The Story Continues

di DaubleGrock
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una notizia inaspettata ***
Capitolo 2: *** Bentornato Fratello ***
Capitolo 3: *** Visioni al chiaro di luna ***
Capitolo 4: *** Poteva sembrare tutto normale ***
Capitolo 5: *** L'identità svelata ***
Capitolo 6: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 7: *** Mi sei mancato ***
Capitolo 8: *** Punizione ***
Capitolo 9: *** Teirm ***
Capitolo 10: *** Scoppia l'inferno ***
Capitolo 11: *** Il gran ballo a palazzo (parte 1) ***
Capitolo 12: *** Il gran ballo a palazzo (parte 2) ***



Capitolo 1
*** Una notizia inaspettata ***


«Arya.» Subito dopo sussurrò il vero nome dell’Elfa, che, riconoscendolo, fu scossa da un brivido.
Arya mormorò il vero nome di Eragon in risposta, e anche lui tremò nell’udire la pienezza del proprio essere.
Aprì la bocca per parlare ancora, ma lei lo precedette posandogli tre dita sulle labbra. A quel punto si allontanò e levò un braccio.
«Addio, Eragon Ammazzaspettri.»
 
 
Eragon si svegliò di soprassalto madido di sudore. “Ancora quel sogno” mormorò.
Erano ben 17 anni che sognava sempre lo stesso sogno, lui sulla naveTalíta che diceva addio a Arya, l’unica donna che lui abbia mai amato, l’unica che amerà mai, la donna che lo aveva rifiutato.
Una forte tempesta imperversava fuori dalla finestra dalla sua camera, lui giaceva raggomitolato nelle coperte del suo accogliente letto a baldacchino, attorno a lui sprazzi regolari di luci illuminavano la stanza dandogli un che di spettrale. D’un tratto si mise a pensare su quello che aveva avuto nella sua vita da contadino e su quello che aveva ora, lui, Eragon Bromsson, l’Ammazzaspettri, l’Ammazzatiranni, Spada di Fuoco, Argentlam, Shurt’ugal, Palmo Luccicante, Cavaliere Dei Draghi. Erano molti i titoli di cui si avvaleva ma il suo preferito era difficile a dirsi, cucciolo mio, come Saphira, la sua dragonessa, la sua compagna di mente e di cuore, sesso usava chiamarlo.
Dalla sua partenza da Alagaësia molte cose erano cambiate. Oramai Alagaësia, suo cugino Roran, suo fratello Murthag, Nasuada, Orrin, Orik… erano solo un ricordo sfocato nella sua mente, ma avrebbe fatto di tutto pur di rivederli. Però lui aveva un compito, un dovere, nei confronti dei Draghi e nei Cavalieri dei Draghi.
Saphira invase la sua mente rassicurandolo. Un lieve sorriso apparve sulle labbra del Cavaliere.
“Tutto bene piccolo mio?”
“Si tutto bene” rispose lui mentalmente.
La dragonessa lesse una nota di malinconia nella sua mente, ma decise di lasciarlo stare da solo sui suoi pensieri.
La possente mola della dragonessa era raggomitolata su un gigantesco cuscino nella parte opposta della stanza di Eragon. Le sue squame color zaffiro rispendevano di mille colori ogni qual volta un lampo illuminava la stanza.
Eragon si ritrovò a pensare a quanto era stato fortunato a diventare il suo Cavaliere, al fatto che Saphira tra le migliaia di persone in Alagaësia lei avesse scelto proprio lui.
Così nemmeno accorgendosene i suoi occhi si chiusero e confortato dalla presenza di Saphira nella sua mente si riaddormentò.
 

*********

La mattina successiva come era consueto da lui negli ultimi 17 anni volò con Saphira godendosi la leggere brezza che accarezzava i suoi capelli.
In quel momento insieme a Saphira era padrone dei cieli. Guardava gli alberi, i monti, le valli, i fiumi, i laghi scorrere veloci sotto di loro.
Ma la quiete di quel momento fu spezzata dalla coscienza di un elfo, che Eragon riconobbe come Blödhgarm.
“Ammazzaspettri è arrivato un messaggero che porta importanti notizie!” disse l’elfo.
“Da parte di chi?” chiese Eragon.
“Non lo sappiamo, ha detto che parlerà solo con voi. Ha detto che non ha molto tempo ma che le notizie che porta sono di vitale importanza per il destino di Alagaësia.” Detto questo l’elfo chiuse il contatto mentale.
Saphira che aveva sentito tutta la conversazione, senza nemmeno un segno da parte del Cavaliere fece una brusca virata dirigendosi verso il punto in cui Blödhgarm si trovava insieme a altri due elfi e al messaggero.
Questi era un giovane ragazzo con i capelli castani e gli occhi scuri e penetranti e appena vide Saphira atterrare davanti a lui in tutta la sua grazia e potenza fece un paio di passi indietro. Il suo viso era un misto di ammirazione, timore e speranza, per cosa Eragon non lo sapeva ma ipotizzò che doveva essere qualcosa che aveva a che fare con il messaggio.
Così si fece avanti e si fermò davanti al ragazzo che gli rivolse un profondo inchino.
“Benvenuto, a cosa devo la tua presenza qui?” disse Eragon.
Il ragazzo si umettò le labbra e iniziò a parlare:
“Argentlam la regina di Alagaësia ti convoca a Ilirea, per un compito di grande importanza. Alcune settimane fa le città di Arunghia e Dauth sono state attaccate da un esercito...” Si fermò per riprendere fiato ma pima che riuscisse ad aprire bocca “Che cosa?” sbraitò Eragon sconvolto per quella inattesa notizia. “Non si sa niente dell’esercito?”
“L’unica cosa certa è che questo esercito provenga da fuori Alagaësia, ma non è questa la cosa peggiore, i soldati portano lo stemma di Galbatorix…”
“Ma questo è impossibile!” Urlò Eragon interrompendo di nuovo il giovane.
Nel frattempo Saphira si era affiancata al suo Cavaliere e il ragazzo vedendola arrivare arretrò.
“Non hai nulla da temere.” Disse Eragon. Ma vedendo che il giovane non accennava a volersi di nuovo avvicinare disse a Saphira di allontanarsi. La dragonessa sbuffando si allontanò.
“Quando dovrei partire?” Chiese il Cavaliere.
“Il prima possibile” Rispose pronto il ragazzo. Il Cavaliere annuì e congedò il giovane.
Appena il ragazzo se ne andò i tre elfi lo sommersero di domande.
“Sileeeeenziio” urlò il Cavaliere.
Poi si rivolse a Blödhgarm “Io vado a preparare i bagagli. Affido a te il comando. Dovrai proteggere le uova e gli Eldunarì a costo della vita se necessario.”
Poi portandosi le dita alla bocca disse “Atra du evarínya ono varda”
“Atra esterní ono thelduin, Eragon” Rispose Blödhgarm.
E prima che il Cavaliere potesse finire il saluto l’elfo lo sorprese abbracciandolo.
“Vola alto” disse l’elfo dalla pelliccia blu notte. Recitando un verso di un poema elfico sui Cavalieri.
Eragon gli rivolse un flebile sorriso e si avviò verso le sue stanze per preparare i bagagli.
 

*********

Tutto il pomeriggio Eragon lo passò a preparare i bagagli discutendo nel frattempo con Saphira l’esercito misterioso. Le oro menti erano affollate da moltissime domande senza risposte: Chi comandava l’esercito? Galbatorix? Poteva essere mai sopravvissuto? Potevano essere stati tutti ingannati? Poteva mai essere che la sua amata terra fosse di nuovo in pericolo?
Eragon fece un respiro profondo avrebbe avuto le risposte arrivato a Ilirea. Un leggero sorriso affiorò sulle sue labbra: avrebbe rivisto la sua terra di origine e tutte le persone a lui care. La sua felicità si fuse con quella di Saphira che aspettava con ansia il momento di partire perché anche lei voleva rivedere qualcuno, Fìrnen, il suo compagno.
Così dopo aver ricontrollato per la centesima volta di aver perso tutto, salì in groppa a Saphira e assicurò bene i lacci che gli tenevano le gambe.
“Pronto?” chiese Saphira con un leggero cenno di eccitazione nella voce
“Pronto” rispose Eragon con fermezza e senza esitazione.
La dragonessa non se lo fece ripetere due volte e portando le ali perpendicolari al terreno le spinse in basso più forte che poté e si diressero verso Alagaësia. Verso casa.

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Capitolo 2
*** Bentornato Fratello ***


Un giorno fa…
“...ci hanno attaccati senza nessuna pietà senza nemmeno chiederci se volevamo arrenderci.” La donna si fermo reprimendo un singhiozzo e le lacrime che minacciavano di cadere. Poi facendosi forza e stringendo la mano del bambino a canto a se, molto presumibilmente suo figlio, continuò: “Hanno preso tutti gli uomini e li hanno giustiziati… Mio marito è stato ucciso davanti ai miei occhi…” In quel momento il bambino scoppiò a piangere stringendosi alla veste della madre che si inginocchiò stringendo a se suo figlio.
La regina di Alagaësia non poté più reggere la vista della madre e del figlio, quindi si girò verso il tavolo dietro di lei su cui era stesa una mappa del suo regno che fino a poco tempo prima aveva prosperato. Tutti i presenti avevano i volti rivolti verso la donna come se fossero incantati, nei loro sguardi Nasuada lesse sgomento.
Da quanto avevano raccontato, la donna e suo figlio, erano gli unici sopravvissuti di Celia, una cittadina tra Belatona e Kuasta, sulle sponde del lago di Leona. Erano arrivati quella mattina e si erano subito recati da lei. A quanto avevano spiegato, una guarnigione di duecento soldati aveva attaccato la cittadina la mattina di cinque giorni prima uccidendo tutti i suoi abitanti ma risparmiando loro per far arrivare la notizia del massacro nella capitale e facendo scoppiare il caos.
Nasuada si girò verso uno dei suoi falchineri, un nano: “Porta la donna e il bambino nell’ala ovest del castello, fagli preparare una stanza e provvedi che Farica si prenda cura di loro e che gli faccia avere tutto ciò che desiderano.” Detto questo lo congedò.
Quando la donna e il bambino uscirono Lady Furianera si rivolse a Jurmundur che fino a quel momento non aveva aperto bocca. “Come è possibile che si possano commettere questi atti contro della gente indifesa?” Chiese più a se stessa che al Capitano.
“Vi sono persone molto malvage e senza un briciolo di umanità. Tu più di tutti dovresti saperlo.” Rispose lui.
Nasuada si lasciò cadere pesantemente sul suo scranno riflettendo su tutto ciò che era accaduto nell’ultimo mese. “Sembra che il passato sia tornato a perseguitarci” sussurrò. “E che noi non possiamo fare niente per impedirlo” continuò.
Sentì una mano posarsi sulla sua spala per infondergli coraggio, la regina alzò il mento incontrando il volto di Murtagh che gli rivolse un sorriso rassicurante. Il Cavaliere indossava una tunica rossa aperta sui lati, sotto portava un paio di braghe nere, una camicia dello stesso colore e un paio di stivali alti fin sotto il ginocchio. Nasuada si ritrovò a pensare che lui insieme al suo drago, Castigo, aveva sofferto più di tutti durante la guerra contro Galbatorix.
La regina strinse la sua mano per ringraziarlo. Quindi si alzò e rivolgendosi al consiglio delle Terre Unite, un consiglio nato dopo la sconfitta del tiranno formato dagli ambasciatori dei paesi che formavano Alagaësia. “Miei cari consiglieri purtroppo da come avrete notato anche voi, la situazione sta degradando, quindi vi chiedo di essere uniti, dovremo marciare insieme, sotto un’unica bandiera perché ancora una volta qualcuno ha osato attaccare la nostra libertà.”
Detto questo si rivolse ai capi consiglieri, cinque in tutto che rappresentavano tutte le razze di Alagaësia: Umani, Nani, Elfi, Urgali e Gattimannari. “Bisognerà allertare tutto il regno soprattutto il Surda perché a quanto pare l’esercito sta attaccando prima questi.” I Cinque acconsentirono.
Poi uno dei consiglieri, Jedrick del casato Lorlen, si fece avanti e prese, con l’assenso della regina la parola: “Mia regina, a quanto pare da alcuni resoconti provenienti da Dauth, la città è stata attaccata anche con l’ausilio di un drago. Quindi le chiedo di poter richiamare dentro i territori del regno Eragon Ammazzaspettri e Saphira Squamediluce...” Lanciò uno sguardo a Murtagh “...non per mancare di rispetto a Murtagh e ad Arya Svit-kona, ma se hanno deciso di usare un drago per attaccare una città piccola come Dauth è probabile che cene siano altri...” disse.
“Non ha tutti i torti” disse Castigo rivolgendosi sia al suo Cavaliere che alla regina.
Il drago era accovacciato vicino la terrazzo e seguiva con sguardo acuto i movimenti di tutti i presenti. Le sue squame color rubino riflettevano la luce delle Erisdar, le lanterne senza fiamma usate sia dagli elfi sia dai nani e ora anche dagli umani.
La regina si fece avanti e rivolgendosi sia a Jedrick che agli altri consiglieri, disse: “Avevo già preso in considerazione la presenza di più draghi, quindi mi sono presa il libertà di convocare Eragon e Saphira. Il messaggero è partito una settimana e mezza fa e dovrebbe essere già arrivato. Molto probabilmente in questo momento Eragon si trova già in viaggio…” disse.
Prima che potesse continuare Murtagh intervenne: “E secondo i miei calcoli dovrebbero trovarsi qui tra massimo tre giorni.”
Dopo aver discusso per l’intero pomeriggio fino a tarda notte, Nasuada sciolse il consiglio e augurando una buona notte a tutti si ritirò nelle sue stanze. Si spogliò e entrò nel catino pieno di acqua calda che le era stato preparato dalle sue ancelle. Accolse con piacere il calore dell’acqua e si lasciò cullare dall’aroma dei petai di rosa appena colti pensando agli avvenimenti della giornata.
Dopo un bel po’ di tempo si asciugò, indossò la sua camicia di lino da notte e andò a dormire nel suo accogliente letto a baldacchino, conscia del fatto che molti innocenti mentre lei si rilassava avrebbero potuto perdere la vita e la loro libertà.
 

********

 
Erano passati tre giorni dalla loro partenza, tre giorni di viaggio, in cui Eragon e Saphira, per tacito accordo avevano deciso di non fermarsi, né per nutrirsi, né per riposare.
Nella luce dell’alba Eragon guardava le praterie infinite scorrere sotto di loro. A sud poteva scorgere la Du Weldenvarden con i suoi maestosi alberi millenari che fungevano da guardiani delle creature che prosperavano alle loro radici, a nord poteva vedere l’Az Ragni entrare nella catena dei monti Beor, dove neppure i draghi riescono a volare sulle loro vette. E infine dinnanzi a loro il deserto di Hadarac, che si estendeva a perdita d’occhio come se non avesse mai fine e che, Eragon, per esperienza personale sapeva essere vastissimo. Ma loro non avrebbero attraversato l’intero deserto, ma solo una piccola parte che li avrebbe condotti dritti verso Ilirea.
Senza che Eragon potesse accorgersene la lieve brezza mattutina lasciò il posto al sole cocente del mezzo dì, lasciando Eragon fradicio di sudore.
 “Dovremo fermarci, questo è l’ultimo tratto prima del deserto e sarà meglio rifornirci di acqua prima di attraversarlo.” Comunicò Eragon a Saphira all’imbrunire.
Allora la dragonessa si diresse in una piccola radura sule sponde di uno dei tanti piccoli affluenti dell’Az Ragni che attraversano la regione.
Quando la dragonessa atterò, sollevando una piccola nube di polvere, Eragon slegò i lacci alle gambe e scese da Saphira ma non appena appoggiò i piedi a terra le gambe gli cedettero ed il Cavaliere si ritrovò a terra. Pian piano si alzo e iniziò a camminare avanti e indietro per ridare sensibilità alle gambe intorpidite per il lungo viaggio. La radura era un piccolo spiazzo nel bel mezzo di un boschetto di pioppi, la pace e la tranquillità che dominavano il luogo erano intervallate solo dai cinguettii dei passeri.
Dopo un po’, mentre Saphira andava a caccia, Eragon mosso dalla fame decise di agire, quindi accese un fuoco con l’ausilio della magia e preparò una zuppa di farro, insaporita con alcune spezie che aveva trovato nei dintorni dell’accampamento.
Saphira arrivò poco dopo trattenendo tra le fauci la carcassa di una giovane cerva che divorò con foga. Quando finì di sgranocchiare anche gli ultimi residui della cena, la dragonessa iniziò a pulirsi gli artigli imbrattati del sangue del suo pasto. E quando Eragon ebbe finito di mangiare la sua zuppa si accucciò vicino al suo Cavaliere.
“Buona notte cucciolo mio” disse Saphira
“Buonanotte” rispose Eragon, che cullato dal calore del ventre della dragonessa si addormentò.
 

**********

Il mattino seguente Eragon, dopo aver riempito le borracce, salì in groppa a Saphira e iniziarono la loro traversata del deserto di Hadarac.
Il mattino seguente si erano già lasciati il deserto alle spalle e all’orizzonte si potevano scorgere le mura della capitale, un tempo chiamata Urû'baen, ora Ilirea, dove sia Eragon che Saphira sapevano avrebbero rincontrato molte delle persone che fino a pochi giorni prima avevano creduto di non rivedere più.
 

***********

 
Nel frattempo.
 
Erano passati due giorni dalla riunione del Consiglio, Lady Furianera, sedeva sul suo scranno ascoltando due uomini, anch’essi unici superstiti di un’altra incursione dell’esercito “Ombra”, come avevano iniziato a chiamarlo gli abitanti di Alagaësia perché dopo aver colpito scompariva come fumo.
I due uomini, come la donna e il bambino, erano gli unici sopravvissuti al massacro di Yazuac, cosa che preoccupava non poco la regina. Perché l’esercito Ombra avrebbe attaccato la parte più a nord di Alagaësia, quando avrebbe benissimo potuto conquistare tutta la parte sud? Perché conquistare Arunghia e Dauth, due grandi città nel sud e poi passare ad una città così piccola e insignificante?
Nasuada era talmente assorta a porsi queste domande, che non si accorse nemmeno che i due uomini erano stati congedati da Jurmundur.
“Ogni città che conquistano lasciano due superstiti.” Disse questi.
“Lo fanno per mandare il regno nel caos, in modo che i superstiti possano raccontare quello che hanno sofferto a tutti coloro che incontrano instaurando il seme della paura negli animi della gente.” Rispose la regina.
Murtagh emise un sospiro di sconforto. Non potevano continuare così, lentamente l’esercito Ombra stava facendo cadere Alagaësia nel caos, distruggendo città sotto il loro naso. Bisognava agire. Rispondere all’offensiva. Ma come? Come si poteva combattere contro un esercito che scompariva dopo ogni assalto senza lasciare traccia? Nasuada si convinceva sempre di più che l’appellativo Ombra era perfetto per quell’esercito.
Mentre tutti riflettevano su come poter anticipare la prossima mossa del nemico, un araldo entrò nella sala, e si fermò davanti ai tre con il volto pieno di terrore.
“Maestà…” Si piegò sulle ginocchia cercando di riprendere fiato “Maestà…” ripeté “…un drago… da est… si avvicina…punta verso la città…”
A Nasuada non servì altro. “Jurmundur, fa prepara le baliste. Murtagh, Castigo, preparatevi.”
Detto questo si avviò verso il cortile principale. I corridoi erano un via vai di soldati che consegnavano messaggi a destra e a manca.
“Perché ci attaccano proprio ora?” Chiese Murtagh
“Non lo so.” Rispose Nasuada.
Arrivata nel cortile scorse il capitano Farengar intento a preparare gli uomini per la battaglia.
“Serrate i ranghi” Urlò questi.
Appena vide la regina avvicinarsi fece un lieve inchino. “Maestà, gli uomini sono pronti a combattere” Disse.
Un attimo dopo Castigo atterrò accanto a loro facendole svolazzare il vestito della regina. Murtagh era seduto sul suo dorso intento a osservare il drago in rapido avvicinamento.
“Rimanete a terra non voglio che vi vedano se non per questione di vita o di morte.”
“Ma...” disse Murtagh.
Ma Nasuada lo interruppe prima che potesse continuare: “Niente ma, voi siete la nostra arma segreta, ed è meglio se rimanete un segreto.”
“Le baliste sono puntate.” Disse Jurmundur.
“Bene, ora non dobbiamo far altro che aspettare.”

