Il flauto degli Oceani

di daemonlord89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - L'eredità ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo - L'arrivo a Villa Bent ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo - Il fuoco nell'acqua ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo - Il diario segreto di Amos ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto - Ricordi nascosti tra le pagine ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto - La squadra ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto - Stabilire una rotta ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo - Si parte! ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo - Esplorazione ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono - Immersione ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo - Tra leggenda e verità ***
Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo - I primi sospetti ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo - L'unico piano possibile ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo - Tradimento ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo - La fuga ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindicesimo - Il flauto degli Oceani ***
Capitolo 17: *** Epilogo - Pagine (e note dell'autore) ***



Capitolo 1
*** Prologo - L'eredità ***


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PROLOGO
L'eredità

 

Jeremy non riusciva ancora a crederci. Nemmeno in quel momento, di fronte al notaio che stava leggendo il testamento, poteva capacitarsi della morte dello zio.
Quando, qualche giorno prima, era stato contattato da Diana, la governante di villa Bent, che l'aveva informato della dipartita dell'amato Amos, era stato ad un passo dal cadere in depressione.
Era impossibile, per lui, elencare i bei momenti passati con lo zio, quando era un bambino e trascorreva le vacanze dell'enorme villa sul promontorio di Dover.
Il fratello di sua madre aveva la meravigliosa abitudine di passeggiare assieme a lui lungo la costa, mentre raccontava le meravigliose avventure vissute in mare. Jeremy aveva sempre avuto il dubbio che, su alcune, suo zio ricamasse molto in modo da renderle più avvincenti, ma non gliene era mai importato molto. Amava sentirlo parlare, vederlo emozionarsi mentre lo faceva e mai, per nulla al mondo, avrebbe interrotto un suo racconto.
Ricordava anche la prima volta che lo zio Amos l'aveva portato al largo, per una battuta di pesca. All'età di dieci anni, era quasi caduto in acqua quando una preda aveva abboccato alla sua esca ed era stato costretto a lasciare la canna per evitare di essere trascinato assieme ad essa. L'avventura si era conclusa con grandi risate, come sempre avveniva quando lui e lo zio si trovavano insieme.

Più volte aveva pianto, non volendo tornare nella grigia Londra al termine dell'estate.

Notando che Jeremy si era perso nei ricordi, sua moglie lo toccò con il gomito per riportarlo alla realtà.
Lui si riscosse e notò lo sguardo di tutti puntato su di lui.
All'incontro con il notaio erano presenti poche persone, i pochi parenti ancora in vita che avessero davvero avuto a cuore il vecchio Amos.
“Dunque, signor Axton?” domandò il notaio, alzando il sopracciglio destro.
“Dunque... ehm...”
All'altro capo del tavolo Catherine, una cugina di secondo grado, rise coprendosi la bocca con la mano. La moglie di Jeremy, Margaret, avvampò per la vergogna.
“D'accordo, rileggo la parte che le interessa.” annuì il notaio.

A Jeremy Axton, il mio più caro nipote, voglio lasciare Villa Bent, perché nessuno, meglio di lui, la saprebbe tenere e valorizzare come merita. Allego al testamento l'atto per il passaggio di proprietà. Manca solo la sua firma.

Il notaio allungò un foglio verso Jeremy. Lui lo prese e lo lesse attentamente. Spalancò la bocca quando, finalmente, si rese conto del regalo che lo zio Amos aveva voluto fargli. Gli sembrava un sogno.
Villa Bent, sua.
Rischiò di perdersi nuovamente nei ricordi, mentre immagini di cene a base di pesce e allegre chiacchierate intorno al fuoco del camino in sala gli assalivano la mente. Riuscì a concentrarsi, però, e senza pensarci due volte firmò.

“Molto bene. Questo è tutto.” il notaio chiuse il testamento e salutò cordialmente tutti i presenti. Quando strinse la mano a Jeremy, però, gli passò qualcosa, un piccolo foglio di carta. Si avvicinò al suo orecchio e sussurrò:
“Questo è da parte di suo zio. Mi ha detto di consegnarlo a lei qualora avesse accettato la proprietà della villa.”

Uscirono. Jeremy salì in macchina e controllò il biglietto. Era un pezzo di carta strappato da qualche quaderno, con un messaggio enigmatico.


A5, E7, F2

Jeremy cominciò a pensare ad una possibile interpretazione, quando la moglie lo interruppe.
“Sei contento, amore?”
“Oh, sì, non puoi sapere quanto!”
“Immagino tu voglia recarti a Dover in fretta.” lei sorrise. Lo capiva sempre con uno sguardo.
“In fretta? Non basta.” sorrise anche lui “A Villa Bent ci andiamo domani!”

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Capitolo 2
*** Capitolo primo - L'arrivo a Villa Bent ***


Capitolo primo
L'arrivo a Villa Bent

 

La giornata era stata piuttosto impegnativa, per Jeremy e sua moglie, dopo essere usciti dall'ufficio notarile. Avevano dovuto preparare le valigie, salutare amici e parenti ed avvisarli che sarebbero stati via per qualche giorno.
Diana, la governante di Villa Bent, era stata molto felice alla notizia dell'arrivo di Jeremy, che mancava da ormai più di dieci anni. Per un motivo o per l'altro, non era più riuscito a trattenersi dallo zio Amos per più di un giorno. La donna aveva detto che avrebbe preparato la villa per accoglierli, rassettando e pulendo da cima a fondo ogni stanza.

Margaret non era mai stata a Villa Bent e il marito le spiegò, per filo e per segno, dove si trovava, di quante stanze si componeva, che cosa avrebbe potuto fare durante il giorno e la sera... Insomma, ascoltando Jeremy, la donna si sentiva, in parte, già sul promontorio ad osservare il mare.

Il giorno successivo, di buon'ora, caricarono tutto in auto e partirono alla volta di Erston, un piccolo villaggio a nord-est di Dover, che Jeremy considerava una seconda casa.
Non fecero molte tappe durante il viaggio, perché non vedevano l'ora di arrivare.
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Il villaggio non era diverso da come Jeremy lo ricordava. Era costruito lungo buona parte del costone roccioso che dava sul mare; alcune case si trovavano vicino al porticciolo, al livello dell'acqua, mentre le ultime erano poste a metà della salita. Villa Bent era l'ultimo edificio in cima, molto distante da tutto il resto del paese.
Fu come un tuffo nel passato. Subito Jeremy notò la piccola piazza sulla destra, non lontano dall'ingresso del villaggio, dove giocava con i suoi amici locali da piccolo. Percorsero piano la strada principale, nonché unica via percorribile in automobile, e l'uomo indicava ogni momento a destra e a sinistra, descrivendo i luoghi alla moglie. Dopo una curva, la strada prese un po' di pendenza verso il basso; si stavano avvicinando al molo, oltre il quale avrebbero cominciato la salita.
Jeremy si fermò, accostando a destra.
“Che succede, Jim?” chiese Margaret.
“Devo fare una cosa.” fu la risposta, e il marito aprì la portiera per scendere.

Un attimo dopo, stava camminando sul pontile, con il legno che gemeva e scricchiolava sotto i suoi passi. L'aveva intravista da lontano e voleva assicurarsi che fosse davvero lei.

Sì, pensò gioioso.
Si fermò davanti ad una piccola imbarcazione, attrezzata con alcuni porta-canne per la pesca e una stiva abbastanza ampia per contenere il pescato. Sobbalzava dolcemente, sospinta dalle onde che si infrangevano contro il porto.
Il nome sulla fiancata era
Dalia. La barca di Amos. La barca con la quale per la prima volta aveva solcato il blu dell'oceano, che portava il nome del primo amore dello zio.
Non l'avevano rimossa, ma l'avevano letteralmente ricoperta di fiori. Suo zio era un uomo molto apprezzato, a Erston.
Jeremy passò il dorso della mano sul legno della barca, come per accarezzarla.

Mi manchi, zio. Disse tra sé e sé.

Voltandosi, sorrise alla moglie che lo aspettava in piedi vicino all'auto. Non aveva voluto disturbare il suo momento speciale. Si incamminò verso di lei, quando notò un cartello che attirò la sua attenzione.


Divieto assoluto di navigazione, fino a data da destinarsi.

Era strano. Da quelle parti il mare era solitamente tranquillo. Si guardò intorno per cercare qualcuno a cui chiedere informazioni, ma il porticciolo era deserto. Anche quello era insolito; il paese non era dei più vivaci, ma qualche pescatore si trovava sempre.
Scrollò le spalle e raggiunse la moglie, per riprendere la salita.

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Diana corse loro incontro, felice. Era una donna ormai sulla cinquantina, ma si manteneva in forma grazie ad un esercizio fisico quotidiano e ad una buona dieta. Lunghi capelli neri striati di bianco le scendevano ben oltre le spalle. Indossava un vestito lungo che svolazzava al vento.
“Signor Axton!” salutò.
“Diana!” Jeremy abbracciò la donna. Passarono alle presentazioni e, infine, fecero per entrare nella villa.
Jim, però, fermò la governante.
“Ascolta...”
“Dica, signor Axton.”
“Ho visto un cartello, giù al porto...”
“Oh, capisco. Il divieto, giusto?”
“Sì. Cosa è successo? Non ci sono mai stati divieti.”
“E' una storia strana. Potrà verificare lei stesso, questa sera.”
“Questa sera?”
“Vedrà.” il volto di Diana assunse un'espressione triste. C'era davvero qualcosa che non andava.
“Ma bando a questi discorsi.” disse lei poi “Non vuole entrare?”
“Certo!”

Si avviarono tutti e tre verso il portone di ingresso, che Diana spalancò.
“Bentornato a Villa Bent!”

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo - Il fuoco nell'acqua ***


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Capitolo secondo
Il fuoco nell'acqua

 

Il salone d'ingresso accolse Jeremy e Margaret con la sua maestosità: si trattava di un'unica, enorme, sala di forma quadrata, zeppa di ogni tipo di opera d'arte. Lo zio di Jeremy era sempre stato un cultore di quelle cose. Due statue greche sembravano invitare il visitatore a salire i gradini della grande scalinata che, posta al centro della stanza, portava al primo piano.
Ai lati, diverse porte si aprivano su un'infinità di stanze, che Jeremy conosceva a menadito. Stava sorridendo, incontrollabilmente, e il suo sorriso era contagioso.

“Signor Axton, vuole mostrare la villa a sua moglie? Nel frattempo preparerò il pranzo.” chiese Diana.
“Certo. Andrò a sistemare le nostre cose in camera, per prima cosa. Dove dormiremo?”
“Ovunque vogliate. Ho pulito tutte le stanze, preparato sia quelle del padrone sia quelle degli ospiti. La scelta è solo vostra.” sorrise la governante.
Jeremy la ringraziò e prese Margaret per mano, conducendola al piano superiore. Si fermarono per un attimo sulle scale e l'uomo indicò a destra e a sinistra, per far notare alla moglie la collezione di quadri di Amos. Dipinti di ogni genere erano appesi alle due pareti. Il soggetto principale, comunque, rimaneva il mare. Illustrazioni di navi e di vita tra le onde rubavano la scena a quei pochi quadri raffiguranti momenti di vita cittadina o bucolica.
“Wow, tuo zio doveva essere molto ricco!” commentò Margaret.
“Sì, lo era. Discendeva da una famiglia molto importante per la zona, la famiglia che aveva addirittura fondato la cittadina di Erston. Un tempo erano i governatori, qui. Con la diminuzione del potere dei piccoli proprietari terrieri, sono riusciti comunque a mantenersi benestanti fino ad oggi.”
“Grandioso. Sono troppo curiosa, voglio vedere ogni angolo della villa!”
“Sono qui per questo, amore.” disse Jim, e ripresero a salire.

La loro stanza era enorme, come sembrava essere ogni cosa a Villa Bent. Jeremy aveva optato per una delle camere riservate agli ospiti, perché aveva una finestra che si apriva su un balcone, praticamente il punto più vicino allo strapiombo. Né Jim né sua moglie soffrivano di vertigini, e lo spettacolo offerto da quella sistemazione era impagabile.
Si erano fermati per qualche minuto ad osservare le onde lambire la costa sotto di loro. Jeremy aveva uno sguardo sognante, credeva di essere tornato bambino. La moglie lo abbracciò e si concessero un lungo bacio, prima di riprendere l'esplorazione della magione.

Si fermarono nuovamente quando, dopo essere passati nello studio e nella biblioteca, fornitissima di qualsiasi tipo di libro, finirono nella camera che, un tempo, era abitata da Amos. Il cuore di Jeremy ebbe un sussulto, nel vedere il quadro appeso sopra al letto. Raffigurava lo zio, intento a guardare verso l'osservatore. I lunghi capelli brizzolati scendevano sul volto magro e dai lineamenti fini, incorniciato da una folta barba, che conferiva all'uomo un aspetto quasi da pirata. Gli occhi erano penetranti, di un colore verde acceso.
Era così che Jim ricordava lo zio. Esattamente in quel modo, sorridente ma con lo sguardo sempre fiero ed attento.
“Scusa, amore.” disse lui, mentre delle lacrime gli scendevano lungo le guance. Margaret lo lasciò al suo dolore, uscendo dalla stanza.

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Arrivò la sera. Durante il pomeriggio Jeremy aveva passeggiato lungo il promontorio, per poi fermarsi a prendere il sole. Il vento gli solleticava la pelle ed era impensabile spogliarsi, ma vi era abituato. Cullato da quella sensazione di pace, si era addormentato.
Diana aveva preparato loro una deliziosa cena a base di agnello.

Niente pesce, strano, pensò Jeremy. Forse notando la sua espressione accigliata, la governante si scusò.
“Mi spiace, signore. Si starà certo chiedendo perché non ho servito del pesce. Il fatto è che... E' irreperibile.”
La notizia fece inarcare le sopracciglia a Jim.
“E' per via del divieto di navigazione, vero?”
“Non solo. Anche senza la possibilità di uscire in barca, qualche esemplare avrei potuto catturarlo a riva. Ma...”
“Ma?” incalzò Jeremy.
“Come le ho accennato, il motivo si può vedere solo di sera. Venga con me.”

Si incamminarono verso la stanza scelta dalla coppia, per uscire sul balcone. Diana indicò il mare con la mano destra. Sia Jeremy che Margaret furono sconvolti. Le onde brillavano di un'intensa luce blu, come se fossero state illuminate da un qualche fuoco misterioso.
“Cos'è?” domandò Meg.
“Bioluminescenza.” disse la governante.
“Bio...?”
“Si tratta della naturale capacità di produrre luce di alcuni microrganismi marini. In questo caso, del krill.”
“Krill?” intervenne Jeremy “Vuoi dire che tutta quella luce è prodotta da krill?”
“Aspetta, amore, cos'è il krill?” chiese la moglie.
“Si tratta di un insieme di specie di microrganismi, che sono normalmente cibo per le balene. Un fenomeno come questo non è insolito, ma a questi livelli è strano.”
“Infatti.” concordò Diana “Il krill è ovunque, apparso come per magia. Si parla di miliardi di organismi. Per questo vige il divieto di navigazione e per questo non si riesce a pescare. L'intero ecosistema marino si sta distruggendo. I pesci sono soffocati dal krill e i motori delle barche potrebbero incepparsi a causa dell'immensa biomassa solida.”

