Una storia

di Garland
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Manuel era profondamente persuaso della convinzione che, se gli avessero aperto il cuore, vi sarebbe uscito del marcio. Quindi, cucitosi un saio addosso e fattosi monaco, si rinchiuse in un eremo del Punjab, dicendosi che se c'è data una data natura, essa è da espiare scrupolosamente. Aveva capito più d'ogni altra cosa al mondo che il frate fa da se il suo abito e aveva imparato a leggersi in volto le macchie del proprio peccato con tanta acutezza che, come su una mappa del tesoro, vi perdeva delle ore con in mano uno specchio, a vagliare ogni foruncolo che sapesse troppo di bugia, o ogni ruga d'oscenità, per studiare i percorsi che potessero condurlo al proprio spirito.
Lo ritrovava sempre più mesto, accartocciato in qualche angolo di quella pietradura di carne e appena lo scovava, impietoso, passava il tempo a batterlo per la sua vigliaccheria invece che consolarselo per la mera vita da eremita che conduceva in quel monastero impudico del suo corpo. Manuel, che si era punito col suo stesso castigo, aveva sempre mostrato uno strano gusto per l'espiazione: ogni cosa sapesse di cilicio o di contrizione lo lasciava senza fiato come un cane eccitato, eppure non aveva mai avuto il coraggio d'attentare alla propria fortezza.
In fondo, al di là del dolore, non c'era ipocrisia nel dire che la colpa non era sua, ma del di dentro: tutto era imputabile a quel piccolo mostro che si aggirava dentro di lui baldanzoso con l'aria da diavolo e che lo risvegliava nelle sue passioni indecenti nei momenti più imprevisti. Il suo piccolo diavolo era un presuntuoso pretesto: a volte gli sussurrava agli orecchi che aveva degli occhi di velluto e delle mani per suonare; passava le giornate allora a dibattersi tra il suo abito e l'illusione, guardava le sue mani, si toccava gli occhi e cominciava a credere di avere un senso sulla terra. Subito dopo il demonietto scompariva con tempismo: ritornava allora la vista e vedeva se stesso... ritornava nel baratro della sua incompiutezza, baciava le pareti del monastero e piangeva come un bambino.
Il piccolo diavolo si faceva rivedere a sera e gli stringeva lo stomaco mentre era nel suo giaciglio a prendere sonno e gli diceva che l'indomani per lui si preparava dell'altro, che c'era della buona vita da vivere: Manuel cercava di non farsi tentare e si faceva tornare alla mente lo specchio, la via, il tesoro. Che tesoro, direte? Il più grande. Manuel non ne conosceva di migliori e viveva solo per sentirne l'ebbrezza arida: la consapevolezza della propria anima. Quando si percepiva il volto fra le mani tremanti e sulla superficie fredda, cogliendo il suo sguardo spaurito, carpendo la sua vacuità, il suo abbruttimento, la sua natura, raggiungeva un attimo d'estasi prodigiosa e si sentiva l'essere più santo della terra. Sentiva d'aver colto ogni sapere e ogni risposta: in quell'istante sapeva chi era e gli bastava.
Allora chiudeva gli occhi e si diceva vincente; allora chiudeva gli occhi e non c'era illusione.

Ma lei lo guardava sempre da lontano, i suoi occhi erano scuri d'ardesia grezza e per il suo sorriso lui avrebbe dato la vita, per il suo sorriso lui l'aveva chiusa in una prigione di pietra. Il suo cuore aveva preso a battere più lento, da quando se n'era andata lontano, coi suoi capelli neri e le sue braccia brune, alla ricerca della sua strada... Il sol pensiero gli mordeva lo stomaco e lo sbranava lento: la sua strada, quale strada, che presunzione!... Chi era poi quell'illusione? Niente. Una visione nera. Una donna da baciare. E da ascoltare per ore ed ore. Basta.
Pensava alla strada che percorreva. A volte ne rideva, maligno, mentre il mostriciattolo gli circondava le spalle con un braccio. Altre si era ritrovato a pregare che Iddio rendesse quella sterile ossessione a chi ne era oggetto, che le lastricasse la via di rose e genziane odorose: mai la sua rozza estasi era stata tanto dolce, come quando pensava ai suoi piedi leggeri sui petali, la sua espressione beata... ma ecco, il senso di nuovo lo tramortiva di colpo, ma non d'un colpo duro, come quello che aveva subìto nel sapere di amarla e di non potervi porre rimedio, era la coscienza d'un clangore metallico all'altezza del petto, il suono d'una porta sbattuta su un grugno e il diavoletto scompariva, sdegnoso.
Si risvegliava di nuovo e realizzava che tutto era perduto, che lei era lontano, via, per sempre. Quella consapevolezza lo prendeva lentamente, come una riguardosa nostalgia. Era il suo spirito ad invocarla ancora, come l'aveva sempre invocata, al di là del suo valico frastagliato, in silenzio, con l'umiltà del servo più penitente. Purtroppo lei non era una dea, non poteva udire il suono del suo cuore e aveva occhi di carne, sebbene più acuti del normale.
Anche se l'avesse udito poi, c'era la dura pietra fra loro e Manuel ne aveva eretta una ancora più solida, cucendosi addosso il suo vestito. Aveva sempre saputo di non poterla afferrare, di non poter cogliere i suoi occhi di lince in uno sguardo d'amore, perché gretto e muto com'era, non sapeva che farsene o dove metterci le mani e lei non l'aveva capito, come non aveva capito mai niente.
In ogni caso, quella era una consolazione appagante: non averla mai violata, limitandosi a guardarla di tanto in tanto come si fa con un'opera troppo bella a vedersi: davanti a lei, si era rassegnato ogni volta, aveva abbassato il capo e pianto a lungo come se fosse un emarginato.
La consolazione più grande che gli sovveniva, allora, era quella d'essere rimasto puro fino in fondo. No, Manuel non intendeva la stolida castità d'un fanatico religioso, la privazione dell'atto sessuale che in se non avrebbe né tolto né aggiunto nulla all'illusione che lei era... no, la cosa più buona era che aveva mantenuto intatto il proprio imene d'autocoscienza, quel barlume di ragionevolezza che l'animava più del suo disordine mentale, o che forse coincideva con lo stesso.
Aveva sempre saputo chi era, Manuel e l'avrebbe sempre e sempre ricordato: era proprio per questo che aveva posto fra sè e la donna che amava vie e vie lastricate di fiori, al di là della sua muraglia; ed era per questo che piangeva, baciando le mura, convivendo da tempo da solo col diavolo e con l'acqua santa.