 
*********

Ilirea era proprio lì, dinnanzi a loro, in tutta la sua potenza. Ma c’era qualcosa che non andava. Eragon e Saphira avevano un brutto presentimento.
Le strade della capitale erano vuote e silenziose ad eccezione dell’ululato di un cane, il cui suono faceva rizzare i capelli sulla nuca di Eragon. Il Cavaliere poteva sentire l’agitazione nella mente della dragonessa che voltava il capo da una parte all’altra per scorgere anche il più impercettibile di movimenti.
Davanti a loro c’era il castello di Niernen che significava letteralmente Orchidea in onore della Dauthdaert che aveva ucciso Shruikan, il drago nero di Galbatorix. Era diverso da come lo ricordassero. Diciassette anni prima era apparso molto più tetro, invece ora gli sembrava, luminoso. Uno scintillio su una delle torri di guardia attirò l’attenzione di Eragon, una lama.
Perché c’erano degli uomini sopra le torri di guardia? Ma prima che Eragon potesse indagare oltre un dardo da balista fu lanciato verso di loro e per poco non li colpì se non fosse stato per i riflessi pronti della dragonessa.
Perché li stavano attaccando? Forse credevano che era un nemico. Cercò di raggiungere le persone sulle torri con la mente, ma invano perché erano così concentrate a caricare le baliste che non si accorsero neppure della sua presenza. Loro, si accorse con sgomento Eragon, non li avevano mai conosciuti, quindi credevano che fosse un Cavaliere nemico che cercava di attaccare il castello. La loro unica possibilità era quella di farsi vedere da una faccia a loro familiare, come Nasuada. Quindi espanse di nuovo la mente e cercò quella della regina. La trovò quasi subito. Era indaffarata a dettare ordini nel cortile principale. Dovevano farsi vedere da lei.
Saphira, sentendo i pensieri del suo Cavaliere, appiattì le ali al corpo e si lanciò in picchiata verso il cortile più veloce di una freccia e quando arrivò a cento piedi dal suolo aprì le ali di scatto. Atterrando con grazia e potenza in mezzo ai soldati terrorizzati.
In poco tempo però questi serrarono i ranghi e si disposero a cerchio intorno a Saphira, puntandole contro le lance affilate.
“Fermi.” Urlò una voce. Che Eragon riconobbe come Jurmundur.
“Abbassate le lance!” Disse un’altra. Murtagh. Suo fratello. Eragon cercò di individuarlo. E dopo un paio di tentativi ci riuscì. Il fratello stava in groppa a Castigo. Affianco al drago c’era Nasuada che cercava di calmare alcuni soldati, era affiancata da un altro uomo che dopo un po’ iniziò a correre verso il cerchio di soldati intorno a loro, intimando i soldati ad abbassare le armi, giurando che se non avessero eseguito i suoi ordini sarebbero andati a pulire le stalle per il resto della loro vita. Eragon lo guardò con divertimento.
Lentamente, molto lentamente, i soldati iniziarono ad abbassare le lance, rialzandole all’improvviso quando Saphira fece uno sbadiglio mettendo in mostra la sua impressionante chiostra di denti.
“Lo hai fatto a posta” disse Eragon mentalmente in modo accusatorio alla dragonessa, senza però nascondere la sua punta di divertimento.
“No-oo” Rispose Saphira con ironia.
Eragon riuscì a stento a trattenere un sorriso.
Quando i soldati si furono allontanati la dragonessa si accovacciò per far scendere il suo Cavaliere.
La regina insieme a suo fratello li raggiunsero poco dopo. Nasuada portava uno splendido vestito di velluto rosso che metteva in risalto le sue forme, i capelli erano raccolti in con una retina di perle e sul capo portava una corona in platino con uno zaffiro nel mezzo. Suo fratello invece portava una lunga tunica che lo designava come Cavaliere dei Draghi. La tunica molto simile alla sua tranne che nel colore, perché come era tradizione doveva portare il colore del drago del Cavaliere che la indossava, era aperta sui lati e sotto di essa il Cavaliere portava delle brache e una camicia, entrambe nere e al suo fianco pendeva Zar’roc, la lama di Morzan, suo padre.
La regina di Alagaësia si fermò davanti al Cavaliere scrutandolo bene in volto, ma dopo pochi secondi un caloroso sorriso apparve sulle sue labbra e abbracciò forte il Cavaliere che senza esitazioni ricambiò.
Dopo avergli sussurrato nell’orecchio “Mi sei mancato.” La regina lasciò andare il Cavaliere che si girò verso il fratello.
“E così ci si rivede.” Disse Eragon.
“Già.” Rispose Murtagh con un sorriso sulle labbra.
“Allora… “Disse Eragon mettendo una mano dietro alla testa.
“Allora…” Ripeté Murtagh.
Eragon girò la testa verso Saphira che si era avvicinata, e notò che tutti li stavano guardando. Tutti lì sapevano che un tempo i due fratelli erano stati nemici. Ma quei tempi erano ormai lontani, così Eragon vincendo la paura si girò di scatto e abbracciò forte il fratello, il quale ricambiò con pari intensità.
I due si scambiarono delle pacche sulla schiena e Murtagh sussurrò: “Bentornato fratello.”
“Fratello.” Disse Eragon con un sorriso.

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Capitolo 3
*** Visioni al chiaro di luna ***


Nel chiarore della luna una figura incappucciata cavalcava un possente drago. Con un potente battito di ali la creatura atterò dinnanzi a un grande esercito e la figura su di essa, una donna, abbassò il cappuccio. La sua pelle bianca risaltava in confronto ai suoi capelli più neri della morte, ma la cosa più terrificante erano gli occhi, occhi dalle iridi azzurrissime, vuoti, occhi di una creatura senza anima né cuore, occhi che con un solo sguardo, avrebbero potuto pietrificare anche il più valoroso dei guerrieri.
La donna rivolse il suo sguardo disgustato agli uomini sull’arida pianura. Per lei loro erano solo strumenti, niente di più, strumenti per perseguire i suoi piani.
Dopo aver constatato di avere tutta l’attenzione su di sé, scese dal suo drago, pallido come la neve di primavera, e si rivolse ai soldati, impauriti come sempre dalle loro sovrana spietata: “Miei uomini, la nostra ascesa al potere si avvicina sempre di più, ben presto attaccheremo Carvahall, la patria del nostro obbiettivo.” Detto questo la regina si rivolse a un uomo al suo fianco: “Preparate la nostra arma, io mi dirigerò verso la Grande Dorsale e lì vi attenderò dopo che avrete ucciso ogni singolo uomo, donna o bambino di quella città.”
“Come ordinate mia regina, attaccheremo Carvahall tra due giorni e voi ben presto potrete avere la vostra vendetta.”
La donna emise una risata glaciale poi rivolgendosi ancora una volta al capitano……
L’immagine si sfocò, fino a che le parole non divennero sussurri lontani. Molto lentamente Eragon aprì gli occhi, chiudendoli subito dopo per la troppa luce. Qualcuno gli stava accarezzando il viso con un panno umido. Era sdraiato sul pavimento della sala del trono.
“Eragon?” Disse una voce che il Cavaliere sentì appena. Era stata Nesuada a parlare. La regina era accovacciata al suo fianco. Altri visi che lui non riconobbe lo guardavano preoccupati.
“Come ti senti?” Chiese un’altra voce, Angela. Eragon poteva sentire qualcosa di caldo e morbido premergli contro il fianco ma che non riuscì a identificare. Lentamente si mise a sedere aiutato dal fratello e capì che affianco a lui era raggomitolato Solembum, i gatto mannaro, che tanti anni prima aveva conosciuto nella bottega dell’erborista a Teirm.
“Mi fa male un po’ la testa” rispose questi. Con un gemito si sdraiò nuovamente aspettando che la stanza la smettesse di girare. “Che cosa è successo?” Chiese dopo un po’ con un filo di voce.
Fu Murtagh a rispondere: “Mentre stavamo studiando il piano di azione dell’esercito, sei svenuto. Orrin ti ha preso prima che tu potessi cadere a terra e sei rimasto incosciente per quasi due ore.”
“Due ore?” Chiese Eragon sbalordito, gli sembrava che fossero passati solo un paio di minuti.
“Da quanto tempo hai delle visioni Ammazzaspettri?” Chiese l’erborista.
“Come fai a… Sei entrata nella mia mente?” Chiese Eragon con una punta di amarezza.
“Mi dispiace.” Rispose Angela. “Ma non potevo fare altrimenti, dovevo capire perché eri caduto come un sacco di patate tra le braccia del nostro amatissimo re!” Pronunciò quell’ultima parola con un po’ di sarcasmo nella voce.
“Scuse accettate” Rispose il Cavaliere dopo un po’.
“Mi hai fatto preoccupare” Gli disse Saphira. La dragonessa era accucciata dietro di lui e lo osservava attenta.
“Allora?” Chiese Angela con impazienza.
“Allora cosa?” Chiese Eragon.
“Come allora cosa?” Rispose l’erborista sempre più impaziente
“Voglio solo sapere cosa vuoi dire con quel allora.” Disse il Cavaliere.
La donna emise un sospiro di esasperazione. “Ti ho chiesto: da quanto hai delle visioni?” Rispose Angela scandendo ogni singola parola.
Il Cavaliere non si arrabbiò per quel modo di fare, era abituato ai modi stravaganti di Angela. “Da quando ho trovato l’uovo di Saphira, credo.” Rispose dopo una breve riflessione.
“Che cosa?” Urlò Nasuada.
“Perché non ce lo hai mai detto?” Chiese Orrin in tono aspro.
“Bè, all’inizio credevo che fossero solo normalissimi sogni, certo un po’ agitati, ma pur sempre sogni. Noi stavamo combattendo una guerra e di sicuro c’erano cose più importanti dei miei sogni!” Rispose a tono Eragon.
Il re del Surda divenne paonazzo e stava quasi per replicare quando intervenne Nasuada: “Va bene smettetela!” Gridò, poi si rivolse ad Eragon: “Che cosa hai visto?” Chiese.
Eragon abbassò lo sguardo e lentamente iniziò a raccontare la visione: “Era notte, una donna che non avevo mai visto prima stava cavalcando su un drago…”
“Bianco” Disse Angela.
Eragon si girò verso l’erborista prima di continuare: “Poi i drago è atterrato su una vasta prateria piena di tende, la donna si è tolta il cappuccio del mantello, aveva la pelle bianca, come se non vedesse la luce del sole da anni, lunghi capelli neri e i suoi occhi erano...”
“Davvero terrificanti, in tutti i miei viaggi non avevo mai visto nulla di simile.” Disse Angela.
“Oh Venerabile spero che lei ora mi dia il consenso di poter continuare?” Chiese Eragon in tono adulatorio.
“Permesso accordato Shurt’ugal.” Rispose l’erborista con un sorriso di sfida sul volto.
Eragon emise un sospiro di sconforto ma continuò: “La donna si è rivolta a dei soldati davanti a lei, ha detto che... Devo partire subito…” Disse mettendosi in piedi. “Vogliono attaccare Carvahall, la donna ha accennato a un’arma segreta che voleva usare contro di noi. Poi si è girata verso un uomo… non c’è tempo da perdere… ha detto di attaccare fra due giorni. Devo partire all’istante.”
Il Cavaliere si girò verso la regina per avere il suo consenso.
“Va bene,” Rispose questa. “Ma sappi una cosa, Roran non è al corrente del tuo ritorno, quindi cerca di non far ripetere quello che è successo quando sei arrivato qui. Buona fortuna Ammazzaspettri.” E lo congedò.
Dopo aver salutato Murtagh e aver fatto un lieve inchino al Consiglio corse in camera sua a prendere la borsa che non aveva avuto nemmeno il tempo di disfare e insieme a Saphira fecero ritorno dove tutto era iniziato.





Angolo autrice
Ciao questa è la mia prima ff spero che vi piaccia, vorrei tanto che commentaste per sapere come la trovate
Al prossimo capitolo

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Capitolo 4
*** Poteva sembrare tutto normale ***


Alcuni raggi filtravano dalla finestra e il canto degli uccelli risuonava nell’aria annunciando un nuovo giorno. Ismira aprì gli occhi, si alzò dal letto, e andò a lavarsi nel catino pieno di acqua calda che Laila, la sua Dama di compagnia, le aveva preparato. Dopo un po’, con malavoglia si alzò e con l’aiuto di due cameriere indossò un vestito verde, che era in netto contrasto con i suoi riccioli rossi.
Uscì dalla sua stanza e si diresse verso la sala da pranzo dove la sua famiglia ogni mattina si riuniva per fare colazione. Suo padre, Roran Garrowson o Fortemartello come tutti usavano chiamarlo, sedeva a capo tavola intento a leggere una strana lettera. Sua madre era in piedi davanti alla finestra e dallo sguardo che le rivolse quando entrò nella stanza, Ismira capì che era preoccupata, ma per cosa? Suo fratello, Michael, aveva gli occhi fissi su un punto dietro suo padre.
Solo allora notò che dietro suo padre c’era un’Elfa. Aveva dei lunghi capelli nero corvino e degli occhi verdi come il folto di una foresta, indossava un’armatura a scaglie di un verde chiaro con riflessi argentei, che la faceva somigliare a un drago, un paio di guanti moto simili all’armatura e portava un mantello di un verde più scuro con alcune scaglie argentee in rilievo su di esso, queste scendevano dalle spalle fino a formare un triangolo dietro la schiena. Al suo fianco portava una spada anch’essa verde con uno smeraldo incastonato nell’elsa e una runa sul fodero, solo una persona portava una spada simile, suo zio, il Cavaliere dei Draghi Murtagh Morzanson, da quanto gli aveva raccontato lui, tutti i Cavalieri avevano spade come quella e a giudicare dal colore di quella spada quindi la donna dinnanzi a lei non poteva essere altri che Arya, l’ex regina degli elfi, il Cavaliere di Fírnen.
“Buongiorno” disse rivolta a tutti.
Arya le rivolse un caloroso sorriso “Buongiorno, tu dovresti essere Ismira. Io sono Arya.”
“Piacere di conoscerla Arya Svit-kona” disse Ismira rivolgendole un lieve inchino.
“Ismira, Michael, andate nelle cucine e dite alla signora Shenderholt di prepararvi la colazione.” Disse suo padre.
“Ma...” dissero lei e suo fratello in coro ma furono subito interrotti dal padre.
“Niente ma, ora andate.”
Ismira lanciò uno sguardo a sua madre.
“Va!” disse questa dolcemente.
Lanciando un ultimo sguardo all’Elfa, Ismira uscì dalla stanza per dirigersi alle cucine, seguita a ruota da suo fratello.

********



Le cucine erano un continuo viavai di domestici e cuochi, intenti a preparare il pranzo. Ismira si diresse dove sapeva di trovare la signora Shenderholt
“Buongiorno signora Shenderholt” disse rivolta alla donna intenta a cacciare alcuni biscotti da un forno. La signora Shenderholt era una donna anziana, con dei capelli grigi striati di bianco portati a crocchia e un viso con lineamenti dolci. Portava una veste grigia con sopra un grembiule, la schiena era leggermente piegata in avanti a prova della sua età avanzata. Nel complesso la figura che Ismira e Michael avevano che più si avvicinasse a una nonna.
“Buongiorno cara, ho appena preparato dei buonissimi biscotti al cioccolato come piacciono a voi, ne volete?” Dopo un attimo disse “Guardate che non accetto rifiuti”
“Come potrei dire di no ai vostri biscotti” disse Michael sorridendo.
La signora Shenderholt sorrise compiaciuta e si diresse verso un mobile da cui ne cacciò due fazzoletti per metterci dentro i biscotti ancora caldi.
“Ecco, attenzione che scottano.” Disse “ora però devo andare” e sparì nella miriade di persone che affollava le cucine.
Ismira chiuse il fazzoletto con i biscotti e se lo attaccò alla veste “Io vado in città da Hope”
“Davvero? Posso venire?” chiese Michael
“Perché vorresti venire?” chiese Ismira “Ah, giusto, Hope.”
“No… Io… Veramente… Non glielo dirai, vero?” chiese Michael preoccupato.
“No non preoccuparti. Sarò muta come un pesce” rispose Ismira che sorrise vedendo il fratello emettere un sospiro di sollievo. Michael e lei avevano un anno di differenza, e anche se Hope era più grande di lui, non si scoraggiava.

*******



La città era piena di persone indaffarate nei oro compiti giornalieri. Si diressero verso la fucina del padre di Hope. Il posto era forse il luogo più rumoroso della città per via dei continui martelli che battevano contro il ferro. Entrando dentro trovarono Horst e suo figlio, Baldor, intenti a raddrizzare una ruota di un carro.
“Ciao Ismira, Michael” disse il fabbro non appena la vide.
“Salve Horst, Baldor, sapete dove possiamo trovare Hope? chiese ai due. “Dovevamo incontrarci qui.”
“Sarà sicuramente in piazza per guardare la mercanzia degli erranti.” Rispose Baldor.
“Grazie.” Rispose Ismira e, insieme a suo fratello, corse verso la piazza del mercato che si trovava nella città bassa.
La piazza era piena di persone che analizzavano attentamente tutto quello che trovavano davanti ai loro occhi, valutando e qualche volta acquistando. La maggior parte di loro erano semplici persone, contadini, ma si poteva notare anche qualche nobile. Ismira ne conosceva la maggior parte.
“Ah eccola” esclamò Michael  
Ismira si voltò dove stava guardando suo fratello e facendo scorrere lo sguardo sulla folla trovò Hope ad “ammirare” una collana d’argento con uno zaffiro a forma di goccia grande quanto un uovo di quaglia come ciondolo, su una bancarella piena di gioielli dai più raffinati ai più strani.
“Ehi” disse Hope vedendola arrivare.
“Ciao” disse Ismira. “Non dovevamo vederci davanti alla fucina di tuo padre?”
“Si, scusa” rispose questa.
“Buongiorno, Hope.” Disse suo fratello.
“Ah buongiorno Michael, non ti avevo visto” Si girò verso Ismira “Vieni, voglio mostrarti una cosa.” Detto questo prese Ismira, che lanciò un ultimo sguardo a suo fratello prima che Hope la trascinasse tra la folla verso il banco di un’anziana donna che vendeva pregiati tessuti provenienti da tutte le parti di Alagaësia.
Hope ne indicò uno in particolare che si trovava in una teca, era di un color verde con riflessi blu, molto probabilmente di provenienza elfica.
“Wow” disse Ismira
“Bella vero?”
Era più un’esclamazione che una domanda ma Ismira rispose lo stesso. “E’ magnifica”
“Sapevo che ti sarebbe piaciuta.” Disse Hope sorridendo.
“Guarda, arriva tuo padre” Disse Ismira indicando il fabbro che si avvicinava a un bancone vuoto dove depositò alcuni utensili e qualche arma, un attimo dopo fu raggiunto da Baldor. Il fabbro e suo figlio come ogni mese avrebbero venduto tutti i loro migliori lavori.
Rimasero insieme per tutto il resto della mattina. Mentre Hope cercava di convincere Ismira che Morgan, un ragazzo del villaggio, si interessava a lei, si sentì un corno suonare da una delle torri di guardia alle porte della città. Poco dopo una fila di all’incirca duecento soldati entrò nella piazza. Gli uomini portavano delle armature nere piene di borchie su cui spiccava una fiamma dorata. La colonna di soldati era guidata da due uomini a cavallo. Il primo, sui quarant’anni, il comandante, dedusse Ismira notando che dava gli ordini, aveva capelli neri, occhi castani e una cicatrice biancastra che gli attraversava la guancia sinistra dandogli un aspetto sinistro e malvagio.
Il secondo uomo invece era poco più giovane del primo e aveva il viso contratto in un ghigno che fece venire la pelle d’oca a Ismira. I capelli erano castani, lunghi fino alle spalle e gli occhi grigi. Portava un lungo e pesante mantello
I soldati si disposero a semicerchio in modo che nessuno potesse uscire dalla piazza, il generale si fece avanti e iniziò a parlare con voce forte e chiara: “Io sono Kidrauhl figlio di Batendor di Iralya e sono qui per chiedervi la resa, in caso contrario” rivolse un sorriso non rassicurante alle persone radunate attorno a lui e si passò due dita sulla gola. Il suo sguardo tagliente passò sulla folla finché non si fermo su una persona: Michael.
“Prendetelo” disse rivolto a tre uomini affianco a lui.
I tre soldati si fecero avanti, presero Michael e lo portarono davanti a Kidrauhl.
“No-ooo” gridò Ismira e si lanciò contro di loro, ma prima che potesse avvicinarsi qualcuno la prese per un braccio tirandola di nuovo tra la folla. Ismira cercò di sfuggire, ma lo sconosciuto non accennò a mollare la presa. Si girò per affrontare l’uomo dietro di ei, ma questi le afferrò il braccio e la spinse contro il muro di un edificio. Con il braccio libero l’uomo si tolse il cappuccio, a quel punto Ismira poté guardarlo in volto e appena lo riconobbe rimase paralizzata.
“Zio” sussurrò.
 
Angolo autrice
Lo so ci ho messo quasi una settimana per scrivere un capitolo così corto, ma mia madre quando mi vede davanti al pc dice sempre: “Ma stai sempre lì davanti?”, “Ma esci un po’” oppure “Ma perché non ti metti a studiare?”. Non la sopporto quando fa così. Poi aggiungiamoci anche mio fratello e stiamo davvero… Comunque ritornando al capitolo spero che vi piaccia.
Vi prego lasciate un commento anche per dire che la storia vi fa schifo basta che commentiate.
Al prossimo capitolo.
DaubleGrock
 

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Capitolo 5
*** L'identità svelata ***


Stavano viaggiando da due giorni quando la mattina del 3 giorno, Saphira avvistò Carvahall.
“Eccola”disse la dragonessa
“Dobbiamo atterrare dove non possono vederci ma allo stesso tempo in posto da cui tu possa arrivare in tempo se si presentino problemi”disse Eragon.
Durante il viaggio avevano deciso che il modo migliore per non causare lo stesso trambusto di quando erano arrivati a Ilirea, Eragon sarebbe dovuto andare in città da solo prima di far arrivare anche Saphira.
“Potrei atterrare lì”propose Saphira mandandogli un’immagine di una piccola radura dietro un sporgenza rocciosa a est di Carvahall.
“Sembra un buon posto, ma fa attenzione. Ricorda non dobbiamo farci vedere.”Rispose il Cavaliere.
La dragonessa virò verso est e si diresse alla radura. Quando furono arrivati, Eragon si cambiò e indossò la sua armatura e il suo mantello color zaffiro a scaglie di drago.
“Unir làmarae” mormorò. Lentamente l’armatura si tinse di nero e il mantello divenne una comunissima cappa. Si calò il cappuccio in testa e controllò che Brisingr fosse libera dal fodero. A quel punto si girò verso Saphira
“Io vado, appena avrò la conferma che potrai venire ti chiamerò. Sta attenta.”Disse
“Tu sta attento perché non sono io quella che si caccia sempre nei guai”disse la dragonessa.
Il Cavaliere sorrise e appoggiò la fronte contro il muso squamoso della dragonessa, della sua dragonessa, della sua compagna di mente e di cuore. “Ti voglio bene” sussurrò Eragon.
“Anche io cucciolo mio” rispose lei
Allora Eragon si voltò e si diresse verso Carvahall.

