L'Elsa della pace

di arya_stranger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Il sogno ***
Capitolo 3: *** Un piano ***
Capitolo 4: *** L'udienza ***
Capitolo 5: *** La cerimonia ***
Capitolo 6: *** La scoperta ***
Capitolo 7: *** La fuga ***
Capitolo 8: *** Il Vecchio ***
Capitolo 9: *** Acamar ***
Capitolo 10: *** La freccia ***
Capitolo 11: *** L'accampamento ***
Capitolo 12: *** Le conseguenze ***
Capitolo 13: *** Scegliere di combattere ***
Capitolo 14: *** Il drago ***
Capitolo 15: *** Una meta ***
Capitolo 16: *** La storia del bambino cieco ***
Capitolo 17: *** Una scelta ***
Capitolo 18: *** Bentornato ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


1
L’inizio

Questa volta non era sicuro di farcela. Le frustate arrivavano una dopo l'altra, la schiena era ormai completamente coperta di sangue. Sua padre non avrebbe avuto compassione, non questa volta, l'aveva fatta troppo grossa. Ma non voleva cedere, non doveva cedere, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non dargliela vinta, era determinato, e nonostante la situazione fosse difficile, il suo cuore era riempito dalla consapevolezza della vittoria. Restava, però il fatto che aveva sfidato l'autorità del re in prima persona, ma dire che l'aveva sfidata era forse poco.
Quella mattina suo padre lo aveva mandato a chiamare da una serva che non aveva mai visto. "Importante", aveva detto ma non aveva aggiunto altro, così era stato accompagnato fino alla sala del trono e poi erano stati lasciati soli.
-Da domani andrai al fronte- annunciò il re a suo figlio. -Hai ormai diciassette anni, per quanto mi riguarda, abbiamo rimandato anche troppo.-
Lyan rimase a bocca aperta. La notizia era arrivata così diretta che non aveva avuto nemmeno il tempo di capire ciò che era stato detto. Era una delle tante "doti" che aveva suo padre, dire le cose così esplicitamente che nemmeno avevi il tempo di assimilare il concetto. Lyan ormai lo sapeva com’era con suo padre: ascolti in silenzio, annuisci, t’inginocchi, enfatizzi il momento con un "sarà fatto" e te ne vai senza dire un ma o un però. Ma quella volta non sarebbe stato così. Non poteva. Suo padre e il suo regno erano le cose che odiava di più in assoluto e avrebbe dato qualsiasi cosa purché le Terre di Nemunas e tutti i territori di suo padre perdessero la guerra, ma questo non lo aveva mai detto a nessuno.
-Come? L'età di leva non è diciotto anni?- chiese.
-Sì ma per te no- disse. -Così ho detto e così farai.-
-No , in non ci vado in guerra- la sua voce era decisa come non lo era mai stata, e suo padre lo avrebbe ascoltato.
-Lyan, non ho tempo da perdere! Tu farai ciò che ti dico, e questo deve essere chiaro!- il tono si stava alzando e non si sarebbe abbassato finché Lyan non avesse ceduto.
-é a voi che non è chiaro, in non ci vado al fronte, non ho intenzione di combattere a fianco dei tuoi soldati-.
Il re si alzò in piedi e si avvicinò al figlio.
-Cos'è hai paura?- sibilò -Non sei mio figlio se temi la guerra!-
Stava mirando al suo orgoglio. Sapeva che era il punto debole del figlio. Lyan però non si lasciava trascinare dalle parole del padre, ormai lasciare da parte l'onore per una volta era diventata questione di onore stessa.
-Non ci vado e basta, non ho intenzione di combattere per voi!- esclamò.
Per Lyan la questione era chiusa, sapeva che suo padre gliela avrebbe fatta pagare cara, e se non fosse stato l'erede al trono, lo avrebbe fatto uccidere, ma aveva bisogno di un suo successore, e poiché sua moglie, la madre di Lyan era morta di parto, non c'era neanche la possibilità di un altro figlio.
Si girò e fece per andarsene, quando sentì il freddo di una lama sulla schiena.
-Tu non vai da nessuna parte, e mi ascolti, intesi?- la voce del re era diventata gelida.
Lyan rimase immobile al suo posto. La stava per fare grossa. La sua pazienza era sull'orlo del baratro e ci stava per cadere dentro.
Con uno scatto estrasse la spada dal fodero e si voltò verso il padre, che schivò un fendente alla testa e uno verso la gamba destra. Il re era abilissimo con la spada, ma suo figlio lo era altrettanto e aveva il vantaggio della giovinezza e dell'agilità.
Il re cominciò ad attaccare dopo un momento di sorpresa. Entrambi miravano a ferirsi, non stavano giocando, era una cosa seria.
Lyan cercava di disarmarlo mirando alle mani, ma puntava anche alle gambe per farli perdere l'equilibrio.
Si allontanarono un momento per riprendere fiato. Il re fece mulinare la spada in segno di sfida fissando Lyan. Lo scambio di colpi ricominciò. Lyan era in netto vantaggio, menava fendenti con ritmo serrato, che il re riusciva a stento ad assecondare, facendo fatica a parare i colpi di Lyan.
Era abile, ma la vecchiaia si faceva sentire e non avrebbe resistito molto.
Lyan continuò a combattere contro suo padre, accanito come non avrebbe mai pensato di fare. Era accecato dalla rabbia, non si sarebbe fermato per nessuna ragione al mondo. Questa volta le sue azioni avrebbero portato a qualcosa, non sarebbero rimaste come un momento d’incomprensione fra i due, come sempre facevano passare quando litigavano. Tutto ciò avrebbe lasciato un segno e che le conseguenze avrebbero portato qualcosa di negativo o qualcosa di positivo non contava, ma non sarebbe rimasto tutto in sordina.
Il re lo fissò e per un momento di distrazione da parte di Lyan riuscì a colpire il figlio al braccio sinistro provocandogli un taglio non molto profondo ma lungo. Non gli aveva mai fatto del male prima di allora, lo aveva sempre lasciato fare agli altri mentre lui stava a guardare impassibile.
Riprese a combattere con più foga, e fu lui questa volta a ferire il re, procurandogli un taglio sulla coscia, più profondo rispetto a quello di Lyan.
Si guardarono per un istante, quando dalla porta in fondo alla sala entrarono le guardie che stavano appostati davanti alla sala del trono. Corsero verso Lyan e lo immobilizzarono. Ci vollero cinque soldati per riuscire a legargli le mani dietro la schiena, poi gli presero la spada e la portarono fuori dalla stanza.
-Bene,- mormorò soddisfatto il re -tu non hai la minima idea di quello che il tuo gesto significhi.-
Lyan invece lo sapeva troppo bene e cominciava ad avere paura ma non si pentì di quello che aveva fatto.
-Pagherai per le tue azioni- proseguì. -Chiamate il Fustigatore.-
Lo aveva sentito pronunciare talmente tante volte quel nome che aveva perso il conto. Il Fustigatore era l'incubo di tutto il castello ad eccezione del re. Era stato catturato anni addietro durante una guerra con una regione del regno che si era ribellata al re. L'uomo sarebbe dovuto essere condannato a morte il giorno seguente ma quando il re era venuto a sapere della sua fama, aveva deciso di risparmiarlo. Nessuno sapeva il suo vero nome, ma dopo che il re lo aveva designato a boia, era diventato il Fustigatore, perché portava sempre una frusta legata alla cintura e quando ce ne era bisogno, puniva la gente per conto del re con la fustigazione.
E lui arrivò, minaccioso mentre Reide, re delle Terre di Nemunas e padre di Lyan sogghignava.
Lyan fu spinto da dietro e s’inginocchiò, tenendo la testa alta. Il re gli si avvicinò e gli stappò di dosso la leggera casacca di lino che portava, facendolo rimanendo a torso nudo. Poi Reide avvicinò le labbra al suo orecchio, per non far sentire a nessuno quello che diceva: -Sono stanco di dover ricorrere sempre a questi mezzi, chiedi scusa in ginocchio al tuo re, sarai risparmiato e partirai per il fronte domani all'alba. Altrimenti sarai frustato e dopo un paio di giorni nelle segrete capirai chi comanda. Allora? La tua scelta?-
-Preferisco morire piuttosto che implorare il vostro perdono!-
Sputò in faccia al re con disprezzo, tanto, pensò, la sua sorte era già decisa.
-Trenta frustrate, poi vedremo- gridò al Fustigatore.
Lyan si preparò e la tortura cominciò.
Era abituato, tutte le volte che disobbediva era così ma trenta erano davvero troppe non sapeva se ce l'avrebbe fatta.
La schiena faceva male da impazzire tanto da aver completamente oscurato il bruciore del taglio al braccio.
I sui pensieri erano annebbiati dal dolore, sembrava che quel momento non sarebbe finito mai. Cercava di non gridare e di tenere la testa alta verso suo padre ma non sapeva per quanto avrebbe resistito.
-Venti... Venticinque…-. Il Fustigatore contava come fanno i bambini quando giocano, a Lyan venne quasi da ridere.
Ventinove, trenta.
-Fermo- comandò -altre dieci poi portatelo nelle segrete-.
Il re si allontanò mentre l'incubo ricominciava.
Quando il lavoro fu finito, fu preso di peso da due guardie e lo portarono nelle segrete. Il tragitto sembò lunghissimo eppure, anche se non c'era mai stato, le segrete non dovevano essere poi così lontane.
Quando arrivarono, lo scaraventarono sul pavimento di una cella, e poi fu tutto buio.


Angolo autrice:
è la mia prima storia vi prego di recensire anche se queste sono critiche negative!!! Spero di aggiornare presto, alla prossima!!!
Bianca :)




    
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Il sogno ***


2
Il sogno

Le immagini si andavano formando lentamente. Cercò di aprire un po' di più gli occhi ma la stanchezza prevalse. Con uno sforzo immane si tirò su, appoggiando la schiena alla parete. Alzò le mani e si toccò la testa, gli faceva male da impazzire. Finalmente riuscì ad aprire gli occhi verde scuro. Lì per lì non riuscì a capire il perché di quel luogo così angusto, poi ricordò tutto.
Per un momento la paura gli attanagliò lo stomaco ma si calmò quasi subito, rassicurato come da una voce interiore, anche se non capiva bene da dove venisse e cosa avesse detto, il messaggio comunque era chiarissimo.
Recuperata completamente la vista, cominciò a guardarsi intorno. La cella delle segrete era una piccola stanza ricavata dalla roccia. Le pareti completamente spoglie erano ricoperte di disegni incomprensibili a Lyan, forse lasciati da un prigioniero straniero che con tutte le probabilità a quest’ora era morto. Il pavimento, anch'esso di pietra, era quasi completamente coperto di paglia, che era ormai fradicia di umidità. La porta della cella di legno massiccio lasciava a stento passare una lama di luce che però era sufficiente a illuminare il piccolo luogo.
Dopo aver esaminato la situazione in cui si trovava, Lyan era sconfortato e non aveva davvero la minima idea di cosa fare.
Si abbandonò sul pavimento e quasi gridò. Un dolore lancinante alla schiena gli tolse il respiro. Si era quasi dimenticato che la sua schiena doveva essere completamente ferita a causa della sua punizione, aveva ricevuto quaranta frustrate, non si capacitava di essere ancora vivo. Inoltre era strana anche un'altra cosa: gli faceva male sì, ma non quanto avesse pensato. Capì che sicuramente era stato curato. Si portò le mani alla schiena ancora nuda, e sentì che era cosparsa da una sostanza appiccicosa. Li faccio comunque comodo, pensò, non mi lascerà certo morire. E con questo pensiero si sentì rincuorato e una nuova fiamma di speranza gli si accese nel cuore.
Ora era sicuro di poter uscire dalla situazione, e con questo pensiero si addormentò.
La luce era talmente abbagliante che in un primo momento non riuscì a vedere niente. Quando si abituò, cominciò a capire dove si trovasse. Era su una spiaggia, rivolto verso uno splendido mare blu increspato da piccole onde. Il paesaggio dava un incredibile senso di tranquillità e pace. Sarebbe voluto rimanere per sempre lì. Nessuno che lo disturbasse o che gli dicesse cosa fare o non fare. Senza suo padre che criticasse ogni sua minima decisione, ogni sua azione. No, non voleva tornare indietro, non sopportava più tutte le sofferenze cui era sottoposto nella sua vita, era stanco di tutto ciò che era e di tutto ciò che, se fosse rimasto fedele a suo padre, sarebbe poi diventato. Un mostro, pensò guardando il mare, ecco cosa era suo padre, un mostro.
Si avvicinò all’acqua e si accovacciò sfiorando il pelo dell’acqua. Era fresca. Non gelida come le acque del Narim, il mare su cui è affacciata la capitale delle Terre di Nemunas. Il mare a cui era abituato lui era freddo, e solo qualche volta in piena estate ci si poteva fare il bagno. Ricordava che quando era piccolo andava sempre sulla spiaggia dopo che suo padre lo aveva sgridato, e che fosse estate o primavera, anche se l’acqua fosse stata gelida, ci si buttava dentro. Era un modo per dimenticare. Quando suo padre lo aveva scoperto, lo aveva fatto punire severamente, anche se aveva solo dieci anni. La tortura era durata poco ma Lyan se la ricordava ancora con gli occhi di un bambino, e con gli occhi dei bambini tutto appare irrimediabilmente troppo grande. Comunque lui aveva continuato ad andarci fino a quando non era cresciuto, e il mare era solo fonte di brutti ricordi.
Ora però, il mare non lo faceva soffrire, cosi si tolse la casacca e si tuffò.
L’acqua era piacevolissima e rinfrescava la sua pelle.
Nuotò al largo fino a raggiungere una piccola isoletta che dalla spiaggia non aveva notato.
Uscì dall’acqua con il fiatone per la nuotata e si distese sulla sabbia.
-Lyan-.
Una voce sussurrava il suo nome.
-Chi c’è?- esclamò -fatti vedere!-
-Lyan- la voce lo chiamò di nuovo e lui si girò di scatto.
Davanti a lui stava una figura, una donna. Era bella, anche se non era più giovane dai suoi tratti si capiva che era stata bellissima e lo era ancora.
-Chi sei?- Lyan non era spaventato dalla potenziale pericolosità della donna, piuttosto era incuriosito.
-Tutto a tempo debito- sussurrò la donna -come stai?-
-Io...- a Lyan venne improvvisamente in mente le ferite sulla schiena provocate dalla sua punizione. Si tastò la schiena ma non c’era traccia di niente, nemmeno della mistura appiccicosa.
Lyan era perso, non capiva, dove era, cosa ci faceva lì e soprattutto chi era quella donna?
-Va bene, comincio io con le risposte- iniziò la donna -il mio nome è Seheiah, non posso ancora dirti chi sono, ma ti basti sapere il mio nome-.
-Io ti conosco...- mormorò Lyan.
-Forse, solo il futuro saprà dirci se ci siamo già incontrati- ribatté.
-No, io so che tu hai tutte le risposte alle mie domande, perché non mi vuoi dire niente’- ora Lyan era infuriato. -O forse non puoi?-
-Lyan ascoltami, promettimi che sentirai ciò che ho da dire attentamente e che farai ciò che ti dico. Lo so che è difficile e che non sai nemmeno chi sono ma ti devi fidare. Devi farlo.-
-Questo è un sogno, non è vero?-chiese, ma sapeva già la risposta. -Va bene, ti ascolto ma solo dopo che avrò sentito cosa hai da dire accetterò o meno la tua proposta.-
Lyan si fidava di quella donna, sapeva che si poteva fidare. Certo, poteva essere un inganno, ma non ne aveva la certezza, così l’unica scelta possibile era fidarsi.
-Mi sembra un patto ragionevole-. Concordò Seheiah. –Allora- cominciò -ascolta ciò che devo dirti, ma non m’interrompere.
-Devi sapere che il mondo come lo conosciamo oggi è in pericolo. Tutto si basa fra l’equilibrio fra due elementi: il bene e il male. Quando sono in equilibrio, tutto procede secondo il corso naturale degli eventi, ma se uno prevale sull’altro, possono accadere cose terribili. Anche se è il bene a prevalere, troppo di una cosa non è mai un bene. Nel corso del tempo le era che si sono succedute hanno dato spazio a periodi d’instabilità, ma ci sono stati anche momenti in cui le due forze che reggono il nostro mondo sono convissute in perfetta armonia.
È in questi momenti che regna la pace ed è in uno di questi periodi che è nato il regno delle Terre di Nemunas. Conosci la storia, vero?-
-Sì, la conosco- rispose Lyan.
-Ebbene, quando il bene e il male erano in equilibrio, un uomo fondò Derafest, la capitale del regno di tuo padre.-
-Non è più mio padre. Già da troppo tempo è un mostro- inveì Lyan.
-Ti avevo chiesto di non interrompermi! Comunque quell’uomo diventò il primo re di una lunga discendenza di cui l’ultimo erede in vita sei tu Lyan. Tu sei il prossimo re che siederà sul trono di Nemunas, sei tu colui che è destinato a diventare il più grande re di tutti i tempi, tu Lyan.-
-Mi sa che c’è stato un errore, io non voglio stare al posto di mio padre, ho deciso che andrò a combattere per il popolo di Dadasiana, costi quel che costi io combatterò contro l’esercito di mio padre!-
Le parole gli uscirono dalla bocca come un torrente, ci aveva già pensato molte volte alla possibilità di andare a combattere per i nemici di suo padre ma gli era sempre sembrata un’idea assurda. Ma ora e lì gli era apparso tutto chiaro come il sole.
Sul volto di Seheiah apparve un leggero sorriso, che Lyan non capì.
Lyan fece per dire qualcosa ma la donna lo interruppe.
-Prima finisco io- esclamò.
-Lyan è proprio questo il punto tu sarai il grande re delle due terre. Non posso aggiungere altro, ma è questo ciò che riserva il futuro e solo tu lo puoi scoprire- sospirò -tuttavia il destino può essere cambiato, perché è vero che il fato è già scritto, ma siamo non che lo compiamo e solo noi possiamo modificarlo. Questo adesso però non ci interessa. Ora veniamo al vero motivo per cui ti ho chiamato. Conosci l’Elsa della Pace?-
-No, cosa è?-chiese incuriosito.
-è ormai da troppo tempo che non c’è equilibrio fra il bene e il male, e c’è una ragione a tutto questo.
Dopo che il primo re delle Terre di Nemunas fondò il regno, fece forgiare una spada, però solo l’elsa, una splendida elsa decorata. Poi chiamò a raccolta i cinque maghi più potenti viventi, che imposero sull’oggetto un incantesimo che garantisse al regno in cui l’Elsa risiedeva la pace e quindi il giusto equilibrio fra bene e male. Però come ho detto c’era un equilibrio che non comprende solo il bene ma anche una parte di male. Così i re che vennero fecero imporre sull’elsa altri incantesimi, alcuni a scopi benefici e altri no, fatto sta che, la sovrapposizione d’incantesimi causò la distruzione dell’Elsa che si divise in due parti.-
-E che fine hanno fatto poi le due parti?-domandò Lyan.
-Dopo che l’Elsa si distrusse, il re di quel tempo pensò che ormai non servisse più a niente e così la fece portare fuori dal regno e di questa non si seppe più niente- concluse.
-Ma se l’Elsa era ormai inservibile che motivo c’era di impiegare degli uomini affinché la portassero lontano? Insomma era diventato un oggetto inutile la potevano gettare via oppure conservarla al castello- propose Lyan.
-Non è così semplice come sembra- spiegò Seheiah. -Tutti facevano affidamento sull’Elsa per vivere in equilibrio, uno degli ultimi incantesimi imposti sull’Elsa prima della sua distruzione era quello di garantire al regno un raccolto abbondante ogni anno, l’Elsa era diventata fonte di vita per molti contadini che vivevano nelle campagne del regno. Grazie all’Elsa potevano vivere tranquillamente senza nessuna preoccupazione, e un popolo felice significa un re felice e un regno prospero e pacifico.-
-Certo il re voleva continuare a far credere a tutti che l’Elsa esisteva ancora ed era ancora una garanzia per tutti, se avesse detto la verità, avrebbe scatenato una rivolta- proseguì Lyan.
-Esatto, così non disse niente, ma gli effetti dell’assenza dell’Elsa non tardarono a venire e dopo poco più di un anno, dopo che la gente si era accorta che il raccolto non era abbondante come sempre, si ribellò al re che represse la rivolta nel sangue.- Precisò Seheiah -Nonostante tutto, però, il re non sapeva una cosa. L’Elsa in realtà poteva essere in qualche modo rigenerata. Ma non è ancora il momento di parlarti di questo- finì.
-Perché nessuno mi ha mai parlato dell’Elsa della Pace? Penso sia un passo piuttosto importante della storia delle Terre di Nemunas. No?- Lyan era stupito da ciò, ma non era stupido e forse sapeva già la risposta.
-Non è un passo importante della storia di Nemunas, è il passo più importante della storia di Nemunas. Ciò che sta accadendo è la diretta conseguenza di tutto quello che è accaduto e che accadrà.-
-E io cosa c’entro in tutta questa storia?- Esitò quasi a fare quella domanda per paura della risposta.
-Tu hai un compito- spiegò la donna -tu dovrai andare alla ricerca delle due parti dell’Elsa così che possano essere riunite in modo che l’equilibrio fra bene e male ritorni a governare su tutto e tutti.-
-Io! Chi sono io per partire per un’impresa impossibile!- Protestò Lyan -Prima di tutto lo hai detto anche tu che le parti dell’Elsa sono andate perdute e poi non ce la farei mai!-
-Tu ti sottovaluti e questo è quasi peggiore del sopravvalutare le proprie capacità- insistette la donna. -Tu ce la farai, porterai a termine la tua missione. Lo so.-
La sua voce era convinta, sicura. Lyan capì che Seheiah aveva ragione, forse ce l’avrebbe potuta fare veramente, e altrimenti perché la donna avrebbe dovuto prendersi tanto disturbo per parlare di lui?
-Va bene. Dimmi cosa devo fare- dichiarò.
-Ho già risposto a questa domanda: devi trovare le parti dell’Elsa.-
La voce della donna diventò più flebile, mentre la sua figura si offuscò fino a sparire.
-No! Non te ne andare! - gridò - Non mi hai detto dove si trova l’Elsa e cosa devo fare! Torna indietro!-
Ma lei se ne era già andata e Lyan si stava per svegliare.

-No!-
Si trovava di nuovo nella lurida cella delle segrete. Davanti a lui c’erano due uomini, grassi e con la barba folta: due dei servi che stavano nelle segrete. Uno di loro in mano aveva un vassoio con un pezzo di pane, una piccola forma di formaggio e una brocca d’acqua.
I due se ne andarono lasciando il pasto per terra. Lyan lo prese e cominciò a mangiare voracemente. Ormai era quasi un giorno che non metteva in bocca niente.
Mentre mandava giù il cibo a grandi morsi, una fitta lancinante alla schiena lo fece gemere. Costatò che il cataplasma non c’era più e anche se aveva disinfettato e cominciato a rimarginare le ferite sulla schiena, il dolore era ancora tanto.
Finito di mangiare cominciò a pensare a ciò che gli aveva detto in sogno la donna. Era stato un sogno, sì, ma non era il frutto della sua immaginazione, era la donna che aveva voluto quell’incontro e le cose che aveva detto erano vere. Ne era sicuro.
Ora però era combattuto. Sapeva che doveva portare a termine la missione che gli aveva affidato la donna, ma era deciso a raggiungere l’esercito nemico di suo padre e a combattere per loro. In fondo, però, Seheiah, non gli aveva dato delle informazioni precise sul suo compito, anzi non gli aveva detto proprio nulla, se fosse partito in quel momento, era come se fosse andato alla ricerca del chicco di sabbia perfetto. Ciò nonostante doveva trovare l’Elsa.
Appoggiò la testa al muro sconfortato, non aveva nessuna informazione, non sapeva cosa fare, aveva bisogno del consiglio di qualcuno, ma di chi? No, doveva decidere da solo.
Le giornate si susseguivano tutte uguali e suo padre non si decideva a farlo uscire di prigione. Questa volta era davvero infuriato e non lo avrebbe perdonato facilmente.
Mentre passava ore in quella lurida cella, pensava al modo di scappare. Poteva scappare dopo che suo padre lo avrebbe fatto uscire di prigione. Era una possibilità, ma non aveva la minima idea di quanto ancora sarebbe dovuto stare lì e di sicuro dopo essere uscito suo padre gli avrebbe affidato come minimo cinque guardie per sorvegliarlo, e a quel punto sarebbe stato difficile scappare. A pensarci bene sarebbe stato più facile fuggire direttamente dalla prigione. In fin dei conti i prigionieri saranno stati al massimo cinque compreso lui, – suo padre preferiva direttamente la morte e a volte erano persino gli stessi condannati a chiederla – e poi le guardie erano pochissime, e se di notte dormivano o erano ubriachi fradici, di giorno sembravano dei morti che camminano. In effetti, era più facile scappare dalla prigione, se così si poteva dire. Il problema si poneva solo dopo essere usciti da lì, che cosa avrebbe fatto? Come sarebbe potuto uscire dal castello e poi dalla città senza essere visto? Era quasi impossibile. L’unica possibilità era avere un aiuto, qualcuno che lo aiutasse a scappare, qualcuno che in poche parole sarebbe stato disposto a rischiare la propria vita per farlo scappare.
E chi era così pazzo da rischiare la vita per aiutare il figlio di un tiranno? Di certo non qualcuno della cittadella o addirittura qualche membro della corte, erano troppo vicini a suo padre, avrebbe potuto scoprire qualcosa. Forse qualcuno della città bassa o un contadino che stava fuori dalle mura, ma non conosceva nessuno e poi, come avrebbe fatto a contattarli?
Mentre si stava per abbandonare al suo destino, gli venne come un lampo, un’illuminazione. Quando era piccolo, si ricordava che una volta un generale aveva cenato con lui e suo padre. Se lo ricordava perché suo padre lo faceva sempre mangiare in un’altra sala, e quella era stata una delle rarissime volte in cui avevano mangiato insieme. Avrà avuto poco più di cinque o sei anni, e con il generale c’era sua figlia. Quella sera era stato con lei, era una bambina misteriosa, un po’ silenziosa, ma avevano giocato insieme con delle spade di legno. A lui era sembrato un po’ strano, aveva sempre visto le femmine giocare con le bambole di pezza. Gli era rimasta nella mente quella bambina silenziosa che lo aveva battuto con la spada.
Era un ricordo remoto ma vivido, non pensava nemmeno di poterselo ricordare. Non riusciva nemmeno a capire come quel ricordo potesse essere ancora vivo nella sua mente. Sì, quella bambina era la soluzione. A quel punto però non era più una bambina, sarà una ragazza di circa sedici anni, molto probabilmente non era ancora sposata, ma suo padre sapeva già a chi darla in sposa, la figlia di un generale non poteva sposare il primo che passa e poi suo padre non era come tutti gli altri, per quello che si ricordava era il primo generale del re e in più viveva nel castello del re, in un’ala tutta sua.
Ma il problema restava sempre lo stesso, come faceva ad arrivare a lei?
Un modo lo doveva trovare perché sapeva che lei era la persona giusta, lei lo avrebbe aiutato a scappare, lei ce l’avrebbe fatta, ne era sicuro.
Cominciò a pensare a come poterla contattare. Ovviamente non è che poteva convocare suo padre e chiedergli di vederla, era un’ipotesi assurda. Poteva sempre corrompere uno di quei carcerieri ubriachi e chiedergli in qualche modo di far arrivare un messaggio a lei ma nei passaggi fra lui e la ragazza sarebbe di sicuro successo qualcosa e il suo piano sarebbe andato a monte, e non se lo poteva permettere, aveva solo un’occasione.
Poi la soluzione gli apparve semplice e chiara nella sua mente, come ispirato da qualcuno. C’era solo una possibilità. Doveva domandare perdono a suo padre e chiedere in sposa lei.
 
Angolo dell’autrice:
Scusate, sono un po’ in ritardo. Spero il secondo capitolo vi piaccia, è un po’ più lungo del primo, e arriva un nuovo personaggio. Vi prego di recensire, anche se non vi è piaciuto.
Volevo ringraziare:
- KingPeter
- Annawhite
- faithfully
- shadowdust
- e la mitica dirty ice
 

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Capitolo 3
*** Un piano ***


3
Un piano

Dopo l’ideazione del suo piano, Lyan si era sentito meglio e con una strana sensazione di euforia era caduto in un sonno profondo e senza sogni. Quando si svegliò, si rese conto che le ferite sulla schiena erano state medicate di nuovo, era dal primo giorno che lo avevano portato in cella che non lo curavano, ma ora si sentiva meglio e le ferite sulla schiena stavano molto meglio.
Si alzò dalla paglia umidiccia e si avvicinò alla grata della cella.
-Ehi!- esclamò rivolgendosi a uno dei carcerieri che erano davanti alla sua cella. -Oggi niente pranzo, lo puoi mangiare tu.- Il suo piano era entrato in azione, e aveva deciso che il suo primo passo sarebbe stato di ricavare qualche informazione su quanto era successo nei giorni in cui era stato rinchiuso. Così si sarebbe potuto muovere meglio.
-Piuttosto, sai per caso come procede la guerra?- questa era la sua prima domanda. Se per suo padre la guerra andava bene, allora era di buon umore ed era più facile persuaderlo.
-Per quale motivo dovrei dirtelo?- domandò il carceriere dubbioso.
-Perché sono il principe, e perché ti ho ceduto il pranzo- rispose con naturalezza. -Mi sembrano due ragioni più che buone per parlare un po’ con me. Non dici?-
- E va bene, facciamo una chiacchierata.-
Era stato fin troppo facile convincerlo. Pensava che avrebbe dovuto promettere anche qualcos’altro, invece lui aveva ceduto subito. Meglio.
-Perfetto. Allora la guerra come procede?-
-Ovviamente ti posso solo riferire ciò che dicono le voci. Sai, passo la maggior parte del mio tempo qui, e quando me ne vado, che sia sera o mattina torno a casa a dormire. Comunque so che l’esercito di tuo padre ha guadagnato terreno verso nord, ma il re punta più a sud, punta alla capitale. Tuttavia non sarà facile. Le fila di Dadasiana hanno riconquistato delle isolette e hanno assoldato dei mercenari delle Terre di Nessuno, ma stai sicuro che non dureranno molto quelli là, i mercenari sono disertori nati, prendono i soldi e se ne vanno.-
La guerra fra Dadasiana e le Terre di Nemunas andava avanti da poco più di un anno, e le cose rimanevano sempre uguali. Suo padre aveva dichiarato guerra per espandere il suo territorio, così aveva detto, ma secondo Lyan non era quella la vera ragione. C’era qualcosa di più grande sotto, ne era sicuro. Suo padre sarà anche stato un tiranno senza scrupoli, ma non era di certo uno stupido, e sapeva che l’esercito di Dadasiana era forte quanto il suo, e le possibilità di vittoria non erano molte. Non avrebbe rischiato solo per espandersi. Suo padre non era così. Tuttavia la vera ragione era rimasta un mistero. Lui non aveva avuto molto tempo per indagare e la gente se all’inizio sospettava qualcosa ora era troppo occupata a mettere insieme il pranzo con la cena per occuparsi di queste questioni futili.
In ogni caso la guerra era andata avanti senza l’ombra di un possibile vincitore.
-Certo sono entrambi eserciti molto forti- commentò cercando di fare tutto il possibile per sembrare dalla parte di suo padre. -Se andiamo avanti così durerà per sempre -.
-è quello che pensa la gente, sono affamati. E se in città se la cavano meglio, i contadini sono allo stremo.-
-E solo dopo un anno di guerra, non oso pensare al futuro-. Lyan lo pensava davvero. Questa guerra stava devastando una popolazione.
Concentrati Lyan, pensò, non divagare.
-E il re, mio padre come sta prendendo tutto questo?- . La domanda poteva quasi far ridere da come l’aveva pronunciata Lyan. Non era abituato a parlare in quella maniera, da principe. Ma per convincere il carceriere a parlare doveva sembrare davvero il figlio di un re, e parlare e atteggiarsi come tale.
-Il re?- chiese ridendo.
Lyan lo guardò malamente per fargli capire che la persona di cui stava parlando era il re e suo padre e doveva mostrargli rispetto.
-Scusate. Io…- Ora l’uomo era impaurito. Il piano di Lyan stava funzionando.
-Vai avanti- gli ordinò Lyan.
-Sapete com’è vostro padre, non si accontenta di niente e non si aspetta troppo.- Sì, era vero. -Comunque deve essere piuttosto soddisfatto della guerra in generale, nonostante gli ultimi sviluppi.-
Probabile. In ogni caso ora Lyan aveva guadagnato il rispetto del carceriere e gli aveva fatto capire che era fedele al re. Il prezzo del rispetto, però, è che spesso la gente ti dice quello che vorresti sentire e non la verità. Quindi, quello che aveva detto l’uomo poteva anche non essere e suo padre poteva essere infuriato per i nuovi reclutamenti di Dadasiana.
-Capisco- sospirò. -E i generali sono soddisfatti?-
Stava dicendo cose assurde. Come poteva sapere un carceriere degli stati d’animo dei generali. Comunque lui avrebbe risposto. Un’invenzione certo, ma doveva capire se poteva raccogliere qualche informazione su quella figlia di generale che aveva conosciuto tanto tempo fa.
-I generali fanno ciò che il re ordina, ma sono sicuro che in ogni caso sono soddisfatti delle scelte di vostro padre.-
Quella conversazione stava diventando davvero assurda. Un principe che finge di essere fedele al re e a suo padre dopo che l’ha rinchiuso in cella e il un carceriere che parlano della guerra, del regno e ammirano il loro re.
La devo finire alla svelta. Pensò Lyan. Non ce la faccio più.
-Certo,- commentò - i generali sono molto fedeli al nostro re. Di sicuro avranno parlato con mio padre in assemblea. Voi ne sapete qualcosa? Rinchiuso qui non mi arriverà nemmeno la più remota notizia.-
-Penso di sì. Non lo so- rispose impacciato -ma se volete, ho degli amici che sono soldati del re, potrei convincerne uno ha parlare con voi…-
-Sarebbe una buona idea,- concordò -lo faresti?-
-Certo. Qualsiasi cosa.-
E se ne andò correndo.
Chissà cosa avrà pensato. Che magari dopo uscito da qui e riconciliato con mio padre, lo premi.  
Era stato fortunato ha trovare il più devoto dei carcerieri al re, oppure il più idiota. In ogni caso quello che ne aveva più paura.
Era riuscito ad ottenere di parlare per davvero con un soldato senza fare quasi niente. Aveva solo finto di essere rispettoso del re, e aveva intimorito quel che bastava l’uomo. Non credeva ancora di esserci riuscito. Ma il piano vero e proprio doveva ancora cominciare. Doveva discutere col soldato e mandarlo a parlare da suo padre per dirgli che lui voleva chiedere il suo perdono, e per dimostrargli la sua devozione avrebbe preso in sposa la figlia del primo generale per garantire un futuro alle Terre di Nemunas. Anche se non era più convinto che suo padre fosse ancora certo del fatto che Lyan sarebbe diventato il suo successore.
Ma chi se non altri che lui lo avrebbe potuto succedere? Il re avrebbe potuto designare qualcun altro, certo. Ma il re era troppo orgoglioso per cedere il trono ad un uomo che non era di sua diretta discendenza. In ogni caso lui lo aveva offeso e anche lui aveva ferito il suo orgoglio. Quindi, il dubbio restava se per suo padre era più importante l’offesa del figlio o la sicurezza di una sua discendenza sul trono di Nemunas. A Lyan però non importava. Se il suo piano andava bene, lui sarebbe scappato per raggiungere le truppe di Dadasiana e combattere contro suo padre. Poi sarebbe andato a cercare quell’Elsa di cui la donna, Seheiah gli aveva parlato. Questo però solo dopo aver avuto informazioni al riguardo.
Mentre pensava a tutto ciò, un dubbio gli s’insinuò nella mente. Era una cosa così ovvia che si stupì gli fosse venuta in mente solo ora. E se la ragazza figlia del generale non avesse voluto accettare la proposta di matrimonio? O se scoprendo il suo piano non avrebbe voluto reggere il gioco? Se era fedele al re? Non era un’ipotesi così assurda. Anche se gli era sembrata una bambina piuttosto ribelle non era così scontato che non fosse cambiata. E ora? Come aveva fatto a non pensarci. Il suo piano sarebbe potuto andare a monte. Anzi lo sarebbe andato di sicuro.
Lyan gridò e tirò un pugno al muro graffiandosi le nocche. Com’era potuto essere così stupito? Non era un errore da lui, c’era qualcosa dietro.
-Lyan.-
-Chi è?-
Una voce aveva sussurrato il suo nome. Eppure non era una voce che non conosceva, gli era familiare. L’aveva già sentita.
-Seheiah!- esclamò.
-Lyan, fidati di lei.-
-Devo parlarti!- esclamo il ragazzo -Ti prego!-
Ma non sentì più niente. Ora però ere sicuro che il suo piano sarebbe potuto funzionare e che era stata Seheiah che gli aveva fatto venire a galla il ricordo della bambina e gli aveva fatto capire che in qualche modo lei lo poteva aiutare.
Era tranquillo, ora aveva qualche speranza perché nel profondo del suo cuore sapeva che quella donna lo proteggeva e vegliava su di lui. Non sapeva come ma lo faceva e Lyan si fidava cecamente di lei.
Il giorno dopo il carceriere con cui aveva parlato, con la scusa di portargli da mangiare, era andato da lui e gli aveva detto che aveva parlato con il suo amico soldato.
-Ha detto che domattina è libero e può venire- disse.
-Non è al fronte?- chiese stupito Lyan.
-No sua madre non sta molto bene ed ha avuto un congedo di una settimana per starle vicino- spiegò.
-Va bene,- annuì -domattina. Grazie, me ne ricorderò-.
Il carceriere se ne andò con un inchino. Era davvero convinto che sarebbe stato ricompensato. Doveva essere davvero disperato per far conto di un principe rinchiuso nelle segrete dal re, suo padre. Quasi gli dispiacque a Lyan. In fondo cosa aveva fatto quell’uomo? In ogni caso ora non aveva tempo di occuparsi di un carceriere alla fame, doveva pensare a cosa avrebbe fatto e detto la mattina dopo.
Doveva in qualche modo riuscire a parlare con suo padre per domandargli perdono e chiedere in sposa la figlia del generale.
Non era sicuro che suo padre si facesse convincere da un soldato a concedergli udienza, ma aveva pensato che se magari scriveva una lettera lui la poteva far arrivare a suo padre. Questa non era una possibilità da escludere. Anzi, poteva essere l’unica possibilità.
-Mio signore, mio signore-. Una voce lo chiamava mentre lo scuoteva leggermente. Aprì gli occhi. Era il carceriere. Adesso anche mio signore.
-Il mio amico arriverà a momenti. Vi ho portato la colazione- . Aveva la voce premurosa, quasi come quella di una mamma. E questo lo irritava. Non aveva bisogno di nessuno che si preoccupasse di lui, tantomeno un carceriere patetico di cui non conosceva nemmeno il nome.
-Sì-. Rispose sbrigativamente Lyan.
Quando fu solo nella cella, cominciò a mangiare mentre si ripassava mentalmente il suo piano. Avrebbe dovuto convincere il soldato a scrivere una lettera da parte sua per il re in cui chiedeva perdono e udienza. Se ci riusciva, avrebbe un po’ divagato cercando di scoprire qualcosa in più sulla ragazza. Le ipotesi di riuscita non erano molte, ma se era riuscito a convincere il carceriere perché non doveva convincere un soldato. Dopo tutto era sempre il figlio del re e principe, anche se era rinchiuso nelle segrete.
Dopo poco il soldato arrivò. Era un bel ragazzo, poteva avere al massimo tre anni in più di lui, quindi non era da più di due anni entrato nell’esercito. Indossava l’armatura, strano, non ha senso che un soldato in congedo porti l’armatura. E cosa ancora più strana l’armatura che portava non era quella dell’esercito del re. Solo i generali più importanti potevano permettersi di indossare armature diverse durante le cerimonie importanti.
-Il mio amico mi ha detto che volevate parlarmi.-
Lyan era rimasto un attimo spiazzato.
-Sì- disse semplicemente, -da soli- intimò al carceriere.
-Il tuo amico mi ha detto che sei in congedo perché tua madre sta male.-
-è da molto che sta male,- spiegò -ma si aggrava continuamente. Hanno detto che non arriverà alla fine dell’estate. -
Le voleva bene si sentiva dalla voce.
-Mi dispiace, se avessi saputo non…-
-Non è niente, non potevo dire di no alla richiesta del principe. -
Quel ragazzo gli piaceva. Era strano, aveva come la sensazione di conoscerlo. Ma la cosa era quasi impossibile. Aveva passato la sua infanzia da solo, senza un amico. L’unica volta che aveva giocato davvero era stato con quella bambina a cui avrebbe dovuto chiedere la mano…
Lo guardò un istante e il suo ricordo si completò. Non era solo con la bambina, c’era anche un ragazzino poco più grande di lui. Sì, era lui. Il ragazzo che aveva davanti era il fratello della ragazza che stava cercando.
-Io ti conosco- esclamò.
-Sì. Voi mi conoscete. Quando ero piccolo, il re ha invitato la mia famiglia a venire ad abitare a corte dopo che mio padre era stato nominato primo generale- disse. -Abbiamo giocato insieme in quell’occasione. Pensavo non ve lo ricordaste.-
Nella sua voce c’era un misto di nostalgia e tristezza, ma era incredibilmente fiera.
-No, invece me lo ricordo- la situazione aveva preso una piega strana. Lyan avrebbe dovuto quasi ingannarlo per continuare il suo piano. Ma non aveva previsto di trovarsi davanti a lui. -Se non sbaglio c’era anche una bambina.-
-Sì. Mia sorella.- Non sapeva più cosa dire era una situazione imbarazzante per entrambi.
-Quale è il tuo nome?-
-Disie, signore.-
-No, non mi chiamare così. E non darmi del voi. E tua sorella?-
-Heira-. Ecco come si chiamava. -Ha sedici anni.-
-Sì, mi ricordo anche di lei. Mi batté con la spada.-
-Non mi meraviglio. Anche se questo particolare non me lo ricordavo- ammise. -Ha sempre prediletto le attività dei ragazzi piuttosto che quelle delle ragazze. Non ha mai indossato nemmeno un abito da donna.-
-Davvero?-
-Sì. Tuo padre si è anche piuttosto arrabbiato per questo. Ma lei si è rifiutata, e il re era davvero furioso. Poi mio padre l’ha convinto che era solo una bambina che non sapeva quello che faceva. Anche se quando ciò è successo, non era già più una bambina.-
Lyan rise fra sé e sé, piano. Quella storia lo stava appassionando, non aveva mai sentito parlare di una donna che batte il figlio del re con la spada e se ne va in giro per il castello vestita da uomo con la spada alla cintura. Se lo avesse raccontato nessuno ci avrebbe creduto.
-Comunque non voglio farti perdere tempo quando tua madre sta male, è giusto che tu stia con lei.-
-No. Davvero. Se avevi qualcosa da dirmi dì pure- lo rassicurò. -Ci sono stato fin ora con mia madre, e non penso che starle vicina possa guarirla. Ormai…- Sospirò.
Ecco era il momento doveva far cadere Disie nel tranello, era il momento giusto. Ma Lyan non ce la faceva. Era troppo. Non sapeva come, ma non poteva tradire quel ragazzo, soffriva troppo già da solo. In ogni caso non aveva più molto tempo e doveva trovare un modo per andare via di prigione. Se non lo voleva ingannare, doveva trovare un altro modo.
-Tuo padre è primo generale. Vero?- chiese Lyan, anche se conosceva già la risposta.
-Sì, ormai da tanto- rispose educatamente. -Comunque non sono mai andato molto d’accordo con lui. Sempre a pensare in grande per i figli, nella vita non abbiamo mai avuto un grande possibilità di scelta. Era lui che dirigeva le nostre vite, e continuerà a farlo.-
Sputò tutto con voce amara e sprezzante. Lyan percepì in lui quella sensazione che provava sempre lui quando pensava a suo padre. Era odio.
-Ti capisco. Lo stesso è con mio padre, anche se non lo considero più tale…-
Lyan capì la gravità di ciò che aveva detto solo dopo aver pronunciato l’ultima lettera. Aveva confessato a uno sconosciuto che odiava suo padre, sottintendendo che non avrebbe chiesto perdono, e che rifiutava l’autorità del re.
Lyan lo guardò e Disie ricambiò lo sguardo.
-Ti rendi conto di ciò che mi hai appena detto?- lo avvertì -Se io lo andassi a dire a tuo padre tu non usciresti mai più di qui. Certo non ti ucciderebbe, ma sta sicuro che marciresti dentro le segrete- esclamò.
-Tu non lo andrai a dire a mio padre- sussurrò quasi in un sibilo.
-Certo che no- lo rassicurò -ma sta sicuro che se non ci fossi io qui davanti a te saresti già di fronte a tuo padre a rispondere delle tue azioni.-
Davanti a mio padre, pensò Lyan, così lo potrei uccidere.
-Comunque ti ho già detto che non è più mio padre- precisò.
-Io non ho ancora capito perché mi hai fatto venire qua.-
Lyan lo guardò per un momento cercando di capire se si potesse o no fidare di quel ragazzo. Aveva già dimostrato la su lealtà, ma un conto erano le parole e un conto erano le azioni. Aveva detto che rifiutava l’autorità del re, ma scappare era una cosa completamento diversa. Era ovvio che non poteva più ingannarlo per raggiungere il suo scopo. Prima di tutto perché gli aveva detto talmente tante cose che se avesse scoperto che lo aveva preso in giro di certo sarebbe andato a dire tutto a suo padre, e poi perché tutto sommato gli stava simpatico, e Lyan non era un tipo da ingannare gli amici.
-Ti ho chiamato qui perché…- Lyan non riuscì a finire la frase, si stava rendendo conto di cosa voleva fare e il peso della responsabilità di quello che pensava di dire gli cadde sulle spalle tutto insieme.
-Ti puoi fidare di me- disse Disie con tono rassicurante.
-Mi prometti che se ti dico tutto tu non lo vai a dire al re e a nessun altro?- chiese speranzoso.
-Sì, te lo prometto- affermò -e poi che ci sarò di tanto importante da dire per chiamare uno sconosciuto… -
Lyan lo interruppe con un gesto della mano.
-Abbiamo poco tempo, non puoi stare tutto il giorno qui. Qualcuno se ne accorgerebbe.-
-Va bene, ti ascolto- lo esortò.
-A dire la verità ho chiesto al carceriere di portarmi qui un soldato che conosceva perché volevo arrivare in qualche modo a mio padre, ma non avevo la minima idea di come fare e poi senza un aiuto anche dopo uscito di prigione, sarebbe stato impossibile scappare.-
-Perché vuoi scappare?-
-Voglio arruolarmi nell’esercito di Dadasiana.-
Lyan non stava credendo alle parole che diceva. Stava praticamente firmando la sua condanna a morte.
Disie lo guardò sorpreso, ma lo lasciò continuare.
-Sì, lo so che ora mi prenderai per pazzo, ma è quello che voglio fare e non ho intenzione di combattere per mio padre come lui vorrebbe. Io lo odio, non mi ha mai trattato come suo figlio. Non ho intenzione di salire sul suo stesso trono. È un tiranno, e come tale si comporta.
-Per questo voglio scappare, ma come ti dicevo senza un aiuto, è un’impresa impossibile. Così ho pensato a chi avrebbe potuto aiutarmi, e mi è venuta in mente tua sorella.-
-Perché mia sorella? - chiese. -Insomma dopo tanti anni, e poi come potevi sapere che lei ti avrebbe aiutato?-
Lyan pensò di raccontargli del sogno e della donna che glielo aveva suggerito, ma poi decise che era ancora presto.
-Lascia stare, è complicato. Comunque, ho pensato che lei avrebbe potuto aiutarmi, il problema era come arrivare a lei. E ho capito che l’unico modo era far finta di domandare perdono a mio padre e chiedere di sposarla.-
Lyan guardò Disie, cercando di capire quale fosse stata la sua reazione, quando lui scoppiò a ridere.
-Tu volevi chiedere la mano di mia sorella?- domando ancora scosso dalle risate.
-Sì- rispose secco e serio ignorando le risate di Disie -mio padre di fronte alla richiesta di un matrimonio non si sarebbe fatto indietro, e poi era l’unico modo per stare con lei ed escogitare un piano di fuga, e poi ovviamente non l’avrei sposata alla fine. Perché ti fa così tanto ridere?-
-No, niente scusa- si affrettò a dire. -Comunque non era una cattiva idea. Ma perché prima hai voluto parlare con un soldato?-
-Volevo capire come procedeva la guerra e cercare in qualche modo di avere udienza con il re, visto che non si decide a liberarmi!- esclamò.
-Non era una cattiva idea- ripetè Disie.
-Perfetto ti ho detto tutto- concluse.
-Quindi tu vorresti chiedere perdono a tuo padre, non veramente è ovvio, chiedere la mano a mia sorella, e sperare che lei ti aiuti a scappare, per poi arruolarti nell’esercito nemico a quello di tuo padre. - riassunse -è assurdo. Come potevi avere la certezza che mia sorella Heira ti avrebbe aiutato? Per quanto ne sai tu, sarebbe potuta andare a dire tutto al re!-
-Lo so che sembra una pazzia, ma devi capire che io ne avevo la certezza e ce l’ho ancora,- Insistette -è complicato ma è così. Tu che la conosci Heira avrebbe voluto aiutarmi?-
-Conoscendo mia sorella?- rifletté. -Non ci avrebbe pensato un minuto.-
-Te l’avevo detto. Ma ora ho bisogno di sapere se mi aiuterai. Ho capito che odi il re quanto me, e non provare a negarlo, e se dici che Heira sarebbe disposta ad aiutarmi significa che anche lei è contro mio padre. Anche se siete i figli del primo generale, non sopportate tutte queste ingiustizie. Disie mi aiuterai?-
Disie abbassò un secondo lo sguardo e i suoi capelli neri gli ricaddero sul volto.
-A un patto. -
-Qualsiasi cosa. -
-Scapperò insieme a te per arruolarmi nell’esercito di Dadasiana.-


