramente Mattie ne sarà felicissima.
(questa è una di quelle sere in cui vorrei urlare al mondo un profondo "Grazie per avermi dato Mattie, sarebbe tutto diverso se non l'avessi trovata.")

anyway, sette giorni e la scuola non sarà più una scusante per i ritardi. Per cui vi assicuro che aggiornerò molto molto più spesso (tanto l'estate neanche mi piace, lol)
Buonaserata a tutti, siete dei santi per continuare a seguirci :)
Un abbraccio.

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Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


Chapter 7

 
 
 
23 Febbraio - Giorno 38
 
 
 
Mi svegliai di soprassalto, la testa che girava, il petto ansante, e tutto il mio corpo imperlato di sudore. Mi rigirai nel letto, il cuore che mi pompava freneticamente nel petto, troppo veloce, mai veloce abbastanza.
 
Sedere lì con le lenzuola aggrovigliate attorno alle mie membra era come un incubo che non potevo scrollarmi di dosso, un brutto sogno che era cominciato nel momento in cui mi ero svegliato. Mi tastai il collo, le dita si strofinarono contro la gola gonfia con un sussulto che non aveva nulla a che fare con il dolore.
 
Dio, ti prego, non ancora. Non posso farlo ancora.
 
Era buio nella mia stanza, le ombre che si spostavano e strisciavano fino ai piedi del mio letto. Pensai di chiamare Liam, farlo accorrere e farmi abbracciare fino a che non fosse andato tutto bene, ma non volevo farlo preoccupare, facendo sì che mi guardasse con quella sua stupida faccia da Liam che era peggiore di tutti i 'mi dispiace' del mondo.
 
Stesi il braccio e mi passai le dita tra i capelli, tirandone disperatamente qualche ciocca, stringendole e desiderando urlare e urlare ancora e non emettere mai più un suono. Stavo cadendo a pezzi e dimenticando come si respirasse e 'cazzo non un'altra volta, non ancora una volta'.
 
Mi allungai per afferrare il telefono, tenendolo con dita tremanti e sapendo chi fosse l'unica persona che avrei davvero potuto chiamare.
 
Ti prego rispondi.
 
Ho bisogno di te.
 
ti prego.
 
 
La sua voce interruppe il terzo squillo, soffice e assonnata, alleviando il panico nelle mie ossa. "Louis."
 
"Parla con me, ti prego."
 
Un fruscio di coperte dall'altro capo del telefono, e sentii il suo respiro attraverso la linea. Non ci furono 'perchè' o 'cosa c'è che non va' o ' stai bene', solo un lento e sicuro: "Che cosa vuoi che dica?"
 
"Qualsiasi cosa."
 
Fece un pausa, schiarendosi la voce e canticchiando a bassa voce nel ricevitore mentre pensava. "Potrei cantare per te. Ti andrebbe bene?"
 
"E' perfetto." Mi rigirai su un fianco, stringendo il mio cuscino sullo stomaco e guardando fuori, nella notte, la piccola fessura nella tenda che lasciava che la luce della luna e dei lampioni si insinuasse dentro.
 
You and I, two of a mind.” Cominciò con calma, la sua voce mentre cantava proprio come la solita voce con cui parlava solo immersa in una melodia, grave e bassa e un po' meravigliosa. “This love's, one of a kind...”
 
Lasciai che l'aria vorticosa della stanza carezzasse le mie guancie arrossate mentre affondavo nel suono della sua voce. Volevo vederlo, strisciare accanto a lui e nascondere la mia testa nell'incavo del suo collo e non dover pensare a nulla. Ma questo, tenendo la plastica del mio telefono all'orecchio e stando ad ascoltarlo, era stato sufficiente a calmare i miei battiti cardiaci.
 
Era come una ninna nanna, la sua voce, il suo respirare ed il mio quando intonava i versi e il ritornello in quella voce dolce che faceva scivolare le sillabe insieme e che era pesante per il sonno.
 
Terminò non più forte di quando aveva cominciato, le ultime linee che si dissolvevano nel nulla dopo che erano cadute dalle sue labbra.
 
“and I will fall for you, if I fall for you, would you fall too?”
 
   
    xx
 
 
Mi svegliai alle otto del mattino grazie alla sveglia e a due messaggi da parte di Harry. Mi calciai via le coperte di dosso, toccando la mia fronte appiccicosa con mani tremanti, i miei capelli che ricadevano in ciocche umide sulla sua superficie.  Lasciai sfuggire un respiro irregolare, alzandomi in piedi e camminando fino alla piccola finestra, tirando le tende e fissando lo sguardo sulla strada sottostante mentre armeggiavo con il mio telefono.
 
   03:21 Harry
 
     Spero tu stia bene.
 
   03.23 Harry
 
      Dormi bene.
 
Feci scorrere leggermente le dita sul display, tracciando i messaggi più e più volte sullo schermo fino a che questi non rimasero marchiati nella mia mente. Non stavo bene e certamente non avevo dormito bene, ma era stato comunque un pensiero carino. Guardai di nuovo tristemente le mie lenzuola, azzurre e bagnate proprio dove la mia pelle sudata era rimasta fino a pochi minuti prima. Risistemai il letto, desiderando solo poter strisciare tra le coperte e non muovermi mai più. Non ero sicuro che sarei riuscito a dormire, ma volevo solo niente di più che portarmi le coperte sopra la testa e non pensare.
 
 
Pensai di darmi per malato a lavoro, il che mi avrebbe reso assolutamente ipocrita, dal momento in cui la maggior parte dei miei pazienti erano permanentemente malati. Il cancro lo fa. Ma poi, supposi che avrei dovuto già aggiungermi alla loro fila, quelli sulla piuttosto breve strada della morte, mentre quelli intorno a noi avrebbe preso la strada più lunga e tortuosa.
 
Mi trascinai fuori dalla camera e in bagno, lasciandomi sfuggire un lungo lamento quando intravidi il mio riflesso allo specchio. "Faccia, non sono dell'umore per questa merda in questo momento." Dissi impassibile, perchè apparentemente parlare con me stesso era una cosa che avevo fatto in precedenza. Mi strofinai gli occhi, desiderando poter portare via le occhiaie e cancellare la pelle violacea lì.
 
Rinunciandoci -per il momento, mi diressi verso la cucina vestito niente di meno che con i miei pantaloni grigi e logori della tuta. Liam se n'era già andato, diretto all'Università, lasciandomi da solo in quell'appartamento silenzioso a prepararmi il caffè e, più in generale, a combattere la voglia di rannicchiarmi su me stesso e non muovermi mai più.
 
Mentre lo stavo preparando, mi rigirai il telefono più volte tra le mani, scorci di Harry scivolavano nella mia mente. I capelli ricci. Glassa sulla punta del suo naso. Mani dalle dita lunghe appoggiate su pagine ingiallite. Volevo solo rivederlo, sprofondare in quel luogo dove tutto diventava un po' più semplice.
 
 
   08:06 Louis
 
          -Grazie per esserti preoccupato per me.
 
 
Lasciai il telefono sul bancone, facendo un passo scoordinato fuori dai miei pantaloni e lanciandoli in una pila nel corridoio mentre mi dirigevo in bagno. Lanciai i miei boxer in un angolo, entrando dentro alla doccia e girando il rubinetto sul getto caldo, rilassandomi sotto l'acqua che correva calda sulla mia pelle.
 
I miei pensieri divennero turbinii letargici mentre m’insaponavo, il vapore che già stava appannando lo specchio. Non volevo andare a lavoro, volevo stare seduto nella cucina di Danielle e guardarla mentre preparava i muffin mentre canticchiava insieme alla musica. Volevo prendere in giro Liam su quante volte avesse visto Toy Story e chiedergli se avesse mai lavato quella felpa dei BRIT o se ormai questa era parte della sua stessa pelle. Volevo essere con Harry.
 