 
 

******
 

 
Carvahall non era come se la ricordava. Non era più il piccolo villaggio di quando era bambino, ora era diventata una grossa città, era cinta da una muraglia bianca alta cento piedi e spessa trenta, con file di feritoie rettangolari e un camminamento in cima per i soldati e le sentinelle. La superficie liscia della muraglia era interrotta da una saracinesca di ferro. Al centro della città si poteva scorgere un grosso castello con tre torri su due lati, due più grandi davanti e una sentinella su ognuna di esse.
Fu distolto dai suoi pensieri dal suono di un corno, molto probabilmente un allarme, dedusse Eragon. Volse lo sguardo in tutte le direzioni finché non vide una fila di soldati venire verso di lui. Con un balzo si nascose dietro un barile sul fianco di un edificio.
“Sköliro du garjzla” Sussurrò prima che i soldati si fermassero davanti al barile.
Eragon trattenne il fiato finché gli uomini non passarono oltre. Solo allora notò che sulle loro armature c’era raffigurata una fiamma color oro. Il Cavaliere rimase a bocca aperta, allora era vero Galbatorix era tornato, ma come? Lui era morto.
I soldati si dirigevano verso la piazza del mercato e Eragon decise di seguirli stando attento a non farsi scoprire. Arrivati nella piazza si fermarono e formarono un semicerchio in modo che nessuno sarebbe potuto uscire ma allo stesso tempo Eragon non sarebbe potuto entrare quindi decise di fare il giro da dietro una casa.
Rimase per un po’ dietro l’edificio per sciogliere l’incantesimo che lo rendeva invisibile prima di entrare tra la folla accalcata intorno ai soldati.
Arrivato in piazza vide un uomo con una lunga cicatrice sul viso rivolgersi alla gente, Eragon si avvicinò di più per ascoltare le sue parole “…sono qui per chiedervi la resa, in caso contrario” e si passò due dita sul collo. Questi fece scorrere lo sguardo sulla folla finché non individuò qualcuno. Poi si rivolse a due soldati dietro di lui “Prendetelo” dopo essersi allontanati gli uomini ritornarono trascinando un ragazzo. Michael, suo nipote.
“No-ooo” gridò una ragazza davanti a lui. Eragon la riconobbe quasi all’istante, era Ismira, la figlia di suo cugino Roran. La ragazza si lanciò in avanti per salvare il fratello, ma Eragon la prese prima che potesse essere vista dai soldati e la trascinò tra la folla. Ismira cercò di liberarsi, ma lui non mollò la presa, la poggiò contro il muro di una casa lontano dagli occhi delle persone, ma soprattutto lontano dai soldati. A quel punto si tolse il cappuccio del mantello e fisso la ragazza davanti a lui che riconoscendolo rimase a bocca aperta.
Dopo alcuni secondi con un sussurro quasi impercettibile “Zio” disse.
Eragon le poggiò un dito sulle labbra e le rivolse un lieve sorriso. Era passato davvero molto tempo da quando non vedeva Ismira, troppo. Certo aveva parlato con lei attraverso un incantesimo di divinazione ma mai di persona.
“Ciao Ismira” disse.
La ragazza non accennava a dire una parola quindi Eragon si voltò verso i soldati. I tre uomini avevano fatto inginocchiare Michael davanti al generale.
“Ma guardate che bel giovane ragazzo, qual è il tuo nome?” chiese questi con un sorriso sprezzante. Michael non osò aprire bocca e uno dei tre soldati gli menò un ceffone.
“Rispondi al generale.” Disse.
“Devo aiutarlo” disse Ismira dietro di lui.
“No, tu non puoi fare niente.”
“Ma…” obbiettò la ragazza.
“Ho detto solo che TU non puoi fare niente, non che io non possa farlo!” disse il Cavaliere.
“Hai un piano?” chiese Ismira con un barlume di speranza negli occhi.
“Ci sto lavorando. Dov’è tuo padre?”
“Non lo so, stamattina l’ho trovato che leggeva una lettera e sembrava molto preoccupato, con lui c’era anche Arya.” Rispose.
Il mondo per Eragon parve fermarsi per un’eternità, Arya, non la vedeva da tantissimo tempo, che ci faceva a Carvahall, l’aveva mandata Nasuada a informare Roran sull’imminente attacco? Ma allora perché non avevano fatto niente per fermare il soldati? Oppure era per qualcos’altro? Ma cosa?
“Arya? Arya è qui?” Chiese quasi urlando.
“Si, è arrivata stamattina” disse Ismira “Perché me lo chiedi con quel tono?”
“No, non è niente.” Rispose lui voltandosi.
Proprio i quel momento una voce profonda proruppe dalla folla “Che succede qui?” urlò e dalla massa di gente si fece avanti Roran seguito da Katrina.
“Tu dovresti essere Fortemartello” disse il generale.
Roran guardò scioccato gli uomini che tenevano suo figlio inginocchiato davanti al generale.
“Chi siete voi? Cosa volete?” chiese Roran.
“Io sono il generale Kidrauhl e sono qui per chiedervi di arrendervi.” Disse Kidrauhl.
“Arrenderci? E a chi se è lecito saperlo.” Chiese Roran.
“Alla Regina Bianca.” Rispose il generale come se fosse ovvio.
“E questa regina biancaavrebbe un nome?” chiese Roran.
“Questo non vi è dato saperlo. Se accetterete la resa, a nessuno, né uomo, donna o bambino sarà torto un capello, certo dovranno servire l’esercito ma resteranno vivi. In caso contrario.” Il generale rivolse un sorriso sinistro a Roran. “Diverrete cibo per corvi.”
Roran si girò verso sua moglie che sconvolta si strinse a lui.
“Però devo dire che questo è davvero un bel ragazzo” disse il generale “Umm… Capelli rossi, occhi azzurri, tu dovresti essere Michael.” Si rivolse a Roran “Tuo figlio. Si, andrà benissimo a tirare le catapulte.”
“No, no-ooo” urlò Ismira dietro di lui. Eragon gli tappò la bocca ma ormai il danno era fatto, alcuni soldati si stavano avvicinando a loro. Due di loro presero Eragon per le breccia e lo trascinarono nello spiazzo davanti al capitano, altri due invece presero Ismira e la sollevarono di peso.
“Saphira tieniti pronta”disse Eragon alla dragonessa prima di essere fatto inginocchiare.
Il generale si rivolse nuovamente a Roran “Ah ecco tua figlia, finalmente abbiamo la famiglia al completo. Ma cos’altro abbiamo qui?” chiese avvicinandosi a Eragon.
Eragon cercò di liberarsi e quasi ci riuscì se non fosse stato per l’intervento di altri due uomini.
“E’ bello forte, generale.” Disse uno di questi.
“Ci sarà molto utile.” Rispose Kidrauhl. “Scopritegli il volto”
Un soldato dietro di lui gli tirò giù il cappuccio e mostrando le sue orecchie a punta e i suoi occhi dalle iridi azzurre come il fondo di un oceano.
“Ah, bene bene. Guarda se non abbiamo un elfo qui?” disse il generale con un sorriso divertito. “Qual è il tuo nome, elfo?” chiese appoggiandogli la punta della spada, che nel frattempo aveva estratto, sul collo.
Eragon gli rivolse uno sguardo torvo ricevendo in cambio il pomo della spada sulla fronte. Il colpo fu talmente forte da farlo cadere di lato. Una miriade di puntini rossi si formò davanti gli occhi del Cavaliere. Eragon sentì qualcosa di caldo scorrergli lungo la tempia. Nel cadere, il suo mantello si era mosso rivelando la sua spada, Brisingr. Sentì alcune persone sussurrare il suo nome, lentamente si alzò, molti volti lo guardavano con stupore.
“Bene, bene, bene. A quanto pare abbiamo qui Eragon Ammazzaspettri.” Sembrava un po’ preoccupato ed Eragon sapeva per cosa. “Dové la tua dragonessa?” chiese dopo un po’.
“Non te lo dirò mai.” Rispose il Cavaliere.
“Saphira dove sei?”chiese alla dragonessa.
La risosta di questa non si fece attendere “Sopra di te.”
“Preparati. Ma non intervenire ancora.”
Nel frattempo l’altro uomo era sceso da cavallo e si era avvicinato al Cavaliere.
“Cavaliere, eh? Sinceramente mi aspettavo di meglio.” Disse squadrandolo da capo a piedi.
“Signori vi presento mio figlio, Gunak.” Disse il generale sorridendo. “Mi è venuta un’idea, che ne dite Cavaliere di un duello, lei contro mio figlio, il Cavaliere Ammazzatiranni, contro il migliore spadaccino che io abbia mai addestrato?”
“E io cosa ne guadagnerei?” chiese Eragon guardando con odio i due uomini davanti a lui.
“Facciamo una cosa, se tu combatterai, lascerò viva la ragazza. Allora abbiamo un accordo?”  chiese.
Eragon lanciò uno sguardo a Ismira, aveva gli occhi pieni di terrore, alcuni soldati la tenevano per le braccia.
“Il tempo scorre Cavaliere.” Disse il generale impaziente.
“Accetto” disse Eragon con un sussurro.
Il generale sorrise e disse alle guardie di arretrare così da poter far spazio ai due contendenti. Eragon sapendo di non poter più nascondere la sua identità, sciolse l’incantesimo che faceva in modo che i suoi abiti assomigliassero a quelli di un mercante, si tolse il mantello, estrasse Brisingr e si mise in posizione di attacco. Il duello era iniziato.
 


Glossario

“Unir Làmarae” = Trasformati tessuto
“Sköliro du Garjzla” = Proteggimi dalla luce
 

Angolo autrice

Ciao, sono sempre io e sono qui a rompere un altro po’. In questo capitolo la guerra si avvicina sempre di più, ormai e alle porte. Spero che vi piaccia e se volete commentare non è che costi tanto, vorrei solo sapere se vo piace, non vi piace, vi fa schifo, qualunque cosa basta che commentiate. Ciao a presto.
DaubleGrock

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Capitolo 6
*** Ritrovarsi ***


Aveva riletto quella lettera almeno una decina di volte. A quanto pare l’esercito Ombra aveva attaccato contemporaneamente Narda e Therinsford, quindi si era diviso su due fronti e questo poteva essere una buona e una cattiva notizia al tempo stesso. Buona, perché sarebbe stato più facile combattere contro metà dell’esercito. Cattiva, perché non sapevano quale sarebbe stata la loro prossima mossa e questo preoccupava non poco Roran.
Arya camminava avanti e indietro davanti a lui inquieta, non aveva mai visto un’Elfa così preoccupata o che mostrasse le sue emozioni in questo modo. All’incirca due anni prima Arya aveva deciso di lasciare la carica di sovrano a Lord Fiolr ed era diventata custode delle uova come lo era stata un tempo con l’uovo di Saphira.
Fortemartello sentì un rumore di passi affrettarsi verso di lui, Baldor.
“Roran… Roran…” Urlava mentre correva e quando si fermò davanti a lui si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato. “Una fila di soldati è arrivata nella piazza del mercato, hanno preso Michael...”
A Roran non servì altro e si precipitò verso la piazza seguito da Katrina “Arya, tu va da Fírnen e intervieni solo se strettamente necessario!” urlò all’Elfa prima di uscire dalla reggia per dirigersi al mercato.
La piazza era piena di persone che erano accalcate attorno a un uomo.
“Che succede qui?” urlò. Le persone attorno a lui riconoscendolo si fecero da parte per farlo passare. Solo allora notò suo figlio inginocchiato e tenuto per le braccia da due soldati. Katrina lo affiancò poco dopo e vedendo il figlio si lasciò sfuggire un’esclamazione sgomenta.
“Tu dovresti essere Fortemartello” disse un uomo.
“Chi siete voi? Cosa volete?” chiese duro Roran.
“Io sono il generale Kidrauhl e sono qui per chiedervi di arrendervi.” Disse l’uomo.
“Arrenderci? E a chi se è lecito saperlo?” Chiese Roran.
“Alla Regina Bianca.” Rispose il generale
“E questa regina bianca avrebbe un nome?” chiese Roran.
“Questo non vi è dato saperlo. Se accetterete la resa, a nessuno, né uomo, donna o bambino sarà torto un capello, certo dovranno servire l’esercito ma resteranno vivi. In caso contrario.” Il generale gli rivolse un sorriso sinistro. “Diverrete cibo per corvi.”
Katrina si strinse a lui e Roran le posò una mano sulla schiena cercando di rassicurarla ma invano.
 “Però devo dire che questo è davvero un bel ragazzo” disse il generale “Umm… Capelli rossi, occhi azzurri, tu dovresti essere Michael.” Si rivolse nuovamente a Roran “Tuo figlio. Si, andrà benissimo a tirare le catapulte.”
“No, no-ooo” qualcuno urlò nella folla. Il generale si rivolse a un gruppo di uomini che andarono tra la folla tornando con sua figlia e un uomo incappucciato con un lungo mantello nero.
Il generale si rivolse nuovamente a Roran “Ah ecco tua figlia, finalmente abbiamo la famiglia al completo. Ma cos’altro abbiamo qui?” chiese avvicinandosi all’uomo incappucciato.
Lo sconosciuto cercò di liberarsi e Roran fu molto sorpreso della sua forza, ma altri due soldati intervennero rendendo vani gli sforzi dell’uomo.
“E’ bello forte, generale.” Disse uno di questi.
“Ci sarà molto utile.” Rispose Kidrauhl. “Scopritegli il volto”
Un soldato dietro l’uomo gli abbassò il cappuccio, ma Roran dalla sua posizione non poté vedere il volto dell’uomo e poté scorgere solo i capelli biondi e le orecchie a punta.
“Ah, bene bene. Guarda se non abbiamo un elfo qui?” disse il generale con un sorriso divertito. “Qual è il tuo nome, elfo?” chiese il generale appoggiando la punta della spada sul collo dell’uomo.
Questi non rispose e in cambio ricevette un colpo alla tempia da parte del pomo della spada del generale cadendo a terra di lato. Uno scintillio proveniente dal fianco dell’uomo attirò l’attenzione di Roran, una spada, ma non una semplice spada, Brisingr. Roran rimase a bocca aperta, davanti a lui steso nella piazza del mercato c’era Eragon, suo cugino.
Eragon si alzò lentamente, alcune persone attorno a Roran iniziarono a mormorare il nome del cugino e un brusio di diffuse tra la folla.
“Bene, bene, bene. A quanto pare abbiamo qui Eragon Ammazzaspettri.” Disse il generale “Dové la tua dragonessa?” chiese dopo un po’.
“Non te lo dirò mai.” Rispose deciso il Cavaliere.
Un uomo con un lungo mantello si fermò davanti a Eragon. “Cavaliere, eh? Sinceramente mi aspettavo di meglio.” Disse
“Signori vi presento mio figlio, Gunak.” Disse il generale. “Mi è venuta un’idea, che ne dite Cavaliere di un duello, lei contro mio figlio, il Cavaliere Ammazzatiranni, contro il migliore spadaccino che io abbia mai addestrato?”
“E io cosa ne guadagnerei?” chiese Eragon.
“Facciamo una cosa, se tu combatterai, lascerò viva la ragazza. Allora, abbiamo un accordo?”  Chiese.
Vide Eragon lanciare uno sguardo a sua figlia che era trattenuta da due soldati.
“Il tempo scorre Cavaliere.” Disse il generale.
“Accetto” rispose suo cugino con un sussurro quasi impercettibile, che Roran si chiese se avesse parlato realmente. Il generale gli rivolse un ghigno e con un gesto della mano in poco tempo la parte centrale della piazza si svuotò lasciando solo Eragon e Gunak. All’improvviso il mantello del Cavaliere passò da nero a blu e i suoi vestiti si trasformarono in un’armatura blu a scaglie d’argento che faceva somigliare suo cugino a un drago. Il suono inconfondibile di Brisingr pervase l’aria quando fu sguainata dal fodero. Eragon si mise in posizione di attacco e rivolse uno sguardo a Roran prima di tornarsi a concentrare sull’avversario.
Dopo alcuni minuti, anche Gunak estrasse una spada di colore bruno come la terra e si posizionò a trenta iarde di distanza dal Cavaliere. Roran rimase a guardare il cugino studiare Gunak per un tempo che parve infinito, gli era mancato davvero tantissimo. Per lui Eragon era stato come un fratello, la persona a cui aveva sempre confidato tutto, anche quando era partito da Alagaësia, Roran aveva continuato a parlare con lui ogni singolo giorno, fino a una settimana prima e ora ne comprendeva il motivo.
Eragon e Gunak iniziarono a muoversi in cerchio, come due lupi che si studiavano a vicenda, per trovare i punti deboli dello sfidante. Eragon aveva il viso contratto in una maschera di pura concentrazione, invece Gunak sembrava sereno come se stesse facendo una semplice passeggiata. Questo preoccupò Roran. Suo cugino era stato il migliore spadaccino di Alagaësia ai tempi della guerra contro Galbatorix e a quel tempo aveva solo sedici anni, ma Gunak, il generale e i soldati non sembravano affatto preoccupati e rivolgevano sguardi spavaldi al Cavaliere. Ma cosa gli dava tanta sicurezza? Erano troppo sicuri del loro “miglior spadaccino”, o avevano in mente altro?
Nel frattempo, Eragon si era fermato e guardava Gunak negli occhi. Questi gli rivolse un ghigno molto probabilmente per farlo deconcentrare, ma questo non sembrò subire alcun effetto sul Cavaliere che dal canto suo rivolse all’avversaria un ringhio felino facendolo indietreggiare e mettendo in mostra dei canini candidi.
I due avversari si osservarono ancora per qualche minuto, poi Gunak emettendo un urlo si lanciò contro Eragon mirando al fianco, ma il Cavaliere come ad aver previsto la mossa dell’avversario fece un passo indietro e intercettò la lama con Brisingr senza alcuno sforzo.
Il secondo attacco fu da parte di Eragon che con tre rapidi fendenti, al fianco, alla gamba e all’addome fece arretrare Gunak con una facilità disarmante. Con stupore, Roran constatò che il cugino da quando era partito era anche migliorato nella scherma per quanto questo fosse possibile.
Le sue riflessioni furono interrotte da qualcuno che cercava di intrufolarsi nella sua mente, Roran eresse delle barriere mentali ma queste non servirono a nulla contro la potenza della attacco che in poco tempo mandò in frantumi le mura attorno la sua coscienza. Dall’entità emerse la voce di Arya.
“Roran cosa succede lì?”chiese preoccupata.
In poco tempo spiegò la situazione all’Elfa, ma quando arrivò all’identità dell’uomo Arya urlò talmente forte nella sua mente che per poco Roran non fu tentato di coprirsi le orecchie con le mani prima di ricordarsi che la voce era nella sua testa.
“Cosa? Eragon?”la voce dell’Elfa era piena di sorpresa, incredulità e felicità.
“Si è qui”e gli mandò un’immagine mentale del combattimento che si stava svolgendo davanti a lui.
“Stiamo arrivando” disse dopo alcuni minuti l’Elfa.
“No, forse è meglio che tu e Fírnen aspettiate un altro po’.”Obbiettò Roran
“D’accordo,”acconsentì l’Elfa dopo un attimo di riflessione“ma anche per un solo piccolo presentimento io e Fírnen interverremo.”  Detto questo chiuse il contatto mentale.
Nel frattempo, grazie alla sua agilità, il Cavaliere, in poco tempo, con una stoccata mirata al polso dell’avversario, riuscì ad avere la meglio su Gunak disarmandolo. La spada volò dietro l’uomo andando a penetrare nel terreno a quindici iarde di distanza. Questi orami senza un’arma, rimase fermo mentre Eragon posava la punta di Brisingr sulla sua gola, facendogli cadere un rivolo di sangue.
“Davvero ammirevole, Cavaliere.” Disse il generale “Ma quando ho detto che avrebbe duellato contro mio figlio, non ho detto che non ci sarebbero stati interventi esterni.” Aggiunse con un ghigno.
Proprio in quel momento un drago color ambra atterò ruggendo nella piazza scatenando il terrore nella folla. Il drago, un maschio dedusse Roran dalla muscolatura, doveva essere molto giovane, perché era grande quanto lo ara Saphira durante la battaglia contro Galbatorix. Le sue squame erano di diverse tonalità che passavano dal marrone più scuro sul busto, al beige sul ventre e al giallino sulle membrane che coprivano le ali. Roran non poté che constatare quanto fosse magnifico quell’esemplare.
Il drago si avvicinò ad Eragon ringhiando, il Cavaliere prima che potesse anche solo muovere un muscolo fu scaraventato a venti iarde di distanza contro il muro di un edificio, il drago lo raggiunse con un rapido balzo e lo prese tra le fauci. Il Cavaliere urlò di dolore e Roran senza rendersene contò iniziò a correre verso il cugino ma fu subito intercettato da tre soldati e non poté far altro che guardare il Cavaliere contorcersi nella stretta del drago.
 