Jim e la moglie si voltarono verso la governante, con sguardo interrogativo.
“Com'è potuto succedere?” chiese lui.
“Le balene, signor Axton. Sono
scomparse.”

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo - Il diario segreto di Amos ***


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Capitolo terzo
Il diario segreto di Amos

 

Scomparse?” domandò Jim, ancora incredulo.
“Scomparse.” confermò Diana, con un cenno del capo e un'espressione triste sul viso.
“Com'è possibile? Una specie non si estingue così, da un momento all'altro!”
“Non
estinte. Non a caso ho usato un diverso termine. Sono svanite nel nulla, come se non fossero mai esistite.”
“E' assurdo...” Jeremy cominciò a camminare avanti e indietro, tenendo una mano sul mento mentre rifletteva. La moglie gli si avvicinò e cercò di calmarlo, ma lui sembrava non vederla.
“Quando?” chiese lui.
“Qualche mese fa. E' una cosa recente, ha colto tutti alla sprovvista.”


L'uomo tornò al parapetto. I fuochi dei krill danzavano sull'acqua, silenziosi. Passarono alcuni minuti, in cui né Margaret né Diana vollero interrompere la muta contemplazione. Poi la governante ruppe quella strana magia.
“Suo zio si era interessato a questo fenomeno.”
“Davvero?” domandò Jeremy, come tornando da un sogno.
“Sì, nei suoi ultimi mesi di vita. Aveva raccolto una serie infinita di articoli e pubblicazioni riguardanti questi fatti. So per certo che li possedeva, ma ignoro dove li abbia riposti. Forse, se vuole, potrebbe trovare qualcosa nel suo studio.”
“Sì. Guarderò senz'altro. Grazie, Diana.”
“Si figuri. Ha bisogno di qualcosa?”
“No, grazie. Vai pure a riposare.”
La donna si inchinò e tornò in casa. La moglie di Jeremy gli si avvicinò nuovamente. Aveva quasi paura a parlare.
“Jim?”
Lui si volse a guardarla.
“Tutto bene?”
“Sì...”
“Non è vero.”
“Amore, ti rendi conto di ciò che ci ha detto Diana?”
“Sì, certo. Però tu cosa puoi farci?”
“Non so, ma qualcosa
devo fare.” si stava arrabbiando, una cosa insolita per un uomo mite come lui “Qui sono cresciuto, questo è l'unico luogo che considero davvero casa mia. E ora? Devo vederlo morire? Non ci penso nemmeno.”
“E cosa farai?”
“Non lo so, maledizione!” sbottò, mulinando le braccia. Dopo un attimo, respirò profondamente.
“Scusa, Meg. Non dovevo urlare.”
La moglie lo guardava stranita.
“Ok.” disse solamente, prima di rientrare.
Jeremy diede un colpo con il dorso della mano destra al balcone.

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Un'ora dopo, si trovava ancora nello stesso punto. Si riscosse e decise di dirigersi verso lo studio, per capire qualcosa di più su quella storia. La camera era deserta e non si sentiva un rumore, al piano in cui si trovava. Probabilmente la moglie era scesa. In quel momento non gli importava.

Lo studio lo accolse con la tappezzeria rosso scuro, che rendeva difficile illuminare la stanza anche sfruttando le lampade. Solo una abat-jour sul tavolo riusciva a dare una luce utile per leggere. Jeremy raccolse alcuni volumi alla rinfusa, sperando di trovare qualcosa di utile. Cominciò a controllarli, fissando per diversi minuti ogni pagina. Andò in cucina, prese dello sherry e tornò lì. Non riusciva a dire quanto tempo fosse passato, quando finalmente trovò un indizio.
Nulla di ciò che aveva letto riguardava le balene, ma sulla pagina finale di un libro di pesca trovò una scritta, vergata a mano.


A chi saprà vedere attraverso l'occhio del giocatore, rivelerò i miei segreti.

La scrittura, senza dubbio, era quella dello zio Amos.

Giocatore... pensò Jim. Suo zio non era mai stato un amante degli sport, eppure quella parola gli diceva qualcosa, gli faceva suonare un campanello.
Giocatore... ma sì!

Corse nella stanza del vecchio padrone di Villa Bent ed osservò il quadro che lo ritraeva. Aveva visto bene. Dietro ad Amos era dipinta una scacchiera. L'uomo era un amante degli scacchi. L'indizio conduceva senza dubbio lì. Ma quindi?
E' dietro allo zio... Dietro... Dietro il quadro?
Jeremy spostò la grande cornice e la rimosse dalla parete, rivelando una cassaforte che riprendeva il motivo di una scacchiera.
Sì! E ora?... Ma certo!
Prese il biglietto che il notaio gli aveva consegnato. I numeri e le lettere potevano indicare delle caselle. Provò a premerle e vide che rientravano nella parete, con un suono meccanico. Quando premette l'ultima casella, il pannello scorse verso l'alto, rivelando l'interno della cassaforte.

Fogli, giornali, diari. Era senza dubbio ciò a cui aveva accennato Diana. La documentazione di Amos. L'aveva nascosta e aveva fatto in modo che solo lui, Jeremy, la potesse trovare. Chiaramente aveva fiducia nel nipote, credeva che avrebbe potuto risolvere quello strano caso; non intendeva deluderlo.
Raccolse tutto e tornò nello studio.


Stanotte non si dorme.

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto - Ricordi nascosti tra le pagine ***


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Capitolo quarto
Ricordi nascosti tra le pagine

 

I fogli che Jeremy aveva estratto dalla cassaforte segreta erano una raccolta di annotazioni e ricerche dello zio Amos, tutte riguardanti le balene. A quanto sembrava, negli ultimi mesi di vita dell'uomo, quella faccenda era diventata un'ossessione. Jim non sapeva da dove iniziare, così prese un blocco a caso ed iniziò a leggere.
Sulle sue pagine erano disegnati i profili di quei cetacei, con indicate tutte una serie di caratteristiche biologiche piuttosto interessanti. Più volte era sottolineata un'annotazione: sensibili al rumore.
Nella pagina successiva la questione era ripresa e Amos parlava del fenomeno delle spiaggiate. Indicava, come possibile causa, le alte frequenze dei sonar subacquei, che pareva avessero il potere di far sanguinare le orecchie ai cetacei, danneggiando il loro cervello e portandoli verso le spiagge dove avrebbero trovato la morte.
Era inquietante, ma ancor più strana era l'ultima frase.

Considerando la loro sensibilità al rumore, è del tutto possibile che ciò che vidi quella notte sia stato realtà e non sogno.

Cosa intendeva Amos? Deciso a scoprire di più, Jeremy continuò a vagliare le ricerche. Amos aveva anche condotto uno studio, tramite alcuni amici e conoscenti, i cui nomi erano tutti indicati, per comprendere e valutare l'entità del fenomeno. Aveva riscontrato alcune stranezze. Stando alla mappa, inizialmente le balene erano scomparse da alcune aree ristrette, relativamente alla vastità del mare. Con il passare del tempo, poi, altri cetacei avevano seguito il loro destino, da aree diverse. Sembrava che i mammiferi fossero scomparsi a scatti, a scaglioni temporali. Un biologo marino francese riferiva che il fenomeno si era spinto fino a loro.
Le conclusioni erano all'ultima pagina:

La natura del fenomeno lascia intendere che le balene siano effettivamente state chiamate lontano dalle coste, verso una destinazione ignota. Chiunque le stia chiamando lo sta facendo secondo uno schema ben preciso, che non riesco a comprendere. In ogni caso, l'ipotesi che qualcuno stia suonando il flauto si fa strada sempre di più nella mia mente.
Come vorrei poter indagare maggiormente. Ma sono troppo vecchio, non mi rimane granché da fare, né da vivere. Confido nel mio erede, cui di seguito lascio i recapiti di tutte le persone che mi hanno aiutato in questa missione.
Ti prego, Jeremy, riporta le balene a casa loro. E ricorda, nessun governo ha dato notizia di questa faccenda terribile. Ritengo ci sia qualcosa di marcio sotto.
Buona fortuna.


Una lacrima bagnò il foglio. Jim si asciugò gli occhi e annuì, a sé stesso e a suo zio. Non l'avrebbe deluso. Strappò il foglio con i numeri di telefono, deciso a chiamare qualcuno l'indomani. Ma c'era ancora qualcosa che non capiva. A quale flauto si riferiva suo zio? A quale notte? Probabilmente il posto migliore dove cercare informazioni aggiuntive era un diario.

E lo trovò. Rilegato in cuoio, dall'aspetto importante e vissuto, un diario era effettivamente tra i fogli nascosti dietro al quadro. Era vecchio, sicuramente più vecchio di Jeremy.
Con timore reverenziale, l'uomo lo aprì ad una delle prime pagine. La data riportata era 1942, la scrittura era quella di un bambino. Affascinato, Jim cominciò a leggere e capì subito che cosa aveva davanti: il primo diario personale dello zio, un volumetto che aveva accompagnato Amos durante tutta la sua vita e i suoi viaggi. In un momento diverso avrebbe perso la notte ed il giorno successivo a leggere ogni singola riga e, forse, lo avrebbe fatto in seguito, ma in quel momento doveva cercare qualcosa di più importante. Controllò velocemente fino a che l'occhio non gli cadde su un'annotazione che parlava di un flauto. Tornò all'inizio del racconto e cominciò a leggere.

25 aprile, 1963
Il mio cuore trema ancora, al ricordo di ciò che ho visto questa notte.
Ero fuori a pescare, come ormai quasi sempre, nonostante gli avvertimenti di mio padre, che riusciva a percepire l'avvicinarsi di una tempesta. Mi sono spinto al largo per cercare di catturare qualche esemplare di taglia, quando ho pagato il prezzo della mia disattenzione. Concentrato sulla lenza e sulle nuvole scure che riuscivo ad intravedere, non mi sono accorto che la barca si stava dirigendo verso alcuni scogli, sulla costa di un'isola disabitata. Le rocce hanno danneggiato scafo e motore. Ho cominciato ad imbarcare acqua e non riuscivo a far partire l'imbarcazione.
La tempesta si è abbattuta su di me poco dopo. Sono stato sbattuto a destra e a sinistra ed ero convinto che non sarei sopravvissuto. Ho cominciato a pregare e, forse, un dio è venuto in mio aiuto. Nel delirio della danza del mare, i miei occhi hanno individuato una figura umana, sull'isola. Ho gridato aiuto, ma la mia voce non era più forte del rombo del tuono.
E' stato allora che ho sentito il suono. Sembrava la nota di un flauto, ha squarciato la notte e il vento. L'acqua intorno a me si è fatta più scura e due piccole balene sono emerse dalle profondità. Credevo di essere definitivamente spacciato quando, guidate dal suono del flauto, le due nuove arrivate mi hanno letteralmente spinto verso riva, un tragitto che non avrei mai potuto compiere a nuoto in quelle condizioni. Grazie ai cetacei sono approdato su quell'isola.
Mi sono alzato per ringraziare l'uomo che aveva chiamato le balene, ma lui era scomparso.
Non so se racconterò a qualcuno di quest'avventura. Nessuno mi crederebbe. Forse è meglio che rimanga solo una storia scritta tra le pagine del mio diario.


Un flauto con il potere di comandare le balene?
Jeremy cominciò a riflettere su tutti i possibili scenari che quell'annotazione apriva. Amos credeva che qualcuno avesse nuovamente suonato quel misterioso flauto, per attirare lontano le balene. Ma perché? Chi poteva avere interesse a fare una cosa del genere?

Jim si stiracchiò. Era davvero troppo stanco, non sarebbe riuscito a fare altro, per quella notte. Ma il giorno dopo si sarebbe attivato per capire qualcosa di più, contattando qualcuno dei ricercatori indicati da suo zio. Era più che mai deciso a vederci chiaro ed era certo di una cosa: se quel flauto fosse realmente esistito, avrebbe potuto rappresentare anche l'unico modo per far tornare le balene.

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto - La squadra ***


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Capitolo quinto
La squadra

 

Fu il profumo della colazione a svegliare Jeremy, la mattina successiva. La dolce fragranza del bacon e delle uova inondò la stanza. Si mise a sedere sul letto con un sorriso. Sua moglie non era lì. Controllando l'orologio notò che erano quasi le dieci, piuttosto tardi; sicuramente Margaret era già scesa. La conferma di ciò la ebbe quando, scendendo le scale, la sentì chiacchierare con Diana.
“Buongiorno.” salutò Jeremy, entrando in sala da pranzo. La tavola era apparecchiata ed ogni ben di Dio era pronto per essere consumato. Margaret gli sorrise, salutandolo a sua volta. Bene, buon segno. La breve litigata della sera prima sembrava dimenticata.
“Buongiorno, signor Axton.” chiamò la governante “Se dovesse trovare qualcosa di troppo freddo me lo faccia sapere, provvederò subito a cucinarlo di nuovo.”
“Oh, non preoccuparti, Diana. Non sarà un problema. Non credevo di svegliarmi così tardi.”
“Bene, signore.”

Jim e Meg rimasero da soli. Lei sorseggiò un succo di frutta, guardando il marito negli occhi.
“Fino alle quattro, sei stato sveglio.”
Ahi, pensò Jeremy. A quanto pareva non era tutto dimenticato.
“Sì, ho letto alcune ricerche effettuate da mio zio.”
“Mmm.”
“Ascolta, è importante per me.”
“E perché?”
“Perché sì, perché è quello che...”
Fu lei a terminare.
“Che voleva tuo zio?”
“Sì, esatto.”
“Non ti capisco, Jim.”
“Non pretendo che tu mi capisca del tutto, ma che almeno riesca a comprendere quanto ciò è importante per me.”
La discussione finì lì. La colazione la terminarono in silenzio, un silenzio carico di incomprensione. A Jeremy dava sui nervi il comportamento della moglie, lei non poteva sapere quanto era importante Amos per lui.

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Incominciò a fare telefonate poco dopo pranzo. Subito individuò un paio di nomi a suo parere più importanti di altri, un biologo marino di Dover e un esperto di immersioni di origine tedesca.

