L'ultimo spenga la luce.

di Paradichlorobenzene_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Ritorno a Stalag 14. ***
Capitolo 3: *** 2 - La leggenda di Soleil. ***
Capitolo 4: *** 3 - Sai tenere un segreto? ***
Capitolo 5: *** 4 - Place de La Concorde. ***
Capitolo 6: *** 5. Il puzzle si riassembla - Primo pezzo. ***
Capitolo 7: *** 6. In cui si scopre che il puzzle è incompleto. ***
Capitolo 8: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


L'Ultimo Spenga la Luce.

Nome: Florence (Pr. Florens)
Cognome: Martin. (Pr. Marten)
Luogo di nascita: Frejéus, Provenza, Francia.
Data: 28/02/1995
Anni: 17.
Occupazione: Suonare la chitarra, leggere, scrivere.
Ambizione: Dimenticare.

Florence, zazzera rossa e occhi dorati, dalla vita sembra aver ricevuto solo del male. Dopo aver perso i genitori, sempre assenti per lavoro, in un incidente automobilistico nel 2006, venne data in affidamento a una zia mai ripresasi da un aborto di molti anni prima e uno zio dedito all'alcolismo e alla violenza. 
Abusava spesso di lei, anche con uomini del suo giro di giocatori, finché, compiuti i sedici anni, Florence prese coraggio e denunciò i fatti alla polizia, che arrestò lo zio per abuso su minori, oltre che per traffico illegale di droga.
La ragazza viene così affidata a una sua zia ventenne residente a Parigi, e iscritta al liceo Dolce Amoris.
Passò un anno a riprendersi dallo shock che però la ferì troppo profondamente, entrando con un nuovo carattere direttamente in quarta superiore, avendo svolto il programma da autodidatta.
In quell'anno di solitudine forzata, Florence subì diverse delusioni da quei pochi ragazi che aveva frequentato, lasciando la porta del cuore aperta.
Aveva smesso di riporre le proprie fiducie nella gente ma non poteva evitare di starci male quando essa se ne andava, lei chiedeva solo che, nel suo cuore, spegnessero la luce che ormai lampeggiava. Riuscirà qualcuno a entrare e rimanere, cambiando la lampadina senza prendere la scossa?

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Capitolo 2
*** 1 - Ritorno a Stalag 14. ***


14 settembre  - 1° giorno del quinto anno a Stalag 14.

Dopo il lungo e dolce – dolcissimo, a dire il vero – periodo delle vacanze estive, eccomi ritornata tra le mura di Stalag 14.  Era così bello fare le ore piccole, alzarsi all’ora di pranzo e vegetare in riva al mare.
Nonostante sia solo la prima ora, sento già il peso dei professori e delle loro lezioni gravare sulle mie spalle bruciate. Dopotutto, al quinto anno di un liceo scientifico,  i professori e i loro affiliati – Dio me ne scampi – si aspettano da te qualcosa oltre ogni ragionevole limite umano.
E così, il professore di matematica, un tipo leggermente attempato che si crede ancora un adolescente, si ritrova a farci l’interrogatorio sulle nostre vacanze estive.
 
-          Signor Delacroix! La smetta di fissare il vuoto risponda alla mia domanda!
-          Ma cosa gliene importa a lei di quel che ho fatto durante le vacanze? Sono andato al mare, sono andato in discoteca e mi sono portato a letto ragazze a decine, è questo che voleva sapere?

 
Castiel. Diciannove anni, bocciato in quarta superiore. Carattere: da sindrome premestruale. Segni carattestici: Capelli tinti e sorrisetto idiota. Particolare tendenza a comportarsi da strafottente e ad essere sospeso. Infatti, eccolo con una nota il primo giorno di scuola.
 
-          E lei, signor Ainsworth? Signorina Laurent! La smetta di limarsi le unghie!
-          Professore, lei non capisce la vitale importanza delle unghie sempre perfette!
-          Io sono stato in campagna con la mia famiglia.
 

Lysandre. Diciannove anni, bocciato in quarta per la sua tendenza a dimenticare le cose importanti, con particolare predilezione per i compiti in classe. Carattere: Abbastanza calmo, assente è il termine più adatto. Segni caratteristici: Capelli bianchi, occhi bicolore, vestiti in stile Epoca Vittoriana, tendenza a dimenticare il suo quaderno con risultati disastrosi.
 
Ambre. Diciotto anni a dicembre, arrivata per miracolo – miracolo di suo fratello (san) Nathaniel, specifichiamolo sempre – in quinta superiore. Carattere: Da gallina isterica. Segni caratteristici: Capelli cotonati, tendenza a snobbare la gente, è sempre circondata dalle sue due amiche del gruppo delle oche: Li Chang e Charlotte François. Anche da Capucine Guerin, che però viene del tutto ignorata.  