*******
 

 
Dolore, fu solo questo quello che sentiva in quel momento. Dolore, un insopportabile dolora alla gamba sinistra dove il drago ambra lo aveva azzannato lacerando pelle, muscoli fino ad arrivare all’osso.
Eragon cercò di riprendere un po’ di lucidità cercando di ignorare il dolore. Qualcuno cercava di alleviargli l’insopportabile tormento, Saphira. La sua compagna stava venendo in suo soccorso dalla radura dove l’aveva lasciata.
Il drago allentò un po’ la presa sul suo corpo, ma quel poco fu abbastanza per Eragon. Con un movimento fulmineo estrasse il pugnale dalla cintura e lo piantò nella pelle coriacea del muso del drago.
Questi mollò la presa ululando di dolora e facendo cadere a terra Eragon. Il Cavaliere rimase immobile e strinse i denti mentre una fitta insopportabile attraversava la sua gamba, fiumi di sangue uscivano dalla profonda ferita su di essa e una pozza rossa iniziò a formarsi sotto il corpo del Cavaliere. Nel frattempo il drago cercò di riazzannare Eragon, ma la sua attenzione fu attirata da un sibilo, come di una freccia che attraversa l’aria, proveniente da sopra di loro.
Proprio in quel momento Saphira si andò a schiantare contro il drago, le due creature rotolarono avvinghiati un all’altra nella piazza schiacciando alcuni soldati. La mole del drago in confronto alla dragonessa era come di un fringuello con un falco. Saphira in poco tempo riuscì a bloccare il drago mantenendolo per la nuca. Gunak iniziò a correre verso di Eragon, ma prima di essergli addosso un terzo drago atterò nella piazza facendo da scudo ad Eragon, Fírnen.
Fírnen ruggì e dalle sue fauci eruttò una vampata di fuoco verde che incenerì alcuni soldati e ferì mortalmente altri. Questi, dopo aver capito di essere in svantaggio iniziarono a battere in ritirata uscendo dalla città. Il drago approfittando della sua piccola mole riuscì a sfuggire alla dragonessa e dopo aver fatto salire Gunak sul suo dorso spiccò il volo verso la Grande Dorsale.

 

********

 

Arya era in attesa sul dorso di Fírnen, voleva intervenire ma sapeva che Roran aveva ragione, doveva intervenire solo se strettamente necessario. L’Elfa sentiva il suo drago respirare affannosamente sotto di lei, attraverso il loro legame capì che era nervoso come anche lei d’altronde.
Solo pochi minuti prima avevano saputo che Eragon si trovava lì, in Alagaësia, a Carvahall. Non vedeva il Cavaliere da molto tempo ormai, da troppo tempo, da ben diciassette anni. La cupola che si era costruita attorno a lei dal giorno della partenza di Eragon si era infranta solo quella mattina alla scoperta del suo ritorno. Solo quando lo aveva perso aveva scoperto quanto ci tenesse a lui e si era vergognata per averlo allontanato in quel modo, per avergli spezzato il cuore, quello che lui gli aveva donato, quello che lei aveva rifiutato così ostinatamente, quello che lei voleva riconquistare.
Ma una presunzione la rendeva preoccupata, il ritorno di Eragon. Secondo quanto gli aveva spiegato lui, Angela, prima che lui arrivasse dai Varden nel Farthen Dûr, a Teirm gli aveva letto il destino. L’erborista gli aveva predetto che lui sarebbe partito da Alagaësia e non vi avrebbe fatto più ritorno. Il fatto che il Cavaliere fosse ritornato, voleva solo dire che il suo vero nome fosse cambiato e con esso anche il suo wyrda, il suo destino. Ma cosa era cambiato di questo? Arya aveva paura di conoscerne la risposta.
Un ruggito proruppe nei suoi pensieri, senza pensarci un attimo Fìrnen si librò in aria e si diresse verso la piazza del mercato. Con stupore di Arya un giovane drago ambra era atterrato nella piazza, ma questo stupore si trasformò ben presto in rabbia quando l’Elfa video il drago lanciare Eragon contro un muro e poi prenderlo in bocca. La rabbia ben presto lasciò il posto alla paura quando sentì l’urlo di dolore del Cavaliere, questi dopo alcuni secondi che per Arya parvero infiniti piantò un pugnale nel muso del drago che lo lasciò cadere pesantemente a terra. Il drago tentò un altro attacco, ma prima che Fìrnen potesse intervenire, Saphira si lanciò contro il drago bloccandolo dopo poco a terra.
Senza preavviso Fìrnen si lanciò in picchiata atterrando davanti al Cavaliere, solo dopo un po’ di tempo Arya capì il perché. Il ragazzo che prima aveva combattuto contro Eragon stava cercando di approfittare del momento di fragilità del Cavaliere. Ma questo Arya non lo avrebbe permesso, prima però che l’Elfa potesse fare qualsiasi cosa, l’uomo salì in groppa al drago ambra che nel frattempo era riuscito a liberarsi dalla presa della dragonessa e volò via.
Arya fece un balzò dalla sella e atterrò leggera come una gatta sul terreno, davanti a lei Eragon giaceva esanime. Saphira si accovacciò accanto al suo Cavaliere, Arya si inginocchiò dall’altro lato. Il volto del Cavaliere era bianco come uno straccio, la gamba sinistra e parte del busto erano interamente coperti di sangue, respirava a fatica.
“Come sta?” chiese qualcuno alle sue spalle. Era Roran. Katrina era affianco a lui e teneva Ismira e Michael vicino a lei come a volerli proteggere da una qualsiasi nuova minaccia.
“Non bene, ha perso molto sangue ma dovrei essere capace di guarirlo.” Rispose Arya.
Propri in quel momento, Eragon aprì gli occhi e guardò prima Arya poi Roran.
“Bè Ammazzaspettri, saranno anche passati diciassette anni ma lei continua ancora a cacciarsi nei guai.” Disse Arya con una punta di divertimento.
Eragon le rivolse un flebile sorriso troppo debole per parlare. Arya gli sorrise a sua volta.
“Allora cosa aspetti a curarlo?” gli chiese Roran con tono impaziente e preoccupato.
“Non posso farlo qui, mi serve concentrazione” poi sottovoce aggiunse “e poi dovrò sfilargli i pantaloni”
Eragon guardò Arya preoccupato e il suo viso si tinse di rosso. L’Elfa per poco non scoppiò a ridere per quella vista.
“D’accordo” concordò Roran dopo aver notato la folla di gente che osservava attentamente ogni loro movimento. Detto questo si abbassò e prese in braccio il cugino che emise un gemito di dolore quando una fitta gli attraversò la gamba. “Scusa” disse Roran.
“Mi sei mancato.” Sussurrò Eragon
“Anche tu” disse Roran guardandolo
Eragon gli sorrise e perse i sensi per lo sforzo di parlare.
Lentamente, cercando di non far sobbalzare il corpo del Cavaliere, Roran si diresse verso il castello seguito da Arya e dagli sguardi indagatori degli abitanti di Carvahall. Sembrava essere tornato tutto come diciassette anni prima.


 
“Angolino Autrice” :)

Ed eccoci ad in nuovo capitolo spero che vi piaccia, Ciao.

DaubleGrock

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Capitolo 7
*** Mi sei mancato ***


Lentamente aprì gli occhi. Eragon era sdraiato su un comodissimo letto, le sue nudità nascoste da una spessa coperta. Della sua ferita alla gamba non ce n’era traccia, sicuramente era stata curata con la magia, da Arya. Quest’ultimo pensiero lo fece arrossire. Spostando la coperta si mise a sedere, si trovava in una stanza illuminata da una grande finestra con una terrazza. I soffitti erano molto alti tanto che avrebbero pure potuto far entrare un drago grande il doppio di Saphira. Le pareti erano intervallate da qualche dipinto e gli unici pezzi di arredamento erano il letto dove Eragon era sdraiato, due comodini, uno per ogni lato del letto, una scrivania con una sedia, un grande comò e una tinozza per fare il bagno.
Affianco al letto, appoggiata alla parete c’era Brisingr, su uno sgabello era appoggiata la sua armatura a scaglie di drago, pulita e lucidata e sul comodino c’era una brocca d’acqua con un bicchiere. Eragon si dissetò per dare sollievo alla sua gola riarsa. Alzandosi si avvicinò alla tinozza e passandoci una mano dentro constatò che l’acqua era ancora calda.
Si lavò e indossò la tunica che si trovava nella sua borsa affianco al letto. In quel momento Saphira entrò dalla finestra e lo guardò con uno dei suoi grandi occhi zaffiro.
“Buongiorno piccolo mio”disse
“Buongiorno”rispose Eragon appoggiandogli la mano sul muso.
“Come ti senti?”chiese la dragonessa
“Sto bene”rispose il Cavaliere rassicurandola poi ricordando gli ultimi avvenimenti chiese preoccupato “Per quanto tempo ho dormito? Che fine ha fatto l’esercito? Ismira e Michael stanno bene?” il suo viso si tinse di rosso “Ch… Chi mi ha curato?”
“Quante domande! Ismira e Michael si sono spaventati ma sono illesi, Arya ti ha curato” la dragonessa fece un verso che Eragon identificò come una risata“hai dormito per quasi due giorni e rispondendo alla domanda dell’esercito, bè, questo… è… scomparso, senza lasciare traccia.”
“Ci sono feriti?”chiese il Cavaliere
“Oltre qualche graffio, i cittadini stanno tutti bene.”Rispose questa
“Ok, un esercito ha attaccato la città, per poco non rimanevo ucciso insieme a Ismira e Michael, un nuovo Cavaliere è schierato con il nemico, l’esercito è scomparso nel nulla, Arya mi ha sfilato i calzoni mentre ero svenuto…”fu interrotto da Saphira.
“Guarda il lato positivo, no?”
“E sarebbe?”chiese il Cavaliere
“Bè… Allora… C’è… No… Tu… Ah… Si, tu sei vivo… e… Hai rivisto tuo cugino e tutta la tua famiglia, e cosa più importante, Arya.”Rispose titubante la dragonessa.
“Gusto, guardiamo al positivo.”
“Roran e Katrina ti aspettano per fare colazione, Arya li aveva avvertiti che ti saresti svegliato questa mattina” fece una pausa “ci sarà anche lei.”
“Arya eh? ... Mmm, eh come sta Fìrnen?”chiese Eragon con un sorriso impertinente.
La dragonessa emise uno sbuffo di fumo che colpì il Cavaliere dritto in faccia facendolo tossire rumorosamente. Lei non rispose, ma Eragon capì da solo il colore delle sue emozioni dal loro legame e arrossì vistosamente.
“Forse è meglio che vada”disse Eragon assicurandosi Brisingr alla cintura e avviandosi verso la porta.
“Io sarò nel cortile principale”
“Con Fìrnen?”chiese Eragon con un sorriso
“Oh ma sta zitto o ti riduco a un mucchietto di cenere, e poi non sono io a cui sono stati abbassati i PANTALONI”rispose la dragonessa sottolineando l’ultima parola.
Eragon la guardò storto, ancora una volta aveva vinto lei. “Ci vediamo dopo.”
La dragonessa gli lanciò uno sguardo prima di lanciarsi fuori la finestra verso il cortile che si trovava nel mezzo delle mura del palazzo. Eragon la vide allontanarsi e ancora una volta dopo tanto tempo si stupì ad essere così fortunato ad essere diventato il suo compagno, onorato ad essere stato scelto tra tutti gli esseri di Alagaësia. Ricordava una volta che aveva chiesto alla dragonessa il perché e lei aveva risposto: “Si sceglie un capo per il suo cuore...”
Lui aveva replicato: “Ma io non sono senza paura!”
Lei con decisione aveva risposto: “Senza paura non c’è coraggio, ma quando noi due siamo insieme sono i nostri nemici a dover avere paura...”
Eragon uscì dalla porta ma non sapendo dove dirigersi chiese a una cameriera intenta a piegare alcune lenzuola. Questa gli rivolse un profondo inchino prima di indicargli delle scale che scendevano verso il piano inferiore.
“Quelle portano vicino le cucine, dopo averle scese ci sarà un lungo corridoio sulla vostra sinistra, percorretelo tutto e sarete nella sala da pranzo. Non potete sbagliare.”
“Grazie.” Disse Eragon prima di iniziare a scendere le scale, non aveva certo non notato gli occhi dolci che le aveva rivolto la ragazza mentre parlava, ma a lui quella ragazza non le importava più di tanto, certo era bella ma niente a vedere con Arya, quella ragazza era una candela carina, Arya era il sole, il sole che scaldava il suo cuore ogni volta che la vedeva. Quanto avrebbe dato in modo che anche Arya lo guardasse come lui guardava ogni volta lei.
Come aveva detto la ragazza, si trovò sulla sinistra a un lungo corridoi, le pareti erano piene di quadri che raffiguravano varie battaglie. Uno di questi quadri ritraeva una furiosa battaglia tra due eserciti, in alto c’erano raffigurati due draghi, uno blu e uno rosso, combattere uno contro l’altro. Eragon esaminò anche gli altri quadri che raffiguravano altri importanti episodi della lotta contro l’impero fino ad arrivare alla morte del tiranno. Il Cavaliere si sentì un po’ a disagio, era strano vedersi raffigurato in dei quadri.
Fece un respiro profondo ed entrò nella stanza dove la ragazza gli aveva detto essere la sala da pranzo. La stanza era riccamente decorata, le pareti erano dipinte di rosso, un lungo tavolo si trovava nel mezzo della sala e su di esso si trovavano numerose pietanza da biscotti a torte di ogni tipo. Roran era seduto a capotavola, di spalle rispetto ad Eragon, alla sua sinistra sedeva Katrina e alla sua destra Ismira, Arya e Michael. I due fratelli stavano ascoltando a bocca aperta Arya che raccontava di quando l’uovo di Fìrnen si era schiuso per lei. Un maggiordomo stava versando del tè a Roran e Katrina. Il Cavaliere si fermò dietro la sedia del cugino, la prima ad accorgersi della sua presenza fu Katrina.
“Eragon!” urlò alzandosi e abbracciò il Cavaliere.
“Avresti anche potuto avvertirmi che ritornavi in Alagaësia invece di scomparire senza una parola.” Disse Roran anche lui in piedi.
“Scusa, ma è stata una decisione improvvisa e non ho avuto tempo di fare niente se non partire all’istante.” Disse Eragon.
“D’accordo, l‘importante è che ora sei qui.” E lo abbracciò.
“Ehi, piano, mi stai soffocando!” disse il Cavaliere notando quanto forte lo avesse abbracciato Roran.
Il cugino rise piano e si staccò. A quel punto Eragon si ritrovò a terra. Rise fragorosamente, Ismira e Michael gli erano letteralmente saltati addosso facendogli perdere l’equilibrio. Quando si rialzò si rivolse all’unica persona che era rimasta in silenzio. Incerto di come comportarsi, dopotutto il loro ultimo incontro non era stato dei migliori, quindi fece un lieve inchino.
“Atra du evarínya ono varda Arya Svit-kona” disse portandosi due dita alle labbra. Un’ombra di dolore, comprensione, rassegnazione, Eragon non si seppe spiegarsi il perché, sembrò passare negli occhi dell’Elfa ma fu subito rimpiazzata del solito viso impassibile di Arya.
“Atra esterni ono thelduin, Eragon Shur’tugal.” Rispose questa.
“Atra guliä un ilian tauthr ono un atra” disse Eragon concludendo il saluto. Dopo alcuni attimi interminabili, in cui Eragon si perse negli occhi verde smeraldo dell’Elfa, aggiunse “Ti volevo ringraziare per… avermi curato.” Disse Eragon.
“Non c’è di che” disse Arya con un lieve sorriso.
Eragon sapeva che si sarebbe pentito di quello che stava per fare, ma non gli importava, quindi sopraffatto dalle emozioni e dai sentimenti, abbracciò Arya e si stupì quando anche lei ricambiò la stretta con pari intensità.
“Mi sei mancato” sussurrò l’elfa sorprendendo ancor di più il Cavaliere.
“Anche tu” disse Eragon assaporando quel momento magico.
Quando si staccarono il Cavaliere poté notare una luce nuova ardere negli occhi di Arya, una luce familiare ma non sapeva dirsi il perché.
Roran gli mandò un sorriso d’intesa ed Eragon roteò gli occhi.
“Allora, che ne dite di una belle colazione? Ti stavamo giusto aspettando Eragon.” Disse Katrina accomodandosi.
Il Cavaliere fu fatto accomodare difronte ad Arya sulla sinistra di Katrina. La colazione si concluse a metà mattinata per via delle continue domande soprattutto da parte di Ismira e Michael, che insistenti non gli diedero nemmeno il tempo di finire il suo tè. A colazione finita, Roran ed Eragon andarono in paese con la scusa di dover controllare i danni nella piazza del mercato.
Arrivarono in piazza che era piena di bancarelle e tra i vari erranti, Eragon ne riconobbe uno in particolare, Merlock, il mercante al quale, circa venti anni prima, aveva quasi venduto l’uovo di Saphira.
“Chi sa cosa sarebbe successo se lo avrei venduto” si ritrovò a pensare
“Io avrei fatto di tutto per ritornare da te”disse Saphira che aveva ascoltato le riflessioni del suo Cavaliere.
Nel frattempo una piccola folla si era radunata attorno ai due cugini.
“Eragon!” gridò una voce alle sue spalle.
Horst, il fabbro correva verso di loro e appena fu davanti a loro, Eragon lo abbracciò.
“Horst, non sai quanto sia felice di rivederti!” esclamò il Cavaliere
“Bè Eragon anche io son felice di rivederti.” Scrutandolo bene da capo a piedi aggiunse “e lasciatelo dire, non sei cambiato nemmeno di una virgola dall’ultima volta che ti ho visto”
Poco dopo arrivarono anche Albriec e Baldor insieme ad una donna che Eragon non riconobbe.
“Eragon, finalmente ti sei deciso a ritornare a casa eh?” disse Baldor “Ti voglio presentare Ramina, mia moglie. Ramina, Eragon.”
“Piacere di conoscerla Lady Ramina.” Disse il Cavaliere chinando il capo
“Piacere di conoscerla Argentlam” disse la donna facendo una profonda riverenza
Dopo qualche minuto anche altri compaesani si fecero avanti, tra cui Elain che gli presentò sua figlia Hope, la ragazza a cui anni prima aveva curato il labbro leporino e Gertrude che era molto invecchiata negli ultimi anni. Lo salutarono come una persona normale, cosa che rincuorò molto Eragon sentendosi accettato, ma non mancarono gli sguardi pieni di timore referenziale.
Quando fu quasi l’ora di pranzo, Roran ed Eragon ritornarono a palazzo e pranzarono con Katrina e Arya.
“Allora, com’è questa terra sconosciuta?” chiese Roran dopo un po’ di tempo mentre attendevano la portata successiva.
“E’… Sconosciuta, selvaggia, ma ha il suo fascino.” Rispose il Cavaliere ripensando alla terra che aveva lasciato per ritornare in Alagaësia.
“Ah, Eragon, quasi dimenticavo, Nasuada prima mi ha contattato e mi ha detto di riferirti che la tua presenza è richiesta a Teirm. Un esercito di circa duemila soldati sta per assediare la città.” Scoccò un’occhiata all’Elfa “Anche tu, Arya dovrai andare a Teirm. Siete gli unici che possono salvare la città. Nasuada non riuscirebbe mai a mandare in tempo il suo esercito che ci metterebbero come minimo una settimana per arrivare e allora la città potrebbe già essere distrutta.”
“Quando dovremo partire?” chiese il Cavaliere.
“All’alba.” Rispose Roran.
A pranso terminato Eragon andò da Saphira. La trovò raggomitolata nel giardino interno del palazzo, affianco a Fìrnen. I due draghi non si accorsero della sua presenza finché non fu davanti a loro.
“Bentornato Eragon-elda, sono felice di rivederti”disse il drago verde fissandolo con un solo grande occhio smeraldo.
“Anche io sono felice di rivederti Fìrnen” disse Eragon portandosi due dita alla bocca.
Si sedette a gambe incrociate ai margini del giardino e, come gli aveva insegnato Oromis quasi venti anni prima, aprì la mente per sentire tutto fino a non sentire niente.

