Falco e Leonessa

di Ilune Willowleaf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0 - il ritorno degli eroi dai confini dell'universo ***
Capitolo 2: *** Capitolo -3 - convivenza ***
Capitolo 3: *** Capitolo -2 - confidenze ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0 - il ritorno degli eroi dai confini dell'universo ***


Capitolo 0 - il ritorno degli eroi dai confini dell'universo



Il televisore acceso ronzava notizie sempre più preoccupanti.
Ai strofinò il canovaccio sul piatto, senza accorgersi che era asciutto già da un pezzo, mentre seguiva il notiziario.
Isamu e Mamoru avevano la colazione ancora intatta davanti.
Le notizie che provenivano dal piccolo schermo erano tutt’altro che confortanti.
Mamoru guardò la sua tazza di latte, mentre i suoi pensieri si allontanavano nel tempo e nello spazio.
Era passato un anno da quando era tornato a casa… e da quando il fratellone Guy, tutto il GGG, e Soldato J, erano rimasti bloccati a migliaia di anni-luce dalla Terra, dove un tempo esisteva il sistema trinario.
In quell’anno, la Terra non era stata in tranquilla attesa.
Lui non capiva benissimo la situazione internazionale, ma Ikumi, che era parecchio più intelligente di quanto la sua età e l’aria svagata lasciassero a intendere, ascoltava i telegiornali, leggeva i giornali e anche i notiziari on line di varie parti del mondo, e ne aveva ricavato un quadro piuttosto preoccupante.
I due bambini erano rimasti, per causa di forza maggiore, molto indietro con i programmi scolastici; quindi per ora studiavano assieme, con un insegnante privato, per prepararsi all’esame di ammissione alla scuola media. Ci avrebbero provato a primavera, ed erano a buon punto col programma.
Uno scampanellio riscosse la famigliola dai lugubri pensieri indotti dal telegiornale. Ai corse ad aprire a Ikumi, che arrivava sempre una decina di minuti prima dell’insegnante privato, e Isamu e Mamoru ingurgitarono in fretta la colazione e sparecchiarono in tempo di record.
-Buongiorno, signora Amami. -
-Buongiorno, Ikumi-kun. - Ai era sempre sorridente, e accolse il bambino con la sua solita espressione dolce, nascondendo le preoccupazioni dietro a una maschera di leggerezza.
Non ignorava che suo figlio e l’altro bambino probabilmente ne sapevano quanto se non più di lei della brutta situazione che si delineava all’orizzonte, ma la sua personale politica di casa era “far si che possano essere normali bambini, se è questo che vogliono”. E questo includeva il cercare di proteggerli dalle brutte notizie provenienti dal mondo.

-Hai sentito il telegiornale?- esordì a bassa voce Ikumi. Mamoru annuì. Ovviamente, Ikumi aveva sentito l’edizione di un’ora prima, dato che si svegliava presto per seguirlo, si preparava e veniva a casa sua a piedi.
-Che cosa ne pensi, allora?-
Mamoru si grattò la testa. -Non lo so, in apparenza non sembra cambiato molto da ieri…-
Ikumi annuì. -Esattamente quello che vogliono far credere alla popolazione. Non possono permettere che il panico si diffonda. Ma la verità è che non sanno più che pesci pigliare. - Il ragazzino aprì la cartella, estraendo un paio di libri e i quaderni e poggiandoli sul tavolo. Il maestro sarebbe arrivato a momenti. Mamoru lo imitò.
-Pare quasi che sia diventato tabù nominare il GGG e come in passato abbiano ostacolato la BioNet. - disse sconsolato il bambino, giocherellando col grosso pendente verde che portava al collo, che in realtà celava la potente G-Stone.
Ikumi fece un sorriso amaro. -Non possono ignorare il fatto che, dopo che hanno salvato la Terra dallo Z-Master, abbiano insistito a partire per risolvere quello che sembrava un problema remoto dall’altra parte della galassia, e che come tutto risultato il consiglio delle Nazioni Unite li abbia letteralmente esiliati. E guarda caso, pochi giorni dopo che sono partiti, dopo terrificanti condizioni meteorologiche, tutto torna tranquillo. Ricordi poi che gran vespaio ha suscitato il nostro ritorno? E il grande pubblico non ne ha saputo nulla… -
-Beh, almeno di una cosa dobbiamo ringraziare le loro manie di segretezza: non avremmo più avuto pace se avessero saputo che non siamo terrestri. - Mamoru si sedette: il campanello era squillato, e sua madre era andata ad aprire. I discorsi seri erano accantonati fino all’ora di pranzo.

Dopo il pranzo, i bambini avevano una mezz’ora di riposo prima di riprendere le serrate lezioni per recuperare in un anno e mezzo tre anni (tre e mezzo nel caso di Ikumi) di normale programma scolastico. Ovviamente, materie come economia domestica, ginnastica e musica erano state saltate a piè pari, e i due studiavano matematica, giapponese antico e moderno, inglese, geografia e storia. Quel che serviva per passare l’esame di ammissione alla scuola media.
In quella mezz’ora, di solito guardavano i cartoni animati, o meglio, fingevano di farlo. Ultimamente, infatti, continuavano i discorsi del mattino.
Quel giorno, però, i cartoni erano stati interrotti da una un’edizione speciale del telegiornale: un contingente di cyborg da combattimento della BioNet aveva fatto irruzione nella Camera del Consiglio delle Nazioni Unite, mentre era in corso una riunione per discutere proprio dei provvedimenti da attuare per limitare e fermare l’affermarsi del potere della BioNet. I cyborg avevano preso in ostaggio i delegati.
Non solo: nello stesso istante, i responsabili informatici di svariate centrali nucleari e di stazioni di lancio di missili a testate nucleari si accorgevano con terrore che i sistemi non rispondevano più al loro controllo, ma erano sotto controllo remoto… della BioNet.
Un solo, terrificante ultimatum: il governo della Terra in mano all’oligarchia di signori della morte che comandava la BioNet… o un olocausto nucleare.
La famiglia Amami, Ikumi e il maestro fissavano il televisore, dove minuto per minuto venivano dati gli aggiornamenti della situazione, le richieste della BioNet, le risposte del governo.
-Se solo Guy nii-chan fosse qui…- mormorò Mamoru sentendosi pervadere da un’amara sensazione di impotenza -Col GaoGaiGar…- Che cosa avrebbe potuto fare Guy col GaoGaiGar? Si chiese il bambino. Beh, sicuramente, con il GGG e i Brave Robots sulla Terra, la BioNet non avrebbe osato arrivare a tanto.
-J…- mormorò Ikumi. Mamoru pensò che anche l’amico stesse pensando alla stessa cosa.
-Forza… hanno creato altri Brave Robots, per tappare il vuoto lasciato dal GGG… forse qualcosa riusciranno a fare…- tentò di incoraggiare i presenti Mamoru.
Ai piangeva sommessamente, quando il cronista annunciò mesto che il consiglio delle Nazioni Unite aveva capitolato dinnanzi alle richieste della BioNet.
Il telegiornale mostrò in diretta la nave volante che atterrava davanti al Palazzo delle Nazioni Unite, lasciando uscire quelli che parevano uomini, ma con qualcosa di sottilmente diverso.
Cyborg, intuì subito Mamoru. Quel rappresentante della BioNet, circondato da guardie armate, era parzialmente cyborgizzato. E anche le guardie erano cyborg. O umani biologicamente modificati.
Niente a che vedere, pensò, con la tecnologia con cui era stato ricostruito Guy, o con quella con cui era stato creato J, che pareva un essere umano in tutto e per tutto ma, gli aveva detto Ikumi, aveva una percentuale organica piuttosto bassa e prestazioni di combattimento paragonabili a quelle di Guy.
-Questo è un gran giorno per la Terra!- stava dicendo quell’uomo, dal podio del presidente. I rappresentanti delle Nazioni Unite avevano volti colmi di rabbia impotente. La presidentessa del consiglio aveva le labbra tese e stirate, un’espressione orgogliosa sul vecchio volto.
-Il giorno in cui tutte le nazioni si uniranno in una sola, in cui tutte le leggi cesseranno, in favore di una sola… la legge della BioNet!-
Invece dell’applauso che si aspettava, udì il rumore di uno dei lucernari sopra di lui che andava in frantumi, piovendo schegge di vetro tutt’intorno.
-TU TE L’OUBLIES, SALAUD!!!- (trad: te lo sogni, bastardo!) urlò in risposta una voce femminile, la parte finale della frase parzialmente coperta da due colpi di arma da fuoco, così ravvicinati da formare quasi un’unica detonazione.
Il rimbombo impiegò un paio di secondi a spegnersi. Non solo sul palazzo dell’ONU, ma sul mondo intero, in ogni stanza con un televisore acceso, calò un silenzio sbalordito.
Saltando giù dal soffitto, una ragazza vestita di porpora e rosa, con un revolver ancora fumante e dal calibro enorme in ciascuna mano, atterrò praticamente in faccia all’ambasciatore della BioNet.
L’uomo non poté far altro che crollare a terra.
Con tutta calma, Renée lo guardò con una smorfia di disprezzo impossibile da fraintendere. Puntò lentamente una delle due pistole contro di lui, e uno dopo l’altro gli scaricò in testa i cinque colpi rimasti nel tamburo. La sua testa era celata alla vista delle telecamere dal podio, che era esattamente tra lui e loro, ma i frammenti di metallo, gli spruzzi di olio e gli schizzi di sangue che ne scaturivano ad ogni colpo erano molto chiari.
La presidentessa, che per riflesso condizionato si era gettata sotto il proprio banco cercando copertura (imitata da molti), fece spuntare la testa, guardando la scena con un’ansia che si trasformò rapidamente in gioia
Due uomini caddero giù dal lucernario infranto. Uno aveva una tuta nera, una lunga sciarpa e un’armatura verde pallido, e improbabili capelli verdi sparati all’indietro. L’altro con un’armatura dorata e capelli castano-rossicci, però, era quello più immediatamente riconoscibile.

-È Guy nii-chan!- esclamò Mamoru, quasi afferrando il televisore.
-E J!- Ikumi quasi gli montò in spalla per attaccare il naso allo schermo.
    