 
Dopo quattro interminabili anni in un liceo – anche se solo uno in questo istituto – il mio cervello funziona come un radar. Chiunque abbia visto un programma di Graphic - Design mi può capire. Quelle linee verde fosforescenti tipo mirino sono ovunque. Ma la cosa peggiore è che ho iniziato a parlare da sola, come se non fossi già abbastanza fuori di mio. La notte mi ritrovo a vedere luci fluttuanti nella stanza, che mi parlano. I sensi di colpa mi attanagliano da tre anni ormai, sono tre anni che non riesco a dormire. Ho cambiato scuola per scappare dall’immagine che quelle altre persone – non compagni, persone – avevano di me. E non me ne rendevo conto.
O almeno finché non conobbi Jèan.
Jèan è stato l’errore più bello che io potessi fare. Era bello, ed era dolce, e intelligente, ma forse anche parecchio superficiale. Era il maggio dell’anno prima, avevo compiuto da poco meno di tre mesi diciassette anni e  ci frequentavamo già da un po’, almeno fin quando mi accorsi di essere incinta da circa due mesi. Il giorno dopo averlo saputo non si presentò a scuola, e così per settimane.
Poi mi dissero che aveva cambiato città, persino stato. Così come la scheda telefonica e, a quanto mi hanno detto, il taglio di capelli.
Non mi disse quasi niente, ne un parere, non mi aveva nemmeno lasciato esplicitamente.
Solo “Stai attenta a quel che fai”, dopo mi voltò le spalle e se ne andò. Fu l’ultima volta che lo vidi.
Il mese dopo persi il bambino, mentre stavo per entrare al quarto mese.
Avevo deciso di tenerlo ma la mia buona volontà non servì a salvargli la vita, non c’era stato niente da fare.
Mia zia, che voleva ritrasferirsi nella mia città natale, decise di tornare definitivamente a Parigi.
Da allora ogni ragazzo mi si avvicinava per un motivo ben preciso, le voci girano nelle città medio - piccole come Frejéus, e molti dei miei conoscenti avevano amicizie a Parigi, finché anch’io, un po’ per divertimento un po’ per noia, ho iniziato a tener loro la porta aperta.
Adesso sono cambiate molte cose, tranne questo. Il mio aspetto e molti lati del mio carattere, ma non altro.
Dopo Jèan ce ne furono molti altri. Non me ne ricordo nemmeno i visi. Entrando in una nuova scuola, decisi però di darmi una regolata. E adesso, che in classe ho la mia controfigura smorfiosa, mi rendo perfettamente conto che la mia, dopotutto, non è una decisione poi così sbagliata.
 

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Vacanze a Marseille, Florence, estate 2010.

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Capitolo 3
*** 2 - La leggenda di Soleil. ***


-           Castiel, dammi una sigaretta.  
-           Che fine hanno fatto le buone maniere?
-           Disse il premio Nobel per la buona educazione. Dammi una sigaretta e taci.

Castiel, che sa di non poter discutere a lungo con te, è costretto a cederti la sua ultima sigaretta, sbuffando come un bambino.
Ti sporgi dalla finestra della tua classe, piano terra dell’edificio scolastico – alias “carcere” – e l’accendi, nonostante siano le sei di sera, e tu debba tornare a casa.
La zia pensa che tu abbia i corsi di recupero fino alle sette e trenta, ma non ti piace rincasare tardi. Tuttavia, la serata è così piacevole che ti concedi altri dieci minuti in cortile.
Castiel si allontana salutandoti con la mano, senza nemmeno girarsi, pensi finalmente di essere sola.
Puoi finalmente pensare alla versione di latino per l’indomani – quattordici righe di versione, ed è soltanto il primo giorno! – senza essere presa per la secchia della classe.
 
-           Fammi capire, non solo frequenti soggetti come Castiel, ma pensi anche alla versione di latino appena uscita da scuola?
-           Sta’ zitto Lysandre, anche tu frequenti Castiel, e da molto più tempo di me. – Lysandre sorride, elegante come suo solito.
-           E’ vero, ma più che essere suo amico, sono la sua balia – Touché.
 
Nessuno capisce mai a cosa stia realmente pensando Lysandre, è un po’ l’incognita di noi studenti.  La sua mente vaga da un pensiero all’altro, come le sue parole cambiano spesso argomento, l’indecifrabilità dei suoi ragionamenti è, in un certo senso, più incomprensibile dell’apparente sindrome premestruale di Castiel.
 
-           Sai una cosa? Mi ricordi Soleil.
-           Sole che?
-           Soleil. La leggenda di Soleil.
 
Ed eccone l’inconfutabile prova, Lysandre ha perso qualche venerdì scrivendo troppe poesie.
 