Il telefono del biologo squillò a vuoto per qualche secondo, poi rispose una voce calda e professionale allo stesso tempo.
“Sì?”
“Parlo con Nathan Falker?”
“Sì, cosa posso fare per lei?”
“Sono Jeremy Axton, nipote di Amos Bent.”
“Ah, il vecchio Amos! Ho saputo della sua scomparsa, le porgo le mie più sincere condoglianze.”
“La ringrazio, signor Falker. La chiamo per via delle ricerche che, a quanto ho notato, stava conducendo per conto di mio zio.”
“Sì, certo. Cosa voleva sapere?”
“La storia della scomparsa delle balene mi interessa e voglio sapere se sia possibile fare qualcosa. Una mezza idea la ho, ma ho bisogno di parlarle di persona. Potrebbe raggiungermi ad Erston, a Villa Bent?”
“Sì, senza dubbio. Posso arrivare domani, nel tardo pomeriggio. Prima, purtroppo, ho degli impegni.”
“Va benissimo. La saluto, signor Falker.”
“Arrivederci.”

Bene, uno era andato. Ora mancava il secondo. A quanto emergeva dai diari, il sub aveva compiuto ricerche anche nelle profondità, sul campo. La sua consulenza sarebbe stata preziosa.

“Hallo?”
“Andreas Neumann?”
“Ja, chi parla?”
“Jeremy Axton, nipote di Amos Bent.”
Sembrava di recitare un copione.
“Oh, buongiorno. Mi dica pure!”
Jeremy disse più o meno le stesse cose che aveva detto a Falker. Neumann si dimostrò ancora più interessato del biologo e promise che, prima di sera, sarebbe arrivato a Erston.
Felice, Jim lo salutò e decise di andare a fare due passi in paese, per stemperare la tensione dell'attesa.
Portò con sé i diari e si mise a leggerli nuovamente sul ponte della Dalia.

“Jeremy?” lo chiamò qualcuno, dal molo. Voltandosi, vide una donna all'incirca della sua età, bionda e con gli occhi castani. I lineamenti piuttosto marcati del viso gli ricordavano qualcuno.
“Jim, sei davvero tu? Sono Annika!”
“Oh, mio Dio!” esclamò l'uomo. Si trattava di una vecchia amica, con cui amava giocare quand'era più piccolo. Si salutarono e cominciarono a parlare del più e del meno. Quando Annika vide i diari, Jeremy mostrò le ricerche e illustrò le sue teorie. Anche la donna, disse, si era interessata a quella faccenda.
“Ascolta, Anni, domani sera dovrebbe arrivare un biologo marino e dovremmo discutere di questa situazione: se sei interessata, perché non ti unisci a noi?”
“Molto volentieri! Allora, a domani!”

Dopo aver salutato l'amica, Jeremy rimase sulla Dalia ancora per un'ora, prima di ritornare a Villa Bent. Arrivato alla casa, notò che un'auto era parcheggiata a fianco della sua. A quanto pareva, il signor Neumann era già arrivato, senza che lui se ne accorgesse.
Entusiasta, varcò le porte della casa, pronto a conoscere il primo componente della sua squadra.



 

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto - Stabilire una rotta ***


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Capitolo sesto
Stabilire una rotta

 

Jeremy era rimasto colpito dalla giovane età di Andreas Neumann, ventidue anni. Eppure, a sentirlo parlare, a vederlo muoversi e, soprattutto, ascoltando i suoi ragionamenti, sembrava di gran lunga più adulto. Probabilmente la sua storia personale lo aveva portato a quello, ma a Jim sembrava scortese domandargli qualcosa di personale la sera del loro primo incontro.
Non era stato semplice spiegare a Margaret il motivo della presenza di quell'ospite. Lei era andata su tutte le furie per il mancato avviso e, anche se aveva cercato di comportarsi civilmente, aveva più volte attirato il marito fuori dalla sala da pranzo per sputargli addosso tutto il veleno che aveva in corpo.
Disse che avrebbe voluto vivere una sorta di vacanza, da sola con lui, mentre lui le stava riempiendo la casa di gente. Alla notizia che, il giorno dopo, sarebbero arrivati anche il dottor Falker e Annika, Meg smise nuovamente di parlare.
Intuendo l'andamento della serata, Neumann preferì non accennare alla faccenda delle balene e si ritirò presto nelle sue stanze, affermando di accusare stanchezza.
Jeremy rimase deluso; avrebbe voluto discutere subito delle teorie del sommozzatore, ma dovette accontentarsi.

Passò un giorno e arrivò nuovamente la sera.
“Jim.” Meg lo chiamò, mentre si stava dirigendo con Andreas verso il salotto, per sorseggiare un goccio di liquore mentre attendevano gli altri. Per tutto il giorno la donna era stata scostante.
“Dimmi, amore.”
“Vieni.”
“Beh, io vado giù, la aspetto.” intervenne Neumann, prima di prendere le scale.

“Jim, perché fai tutto questo? Te lo chiedo un'altra volta.”
“Perché è importante.”
“Questo l'hai già detto.”
“Ma è la verità. Vuoi che ti dica che non mi interessi più, che trovo più intelligente correre dietro alle balene, piuttosto che starti a sentire? Vuoi che faccia la figura del bambino? Vuoi una scusa per essere arrabbiata con me?”
“Non parlarmi così!”
“Non vorrei, ma mi costringi a farlo! Ti sto dicendo la verità, cavolo, solo la verità! Non ti va bene questo? Preferiresti delle menzogne?”
Lei si mise a piangere e fece per andarsene. Jeremy si pentì del tono utilizzato e la prese per un braccio. Quando lei cercò di divincolarsi la strinse a sé.
“Amore, ti prego. Scusami, sono stato duro. Ti prometto, ti giuro, che finita questa storia saremo solo io, te e il mare. Ti chiedo solo di aver pazienza.”
“Io... Ok.” concesse Margaret, con un tono che lasciava trasparire ciò che realmente avrebbe voluto dirgli: crepa.
Ma Jim non aveva tempo per discutere ancora. Qualcuno bussò alla porta. Lui e la moglie si guardarono negli occhi ancora per un attimo, poi si lasciarono. Lei si ritirò in stanza.

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Erano seduti ad un tavolo, con bicchieri colmi di liquore e i diari di Amos aperti in mezzo. Nathan Falker era esattamente come la sua voce al telefono lasciava immaginare: serio ma educato, vestito elegantemente e a suo agio con le persone. Aveva già superato i quarant'anni e i capelli bianchi gli davano un'aria di saggezza. Aveva appena finito di raccontare un divertente aneddoto sulla sua vita come ricercatore e professore e tutti stavano ridendo. Andreas si passò una mano nei lunghi capelli biondi.
“Signori.” disse “Quando volete, direi che possiamo cominciare a parlare di cose serie.”
“Hai ragione.” rispose Annika. Avevano già deciso di darsi del tu, avrebbe sicuramente facilitato i rapporti.
“Dunque, Jim.” Nathan allungò una mano aperta verso l'uomo “Cosa ci puoi dire?”

Jeremy spiegò a grandi linee tutto ciò che aveva scoperto, esitando sulla parte del flauto, pur cosciente che si trattava della più importante.
“Ecco, io so che può sembrare assurdo, eppure... Non so, sarà che si tratta di mio zio, ma credo che abbia riportato ciò che davvero ha visto, non semplici fantasie.”
Neumann si alzò e cominciò a camminare, la sua figura illuminata dal fuoco del camino scoppietante.
“Jeremy, tu hai letto Der Schwarm?” chiese.
“Non mi dice nulla.”
“Oh, ja, scusa, dimenticavo, qui da voi dovrebbe essere stato pubblicato come Il quinto giorno.”
“Oh, sì!” annuì Jim con vigore “E' senza dubbio il mio libro preferito.”
“Ecco, sulla base di quello...”
“Ehi, ehi!” intervenne Annika “Di cosa state parlando?”
“Giusto, Anni, scusa. S'impone una spiegazione.” si scusò Jeremy “E' un libro, un thriller che ipotizza l'esistenza di una razza intelligente che condivide la Terra con l'uomo, dimorando negli abissi marini. Vedendo gli scarichi, la pesca intensiva e le altre azioni nocive dell'essere umano come un invasione del loro territorio, questi esseri decidono di vendicarsi e di distruggere l'umanità.”
“Stai dicendo che potrebbe succedere una cosa del genere?” Annika aveva gli occhi sgranati, mentre fissava Andreas.
“Ah, no! Non preoccuparti, se fosse così saremmo già morti. Gli eventi del libro si svolgono in un lasso di tempo di gran lunga inferiore.”
“Fiuu. E quindi?”
“L'autore di questo capolavoro, pur partendo da un'ipotesi, alla fin fine, di fantascienza, porta un sacco di prove a sostegno della sua tesi. Prove scientifiche. Ciò che voglio dire è che non dobbiamo escludere l'esistenza di un flauto che controlla le balene. Non tutto ciò che sembra sovrannaturale lo è davvero.”
“Sono d'accordo.” annuì Falker “Le balene comunicano sulla base di un sistema di suoni, che noi chiamiamo canto. Con le conoscenze appropriate, si potrebbe, in teoria, costruire uno strumento che riprenda le stesse frequenze. Con un po' di abilità, inoltre, si potrebbe persino imparare il linguaggio dei cetacei.”
“Wow.” Annika era affascinata.
“Bene, vedo che almeno su questo siamo tutti d'accordo.” sorrise Jim “La domanda è: da dove cominciamo?”
“Beh, direi dall'isola descritta da tuo zio!”

Analizzarono con attenzione il testo del diario, in modo da avere ben chiara, in mente, la conformazione dell'isola.
Nathan Falker chiese se la barca utilizzata fosse la stessa che ora era legata al molo; Jeremy disse di sì, si trattava di una barca ereditata dal padre. Aveva cambiato nome e motore, ma lo scafo era lo stesso.
“Ok. Dunque, una barca del genere non può tenere il mare aperto, non avrebbe benzina a sufficienza. Anche ipotizzando che tuo zio abbia riempito ogni spazio disponibile con taniche di riserva, la distanza percorribile rimane poca.”
Presero dunque una mappa e, escludendo la zona vicina alle coste, tracciarono delle linee per delimitare il raggio di movimento della Dalia. Andreas accese un PC portatile e controllò quella zona sulle mappe di Google, ingrandendo al massimo l'immagine.
“Schön!” esclamò “Ecco qui la nostra isola!”

La mappa mostrava un insieme di scogli, che sembravano corrispondere perfettamente alla descrizione nel diario. Si trovavano all'interno del raggio individuato, quindi i dubbi erano pochi.
“Grande!” Jeremy era entusiasta.
“Perfetto, ora sappiamo dove andare.” sorrise Falker “Ma come faremo?”
“Già...” Jim rifletté “Il krill è un bel problema, per il motore.”
“Beh.” intervenne Annika “Si potrebbe montare una specie di scudo attorno all'elica, in modo da ridurre i danni.”
“Eh, ma chi potrebbe farlo?”
“Io!”
“Tu, Anni?”
“Certo! Sono meccanica!”
“Ah! Ah!” rise Andreas “Sei piena di sorprese! Fantastico!”
“Grazie, Andreas. Ma ci serve comunque una barca.”
“Oh, non c'è problema.” la rassicurò Jeremy “Abbiamo la Dalia.”
“E come faremo a prenderla? C'è il divieto.” obiettò Nathan.
“Oh, i divieti sono fatti per essere infranti.”



 

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo - Si parte! ***


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Capitolo settimo
Si parte!

 

C'è solamente un'ultima cosa da chiarire.”
La riunione si era protratta per molto tempo e dalle finestre non entrava più nemmeno la luce della luna. L'unica illuminazione era fornita dalle braci del camino, ancora accese.
“Esattamente, quali sono stati i risultati delle vostre ricerche per conto di mio zio?” chiese Jim.
“Oh, per quanto mi riguarda, sono stati scarsi.” fu Nathan a rispondere “Mi ha chiesto semplicemente delle consulenze riguardanti la vita e il comportamento dei cetacei. Probabilmente il nostro Andreas ha concluso qualcosa, invece.”
“Nein, purtroppo.” Neumann scosse la testa “Ho effettuato diverse immersioni nei punti in cui erano scomparse le balene, ma non ho trovato granché. Non c'erano cadaveri, non c'erano segni di lotta. Niente di niente. Scomparse.”
“Dannazione. Ma, Andreas, come hai fatto ad immergerti? Il krill bioluminescente non è un problema?”
“Non più di tanto. Sarebbe un problema se non avessi la tuta e il respiratore. In quel caso, probabilmente, soffocherei. Ma la mia attrezzatura è perfettamente in grado di sostenere la presenza di quegli esserini.” spiegò lui “Non ci sono molti organismi, nel krill, in grado di lacerare una tuta e, comunque, la mia è costruita in un materiale piuttosto resistente, così come lo sono i tubi delle bombole. Non ho un motore, ovviamente, a parte le braccia e le gambe, quindi niente che si possa inceppare!”
“Ottimo.” concluse Jeremy “Allora, Anni, ci penserai tu a montare il nuovo motore?”
“Nessun problema.” sorrise lei.
“Allora buonanotte, signori. Ci si trova domani sera, alla stessa ora di oggi.”

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Il rumore di macchine riempiva il porticciolo, la mattina successiva. Annika aveva un capanno dove venivano portate le barche per la manutenzione, poco lontano dal molo. Quel giorno, la
Dalia era stata trasportata fino ad esso e tirata in secca in modo che la donna potesse lavorarci. Nessuno dei suoi collaboratori aveva avuto sospetti perché, a causa del divieto e dell'inattività delle imbarcazioni, ciascuna di esse veniva sottoposta ad un controllo periodico. Tutto ciò che Anni aveva fatto era stato cambiare il turno della barca di Amos; a chi le aveva chiesto il motivo di quello scambio, lei aveva risposto che si era insospettita durante una veloce ispezione al porto. Sospettava un danneggiamento eccessivo del motore e della chiglia.
“Fatto, signorina Nilsen!” la informò uno dei suoi meccanici, dopo che la
Dalia fu sollevata dall'acqua. La barca oscillava, sospesa a dei cavi collegati a un paio di gru.
“Grazie, Travis. Allora, forza, sapete cosa dobbiamo fare! Controllo completo! Voi due, sul ponte, tu a prua, io controllo il motore!”
Ovviamente, quegli ordini non erano stati frutto del caso; aveva bisogno di non avere nessuno a controllarla.
L'ispezione fu, come sempre, minuziosa. I meccanici controllarono ogni anfratto della barca, per essere sicuri di non tralasciare nessun particolare. Informarono Annika che tutto era a posto. Lei fu felice di sentirlo, le serviva che la
Dalia fosse in condizioni perfette.
“Il motore com'è, Anni?” domandò Marcia, una collaboratrice.
“Mmm. Così è così. Non è messo benissimo, purtroppo il krill ha avuto effetti devastanti. Credo che dovrò lavorarci un po'.”
“Bene, cosa dobbiamo fare?”
“Oh, no. Non preoccupatevi. Faccio io, voi potete andare.”
“Come?”
“Avete sentito, no? Andate, giornata libera!”
Pur poco convinti, i meccanici non esitarono a lasciare il capannone, dopo aver salutato il loro capo. Una giornata senza lavoro capitava a fagiolo, un po' di riposo avrebbe fatto bene a tutti.