Le guardie cyborg che sorvegliavano l’assemblea, forse le più sbalordite tra tutti gli astanti, reagirono troppo tardi e troppo lentamente.
-WILL... KNIFE!- Guy sfoderò con un rapido movimento la sua corta lama di cristallo verde, piantandola subito dopo fino all’elsa nel petto corazzato della guardia più vicina.
-PLASMA SWORD!- scattando verso l’altro lato della vasta aula, J aveva già attivato la sua arma. Danzò velocissimo tra gli uomini della BioNet sparsi lungo la sua traiettoria, tracciando larghi archi nell’aria con la lama di energia. Alle sue spalle, i cyborg cadevano a terra in pezzi per poi esplodere uno dopo l’altro
-DISTRUGGETELI.- Comandò con tono robotico uno dei soldati, puntando il braccio nella loro direzione. Per tutta risposta Guy, anche lui già lanciato in carica attraverso i suoi ranghi, gli assestò un pugno in faccia al termine del suo scatto di corsa.
La G-Stone incastonata nell’avambraccio dell’armatura brillò per un istante, e la sua testa corazzata esplose all’indietro, schiantandosi contro un’altra guardia che stava sopraggiungendo come una palla di cannone.
Ma i cyborg di BioNet erano ben numerosi e ben addestrati. Ripresisi dalla sorpresa, risposero al fuoco, sparando ad altezza d’uomo contro i due guerrieri, e serrarono i ranghi in un angolo della stanza. Le pallottole iniziarono a volare, e anche i diplomatici più coraggiosi dovettero gettarsi sotto i tavoli, come i cameramen e gli inservienti. Due telecamere, colpite, andarono in frantumi.
-Tch!- Guy digrignò i denti nevroticamente. Una sparatoria in una stanza chiusa e piena di persone era una situazione orrenda. A questo punto... -J!-
Il Soldato, sentendo Guy chiamarlo, bloccò il suo attacco. I due guerrieri si fermarono, immobili, fissando il gruppo di cyborg, circa due dozzine, che si stava riorganizzando.
Questi, vedendo i loro avversari esitare, si schierarono, fucili spianati contro di loro, trattenendo il fuoco. Circa dieci metri li separavano.
-ARRENDETEVI, O UCCIDEREMO I DELEGATI.- Gridò uno di loro con quell’odiosa voce metallica. Qualche grido di panico si fece sentire nell’assemblea.
Guy sorrise. -...Non credo.-
Il cyborg che aveva parlato non aveva una faccia umana capace di espressioni, ma era comunque facile indovinare la sua confusione. Durò circa due secondi.
Poi, il rombo di un razzo riempì l’aula. Una scia di fumo bianco si abbatté sul gruppo di cyborg, così ben raggruppati, cadendo dall’alto, ed esplose, scaraventando frammenti di metallo fumanti tutt’intorno.
Qualche giornalista ebbe la prontezza di spirito di alzarsi e ruotare la telecamera verso il soffitto, in tempo per inquadrare Geki Hyuuma, tranquillamente seduto sul bordo del lucernario infranto, gettare di lato un grosso lanciamissili da spalla, ridendo: -Branco di buffoni. -
In tutto questo, Renée si era completamente disinteressata delle guardie, dedicando tutta la sua attenzione all’ambasciatore della BioNet. Lasciando cadere rumorosamente a terra la pistola scarica, si passò l’altra dalla mano sinistra alla destra. Con calma serafica, piantò il piede nello stomaco della carcassa robotica stesa a terra, e prese la mira.
-Hai il diritto di non parlare, - pallottola nel collo -hai diritto a un avvocato, - altra pallottola, all’altezza del cuore -e se non puoi permettertene uno, te ne verrà assegnato uno d'ufficio, - terza pallottola, in quello che restava della testa -sempre che qualcuno voglia difendere della feccia come te!- e l’ultimo colpo, appena sotto la gola, fece finalmente schizzare via dal corpo la testa del cyborg, completa di collo, come un tappo di spumante. Ormai era completamente sformata, ma rimbalzò comunque un paio di volte con rumore metallico, rotolando per un paio di metri e poi cadendo giù per la rampa di scale che portava fino in cima al podio dell’oratore prima di arrestarsi.
-Renée? Credo possa bastare… è morto…- J le mise una mano sulla spalla, riportandola alla ragione.
-Meglio esserne sicuri. - fece lei, fissando con astio il cadavere. Per un attimo sembrò considerare l’idea di ricaricare la pistola e ricominciare.
-Anche perché credo che ci stiano guardando tutti… tutto il mondo, intendo…- le disse Guy, indicando le telecamere.
La ragazza alzò lo sguardo, un poco più lucida.
-Oddio… siamo in tivvù?!- disse con un fil di voce, arrossendo consapevole della performance appena eseguita in mondovisione.
-Oserei dire di si…- rispose Guy, preparandosi a sfoderare la sua migliore faccia di bronzo.
Sì, il tutto in diretta televisiva.

-Sono tornati!- disse Ikumi.
-SONO TORNATI!- gridò Mamoru.
-SONO TORNATI!!!- Urlarono all’unisono, tra le esclamazioni di gioia dei genitori di Mamoru e la perplessità dell’insegnante.
-Mamma, noi per oggi finiamo qui!- Mamoru si stava infilando le scarpe, e Ikumi lo aspettava già sulla porta, con la giacca infilata. Ai fece appena a tempo a raggiungerlo per dargli la giacca.
Mamoru stava per correre via, quando si fermò e si voltò.
-Mamma, puoi avvisare tu la mamma di Ikumi? Forse… forse faremo un po’ tardi stasera…-
Ai sorrise e da dietro di lei comparve anche la mole più bassa e tonda di Isamu, anche lui sorridente.
-Ma certo, Mamoru-kun. - gli assicurarono comprensivi i genitori. Mamoru li salutò con la mano e corse dietro a Ikumi. Appena i due ebbero oltrepassato la cima della collina con le pale eoliche, due puntini luminosi, uno verde e uno rosso-violaceo, schizzarono nel cielo del pomeriggio settembrino.




NOTE  DELL'AUTRICE:
E così, pubblico la mia fanfiction su Yuushaoh Gaogaigar.
Innanzitutto, una premessa: io AODRO il protagonista del cartone, Guy. E' solare, è determinato, è ottimista, è incrollabile. Adoro il rapporto che ha con Mikoto.
Ma la loro è una coppia fatta, specialmente negli OAV Final, c'è poco da dire su di loro.
Renée, cugina di Guy, è invece molto più ombrosa, più drammatca come passato e come emozioni che si agitano sottopelle.
Il rapporto che si crea con Soldato-J negli OAV mi ha subito affascianto, sono diventati in fretta la mia coppia preferita. E poi ho pensato "come si potrebbe sviluppare una storia tra una ragazza con gravi traumi alle spalle e grossi problemi di socializzazione e un cyborg alieno creato per combattere?".
E così è nata questa fanfiction.
Spero possa piacere a voi da leggere quanto sta piacendo a me da scrivere!
Tendo ad avere tempi biblici per scrivere, quindi centellinerò i capitoli già scritti. I commenti sono sempre ben accetti, sopratutto per smuovere un po' la mia ispirazione lumaca!

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Capitolo 2
*** Capitolo -3 - convivenza ***



Capitolo -3 - convivenza

Premessa dell'autrice:
- i capitoli -3, -2 e -1 si svolgono prima del capitolo 0.
- questa fanfic è spiccatamente RenéexJ-centrica, c'è azione, ci sono robottoni, ci sono nemici pericolosi, ci sono combattimenti, ci sono intrighi, ma c'è sopratutto SVILUPPO tra quei due. ^_^ Tanto per darvi un'idea di cosa vi aspetta.


(12 mesi al ritorno)
Gli umani spesso pensano che lo spazio sia vuoto.    
In realtà, pochi atomi per metro cubo, in taluni posti, molto più fitti in talaltri, c’è materia.
Soldato J era sempre stato una cosa sola con la sua J-Ark, poteva sentire la sua astronave come se fosse parte del suo corpo… perché, quando si fondeva con essa, diventavano una sola cosa.
E come un assetato che sente se l’aria è secca o umida, sentiva ora che quell’angolo di cosmo era criticamente scarso di atomi.
Praticamente, tutto quello che c’era, erano i resti sparpagliati delle astronavi e dei corpi dei robot del GGG, frantumati dalla battaglia atroce contro gli 11 Soul Master.
Aggrappata al ponte della J-Ark, come un naufrago su una malconcia zattera, c’era la nave di fuga degli umani del GGG; e legate allo scafo della titanica corazzata spaziale, le carcasse semidistrutte degli eroici robot, in cui solo il miracoloso potere della G-Stone permetteva che la scintilla dell’autocoscienza restasse vivo, nelle loro complesse intelligenze artificiali.
Tutto ciò, Soldato J lo avvertiva in modo inconscio, così come un uomo avverte il battito del proprio cuore o la lieve pressione di un vestito sulla pelle.
La sua coscienza tornò lentamente a concentrarsi nel suo corpo, il suo corpo di carne artificiale, sangue sintetico e sofisticatissimi impianti che la mente umana non poteva ancora concepire.
E sull’altro corpo abbandonato sopra il suo.
Renée era ancora priva di sensi, ma le loro mani intrecciate erano saldamente unite, e la G-Stone di lei e il J-Jewel di lui pulsavano delicatamente, all’unisono.
Era calda, così calda rispetto al pavimento, che J percepiva come freddo, rispetto all’aria, rispetto a tutto. Per lui, costruito su un pianeta dall’elevata temperatura, il corpo della ragazza, ustionante per un essere umano, era caldo, ma non bruciante.
Con la coda dell’occhio vide il vecchio scienziato della GGG armeggiare con un piccolo computer da cui uscivano dei cavi, agganciati ai cavi metallici della capigliatura cyborg della ragazza.
-Che stai facendo?- chiese, con un filo di voce. Era molto provato, e non ricordava di essersi mai sentito tanto spossato.
-Controllo le sue funzioni vitali. - il professor Liger batté alcuni tasti, esaminando lo schermo. -Ha usato l’Hyper Mode per troppo tempo, ha delle ferite, ustioni e contusioni superficiali, ed è esausta. Temo possa avere anche lesioni interne, ma dovrò analizzare questi dati a parte. -
Il professore alzò lo sguardo, incrociando attraverso le lenti colorate quello azzurro di J.
-Tu sembri messo peggio di lei. Ma non credo di poter fare molto per te. La tua tecnologia è molto più avanzata della nostra. -
-Non ne ho bisogno: il mio sistema di autoriparazione sta già lavorando. Anche quello della J-Ark è già al lavoro. Presto torneremo in condizioni di perfetta efficienza. -
A riprova di ciò, J fletté dapprima la mano, poi sollevò il braccio destro. Notò con soddisfazione che, in poche ore, i graffi più superficiali erano spariti, e le ferite profonde si stavano richiudendo. Le nanomacchine che costituivano il suo sistema di riparazione stavano dando la priorità ai danni del corpo biologico. Poi, stabilizzate quelle condizioni, sarebbero passati alle componenti elettroniche e meccaniche; infine avrebbero riparato l’armatura e le ali, nonché il sistema generatore del laser della mano.
Lasciò ricadere il braccio sotto la coperta termo-disperdente che copriva Renée, e anche lui, concedendosi qualche istante per guardarsi attorno.
Era nella sala comandi della navicella di salvataggio del GGG, la stessa in cui erano stati preparati i missili con dentro Latio e Arma, per rimandarli sul pianeta azzurro… la Terra.
Al momento, oltre al professor Liger, non c’era nessuno.
Erano passate meno di sei ore da quando i due bambini erano stati rimandati al sistema stellare del GGG con gli ultimi due missili ES. Sicuramente gli umani a bordo erano andati a iniziare a organizzare la loro permanenza a tempo indefinito nello spazio, a bordo di quel piccolo costrutto autosufficiente.
J voleva tornare a bordo della sua J-Ark, ma sentiva che, se avesse provato ad alzarsi, non ce l’avrebbe fatta. O forse, ce l’avrebbe fatta con un enorme sforzo. Ma dato che non era in immediato pericolo di vita, poteva anche aspettare lì che le nanomacchine facessero il loro lavoro.
Liger terminò, chiudendo il piccolo portatile. Poi si rivolse a J: -Manderò qualcuno a portarvi in infermeria. -
J scosse il capo. -Io mi sto già riparando da solo. E Renée… meglio non separare la G-Stone e il J-Jewel, finché non ci saremo ripresi. Se dovessero arrestarsi… sarebbe la fine per entrambi. -
Liger osservò per un attimo le due gemme, unico punto ancora vivacemente colorato dei corpi pallidi e sfiniti dei due cyborg, poi annuì, alzandosi e andando verso la porta.