Angolino dell’autrice:
Siamo al terzo, piaciuto? Spero di sì, e spero di non avervi deluso. Questo capitolo è un po’ più lungo, ma penso non lento. Comunque mi dispiace ma i primi capitoli sono un po’ così perché si deve ancora entrare nel vivo della vicenda.
Vi prego di recensire e di farmi notare i miei errori perché ho bisogno del vostro aiuto.
Avevo un’idea per un’altra storia, ancora non so se portarla avanti e pubblicarla, voi continuate a seguirmi, non si sa mai…
Ringrazio:
  • KingPetertheMagnificent
  • Luana_lulu
  • _dirty_ice
  • Shadowdust
  • _Faithfully
  • _AnnaWhite_
  • Water_wolf
E tutti quelli che hanno letto e apprezzato in silenzio…
 (spero di non aver dimenticato nessuno)
 

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Capitolo 4
*** L'udienza ***


4
L’udienza

Dopo aver parlato con Disie, Lyan era animato da nuova speranza. Ora era certo che ce l’avrebbe fatta. Sarebbe scappato, si sarebbe arruolato nell’esercito di Dadasiana e poi con un po’ di fortuna avrebbe cominciato a cercare l’Elsa della pace, ovviamente se prima avesse scoperto qualcosa. Seheiah non si decideva a dargli qualche informazione in più e lui non avrebbe saputo come muoversi. Doveva trovare due parti di un’Elsa, che per quanto ne sapeva lui potevano essere in capo al mondo, o addirittura distrutte e perse per sempre, senza contare che non aveva uno straccio d’informazione. Comunque per lui questa non era in quel momento una priorità.
Disie gli aveva promesso che avrebbe parlato con il re per spiegargli le intenzioni di Lyan. Dopo tutto non sarebbe dovuto essere così impossibile avere un’udienza con il re, in fondo era figlio del primo generale e in quanto tale abitava a corte. In ogni caso la cosa poteva richiedere qualche giorno, anche se Lyan sperava in un tempo più ristretto.
Si alzò e cominciò a girare in tondo per la cella. Dopo essere stato due settimane in una cella, le gambe erano intorpidite e aveva bisogno di fare movimento. Mentre pensava, ringraziò mentalmente Seheiah. Aveva avuto ragione su Heira e poteva scommettere che non era stato un caso se proprio suo fratello era venuto a parlare con lui. C’era lei dietro tutto questo, e lui sapeva non l’avrebbe lasciato solo.
Si fidava di quella donna e anche se non avesse la benché minima idea di chi fosse, era come se la conoscesse da sempre, un qualche ricordo che non voleva emergere dalla sua mente lo legava a lei. Ora che sapeva della sua esistenza si era reso conto che Seheiah era sempre stato con lui, fin da quando aveva memoria. Una volta per esempio, quando aveva più o meno tredici anni, suo padre lo aveva sgridato e lui era corso negli immensi giardini del castello e si era rifugiato in una specie di casa sull’albero che aveva fatto costruire sua madre prima che Lyan nascesse. Era probabilmente l’unica cosa che le rimaneva di lei ed era il suo posto preferito in tutto il castello. Mentre guardava di sotto, aveva sentito il bisogno di lasciarsi andare, di dire basta a suo padre e a tutte la gente che lo voleva rendere una persona che non era e che non voleva essere. E quando si stava per buttare giù dall’albero, una mano invisibile gli aveva cinto la vita, lo aveva tirato su e lo aveva rincuorato con parole dolci che però non ricordava. Era stata Seheiah, Lyan lo sapeva, anche se non ne poteva avere la certezza, era consapevole del fatto che quella volta a salvargli era stata quella donna.
La mattina del giorno dopo, quando si svegliò, non aveva ancora ricevuto nessuna notizia di Disie. Stava diventando una tortura aspettare, e aveva esaurito tutti i passatempi praticabili in una cella piccola e da solo. Se rimaneva lì solo un altro giorno, rischiava di impazzire.
-Mio signore. - La voce arrivava fuori dalla cella. Era il carceriere.
-Si?- Lyan era impaziente e non voleva più aspettare.
Il carceriere armeggiò con la serratura e dopo pochi secondi entrò.
-Il mio amico mi ha lasciato questo biglietto da dare a voi.- Il carceriere porse a Lyan un foglietto stropicciato.
-Puoi andare- rispose secco.
Il carceriere si voltò e uscì dalla cella lasciando sul pavimento una brocca d’acqua e un grosso tozzo di pane.
Lyan ignorò completamente il cibo e aprì impaziente il messaggio di Disie. Era scritto con una calligrafia precisa anche se un po’ frettolosa. Si vedeva che era il figlio del primo generale e che aveva studiato.
Per i suoi gusti aveva aspettato anche troppo e ora che la liberazione era vicina le mani gli tremavano.
Lesse tutto d’un fiato il breve massaggio di Disie.
 

 
Ho parlato con il re. Mi pare non se la sia bevuta, comunque ha deciso di liberarti
 (non so come ho fatto a convincerlo).
Quando le guardie ti verranno a prendere lui vuole subito parlarti.
P.S. Ho parlato con mia sorella ti aiuteremo
entrambi, ma anche lei ha una condizione.
Disie

Forse un po’ se lo aspettava che suo padre non credesse alla sua storiella, ma aveva deciso di liberarlo e di parlargli, e questo era già tanto.
Si rigirò fra le mani il biglietto, e poi lo strappò in mille pezzi, spargendo i pezzetti fra la paglia. Non si è mai troppo prudenti.
Nel messaggio Disie non aveva specificato quando sarebbe stato liberato, Lyan sperava il prima possibile, e comunque sapeva che se suo padre si era disturbato di decidere di liberarlo lo avrebbe fatto presto.
Ora non restava che aspettare.
La mattina dopo venne a svegliarlo il suo ormai fedele carceriere.
-Mi sono venuti ad avvisare che fra un’ora esatta verranno a prendervi.-
Lyan sospirò. -Bene.-
Il carceriere se ne andò ciondolando, mentre Lyan si alzava.
Quella fu l’ora più lunga della sua vita. I minuti non scorrevano mai, e aspettare stava diventando uno strazio. Lyan sapeva di non essere molto paziente, e l’attesa lo stava uccidendo.
Sentì due voci che parlavano e che si stavano avvicinando a lui. Si alzò.
La porta della sua cella si aprì con un cigolio, e davanti gli apparve Disie.
-Dai, forza, non sai quanto mi ci è voluto per convincere tuo padre perché solo io potessi venire a prenderti.-
Dietro a Disie c’era il carceriere.
-Sì, hai ragione. Andiamo- confermò Lyan.
I due si avviarono verso le sale alte del castello, dove c’erano gli appartamenti reali e ancora di sopra la sala del trono. Quando aveva fatto la prima volta quella strada, ovviamente a ritroso, due guardie cercavano di tenerlo dritto mentre la sua schiena sanguinava copiosamente. Ora capì che la strada era piuttosto breve, mentre la volta prima gli era sembrata non finire mai.
-Prima ti devo portare nelle tue stanze. E dopo che ti sei dato una pulita e ti sei cambiato, va da tuo padre.-
-Ti ho già detto che non è più mio padre!- esclamò.
-Zitto. Qualcuno potrebbe sentirti- ribatté Disie.
-Come lo hai convinto a fare tutto questo?-
-Veramente sono rimasto stupito anch’io di me stesso- ammise. -Non pensavo avrebbe tenuto molto di conto la mia opinione. Eppure l’ha fatto.-
-Mmm…-
-Comunque a pensarci bene è probabile che avesse già in mente di liberarti, ed io non ho fatto altro che dargli una spinta.-
-E tua sorella? Nel messaggio hai detto che anche lei ha una condizione.-
-Sapevo che non sarebbe stato difficile convincerla. Anche per lei credo sia stata più una spinta che altro. Se non fosse per nostra madre, sarebbe già scappata da molto- pronunciò le ultime parole piano, sottovoce.
-Comunque la sua condizione è uguale alla mia. Scapperà con noi per unirsi all’esercito di Dadasiana.-
Lyan se lo aspettava, era scontato che anche lei volesse unirsi a loro.
-E vostra madre?-
-Lei non c’entra!-
-Scusa, non volevo- capì che non gli piaceva parlare di sua madre, gli faceva male.
-No, scusa te, io…- gli mancarono le parole -Mia madre sta per morire. Noi non possiamo più fare niente. Stamattina sono andato da lei, non mi riconosce già più. Non ricorda niente. Però Heira la ricorda. È l’unica persona di cui ha ancora memoria.-
Heira e sua madre dovevano essere molto legate.
-Pensavo solo che voleste stare accanto a lei. Per me non è un problema se ritardiamo un po’ la fuga.-
In realtà lo era, ma non poteva fare questo a Disie.
-Non ti preoccupare. Vedremo poi.-
Nel frattempo erano arrivati davanti alla porta delle stanze di Lyan.
-Io ti aspetto qui. Mi devo assicurare che tu non scappi- rise.
Lyan aprì la porta. Era rimasto tutto uguale, erano passate solo due settimane in fondo.
Si sciacquò con l’acqua fredda e poi s’infilò un paio di pantaloni e una casacca blu scura. Si voltò verso il letto in cerca della sua spada, ma non la trovò. Andò fuori per chiedere spiegazioni a Disie.
-Sì, mi ero dimenticato. Te la ridarà tuo padre.-
-Bene, allora possiamo andare- disse cominciando a camminare.
-Allora, da quello che ho capito, dovrai chiedere in pubblico perdono a tuo padre,- spiegò -per quanto riguarda mia sorella, devi chiedere la sua mano a mio padre. Ovviamente accetterà, su questo non ci sono dubbi. E poi ci sarà la festa del fidanzamento.-
Avrebbe preferito tagliarsi la testa da solo piuttosto che chiedere perdono a suo padre, ma se voleva scappare, era una cosa necessaria.
-Ancora non ho deciso quando scapperemo, dobbiamo vedere come si evolve la situazione.-
Quando arrivarono, Lyan si voltò verso Disie.
-Io non posso venire, vuole parlarti in privato- spiegò Disie. -Auguri.-
-Grazie, per tutto.-
Due guardie aprirono la pesante porta.
Davanti a lui si presentò in tutta la sua bellezza, la sale del trono. Nonostante il castello dall’esterno apparisse piuttosto spoglio, l’interno era il trionfo del lusso, e dell’ostentata ricchezza del re.
Appena entrati dalla porta, si stagliava un ampio salone con un pavimento di marmo. Le pareti erano cosparse di ornamenti con l’effige del re in oro. La parete sulla destra aveva anche un enorme specchio con una cornice di legno decorato d’oro. Lyan non aveva mai capito cosa ci facesse uno specchio nella sala del trono, ma era lì da sempre, e lui non se ne era mai interessato così tanto. Nella parte destra dalla sala c’era un ampio tavolo rotondo con attorno disposte ordinatamente dodici sedie, come i membri del consiglio del re, dall’alto schienale. In realtà i membri del consiglio non si riunivano mai nella sala del trono, e anche se la tradizione voleva questo, il re aveva insistito perché le sedute si tenessero ogni volta in una sala differente. Regioni di sicurezza, aveva spiegato lui, anche se con tutte quelle guardie la sala del trono era forse la stanza più controllata di tutto il castello.
Infine in fondo alla sala, il trono, alto, possente: il simbolo del potere del re. Non potevi fare a meno di sentirti intimorito quando guardavi da quella parte. Il trono di marmo, come il pavimento, aveva uno schienale altissimo ed era rialzato su una pedana, anche quella di marmo, aveva inciso sullo schienale lo stemma delle Terre di Nemunas, in oro.
-Avvicinati.- La voce del re era gelida, ma nascondeva una nota di compassione, ma Lyan lo conosceva fin troppo bene e avrebbe scommesso che era tutta una finzione.
Lyan arrivò fin sotto il trono, e poi si fermò.
-Finalmente ti sei deciso,- disse acido il re -comunque avevo già deciso di liberarti. Dopo due settimane pensavo avessi capito il tuo errore, e così è stato.-
Lyan continuò a restare in silenzio.
-Il figlio del primo generale mi ha detto che hai deciso di prendere moglie- proseguì. -Non è esattamente la ragazza che ci si aspetta dal futuro re, ma sono sicuro che tu sarai in grado di domarla.-
Neanche fosse un cavallo, pensò Lyan.
-Ti hanno forse tagliato la lingua mentre eri in prigione?- domandò sarcastico.
Lyan si sforzò di rispondere educatamente: -No padre, è solo che sono molto stanco.-
-Capisco- sospirò, -non ti preoccupare sarà una cosa veloce.-
Per la prima volta Lyan vide sorridere suo padre. Non un sorriso maligno, di quelli ne aveva visti anche troppi, un sorriso quasi affettuoso. Lyan non si fece intenerire e continuò a tenere lo sguardo verso il trono.
-Domani ci sarà la cerimonia in cui mi chiederai perdono in pubblico- cominciò, -io non volevo, ma i consiglieri hanno insistito che fosse una cosa ufficiale. Dopo tutto sei mio figlio e mi sarebbe stato sufficiente parlare un po’ con te. Purtroppo è una cosa necessaria. Spero capirai.-
Come no, lo aveva deciso il consiglio e lui voleva solo fare una chiacchierata padre- figlio!   
-Certo padre, capisco- rispose ubbidiente. 
-Domani mattina ti verranno a prendere e ti porteranno alla cerimonia, avrai anche l’occasione per chiedere la mano della ragazza al padre. Ovviamente accetterà, di questo non ti devi preoccupare.-
Lyan era impaziente di andarsene, ma senza la sua spada sarebbe rimasto lì anche una vita.
-Padre?- pronunciare quella parola gli constò una fatica immane.
-Sì, figliolo?-
-La mia spada- domandò esitante, -mi chiedevo se potevo riaverla.-
Lo sguardo del re s’irrigidì leggermente dopo quel memento di tenerezza programmato per rabbonire il figlio.
-La tua spada?- ripeté -Si certo. La troverai nelle tue stanze.-
Lyan mandò un’occhiata fugace alla porta, non vedeva l’ora di andarsene.
-Allora come stavo dicendo prima, durante la cerimonia avrai l’occasione di chiedere la mano della figlia del generale e anche di conoscerla, inoltre ti consiglio anche di ringraziare suo fratello, è anche per merito suo se adesso sei qui e non nelle segrete.-
-Me ne ricorderò.-
-Un’ultima cosa- annunciò, -la prossima volta non ti perdonerò.-
Il suo sguardo era ritornato quello di prima, di un gelido assoluto senza l’ombra di un altro sentimento che non fosse l’odio. Solo quello, perché l’odio era ciò che era Reide, frutto del dolore, del desiderio di vendetta e della brama di potere.
Il tragitto dalla sala del trono alle sue stanze Lyan lo fece quasi di corsa. Non ce la faceva più a fingere con quello che un tempo chiamava padre. Per la strada vide Disie, però lo ignorò e continuò per la sua strada. Aveva bisogno di stare un po’ da solo e se fosse stata una situazione normale, avrebbe preso il suo cavallo e non sarebbe tornato prima del tramonto. Ma non poteva gli avevano messo alle costole quasi tutte le guardie del castello e non sarebbe nemmeno riuscito a uscire dalle sue stanze.
Quando arrivò la prima cosa che fece, fu cercare la sua spada. Si precipitò verso il suo letto e lì la trovò.
Per lui non era un semplice oggetto, per il breve periodo che non ce l’aveva avuta tutte le volte che si era sentito minacciato, portava la mano destra al fianco sinistro, rimanendo deluso non trovando niente. Inoltre alla sua spada era legata una storia che Lyan non avrebbe mai dimenticato.
Quando aveva otto anni, il fratello di sua madre viveva al castello. Lyan e lui avevano un bellissimo rapporta, era lui che gli aveva insegnato veramente a combattere. Certo, aveva anche un maestro, ma solo con suo zio Lyan aveva imparato l’essenza della guerra e delle armi.
Quando si alzava, non vedeva l’ora di andare dallo zio.
Una mattina freddissima d’inverno, Lyan e suo zio Dan, erano fuori e si stavano allenando con la spada. Lyan non ricordava una giornata più fredda di quella, e lui era anche abituato al gelo abitando al nord. Mentre Dan gli stava insegnando un affondo particolare, era arrivato un messaggero che aveva consegnato una lettera a Dan.
-Zio cosa c’è?- Lyan aveva capito subito dalla faccia dello zio che c’era qualcosa che non andava, la sua espressione era cambiata da concentrata e serena ad angosciata e triste.
-Un mio amico del sud- rispose, -è morto di malattia. Devo partire subito.-
-Mi dispiace.-
-No, dispiace a me- aveva ribattuto Dan -ti prometto che continueremo non appena sarò tornato.-
Dan si era allontanato correndo verso il castello.
Lyan era rimasto tutto il giorno appostato su una collina vicino al castello da cui si vedeva tutta la città, aspettando il ritorno dello zio. Dan era l’unica persona a cui poteva dire di voler bene veramente. Suo padre non faceva altro che sgridarlo e trattarlo male, o peggio, farlo picchiare. Non gli aveva mai voluto bene.
Dan invece era buono con lui e aveva sempre un po’ di tempo per giocare con un bambino, cosa che nessuno al castello faceva a parte lui.
Era rimasto su quella collina finché due guardie non erano venute a portarlo di peso al castello.
La mattina dopo era subito ritornato lì, anche se aveva lezione con il maestro, era riuscito ad andare via senza farsi vedere da nessuno.
Dopo un po’ aveva visto in lontananza dei cavalli e un carro con lo stemma reale, era suo zio! Era corso giù per la collina e quando aveva raggiunto il carro, cominciò a cercare suo zio fra i cavalieri che passavano. Loro gli sfilavano accanto con uno sguardo severo e triste. Lyan non capiva. Quando i cavalieri furono passati, fu la volta del carro, trainato da due stalloni. Si mise in punta dei piedi per vedere cosa conteneva.
Un telo bianco, da cui spuntavano due stivali, li riconobbe subito. Rimase lì impalato a contemplare il carro che continuava ad andare avanti. Qualcuno si accorse di lui, e lo prese issandolo sulla sella del suo cavallo.
Non poteva essere vero. Forse era un sogno, anzi di sicuro. Suo zio non poteva averlo abbandonato, non l’avrebbe mai fatto, ne era sicuro. Il tragitto fino al castello fu breve. Il cavaliere che lo aveva ospitato sul suo cavallo lo accompagnò nella sala del trono, da suo padre, per dare la notizia al re.
-Vostra altezza- cominciò, -il fratello di vostra moglie è stato aggredito da dei banditi durante il viaggio, quando lo abbiamo trovato, era già troppo tardi.-
La voce del cavaliere tremava. Dan era ben voluto da tutti. Non ce l’aveva mai con nessuno ed era sempre gentile e disponibile, tutti gli volevano bene, escluso il re.
-Tu!- gridò Lyan puntando un dito contro suo padre. -Lo hai ucciso! Lo hai sempre odiato perché ti ricordava troppo la mamma! Assassino!-
Cominciò a singhiozzare mentre si accasciava per terra disperato.
Il cavaliere che lo aveva portato lì lo prese in braccio e lo portò nelle sue stanze. Lyan si era addormentato subito, era stanco. La notizia della morte dello zio lo aveva massacrato, come se fosse morto con lui.
La sera qualcuno glia aveva portato da magiare, ma lui non aveva toccato niente. Dopo un po’ quell’uomo con cui era andato da suo padre, era entrato in camera sua portando un fagotto sottobraccio.
-Ho qualcosa per te- bisbigliò, -è la spada di tuo zio. So che avendo potuto l’avrebbe data a te.-
Lyan non lo degnò nemmeno di uno sguardo.
-Te la lascio qui.-  E se ne era andato.
Da quel giorno quella era diventata la sua spada, inseparabile. Era l’unico oggetto che lo legava alle due uniche persone a cui aveva voluto bene: sua madre e suo zio. Certo, non aveva conosciuto sua madre ma le voleva bene comunque, e poi suo zio che gli aveva insegnato tutto della vita e che lo aveva cresciuto come un figlio.     
 
Angolino dell’autrice:
Ehi! Siamo al quarto spero vi sia piaciuto. Come vi immaginate Heira? (fate tutte le ipotesi che volete).
Comunque sono soddisfatta di come sta procedendo la mia storia, se qualche anno fa ne cominciavo una a settimana e non ne finivo mai una, questa la sto portando avanti seriamente e sono determinarla a finirla, e magari anche provare a farmela pubblicare da qualche casa editrice. Vuoi che ne dite?
Allora RECENSITE, RECENSITE E RECENSITE , anche se non vi è piaciuto, le critiche costruttive fanno bene a tutti.
Ringrazio come sempre tutti quelli che recensiscono e tutti quelli che leggono anche in silenzio (spero presto di finire fra le vostre preferite ^^). In particolare:
  • KingPetertheMagnificent
  • Luana_lulu
  • _dirty_ice
  • Shadowdust
  • _Faithfully
  • _AnnaWhite_
  • Water_wolf
Spero di non  aver dimenticato nessuno, in caso contrario fatemelo notare!
Bianca
 

   
 

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Capitolo 5
*** La cerimonia ***


5
La cerimonia

Sentì bussare alla porta e si svegliò di soprassalto.
­-Chi è?- domandò ributtandosi sul letto.
-Lyan, sono io.- Era Disie. Lyan si alzò lentamente dal letto e andò ad aprire la porta.
-Perché sei andato a dormire vestito?-
La domanda di Disie fece svegliare completamente Lyan, che si guardò. Aveva ancora i vestiti del giorno prima. Quando era tornato dal colloquio con suo padre si era subito addormentato.
-E tu perché mi sei venuto a svegliare?- chiese nervoso.
-Se non te lo ricordi, e a quanto pare non te lo ricordi, oggi è il giorno della cerimonia- gli spiegò.
La cerimonia, certo. Doveva chiedere perdono a suo padre pubblicamente, come se non fosse stato già abbasta umiliante chiederglielo privatamente. Avrebbe voluto essere da qualsiasi parte che non fosse il castello di suo padre, ma dall’altra parte era anche curioso di conoscere Heira.
-Certo…- borbottò.
-E dovrai anche chiedere la mano a mia sorella.- Ricominciò a ridere come sempre quando entra nel discorso Heira – matrimonio. Lyan però non era dell’umore adatto per scherzare.
-Si può sapere come fai a essere sempre così allegro?- gli sbraitò contro. -Tua madre sta morendo e la stai abbandonando per venire con me al fronte nemico per combattere contro il tuo stesso padre…-
Lyan si fermò vedendo che la sua espressione era cambiata. Non voleva, ma si doveva sfogare, e lui era l’unica persona che lo avrebbe ascoltato.
-Cerco solo di allontanare il più possibile il giorno in cui mi pianterò un pugnale nella pancia perché non ce la faccio più a vivere così- sospirò. -Ma per te è forse più semplice crogiolarti nell’autocommiserazione, invece che provare con un po’ di ottimismo.-
Se ne andò con i pugni stretti lungo i fianchi, arrabbiato e confuso.
Lyan non lo fermò. La solitudine, almeno per lui, era la migliore cura contro l’ira e la confusione mentale.
Si cambiò lentamente, indossando i vestiti della festa. Anche se per lui non era una vera e propria festa, doveva far vedere che era felice di chiedere perdono a suo padre e che era orgoglioso di averlo come tale.
Quando venne l’ora, s’incamminò verso l’immenso giardino che circondava il castello. Suo padre aveva deciso di organizzare la festa all’aperto. Era già estate inoltrata e si stava bene all’aperto. Chi viveva al nord cercava di approfittare di tutti i momenti possibili per stare fuori e godersi quel poco solo che riscaldava veramente.
Prima di raggiungere la cerimonia si fermò in cucina, non aveva fatto colazione e da quando era stato liberato, non aveva ancora mangiato.
L’atmosfera delle cucine gli era sempre piaciuta. Tutta quella gente indaffarata che quasi non si accorge della tua presenza, anche se sei il figlio del re. Tutti quei profumi, alcuni acri, altri dolci o speziati.
Si avvicinò a un lungo tavolo su cui stava una cesta di pane appena sfornato. Prese una piccola pagnotta e cominciò a mangiare. Gli sembrò di toccare il cielo. Nel tempo in cui era stato nelle segrete, aveva solo mangiato del pane secco e insipido e quello che stava mangiando ora era caldo, morbido, profumato e fragrante.
Quando ebbe finito, si alzò e prima di andare prese un po’ di frutta che mangiò velocemente.
Il giardino era completamente ornato a festa, il prato era stato completamente ricoperto di petali bianchi che facevano da contrasto all’erba verde. Sotto un albero era stato posto il trono del re, non quello della sala del trono, uno più piccolo, ma comunque maestoso, di legno. Anche il trono era stato decorato di bianco con della seta e con foglie di un verde smeraldo. Ai lati del giardino c’erano due lunghi tavoli, per il banchetto. Erano ricolmi di ogni sorta di cibo, dalla carne, ai dolci e alla frutta. I due tavoli adornati come fossero gemelli erano circondati da sedie dall’alto schienale decorate da una stoffa finissima bianca, che lasciava intravedere le venature del legno.
Lyan si guardò intorno, alla cerimonia erano state invitate tantissime persone. Lyan ne riconobbe una buona metà, erano tutti nobili e abitanti di corte. Lui però stava cercando una persona in particolare: Heira.
In realtà si stava domandando perché nonostante lei abitasse al castello da molti anni non l’avesse incontrata che una volta, di solito vedeva spesso la gente che abitava al castello. Anche solo camminando per i corridoi per spostarti da una stanza all’altra non potevi fare a meno di incontrare qualcuno.
Salutò un vecchio nobile molto amico di suo padre che abitava poco distante dalla capitale, poi si girò di scatto, d’istinto. Qualcuno lo stava guardando. Voltò lo sguardo verso il trono. No, suo padre non lo stava guardando. Allora osservò chi stava vicino ai tavoli, e vide un uomo che lo fissava insistentemente. Non lo aveva mai visto in vita sua. Era alto, con dei capelli corvini e gli occhi più scuri che Lyan avesse mai visto.
-Lyan!- Una voce lo riscosse dai suoi pensieri. Il primo generale era davanti a lui, sorridente e già un po’ ubriaco.
-Salve…- Lyan non sapeva cosa dire. Doveva chiedere in sposa sua figlia, ma non sapeva da dove cominciare e poi di lei non c’era ancora nessuna traccia.
-Mi stavo giusto chiedendo dove fosse vostra figlia- disse.
-Ancora non è arrivata- rispose -ma nel frattempo potete intrattenervi con mio figlio Disie.-
Lyan non si era accorto che accanto al primo generale c’era Disie.
-Lyan, - cominciò Disie -questo è mio padre e primo generale Antares.-
-Non c’è bisogno di tutte queste presentazioni- protestò Antares, -e poi il ragazzo sa già chi sono. Comunque ora mi dispiace devo andare.-
Lyan e Disie rimasero soli in quel caos che stava diventando il giardino.
-Tua sorella non è ancora arrivata?- Domandò cercando di ignorare la litigata che avevano avuto poco prima.
-No- rispose calmo. -Diciamo che c’è stato un piccolo problema con l’abito da indossare. Si è rifiutato di indossarlo e ora sta litigando con una damigella.-
-Capito- disse Lyan.
-Non so quanto ci vorrà.-
-Comunque mi dispiace per prima…- iniziò Lyan.
-No,- lo interruppe -dispiace a me. Chiudiamola qui, va bene?-
-Sì, certo.-
-Allora principe, quando chiederai la mano di mia sorella?- chiese.
-Penso che aspetterò che tuo padre abbia bevuto un altro po’!-
Scoppiarono entrambi a ridere.
-Sì, a mio padre piace bere alle feste, ma non farti ingannare, tanto sa divertirsi quanto è bravo a organizzare una strage.-
I due ragazzi continuarono a parlare per un po’, fino a quando non arrivò Heira.
Lyan vide con la coda dell’occhio una ragazza scendere la scalinata che dal castello portava al giardino.
-Disie- lo chiamò. Non ebbe il bisogno della conferma dell’amico, aveva capito che lei era Heira.
Heira aveva lunghi capelli castani che le ricadevano sulle spalle, lisci con qualche morbida onda. La pelle era chiarissima, come la neve d’inverno. Camminava a testa alta e fiera, con le braccia distese sicure lungo i fianchi. Indossava un paio di pantaloni di pelle leggera neri, ai piedi portava un paio di stivali di cuoio dalla foggia pregiata, anch’essi neri. La casacca porpora le cascava perfetta lungo la vita, sottolineata dal corpetto di pelle nera, come i pantaloni. Sotto gli abiti s’intravedeva un fisico asciutto, piuttosto muscoloso e agile. Cose che non sia addicevano a una donna, piuttosto a una guerriera.
La ragazza si avvicinò lentamente al fratello.
-Scusate il ritardo, è che io odio quando vogliono farmi mettere gli abiti lunghi.-
-Non ti lamentare,- borbottò Disie -hai comunque indossato quello che volevi.-
-Non ho indossato quello che volevo io- protestò Heira. -Alla fine siamo arrivati a un compromesso. I vestiti che volevo io ma senza armi addosso.-
-Tu senza armi addosso?- chiese stupito.
-No, infatti.-
Indicò lo stivale destro da cui spuntava l’elsa di un pugnale. Disie rise. 
-Vedrai quando nostro padre e il re se ne accorgeranno…- commento il fratello.
-No, non oggi, è un giorno di festa.-
Lyan era rimasto lì guardando i due fratelli parlare impassibile.
-Lyan, ti presento mia sorella Heira.-
-Piacere-  mormorò Heira.
-Il piacere è tutto mio- ricambiò Lyan facendo un breve inchino.
-Non ti devi inchinare,- protestò la ragazza -dopo tutto sei tu il principe.-
Lyan non sapeva proprio cosa dire, per fortuna arrivò un servo che gli disse che era l’ora della vera e propria cerimonia.
Il re era seduto dritto sul trono, e Lyan era inginocchiato davanti a lui.
-Vi chiedo perdono padre. D’ora in poi vi servirò umilmente, combattendo per il nostro regno e per la libertà. M’impegnerò a diventare un buono e giusto re, come lo siete voi e come i re passati lo sono stati.-
Dalla folla si levò un appaluso ma Lyan era tutt’altro che felice, le cose che aveva detto se le era preparate la mattina mentre faceva colazione e gli erano sembrate le più adatte per far credere a suo padre e tutti quelli che erano lì che era davvero pentito. Ora che le aveva pronunciate, gli erano sembrate le parole più stupide che avesse potuto dire.
Il re si alzò lentamente. Mise una mano sulla spalla del figlio ed anche lui sia alzò.
-Figlio io ti ho già perdonato, e spero che tu abbia capito il tuo errore.-
Poi si rivolse verso la folla.
-Ma non siamo qui solo per il perdono di mio figlio. Perché lui ha deciso di scegliere una moglie, la figlia del nostro primo generale Antares.-
Il re andò verso la folla e prese per la mano Heira che stava in prima fila accanto al padre e al fratello.
-Questi due giovani sono il futuro della Terre di Numunas!-
Tutti rimasero un momento sorpresi poi dalla folla si alzò un altro appaluso, questa volta più forte. L’annuncio delle nozze del giovane principe era stato per tutti una grande sorpresa, nessuno si aspettava che un ragazzo di appena diciassette anni prendesse moglie così presto. Non era strana l’età, ma tanto l’occasione e la scelta così affrettata e il fatto che nessuno sapesse niente. Sembrava piuttosto una mossa strategica per coprire qualcosa. E in realtà era così.
Tutti continuarono a guardare Lyan e Heira, che stavano ai lati del re, che li teneva per mano.
Lyan cercava di sorridere, ma era a disagio e due secondi prima aveva chiesto perdono a un padre che odiava. Si girò per guardare Heira, anche lei era a disagio e se possibile più di Lyan, ma al suo contrario non cercava di mascherare i suoi pensieri e i suoi sentimenti. I suoi occhi erano pieni di rabbia e sprigionavano tristezza. Tristezza per la madre malata e rabbia per un padre cui non voleva bene. Amarezza per tutto ciò che doveva fare per raggiungere la libertà che tanto desiderava.
Dopo che la folla si fu stancata di acclamare i due ragazzi, il re lasciò le loro mani, liberi di andare. Non fece commentiné sul loro atteggiamento né sull’abbigliamento di Heira. Aveva ragione, non oggi, era un giorno di festa, ma domani sì, ne erano sicuri entrambi.
La festa andò avanti per tutto il giorno, dopo il banchetto, la gente non aveva fatto altro che bere, ed erano praticamente tutti ubriachi. Lyan non aveva mangiato quasi nulla e non era un tipo che beveva. Aveva lo stomaco completamente chiuso e tutta la gioia delle persone che gli stavano intorno, non lo contagiava per niente.
Anche Heira e Disie non erano da meno, se ne erano stati in disparte tutto il tempo salutando di tanto in tanto alcune persone che suo padre presentava loro.
Mentre Lyan stava seduto sulla scalinata, ripensava all’uomo che aveva visto quella mattina. Per tutto il giorno ci aveva pensato e non riusciva a capire come poi fosse sparito nel nulla. Infatti, da quel momento non lo aveva più rivisto, aveva cercato fra le persone e aveva anche chiesto se qualcuno sapeva chi era, ma nessuno conosceva quell’uomo.
I suoi pensieri furono interrotti da un servo che veniva correndo versi lui.
-Vi porto questo messaggio da Disie, figlio del primo generale Antares.-
E se ne andò con un breve inchino.
Lyan aprì il messaggio.