Pensai a lui, al comprargli più tempo, a come insisteva nel mangiare la glassa per prima, a come mi aveva sorriso da sopra la sua fetta di torta al cioccolato come se forse quel momento fosse qualcosa di meraviglioso.
 
Uscii dalla doccia, avvolgendomi in un asciugamano e camminando pesantemente in camera mia. Il mio guardaroba era una fredda e spietata fila di camicie e pantaloni stretti, e mi ritrovai ad indossare un paio di decenti e presentabili pantaloni rossi ed una comoda camicia grigia, con nemmeno metà della motivazione necessaria per pensare anche solo di cambiarmi. Ebbi la sensazione che i miei pazienti avrebbero capito. Avevano una grande comprensione per i giorni pessimi.
 
Quando ritornai in cucina, il mio telefono era illuminato da un nuovo messaggio.
 
   08:30 Harry
    
    E' il mio più sincero piacere preoccuparmi per te.
 
 
Una frase che semplicemente non avrebbe dovuto far contorcere il mio stomaco in quei nodi complicati. Dovevo vederlo. Se tutti e due eravamo a corto di tempo, non c'era nulla che avrei preferito fare piuttosto che spendere quello che avevo con lui.
 
   08:33
 
     - Ti è rimasta un po' di torta?
 
 
Versai il caffè semi-tiepido in un termos, spruzzandoci un po' di latte e avvitando il coperchio, poi prendendone un lungo sorso mentre aspettavo che rispondesse.
 
 
   08:34 Harry
 
      Si.
 
   08:34 Louis
 
    Abbastanza da condividerla?
 
 
Tornai in bagno, dando ai miei capelli una rapida asciugata. Dopo cinque minuti estremamente frustranti rinunciai a sistemarli, optando invece per l'infilarmi un cappello e andarmi a versare una tazza di cereali.
 
 
   08:35 Harry
 
     Speri che io la condivida con te?
 
   08:38 Louis
 
      Questa sarebbe l'idea, si.
 
   08:39 Harry
 
      Beh, penso di potere essere persuaso.
 
   08:39 Louis
 
       Sarò da te verso le tre.
 
   08:39 Harry
 
       Okay.
 
   08:40 Louis
 
       Okay.
 
 
Sentii la mia bocca stanca incurvarsi in un mezzo sorriso mentre fissavo la sua risposta, tamburellando a ritmo costante con le dita sul tavolo. Chiusi il telefono, poi lo riaprii di nuovo, guardando le piccole icone. Andai nella rubrica, cominciando a scorrere lentamente attraverso numeri che non chiamavo da mesi, fino a che non arrivai al nome del mio dottore. Mi venne in mente che avere il numero del proprio medico tra i contatti della rubrica forse non fosse la cosa più normale del mondo, ma era un'abitudine rimasta dai miei giorni di cancro.  
 
Lo composi, portando il ricevitore al mio orecchio con un sospiro. Non volevo farlo. Non lo volevo fare.
 
Un'allegra receptionista rispose dall'altro capo del telefono, la sua voce brillante che suonava strana al mio orecchio. "Buongiorno, qui è Maggie a parlare, come posso aiutarla?"
 
"Ciao." Risposi, la mia voce che suonò roca persino alle mie stesse orecchie. "Vorrei prendere un appuntamento."
 
 

xx
 

 
Olly Murs era il mio paziente preferito per un sacco di ragioni, e averlo come mio appuntamento alle undici fu la benedizione di cui avevo dannatamente bisogno quel giorno. Era un bambino di sette anni con un difetto di pronuncia, grandi occhi azzurri, e un Linfoma. Ad essere onesto, ero abbastanza sicuro che i suoi genitori avessero ingaggiato un terapista solo perchè così avrebbe avuto qualcuno ad intrattenerlo per due ore, ma lui era un ragazzino adorabile e non mi importava troppo.
 
Bussai alla sua porta, trovandolo seduto al tavolo accanto al suo letto, la testa quasi calva che brillava alla luce della lampada. Di solito lo incontravo nel mio piccolo ufficio, ma si stava appena riprendendo da un'operazione, che invece lo relegava alla sua camera d'ospedale. Olly aveva quello che mi piaceva chiamare ADD inverso, nel senso che aveva la capacità di concentrarsi su un solo compito per periodi prolungati di tempo e, dalla prima volta in cui ero entrato nella sua stanza fino a quel giorno, questo compito era stato colorare.
 
Mi guardò con un sorriso quando entrai, un dente mancante a dare l'idea che ci fosse una lacuna sul lato destro della sua bocca. "Ciao mistah Lou."
 
Gli sorrisi di rimando mio malgrado, incapace di resistere al suo soprannome per me. Giuro su Dio, se qualcuno avesse mai messo quel bambino in logopedia, l'avrei letteralmente ucciso.
 
"Allora, cosa stiamo colorando oggi, love?" Gli domandai, sedendomi a gambe incrociate sul pavimento.
 
Alzò il suo libro da colorare con orgoglio verso di me. "Ho appena avuto un nuovo libro. Sono pesci!"
 
"Ooh, hai fatto un bel lavoro con quel pesce pagliaccio. Mi piace quel viola." Risposi, cercando nella mia borsa il libro da colorare di un orso che stavo lentamente completando.
 
"Louis." Asserì con disapprovazione mentre riportava il libro di nuovo sul tavolo, pescando un pastello giallo dalla sua scatola di colori. "Questo colore è lavanda."
 
"Le mie scuse, Mr. Murs." Presi un rosso acceso, cominciando a colorare la prima curva in un arcobaleno. "Non succederà di nuovo."
 
"Bene!" Tornò al suo paesaggio marino, tracciando i contorni di un grosso pesce palla con un giallo limone. Era abbastanza bravo in realtà, le sue creazioni tutte uniformemente ombreggiate e meticolosamente delineate, e mi chiesi a cosa avrebbero assomigliato quei disegni senza quelle linee.
 
Afferrai un pastello blu, sfumando un orso sorridente mentre cercavo di non pensare all'appuntamento in agguato per il mattino successivo. Stavo colorando lo stesso punto con forse troppa inutile enfasi quando la voce di Olly si levò.
 
"Perchè sei triste, mistah Louis?"
 
Alzai lo sguardo verso di lui in sorpresa. "Non sono triste."
 
Lui annuì in fretta, il mento che gli rimbalzava quasi sul petto per il movimento. "Si lo sei." Si sporse sul tavolo un po', esaminandomi con occhi acuti. "E' perchè ami qualcuno?"
 
Inclinai leggermente la testa verso di lui. "Perchè amare qualcuno dovrebbe rendermi triste?"
 
Mi diede una scrollata di spalle, tornandosi a sedere e sfogliando le pagine da colorare, soffermandosi ad ogni singola pagina prima di girarla. "Beh, Mamma mi ama e questo la fa molto triste."
 
Volevo abbracciarlo così forte da fargli quasi male. "Credo di amare qualcuno, un po'." Ammisi, perchè davvero, cosa diavolo avevo da perdere a quel punto? La mia vita stava cadendo a pezzi ed Harry sembrava sia la cura che il catalizzatore.
 
"E' carina?" Chiese, del tutto indifferente al mio tumulto emotivo. Questa era una delle cose che più mi piacevano dei bambini, la loro brutale onestà e semplicità. Non c'erano strati nascosti o complicazioni, solo verità.
 
"Non è una 'lei'." Risposi, lasciando che facesse qualunque cosa avesse voluto.
 
Olly sembrò fermarsi per un momento, i piccoli ingranaggi della sua testa che si muovevano. Prese un rosa vibrante, guardò la piccola medusa punteggiata sulla pagina, poi di nuovo verso di me. "E' carino?"
 