Quando era davvero esausto, J cadeva in un torpore profondo che gli umani avrebbero chiamato senza dubbio sonno. Era una sorta di veglia sognante, quello stato in cui la mente vaga liberamente dentro e fuori i confini dell’illusione, quella in cui ora il cyborg era scivolato, ancora seduto con la schiena poggiata al muro, una gamba piegata e l’altra distesa, dicendosi che sì, poteva alzarsi, ma in quel momento proprio non ne aveva voglia.
Inoltre, non voleva svegliare Renée.
Lei invece dormiva profondamente, e si era mossa appena appena, nel sonno, per cambiare una posizione scomoda in una un po’ meno fastidiosa.
Contro ogni comune logica e buonsenso, pareva stare abbastanza a suo agio, così accasciata e rannicchiata metà sul pavimento e metà su di lui.
Sulla sua pelle chiara risaltavano ancora abrasioni e tagli. C’era qualcosa di vagamente disturbante nella sua tuta, che praticamente non esisteva più sulle cosce, ma J non riuscì a capire che cosa, almeno a livello conscio. Sembrava così piccola e fragile, pareva quasi impossibile che fosse la stessa donna che aveva combattuto come una furia al suo fianco poche ore prima, rifiutandosi tenacemente di arrendersi e morire.
La sentì muoversi di nuovo, e in quel momento entrò una persona che il guerriero del Pianeta Rosso conosceva bene: Guy.
Se J avesse visto qualche film della Terra, avrebbe senza dubbio pensato che il ragazzo assomigliava a una mummia: il torace, la testa, il collo, le braccia e probabilmente anche le cosce, sotto ai pantaloni, erano interamente bendate e coperte di cerotti.
-Come state tu e Renée, Soldato J?- chiese il terrestre, lasciandosi cadere su una poltroncina.
-Vivi. - fu la laconica risposta del cyborg -Sei comunque in condizioni migliori delle nostre. -
Guy fletté sperimentalmente un braccio. -Beh, io sono un Evoluder…- si schernì modesto -Ma… che cosa è successo alla G-Stone di Renée e al tuo J-Jewel? -
J guardò le due mani intrecciate, riflettendoci su approfonditamente per la prima volta.
-Pare che si potenzino a vicenda. - fu la sua conclusione.
Il silenzio scese tra i due. Guy non sapeva davvero che cosa dire.
-Tu e Renée… siete parenti?-
Guy rimase per un attimo sorpreso da questa domanda. Per quanto effettivamente lo conoscesse poco, non avrebbe ritenuto Soldato J un tipo da imbastire una conversazione qualunque. Almeno non era toccato a lui rompere il ghiaccio, ironizzò tra sé il terrestre: era difficile fare commenti sul bel tempo quando si è nello spazio…
-Beh, si. È figlia di zio Liger, e questo fa di lei mia cugina, ma non ha mai considerato lo zio un padre. Neanche quando le ha ricostruito il corpo, così come mio padre l’ha ricostruito a me dopo l’incidente con lo Shuttle e EI-01, quando Galeon mi ha salvato. - Guy si allungò sulla poltroncina, non nascondendo una smorfia quando un movimento sbagliato gli fece tirare un muscolo ferito -Comunque, è una cyborg, come lo ero io. -
J non fece commenti su quell’”ero”. Si chiedeva infatti ancora che cosa fosse successo a Guy, dato che pareva più simile a un umano, in apparenza, di quando avevano combattuto come alleati contro lo Z-Master. Si ripromise di chiederglielo in un altro momento.
-Ma, per quanto sia abile e forte, le sue capacità di combattimento sono diverse dalle tue. Io ricordo bene il nostro scontro. - dichiarò con fermezza. Niente avrebbe potuto sbiadire la memoria dei duelli con l’unico avversario che si era dimostrato per lui un valido rivale.
Guy annuì. -Lei è… no, meglio che te ne parli lei stessa, se vuole. - scrollò le spalle -È gelosa dei suoi segreti. Ed è una tipa che tende a reagire in maniera violenta, quando irritata. -
-Tu non hai idea di quanto possa essere violenta, quando sono arrabbiata, Guy. - la voce di Renée emerse da sotto la coperta criogenica, e il ragazzo sudò freddo all’idea di aver sfiorato la morte, di nuovo, stavolta per mano della cugina.
Poi lei fece qualcosa che Guy non si sarebbe mai aspettato: sorrise. A J.
-Aaahhh… mi sento come se l’intera Torre Eiffel mi fosse cascata sulla schiena. - si lamentò, ma senza troppa convinzione.
-Prima c’era un individuo a controllare le tue funzioni vitali. Ha detto che hai usato l’Hyper Mode troppo a lungo, e che potresti avere danni rilevanti agli organi interni. - la informò pacatamente il cyborg.
-Ah, mio padre. - Renée scrollò indifferente le spalle.
-Zio Liger era molto preoccupato per te, Renée. Non fare quell’espressione, lo sai che lui ci tiene molto a te. - Guy si alzò -Comunque, ero venuto a vedere se eravate svegli e a dirvi che abbiamo azionato i sintetizzatori della nave, e che la mensa ha iniziato a lavorare. Se avete fame e non ve la sentite di muovervi, posso portarvi qualcosa. -
Non che si aspettasse una risposta affermativa alla sua offerta: quei due erano più testardi di una roccia, da soli, figuriamoci assieme. Non sia mai che si facessero trattare come dei malati o degli infermi!
Come di comune accordo, i due si alzarono, puntellandosi un po’ al muro, un po’ l’un l’altra.
-Meglio non allontanare le due pietre. - disse in tono pratico J, accennando col mento alla G-Stone e al J-Jewel.
Renée si sentiva ora terribilmente in imbarazzo a camminare mano nella mano con J. Non perché fosse lui, quanto per timore che i membri dell’equipaggio la vedessero e lo considerassero un segno di debolezza. Ma non c’era nessuno negli stretti corridoi.
Quando chiese il perché, Guy le disse di abbassare la voce.
-Sono tutti esausti. Più avanti stabiliremo dei turni per usare la sala mensa e quella per il riposo, ma per il momento, sono tutti ammassati a riposare. -
 
La sala mensa era in realtà un locale piccolo e stretto, con seggiole e tavolini imbullonati al pavimento e una macchina nell’angolo che prendeva gli atomi sciolti dal deposito della nave e li riassemblava in acqua e cibo. I cibi ricostruiti erano semplici e non sempre avevano un sapore delizioso, ma erano cibo. Il sintetizzatore e riciclatore della J-Ark, progettato per sostentare l’Arma della nave, faceva un lavoro appena un po’ migliore, notò J, ma era ancora fuori uso probabilmente, quindi bisognava adattarsi.
Guy li lasciò da soli, raggiungendo Mikoto e gli altri per un po’ di riposo. Anche se era un Evoluder, la battaglia lo aveva stremato.
-Voglio tornare sulla J-Ark. - disse a un certo punto J.
Aveva a malapena toccato cibo. In verità, non gli era capitato quasi mai di mangiare, dato che l’energia interna era garantita dal J-Jewel, e al recupero dei materiali necessari alle riparazioni pensavano le nanomacchine. Ma Arma aveva avuto bisogno di mangiare e dormire, e le J-Ark erano attrezzate per il sostentamento dei rispettivi Arma, che avevano una struttura puramente biologica, e a volte aveva tenuto compagnia al suo Arma nei mesi passati assieme.
Inoltre, un supplemento di materie prime per la rigenerazione del suo corpo non avrebbe fatto certo male al suo sistema di autoriparazione.
Renée invece era affamata, a conti fatti erano ventiquattro ore, forse di più, che non toccava cibo, e anche se la sua energia era garantita dalla G-Stone, lo stomaco le ricordava spesso la sua presenza.
-Ti va di venire con me?-
Renée fissò il piatto, arrossendo. Perché no? In compagnia dei normali esseri umani si sentiva sempre una diversa, un essere non più appartenente alla razza umana. Da quando era rinata come cyborg, si era sentita diversa da tutti, dentro e fuori, e si isolava per ciò. Ma ora aveva trovato qualcuno simile a lei, più simile di quanto non le fosse mai stato anche Guy. J.
-Mi farebbe piacere. - gli rispose.