“E ora” disse Annika a sé stessa, rimasta sola “al lavoro.”

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La sera scese e, come sempre, il mare si accese di quel fuoco innaturale. Jeremy stava quasi cominciando ad apprezzare quei colori, che illuminavano la costa. Il loro significato, però, gli faceva paura.
Per buona parte del pomeriggio aveva sentito, nel silenzio di Erston, i rumori provenienti dal capannone di Annika. Erano cessati all'incirca per le cinque, segno che l'amica aveva terminato.
Jim si trovava ad una finestra del primo piano, ad aspettare la donna. Quando la vide arrivare lungo la strada, si precipitò ad aprire la porta, informando Nathan ed Andreas che l'ora era giunta. I due smisero di giocare a carte e lo seguirono.
Annika era radiosa, il suo sorriso portava solo buone nuove.
“Fatto?” domandò Jim.
“Certo!”
“Allora si va?” intervenne il professor Falker.
“Sì. Dove avete messo l'attrezzatura?”
“Laggiù.” Jeremy indicò verso lo strapiombo. Durante il pomeriggio lui e Andreas erano scesi in una grotta naturale, per depositarvi l'attrezzatura da sub, che sarebbe stato impossibile portare al capannone senza destare sospetti. Quella grotta era stata il rifugio segreto di Jeremy, da bambino.
“Ok. Allora seguitemi, la
Dalia vi aspetta.”

Qualche minuto dopo erano sulla barca. Avevano controllato più volte che non ci fosse nessuno in giro, per evitare di essere scoperti. Il silenzio era totale, interrotto solo dai passi sul ponte dei quattro, che comunque cercavano di fare il minor rumore possibile.
Annika aveva mostrato ai compagni il proprio lavoro, orgogliosa di ciò che aveva fatto. L'elica era ora protetta da una sorta di scudo, che non inibiva la propulsione, ma riusciva a tenere lontano il krill. Era una protezione parziale, ma per quello che dovevano fare bastava ed avanzava.

La
Dalia uscì dal porto. Il motore era anche molto silenzioso. La guidarono fino alla grotta, dove Jeremy e Andreas scesero per recuperare muta, respiratore, telecamera subacquea e un monitor da posizionare sulla barca.
Il cellulare di Jim vibrò.
“Dannazione. Pronto?”
“Jim, dove sei?” era Margaret. Improvvisamente l'uomo si rese conto di non aver detto nulla alla moglie, eccitato com'era all'idea di ciò che doveva fare.
“Io... io sono... Sto partendo. Per l'isola di Amos.”
“Cosa?”
Andreas caricò le sue cose, lasciando l'amico in balia della furia della moglie. Il litigio durò diversi minuti, dopodiché Jeremy raggiunse gli altri.

“Qualche problema, mein freund?” chiese Neumann, notando l'espressione di Jim.
“Molti. Ma sono problemi miei, non preoccupatevi.”
“Vuoi che rimandiamo?” domandò Nathan.
“Assolutamente no. Andiamo. A Meg penserò dopo.”
Non suonava convinto, ma agli altri tre bastò quello.

La
Dalia prese il largo, facendosi strada nel mare di fuoco blu.



 

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo - Esplorazione ***


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Capitolo ottavo
Esplorazione

 

La formazione rocciosa individuata grazie ad Internet non era molto lontana dalla costa e, quando i quattro giunsero vicino ad essa, il sole non era ancora sorto, anche se in lontananza il suo alone luminoso era già visibile.
“Ok, fermiamoci!” annunciò Jeremy, controllando le mappe “Non dobbiamo rischiare troppo, cominciano già a vedersi i primi scogli, non possiamo permetterci di subire danni.”
Il viaggio era andato bene e il krill non aveva creato problemi, come Annika aveva promesso. La donna aveva fatto davvero un ottimo lavoro, con il motore.
Fermarono la barca e gettarono l'ancora.
“Che dice l'ecoscandaglio?” domandò Andreas a Nathan, che stava controllando gli strumenti. La mappa virtuale del fondale mostrava un ammasso di puntini neri, tutti attaccati.
“Mah, c'è krill. Solo maledetto krill. Purtroppo la situazione è confusa e, da qui, non posso dirti nulla. Dovrai immergerti tu.”
“Schön. Allora mi preparo!”
“D'accordo. Allora, signori, come ci dividiamo?”

La domanda nasceva dall'idea che avevano avuto poco prima. Andreas aveva delle tute di riserva e, anche se non calzavano perfettamente, tutti avrebbero potuto utilizzarle. Avevano deciso, dunque, di dividersi in due gruppi da due persone, in modo da controllare sia il fondale che l'isola vera e propria. Andreas sarebbe stato, ovviamente, assegnato all'immersione. Uno degli altri avrebbe dovuto rimanere sulla
Dalia per controllare il monitor, mentre gli altri due si sarebbero avvicinati a nuoto alla costa, per esplorare in cerca di qualche indizio riguardante l'esistenza del flauto.
“Mah, l'isola non è esattamente accessibile, bisognerà faticare e sfruttare abilità fisiche che, forse, voi uomini possedete maggiormente.” propose Annika.
“Ok. Jim, a te va bene?” chiese Nathan.
“Più che bene.”
Si misero la muta. A Jeremy andava stretta, mentre era leggermente larga sulle spalle di Falker. Andreas rise, la sua voce distorta dalla maschera.
“Siete bellissimi!”
“Oh, crepa!”
Risero tutti, mentre finalmente il sole faceva capolino all'orizzonte, riscaldando un po' l'ambiente. Ad un segnale, i tre si gettarono in acqua, chiedendosi che cosa avrebbero trovato.

 

Agli occhi di Jim, il mare era una bolgia infernale. Milioni, miliardi di animaletti non più grandi di un'unghia gli offuscavano la visuale. Solo facendosi strada a bracciate riusciva a vedere dove stava andando. Notando la gamba di Nathan poco più in là, la toccò per chiamarlo. Questi si voltò nella sua direazione, e Jeremy gli fece capire a gesti che avrebbero avuto più fortuna se si fossero tenuti per mano, in modo da non perdersi. Il biologo annuì e procedettero insieme verso l'isola.
Quando emersero, notarono di essere arrivati a destinazione: davanti a loro una striscia di sabbia delimitava il perimetro della terraferma. Si issarono sulle rocce e si tolsero il casco. Jeremy guardò in direzione della barca, per fare segno ad Annika che erano sani e salvi. L'amica rispose con un pollice alzato.
“Ottimo. Wow, Nate, hai visto quanto krill?”
“Assurdo.” Nathan scosse il capo “Non credo di aver mai visto una tale quantità di zooplancton tutta concentrata in un punto. Mi chiedo come farà Andreas a vedere qualcosa.”
“Già, è anche la mia paura. Beh, per ora non possiamo stare a pensarci troppo, non servirebbe a nulla. Ci conviene fare ciò per cui siamo qui.”
“Giusto.”

L'isola era davvero vicina all'impraticabilità. Se Amos non avesse lasciato quell'appunto sul diario chiunque l'avrebbe vista come uno scoglio disabitato e del tutto inservibile. Non cresceva vegetazione e la fauna si limitava a dei piccoli granchi, che zampettavano spaventati ad ogni passo dei due uomini.

Dopo aver camminato per qualche decina di metri, si resero conto che non c'era modo di circumnavigare l'isola senza passare per il centro. Il problema era che il centro era costituito da una corona di rocce aguzze.
“E ora?”
“Mmm. Guarda là.” Nathan indicò un tratto pianeggiante che avrebbero potuto raggiungere facendosi strada agilmente tra gli scogli e saltando per coprire l'ultimo tratto in volo.
“Ok, andiamo.”

Quando arrivarono a toccare il suolo, Jim baciò la terra. Durante il salto era quasi scivolato e si era visto atterrare sulla punta di una roccia. Nathan lo aiutò a mettersi in piedi prendendogli l'avambraccio e aspettarono qualche secondo perché le sue gambe smettessero di tremare. Dopodiché, continuarono lungo la strada; questa girava attorno ad uno scoglio centrale, più grande degli altri. Seguirono il perimetro fino a che non si trovarono al punto di partenza. Avevano girato intorno a tutta l'isola e non avevano trovato niente di strano.
Jeremy cominciava a pensare che suo zio si fosse davvero inventato tutto, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
“Nate, vieni.”
Si portarono vicino alla parete dello scoglio centrale.
“Che c'è? Non vedo niente.”
“Aspetta. Vediamo se ho ragione.”
Jim aveva notato una piccola fessura nella roccia, quasi invisibile. Era abbastanza grande per infilarci le dita, perciò lo fece e provò a tirare. Con stupore, notò che una sezione dello scoglio si stava alzando, per rivelare un passaggio nascosto al suo interno.
“Wow!” commentò Falker. La strada che si era aperta era una passerella di legno, che scendeva nelle profondità della roccia, scavata all'interno.
I due si guardarono e annuirono, pronti ad esplorare.

 

Nella caverna, chiaramente artificiale, non c'era un rumore. Il vento sembrava essersi interrotto e anche il suono delle onde si era ridotto a poco più che un'eco lontana.
Scesero con cautela, aiutandosi con un corrimano composto da una corda fatta passare per diversi anelli, fissati alla parete. La passerella scendeva a spirale e terminava in piano, diventando un vero e proprio ponte. Passando su un baratro, infatti, portava ad una piattaforma di pietra sulla quale era costruita una capanna.
“Non ci credo.” Jeremy sgranò gli occhi, poiché davvero faceva fatica a concepire ciò che vedeva.
“Una casa, costruita all'interno dello scoglio?” si domandò Nathan.
“La cosa è sempre più assurda.”

Varcarono la soglia della casa ed entrarono in quella che sembrava essere l'unica stanza che la componeva. Un tavolo occupava il centro, mentre nella zona destra era appoggiato un materasso vecchio e consunto, che fungeva da letto. Alle pareti erano appesi dei quadri che né Jim né Nathan avevano mai visto. Sembravano quasi disegnati dall'abitante della capanna e raffiguravano scene peculiari: uomini-pesce che sembravano vivere sul fondale dell'oceano, in vere e proprie case costruite in pietra.
“Guarda, Jim.” Nathan si era abbassato a raccogliere qualcosa. Quando Jeremy vide cos'era, al suo cuore mancò un battito. Si trattava di una custodia in pelle, lunga e sottile, decorata con simboli strani e apparentemente senza senso. La custodia era stata chiusa da un piccolo lucchetto in bronzo, che però qualcuno aveva divelto. Alla luce di quella rivelazione, entrambi gli uomini notarono che tutta la stanza presentava quelli che ad un primo sguardo sembravano sintomi di disordine, ma che altro non erano che segni di lotta.
“Oh, cielo. Cos'è successo qui?” domandò Jeremy.
“Sembra un'aggressione.”
“Ma da parte di chi? E ai danni di chi?”
“Queste sono due belle domande. E della custodia, che dici? Hai pensato anche tu a ciò che ho pensato io?”
“Sarebbe impossibile non farlo.”

Chiunque fosse entrato in quella casa, l'aveva fatto per un motivo ben preciso, entrambi lo compresero. Cercare il flauto.
E quella custodia vuota era la prova che l'aveva trovato.

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Capitolo 10
*** Capitolo nono - Immersione ***


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Capitolo nono
Immersione

 

Com'è l'immagine?” chiese Andreas, attraverso il microfono. Si era gettato in acqua da qualche minuto e aveva acceso da poco la telecamera. Era attaccata alla sommità del suo casco, quindi era come vedere in prima persona ciò che vedeva anche lui.
“Mah, non si vede granché.” ammise Annika. Sullo schermo, infatti, c'erano poco più che macchie indistinte. Il krill.
“Ich weiss, qui è pieno di microrganismi! Faccio fatica a muovermi, persino.”
“Maledizione.”
“Già, non è una bella situazione. Aspetta, provo a muovermi un po', ad avvicinarmi all'isola. Magari riesco a trovare un punto migliore.”

Andreas nuotò facendosi largo tra il krill, ma la situazione non sembrava migliorare. Ovunque lui guardasse vedeva solo biomassa luminosa. Di una sola cosa era contento: il blu era il suo colore preferito.
Imprecando, il sommozzatore raggiunse una parete rocciosa, rischiando di andarci a sbattere a causa della scarsa visibilità.
“Tutto a posto?” chiese Anni dalla trasmittente.
“Ja, ho evitato lo scontro per miracolo. Sto bene, non ti preoccupare.”
Si girò e diede un'occhiata ai dintorni. Krill, krill e ancora krill. Non poteva continuare così.
“Ok, ascolta, Anni.” disse “Ho bisogno che controlli con l'ecoscandaglio questa zona. Devi individuare un'area con meno concentrazione di plancton.”
“Ok, dammi un attimo.”


Cavolo, pensò la donna, mentre scandagliava la zona. Il mare era come una via di Londra nell'ora di punta. Stava quasi per perdere la speranza, quando notò qualcosa.
“Andreas, dirigiti alla tua sinistra, non staccarti dalla parete. Forse c'è una zona un po' più libera.”
“Danke, Anni.”
La donna attese, tamburellando con le dita sulla tastiera del computer. Improvvisamente, l'immagine sul monitor divenne più chiara.
“Oh, così va decisamente meglio!” esclamò.
“Sono d'accordo, è tutta un'altra cosa. Bene, comincerò da quest'area, vediamo se riesco a trovare qualcosa.”

Neumann puntò la torcia in ogni direzione, verso il fondale ma anche contro lo scoglio. Qualsiasi piccolo indizio sarebbe stato importante. Eppure, non trovò nulla. Provò nuovamente la sensazione di frustrazione che l'aveva assalito tempo prima, quando era stato contattato da Amos.
“Nein.” ringhiò, stringendo i pugni.
“Andreas?”
“Sì, Anni?”
“Ascolta, mi hanno contattata Nathan e Jeremy. Hanno detto di aver trovato qualcosa di importante, entrando in un passaggio segreto celato nella roccia. Prova a vedere se c'è qualcosa di simile anche lì.”

Un passaggio segreto? Rifletté Andreas. Certo!
Gli venne in mente che poteva esserci un motivo per cui nella zona che aveva usato come punto di partenza c'era meno concentrazione di krill. Avrebbe potuto esserci una fenditura nello scoglio, che aveva deviato parte del plancton verso una zona interna, magari una caverna. Tornò lì e controllò attentamente.
Eccola. Un'apertura nella roccia, un tunnel forse naturale. Andreas controllò con attenzione, verificando che era abbastanza grande perché lui ci passasse.
“Anni, ho trovato qualcosa. Entro.”
“Ok, Andreas. Ti seguo da qui!”