Sorrisi. "Troppo carino per sua fortuna."
 
"Proprio come me?" Chiese, sorridendo sdentato, lo spazio tra i denti grande nella sua piccola bocca.
 
"Forse anche più carino di te, Piccolo Murs." Risposi.
 
Lui scosse la testa con veemenza. "No."
 
Mi lasciai sfuggire un colpo di tosse per coprire le mie risate, la mia settimana eccezionalmente di merda sembrava un po' meno di merda. "Va bene, va bene, ugualmente carino."
 
"Kay." Girò il libro di nuovo alla prima pagina, dove due delfini erano stati colorati di un verde spumeggiante di fronte ad un grande cielo blu. Strappò con la massima cura la pagina e me la porse dopo aver scarabocchiato il suo nome in scarlatto in basso. "Dagli questo. Digli che è da parte mia."
 
"Qualche ragione particolare?" Chiesi, accettando il suo regalo con un sorriso e infilandolo nella mia borsa.
 
"Perchè lo ami." Rispose, come se ciò sarebbe dovuto essere chiaro anche ai miei occhi. E credo che, come a quelli di quel bambino di sette anni, lo fosse. Quando ami delle persone, fai loro dei disegni e non ci sono morte o sentimenti non corrisposti o complicazioni.
 

Desiderai soltanto che le cose sarebbero potute rimanere così semplici.





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Catch me, I'm falling.


Ed ecco un capitolo tuto per voi, che avete aspettato sin troppo per il precedente (già detto che ci dispiace?)
Anyway, in primo luogo voglio ringraziare ogni singolo lettore, chi ha messo la storia tra i preferiti-ricordati-e in quell'altra categoria che mi sfugge sempre. Altresì, anche a tuti quei lettori silenziosi che, comunque, ci seguono capitolo dopo capitolo.
Siete (tanto per citare qualcuno che conosciamo) absolytely amazing, e sono sicura che l'autrice sia contenta proprio come lo siamo noi.
Che ne pensate del capitolo? Non so.. fateci sapere, sia che si parli di traduzione che della storia (se trovate errori che sono sfuggiti potete dircelo, tanto per dirne una c:). E' sempre un piacere ENORME, davvero! :)
Prestissimo posteremo il prossimo che è già in cantiere... per cui un abbraccio e alla prossima!!

:)

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Capitolo 8
*** Chapter 8 ***


Chapter 8

 
 
 
La camera di Harry era beatamente vuota quando entrai, solo lui e il suo computer appoggiato al suo grande letto blu. Alzò lo sguardo quando entrai, un sorriso stanco si incurvò sul suo viso.
 
"Stai cominciando ad assomigliarmi." Sottolineò, facendo cenno con divertimento ai miei pantaloni della tuta e al berretto che avevo in testa.
 
Mi strinsi nelle spalle, sedendomi sulla mia sedia e lasciando che i miei piedi si appoggiassero sul suo letto. "Non era un giorno da pantaloni stretti in casa della famiglia Tomlinson-Payne questa mattina."
 
"Ti capisco. Non è mai un giorno da pantaloni stretti per me.” Appoggiò il computer a terra, chiudendolo con un piccolo click.
 
"Beh, non è questa una vergogna?" Replicai, sorridendo leggermente.
 
"Oh davvero?" Alzò un sopracciglio, scrutando dentro la mia borsa una volta che io l'aprii e cominciai a scavarci dentro. Stavo davvero apprezzando il fatto che avesse abbandonato l'argomento della scorsa notte. Volevo parlarne ma, allo stesso tempo, ammettere quello che stavo passando  a chiunque l'avrebbe reso troppo reale perchè io riuscissi a gestirlo, e prendere quell'appuntamento era già stato abbastanza duro. Se mi avessero diagnosticato il cancro, gliel'avrei detto. L'avrei fatto.
 
Tirai fuori il disegno, mostrandoglielo. "Per gentile concessione di Olly Murs, il mio bambino di sei anni preferito."
 
"Ottima ombreggiatura." Sottolineò con un sorriso, autentica felicità nel suoi occhi. "E' un paziente?"
 
"Linfoma. Il più dolce mostriciattolo che tu possa incontrare, e davvero bravo a colorare."
 
Harry tracciò il contorno di uno dei delfini con un dito per poi sistemare il disegno sul comodino, di fianco alle foto. "Beh, chi non è bravo a colorare?"
 
"Nessuno con cui mi piacerebbe parlare." Risposi, cercando di combattere per un momento uno sbadiglio, e perdendo miseramente.
 
Mi lanciò uno sguardo d'intesa, evidentemente non permettendo che l'argomento venisse accantonato senza alcun riferimento. "Non hai dormito molto la notte scorsa?"
 
Risposi con uno sguardo, incrociando le braccia sul petto con aria di sfida. "Puoi dirlo forte."
 
Lui alzò le mani in gesto d'innocenza, gli occhi che gli scintillavano di gioia. "Vedo come funzionano le cose, hai bisogno di me di notte, e poi non sono niente per te al mattino. Non ti preoccupare, non mi sento ferito."
 
"Oh, ma levati dalle palle." Lo colpii ad una gamba con la punta delle mie toms.
 
Mi lanciò un sorriso sfacciato, tirando su le coperte sino alla vita e infilandosi dentro al nido di cuscini che aveva ammassato a capo del suo letto. "Non credo proprio."
 
Gli feci una linguaccia, resistendo alla tentazione di colpirlo ancora con il piede.
 
Di rimando mi lanciò un piccolo sorriso, a cui risposi naturalmente, i nostri occhi che s'incontrarono in un modo che mi fece battere il cuore in gola.
 
"Penso che mi piaccia di più quando si parla di te." Dissi, un brivido che continuava a permeare la mia pelle quando mi strinsi di più nella giacca.
 
Lui ridacchiò. "Ora sai come mi sento."
 
Stavo per cominciare a farlo, ma non proprio nel modo in cui pensava lui. "Nah, ma parlare di te è il mio lavoro."
 
"Davvero?" Chiese. "Pensavo fosse procurarmi delizie del forno."
 
"Davvero molto divertente." Risposi, tremando per un brivido. Faceva freddo nella stanza di Harry, anche con la giacca indosso.
 
Ridacchiò in mia direzione, avvolgendo le coperte più strette intorno a sé. "Fa un po' freddo laggiù, Louis?"
 
"Sto fottutamente congelando qui, vaffanculo." Risposi, sfregando le mie mani insieme nel tentativo di scaldarmi.
 
"Beh...stavo per lasciarti salire nel mio bel letto caldo, ma se hai intenzione di dirmi parolacce..." Alzò le spalle, i riccioli che gli ricadevano in faccia.
 
"Beh, avrei rifiutato, considerando che venire nel tuo letto sarebbe davvero poco professionale." Ribattei sprezzante, anche se a dire la verità sembrava innegabilmente accogliente dove si trovava lui.
 
"E chiamarmi alle tre di notte lo è?" Alzò un sopracciglio. "E per la cronaca non che tu non ti sia addormentato nel mio letto in precedenza, Mr. Professionista."
 
Mi morsi il labbro colpevolmente, non sentendomi male nemmeno metà di quanto avrei dovuto. "Entrambi sono punti giusti."
 
Roteò gli occhi, aprendo le coperte e spostandosi più in là. "Allora vieni qui."
 
Sorrisi maliziosamente, cavandomi le scarpe e saltando sul letto.
 
"Gesù, ti lavi i piedi, qualcosa come...ogni tanto?" Chiese, facendomi posto un po' quando salii.
 
"No, li metto in dei sacchetti di plastica quando faccio la doccia." Risposi, premendoli contro i suoi polpacci.
 
Sembrò scandalizzato, facendo un rumore offeso e schiaffeggiandomi le braccia. Io alzai un dito, assumendo il mio miglior sorriso impertinente. "Che Dio mi aiuti, ti morderò Harry Styles."
 