 
*********

 
Arya passeggiava per i corridoi del palazzo diretta al cortile interno. Quando arrivò nel meraviglioso giardino chiuse gli occhi per godersi la leggera brezza e il profumo dei pini.
Sorrise quando vide Fìrnen e Saphira coccolarsi a vicenda ognuno felice della vicinanza dell’altro.
Qualcosa alla sua sinistra attirò la sua attenzione. Eragon era seduto a gambe incrociate sul prato, il capo rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi e un’espressione di calma sul viso.
Arya rimase come paralizzata davanti a quel viso che per tanto tempo aveva cercato di dimenticare fallendo miseramente. Quel viso così perfetto, che ogni volta che Arya lo vedeva il suo cuore prendeva a battere più velocemente del normale.
“Chissà se è lo stesso per lui”si chiese. Lei sapeva bene che Eragon la aveva amata in passato. “Ora mi amerà ancora? Al posto suo io non mi amerei.” Non dopo quello che era successo, non dopo che lei lo aveva rifiutato. Ma lei non poteva fare a meno che pensare a lui. In quei diciassette anni si era impegnata anima e cuore in tutto quello che faceva per distrarre la mente da quei pensieri. In quegli anni si era illusa di aver dimenticato quel volto, ma quella convinzione si era dissolta come nebbia al sole quando Eragon era riapparso nella piazza del mercato due giorni prima.
Mentre rifletteva Eragon aprì gli occhi mostrando e sue iridi azzurre. Solo allora Arya si rese conto che il suo sguardo era cambiato, era più maturo, più affascinante. Allo stesso tempo però Arya ne lesse in essi una profonda tristezza, una grande solitudine. La fissò intensamente e sul suo volto comparve un sorriso, Arya gli sorrise a sua volta e gli si sedette affianco.
Passarono dei minuti interminabili in cui nessuno di due proferì parola. Fu il Cavaliere a rompere quel silenzio imbarazzante
“A Saphira, Fìrnen è mancato molto, sai?” disse
“Era molto triste quando siete partiti.” Disse Arya
“Anche tu gli sei mancata.” Disse “Anche a me sei mancata” disse con un sussurro appena udibile. A quelle parole il cuore di Arya perse un battito, forse c’era ancora speranza.
“Anche a me sei mancato Eragon” disse “e non sai quanto” aggiunse mentalmente per non farsi sentire da lui.
Il Cavaliere si girò verso di lei e la guardò con i sui occhi di un azzurro più profondo dell’oceano, un oceano dove lei si sarebbe potuta perdere tra le svariate sfumature. Poi i suoi occhi si soffermarono sulle sue labbra, quanto avrebbe voluto dargli un bacio e assaporarne il sapore. Fece scorrere lo sguardo lungo il suo viso appuntito come quello di un elfo “quant’è bello”.
“Perché mi fissi in quel modo? Qualcosa non va?” domandò il Cavaliere facendola riemergere dal mondo dei sogni.
“No è tutto apposto” disse distogliendo lo sguardo dal suo voto e sperando che non notasse il rossore sul suo volto.
“Perché sei arrossita?” chiese Eragon
“Ah, perfetto, e ora che dico?”si domandò
“Ma che fifona, che ci vuole a dirgli che lo ami?”la voce di Fìrnen le giunse inaspettata nella sua testa.
“Cosa? No, non se ne parla nemmeno.”Disse decisa.
Il drago sbuffò “E perché no?”
“E se non mi ama più? Cosa dovrei fare? Lo hai detto anche tu che non mi guarda più allo stesso modo di venti anni fa.” Disse
“Non varrebbe la pena rischiare?”chiese con più dolcezza Fìrnen.
“Non ancora, voglio prima capire se mi ama ancora.”
“Fa come vuoi, ma ricorda che io ti voglio solo aiutare.”E si ritirò nella sua mente.
“Arya? Mi senti Arya?” sentì il Cavaliere sfiorargli una spalla.
“Oh, scusa Eragon, stavo parlando con Fìrnen” disse “Allora come stanno andando la costruzione della città dei Cavalieri?” chiese dopo un po’
“L’abbiamo quasi finita, giusto gli ultimi ritocchi. Abbiamo costruito ben tre palazzi: uno per i Maestri Shur’tugal, uno per gli allievi e uno per gli ospiti.” Disse con voce sognate “I palazzi sono situati tra tre cascate, poi abbiamo edificato un campo di addestramento dove potersi allenare con la spada e un campo di contenimento per allenarsi con la magia. Dovresti vederla Arya, la città diventa ogni giorno più bella. Alcuni Eldunarì si sono ripresi e sette uova di drago si sono schiuse, peccato solo che ancora nessun uovo si sia schiuso per qualcuno.”  Aggiunse.
“Tu sai meglio di me Eragon che le uova di drago si schiudono solo quando il territorio in cui si trovano è sicuro per loro.”
“Hai ragione, le uova di drago selvatico si saranno schiuse solo perché lì la terra è sicura.” Disse il Cavaliere pensieroso.
“Per ora è meglio così, con una guerra alle porte. Anche se devo ammettere che qualche drago in più ci sarebbe proprio utile.” Disse Arya
“Forse. Ho deciso di non portare gli Eldunarì per tenerli lontano da qualcun’altro che volesse usarli per un suo scopo personale come ha fatto Galbatorix.” Disse Eragon. “Avresti dovuto vedere Saphira che insegnava a dei piccoli draghetti a volare e ad andare a caccia.” Aggiunse sorridendo perso in bei ricordi.
“Come stanno Blödhgarm e gli altri?” chiese Arya
“Stanno bene, amano tantissimo stare con i draghi e quando me ne sono andato Blödhgarm mi ha addirittura abbracciato” disse con un sorriso divertito.
“Davvero? Si deve essere affezionato a te.” Disse l’Elfa.
“Si forse hai ragione.” Disse “Sarà meglio che andiamo a prepararci, domani dovremo partire all’alba.”
“Hai ragione.” Disse l’Elfa a malincuore.
“E’ stato bello parlare con te, Arya.” Disse guardandola “Non faccio discorsi così lunghi da davvero molto tempo”
“Non c’è di che Eragon. Mi è piaciuto parlare con te.” Disse Arya
Eragon si alzò e guardò i draghi alzarsi in volo per andare a caccia. “Davvero non sai quanto mi sei mancata” mormorò
“Anche tu mi sei mancato” disse Arya a sua volta e solo allora si scoprì di sapere quanto fosse vero.
 
 
Bè che dire ci ho messo più tempo del previsto per publicare questo capitolo. Sorry.
Allora ora passiamo ai ringraziamenti.
Vorrei ringraziare dubhe01, stefy_81, Valix97, _Lalli e jasmine94 per aver recensito la storia. Martina___99 e stefy_81 per aver messo la mia storia tra le preferite. GillianGreen12, jasmine94, Martina___99 e stefy_81 per averla messa tra le seguite. Grazie :)
Detto questo ci spero che il capitoo vi sia piaciuto.
Ciao :)
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Punizione ***


La regina sedeva dritta e fiera sul suo scranno d’oro. Indossava un’armatura d’ebano nera in contrasto alla sua pelle pallida. I suoi occhi di ghiaccio scrutavano impassibili le due figure inginocchiate davanti a lei. Il generale Kidrauhl e suo figlio Gunak avevano appena fatto ritorno dalla battuta di “caccia”. Avevano perso quasi metà dello squadrone e avevano fallito. Erano stati frustati perché erano scappati davanti al nemico, proprio quando erano così vicini al loro obbiettivo. Se l’erano fatto scappare, dopo tutto quello che lei aveva fatto per loro facendo diventare Gunak un Cavaliere e Kidrauhl il generale del suo esercito. Oramai il nemico sapeva dell’esistenza del Cavaliere e del suo drago, ma allo stesso tempo lei era venuta a conoscenza del rientro del loro obbiettivo in Alagaësia. Forse questo avrebbe giovato a loro favore.
“Vi chiediamo umilmente perdono, mia regina” mormorò ancora una volta il generale.
L’avevano delusa, avevano mancato di rispetto a lei, la loro regina. Non li avrebbe perdonati tanto facilmente.
“Quanti uomini avete perso?” chiese la regina accarezzando distrattamente le squame del drago bianco.
“Ottantaquattro maestà” disse il generale senza osare alzare gli occhi dal terreno.
“E quanti erano gli uomini che tenevi sotto il tuo comando, generale?” chiese distrattamente la donna, se poteva definirsi tale.
“Cento settantuno” disse l’uomo.
La donna chiamò un uomo al suo fianco e disse: “Prendi gli uomini restanti dello squadrone del generale e giustiziali.”
Il soldato che aveva chiamato restò paralizzato davanti quella richiesta, ma si ricompose prima che potesse succedergli qualcosa di sgradevole. “Come desidera, maestà” fece un inchino e scappò dalla vista della regina.
“Ritornando a noi,” disse rivolgendosi ai due uomini davanti a lei “Gunak, allora hai conosciuto Eragon?”
“S-si mia regina” rispose Gunak titubante
“Prima mi hai detto che lo hai sfidato a un duello e hai perso, giusto?” chiese lei
Il Cavaliere si limitò ad annuire
“Rispondimi!” urlò la regina
“Si” sussurrò il Cavaliere del dragon ambra
“Non preoccuparti mio caro ragazzo, la prossima volta non sarai tu a perdere.” Disse la regina con un sorriso glaciale.
“Come mia regina?” chiese Gunak preso alla sprovvista dall’affermazione della regina
“La prossima volta Eragon non riuscirà a sfuggirmi, sarà mio.” Disse
“Ma come è possibile, ho combattuto contro di lui ieri e non ho mai visto qualcuno combattere in quel modo!” esclamò il Cavaliere indignato
“Dopo ti dirò come.” La regina si alzò e si rivolse ad un nano incappucciato alla sua destra “I tuoi Knurla sono pronti Vermûnd?”
“Si sono pronti, ma ricorda Orik è mio!” rispose questi
“Si non preoccuparti avrai la tua vendetta.” Rispose la regina “Ma ci vorrà ancora un po’ di tempo per quel giorno.”
“Attenderò” e si diresse verso la sua tenda
“Allora, ritornando alle tue lezioni, Gunak che ne dici di provare con un nuovo tipo di magia oggi?” disse la regina con un luccichio non rassicurante negli occhi
“Ne sarei onorato mia regina” disse Gunak chinando la testa
“Bene oggi ti insegnerò la negromanzia” disse la regina avviandosi verso un spiazzo con al suo seguito l’ignaro Cavaliere. Quando avrebbero finito, lui non sarebbe più stato lo stesso.


Angolo autrice


Scusate per il ritardo, ma come si dice meglio tardi che mai, questo capitolo non è molto lungo, ma spero che vi piaccia lo stesso. Commentate in tanti :)
Ciao

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Capitolo 9
*** Teirm ***


Era passato un giorno da quando erano partiti e avevano deciso di fermarsi una notte per arrivare riposati per l’eminente battaglia. Si erano accampati al limitare di un piccolo boschetto di pioppi ai piedi della Grande Dorsale sul fianco di un ruscello. Eragon era andato a raccogliere la legna mentre Arya toglieva le selle a Saphira e Fìrnen.
Quando il Cavaliere ritornò, vide Arya di spalle rispetto a lui intenta ad accarezzare l’enorme capo del suo drago verde. I suoi lunghi ricci neri le ricadevano sulle spalle fino al bacino, il suo mantello quasi si confondeva con l’erba del prato. Si ritrovò ancora una volta dopo tanti anni a pensare a quanto fosse bella. Peccato che lei non l’avrebbe mai amato come lui amava lei. Per tanti anni aveva cercato di reprimere i sentimenti verso l’elfa arrivando alla conclusione che più lui li sopprimeva più essi crescevano.
In tutti quegli anni il dolore per la mancanza di lei era stato quasi insopportabile. Quante volte si era svegliato di notte con lacrime calde che dimostravano quanto il suo cuore avesse pianto per la perdita subita. Quelle lacrime erano state per Garrow, Brom, Oromis, Rothgar, ma anche per Roran, Katrina, Nasuada, Murtagh, Orik, Angela, e soprattutto lei, Arya, consapevole che non l’avrebbe più rivista. Ma ora eccolo lì, in viaggio con la donna della sua vita verso una nuova avventura, non come gli aveva predetto Angela che non avrebbe fatto più ritorno in Alagaësia. Decise che quando avrebbe rivisto l’indovina l’avrebbe strozzata per averlo fatto soffrire così tanto per la consapevolezza del suo destino, ma poi si ricordò che era stato lui a decidere se sapere o no il suo Wyrda.
“Credo di essermi innamorato di te dalla prima volta che ti vidi.”pensò
“Forse sarà meglio se lei chiuda la bocca Ammazzaspettri” il Cavaliere sobbalzò a quelle parole e fece cadere i rami che aveva raccolto, era stato Fìrnen a parlare
Solo allora Eragon si accorse di avere la bocca aperta e che stava letteralmente sbavando per aver solo visto Arya inginocchiata davanti a lui.
Il drago lo guardò intensamente ed Eragon colse una nota divertita nella sua voce “Non preoccuparti Eragon, non le dirò niente”
Nel frattempo l’elfa scossa dal fracasso provocato dalla caduta dei rami si girò con fare interrogativo verso il Cavaliere.
“S-scusa, sono inciampato su un sasso.” Balbettò Eragon sperando che il suo volto non si fosse fatto rosso.
“Tra le tante scuse hai preso proprio la più convincente.” Disse sarcasticamente Saphira
Eragon la ignorò, raccolse la legna, preparò un cerchio di pietre e sussurrò “Brisingr” insieme al legno che aveva preso fuoco, la sua spada si alzò di un paio di pollici dal fodero sprigionando una tenue luce.
“Noi andiamo a caccia”disse Saphira
“D’accordo, ma non vi allontanate “disse il Cavaliere
I draghi spiccarono il volo e in poco tempo non furono che due puntini che si stagliavano sul tramonto color rubino.
“Allora, cosa prevede il menù?” chiese Arya
“Credevo che avresti cucinato tu!” protestò il Cavaliere
“I-io?” chiese Arya
“Si tu” era la prima volta che sentiva la voce di Arya tremare
“Ma… ma io… io non… cioè…” balbettò Arya
“Non dirmi che non sai cucinare?” chiese il Cavaliere divertito
“No, io… e d’accordo, non so cucinare, ma non è mai stato necessario impararlo!” disse l’elfa indignata
“D’accordo, significa che oggi avrai la tua prima lezione di cucina” disse Eragon
L’elfa ci pensò un po’ su. “Va bene” disse alla fine.
“Visto che tu cucinerai per la prima volta, che ne dici di una zuppa di spezie?” chiese il Cavaliere
“Se lo dite voi Ebrithil” disse Arya con tono scherzoso.
Eragon le rivolse un sorriso “Io riempio la pentola d’acqua, tu puoi iniziare a tagliare queste” disse il Cavaliere porgendole un sacco pieno di verdure e spezie varie. Arya prese un coltello e iniziò a tagliare le verdure.
Nel frattempo Eragon si era avvicinato al ruscello
“Adurna” sussurrò, un globo d’acqua si sollevò e andò a finire nella pentola. Il Cavaliere pose la pentola sul fuoco e aspettò che l’acqua iniziasse a bollire.
“Ah” Eragon si volse di scatto, Arya si stringeva una mano al petto. Il Cavaliere si precipitò verso l’amica e presa la mano ferita dell’Elfa tra e sue, Eragon sospirò, c’era solo un leggero taglio che gli percorreva il pollice.
“Waise heill” sussurrò e in pochi secondi il taglio si rimarginò.
“Grazie” sussurrò l’elfa “ultimamente sono davvero sbadata” Arya guardò la sua mano e arrossì.
Eragon si accorse di tenera ancora la mano dell’Elfa tra le sue, arrossì a sua volta lasciandola andare.
“Credo che possano bastare” disse Eragon per dissipare l’imbarazzo indicando le verdure.
“Devono bastare” disse Arya convinta
“Perché?” chiese il Cavaliere
“Dopo quello che ho passato per tagliarle” disse lei
“Per quel piccolo taglietto?” chiese Eragon divertito. Arya lo fulminò con un’occhiataccia. “D’accordo” si arrese il Cavaliere
Eragon prese le verdure e le mise a bollire, dopo un po’ iniziò a mescolare la zuppa.
“Quanto tempo ci vuole perché sia cotta?” chiese l’elfa
“E’ pronta” disse Eragon. Il Cavaliere prese due ciotole dalle bisacce e le riempì. Mangiarono senza proferir parola godendo della reciproca compagnia.
Fu Eragon a rompere il silenzio “Credi che Teirm sia già sotto attacco?” chiese
“Non lo so. Forse.” Disse l’elfa “Ma presto lo scopriremo.”
Era quasi notte quando i draghi ritornarono dalla caccia. Le stelle illuminavano la volta celeste. Eragon si soffermò a guardare il paesaggio.
“A cosa servono questi alberi verdi, a cosa serve il canto di un uccello, a cosa serve il sorgere del sole, a cosa serve una notte stellata? Che scopo ha tutto ciò?”si chiese il Cavaliere.
Non esiste uno scopo. Per questo la vita è così bella.” Rispose la dragonessa
“Avete preso qualcosa di buono?”chiese Eragon a Saphira
“Solo un cervo rinsecchito”rispose Saphira con uno sbuffo.
“Allora perché sei così felice?”chiese il Cavaliere
La dragonessa gli mostro alcuni episodi della caccia ed Eragon apprese che Fìrnen aveva catturato un cervo e lo aveva diviso con Saphira.
“Voi invece vi siete divertiti?”chiese Saphira maliziosa.
“No. E voi?”chiese Eragon con un sorriso di sfida.
La dragonessa non rispose e si accoccolò vicino a Fìrnen. Il drago strofinò il muso sul collo sinuoso della dragonessa. Eragon provò una punta di invidia verso loro due. Almeno ricambiavano il loro amore reciprocamente.
“Buonanotte Eragon” disse Arya alle sue spalle. L’elfa si era sdraiata a poche iarde di distanza da lui. Avevano deciso di non montare la guardia perché grazie al loro stato di dormi-veglia avrebbero sentito qualsiasi creatura in avvicinamento.
“Buonanotte” disse Eragon sistemandosi nel sacco a pelo. In quella notte lascio che fossero il buio a cullarlo con il suo silenzio e le stelle a ricordargli che esiste sempre una luce che brilla e che indica il cammino. E questo gli diede speranza.
 

*********

 
 
Il mattino seguente si erano alzati all’alba e dopo aver consumato una magra colazione a base di frutta secca si erano messi in viaggio verso Teirm. Era quasi l’ora di pranzo quando la scorsero, era proprio come se la ricordava, la cittadina bagnata dal mare scintillante, dove fiere navi erano ormeggiate con le vele imbrogliate. In lontananza si udiva il sordo fragore della risacca. La città era cinta da una muraglia bianca alta cento piedi e spessa trenta, con file di feritoie rettangolari e un camminamento in cima per i soldati e le sentinelle. La superficie liscia della muraglia era interrotta da due saracinesche di ferro, una che affacciava a ovest, sul mare, l'altra che si apriva a sud, sulla strada. Al di sopra della muraglia, addossata alla sua sezione settentrionale, si ergeva un'enorme fortezza fatta di pietre gigantesche e torrette. Nella torre più alta riluceva la lanterna di un faro. Il castello era l'unica cosa visibile al di là della fortificazione.
Ma qualcosa non andava, alcune persone si affrettavano ad entrare nella città portandosi dietro tutti i loro averi, molto probabilmente erano contadini, il Cavaliere espanse la mente verso di loro e scoprì paura, ma la domanda era: di cosa avevano paura quelle persone?
“Eragon guarda lì!”disse Saphira
Lo sguardo di Eragon cadde sulle campagne circostanti alla città. Allora capì il motivo di tanta agitazione, un esercito si stava muovendo verso di essa, ma c’era dell’altro. Quattro grosse figure sorvolavano i cieli sopra di esso. Lethrblaka.
“Non è possibile” mormorò il Cavaliere “Guarda” Eragon le indicò ad Arya che volava su Fìrnen affianco a Saphira.
L’elfa li vide e sbiancò di colpo “Ma non dovrebbero essere estinti?” chiese lei
“In Alagaësia, ma Nasuada ha detto che l’esercito Ombra viene da fuori i confini di Alagaësia.” Disse Eragon
“Credi che ci siano anche i Ra’zac?” chiese l’elfa
“Forse, ma spero vivamente di no” rispose Eragon preoccupato alla prospettiva di combatte contro quelle bestie.
Nel frattempo due dei quattro Lethrblaka si erano staccati dal gruppo e si stavano dirigendo verso i poveri contadini in fuga.
“Saphira i Lethrblaka”disse Eragon
La dragonessa comprese le preoccupazioni del suo Cavaliere e con tre poderosi battiti di ali si posizionò sopra i Lethrblaka, prima che questi potessero fare qualsiasi cosa si lanciò in picchiata perpendicolare al terreno fiondandosi sopra una delle ignare creature.
Saphira affondò le sue letali zanne nel collo del Lethrblaka e con un’improvvisa torsione del capo gli spezzo il collo. La carcassa della creatura cadde inerte al suolo.
Stessa sorte toccò all’altro Lethrblaka, solo che questo fu ucciso con una zampata da parte di Fìrnen che lacerò il petto della creatura.
Dei lamenti provennero dalle loro spalle, gli altri due Lethrblaka, vedendo i loro compagni morire si stavano precipitando verso di loro. Quando furono a trecento iarde di distanza dai due draghi, Saphira emise un possente ruggito di ammonimento, talmente forte che Eragon dovette coprirsi le orecchie a causa del suo fine udito, il buon senso delle due creature prevalse e decisero di ritirarsi. Non avrebbero mai potuto competere contro due draghi adulti.
Saphira e Fìrnen si diressero verso il castello del duca di Teirm. Atterrarono tra la gente impaurita, ma i Cavalieri li ignorarono e si precipitarono nella sale del trono del castello.
Il palazzo era moto lussuoso, forse anche più di quello di Ilirea, le mura erano piene di quadri e arazzi delle più svariate dimensioni. Ma la cosa più straordinaria era il numero di biblioteche. Le pareti piene di scaffali erano zeppi di libri, dalla geografia alla storia, dall’astronomia alla medicina e ogni altra disciplina immaginabile.
“Questa è la più grande biblioteca in Alagaësia dopo quella di Ellesmera.” Disse Arya in risposta al suo stupore.
“Dov’è la sala del trono?” chiese Eragon
“Non ci sono mai stata qui, sarà meglio chiedere a qualcuno.” disse l’elfa
Eragon si guardò in torno. La biblioteca sembrava totalmente vuota. Esplorarono diverse file di scaffali prima di trovare un uomo intento a sfogliare un grosso volume dalle pagine gialle.
“Mi scusi, ci potrebbe indicare la sala del trono?” chiese Arya
“Solo un attimo” disse l’uomo continuando a sfogliare il libro. Dopo alcuni minuti, fece un sospiro e posò il libro con aria insoddisfatta. Molto probabilmente non aveva trovato quello che cercava. Si girò verso l’elfa e appena la riconobbe fece un profondo inchino “Atra du evarínya ono varda, Arya Svit-kona” disse
“Jeod!” esclamò Eragon con aria sorpresa. Il Cavaliere non poteva credere che il vecchio studioso fosse davanti a lui. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che lo aveva visto, da quel giorno in cui gli aveva detto addio prima di montare su Saphira e partire per Ellesmera.
Jeod si girò verso il Cavaliere “Eragon? Sei tu?” chiese. Un sorriso che andava da un orecchio all’altro si formò sul volto dell’uomo. “Ragazzo mio!” esclamò abbracciandolo.
Eragon rise mentre Jeod lo abbracciava, gli era mancato molto il vecchio studioso.
“Che cosa ci fai qui, Ammazzaspettri?” chiese Jeod poco dopo.
“Nasuada ci ha mandati qui per difendere la città.” Disse semplicemente Eragon
“Mmm, stavo giusto facendo alcune ricerche sull’esercito Ombra, ma a quanto pare non ci sono testimonianze di altri eserciti che in passato sono venuti da fuori i confini di Alagaësia.” Disse lo studioso.
“Davvero non è mai successo?” chiese stupito il Cavaliere.
Jeod scosse il capo “Ma ritornando a noi, cosa volevate chiedermi?”
“Vorremo parlare con il duca, ci potresti dire dove si trova la sala del trono?” era stata Arya a parlare.
“Si, potrei dirvi dove sia la sala del trono, ma il duca raramente si trova in essa. La maggior parte della giornata la passa nei giardini del palazzo. E’ un tipo che ama la tranquillità, tranne di sera che spesso organizzare balli e feste in ogni tipo di occasione per venire a conoscenza di ogni tipo di pettegolezzo.” Disse Jeod. “Vi potrei portare nei giardini del palazzo.” Aggiunse
“Te ne saremo grati.” Disse Eragon
“Bene seguitemi.” Detto questo Jeod si incamminò verso l’uscita della biblioteca seguito a ruota da Eragon e Arya.
 