Per un attimo Neumann ebbe l'impressione di essersi incastrato, ma con un colpo di gambe riuscì a divincolarsi e ad accedere ad una sezione di tunnel più larga, che gli fece tirare un sospiro di sollievo. Lì il krill era poco e poteva nuotare tranquillamente. Diede altri potenti colpi di pinne, fino a sbucare dall'altra parte.
Ciò che si parò davanti ai suoi occhi lo lasciò senza fiato. Non aveva parole per descrivere quanto vedeva, perciò si limitò a mostrarlo tramite la telecamera, effettuando una panoramica con la testa.

“Oh, cielo!” si lasciò sfuggire Annika, quando vide dove Andreas era giunto. Stava giocando con una chiave inglese, per ingannare la tensione; questa le cadde dalle mani.
La caverna dove l'amico era entrato era immensa, probabilmente occupava tutto l'interno dell'isola. Dal fondale alla volta doveva essere alta almeno sessanta metri, se non di più. Il diametro, poi, raggiungeva sicuramente le due centinaia.
Ancor più incredibili, però, erano le statue. Ad intervalli regolari, sulle pareti, erano scolpiti dei mezzi busti. Sembravano rappresentazioni di qualche divinità, forse un dio del mare. Il corpo era umano, ma la testa era di pesce. I dettagli non erano molti, ma tutte avevano la bocca aperta, spalancata in quello che sembrava un muto grido. Le braccia erano conserte, come in un gesto ammonitivo. In quel momento, effettivamente, Annika si sentiva in soggezione, come se Andreas avesse varcato una soglia che non doveva attraversare.
“Li vedi, Anni?”
“Sì. E' incredibile.”
“Concordo. Aspetta, vado avanti.”

Superato il momento di paura iniziale, Neumann nuotò all'interno dell'immensa grotta. Gli occhi delle statue sembravano seguirlo. Dov'era finito? La sua mente vagliò infinite possibilità, una più assurda dell'altra. Ma d'altronde, in quel momento, gli sembrava che l'assurdità fosse diventata la norma.
Oltre alle statue, ora lo notava, c'erano dei tunnel scavati nelle pareti. Prese coraggio e si infilò in uno di essi, sufficientemente alto perché ci potesse passare in piedi. Il tunnel deviava e si apriva su numerose piccole grotte.

Stanze di un'abitazione? Pensò. La plausibilità di quell'idea lo spaventò. Se davvero erano stanze, cos'era quel luogo in realtà?
Tornò nella caverna centrale e si diresse verso il fondale. Quando fu a poca distanza, la luce della torcia illuminò quello che sembrava un enorme disegno. Avvicinandosi ulteriormente, Andreas vide che esso raffigurava una linea curva, che girava più volte attorno ad un fuoco, senza mai intersecarsi con sé stessa. Aveva un inizio e una fine, ma era quasi impossibile seguirla tutta senza perdersi.
Si portò le mani alla bocca, quasi dimenticandosi del casco.
“Cos'è, Andreas?” domandò Annika.
“Non è possibile. Quel simbolo...”
“Cosa?”
“E' il labirinto.”
“Il labirinto?”
“Ja, si tratta di un simbolo antichissimo. E' presente in un gran numero di culture, se ci pensi anche nella nostra, come simbolo di perdizione.”
“E...?”
“E' stato usato anche per indicare il labirinto del Minotauro, ma la sua origine è ancor più antica.”
“Cosa indica, in questo caso?”

Preparati, Anni. Ciò che ti sto per dire ti potrebbe far ridere e farebbe ridere anche me, se non fossi qui, in questo luogo. Sotto il loro sguardo.” concluse, riferendosi alle statue di pietra, che parevano sempre più minacciose.
“Spara.”
“Questo labirinto, il più antico che sia mai stato documentato, è il simbolo di Atlantide.”

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Capitolo 11
*** Capitolo decimo - Tra leggenda e verità ***


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Capitolo decimo
Tra leggenda e verità

 

Jeremy e Nathan controllarono la capanna da cima a fondo, ma non trovarono nulla di utile, salvo una cornice che custodiva una foto. Era il ritratto di due persone, probabilmente padre e figlia, che sorridevano allegri verso l'obiettivo. Era una fotografia piuttosto vecchia, ingiallita dal tempo. Una data era riportata sul retro, 1961.
L'uomo era di mezza età, mentre la bambina avrà avuto meno di dieci anni.
Era l'unico indizio su chi abitasse quella grotta, oltre alla custodia del flauto.
La trasmittente gracchiò, era Annika.

Ragazzi, mi sentite?”
“Sì, parla pure, Anni.”
“Avete trovato qualcosa?”
“Sì, qualcosa di abbastanza utile. Stiamo per tornare. Andreas come se la sta cavando?”
“Andreas... Beh, forse è meglio che torniate. Ha qualcosa di importante da dire. A tutti noi.”
“D'accordo, arriviamo subito.”

Quando tornarono sulla barca si scrollarono di dosso il krill. Non ne potevano già più di quegli esserini.
Annika aveva preparato dell'acqua calda con un fornellino da campeggio e servì una tazza di tè fumante; tutti gradirono, dopo il bagno e l'esplorazione della caverna ne avevano proprio bisogno.
Jeremy notò l'espressione distante di Andreas. Sembrava che stesse fissando qualcosa in lontananza, dove però non c'era nulla.
“Ehi!” lo chiamò. Il sub si riscosse scuotendo la testa.
“Tutto a posto, Andreas?”
“Ja. Scusate, è che... Ancora non riesco a crederci.”
“Cosa hai visto là sotto?” domandò allora Falker, interessato.
“Sì, allora... Uff, non so da dove cominciare...”

Cominciò dalla conformazione dell'isola. Unendo le sue informazioni e quelle di Nate e Jim, i quattro riuscirono ad avere un'idea piuttosto chiara della situazione. Quello scoglio era completamente cavo, aveva due diverse camere interne, nascoste abilmente da passaggi segreti e poste una sopra all'altra, nell'enorme roccia centrale. Poi, fu il momento della rivelazione: il simbolo, il labirinto, Atlantide.

“Atlantide?” Jeremy non credeva alle sue orecchie.
“Com'è possibile?” intervenne Nathan, grattandosi il mento “Atlantide è una leggenda e poi, anche se non lo fosse, non dovrebbe trovarsi nel mare dell'Inghilterra.”
“Certo, se diamo credito a Platone. Tuttavia...” Andreas si fermò un attimo. Chiaramente stava riflettendo su come proseguire il discorso.
“Tuttavia?” fu Annika ad incitarlo.
“Ecco, io sono un accanito sostenitore del detto 'tutte le leggende hanno un fondo di verità'. A mio parere, se analizziamo con attenzione la favola di Atlantide, potremmo facilmente trovare una spiegazione scientifica.”
Fantascientifica, forse.” Falker era scettico.
“Ja, forse hai ragione. Ma state a sentire.”
I tre si misero sull'attenti. Non volevano perdersi una sola parola.

“Atlantide viene descritta da Platone come un'antica civiltà sconosciuta, che abitava su un'isola la quale, forse per una catastrofe naturale, si è
persa nelle maree. Numerosi studiosi hanno cercato di individuare quest'isola, ipotizzando che si trovasse nell'oceano che collega Europa ed America. Eppure, qualcosa non quadra. Ci avevo già pensato, molto tempo fa. Sono un amante delle leggende e avevo riflettuto su questa cosa. Ammettendo l'esistenza di una civiltà, è strano pensare che questa avesse sede unicamente su un'isola. La naturale evoluzione di ogni società la spinge a cercare terre al di là di quella di origine, vuoi per le risorse, vuoi per la volontà di espansione. Ritengo che anche Atlantide debba aver seguito questa tendenza.”
“Quindi ciò che stai cercando di dire è che quest'isola è una sorta di
colonia di Atlantide?” propose Jeremy.
“Exakt. Ha del tutto senso pensare che gli Atlantidei si fossero espansi e questo luogo, questo mare, non è poi troppo distante dalla posizione ipotetica della loro... Chiamiamola
sede centrale. Inoltre, il fatto che l'isola sia scomparsa nel mare potrebbe essere intesa in un diverso modo. Si potrebbe pensare che Atlantide fosse una civiltà subacquea.

 

Anche Nathan, ora, sembrava affascinato. Era convinto che un discorso su Atlantide non potesse essere interessante a livello scientifico e storico, ma Andreas l'aveva stupito. Eppure, ancora c'era qualcosa che non quadrava.
“E gli Atlantidei?” domandò “Chi erano, secondo te?”
“Uomini. Più o meno come noi.”
“Uomini?” Annika aggrottò la fronte “Sott'acqua?”
“Ja. Sai, Anni, esistono diverse teorie che collocano l'essere umano nelle profondità del mare. E sto parlando di habitat naturale. Queste teorie spingono sul fatto che la nostra struttura, priva di pelo, è idrodinamica, e sulla nostra insolita resistenza al freddo nell'acqua, sicuramente maggiore di quella a contatto con l'aria.”
“Ma come potevano respirare?”
“Beh, l'evoluzione ha favorito creature incredibili. Pensare che la selezione naturale abbia favorito la vita dell'uomo nell'oceano non è così assurdo.”
“Un ramo evolutivo
alternativo?” chiese Jim.
“O
precedente.” fu Nathan a rispondere. Tutti si voltarono verso di lui.
“Ha tutto senso. Immaginate questo: milioni di anni fa l'uomo si sviluppa nell'acqua e si adatta a vivere nelle profondità. Il suo corpo è idrodinamico, resiste al freddo e sviluppa delle branchie. In un momento successivo, però, è costretto ad uscire, ad andare sulla terraferma. Forse
davvero per un cataclisma, o forse perché le condizioni di vita sono più favorevoli. Allora l'evoluzione agisce ancora, l'uomo muta pur mantenendo alcune delle caratteristiche che possedeva.”
“Sì.” ora era Jeremy a continuare. Andreas aveva messo in moto una ruota che nessuno poteva fermare “La memoria della fase acquatica piano piano scompare e l'uomo dimentica la sua origine. Poi, ad un certo punto, qualcuno trova delle rovine, risalenti all'era del mare. La notizia corre e Platone la interpreta a suo modo, portando avanti una leggenda che altro non è che la storia della nostra origine, distorta dal tempo.”

I quattro sorridevano, entusiasti delle loro teorie. Annika batté le mani eccitata.
Fu in quel momento che Jim e Nate mostrarono la custodia rinvenuta nella grotta.
“Forse questa teoria potrebbe spiegare questo.” disse Jeremy.
“E' la...”
“Custodia del flauto di cui parlava mio zio. Sì. O almeno, crediamo sia quello.”
“Incredibile, fa' vedere!” Annika prese l'oggetto e lo rigirò tra le mani.”
“Come si spiegherebbe?” domandò Andreas.
“Vedi, noi umani abbiamo sviluppato dei sistemi per comunicare con gli animali. Sistemi di suoni e versi, impostazioni della voce, che ci permettono di essere compresi anche da cani e gatti. Se davvero i nostri antenati vivevano sott'acqua, è plausibile che facessero altrettanto con le creature che vivevano vicino a loro.”
“Un flauto che permetteva loro di parlare con le balene.” concluse Annika, a bocca aperta.
“Non è assurdo, vero?” intervenne Nathan “Esistono fischietti, richiami usati dai cacciatori. Riusciamo ad attirare gli squali con il rumore, alcune esche artificiali sfruttando il suono per attrarre il predatore. Insomma, non è poi così diverso. Servono semplicemente delle conoscenze che
loro avevano e noi no.”
“Tecnologia avanzata?”
“No, non credo. Credo fossero poco più che ominidi. Semplicemente
esperienza.”

“Wow.” nessuno riusciva a dire nulla di più. In poco tempo avevano indagato il mistero dell'origine dell'uomo, dando una spiegazione del tutto possibile. E si erano dimenticati della loro missione. Fu Andreas a ricordarselo.
“Ah, signori. Guardate.”
Estrasse qualcosa da una tasca. Era uno stemma, uno scudo triangolare. Un'incisione su di esso recitava
Mansell inc.
“L'ho trovato nel tunnel segreto, mentre stavo uscendo. Probabilmente l'ha perso un sub. Un sub che, ne sono sicuro, c'entra qualcosa con la scomparsa delle balene.”
“Mansell?” Nathan non capiva.
“Edward Mansell.” spiegò Annika “E' stato su tutti i giornali qualche tempo fa, a causa della costruzione di una piattaforma petrolifera.”
“Mmm.” concluse Jim “Credo che si impongano delle ricerche riguardo questa piattaforma.”

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Capitolo 12
*** Capitolo undicesimo - I primi sospetti ***


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Capitolo undicesimo
I primi sospetti

 

La barca ondeggiava cullata dalle onde. I quattro occupanti avevano deciso di non fare, per il momento, ritorno ad Erston. Sarebbe stato problematico spiegare la loro uscita non autorizzata, quindi avrebbero sfruttato il mare fino a che non avessero avuto un valido motivo per tornare. Jeremy aveva portato un computer dotato di connessione satellitare, quindi non c'erano problemi.
Si collegarono ad Internet e cercarono informazioni riguardanti la piattaforma della Mansell.
Subito si aprirono una marea di link interessanti, molti dei quali collegati alle principali testate giornalistiche.
Le prime notizie erano risalenti a più di un anno prima, mentre le ultime andavano indietro solo di pochi mesi. Da tempo, però, sembrava esserci una sorta di silenzio stampa al riguardo.

 

Nuove tecnologie... Mansell dichiara che... Svolta nella produzione di carburante...

“Niente che possa riguardare le balene?” chiese Annika.
“Niente di niente. Nessun riferimento.”
“Continua a cercare. Ci dev'essere un motivo per cui lo stemma si trovava là sotto.”
Andreas controllò nuovamente il triangolo in ferro. Nathan e Jeremy avevano riferito dei segni di lotta trovati all'interno della capanna e tutti erano stati concordi nel dire che gli uomini della Mansell inc. avevano trovato gli accessi segreti e avevano fatto qualcosa di terribile. Il perché, comunque, rimaneva un'incognita. Scosse la testa.
E' sicuramente implicato Mansell. Non ci sono altre possibilità, si disse.

“Ehi, guardate qua.” Jim attirò la loro attenzione. Annika si trovava già lì vicino e si appoggiò alle spalle dell'uomo per guardare il monitor. Andreas e Nathan uscirono dalla cabina, il secondo con in mano un pacchetto di cracker.
“Che c'è?” chiese, mentre masticava “Trovato qualcosa?”
“Forse. Leggete qui.”


22/03/2012
LONDRA – Edward Mansell, il magnate del petrolio che ha fatto molto parlare di sé negli ultimi tempi, ha tenuto oggi una conferenza circa la sua piattaforma petrolifera. La conferenza era aperta ai giornalisti, ma non al pubblico.
L'uomo, presentatosi in maniera impeccabile, con un completo elegante firmato Armani, ha a lungo discusso delle problematiche ambientali, assicurando che avrebbe fatto di tutto per evitare impatti eccessivi.
Un collega del
Times ha sollevato dei dubbi riguardo alla questione del prezzo di vendita del petrolio...