-           Soleil era una ragazza che si dicesse, fosse così pura da brillare come il sole. Ha molto viaggiato, cercando un suo amico che era stato trasformato in un uccello nero – un Dio della Morte – da un incantesimo. Quando lo trovò, il ragazzo non la riconobbe, e lei riuscì a liberarlo solo facendosi carico dell’oscurità che l’aveva invaso. A poco a poco, sempre più uccelli neri venivano da lei per essere purificati e diventare bianchi. Lei porse la sua mano a tutti, finché, seguita da uno stormo di uccelli bianchi, lei venne consumata dall’oscurità fino a morirne. In mezzo a una moltitudine di uccelli bianchi, il suo corpo era diventato nero e freddo a causa del male che lo divorava. Gli uccelli, afflitti, cercarono di recuperare la loro oscurità, ma non vi riuscirono. Solo il suo vecchio amico, gettandosi dal precipizio in cui lei era caduta perdendo le forze – gli altri non vi riuscivano a causa del forte vento-,  riuscì a recuperare le ali nere per portarla a terra, ma non riuscì a salvarla. Soleil, che aveva ancora una minima parte della sa forza, riuscì a salvare il suo amico dall’oscurità, riacquistando la luce che aveva ma morendo definitivamente. La frase conclusiva della leggenda è “Nel cielo invaso da uccelli neri, tu brilli come l’oro splendente, tu sei Soleil”.
Tu sei come Soleil, tendi a farti carico delle colpe del mondo finendo per morirne, è sbagliato. Soleil non concluse nulla perché tentando di salvare le persone morì, e loro per salvarla riacquistarono una parte di oscurità. E’ questo che succede a far del bene per troppo tempo. Fai male solo a te stessa.
 
Lysandre prese la cartella e se ne andò.
Adesso, lui è sempre stato tuo grande amico, ma certe volte si spiega come un libro chiuso. Cosa c’entrava Soleil?
E cosa voleva dire che tendi a farti carico dei problemi di tutti?
Se ciò che dice è vero dovresti essere migliore come persona, invece non lo sei. Sei sicura di non esserlo.
Tutto ciò ti sembra un’insieme di parole sconnesse, troppi pensieri.
Devo fare la versione.
Ma che cosa voleva dire?
Toh guarda, i miei capelli stanno riallungando.
Eppure Soleil è un bel nome.
Anche così lunghi sono belli, stavolta non li taglio.
Lysandre fa’ discorsi insensati.
Spegni la sigaretta, la getti.
Prendi lo zaino.
Torni a casa.


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Capitolo 4
*** 3 - Sai tenere un segreto? ***