In sole dodici ore, i macrodanni alle zone abitabili e ai meccanismi principali erano stati tamponati, notò J con soddisfazione. Appena la J-Ark veniva danneggiata, si liberavano sciami di nanomacchine che si precipitavano a riparare il danno, moltiplicandosi se necessario.
Allargò le braccia. Ora si sentiva a casa.
L’astronave dei terrestri poteva senza dubbio essere comoda, ma lui si sentiva perfettamente a suo agio solo nella sua astronave, o mentre volteggiava libero nella sconfinata vastità del cielo.
-J-Ark. - si voltò verso Renée, come a svelarle un suo intimo segreto -Parte di me, così come io sono parte di lei. -
Renée si guardava attorno, notando, più che la struttura, gli ingenti danni subiti. Le pareva di ricordare che fossero molto maggiori, e quando lo disse ad alta voce, Soldato J sorrise.
-La J-Ark ha un sistema di autoriparazione a base di nanomacchine. In poco tempo sarà di nuovo integra, e allora potrà riprendere la produzione di missili e mine ES. Anzi, non ce ne sarà neanche bisogno: il dispositivo ES…  - si voltò verso la consolle di comando -J-Ark, calcolo del tempo stimato per la riparazione della struttura e del generatore ES. -
-Calcolo in corso. - la voce acuta e monocorde di Tomoro, il computer di bordo, risuonò nell’aria, per poi tacere.
-Aspetta, generatore ES? Vuoi dire che potremo tornare a casa? Sulla Terra?- esclamò la ragazza, voltandosi di scatto a fissarlo con occhi sgranati.
-Sì, certo; richiederà dal tempo, ma posso riportarvi sul Pianeta Azzurro. - dichiarò con semplicità J, stupito della reazione di Renée.
-E DIRLO PRIMA NO?!- L’onda d’urto non appiattì i capelli del cyborg solo perché essi erano già sparati all’indietro.
-Ma…  che intendi dire…?!- esitò sinceramente spiazzato dall’apparente mancanza di logica di quell’aggressione verbale.
-Che da quel che hai detto sul rimandare Arma e Mamoru sulla Terra prima che fosse troppo tardi, pensavamo che non ci fosse altro modo, oltre a quei due missili, di tornare nel sistema solare!!!-
-No, avete frainteso: la J-Ark deve ripararsi, e ci vorrà del tempo, parecchio tempo; ma io volevo rimandare Arma sulla Terra il prima possibile, perché gliel’avevo promesso…- J fece un passo indietro. Renée lo squadrava dal basso all’alto con sguardo inquisitorio.
-Credevamo di essere tutti bloccati qui sperduti in mezzo al nulla! E adesso ci dici che basterà un po’ di tempo?!-
-Non va bene…?- il poveretto era sempre più perplesso.
Renée si schiaffò la mano sulla faccia. -Certo che va bene. - sospirò -Solo che se l’avessi detto prima… ma va beh, lasciamo perdere…-
J pensò che aveva ancora parecchio da capire dei terrestri. Arma gliel’aveva detto che a volte erano parecchio irrazionali, le donne in particolar modo, ma non aveva mai immaginato fino a questo punto. Così decise di spiegarle la propria posizione nel modo più chiaro possibile:
-Renée, io avevo promesso ad Arma di riportarlo sulla Terra già dopo aver distrutto lo Z-Master. In seguito alle osservazioni che avevamo fatto sulla contrazione dell’Universo, aveva deciso di accantonare questo suo desiderio fino a che non avessimo capito, o risolto, il problema, o quantomeno dopo aver avvisato il GGG. -
-Va bene, va bene…- lei agitò la mano -Informeremo il vecchio e gli altri, dopo. Prima vediamo un po’ quanto tempo ci metterà la J-Ark a tornare in carreggiata. -
In quel momento, Tomoro rispose alla domanda di Soldato J. -Calcolo eseguito. Novemilacentoquattro ore, quattordici minuti e ventitré secondi per una riparazione funzionale al passaggio nell’ES. -
Le labbra di Renée si mossero mentre faceva un rapido calcolo. -Ma sono circa dodici mesi!-
J scosse la testa. -La J-Ark è stata danneggiata in modo quasi irreparabile. Siamo fortunati che sia ancora abbastanza integra da avere la forza di autoripararsi. Le materie necessarie sono molto scarse qui, ma appena i motori saranno in grado di ritornare in funzione, ci sposteremo verso una zona più ricca di materia. -
Renée stava osservando fuori dagli enormi vetri corazzati, appena sostituiti, che si affacciavano sul vasto universo infinito. Non aveva mai avuto veramente il desiderio di trovarsi nello Spazio: il vuoto cosmico non l’attirava per nulla, a differenza di Guy che era stato un pilota di shuttle. Lei amava sentire la terra solida sotto ai piedi, sentire il sole e il vento sulla pelle, e ammirare gli orizzonti della Terra.
Sfiorò il vetro con la mano, guardando il buio fuori, interrotto appena dal vago lucore delle stelle.
-Ci vorrà quindi più di un anno, per tornare sulla Terra?- chiese sottovoce, stringendosi nell’ormai lacero cappotto raffreddante. La sua voce, che poco prima era dura e irata, era ora ridotta a un mormorio.
-Sì, a meno che non si riesca a trovare una zona con una quantità maggiore di materia che si possa usare per le riparazioni. In ogni caso, parecchi mesi. - confermò il cyborg con tono neutro.
La ragazza annuì. Un anno! Sarebbe arrivato di nuovo l’autunno a Parigi, e poi l’inverno, e forse avrebbe nevicato sugli Champs D’Elisée illuminati, e poi la primavera con le fiere dei fiori, e di nuovo l’estate, piena di turisti… e se tutto fosse andato bene, sarebbe tornata per l’autunno.
Più di dodici mesi… in cui quei bastardi della BioNet avrebbero avuto campo libero su tutto il pianeta! Ringhiò tra i denti.
-Chi sono questi della “BioNet”?- chiese J. Renée non si era accorta, ma aveva imprecato contro di loro a bassa voce.
La ragazza si ricordò che non era sola: tanto abituata a schivare la compagnia altrui, che per un attimo s’era dimenticata che J era lì vicino. E ora, era accanto a lei, con espressione cortesemente incuriosita.
-Sono… dei criminali. Io, KouRyu e AnRyu facciamo parte dei Chasseur, un dipartimento francese dedicato alla lotta ai criminali internazionali, che collabora anche col GGG. Loro sono i nostri avversari principali. - strinse a pugno la mano, la destra. -Io ho un conto in sospeso con loro… da molti anni. E non avrò pace finché non li avrò ammazzati tutti, con le mie mani!-
Soldato J sorrise tra sé e sé: la semplice forza fisica di cui la ragazza difettava rispetto a Guy, veniva ampiamente compensata da una tenacia e una testardaggine che non aveva uguali. Aveva già avuto modo di apprezzare questa sua dote meno di ventiquattro ore prima, nel terrificante scontro contro i tre Soul Master che avevano affrontato.
-Sai, ho riflettuto parecchio, in queste ore. Su cosa farò adesso. - guardò lo spazio infinito, quasi fosse un riflesso dei suoi pensieri. -In quanto Soldato J, il mio compito si poteva dire esaurito con l’eliminazione dello Z-Master, e il controllo e l’eliminazione dei Soul Master in quanto programmi difettosi creati da Abel. Ora, però, non ho più nemici, e Arma è tornato sulla Terra per vivere come un normale essere umano. -
Renée lo guardò senza capire.
-Esaurita la mia missione di combattere lo Z-Master, il secondo ordine per priorità è quello di proteggere Arma. E Arma ora vivrà sulla Terra. - si voltò verso Renée -Quindi ho pensato che, oltre a riaccompagnarvi sulla Terra, potrei fermarmici anche io, e offrire il mio aiuto per proteggerla. Magari restando nella zona dove Arma è tornato a vivere. -
Sorrideva.
Quando le loro mani si strinsero di nuovo, Renée arrossì.
-Quel conto che hai in sospeso… accetteresti una mano per saldarlo?- nella sua voce calda si percepiva il sincero desiderio di continuare a lottare al fianco di colei che si era dimostrata una compagna preziosa e degna di rispetto, affinché anche lei potesse realizzare a sua volta lo scopo al quale aveva dedicato la propria esistenza.
-Volentieri. Ma i colpi di grazia voglio darli io. -

Il professor Liger aveva esaurito ogni idea: dove diamine poteva essersi cacciata Renée? L'astronave era grande, è vero, ma non così tanto da perdere una ragazza.
Analizzando i dati scaricati sul suo portatile, aveva visto che molto probabilmente le sue paure erano fondate: le recenti battaglie dovevano averle lasciato alcune lesioni interne, e quindi era opportuno che Renée si facesse vedere dal medico di bordo, e sarebbe stato il caso di fare anche un check up completo dei sistemi cyborg.
Inoltre, era preoccupato per i robot: non avevano pezzi di ricambio per i loro corpi, e anche solo fare la manutenzione alle AI sarebbe stato problematico, nelle loro condizioni. A quel punto, era da valutare la possibilità di portarli all'interno dell'astronave, malgrado il già ridottissimo spazio che avevano a disposizione, per proteggerle.
Dato che Renée non si trovava, decise di uscire con la squadra, che si stava già mettendo i caschi e le tute, per andare a fare la manutenzione alle AI e assicurarsi che, malgrado i danni subiti dai corpi, esse fossero ancora in un ragionevole stato di efficienza.
-Come sono le condizioni dei nostri eroi?-
-Le AI sono in condizioni discrete, tenuto conto di quanto hanno passato, ma i corpi robotici sono danneggiati oltre ogni ragionevole limite per la riparazione. L'unica alternativa sarebbe la sostituzione completa... con pezzi che non abbiamo. - Swan aveva in mano una piccola cartelletta e una matita, legata con dello spago ai fogli. Suo fratello Stallion stava controllando alcuni parametri vitali di Mic sul portatile.
-Professore, noi siamo robot, non importa se i nostri corpi sono danneggiati, possiamo resistere finché le nostre AI continuano a funzionare. - disse Hyoryu.
-Ma lasciarvi così è pericoloso. Se a voi va bene, sarebbe meglio separare le vostre unità AI dai corpi e ripararle all’interno della nave. -