“Ehi, aspetta. Cosa significa questo?” interruppe Andreas “Quale questione prezzo?”
“A quanto pare, Mansell ha messo a disposizione il petrolio ad un prezzo praticamente nullo, cosa che ha incentivato il governo a supportare la sua impresa e che gli ha permesso di sorvolare su alcuni controlli, definiti
minori.”
“Controlli minori? Ma siamo pazzi?” Neumann si scaldò “Non ci sono controlli minori quando si parla di sicurezza ambientale! Er ist total verruckt!”
“Eh?”
“Scusate. Quando mi arrabbio mi dimentico l'inglese. Dicevo che è completamente pazzo, quel Mansell.”
“E il governo anche, perché a quanto pare c'è dentro fino al collo.” concluse il professor Falker “Vai avanti, Jim.”
“Subito.”


Mansell se l'è cavata con poco, ha praticamente evitato la domanda. Ha spiegato, senza entrare nei dettagli, che gli addetti alla ricerca e sviluppo della sua impresa hanno messo a punto un sistema di trasporto che permetta dei costi quasi pari a zero, che è possibile ignorare al momento della vendita.
Non c'è stato modo di capire a cosa si riferisse; Mansell ha chiuso la questione, nonostante fossimo in molti a volerne sapere di più.


“Oh, no.” Annika arretrò, scandalizzata da ciò che quello poteva significare.
“No, non può essere.” rinforzò Jeremy, con lo sguardo fisso sulle ultime righe dell'articolo.
“Un sistema di trasporto a costo zero.... Nein!” Andreas colpì il tavolo con un pugno.
“Tutto ha senso ora.” Nathan si fece carico dell'onere di esprimere i dubbi che tutti avevano, per quanto fosse stato assalito da un senso di nausea “Le balene; ecco qual è il sistema di trasporto della Mansell inc.”
Cominciò a camminare, come spesso faceva quando aveva bisogno di riflettere. Nel frattempo, continuò a parlare.
“Edward Mansell viene a conoscenza dell'esistenza del flauto di Atlantide, scopre dove si trova e manda i suoi uomini a prendere strumento e musicista.” a quell'ultima parola indicò la fotografia incorniciata “Il destino dell'uomo è sconosciuto, ma sicuramente porta il flauto alla piattaforma, dove comincia ad utilizzarlo per controllare le balene, facendo fare a loro il lavoro che, normalmente, richiederebbe delle navi. Trasforma i cetacei in petroliere.”
“E' orribile.” commentò Jim.
“Orribile ed estremamente pericoloso, oltre che stupido.” annuì Nate “Ha distrutto un ecosistema e
solo per economizzare sul trasporto del petrolio. No, davvero, riuscite ad immaginare qualcosa di più squallido?”
“No.” rispose Annika “Assolutamente no. Ma, squallido o no, se tutto questo è vero Mansell dev'essere fermato.”
“Concordo.” disse Andreas “Ma come facciamo? Non possiamo certo andare da lui e chiedere 'signor Mansell, lei per caso sfrutta le balene come navi?'”
“No, certo che no. Dovrà essere un'operazione segreta. Dobbiamo trovarci una copertura.”
“Facciamoci venire un'idea.” concluse Jeremy, mentre guardava il sole che scompariva in lontananza, lasciando nuovamente il palcoscenico al krill.

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Capitolo 13
*** Capitolo dodicesimo - L'unico piano possibile ***


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Capitolo dodicesimo
L'unico piano possibile

 

Dove sei?”
La voce di Margaret, distorta dal telefono cellulare, era ancora più minacciosa del solito.
“Sono in barca, te l'ho detto. Stiamo tutti bene, torneremo a breve.” rispose Jeremy. Aveva ricevuto la chiamata qualche secondo prima ed era uscito sul ponte, lasciando agli altri tre, in cabina, il compito di pensare ad un piano per infiltrarsi nella piattaforma di Mansell.
A breve sarà comunque troppo tardi.” disse lei, sputando sulle prime parole “Non mi troverai.”
“Come?”
“Me ne vado, Jim! Ci vuole tanto a capirlo?”
“Ma no, amore... Non...”
“Non chiamarmi
amore! E' una parola del tutto senza senso, in questo momento!”
“Non fare così, ti ho detto che...”
“Mi hai detto che tornerete a breve e non lo metto in dubbio. Ma sappi che, e forse sarai felice di saperlo, avrai tutta la villa per te e i tuoi amici, perché non mi troverai!”
“Non mi sembra il caso di litigare per una cosa del genere, Margaret.”
“Ah, no? Mi porti in un paese del cavolo, sperduto nel nulla, mi lasci da sola in una villa ormai abbandonata, con la sola compagnia della governante di tuo zio; ti sembra poco?”
“Ascolta...”
“No. E' finita, Jeremy.”
Un suono secco comunicò la fine della conversazione.
Jim guardò lo schermo del cellulare per qualche istante, prima di abbassarlo oltre il bordo della
Dalia.
“Vaffanculo!” sbraitò, gettando l'oggetto in mare “Tenete, esserini blu, mangiatevi questo aggeggio infernale. E spero che vi vada di traverso!”

Annika si avvicinò alle spalle di Jim, lentamente. Lo sentì piangere. Era stata attirata fuori dall'urlo.
“Jim...” cominciò. Lui si voltò e la fissò con occhi gonfi di lacrime.
“Meg mi ha lasciato.”
“Oh, Jim...”
La donna si portò accanto a lui e lo abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo.
“Anni, davvero, non conviene... Non in questo momento.”
“Shh. Non converrà, magari, ma è ciò di cui hai bisogno.”
E rimasero lì, fermi, mentre Jim non riusciva nemmeno a pensare.

“Ahi.” disse Andreas, in cabina. Lui e Nathan osservavano la scena dalla finestra.
“Brutta storia.” commentò l'altro.
“Già, meglio lasciar perdere. Stavamo dicendo?”
Da qualche ora, ormai, cercavano di pensare a tutti i modi possibili per arrivare a Mansell. Neumann aveva subito proposto di infiltrarsi a partire da sott'acqua, ma aveva scordato che nessuno degli altri era abile nelle immersioni. Inoltre, probabilmente, la Mansell inc. aveva sistemi di rilevazione che non avrebbero permesso loro di avvicinarsi più di tanto. Scartata quell'ipotesi, avevano deciso di eliminare ogni possibilità che riguardasse azioni di infiltrazione. Avrebbero cercato un modo per essere accolti sulla piattaforma senza destare sospetti.

“Ci fingiamo giornalisti?” propose Nate.
“Nein, non avrebbe senso. Mansell non ha mai rifiutato di apparire in pubblico, ma non ha mai nemmeno scucito la minima informazione. Ci hanno tentato dei giornalisti veri senza successo, figurati noi.”
“Giusto. Ispettori?”
“Ispettori? Secondo te sarebbe credibile?”
“No, già. Mansell è stato appoggiato dal governo ed ha evitato diversi controlli, quindi si insospettirebbe. In ogni caso, poi, sapendo di ricevere la visita di alcuni ispettori, potrebbe preparare un percorso ad hoc, in modo da nascondere i suoi segreti. No, dobbiamo fare in modo di avere libero accesso alla struttura.”
“Operai.” concluse Andreas, sgranando gli occhi come in preda ad una rivelazione.
“Operai?”
“Sì, operai petroliferi in cerca di assunzione. Se Mansell ha bassi costi di trasporto, non dovrebbe avere problemi a stipendiare altri lavoratori, che permetterebbero di velocizzare il processo di estrazione!”

In quel momento entrarono Jeremy ed Annika.
“Ehi, Jim.” salutò Falker “Tutto bene?”
“No, ma fa niente.” era triste, si vedeva.
“Se possiamo fare qualcosa...”
“Sì. Trovate un piano per arrivare alla piattaforma.”
“Ja. Ecco, forse un'idea ci è venuta.”
Spiegarono la situazione e Jim sembrò sollevarsi un poco.
“Ottima idea. Così non dovremmo destare troppi sospetti e, lavorando lì, avremmo campo libero. Mi piace.”

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Qualche ora dopo erano tornati a villa Bent, sempre con il favore dell'oscurità. L'indomani, forse, qualcuno avrebbe fatto domande circa la scomparsa della Dalia, ma in quel momento c'erano questioni più importanti.
Diana aveva accolto Jim e subito aveva cercato di portare il discorso su Margaret. Lei non c'era, come aveva promesso. Era sempre stata una donna con le idee chiare, una che manteneva le promesse, ma a Jeremy fece male comunque.

Si ritirarono nuovamente nella sala principale, per scrivere dei curriculum falsi. La governante servì loro del caffè, come richiesto, perché non fossero colti dal sonno. Avrebbero riposato, ma solo dopo aver terminato quel compito. Erano svegli da troppo, i gesti erano più faticosi e le lettere si confondevano ai loro occhi.
“Diana.” chiamò Jeremy, mentre la donna stava uscendo dalla stanza.
“Sì, signor Axton?”
“Puoi... Puoi per favore scrivere ciò che ti detto? Io non credo di essere abbastanza lucido.”
“Ma certo.”
La donna cominciò a battere sulla tastiera del computer, scrivendo tutto ciò che Jim le chiedeva di scrivere e correggendolo, anche, quando si accorgeva degli errori da lui commessi.
In meno di mezz'ora, furono pronte tutte e quattro le richieste di assunzione. Le spedirono e andarono a dormire.

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Jeremy si svegliò nel tardo pomeriggio, dopo aver dormito più di dodici ore. Era confuso per il troppo sonno e ci mise un po' a riordinare le idee. Gli venne da chiamare Margaret, prima di ricordare di essere da solo.
Si mise a sedere sul letto e si stirò.
Il computer! Ricordò.
Controllando la sua casella di posta virtuale, notò un nuovo messaggio. Lo lesse con attenzione, più volte, poi si mise a cercare Andreas e Nathan per tutta la casa. Non li trovò, probabilmente si erano alzati prima ed erano usciti. Compose allora il numero del primo. Quando lui rispose, non gli diede il tempo di parlare.
“Andreas, prendi Nathan, chiama Annika e venite tutti qui. Mansell vuole assumerci.”

 

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Capitolo 14
*** Capitolo tredicesimo - Tradimento ***


Capitolo tredicesimo
Tradimento

 

La Mansell inc., Jeremy doveva ammetterlo, era ben attrezzata ed organizzata. Aveva mandato un elicottero direttamente ad Erston, per prelevare i quattro. Non c'era una pista di atterraggio ufficiale, ma sul promontorio dove si trovava villa Bent c'era spazio a sufficienza.
La trasvolata fino alla piattaforma, che si trovava in un punto a nord-est di Dover, più o meno all'altezza di Liverpool, era durata meno di un'ora.
Quando i quattro videro la loro destinazione in lontananza, un insieme di emozioni li colpì con la forza di un pugno: sapevano che là avrebbero incontrato il loro nemico faccia a faccia.
Jeremy guardò le onde; alla luce del sole il krill non avrebbe potuto illuminarsi, ma avrebbe volentieri scommesso sulla sua assenza in quelle zone.
Tornando a guardare la piattaforma, cominciò a domandarsi dove potevano essere tenute le balene; si trattava di una struttura piuttosto classica, un mostro di metallo sorretto da un'infinità di pilastri, che affondavano direttamente nel fondale marino.
L'elicottero la sorvolò per arrivare alla zona di atterraggio e i quattro ebbero modo di vedere una miriade di persone, poco più che formiche da quell'altezza, muoversi avanti e indietro freneticamente, impegnate nel loro lavoro.
Atterrarono sul tetto di un edificio molto grande, dove due uomini facevano segnalazioni al pilota. Andreas, abituato al silenzio totale degli abissi, fu oltremodo felice quando le eliche del mezzo smisero di ruotare impazzite e di fendere l'aria producendo il caratteristico rumore.
Uno dei due uomini che avevano guidato l'elicottero li salutò e si presentò come Benjamin. Dopo le strette di mano di rito, questi li accompagnò all'interno dell'edificio, passando per una porta in ferro che si apriva direttamente su delle scale in discesa.

Per la seconda volta Andreas ringraziò il cielo; l'interno era ancora più silenzioso, in quanto anche i rumori degli operai e delle macchine venivano smorzati da pareti insonorizzate. Scesero al piano inferiore, dove li attendeva un uomo.

Ad Annika il respiro si fece pesante, nell'osservarlo, e poté sentire che Nathan deglutiva per lo sgomento. Non si aspettavano di incontrarlo subito.
I giornali lo descrivevano come un uomo impeccabile ed attraente e, in quel momento, nessuno poteva negare queste affermazioni. Un completo grigio gli calzava a pennello, coprendo una camicia bianca. Delle scarpe camoscio eleganti completavano il quadro, non portava cravatte. I lunghi capelli neri erano raccolti in una coda che scendeva oltre le spalle, mentre un filo di barba ben curato incorniciava il viso, per terminare in un pizzetto che collegava mento e labbro inferiore.
Sorrideva.
Non c'erano dubbi, era Edward Mansell.

“Benvenuti, signori.” disse lui, con un mezzo inchino “E' un piacere avervi qui. Abbiamo sempre bisogno di nuovi operai.”
“Salve.” disse Jim. Si sentì uno stupido per aver liquidato il discorso con una sola parola, ma la presenza di quell'uomo gli incuteva timore. Mansell li guardò uno ad uno, con gli occhi castani penetranti, poi sorrise nuovamente.
“Signori, un po' di vitalità! Non siete finiti in un lager!”

No? Si domandò Nathan. I quattro si squadrarono, con uno sguardo eloquente: non avrebbero dovuto permettere ad Edward di prendere il controllo della situazione.
“Signor Mansell, mi creda, è un onore.” disse Annika “Come accennato nei curriculum, abbiamo lavorato per anni su una piattaforma che è stata smantellata. Non sa quanto le siamo grati dell'opportunità che ci sta offrendo.”
Mansell annuì. Stava funzionando.
“Possiamo discutere i termini del contratto?” chiese Jeremy.
“Non ora. Prima volevo farvi visitare la piattaforma, se siete d'accordo.”