*********

 
Attraversarono decine di corridoi prima di giungere a una larga terrazza che affacciava su un’incantevole giardino. Quando scesero la grande scalinata di marmo furono investiti dall’aroma dei numerosissimi tipi di fiori che adornavano le aiuole. C’è n’erano d’ogni genere, dalle rose ai tulipani, dai gelsomini alle viole, insieme formavano un prato multicolore intervallato solo da alcuni cespugli a forma di animale. Solo i giardini del palazzo Tialdarì potevano competere con quello spettacolo. Davanti a lei anche Eragon era rimasto incantato dalla bellezza della natura. Nel frattempo il piccolo gruppo proseguì fino a un spiazzo. In mezzo ad esso si poteva ammirare una fontana e attorno ad essa alcune panchine erano state disposte in cerchio. Su una di queste panche c’era seduto un uomo di mezza età. Aveva un viso gioviale, i suoi capelli erano neri screziati di grigio e portava una folta barba ben curata. I suoi vestiti erano degni del più potente dei regnanti, portava una casacca verde dai bottoni d’oro e un lungo mantello rosso contornato con pelliccia di ermellino. L’uomo era circondato da una decina di persone, molto probabilmente nobili dedusse Arya dai loro vestiti sfarzosi e dai loro movimenti da aria superiore. In quel momento lei ed Eragon indossavano le loro tuniche da Cavalieri dei Draghi, vesti semplici ma eleganti.
“Anche se ad Eragon serve ben poco per apparire elegante” pensò Arya scrutando il Cavaliere davanti a lei.
“Aspettate qui” disse Jeod prima di incamminarsi verso il duca, lo videro sussurrargli qualcosa all’orecchio. Questi si girò verso di loro con aria sorpresa, gli occhi del duca indugiarono per un bel po’ di tempo sul viso del Cavaliere, poi l’uomo ci fece segno di avvicinarci.
Eragon si incamminò verso il duca e io lo seguii, gli occhi di tutti i nobili erano puntati sul Cavaliere, soprattutto quello delle donne. Queste stavano guardando il Cavaliere come delle civette guardano un topo entrare nella loro tana. Lo stavano letteralmente mangiando con lo sguardo. Sbattevano le ciglia in continuazione.
“Ma datevi un contegno”si disse Arya
 L’elfa per poco non si mise a ridere quando notò lo sguardo degli uomini che dovevano essere i mariti delle “civette”. Questi rivolgevano sguardi di rimprovero alle mogli e occhiate infuocate all’affascinante Cavaliere che aveva rubato le attenzioni delle loro donne.
“Fatevene una ragione, non potete competere con lui.”Pensò Arya non sapendo se era un bene o un male.
Una delle nobili in particolare sembrava voler attirare l’attenzione de Cavaliere. Aveva dei fluenti capelli biondi e degli occhi di un grigio magnetico. Indossava un lungo vestito rosso pieno di pizzi, scollato sul seno lasciando ben poco all’immaginazione.
“Ecco la regina delle civette”pensò Arya
“Quanto siamo gelosi oggi”disse Fìrnen nella sua testa
“Cosa? Io non sono gelosa” disse l’elfa indignata
“Ma davvero? Quindi mi aspetto che tu e la civetta diventiate ottime amiche”disse sarcastico il drago
“E d’accordo, forse sono un pochino gelosa”si arrese Arya, non poteva nascondere nulla al suo compagno di mente.
“Chi sei tu? Che ne hai fatto dell’Elfa ho-sempre-ragione-io e so-tutto-io?” chiese il drago
“Ma smettila”L’elfa rivolse lo sguardo ancora una volta verso la donna-civetta. “Giuro che se lo guarda ancora una volta in quel modo la incenerisco”
“Siamo aggressive eh?”
Arya non gli rispose, era intenta a maledire la civetta. Nessuno poteva guardare il suo Eragon in quel modo.
“Il tuo Eragon? Facciamo in fretta a reclamare dominio su qualcosa.”Disse il drago
“Ma tu non stavi con Saphira?”poi improvvisamente comprese “Tu sei geloso!” non era una domanda. Per poco non scoppiò a ridere
“Cosa, io geloso? Ma fammi il piacere.”Disse il drago.
“Si, sei geloso” disse l’elfa
“Impossibile, i draghi non sono mai gelosi” detto questo Fìrnen troncò la conversazione.
Nel frattempo Eragon si era fermato a parlare con il duca sull’esercito e quando arrivò alla scoperta dell’alleanza con i Ra’zac il duca per poco non cadde dalla panchina. Parlarono per una buona ora finché non furono congedati, dopo aver salutato tutti i presenti, tranne una certa persona per Arya, furono condotti nelle loro camere. Arya salutò Eragon prima di entrare nella sua stanza dove era stato preparato un catino con dell’acqua calda, si lavò ed indossò la sua armatura a scaglie.
Quasi un’ora dopo qualcuno bussò alla sua porta.
“Chi è?” chiese Arya
“Sono Eragon. Il duca ci aspetta nella sala del trono, è arrivato un messaggero dall’esercito Ombra” disse questi
Arya andò ad aprire, appena vide Eragon il suo cuore iniziò a battere più velocemente. Il Cavaliere indossava la sua armature a scaglie di drago come la sua, solo che questa era blu.
“C’è qualcosa che non va?” chiese Eragon fissandosi l’armatura in cerca di qualcosa che non andasse.
“No, non è niente” disse Arya distogliendo lo sguardo.
Il Cavaliere la fissò per qualche secondo “Va bene, allora andiamo.” Disse prima di incamminarsi verso la sala del trono chiedendo informazioni a un maggiordomo.
La sala del trono era forse la stanza più decorata di tutto il castello. Le pareti erano piene di quadri e i pavimenti pieni di tappeti della più pregiata fattura. Il duca stava parlando con un uomo tarchiato.
“…se voi vi arrenderete non vi accadrà nulla.” Stava dicendo questi
“Arrenderci?” sbraitò il duca “Arrenderci? Piuttosto la morte! Io e i mio popolo non ci arrenderemo mai a voi sudici forestieri. Questa è la nostra terra, la nostra patria e combatteremo con le unghie e con i denti per tenercela, quindi andate a dire alla vostra regina che dovrà passare sui nostri cadaveri per averla.”
Il duca si accorse di loro e un sorriso si dipinse sul suo voto. “Le voglio presentare qualcuno.” Disse al messaggero venendo verso di loro. “Lei è Arya figlia di Islanzadi, ex regina degli elfi, Ammazzaspettri e Cavaliere dei Draghi.” Lo sguardo del messaggero non tradì nessuna emozione. “Lui invece” disse il duca facendo un lieve inchino “è Eragon Bromsson, Capo dei Cavalieri dei Draghi, Ammazzatiranni e Ammazzaspettri, Cavaliere della dragonessa Saphira Squamediluce.” Il messaggero sembro perdere un po’ della sua sicurezza.
“Avrete anche due Cavalieri ma noi abbiamo un esercito e non due guardie.” Disse questi riprendendo la sua baldanza.
“Vinceremo lo stesso” disse convinto il duca
“Sicuramente il Cavaliere Eragon ce la farà a battervi” disse una voce femminile alle loro spalle.
Con sgomento di Arya dietro di loro c’era la stessa donna-civetta di prima solo con un abito diverso e ancora più scollato del precedente.
“Questa mattina non abbiamo avuto il tempo delle presentazioni” disse il duca “Lei è la contessina Liviana del casato Bagor.”
Liviana fece un lieve inchino verso Arya senza degnarla di uno sguardo, i suoi occhi erano concentrati sull’affascinante Cavaliere. Porse la mano a questi.
“Sono onorato di conoscerla contessina” disse Eragon baciandogli la mano.
“Il piacere è tutto mio Cavaliere” disse Liviana con aria da civetta guardando Eragon con lussuria.
“Giuro che ora Liviana farà una brutta fine se non la smette di guardarlo così”si disse Arya.
“Ma ancora con questa storia?”disse Fìrnen
“Ma hai visto che civetta? Ma non si vergogna a comportarsi in questo modo? Poi non mi ha degnata di uno sguardo.” Ribatté l’elfa.
Il drago sospirò “Sei proprio cotta” disse
“Si, lo ammetto sono innamorata di Eragon”disse l’elfa
“D’accordo, ora mi stai davvero mettendo paura, prima era impossibile farti ammettere qualcosa.”Disse il drago
“Non è vero.”Disse l’elfa
“Ora ti riconosco” affermò Fìrnen e si ritirò dalla sua mente.
Il messaggero se n’era andato.
“Prepariamoci alla battaglia” disse il duca.
Ora non potevano far altro che attendere che l’inferno si scatenasse.


 Angolo autrice
 Allora, premetto che in questo capitolo non succede niente di che ma ci soffermiamo sulla coppia Eragon Arya :innamorato:
Questo è solo un capitolo di passaggio, ma è il più lungo che abbia mai scritto grin
Non so perchè quando scrivo capitoi più intensi questi mi vengono corti :lol:
Commentate, dite se vi piance :ok: , ma anche se non vi piace :down:

Ciao

 

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Capitolo 10
*** Scoppia l'inferno ***


Eragon era in groppa a Saphira. L’esercito Ombra era in avvicinamento e con esso Eragon sapeva sarebbe arrivata anche morte e distruzione. Quell’esercito era diventato una piaga per Alagaësia, una piaga che doveva essere ricucita al più presto.
Erano passati all’incirca diciassette anni da quando Eragon non uccideva in battaglia e non sapeva se sarebbe stato capace di farlo ancora. Non gli era mai piaciuto uccidere, prendere delle vite. Ogni volta che uccido, si diceva, lo faccio per una buona causa, per salvare le persone a me care. Ma se anche questi soldati tenevano una famiglia? Una moglie, dei figli, qualcuno che gli voleva bene ma che non li avrebbe mai più potuti abbracciare? Erano queste le domande che tormentavano la mente del Cavaliere mentre il nemico si avvicinava.
“Non ti tormentare con queste domande Eragon. Noi lo facciamo per loro”gli disse Saphira mostrandogli alcune immagini delle donne e dei bambini che quella mattina avevano aiutato a nascondersi nei sotterranei del palazzo cosicché in caso di sconfitta, sarebbero riuscite a salvarsi scappando per i tunnel sotterranei. “E’ per loro che combattiamo, per dargli una vita migliore e un futuro ai loro figli in una terra libera del male e dall’oppressione.”
“Grazie Saphira, non so cosa farei senza di te” disse Eragon mentre un peso si toglieva dal suo cuore.
“Piccolo mio” sussurrò lei mandandogli una quantità di affetto tale da farlo sorridere anche in quel momento così tragico. In quegli anni la sua Saphira era stata come un balsamo per il dolore dovuto alla lontananza dalla sua terra e dai suoi affetti.
Il Cavaliere si girò verso l’elfa, Arya, anch’essa su Fìrnen era affianco a loro, entrambi pronti per combattere. Il drago smeraldo muoveva la coda inquieto come se stesse per balzare su una preda. In quel momento il Cavaliere si rese conto che Fìrnen non aveva mai combattuto in una guerra, lui era nato dopo la morte del re oscuro.
“Se la caverà”gli disse la dragonessa per dissipare i suoi dubbi “non temere, lui è più grande di quando io ho combattuto nel Farthen Dùr”
Eragon annuii e ritornò a ripetere il piano per la battaglia. Avevano deciso di difendere la città e non di attaccare il nemico perché sarebbero stati in inferiorità numerica. Il loro esercito era formato per la maggior parete da contadini, mercanti, gente comune che non avevano mai preso una spada in mano ma che si erano fatti avanti per proteggere i loro cari e la loro casa, solo un ristretto gruppo era formato da soldati addestrati. Eragon, insieme ad Arya aveva visto il loro “esercito” quella mattina. Nello sguardo di ogni uomo il Cavaliere aveva letto paura ma anche la voglia di vivere liberi.
Avevano posizionato una parte degli uomini sul camminamento per soldati in cima alla cinta di mura e distribuito archi e frecce a ognuno. Il piano era semplice, quando l’esercito nemico sarebbe stato a tiro, avrebbero cercato di ucciderne la maggior parte.
Il Cavaliere ritornò a posare lo sguardo sul nemico, mancava poco. Un’altra manciata di secondi e sarebbero stati sotto tiro. Ora che erano più vicini il Cavaliere poté scorgere il generale dell’esercito seguito da sei figure coperte da lunghi mantelli. Eragon credeva di sapere chi fossero o cosa fossero, ma la prospettiva non lo allettava molto. I due Lethrblaka volavano in cerchi concentrici sopra di loro.
Nell’aria si poteva sentire già il gracchiare dei corvi, che richiamati dall’imminente battaglia, sapevano che ben presto avrebbero fatto un lauto pasto.
“Mirate” urlò il Cavaliere in modo che tutti lo sentissero. Gli uomini presero le frecce dalle faretre, le incoccarono e mirarono contro l’esercito nemico.
“Lanciate” Urlò Eragon. La pioggia di frecce traccio un arco nel cielo diffondendo nell’aria un grande sibilo. I soldati nemici presi alla sprovvista, non riuscirono a riararsi in tempo dietro i loro scudi. Le prime tre file nemiche caddero sotto la raffica di frecce, ma come c’era da immaginarselo il generale e le sei figure con il mantello erano coperti da barriere magiche che ridussero le frecce dirette verso di loro in cenere prima che potessero avvicinarsi di più. Il Cavaliere era sicuro che l’esercito fosse provvisto di maghi quindi espanse la mente e li trovò quasi subito, erano in cinque, riuscì a prendere quattro delle menti degli stregoni e li uccise con una delle parole di morte, ma il quinto si ritrasse prima che potesse riprovarci e nascose la sua mente.
“Mirate” urlò ancora una volta il Cavaliere. “Lanciate.” Come c’era d’aspettarselo il risultato questa volta non fu alto come prima, la maggior parte degli uomini si era riuscita a coprire con i scudi. Il Cavaliere diede l’ordine di lanciare altre tre volta, ma i risultati furono quasi nulli.
Oramai l’esercito era arrivato alle mura e gli uomini stavano già alzando le lunghe scale di assedio seguite dalle catapulte.
“Brisingr” urlò Arya alla sua destra e le scale che i soldati nemici erano riusciti ad erigere presero fuoco rendendole inutilizzabili.
Prima che i due draghi potessero fare qualcosa, i Lethrblaka si lanciarono in picchiata sulle mura uccidendo una ventina di uomini e facendone cadere altrettanti. Saphira si lanciò contro di loro evitando di sputare fuoco per non colpire anche gli uomini sulle mura. L’impatto fece sobbalzare Eragon che si tenne stretto a una delle punte cervicali d’avorio della dragonessa. La dragonessa e il Lethrblaka si strinsero in un abbraccio feroce, le zampe di dietro che sferravano calci nel ventre dell'altro; gli artigli stridevano sulla corazza di squame di Saphira e sulla pelle coriacea del Lethrblaka. Saphira riuscì ad allontanarlo con una zampata per un istante, poi tornarono a lanciarsi l'uno contro l’altro, tentando di azzannarsi il collo a vicenda. Quando il collo del Lethrblaka fu abbastanza vicino, Eragon lo decapitò con un fendente di Brisingr, la spada attraversò il collo della bestia come un coltello attraversa un pezzo di burro.
Mentre Eragon e Saphira lo uccidevano, anche il secondo Lethrblaka aveva attaccato Fìrnen, ma il drago eruttò una fiammata verde e prima che il nemico potesse scappare o contrattaccare Arya lo uccise con un incantesimo.
Nel frattempo l’esercito nemico aveva iniziato a battere con una grossa ariete le porte della città. Ad ogni colpo un grosso boato si propagava nell’aria. Fìrnen e Saphira si lanciarono in picchiata sull’esercito, ma prima che riuscissero ad avvicinarsi una raffica di frecce dall’impennaggio nero fu scagliata contro di loro. Con sommo stupore di Eragon queste non furono fermate da i loro incantesimi di difesa e trapassarono le membrane fragili dei due draghi in diversi punti. Saphira e Fìrnen lanciarono ululati di doloro prima che i loro Cavalieri li curassero.
“Sono stregate” urlò Arya ad Eragon.
“Atterriamo dentro le mura, non possiamo fare altro” disse il Cavaliere
L’elfa assentì e i due draghi virarono verso l’interno delle mura atterrando davanti alle porte. I due Cavalieri smontarono ed estrassero le spade.
Thum
Le porte stavano per cedere, non avrebbero retto a lungo. Un silenzio di tomba era sceso nella città di Teirm che fino al giorno prima era piena delle risa dei bambini che giocavano nelle sue strade e delle chiacchere delle donne che si raccontavano tutti i pettegolezzi. In quel momento l’unico rumore che si poteva sentire era il silenzio della morte.
Thum
Quel silenzio stava diventando più opprimente di qualsiasi altro rumore. Le porte iniziarono a ripiegarsi su se stesse. Al rumore dell’ariete contro le porte si aggiunse il strepitio del legno che andava in frantumi.
Thum
L’ultimo thum fu il più forte e con esso le porte cedettero, cadendo verso l’interno. Un nube di polvere si alzò, oscurando tutto per alcuni secondi che al Cavaliere sembrarono interminabili. Poi delle figure emersero dalle porte ormai in pezzi e si avventarono contro di loro. In quel momento per il Cavaliere sembrò di essere in un sogno, al suo fianco Saphira e Fìrnen lanciarono un ruggito di guerra.
L’attesa era finita, la battaglia era iniziata.
 

