Piccolo Angelo

di MadHatter96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Familiare ***
Capitolo 2: *** Disumano ***
Capitolo 3: *** Cuore ***
Capitolo 4: *** Impossibile ***
Capitolo 5: *** Confidenza ***
Capitolo 6: *** Paura ***
Capitolo 7: *** Buono ***
Capitolo 8: *** Legame ***
Capitolo 9: *** Secoli ***
Capitolo 10: *** Addio ***
Capitolo 11: *** Ali ***



Capitolo 1
*** Familiare ***


Familiare
 
Ed ora lei era lì... terrorizzata.
Non si ricordava nulla, solo il sangue che la circondava.
Si alzò dal letto per osservare la squallida stanza che la circondava. Sword & Cross school, così quella donna aveva chiamato la scuola in cui si trovava.
Era stata spedita lì non appena l’avevano trovata svenuta in mezzo al sangue.
“E’ bellissima…”
“E’ un angelo.”
Aveva sentito solo quello, quelle uniche parole circondate da oscurità.
Si avvicinò alla finestra per specchiarsi, tanto ormai fuori era talmente buio da potersi vedere dipinta perfettamente sul vetro della finestra: vide i lunghi capelli neri come la notte che lei odiava con tutta sé stessa, le sembrava di essere la protagonista di uno di quei film horror che a lei non piacevano per niente; certe volte aveva provato a spacciarli per castani scuri ma erano inevitabilmente neri.
Scosse la testa e si concentrò sugli occhi: avevano il colore di un estivo cielo serale, il colore che assume l’atmosfera che avvolge la terra quando il sole è ormai calato ma regala ancora abbastanza luce da lasciar distinguere il colore azzurrino del mantello celeste.
Lei guardò e riguardò quell’immagine, come se avesse ritrovato sé stessa, come se per molto tempo non fosse stata in lei.
Anche il suo nome, Isabelle, fu un sollievo pronunciarlo.
Non ricordava nulla, solo che era orfana… o che per lo meno i suoi genitori non l’avevano allevata.
Aveva paura ma una strana sicurezza si era radicata in lei.
Un leggero picchiettio alla porta la fece voltare di scatto e subito questa si aprì.
Oca, pensò non appena vide la ragazza bionda vestita di rosa che si era presentata alla porta.
“Dovresti chiudere a chiave la porta sai?” Disse lei con un sorriso amichevole.
Belle premette la schiena contro la parete: “Lo farò…” mormorò con un filo di voce.
La bionda avanzò nella stanza e le si parò davanti: “Sono Gabrielle… ma chiamami pure Gabbe.”
Belle trattenne un attimo il respiro… aveva paura, ma aveva anche disperatamente bisogno di qualcuno che le fosse amico, o almeno assomigliasse ad un amico.
“Isabelle…” sussurrò.
“Oh, Belle… so benissimo chi sei.”
Belle scosse lievemente la testa: “Cos…?”
“Non preoccuparti tesoro… vieni, c’è una persona che ti vuole conoscere.”
Isabelle indugiò qualche secondo nell’afferrare la mano della bionda ma poi spinta da una sensazione di  familiarità si fidò e la seguì all’esterno della stanza.
“Anche tu i capelli neri? Forse dovrei tingermeli…” Disse Gabbe con un dolce tono scherzoso.
“No! I tuoi sono bellissimi!”
Gabbe sorrise: “I tuoi capelli assomigliano molto a quelli di Luce… forse sono solo un po’ più lisci, e decisamente più lunghi.”
Luce. Lucinda. Quel nome fece scattare in Belle qualcosa di nuovo ed estremamente familiare. Possibile che l’avesse già incontrata? No, anche se non poteva esserne certa visto che non ricordava nulla.
Era come qualcosa di lontano, e le provocava una strana nostalgia .
Intanto Gabbe aprì la porta che portava all’esterno.
Belle si bloccò: era buio pesto fuori.
Gabbe si girò e nuovamente le sorrise rassicurante: “Fidati di me, stai tranquilla tesoro.”
Istintivamente Belle annuì e seguì la sua nuova conoscenza nelle tenebre della notte.
L’aria serale che le avvolgeva il corpo le fece venire la pelle d’oca e inumidì la leggera maglietta nera.
Sentiva l’erba alta sfiorarle le ginocchia dandole una sensazione di prurito ma cercò di ignorarla.
Sebbene non ci fosse luce aveva già ben identificato lo squallore di quel posto, un carcere in confronto sembrava un hotel a cinque stelle!
Gabbe camminava decisa e Belle cercava di calpestare i unti dove lei metteva i piedi per non incorrere in qualche brutta sorpresa… e lei era sicura ce ne fossero tante.
Ad un certo punto notò una fredda luce provenire da due punti in alto abbastanza distanti da loro: due lampioni illuminavano uno spiazzo in cemento circondato da tribune mal ridotte… Belle ne dedusse che fosse un campo da gioco.
Due ragazze erano sedute sulle panche in legno traballanti intente a parlare di qualcosa che Belle da dove si trovava non riusciva a sentire.
Gabbe fece un gesto con la mano in modo da farsi notare dalle due che in tutta risposta le fecero cenno di avvicinarsi.
“Vieni.” Disse Gabbe prendendole la mano e Belle la seguì avvicinandosi a quelle ragazze.  Quando fu abbastanza vicina da distinguerne il volto si soffermò su quella con i capelli corti e neri.
Un crampo allo stomaco la prese, come se avesse rivisto una persona cara dopo tanto tempo.
La ragazza le si avvicinò e Belle rimase interdetta… aveva come voglia di… abbracciarla?
“Piccolo Angelo?” Chiese la ragazza lasciando soffermare il suo sguardo carico di affetto su Belle.
“Sì.” Rispose Gabbe.
Belle non capì il senso di quella domanda.
Piccolo Angelo?
Quasi la spaventò… non era possibile che l’avesse già incontrata… o forse sì?
O forse… sì… le ricordava qualcuno… ma chi?
La mora scosse la testa e assunse un sorriso spavaldo: “Scusa, è che non è normale vedere gente così per bene qui. Io sono Arianne.”
“Isa…”
“Sappiamo chi sei.” L’altra ragazza era saltata giù dalle panchine: “Non hanno fatto che nominare il tuo nome oggi… io sono Annabelle, sua sorella.” Disse indicando Arianne.
Belle sorrise. Si sentiva così spaventata e spaesata… ma allo stesso tempo aveva la sensazione di aver ritrovato qualcosa.
“Hai notizie di Luce?”
Luce? Ancora quel nome… ma chi era?
Arianne si strinse le spalle: “Oggi l’ho… aiutata a tirarsi fuori dai guai.” Disse con non curanza.
“Ok, mi racconterai dopo.”  Rispose Gabbe sorridendo.
Belle si sentiva tremendamente di troppo.
“Ah, Arianne… stavo pensando…” Iniziò la bionda sistemandosi il cerchiello rora tra i capelli
“No!” Rispose secca l’altra come se le avesse letto nel pensiero.
“Arianne, ascolta… tu sai che è per lei se è come è ora…”
“Non me ne frega! Se l’avesse amata veramente non  lo avrebbe fatto!” Contestò Arianne acida. Cos’era? Dovevano rimettere insieme una coppia? Era l’ipotesi più probabile.
Gabbe la guardò con aria di rimprovero: “Ascolta, se è così legato a lei come dici, cosa che io non credo, faranno tutto da soli, non ci sarà bisogno che tu faccia nulla.” Concluse la mora rivolgendo lo sguardo alla sorrela come per cercare appoggio.
L’aria pungente infastidiva non poco Belle che si era stretta nelle braccia per ripararsi da quel venticello insopportabile.
“Possiamo rientrare?” Chiese poi non resistendo più.
“Ma domani è domenica tesoro, goditi la vita!” Esclamò Arianne con un  sorriso a trentadue denti.
“Belle ha ragione, non dovremmo nemmeno essere qui.” Disse Gabbe circondando le spalle di Belle con un braccio.
In quel momento un lampione si spense lasciando il duro compito dell’illuminazione solo al suo squallido compagno.
“Ok,ok… avete ragione. Andiamo prima che ci becchino.”
L’idea del fatto che stesse facendo qualcosa contro le regole in quella scuola le strinse lo stomaco quindi decise di concentrarsi sull’essenziale paesaggio.
Un boschetto in lontananza attirò la sua attenzione. Affilò lo sguardo per capire di cosa si trattasse: “Cos’è quello?”
“Quello laggiù? Ah, è il cimitero.” Disse tranquilla Arianne.
Belle sbarrò gli occhi. La stava prendendo in giro, non c’era alcun dubbio.
Un cimitero? Nella scuola? La pelle già ruvida per la frescura diventò di carta vitrea… distolse lo sguardo e pregò che quella notte non le tornasse in mente la scoperta.
 