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Per più di un'ora vagarono lungo corridoi e spazi aperti, visitando ogni angolo della struttura. Non potevano non ammettere che Edward Mansell fosse un ospite perfetto: descrisse tutto con dovizia di particolari, facendoli sentire come se già lavorassero lì da una vita.
Delle balene, purtroppo, nessuna traccia. In effetti, nessuno dei quattro vide nulla di sospetto e cominciarono a chiedersi se non avessero sbagliato i loro calcoli.
Mansell, alla fine, li portò nel suo ufficio personale, una stanza che stonava con il resto della piattaforma a causa della sua eleganza e del suo sfarzo.
Il direttore della società petrolifera girò attorno ad un tavolo in mogano e si sedette, invitando gli ospiti a fare altrettanto. C'erano quattro poltrone nella stanza, due direttamente davanti al tavolo e due ai lati.
Quando furono tutti seduti, Mansell offrì loro da fumare e da bere, ma nessuno se la sentiva. Erano agitati.
“No?” chiese Edward, ritirando i sigari “Peccato, mi avrebbe fatto piacere fumare in compagnia.” Si accese un cubano e una densa voluta di fumo scaturì dalla sua bocca, per essere assorbita da un sistema di areazione posto sul soffitto.
“Bene, signori.” continuò “Avete visto la piattaforma e ora sapete cosa facciamo qui.”
Tenne il sigaro con la mano sinistra, mentre la destra si appoggiava sul tavolo. Prima che qualcuno potesse accorgersi di qualcosa, premette un pulsante nascosto. Dai braccioli delle poltrone spuntarono delle bande in ferro, che bloccarono i polsi a Jeremy e agli altri. Stupiti e spaventati, cercarono di liberarsi.
“Ora gradirei sapere chi siete
davvero voi.” concluse Mansell.
“Cosa? Ma come..?” protestò Andreas.
“Mmm?
Ma come fai a sapere che non siamo operai? E' questo che vuoi dire? E' semplice. Non è stato un errore nelle lettere né nella vostra interpretazione di oggi, per quanto scarsa fosse.” sottolineò l'ultima parte con un ghigno “Il punto, vedete, è che avete commesso un errore di fiducia.”
“In che senso?” domandò Jim. In risposta alla sua domanda la porta alle sue spalle si aprì ed entrò una donna.

Tutti spalancarono gli occhi, vedendola raggiungere Mansell, per sedersi sulle sue gambe e baciarlo. La furia che montò in loro fu immensa, perché seppero di essere stati ingannati, traditi.

“Diana.” Jeremy ringhiò quel nome, mentre la governante lo fissava con scherno.
“Già, signor Axton. Immagino che ora tu abbia capito molte cose.” la donna, per la prima volta a memoria di Jim, usò il
tu nel rivolgersi a lui. D'altronde, ora era lei ad essere la padrona. Aveva ragione; si era più volte chiesto come avesse fatto Mansell a sapere dell'esistenza del flauto e ora l'aveva capito. Diana, la sua amante, aveva carpito il segreto da Amos, per poi riferirlo. Doveva concederglielo, aveva fatto un ottimo lavoro, ingannando tutti.
“Dove sono le balene?” chiese Nathan, in un impeto di rabbia. Aveva deciso, evidentemente, di giocare le sue carte.
“Non lo saprete mai.” fu la risposta. Ora Edward Mansell sembrava un'altra persona, non più un imprenditore, ma un criminale. Lo sguardo che aveva era uno sguardo assassino.
“Perché hai fatto tutto questo, maledetto?” rincarò Annika.
“Perché, mi chiedi? Secondo te, stupida? Per
soldi.”
“Stai distruggendo il mare, per i tuoi dannati soldi!”
“Che esagerazione. Si tratta di una piccola parte del mare.” rise “E niente,
niente, è più importante dei soldi: in pochi mesi sono passato dall'essere un consumatore medio ad occupare un posto di spicco nell'economia, tutto grazie a quello strumento musicale. Esiste forse qualcosa di più sublime?”
“Maledetto bastardo.” commentò Andreas.
“Ah! Ah! Uno sguardo minaccioso da un topo in gabbia. Patetico.”

“E ora, cosa farai?” domandò Jim, dopo attimi di silenzio.
“Intendi quali sono i miei piani per il futuro? Beh, posso anche rivelarli, poco m'importa.” quella frase fece gelare il sangue nelle vene a Jeremy. Se non gli importava di rivelare i piani, poteva voler dire solo una cosa: non aveva intenzione di lasciarli andare.
“Vedete, quando ho cominciato a richiamare le balene per il trasporto del petrolio la domanda era limitata ma ora, ora che sempre più gente mi conosce e conosce i miei prezzi, sono costretto ad allargarmi sempre di più. Ho
assunto” disse ridendo “sempre più cetacei e, a breve, costruirò altre piattaforme in altri luoghi del pianeta, per far fronte alle sempre più ingenti richieste. Ma non temete, non priverò gli oceani delle loro balene, solo piccole zone trascurabili.”
“Trascurabili? Sei un idiota! Niente è trascurabile!” inveì Falker “Distruggerai l'intero ecosistema marino!”
“Storie!”
“Storie? Tu sei pazzo!”
“Taci,
biologo. Avete avuto le vostre risposte, dovreste essere contenti. Non cercate di farmi cambiare idea, perché sarebbe tempo perso. E ora...”
Mansell premette un secondo pulsante e, in un attimo, entrarono due uomini. Indossavano giubbotti antiproiettile e imbracciavano dei fucili mitragliatori.
“Prendeteli.” ordinò Edward, indicando i quattro sulle poltrone “Portateli alle celle.”

Mentre, scortati da quei soldati, scendevano le scale, a Jeremy venne nuovamente da piangere. Era stato tradito, anche suo zio era stato tradito. Avevano fallito per colpa di una donna avida e meschina, cui importava solamente la sua fetta nell'affare del petrolio.
Ripeté mentalmente le parole che erano state pronunciate sulla
Dalia.
Esiste qualcosa di più squallido?

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordicesimo - La fuga ***


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Capitolo quattordicesimo
La fuga

 

Le prigioni si trovavano ad uno dei livelli inferiori della piattaforma, sotto al livello del mare. Ci arrivarono prendendo una scala di servizio che li portò nelle profondità. Là sotto non c'era molto e l'eleganza dell'ufficio di Mansell era solamente un ricordo. Il freddo e l'umidità regnavano sovrani, così come il silenzio. Solo i loro passi e quelli dei loro carcerieri lo interrompevano. Ogni tanto, qualcuno provava a liberarsi le mani dalle manette che gli erano state infilate, ma senza successo.
Giunsero davanti ad una porta in ferro e uno dei due uomini di Edward inserì un codice in un tastierino numerico, per aprirla.
“Entrate.” disse solamente.
Sotto la minaccia del fucile Jim e gli altri fecero il loro ingresso nella stanza. Si trattava di una camera rettangolare, completamente spoglia, con inferriate lungo tutti i lati. Il secondo uomo prese un mazzo di chiavi da una tasca del giubbotto e aprì una delle celle, intimando ad Annika e Jeremy di entrare.
Una volta chiusa quella porta, fu il turno di Andreas e Nathan, che furono sistemati in un'altra gabbia.
“Fate i bravi.” concluse uno dei soldati, prima di uscire e lasciarli soli.

Nessuno parlava. Nessuno ne aveva voglia.
Un fruscio attirò l'attenzione di Nathan; proveniva dalla cella di fianco alla sua. Controllando attraverso le sbarre, notò che nell'angolo in fondo si intravedeva una sagoma.
“C'è qualcuno?” chiese. Non ci fu risposta, ma la sagoma si mosse.
“Ehi, esci.” continuò Falker “Non ti faremo certo del male, siamo tutti nella stessa situazione.”
La sagoma strisciò sulle braccia, probabilmente troppo debole per alzarsi in piedi, ed uscì alla flebile luce delle lampadine.
Era una donna sulla quarantina. I lineamenti delicati facevano da contorno ad un paio di occhi azzurri e spaventati. Era ricoperta di polvere e terra, chissà da quanto tempo era lì.
Guardò Nathan negli occhi, come per chiedergli aiuto e il biologo la guardò di rimando.
Possibile che...
“Mi senti? Mi capisci?” domandò.
“Sì.” rispose lei, con un filo di voce.
“Tu sei per caso...” armeggiò con le sue tasche per recuperare la foto trovata sull'isola, che aveva tenuto lui “...questa bambina?”. Mostrò l'immagine alla donna e il suo sguardo si illuminò. Allungò di scatto le mani per prendere la cornice e Nathan gliela lasciò. Tutti gli altri si erano voltati nella direzione della prigioniera, interessati.
“Dove l'avete trovata?” chiese lei.
“Su un'isola, in un passaggio segreto nella roccia.”
“Siete stati là? Io... Dunque, siete qui per...”
“Siamo qui per il flauto.” intervenne Jeremy “Tu sai di cosa parlo, vero?”
“Certo. Certo che lo so.”
“Chi sei tu? Come ti chiami?” la voce di Annika era dolce. La donna misteriosa alzò gli occhi verso di lei ed esitò un attimo, come se non ricordasse il suo nome.
“Marina.”
Nome azzeccato, pensò Nathan.
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Io e mio padre, Franco, siamo italiani.” Marina stava raccontando la sua storia. Dopo aver scambiato qualche informazione con i quattro nuovi arrivati aveva deciso di potersi fidare di loro; dopotutto, a quanto pareva, avevano lo stesso interesse a salvare le balene.
“La passione per il mare è un difetto di famiglia.” rise su quelle parole “E' così che la chiamava mio padre. Fin da piccola sono stata abituata a vivere a contatto con l'acqua, a studiare le creature degli abissi e le leggende che li riguardano. E' nato in me un amore sconfinato per tutto questo.
Quando avevo appena dieci anni, però, mia madre è morta; un incidente durante un'immersione, ha perso il casco.”
“Oh, mi dispiace.” la fermò Andreas. Conosceva bene i pericoli che si correvano immergendosi.
“Non preoccuparti, di certo non è colpa tua.” sorrise Marina, prima di continuare “Mio padre ha subito un duro colpo e ha maturato la decisione di isolarsi dal mondo. Non voleva più avere a che fare con nulla che gli ricordasse Paola. Ci siamo trasferiti in Inghilterra, a Dover, ma ancora non gli bastava. Con una piccola imbarcazione abbiamo vagato per giorni, fino a che non ha finalmente trovato il luogo dove, secondo lui, avrebbe avuto la pace che cercava.”
“L'isola?” chiese Jeremy, pur conoscendo la risposta.
“Esatto. Trovammo i passaggi segreti e le rovine subacquee. Esplorandole, mio padre capì che si trattava di un edificio atlantideo. Decise di stabilirsi lì, di costruire una casa all'interno dello scoglio e di continuare a studiare quel luogo.”
“Dev'essere stata dura, per una bambina.”
“Neanche un po'. Mi permetteva di andare a Dover quando volevo, ero libera. Mi piaceva davvero vivere lì, con lui.”
“E il flauto?”
“Lo trovò durante un'immersione. In una delle caverne nelle rovine sotto all'isola c'era una nicchia nascosta, dove si trovava lo strumento. Dopo averlo recuperato, passò mesi a studiarne le proprietà, fino a comprendere che cosa fosse.”
“Cosa scoprì, esattamente?”
“Il flauto, finché viene ascoltato fuori dall'acqua, non è altro che un normale strumento musicale, ma quando il suono entra in contatto con il mare si trasforma e diventa identico al canto delle balene. Mio padre comprese che si trattava di un sistema per comunicare con quegli immensi animali.”
“Un richiamo, dunque?” Nathan era sempre più interessato e incalzava Marina con una domanda dopo l'altra.
“Non esattamente, era qualcosa di più. Le balene erano costrette a seguire quel suono, come se potesse agire sui loro neuroni.”
“Affascinante.” commentò Falker. Annika lo guardò stranita.
“Crudele.” disse.
“Sì, crudele. Ignoro quale fosse lo scopo originale di quel flauto. Mio padre voleva disfarsene, ma qualcosa gli diceva che, se usato da una persona buona, avrebbe potuto fare grandi cose. Lo tenemmo e imparammo ad utilizzarlo in modo da poter gestire una vasta gamma di comandi. Quando mio padre spirò, portai avanti io i suoi studi. Fino all'arrivo di Mansell.”

Marina raccontò di come gli uomini di Edward erano entrati nel passaggio segreto e l'avevano assalita per rapirla, portando con sé il flauto. L'avevano portata lì, alla piattaforma, e l'avevano costretta ad insegnare loro come usare lo strumento, attraverso torture indicibili.
“Dove si trova il flauto, ora? E le balene, dove sono?” domandò Jim, al termine del racconto.
“C'è un grande acquario subacqueo, assomiglia ad una serra, da fuori. Non è molto lontano da qui, si può raggiungere sfruttando quelli.” la donna indicò un pannello a livello del terreno “Sono finti condotti di areazione, in realtà passaggi per la struttura. Balene e flauto sono lì. A quanto ho capito hanno collegato il flauto ad un sistema computerizzato, che continua a suonarlo in modo da assoggettare le balene al volere di Mansell.”
“E' terribile. Dobbiamo fermarlo.” Andreas era determinato.
“Sì, ma come? Non possiamo fuggire”
“Non hai potuto farlo fino ad ora, perché eri qui da sola. Adesso siamo in cinque. Ascoltatemi tutti bene.”

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Tempo dopo, una delle guardie entrò per consegnare il pasto. Andreas attese il momento in cui si trovò quasi a contatto con la cella di Jim, prima di chiamarla.
“Ehi, idiota?”
L'uomo si voltò e lo guardò con odio. Fece per prendere il fucile, ma Jeremy fu più svelto. Raggiunse le spalle della guardia facendo passare le braccia attraverso le sbarre e tirò con forza verso di sé. Il colpo fu devastante e il carceriere svenne. Jeremy frugò fino a trovare le chiavi e aprì la sua cella, per poi fare lo stesso con quelle degli altri tre. Annika, nel frattempo, raccolse l'arma della guardia.
La porta si spalancò ed entrò il secondo uomo, attirato dal rumore. Si trovò la canna del fucile puntata contro e alzò subito le mani.
“Immagino che voi guardie abbiate accesso a quei condotti.” disse Anni, mentre Nathan, uscito dalla gabbia, lo disarmava.
“S-sì.”
“Bene. E' tempo che tu ci faccia continuare il tour iniziato da Mansell.”


 

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Capitolo 16
*** Capitolo quindicesimo - Il flauto degli Oceani ***


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Capitolo quindicesimo
Il flauto degli Oceani

 

Dopo essersi assicurati che la guardia svenuta non potesse dare l'allarme o scappare dalla stanza, legandola alle sbarre ed imbavagliandola, Jeremy e gli altri si fecero aprire il condotto segreto dal secondo uomo, tenendolo sotto tiro con i due fucili. Quello sollevò un'anta nascosto e inserì un altro codice. Il pannello si aprì, rivelando un tunnel in cui si poteva facilmente passare stando in piedi.
“Ok, ragazzo.” disse Nathan, spingendo con la canna sulla schiena del carceriere “Tu per primo, io subito dietro. Non tentare scherzi o sei morto.”
“Non tenterò nulla.”