Tutti i sabato sera sono fatti per la discoteca, e i tuoi amici lo sanno bene.
Il sabato sera non ci sei per nessuno, non c’è la tua mente, non conosci legami.
Cambi locale ogni settimana, cambi compagnia e giri sempre da sola.
Solo il sabato sera dai importanza ai vestiti.
Quella sera, i tuoi jeans scoloriti hanno lasciato il posto a un paio neri, fascianti e leggermente traslucidi, le scarpe da ginnastica ai tacchi a spillo e le t – shirt a top - sempre neri- stretti e scollati.
La cinta nera, i braccialetti a cerchi argentati e la collana a borchie, brillano addosso a te e non sulla sedia.
Solo per quella sera ti concedi il filo di trucco, il profumo alla vaniglia e una passata di piastra ai tuoi capelli già lisci.
Quella sera ti aspetta in un locale di periferia, tranquillo e abbastanza piccolo, ma, a quanto dicono, con una lista infinita di drink e frequentato da ragazzi bellissimi.
Dopotutto, l’estate è quasi finita. Davvero vuoi terminare qui la tua avventura?
Scendi dalla macchina e ti avvii all’entrata, la musica è già alta nonostante siano solo le ventitré.
Vai al banco e prendi un Sex on the beach, l’aroma della pesca e il gin sono talmente buoni che quando li trovi non puoi farne a meno. Dai un’occhiata in giro, sembra che non ci sia nessuno che conosci.
Bene.
Una volta finito il drink ti dirigi verso la pista da ballo, muovendoti sinuosa sotto le luci della discoteca.
Ti scivolano addosso come seta.
I capelli, in contrasto con i tuoi vestiti, ondeggiano a ritmo in senso opposto ai tuoi fianchi.
All’improvviso senti delle mani tenerti per i fianchi.
Beh, dopotutto dovevi aspettartelo. Sei in discoteca e questo è esattamente quello che vuoi.
Volti leggermente la testa per poter guardare il ragazzo, in effetti sembra carino.
I capelli biondi sono raccolti in un codino, gli occhi verdi sono in contrasto con l’abbronzatura del volto e la camicia bianca semi – sbottonata lascia intravedere dei muscoli, probabilmente scolpiti da ore di palestra.
Sorride lascivo incontrando il tuo sguardo.
Rispondi al sorriso continuando a ballare, quando vedi qualcuno che conosci molto bene.
Chi non riconoscerebbe quei bei capelli rossi? Tra tutte le discoteche del paese, doveva scegliere questa anche Castiel.
Non sembra passarsela male, considerando quelle due ragazze – ben piazzate a curve, è il caso di dirlo – che gli girano attorno.
Dall’espressione non vede l’ora di levarsele di torno, probabilmente sono oche come Ambre.
Eppure quella di sinistra, con una treccia di capelli neri illegalmente lunga e due occhi verdi grandi come se fossero di una bambola, ti sembra di conoscerla.
-           Isabelle, andiamo via.  – Disse l’altra, dai capelli corti e neri e un paio di gambe lunghissime, guardando
ammiccante una coppia di ragazzi poco più in la.
-           Arrivo François, solo un attimo – Disse l’altra, sussurrando qualcosa all’orecchio di Castiel e andandosene.
Isabelle, Isabelle … ! Non sarà mica quell’Isabelle! Non può essere!
Una voce ti desta dai tuoi pensieri.
-           Andiamo di là, qui fa troppo caldo …
Però, veloce il ragazzo.
-           Va pure, io ti raggiungo subito. Devo solo prendere una cosa.
Il tuo accompagnatore senza-nome si allontana in direzione delle camere, tu vai verso Castiel.
Credi di avergli fatto prendere un infarto.
-           Ma che … ! Che ci fai tu qui! – Si guardò allarmato come uno spacciatore sorpreso in piena attività.
-           Dimmi chi era quella.
-           Gelosa? …
-           Col cazzo. Dimmi chi era o ti spacco la faccia. – Lo prendi per il colletto della polo nera, certi linguaggi con Castiel erano necessari, se volevi essere capita.
-           Ha detto di chiamarsi Isabelle Mercier, mi ha dato il suo numero, ma puoi prenderlo. A me non interessa. Piuttosto, chi era quello? E perché ti interessa tanto quella ragazza? …
-           Ah, adesso mi fai l’interrogatorio? Quello è uno che ho incontrato quindici minuti fa, riguardo alla ragazza …
Gli spiegai all’orecchio come stavano le cose, mi guardò sconcertato.
-           Sai Castiel, questo in realtà dovrebbe essere un segreto – parli con voce flebile soffiandogli le parole sul collo – di te si dice che sei un abile partner, ma saprai essere anche complice? Saprai tenere anche un tale segreto?
 
Detto questo, lo lasci a fissarti sgomento mentre ti dirigi camminando con il tuo modo di farlo, scivolato, verso le camere de letto, facendo ticchettare nervosamente i tacchi sul pavimento.


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Capitolo 5
*** 4 - Place de La Concorde. ***


“Ciao, Isabelle.
Sono il peggior incubo della tua vita, o la tua cara cugina, se preferisci. Siamo finalmente giunte alla resa dei conti.
Quindi, se non ci tieni a ricevermi sotto casa, ti aspetto direttamente a Place de La Concorde, domani, alle diciannove e trenta.
Ti troverò, Isabelle.
Puoi denunciarmi per stalking, per minaccia o per ciò che vuoi. Ma non pensare che tu possa sfuggirmi.
A presto, F.”

 