Fra dieci minuti nell’ala est del giardino
sotto la quercia davanti al porticato.
Non farti seguire e non dire
a nessuno dove vai.
Disie & Heira

Quando lo ebbe letto, lo strappò e lo gettò nell’erba del giardino.
Finalmente, pensò Lyan. Ora potevano parlare e non essere disturbati da nessuno.
S’incamminò verso il luogo che Disie e Heira gli avevano indicato per il loro incontro. L’ala est del giardino era la più bella a parere di Lyan. Era tranquilla e non ci andava quasi mai nessuno, eccetto i giardinieri che curavano le rigogliose piante che vi crescevano. Questo non se lo era mai spiegato, ma la gente preferiva altre parti del parco, e non quella che era la più bella e la più rilassante.
Camminò per un paio di minuti e quando arrivò alla quercia, vide i due fratelli seduti per terra che giocavano con i fili d’erba.
-Sei arrivato- osservarono.
Lyan rimase zitto.
Heira fu la prima a spezzare il silenzio. -Non ce la facevamo più a stare là. Ci dispiace se ti abbiamo lasciato solo, ma non ci vedevamo da molto.-
Lyan rimase stupito. -Come non vi vedevate da molto?- chiese. -Abitate nello stesso castello.-
-No, - spiegò lei -da dopo che mio padre è stato nominato primo generale, mi ha mandata a vivere da un parente in campagna, e venivo qua solo una volta il mese. Sono tornata qui da poco più di sei mesi. Ma non ho mai avuto il tempo di stare un po’ da sola con mio fratello. Pensavo lo sapessi.-
-Non lo sapevo, pensavo avessi vissuto sempre qui. In realtà non ti ho mai visto girare per il castello, ma nemmeno tuo fratello e ho pensato fosse normale.-
-Si hai ragione,- intervenne Disie -io, e Heira quando ci veniva a trovare, siamo sempre stati chiusi dentro le nostre stanze o in qualsiasi altro posto dove non ci fosse molta gente. Poi un anno e mezzo fa, quando ho compiuto diciotto anni e potevo andare in guerra sono stato pochissimo tempo a casa. Sono tornato ora per mia madre...-
Abbassò gli occhi dopo aver menzionato la madre e Heira vedendo che non riusciva a finire proseguì.
-Da quando avevo cinque anni, ho quasi sempre vissuto lontano dalla mia famiglia, non so perché mio padre non mi volesse fra i piedi, non gliel’ho mai chiesto e nemmeno m’importa. Ho sempre preferito vivere in campagna e fare quello che volevo invece di vivere qui seguendo tutte queste regole assurde.-
Ora Lyan capiva perché non aveva mai visto i due figli del primo generale girovagare per il castello. In effetti, non gli era mai tornata quella cosa, ma ora si spiegava tutto.
Disie aveva ancora gli occhi bassi, parlare della madre non gli era mai piaciuto da quando Lyan lo aveva conosciuto, lo rendeva triste e assente. Al contrario Heira era molto più forte del fratello, si vedeva che soffriva ma lo nascondeva e sosteneva il fratello con tutte le sue forze. Non aveva mai visto una ragazza così. Quando al castello qualcuno stava male o era moribondo le donne piangevano dalla mattina alla sera e gli uomini si occupavano dell’eredità. Non che Disie fosse debole, ma semplicemente era abituato a esternare maggiormente i suoi sentimenti, mentre Heira si teneva tutto dentro. Lyan si chiedeva quale delle due fosse meglio, lui era tale e quale a Heira, ma forse era meglio sfogarsi ogni tanto invece di lasciare tutto dentro il petto, perché prima o poi era destinato a scoppiare.
-Va bene,- disse Lyan cercando di spezzare la tensione -siamo qui per organizzare un piano o sbaglio?-
Disie si riscosse. -Sì,- confermò -dobbiamo decidere come procedere, non possiamo continuare ad andare avanti così, allo sbaraglio.-
-Secondo me- intervenne Heira, -la soluzione migliore è aspettare la festa del fidanzamento e scappare quel giorno. Saranno tutti troppo impegnati con i preparativi, nessuno si accorgerà di noi.-
-Se non fosse solo per il fatto che i festeggiati siete voi due!- pretestò Disie.
-In effetti, è vero,- disse Lyan -ma penso anch’io che nessuno si ricorderà di noi. Anche se siamo i festeggiati, la gente pensa solo a se stessa: a cosa indossare, al cibo che sarà servito. Hanno la memoria corta.-
-Sì, ma si accorgeranno subito che manca qualcuno- continuò Disie.
-Ho un’idea- esultò Heira. -Dobbiamo fare in modo che nessuno si accorga di noi per un paio di ore. Giusto il tempo per allontanarci a sufficienza. Giusto?- Gli altri annuirono. -Allora potremo mettere un sonnifero o una droga nel cibo o nelle bevande, così saranno tutti storditi e nessuno si accorgerà che manchiamo!-
-Potrebbe andare- commentò pensieroso Lyan. -Ma dove lo troviamo questo sonnifero o droga di cui parli?-
-Facile,- spiegò lei -nel bosco crescono piante di ogni tipo, basterà trovare quella giusta.-
 
Angolino dall’autrice:
Hei, come va!? Eccoci al quinto capitolo che spero vi sia piaciuto. Che ne pensate di Heira? Finalmente la conosciamo e spero di non aver deluso le vostre aspettative.
Vi prego di recensire, davvero ci tengo tantissimo alla vostra opinione, perché solo in questo modo posso migliorare. Anche se non vi piace ciò che scrivo, vi supplico di dirmelo!
Spero di riuscire ad aggiornare anche la prossima volta regolarmente di sabato, anche se interrogazioni e compiti di fine anno mi stanno uccidendo.
Allora come sempre ringrazio chi mi segue, chi recensisce, in particolare:
  • KingPetertheMagnificent
  • Luana_lulu
  • _dirty_ice
  • Shadowdust
  • _Faithfully
  • _AnnaWhite_
  • Water_wolf
Spero di non  aver dimenticato nessuno, in caso contrario fatemelo notare!
Alla prossima :)
Bianca ^^
 



 
  
 

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Capitolo 6
*** La scoperta ***


6
La scoperta

La mattina dopo Lyan si svegliò con una notizia che proprio non avrebbe voluto avere: Disie sarebbe tornato al fronte, le condizioni di sua madre erano migliorate e suo padre non voleva che perdesse tempo a corte, sarebbe poi tornato in tempo per la festa di fidanzamento. Così era partito in tarda mattinata con il suo cavallo e la sua spada al fianco. Dopotutto, se non fosse stato per quello che aveva fatto, anche Lyan sarebbe stato al fronte, ma lui di combattere per suo padre non ne voleva proprio sapere, e avrebbe fatto qualsiasi cosa e, in effetti lo aveva fatto, era finito in prigione. Comunque non è che i soldati in guerra avessero da fare molto in quel periodo, la guerra con Dadasiana era ferma da molto e consisteva in piccole battaglie per conquistare il controllo di qualche torretta sparsa qua e là, che finiva con troppi morti e nessun vincitore. Era anche per questo che Lyan odiava suo padre, mandava a morire centinaia di persone per cosa? Duecento metri di terreno che poi veniva riperso il giorno dopo? No, non poteva andare avanti così. Se Lyan e gli altri sarebbero riusciti a raggiungere l’esercito di Dadasiana e a unirsi con loro, Lyan avrebbe svelato tutti i segreti e le tattiche di suo padre, e avrebbero vinto. In realtà però, Lyan non aveva capito nemmeno cosa. La guerra con Dadasiana era una delle tante per espandere il regno, allargare i confini, ma Lyan sapeva che c’era dell’altro. Per quanto suo padre fosse crudele, non era un uomo stupido, e sapeva che la perdita di uomini se è eccesiva può far perdere una guerra, e Reide non è uno che si lasci vincere tanto facilmente. Ci doveva essere qualcosa di più grande per cui rischiare. Certo, tutta Dadasiana non era una cosa da poco, solo tenendo conto delle immense miniere d’oro che vi si trovavano. Qualunque re avrebbe dichiarato guerra, ma non suo padre, lui voleva qualcosa di più, non gli bastava il potere e la ricchezza, Lyan lo sapeva e avrebbe scoperto cosa spingeva suo padre a tutto questo.
Dopo aver ricevuto la notizia di Disie, era un po’ triste ma anche felice perché sua madre stava meglio. Dopo essersi vestito, andò in cucina come faceva d’abitudine e lì trovò Heira.
-Buongiorno.-
-Mi avevano detto che ti avrei trovato qui- commentò lei senza rispondere al saluto.
-Chi ti avrebbe dato questa informazione esattamente?-
-Una cameriera, ieri sera dopo che sei andato via.-
-Capisco.-
Ora che non c’era Disie, Lyan non sapeva cosa dire, così prese qualcosa da mangiare e si sedettero l’uno di fronte all’altra. Fra un boccone e l’altro Lyan notò che gli occhi di Heira avevano un colore particolare che non aveva mai visto prima. Erano ruggine come quella che si forma sul ferro vecchio, ma c’erano delle venature che partivano dal centro dell’iride del colore della sabbia, ma non quella della spiaggia di Derafest, chiara e fine, quella del deserto più scura e selvaggia. Non aveva mai visto il deserto ma dalle storie che aveva letto, se lo era immaginato bene e nella sua mente quei colori erano chiari e distinti, come gli occhi di Heira.
Lei si accorse che era pensieroso. -Tutto apposto?-
Si riscosse e annuì. -Stavo solo pensando.-
-Mi è venuta un’idea-  propose Heira. -Che ne dici di andare in biblioteca per cercare la pianta di cui parlavamo ieri?-
La biblioteca di Derafest era la più grande di tutte le Terre di Nemunas, c’era chi diceva che in quel regno ci fossero più libri nella biblioteca del re che abitanti. Rispetto alla cucina la biblioteca si trovava dall’altra parte del castello e si sviluppava in altezza, occupando vari piani, la maggior parte dei quali si trovavano sottoterra allo stesso livello delle segrete e anche più giù.
Arrivati, i due cominciarono a setacciare tutti i libri del reparto di botanica per trovare una pianta che stordisse gli invitati alla festa del fidanzamento per un po’, così da consentire loro di scappare e allontanarsi sufficientemente.
I libri erano davvero tanti, così cominciarono a scartare quelli in qui era meno probabile si trovasse la soluzione al loro problema.
-Se andiamo avanti così finiremo da morti- commentò Heira.
-Sì, ma non abbiamo altra scelta.-
-Ci deve pur essere un modo per fare più veloce!-
-No, ti dico che non c’è. Non possiamo nemmeno chiedere al Guardiano della biblioteca, farebbe troppe domande.-
-Sì che c’è!- esclamò Heira. -Il catalogo dei libri, con quello potremo vedere più chiaramente ciò che ci può essere utile.-
Il catalogo del settore di botanica era un tomo polveroso scritto a caratteri minuscoli, con una calligrafia molto precisa. Lyan si sforzava per capire cosa c’era scritto ma era piuttosto complicato, anche se dopo si abituò.
-L’uomo che ha stilato questa lista è molto probabilmente diventato ceco- scherzò.
Con il catalogo la ricerca del libro si era fatta più veloce, ma ancora non avevano tronato la pianta che faceva per loro. Lyan si chiedeva come, con tutti i libri che avevano consultato, non avessero trovato l’erba giusta.
Intanto la giornata procedeva, i due ragazzi però, non si accorgevano che si era fatto tardi, erano in un piano della biblioteca che si trovava sottoterra e non vedevano il sole.
-Heira, è tardi va a dormire qui continuo io.-
-No resto, non sono stanca.-
-Davvero va.-
-Va bene, ci troviamo qui domattina.-
-A domani.-
Quando Heira andò via, Lyan posò il libro un momento e cominciò a vagare per la biblioteca, andò più in profondità, dove c’erano i settori mitologia, il suo preferito, mappe, storia, fino all’archivio ed infine al piano più basso: “Settore magia”. Le lettere incise sulla vecchia porta di legno erano scritte in una calligrafia bellissima, che Lyan non aveva mai visto, e che metteva inquietudine, tanto era il mistero di ciò che si celava dietro quella porta.
Si avvicinò di più alla porta e notò che questa era chiusa e che su di essa si trovava solo una grande serratura. Se lo doveva aspettare, suo padre non aveva mai apprezzato la magia, in realtà non aveva motivo di preoccuparsene, la stirpe dei maghi e delle maghe si era ormai estinta da qualche tempo, e nessuno era più in grado di praticare la magia. Si diceva che forse in alcune terre, fra cui Dadasiana, ci fossero ancora delle persone che ne possedevano il potere, ma non c’era la certezza, e le fonti non erano comunque verificabili da nessuno. Tornò al piano superiore per cercare qualcosa con cui forzare la porta, trovò un piccolo arnese di metallo, che poteva fare al suo caso, così tornò alla porta del settore che gli interessava. Sperò che la porta fosse facile da forzare, se la danneggiava troppo, qualcuno avrebbe potuto accorgersene, in ogni caso doveva entrare, era più che sicuro che lì avrebbe potuto trovare le informazioni che voleva sull’Elsa della pace, e non avrebbe rinunciato a quelle fonti.
Avvicinò la chiave improvvisata alla serratura, lo inserì e ruotò l’oggetto verso sinistra. Niente. Allora forzò ancora piò in profondità e girò con più convinzione. Sentì un clic e la porta si aprì con un sordo cigolio.
Il settore magia era il più grande di tutti gli altri, era forse il doppio di quello di storia e il triplo di botanica. Gli scaffali pieni di libri fino al soffitto altissimo finivano in cunicoli stretti da cui era difficile passare, formando un dedalo di corridoi e strettoie in cui non era difficile perdersi.
Lyan alzò la testa e sul soffitto vide enormi affreschi: draghi, scene di guerra, guerrieri nelle loro splendide armature, cavalli selvaggi lanciati al galoppo, bellissime dee della guerra e possenti dei del mare.
Lyan non riusciva a immaginare chi avesse potuto creare una cosa del genere, forse era stata proprio quella magia che nessuno conosceva veramente, ma a cui tutti, una volta nella vita pensavano e aspiravano.
Avanzò per l’enorme sala, non credendo a ciò che vedeva, tutto gli sembrava eterno e inviolabile, come un antico tempio o la tomba di un re vissuto agli albori dei tempi.
Si avviò cauto verso uno scaffale alla ricerca di un libro che potesse contenere le informazione che cercava. Prese un grosso volume rivestito di cuoio scuro, aprendolo l’odore di muffa si spanse lì intorno e Lyan fu quasi contento di ciò, perché stava a significare che da molto tempo nessuno andava in quel settore, o comunque nessuno al castello era più interessato a quel genere di argomento.
La ricerca si rilevò infruttuosa per molto tempo e Lyan cominciò a perdere la pazienza, forse non c’era niente che parlava dell’Elsa della Pace, e anche se fosse stato lì tutta la notte, non avrebbe trovato nulla, così mentre stava per andare via, sentì un rumore provenire da fuori, erano le voci di due uomini e una gli risultava familiare.
La porta si aprì lentamente.
-Non ho intenzione di abbandonare la guerra- disse Reide. -Ho cominciato questo conflitto per uno scopo preciso e non ho intenzione di rinunciarvi tanto facilmente!-
-Ma signore se andiamo avanti così non avremo più uomini per combattere, e non è nemmeno detto che ce l’abbiano loro.-
L’altro uomo era basso e tozzo Lyan non l’aveva mai visto.
-Ho detto che la guerra andrà avanti non m’importa quante morti serviranno, io la voglio! Voglio quella maledetta Elsa, l’ultima volta è stata vista era in quelle terre e là si trova sicuramente ancora e sia l’ultima volta che lo dico!-
Lyan perse un colpo. Ecco perché il re aveva cominciato quella guerra, voleva l’Elsa, non capiva però il motivo, Seheiah gli aveva detto che era divisa in due parti e che poteva solo essere riunita, non gli aveva detto in che modo, ma come poteva Reide avere quelle risorse?
I due uomini uscirono dalla sala e Lyan fu di nuovo solo. Dopo quello che aveva sentito, non aveva più voglia di cercare in quella biblioteca qualcosa che molto probabilmente non c’era, così se ne ritornò nelle sue stanze facendo attenzione che suo padre e quell’uomo non fossero ancora nei paraggi.
Tuttavia quando si decise a dormire non riuscì chiudere gli occhi. Aveva sempre sospettato che suo padre avesse altri scopi oltre a quello della guerra, ma non avrebbe mai immaginato che fosse quella la vera ragione di tutto, non aveva senso. Se l’Elsa era ormai scomparsa da tantissimo tempo, lui non ne aveva mai sentito parlare e non aveva trovato nessuna informazione al riguardo come faceva suo padre a conoscere tutta la storia?
Non chiuse occhio tutta la notte e quando fece giorno andò direttamente in biblioteca dove lo aspettava Heira.
-Tutto bene?- gli chiese lei. -Non hai un aspetto molto convincente.-
Lyan pensò se fosse il caso di raccontarle tutta la storia, fino a quel momento aveva celato sia a lei sia a suo fratello il vero motivo di tutto, Seheiah e tutto il resto, ma entrambi gli avevano dimostrato che poteva fidarsi di loro e forse era il caso di renderli partecipi.
Lyan cominciò a raccontare tutta la storia a Heira, che ascoltò con attenzione fino all’ultima parola. Quando ebbe finito, non sapeva che reazione aspettarsi, se si fosse messa a ridere non l’avrebbe biasimata, anche lui stentava ancora a credere a tutta quella storia.
-E questo è tutto- concluse lui.-Ti capirò se non mi crederai.-
-Perché non dovrei crederti?-
Lyan rimase stupito della sua fiducia. -Non lo so, io all’inizio ero un po’, ecco… confuso.-
-No, ho capito, e ho intenzione di aiutarti, non so perché tuo padre voglia questa Elsa, ma non glielo permetteremo, perché qualunque cosa sia, non è certo buona.-
-Grazie.-
-Figurati. Comunque ho trovato la pianta che cercavamo, anche se non è proprio una pianta Abbiamo cercato nel posto sbagliato ieri concentrandoci solo su radici e foglie varie, sono i semi di un fiore quelli che ci servono: i semi del Fiore dell’Alba.-
-Dove l’hai trovato?-
-Stamattina sono andata a fare una passeggiata in giardino e ho chiesto a un uomo che fiori stesse piantando: mi ha detto che in realtà a lui quei fiori non piacevano. Lui aveva proposto di piantare dei Fiori dell’Alba ma alcuni nobili che abitano a corte si erano opposti perché i semi di quel fiore se annusati hanno proprietà calmanti, ma se sono ingeriti, sono allucinogeni, e possono far dimenticare il proprio nome anche all’uomo con la memoria più robusta di tutto il regno. Comunque l’effetto non dura mai più di qualche ora.-
-Perfetto, dove li troviamo?-
-Se si chiamo Fiori dell’Alba, c’è un motivo. Il fiore cresce tutto l’anno vicino al mare, ma i semi nascono solo poco prima dell’alba e si seccano subito dopo essere colpiti dal calore del sole, quando poi vengono prelevati, vanno conservati nell’acqua fredda, e tritati solo poco prima di usarli.-
-Quindi dobbiamo prenderli nel momento giusto.-
Heira annuì, non potevano fallire, ora che avevano la soluzione in mano non potevano.
-Allora domattina andiamo?-
-Non credo proprio che tuo padre ti lasci uscire dal castello. Ci andrò io, di me non sospetta niente, nessuno.-
-Non puoi andare da sola devo venire anch’io.-
-Non fare il bambino. Tuo padre non ti lascerà venire, andrò io e basta, non possiamo rischiare che tuo padre ricominci a sospettare qualcosa. Anche se ti sembra che abbia allentato un po’ i controlli su di te, non è assolutamente vero, è proprio quello che vuole farti credere, nella speranza che tu faccia un passo falso!-
-Va bene.-
Forse Heira aveva ragione, doveva essere cauto con il re, voleva convincerlo che quell’episodio in cui l’aveva sfidato era stato solo un fatto singolo, che non si sarebbe più ripetuto. E ora che ci pensava, in effetti, il re aveva lasciato un po’ a desiderare con i controlli, e questo non era da lui. Doveva esserci qualcos’altro e Heira l’aveva capito: aspettava un passo falso da Lyan, ma lui non l’avrebbe fatto, doveva essere cauto più che mai. Fino a quel momento non era stato molto attento, e aveva sbagliato, ormai il gioco era cominciato e forse non sarebbe mai finito, ma Lyan doveva fare buon viso a cattivo gioco.
 
Angolino dell’autrice:
E siamo al sesto… è un po’ cortino, ma doveva essere così. Conosciamo ancora meglio Heira, e ci sono tanti colpi di scena (?). Spero che vi sia piaciuto e anche in caso contrario chiedo umilmente una piccola anche minuscola RECENSIONE, solo per farmi capire che ci siete… PLEASE…
Dal prossimo capitolo ci sarà un po’ più d’azione che da ora in poi non mancherà! Prometto per il settimo capitolo la fuga della combriccola, si accettano scommesse sulla modalità, dieci euro per chi indovina!! (Scherzo)
Grazie  mille per aver letto!!^^
Volevo ringraziare:
- KingPeter (a lui un ringraziamento speciale per aver recensito tutti i capitoli e per seguirmi fin dall’inizio^^)
  • Luana_lulu
  • _dirty_ice
  • Shadowdust
  • _Faithfully
  • _AnnaWhite_
Water_wolf 


  Se ho dimenticato qualcuno ditemelo ^^
           

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Capitolo 7
*** La fuga ***


7
La fuga

La mattina dopo Lyan si alzò presto, anche se non aveva niente da fare. Si chiedeva se Heira ce l’avesse fatta a prendere il fiore di cui gli aveva parlato, se avesse fallito, avrebbe dovuto riprovare un’altra volta, ma loro non avevano molto tempo. La festa di fidanzamento si sarebbe tenuta di lì a tre settimane, loro dovevano essere pronti in tempo e aver già tutto il piano pronto entro una settimana. Disie sarebbe arrivato tre giorni prima della festa e in quel piccolo spazio di tempo avrebbero dovuto aggiornarlo di tutto, e Lyan avrebbe dovuto raccontargli tutto quello che fino ad ora aveva taciuto, e che appena il giorno prima aveva svelato a Heira. Non era ancora sicuro di aver fatto la cosa giusta, forse era meglio se non avesse detto nulla a lei, e una volta arrivati a Dadasiana e aver scoperto qualcosa sull’Elsa sarebbe potuto scappare senza dire loro niente. Ma più ci pensava più credeva che un aiuto gli avrebbe fatto comodo in ogni caso, e poi non sarebbe stato giusto nei loro confronti, lo avevano aiutato fino a quel momento e avevano in qualche modo anche rischiato la vita per lui, non poteva tradirli.
Passò tutta la mattina camminando avanti e indietro per la sua stanza aspettando notizie da Heira e ripensando a quello che aveva sentito dire da sua padre in biblioteca. Ancora non capiva il perché del fatto che suo padre volesse così intensamente l’Elsa, da quanto aveva capito da Seheiah, nessuno, o almeno pochi, sapevano che l’Elsa era ancora utilizzabile, e come faceva suo padre a sapere tutto?
Continuava a tormentarsi e non riusciva a trovare una soluzione, era come un rompicapo, più ci pensavi più le cose parevano ingarbugliate e Lyan odiava essere confuso, gli dava un senso d’insicurezza che lo faceva come sentire vulnerabile e scoperto.
Heira bussò alla sua porta poco dopo l’apice del sole.
-Avanti.-
Heira entrò silenziosamente quasi non volesse disturbare nessuno.
-L’ho trovato - disse.
-Fantastico, ora non ci resta che aspettare il giorno della festa.-
-E che faremo fino a quel giorno?- chiese.
-Non lo so, ti va di esercitarti un po’ con la spada?-
-Va bene,- acconsentì -fra due ore nel cortile interno.-
E uscì dalla stanza senza dire niente.
Lyan non vedeva combattere Heira da almeno dieci anni, e se a quel tempo l’aveva battuto, Lyan non sapeva se lei era migliorata tanto o era come molti che pensavano di essere i migliori e alla prima occasione venivano umiliati. Non sembrava una ragazza che si faceva mettere i piedi in testa tanto facilmente, o almeno a lui sembrava. Comunque dopo due ore fu puntuale all’appuntamento.
Nel cortile che Heira aveva scelto, non c’era nessuno. Meglio, avrebbero potuto esercitarsi senza gli sguardi dei curiosi.
-Allora sei ancora sicura di volerti battere con me?- la stuzzicò Lyan.
-Guarda e impara.-
-Facciamo senza elmo e scudo, solo noi due e la spada- propose Lyan.
-Ci sto.-
Estrassero entrambi le loro spade dal fodero, Lyan non aveva mai visto quella di Heira, era una bellissima arma, a una mano e mezzo, l’elsa era di un blu scuro che alla luce del sole sembrava quasi non provenire da quel mondo, e la lama d’argento lucente, una meraviglia per gli occhi. La spada sembrava molto fragile, ma da come appariva sicura Heira non si sarebbe detto.
Heira cominciò ad attaccare con un affondo verso la gamba destra di Lyan che parò agilmente con la sua spada. Lui rispose con una stoccata rivolta versa la sua spalla, lei si scansò con eleganza ma senza abbassare la guardia. Rispose cercando di mirare alle sue mani per fargli perdere la presa sull’arma, ma lui capì cosa aveva in mente, si spostò e portò le mani in alto pronto ad afferrarla e a puntargli la spada al collo, lei si lasciò prendere quasi troppo facilmente, e Lyan non si accorse che mentre lui la voltava lei estraeva dallo stivale un piccolo pugnale e glielo puntava alla pancia.
-Dichiariamo un pari merito?- suggerì Lyan.
Lei sorrise e acconsentì. Quando si voltarono, notarono che il cortile si era riempito di gente e tutti li guardavano ammirati e a bocca aperta.
I due non fecero caso a tutti quegli spettatori e continuarono a combattere.
-Basta con questa buffonata!-
Lyan si girò per capire chi era stato a parlare ma nel profondo del suo cuore aveva riconosciuto quella voce.
Il re delle Terre di Nemunas stava in piedi a tasta alta di fronte al figlio, e il suo sguardo non prometteva niente di buono.
-Lo spettacolo è finito- gridò Reide. -Tutti via!-
Poi si voltò verso i due ragazzi: -Voi due con me.-
Lyan e Heira seguirono L’uomo fino alla sala del trono, dove fece uscire tutti.
-Carino lo spettacolo- commentò sarcastico. -A dire la verità ho visto tutto, te la cavi bene signorina.- Si rivolgeva a Heira che cercava di rimanere calma.
Il re continuò a parlare. -Lyan, mi hai deluso, per quanto la ragazza possa essere in gamba con la spada non è alla tua altezza. Ti dovresti allenare con gente qualificata, come hai fatto fino ad ora.-
Lyan si morse la lingua fino a sentire il sangue bocca, il dolore gli schiariva le idee.
-Non voglio mai più vedervi combattere insieme, e tu,- guardò Heira, -non voglio proprio vederti più usare un’arma di qualsiasi genere, e se ti rivedo conciata come un uomo solo un'altra volta, ti sbatto nelle segrete. Chiaro?-
I due ragazzi rimasero immobili senza dire niente, se lo avessero fatto, avrebbero solo peggiorato le cose, e non era il caso.
-Comunque ero venuto a cercare Heira, ma già che ci siamo lo dico a entrambi. Mi è stato dato il compito di comunicarti una cosa, tuo padre non poteva.- Guardò Heira con falsa pietà e poi le comunicò la notizia che le cadde addosso come una cascata d’acqua gelida.
-Tua madre è morta.-
Heira era rimasta impassibile, aveva bisogno di tempo.
-Come?- domandai io al suo posto. -Non era migliorata?-
-Sì, in effetti negli ultimi giorni stava un po’ meglio, ma si è aggravata stamattina e poco più di un’ora fa ci ha abbandonati.-
Era incredibile la capacità di Reide di cambiare improvvisamente tono di voce e stato d’animo, un attimo prima era severo e non ammetteva repliche e un minuto dopo era comprensivo con una ragazza che aveva appena perso la madre.
-Dove è ora?- Chiese all’improvviso Heira.
-Nella sua stanza.-
-Vado da lei.-
-Vuoi che venga con te?- chiese Lyan.
-No.-
Non piangeva, ma era come assente, il suo corpo era lì ma la sua mente si trovava altrove, forse era perso nel ricordo della madre, o forse era triste per non essere stata con lei mentre esalava l’ultimo respiro.
Il re lasciò stare il figlio, e lo fece andare. Lyan si diresse verso gli appartamenti della madre di Heira e Disie, Alhena, così si chiamava. Da quanto si ricordava l’aveva vista solo una volta, era una donna bella, assomigliava molto alla figlia, ad eccezione dei capelli, non lisci con poche morbide onde come Heira, ma ricci come Disie.
Quando arrivò davanti alla porta, c’era tantissima gente, che era venuta a portare un ultimo saluto alla moglie del primo generale. Lyan stette in disparte, non voleva disturbare nessuno, tantomeno Heira. Dopo poco vide arrivare Antares, aveva ricevuto un lungo congedo, e anche quando era al fronte, si limitava alla parte strategica e non andava quasi mai direttamente sul campo di battaglia. Disie invece non era ancora arrivato, il fronte era lontano e gli ci sarebbe voluto un po’ ad arrivare.
Lyan fermò Antares: -Sapete quando arriverà Disie?-
-Non lo so precisamente, ma entro qualche giorno dovrebbe essere qui.- E poi entrò nella stanza. Il poco tempo in cui la porta fu aperta Lyan riuscì a vedere un grande letto a baldacchino circondato da una stoffa leggera che non lasciava vedere il letto, e alla finestra una figura: Heira.

I giorni che seguirono furono di lutto per tutto il castello, la cerimonia per Alhena si sarebbe tenuta non appena fosse arrivato Disie dal fronte. Inoltre fu posticipata la festa del fidanzamento di due settimane.
Il giorno seguente all’arrivo di Disie ci furono le celebrazioni per dare l’ultimo saluto alla madre di due figli e moglie del primo generale. Nel castello si respirava un’aria pesante,  triste. Ma quasi nessuno era sinceramente dispiaciuto per la morte della donna, tutti seguivano un atteggiamento che nessuno aveva detto di adottare ma che tutti si sentivano in dovere di rispettare.
Lyan era disgustato da quanta falsità potesse esserci nel mondo, nessuno è obbligato a piangere, o a dispiacersi se non sono sentimenti veri.
Lyan non cercò né Heira né Disie, pensava fosse giusto lasciarli un po’ da soli, per riprendersi. Anche lui aveva perso la madre, ma era diverso, non l’aveva mai conosciuta, non ci aveva giocato quando era piccolo, non era andato nel suo letto, la notte, se aveva paura. Era abituato a cavarsela da solo, con un padre che non lo aveva mai trattato con paternità e che non si era mai nemmeno impegnato ad essere un po’ più comprensivo e gentile. Anche lui però aveva vissuto una perdita: suo zio Dan era morto quando lui aveva appena otto anni, e gli mancava ancora. Dopo aver saputo la notizia, non voleva parlare con nessuno, si era rinchiuso in se stesso, e anche se aveva solo otto anni, capiva più di un adulto il dolore che si provava.
Quindi lasciò che fossero i due fratelli a cercarlo per primi.
 

Era davanti al laghetto nel gigantesco giardino che circondava il castello e stava tirando dei sassolini nell’acqua, tanto per passare il tempo.
-Lyan…-
Si girò di soprassalto, non aveva sentito arrivare nessuno. Era Heira.
-Ehm… Ciao, come stai?-
-Meglio di quanto tutti pensiate- rispose lei. -Io e mio fratello ti vogliamo parlare. Seguimi.-
La ragazza lo condusse per il castello in un’ala in cui non era mai stato, fino ad arrivare a una bella porta di legno.
-Dove siamo?-
-Questa è la stanza di mio fratello.-
Heira bussò piano ed entrò insieme a Lyan. Disie era seduto a un tavolo con la testa fra le mani.
-Oh… Ciao Lyan.-
-Come va?-
Rispose con un’alzata di spalle e poi si alzò lentamente dalla sedia.
-Io e mia sorella abbiamo parlato e abbiamo deciso una cosa- cominciò.
-Se non volete più venire con me, vi capisco avete fatto anche troppo, me la caverò anche da solo…-
Heira lo interruppe. -Ma che dici, noi non ci tiriamo indietro!-
Disie riprese. -Avevamo solo pensato che è inutile aspettare ancora. La festa per il fidanzamento è stata rimandata, e non possiamo aspettare tutto questo tempo.-
-Allora- continuò Heira, -abbiamo saputo da nostro padre che lui e il re si recheranno al fronte per dare la notizia del nostro fidanzamento alle truppe. Dice che il nostro buon re vuole portare un po’ di allegria fra i soldati.-
-Quanto resteranno al fronte?- chiese Lyan impaziente.
-Una settimana. Partiranno domani.-
-Perfetto, non abbiamo tempo da perdere.-
I tre stettero tutto il giorno a pianificare e a discutere, dovevano trovare un sistema per scappare e fare in modo che nessuno si accorgesse della loro assenza per dare loro qualche ora di vantaggio. Lo sapevano che poi sarebbero stati seguiti, ma era un rischio che dovevano correre se volevano raggiungere i loro scopi.
Arrivarono a una conclusione con il far della sera.
-Penso che come piano dell’ultimo minuto vada più che bene- commento Disie.
-Sì- concordò Lyan, -nel poco tempo che avevamo, non potevamo fare di meglio.-
-Ora non ci resta che aspettare e sperare che vada tutto bene- finì Heira.