Si inoltrarono lungo il passaggio segreto. Si trattava di un tunnel costruito in un materiale trasparente, in modo da non poter essere facilmente individuato da chi venisse dall'esterno. Un eventuale controllo sommario dell'area non avrebbe rivelato nulla di strano. Era un sistema ingegnoso, che oltretutto permetteva a chi camminava all'interno del tunnel di osservare il fondale marino in tutta la sua maestosità. Pesci di ogni forma e genere danzavano attorno a loro, mentre i sei si avviavano verso quella che sembrava una piccola montagna sottomarina, uno scoglio di dimensioni impressionanti. Il tunnel trapassava quella roccia, più o meno all'altezza della cima, per sbucare all'interno della formazione. La pietra lasciava nuovamente spazio all'acqua, similmente alla caverna sotto all'isola. L'ampio spiazzo aveva un diametro di diverse centinaia di metri e, esattamente al suo centro, si trovava l'acquario descritto da Marina.
Era una struttura imponente, molto simile ad una serra, con una struttura in ferro che sosteneva dei pannelli di vetro. Già da quella distanza era possibile notare due cose: la prima era che il perimetro del gigantesco acquario era percorribile sfruttando un sistema di corridoi e stanze; la seconda, ben più importante, erano le balene.
Possenti corpi, forti e aggraziati, si muovevano all'interno della struttura. Jeremy si fermò per osservarle, incantato da quello spettacolo così sinistro. Là dentro dovevano esserci decine di cetacei. C'erano megattere e balene grigie, addirittura qualche piccola balenottera azzurra. Tutti misticeti, nessun capodoglio e nessun delfinide.

Intrappolate qui, costrette schiave dalla musica di un flauto... Jim non riusciva ancora a crederci.
Riprese a camminare dopo che Annika gli ebbe fatto notare che i primi della fila li avevano distanziati. Domandò scusa e in breve li raggiunsero.

I corridoi di quella struttura erano spogli, simili alle celle. A sinistra si chiudevano con la parete in ferro, mentre a destra erano aperti sull'enorme vasca delle balene. Gli animali sembravano estasiati, come incoscienti della loro situazione. Notando lo sguardo perplesso di Nathan e comprendendone la ragione, Marina precisò: “E' il flauto. Come ho detto agisce sui neuroni. Assoggetta le balene, che non si rendono conto di ciò che sta succedendo loro.”
“Verdammt.” Andreas scosse la testa “E guardate là.”
Il sommozzatore indicò una balena che stava passando vicino a loro. Il suo corpo era rivestito con una sorta di imbrigliatura, un sistema di cinghie che doveva servire per assicurare i barili di petrolio.
“E' così che li trasportate, dunque?” domandò Annika alla guardia “E poi? Come fate a consegnarli senza destare sospetti?”
“I governi ci danno una mano. Noi facciamo loro un favore, garantendo l'oro nero ad un prezzo basso, e loro chiudono un occhio sulle nostre attività. Strutture costruite dagli stessi governi sono adibite all'accoglienza delle balene e al prelievo del petrolio, che poi viene smerciato tramite i normali canali di distribuzione.”
“Fate schifo.”

Camminarono ancora per un po', fino a giungere in un corridoio che copriva il lato a nord della struttura. Qui fu possibile udire una dolce melodia. Andreas sgranò gli occhi e cercò lo sguardo dei suoi compagni. Trovò quello di Jeremy, che confermò i suoi sospetti. Erano vicini.
La guardia li condusse davanti ad una porta a scorrimento, anch'essa sigillata con un codice.
“Aprila.” ordinò Nathan. La guardia non si mosse.
“Hai il maledetto codice?”
“Sì...”
“Allora aprila!”
Lui obbedì. La porta si spalancò.

Si trattava di una stanza colma di console e computer, illuminati a mostrare un sacco di dati che nessuno poteva comprendere. Alcuni tubi partivano da una grande unità CPU per connettersi, poco lontano, ad un oggetto in pietra di forma allungata. Aveva fori lungo tutto il corpo e un'imboccatura all'estremità. Il flauto.
Quella fu la prima rivelazione: la seconda, invece, fu che non erano soli.
Il ghigno di Edward Mansell li accolse; si trovava di fronte a loro, con una pistola in pugno e circondato da due uomini. Diana era al suo fianco.
“No!” gridò Jim.
“Ah!Ah!” rise Mansell “Bravi, mi compiaccio. Siete riusciti a fuggire dalla cella, ma non avete considerato una piccola cosa. Piccola ma
importante. Ogni mio uomo è equipaggiato con una trasmittente che, all'occorrenza, può essere usata per mandare un segnale direttamente a me. Un oggettino minuscolo, praticamente invisibile, ma che vi ha traditi nel momento stesso in cui vi facevate aprire il passaggio per l'acquario.”
“Maledizione.” Nathan continuava a puntare il suo fucile, così come Annika, ma erano in svantaggio numerico.

 

Passò più di un minuto, l'unico suono quello del flauto, che continuava a ripetere la stessa serie di note, diffuse nell'acqua tramite degli altoparlanti; l'unico movimento quello delle balene, che volteggiavano ignare.
“Mi pare che abbiate perso, signori.” sentenziò Edward.
“Forse.” Jeremy fece un passo avanti, deciso a tentare il tutto per tutto. Gli uomini di Mansell si agitarono, ma il loro capo ordinò di non sparare.
“Forse.” ripeté Jim “Ma forse, alla fine, sarete voi ad aver perso di più.”
“Ancora con questa storia?”
“Tu non capisci, Mansell. Sei accecato dalla brama di denaro e non riesce a vedere al di là del tuo naso. Non riesci a vedere nel futuro, tuo e del mondo in cui abiti.”
Annika e Nathan si guardarono, Andreas decise di dare manforte all'amico.
“Ja. Jeremy ha ragione. Tu parli tanto di distribuire il petrolio, di far fronte alla domanda mondiale di carburante, eppure pensa: come puoi distribuire petrolio ad un mondo che muore?”
“Per qualche pezzettino di mare?”
“Sei un idiota. Il mondo si basa su un equilibrio fin troppo delicato, che una minima azione può infrangere. I tuoi
pezzettini di mare diventeranno tutti i mari, poi gli Oceani. E se l'acqua muore, muore anche la terra, perché dall'acqua dipende. Moriamo tutti. Muori anche tu.”
Gli uomini a fianco di Mansell abbassarono i fucili. Forse il rimorso li stava colpendo.
“Cosa fate? Cosa state facendo?” chiese Edward.
“Capo, forse hanno ragione loro.”
“Sì!” rincarò Nathan “Certo che abbiamo ragione, noi non viviamo per i soldi, come te. Noi vediamo la realtà delle cose. Sei davvero pronto a sacrificare l'intero pianeta?”
“Io... Dannazione, basta! Tacete!”
“La tipica risposta di chi non ha più argomenti. Vuoi che tacciamo, così da non dover affrontare le conseguenze delle tue azioni.” intervenne allora Annika, mentre Andreas faceva segno a Marina di portarsi a contatto con il flauto. Lei eseguì l'ordine, mentre l'attenzione di Mansell era concentrata sul discorso.
“Credi di poter comandare la natura ma, alla fine, la natura vincerà sempre.” concluse Jeremy, mentre Marina scollegava il flauto dai computer.

Fu un attimo; la musica si interruppe e le balene si sentirono spaesate. Uscirono dal mondo falso in cui la loro mente era imprigionata e si resero conto di dove si trovavano. Furiosa, una di loro colpì con forza l'acquario, distraendo Mansell. Quando questi si voltò per vedere cos'era successo, Jeremy ringhiò e si lanciò contro di lui. Ingaggiarono una lotta furiosa e, alla fine, Jim ebbe la meglio. Con un colpo ben assestato al mento di Edward, lo mandò nel mondo dei sogni.
Nessuno dei suoi uomini fece nulla per aiutarlo. Neppure Diana mosse un dito. Il suo viso sembrava una maschera di terrore e di consapevolezza.

Presero un paio di manette e le misero ai polsi di Mansell. Nathan raccolse il corpo privo di sensi.
“Dovete liberare i cetacei!” gridò Andreas “O distruggeranno tutta la struttura, con noi dentro!”
“Sì, subito!” rispose una delle guardie. Si portò ad una console e armeggiò con la tastiera, inserendo codici su codici. Il monitor mostrò le porte dell'acquario aprirsi, mentre tutto tremava sotto i colpi delle balene.
“Allora, hai aperto?”
“Sì, ma non funziona! Sono furiose, non escono!”
“No!”

Quasi innaturale, la melodia di un flauto si sparse per la stanza. Marina stava suonando lo strumento musicale. Mentre tutti erano impegnati con i computer, aveva collegato nuovamente i cavi e ora una nuova musica, ben diversa da quella suonata in precedenza, colpiva le orecchie delle balene.
Una ad una, queste si diressero verso l'uscita della vasca, riprendendo il mare.
Nel nuovo silenzio che si era creato, Marina riprese il flauto e guardò gli altri.
“Ho detto loro che sono libere di tornare a vivere.” disse soltanto.

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Capitolo 17
*** Epilogo - Pagine (e note dell'autore) ***


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Epilogo
Pagine

 

08/04/2013

Ho deciso di continuare il diario di mio zio. E' giusto che si riempiano anche le pagine che, fino ad ora, sono rimaste bianche. E' giusto che lui, dovunque sia in questo momento, sappia che non l'ho deluso, che sono riuscito a concludere la missione da lui iniziata.

Mansell è stato arrestato, le prove a suo carico erano schiaccianti e i suoi uomini, Diana compresa, hanno deciso di andare fino in fondo, testimoniando contro di lui in tribunale. Anche loro hanno subito una pena, per averlo aiutato, ma se la caveranno con qualche mese di carcere. Stando alle ultime notizie che ho ricevuto, Edward ci rimarrà a vita e penso sia giusto così. Il suo crimine è uno dei peggiori che possano essere commessi.

Diversi membri di vari governi hanno subito una sorte simile, dopo che altri, più onesti e all'oscuro di tutto, hanno scoperto il loro collegamento con quel terribile affare. Spero che saranno costretti anche loro a passare il resto dell'esistenza in cella, anche se, trattandosi di personalità importanti, non si può mai dire con certezza.

Le balene sono tornate; libere dall'influsso del flauto hanno potuto tornare a casa. Il krill è ancora tanto, ma diminuisce pian piano. Anche altri pesci abitano nuovamente la zona intorno ad Erston. L'ecosistema si sta riformando, pian piano. Fatico ad esprimere la mia gioia.

Annika ha passato qualche brutto momento per via del furto della
Dalia, ma è riuscita ad uscirne indenne, dimostrando l'innegabile utilità delle sue azioni.
Nathan è tornato ad insegnare biologia marina a Dover. Sicuramente lo farà con occhi diversi, dopo tutto ciò di cui è stato testimone. Ha promesso, quando ci siamo salutati, di battersi con ferocia perché le nuove generazioni capiscano il vero valore del mare e dei suoi abitanti.
Andreas starà ancora per qualche giorno ad Erston, per controllare che tutto vada come deve andare. E' ancora, naturalmente, ospite a villa Bent.
Marina... Marina è scomparsa. Eccessivamente provata da quell'esperienza, ha deciso di trasferirsi altrove, nemmeno lei era sicura riguardo alla sua destinazione. Non so nulla, forse è tornata in Italia, nella sua terra. Spero sinceramente che stia bene, e che possa ritrovare la sua pace.

Quanto a me...
Ho perfettamente compreso ciò che provò il padre di Marina, Franco, quando la moglie morì. Sono da solo, ora. Meg mi ha lasciato, prendendosi praticamente tutto ciò che abbiamo condiviso a Londra. I miei genitori continuano la loro tranquilla esistenza, ma non me la sono sentita di tornare da loro. No, tutto ciò che appartiene al mio passato mi fa stare male.
Ho scoperto una nuova vita, un nuovo amore. Ho chiesto a Marina il permesso di tenere il flauto, ora è mio.
Rimarrò a villa Bent. E' la mia casa, la mia vera casa, l'ho sempre saputo e ora ne sono più convinto che mai. Saremo io e il mare. Nessuna persona, nessuna interruzione di questa intimità.
Solo io e il mare.

Ieri ho preso il flauto e sono andato sul balcone. Ho suonato una sola nota, una piccola ed innocua richiesta.
Ciò che ho visto saltare fuori dall'acqua era ben più di una megattera. Era la materia stessa dei sogni.
Ho avuto la prova che, a volte, si possono avverare.

Jeremy.

 

 

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Note dell'autore


E' importante, quando si narra una storia ambientata sul pianeta Terra, precisare ciò che è realtà e ciò che non lo è, giusto per non confondere le acque.

Erston: non esiste. Ho osservato alcune fotografie della regione di Dover e a quelle mi sono ispirato per la descrizione del piccolo villaggio, volutamente incompleta. Ho preferito descrivere solo le cose essenziali e lasciare tutto il resto alla vostra immaginazione. Diciamo che Erston, per come la vedo io, dev'essere il vostro villaggio sul mare.

 

Balene: le informazioni relative alle balene sono vere. La loro comunicazione è basata sul suono e davvero ci sono teorie che individuano nei sonar la causa degli spiaggiamenti.

Krill: il krill bioluminescente esiste davvero, potete trovare delle immagini su Google. La bioluminescenza è realmente blu, poiché si tratta dell'ultima radiazione solare a scomparire, scendendo nelle profondità. E' il cibo delle balene e, se queste si estinguessero, si andrebbe davvero incontro ad una sovrappopolazione. Naturalmente il tutto richiederebbe tempi molto lunghi e la velocità con cui gli eventi si sono verificati nel racconto è semplicemente una necessità letteraria.

 

Atlantide: il labirinto è davvero il simbolo di Atlantide e le teorie citate, quelle che individuano nel mare l'habitat naturale per l'uomo, esistono davvero. La teoria sull'evoluzione marina e sulla nostra reale origine, invece, è frutto dell'immaginazione.

Flauto: naturalmente non esiste alcun flauto degli Oceani, ma non è assurdo pensare che possano essere creati dei richiami per le balene. Un richiamo, comunque, non agirebbe sui neuroni e non assoggetterebbe queste meravigliose creature. Ciò che dice Marina è solamente ai fini della narrazione.

Fonti: tutto ciò che ho scritto sulle balene, sul mare e sul krill l'ho appreso da due opere dell'eccezionale Frank Schätzing, Il quinto giorno (Thriller, Mistero, Avventura) e Il mondo d'acqua (Saggistica), entrambi disponibili in edizione TEA e facilmente rintracciabili nelle librerie. Consiglio caldamente l'acquisto, si tratta di due capolavori che vi terranno con il naso incollato alle pagine.
I riferimenti ad Atlantide ed al labirinto, invece, vengono da
La mappa di pietra di James Rollins (Avventura, Azione), sempre disponibile in edizione TEA e sempre vivamente consigliato.

Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito e che hanno dato il loro parere su questo racconto.
Continuate a seguirmi, spero di potervi intrattenere ancora.

Alla prossima storia!
Alberto

 

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