"Non ti credo!" Rispose, un sorriso a far piegare i suoi occhi fino ai bordi e a far comparire le fossette sulle sue guancie. Era in qualche modo davvero bellissimo, la pelle pallida, le labbra rosa e le spalle larghe a cui si aggrappava la sua maglietta, il tessuto soffice e sottile. Sembrava una bambola, una bambola con occhi verdi vitrei e delle membra troppo lunghe per il suo corpo.
 
"Lo farei!" Ribattei, non ero uno che si tirava indietro davanti alle sfide.
 
"Non lo farai!" Rispose, ogni sillaba che portava con sé una sfida.
 
Mi tuffai su di lui, affondando i miei denti nella sua spalla. Aveva un sapore caldo e quasi salato nella mia bocca, il cotone che veniva gradualmente catturato dai miei denti mentre stringevo la presa. Squittì sotto di me, dimenandosi sopra al cuscino.
 
"Fottuti vampiri nel mio letto!" Strillò come una ragazzina, cercando i miei fianchi ed affondandoci le dita, provocandomi un attacco di risatine.
 
"No!" Rimasi senza fiato, cercando di divincolarmi, incapace però di sfuggire alle sue mani. "Questo non va bene! Non va bene!"
 
Si lasciò sfuggire una risata, una di quelle grandi esplosioni che sembravano scoppiargli fuori quando non stava guardando, lasciando sorpreso anche lui per la loro intensità. "L'hai voluto tu!"
 
Cercai di nascondermi sotto le coperte, solo per ritrovarlo a riportarmici fuori per i polsi, finendo con lui arricciato sopra di me, i suoi ricci in faccia, il suo sorriso infantile e giocoso. "Pietà! Pietà!"
 
"Regola del pollice, Boo Bear." Cominciò saggiamente, rotolando via da sopra di me. "Mai mordere qualcuno più grande di te."
 
"Ti odio un po'." Risposi imbronciato, rannicchiandomi accanto a lui tra quelle coperte oramai sfatte,  la sua testa appollaiata sul mio petto, manovrandomi in modo che il mio braccio fosse attorno alle sue spalle.
 
"No, non è vero." Rispose facilmente, sistemandosi con un sospiro.
 
"Un po'." Odiavo quanto avessi bisogno di lui. Odiavo come non sarebbe mai potuto essere mio. Odiavo le nostre circostanze, la sua malattia, la nostra mancanza di un 'per sempre'. Perchè stando seduto in quel letto d'ospedale sterilizzato, pensai che forse avrei passato un'infinità con lui, se solo avessi potuto.
 
"Beh, ti odio un po' anch’io." Rispose in tono pratico, e potevo sentire qualcosa di sott'inteso nelle sue parole, ma non riuscivo a leggerlo.
 
"Okay." Risposi, contento di stare sdraiato lì con lui.
 
"Okay." Suonò vagamente petulante ripetendo quello che avevo detto, come se stessimo parlando di qualcosa di cui non ero stato informato. A dispetto di tutta la quantità di tempo che stavo passando con Harry, ancora non lo conoscevo abbastanza. Volevo conoscerlo, diventare intimo con i suoi modi, conoscere le cose che amava più di ogni altra cosa, il suo gusto preferito di gelato, tutti i segreti che teneva nascosti sotto la sua pelle.
 
Credo che quello che volevo fosse raccogliere quanti più pezzi di lui avessi potuto, così quando se ne sarebbe andato avrei potuto scavare in profondità nella mia cavità toracica ed aprire la scatoletta segnata sotto il nome 'Harry Styles' e poterlo tenere con me per sempre.
 
"Vuoi che legga per te?" Mi offrii, arrotolandomi un riccio sfatto tra le dita, facendo attenzione a non tirare. Avevo la vaga sensazione che volesse dirmi qualcosa, ma sapevo grazie ad esperienze passate che chiedergli qualcosa a riguardo non avrebbe aiutato. Avrebbe aspettato di cogliermi alla sprovvista e poi avrebbe detto qualunque cosa avesse da dire con quella sua lenta e profonda voce.
 
"Se vuoi." Rispose, allungandosi sul mio petto per raggiungere la mia borsa, che avevo appoggiato in cima al letto e che miracolosamente non era caduta di lato. Gliela presi di mano, tirandone fuori il familiare volume blu e aprendolo alla pagina che avevamo fermato con un segnalibro fatto di un pezzo vagante di carta quando ci eravamo fermati l'ultima volta, dopo esserci riempiti di torta sul pavimento del forno di Danielle.
 
"Camminammo in silenzio, Augustus un mezzo passo di fronte a me..." Cominciai, sistemando il mio corpo attorno al suo. Era strano come anche se fosse tecnicamente più grande di me, ero finito in qualche modo ad arricciarmi intorno a lui, ma strano in un modo carino. Credo che se ci avessi pensato, quello sarebbe stato tutto il nostro rapporto riassunto in una sola frase. Strano, in un modo carino.
 
Eravamo andati avanti di tre capitoli quando finalmente Harry parlò, proprio come sapevo avrebbe fatto. " 2 Marzo."
 
Appoggiai il libro sulla mia coscia, guardando in basso verso la testa di riccioli disordinati schiacciata contro la mia clavicola. "Che cosa significa, love?"
 
Si strinse ancora di più a me, come se stesse sperando che l'assorbissi. "Questa è la data in cui hanno intenzione di cominciare la chemio."
 
"E' davvero molto presto." Osservai sorpreso. Me l'aveva accennato il Martedì prima, ma era stato più un concetto immateriale, qualche terribile nube che si prospettava lontana all'orizzonte, e ora era quasi sopra di noi. Tutto si stava muovendo così velocemente, e mi sentii come se una mattina mi sarei svegliato e lui non ci sarebbe stato più.
 
"Ho sette giorni. Non è abbastanza, vero?"
 
"Non è mai abbastanza." Risposi, toccando ritmicamente il suo braccio, pensando a quanto spesso dobbiamo accontentarci di cose che non sono abbastanza. "Ma questo è tutto quello che hai."
 
Lui annuì, e ebbi la sensazione che capisse.Faceva parte della sua rassegnazione, la sua comprensione del tempo, che era fluido e limitato e che l'avevamo rubato e che, prima o poi, l'avremmo dovuto ridare tutto indietro. "Quando avevo sedici anni, volevo un sacco di cose." Disse alla fine, il tono appesantito da una sorta di nostalgia.
 
Sistemai il mento sui suoi ricci, aspettando che continuasse, sentendo l'inizio di un qualcosa sulla sua lingua. "Ero così ingenuo e volevo così tanto. Pensavo che forse avrei potuto fare qualunque cosa. Ero carino e giovane e stupido e il mondo era senza limiti, fino a quando non lo fu più. E questa è la parte peggiore, guardare gli anni che scorrono via. Mi era rimasto un anno e l'ho sprecato. Guardando indietro, niente importa. Nessuna delle persone che ho ferito o amato o le cose che ho fatto importano affatto. Ho diciotto anni e sto per morire con un sussurro."
 
"Ma io lo sentirò." Dissi in un sussurro io, e poi le parole uscirono facilmente. Sapevo quale fosse la cosa giusta da dire, la verità più vera che conoscessi. "Per molto tempo ho pensato che la vita consistesse nel fare grandi cose e cambiare il mondo, e pensavo che potessi davvero. Ma non posso, e questo vale anche per te. Il punto della vita è fare quello che puoi con quello che hai e riuscire a provare qualcosa. Vivere fino a che non si possa più farlo, e non rompere qualcosa di troppo bello mentre lo si sta facendo."
 
"Ma avrei potuto fare così tanto." Rispose, le dita che si contorcevano nel piumino, la voce impastata.
 