**********

 
Fendente, stoccata, parata. Fendente, stoccata, parata. Fendente, stoccata, parata. 
L’aria era gremita dello stridulo del metallo contro metallo e delle urla degli uomini che perdevano la vita. Per ogni uomo che Arya uccideva ce n’era altri due che prendevano il suo posto, l’esercito nemico sciamava dalle porte della città come un fiume in piena. Con la coda dell’occhio l’elfa vide Eragon mozzare teste di uomini con precisi fendenti della sua spada, il suo volto distorto da un ghigno malevolo: furente, roteava la spada, sbaragliando ogni avversario.
Fendente, stoccata, parata. Fendente, stoccata, parata. Fendente, stoccata, parata. 
Questa era la danza che Arya stava ballando in quel momento, una danza di morte. L'odore metallico del sangue impregnava l'aria, in alto, i voraci spazzini del cielo aspettavano il lauto banchetto, mentre il sole proseguiva il suo cammino verso lo zenit. Arya si volteggiava con grazie nella confusione della battaglia, la sua rapidità era superiore alla capacità di reazione dei soldati; con una forza sovrumana schiantava scudi con un colpo solo, squarciava armature e spezzava le armi di chi gli si opponeva.
Fendente, stoccata, parata. Fendente, stoccata, parata. Fendente, stoccata, parata. 
Arya piombò su un gruppo di sei soldati, menò fendenti a destra e a manca, ma quando stava per uccidere l’ultimo soldato, una corrente d’aria, molto probabilmente di origine magica la scaraventò conto un muro di un edificio. La botta fu talmente forte che gli mozzò il respiro in gola, sangue caldo gli scendeva da una ferita alla tempia. Davanti a lei si pararono le sei figure incappucciate, una di loro avanzò verso di lei
“Bene, bene, bene. Ma che bella elfetta che abbiamo qui. Devo ammetterlo, ci avete quassssi sssconfitto tu e il tuo amichetto. Ma tu non sssarai più un problema.” Disse questi levando una spada grondante di sangue.
Arya non aveva nemmeno più la forza di combattere, sapeva che la sua fine era vicina. Gli dispiaceva lasciare solo Fìrnen, ma ancor di più l’addolorava non aver detto a Eragon che l’amava.
Guardò il suo assalitore, un Ra’zac ne era certa dell’odore che emanava la creatura, un odore come di qualcosa in decomposizione. Il dolore alla tempia si fece più acuto e il mondo iniziò a sbiadire. Sentì un uomo urlare, era una voce conosciuta ma non ci fece caso. Guardò la spada compire inesorabile il suo tragitto verso di lei. Ma il colpo non lo avrebbe mai sentito perché svenne. Il suo ultimo pensiero fu rivolto ad Eragon.
 

*********

 
Col passare delle ore, Eragon si sentiva sempre più stanco e dolorante; privato di molte delle sue arcane difese, accumulò decine di ferite minori. Un fiotto di sangue caldo, misto a sudore, gli colava da un taglio sulla fronte accecandolo di continuo. Il Cavaliere uccise tre soldati con un unico fendente, poi i suoi occhi si soffermarono su Arya che combatteva poco lontano da lui, anche durante la furia della battaglia gli sembrava sempre la creatura più bella di tutte.
L’elfa piombò su un gruppo di soldati e li uccise con grazia felina ma quando stava per ucciderne l’ultimo, il Cavaliere la vide essere scaraventata contro un muro. Sei figure incappucciate si strinsero a semicerchio attorno a lei. Una di esse si fece avanti levando la spada.
“No-ooo” urlò Eragon.
Il Cavaliere uccise con una stoccata l’ennesimo soldato precipitandosi il più velocemente possibile verso Arya. Non poteva crederci, non voleva crederci, proprio quando stavano vincendo. Oramai solo pochi soldati erano rimasti dell’imponente esercito nemico. Saphira e Fìrnen stavano combattendo a terra con le zanne e gli artigli, dilaniando tutti gli sfortunati uomini che si trovavano a tiro.
Più veloce di quanto credesse esserne capace Eragon si ritrovò in mezzo ai Ra’zac, giusto in tempo per bloccare la stoccata che stava per raggiungere il collo dell’Elfa. Con rabbia si lanciò contro coloro che avevano osato attaccare la sua amica, la sua compagna di avventure e di viaggi, l’elfa che gli aveva cambiato la vita, l’unica donna che avrebbe mai amato, in un’unica parola Arya.
Gli assalitori sorpresi dall’attacco subito ci misero un po’ di tempo per contrattaccare e Eragon adoperò quella distrazione per ucciderne due. Una mente estranea si abbatté sulla sua facendogli perdere la concentrazione per alcuni secondi, ma che bastarono a uno dei Ra’zac di ferirgli di striscio una spalla.
Per il Cavaliere quel combattimento era durato fin troppo, con un impeto di rabbia urlò “Deyja” e i quattro Ra’zac rimasti caddero morti ai suoi piedi. Il suo sguardo irato si spostò sul mago poco distante da lui che lo guardava con occhi spaventati comprendendo il grave errore che aveva fatto scatenando l’ira del Cavaliere. Il mago cercò di scappare ma Eragon con un balzo coprì la distanza tra loro due, lo afferrò per la gola e gridò “Jierda” il collo del mago si spezzò con uno sciocco raccapricciante. Eragon lasciò la presa dal collo del mago e spostò i suoi occhi sulla figura che giaceva immobile contro la parete dell’edificio.
Lentamente il Cavaliere si avvicinò ad Arya, si inginocchiò accanto a lei e le posò una mano sul collo. Lanciò un sospiro di sollievo quando capì che l’elfa era viva. Il Cavaliere gli carezzò dolcemente una guancia prima di focalizzare la propria attenzione sul taglio sulla tempia dell’Elfa. Con un semplice incantesimo riportò la pelle dell’Elfa al suo stato originale. Nel frattempo Fìrnen era atterrato poco distante da loro e si era precipitando verso la sua compagna di mente e di cuore.
“Come sta?”chiese preoccupato
“Bene, è solo svenuta” rispose il Cavaliere prendendo in braccio l’elfa
“Eragon?”il Cavaliere si girò ancora una volta verso il drago smeraldo.
“Si?” chiese
“Grazie” rispose Fìrnen
“Per cosa?” chiese Eragon
“Per averla protetta”rispose risoluto il drago
Il Cavaliere gli rivolse un sorriso sincero “Per Arya questo ed altro”
“Lo so Eragon, ma lascia che ti dica una cosa: anche lei farebbe lo stesso per te”disse Fìrnen lasciando intendere diversi significati.
Il Cavaliere lo guardò senza capire ma decise di non chiedere spiegazioni al drago e si incamminò verso il castello.
Fìrnen guardò il Cavaliere e poi sospirò “Perché sei così ceco da non capire?” Chiese a se stesso.

Ecco un nuovo capitolo, devo ammettere che descrivere battaglie non è prorio il mio forte  :sorrisone: quasto è il massimo che ho potuto fare, spero che vi piaccia 
Ciao, commentate
:D

Questi sono i Ra'zac

 http://images1.wikia.nocookie.net/__cb20081008041557/inheritance/images/f/ff/42lhfut.jpg 

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Capitolo 11
*** Il gran ballo a palazzo (parte 1) ***


“Arya” sussurrò una voce maschile
Aprii gli occhi, ma fui costretta a richiuderli subito dopo per la troppa luce. Una mano gentile spostò i capelli che mi erano caduti sul viso. La testa mi pulsava dolorosamente, mi sentivo disorientata e incapace di fare pensieri coerenti. Provai a riaprire gli occhi e cercai di mettere a fuoco la figura china su di me. Solo dopo vari tentativi mi accorsi che era Eragon, gli rivolsi un sorriso che lui senza esitazioni ricambiò. Che bel sorriso che aveva, dolce, ma la cosa che più adoravo erano le due fossette che si formavano quando sorrideva. Pensai con divertimento che diciassette anni prima sarebbe arrossito anche solo per rivolgermi quel semplice gesto, in quel momento invece fui io ad arrossire quando capii che qualcuno mi aveva lavata e fatto indossare la mia camicia da notte mentre ero svenuta. Era stato lui? Speravo vivamente di no.

Il mio sguardo venne attirato inevitabilmente verso il volto sorridente di Eragon. Il Cavaliere indossava ancora l’armatura a scaglie, il suo viso era sporco di terra e sangue, delle larghe occhiaie si allargavano sotto i suoi meravigliosi occhi blu, molto probabilmente era stato vicino a me per tutto il tempo, e i suoi capelli erano un completo disastro, ma anche così rimaneva l’affascinante e avvenente Cavaliere che aveva rubato il mio cuore.

“Bentornata tra noi dormigliona!” disse il Cavaliere continuando a rivolgermi quel sorriso che tanto amavo.
“Dormigliona?” chiesi divertita per il nuovo appellativo acquisito.

“Hai dormito per due giorni di seguito” disse serio “Come ti senti?”

“Meglio” risposi a bassa voce. “Sei stato qui tutto il tempo?”
“Si” disse distogliendo lo sguardo.
“Non avresti dovuto, ma sono felice che tu l’abbia fatto” dissi
“Non c’è di che” disse
Cercai di mettermi a sedere.
“Ehi, ehi. Fai attenzione” disse il Cavaliere facendomi sdraiare e rendendo i miei sforzi vani. “Non sai quanto ci hai fatto preoccupare a me e a F...”
“Fìrnen!” urlai alzandomi di scatto, come potevo essermi dimenticata di lui, del mio drago?
“Sta bene, non temere” disse Eragon
Le mani gentili del Cavaliere mi riportarono nel calore del mio letto aggiustando con premura le coperte sotto il mio mento.
Espansi la mia mente in cerca di quella del mio compagno. Sorrisi quando lo trovai, era con Saphira a caccia in un boschetto nelle vicinanze di Teirm.
“Arya!” esclamò felice il drago
“Ciao Fìrnen” dissi io
“D’accordo, io me ne vado, vi lascio soli ai vostri pensieri” disse Eragon che aveva intuito la mia voglia di parlare col drago.
“Eragon aspetta devo dirti grazie.” Dissi
“Oh, non… non è niente” disse arrossendo leggermente.
“Allora ciao” dissi io
“Ciao” disse il Cavaliere uscendo dalla stanza.
Fìrnen che era rimasto muto per tutto il tempo cominciò a parlare a raffica spiegandomi che avevano vinto, ma che le perdite erano state devastanti.
“Come stai tu?” chiesi dopo che il drago mi elencò tutti i resoconti dell’esito della battaglia
“Bene, piuttosto tu, come ti senti?” chiese con apprensione
“Bene, ho solo sbattuto la testa” dissi con una punta di esasperazione
“E se ti dico che Eragon ti ha portata in braccio fino al castello?” chiese sfidandomi
“Davvero? Quindi è stato lui che mi ha vestita?” chiesi preoccupata
“No, ha detto che non voleva violare la tua intimità” disse il drago “come se gliene importasse qualcosa”
“Fìrnen”
esclamai con tono accusatorio
“Si, si ho capito, il TUO Eragon non si tocca, certo” disse il drago con sarcasmo.
“Sei sempre più geloso?” chiesi divertita dalla piega che stava prendendo la conversazione
“Ho capito, se non ti dispiace io tornerei a…” ma io lo interruppi prima che potesse continuare
“…a godermi la giornata con la MIA Saphira”
“Ehi, guardate che io non appartengo a nessuno!”
esclamò la voce della dragonessa
“Scusa Saphira” dissi
“Scuse accettate.” Disse la dragonessa ritirandosi dalla mia mente
“A proposito di Saphira…” iniziò il drago
“Si?” chiesi
“Lei sa tutto dei tuoi sentimenti per Eragon, ma ha giurato di non dirgli niente finché non lo avesti fatto tu. Mi dispiace, ma non ho potuto nasconderglielo” disse Fìrnen
“Ah… d’accordo, basta che non lo dice ad Eragon” dissi “Allora goditi il pasto”
Dopo che ci fummo salutati, mi issai in piedi e mi iniziai a vestire.

**********
 
Eragon uscì dalle sue stanze e si diresse verso la sala del trono. Dopo aver lasciato Arya si era finalmente tolto l’armatura e concesso un rilassante bagno ristoratore. In quel momento il Cavaliere indossava dei semplici abiti coperti da una tunica blu. Quando era ancora nella camera che gli era stata affidata, un servo gli aveva comunicato che il duca lo aspettava nella sala del trono. Ed era proprio lì che Eragon si stava dirigendo. Molti domestici al suo passaggio distoglievano lo sguardo per non incontrare i suoi occhi penetranti. Lui cercava di essere il più amichevole possibile aiutando alcuni camerieri a portare qualcosa di pesante ed alcune volte riusciva anche ad avere in cambio un sorriso onesto e non forzato.
Immerso nei suoi pensieri il Cavaliere non si accorse di essere arrivato a destinazione. I due uomini a guardia delle massicce porte a battenti della sala lo annunciarono. Quando gli fu detto di poter entrare, il Cavaliere li ringraziò e si avviò con passa spedito. Nella sala del trono c’erano non meno di una trentina di nobili, alcune dame sedute su comode poltrone a ricamare, qualche guardia e naturalmente il duca. Notò con disappunto che tra le poche dame di corte c’era anche la contessina Liviana, al loro arrivo a Teirm aveva notato una strana luce negli occhi di Arya ogni volta che guardava la donna. Non sapeva spiegarsene il significato, non aveva mai visto quello sguardo in Arya. Qualunque emozione avesse provato l’elfa gli era nuova, ma in una cosa era certo: ad Arya Liviana non gli era affatto simpatica.
Arrivato davanti al trono su cui c’era seduto comodamente il duca, il Cavaliere chinò lievemente il capo “Duca”
Ad Eragon gli era fin dal principio piaciuto l’uomo. Il duca era un tipo gioviale, che teneva molto a cuore la salute del suo popolo.
“Ammazzaspettri” disse questi alzandosi e facendogli un lieve cenno col capo. “L’ho convocata qui per due motivi. Il primo vorrei sapere se Arya Svit-kona si è ripresa.”
“Si Arya si è da poco svegliata” disse Eragon
“Bene in questo caso passiamo al secondo motivo. Per questa sera avrei organizzato un ballo per festeggiare la vittoria di due giorni fa, so che le morti sono state molte, ma in questo modo il morale verrà anche risollevato” disse il duca “quindi volevo chiederle se voi Cavalieri avreste partecipato?”
Lo avrebbe prima dovuto chiedere ad Arya, non poteva prendere decisioni per lei.
“Accetta” disse Saphira
“Ma…” obbiettò il Cavaliere
“Niente ma Eragon, Arya non ti ucciderà per averle imposto di andare ad un ballo” disse la dragonessa decisa
“D’accordo” si arrese il Cavaliere
“Si ci saremo” disse Eragon rivolto al duca
Questi sorrise trionfante “Ottimo, farò iniziare i preparativi”
“Io mi ritirerei per comunicare la notizia al Cavaliere” disse Eragon
“Certo, certo” disse il duca entusiasta
Il Cavaliere lo saluto con un inchino uscì dalla sala seguito dello sguardo lussurioso della contessina di Bagor. Eragon non se n’era accorto, ma la donna lo aveva osservato durante tutta la conversazione.


*********
 
Il Cavaliere bussò alla porta della stanza dell’Elfa.
“Chi è?” chiese una voce all’interno
“Sono Eragon, posso entrare o sei impresentabile?” chiese il Cavaliere
“No, entra” disse l’elfa
Il Cavaliere abbassò la maniglia della porta ed entrò.
L’elfa era davanti ad un grande specchio intenta a pettinarsi i suoi lunghi capelli corvini. Eragon si sedette sul letto e attese. Quando l’elfa ebbe finito si voltò verso di lui, gli sorrise e si sedette accanto a lui. Il Cavaliere rimase per alcuni secondi immobile vedendosi riflesso nei suoi bellissimi occhi verdi, ma si ricomposi subito dopo ricordandosi la ragione per cui era lì.
“Arya non so come dirtelo, ma il duca ha organizzato un ballo per stasera e mi ha chiesto se tu ci saresti stata e io, bè io ho detto di sì. Mi dispiace di aver dovuto decidere al posto tuo.” Disse il Cavaliere temendo la risposta dell’Elfa.
Arya corrugò la fronte “Tutto qui? Ti preoccupi per questo? Non preoccuparti Eragon hai fatto bene a rispondere e poi ci sarei andata di sicuro, ho bisogno di distrarmi un po’.”
“Ah, d’accordo.” Il Cavaliere arrossì leggermente “Poi ci sarebbe un’altra cosa”
“Cosa?” chiese l’elfa curiosa
“Io… io volevo…io volevo” il Cavaliere fece un respiro profondo “Io volevo chiederti se saresti venuta al ballo con me.” Disse poi tutto d’un fiato da rendere quasi impossibile comprendere la frase. Gli era venuta questa idea mentre andava dall’Elfa, ma molte volte l’aveva scacciata dalla sua testa non sapendo come avrebbe reagito. Alla fine con l’intervento di Saphira si era deciso a invitare l’elfa al ballo.
“Come coppia intendi?” chiese Arya
“Si, cioè no, solo per il ballo, non come… bè hai capito” disse Eragon con imbarazzo
“D’accordo” accettò l’elfa
“Davvero?” sussurrò stupito il Cavaliere
“Certo” disse sorridente Arya “Però dovrai chiedermelo con grazia” aggiunse maliziosa
Eragon arcuò un sopracciglio.
Il Cavaliere fece alzare l’elfa e si inginocchiò di fronte a lei
“Arya Svit-kona, vuole concedermi il piacere di invitarla al ballo di questa sera” esordì Eragon divertito
“Mmm… ci devo pensare” disse l’elfa
“Cosa? Tu non solo mi fai inginocchiare e poi mi dici che ci devi pensare? No no cara, tu dici di sì!” disse Eragon alzandosi.
“D’accordo, se proprio devo” disse Arya ridendo
I due Cavalieri rimasero a parlare tutto il pomeriggio di argomenti di varia importanza finché non furono in vista della sera ed Eragon si congedò per andarsi a preparare per il gran evento a palazzo.
 

**********
 
“Di che colore la preferisce?” chiese la donna
“Io non saprei, c’è differenza?”
“Allora, le dò una mano. Questa bianca” disse mostrandogli una rosa bianca “rappresenta l’amore puro, quella rosa l’amicizia, quella gialla rappresenta la gelosia e infine c’è la rossa che rappresenta l’amore profondo e la passione” continuò mostrandogli tutti i tipi di rosa presenti sul banco.
“La gialla è da scartare. Quindi resterebbe la rosa, la bianca e la rossa. Forse è meglio la rosa, non vorrei turbarla. Ma non posso nemmeno mentire a me stesso, io la amo. La bianca. No, sembrerebbe banale, la bianca è più da bambini, quindi rimane la rossa. Ma quando gliela darò lei cosa penserà? E se rovinerei ancora una volta la nostra amicizia? No non posso dargliela. No sarà meglio la bianca come buoni amici.” pensai.
“Eragon basta blaterare e prendi quella rossa” sbraitò Saphira.
“Prendo la rossa” dissi poco convinto.
La fioraia mi sorrise “Allora è per un appuntamento galante?”
Se non ci fosse stato il cappuccio del mantello a celarmi il volto, la donna avrebbe sicuramente visto che io fossi arrossito.
“Più o meno” dissi titubante
“Allora non si è ancora dichiarato?” chiese
Io sospirai “No”
“Vedrà che con questa bella rosa la farà sciogliere” disse la donna
“Crede?” chiesi
“Certo, ho sentito che il duca ha organizzato un ballo e che tutta Teirm è invitata, perché non la porti lì?” disse “La fai ballare e le confessi il tuo amore.”
Io distolsi lo sguardo
“Scusi, la sto mettendo in imbarazzo” disse mortificata la donna
“No, no, grazie per il consiglio” mi affrettai a dire
“Ecco la sua rosa” disse la donna porgendomi il fiore, lo stelo era stato ripulito dalle spine e i petali di velluto rosso scuro erano ricoperti da gocce d’acqua che brillavano come piccoli diamanti.
“Sarà anche una bella rosa, ma non è nemmeno lontanamente paragonabile al fiore che Faolin ha fatto per lei” pensai osservando la rosa
“Forse, ma è il pensiero che conta” disse Saphira
“Grazie” dissi prendendo delicatamente la rosa e porgendo alla donna una moneta di rame.
“Grazie a lei” rispose questa

 
**********

 
Arya era intenta a lisciarsi le pieghe del vestito. Questo era un lungo abito di fattura elfica, era di colore bianco legato con dei lacci dietro la schiena, aveva una sottoveste color verde foresta di cui si intravedevano solo le maniche larghe spuntare da sotto quelle bianche. Il vestito lasciava le spalle scoperte ed era legato alla vita da una fettuccia verde ricamata con filigrana d’argento. Al collo portava una collana anch’essa d’argento con uno smeraldo a forma di foglia. I suoi lunghi capelli gli ricadevano sulle spalle incorniciando il suo viso appuntito da Elfa e mettendo in risalto i suoi occhi.
Qualcuno bussò alla porta della sua stanza e lei sapeva benissimo chi.
“Avanti” disse l’elfa
Eragon entrò velocemente e chiuse la porta subito dopo
Il Cavaliere indossava una camicia blu notte, dei pantaloni neri attillati e un paio di stivali lucidi dello stesso colore, il tutto coperto da un lungo mantello dello stesso colore delle squame di Saphira. Portava un paio di guanti e sulla mano destra era ben visibile Aren, l’anello donato all’amico degli Elfi. Brisingr pendeva al suo fianco.
“Arya, spero che tu sia pronta, perché…” le parole gli morirono in gola appena i suoi occhi videro l’abbigliamento dall’amica.
“Sei bellissima” sussurrò il Cavaliere guardandola con uno sguardo tanto intenso da farle tremare le ginocchia. Dopo un po’ le porse una rosa rossa.
“Grazie” sussurrò l’elfa assaporando il dolce profumo del fiore
“Come stavo dicendo è tardi e dobbiamo andare” disse il Cavaliere
Arya lo sorprese prendendolo sotto braccio e insieme si avviarono verso la sala del trono.