Il loro piano avrebbe avuto inizio il giorno seguente, di notte, quando erano sicuri che il primo generale e il re fossero già sufficientemente lontani. Avevano pensato di creare una specie di diversivo che avrebbe tenuto impegnate le guardie del castello per un po’ di tempo, certo, i rischi c’erano comunque ma quello avevano. In quel frangente si era rivelata utile l’amicizia fra Disie e il carceriere di Lyan durante la sua prigionia, si chiamava Skat, e per evitare che parlasse i tre ragazzi avevano svuotato le tasche fino all’ultima moneta e anche le tasche di qualcun altro. Nessuno con un po’ d’intelligenza avrebbe aiutato i tre ragazzi più nobili delle Terre di Nemunas a scappare, ma per un carceriere stupido bastava vedere un po’ di oro.
Il piano cominciava con Disie.
Dopo che tutti furono andati a letto, si recò nelle segrete, incappucciato in modo da non farsi riconoscere da nessuno. Fece un breve giro fra le celle, e contò undici prigionieri. Erano un po’ pochi, ma considerando che il re faceva uccidere tutti, erano più che sufficienti. A quel punto si avvicinò piano a un tavolo, dove c'era la guardia di turno, stava dormendo, maglio, sarebbe stato più facile. Estrasse da sotto il mantello uno straccio e lo premette contro la bocca e il naso della guardia. Si svegliò, ma dopo poco cadde in un sonno profondo. Disie prese le chiavi che l’uomo teneva alla cintura e cominciò ad aprire tutte le celle. Arrivò Skat che gli diede il cambio, e continuò ad aprire le celle occupate poi fece uscire tutti i prigionieri che seguirono Disie.
-Quando arriviamo sopra aspettate il mio segnale, poi cominciate a fare più confusione possibile e scappate. Intesi?-
Alcune teste dondolarono e Disie lo prese per un sì.

Nel frattempo Lyan e Heira erano all’entrata del castello con la scusa di fare una passeggiata notturna nel giardino, dopotutto fra poco sarebbero ufficialmente diventati fidanzati. Le guardie all’entrata erano state difficili da convincere, ma erano stati anche loro giovani e la scenata di Lyan durante la cerimonia di perdono a suo padre era sembrata davvero convincente.
I due cominciarono a camminare, stando attenti ai rumori che provenivano dal castello, quando avrebbero sentito la confusione dei prigionieri usciti di prigione, avrebbero dovuto correre alle stalle, prendere i loro tre cavalli e aspettare Disie che, se tutto andava secondo i piani, gli avrebbe raggiunti dal passaggio situato vicino all’entrata delle segrete, che arrivava vicino alle stalle.
-Pensi che ce la faremo?- chiese Heira.
-Ne sono sicuro.-

Disie conduceva dalle segrete i prigionieri, fino ai piani più alti del castello, dove c’erano più guardie, quelle dei piani più bassi e delle segrete erano già state messe fuori gioco da Disie, che usava un panno bagnato dall’infuso prodotto dal Fiore dell’Alba. Il ragazzo aveva cercato di cogliere le guardie tutte di sorpresa, ma qualcuna lo aveva visto e quando si sarebbero svegliati avrebbero detto tutto, lui però, sperava di essere già lontano.
Arrivarono anche loro davanti all’entrata del castello, poi Disie lasciò tutti con Skat, che sapeva quello che doveva fare: aspettare che Disie ritornasse all’entrata delle segrete e poi creare il diversivo con i prigionieri, dopo sarebbe scappato anche lui, non era di guardia e quindi forse non avrebbe preso la colpa, ma se qualcuno lo riconosceva, era comunque nei guai.
Disie corse più che poteva per raggiungere il passaggio. Quando arrivò, spostò l’arazzo che copriva la botola, e cominciò a muoversi. Quel passaggio lo aveva scoperto Lyan per caso quando era ancora piccolo, gli piaceva girare per il castello e un giorno si era ritrovato lì e aveva trovato quella botola. L’aveva percorsa tutta e si era ritrovato vicino alle stalle, in quell’occasione si era rivelato perfetto.
Quando arrivò alle stalle, vide Heira e Lyan, che tenevano i loro tre cavalli, poi tutti sentirono le urla e i rumori dei prigionieri che avevano liberato.
-Forza, andiamo. Non c’è tempo da perdere!-
Partirono al galoppo, e spinsero i cavalli al massimo della velocità. Per la fuga avevano deciso di prendere una strada secondaria che da dietro il castello passava interamente per i boschi, lì non c’erano guardie, nessuno era così pazzo, da avventurarsi in quel bosco, era pericoloso, e il sentiero era strettissimo, e i cavalli ci passavano malissimo.
Dopo un po’ furono costretti a rallentare, erano instabili su quel terreno poco favorevole, ma si dovevano allontanare il più velocemente possibile. Speravano che al castello si accorgessero della loro assenza tardi, Ora le guardie erano impegnate con gli evasi dalle segrete, e comunque era notte, forse nessuno si sarebbe accorto della loro assenza prima della mattina. Erano comunque solo speranze e desideri, e per quanto ne sapevano loro, qualcuno poteva già esserli alle costole.

Andarono avanti per tutta la notte, senza fermarmi nemmeno un momento. Con loro avevano portato scorte a sufficienza per una settimana circa, dopo avrebbero dovuto fermarsi in qualche villaggio per fare scorta, sperando di essere già lontani, così che nessuno gli riconoscesse. Avevano con loro anche delle coperte per la notte, si sarebbero dovuti arrangiare dormendo nel bosco o se erano fortunati in qualche caverna, ma ora era meglio allontanarsi dal castello e dalla capitale, dopo avrebbero potuto riposarsi e stare un po’ più tranquilli, se mai fossero arrivati a destinazione.
 
Angolino dell’autrice:
Eccoci al settimo capitolo! Vi è piaciuto? Io spero di sì, anche perché finalmente scappano. Io non ce la facevo più a vederli chiusi in quel castello! Comunque sono soddisfatta di come sta precedendo, di solito sono piuttosto critica con me stessa ma questa volta sono soddisfatta. Voi che ne pensate. Davvero ci tengo al vostro parere, è trilioni di volte più importante del mio, e anche se è un giudizio negativo sarò felice di ascoltare i vostri consigli.
Ci vediamo al prossimo capitolo, ora passo ai soliti ringraziamenti, sperando di non dimenticare nessuno.
Ringrazio di cuore:
  • KingPetertheMagnificent
  • Luana_lulu
  • _dirty_ice
  • Shadowdust
  • _Faithfully
  • _AnnaWhite_
  • Water_wolf
Alla prossima, la vostra Bianca 
 

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Capitolo 8
*** Il Vecchio ***


8
Il Vecchio

La testa di Heira ciondolava, mentre i suoi occhi combattevano per rimanere aperti. La situazione era uguale per tutti e tre i ragazzi. Lyan aveva rischiato di addormentarsi e di cadere da cavallo un paio di volte, con il risultato che era sempre più stanco, mentre Disie cercava di tenere sveglio il gruppo, e se stesso, con delle canzoncine e delle filastrocche che avevano imparato da piccolo, ma avevano più l’effetto di ninna nanne.
- Smettila Disie! - borbottò Heira.
Disie sbuffò e suo malgrado smise di canticchiare.
Era dalla notte precedente, quando erano scappati dal castello, che cavalcavano senza mai fermarsi, soltanto in quel momento avevano un po’ rallentato il passo.
- Così non ce la faremo mai - disse Disie. - Siamo stanchi morti, ci dobbiamo fermare. -
Sua sorella non ne voleva sapere. - No, ci stanno già alle costole, se ci fermiamo, siamo morti. -
- Che ottimista! -
- Sono solo realista! -
- Basta! - intervenne Lyan. - Smettetela di litigare. -
Da quando erano partiti Lyan non aveva detto una parola, si era chiuso a riccio e si era immerso nei suoi pensieri. Non aveva voglia di parlare, oltre ad essere stanco era anche preoccupato. Sapeva che li stavano seguendo e che li avrebbero trovati, ne aveva la certezza, non avrebbero avuto altra scelta che affrontali. Cercare di scansarli all’infinito non avrebbe fatto altro che aumentare la loro ansia, ma se li avessero combattuti, le probabilità di vittoria erano scarse, se non inesistenti. Sarebbero di sicuro stati come minimo il doppio del loro numero, e come aveva detto Heira, li erano già alle costole. Era come un presentimento che non lo abbandonava mai, era come se sentisse il lontano rumore degli zoccoli sul terreno, sperava solo non fossero così vicini.
- Non possiamo fermarci - disse alla fine, - è ancora troppo pericoloso. Ma qualcosa dobbiamo mangiare, e forse è meglio se procediamo un po’ a piedi, i cavalli sono sfiniti. -
I due fratelli non protestarono e scesero da cavallo. Poi Heira prese la bisaccia che aveva legato alla sella, e distribuì agli altri un pezzo di pane e un po’ di formaggio.
Cominciarono a mangiare in silenzio mentre camminavano ognuno a fianco del proprio cavallo. Lyan aveva un bellissimo purosangue biondo, con coda e criniera folta, anche gli zoccoli erano avvolti da una fitta pelliccia. Era della tipica razza del nord, che era abituata al freddo della capitale e dei gelidi monti Terengard appena più a sud di Derafest, dove avevano origine.
Anche il cavallo di Disie era un purosangue della razza del nord, più scuro di quello di Lyan, di un colore marrone vivo e con una macchia bianca sul muso.
Heira era affezionatissima al suo cavallo, non era come quelli di Disie e Lyan, non era della razza del nord e nemmeno un qualsiasi cavallo che si potesse trovare al castello, era un cavallo della razza nobile, un purosangue nero come la notte, con muscoli possenti e occhi intelligenti. Era raro trovare nelle città quei cavalli, soprattutto al nord, molto probabilmente, veniva dalle campagne a sud della capitale, dove Heira aveva passato la maggior parte della sua vita. Lì vivevano per lo più selvaggiamente, scorrazzando per le praterie, ma in tempi antichi, i cavalli della razza nobile erano i destrieri dei re e dei principi, da questo il loro nome. Mentre camminavano, lei gli accarezzava il muso e appena si agitava un po’ gli sussurrava il suo nome all’orecchio: Kaitos.
- Buono Kaitos, buono. -
- Il tuo cavallo è agitato? - le chiese Lyan.
Lei non rispose, ma si voltò verso di lui e lo guardò accennando un sorriso. 
Il pomeriggio di cammino che avevano davanti era bello e soleggiato, una giornata rara al nord. Se fossero stati al castello, ne avrebbero di sicuro approfittato per andare a fare una cavalcata sulla riva della spiaggia. Era questo il passatempo preferito di Heira. Quando era nella capitale, cercava di stare meno possibile al castello e coglieva la prima occasione per andare con il fratello e i loro cavalli al mare.
Heira pensava spesso alla madre, le mancava tantissimo. Da quando era morta, la sua vita era molto cambiata, in generale da quando aveva conosciuto il principe, la sua vita si era completamente sconvolta. Non sapeva ancora dire se in positivo o in negativo, ma di certo era sicura di aver fatto la scelta giusta. Era quello che avrebbe sempre voluto fare: combattere per la causa giusta, per Dadasiana, non per un re tiranno che portava avanti una guerra per un oggetto che da quanto aveva capito lei non avevano. L’Elsa era andata perduta, e Lyan in qualche modo avrebbe dovuto trovarla. Anche lei e suo fratello lo avrebbero aiutato nella ricerca. Quando era tornato per il funerale della madre, lei ne aveva approfittato per raccontargli cosa Lyan le aveva detto, dell’Elsa e di tutto il resto. Dopotutto Lyan si fidava di loro, e loro si fidavano di Lyan. In quel poco tempo che avevano trascorso insieme, erano diventati molto legati gli uni con gli altri, e avrebbero fatto di tutto per proteggersi. Certo, Heira e Disie erano fratelli, quindi partivano avvantaggiati, la vera persona da ammirare era Lyan, che si era fidato senza chiedere niente. Anche lui però aveva avuto un piccolo aiuto, Seheiah. Lei lo aveva guidato e aiutato a cercare le persone giuste, ma per quanto ne sapeva lui, avrebbe anche potuto essere tutto un inganno.
- Vi posso fare una domanda? - chiese Lyan all’improvviso.
- Certo - risposero insieme i due fratelli.
- Perché mi aiutate? -
Heira guardò per un istante il fratello e poi rispose alla domanda del principe.
- Non c’è un motivo preciso - cominciò. - Il fatto è che abbiamo sempre voluto andare via da quel castello, combattere dalla parte giusta. E tu, ecco, sei stato la nostra occasione per essere liberi. -
Lyan non sapeva se si aspettasse o no quella risposta.
- Ho capito. -
- Non sai ancora se ti puoi fidare cecamente di noi, vero? - Heira era perspicace e aveva capito dagli occhi verdi di Lyan che c’era qualcos’altro dietro la domanda apparentemente innocente del ragazzo.
- No, non è questo. Mi fido di voi. - Lasciò la frase un po’ in sospeso. Era vero quello che aveva detto, ma ancora non capiva appieno la situazione, e forse non l’avrebbe mai capita.

La giornata passò nella maniera più monotona possibile, camminando a fianco dei cavalli, nel tentativo vano di non stancarsi troppo.
Era già buio quando videro in lontananza del fumo.
- C’è del fumo laggiù - sussurrò Heira.
- Sì, e questo significa che c’è della gente che può segnalare la nostra posizione. - Disie era nervoso. - Andiamocene.-
-Magari non hanno nemmeno mai visto la nostra faccia, non sanno chi siamo. Potrebbero offrirci ospitalità - suggerì Lyan.
Heira annuì. - Sono d’accordo.-
- Io non mi fido - insisté Disie. - Chiunque ci sia in quella casa non mi fido. -
- Allora mi sa che dovremo lasciarti qui all’addiaccio. -
Heira e Lyan si stavano già avviando verso la casa, Disie sbuffò e li seguì.
La casa era piccola ma modesta e curata. Era di legno di una tonalità molto scura e nella notte si confondeva con il buio e le ombre degli alberi alla luce della luna. La struttura era tutta circondata da piccoli fiori blu, che abbellivano l’esterno.
Lyan bussò alla porta.
Aspettarono che qualcuno venisse ad aprire, ma la casa sembrava deserta.
- Non può essere disabitata - commentò Heira. - È troppo curata. -
Nessuno rispose. Lyan si voltò di scatto estraendo la spada dal fodero.
Gli atri lo imitarono, anche loro avevano sentito arrivare qualcuno.
Stettero ad ascoltare i rumori della notte nel più assoluto silenzio. Il lieve vento creava stani giochi di suoni con le foglie e si sentiva un gufo in lontananza. La luce della luna proiettava l’ombra della casa su i tre ragazzi.
- Qual è il problema? - Un vecchietto spuntò da dietro un albero arrancando a fatica. In mano aveva un cesto pieno di erbe.
- Chi siete? - chiese diffidente Lyan.
- Un vecchio a cui non piace che qualcuno gli punti una spada contro. -
Lyan si rese conto che si era avvicinato all’uomo e che gli stava puntando la lama della sua arma sul collo. Si affrettò a rimetterla nel fodero.
Il vecchio si avvicinò alla porta di quella che doveva essere la sua casa, e la aprì.
- Volete entrare? -
I tre ragazzi si guardarono e senza dire niente seguirono lo sconosciuto.
La casa in cui si trovarono non rispecchiava per niente la cura dell’esterno. Il pavimento era coperto di libri. Le poche mensole che stavano sulle pareti erano piene di vasetti contenenti erbe e piccoli animali morti.
Lyan alzò la testa e notò che dal soffitto penzolavano code e radici, che mandavano un odore sgradevole.
Per un momento pensò di andarsene, non gli piaceva quella casa, aveva qualcosa di misterioso, ma che male avrebbe mai potuto fargli quel vecchio?
L’uomo si allontanò, entrando in un'altra stanza. Indossava una lunga tunica scarlatta con le maniche troppo lunghe, le sue mani erano magre e rugose, tremavano. Gli occhi erano chiarissimi, quasi bianchi, nonostante tutto sprigionavano intelligenza.
Tornò dopo poco con tre scodelle e un tozzo di pane. Porse il tutto ai ragazzi che non si fecero pregare e cominciarono a mangiare in piedi. La zuppa che l’uomo aveva preparato era saporita mentre il pane era ancora caldo. Si gustarono tutti il pasto.
Quando ebbero finito, il vecchio cominciò a parlare. - Cosa porta in queste parti della foresta tre bei giovani? -
Heira prese subito la parola. - Siamo diretti a Kiruna, veniamo da Deneb. -
La ragazza pronunciò in nome delle prime due città che le vennero in mente, sperando di non scordarle per non tradirsi.
- Loro sono fratelli - continuò Lyan, - io sono il suo promesso sposo - disse indicando Heira.
- Dobbiamo raggiungere la nostra famiglia a Deneb - concluse Disie.
Come scusa inventata sul momento era più che buona, pensò Lyan, sperava solo che il vecchio ci credesse.
Cambiò in fretta il discorso. - Quale è il vostro nome, se posso chiedere. -
- Il mio nome… - sospirò. - Penso che dare nomi alla gente sia una cosa inutile. Io il mio non lo ricordo. Da tanto non vedo nessuno, non ho bisogno di una parola con cui le persone possano chiamarmi. Comunque se per voi è importante, potete chiamarmi il Vecchio. -
- Ci chiedevamo - cominciò Heira, - se magari avevate un posto dove poter passare la notte. Anche la stalla se l’avete. Andrà benissimo. -
- Oh, non vi preoccupate. C’è posto a sufficienza per tutti. Seguitemi. -
Il Vecchio si alzò dalla sedia in cui era stato fino a quel momento e condusse i ragazzi ad una porta. L’aprì e davanti a loro si stagliò un lungo corridoio.
Rimasero tutti a guardare confusi. Com’era possibile che quella casa fosse così grande? Da fuori sembrava sufficiente per un uomo e basta, ma le stanze dovevano essere almeno dieci.
Lyan non capiva cosa stesse succedendo e nella sua mente si disegnò una piccola semplice parola: magia.
Lyan si voltò verso Heira e Disie, se possibile loro erano più impressionati di lui.
Il Vecchio mostrò loro tre stanze, una per ciascuno. Erano tutte uguali. Aperta la porta, sulla parete di fronte c’era un ampio letto, sulla destra un tavolo con tanto di due sedie e a sinistra una bella cassapanca dello stesso legno scuro di cui era fabbricata la casa. Dalla finestra sopra il tavolo si vedeva il cielo stellato.
- Grazie, ma bastava una stanza… -
Il Vecchio interruppe Lyan bruscamente. - Io non voglio che i miei ospiti si accontentino, voglio che si sentano principi e principesse. -
Sottolineò la parola principe guardano di sottecchi Lyan, che era sempre più nervoso, e non vedeva l’ora che arrivasse la mattina per andarsene.
Il Vecchio se ne andò e lasciò da soli i tre ragazzi.
- Non so voi - disse Disie, - ma io sono morto. Buonanotte. -
Disie chiuse la porta della sua stanza e Lyan e Heira rimasero lì, senza nulla da dire.
- Mi sembra tutto troppo strano - cominciò Heira.
- Infatti. Non ha assolutamente senso. -
- Tu pensi che… - lasciò la frase in sospeso, sperando che Lyan capisse. Lui annuì di rimando.
- Comunque non possiamo stare qui tutta la notte, ci stanno seguendo, lo sento - le disse. - Alla fine ci troveranno, è inevitabile. -
- Ci ho pensato anch’io. La fuga che avevamo organizzato era piuttosto ridicola. -
Lyan ridacchiò e lei rispose con un sorriso appena accennato.
- In ogni caso non ho intenzione di abbandonare tutto questo - fece lei.
- Tutto questo, cosa? -
- Entrare nell’esercito di Dadasiana, trovare l’Elsa… -
- Ho capito. -
- Anche se non sappiamo ancora cosa è in grado o meno di fare l’Elsa, e cosa Reide si spingerà a fare per trovarla, noi non possiamo permetterlo. Siamo entrati in qualcosa di più grande di noi, ma io non ho intenzione di uscirne. -
- Da quanto odi così tanto tuo padre e il mio?-  Lyan era curioso ed era sicuro che Heira gli avrebbe risposto.
- Una volta, io e Disie eravamo piccoli. Io abitavo ancora stabilmente al castello. - Si sedette per terra, e Lyan accanto a lei. - Mio padre era diventato da poco primo generale, e dopo poco io sarei andata a vivere in campagna. Faceva caldo, e mio fratello mi portò a fare il bagno al mare. Quando tornammo mio padre ci vide bagnati e pretese delle spiegazioni. Disie gli dovette raccontare la verità e lui lo picchiò. Cominciò a riempirlo di pugni e calci, io non sapevo cosa fare, era impietrita. Iniziai a gridare e a piangere e lui cominciò a picchiare anche me.-  Gli occhi le si stavano riempendo di lacrime. Ma lei non voleva piangere, non doveva piangere. Ricacciò indietro le lacrime con convinzione e ricominciò a parlare. - Non era la prima volta che ci picchiava, ma era la prima volta che lo faceva sul serio, con convinzione e cattiveria. Da quel giorno ho cominciato ad odiarlo. Non ci ha mai più picchiato, ma solo perché mio fratello era cresciuto ed era in grado di difendersi, non perché avesse deciso che era uno sbaglio. -
- Io… - Lyan non sapeva cosa dire. - Mi dispiace, non lo sapevo. -
- Non ti devi dispiacere, e poi mi sto lamentando per niente. Tuo padre ha fatto di peggio con te. -
- Questo non vuol dire niente, tu eri piccola, se n’è approfittato. -
- Ti posso fare una domanda? - chiese dubbiosa Heira.
- Certo, tutto quello che vuoi. -
- Tua madre. Insomma, non la hai mai conosciuta, vero? -
- No, è morta dandomi alla luce, non l’ho mai conosciuta. Non ricordo nemmeno il suo nome, se mai qualcuno me lo ha mai detto. Al castello era come un argomento proibito mia madre. Non ne ho mai capito il motivo. Le poche volte che ho accennato a lei me ne sono subito pentito. -
- Perché? Tuo padre ne soffriva? -
Rise. - Mio padre non soffre per niente. Ma forse all’inizio la amava veramente - sospirò mentre pronunciava l’ultima parola. - Ho sempre pensato che mi odiasse perché ero la causa della sua morte. Comunque non lo posso sapere con certezza. -
- Non penso che ti odi per quello - commentò Heira. - Non è stupido, lo sa che non è colpa tua. Ti odia per un altro motivo. -
- Il dolore può accecare anche la persona più lucida. Anche se mio padre, il re - si corresse, - più tanto lucido non è. -
Heira cominciò a fissarsi la punta degli stivali, mentre Lyan osservava il muro davanti a sé.
- E perché tuo padre odia te e tuo fratello? - le chiese Lyan.
- Non lo so. Non ha mai avuto un motivo. Neanche mio fratello ha mai capito il perché. -
- La cosa strana è che le nostre madri ci hanno sempre voluto bene - disse Lyan. - Anche se io la mia non l’ha mai vista, sono sicuro che mi avrebbe amato. Forse anche volendo, non riuscirebbero a farlo. A odiarci intendo. -
- Forse. Ma niente è mai scontato. -
- Giusto. -
Heira alzò lo sguardo al soffitto, come se stesse guardando un bellissimo cielo stellato. Il suo volto sembrava sereno, ma nei suoi occhi si nascondevano l’angoscia e la paura. Aveva una missione da compiere e niente e nessuno le avrebbe mai impedito di non fare ciò che voleva. Odiava chi le impartiva ordini, la vita era sua e di nessun altro. Ma da quel momento sarebbe tutto cambiato. Aveva preso una decisione che l’avrebbe resa libera. Le scelte che prendeva da quel momento sarebbero state solo sue. Certo, non poteva ignorare che era con altre due persone, fra cui suo fratello, che l’aveva sempre capita e sostenuta.
- Io non voglio vivere solo perché qualcuno mi ha fatto nascere - cominciò lei. - Io voglio vivere con uno scopo preciso, con un obiettivo. -
- E quale sarebbe il tuo? -
- La libertà e la giustizia. -
- Come vorrei che tutti dicessero ciò che dici tu. La maggior parte delle persone avrebbe risposto fama e ricchezza. -
Heira rise. Era incredibile come Lyan riuscisse a raccontare la realtà senza farla pesare, senza farti pensare che quella era la verità in cui viviamo, che tutto va a rotoli, e che siamo sommersi di problemi. No, lui rendeva tutto leggero e spensierato, come i bambini che non si preoccupano di nulla e accettano tutto così come gli è dato. Ovviamente Lyan non lo faceva perché era un bambino, la conosceva anche troppo bene la realtà, era un suo modo di fare e basta.
Heira si chiese se facesse così solo perché parlava con lei, e non la voleva far stare male, o perché lui era così di natura. Ma non glielo chiese, qualunque fosse stata la risposta a lei le cose andavano bene così e non voleva rovinare tutto.
Stettero un po’ in silenzio, rispettandosi l’un l’altra. Pensavano a cosa avrebbero fatto dopo, e anche se quel dopo non era molto definito, la certezza nel domani c’era per entrambi.
- Credi che ci dovremmo fidare del Vecchio? - chiese all’improvviso Heira.
Lyan sospirò. - Non lo so. Non sembra in grado di far male a nessuno, ma lo hai visto anche tu come ha fatto con la casa, anche se io non ho capito come. -
- Penso che a questo punto dovremmo accettare l’ospitalità che ci offre. Una notte in un letto non ci farà male, e non so quante altre occasioni del genere ci ricapiteranno. -
Lyan rise. - No, infatti. -
- Allora io comincerei ad approfittarne subito. Buonanotte Lyan - disse lei mentre si dirigeva verso la sua stanza.
- Notte anche a te. -
- Ah - Heira fermò Lyan, ricordandosi improvvisamente una cosa. - Me lo fai un favore? -
- Quale? -
- La puoi smettere di tirare fuori sempre come scusa la storia del matrimonio? -
Entrambi risero entrando nelle loro stanze, anche se sapevano che non sarebbero riusciti a dormire.
 
Angolino dell’autrice:
Ciao!! Eccoci con l’ottavo capitolo. Prima di tutto vorrei farvi qualche domanda:
- Vi è piaciuto il capitolo?
- Chi pensate sia il Vecchio?
- Secondo voi si possono fidare di lui?
La sapete una cosa? Mi sento potente a conoscere tutto e a sapere che voi non sapete nulla ^^ Scherzo!!
Scrivere questo capitolo è stato un po’ strano, come avete notato è diverso dagli altri, è il primo in cui c’è un dialogo così lungo, e per la prima volta ho scelto Heira e Lyan.
Spero di poter continuare a pubblicare con regolarità tutti i capitoli, la maggior parte erano pronti, ma ora sono solo di pochissimo avanti e in questo periodo sono piena di compiti, grazie a Dio fra un po’ iniziano le vacanze!!
Allora alla prossima e partiamo con i ringraziamenti:
  • KingPetertheMagnificent
  • Luana_lulu
  • _dirty_ice
  • Shadowdust
  • _Faithfully
  • _AnnaWhite_
  • Water_wolf
La vostra Bianca :)
 
 
 

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Capitolo 9
*** Acamar ***


9
Acamar

Un raggio di sole colpì violentemente la finestra, entrando nella stanza dove Lyan era finalmente riuscito ad addormentarsi. La luce aveva inondato tutta la stanza e diffondeva un piacevole tepore che faceva venire in mente la felicità e la vita. Lyan però, quella mattina, si svegliò sapendo che da un momento all’altro i soldati del re avrebbero potuto raggiungerli e poi non sapeva cosa sarebbe successo. Li avrebbero torturati fino alla morte? Oppure li avrebbero condannati a una morte solitaria per esempio nel deserto?
Lyan cercò di non pensarci, ma appena chiudeva per un instante gli occhi immagini terribili sulla sua fine e su quella dei suoi amici gli si profilavano davanti e in quelle che definiva “visioni”, lui non poteva fare niente, restava impotente a guardare e non era tanto il dolore della carne ma quello dell’anima che più pesava. La consapevolezza di non poter far niente davanti all’ineluttabile.
Si costrinse ad alzarsi e ad affacciarsi alla finestra. Il bosco davanti alla casa del Vecchio era di una rigogliosità impressionante. Alberi e piante di ogni genere crescevano belle e sane, senza preoccuparsi di niente e nessuno. Le api e le farfalle si agitavano passando da un fiore a un altro, come una danza senza fine che era quella della natura. Gli uccelli cantavano melodie sconosciute all’uomo, che solo loro conoscevano, e le loro voci si mescolavano come un coro. Se si girava leggermente a destra, poteva vedere un’enorme sfera lucente che si alzava sull’orizzonte, il Sole reclamava il giorno e l’inizio di nuovi colori.
Lentamente richiuse la finestra e dopo essersi infilato il mantello che aveva tolto per dormire uscì dalla sua stanza per andare a chiamare gli altri.
Prima si diresse nella stanza di Heira, la chiacchierata che aveva avuto con lei la sera prima lo aveva fatto pensare, anche se francamente non era in grado di dire su che cosa esattamente lo avesse fatto pensare.
Bussò piano alla porta, dove l’aveva vista entrare, ma nessuno rispose. Pensò di aver sbagliato stanza, ma avrebbe giurato che fosse stata quella.
- Mi cercavi? - Una voce alle sue spalle lo fece riscuotere.
Heira gli stava davanti con un’espressione seria.
- Sì… -
- Vieni, io e Disie eravamo in cucina. -
La seguì fino alla cucina, dove Disie e il Vecchio stavano animatamente parlando.
Lyan li interruppe bruscamente. - Scusate, ma noi non abbiamo tempo da perdere. - Poi si rivolse a Heira e Disie. - Dobbiamo andare. -
- Sì - disse di rimando Heira. - Fra dieci minuti ci ritroviamo qui. -
Dopo il tempo stabilito si ritrovarono in cucina.
- Grazie mille dell’ospitalità - disse Lyan al Vecchio. - Se c’è qualcosa che possiamo fare per voi, ne saremo grati. -
- In realtà qualcosa ci sarebbe - rispose lui pensieroso.
Il Vecchio si diresse verso la porta che dava sul corridoio che il giorno prima era comparso dal nulla. Quando aprì la porta, questo sembrava ancora più grande e tante altre stanze si stagliavano ai lati.
Si richiuse la porta alle spalle che emise un cupo cigolio.
Lyan, Heira e Disie rimasero lì, ad aspettare il Vecchio, impazienti di ripartire.
L’uomo tornò dopo poco, traballante sotto il peso di due oggetti che teneva sotto la veste.
- Vi ruberò solo altri dieci minuti del vostro tempo - disse poggiando gli oggetti su un tavolo.
Erano un vecchio libro con una copertina di pelle senza nessuna scritta e un bellissimo pugnale. Quest’ultimo era interamente rosso, come il sangue e il tramonto, la lama affilata rifletteva i raggi del Sole creando affascinanti giochi di luce e ombre, l’elsa era riccamente decorata con la figura di una fenice, le ali creavano la guardia e la testa stava sopra di essa vicino alla lama, al contrario dalla parte opposta c’era la coda, con piume che sembravano vere.
Il Vecchio guardò divertito le facce stupite dei ragazzi, che stavano ammirando il pugnale rosso. Mai avevano visto niente di simile, loro che erano abituati alle pregiatissime armi che erano create nelle fucine di Derafest, la capitale delle Terre di Nemunas. Da lontano venivano stranieri per la fattura esclusiva di quelle armi, ma quel pugnale, non aveva eguali, sembrava provenire da un altro mondo.
Heira avvicinò la mano all’arma senza però avere il coraggio di toccarlo.
- è bellissimo… - disse stupita.
- Immaginavo vi sarebbe piaciuto - commentò compiaciuto. - è vostro. -
- Come nostro? - protestò Disie. - Non possiamo accettare un dono del genere, siamo noi piuttosto che dovremmo farne uno a voi. -
- Non vorrete mica far scontento un povero vecchio. Prendetelo insieme al libro, a me non servono più. -
- Posso chiedere - cominciò esitante Lyan - dove avete trovato questi oggetti. Insomma il libro è piuttosto comune, ma il pugnale? -
- Penso che dirvelo non servirebbe a niente. -
- Siete sicuro di volerci fare un dono del genere? - insistette Disie.
- Sarò anche vecchio, ma non sono stupido, e se decido qualcosa, è perché so che devo farla, e ora voglio dare a voi il libro e il pugnale. -
- Io non so che dire. - Heira era rimasta letteralmente a bocca aperta, lei più di tutti era stata ammaliata dalla bellezza di quell’oggetto.
- Non sapremo mai come ringraziarvi - disse Lyan prendendo il pugnale e il libro.
- Non vi preoccupate, ci sarà in futuro un’occasione per sdebitarvi. Ma ora andate, non vorrete mica fare tardi al vostro matrimonio. - Rivolse un’occhiata divertiva verso Heira, che cominciò a innervosirsi.
- Andiamo - disse senza giri di parole.
- Grazie di nuovo - salutò Lyan mentre si dirigeva verso la porta.
Il Vecchio li accompagnò fino fuori dalla porta, dove li salutò con un “A presto”. Poi rientrò, come se non fosse successo niente.
Si diressero dove avevano legato i loro cavalli e dopo aver dato loro da mangiare ripresero il viaggio.
Cavalcarono tutta la mattina e tutto il pomeriggio, senza mai fermarsi, fino al tramonto, quando decisero di fermarsi per la notte.
Scelsero un posto con una vegetazione piuttosto fitta, era tutto circondato da alti pini che creavano ombre minacciose a causa della luce lunare. Si sedettero tutti sfiniti, poi diedero da mangiare ai cavalli con i viveri che li aveva dato il Vecchio prima di partire. Presero dalle bisacce la frutta fresca che l’uomo aveva dato loro, avrebbero dovuto mangiare prima di tutto il resto quello, perché altrimenti si sarebbe sciupato.
Consumarono il pasto velocemente, senza parlare o commentare quello che era successo, anche perché nessuno sapeva cosa esattamente aveva significato.
Appena ebbe finito, Lyan si propose per il primo turno di guardia.
- No, - protestò Disie - lo faccio io, non ho sonno, non riuscirei comunque a dormire. -
- Sicuro? -
- Sì. -
Disie prese una coperta e se lo avvolse intorno alle spalle mentre si sedeva per terra con la schiena contro un albero e la spada di fianco. Si alzò un po’ di vento. Anche se era estate, le notti al nord erano sempre fredde e il giorno non era mai afoso, eccetto rari casi.
Quando il sole cominciò a sorgere, Heira, che stava facendo l’ultimo turno di guardia, svegliò gli altri.
- Muovetevi - li incalzò lei.
Di lì a un’ora sarebbero arrivati ad Acamar, una piccola città in cui avrebbero dovuto comprare del cibo e quant’altro li sarebbe potuto servire per il viaggio. Di norma ci avrebbero impiegato molto meno ad arrivarci, ma quando erano scappati, avevano deciso di prendere il sentiero nel bosco, era una strada più sicura, il problema è che avevano allungato molto la strada. La sosta inoltre, era obbligata, dopo Acamar non ci sarebbero stati più città o villaggi, dove poter fermarsi, e anche se la città era vicina alla capitale e qualcuno avrebbe potuto riconoscerli, dovevano correre il rischio.
Arrivarono a destinazione prima del previsto. Si calarono bene i cappucci dei mantelli sul viso, in modo da nasconderli e poi entrarono nella caotica città. Speravano che nessuno si accorgesse di loro, dopotutto con tutta la gente che c’era, nessuno avrebbe fatto caso a loro. Questo era uno dei vantaggi delle città rispetto ai piccoli villaggi, nella confusione chi si accorgeva di tre viandanti? In un luogo abitato da poche persone dove si conoscevano tutti, i rischi di essere riconosciuti o di ricevere troppe domande erano troppi.
Entrarono in una vecchia locanda, l’insegna recitava: “Il cavaliere senza testa“. All’interno uomini ubriachi cantavano sopra i tavoli e belle ragazze portavano senza sosta bicchieri da un tavolo all’altro.
I tavoli occupavano tutta la grande stanza, sulla destra si trovava un bancone, dove un uomo passava alla gente boccali uno dopo l’altro. In generale l’atmosfera era piuttosto accogliente se non fossero stati tre fuggitivi delle due famiglie più importanti delle Terre di Nemunas.
Si sedettero a un tavolo in disparte, arrivò subito una ragazza vestita di blu che chiese loro con voce gentile e disponibile come poteva essere utile.
Lyan rispose altrettanto cortesemente. - La specialità della casa, per favore. -
La ragazza se ne andò sorridendo ed entrò in quella che forse era la cucina. Dopo poco tornò con tre ciotole di zuppa ai legumi e un vassoio di carne. Poi tornò al bancone e prese tre boccali di un liquido che nessuno di loro riuscì a identificare.
- Le avevamo chiesto la specialità della casa, non tutta la cucina - borbottò Disie.
- Non ti lamentare e mangia - lo rimproverò la sorella.
Cominciarono assaggiando la zuppa fumante, poi fu la volta della carne. Aveva un sapore agrodolce ma gradevole e in ogni caso avevano fame. Il primo ad assaggiare ciò che c’era nel boccale fu Lyan. Lo prese con cautela fra le mani, aspettandosi qualcosa di forte, l’unico alcolico che avesse mai assaggiato era stato uno strano liquore di cui non ricordava il nome durante una festa al castello, ma non era roba che faceva per lui. Bevve un sorso e poi si voltò verso gli altri che lo guardavano curiosi.
- Allora? - chiese Heira. - Com’è? -
Lyan alzò le spalle con non curanza per indicare che non era niente di particolare. Heira e Disie continuarono a guardarlo quando cominciò a tossire. La faccia era diventata rossa e la gola bruciava da morire. Lyan cercò di fare il meno rumore possibile, anche se nessuno si era accorto di loro. Heira e Disie si misero a ridere, ma Lyan non ne vedeva il motivo.
Quando si riprese, i due stavano ancora contorcendosi dalle risate e Disie aveva le lacrime agli occhi.
- Va bene, - cominciò Heira - è meglio se questa roba la rimandiamo indietro. -
Finirono il pasto e prima di andare via lasciarono tre monete d’argento sul bancone che furono immediatamente intascate da quello che doveva essere il proprietario.
S’incamminarono verso il mercato che pullulava di gente di ogni genere. C’erano bambini che scorrazzavano da ogni parte, donne a fare compere, uomini in cerca di affari. Anche le bancarelle mostravano ogni sorta di cose. Alcune vendevano tessuti, altre formaggio, spezie fra le più colorate e profumate, pane, gioielli c’era che addirittura chi vendeva amuleti fasulli o pozioni.
Comprarono qualcosa per i cavalli, carne secca, tanto formaggio, pane qualche altra coperta per le notti fredde che avrebbero dovuto passare.
Disie si allontanò mentre Lyan e Heira davano una sbirciata a degli stivali.
- Ti piace? - Disie era tornato e sul palmo della mano teneva un bellissimo ciondolo verde acqua attaccato a una cordicella, lo stava mostrano alla sorella che annuì vigorosamente.
- È bellissimo, ma non avresti dovuto spendere quello che abbiamo così. -
- Non ti preoccupare - la rassicurò. - Me l’ha venduto una signora a un prezzo stracciato. -
Heira prese il ciondolo dalle mani del fratello e se lo legò stretto intorno al collo.
- Grazie. -