"L'hai fatto. Hai fatto tutto quello che potevi." Risposi, stringendolo più vicino a me per quanto i nostri corpi permettessero. Era così importante. Lui era senza precedenti e perfetto e non ne aveva idea.
 
"Volevo solo molto di più." Disse, le sue mani che finalmente trovarono le mie, dita tremanti che s'intrecciavano con le mie.
 
"Allora fallo. Dimmi cosa vorresti fare." Risposi. Aveva passato un sacco di tempo morendo ed era tempo che vivesse un po'.
 
Un 'hmm' basso fuoriuscì dalla parte posteriore della sua gola per un minuto, le sue dita premute contro il dorso della mia mano mentre pensava. "Bowling."
 
"Bowling?" Chiesi, ancora una volta colto di sorpresa dalla sua risposta. Se c'era una cosa su cui potevo contare, era che Harry non sarebbe mai stato come mi aspettavo che fosse.
 
"C'è questa merda di bowling a Lewisham in cui andavo tutti i Venerdì sera. Tutti insieme, Niall, Zayn, Cher, Ed e Aiden, ci saremmo andati e avremmo passato le ore a cazzeggiare in giro. Era il nostro posto, ed era completamente una merda e da suicidio e piuttosto noioso in realtà, ma era..." La sua voce assunse una qualità malinconica. "Questi sono alcuni dei migliori ricordi che ho. Voglio solo tornare lì ancora una volta."
 
"Sette in punto, allora. Domani. Manda un messaggio a Niall e a Zayn e io porterò Liam e Danielle. Possiamo passarci una notte." Risposi con facilità, passando una mano tra i suoi capelli.
 
Lui annuì lentamente. "Liam e Danielle verrebbero?"
 
Lo colpii leggermente alla testa con il mento, causandogli uno squittio dispiaciuto. "Certo che verrebbero, ninny."
 
"Okay." Sbadigliò, stringendo gli occhi per il movimento.
 
"Stanco?" Chiesi affettuosamente.
 
Lui annuì. "Come dice Hazel, dormire combatte il cancro."
 
"Probabilmente allora dovrei andarmene." Dissi, senza avere la minima voglia di abbandonare la presa.
 
Raggiunse la mia maglietta, le dita che si stringevano attorno al tessuto, tenendomi con lui. "Rimani." Disse a bassa voce, i suoi occhi imploranti. "Leggi per me fino a che non mi addormento."
 
 
E così feci.
 
 

 
 
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Catch me, I'm falling.

Come era stato detto a quante hanno recensito (e credo d'averlo scritto anche nell'altro space, ma non ne sono sicura effettivamente..) ecco un nuovo capitolo per voi.
Piccolo chiarimento: c'è stata una interpretazione errata -o una svista da parte di Mattie- per cui ci tengo a precisare che il nostro piccolo Olly ha sei anni e non sette, come invece diceva il capitolo predente (che ora modificherò opportunamente lol) :)
Poi boh, io trovo questo capitlo particolarmente emozionante, anche se a dirla tutta prima di tradurre passo almeno -nel casi migliori, s'intende- 15 minuti tassativi a soffiarmi in naso ed asciugarmi le lacrimucce... 
Voi che ne pensate? :)
Sapete, in ogni caso, che il vostro parere è davvero davvero sempre gradito, ed è bello poter imparare a conoscevi anche in minima parte attraverso quello che provate e pensate riguardo a questo capolavoro di fic.
Per cui, non abbiate paura di scriverci!!!
In ogni caso, a brevissimo in capitolo successivo. 
Un abbraccio a tutte-i perchè siete carini come Harry che mangia prima la glassa dei puncakes,
Cri P.s Buone meritate vacanze a tutti :)

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Capitolo 9
*** Chapter 9 ***


 
Chapter 9  

 


 
 
24 Febbraio- Giorno 39
 

Fu solo dopo che entrai nella sala da bowling e vidi Harry, Niall e Zayn seduti su vecchi sedili turchesi che capii. Il posto aveva un fascino sporco, come se una volta fosse stato elegante, ma poi fosse caduto nell'avere uno sporco linoleum graffiato e una moquette sporca dalla fantasia marina, il tetto pendente e macchiato di umidità, sudici lampadari che lanciavano una luce pallida tra le fessure.
 
Era quasi vuoto, qualche canzone pop che avevo vagamente riconosciuto in riproduzione su altoparlanti gracchianti mentre mi dirigevo verso i tre, Danielle e Liam che si trascinavano dietro di me.
 
Harry fu il primo ad accorgersi di noi, alzando una mano in segno di saluto. Indossava un maglione rosso brillante, le maniche spinte verso l'alto intorno ai gomiti, un colletto bianco che spuntava da sotto, e stretti blue jeans.
 
Gli toccai la coscia con due dita quando li raggiungemmo, lanciandogli un ghigno. "A quanto pare è una giornata da pantaloni stretti, vedo."
 
Sorrise storto, una vaga punta di flirt sulle sue labbra. "Non ti senti fortunato?"
 
"E' meglio della lotteria." Risposi, girandomi verso Liam e Danielle, che si erano tenuti per mano ai margini della conversazione, come se stessero aspettando il permesso per unirvisi. "Liam, Daniel, questi sono Harry, Zayn e Niall."
 
Strette di mano e saluti vennero scambiati tutt'intorno, Danielle addirittura si avvicinò ad Harry per dargli un abbraccio.
 
"Ti è piaciuta la torta che ho smerigliato per te, mentre voi pigroni vi riposavate sul pavimento?" Chiese, togliendosi la giacca e sedendosi di fianco a lui.
 
Lui annuì con entusiasmo. "Non ho mai mangiato una glassa alla vaniglia così buona."
 
"Harry, avevi una torta e non l'hai condivisa con noi?!" Chiamò Niall dalla sua posizione reclinata, i gomiti sul cuscino del sedile, le gambe appoggiate su Zayn.
 
Harry alzò le mani in un gesto di finta disperazione. "Guarda cosa hai appena combinato, Danielle! Ora Niall ci ucciderà. Questa è tutta colpa tua."
 
"Accidenti hai ragione, sto per ucciderti. Prima le persone hot, e adesso la torta... "
 
"Sei su un pendio scivoloso, Styles." Tagliò corto Zayn, facendo scorrere le dita sul ginocchio di Niall e scuotendo la testa in segno di disapprovazione in direzione di Harry.
 
"Era una torta terribile." Precisai, occupando il posto tra Harry e Zayn. "Assolutamente disgustosa, niente con cui vorresti avere a che fare."
 
Zayn si chinò su Niall, sussurrandogli nell'orecchio. "Non so Niall, questo suona come un complotto per tenerci lontani dai dolci."
 
"No, ha ragione, se viene dal panificio di Danielle puoi stare sicuro che non sia niente di buono." S'inserì Liam, tirando su uno dei ricci boccoli della sua ragazza.
 
Lei lo schiaffeggiò leggermente sul braccio. "E' uno sporco bugiardo."
 
Lui assunse un'espressione ferita. "Non lo sono!"
 
Lei alzò gli occhi, sporgendosi con fare cospiratorio verso i due ragazzi. "Vi farò avere qualche cupcakes tramite Lou e poi vedremo chi sta dicendo la verità qui."
 
Niall scosse la testa freneticamente. "Aww no, non puoi farceli avere tramite Harry, li mangerà!"
 
"Di certo non lo farò!" Protestò Harry, incrociando le braccia sul petto come un bambino.
 
Mi chinai, picchiettando Niall sulla testa. "Non ti preoccupare love, mi assicurerò che non gli si avvicini."
 
Lui si mise una mano sul cuore. "Sei il mio eroe, amico."
 