Un sorriso agghiacciante tagliò il tuo volto da parte a parte, quando la sera stessa del sabato le inviasti quel messaggio.
Sapevi che sarebbe venuta, era troppo orgogliosa per non esserci. La stronza ti aveva praticamente rovinato la vita.
Figlia adottiva di quei tuoi famosi zii, nonché loro preferita, era andata a studiare all’estero all’età di quattordici anni, lasciando te, di dodici, abbandonata al tuo destino.
Quand’era presente approfittava di te come un padrone della serva. Ti ricattava. Ti teneva chiusa in casa. Parlava dei tuoi segreti – non hai mai capito come venisse a scoprirli! – davanti a tutti.
Ma quando hai scoperto che cercava di sedurre il primo ragazzo con cui facevi seriamente portandoselo a letto da ubriaco, questo era veramente troppo.
Place de La Concorde era quasi deserta, era ora di pranzo e a quanto sembrava era serata di partita.
Chiudi per un attimo gli occhi inspirando l’aria di quella piazza che in passato vide tanto di quel sangue da riempirci la fontana.
Sede di rivolte popolari, di marce e manifestazioni, della ghigliottina. Sede di rivoluzione.
Apri gli occhi.
Mit-su-ke-ta.
Te la segnerai per sempre, questa data. Trentasettembreduemiladodici.
Tutto unito come se fosse un nome e non un insieme di numeri.  
Isabelle, in piedi davanti a te, sembra – con tuo grande dispiacere – essere diventata più bella negli ultimi cinque anni.
I capelli neri, lasciati sciolti, le arrivavano fino alle lunghe cosce del suo metro e settantacinque.
Gli occhi verdi erano enormi e luminosi, i vestiti la fasciavano perfettamente.
-          E così ci rincontriamo a Parigi, Florence. Pensavo che non ti avrei rivista mai più.
Quella sua stretta di dita sulle guancie doveva evitarla.  La scosti bruscamente.
-          Sta zitta, Isabelle. Sono cinque anni che aspettavo di chiarire le cose con te.
-          Cosa intendi dire? Non ti ho mai fatto nulla.
-          No, infatti. Sei solo stata una puttana. Mi hai usata, ricattata e schiavizzata. Ti sei divertita alle mie spalle e ti sei scopata il mio ragazzo. Non mi hai fatto assolutamente niente.
-          Era consenziente.
-          L’hai fatto ubriacare, vi ho visto con i miei occhi. Non hai un briciolo di dignità.
-          Sei solo invidiosa. Sono bella, ho studiato a Londra, fidanzata ufficialmente con un uomo molto ricco e circondata da amici. Tu non hai niente di tutto questo, Florence. Niente.
-          Solo perché mi hai fatto diventare un’emarginata! Non importa mai niente di noi insicuri, a quelli come voi! Siete solo egoisti!
-          E voi invidiosi. Una massa di invidiosi. Cosa vuoi farmi, Florence?  Vuoi davvero che lo faccia?
II video. Aveva ancora i video in cui mi umiliava. Te li eri quasi dimenticati. Le lacrime non le trattieni più.
-          Continui ad essere una puttana.
Ma la mano, pronta a darle uno schiaffo, rimane a mezz’aria. Il rossore delle cinque dita sulla sua guancia non è stato provocato da te, ma da qualcuno alle tue spalle. Isabelle porta la mano alla guancia offesa fissandoti incredula.
-          E ho sempre odiato quelle come te, sapete solo atteggiarvi e non riuscite mai a concludere niente.
Isabelle se ne va, irritata e umiliata. E quella voce la conosci.
-          Avevi dimenticato il telefono sul bancone dei drink quando sei andata al bagno, prima di andare. Fortuna che l’ho trovato io. Stai bene?
Castiel. Sembra essere diventato il tuo angelo custode.
Ma tu scoppi a ridergli in faccia, con tutte le lacrime, per via degli occhiali da sole che gli scivolano sul naso. Lui capisce e ride insieme a te.
La piazza deserta per sfondo, il motore a guardarvi.


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Capitolo 6
*** 5. Il puzzle si riassembla - Primo pezzo. ***


- Il puzzle si riassembla. - 

Guardi per l’ennesima volta le lancette dell’orologio, che sembrano essersi mosse di qualche millimetro.
Ed è strano, perché di solito l’ora di filosofia, per te, sembra passare sempre in fretta. Forse troppo.
Il professore è monotono come non era mai stato, e la sua voce ripetitiva finirà per farti addormentare.


-          Ragazzi,  oggi un altro ragazzo farà parte della vostra classe. Accoglietelo come si deve. Prego, signor Hill.

Alzi la testa scocciata, sposti sbuffando i capelli davanti agli occhi, quando noti il ragazzo.
Lo conosci, ne sei sicura.
Ma quegli occhi ti spiazzano. Sembrano due smeraldi incastonati al centro del viso. Dalla loro espressione, malinconica, strafottente, anche leggermente rassegnata, diresti quasi che siano stati incastonati a forza.
Si presenta, dicendo di chiamarsi Kentin Hill e di essere stato, per i precedenti tre anni fino a qualche giorno prima, in una scuola militare. Non può essere davvero Ken.

-          Bene, ragazzi, qualcuno dovrebbe far fare il giro della scuola al nuovo arrivato …

Nathaniel si guarda attorno, scrutando gli occhi altrui come un cacciatore.

 
Nathaniel, diciotto anni, arrivato al quinto anno con infiniti crediti e medie invidiabili. Carattere: Perfettino e  vagamente competitivo. Potrebbe essere simpatico, ma è il fratello di ambra e nemico giurato di uno dei tuoi migliori amici, quindi no.  Segni caratteristici: Camicia immacolata corredata di penne nel taschino e cravatta azzurra perfettamente annodata. Innato comportamento da vittima in situazioni difficili.
 
Egli muove il polso con fare minaccioso, quasi volesse alzare – per l’ennesima volta! – la mano.  Stavolta no.
Ti alzi in piedi sfoderando il tuo sorriso migliore. “Vorrei farlo io”.
La classe ti guarda stupefatta e tramortita, mai ti eri offerta volontaria per simili occasioni.
Mentre cammini tranquilla verso la porta, facendo segno a Kentin di seguirti, la classe bisbiglia qualcosa su possibili nevicate d’ottobre e una prossima fine del mondo.
 