Guy galleggiava da un robot all’altro, e infine si diresse verso Galeon, ancora settato come Genesic GaoGaiGar, e con quel che restava delle Genesic GaoMachine assemblato.
Aveva notato, sconcertato, che il mechanoid aveva un sistema di autoricostruzione. La cosa, rifletté poi, non avrebbe dovuto stupirlo: Galeon era il prodotto di una tecnologia talmente avanzata, rispetto a quella terrestre, che il fatto che avesse un sistema di rigenerazione autonomo non doveva essere nulla di trascendentale. Sarebbe stato bello se anche i brave robot avessero avuto un sistema di autoriparazione.
Parlando di autoriparazione, aveva notato anche che i danni della J-Ark parevano leggermente diminuiti. Si ricordò che doveva aver subito gravi danni dopo la battaglia con lo Z-Master: eppure, era stata in perfetta efficienza prima dello scontro con i Soul Master.
Che anche la J-Ark avesse un sistema di ripristino?
Mentre rientrava ruminando tra sé e sé questi pensieri, venne richiamato da una voce.
-Ehy, Guy... ti stavamo cercando. -
Ecco, parli del diavolo e spuntano le corna: Renée e Soldato J. Erano ancora malconci, la tuta di lei era stracciata in maniera quasi indecente sulle gambe, e sicuramente lo era anche sotto al cooling coat allacciato. J pareva in condizioni un po' migliori, la sua tuta era integra e anche se l'armatura era sbriciolata in parecchi punti, non pareva avere graffi o ferite. Graffi e sbucciature erano spariti dal viso, di nuovo coperto, nella parte superiore, dall'elmo. Ma non era andato parzialmente frantumato? Ricordava di avergli visto chiaramente un occhio, poche ore prima, quando li aveva accompagnati alla sala mensa.
Non si tenevano più per mano, e le rispettive pietre erano di nuovo attive in modo indipendente.
-Anche io cercavo voi, anzi, te Renée: lo zio Liger prima ti cercava come un pazzo, dice che devi farti fare un check up completo delle parti robotiche. -
La ragazza alzò gli occhi al cielo. -Mi sento bene. Non ho problemi. -
Guy alzò un sopracciglio, ma aveva imparato ormai che discutere con Renée era perfettamente inutile: quella ragazza faceva sempre di testa sua.
-E anche un check up medico. O preferisci tenerti lesioni interne?-
Renée sbuffò, ma ripensando a quel che aveva incassato da quella maledetta vespa sadomaso dominatrice, forse era il caso di obbedire, a conti fatti. -J, digli tu di quella cosa. Io vado a farmi dare una revisionata così sia il vecchio che Guy se ne staranno buoni e non scocceranno. Ci vediamo più tardi. - disse al compagno, salutandolo con un cenno della mano.
Il cyborg e l’evoluder la osservarono allontanarsi imbronciata. J sorrideva leggermente, Guy apertamente.
Quando fu certo che la “cuginetta” fosse ormai fuori portata uditiva, si rivolse con un espressione tra il complice e il fintamente dispiaciuto a Soldato J.
-È una testaccia dura, quando ci si mette. -
-È una donna con un carattere forte. Non posso dire di aver conosciuto molte donne, ma lei è estremamente…-
-Rompiscatole? Musona? Vendicativa? Incapace di accettarsi per ciò che è?-
-Combattiva. - terminò J, con fermezza.
Guy scrollò le spalle. -Punti di vista, immagino. Invece, che ci fai qui? Non che tu non possa venire a bordo quando vuoi, ma sei sparito così in fretta, prima…-
-Credo che ci sia stato un fraintendimento. Quando ho detto che Arma e Latio dovevano tornare sulla Terra con gli ultimi due missili ES prima che fosse troppo tardi, intendevo prima che il varco della cometa Galeoria si richiudesse, costringendoli ad attendere con noi che la J-Ark avesse completato le riparazioni. -
-Che intendi dire?- Guy era incredulo. Credeva di aver capito cosa J sottintendesse, ma voleva una conferma: illudersi di poter tornare e poi essere disillusi…
-Tomoro ha completato l’analisi dei danni. La J-Ark sarà in grado di creare varchi ES con il generatore interno e di attraversarli in sicurezza tra poco più di 12 dei vostri mesi. Forse anche in un po’ meno tempo, se troviamo zone più ricche di atomi che possa riutilizzare. - fu la pragmatica spiegazione del cyborg guerriero.
Guy si poggiò alla parete, troppo stupefatto per parlare.
-Dodici mesi? Vuoi dire che… Potremo davvero tornare a casa?-
-Sì. -
Guy distolse lo sguardo. -Kaidou ci aveva raccontato che eravate rimasti molto danneggiati ed eravate finiti a novanta milioni di anni luce, e che in quattro mesi eravate di nuovo a posto… ma io non speravo che… anche ora...-
Soldato J annuì. -Senza dubbio, anche se in quell’occasione la situazione era diversa: i danni non erano così estesi, eravamo vicini a una nube atomica da cui prelevare materiale per il ripristino, e avevamo abbastanza armi ES per poter arrivare agevolmente fino al sistema solare anche se le riparazioni non fossero state complete. Ora... è un miracolo che la J-Ark sia rimasta in un pezzo unico. Per questo è necessario più del triplo del tempo. -
Guy parve pensarci un attimo. -Da quel che ho capito, uno dei limiti è dato dalla scarsità di materiali, giusto? -
-Esatto. Servono metalli, e questa zona ne è terribilmente sprovvista: a parte i frammenti della vostra stazione spaziale, non c'è molto altro. E ne sono rimaste solo briciole. -
Guy si illuminò. -Ti sbagli! Ci sono i moduli delle tre astronavi distaccatisi quando abbiamo attivato il Goldion Crusher! Devono essere ancora da qualche parte, a galleggiare nello spazio. Se riuscissimo a recuperarli, non solo avresti materiale per riparare alla svelta la J-Ark, ma probabilmente ritroveremmo anche parte delle attrezzature necessarie alla manutenzione dei nostri compagni là fuori, e quelle per il sostentamento della vita umana, da integrare a questo modulo di salvataggio!-
-Questa è una buona notizia. Anche io desidero tornare nei pressi del Pianeta Azzurro. -
-Andiamo a dirlo al Comandate Capo Taiga e a tutti gli altri!- Guy si voltò facendo segno a J di seguirlo, quasi mettendosi a correre per i corridoi.

Mikoto batteva i tasti della tastiera con dita veloci ed esperte. Per quasi due anni era stata una dei responsabili della manutenzione del corpo cyborg di Guy, in particolare del monitoraggio attraverso la connessione alle macchine.
La (relativamente) piccola astronave non era attrezzata di una sala con attrezzature come quella che aveva al dipartimento del Chasseur, ma Renée sapeva di doversi accontentare del pavimento e di un paio di computer collegati ai cavi della testa.
Al cavo della testa, il sinistro, dato che il destro era spezzato.
-È davvero strano… ci sono delle lesioni agli impianti interni, ma non gravi come pareva dalla prima analisi del professor Liger…- annunciò la rossa operatrice.
Da dietro la sua spalla, anche Swan controllava e annuiva a quanto stava dicendo Mikoto.
Una dottoressa, armata di guanti termoresistenti e di generatori di freddo puntati sul corpo della cyborg, le stava facendo una visita medica.
-Non mi pare ci siano lesioni interne gravi, a una prima analisi. - stava dicendo. Non le ascultò il cuore: il muscolo cardiaco di Renée era stato sostituito inizialmente da una rozza pompa sperimentale dalla BioNet, e in seguito da una sofisticata protesi in acciaio e titanio dal professor Liger. Parte dei polmoni erano stati ricostruiti dopo che gli esperimenti a cui l'avevano sottoposta gli scienziati della BioNet glie li avevano parzialmente danneggiati. Per lo stesso motivo, lo stomaco aveva una piccola parte di parete sostituita con materiale fibro-sintetico. Altri organi interni si erano miracolosamente salvati dall’essere sostituiti da parti meccaniche o rimossi, come la milza, il fegato e la maggior parte dell’intestino. Di sicuro tutto l’apparato riproduttivo era andato perduto, ma se non altro, non era più affetta da cinque giorni al mese di irritabilità… anche se qualcuno diceva che pareva SEMPRE in periodo pre-mestruale, per come si comportava.
-L’avevo detto che stavo bene. Sono solo un po’ acciaccata. -
-OH MY GOD! Che cosa è questo?!- la voce acuta di Swan attirò l’attenzione della dottoressa e di Renée.
La cyborg gattonò fino alle altre due donne, guardando lo schermo che mostrava l’interno del suo corpo. Un ingrandimento a livello cellulare mostrava delle microscopiche macchine che si affaccendavano attorno al suo pancreas, ricostruendolo e stimolando la divisione cellulare.
-Sembrerebbero… nanomacchine?- azzardò Mikoto.
Nanomacchine.    
La tecnologia che aveva creato la J-Ark, e che J usava per i lavori delicati come la manutenzione di microscopici circuiti… o dei corpi cyborg.
Dovevano esserle entrate nel corpo dalla J-Ark mentre era a bordo, oppure mentre era a contatto con J: avevano rilevato dei meccanismi rotti e organi danneggiati, e si erano attivate per ripararli.
Sentì il calore salirle alle guance.
-Se lo sono, tra poco lo scoprirò. - disse, alzandosi e afferrando il cooling coat, indossandolo prima di uscire dai getti di aria raffreddante e chiudendolo con mano esperta.
La tuta da combattimento era stracciata in maniera quasi oscena, e finché non ne avesse potuta ottenere un’altra dal sistema di sostentamento della nave, avrebbe dovuto tenersi quella. Oh beh, finché teneva il cappotto chiuso nessuno poteva notarla.
Ignorò le proteste e gli accorati richiami delle tre donne, piantandole lì e tornando nella camera stagna dalla quale si passava dalla navicella alla zona abitativa della J-Ark. Buffo, pensò, un’astronave così immensa e una zona abitativa di non più di cinquecento metri quadrati, quasi tutti  di ponte di comando.
Soldato J non era a bordo della J-Ark, quindi poteva essere solo nell’astronave del GGG.
Seccata, tornò a cercarlo dall’altra parte.
Non trovò nessuno nei corridoi. Nessuno nella sala mensa. Neppure nelle cabine da usare a rotazione per dormire.
L’ultimo posto dove poteva cercare era il ponte di comando, che tra l’altro era l’unica stanza abbastanza grande da contenere tutti i presenti contemporaneamente.
Infatti erano tutti lì: Taiga stava dando un annuncio.
L’annuncio che la loro permanenza nello spazio sarebbe stata lunga, sì, ma non indefinita.
La J-Ark avrebbe potuto aprire varchi ES tra un anno, e avrebbero potuto tornare a casa.
Renée sorrise, ammorbidendosi un poco nel vedere l’esultanza e la gioia di quella quarantina scarsa di persone, gli abbracci, le lacrime. Una sottile stilettata di invidia nel vedere gli abbracci. Un piacere semplice e antico che a lei non era più concesso.
Una mano le si posò sulla spalla.
-Pare davvero che avessero tutti frainteso le mie parole. -
Renée si voltò. Anche J fissava gli astronauti obbligati, adesso in festa.
-Erano parecchio fraintendibili. L’importante è che si riesca a tornare a casa. - Renée scrollò le spalle. -Ah, giusto…- ricordò, e si guardò attorno. Non voleva parlarne lì. Lo prese per un polso e lo trascinò quasi di peso nel corridoio che univa il ponte di comando dalla zona abitativa. In quel momento il pudore le dava difficoltà a guardarlo direttamente negli occhi, ma non le impedì di affrontare l'argomento con il suo tipico modo diretto e senza giri di parole:
-Ci sono delle nanomacchine nel mio corpo, che stanno riparando tessuti e impianti. Ne sai qualcosa?-
-La vostra tecnologia non le ha sviluppate, se non sbaglio…- esordì lui, incerto di dove la terrestre volesse andare a parare.
-Precisamente…-
-Posso supporre quindi che siano quelle dei nostri sistemi di riparazione, che hanno rilevato impianti danneggiati, i tuoi, e si siano attivate. - concluse, spiegando la situazione per lui elementare.
Renée arrossì -Ma quando? Mentre eravamo sulla J-Ark? O…- non poté continuare: davanti agli occhi le si era parata l'immagine di loro due, mani strette come se non potessero essere separate neppure dalla forza più grande del cosmo, uniti in un abbraccio in grado di generare un potere che mai prima da soli avevano potuto emanare, e in seguito alla battaglia, accoccolati insieme nel riposo reso più dolce e confortante dalla vicinanza reciproca, che per anni le era stata preclusa...
-Penso prima...-
Renée arrossì vistosamente.
-Qualcosa non va?- le chiese J, la sua mentalità plasmata sui campi di battaglia incapace di comprendere tale umanissima reazione.
-No, è solo che…- Renée serrò le labbra, guardando per terra. -Non mi piace che qualcuno o qualcosa metta mano al mio corpo senza che io lo sappia. Sono stata trattata come una bambola smontabile già abbastanza volte. - confessò tra i denti questo peso che le gravava sull'anima, ma avvertendo dentro sé la certezza che lui avrebbe rispettato una confidenza tanto personale.
-Posso assicurarti che non era una cosa voluta. Vuoi che le faccia richiamare da Tomoro?- chiese con rispettosa cortesia.
-No… - inspirò a fondo -No, ormai sono qui… che finiscano il loro lavoro, così almeno sarà un pensiero in meno. Non credo che potrebbero farmi la manutenzione agli impianti come al Chasseur, in queste condizioni. -
-Non capisco allora dove sia il problema…- J era sempre più sconcertato. Accettava o no le nanomacchine di riparazione nel suo corpo?
Lei gli fece un mezzo sorriso, voltandosi e tornando sul ponte di comando.
-Uno di questi giorni te lo spiegherò… tanto, abbiamo tutto il tempo che vogliamo…-