A quel punto la conversazione virò da qualche parte verso l'argomento del bowling, e persi la cognizione del tempo quando gli occhi di Harry incontrarono i miei.
 
Mi lanciò un sorriso, facendomi volgere il capo verso i nostri amici, che stavano attualmente tentando di persuadere la macchina del punteggio alla sottomissione. Tutti stavano andando d'accordo.
 
Annuii, felice di come i nostri gruppi si fossero fusi insieme facilmente. Come la chimica tra Niall e Zayn si era trasformata in una doppia squadra da atto di commedia, il modo in cui Danielle si era avvicinata subito a Harry, il divertimento di Liam di fronte all'intera vicenda, e l'affinità di Niall per qualunque cosa coinvolgesse il cibo... tutto semplicemente combaciava.Meglio di quanto avessi potuto sperare.
 
Lui annuì di rimando, concordando con la mia affermazione non detta. Sembrò andare alla deriva per un momento, gli occhi che si spostavano verso il basso e lontani dal mio sguardo.
 
Gli lanciai un'occhiata, toccandolo dolcemente sul mento per fargli alzare il viso di nuovo all'altezza del mio. Ci stai pensando di nuovo, non è vero?
 
Si strinse nelle spalle, la metà della sua bocca a contorcersi in una vaga parodia di un sorriso. Già.
 
Scossi la testa, usando le mie dita per tirare le mie labbra in un sorriso. Non stasera, okay?
 
Lui annuì, tentando un sorriso che venne fuori vagamente genuino. Okay.
 
Lo specchiai, prendendo le sue mani nelle mie e tirandolo in piedi. Potevo sentire la sua instabilità nel modo in cui stava, la sua postura precaria e instabile come sempre, ma rimase in piedi quando lo lasciai andare. Bowling, sì?
 
Si avviò verso la macchina del punteggio con una rapida scossa affermativa della testa, chinandosi sui capelli biondi di Niall per scrutare lo schermo e poi sussurrargli qualcosa all'orecchio, facendoli scoppiare in delle risatine. Ruotai gli occhi, sicuro di non voler sapere di cosa stavano ridendo, quando i miei occhi si rivolsero verso Zayn, che mi guardava con la più curiosa delle espressioni sul volto.
 
I suoi occhi mi inchiodarono sul posto, facendomi rimanere immobile per l'intensità del loro sguardo. Non era ostile, più interessato, come se stesse sondando qualcosa, e forse in piccola parte triste. Aprii la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma in quel momento Liam lo colpì alla spalla, facendogli spostare lo sguardo da me.
 
"Come ti dobbiamo segnare, Zayn?" Chiese, appoggiandosi alla macchina.
 
Il ragazzo dai capelli scuri rifletté sulla domanda per un momento, qualunque traccia della sua precedente intensità completamente sparita dal suo volto. "DJ Malik."
 
Niall apparve da dietro di lui, mettendo le mani sulle spalle di Zayn e saltandogli sulla schiena, le gambe avvolte attorno alla sua vita. "DJ Malik,rappreeeeeseeeeeeeentaante del Principe di Mulligar."
 
Harry si voltò verso di me. "Vedi con che cosa devo avere a che fare?"
 
Annuii, soffocando una risata. "Beh, sono d'intrattenimento."
 
Un sorriso irruppe sul suo viso, increspando gli angoli dei suoi occhi. "Beh, credo che non saremo in grado di sbarazzarci di loro, vero?"
 
 
xx
 
 
Avevamo giocato due partitite e ci eravamo sistemati in un confortevole circolo di conversazione, Liam e Niall stavano avendo un intenso dibattito sul calcio mentre Danielle e Harry discutevano su quale fosse esattamente la parte migliore di una torta, Zayn che lasciava un commento ogni volta che ne sentiva la necessità.
 
Avevo appena finito il mio drink quando Zayn si staccò da Niall, alzandosi in piedi con uno scatto. "Sto andando fuori a fumare. Niall, non ti prostituire mentre sono via."
 
Niall gli lanciò un sorrisetto che praticamente trasudava felicità. "Non ci penserei mai, Zayneycakes."
 
Zayn gli rivolse un sorriso indulgente, alzando lo sguardo verso di me e arricciando leggermente un dito, un piccolo gesto per fare sì che lo seguissi. Mi alzai, scavalcando le gambe distese di Harry. "Vengo con te."
 
Le sopracciglia di Harry scomparvero tra i suoi ricci. "Fumi?"
 
"Nah, ho solo bisogno di un po' di aria fresca." Risposi, dandogli una parziale verità. Non mi sarebbe dispiaciuto prendere una veloce boccata d'aria, ma sopratutto volevo sapere che cosa aveva spinto lo sguardo di Zayn, all'inizio della serata.
 
Lui annuì lentamente, ed ebbi la forte sensazione che avesse una buona idea di quello che stava succedendo. "Non perderti mentre sei fuori, Boo Bear."
 
Gli feci una linguaccia, non proprio infastidito da quel nomignolo come avrei dovuto essere, e seguii Zayn fuori.
 
Faceva freddo, l'aria fredda dell'inverno contro le mie guancie mentre infilavo le mie mani in profondità nelle tasche, seguendo Zayn lontano dalle porte. La strada era abbastanza tranquilla, pochi ristoranti malmessi che illuminavano di un caldo bagliore i marciapiedi, gli ultimi pedoni che si affrettavano a raggiungere le loro destinazioni.
 
Zayn tirò fuori una sigaretta, infilandosela tra i denti e tirando fuori un accendino, cliccandoci con il pollice fino a che la fiamma non prese.
 
"Sai che è innamorato di te, vero?" Iniziò, le parole perse a metà attorno alla cartina.
 
Pensai di smentire, o fingere di non aver colto la frase, ma tutto quello che non riuscii a controllare fu una scrollata di spalle, un lieve sentimento di sconvolgimento a contorcere il mio stomaco. Credo che non avessi davvero pensato a cosa Harry provasse verso di me, troppo preso com'ero dallo stupore personale che provavo per lui. Ero stato quasi egoista, presumendo che avessi potuto continuare ad amarlo in quel modo senza alcuna conseguenza. "Non lo sapevo." Ma immagino che fosse una specie di bugia.
 
"Si che lo sai." Rispose, soffiando un lungo flusso di fumo tra le parole, il suo sguardo castigatore, ma non scostante.
 
"Credo di averlo saputo." Ammisi, ignorando il brivido di felicità che provai nel pensare a lui, come aveva cominciato a sorridere di più, a come aveva lasciato che lo portassi in dei posti, che si addormentasse tra le mie braccia. "Ma questo non può succedere. Non vuole amare nessuno."
 
"Non si può decidere come sentirsi." Rispose Zayn, in un tono fastidioso che suonava sin troppo carico di verità. "E questo lo spaventa a morte."
 
"Lo so." Se avessi potuto scegliere qualcuno di cui innamorarmi, non sarebbe stato di certo un malato terminale di diciotto anni, ma qui ci trovavamo.
 
"Anch’io lo amo, lo sai." Disse Zayn infine, abbassando la testa verso il basso per inspirare più profondamente. "E tu vai bene per lui. Tu non hai idea di come sia stato lo scorso anno, guardarlo cadere lontano da tutto. Era il migliore amico che io abbia mai avuto, e non credo che sappia nemmeno quando sia speciale, e non penso che lo saprà mai ma... E' un'altra cosa e tu lo stai riportando indietro."
 
"E' il mio lavoro." Risposi, sperando di aver avuto un modo più adeguato per consolarlo. Ero sempre stato bravo con le emozioni degli altri, ma quando queste si legavano alle mie diventava tutto un po' incasinato.
 
Lui scosse la testa, un po' di divertimento che guizzava agli angoli della sua bocca. "Questo non lo è."
 