Si avviarono furi dalla città, dove avevano lasciato i cavalli. Le bisacce erano piene della roba che avevano appena comprato e mentre passavano per una stretta viuzza, videro un’ombra che scivolava sotto a una porta.
Si guardarono preoccupati quando una donna arrivò alle loro spalle.
Indossava una lunga veste blu notte senza maniche che le arrivava fin sotto i piedi. L’abito era decorato con ricami d’argento che creavano strane figure intrecciate, e motivi floreali. Ai polsi aveva tantissimi bracciali che tintinnavano ad ogni suo minimo movimento. I capelli neri come la notte erano raccolti in una lunghissima treccia decorata con nastri, e arrivava fin sotto la schiena. La pelle era bianchissima, quasi diafana e sembrava risplendere come la luna. Ma la cosa più strana erano gli occhi, chiarissimi come la pelle facevano da contrasto ai capelli. Sembravano ghiaccio da quanto erano freddi, non avevano un colore ben distinto, variavano dal verde acqua più leggero all’azzurro più pallido.
Si mosse verso di loro con eleganza facendo ondeggiare la treccia e frusciare l’abito.
Heira era incantata dalla bellezza della donna, ma allo stesso tempo era agitata.
- Chi sei? - chiese.
- Mi chiamo Hershel - rispose. La sua voce era leggera come un soffio di vento, come se non fosse reale, come le voci che si sentono nei sogni.
La donna misteriosa vide che tutti e tre avevano messo mano alle armi e cercò di tranquillizzarli. - Calmi, non sono pericolosa. Volete entrare? -
Indicò una piccola entrata alle sue spalle, che consisteva in un pezzo di stoffa. Da lì s’intravedeva una stanza buia, unico punto di luce una candela ormai consumata poggiata su un tavolo spoglio.
I tre ragazzi si guardarono dubbiosi, se il Vecchio era sembrato loro un po’ strano, quella donna lo superava di certo. Rimasero fermi per un tempo che sembrava non finisse mai, poi decisero di entrare.
La donna non accese altre candele, sembrava benissimo orientarsi e muoversi al buio, senza bisogno di altra luce. Li fece accomodare sul tavolo che ospitava la sola candela e portò loro tre calici, uno per ciascuno.
Hershel poi sparì da qualche parte e li lasciò soli.
- Ne ho abbastanza di tutta questa gente strana - protestò Disie.
- Anch’io - concordò Lyan.
- Non capisco come fa a muoversi al buio senza alcun problema. -
- È cieca - disse Lyan. - Non ve ne eravate accorti? -
Ecco spiegato il colore strano o quasi inesistente degli occhi.
- No, io non me ne ero accorta - rispose Heira.
La donna ritornò con il suo passo elegante e altero, e si sedette con i ragazzi.
Si accorse che nessuno di loro aveva bevuto ciò che li aveva offerto, ma non parve farci caso, dopotutto non sapevano chi era lei.
Hershel cominciò a fissare Lyan con insistenza e poi gli prese la mano sinistra e cominciò a scrutarne il palmo.
- Non ho mai visto delle linee così strane. -
- Delle linee? -
Lyan era perplesso e confuso, non sapeva se ritrarre la mano o lasciare che la donna continuasse a guardarla.
- Sì - continuò, - le tue linee, sono come sfocate, incerte. -
- E cosa sta a significare? -
Ormai era ovvio che la donna fosse una veggente o qualcosa del genere e Lyan cominciò ad aver paura. Aveva sentito dire, quando era al castello, che un soldato si era fatto leggere la mano da una donna, questa gli aveva detto che se fosse tornato in battaglia sarebbe morto per mano della persona di cui si fidava di più. Ovviamente l’uomo non aveva nemmeno ascoltato ciò che gli era stato detto, e così era tornato in guerra, ma dopo l’inizio della battaglia il suo più fidato amico aveva tirato fuori l’arco per colpire un nemico che stava per attaccarlo, ma l’avversario era stato più veloce e si era riparato con il suo corpo.
Poteva essere una coincidenza oppure una stupida voce, fatto sta, che se era tutto vero ed esistevano delle persone in grado di vedere il futuro, Lyan stava per essere la vittima di una rivelazione.
Pensò di dirle che non voleva sapere cosa il suo futuro aveva in serbo per lui, ma la curiosità fu più forte.
- Le tre linee sulla tua mano sono sovrapposte in modo del tutto inusuale, incrociandosi formano una figura con tre lati tutti uguali. Aspetta qui. -
La donna risparì nel buio e tornò con un libro sottobraccio. Lo aprì cercano di nascondere il contenuto ai ragazzi che erano curiosi ma anche preoccupati.
Hershel sfogliò per qualche minuto il grande libro, quando si fermò improvvisamente a una pagina. La sua espressione da calma era diventata una maschera di terrore.
- Andatevene! - cominciò a gridare. - Andate via subito! -
Lyan uscì velocemente dalla casa della donna, con gli altri che lo seguivano.
Tornarono il più velocemente possibile ai cavalli e senza dire una parola ripresero il viaggio per Dadasiana.
Partirono da Acamar durante il pomeriggio e cavalcarono anche per tutta la notte senza mai aprire bocca.
Erano tutti scioccati per quello che era successo nella casa della veggente, la sua reazione era stata strana e non indicava niente di buono.
Ma era Lyan quello più pensieroso. Era a lui che la donna si era interessata per le strane linee che aveva sulla mano, ed era a causa sua se lei li aveva scacciati come se fossero affetti da una malattia mortale e molto contagiosa, era Lyan quello con il futuro sfocato e incerto. Era così che la donna si era riferita parlando delle linee, sfocate e incerte, e se il suo palmo rispecchiava il suo futuro, allora anche quello si poteva definire con quei due aggettivi, che a Lyan non piacevano per niente.
Continuò a chiedersi perché la donna li avesse mandati via all’improvviso, senza uno straccio di spiegazione. Ovviamente aveva avuto quella reazione dopo aver capito cosa, le strane linee sulla mano di Lyan, significavano e se la reazione era stata quella, il suo avvenire non era certo roseo.
Quando il sole cominciò a sorgere decisero di trovare un posto nascosto dove potersi riposare. Da quel momento in poi se non avessero avuto complicazioni, avrebbero viaggiato la notte e il giorno avrebbero dormito o se non erano particolarmente stanchi cavalcato. Quella mattina però nessuno chiese se era il caso si andare aventi, Lyan era stravolto e aveva bisogno di riposo.
Trovarono una grotta nel folto del bosco, che a stento erano riusciti a vedere da quanto l’entrata era ricoperta di vegetazione. Fecero entrare i cavalli nel luogo, ci stavano un po’ stretti, ma era meglio non lasciarli fuori, avrebbero potuto rubarli o peggio avrebbero capito che lì c’era qualcuno, e se a capirlo fossero stati i soldati del re era meglio evitare quella possibilità.
Mangiarono quello che avevano comprato al mercato di Acamar, senza ancora dire una parola.
Quando ebbe finito, Lyan prese a guardarsi la mano sinistra.
Heira si avvicinò piano a lui.
- Non crederai a quella veggente? -
- Perché non dovrei? - protestò. - Hai visto anche tu quale è stata la sua reazione quando ha capito cosa significava la figura con tre lati uguali. -
Mostrò la mano alla ragazza, che come lui non aveva la minima idea di cosa le linee sulla sua mano significassero.
Disie si sedette accanto alla sorella. - Lyan, non devi pensare che la veggente abbia avuto quella reazione a causa tua. Non sappiamo neanche se era una persona affidabile o no. -
- E allora come faceva a sapere com’è il palmo della mia mano se era cieca? -
- Io… - Heira voleva consolare Lyan ma non sapeva davvero cosa fare. Stava cercando di convincerlo di una cosa in cui non credeva nemmeno lei.
- Se il mio futuro è così terribile tanto da spaventare una veggente, allora tanto vale che mi ammazzi subito!-
Si alzò di scatto, disperato.
Heira si alzò a sua volta. - E ti arrenderesti così? - alzò la voce più di quanto avesse voluto.
- E allora cosa dovrei fare? Andare avanti sapendo che la mia vita, sempre se domani sarò ancora vivo, sarà un inferno? -
- No Lyan! Tu devi combattere! Il nostro destino lo creiamo solo noi. Noi siamo responsabili delle nostre azioni, solo noi. Né una veggente né nessun altro può dirci cosa ci accadrà! -
- Come fai a dirlo? Se fosse successo a te quello che è successo a me, cosa avresti fatto? -
Heira lo guardò senza sapere cosa dire. Che cosa avrebbe fatto lei al posto suo?
- Vedi? - disse Lyan. - Non lo sai nemmeno tu. -
- Di sicuro non avrei dato retta alle parole di una sconosciuta! -
- È questo il punto! Non sono state le parole, ma i fatti, le azioni! - gridò Lyan. - La donna non ha detto niente, ci ha solo mandato via perché era terrorizzata. -
- Non puoi davvero credere a tutto questo, non ha senso. -
- Lo so che non ha senso, ma non ho altro - sospirò. - Voglio sapere cosa Hershel non ha voluto dirmi, voglio sapere la vera ragione della sua reazione. -
Heira lo guardò esasperata. - E cosa cambierebbe se qualcuno ti dicesse la verità? Cosa? Dimmelo Lyan perché io davvero non ne ho idea. Se ti dicessero che la figura che hai sulla mano significa qualcosa di brutto, di orribile, cosa faresti? -
Ora era Lyan che non sapeva rispondere, e visto che non diceva niente Heira continuò. - Abbandoneresti tutto? Ti uccideresti? Lasceresti la missione che Seheiah ti ha affidato solo per una stupida veggente che ti ha messo in testa delle idee strane? Senti Lyan, anche se ci conosciamo da poco meno di un mese, una cosa che ho capito di te è che non ti arrendi mai, che sacrificheresti la vita per le persone che ami. Perché ora invece non vai avanti e fai finta che non sia successo nulla? Perché non mi dai ascolto e ti lasci tutto alle spalle? Cosa credi, che anch’io non sia preoccupata? Certo che lo sono, anche se la veggente a me non ha letto la mano, la sua reazione quando ha letto la tua non mi ha lasciata indifferente. Non puoi fondare la tua vita sulle parole di una donna né su quelle di nessun altro. -
Detto ciò Heira prese una coperta e dopo essersi distesa, si addormentò quasi subito.
Lyan era rimasto stupito da quello che la ragazza gli aveva detto e non poteva che darle ragione. Aveva detto tutte cose giuste.
Si distese anche lui, ma al suo contrario non dormì praticamente mai, e il crepuscolo lo colse impreparato e terribilmente stanco.
Ripresero il viaggio, cercando di dimenticare e come aveva detto Heira, di andare avanti.
 
Angolino dell’autrice:
Ehi, ciao a tutti! Allora, vi è piaciuto il nuovo capitolo?? Vi sarete accorti che ancora non ho svelato l’identità del Vecchio, dovrete aspettare ancora un po’. Quindi sono ancora aperte le scommesse buono/cattivo ^^
Non so perché, non c’è un motivo, ma sono fiera di questo capitolo, lo so che è un po’ come tutti gli altri, ma a me piace particolarmente. Non ho molto da dire oggi…
Ringrazio tutti coloro che leggono, recensiscono, mettono fra le preferite/seguite/ricordate. In particolare:
- KingPetertheMagnificent
- Luana_lulu
- _dirty_ice
- Shadowdust
- _Faithfully
- _AnnaWhite_
- Water_wolf
- the_Masterpiecr
La vostra Bianca ^^




 

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Capitolo 10
*** La freccia ***


10
La freccia

Passarono altri tre giorni, e la situazione non cambiò di molto. Cercavano di dormire il meno possibile, e cavalcavano finché i cavalli non ce la facevano più, e poi procedevano a piedi, fino a quando erano stremati, e la fatica non li vinceva.
Quella mattina era una giornata bellissima, il sole era caldo e luminoso, e per tutta la foresta si sentivano cantare gli uccelli. Quel giorno avevano deciso di invertire il programma, il giorno avrebbero viaggiato e la notte avrebbero riposato.
Consumarono un veloce pasto a base di formaggio, e poi ripresero il viaggio.
Da quando Lyan aveva incontrato la veggente, era sempre silenzioso, e parlava solo per dire quando fermarsi o riprendere il cammino. Non erano servite a niente le parole di Heira, che invano aveva cercato di convincerlo che le azioni della veggente non significavano nulla, ma lui era testardo, e non la voleva ascoltare.
Avevano dormito pochissimo quella notte, e i cavalli erano ancora stanchi, così per quella mattina camminarono. Nel giro di tre, al massimo quattro giorni, sarebbero arrivati al primo avamposto a Dadasiana e ancora nessuno di loro aveva un piano per entrare nell’esercito. Se avessero detto la verità nella migliore delle ipotesi, li avrebbero dato una morte veloce e indolore, per non pensare alla peggiore delle ipotesi. Erano pur sempre i figli del re e del primo generale dei loro peggior nemici e, se non erano stupidi, la loro fine non sarebbe stata bella. Avrebbero potuto inventare una storia, sperando che nessuno di loro li riconoscesse. Il maggior rischio era per Disie, lui era andato in guerra, e comandava delle truppe, non era proprio un soldato semplice, e sicuramente se avesse incontrato un soldato che lo aveva visto almeno una volta nel campo di battaglia, lo avrebbe riconosciuto. Lyan e Heira, invece, non li avevano mai visti nessuno, o almeno speravano, in ogni caso per loro i pericoli erano minori.
Camminavano in fila, i cavalli con la testa bassa faticavano a camminare. A questo punto non si dovevano arrendere, dovevano andare avanti, non avrebbero abbandonato tutto, anche se erano stanchi, stremati e il cibo cominciava a scarseggiare.
- Avete sentito? - Lyan aveva alzato la testa di scatto e ascoltava attentamente i rumori del bosco.
- No - disse Disie, - io non ho sentito niente. -
Lyan non rispose e riabbassando la testa continuò a camminare.
Heira però era agitata, anche lei aveva sentito qualcosa, non avrebbe saputo dire se era solo qualche animale, o se era qualcosa di cui preoccuparsi, ma un rumore lo aveva sentito, come un rametto che si rompe, un lamento della natura appena percettibile in lontananza, ma lo aveva sentito, ne era certa.
Cercò di non pensarci, ma la sua testa cominciò ad elaborare le varie possibilità.
Se erano i soldati del re, sarebbero certamente morti nelle condizioni che erano, inoltre stavano passando per una vasta radura con pochi alberi, e non avrebbero potuto nascondersi o fuggire facilmente. Di sicuro erano in netta inferiorità numerica, si sa, le battaglie non si vincono con i numeri, ma aiutano. Anche se erano tutti bravi con la spada, e Disie si era portato il suo arco, con cui faceva prodigi, le possibilità di una vittoria senza perdite erano pressoché nulle.
Però, avrebbero potuto anche essere dei soldati di Dadasiana, non erano lontani dal confine, e se negli ultimi giorni avevano riguadagnato un po’ di terreno, era possibile che stessere facendo una ricognizione in campo nemico. In quel caso, le possibilità erano due. La prima era che raccontavano loro una bugia, li portavano al primo avamposto, e dopo essere diventati soldati per Dadasiana, avrebbero combattuto fino alla morte. La seconda era che raccontavano la storiellina, non ci credevano o li riconoscevano, e erano morti in ogni caso.
Esaminando tutto nel complesso avevano una possibilità su mille di uscirne tutti completamente illesi.
Se non altro, se fossero morti, lo avrebbero fatto da liberi, e questa era una consolazione.
Dopo un po’ che camminavano decisero di montare a cavallo.
Lyan, mentre il suo cavallo andava a passo d’uomo, tirò fuori dalla bisaccia che aveva legato alla sella, il libro che il Vecchio aveva dato loro prima di partire.  Da quando lo avevano avuto, non avevano mai avuto un po’ di tempo per vedere di cosa si trattasse, e approfittò dell’occasione.
Per prima cosa esaminò la copertina, era di pelle marrone scura, non c’era niente, né una parola, né un simbolo. Lo poggiò davanti a sé e lo aprì delicatamente. Nel frattempo si erano avvicinati Heira e Disie che guardavano stupiti il libro.
Le pagine erano completamente bianche. Non c’era scritto assolutamente niente in quel libro, niente.
- Si sarà divertito a darci un libro assolutamente vuoto - commentò Disie.
- Almeno qualcuno si è fatto una risata - rispose Heira.
Avevano capito che il Vecchio era un uomo strano, e ancora non sapevano se fidarsi o no, ma dare a loro un oggetto inutile non aveva senso. Nessuno lo aveva obbligato a regalarli qualcosa, avrebbe potuto congedarli e basta. Era quello che non capiva Lyan, che motivo c’era di dar loro un libro tutto bianco?
Comunque non aveva tempo di farsi queste domande, ripose il libro al suo posto e cominciarono a galoppare verso la loro meta.

Quando cominciarono a vedere le prime stelle, decisero di accamparsi. Quel luogo non era ideale per fermarsi, c’erano pochi alberi per nascondersi e la vegetazione era troppo rada. Ma quello avevano, quindi si fermarono nel primo luogo leggermente più riparato rispetto agli altri.
- Dobbiamo cominciare a razionare il cibo - disse Lyan, - non sappiamo quanto ancora durerà il viaggio. -
- Se va tutto bene fra tre giorni circa dovremmo arrivare - commento Heira. - Comunque hai ragione, dobbiamo razionare il più possibile. -
- Forse se vado a vedere se trovo qualche bacca o albero da frutta - cominciò Disie, - oggi potremo mangiare quelle. -
- Sì - assentì Lyan, - va bene. -
Disie prese la sua spada e il suo arco che aveva legato alla sella del cavallo e si allontanò in cerca di cibo.
Heira prese l’acqua e cominciò a bere, quella era l’unica cosa che non mancava. Avevano fatto il possibile per avere acqua a sufficienza per tutto il viaggio, e almeno che questo non si fosse prolungato eccessivamente, potevano dire di esserci riusciti.
Heira guardò Lyan di sottecchi. Non sapeva il perché ma sentiva che c’era qualcosa che non andava nell’aria. L’istinto le diceva che doveva stare all’erta, e anche quello di Lyan diceva lo stesso, lo vedeva dai suoi occhi, erano diventati scuri.
- L’ho sentito anch’io quel rumore, questa mattina - gli disse lei.
- Perché non me lo hai detto subito? - esclamò lui. - Pensavo di essermelo immaginato! -
- Anch’io. -
Rimasero un momento immobili, poi Lyan si alzò di scatto.
- Heira - disse estraendo la spada da fodero, - ci hanno trovato. -
La ragazza imitò Lyan estraendo la spada, aveva capito chi era che li aveva trovati, ma non ci voleva credere, voleva sperare fino all’ultimo che non erano i soldati del re che li avevano trovati.
Cominciarono a correre alla ricerca di Disie. Avevano sentito i soldati che arrivavano, ma non da loro, da qualcun altro, e quel qualcuno non poteva essere che Disie. Sicuramente li seguivano da un po’ di tempo, forse da quando erano stati ad Acamar, o forse fin dall’inizio del viaggio, aspettando il momento giusto per attaccare.
Arrivarono ad un piccolo spiazzo fra gli alberi. Analizzarono velocemente la situazione.
Sei uomini circondavano Disie, che aveva la spada in mano, ma gli altri erano più grossi e armati fino ai denti, ed erano troppi. In un angolo giaceva l’arco del ragazzo e accanto a questo delle bacche rosse e la faretra piena di fecce.
Rimasero tutti immobili per qualche secondo poi i soldati cominciarono a combattere.
Un uomo arrivò alle spalle di Heira, che si scansò appena in tempo, evitando un fendente alla gamba destra. Cercò di colpirlo alla spalla del braccio che teneva la spada, in modo da fargli perdere la presa dell’arma, ma l’uomo era più forte di lei ed era abile. Se lei poteva puntare sull’agilità e la tecnica, chi aveva davanti puntava sulla forza bruta e sulla scaltrezza.
La ragazza si abbassò, scansando un colpo che l’avrebbe decapitata, poi continuò a parare i suoi affondi, senza avere nemmeno un secondo per attaccare anche lei. Il ritmo stava diventando veloce, e rivoli di sudore cominciarono a scorrerle giù per la schiena, provocandole un fastidioso pizzicorino.
Approfittando di un momento di esitazione del soldato, si girò un secondo per vedere come andava la situazione, Lyan stava combattendo con due uomini, mentre Disie con un altro. Due cadaveri erano già per terra, un altro e sarebbero stati in parità. Non si capacitò di come se la stessero cavando al di sopra delle aspettative, ma un dolore acuto al braccio sinistro la riportò alla realtà. L’uomo l’aveva colpita e le aveva causato un taglio sull’avambraccio. Poco male, lei combatteva con la destra.
Dopo pochi secondi un rumore potente riscosse tutti. Un verso di un animale. All’inizio non capirono da dove veniva, ma poi alzarono tutti gli occhi al cielo e uno spettacolo tanto magnifico quanto terrificante li si parò davanti. Un drago, splendido, stava atterrando nella radura in cui stavano combattendo.
Era forte e robusto, i muscoli possenti si contraevano e si rilassavano sotto il manto blu scuro lucente, che rifletteva i raggi della luna che ormai aveva preso il posto del sole. Le ali, enormi membrane tanto potenti quanto fragili e sottili planavano verso lo spiazzo con agilità, le zampe toccarono terra sollevando nuvole di polvere.
Erano tutti immobili, assorti nella grandiosità dell’animale che li stava davanti. Per quanto ne sapevano, i draghi si erano estinti tantissimo anni prima, e le immagini che si vedevano sui libri non erano niente in confronto alla realtà.
Poi accade tutto in fretta, Heira si voltò appena in tempo per vedere un soldato che prendeva da terra l’arco e la faretra di Disie, incoccò la freccia rapidamente e puntò verso il ragazzo.
- No! - Nel silenzio che si era creato l’urlo di Hera fu come un fulmine a ciel sereno. Lyan si riscosse e si rese conto della situazione.
Il drago cominciò a ruggire e i soldati si dispersero e fuggirono.
Heira corse dove c’era il fratello, coprì il suo corpo mentre la bestia si avvicinava, e Lyan si mise a sua volta davanti alla ragazza. Se l’animale li avesse attaccati, sarebbero morti tutti.
Nelle possibili ipotesi di morte a cui Heira aveva pensato, quella di morire sbranati o bruciati da un drago non c’era, ma l’aggiunse velocemente alla sua lista.
Il drago alzò la testa, fiero, e si fermò appena vicino a Lyan, a cui non importava più di vivere o morire, voleva solo stare in pace. Aspettarono che il drago si muovesse, ma questo fece un gesto che nessuno si sarebbe mai aspettato. Chinò la testa lentamente, rivolgendosi a Lyan che rimase immobile, confuso, nella posizione in cui era. L’animale ritirò su la testa, guardò Lyan un’ultima volta e poi con uno scatto agile spalancò le ali e volò via, lasciandoli soli.
Appena il drago se ne fu andato Heira si voltò per vedere come stava il fratello. La feccia lo aveva colpito di striscio, sulla spalla destra, ma era madido di sudore, e respirava male.
- Disie - cominciò lei con la voce tremante, - che succede? -
Tossì prima di rispondere. - Le frecce - indicò la faretra che era poco lontana. - Avevo avvelenato le frecce. -
- Con che veleno? - chiese. - Dobbiamo trovare l’antidoto, andrà tutto bene. Te lo prometto. -
Una piccola lacrima le scese giù per la guancia, si affrettò ad asciugarla.
Anche Lyan era lì, e guardava Disie pensieroso. - Che veleno hai usato? -
- Non ce la faremo mai a trovare un antidoto. -
- Sì invece - insistette Lyan. - Che veleno hai usato? - ripeté.
- Gemma di salice. -
Lyan lo guardò a bocca aperta, incapace di parlare. La gemma si salice era rarissima da trovare e per lo più nasceva sui fondali marini, l’unico antidoto era un’alga, che cresceva sempre in coppia con la gemma velenosa.
- Dove l’hai trovata? -
- Nelle scorte di mio padre. - Sorrise appena, anche lui sapeva che sarebbe morto, di una morte lenta e dolorosa.
- Allora? - Heira cercò di attirare la loro attenzione, voleva sapere quale sarebbe stata la sorte del fratello.
Lyan le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. - Non ce la faremo mai a prendere in tempo l’antidoto. -
- No! - gridò lei. - Sì che ce la faremo! Non m’importa se andremo anche in capo al mondo, ce la dobbiamo fare. Dobbiamo trovare l’antidoto. -
Disie le fece cenno di avvicinarsi. – Senti - sussurrò, - Lyan ha ragione, non possiamo. È impossibile, quando arriveremo sarò già morto. -
Gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime, cercò di rimandarle indietro, ma qualcuna sfuggì al suo controllo e scivolò lungo la guancia bianca come la neve.
Il fratello le asciugò delicatamente il viso, mente l’accarezzava. - Sssh, ssh. Non devi piangere. Tu e Lyan continuerete il viaggio ed io vi veglierò da qualsiasi posto in cui andrò. Non ti devi preoccupare… -s’interruppe per un colpo di tosse improvvisa.
- Ci accamperemo qui - disse Lyan. - Vado a prendere i cavalli e le bisacce dove le abbiamo lasciate. -
Heira annuì, e si mise più comoda accanto al fratello, che si era addormentato.
Era strano come la vita a volte fosse ironica. Disie sarebbe morto per qualcosa che aveva creato lui stesso. La freccia con cui era stato colpito lievemente alla spalla lo avrebbe ucciso, solo perché lui era stato così previdente da avvelenarle con qualcosa il cui antidoto si trovava nei fondali marini. Si era fregato con le sue stesse mani.
Heira lo guardava mentre dormiva, pensando a come sarebbe stata la sua vita senza il fratello, ma non la poteva immaginare. Non avevano passato molto tempo insieme, lei aveva quasi sempre vissuto in campagna e il fratello lontano, nella capitale, ma forse proprio la lontananza aveva contribuito a unirli. Non aver potuto condividere insieme ogni singolo momento aveva aiutato a far capire loro che gli attimi opportuni vanno colti al volo, e non lasciare che passino come se non fossero stati niente.
Cominciò ad accarezzare i capelli del fratello, quelli che tanto le ricordavano la madre, ma anche lei non c’era più, se n’era andata per una malattia. In meno di un mese avrebbe perso le uniche due persone a cui teneva veramente, le uniche due persone per cui avrebbe dato la vita senza pensarci un momento.
Sperò che il veleno della freccia non fosse abbastanza forte da ucciderlo, ma nel profondo del cuore sapeva che ormai non c’era più niente da fare, niente avrebbe potuto evitare l’ineluttabile. Era ingiusto che un ragazzo così giovane dovesse morire, aveva ancora tutta la vita davanti, avrebbe potuto fare tantissime cose, e invece…
Heira si ritrovò a pregare gli dei, quelli dei in cui non aveva mai creduto. Sua madre pregava tutte le sere, e le aveva insegnato qualche piccola preghiera, ma lei non le aveva mai recitate. Se si guardava intorno, vedeva solo tristezza, e come potevano permettere degli dei tante atrocità? E allora aveva cominciato a credere che questi personaggi non esistessero, che fossero solo qualcosa che avevano inventato le persone per darsi conforto, nella speranza che dopo la vita ci fosse qualcosa di nuovo, di bello ed eterno. Anche qualcosa in cui aver timore. La gente non sopravvive senza un capo verso cui avere timore, non ce la fanno, è più forte di loro. A pensarlo sembrava una contraddizione, di solito si dovrebbe aspirare alla libertà, e invece molti desideravano qualcuno che li comandasse, in modo da non avere problemi. Unica ragione a tutto ciò? Nessuno se la sa cavare da solo, tutti, o quasi, hanno bisogno di una guida per andare avanti.
Lyan tornò dopo poco, con i cavalli e tutto il resto. Heira prese una coperta e coprì Disie come meglio poteva, poi prese qualcosa da mangiare. Lyan fece lo stesso.
- Lyan? -
- Sì? - rispose lui.
- Dimmi la verità - cominciò. - Quanto ancora ha da vivere? - Formulò la domanda in modo diretto, senza giri di parole.
- Non sono sicuro che riesca a superare la notte. -
Heira si aspettava una risposta del genere, da quello che aveva capito, il veleno che aveva usato Disie procurava una morte non istantanea, ma nemmeno più di tanto lenta.
- Ho capito. -
- Io… - Lyan fece per dire qualcosa ma si fermò.
- Tu cosa? -
- Non lo so Heira. Non lo so. -
- Sarà dura - disse lei.
- Cosa? -
- Il viaggio, senza di lui - indicò il fratello che dormiva un sonno agitato.
- Sì - annuì. - Era lui che ogni tanto ci strappava un sorriso. -
- Ora dobbiamo andare avanti da soli. -
- Eh già - Lyan si voltò per guardarla. - Ma ce la faremo, insieme. -
Lyan cercò invano di farla sorridere, ma non era proprio il momento giusto per cercare di renderla un po’ felice.
Entrambi speravano in un miracolo, ma sapevano che erano sogni vani, non si sarebbero realizzati.
Dopo un po’ Disie si svegliò, cercò di dire loro qualcosa, ma non ce la faceva. Era sudato, aveva la bocca secca, ma non voleva bere, tremava, ma non voleva le coperte. Heira non lo aveva mai visto in quello stato. Heira non dormì un istante, faceva la guardia al fratello, come un soldato la farebbe al suo re o a un tesoro inestimabile. Non gli staccava gli occhi di dosso, scattava appena si muoveva, anche se non sapeva davvero cosa fare. Lyan stette con lei, anche lui non dormì e fece compagnia alla ragazza, capiva la sua sofferenza e il suo dolore. Anche lui era stato male come lei stava ora, e sapeva anche in quelle situazioni non c’era niente da dire, la cosa migliore era il silenzio, un silenzioso rispetto per il dolore dell’altro.
La mattina arrivò troppo presto, Disie dormiva ancora, e nessuno lo avrebbe svegliato.
- Heira? - Lyan la chiamò. Lei si voltò verso di lui.
- Dormi un po’ - le disse. - Starò io con Disie. -
- No. - Rispose con due semplici lettere, non aveva voglia di parlare, a dire la verità in quel momento non voleva fare niente se non stare col fratello. Si era quasi abbandonata a se stessa.
Durante la giornata non volle niente da magiare, né da bere. Se Lyan le porgeva qualcosa, lei lo rifiutava con un gesto della mano e poi si girava dall’altra parte. Se lui le faceva una domanda, lei non rispondeva, al massimo annuiva o scuoteva la testa.
Il crepuscolo segnò che erano passate ventiquattro ore da quando Disie era stato ferito, e ancora resisteva, lottava fra la vita e fra la morte, cercava di non mollare. Heira lo sapeva, era forte, non era un ragazzo che si lasciava andare così facilmente, no, quello non sarebbe stato Disie.
Quando scese il buio più totale, Heira si addormentò accanto al fratello, a così Lyan si assopì appoggiato ad un albero.
Il sonno di Heira fu tormentato da ogni genere di sogno. Vide suo fratello che veniva colpito dalla freccia che aveva decretato la sua sore, vide quella feccia che colpiva anche lei. Poi un uomo con il volto coperto, aveva in mano il pugnale che aveva regalato loro il Vecchio, rosso con la bellissima fenice. Non riusciva a vederne il volto, ma sapeva benissimo chi era. Suo padre, primo generale delle Terre di Nemunas, Andalus.
La guardava da sotto il cappuccio del mantello, la scrutava con sguardo sprezzante.
- Cosa credi di fare? - La sua voce arrivava da lontano, anche se lui era lì davanti a lei.  - Non andrai lontano. Lo hai visito anche tu, tuo fratello, Disie. Morirà. E tu farai la stessa fine. - Rise prima di continuare. - Lo sai anche tu che sto dicendo la verità. Tu e quel bastardo del figlio del re, non arriverete da nessuna parte. - Heira non capiva perché lui le parlasse così, in quel momento a dire la verità non capiva assolutamente niente.
- Vai via! - Fu l’unica cosa che riuscì a pronunciare, era terrorizzata, ma non dall’uomo che le stava davanti, ma dal contesto, da tutto quello che stava succedendo.
All’improvviso poi, si ritrovarono nel bosco, dove si erano accampati la sere prima dopo che i soldati del re li avevano attaccati. Andalus era lì con loro. Disie e Lyan dormivano tranquilli, anche Disie sembrava sereno. Estrasse il pugnale con la fenice che aveva in mano anche prima, si avvicinò prima a Lyan e gli piantò l’arma al centro del petto, poi andò da suo figlio e lo sgozzò.
Heira rimase immobile per un momento, poi si avventò contro il padre, cercando di prendere il pugnale che aveva ancora in mano. L’avrebbe pagata cara, non si poteva nemmeno immaginare quanto avesse sofferto.
Alla fine riuscì a prendere il pugnale, ma a quel punto arrivò il re, con la sua corona sulla testa. Sembrava troneggiare su tutto, sembrava essere più alto di tutti, eppure la sua altezza era normale. Si avvicinò alla ragazza e la afferrò per il collo, sollevandola da terra. Cominciò a scalciare inutilmente, provò a liberarsi dalla presa dell’uomo, ma tutti i suoi tentati erano vani. Appena un momento prima che la vita scivolasse via dal suo corpo si svegliò, in un lago di sudore. Lyan si svegliò con lei.
- Va tutto bene? -
- Sì - rispose. - Perché? -
- Hai urlato. -
Non si era accorta di aver urlato, ma le immagini del suo sogno erano ancora vive dentro di sé.
Si ricordò improvvisamente una cosa e si voltò verso il fratello. Gli accarezzò una guancia. Era immobile, freddo. Avvicinò l’orecchio al suo petto. Niente. Se ne era andato mentre lei si concedeva il lusso di dormire. Si maledisse per essersi addormentata, lei avrebbe dovuto essere lì con lui mentre esalava l’ultimo respiro.
Lyan si avvicinò, cauto.
- Accendiamo una pira - propose alla ragazza. - Come per i grandi re. -
Lo sapeva benissimo che accendere un fuoco sarebbe stato uno sbaglio che li sarebbe potuto costare la vita, ma stava facendo di tutto per tirare un po’ su Heira.
- No, lo sai anche tu che non possiamo. - E aveva ragione, era già tanto se nel tempo che erano stati fermi nessuno era tornato da loro, forse si erano davvero spaventati del drago, ed erano ritornati alla capitale con la coda fra le gambe.
Seppellirono Disie accanto ad una quercia secolare, e poi piantarono la sua spada più o meno, dove si sarebbe dovuta trovare la sua testa.
Chi avrebbe visto la tomba avrebbe capito che lì giaceva un grande guerriero, un fratello e un amico, un eroe.
 
Angolino dell’autrice:
Ciao a tutti. Allora, eccoci con il decimo capitolo, non mi sembra ancora vero. DECIMO! Sembra ieri che ho pubblicato in primo capitolo…
Ok, comunque mi sento malissimo ad aver fatto quello che ha fatto, avete capito. Mi sono sentita davvero di merda, ma una vocina nella mia testa mi diceva che era la cosa giusta, e lo che a volte ascoltare le vocine non è prudente, ma questa volta l’ho voluto fare, ditemi voi se ho fatto bene…
Che altro dire, oggi è finita la scuola! Anche questo non mi sembra vero, in questo momento se non lo avete capito non mi sembra vero nulla!
Una domandina. Qualcuno sa che fine ha fatto King?? Di solito era sempre il primo a recensire la mia storia, ma dal capitolo precedente l’ho perso… Bianca chiama King, proverò con i segnali di fumo…
Lo so che sono pazza, non importa che me lo diciate voi  ^^
Ok, questa volta un grazie specialissimo alla mia Rachele alias Dirty Ice, sei la migliore sempre e comunque.
A cosa servono le amiche come lei?? A farti conoscere band nuove!! Scherzo, anche a quello ovvio, ma anche a tanto altro, mi manchi di già : (
Grazie anche a tutti gli altri, questa volta non faccio la lista, lo sapete da soli che voglio ringraziare ^^
Bando alle ciance, ho già scritto troppo.
Alla prossima,
la vostra Bianca
  

  
 

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Capitolo 11
*** L'accampamento ***


                                                                                                    11                                                                                                     

L’accampamento

Lyan la pioggia la odiava. Non sopportava essere bagnato, l’acqua rendeva i vestiti più pesanti ed era più difficile camminare. Solo qualche volta gli piaceva guardare i temporali, quando era al castello e osservava tutto dalla finestra delle sue stanze. In quel caso l’acqua che cadeva dal cielo lo rilassava, aiutava i suoi pensieri disordinati a trovare un posto in cui andare e ordinarsi.
Ma lì, nel bosco, la pioggia era l’ultima cosa di cui lui e Heira avevano bisogno.
Dopo la morte di Disie, avevano subito ripreso il viaggio. Non c’era tempo da perdere, più restavano lì, più c’era il pericolo che i soldati del re tornassero da loro, e ne avrebbero fatto anche a meno.
Heira gli camminava a fianco, nella mano destra teneva le briglie del suo cavallo, mentre l’altra era poggiata con non curanza sull’elsa della sua spada. Non aveva ancora parlato da quando erano ripartiti, ed erano quasi passati due giorni. L’unico segno di vita che gli aveva dato era stato un cenno della testa per indicare che non aveva fame e che non voleva mangiare. Lyan era preoccupato per lei, anche se un vero motivo non c’era. Era normale che fosse disperata e spaesata per la morte del fratello. Lyan quando era morto suo zio aveva avuto anche delle reazioni peggiori, tuttavia c’era qualcosa che lo spingeva a pensare che lei fosse in qualche modo cambiata. Non era certo che fosse vero, probabilmente era solo una sua impressione e la ragazza aveva bisogno di tempo, eppure il suo atteggiamento lo faceva pensare.
Avrebbe voluto poter cavalcare, era completamente inzuppato d’acqua e a cavallo avrebbero fatto più velocemente. Però i cavalli erano stremati, e farli stancare ulteriormente era inutile e controproducente.
Mentre camminava, cominciò a pensare al drago che li aveva salvato la vita. Era una bestia magnifica, era anche terrificante, certo, ma aveva un che di regale e maestoso. Quegli occhi d’oro erano come calamite e lo avevano attratto fin dal primo momento. Il manto blu come la notte sembrava splendere di luce propria, ed era tutto dire, perché lo avevano visto che era il crepuscolo. Una cosa in particolare lo aveva colpito, quando si era messo davanti a Heira per proteggerla l’animale non li aveva fatto niente, e si era come inchinato a lui. Non si sapeva spiegare quest’azione, ma non conosceva molte cose sui draghi, e ignorava la vera ragione di quel gesto.
- Heira? - Cercò di far parlare un po’ la ragazza, per distrarla un po’ dai pensieri che aveva in testa.
Lei si voltò verso il ragazzo senza dire niente.
- L’altro giorno - cominciò, - quando ci hanno attaccati, ci siamo salvati solo grazie al drago. E si è inchinato a me, tu sai che significa? -
Heira lo guardò per un istante prima di rispondere. - Quando un drago s’inchina a qualcuno, significa che ti ha scelto. L’altro giorno quel drago lo ha fatto con te - spiegò. - Pensavo lo sapessi. -
- In che senso mi ha scelto? -
- Ti ha scelto come suo… diciamo compagno d’armi? - Lyan la guardò con aria interrogativa. - Nel senso che d’ora in poi siete legati da un vincolo infrangibile, siete come uniti fino alla morte. Non è facile da spiegare, non l’ho mai capita questa cosa fino in fondo. -
- Come fai a sapere queste cose? -
- Tutto il tempo che sono stata in campagna ho studiato, non stavo tutto il giorno a scorrazzare per i campi. Dopo aver imparato a scrivere e a leggere mi sono dedicata a cosa più mi piaceva, e fra queste cose c’erano anche i draghi. -
- Ma tutti pensavano fossero scomparsi per sempre. -
- Sì, e si sbagliavano. Ti dovresti ritenere fortunato ad essere stato scelto probabilmente dall’ultimo drago in vita sulla terra. -
- E ora cosa dovrei fare? -
- Aspettare - disse. - Il drago detta i tempi. Se non si sarà pentito della sua scelta, ti troverà. -
Smisero di parlare dopo quell’ultima battuta di Heira, la pioggia stava aumentando d’intensità, ed era difficile parlare con il rumore dell’acqua scrosciante e della pioggia che entra in bocca appena l’apri.