 
**********



Questo è il vestito che ho immagginato per Arya (il disegno l'ho fatto su un sito per come dire vestire e creare personaggi)

http://www.dolldivine.com/public/saved_dolls/lkrhbirehgerr/56795161632047310100015170127150.jpg







Angolo autrice

Ecco il nuovo capitolo :D , anzi la prima parte del nuovo capitolo :laugh: , è solo un'altro capitolo di passaggio, non succede un grnchè ma sarà importente per la ancora-non-coppia Eragon/Arya :innamorato:
In questi giorni non ho avuto tanto tempo per scrivere, sono sommersa di compiti e interrogazioni e l'unico spazio di tempo libero che ho trovato era tra le undici e mezzanotte :laugh: (sono un tipo alquanto notturno)
Senza continuare con discorsi inutili, ecco il capitolo e mi aspetto una vostra opinione
CIAO wink

 

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Capitolo 12
*** Il gran ballo a palazzo (parte 2) ***


La sala del trono era stracolma di persone delle più ricche alle più umili, la musica suonata dall’orchestra era stata coperta dal vociare delle dame che sperperavano la loro conoscenza nell’arte dei pettegolezzi. Ai lati della sala erano stati allestiti alcuni tavoli coperti di cibi e bevande, diversi bambini diffondevano nell’aria le loro risate cristalline rallegrando l’atmosfera. Servitori e cuochi correvano da un ospite all’altro cercando di soddisfare tutti i loro capricci.
Alcune dame erano raggruppate attorno a un uomo ascoltando sommessamente le sue parole. Questi era alto e molto robusto, i suoi capelli erano color sabbia, la sua barba, meticolosamente curata, terminava in un pizzetto, infine i suoi occhi erano grigi e penetranti. L’uomo era molto affascinante, ma niente a che vedere con Eragon. Arya si girò a guardare il Cavaliere che le teneva un braccio attorno alla vita, il suo volto non lasciava trapelare nessuna emozione, assomigliava sempre di più a un elfo.
Quando la folla nella sala li scorse, il mormorio si acquietò e i musicisti smisero di suonare. Le dame iniziarono a lanciare occhiate civettuole verso il Cavaliere che non le degnò di uno sguardo. Oramai le donne avevano perso interesse per l’uomo che prima avevano ascoltato tanto ascoltato sommessamente. Lo sguardo di Arya si posò su questi, non sembrava affatto contento della perdita di attenzione ricevuta e lanciava diverse occhiatacce verso il Cavaliere. Alcuni nobili iniziarono a mandare sorrisetti impertinenti ad Arya, ignorando del tutto che lei fosse un’Elfa e cosa più importane, un Cavaliere, in quel momento erano interessati a lei solo come donna. Eragon vedendo l’attenzione che quegli uomini mostravano verso Arya tese la mascella, per trattenersi dal commettere qualcosa di cui si sarebbe pentito, o forse no. Ad Arya non sfuggì la reazione del Cavaliere e sorrise internamente: Eragon era geloso, geloso per lei.
I due Cavalieri continuarono ad avanzare fino a fermarsi davanti al duca e rivolgendo a questi un lieve inchino. Il duca ricambiò con un gesto del capo. A quel punto la musica e il mormorio ripartirono.
“Sono lieto di vedere che la sua salute sia migliorata” disse il duca rivolgendosi all’Elfa. “E se potrei aggiungere, lei è davvero incantevole questa sera Arya Svit-kona.”
“La ringrazio per il complimento” rispose Arya con un lieve sorriso.
“Sono stato avvertito che la regina desidera urgentemente la vostra presenza a Ilirea, quando intendete ripartire?” chiese il duca
“Domani in tarda mattinata” rispose Eragon
Una donna nel frattempo si era avvicinata e aveva affiancato il duca. Questa aveva dei lineamenti gentili, capelli castani e occhi azzurri, indossava un semplice, ma elegante veste gialla canarino.
 “Lasciate che vi presenti mia moglie Eleonor” disse il duca con un sorriso
“Incantato” disse Eragon baciando la mano della duchessa
“E’ un onore conoscerla Cavaliere, ho sentito molto parlare di lei e delle sue gesta” disse la donna
“Il piacere è tutto mio” disse Eragon
“Come anche di lei Ambasciatrice” disse la duchessa rivolgendosi ad Arya
“Ora se volete scusarci io e mia moglie dobbiamo aprire le danze” disse il duca prendendo la moglie a braccetto.
La gente nella sala si allargò per formare un cerchio, i musicisti iniziarono a suonare un ballo più lento e l’atmosfera si acquietò, tutti gli sguardi erano rivolti verso la coppia che volteggiava dolcemente nella sala. Il duca e la duchessa danzavano ridendo circondati dalla folla che applaudiva. Altre coppie si unirono al ballo di questi. Arya rimase ferma sul bordo del cerchio con Eragon al suo fianco. Il Cavaliere la guardava inquieto e incerto sul da farsi.
“Invitala a ballare”disse Saphira
 “C…cosa? Come faccio?” Chiese il Cavaliere.
“Osservate tutti il gran Cavaliere, uccisore del re oscuro, Ammazzaspettri e flagello dei Ra’zac, intimorito dall’invitare una donna a ballare con lui” disse Saphira con sarcasmo.
“Smettila”sbraitò Eragon
“Come vuoi invitare una donna a ballare?”chiese Saphira “Esiste una semplice domanda: vuoi ballare?”
“D’accordo lo farò”disse Eragon rassegnato.
La dragonessa si ritirò dalla sua mente soddisfatta.
Il Cavaliere si girò verso Arya che stava osservando le coppie danzare nella sala, delicatamente le sfiorò un braccio. L’elfa si girò verso di lui ed Eragon si perse nei suoi occhi smeraldini, dopo un attimo si riscosse.
“Arya… be’, ne abbiamo passate tante insieme e, sempre se non sono troppo diretto, vorrei chiederti se… come dire… vuoi ballare?” chiese il Cavaliere balbettando.
“Certo” sussurrò Arya
Si presero per mano, Arya posò l’altra sulla spalla di Eragon, che a sua volta le cinse la vita con la mano libera. I due volteggiarono in mezzo alle altre coppie, leggiadri come solo loro sapevano essere. Arya sorrise per tutto il tempo fissando gli occhi del Cavaliere e perdendosi nelle varie sfumature azzurre di quegli occhi che sembravano averla stregata.
“Siete un ballerino magnifico, Cavaliere” disse l’elfa
Gli occhi di Eragon brillarono d’orgoglio. Arya lo sentì abbandonarsi al ritmo della musica cominciando a muovendosi in maniere più fluida. Il Cavaliere le fece fare un giro completo intorno a se stesso, i loro corpi si avvicinavano e allontanavano a ritmo della melodia. In quel momento, la gente, la sala, la guerra, erano tutti spariti, in quel momento c’erano solo loro due, Arya ed Eragon. Nessuno avrebbe potuto rovinare quel momento bellissimo, perché quello era il loro momento. Ma ben presto, prima che potesse succedere qualcosa, la musica finì. I due si staccarono a malincuore mandandosi occhiate piene d’amore all’insaputa dell’altro.
“Allora domattina torniamo ad Ilirea. Cosa credi che avrà da dirci Nasuada?” chiese Eragon per interrompere il silenzio imbarazzante caduto tra i due.
Prima che l’elfa potesse rispondere l’uomo che prima stava parlando alle dame si avvicinò a loro e, ignorando deliberatamente Eragon, rivolse un sorrisetto impertinente all’Elfa.
“Assomiglia a qualcuno, ma non so chi”Pensò Arya
“Sono lieto di conoscerla Principessa Arya.” Disse questi baciandole la mano “Io sono Victor del Casato Bogor”
“Ecco a chi somigliava”si disse l’elfa
“Piacere di conoscerla” disse Arya “Bagor ha detto? E’ per caso un parente della contessina Liviana di Bagor?”
“Liviana? Oh si è mia sorella minore” disse Harold “Che ne dice di accettare un ballo principessa?” aggiunse con un sorrisetto
Eragon sentendo quelle parole strinse Arya più a lui e fulminò Harold con un’occhiataccia, questi abbassò lo sguardo intimorito dallo sguardo ghiacciato del Cavaliere, ma non si perse d’animo.
“Solo un ballo, non chiedo altro!” disse l’uomo
“Lord Victor io non…” iniziò l’elfa
“Non si faccia pregare principessa…” disse questi
“D’accordo” sospirò Arya consapevole che non se lo avrebbe tolto dai piedi senza avergli concesso un ballo.
Victor mandò un sorriso di superiorità ad Eragon il quale rispose con un’occhiata vacua. L’uomo prese per mano Arya e l’elfa ebbe appena il tempo di incrociare lo sguardo degli occhi tristi del Cavaliere, prima di essere trascinata nella mischia.
 

 

 

*********


POV ERAGON

Guardai impotente Arya essere trascinata nella folla da “Harold” pensai con una nota di disprezzo, anzi più che una nota un brano intero.
Una mano sfiorò la mia, mi girai e vidi la contessina Liviana rivolgermi un sorriso. La donna indossava un vestito nero e viola ricco di merletti e fiocchi, la gonna era molto vaporosa e di colore nero, tranne che per il bordo dove vi era un nastro nero con sopra ricamate delle rose, il corpetto era molto scollato. Portava una collana d’oro rosso e perle, i capelli erano sciolti e due boccoli le scendevano al lato del viso. Una cintura di perle le cingeva la vita, facendo risaltare le sue forme.
“Cavaliere, sono sola, che ne dite di concedermi un ballo?” chiese lei senza tante cerimonie.
Lanciai uno sguardo ad Arya che danzava con il fratello dalla contessina.
“Perché no” dissi dopo un po’.
Liviana mi prese per mano e mi portò verso il centro della pista da ballo, mi fece poggiare una mano sul suo fianco e insieme iniziammo a danzare. Più ballavamo, più Liviana si avvicinava, ero come impietrito. Il viso della donna era sempre più vicino al mio. Più volte cerci di distogliere lo sguardo da lei ma mi ritrovavo sempre quegli occhi grigi a penetrare nei miei. Decisi di mettere la parola fine a quella situazione congedandomi, ma prima che potessi fare qualsiasi cosa Liviana mi trascinò in una porta su uno dei lati della sala, mi fece voltare un angolo e mi trovai in un lungo corridoio pieno di camere.
Fui sbattuto contro il muro da Liviana, la donna schiacciò il suo corpo contro il mio, aveva il respiro accelerato e i suoi occhi erano pieni di desiderio. Lentamente iniziò a sbottonarmi i primi bottoni della camicia, io capendo le sue intenzione le bloccai le mani, lei mi guardò con occhi sorpresi, molto probabilmente non era abituata ed essere rifiutata.
Cercai di farla allontanare da me, ma lei mi bloccò i polsi e mi baciò. Io non riuscivo a muovermi. Il “bacio” durò alcuni secondi, poi la donna ricominciò a sbottonare la mia maglia, ma questa volta io la bloccai con più forza e la allontanai da me.
“No, è sbagliato” dissi abbottonandomi la camicia con un gesto sbrigativo
“Cosa?” chiese lei non capendo
“Quello che stiamo facendo, io non ti amo Liviana” dissi
“Ma nemmeno io, ma non ti preoccupare, non lo dirò a nessuno, sarà il nostro piccolo segreto.” Disse lei avvicinandosi nuovamente
“No” dissi a denti stretti, lei mi guardò stupita prima di menarmi uno schiaffo sulla guancia e andarsene verso le camere degli ospiti.
Io mi massaggiai la guancia che pulsava dolorosamente, la mia attenzione fu attirata da un rumore di qualcosa che cadeva e si infrangeva sul pavimento. Mi chiesi cosa fosse successo, ma dopo un po’ persi interesso e mi incamminai verso la sala da ballo. Verso Arya, l’unica donna che amavo e che avrei mai amato.

 

********

 
Arya aveva appena finito di ballare con Harold che vide Liviana trascinare Eragon in una porta ai lati della sala. Lanciando un’occhiata alla sala piena di gente, decise di seguirli, spinta della curiosità e da un brutto presentimento. Si ritrovò in un corridoi, su un mobile era esposto un grosso vaso di cristallo, si nascose dietro ad un angolo e sbirciò da dietro di questo.
La contessina si era fermata e aveva sbattuto il Cavaliere contro una porta e aveva schiacciato il suo corpo contro quello di Eragon. Arya rimase impietrita quando la donna prese a sbottonare la camicia del Cavaliere, questi le prese i polsi e poi si baciarono.
In quel momento Arya non capì più niente. Non poteva essere, Eragon si era innamorato di Liviana, no, non poteva essere vero. Nella sua mente continuava a vedere il momento in cui la donna posava le labbra su quelle del Cavaliere. Ancora, ancora e ancora. Lacrime calde iniziarono a rigargli il volto dai lineamenti eleganti.
Arya fece un passò indietro, ma andò a sbattere conto il vaso, che si infranse su pavimento rompendosi in mille pezzi. L’elfa, avendo paura di essere scoperta, si mise a correre verso la sua stanza, arrivata entrò, chiuse la porta e si buttò sul letto tra lacrime e singhiozzi. Non ricordava di aver mai pianto in quel modo, nemmeno quando sua madre era morta, neanche per Faolin aveva versato tante lacrime. Il suo cuore si era spezzato e non sapeva se sarebbe più guarito.
“Arya cosa è successo?”chiese preoccupato Fìrnen.
L’elfa chiuse il contatto mentale con il suo drago, voleva stare da sola con i suoi pensieri. Dopo un po’ sentì un’altra presenza ai margini della sua coscienza, era Saphira. Titubante aprì il contatto con la dragonessa
“Arya…”sussurrò lei preoccupata
“Non mi ama più Saphira, non mi ama più” disse l’elfa reprimendo i singhiozzi
“Certo che ti ama Arya, io so che ti ama”disse lei decisa
“No Saphira, l’ho visto, la stava baciando”disse Arya ricordando quell’orribile momento
La dragonessa non rispose per diversi minuti, molto probabilmente stava parlando con Eragon.
“Non l’ha baciata lui, è stato baciato da lei” disse la dragonessa dopo un po’.
“Davvero?” chiese l’elfa non del tutto convinta
“Arya, io sono stata con lui per tutti questi anni, forse se non ci fossi stata lui si sarebbe lasciato cadere nel vuoto, ha sofferto più di quanto tu possa immaginare per la lontananza delle persone che amava e soprattutto per la lontananza da te. Ma ancor di più ha sofferto per la consapevolezza che tu non lo avresti mai amato. Ogni notte per quasi venti anni ha sognato sempre lo stesso sogno: l’addio sulla Talíta. L’ha sognato anche la notte prima di partire per Alagaësia Ora lentamente il suo cuore sta guarendo, ricordo ancora le forti emozioni che provò quando ti vide una settimana fa. Lo posso giurare anche nell’antica lingua: Eragon ti ama, ti ama più di se stesso.” Disse la dragonessa pronunciando l’ultima frase nella lingua degli elfi.
Arya fu colpita dalle sue parole, non credeva che Eragon avesse sofferto così tanto e per tutti quegli anni. Dopo alcuni secondi si diede della stupida per aver dubitato dell’amore che il Cavaliere provava per lei.  Sorrise, Eragon l’amava, lei e soltanto lei.
“Grazie Saphira”Il suo sorriso si spense quando sentì qualcuno bussare alla porta.
“Arya sei lì dentro?” chiese la voce più bella del mondo, la voce di Eragon.
No, e ora cosa gli avrebbe raccontato? Non poteva dirgli che l’aveva spiato e che aveva pianto per lui. Con gesti sbrigativi cercò di asciugarsi le lacrime e sistemarsi i capelli, ma era impossibile non accorgersi dei suoi occhi rossi e lucidi.
Prima che potesse architettare altro sentì la maniglia della porta abbassarsi e qualcuno che entrava, lui che entrava.
 

*******

 
POV ERAGON

Ritornai nella sala da ballo, sembrava che nessuno si fosse accorto della mia assenza. Il mio sguardo cercò Arya, non la trovai da nessuna parte. Chiesi a qualcuno se l’aveva vista, ma nessuno poté darmi una risposta. Dov’era?
“Eragon cosa è successo?”chiese Saphira.
“Cosa intendi?”chiesi io a mia volta.
La dragonessa non rispose per diversi minuti come se stesse pensando a qualcosa, qualcosa che mi stava nascondendo nei recessi della sua mente.
“Ho sentito le tue emozioni.”Disse in tono accusatorio “Hai baciato Liviana”
“Cosa? Io? Ma è stata lei che ha baciato me e non il contrario!”ribattei “E poi tu sai che io amo Arya, a proposito, sai dov’è?”
“Si è in camera sua” disse lei
“Perché? Non sta bene?”chiesi preoccupato
“Più o meno.”Disse “Fìrnen dice che sta piangendo”
“Piangendo? Ma per cosa?”Chiesi più a me stesso che a lei.
“Eragon!”urlò stizzita “Ti ho detto che non lo so!”
“Scusa, allora io vado da lei”dissi non tanto convinto
“Già”e chiuse il contatto mentale prima che potessi aggiungere altro
Scivolando furtivamente per la sala da ballo mi insinuai nuovamente nel corridoi dove Liviana mi aveva baciato. Il rumore dei miei passi era attutito dai grandi tappeti che ricoprivano il pavimento, durante il tragitto non incontrai nessuno, probabilmente tutti erano al ballo. Questo mi aiutò a riflettere su quale fosse il motivo che aveva fatto piangere Arya, la mia Arya. L’avevo vista piangere solo in pochissime occasioni, ed erano sempre state tragiche. Avevo paura di scoprire cosa fosse successo.
Ma la cosa che mi dava più dolore era che Arya, la donna che amavo, era triste. Non avrei mai voluto che fosse triste. Doveva sorridere, sempre, ogni momento della sua vita. Il suo sorriso per me era come il sole di mezza estate, che riusciva a scaldarmi ogni volta che lo vedevo. Quanto amavo quel sorriso, come ogni altra cosa di lei, i suoi bellissimi occhi verdi, i suoi capelli corvini, il profumo di aghi di pino della sua pelle, come si muoveva, come parlava, ogni singola cosa, che per qualsiasi altra persona sarebbe parsa banale e insignificante, ma che per me, rappresentava il tutto. Un fiore, l’aria che respiravo, tutto, tutto il mio mondo era lei, Arya.
In quel momento mi resi conto che anche se lei non mi avesse mai amato, io l’avrei amata comunque, non per quella promessa che gli avevo fatto diciassette anni prima, ma perché il mio cuore batteva per lei e per nessun’altra. L’amavo, questa era l’unica cosa importante. Per continuare la mia vita mi bastava sapere che lei stava bene e tutto era perfetto. Ma era anche vero che il fatto che lei non mi avrebbe mai amato mi faceva male, tanto male. Desideravo tanto quelle labbra, un solo piccolo bacio. Un solo bacio, da lei, e sarei stato felice per sempre, non avrei voluto altro. Un solo bacio e sarei morto anche in quel momento felice, finalmente felice, per sempre felice.
Così preso da quei pensieri non mi accorsi che ero arrivato. La porta della sua camera era davanti a me, ma io avevo paura di abbassare la maniglia. La mia mano si muoveva lentamente, come in un sogno, non riuscivo a muoverla più veloce, avevo paura. Dopo alcuni interminabili secondi posi la mia mano sulla maniglia e l’abbassai. La porta si aprì senza un cigolo. Entrai.
Lei era lì, seduta sulla parte opposta del letto, di spalle rispetto a me. Si stava asciugando il volto, probabilmente dalle lacrime. Mi avvicinai lentamente, aggirai il letto, mi sedetti accanto a lei e le misi una mano sulla spalla.
Lei si girò verso di me, i suoi occhi erano lucidi e gonfi, alcune lacrime rigavano il suo bellissimo viso, con movimenti gentili gliele asciugai. Mi abbracciò di slancio facendomi perdere l’equilibrio e cadere sul letto, con la testa sul cuscino e lei sopra di me. Le sue curve premettero sul mio corpo, dopo alcuni secondi la sentii iniziare a singhiozzare, aveva riiniziato a piangere. La strinsi più forte a me, ora lei era come un piccolo cerbiatto in cerca della protezione della madre e io gliela avrei data, sempre. Le iniziai ad accarezzare la schiena, a cullarla dolcemente e le posai un lieve bacio sui capelli. Non sapevo perché stesse piangendo, ma non volevo forzarla a dirmelo, me lo avrebbe detto lei a tempo debito e io avrei aspettato pazientemente.
Mentre le accarezzavo lentamente la schiena, i suoi singhiozzi si fecero più bassi finché non tacquero. Solo dopo alcuni minuti mi accorsi che si era addormentata, continuai a cullarla ancora per molto tempo finché anch’io non sprofondai nel mondo dei sogni.
 
Una lettera era appoggiata su un comodino di una lussuosa stanza ben arredata. Tre figure, con lunghi mantelli si dirigevano verso un donna. Una goccia di sangue cadde sul pavimento di pietra levigata insieme a una corona e a fazzoletto con sopra un’iniziale, una G.



 



Ora vi lascio la foto ricordo di miss simpatia 2013 Ledy Livina di Bagor con il vestito del ballo (fa rima)




 



Angolo Autrice


Ecco, finalmente, un'altro capitolo, cioè il continuo del capitolo precedente :laugh:
Si lo so ci ho messo molto tempo dry ma è più lungo, almeno credo, degli altri.
Fatemi sapere cosa ne pensate :laugh: Soprattutto del finale :sospettoso:

Vorrei ringraziare,  in ordine alfabetico:

Per averla messa nelle preferite

Atena230489
ciliegina66
LudoBiebs99
manuelasavoca
Martina__99
Siel
Stefy_81



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E tutti gli alti che la leggono e fanno le recensioni che sono sempre gradite.

Quindi alla prossima
Ciao

DaubleGrock


 

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