Annuii, scrollando le spalle. A questo punto, avrei praticamente potuto buttare ogni ultimo brandello di finzione rimasto al diavolo. Harry non era più solo un mio paziente, ma qualcosa che offuscava le linee tra amico ed amante. "Ma lui vale la pena, no?"
 
Un sorriso crebbe su tutto il suo viso, i bordi di esso saturi di una tristezza che sembrava familiare lì.Come tutta questa cosa era stata difficile per Harry, ebbi la sensazione che non fosse stata troppo facile neanche per Zayn. "Certo che vale la pena."
 
"Non è proprio giusto, vero? Che debba essere lui. Avrebbe potuto essere chiunque di noi e invece deve essere lui." Dissi a bassa voce mentre inspirava un altro tiro, sfregando le mie toms sul marciapiede coperto di sale.
 
"Ci ho pensato molto da quando gli è stato diagnosticato il cancro." Zayn rispose, facendo cadere un po' di cenere sul marciapiede. "Un sacco di volte vorrei che fosse stato diagnosticato a me. Harry è fragile, voglio dire... è grande, carismatico e sarcastico, ma è come vetro all'interno. Non dovrebb-" Fece una pausa, chiudendo gli occhi e tirando la sigaretta quasi fino al filtro. "Non dovrebbe essere stato lui."
 
"Non dovrebbe essere nessuno." Risposi, pensando all'appuntamento per la PET che avevo preso precedentemente quel giorno, la minaccia di una ricaduta appesa sopra la mia testa come una nuvola scura. Non avrei dovuto farlo, Harry non avrebbe dovuto farlo, Olly non avrebbe dovuto farlo, ma a quanto pareva i poteri erano rimasti indifferenti alle nostre sofferenze, mentre noi faticavamo a rimanere a galla.
 
Lui annuì, gettando il resto della sua sigaretta a terra, lasciando che si spegnesse sul cemento. "Torniamo dentro?" Chiesi, staccandomi da dove mi ero appoggiato sul muro.
 
Zayn annuì, facendo lo stesso. Rimanemmo così per un momento, un piede o poco più distanti, prima che uno di noi tirasse l'altro a sé, le sue braccia attorno alle mie spalle e le mie intorno alla sua vita. Odorava di fumo, prodotti per capelli, e qualcosa che ricordava vagamente gli agrumi che non avrebbero dovuto davvero essere confortanti, ma lo erano.
 
"Voglio solo fare tutto bene per lui." Mormorai nella sua spalla, stringendo tra loro i miei occhi chiusi.
 
"Tu lo sei." Fece un respiro profondo, e mi chiesi quante conversazioni quell'anno Zayn avesse passato cercando di non piangere. "Grazie."
 
"Vorrei solo poter fare di più."
 
"Lo so." E lo sapeva, forse meglio di chiunque altro. Se c'era una cosa che Zayn aveva capito, era quanto fosse dolorosa la questione dell'amare Harry Styles.
 
 
 
Passò un lungo momento prima che tornassimo dentro.
 

 
 
 
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Catch me, I'm falling

Ed ecco, tutto per voi, un nuovo capitolo.
Non c'è molto da dire, effettivamente, perchè questo chap parla da solo: è di una dolcezza sconfinata davvero, a partire dal dialogo tra Lou e Harry che avviene solo attraverso i loro sguardi, per finire con la figura di Zayn e l'abbraccio che lui e Louis si scambiano.
Inutile dire poi quando la battuta del nostro preudo-orientale sia fondamentale.
"Sai che è innamorato di te, vero?"
Ora, non vi annoierò con altri commenti...potete farne di vostri comunque, per cui niente paura :)
Il prossimo capitolo arriverà a breve. Fino a quel giorno, godetevi queste vacanze e buon esame a tutti quei lettori che fanno il quinto!
Un abbraccio e alla prossima! 

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Capitolo 10
*** Chapter 10 ***


Chapter 10

 
 
Erano passate le 10 e 30 quando finalmente smontammo le tende, con la ridarella (da parte di tutti) e non del tutto sobri (dalle parti di Niall, Zayn e Danielle). Avevo accettato di riportare Harry di nuovo all'ospedale, le sue proteste sulla sua capacità di poter tornare a casa da solo bocciate da tutti i coinvolti.
 
Strisciammo dentro ad un taxi, uno sbadiglio che si estendeva lungo tutta la mia faccia mentre mi allacciavo la cintura di sicurezza, stringendomi nella mia giacca mentre Harry diceva al tassista l'indirizzo.
 
Si appoggiò di nuovo contro il sedile, lanciandomi un sorriso sbilenco mentre cominciavamo a dirigerci verso l'ospedale, la casa perpetua di Harry.
 
"Non ti stanchi mai di dormire in un letto d'ospedale?" Chiesi, una domanda che mi tormentava da un po'. Un sacco di pazienti terminali predispongono cure al di fuori dell'ospedale, così da poter morire nel confort della propria casa.
 
"E' il mio letto ora." Rispose, dandomi un sorriso con tanto di denti.
 
"Quindi davvero preferisci vivere lì?" Io amavo il mio letto, sfatto com'era, e non potevo immaginare come sarebbe stato dormire con il trambusto fluorescente della vita ospedaliera ogni singola notte. Una delle mie parti preferite del giorno era starmene rintanato nella mia stanza, tirandomi le coperte fin sopra la testa e sapendo che mi trovavo in un luogo in cui il mondo non poteva trovarmi.
 
"Non hai idea di quante volte io abbia avuto questa conversazione con mia madre."
 
"Sai, non credo che abbiamo parlato molto di tua madre, ancora." Risposi, scherzando solo a metà.
 
Lui emise un rumore lugubre. "Se sapevo che avessi intenzione di farmi discutere dei miei sentimenti avrei camminato fino a casa!"
 
Mi misi a ridere, una risata stanca che suonò molto meno sobria di quell'unica birra che avevo bevuto. "Tu? Che cammini per tornare a casa? Sarebbe stato più simile a un viaggio."
 
"Ce l'avrei fatta alla fine." Rispose lui petulante, appoggiandosi alla portiera e lanciandomi uno sguardo di sbieco. "Mia madre è carina. Non comincia ancora a capire, ma ci prova."
 
"Hai cercato di spiegarglielo?" Chiesi, gradendo il modo in cui la radio ronzava in sottofondo, il motore rombante attraverso le mie ossa, l'odore stantio del taxi sopraffatto dall'odore di Harry.
 
Si strinse nelle spalle, battendo i piedi contro il suolo. "Non credo di volere che lei sappia. E' meglio così."
 
"Perchè?" Volevo capire, ma non ci riuscivo. Mi sembrava che tagliarla fuori rendesse solo le cose molto più difficili per lui.
 
"Perchè è più facile per lei pensare di potermi aiutare." Rispose, gli occhi puntati sul tappeto, ombre che scivolavano attraverso i suoi lineamenti e che lo rendevano impossibile da leggere.
 
"Magari potrebbe farlo se solo tu glielo permettessi." Offrii, ma forse aveva ragione. Forse non doveva capire il cancro nello stesso intimo modo in cui chi vi è affetto fa, forse avrebbe potuto proteggerla, farle credere nella possibilità di acquistare più tempo anche solo per un po' più a lungo.
 
"No." La sua voce raggiunse l'apice, difensiva e cruda.
 
Allungai una mano sul sedile grigio, spingendo le mie dita tra le sue. Va tutto bene. "Sì, lo so."
 
"Allora, di cosa voleva parlare Zayn?" Mi chiese, in un classico cambio di argomento da Harry Styles.
 
"Le risonanze metaforiche del mangiare la glassa prima della torta." Risposi, lasciando che riportasse indietro la conversazione verso un territorio più facile. "Ha pensato che fosse il simbolo della dolcezza dell'infanzia, seguita dalla torta più sconvolgente della vita adulta. Io ero per la teoria del carpe diem, in cui mangiare la glassa per prima rappresenta la comprensione del fatto che bisogna godere delle parti migliori della vita mentre si può, dal momento in cui un intero cupcake non è mai una certezza."
 