Nota: sarei grato a chiunque mi aiutasse a migliorare il mio italiano. Prego segnalare eventuali errori.



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Capitolo 2
*** 2 ***


Manuel giaceva sospeso con la bocca amara.
Ogni passo nella sua vita era stato un grazie, ogni pausa una colpa a se stesso; non riusciva a trovarvi altro senso. Se vivere è dipendere, lui si sentiva lo schiavo più bastonato.
A volte aveva invocato il cielo ricordando il suo lavoro e Dio, il solo che c'era, l'aveva incenerito.
“Che merito puoi avere? Che peso possono avere le tue lacrime? Ve ne sono di più copiose; ve ne sono di più amare; ve ne sono di mai versate in condizioni più avverse. Che merito hai? Che riscatto vorresti?”. Così gli aveva parlato e Manuel si era sentito ancora più piccolo.
Andava per le strade e teneva il capo chino, per paura d'incontrare qualche creditore che dicesse: “Ciò che hai, ti è dato”, o uno sboccato che gli dicesse che le cose stavano com'erano. Manuel, che da sempre fuggiva gli sguardi, adesso ne aveva il terrore. C'è qualcosa di crudele nella piega che assume un occhio in certi atteggiamenti e Manuel ci vedeva dentro spesso un'ala sottile che voleva dire dispetto. Quante volte quell'ala, sfiorandogli e solleticandogli il viso, l'aveva ridotto in lacrime. Persino allora, se ci pensava, la sola idea lo mortificava inesorabilmente.
Ora però non c'era nessuno a guardarlo, mentre giaceva sospeso e non c'era più niente da fare. Sentì di gettarsi nella rete, per salvarsi dal mare profondo e si protese in avanti. Giaceva davvero sospeso.
Si figuri, si disse. Poi il nulla.

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Capitolo 3
*** 3 ***





A volte m'immagino un incontro casuale come quelli che ho rinnegato, un incrocio che abbia un senso scritto da questo Dio che nel mio proposito un giorno esiste e l'altro pure, ma che non so pregare perché il mio è un disegno stanco, forse l'immagine inconscia della mia rassegnazione.
Riconosco che se un giorno questa Provvidenza mi toccasse, sarebbe l'ora in cui Dio cesserebbe d'esistere: allora sarei io l'ingenua divinità tirannica che arreca privilegi alla propria casta, perché non c'è Jahvé o Buddha o Allah tanto stupido da andare a rivelare d'aver tolto ai poveri per dare a se stesso.
C'è chi risponderebbe che Dio commette tante ingiustizie in nome d'un disegno misterioso ai più - e dunque perché negarmi la mia sadica grazia?: io cerco di sperare - e qui ne dubito - che dietro il mistero, ci sia il Supremo Bene.
E in un mondo in cui tu rappresenti il seme fecondo, quale buon Pastore ti spedirebbe in pasto ad una gallina?
Se non esiste tela, né ordito, né arcolaio, cosa m'inibisce il pianto e la disperazione? C'è così tanta dignità in un offeso inerme; eppure c'è chi dice che la vita è greve e bisogna alleggerire l'animo inghiottendo fiele, facendosi penetrare dal vuoto che cela ogni sorriso o parola priva di sostanza, ma io non sono una puttana.

Io non ingollo il mio dolore e lo rigurgito, non svendo agli altri un lezioso belletto e mostro loro a viso aperto ciò che la coscienza ha plasmato - e cioé il volto mostruoso di chi è senza speranza.

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