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Capitolo 3
*** Capitolo -2 - confidenze ***


Capitolo -2 - confidenze

Quel poco che era stato possibile recuperare delle astronavi componenti la Stazione Spaziale non conteneva i pezzi di ricambio dei Brave Robots, che si erano rassegnati a passare un anno come semplici A.I. allineate sul ponte di comando della navicella. Almeno, potevano fare quattro chiacchiere tra di loro e con gli umani. Piggy, che era l’unica robot ad essere ancora intatta (per la semplice ragione che non era un robot da combattimento, ma un robot-cameriera, anche se alta tre metri e mezzo) aveva chiesto che la sua AI venisse separata dal corpo e di essere messa assieme ai brave robot sul ponte, perché lì fuori non avrebbe avuto altro da fare che disattivarsi, e Entouji l’aveva fatta mettere accanto a Volfogg; la piccola AI bianca ogni tanto emetteva i suoi “bip-bip” che erano il suo linguaggio in un modo che poteva essere definito solamente “molto soddisfatto”.
Erano stati stabiliti i turni di utilizzo della stanza mensa e delle stanze per il riposo, e quindi non c’era molto altro da fare che girarsi i pollici per i successivi mesi necessari all’autoriparazione della J-Ark.
Taiga sapeva che, per quanto quelle quaranta persone fossero tutti amici, oltre che colleghi, una simile situazione di inattività e vicinanza forzata poteva diventare pericolosa. Per questo, neanche ventiquattro ore dopo il lieto annuncio dato grazie alle notizie portate da Soldato J, si stava consultando col professor Liger.
-Non sarà una cosa facile convivere così a lungo in uno spazio relativamente ristretto. - stava dicendo al professore.
-Già, già. Per fortuna la maggior parte dei presenti sono scienziati di qualche tipo. Potrei spronarne parecchi a dedicarsi allo sviluppo di modelli teorici, o qualcosa per cui bastino i portatili che abbiamo a bordo. -
-Il problema è per coloro che non sono scienziati…- Taiga si riferiva a sé e alle altre tre-quattro persone che non potevano trovare svago nel progettare o creare programmi.
-Se non ricordo male, abbiamo anche una bella scorta di mazzi di carte, oltre che una grossa biblioteca, audioteca e videoteca digitali. Ah, ho fatto bene a insistere perché venissero caricate a bordo!-
Taiga pensò che in quell’anno si sarebbe dedicato alla lettura come non faceva più dai tempi dell’università.
-Sì… per fortuna che l’intrattenimento, da quel punto di vista, non ci manca…- sospirò, ricordando mestamente il campo da golf dove trascorreva la maggior parte del tempo libero praticando il suo sport preferito.

Nella stanza dedicata alle attività diurne, Renée se ne stava seduta per terra in un angolo, con un portatile posato per terra davanti a sé. Stava guardando un film della videoteca, e mentalmente stava ringraziando chiunque avesse avuto l’idea geniale di imbarcare parecchio materiale di svago anche nei moduli di salvataggio.
-Renée?-
La ragazza alzò lo sguardo, incontrando quello di Liger. Il vecchio professore si sedette accanto a lei.
-Ciao. Hai finito di assegnare i vari compitini di ricerca teorica e vuoi appiopparne uno anche a me?- chiese lei acida.
-Potrebbe interessarti?-
Lei scrollò le spalle. -Ti ricordo che ho a malapena finito il college. Non ho avuto molto modo di studiare per il lycee, negli ultimi anni…- Masticò tra i denti: una delle tante possibilità che la BioNet le aveva strappato, una realtà che le ragazze della sua età trovavano scontata se non addirittura fastidiosa; questo pensiero le provocava una sorda rabbia, i suoi coetanei non potevano sapere come l'essere privata di un'istruzione degna di questo nome rappresentasse per Renée un ennesimo ostacolo ad una vita normale, per avere un futuro.
-Potresti farlo in quest’anno. Avresti tutti i professori disponibili per prepararti all’esame di lycee. -
Renée parve soppesare la proposta: -Non sembra un’idea malvagia. Non c’è molto da fare, ora…-
-Parlando di questo, volevo dirti una cosa. Finora non sono riuscito a correggere il difetto di progettazione nei tuoi impianti che causa il surriscaldamento, ma la verità è che, con lo sviluppo dei Mic e la minaccia degli Zonder e poi dei Primevals, non ho avuto neanche molto tempo per dedicarmici… tu capisci che la protezione della Terra era una priorità, per quanto mi seccasse che un mio lavoro fosse inferiore a quello di Leo…-
-E allora?- Renée era vagamente scocciata da tutte queste divagazioni.
-Beh, dato che ho sempre tutti i tuoi schemi costruttivi con me, potrei chiedere a tre o quattro dei ragazzi più in gamba se hanno voglia di lavorarci assieme a me, per esaminarli di nuovo a fondo e vedere se stavolta riusciamo a scovare il problema e a trovare un modo per risolverlo…-
-Potete farlo davvero?- Renée si era voltata di scatto, quasi rovesciando il portatile, e trattenendosi all’ultimo dall’afferrare la mano del vecchio scienziato.
-Possiamo lavorarci su. Non ti garantisco che riusciremo a trovare una soluzione, ma ti prometto che ci proveremo in ogni modo. -
Era davvero raro vedere Renée sorridere genuinamente, ma quella fu una delle rare occasioni in cui ragazza regalò un vero sorriso di sincera gratitudine al padre.
-Un'istruzione… e una temperatura corporea normale… forse quest’anno nello spazio non sarà così male…- come sempre Renée tentò di nascondere la propria gioia dietro uno schermo d'indifferenza, senza però riuscirci agli occhi acuti del vecchio scienziato.
Liger si trattenne dall’aggiungere “E un uomo a cui piaci”: non gli era sfuggito il gioco di sguardi tra la figlia e Soldato J, ma non era il caso di farla di nuovo richiudere a riccio con una simile osservazione.
    

Forse fu perché erano già abituati alla vita nei locali della stazione spaziale, ma la quarantina di uomini e donne si assestò abbastanza in fretta alla nuova situazione, anche se consci che quelle piccole, inevitabili scomodità si sarebbero protratte per un anno intero.
L’idea di “giocare a fare i professori” aveva entusiasmato parecchi dei presenti, e Renée si trovò a un certo punto con più volontari per aiutarla a recuperare gli anni scolastici di quanti ne avrebbe necessitato per lycee e università. L’unica pecca era che avrebbe avuto una formazione eccellente di matematica, fisica, chimica e biologia, e anche di inglese, ma avrebbe difettato di francese e storia. Beh, quelli avrebbe potuto studiarli una volta tornata sulla Terra, prima di presentarsi come privatista a un esame di maturità.
Ora, assieme a Swan, stava compilando la tabella di marcia degli studi, e le scintillavano gli occhi come se stesse programmando una vacanza esotica tutta spesata.
Swan e Stallion l’avrebbero aiutata anche con l’inglese, anche se alla fine se la cavava abbastanza con quella lingua, usata ogni volta che si trovava in ambiente internazionale, ma entrambi sarebbero stati impegnati assieme a Liger nell’analisi degli schemi degli impianti della cyborg e nel tentativo di capire che cosa, di preciso, causasse quel surriscaldamento, e come correggere tale problema.
-Sembri piuttosto contenta, Renée. - le disse piacevolmente sorpresa Swan.
-Si nota così tanto?- Renée fece un impercettibile sorrisino tra sé e sé -Beh, lo sono. Tra un anno torneremo sulla Terra, e avrò ancora nove mesi per prepararmi su ciò che non riuscirò a studiare qui a bordo. E poi potrò diplomarmi. - sovrappensiero fece un vacuo ghirigoro sul tavolo col dito -Non è come andare a scuola tutti i giorni con compagni e compagne, e sarà un pezzo di vita che non sperimenterò mai, ma finalmente non mi sentirò più un'analfabeta accanto a tutti voi laureati. -
-Oh, ma nessuno lo ha mai pensato, sai! AnRyu e KouRyu dicono che sei un capitano di squadra mobile eccezionale, e al Chasseur tutti ti rispettano!- le ricordò con insistenza l'altra donna.
La cyborg evitò di incrociare lo sguardo della bionda americana. Non poteva capire, lei così bella e socievole, la sensazione terribile di essere sì rispettata… ma come soldato, non come ragazza. Quando la gente la guardava ciò che vedeva soprattutto non era la tormentata adolescente che viveva sopportando con coraggio e incredibile forza la condizione a cui era costretta, bensì l'arma umana che nessuno di loro poteva pienamente comprendere e prevedere. A volte aveva persino la sensazione che alcuni la guardassero con sospetto, come se temessero che il suo carattere difficile potesse rivolgersi contro di loro con la stessa violenza che riservava ai suoi esecrati nemici. Non per la prima volta, e continuando a maledire la propria debolezza mentre lo faceva, desiderò con tutto il cuore una persona al suo fianco che la vedesse veramente per ciò che era, e le volesse bene esattamente per quella ragione.