Andarono avanti anche per tutta la notte. Erano vicini alla loro meta, e non aveva senso fermarsi proprio ora. Se da quel momento avessero fatto solo una piccola sosta, il primo avamposto di Dadasiana, vicino alla città di Shedir, già di là dal confine, distava poco meno di due giorni.
Ancora non avevano deciso cosa avrebbero fatto una volta arrivati lì, ma di sicuro un’idea li sarebbe venuta.
Passò un altro giorno e dopo una sosta notturna ripresero il viaggio. Era mattina presto e a sera sarebbero arrivati all’avamposto.
- Cosa facciamo quando arriviamo? - Lyan ancora non aveva idee e così chiese a Heira.
- Non lo so - rispose. - Secondo me però, la cosa migliore è raccontargli una bugia sperando che nessuno ci riconosca, cosa di cui dubito. -
- Sì, hai ragione - annuì. - Forse è la soluzione migliore. -
Occuparono il resto del viaggio a inventare quella storia che avrebbero poi dovuto raccontare all’avamposto. Alla fine ne trovarono una piuttosto convincente.
Erano due fratelli che arrivavano dalle isole nelle Acque di Giura, appena a nord di Shedir, quelle erano isole neutrali, quindi non ci sarebbero stati problemi. Avrebbero detto di essere scappati di casa per combattere dalla parte giusta, per la causa di Dadasiana. Non erano sicuri che avrebbe funzionato, ma loro ci speravano.

E finalmente arrivarono, stanchi, stremati e speranzosi.
Davanti a loro stavano delle piccole mura di legno che circondavano un accampamento militare costituito da tende, alcune più grandi e altre più piccole. Il cancello che era davanti a loro si apriva in un lungo corridoio da cui si riusciva a intravedere un’arena in fondo al campo.
Appena sotto la porta d’entrata una guardia intimò loro di non avvicinarsi di più.
- Chi siete? - La voce della guardia era ferma e non ammetteva repliche.
Lyan si fece avanti. - Veniamo dalle isole a nord di Shedir nelle Acque di Giura. Chiediamo di poter unirci al vostro esercito. -
- Aspettate un attimo. - La guardia se ne andò lasciandoli soli davanti all’entrata dell’accampamento.
- Credi che ci faranno entrare? - chiese Heira.
Lyan alzò le spalle. - Non lo so. Spero di sì, non siamo certo spie, ma non so se crederanno a quello che li abbiamo detto. -
Aspettarono con pazienza il ritorno della guardia, e quando ritornò, era con un altro uomo ed entrambi andarono da loro all’esterno della porta.
L’uomo indossava un’armatura semplice, e al fianco portava una spada a due mani senza particolari decorazioni, ma robusta e resistente. Si avvicinò a loro con fare superiore.
- Sono il comandante. - La sua voce era chiara e potente, ma non nascondeva né odio né sospetto. - Mi hanno detto, - continuò - che venite dalle isole nelle Acque di Giura e che vi volete unire a voi. -
- Esatto - annuì Heira.
- Come posso fidarmi? -
- Non sappiamo come darvi prova della nostra lealtà, vi basti sapere che abbiamo disobbedito alla nostra famiglia e a tutti venendo qua a combattere per voi. -
Il comandante li scrutò attentamente, poi il suo sguardo si posò su Heira.
- Lei andrà bene come cuoca, ne avevamo bisogno. -
La ragazza cercò di contenersi. -Penso ci sia stato un malinteso. Io non sono qui per cucinare, io combatto. -
La guardia e il comandante che erano lì con loro scoppiarono a ridere.
- E quando mai una donna sa combattere o tantomeno maneggiare una qualsiasi arma? -
Lyan scoccò un’occhiata a Heira. – Adesso - disse, - non penso che la questione più importante di cui parlare sia questa, propongo prima di farci sapere se ci accetterete. -
- Sì, va bene - assentì il comandante, - parleremo dopo della ragazza. Quindi, visto che per ora non ho nessun motivo per non accettarmi fra le mie fila, vi accoglierò. Ma sappiate che alla minima azione fraintendibile non sarò clemente con voi. -
- Grazie davvero, comandante - disse Lyan.
La guardia li accompagnò fino a una grande tenta, dentro grandi tavoli stavano in fila. Al momento non c’era nessuno. Anche se era sera, e l’ora di cena, era probabile che gli altri avessero già mangiato.
Si accomodarono nella sala deserta e dopo poco arrivò un ragazzo con due scodelle. Era poco più giovane di Lyan, a occhio e croce avrebbe dovuto avere circa quindici anni.
Quando posò i piatti di fronte a loro accennò un sorriso, poi fece per andare, ma Lyan lo fermò.
- Aspetta. Come ti chiami? -
- Io? - Il ragazzo sembrava stupito dalla domanda.
- Sì, tu. -
- Rigel - rispose, e poi scomparve dalla loro vista.
Heira cominciò a mangiare guardando di sottecchi Lyan.
- Cosa c’è? - chiese lui a un tratto.
- Niente. Solo non capisco come fai a essere sempre così gentile con tutti. Non fai distinzioni fra amici e sconosciuti, tu sei sempre carino. -
Lyan le sorrise, ma lei non ne aveva voglia e si chiese se mai ne avrebbe ancora regalati di sorrisi.
- Non lo so Heira - disse. - Non lo faccio apposta, io sono solo me stesso. -
Heira non aggiunse altro e ricominciò a mangiare il loro primo pasto caldo dopo aver lasciato la casa del Vecchio. Comunque continuava a pensare alla domanda che aveva fatto a Lyan. Lui era sempre così cordiale con tutti, non lo faceva per piacere o perché era un ragazzo falso, lui lo faceva perché vedere le persone sorridere rendeva lui stesso felice. Era come se si nutrisse della gioia altrui. Era anche vero che tutti hanno dei giorni no, e Lyan non faceva certo accezione, ma anche quando era al castello sotto il giogo del padre tiranno, lui sapeva sempre come tirare su di morale degli altri e come tirare su il suo. Heira lo invidiava per questo. Se lei avesse avuto la sua stessa capacità di assorbire la felicità non avrebbe chiesto più niente, le sarebbe bastato quello, essere felice, sempre e comunque, non aver paura della morte e del male, non doversi preoccupare delle malattie, delle guerre e delle carestie, semplicemente vivere. Purtroppo lei non era così e nemmeno Lyan arrivava a tanto. Un po’ forse si mostrava più allegro di quello che era per confortare Heira. Da quando era morto Disie non parlava molto e quella mancanza aveva creato come un vuoto fra lo stomaco e la gola che non se ne voleva andare, un macigno opprimente.
Quando ebbero finito la guardia che li seguiva fin da quando erano arrivati, mostrò loro dove dormivano i soldati. Il comandante e le personalità più importanti avevano delle tende solo loro, per gli altri c’erano tende allestite per un numero da cinque a venti persone. A loro fu assegnata una stanza con una decina di letti, poggiarono le poche cose che avevano sopra i loro letti vicini. I loro cavalli erano stati sistemati dove venivano massi anche gli altri, ma c’erano pochi animali.
Prima che la guardia se ne andasse Lyan decise di fargli una domanda che lo assillava da quando erano arrivati.
- Dove sono tutti gli altri? -
- Sono all’arena - rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo. - A quest’ora dopo cena si riuniscono tutti lì. Ci sono delle specie di duelli in cui si sfidano i soldati. Con una guerra in corso cerchiamo di trovare ogni minimo spunto per un po’ di svago. Andate anche voi se non siete stanchi. L’arena e laggiù. -
Indicò il luogo che avevano notato quando erano arrivati, uno spiano circolare circondato da gradinate.
Lyan e Heira si guardarono per un momento, nell’intento di decidere se accettare l’invito oppure declinarlo.
- Io non sono stanca - disse Heira rivolta a Lyan.
- Nemmeno io, - rispose - andiamo? -
I due percorsero tutto il viale che conduceva all’arena, dove praticamente, tutti coloro che stavano all’accampamento si erano radunati. Il luogo circolare era circondato da gradinate su cui erano seduti molti uomini, tutti guardavano cosa accadeva in basso, incitando e gridando.
Lyan e Heira presero posto su degli scalini piuttosto in basso e vicini all’arena. Al centro di questa, due uomini, con in mano scudo e spada, stavano combattendo. Uno di loro era sulla cinquantina e aveva già il fiatone. La spada che aveva in mano era scheggiata, a testimoniare i lunghi anni di guerra vissuti sul campo di battaglia. L’altro era un ragazzo giovane, avrà più o meno avuto un anno in più di Lyan, quindi due in più di Heira. Al contrario dell’uomo era ancora fresco come una rosa e non mostrava cenni di stanchezza.
Con un balzo il ragazzo scattò di lato scansando un fendente alla gamba destra, e a sua volta attaccò puntando alle mani dell’avversario. Sarebbe dovuto essere un combattimento amichevole, ma a un primo impatto poteva non sembrare una cosa per divertirsi.
- Sono bravi - commentò Lyan. Heira annuì.
I due continuarono a combattere, ma l’uomo più avanti con l’età sembrava davvero stanco, e quando scivolò all’indietro, il ragazzo gli puntò la sua spada alla gola e poi gli offrì una mano per rialzarsi.
Dalla folla si levò un boato di acclamazione e il comandante si alzò rivolgendosi a tutti. - Abbiamo un vincitore. - Scese poi nell’arena, prese la mano del ragazzo e l’alzò.
La folla continuava a gridare.
- Varen è il campione di questa sera. - Mostrò a tutti il vincitore.
Varen era un bel ragazzo, gli occhi blu sorridevano alla gente, mentre i capelli ribelli castano scuro ricadevano sulla fronte.
- Qualcuno vuole sfidarlo? - Il comandante si rivolse alla folla, lo spettacolo non era ancora finito e i soldati non si sarebbero stancati facilmente.
Qualcuno si alzò dalle gradinate e sgusciò velocemente di sotto, nell’arena. - Io lo voglio sfidare. -
Il comandante fece avvicinare chi si era proposto per combattere con Varen e Heira riconobbe il ragazzo che aveva servito loro la cena. Era vestito con degli stracci e i capelli lisci e neri erano unti e incollati alla fronte. Heira era piuttosto vicino all’arena e riuscì a vedere i suoi occhi sotto i capelli, ghiaccio. Per un momento le ricordarono quelli della veggente che avevano incontrato ad Acamar, ma quelli del ragazzo non erano vuoti e inespressivi come quelli della donna, i suoi erano pieni di dolore, troppo per un ragazzo della sua età.
Il comandante nascose un sorriso sotto la barba sfatta, ma gli altri soldati non si fecero problemi a deriderlo pubblicamente.
- Così abbiamo uno sfidante per il nostro campione. Il tuo nome? -
Il ragazzo si mise dall’altro lato del comandante rispetto a Varen. - Rigel. -
- Molto bene - disse. Poi si rivolse al ragazzo che aveva avuto tanto coraggio. - Sei sicuro? -
Rigel non rispose nemmeno e si avviò verso una rastrelliera piena di armi, prese una spada a una mano e mezzo e la impugnò con la mano destra. Poi si assicurò un piccolo scudo al braccio sinistro.
Il comandante ritornò al suo posto fra la folla, in mezzo agli altri, senza fare distinzioni fra capi e soldati semplici.
- Pronti? - I due nell’arena annuirono. - Bene, allora cominciate! -
I due cominciarono a camminare in tondo, squadrandosi e osservando i movimenti l’uno dell’altro. Varen che era più alto di Rigel cercava di intimidirlo ruotando la spada, ma lui non dava la minima impressione di essersi impressionato, era assolutamente impassibile e il suo sguardo era concentrato e deciso.
Quando Varen decise di attaccare per primo, l’altro si scansò leggermente a destra per evitare la sua spada. Sembrava quasi che non si fosse mosso, era calmo e rilassato. Rimasero immobili un altro momento, poi cominciarono a scambiarsi una serie di colpi veloci e precisi.
Rigel giocava tutto di polso, creando strane angolazioni e spostandosi di poco solo se non lo poteva evitare. Varen, invece, giocava tutto di gambe, balzando a destra e a sinistra, per confondere l’avversario, creando una specie di caotica danza.
Rigel parò un fendente al braccio destro con lo scudo che si ruppe a metà, per un soffio la spada di Varen mancò la carne. Rigel gettò di lato lo scudo distrutto e ormai inutile, Varen lo imitò, anche se il suo era completamente intatto. Era incredibile come quel ragazzo fosse sicuro di sé e delle sue capacità, pur di dimostrare la sua forza e il suo valore, decideva di combattere ad armi pari in ogni caso. Heira cominciò a pensare che la sua non fosse solo correttezza nei confronti degli avversari, ma anche un po’ di strafottenza.
Varen scattò in avanti verso Rigel, che scartò di lato e attaccò l’altro con un fendente alle gambe che fu parato con estrema abilità dalla spada di Varen. Quest’ultimo indietreggiò un attimo per riprendere fiato e anche Rigel ne approfittò. La folla acclamava entrambi i combattenti. Se all’inizio tutti avevano pensato che nel giro di qualche minuto Il ragazzo più giovane sarebbe stato sconfitto dal campione in carica, si stavano davvero ricredendo e facevano in tifo per entrami.
Lyan si voltò dove era seduto il comandante, aveva i gomiti poggiato sulle ginocchia e guardava concentrato lo straordinario e inaspettato duello fra quei due giovani ragazzi. Era stupito, come tutti, ma nei suoi occhi c’era anche una punta d’orgoglio. Lyan si chiese il perché, ma non trovò una risposta.
Rigel e Varen continuarono a combattere ancora, nessuno dei due riusciva a prevalere sull’altro. Quando cominciò a farsi buio, il comandante scese nell’arena e interruppe il combattimento.
- Io dichiarerei un bel pari merito - annunciò. Poi si rivolse verso la folla. - Voi che ne dite? -
Tutti si alzarono e cominciarono a gridare i nomi dei due ragazzi. Il comandante sorrise e dopo essersi congratulato con i due sfidanti andò via, avviandosi verso quella che doveva essere la sua tenda.
Rigel e Varen si strinsero la mano, e poi si avviarono verso le gradinate per uscire dall’arena. Mentre passavano fra i soldati, ricevevano in continuazione pacche sulle spalle e complimenti da parte di tutti.
Lyan e Heira andarono verso la tenda che era stata indicata loro. Ancora dentro non c’era nessuno, ma loro erano appena tornati da un lungo viaggio, che dalla capitale delle Terre di Nemunas, Derafest, li aveva portati fin di là dal confine con Dadasiana, per arrivare vicino alla città di Shedir, e ora erano lì, in quell’accampamento. Lyan pensò alla sua vita, a quella prima e dopo l’incidente che aveva avuto con suo padre, quel giorno che sembrava lontanissimo negli anni. Era in quel momento che era stato segnato uno stacco, un confine, fra il suo nuovo e vecchio sé. Anche per Heira era così, per lei però, il viaggio era stato più duro, oltre alle difficoltà che tutti incontrano in certe situazioni, lei aveva anche dovuto accettare la morte nei suoi più vari aspetti. Aveva perso suo fratello, ancora non capiva quale era il motivo di tutto questo. Forse la volevano punire per qualcosa che aveva fatto? Certo non era senza peccato, ma di certo c’era chi era peggiore di lei, e molte persone lo erano. Comunque c’è un momento nella vita che ti segna per sempre, che ti fa crescere in qualche modo e che non puoi ignorare. Quel giorno cominciava la nuova vita di Lyan e di Heira, una vita da persone libere.     
 

AVVISO IMPORTANTE PER I LETTORI:
Allora, tutta la prossima settimana (dal 17 al 23 giugno), andrò al mare, quindi per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po’ di più. Anche per le recensioni se non vi rispondo subito è perché sono via, comunque se recensite oggi stesso dovrei fare in tempo a leggerle, in ogni caso io torno il 23-24, quindi non vi preoccupate se per un po’ scomparirò ^^
Angolino dell’autrice:
Ciao a tutti! Lo so che in questo capitolo non succede molto e ci sono pochi dialoghi, ma è di passaggio…
Saluto Rachele!!!!!!!!!!!!!! Ciao!!!!!!!!!!!! E tutti gli altri che recensiscono, mi seguono o mettono fra le preferite e le ricordate. In particolare che ha recensito il capitolo scorso: _dirty_ice (la mia mitica Rachele ^^) e la grandiosa Water_wolf!!!!
Ok, non ho molto da dire, quindi alla prossima e spero vi sia piaciuto il capitolo ^^

Bianca

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Capitolo 12
*** Le conseguenze ***


12
Le conseguenze

La vita all’accampamento cominciava presto la mattina. Non era ancora l’alba e tutti erano già fuori dalle tende ad aspettare di cominciare a darsi da fare. Alcuni si allenavano, mentre i più giovani, ancora sotto la protezione di un maestro, si addestravano. Altri andavano a caccia oppure partivano per brevi ricognizioni, che non duravano mai più di un giorno, in campo nemico e nei territori circostanti.
Lyan e Heira si svegliarono insieme agli altri, aspettando di essere convocati dal comandante per ricevere ordini e soprattutto per parlare della condizione di Heira. Lei comunque non aveva dubbi: lei voleva combattere. Era una delle poche cose che le piaceva fare ed era intenzionata a battersi per ottenere ciò che voleva, non le importava se questo implicava anche mettersi contro l’intero esercito di Dadasiana. Il che era anche un paradosso, visto che lei voleva combattere per loro. In ogni caso non si sarebbe data per vinta per nessuna ragione al mondo. Era nel suo carattere, non è che ci potesse fare molto. Ognuno nasce com’è, ci si può migliorare, certo, ma sicuramente non cambiare.
Tutti gli uomini erano già occupati nelle loro mansioni quando venne da loro un attendente a comunicare che il comandante voleva parlare con i due ragazzi venuti dalle isole nelle Acque di Giura. Ancora non avevano detto i loro nomi, e il giorno prima erano stati attenti a pronunciarli fra di loro a voce bassa, ma comunque avevano sottovalutato la cosa. Era sicuro che non conoscessero il nome di Heira, ma tutti sanno qual è il nome del futuro re dei nemici. Se qualcuno avesse sentito il nome di Lyan, si sarebbe insospettito, non lo avrebbero ammazzato per come si chiamava, il principe non era l’unico in tutte le Terre di Nemunas e Dadasiana con quel nome (anche se molto probabilmente ce n’erano pochi), ma il comandante avrebbe avuto meno fiducia in loro.
Arrivarono alla tenda del comandante scortati dall’attendente che aveva passato l’invito. Entrarono con cautela.
- Prego, prego. Entrate. - La voce dell’uomo era profonda e calda, come avevano constatato il giorno precedente, non c’erano tracce di cattiveria o di sospetto, ma Lyan avrebbe giurato che non si fidasse ancora di loro, forse non lo avrebbe fatto mai.
Lyan e Heira si sedettero su due sgabelli di fronte al tavolo su cui stava un’enorme cartina delle Terre di Nemunas e di Dadasiana. La riproduzione era strabiliante, né Lyan né Heira avevano visto una carta così precisa e fedele, Reide, il re, avrebbe pagato moltissimo per un oggetto del genere.
- Vi ho chiamato qui - cominciò il comandante, - per discutere sui vostri compiti. -
- Sì - annuì Lyan. - Lo avevamo immaginato. -
- Molto bene. - Il comandante si alzò dalla sedia da cui stava ammirando i territori rappresentati sulla carta. - Prima però, una cosa. Non mi avete detto ancora i vostri nomi. -
- Lei è mia sorella Talin - Lyan indicò Heira, - ed io mi chiamo Siam. -
- Io sono il comandante, e questo vi basti, non v’importa conoscere il mio nome. - Mise le mani intrecciate dietro la schiena, tirando in fuori il patto, orgogliosamente. - Bene, ora che abbiamo fatto le conoscenze direi di cominciare. - Si risedette sulla grande sedia. - Prima di tutto voglio sapere la vera ragione per cui siete venuti qua. -
Heira scoccò un’occhiata a Lyan e cominciò a parlare. - Le isole da cui veniamo sono neutrali, sia voi sia le Terre di Nemunas cercano di abbonirsi e di corrompere la gente affinché combattano per loro. Molti del nostro villaggio hanno attraversato il mare e sono andati alla capitale, Derafest, per arruolarsi con le Terre di Nemunas. - Fece una pausa, prendendo respiro. - Anche la nostra famiglia ha sempre pensato che Reide avrebbe vinto la guerra, anche nostro padre a un certo punto ha pensato di abbandonarci, poi ha cambiato idea, non sappiamo il motivo. Comunque da quando avevamo circa otto anni, andavamo tutti i giorni da un maestro, ci ha insegnato a leggere e scrivere, e poi a usare una spada. Era un esiliato di Dadasiana. Ci parlava sempre delle bellissime terre in cui abitava, prati verdi di cui non si vede la fine, montagne così alte che si confondono con il cielo e castelli così grandi da poter ospitare un esercito intero. Ci hanno sempre affascinato le sue storie, e quando siamo cresciuti, ha anche cominciato a parlarci della guerra e lui ci ha indirizzato dalla parte giusta. A dire la verità ho sempre pensato che in una guerra non ci sono i buoni e i cattivi, c’è sono chi combatte per la libertà e chi per il potere. Agli uomini non resta che scegliere, e noi abbiamo scelto la libertà. -
Le parole di Heira non erano tutte frutto della fantasia, molto di quello che aveva detto, era vero. Anche la storia dell’esiliato che raccontava favole bellissime l’aveva letta in un libro. Era anche vero che loro avevano scelto la libertà.
Il comandante la guardò un istante, come per capire se stesse dicendo la verità. Parve convincersi.
- Va bene, vi credo - sospirò. - La cosa più importante che vi devo chiedere è però, se sapete combattere. Le armi con voi ce le avete, ma non è detto che le sappiate usare. Non possiamo perdere tempo ad addestrare dei ragazzi, è vero che la guerra è ferma a un punto di stallo, le forze dei due eserciti si equivalgono e non c’è modo di decidere un vincitore. In ogni caso, come ho già detto, non voglio perdere tempo. -
- Come vi ha detto mia sorella - rispose Lyan, - il maestro che ci ha seguiti ci ha insegnato anche a combattere. -
- Resta il fatto che lei è una donna. Di norma non prendiamo nel nostro esercito delle donne. In fondo non ci sono richieste, se non qualche eccezione fra gli arcieri. -
Il comandante guardò la ragazza, che gli rispose. - Io non voglio fare l’arciere. So usare l’arco, certo. Ma preferisco usare la spada e stare sul campo di battaglia, non nelle retrovie con un arco in mano. -
Il comandante si lisciò la barba sfatta, pensieroso. - Hai le idee chiare. - commentò. - Non lo so. -
- Posso mostrarvi come combatto - propose Heira.
- Forse, ma io ho un’altra idea. Ti affiderò a un soldato, che ti seguirà in tutte le cose che farai. Dopo un periodo di prova decideremo se sei o no in grado di combattere. -
Heira annuì decisa. - Non vi deluderò. -
- Per quanto riguarda il ragazzo, Siam, vero? - Lyan annuì. - Stasera ti batterai nell’arena con il campione, se lo batterai considerati entrato a far parte dell’esercito di Dadasiana. -
- Posso chiedere chi è il campione? - domandò. - Ieri siamo venuti all’arena e lo scontro è terminato con un pari merito. -
- Lo scoprirai stasera - mormorò. - La ragazza comincerà domani. Oggi giornata libera. -
Lyan e Heira uscirono dalla tenda del comandante, entrambi piuttosto soddisfatti. Heira era un po’ scocciata per il fatto che le avrebbero affidato una specie di controllore, una balia come si fa con i bambini piccoli, comunque avrebbe dimostrato quanto valeva. Lyan sperava con tutto se stesso di vincere nel duello con il campione, e anche se non sapeva con chi avrebbe combattuto, partiva avvantaggiato. Aveva visto entrambi i ragazzi combattere la sera prima e conosceva il loro stile, questo era un buon inizio. A dire la verità non sapeva con chi avrebbe preferito combattere, se Varen, che giocava d’agilità ed era perennemente sull’attenti con i muscoli pronti a scattare o Rigel, che invece aveva anche una corporatura minore, era comunque molto abile e combatteva tranquillamente senza muoversi troppo e giocando d’astuzia. Lyan era comunque fiducioso nelle sue capacità, non aveva la presunzione di vincere di sicuro, ma non si preoccupava troppo.
Lyan e Heira ritornarono alla loro tenda, che era vuota, per riposare un po’. Entrambi si distesero sui loro letti.
- Sei nervoso? - chiese Heira. - Per stasera intendo. -
- Un po’. Ma ho visto come combattono entrambi i possibili campioni, e so come si muovono. Parto avvantaggiato. -
- Certo, hai ragione. Ma se non ti concentri, puoi anche aver imparato le loro mosse a memoria, non ti servirà a niente. -
- Ora mi vuoi anche dare lezioni? - domandò Lyan sorridendo.
Heira fissava la sommità della tenda senza che il suo viso tralasciasse emozioni. - No, era solo un consiglio. -
Lyan si girò verso di lei per capire se si era offesa, ma non riuscì a decifrare la sua espressione. Da quando la conosceva, ormai più di un mese, per lui era sempre stato difficile capire cosa pensava, ma da quando Disie era morto, la cosa era diventata ancora più difficile. Il suo volto era sempre una maschera indecifrabile che non trasmetteva niente. Lyan non capiva perché lo facesse. Certo, la morte del fratello era ancora recente, e aveva bisogno di tempo, ma come aveva già capito, qualcosa in lei era cambiato, per sempre.
Dopo un po’ Heira si addormentò, ma Lyan rimase tutto il tempo sveglio, non riusciva a prendere sonno.
Quando il sole fu al suo apice, il ragazzo svegliò delicatamente Heira, per andare a mangiare. La tenda in cui avevano cenato la sera prima era semivuota, solo alcuni posti erano occupati. Molti erano andati fuori, per diverse ragioni e all’accampamento rimaneva solo circa la metà degli uomini. Questo era rischioso in caso di attacco, ma necessario.
Si sedettero in disparte, dopo aver fatto la fila per prendere la zuppa. Tutti li guardavano e borbottavano fra di se. La sera prima quasi nessuno si era accorto del loro arrivo, ma la mattina, appena alzati, li avevano notati.
Arrivò anche il comandante, che mangiava in mezzo ai suoi uomini. A metà pasto si alzò e sia avvicinò a Heira e Lyan.
- Abbiano due nuovi arrivati - annunciò alla folla. - Ancora non è sicuro che rimangano qui con noi, ma intanto diamo loro il benvenuto. -
Gli uomini cominciarono a battere i pugni sui tavoli, in segno di benvenuto, ma tutti erano incuriositi dal fatto che fra loro ci fosse una ragazza. Nessuno aveva mai visto una donna vestita in quel modo e tantomeno con delle armi addosso, ma Heira notò che gli sguardi che riceveva non erano carichi d’odio o di sospetto, erano semplicemente occhiate curiose. Era sicura che se avesse fatto richiesta di entrare nell’esercito delle Terra di Nemunas la sua richiesta sarebbe stata immediatamente respinta, e in caso contrario le occhiate sarebbero state solo di disprezzo.
Lyan e Heira ricominciarono a mangiare facendo finta di nulla, non volevano attirare tutte le attenzioni su di sé.
- Posso? - I due si riscossero. Dietro di loro c’era il ragazzo che la sera prima aveva servito loro da magiare. Indicava il posto vuoto accanto a Heira.
- Certo - rispose.
Lyan gli sorrise. - Sei Rigel, vero? -
- Sì, sono io. -
- Bene - disse Lyan. - Lo sai che probabilmente noi stasera dovremo combattere? -
Il ragazzo lo guardò con aria stupita. - Davvero? -
Lyan annuì. - Il comandante ha detto che posso entrare nell’esercito solo se batto il campione - spiegò. - Ma non mi ha voluto dire se dovrò combattere con te o con l’altro. -
- Varen, è l’altro. -
- Sì, lui. -
- Sarebbe un piacere combattere con te - disse Rigel rivolgendo un sorriso a Lyan. - Come te la cavi? -
- Ma la cavo. -
- E tu? - chiese a Heira.
- Io sono Talin -, poi indicò Lyan. - Lui è mio fratello Siam. -
- Piacere di conoscervi. Il mio nome è Rigel, ma questo lo sapevate già. -
- Ti posso fare una domanda? - Heira era curiosa di sapere cosa ci facesse lì quel ragazzo. Lui annuì mentre cominciava a mangiare.
- Qual è il tuo ruolo qui? Cosa ci fai in questo posto? -
Rigel la guardò. - Ero il figlio del precedente comandante di questo accampamento. Lui è morto poco tempo fa in battaglia, e mia madre è morta di parto. Così io sono rimasto qui, ci sono cresciuto in mazzo alla guerra. Mio padre mi ha insegnato a combattere, ma non l’ho mai detto a nessuno, non so perché. Ecco il motivo per cui ieri sera erano tutti così stupiti. Io sono sempre stato quello che vaga per l’accampamento senza fare nulla. In effetti, è vero, ma nessuno mi prende sul serio ed io faccio quello che voglio. -
- E allora perché ieri ci hai dato tu da mangiare? - domandò la ragazza.
- Ho chiesto io di farlo - spiegò. - Ero solo curioso di vedere i nuovi arrivati dalle terre neutrali. -
Lyan e Heira si guardarono, colpiti dal fatto che due ragazzi suscitassero questa curiosità.
- E perché non sei nell’esercito? - continuò Heira.
- Il comandante era un caro amico di mio padre, il più caro forse. Prima di morire gli ha fatto promettere di proteggermi a costo della vita e di non mandarmi in battaglia, per nessuna ragione al mondo. -
- Se potessi, ci andresti? - Questa volta fu Lyan a fare una domanda.
- Non lo so. Forse sì, per vendicare mio padre. -
I tre ragazzi continuarono a parlare per tutto il pasto, quando poi ebbero finito Lyan e Heira salutarono Rigel.
- Ci vediamo stasera allora - disse loro. Lyan alzò la mano in cenno di saluto, e Heira fece lo stesso.
- è simpatico quel ragazzo - commentò Lyan.
- Sì - si limitò a rispondere Heira.
- Ed è davvero bravo con la spada. Certo, il suo insegnante è stato un comandante dell’esercito. -
Lyan si voltò per guardare Heira. Lei si teneva l’avambraccio sinistro.
- Heira, stai bene? -
- Mai stata meglio. - Fece finta di niente e tolse la mano dal braccio che poco prima si teneva. La mano era rossa.
- Heira, cosa hai fatto? - chiese Lyan severo.
- Ho detto che non è niente, è solo un graffio - rispose lei.
Lyan la bloccò lì, dove erano, le prese il braccio e le tirò su la manica della casacca di lino verde che portava da quando erano partiti. In un punto l’indumento era strappato e rosso di sangue. Sotto la stoffa si apriva un taglio, non molto lungo, ma profondo. Dai labbri della ferita usciva una sostanza giallognola.
- Heira, ma sei pazza?! Perché non hai detto niente? - Lyan era arrabbiato, e gridava.
- Non volevo creare problemi. E poi all’inizio non sembrava niente di ché. L’altro giorno però ha cominciato a fare più  male e credo ci sia un’infezione. -
- Te lo sei fatto il giorno che ci hanno trovato i soldati del re? - La voce di Lyan si stava calmando.
Heira annuì, mentre il ragazzo guardava ancora la ferita.
- Come ho fatto a non accorgermene? - si domandò Lyan. - Come ho fatto a non vedere il sangue? -
- Ho cercato di non darlo a vedere. E poi non era la cosa più importante il quel momento. -
Heira si riferiva alla morte del fratello. Il dolore era talmente tanto che non si era nemmeno preoccupata di curarsi le ferite.
- Dobbiamo andare da un guaritore o da qualcuno che sia in grado di medicare la ferita - commentò Lyan.
Poi prese Heira per la mano. – Vieni - le disse, - Cerchiamo Rigel, ci faremo dire da lui dove possiamo andare. -
Per fortuna da quando si erano salutati, Rigel non era andato molto lontano e lo trovarono quasi subito.
Lyan spiegò la situazione al ragazzo, e lui li accompagnò fino a una tenda, dove venivano curati i feriti in battaglia.
- In questo periodo non c’è molta gente - spiegò. - La guerra è ferma e i feriti non sono molti. -
Lyan e Heira entrarono dentro, mentre Rigel li aspettava fuori.
La tenda era grande, forse una delle più grandi, insieme al refettorio. C’erano più di cinquanta brandine per ospitare i feriti, di queste solo sei erano occupate.
Un uomo piuttosto anziano venne loro incontro, indossava una lunga tunica nera con un fregio strano giallo sul petto.
- Come posso esservi utile? - chiese gentilmente hai ragazzi.
- Mia sorella - cominciò Lyan, - si è ferita qualche giorno fa, ma non ha voluto farsi curare. -
Heira mostrò il braccio sinistro all’uomo che la fece accomodare su una sedia.    
- Siete un guaritore? - chiese Heira mentre l’uomo le guardava la ferita.
- Cerco solo di aiutare la gente. Anche mio padre e suo padre studiarono le erbe mediche, questo è uno dei soli metodi efficaci per guarire. - Continuò a guardare la ferita della ragazza.
- Allora? - chiese impaziente Lyan. L’uomo lo ignorò.
- Quando ti sei ferita? - chiese a Heira.
- Qualche giorno fa, non ricordo esattamente. Forse sono sei giorni. -
- E quando è cominciata l’infezione? -
- Non sono un’esperta in questo campo. Comunque la ferita è in questo stato da due giorni, non di più. -
- è una brutta infezione, e la ferita non era di certo da sottovalutare. -
L’uomo prese un panno e lo bagnò con uno strano liquido verde.
- Farà un po’ male - avvertì Heira.
Cominciò a pulire la ferita con delicatezza mentre Heira stringeva i denti per il dolore. Se in quei giorni la ferita le aveva dato delle fitte acute, quella sostanza con cui l’uomo la stava pulendo provocava un bruciore insopportabile, come fosse fuoco vivo.
Poi l’uomo prese una ciotola di legno e delle foglie scure, e cominciò a impastarle con lo stesso liquido che aveva usato per pulire la ferita. Spalmò il composto sul taglio e infine lo fasciò con bende di lino bianche.
- Avresti dovuto farti curare prima. Non è la ferita che è grave, ma l’infezione è stata trascurata. Ti senti per caso la febbre? - L’uomo sentì la fronte della ragazza, aspettando una risposta.
- No, non credo - rispose lei incerta.
- La fronte brucia - mormorò pensieroso. Si pulì le mani su uno straccio. Lyan era al fianco di Heira con il volto teso.
- Tu sei? - chiese rivolto a Lyan.
- Il fratello - rispose secco.
- Portala a letto, deve riposare, ha la febbre. Stasera prima che venga servito da mangiare riportala qui. -
- Va bene. -
Lyan prese di nuovo la mano di Heira, che però scansò. Lei si alzò ed entrambi tornarono alla tenda.
Come si aspettavano era vuota. Heira si distese sul suo letto. In effetti, ora che la guardava, Lyan notava che era più pallida del solito, e lì, distesa sul letto tremava.
Lyan si sedette sul suo letto accanto a quello di lei.
- Come va? -
- Quante volte te lo devo ripetere che non sono mai stata meglio? -
Lyan sorrise. - Dovevi dirmelo che ti eri ferita e che non stavi bene. L’ho capito che sei un tipo orgoglioso, ma quanto è troppo, è troppo. -
Heira si voltò verso di lui. - Fino a poco fa stavo meglio. Cosa mi ha dato quell’uomo? -
- Non ti preoccupare, è solo una tua impressione. -
- Come no - commentò sarcastica.
- Dai riposati. Hai sentito cosa ti ha detto. -
- Sembri mia madre. -
Lyan in quel momento l’ammirò. Heira era forse la persona più forte che avesse mai conosciuto. Nessuno l’avrebbe mai potuta demoralizzare. Nonostante dalla morte del fratello fosse molto più fredda, riusciva a parlare della madre morta, come se fosse ancora viva. Lyan non sarebbe mai riuscito a fare una cosa del genere, e lui sua madre non l’aveva nemmeno mai conosciuta.
- E tu una bambina viziata - le rispose.
- Certo, come vuoi tu. - E poi si voltò sul fianco dando le spalle a Lyan.
- E dai! Stavo scherzando! -
Heira si rigirò dall’altra parte, per guardarlo in faccia. - Allora stasera - cambiò in fretta discorso, - scopriremo chi è il più bravo e forte fra te e il loro campione. Mi dispiace, ma non credo proprio di essere in grado di venire. Non so ancora come ho fatto a far finta di niente per tutto questo tempo. -
- Non importa, dirò al comandante che si farà un’altra volta. Non voglio privarti dello spettacolo. -
- Lo spettacolo di te che vieni sconfitto e umiliato? - Nonostante stessere scherzando entrambi, sul volto di Heira non c’era la traccia di un sorriso.
- Forse… - disse. - In ogni caso voglio che ci sia anche tu. -
- Fa come vuoi - commentò lei. - Se preferisci stare qua, la scelta è tua. -
- Se non dispiace a te. -
Heira scrollò le spalle, emettendo un gemito quando una fitta la braccio la colpì.
- Ora dormi, non vorrai mica che ti amputino il braccio? -
- Non penso di essere così grave, e se non la smetti, sono perfettamente in grado di prendere in mano una spada e ti tagliarti la testa. -
- Allora mi dovrò attrezzare anch’io. -
Heira chiuse gli occhi e Lyan rimase lì con lei mentre dormiva.
Il pomeriggio passò e venne l’ora di svegliare Heira per portarla dal guaritore.
Lyan chiamò piano il suo nome, ma lei non si svegliava. La scosse, cercando di stare attento a non farle male al braccio, ma lei continuava a dormire.
- Heira - continuava a ripetere scuotendola.
La sua fronte era coperta da tante goccioline di sudore e le bende da bianche erano diventate rosso scure.
Lei continuava a non svegliarsi e Lyan corse alla tenda del guaritore, sperando che lui sapesse cosa fare.
 
 
   
AVVISO IMPORTANTE PER I LETTORI:
Per il prossimo capitolo dovrete aspettare un po’… Vado in vacanza e ho deciso di non portarmi dietro il computer. Se mi muovo dovrei aggiornare il 19/20 luglio. Lo so che c’è molto, ma non ci posso fare niente.
Mi dispiace per il disagio ^^

Angolino dell’autrice:
Ed eccoci al capitolo 12. Lo so che sono una bastarda, faccio soffrire tutti come cani. Mi sento uno straccio anche io certe volte, ma questa è la mia storia gente ^^
Scherzi a parte, come vi è sembrato?? Lo so che non succede molto, ma sono capitoli di passaggio… Fra un po’ le cose si movimentano!