Lui sbuffò, stringendo la mia mano, la leggerezza tornata nel suo tono. "Sei pieno di merda."
 
"Potrei mentirti?" Chiesi, una risata che risalì prima che potessi comprimerla di nuovo indietro. Non ero mai stato così, tutto risate e occhioni dolci. Ma poi, immagino di non essere stato un mucchio di cose prima di incontrare Harry. Non ero mai stato infelice della mia situazione, ma se morire era come cadere, allora la mia vita era come galleggiare. Era come se fossi stato alla deriva, in attesa di qualcosa che mi trascinasse giù e mi facesse sentire qualcosa.
 
"Forse mi piace solo la glassa, coglione."
 
"Non scegliere i tuoi comportamenti in base alle loro risonanze metaforiche? Sono deluso Harry, lo sono davvero."
 
Lui mi guardò solamente per un attimo, sporgendosi in avanti, chinandosi così che la sua testa si appoggiasse contro la mia spalla. "Penso di compensare la mia mancanza di metafore con un eccesso di riccioli."
 
Io mugugnai sotto il mio respiro. "Forse. Ci dovrò pensare."
 
Si strofinò la testa contro la mia spalla. "Louehhh."
 
Scivolò fuori dalla sua cintura di sicurezza e posò il capo sul mio grembo, lasciando che i suoi occhi si chiudessero. La tenerezza rannicchiata nel mio petto di fronte alle sue buffonate, la mia mano prese a fermarsi tra i suoi capelli. "Non è un po' pericoloso?"
 
"Forse." Rispose, senza aprire gli occhi. "Sai che altro è pericoloso?"
 
Avere sentimenti? "No, non lo so."
 
"I tumori maligni al cervello." Ridacchiò a questo, e mi chiesi se magari avesse un po' bevuto quando non stavo guardando. Anche se, facendo correre le mie dita assentemente tra i suoi capelli, ero abbastanza sicuro che questo fosse solo Harry che si comportava da Harry.
 
"Questo è stato carino, comunque." Disse dopo un lungo momento, una nota di serietà che s’insinuava nella sua voce. "Questo è quello che mi piace di te Lou, rendi tutto bello."
 
"Non hai molto senso, Haz." Risposi, i capelli morbidi aggrovigliarti introno alle mie dita, il finestrino fresco dove avevo appoggiato la guancia.
 
"Sto cercando di dirti grazie." Rispose, cacciando fuori l'ultima parola, la stanchezza che rendeva tutto un po' sfocato ai bordi. Stavamo di nuovo andando alla deriva in quel posto nella fortezza di coperte, dove tutto era Harry e Louis e tutto era ok. "Per essere carino."
 
"Grazie." Risposi sinceramente, volendo dirgli solo quanto lui significasse per me, ma con la paura di forzarlo. Zayn aveva ragione, Harry era fragile, e non avrei potuto far ricadere il peso dei miei sentimenti su di lui. Aveva bisogno che io fossi lì per lui, non che lo amassi.
 
"Mi porterai da qualche altra parte domani?" Chiese, colpendomi il ginocchio con l'indice.
 
"Dove vuoi andare?" Chiesi.
 
"New York."  Rispose senza esitazione. "New York, New York."
 
"Hai intenzione di pagare tu i nostri biglietti aerei?" Lo presi in giro, dandogli un leggero colpetto all'orecchio mentre un piano si era formato nella mia mente. Non avrei potuto portare Harry a New York, ma avrei potuto portare New York a Harry. Le grandi città erano facili da portare attraverso l'Atlantico con un po' d’ingegno.
 
"Yep. I viaggi internazionali sono a buon mercato questi giorni."
 
"Stanno praticamente regalando voli." Concordai, alzando lo sguardo mentre il taxi accostava a lato della strada, arrivando alla nostra destinazione. "Siamo arrivati, love."
 
Harry si tirò su, scuotendosi e facendo un grande sbadiglio. "Sono stanco."
 
"Il sonno combatte il cancro." Gli ricordai, aprendo la portiera mentre lui si slacciava la cintura di sicurezza.
 
"Come potrei dimenticarlo?" Rispose, arrampicandosi su di me e poi sul marciapiede. Indugiò sulla soglia, una mano sulla porta e l'altra spinta in profondità in tasca. "Allora, ti vedrò domani?"
 
"Ti passerò a prendere alle 22," Sorrisi. "Dormi il più possibile. Se ti addormenti durante la mai sorpresa, non ti perdonerò mai.”
 
"Beh, sono curioso adesso." Rispose, un sorriso pigro arricciato sul suo viso, i contorni delle guance bagnati nella luce blu proveniente dall'ospedale. Aspettai che mi salutasse, ma rimase solo in piedi, così, per un lungo momento, come se qualcosa lo tenesse fermo.
 
"Mandami un messaggio quando sei tornato nella tua camera." Dissi, metà perchè volevo essere sicuro che rientrasse incolume, e metà per riempire il silenzio che sembrava aver risucchiato tutta l'aria dai miei polmoni.
 
"Se non muoio lungo la strada, certo." Scherzò, rabbrividendo un po' nella brezza di Febbraio.
 
"Questo non è assolutamente divertente." Risposi, cercando di apparire in disapprovazione ma incapace di trattenere un sorriso.
 
"Si, lo è." Sembrava quasi angelico mentre se ne stava lì, per quanto possa suonare stupido, nel suo cappotto trench mezzo scomposto sul suo maglione rosso, i ricci grandi e disordinati, la pelle pallida leggiadra nella notte fluorescente. Non parlai, tutte le frasi che volevo dire impacchettate nel mio petto e bloccate in bocca. Ti amo. Voglio toccarti. Mi piace il modo in cui mangi i cupcakes.
 
"Buona notte, Louis." Disse alla fine, mettendosi dritto in piedi ma mantenendo ancora il mio sguardo, incantevoli occhi verdi scintillanti anche nel bagliore pallido.
 
"Buona notte, Harry." Risposi, guardandolo mentre si voltava e scompariva nella luce.
 
 
xx
 
 
 
   11:10 Harry
   Ce l'ho fatta senza morire
 
   11:11 Louis
   Ben fatto!
 
   11:11 Harry
   11:11, veloce, esprimi un desiderio!
 
 
 
Fissai lo schermo, sapendo cosa desiderare senza nemmeno pensarci.
 
 
 
   11:11 Louis
   Fatto.
 
   11.12 Harry
   Che cosa hai desiderato?
 
   11:12 Louis
   Beh, se te lo dico non si realizzerà.
 
   11:12 Harry
   Maledetto!
 
   11:12 Louis
   Non dovresti essere a dormire?
 
   11:13 Harry
   Sei tu quello che mi tiene sveglio.
 
   11:13 Louis
   Buonanotte Haz.
 
   11:13 Harry
   Buonanotte Lou.
 
 
 
Infilai il mio telefono in tasta, la verità che stava bruciando un buco nel luogo in cui si trovava il mio cuore. Alcuni desideri, non importa quanto ben conservati, non potevano avverarsi.
 
Ma questo non m’impediva di desiderarli.
 

 
 

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Catch me, I'm falling

Scusatemi il ritardo pazzesco ma me ne stanno accadendo di tutti i colori, e sono di fretta anche adesso...
In ogni caso grazie a tutte quelle che continuano a seguire questa storia, spero che anche questo capito vi sia piaciuto :)
Promettendovi un prossimo agiornamento più rapido, ci vediamo al prossimo capitolo! E se avete qualcosa per la testa, sapete dove trovarci!
Un abbraccio,
Cri

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