(undici mesi al ritorno)
Soldato J aveva preso l’abitudine di passare liberamente dalla J-Ark alla nave del GGG, con un pretesto a caso o semplicemente senza fornire alcuna spiegazione. D’altra parte, dopo un mese abbondante, nessuno ci faceva più caso.
Da una parte gradiva il silenzio e la quiete che regnavano nel suo ponte di comando, rotte solo dal lieve ticchettio delle minuscole zampette di mini-robot di riparazione, che gli consentiva di meditare in tranquillità o semplicemente abbassare il livello di allerta dei suoi sistemi interni, l'equivalente del relax per una creatura in carne ed ossa.
Dall’altra, trovava affascinanti gli esseri umani, e ne studiava silenziosamente il comportamento così complesso e variegato.
E poi, malgrado il fatto che tra tutti gli esseri umani fosse senza dubbio la più difficile da capire, e a volte lo lasciasse disorientato, apprezzava in modo particolare la compagnia di Renée.
Attraversò senza fare rumore la zona con le stanze dedicate al sonno, a rotazione, dell’equipaggio, e guardò nella sala ricreazionale, dove era in corso un serrato torneo di mahjong.
Swan notò che cercava qualcosa o qualcuno con lo sguardo. Gli fece un cenno con la mano per attirarne l’attenzione, e poi indicò verso la sala mensa.
J chinò leggermente il capo, in segno di ringraziamento, e proseguì per il corridoio fino al locale successivo.