Ringraziamenti:
Come sempre ringrazio tutti, chi recensisce, chi mette fra le preferite, le seguite, le ricordate, e anche chi legge e basta.
Oggi ringraziamenti speciali vanno:
A _dirty_ice  , ormai lo sapete meglio di me: come farei senza di lei? Non farei, semplicemente. Aspetto il giorno in cui comincerò a scrivere come lei. Grazie per tutto Rachy ^^
A DanCar  , che da poco a cominciato a leggere la mia storia, spero ti piaccia ^^
A Water_wolf, grazie ^^
Alla prossima,

Bianca ^^



    
 

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Capitolo 13
*** Scegliere di combattere ***


Grazie Rachele, senza di te questo capitolo non esisterebbe…


13
Scegliere di combattere

Era tutto buio. Solo una piccola lama di luce proveniva da un luogo che sembrava troppo lontano da raggiungere. Heira cominciò a camminare fino a quando arrivò a quella che sembrava la fine. Davanti a lei si apriva un precipizio, non riusciva a capire quanto potesse essere profondo e tantomeno non ne riusciva a vedere la fine. Forse non ce l’aveva una fine. Si voltò e ripercorse il tragitto che aveva già fatto.
Cercò con lo sguardo la lama di luce, ma non c’era più, ora l’oscurità riempiva ogni singolo angolo.
Si accoccolò per terra, quel luogo le era familiare, ma non sapeva spiegarsi il come e il perché.
Le lacrime cominciarono a scivolare una dopo l’altra sulle guance candide della ragazza. I lunghi capelli castani le coprivano il viso nascosto fra le ginocchia.
Non capiva, era morta? Non lo sapeva, non riusciva nemmeno a ricordare come fosse finita in quel posto. Il suo ultimo ricordo era il volto di Lyan che vegliava su di lei mentre si stava addormentando. Allora forse era un sogno! Probabile, ma l’unica ipotesi che stava davvero contemplando era quella della morte.
In quel caso sarebbe stata tutta colpa sua, se avesse detto che era stata ferita e si fosse lasciata curare prima ora sarebbe stata ancora viva e vegeta. Era tutta colpa sua se ora Lyan avrebbe dovuto affrontare tutto da solo, senza nessuno, era colpa sua se suo fratello era morto, era colpa sua anche la morte della madre.
Forse, se era davvero morta, infondo non era poi tanto male, nella vita non aveva fatto niente di buono.
Aveva vissuto da ricca (anche se la cosa non le era mai importata), senza capire certe volte il vero senso della vita. Aveva imparato a combattere, ma in fondo a cosa le era servito se poi non aveva saputo difendere il fratello e ora era morta solo per un capriccio? Era troppo orgogliosa, lo sapeva, ma cosa potava farci? Lei era così. Una Heira non orgogliosa non sarebbe stata Heira. 
Forse però una scelta giusta l’aveva fatta nella sua breve vita: aveva scelto la libertà. E di ciò non si sarebbe mai pentita.
Si rialzò alla ricerca di qualcosa. A dire la verità, la morte se l’era sempre immaginata così, il niente assoluto, un luogo buio dove le anime vagano rimpiangendo quello che hanno fatto nella vita, ripensando a tutte le azioni brutte che hanno fatto e a tutte quelle buone che avrebbero potuto fare e che non hanno fatto.
Questo era proprio ciò che Heira stava facendo, scandagliare i ricordi di sedici anni e pesarli su una bilancia, per capire quanto di bene e quanto di male avesse fatto. Per ora la bilancia immaginaria pendeva più dalla parte del male.
Un passo a destra, tre avanti, altri due indietro. Sarebbe potuta andare avanti così all’infinito, senza mai stancarsi, era come se il tempo si fosse fermato e il suo peso non gravasse sulle sue spalle. Non era come da viva, quando non vedi l’ora che qualcosa finisca o vuoi che qualcos’altro non termini mai, no, lì il tempo scorreva e non scorreva, era ma non era, semplicemente sarebbe stato inutile. Perché la morte dura per sempre, no?
Davvero, la morte in quel momento non le faceva paura, lei sentiva di meritarsela.
C’era solo una cosa che le faceva male e che le impediva di abbandonarsi completamente a quella condizione: Lyan.    
Non era da tanto che lo conosceva, ma come aveva constatato più di una volta nel tempo in cui erano stati insieme, era come se lo conoscesse da sempre. Lyan per lei era un libro aperto, sapeva sempre quello che pensava, se era felice o triste, se era pensieroso oppure se era sereno. Non se lo sapeva spiegare bene nemmeno lei, ma era così, e certe cose non hanno bisogno di spiegazioni.
Sua madre, quando aveva cominciato a stare male, prima di morire, glielo disse una volta: la cosa più difficile della morte è lasciare le persone che si ama, sapere che soffriranno per te e che tu lo farai per loro. Solo in questo momento Heira capì cosa veramente voleva dire.
Non le era rimasto niente da perdere, se non Lyan.
- Heira… - Le era arrivato come un sussurro, una parola mormorata nell’orecchio.
Si girò di scatto per vedere chi era stato a parlare. Si trovò davanti ad una donna, non più giovane, ma dai tratti si capiva che doveva essere stata bellissima.
- Chi sei? – chiese Heira.
La donna non rispose e si limitò a sorridere. Non c’era bisogno di dire chi fosse quella donna, Heira lo sapeva, era Seheiah.
Heira continuò a fissarla per un po’, poi si decise a parlare.
- Dove sono? -
- Tu dove pensi di essere? -
Heira si girò intorno, lei era morta, o no?
- Io… – si bloccò. – Non lo so. Sono morta? -
- Vorresti? -
- Non vorrei essere scortese, ma rispondere a una domanda con un’altra domanda non mi è per niente d’aiuto. -
- Sì, hai ragione – Seheiah fece due passi all’indietro e poi si sedette su una sedia, poi fece cenno alla ragazza di voltarsi, anche per lei c’era una sedia.
- Quindi? – insistette Heira. – Sono morta? -
- Non posso dirti questo cara, – sospirò – Non è nei miei compiti. -
- Capisco – abbassò la testa. – E cosa, se posso chiedere, rientrerebbe nei vostri compiti? -
- Niente di chè, e poi la cosa varia da persona a persona. -
- E con Lyan? – domandò titubante. – Con lui qual era il vostro compito? -
- Dammi pure del tu. Con Lyan? Non potrei dirlo, ma visto che ormai la missione è stata portata a termine, con te farò un’eccezione. – Si mise seduta più comodamente. – Io avevo il compito di aiutare Lyan a trovare te. -
- Mi aveva accennato a qualcosa del genere. Ma perché io? -
- Perché tu? Ci sono, nella vita, delle domande che non dovremmo mai fare, perché non ci conviene conoscere la risposta, questa è una di quelle. Io so che tu vorresti sapere tutto e subito, ma non conviene, non conviene mai ricevere troppe informazioni tutte insieme. Comunque se hai delle domande, vedrò a quali posso rispondere. -
Heira pensò un momento. Non sapeva quanto tempo ancora poteva stare là, quindi scelse una domanda con cura.
- Quando eravamo ad Acamar, siamo stati da una veggente, ha letto la mano a Lyan e ha avuto una strana reazione, era terrorizzata. Sai dirmi cosa significano le linee sulla mano di Lyan? -
- Sì, ma prima mi devi fare una promessa, siamo d’accordo? -
- Assolutamente – annuì decisa Heira.
- Devi promettermi che non dirai una parola a Lyan prima che abbia portato a termine la sua missione. -
- Lo prometto. -
- Come vi ha già detto la veggente, le linee sulla mano di Lyan formano un triangolo, un triangolo perfetto, con tutti i lati uguali. – Fece una pausa. – Gli Antichi, prima che il primo re s’insediasse sul trono delle Terre di Nemunas e prima che la prima regina cominciasse a governare Dadasiana. Tu sai che Dadasiana ha sempre avuto delle regine e mai dei re? -
Heira annuì, e Seheiah ricominciò.
- Dicevo, gli Antichi credevano che il triangolo rappresentasse la perfezione, gli uomini dei due grandi regni, Nemunas e Dadasiana, ma soprattutto Nemunas, adottò questo simbolo ma per loro era il male. In realtà fu solo una scusa per cacciare gli Antichi e occupare le loro terre, in pratica li accusarono di essere il male. Da quel momento il simbolo ebbe una storia travagliata, per un periodo si adottarono le credenze degli Antichi, e quindi fu simbolo di bene, ma dopo poco tutto si rovesciò e così fino ad oggi. -
- E ora? – chiese Heira. – Che cosa rappresenta? -
- A causa della sua storia ora rappresenta le due facce, il bene e il male. Chi ne porta addosso il segno ha come una doppia anima, una buona e una malvagia, alla fina una prevale sull’altra, ma nella storia sono stati più gli episodi in cui è prevalso il male. Anche l’Elsa della Pace ha influito in tutto questo, il tempo che è stata al suo posto prevaleva il bene su chi portava il marchio. -
- Ma ora non sappiamo nemmeno dove è l’Elsa! – esclamò Heira.
- Esatto. Tu devi aiutare Lyan nella sua missione, e fare in modo che il male non prevalga in lui. -
- Come? – chiese la ragazza ormai frustata e sconsolata.
- Questa è una domanda a cui non posso rispondere. -
E poi se ne andò e con lei le sedie su cui erano state fino a quel momento, e così Heira cadde per terra, dove rimase.
Certo che quella donna non le era stata molto d’aiuto, anzi, le aveva confuso ancora di più le idee.
Se non era morta, e a quel punto non lo pensava più come prima, ma non ne era nemmeno certa, come faceva a vivere sapendo qual era il destino di Lyan e non potergli dire niente?
Non era certa di potercela fare, il peso era troppo, forse un giorno non ce l’avrebbe fatta più e gli avrebbe detto tutto. Lo sapeva di aver fatto una promessa, e lei odiava non mantenere le promesse, ma questo era davvero tempo. Come si fa a nascondere una cosa del genere a una persona per cui si darebbe la vita?
Heira si distese su quel pavimento gelido. Era ancora tutto buio, solo quando c’era stata Seheiah c’era stata un po’ di luce, ma era lei che emanava la luce e quando era andata via, era tutto ritornato oscuro, forse più di prima.
Il suo corpo tremava, l’oscurità era davvero gelida, non si sentiva quasi più il braccio su cui si era distesa lateralmente. Si rese conto solo in quel momento di essere completamente nuda. Istintivamente si coprì raggomitolandosi per terra, ma non c’era anima viva in quel luogo e quindi si rilassò un po’.
Lungo la schiena le correvano tanti brividi, le gambe e le braccia erano intorpidite.
Come un richiamo si sentì trascinare verso il basso, là era tutto più caldo e luminoso, per un momento pensò di abbandonarsi, poi capì.
Il vuoto verso cui si stava lasciando era l’eternità della morte.
Cercò di rialzarsi in piedi, no, lei non voleva morire, lo aveva capito solo ora quanto preziosa era la vita.
Anche se la morte sarebbe stata una liberazione, certe volte si deve rinascere dalle nostre ceneri, credere in se stessi e diventare una persona nuova, diventando tutto quello che si vuole essere e combattere per esserlo (cit.). Perché lasciarsi il passato alle spalle e andare avanti può far paura, ma anche se il mondo a volte è cattivo, per quanto possa farti male, non potrà mai portarti via quello che sei, mai.


 
Angolino dell’autrice:
Salve a tutti. Come procede l’estate??
Lo so che il capitolo è corto, ma volevo che ci fosse solo Heira, e questa è la lunghezza che deve avere. Questo non è un capitolo come gli altri, ed è stato strano scriverlo. Avrei potuto anche procedere senza, infatti all’inizio avevo pensato di fare così, ma ho cambiato idea.
Mai come questa volta scrivere mi ha fatta pensare e riflettere, ed è questo che volevo trasmettere, spero di esservi riuscita.
Alla fine ho messo una citazione, vi dirò la prossima volta di chi è, prima voglio vedere se qualcuno la conosce (Rachele non dire niente!!!! Hai capito a cosa mi sono ispirata per il capitolo e perché senza di te non ci sarebbe stato?????).
Salutiamo King che è ritornato fra noi!! Grazie anche a te e a tutti quelli che recensiscono e leggono silenziosamente (la lista dei nomi la lasciò alla prossima volta).
Vi lascio ^^
Alla prossima,
Bianca (Bembi) 

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Capitolo 14
*** Il drago ***


14
Il drago

Nemmeno il guaritore aveva capito cosa le fosse successo. In meno di un giorno la situazione era completamente degenerata. La mattina stava piuttosto bene, anche se continuava a fingere che non fosse successo nulla. Dopo che Lyan aveva scoperto tutto, era ancora piuttosto in forma, ma quando si era addormentata e lui non era riuscito più a svegliarla aveva temuto per il peggio.
Era corso dal guaritore dell’accampamento, che aveva chiesto al ragazzo di portare Heira subito da lui. Le aveva tolto le bende completamente impregnate del suo sangue e aveva scoperto che l’infezione non stava che peggiorando.
La febbre era salita e Heira grondava sudore freddo, non si riusciva a capire cosa avesse.
Lyan era stato tutto il tempo con lei, anche se non poteva fare altro che vegliarla, se così si poteva dire. Era passata anche la notte e Heira continuava a non svegliarsi. L’alba non si fece attendere e a quel punto erano tutti davvero preoccupati.
Il comandante aveva concesso a Lyan di rimandare il duello con il campione, anche se ancora non sapeva con chi avrebbe dovuto combattere. Come se in quel momento facesse qualche differenza.
- Ragazzo – era il guaritore, - vatti a fare un giro, è da troppo tempo che sei qui. Se la ragazza ha qualcosa di contagioso, finirai per ammalarti anche tu. -
- Va bene – mormorò, - vado. -
Lyan si alzò dalla sedia che il guaritore gli aveva dato, per non dover stare seduto sulla brandina che aveva dato a Heira, e uscì.
Il sole era alto nel cielo, e in giro non c’era anima viva. Sono tutti a mangiare, pensò.
Ma lui non aveva fame. Nella bocca dello stomaco aveva come un macigno che gli impediva anche di deglutire e tanto meno di mangiare.
Cominciò ad aggirarsi per il campo deserto. Non aveva ancora notato quanto fosse grande. C’erano davvero tante tende montate su quell’erba morbida.
Continuò a camminare fino ad arrivare all’entrata dell’accampamento. Rimase lì qualche momento, nel tentativo di decidere se uscire e continuare a camminare, oppure tornare indietro per vedere se Heira si era svegliata. In effetti, non sapere cosa stesse succedendo a Heira gli dava uno strano senso d’ansia, ma di sicuro fare altri due passi l’avrebbe aiutato a schiarirsi le idee.
Fece cenno alla guardia dell’ingresso di aprire la porta e uscì.
Anche se l’estate stava per finire quella giornata era davvero calda e la presenza di soli pochi alberi non dava nemmeno riparo dai raggi cocenti. Non che questo desse fastidio a Lyan. Era cresciuto in una delle città più fredde di tutte le Terre di Nemunas, e un po’ di calore sulla pelle non gli dispiaceva mai.
Dopo essersi allontanato sufficientemente dall’accampamento, scelse uno dei pochi alberi che c’erano lì intorno e vi si sedette sotto.
Cominciò a strappare i fili d’erba cercando di liberare la mente e di non pensare a nulla, ma considerando che non pensare a niente è impossibile, il tentativo finì in una specie di buco nero.
Si abbandonò frustrato all’albero che aveva dietro la schiena e quasi si addormentò, quando sentì un rumore.
Si alzò di scatto ed estrasse la sua spada dal fodero. Ma la rimise quasi subito al suo posto quando capì di cosa si trattava.
Un’ombra si stagliò nella radura in cui era Lyan, e una figura possente si poggiò sull’erba.
Lyan si avvicinò lentamente al drago. Da quanto aveva detto Heira, il drago aveva scelto lui, e solo lui, quindi non avrebbe dovuto fargli del male. Fece qualche passo, fino a fermarsi esattamente davanti al drago.
- Eccoti. – Non sapeva se il drago riuscisse a capirlo, ma comunque tentò.
Fu un secondo. Una calda sensazione alla pancia lo avvolse. Non capì subito di cosa si trattasse, ma quando alzò la testa verso l’animale, comprese che quella non era stata una sua reazione, era come se il drago avesse trasmesso la sua euforia a Lyan attraverso una sensazione calda allo stomaco.
- Sei stato tu? – chiese.
Il drago come per rispondere piegò la testa di lato. Lyan sorrise.
- Capisci quello che dico? -
Il drago piegò la testa dall’altro lato.
- Va bene – disse. – Lo chiederemo a Heira quando si sarà svegliata. –
Rimasero lì, l’uno di fronte all’altro per un tempo indefinito, a studiarsi.
Poi Lyan si avvicinò ancora, tese la mano avanti e accarezzò il muso dell’animale. Un’altra ondata calda lo investì.
- Non avrai nulla in contrario se… - Si bloccò a metà frase. – Nel senso, - riprese, - va bene si ti monto in groppa e facciamo un giro. -
Si rese conto solo qualche secondo dopo di quello che aveva detto. Il drago ruggì al cielo e si abbassò.
- Va bene. Abbiamo avuto la stessa idea. -
Lyan montò in groppa al drago, non senza difficoltà. Anche se si era abbassato, era comunque alto.
Il drago voltò la testa verso Lyan, come per vedere se fosse tutto apposto, poi fece leva sulle zampe muscolose, aprì le enormi e diafane ali blu e spiccò il volo.
Lyan fece appena in tempo ad aggrapparsi e rischiò quasi di cadere.
Cominciarono a prendere quota.
La sensazione del vento che scompiglia i capelli, che ti accarezza dolcemente il viso. Lyan queste cose non le aveva mai provate, o almeno non in questa maniera.
Il drago rallentò l’ascesa e cominciò a planare delicatamente. Lyan raddrizzò la schiena per ammirare il panorama, e quello che vide gli tolse il fiato.
Immense distese di prati, boschi e tanti alberi. Non capiva dove fossero andati a finire, ma non gli importava, si fidava e questo era sufficiente.
Lyan chiuse gli occhi e si abbandonò addosso al drago. Non capiva cosa stesse succedendo, non capiva nulla in quel momento.
Dopo un po’ l’animale cominciò a planare verso il basso, e Lyan cercò di capire dove stesse provando ad atterrare.
- Non puoi andare là! -
Lyan si rese conto troppo tardi che il drago stava per arrivare all’arena dell’accampamento. Sarebbe stato il caos, nessuno vedeva draghi da chissà quanto e molto probabilmente avrebbero cercato di ucciderlo.
La bestia posò le zampe esattamente al centro dell’arena. Lyan scese velocemente, per vedere com’era la situazione.
Intorno all’arena si stavano radunando tantissima gente, ma al contrario delle aspettative di Lyan nessuno era allarmato o impaurito, erano tutti stupiti ed entusiasti.
Arrivò anche il comandante.
- Che succede? – Non fece in tempo a finire la domanda che vide cosa c’era al centro dell’arena.
Scese anche lui all’arena.
- Ragazzo… ma cosa? -
- Non fa niente! – si affrettò a dire indicando l’animale.
Il comandante non riuscì a dire niente, stava fissando il drago.
- Vieni con me – gli disse secco.
Lyan si rivolse al drago. – Va a fare un giro. – Non se lo fece ripetere due volte.
Il comandante lo condusse nella tenda in cui era stato con Heira il giorno che erano arrivati. L’uomo si accomodò sulla sua sedia dietro il bellissimo tavolo con la cartina. Lyan rimase in piedi.
- Siediti pure – gli disse.
Lyan prese posto, e rimase in silenzio.
- Allora, - cominciò il comandante – quel drago avrebbe scelto te? -
- Sì? – Lyan non sapeva cosa dire. Heira gli aveva detto che quella specie d’inchino che gli aveva fatto il giorno in cui era stato ferito Disie, era il gesto inequivocabile che era stato scelto. Non aveva ancora capito esattamente per cosa, ma se lei aveva detto così, allora doveva essere vero.
-  è strano, sai? -
- Cosa? – chiese Lyan.
- Da secoli, forse di più, non si vede un drago, e ora che ne arriva uno e sceglie proprio te. -
- Io… - Dove è Heira quando serve? Si chiese.
- Ascolta. Tu forse non ti rendi conto, ma in questo momento sei tu che hai in mano l’esito di questa guerra. Sei tu che deciderai chi vincerà, solo tu. L’esercito che avrà il drago e tu a combattere dalla sua parte vincerà, è così. – Il comandante si sporse in avanti sulla sedia verso Lyan. – Devi decidere. Lo so che sei venuto dalle terre neutrali a sostenere la nostra causa, ma questo cambia tutto. -
- Ma io voglio combattere per voi! – esclamò.
- Molto bene – disse. – Allora prepara i bagagli. Sarai presentato alla regina di Dadasiana e dopo andrai subito al fronte. Non c’è tempo da perdere. -
- Ma Heira? – domandò. – Io non parto senza di lei. -
- Può venire con te se ci tieni – acconsentì. – Tanto qui è solo d’impiccio. -
- Ma sta male! Non so quando sarà in grado di viaggiare. -
- Senti, non voglio perdere tempo prezioso. Fa in modo che la ragazza si riprenda velocemente e partite. Va bene? -
Lyan annuì e andò verso la tenda del guaritore. Percorse praticamente la strada tutta di corsa e quando arrivò, ebbe quasi paura a entrare. Si voltò verso il letto in cui sarebbe dovuta essere Heira, ma non c’era nessuno. Allora si girò dall’altra parte, e la vide. Era seduta su una sedia e aveva una ciotola fumante in mano.
Lyan corse da lei. – Heira! –
Arrivò anche il guaritore. – Io le ho detto mille volte di stare a letto, ma non ne voleva sapere! -
- Che senso aveva stare a letto quando posso benissimo stare in piedi o seduta – sbottò.
Lyan li guardò entrambi con sguardo interrogativo.
- Nemmeno io ho capito come abbia fatto – disse il guaritore. – Dopo che si è svegliata, ha chiesto di te, e visto che non c’eri, ha cominciato a dire di volersi alzare. Ho provato a dirle di stare a letto, ma niente! Comunque ha ancora la febbre. Un po’ più bassa, però. -
Lyan si appoggiò allo schienale della sedia della ragazza. – Come va? -
- Meglio, molto meglio. -
- Bene, perché fra poco partiremo! - 


 
Angolo dell’ ”autrice”:
Ok, va bene, sono pronta a ricevere recensioni negative, insulti e roba varia. Comunque me li merito…
Il capitolo è corto, ma il problema non è questo, anche il 13 era corto ma mi piaceva, questo lo odio. Non volevo che fosse così, per niente. È dozzinale e ridicolo!!!!
Se smettete di leggere questa storia (vi prego no o.O), non vi biasimo.
Il problema è che in questo periodo non ho voglia di fare nulla. Eccheccazzo però, sono stata tutto l’inverno a studiare, sono passata con una media alta, me lo concedete un po’ di riposo????
Però non vi abbandono, non sono una a cui piace rinunciare anche quando le cose vanno male, io non rinuncio mai. Anche se nessuno considerasse questa storia state sicuri che io continuerei a scrivere e aggiornare in ogni caso.
Sono un mostro perché è tantissimo che non aggiorno e ora vi ritrovate questo insulto al fantasy, scusate, chiedo perdono, cercherò di fare qualcosa di più decente la prossima volta, che non so quando sarà, voi aspettate prima o poi i faccio viva…
Lo so che delle mie cazzate non ve ne importa nulla, ma ho bisogno di sfogarmi e non so con chi farlo! Cazzo Rachele, perché non ci sei quando ho bisogno di te!!!!!!!!!!!!!!
Quindi, non so quando arriverò il prossimo capitolo, perché, come ho già detto le uniche cose che riesco a fare in questo periodo sono: ascoltare la musica (tanta, troppa), suonare la chitarra (mi fanno male le dita), e ogni tanto scrivere cazzate su cazzate ovunque capiti. Dimenticavo Rachele, Rachele, Rachele, Rachele. Non so perché, ma qualsiasi cosa faccio mi ricorda la Rachele. Abito in un posto di merda, con gente di merda, e se la Rachele non si trasferisce qua vado io da lei!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Basta, fermatemi per favore!!!!!!!

Bianca ^^

Ringrazio chiunque abbia avuto il coraggio di leggere e recensire questo capitolo. In particolare: la Rachi (_dirty_ice), King e Water, voi lo leggerete di sicuro, GRAZIE mille a voi per sopportarmi…

P.s. Oddio, è più lungo il mio angolo del capitolo… ^^”
  







 

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Capitolo 15
*** Una meta ***


15
Una meta
 
Heira si rimise in sesto velocemente e dopo poco più di una settimana furono in grado di partire.
Il viaggio fu piuttosto veloce e anche abbastanza piacevole. Erano stati accompagnati da quattro soldati che erano lì all’accampamento, fra di loro c’erano anche i due giovani campioni. Varen e Rigel avevano insistito con il comandante, in modo da poter partire per la capitale, come Heira e Lyan erano giovani e avevano voglia di viaggiare e vedere cosa c’era oltre alla guerra. Certo, amavano la loro patria e sarebbero morti per essa in battaglia, se necessario, ma certe volte lo spirito d’avventura supera ogni cosa.
Durante il viaggio i quattro ragazzi si erano conosciuti meglio, mentre gli altri due soldati se ne stavano per i fatti loro e dicevano qualcosa solo se strettamente necessario.
La bellezza di Lionel, la capitale di Dadasiana, li colse tutti impreparati. Nemmeno Heira e Lyan, che avevano abitato nella maestosa città di Derafest, si capacitavano di come potesse essere splendida Lionel. C’era vita in ogni angolo della città. Mercati pieni di colore e vivacità accoglievano i visitatori, le strade erano gremite di gente che camminava e di bambini che schiamazzavano e giocavano. Non si sarebbe mai detto che c’era in corso una guerra. Ai lati delle vie, delle piccole case tutte colorate davano un senso di allegria. Ma la cosa più meravigliosa di quel luogo era il palazzo della regina. Era visibile da tutti i punti della città, essendo stato costruito su una piccola collinetta che sovrastava tutte le case e gli altri edifici.
- Quello è il palazzo? – fece Heira rivolta a uno dei soldati.
Rigel rispose al suo posto. – Sì – confermò. – Bellissimo, vero? -
Heira annuì tenendo la testa alta per continuare a guardare il castello. Era interamente trasparente, ma non poteva essere vetro, era un altro materiale più robusto e resistente, e anche molto più brillante. I raggi del solo riflettevano l’edificio come fosse un gioiello prezioso.
I sei presero una piccola strada interna, quella che conduceva alla residenza della regina, che avrebbero dovuto incontrare. Arrivarono all’entrata. Uno dei soldati che era con loro porse una lettera sigillata a una delle guardie. Questa diede uno sguardo al sigillo, e senza nemmeno aprirla li condusse all’interno del palazzo.
L’interno era, se possibile, ancora più magnifico. Grazie alle pareti trasparenti e ai soffitti altissimi si poteva ammirare un panorama spettacolare.
Attraversarono quasi tutto il castello fino a un immenso portone di legno massiccio intagliato. La guardia che li aveva condotti lì si rivolse a loro. – Aspettate qui. – Fece segno ad altre guardie di aprire il portone e vi entrò senza nemmeno lasciare intravedere l’interno a coloro che erano rimasti fuori.
Dopo poco tornò e disse che la regina li poteva ricevere. Si fecero strada attraverso il portone ed entrarono nella sala del trono. Non era grande come quella del re delle Terre di Nemunas, ma forse era più bella. Il pavimento il legno chiaro aiutava a rendere la stanza ancora più luminosa. Un lungo e stretto tappeto bianco partiva dall’entrata e andava fino al trono, anche questo in legno chiaro. La regina vi era seduta con noncuranza, tenendo le braccia in grembo e la schiena abbandonata sul trono. Non era anziana, ma sembrava come stanca.
- Prego, avvicinatevi. – La regina invitò tutti ad avvicinarsi a lei. Sì, anche la sua voce era stanca.
- Chi di voi il comandante ha mandato a parlare con me – chiese.
Lyan si fece avanti. – Il comandante ha ordinato a me di venire a parlare con voi, vostra altezza.
- Molto bene – annuì. – Posso chiedere agli altri se vogliono rifocillarsi nel mio palazzo? -
Lyan guardò Heira e poi la regina. – Lei può restare. – Non era una domanda.
- Ve bene – acconsentì. – Come preferisci. -
La guardia scortò gli altri fuori dalla sala del trono.
La regina si alzò e si avvicinò a un tavolo quadrato che si trovava sulla destra del trono. Fece accomodare Heira e Lyan e poi si sedette anche lei. – Nella lettera del comandante c’era scritto che tu – si voltò verso Lyan, - hai un drago. -
- Ehm – non sapeva cosa dire, - sì, vostra altezza. -
- Sai che in base a dove sceglierai di schierarti, chi avrà te dalla sua parte vincerà la guerra, vero? -
Lyan annuì vigorosamente. – Sì, capisco, me l’hanno già detto. -
- Quindi scegli, o con noi o con loro. -
Lyan non capiva perché tutti gli facessero quella domanda. – Io voglio combattere per voi – disse deciso.
- Bene, allora è meglio se ti dico che è da quando sei uscito dalle segrete dove tuo padre ti aveva rinchiuso che vi controllo. Tutti, tu – disse rivolto a Lyan, - Heira e anche Disie. – Abbassò un attimo lo sguardo, poi si rivolse a Heira. – Non ci sono parole per quello che è successo a tuo fratello, mi dispiace. -
Heira le sorrise tristemente, anche se era confusa da quello che aveva appena detto la regina.
Lyan intervenne. – Cosa vuol dire che ci controllate? -
La regina rise. – Tu non hai idea del tempo che è passato da quando l’ultimo drago scelse il suo cavaliere. Per troppo abbiamo aspettato un ritorno. Quando ho capito che il drago si era risvegliato ho cominciato a cercare colui, o colei, che il drago avrebbe scelto. Io sapevo prima di te cosa saresti diventato. -
Lyan era perplesso. – Come facevate a saperlo? -
- Questo non ha importanza – disse.
Heira si fece avanti. –Se posso chiedere – cominciò, - in che modo ci controllavate? -
- Per lo più di nascosto, delle spie addestrate. Ma non sempre. Durante il banchetto, tu, Lyan hai visto un uomo che ti sembrava sospetto, era un mio soldato. Anche il Vecchio che vi ha dato il libro e il pugnale, era sotto i miei ordini. Gli ho chiesto io di darvi quei due oggetti. -
- Noi non abbiamo ancora capito a cosa possano servire, però – fece notare Heira.
La regina sorrise ai due ragazzi nuovamente. – Lyan, la donna dei tuoi sogni, ti ha dato una missione. Non è vero? -
Lyan rimase immobile, come faceva a sapere che sognava quella donna? Come faceva a conoscere Seheiah?
Cercò di rispondere. – Io… sì. – Lyan non capiva più nulla, la regina sembrava sapere tutto.
- Non vi dovete sorprendere se so tutto sul vostro conto, e non vi dovete nemmeno chiedere il perché. Sappiate solo che avete una missione da compiere. -
- Sì, ma Seheiah mi ha anche detto che le due parti dell’Elsa sono andate perse. -
- Davvero? E allora perché portate con voi una delle parti dell’Elsa? -
Lyan e Heira si guardarono senza capire.
La regina intervenne. – Avete con voi il pugnale che vi ha dato il Vecchio, vero? -
I ragazzi non risposero, solamente Heira prese il pugnale con la fenice dal suo stivale e lo porse alla regina.
- Questo pugnale è una delle parti dell’Elsa – esordì. – A dire la verità è anche di più. Può essere la bussola che vi condurrà all’altra parte dell’Elsa. Mentre il libro – mentre diceva questo Lyan tirò fuori dalla sua bisaccia il libro, - è una mappa, diciamo così. -
Lyan e Heira erano davvero confusi. Avevano ricevuto così tante rivelazioni in pochissimo tempo, non sapevano come reagire.
- E quando dovremmo partire per cercare l’altra parte dell’Elsa? – domandò Lyan. – E questa mappa, che è il libro, come dovrebbe funzionare? -
- Allora, - iniziò – come ho già detto il pugnale, ovvero una delle parti dell’Elsa, funziona d bussola. Diciamo che è come attratta dal suo pezzo mancante. Il libro invece è una semplice mappa tridimensionale. – Aprì il libro a caso e lì vi comparve una mappa di Dadasiana e delle Terre di Nemuas – é in grado anche di fornire una mappatura del sottosuolo e dei fondali marini. Insomma, nel caso l’Elsa non sia proprio in un posto facilmente raggiungibile. -
Heira si fece passare una mano fra i lunghi capelli, era davvero sconvolta. Erano stati tutto quel tempo a cercare di capire dove fosse l’Elsa, a cosa servivano quei maledetti oggetti, e poi avevano scoperto tutto in una volta sola, dalla regina di Dadasiana.
- E dopo aver trovato l’altro pezzo dell’Elsa? – chiese Heira dubbiosa. – Che si fa? –
- Si deve ricomporre l’Elsa e poi… - si bloccò un attimo – si deciderà chi vincerà questa guerra. Noi avremo un drago e l’Elsa dalla nostra parte, ma i piani del nemico ci sono sconosciuti. -
- Bene – mormorò Lyan.
La regina si alzò dal tavolo e si diresse verso il suo trono. – Vi consiglio di andare a riposarvi. -
Chiamò una guardia. – Bene, se per voi non ci sono problemi, potete partire domattina. Nel tempo che avete, cercate anche di capire dove più o meno si trova l’Elsa, così risparmierete tempo. -
- Certo – concordarono i due ragazzi.
La guardia li condusse in un’ala diversa del palazzo e mostrò loro due stanze vicine, che sarebbero state le loro camere. Ma Lyan e Heira, prima di riposare, volevano capire dove si trovava l’Elsa.
Cercarono un posto tranquillo nel giardino del palazzo e si sedettero per terra scrutando i due oggetti.
- La regina ha semplicemente aperto il libro – osservò Lyan.
- Giusto. – Heira aprì il libro a una pagina a caso e la mappa che avevano visto prima si ripresentò davanti ai loro occhi.
- Però quando l’abbiamo fatto noi, non è successo nulla – disse Lyan.
- Forse doveva essere tipo sbloccato – propose Heira.
- Forse – ripeté Lyan. – Prendi il pugnale. -
Heira riprese il pugnale con la fenice dal suo stivale e lo porse a Lyan. – E adesso? – chiese la ragazza.
Nemmeno Lyan sapeva esattamente cosa fare, allora, semplicemente posizionò l’arma al centro della mappa che si era creata sul libro aperto. Aspettarono che succedesse qualcosa.
La lama si mosse fino a quando la punta tagliente dell’arma arrivò esattamente a indicare una precisa città.
Heira guardò preoccupata Lyan. – Derafest – sussurrò.
- La lama sta indicando la capitale delle terre di Nemunas – constatò. – Ma non ha senso, come potrebbe trovarsi lì? -
I due ragazzi non si capacitavano di come, uno, se non il primo, dei manufatti antichi più importanti e preziosi si potesse trovare nelle capitale di quello che orami era il loro nemico. Il re Reide stava cercando con tutto se stesso l’Elsa, se avesse saputo che una parte si trovava nella sua città, sarebbe stata la fine.
Certo, Dadasiana aveva l’altra parte, e l’Elsa è inutile se non è completa, ma forse se Reide aveva dichiarato guerra alle Terre di Nemunas, c’era una ragione, forse qualcuno sapeva che loro possedevano una parte.
La lama puntava ancora la città, adesso c’era anche una piccola lucina rossa che puntava la capitale.
- Questa luce –cominciò Heira, - sembra venire come da sotto la mappa. -
Lyan la guardò confuso. Lei senza dare una spiegazione poggiò delicatamente il pugnale sull’erba e voltò la pagina in cui era comparsa la lucina. Dall’altra parte c’era un’altra mappa.
- Cosa è? – domandò stupita Heira.
Lyan si spostò per vedere meglio l’altra mappa che era comparsa nella faccia opposta a quella precedente. – Sono i sotterranei di Derafest – dichiarò. – Una volta vidi una mappa simile che rappresentava le gallerie che ci sono sotto la città. -
- Delle gallerie? – esclamò Heira. – Non sapevo ci fossero delle gallerie. -
- Be’, tecnicamente non lo dovrei sapere nemmeno io – ammise. – Entrai di nascosto nello studio di mio padre – si bloccò un attimo. Ancora non si era abituato a non considerare più padre quell’uomo. – Una volta – riprese, - sono entrato nello studio di Reide senza il permesso, a dire la verità io non ci dovevo nemmeno passare davanti a quella stanza. Comunque sulla sua scrivania c’era una mappa uguale a questa. -
- Oh – fece lei, - capisco. Quindi torniamo a Derafest. -
- Sì, - annuì Lyan. – Anche se è un suicidio. -
- Questo non è detto – protestò la ragazza.
Lyan sorrise. – Perché oggi sei così ottimista? -
- Perché? Di solito non lo sono? – rise anche lei. – Comunque hai ragione, dobbiamo stare attenti. Reide avrà sicuramente delle spie qui a Dadasiana, loro sanno già da che parte stiamo. -
- Se non l’avessero capito, sarebbero degli idioti. -
- In effetti… -
- Senti Heira… - Lei interruppe subito Lyan, aveva capito dove voleva arrivare, e non gli avrebbe permesso di aggiungere altro.
- Lyan, toglitelo dalla testa, intesi? Io verrò con te, sia che tu voglia sia che tu non voglia! -
- Mi immaginavo una risposta del genere. -
- Bene – affermò, - allora la prossima volta puoi evitare anche solo di pensare una cosa del genere, perché la mia risposta sarà sempre la stessa. -
- Agli ordini comandante. – Lyan fece quello che somigliava vagamente a un saluto militare. Si divertiva a prenderla in giro.
- Ma quanto sei simpatico – fece lei senza distogliere lo sguardo dalla mappa.
Lyan radunò tutte le cose e si alzò, poi porse una mano verso Heira che era ancora seduta. Lei sembrò indugiare un attimo, poi prese la sua mano e si tirò su.
- Forse sarebbe meglio se ci andassimo a riposare un po’ – propose Lyan. – Se vogliamo partire domattina dobbiamo essere in forze. -
- Sì, giusto. -
I due si diressero verso le stanze che la regina aveva fatto preparare per loro.
- Allora buonanotte – disse Heira mentre apriva la porta della sua stanza.
- Buonanotte – fece Lyan.
Entrambi erano davvero stanchi, ma forse quel giorno avevano scoperto talmente tante cose che la loro mentre li impediva perfino di riposare. I pensieri si accavallavano facendo passare in secondo piano la necessità di dormire.
Il sole e la consapevolezza di quello che avrebbero dovuto passare li colsero impreparati.