Cammini tranquilla per la scuola, conscia del fatto che Ken la conosce già a memoria. Ti fermi senza preavviso a pochi passi da lui, che per poco non ti sbatte contro. Ti giri.

-          … Si può sapere cos’hai intenzione di fare, Ken?
-          Anche a me fa piacere rivederti, Loren.  Sono solo tornato in città …

Sfodera uno di quei suoi sorrisi dolci e convincenti che ti fanno venire voglia di prenderlo a schiaffi. Oltretutto, è l’unico sulla faccia della terra a poterti chiamare “Loren”.

-          Fin qui c’ero arrivata … Ma non dirai niente, vero? … Come sta tuo padre?
-          Sta bene, è in città anche lui, e … In realtà devo dirti anche un paio di cose, ma non qui.
-          E dove, allora?
-          E’ uscito il seguito di “Three Days Grace’s” e dicono sia molto bello. Andiamo a vederlo?
-          Ma Ken …
-          All’uscita da scuola ti do un passaggio a casa e ti faccio i compiti per tutta la settimana.
-          Andata. A che ora?
 
E così, alle quattro di quel pomeriggio, mi ritrovai al cinema mangiando pop-corn imburrati e bevendo coca cola, guardando il seguito di uno dei miei film preferiti con il mio amico d’infanzia.
Alla fine del film tra scambi di opinioni varie, mi ricordo perché sono lì.
 
-Allora Ken, per quale famigerato motivo sono qui e non a casa a ripassare per l’interrogazione imminente?
- ….Sai, la protagonista di somigliava.
- Non provarci e rispondi seriamente.
- Era un dato di fatto, ma se proprio ci tieni … Te lo dirò.  Mio padre ti ha adottata legalmente, siamo fratello e sorella.
- ….. Ed è una buona o una cattiva notizia?
- Scema.
 
Anche se non lo dimostri, sei felice. Il signor Hill è sempre stato come un padre per te, e come un fratello maggiore quando, ogni volta che scappavi da Ken, giocava con voi a tirarvi palle di fango in giardino. Era un generale dell’esercito, severo, ma, quando voleva, affettuoso. Riversava dedizione nel lavoro come nella famiglia ed era stato lui ad aiutarmi maggiormente quando andai a vivere per conto mio.
 
-          Solo per questo?
-          Solo per questo cosa?
-          Dovevi dirmi solo questo?
-          No, in effetti … No. Ma non sarà una buona cosa per te.
-          Dimmela.
-          Ma Florence …
-          Dimmela.
-          … Come ogni Hill, mio padre vuole che tu ti diplomi all’accademia militare. Ha già provveduto per l’iscrizione e il nulla osta, partiamo domenica mattina. Tutti e due.
 
Domenica mattina, oggi era lunedì … No. Non potevi crederci. Ti ci vedevi all’accademia militare, ma un trasferimento così improvviso … Non sai se puoi sopportarlo o meno.
 
Quella sera, dalla tua stanza, le stelle sembrano quasi non brillare. Il cielo era spento, la luce con lui.
Cammini  a passi lenti per la stanza, alla ricerca di un foglio bianco. Spostando i libri, un disegno cade a terra. Un disegno palesemente fatto da un bambino, raffigurante una ragazzina che tiene in mano i genitori. Era sempre stato il tuo sogno, ma adesso non lo sai più nemmeno tu. Un altro trasferimento.
Sospiri, hai una settimana per salutare tutti. Anche … No, non vuoi pensarci. Prendi la penna e il foglio.
Ti siedi, accendendo il lumino e scrivi quella lettera che, dopo quasi otto mesi, non hai mai avuto il coraggio di scrivere.

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Capitolo 7
*** 6. In cui si scopre che il puzzle è incompleto. ***


- Capitolo sesto: In cui si scopre che il puzzle è incompleto.