-Scusa se t'interrompo, ma cosa stai facendo?- fu l'educata domanda.
Renée neanche si girò: il suo super-udito aveva udito i passi in avvicinamento e aveva riconosciuto la falcata ampia e sicura del guerriero di Abel. -Equazione di primo grado. - borbottò in risposta tra i denti. Essendoci poca carta a bordo, per gli esercizi usava una tavoletta e una penna speciali, che registravano quanto tracciato sopra e lo convertivano in file digitali, mostrando al contempo la “pagina” sullo schermo del computer. Il suo foglio digitale con l’esercizio era pieno di scarabocchi e cancellature.
-Pensavo che i calcoli li faceste eseguire ai computer…- fece notare logico J.
-Non quando si impara ad eseguirli. - sbuffò la ragazza, prima di cancellare tutto e riprendere l’equazione da capo. Si illuminò, capì dove stava sbagliando (un più che era diventato un meno per la distrazione), e risolse l’equazione in maniera scorrevole, memorizzando trionfante l’esercizio svolto.
Poi, si voltò verso J. -Non nasciamo già con tutte le conoscenze matematiche: occorrono lunghi anni di studio per apprenderle. Matematica, fisica, chimica, scienze biologiche… - accennò alla tavoletta-quaderno -Poi possiamo inserire dati e programmi nei computer e lasciare che loro facciano in pochi istanti conti che a noi richiederebbero ore o anche giorni, ma prima è indispensabile imparare a farlo con le nostre sole forze. -
Il cyborg annuì, assimilando quella nuova informazione sugli esseri umani. Si ricordava vagamente di come Arma gli avesse parlato un poco della scuola e di quel che vi si faceva, ma gli pareva di ricordare che, normalmente, tale attività impegnasse solo l’infanzia e l’adolescenza degli umani. Quando chiese delucidazioni alla ragazza, lei distolse lo sguardo e imbronciò le labbra nel modo che, ormai J lo stava imparando, indicava che era leggermente in imbarazzo, o che non era lieta di parlare di certe cose.
-Le persone dotate possono proseguire con un ulteriore ciclo di studi, l’università. Ma io sono arrivata a malapena alla fine del secondo ciclo, il college francese. Per causa di forza maggiore, ho dovuto smettere di studiare quando avevo appena quattordici anni, e anche quando poi sono tornata libera, lo studio è stato una priorità molto bassa… mio malgrado. -
J si sedette sullo sgabello accanto a quello su cui era appollaiata Renée. Poggiò il mento sulla mano, e il gomito sul tavolo, in un gesto umanissimo, e le sorrise comprensivo.
-Causa di forza maggiore? C’entra qualcosa con quei criminali… la BioNet?-
Renée arrossì, scoprendosi piacevolmente sorpresa che lui riuscisse a intuire con tanta disinvoltura cosa le passava per la testa. -Come fai a saperlo?-
-Quando hai nominato questa “causa di forza maggiore”, hai stretto i pugni e serrato i denti, come fai ogni volta che parli di loro. - fece notare J.
Renée sospirò, chiuse il portatile e spostò indietro la tavoletta di scrittura, implicitamente prendendosi una pausa dagli esercizi di matematica.
Armeggiò con la macchinetta ricostruttrice di cibi, ottenendo due tazze di tè (avrebbe tanto voluto un caffè espresso all’italiana, ma pareva che quell’accidenti di ferraglia riuscisse a fare solo un pessimo caffè all’americana), e ne posò una davanti al compagno. Si sedette nuovamente, senza una parola.
-Credo che sia venuto il momento di vuotare il sacco. - disse a un certo punto.
J attese pazientemente senza dire una parola, intuendo che la ragazza stava riordinando i pensieri, quasi venendo a patti con se stessa.
-Sono una G-cyborg, ma la cosa non mi piace affatto. - esordì con decisione -Guy era letteralmente morto prima che lo ricostruissero come cyborg. Non aveva scelta. Io avevo una mia vita, avevo una famiglia, e un'adolescenza davanti. -
Insicuro di come reagire davanti alla terribile amarezza che trapelava dalle parole della ragazza come sangue da una ferita, il combattente del Pianeta Rosso fece appello alla nuda logica per stemperare quell'esplosione di sentimenti dolorosi che aveva il potere di turbarlo in un modo che lui stesso non riusciva a spiegarsi: -Nonostante questo, se tu non fossi una cyborg, non potresti combattere con efficacia la BioNet. -
Renée strinse con forza il bicchiere di carta, che si piegò pericolosamente, ma se ne accorse per tempo ed evitò che tracimasse.
-Se non fosse stato per la BioNet, io non sarei una cyborg. - rovesciò l’affermazione.
-Non ho ricordi d'infanzia del vecchio. E' uscito dalla mia vita quando non avevo neanche tre anni. Mia madre non mi parlava mai di lui, e io non chiedevo. Vivevamo in Francia, e facevamo una vita normale. O almeno lo credevo.
In realtà... mio madre era un'agente della BioNet. -
Strinse le labbra. Quella era una verità amara e acida come un rigurgito di fiele.
-Prima che io nascessi, era stata mandata a sedurre il vecchio per carpire segreti. Per legarlo a sé ha persino messo al mondo me. Lui si era innamorato come una pera cotta. Poi però si è innamorata anche lei, e, insomma, quando non avevo neanche tre anni, mi ha preso, ha lasciato l'America, è tornata in Francia, ha cambiato nome e si è nascosta. Per proteggerlo. Per proteggermi, e proteggere sé stessa. - la ragazza bevve un sorso del tè solubile troppo zuccherato, senza sentirne veramente il sapore.
-Per undici anni abbiamo vissuto come una famiglia normale. E poi, un giorno...- si interruppe, finché il silenzio non divenne pesante. Negli occhi azzurri della ragazza c'era l'ombra di un ricordo, un trauma che riaffiorava. J non voleva essere invadente, ma ora c'era una certa dose di curiosità. E inoltre, non voleva lasciarla a rimuginare su brutti ricordi.
-Cosa accadde?- la esortò J.
-Quelli della BioNet ci trovarono. - su la risposta secca.
J la vide serrare le labbra e chiudere gli occhi, un respiro corto e secco, un ricordo che faceva solo male. Per un attimo si pentì di averle chiesto di riaprire quelle ferite. Lui stesso sapeva più che bene quanto fosse spaventoso rievocare gli spettri del passato, rifletté, mentre contro la sua volontà l'ombra del Re Macchina Pizza fremeva nella parte più oscura della propria memoria.
-La uccisero. Sotto i miei occhi. Le spararono allo stomaco e la freddarono con un colpo alla testa. Poi mi trascinarono via. Tentarono di convincermi a sottomettermi, ad accettare la loro guida, ad essere addestrata e istruita da loro e diventare un loro agente. Non sapevo perché avessero ucciso mia madre, né perché mi avessero rapita. Ma, ovviamente, rifiutai.
E dato che non li avrei serviti con le buone...- inspirò, secca. - Mi usarono come cavia per i loro primi tentativi di creare un cyborg da combattimento. Forse era anche una sorta di sfregio nei confronti di mio padre, non lo so… -
Renée aveva parlato in tono neutro e basso, ma c’era una vibrazione nella sua voce che parlava di lacrime a malapena trattenute.
-Vorrei poter dimenticare tutto quello che mi hanno fatto. Vorrei non svegliarmi più urlando dopo aver sognato di essere ancora nelle loro mani, a subire quelle iniezioni che bruciavano come ferro fuso, a supplicarli di smettere…- i pugni della ragazza si erano serrati, la sua voce tremava.
La mano di J si posò ferma e salda su quella di Renée, riportandola al presente.
Lei osservò senza vedere veramente la mano guantata di nero di lui sulla sua, così piccola a confronto che spariva nella stretta. I suoi occhi tornarono a fuoco sulla realtà. Le sue dita sottili si strinsero con forza attorno a quelle lunghe e forti di lui.
Era tutto passato. Non era più un loro oggetto.
-Poi… quando mi ebbero usata per sperimentare i loro primi impianti, decisero di utilizzarmi come arma umana. Dovetti imparare a usare le armi da fuoco che mi avevano impiantato nelle braccia. Avrei dovuto… uccidere. - serrò le labbra. -Uccidere persone che avevano tradito la BioNet, come mia madre. O persone sospettate di essere spie. Uccidere innocenti, per fare terrorismo. Uccidere i loro nemici. Ma io mi rifiutai. E quando mi convocarono per ricordarmi che, se non avessi obbedito ai loro ordini, avrebbero fermato i miei impianti e lasciato morire il mio corpo… - una scintilla si accese nei suoi occhi -Io preferii morire combattendo, che vivere come loro oggetto. Li mitragliai con le stesse armi che mi avevano impiantato. - un sorriso amaro. -Ironico, no?-
-È un fondamentale diritto ribellarsi a un padrone che tenta di strapparci la nostra stessa natura e ridurci a suoi oggetti. - le disse solidale e rassicurante J, trasmettendole il suo massimo sostegno. La sua mente tornò ancora agli Z-Master, che avevano dapprima zonderizzato Tomoro e poi lo avevano inviato a zonderizzare lui, trasformandolo da Guerriero di Abel in un Re Macchina, strumento di un servo di coloro che aveva combattuto con tutte le sue forze fino a quel momento.
-Si. Ma avevano ancora il coltello dalla parte del manico. I miei impianti erano telecomandati a distanza. Semplicemente premendo un pulsante, li spensero, lasciandomi cosciente ma inerte come una bambola. Mi portarono in un altro laboratorio per fare altri esperimenti, e poi distruggermi. - sorrise amara -Per caso gli uomini del Chasseur scelsero proprio quel giorno per fare irruzione e compiere una retata. Mi trovarono, immobilizzata e pronta per essere trasformata in Dio solo sa cosa. Implorai che mi uccidessero, che ponessero fine alla mia miserabile esistenza. In quel momento soffrivo così tanto che invidiavo mia madre: una pallottola in testa, e tutto sarebbe finito.-
L'espressione di Soldato J s'indurì, e sotto la visiera dell'elmo i suoi occhi azzurri come il cielo estivo divennero cupi come se offuscati da fitte nubi: -La morte è una via di fuga disonorevole per un guerriero, se non sopraggiunge sul campo di battaglia. - affermò recitando il suo credo con incrollabile convinzione.
Renée si voltò di scatto verso di lui. -Disonorevole! Sai quanto me ne fregava dell’onore? Soffrivo, J, soffrivo così tanto che volevo morire, e non ho mai provato così tanto dolore come in quei giorni. Ero solo una ragazzina di sedici anni. Mi avevano tolto tutto, mia madre, la mia vita, persino parti del mio corpo. Ero stata torturata per spezzare la mia volontà. Volevo solo che tutto finisse. - si coprì gli occhi con la mano sinistra -Volevo solo… riposare. -
J non era certo di capire. Non era mai stato un bambino o un ragazzino, era nato già adulto, votato al campo di battaglia. Era stato creato allo scopo di combattere fino alla fine contro un nemico troppo numeroso e potente, in una guerra che la stessa Abel sapeva persa in partenza, a cui con ogni probabilità nessun membro del Battaglione Soldato sarebbe sopravvissuto. Arrendersi e lasciarsi morire non era una cosa che poteva concepire. Specialmente in una donna che aveva visto incrollabile come Renée.
-Ma non ti hanno uccisa. - le strinse la mano, come a confermarle anche fisicamente l'unica realtà che contava.
-No. - Renée si asciugò gli occhi. Le tremava leggermente la mano. -No, mi hanno portata al Chasseur. Forse volevano interrogarmi, forse gli ho fatto pietà, forse volevano solo studiarmi per capire fino a che punto di sviluppo tecnologico quei delinquenti della BioNet erano arrivati. Non credo che mi avessero riconosciuta… non mi avrebbe riconosciuto neanche mia madre, in quello stato. Mi sono risvegliata in un laboratorio, un posto del tutto diverso da quel covo di pazzi della BioNet, con Liger e Papillon. Mi avevano ricostruito il corpo, avevano sostituito quasi tutti gli innesti della BioNet, e mi avevano messo un generatore con G-Stone nel braccio destro. - mosse le dita del braccio meccanico, e la G-Stone scintillò -Mi avevano anche ricostruito il braccio sinistro e le gambe, che mi erano state pesantemente trasformate in maniera irreparabile. - sospirò, pensando con tristezza alla cara amica che non c’era più.
-Non so come abbia fatto il vecchio a riconoscermi: l'ultima volta che mi aveva vista probabilmente portavo ancora il pannolone. Mi ha rimessa in sesto e se l'è svignata di nuovo in America prima che io riprendessi del tutto conoscienza. Forse aveva paura che gli rompessi il muso. Credevo ancora che mia madre fosse stata abbandonata dal mio padre biologico, non che fosse stata lei ad andarsene. - scosse il capo. -I primi tempi non parlavo, e non mi muovevo dalla stanza che mi era stata assegnata. Non sapevo cosa volevano da me, anche se mio padre mi aveva detto che sarei potuta tornare a fare una vita normale. - sbuffò -Normale! Con una temperatura corporea di cinquanta gradi centigradi, un braccio meccanico color oro e un cappotto criogenico da indossare per non morire! Proprio una vita normale... -
-E come sei diventata un membro del Chasseur?- indagò sinceramente incuriosito J, percependo che dalle parole dell'amica trapelava un umore meno pesante, la sofferenza ora messa in secondo piano al pensiero delle persone che le erano state vicine.
Renée strinse le spalle. -Papillon. Passava tutto il suo tempo libero con me. Mi parlava del Chasseur, e di cosa faceva. Mi convinse a uscire. Mi aiutò a recuperare il gusto di vivere. E poi mi chiese se non volevo lavorare per il Chasseur, come dipendente, non come oggetto di proprietà, affiancata da altri agenti più esperti contro terroristi, criminali… e la BioNet. - sospirò -Renée Cardiff, la ragazzina che sognava di diventare una cantante, una ballerina e anche una fioraia, era morta da tempo. Non potevo tornare indietro, me ne sono resa conto molto presto. Così giurai a me stessa di dedicare la mia vita ad estirpare la BioNet fino all’ultimo uomo, e di far patire loro tutti i dolori che mi hanno inflitto, direttamente o indirettamente. -
Afferrò il bicchiere di tè, ormai a malapena tiepido, e lo trangugiò con un sorso, gettando il bicchiere vuoto nell’atomizzatore che lo avrebbe fatto tornare a semplici atomi.
-Adesso capisco perché li odi tanto. - J capiva perfettamente cosa significava essere privati della propria natura. Solo che nel suo caso, grazie ad Arma e alla sua Purificazione, era potuto tornare alla natura con cui era nato, emergendo dal labirinto oscuro della falsa identità in cui era stato sprofondato. Per Renée non esistevano ali da spiegare, per uscire da quella prigione di metallo che era anche ciò che la teneva in vita.
-Mi hanno rubato mia madre, la mia adolescenza, il mio corpo. La mia innocenza. - si guardò le mani, come si aspettasse di vederle grondare sangue -Si, la perdita dell’innocenza. Quando smisi di essere una bambina e divenni un'assassina. Premo il grilletto, sparo, uccido. Ho ucciso, J: non solo invasori alieni, non solo armi semoventi. Ho ucciso esseri umani, e l’ho fatto a sangue freddo. L’ho fatto senza esitazione, e lo rifarei ugualmente senza esitare. A quattordici anni non riuscivo neanche a vedere un film con le sparatorie, e ora, cinque anni dopo, ho perso il conto di quanti uomini e cyborg ho ucciso.
E spesso… ho paura. Paura di perdere la mia umanità. -
Tacque, per alcuni istanti. Poi si voltò verso J, con un sorriso tirato -Credo di aver parlato davvero troppo. Adesso ti sembrerò una ragazzina complessata e frignona, vero?-
-Affatto. - fu la sincera risposta di lui, che le strinse di nuovo la mano sorridendole per esprimerle tutta la propria solidarietà -Malgrado tutto, non ti sei mai piegata, né spezzata. So bene quanto la tua volontà sia forte. -
-Io… vorrei solo poter vivere come una normale ragazza della mia età. So bene che sul lato pratico è perfettamente indifferente che io rimanga ignorante come una capra o che prenda il diploma del lycee e magari anche una laurea: perché tanto sarò sempre, prima di ogni cosa, una cyborg da combattimento del Chasseur. Però… però ogni tanto mi piace illudermi che potrei essere qualcosa di diverso. - riaprì il portatile, risvegliandolo dallo stato di stand-by -E rompermi la testa sugli esercizi di matematica fa parte di queste illusioni. - sorrise mestamente.
Aveva voglia di piangere, avvertiva un groppo in gola, ma ora si sentiva leggera, come svuotata da un enorme peso. Non aveva mai parlato a nessuno, neanche a Papillon, così apertamente.
La scienziata amazzonica aveva intuito e capito da sé molto del passato e del dolore subito dalla cyborg, grazie anche alla sua capacità speciale di sentire le voci dello spirito; ma Renée, per quanto le volesse bene, non le aveva mai chiesto di dividere con lei il fardello del suo passato, la sua angoscia, la sua rabbia. Sapeva che l’esile e sensibilissima ragazza non avrebbe retto un simile carico emotivo.
Cosa che invece sapeva di poter fare, e non aveva esitato, con un cyborg da combattimento creato dalla scienza aliena di un pianeta lontano migliaia di anni luce dalla Terra, la cui lunga e difficile strada era stata singolarmente parallela alla propria finché non si erano incrociate; ma queste cose non erano importanti: l'unica cosa che contava era lui, che era lì e le sorrideva e le stringeva la mano, al suo fianco in senso fisico e spirituale come mai nessun altro era riuscito ad essere.
Silenziosamente seduto accanto a lei, Soldato J le tenne compagnia mentre fingeva di essere una normale ragazzina alle prese con gli esercizi di matematica, per tutto il pomeriggio.


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