Angolino dell’autrice:
Okay, mi sento un mostro, è da un mese che non aggiorno e questo capitolo non è di certo all’altezza di un mese d’attesa. Quindi vi chiedo davvero scusa e comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Spero di aggiornare con un nuovo capito il più presto possibile, non vi voglio far aspettate mai più così tanto.
Mi scuso anche per quello che ho scritto l’altra volta nel mio angolino, non so cosa mi era preso, e sì, King ha fottutamente ragione, sono pazza. Me ne rendo conto anche da sola. A dire la verità non ho ancora capito se è una cosa positiva o negativa, ma forse come dice la Rachele positiva (?).
Un grazie mille immenso a
_dirty_ice, il mio angelo custode, a King_Peter, che mi segue fin dall’inizio e mi dice sempre quello che pensa e alla mitica Water_wolf, che con le sue fantastiche recensioni mi sa sempre capire cosa c’è che va e cosa c’è che non va nei miei capitolo. Un Grazie speciale a voi che ci siete sempre.
Ovviamente ringrazio anche tutti quelli che leggono, e mi seguono, grazie mille anche a voi.

Ancora grazie a chiunque leggerà questo capitolo,
la vostra Bianca 

 

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Capitolo 16
*** La storia del bambino cieco ***


16
La storia del bambino cieco

 
 
Appena il sole fu sorto Lyan si svegliò di soprassalto, consapevole del viaggio che lo aspettava. Avevano localizzato l’altra metà dell’Elsa, ma era in un luogo piuttosto improbabile, e inoltre andarci avrebbe potuto significare la morte, sia per lui sia per Heira.
Si sistemò in fretta, non avevano tempo da perdere.
Aprì violentemente la porta della stanza che la regina gli aveva dato, e quasi non si accorse che dietro la porta c’era Heira.
- Oh – fece Lyan, - scusa, non ti avevo vista. -
Heira fece un gesto di noncuranza. – Non ti preoccupare. -
I due si diressero velocemente alla stanza del trono, dove il giorno precedente avevano incontrato la regina. Sperarono entrambi che la regina fosse già sveglia, dovevano parlare con lei, spiegarle la situazione e poi partire senza perdere altro tempo prezioso.
Arrivarono all’imponente portone della sala e una guardia li bloccò.
- Dobbiamo parlare con la regina – disse subito Lyan. – E’ importante. -
La guardia continuò a non farli passare. – Chi siete? – chiese perentorio.
- Siamo Heira e Lyan – rispose spazientita la ragazza.
Al sentire quei due nomi la guardia, che fino a un secondo prima li aveva guardati come dei criminali, li fece passare tranquillamente.
Heira guardò Lyan che di rimando aveva alzato le spalle. Non sapeva il perché dell’atteggiamento della guardia, ma molto probabilmente sapeva chi erano loro due ma ne conosceva solo i nomi.
I due ragazzi entrarono nella sala e videro che la regina era accomodata sul trono e li stava guardando distrattamente. Aveva ancora quell’aria stanca, come di chi aveva già vissuto troppo. Eppure, come avevano già notato, non sembrava molto vecchia. I lunghi capelli scuri erano solo leggermente striati di grigio e gli occhi, di un verde intenso, non erano ancora stati intaccati dall’età.
- Venite avanti – li invitò la donna.
Heira e Lyan si spinsero fino sotto il trono. – Abbiamo scoperto dove si trova l’altra metà dell’Elsa – sentenziò Lyan.
- Non ne avevo dubbi – commentò la regina. – E quale sarebbe il luogo? -
Lyan non rispose subito. Rimase un po’ in silenzio, poi decise che non c’era nessuna ragione valida per non rispondere. – Nelle gallerie sotterranee della capitale delle Terre di Nemunas, a Derafest. -
La regina si tirò su con la schiena e guardò Lyan come se avesse appena detto chissà cosa.
- Ne siamo sicuri -  confermò Heira.
La regina aveva perso la parola. In effetti, più o meno, era stata la stessa reazione anche di Heira e Lyan.
Si ricompose e decise di dire qualcosa. – Quindi l’Elsa è stata per tutto questo tempo nelle mani nel nemico. -
Lyan intervenne. – No, il re non sapeva che una delle parti dell’Elsa fosse proprio sotto i suoi piedi. -
Dopotutto conveniva rivelare tutto quello che conoscevano, anche perché la regina sapeva praticamente tutto, anche che Lyan era figlio del re del suo nemico.
La regina annuì, facendo capire che aveva compreso la situazione. – Bene, se Reide non sa nulla siamo in vantaggio. -
- Resta il fatto che noi siamo dei traditori, e la pena per i traditori è la morte – constatò Heira.
- Anche questo è vero – riconobbe la regina, poi si mise a pensare.
- Non dobbiamo annunciare la nostra presenza – fece Lyan.
- Certo – disse la regina. – Dobbiamo trovare una specie di travestimento. -
- In che senso un travestimento? – chiese Heira.
Poco più di due ore dopo erano pronti per partire. E speravano davvero che i loro “travestimenti” funzionassero.
Alcune serve del castello della regina avevano aiutato i due ragazzi a trovare dei travestimenti che potessero essere credibili. I capelli biondo cenere di Lyan erano diventati neri e pure quelli castani di Heira. Nessuno di loro due aveva capito cosa avessero usato quelle serve per tingere i loro capelli, ma sembrava aver funzionato. Poi proposero a Heira di vestirsi da donna. In effetti, se qualche guardia avesse visto una ragazza vestita da uomo, avrebbe subito avuto dei sospetti, ma Heira non ne voleva sapere, e inoltre se volevano andare anche a cavallo, sarebbe stato un problema. Allora la ragazza decise che arrivata a Derafest avrebbe sempre tenuto il cappuccio del mantello calato sulla testa, in modo da nascondere i capelli lunghi, o alla peggio li avrebbe tagliati.
Infine presero una decisione con la regina. Avrebbero percorso tutto il viaggio fino al confine a dorso del drago di Lyan. All’inizio era sembrata un’idea folle, ma tutto sommato era la scelta migliore. Grazie al drago il viaggio da Lionel al confine sarebbe stato veloce, e poi là, li avrebbero aspettati con i cavalli e avrebbero coperto la distanza che li separava da Derafest (e dalla loro possibile morte) con quelli animali.
La regina li congedò molto formalmente e i due s’incamminarono verso la foresta che stava vicino alla capitale di Dadasiana, lì Lyan, avrebbe chiamato il suo drago e sarebbero partiti.
Percorsero la strada verso il bosco di corsa, senza quasi mai fermarsi, e in meno di un’ora arrivarono a una piccola radura, dove il drago avrebbe potuto atterrare tranquillamente.
- E adesso? – fece Lyan preoccupato.
- Avete un legame speciale, tu e lui – spiegò Heira. – Semplicemente desidera che lui venga qua. -
Lyan chiuse gli occhi e si concentrò, sperando che il suo drago non fosse molto lontano.
Aspettò qualche secondo con impazienza e poi il drago atterrò nella radura in tutta la sua magnificenza.
Heira lo guardò stupita e rimase a bocca aperta. – Wow. -
Lyan si avvicinò alla bestia e gli poggiò una mano sul muso, accarezzandolo.
- Ce l’ha un nome? – chiese la ragazza.
Lyan la guardò. – A dire la verità no. -
- Be’, e che aspetti a darglielo? -
Lyan ci pensò un attimo, insomma, un drago aveva bisogno di un nome importante. – Deimos, ti piace? – fece rivolto al drago.
Il drago inviò una specie di sensazione calda e piacevole a Lyan, che sorrise.
Heira guardava la scena, e sorrise a sua volta. – Allora, siamo pronti a partire? -
Deimos ruggì e si acquattò per terra, in modo da far salire più agevolmente i ragazzi. Non avendo una sella sarebbero stati abbastanza scomodi, ma non avevano avuto tempo di procurarsene una, e si dovevano accontentare. Lyan si dispose davanti e Heira da dietro cinse la sua vita. Deimos aspettò che si fossero sistemati, poi indietreggiò e si diede una spinta appena prima di spalancare le enormi ali diafane.
Lyan aveva già provato la sensazione di volare, ma per Heira era la prima volta. All’inizio non sapeva cosa aspettarsi, se un vuoto allo stomaco, se le vertigini, ma niente di questo era successo. Semplicemente si sentiva libera.
Il viaggio fino al confine durò poco più di un giorno, il vantaggio che avevano avuto arrivando fino a là con Deimos era stato incredibile, era davvero veloce, e non si stancava molto anche con due carichi da portare.
La regina aveva detto loro che qualche suo uomo era ancora al confine, e avrebbero potuto chiedere loro due cavalli, ma non sapevano con precisione dove si trovavano e allora sorvolarono il territorio per circa un’ora finché non videro un gruppo di uomini attorno ad un piccolo fuoco. Era notte fonda e senza la luce che produceva la fiamma, non li avrebbero mai trovati, avrebbero dovuto aspettare fino alla mattina.
Lasciarono Deimos poco distante da dove avevano visto gli uomini e raggiunsero il luogo a piedi. Non appena gli uomini della regina li videro arrivare scattarono in piedi. Lyan alò le mani, come per far vedere che non aveva nessuna intenzione di combattere, poi lasciò cadere ai piedi di uno dei quattro uomini una pergamena che aveva dato loro la regina prima di partire. L’uomo si chinò lentamente e prese la pergamena fra le mani. Ruppe velocemente il sigillo e dopo aver letto il contenuto, li fece accomodare intorno al fuoco e diede loro da magiare,  dopo essere stati più di un giorno in groppa al drago, erano stremati.
- Avete bisogno di due cavalli, vero? – domandò un degli uomini.
Lyan annuì mentre continuava a mangiare un animale abbrustolito di cui ignorava l’origine, ma non se ne preoccupava tanto, aveva un buon sapore, e questo bastava.
- Dove dovete andare, se posso chiedere? – fece sempre lo stesso uomo.
Heira, che aveva già mangiato rispose. – In missione, ordini della regina. Dobbiamo attraversare il confine e abbiamo bisogno di due cavalli – disse sbrigativamente, poi prese una coperta dalla sua bisaccia a si appoggiò a un albero poco distante. Lyan la raggiunse poco dopo. Intanto anche gli altri uomini si misero a dormire. Lyan si propose per fare il primo turno di guardia, e rimase con Heira.
- Un volta arrivati a Derafest  - cominciò la ragazza, - come faremo ad entrare nei sotterranei? -
Lyan si voltò verso di lei. – Non lo so – sospirò. – Spero solo vada tutto bene. Comunque come sta il tuo braccio? -
Lyan si riferiva a quella ferita che la ragazza si era fatto tempo prima e che aveva nascosto, fin quasi a rischiare di morire. – Perfettamente, ma non mi va di parlarne. -
- Ho capito, e allora di cosa ti va di parlare? -
La ragazza alzò le spalle. – Dimmi tu. -
Lyan si mise a fissare il cielo stellato. – Ti va se ti racconto una storia? -
- Che genere di storia? – chiese Heira curiosa.
- L’ho letta una volta da bambino, al castello. -
Heira si sistemò meglio contro l’albero, si tirò la coperta fino al mento e poggiò la testa sulla spalla di Lyan.
- Comincia – lo esortò.
- Va bene. Una volta nacque un bambino, ma dopo poco i genitori si accorsero che era cieco, ed essendo poveri, non si potevano permettere di badare a lui. Così decisero di lasciarlo a se stesso, e lo abbandonarono nel bosco. Passò tutta la notte a piangere e la mattina dopo, il re di quel regno, che si trovava a caccia, lo trovò. – Si fermò un attimo. – Secondo te che fece? – domandò a Heira.
- Lo uccise. Se era un re come Reide di sicuro lo uccise. -
- No, lo prese e lo portò al suo castello. Lo crebbe come se fosse suo figlio, e forse anche meglio. Al re non importava che lui fosse cieco, l’amava per quello che era. Quando il re morì, non avendo figli suoi, salì al trono il ragazzo cieco. Il popolo non aveva mai accattato che l’unico erede fosse un ragazzo cieco e per giunta nemmeno di sangue reale, così il giorno dell’incoronazione, un gruppo di ribelli lo uccise. -
- Stai scherzando, vero? – fece Heira.
- Fammi finire – protestò. – Dopo la morte del ragazzo salì al trono il fratello del re che aveva salvato il ragazzo cieco, quindi diciamo suo zio. Lo zio aveva amato il ragazzo quanto lo aveva fatto il padre adottivo, trovò chi aveva ucciso suo nipote e li fece impiccare. Ma era acciecato dal dolore e divenne un re tiranno e crudele, non aveva compassione per nessuno. -
- Finisce così la tua storia? – fece Heira delusa.
Lyan annuì. – Sai perché te l’ho raccontata? -
Heira scosse la testa. – Perché – spiegò Lyan, - ho sempre paragonato lo zio del ragazzo cieco a mio padre. -
- In che senso? -
- Mio padre acciecato dal dolore per la perdita di mia madre ha sempre incolpato me di tutto. Per questo secondo me mi odia. -
- Ne abbiamo già parlato. Non importa perché ti odia, sta di fatto che è così, e in ogni caso tu non hai colpa di nulla. -
- Anch’io sono un po’ come lo zio della storia. Mia madre non doveva morire, ma Reide non ha fatto mai in modo che io non sentissi la sua assenza, era troppo occupato con le sue cose per pensare a suo figlio. Ma giuro che la pagherà. -
- Sì – annuì Heira. – Ne avrai l’occasione. -
- Lo spero – disse. – Ma adesso dormi. -
La ragazza non rispose e si addormentò appoggiata al Lyan.

 
Angolino dell’autrice:
Eccomi, ci sono. In ritardo ma ci sono.
Non ho molte cose da dire. Comunque
_dirty_ice  aveva fatto un bellissimo disegno di Heira, è da tanto che lo volevo pubblicare insieme ad un capitolo, ma me ne scordo sempre, ora che me ne ricordo con questo nuovo editor sto impazzendo, quindi ora non ho tempo per rimbecillire e rimandiamo alla prossima volta, scusa Rachi.
Boh, vi è piaciuto il capitolo? Io evito di pronunciarmi, farei solo casino (?).
Va be’, alla prossima ^^


Bianca

 

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Capitolo 17
*** Una scelta ***


17
Una scelta

 
La mattina dopo furono svegliati dai soldati che li avevano ospitati nel loro piccolo accampamento notturno. Lyan e Heira si alzarono si soprassalto; al loro risveglio ad aspettarli c’era anche qualcun altro.
“Ragazzi” fece uno, “avete visite.”
Davanti a loro c’erano Varen e Rigel i due ragazzi che gli avevano accompagnati dall’accampamento fino alla reggia della regina di Dadasiana. Avevano entrambi una faccia distrutta, dovevano aver viaggiato tutta la notte per raggiungerli.
“Ehi!” esclamò la ragazza, “cosa ci fate qui?” La domanda avrebbe dovuto suonare amichevole, ma uscì un po’ scocciata.
“Appena siete partiti la regina ci ha convocati e ci ha ordinato di seguirvi per accertarci che non vi succedesse nulla, e quindi eccoci.”
Varen si scostò i capelli scuri dalla fronte, mentre Rigel sorrideva ai due ragazzi.
“Bene” annuì Lyan, “quindi venite con noi?”
Rigel fece un passo avanti. “Se per voi non è un problema gli ordini sarebbero questi. Non che ami molto le autorità, ma io sono dalla vostra parte e da quella della regina.”
“Ci faranno comodo delle mani in più” osservò Heira. “E poi nessuno vi conosce a Derafest, sarete utili.”
I soldati partirono poco prima di loro, che si concessero un’altra ora per decidere la strada da prendere. Alla fine decisero per la via più sicura. Sarebbero passati per la foresta poco lontana dal confine, sopra Kiruna, poi si sarebbero riavvicinati alla costa per aggirare Acamar e arrivare finalmente a Derafest. L’unico problema era che il loro viaggio non prevedeva tappa in nessuna città o villaggio. Non potevano rischiare di farsi riconoscere da qualcuno prima ancora di arrivare alla capitale, anche se questo avrebbe significato razionare il cibo fino all’impossibile.
Montarono sui cavalli e partirono. Non avrebbero impiegato più di sette, al massimo otto giorni per giungere a destinazione, se quelli animali erano robusti, Lyan stimò che al tramonto del sesto giorno sarebbero arrivati. Comunque, non erano da escludere eventuali problemi, orami si erano abituati anche a quelli.
Il primo tratto di strada lo percorsero lentamente, senza fretta, anche se era già territorio delle Terre di Nemunas non c’erano particolari pericoli, infatti il posto brulicava di uomini della regina.
“Scusate” fece Rigel ad un certo punto, “ma voi avete sempre avuto i capelli di quel colore?”
Lyan e Heira si sorrisero. Aveva notato il camuffamento che gli aveva imposto la regina, il cambio di colore dei capelli era la cosa più evidente.
“No” spiegò Lyan, “la regina ci ha detto di travestirci in qualche maniera, per non farci notare troppo in giro. Comunque una ragazza che va a cavallo vestita da uomo non passa inosservata.”
“Mai come un principe che si allea contro suo padre, altrimenti chiamato re.”
Lyan scoccò un’occhiata divertita alla ragazza che ricambiò.
Varen non aveva ancora detto nulla da quando erano partiti e aveva un’aria abbattuta, nessuno ci fece così caso.
Rigel cambiò discorso e divenne un po’ più serio. “La regina ci ha raccontato la ragione per cui dovete andare a Derafest; è un suicidio.”
“Sì” disse Heira senza fare una piega.
“Ma dobbiamo” intervenne Lyan. “Non c’è un’altra soluzione per far finire questa guerra schifosa.”
Ci fu un momento di silenzio. Lyan si avvicinò a Heira e le prese una mano con fare affettuoso. Lei rimase un attimo spaesata, ma poi ricambiò la stretta.
“Quindi” riprese Rigel, “quest’Elsa si troverebbe nei sotterranei della città?”
“Esatto” fece Lyan, “molti nemmeno sanno che Derafest ha dei sotterranei, ma è una città antica, è più che normale.”
“Avete un’idea di come riuscire ad entrare nei sotterranei senza che nessuno ci veda?” chiese dubbioso Rigel.
“A dire la verità ancora no” fece imbarazzato Lyan. “Ma troveremo una soluzione prima di arrivare a Derafest.” Avevano circa sette giorni per escogitare un piano, il tempo non mancava.
“E dopo che avremo l’Elsa?” domandò curioso Rigel, che ormai non si zittiva un secondo.
Lyan decise che ormai era inutile tacere tutto, nel giro di poco tutte le Terre di Nemunas e tutta Dadasiana avrebbe risentito degli effetti dell’Elsa. Nessuno sapeva se a controllarla sarebbe stata una parte o l’altra, ma se Lyan e Heira avessero fallito, il prezioso manufatto sarebbe finito nella mani del nemico e, a quel punto, non ci sarebbe stato più nulla da fare.
“Dobbiamo riunire le due parti” spiegò paziente Lyan. “A quel punto, con un drago e l’Elsa dalla nostra parte, la guerra è vinta.”
Lyan non era molto sicuro di quelle parole, anche se era molto probabile una vittoria in quella situazione, non aveva idea di quali frecce, suo padre, avesse al suo arco, e per quanto ne sapeva, tutto era possibile. In ogni caso, in quel momento era inutile pensare a ciò, doveva concentrarsi solo sulla sua attuale missione, doveva trovare l’Elsa, a tutto il resto avrebbe pensato dopo.
“Ho capito” fece Rigel. “Il problema adesso è solo trovare l’Elsa e un modo per riunire le due parti.”
Lyan annuì, facendogli capire che aveva compreso tutto alla perfezione.
Continuarono a viaggiare anche tutto il pomeriggio e decisero di fermarsi solo a sera tardi, quando erano tutti stremati e i cavalli non avrebbero fatto ancora un altro passo.
Si sistemarono velocemente per la notte e dopo aver consumato un pasto veloce, si addormentarono tutti.

I giorni si seguivano così, uno dopo l’altro, tutti uguali. Cavalcavano di giorno e dormivano solo poche ore a notte.
Il viaggio fu stranamente troppo calmo, non incontrarono nessuno, se non qualche viandante che li ignorava e se ne andava per la sua strada e se ne stava per i fatti suoi. La cosa aveva cominciato a preoccupare i quattro ragazzi. Da una parte erano felici di non aver incontrato nessun ostacolo, ma dall’altra erano agitati per la troppa quiete , non riuscivano a calmarsi e a rilassarsi un attimo.
Varen era in più irrequieto di tutti. Dal primo giorno che si erano rincontrati, aveva parlato pochissimo, solo quando era strettamente necessario. Però nessuno lo obbligava a parlare e non gli facevano domande per fare un po’ di conversazione. Capivano che non era il caso di infastidirlo se non era dell’umore, e anche se quella cosa andava avanti ormai da sei giorni, non infastidiva nessuno.

Durante il pomeriggio del sesto giorno erano già nella periferia della capitale. Avevano fatto prima del previsto ma, nonostante tutto, non avevano ancora un piano.
Si fermarono in una piccola locanda abbastanza fuori città per mangiare e per trovare finalmente un piano.
Il posto era il più squallido che avessero mai visto, il bancone era pieno di bicchieri vuoti e incrostati, dietro stava un omone con la barba lunga e incolta che giocherellava con un coltello, incidendo la superfice di legno. Notarono che i tavoli, anch’essi in legno scuro, erano consumati dagli anni, sporchi, e come il bancone erano attraversati da scritte e disegni fatti probabilmente dalle armi affilate di chi era stato lì.
Il posto era comunque affollato e la confusione impediva anche di parlare normalmente. Meglio, nessuno avrebbe fatto caso a loro e avrebbero potuto parlare senza orecchie indiscrete che ascoltavano i loro discorsi.
Si sedettero ad un tavolo e subito arrivò una ragazza abbastanza giovane che chiese loro cosa volessero.
Ordinarono da mangiare e cominciarono a parlare.
“Lyan” fece Heira, “hai detto che una volta nello studio di tuo padre hai visto una mappa dei sotterranei, giusto?” Il ragazzo annuì. “Per caso ti ricordi dove sono le entrate?”
“No, non ricordo” rispose, “ma nel libro che ci ha dato il Vecchio saranno sicuramente indicate,” osservò.
“Giusto” esclamò la ragazza, “non ci avevo pensato. Ce la fai a prendere il libro e a metterlo sulle ginocchia senza farti vedere?”
Lyan annuì lentamente e tirò furi l’oggetto dalla bisaccia. Heira gli passò da sotto il tavolo il pugnale con la fenice e il ragazzo, aperto il libro, lo posò su questo.
“Abbiamo bisogno di un’entrata piuttosto nascosta” disse, “o una molto esposta, nessuno fa caso a cosa ha sotto gli occhi.”
Gli altri tre aspettavano con ansia che Lyan annunciasse quali fossero le entrate per i sotterranei.
Alla fine alzò gli occhi verso di loro e parlò. “C’è solo una entrata, e per il resto i sotterranei sono tutte gallerie.”
“Non ha senso, ci dovrebbe essere un’altra via d’uscita,” commento Heira.
“No, solo solamente dei sotterranei, delle gallerie sotto la città. Non è una specie di via di scampo che dalla città va fino alle campagne, è diverso.”
“E quindi…” lo incalzò Rigel.
“L’unico accesso ai sotterranei dove si trova l’Elsa è all’interno del castello.”
I ragazzi rimasero in silenzio per quella che sembrò un’eternità. Era davvero un problema se l’unica possibile entrata ai sotterranei si trovava dentro al castello, almeno uno di loro avrebbe dovuto infiltrarsi e prendere l’Elsa.
Varen, che non aveva ancora detto nulla, si mise le mani fra i capelli e poi espose il suo piano. “Secondo me c’è solo una soluzione per entrare nel castello e trovare i sotterranei.”
“E sarebbe?” domandarono tutti curiosi.
“Dobbiamo trovare una distrazione per tutti coloro che si trovano all’interno, in particolare le guardie, in modo da poter entrare. Abbiamo bisogno di un’esca che attiri tutte le attenzioni su di sé” continuò a spiegare. “Lyan, scusa, ma tu sei l’esca perfetta.”
Il silenzio calò di nuovo sul gruppo, ma tutti sapevano che forse quella era l’unica soluzione.
“Varen ha ragione” fece alla fine l’interessato. “Farò da esca, mentre voi entrate nel castello. Se ci riuscirò, scapperò e tornerò subito al confine e vi aspetterò là, altrimenti, mi cattureranno e porterete voi la missione a termine.”
Heira guardava Lyan con aria triste. Lei non avrebbe voluto che lui andasse, si sarebbe volentieri offerta al suo posto, ma il figlio del re era un’esca più appetitosa di una ragazza ribelle, se pur figlia del primo generale. Ma sapeva che forse era davvero l’unica soluzione per riuscire nell’intento, e per raggiungere il proprio scopo a volte bisogna fare dei sacrifici, anche grossi.
“Allora il piano è questo?” fece Rigel a tutti.
“Sì” annuì deciso Lyan, “è questo.”
“Forse è il caso che qualcuno rimanga con Lyan, in due ci saranno più possibilità di scappare” propose Heira.
“No” disse Lyan subito. “Non ha senso far rischiare anche a voi, se poi non riesco a scappare non saranno solo me a prendere ma anche chi sarà con me, e non voglio che accada.”
“Va bene” concluse Varen. “Io, Heira e Rigel cercheremo di entrare nel castello mentre Lyan fa da esca.”
“Perfetto” fece Lyan, “creerò scompiglio davanti all’ingresso principale, così che voi possiate prendere un’entrata secondaria, vi dirò io quale è la migliore. Poi, vada come vada.”
“Bene” disse alla fine Rigel, “direi di usare il resto del giorno per risposarci dal viaggio. Ci troviamo domattina all’alba davanti a questa locanda.”
Gli altri annuirono e dopo aver pagato uscirono dalla locanda.
Mentre si confondevano con la gente all’esterno, Lyan prese la mano di Heira velocemente e la portò via dalla calca di gente. Lei non disse nulla e lo lasciò fare come voleva.
Uscirono nuovamente dalla città e camminarono per un po’ prima di arrivare al mare.
La brezza scompigliava i capelli ad entrambi e le onde si infrangevano dolcemente sulla sabbia e sugli scogli alla loro destra. Il mare aveva un colore cupo, sul grigio-blu, come il cielo, coperto da nuvole rade e piuttosto chiare.
Heira si voltò pensierosa verso Lyan. “Perché mi ha portata qui?”
Le lasciò andare la mano e si scostò bruscamente i capelli dalla fronte. “Volevo stare un po’ con te.”
“Perché hai deciso di farti ammazzare?”
“Lo sai, è l’unica soluzione” mormorò il ragazzo.
“Forse, ma potevo andare io al tuo posto.”
“Non sei importante quanto me, anche questo lo sai Heira.”
“Sì, lo so. Ma ho già perso mio fratello, non voglio perdere anche te.” La ragazza abbassò la testa per nascondere gli occhi lucidi e aspettò che Lyan dicesse qualcosa.
“Non mi perderai, riuscirò a scappare e vinceremo la guerra. Te lo prometto” fece lui.
Heira rialzò la testa, non c’erano più tracce di lacrime. “Non fare promesse che non potrai mantenere.”
Lyan non seppe come controbattere, lei aveva ragione, cavolo se ne aveva. Lui sarebbe sicuramente stato catturato, e il re non avrebbe avuto compassione una seconda volta.
“Non so che dire” disse alla fine.
“Nemmeno io” sussurrò la ragazza.
Rimasero un po’ in silenzio tutti e due. Heira si torturava le mani, mentre Lyan si fissava gli stivali. Il mare dietro di loro si faceva più agitato e rumoroso.
Poi successe tutto in fretta. Lyan alzò la testa di scatto e prese il mento di Heira con la mano destra, poi l’avvicinò a sé unì le loro labbra.
La ragazza rimase un attimo spiazzata, non se l’aspettava, poi quando realizzò l’accaduto ricambiò il bacio.
Non pensarono più a nulla e tutti i problemi svanirono in un attimo. Ogni pensiero fu offuscato dalla gioia e dalla tristezza di quel momento. Poi si addormentarono sulla spiaggia, abbracciati l’uno a l’altra.


 
Angolino dell’autrice ritardataria:
Chiedo perdono umilmente :C
Non ho scuse per questo ritardo, davvero mi dispiace, mi sento uno schifo. Non è che non avevo tempo, solo non avevo voglia, poi ho pubblicato altre cose, ed è andata così. Perdono :CCC
Comunque se non l’avete notato la storia da ora in poi verrà completamente stravolta, scoprirete poi.
Vi prego di recensire questo capitolo per farmi sapere se questa cosa di “sconvolgere” un po’ tutto vi piace o no. Grazie.
Ringrazio come sempre chi legge e basta, chi segue, chi recensisce ecc.
Bianca.





 

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Capitolo 18
*** Bentornato ***


18
Bentornato


 

Era tutta la notte che il re si rigirava nel suo letto, pensando e ripensando. Quel morbido materasso che sarebbe dovuto essere il luogo del suo dolce riposo era diventato da qualche tempo il posto in cui ragionava ed escogitava piani. Non ricordava chi avesse detto che la notte porta consiglio, ma il re ringraziò mentalmente quell’uomo.
Continuò a fissare la parete di fronte a sé, come se all’improvviso una mano magica vi potesse scrivere tutte le soluzioni ai suoi problemi, ma così non fu. La parete continuava ad essere del suo bianco sporco che con l’oscurità della notte risultava di un colore talmente scuro da essere confuso dal nero.
Qualcosa si mosse sull’altro lato del letto e si ricordò che la sera prima aveva mandato a chiamare una puttana per svuotare un po’ la mente, non che avesse funzionato. La donna, che ancora dormiva, si spostò andando più vicino a Reide, che infastidito le diede una spinta per farla tornare al suo posto. Non gli era mai piaciuto andare con le puttane, la riteneva una cosa squallida per un re, ma certo volte i bisogni umani erano più forti dell’orgoglio, e il re si concedeva qualche piccolo sfizio. La ragazza era sempre la stessa e ovviamente lei era sempre libera per fare compagnia al re quando ne avesse avuta la voglia. Non aveva più di venticinque anni, aveva i capelli lunghissimi che le arrivavano sotto il sedere di un lucido nero, che con la luce sembrava sfumare sul blu. I lineamenti marcati facevano risaltare i grandi occhi gialli, che a suo dire erano frutto di un incantesimo fattole da una sorta di stregone del deserto. Nonostante il re odiasse tutto quello che era magico, la storia dei suoi occhi lo aveva affascinato fin dal primo momento, e non gli era importato che questo implicasse la probabilità che nel deserto ci fossero degli stregoni che operavano la magia. Quegli occhi erano semplicemente magnetici e il re aveva subito scelto quella ragazza per allietare le sue notti. Non aveva chiesto da dove venisse, che origine avesse la sua famiglia o il suo nome, non erano cose di peso per il re quando si parlava di puttane, era sufficiente che fossero belle, e soprattutto brave.
Sotto il tocco del re, la ragazza non si svegliò, semplicemente assecondò il movimento della mano dell’uomo che la spingeva via, e tornò a dormire sul suo lato stringendosi maggiormente le coperte sotto il mento.
Reide tornò ai suoi pensieri e smise di curarsi della ragazza.
La sera prima gli era giunta una notizia, non vi erano ancora prove che fosse vera o solo frutto dell’immaginazione di un povero locandiere che aveva dannatamente bisogno di soldi, ma da quando quell’uomo era giunto a corte dicendo di aver visto il principe, Reide non aveva avuto un momento di pace.
Si era tormentato chiedendosi se fosse vero, e in caso se avrebbe dovuto subito indagare oppure aspettare che Lyan venisse da lui. Perché lui verrà, pensò il re. Ne aveva la certezza, Lyan voleva l’Elsa, e quella si trovava nei sotterrai il cui unico ingresso era all’interno del castello. Lyan sarebbe certamente entrato nellla sua dimora per accedere ai sotterranei.
In effetti il re aveva scoperto dove si trovasse una parte dell’Elsa, ma aveva deciso di lasciarla stare sotto la sua città, riteneva fosse il posto più sicuro e la maggior parte delle persone, anzi, tutte escluso qualche colto che aveva studiato attentamente tutte le vicende della storia delle Terre di Nemunas, non era a conoscenza dell’esistenza dei sotterranei. Quindi non aveva mandato nessuno a prenderla. Inoltre sapeva anche che a tempo debito Lyan gli avrebbe portato l’altra parte, risparmiandogli una grossa dose di lavoro che in caso contrario avrebbe dovuto sbrigare lui. Pensandoci bene era stata una fortuna che il suo ribelle figlio si fosse alleato con i nemici, partendo alla ricerca dell’Else. Così Lyan avrebbe ricevuto informazioni dalla regina di Dadasiana, avrebbe portato a termine la ricerca del manufatto e alla fine lui ne sarebbe venuto in possesso, in un modo o nell’atro, risparmiandosi molta fatica. Quel pensiero lo fece sorridere. Nonostante fosse un uomo intelligente preferiva avere già tutto accomodato, già tutto pronto, così che lui si dovesse solo occupare di ordinare a qualcuno di cominciare con i preparativi per i festeggiamenti della vittoria.
Approfittatore? No, lui preferiva definirsi un giocatore d’azzardo che rischiava il tutto per tutto, ma lui non perdeva mai.
Dalla finestra cominciarono ad intravedersi piccoli sprazzi di luce, che l’alba emanava sul suo regno. Il mio regno, si disse soddisfatto, e dopo aver vinto quella guerra il suo regno avrebbe incluso anche Dadasiana. Non vi era mai stato, ma i viaggiatori e i libri parlavano di un bellissimo impero governato da sempre solo da regine della stirpe più pura. Le sue terre erano narrate come inimmaginabilmente belle e ricche. Il re si immaginò a varcare la soglia del palazzo della regina, che si diceva fosse il palazzo più bello mai costruito. Si sarebbe trasferito là, non aveva dubbi, avrebbe abitato il quel luogo tanto raccontato.
Quando la luce che attraversava la finestra della sua stanza si fece più forte si alzò dal letto e si vestì. La ragazza ancora dormiva, ma non aveva intenzione di svegliarla, certo non per gentilezza, solo per il fatto che non gli cambiava nulla, per quando gli importava poteva stare anche tutto il giorno a dormire, l’avrebbe mandata via la sera dopo.
Uscì dalla camera e si diresse verso la sala del trono, aveva infatti indetto un consiglio straordinario per quella mattina. Se il locandiere aveva ragione, Lyan era già in città, aspettava solo il momento giusto per penetrare nel castello.
Giunse nella sala del trono senza fretta, la calma era sempre stata una delle sue più ammirate virtù.
Non c’era ancora nessuno, dopo tutto era presto, il consiglio non sarebbe cominciato prima di un’ora.
Si avvicinò al trono, lo carezzò con delicatezza e poi tirò un pugno sulla testata.
“Io sono il re, io comando!” gridò. Non c’era nessuno ad ascoltarlo, ma quelle parole echeggiarono per la stanza vuota.
Si sedette sullo scranno e prese un respiro. Voleva suo foglio davanti a sé in quel momento, lo voleva prostrato ai suoi piedi che con codardia gli implorava di risparmiargli la vita, ma aveva già fatto un errore del genere, ed essendo, come già visto, un uomo intelligente, lui imparava dai suoi errori, gli studiava attentamente e estirpava dal suo sbaglio ciò che veramente c’era di errato. Poi lo archiviava in una parte ben precisa del suo cervello, in modo da poterlo trovare subito, nel caso si fosse presentata l’occasione di ripetere quello sbaglio. A quel punto gli bastava ripensare alla prima volta e allora non lo ripeteva più.
Be’, è o no un uomo di grande intelligenza?
Si passò una mano sul viso, immaginando di avere delle occhiaie impresentabili sul volto per la notte passata in bianco. Comunque non se ne faceva davvero un problema, non gli importava dell’aspetto che avesse, era importante solo che incutesse in chi lo guardava quella sorte di timore che induceva ad un rispetto assoluto, che lui, da uomo clemente, avrebbe premiato. Chi però osava sfidare la sua autorità, sarebbe stato punito, senza eccezioni, tanto meno per un figlio traditore.
Si alzò spazientito dal trono, cominciando a camminare per la grande sala senza una meta precisa, per scaricare la tensione.
Sentì dei passi frettolosi provenire da fuori della sala e poi qualcuno aprì improvvisamente il portone. Comparì una guardia. “Vostra altezza” disse chinandosi, “è stato appiccato un incendio nella parte sud del giardino.”
Il re si voltò verso chi gli aveva appena dato la notizia con aria assente e poco interessata.
“E quale è la ragione di tutta questa urgenza?” chiese Reide. “Spengetelo e basta.”
“Signore, abbiamo preso il responsabile” annunciò.
“E chi sarebbe?” fece con finta aria di interesse. “Un contadino arrabbiato o un bottegaio squattrinato?”
“Vostro figlio signore.”
Sul volto del re si disegnò un sorriso soddisfatto. Il locandiere aveva visto bene, e suo figlio era finalmente tornato.
“E la ragazza, non è con lui?”
“No signore, c’era solo lui ad appiccare l’incendio. Non ha nemmeno opposto resistenza, capendo che non aveva scampo.”
Il re ricominciò a passeggiare nervoso. Suo figlio aveva un piano, ne era certo. Non si sarebbe mai fatto catturare con quella facilità. Per di più la ragazza non era con lui. Era lampante che avessero qualcosa in mente.
“Comunque i danni al giardino sono piuttosto gravi, e l’incendio non è ancora stato domato” proseguì la guardia.
“Il castello è al sicuro?”
“Sì, le fiamme non sono arrivate al castello, anche se l’incendio è stato appiccato molto vicino.”
“Bene” sussurrò. “E mio figlio adesso dove è?”
“È stato chiuso nelle segrete.”
“Molto bene. Portatelo qui da me.”
Tornarono altre tre guardie, due tenevano il principe per le braccia, ma lui non si ribellava. Lo fecero inginocchiare davanti al re. Quest’ultimo si avvicinò soddisfatto e gli girò intorno come gli animali feroci fanno con la preda. Gli ricordò quel girono di qualche mese prima in cui aveva mandato a chiamare suo figlio per annunciargli che si sarebbe dovuto arruolare. Era stato fatto inginocchiare per la sua insubordinazione ed era stato anche punito severamente.
Lyan teneva la testa alta, nonostante a quel punto la sua sorte fosse segnata.
“Bentornato figliolo.”

 


Angolino dell’autrice dispiaciuta:
Ciao. Lo so che è da tantissimo che non aggiorno, e mi dispiace davvero tantissimo. Come se non bastasse il capitolo è corto anche se tecnicamente ho avuto tantissimo tempo per scriverlo. Non ho passato tutto questo tempo con le mani in mano, semplicemente ho scritto altre cose per cui ero più ispirata, e ho trascurato un po’ l’Elsa.
Comunque adesso sono tornata con il diciottesimo capitolo che, anche se mi odiate, spero vi sia comunque piaciuto.
Vi ho detto che ho scritto altre cose, sono molo diverse dall’Elsa ma, anche se magari di solito non leggete cose del genere, mi farebbe piacere che leggeste quello che in questo tempo ho scritto e pubblicato. Perché è vero che voi seguite questa storia che è fantasy, ma sperimentare nuovi generi è sempre bello e per conoscere veramente la me scrittrice dovete leggere un po’ tutto quello che scrivo. Quindi se avete tempo e voglia, leggete pure. Facciamo che vi regalo un biscotto C:

Bianca.

P.s. Se non ve ne siete accorti, ho cambiato nick.

 

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