La settimana era passata in fretta.
Avevi preparato tutto con la massima calma per dedicarti più tempo possibile.
E soprattutto per non pensare alla partenza.
I professori sembravano già sapere. Non ti interrogavano più, in classe era come se non ci fossi.
Quando un loro sguardo si posava – tra l’altro quasi per sbaglio! – su di te, trovandoti disattenta, non se ne curavano e passavano oltre.
I tuoi compagni ti guardavano stupefatti ogni volta che accadeva.
In cuor loro sapevano che gli nascondevi qualcosa. O almeno, così speravi.
Non avevi detto niente a nessuno e niente avevi intenzione di dire.
Come non sopportavi una partenza, un trasferimento così improvviso, non potevi sopportare un interrogatorio.
E poi, c’è quella lettera. Che probabilmente non invierai mai ma che è sempre li, sulla tua scrivania, che attenderà per più tempo di quando ce ne hai messo tu a scriverla, di essere aperta.
Metti le poche t-shirt rimaste nell’armadio nella valigia, ultima di una lunga serie.
Prendi alcuni dei tuoi libri, i tuoi preferiti, perché non puoi aspettare che te li consegnino insieme alle altre cose.
Chiudi tutto e prendi la lettera. Non vuoi lasciarla li, la porterai con te.
Guardi la busta bianca, incredibilmente pesante delle tue parole benché inconsistente.
Davvero non hai intenzione di consegnargliela?
Sospiri, e la metti nella tasca della giacca.
-         Florence! Sbrigati, è tardi!
-         Arrivo.
Ken non ha tatto. Solo perché è un maschio e ci mette poco a prepararsi non vuol dire che abbia il diritto di metterti fretta.
Ti viene da sorridere: sembrate fratelli di sangue.
Prendi il trolley e scendi di corsa le scale.
 
Sull’aereo ti rigiri continuamente la lettere, quella pseudo dichiarazione, tra le mani.
Così coraggiosa eppure, a volte, così codarda.
Ti convinci che hai deciso di partire in segreto e portandoti dietro tutti i tuoi sentimenti, tutti i tuoi segreti nascosti, solamente per paura.
Sai che Ken ha fatto lo stesso e non ha parlato con nessuno.
Sai che, dall’indomani, il tuo banco accanto alla finestra, pieno d’incisioni, fino al settembre dell’anno prossimo resterà vuoto.
Eppure un foglio bianco, in quel momento, è incredibilmente pesante.
Avevi cambiato scuola già molte volte, ma quando l’anno prima eri arrivata al Dolce Amoris, a discapito del nome smielato e dei muri rosa, non volevi andartene più.
Sarà stato che i suoi occhi avevano un che di magnetico.
Sarà stato che a volte era così dolce.
Il clima di quel giorno, l’aiutarti in alcune materie in cui tu eri negata, anche se non ci credi, per un attimo pensi al segno zodiacale.
Sarà stata la primavera, perché, anche se eri arrivata a ottobre, ti sei resa conto di esserti innamorata di lui a marzo, con i ciliegi in fiore anche a Parigi.
Non lo sai, e credi che, forse, è meglio per te non saperlo. Forse è meglio che tutto resti così com’è.
Che nessuno sappia niente dei tuoi sentimenti e che tu rimanda libera.
Mentre divaghi tra questi pensieri, Ken si è addormentato con la testa appoggiata al finestrino dietro di te.
Gli levi lentamente gli auricolari dalle orecchie.
Non si sveglia e decidi di metterli tu.
Tra alcune ore sarete in Irlanda, e tu finirai lì il liceo.
Con grande probabilità userai il sistema escalator e ti fermerai per altri cinque anni, proseguendo con l’università.
Tanto ormai, cos’altro hai da perdere? Ricordi una frase di un libro seppellito nei meandri della tua valigia.
Poggi la testa contro il finestrino. I tuoi occhi brillano.
“Andavo di fantasia, e di ricordi. E’ tutto quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti.”


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Capitolo 8
*** Epilogo. ***


- Due anni dopo …

Florence tornò a Parigi, una sera di fine settembre, per prendersi una vacanza in vista dei prossimi esami all’Università, che aveva iniziato a Londra.
Da quando era diventata maggiorenne non aveva ancora avuto il coraggio di tornare.
Ormai era una diciannovenne studentessa della facoltà di lettere e filosofia.
Tutti pensano che non ci sia facoltà più inutile tranne quelli che l’hanno scelta, ma a lei stava bene così.
Era arrivata un paio d’ore prima, in città, e stava già camminando verso una meta precisa.
Il Liceo.
Sapeva bene che era il luogo di ritrovo degli ex-studenti, e sperava tanto di trovarci quell’unica persone che, in due anni di assenza, non si era mai fatta sentire. Non un SMS, un e-mail, una lettera.
Non aveva facebook ne un’iscrizione a qualunque altro social network.
Probabilmente l’aveva già dimenticata, o peggio.
Alla fine, la lettera l’aveva spedita. Era partita senza dir niente a nessuno e, mentre metà del liceo Dolce Amoris di due anni prima la tartassava di chiamate, messaggi, e-mail, chat di gruppo e quant’altro, lei ignorava tutti bellamente e spediva una lettera a quell’unica persona che a farsi sentire non ci pensava nemmeno.
All’improvviso scorse un viso conoscente, si avvicinò e, posandogli una mano sulla spalla, sorrise.
Il ragazzo sorrise di rimando. Era stupito di vederla lì, così cambiata, dopo tutto quel tempo.
 
-          Florence, quando sei tornata?
-          Qualche ora fa. Mi fa piacere rivederti! …
-          Potrei dire la stessa cosa, ma non era me che cercavi, giusto?
 
Quegli occhi. La spaventavano da morire. In qualche modo, sapevano leggerle attraverso e la cosa le faceva paura. Florence annuì, incerta.
 
-          Sai la strada che costeggia il bosco? Quella che porta ad un tratto disabitato della Senna, subito fuori città …
-          Si, ho capito quale …
-          Lo troverai lì. E’ sempre lì a pensare a chissà cosa. Era già nel suo mondo da prima, ma da un po’ di tempo è praticamente assente.
 
Florence ringrazia l’amico e va verso la strada indicatole. La camminata si trasforma in marcia, che diviene corsa lenta, che diventa a sua volta corsa.
Corre e non sa nemmeno perché, il cuore va più veloce di lei ed è avanti anni luce.
Poi capisce che due anni a far finta che lui non esistesse sono stati troppi.
Quando se lo ritrova davanti, sulla strada che riporta in città, con lo sguardo fisso a terra, si ferma di botto.
Il fiato corto e le guance arrossate.
Anche lui si ferma, la guarda stupito come se fosse una visione. Gli occhi spalancati e la bocca schiusa.
 
-          Come … Quando … Cosa ci fai qui? – Ci aveva messo qualche secondo a formulare quella domanda.
-          Secondo te? Sono in vacanza. – Sorride, l’unica cosa che riesce a fare.
-          …..Quindi tornerai in Inghilterra.
-          Solo tra due settimane, quello si …
-          Sai che sei partita senza dirmi niente? – La guarda irritato, leggermente nervoso, a braccia conserte.
-          Non ho detto niente a nessuno …
-          Ci sono rimasto male.
 
Non se lo aspettava che glielo dicesse così apertamente. Non è da lui.
 
-          Beh, nemmeno tu ti sei fatto sentire gran che! … - Patetico tentativo di giustificarsi.
-          Non uso il computer. Non so come si inviano le lettere, figuriamoci le e-mail. E pensavo che non ti importasse più di tanto, visto che te ne sei andata come se più di tanto non contassi.
 
Da quando sapeva parlare da oratore? Sarà stata la rabbia del momento, ma Florence non gli rispose. Sapeva benissimo che, anche se non voleva ammetterlo, lui aveva ragione.
 
-          ….Qualche settimana fa è tornata la mia ex ragazza, Debrah. Non so se te la ricordi. Mi ha chiesto se volevo tornare con lei, e che le serviva un chitarrista per la sua band …
 
A Florence parve di sentire il rumore di vetri rotti che cadono sul pavimento. Le pizzicavano gli occhi e non era da lei. Sapeva di star contraendo le labbra e non era da lei. Il cuore minacciava di uscirle dal petto e neanche questo era da lei. Cercò di mantenersi il più calma possibile e andò avanti.
 
-          E’ sempre stato il tuo sogno, no? Sono felice per te …
-          Ma contemporaneamente mi è arrivata una lettera dal Conservatorio di Londra a cui avevo fatto domanda che diceva che mi avevano preso, il che mi ha reso più facile scaricare Debrah. L’avrei fatto ugualmente ma in quel modo ho avuto un motivo valido …
 
Sollievo. Riprende a respirare normalmente. Londra. Era praticamente a casa sua!
 
-          L’ho ricevuta, sai?
 
In un primo momento, la ragazza non capisce di cosa Castiel stia parlando. Poi connette, quando lo vede tirar fuori un foglio di carta, macchiato, dalla sua tasca.
 
-          Sapevo di essere irresistibile, ma far colpo su di te è un privilegio! – Quel sorrisetto idiota ti è mancato da morire.
-          Non montarti la testa, potevi anche rispondermi se l’avevi ricevuta.
 
Florence non ha avuto nemmeno il tempo di finire la frase. Castiel era così, l’impulsività faceva parte del suo carattere, c’era da aspettarselo.
Ma lei non si aspettava che la baciasse. Non in quel modo. Non dopo due anni di teorica inesistenza.
Non voleva quasi che si staccasse.
 
-          Ti è bastata, come risposta? Pensavo che non te ne saresti mai accorta. Prendimi per uno stalker, ma non ti sei chiesta come facevo ad essere sempre alle tue spalle, quando eri nei guai? Da quando hai messo piede in classe mi sei sembrata diversa. No, non mi riferisco solo al fisico. No, parlare così non è da me.
 
Lei non riesce a formulare una risposta, è inutile. Si limitò a fissarlo stupita, con la faccia da stupida.
Castiel sorrise.
Infondo, nessuno dei due si sarebbe mai aspettato serata migliore di quella.


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