Quella notte uno strano sogno pervase la mente di Belle: era circondata da una calda luce che risplendeva tutt’attorno, nonostante nel sogno tenesse gli occhi chiusi riusciva a percepirla… un dolce calore che la proteggeva… e un battito di un cuore.

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Capitolo 2
*** Disumano ***


Disumano
 
Isabelle si svegliò accarezzata dalla tenue luce solare che penetrava dalle nuvole che quella mattina velavano il cielo.
Rabbrividì nel ricordare che non ricordava affatto.
Ma nonostante la tristezza del posto le ragazze incontrate la facevano sentire come… a casa. Beh, non poteva dirlo visto che non ricordava cosa voleva dire avere una casa.
Da quanto Gabbe le aveva detto quel giorno era Domenica e quindi non avrebbe sperimentato le lezioni di quella scuola.
Adagiò dolcemente i piedi sul pavimento e si accarezzò distrattamente i capelli corvini.
Si vestì distrattamente non avendo idea sul da farsi. Davano la colazione?
Avrebbe dovuto chiederlo a Gabbe ma non aveva la più pallida idea di dove fosse.
Si incamminò per i grigi corridoi dell’edificio scrutando i volti in cerca di quello di Gabbe o Arianne.
Scivolò tra le aule cercando di non essere notata e alla fine si convinse ad uscire.
L’esterno era molto più popolato della scorsa notte e i ragazzi cercavano al di fuori un posto un po’ più accogliente per passare il giorno che avrebbe dovuto essere di festa.
Isabelle si incamminò felice che questa volta poteva osservare dove metteva i piedi. L’erba ancora inumidita dalla brina mattutina le bagnava l’orlo dei jeans ma per quanto lei odiasse sentire gli abiti bagnati addosso cercò di ignorare quel fastidio.
Attraversò il campo da gioco della sera scorsa rischiando di prendersi una pallonata in testa più tosto che camminare ancora nell’umidità ; fissava chiunque si trovasse davanti per riscontrarne qualche lineamento familiare ma le ragazze della sera precedente sembravano volatilizzate.
Belle si chiese ironicamente se per caso avessero preso il volo.
Lei non ricordava nulla… perché si stava comportando così normalmente?
Non che non ricordasse assolutamente nulla… ricordava il suo adorato cugino che per lei era come un fratello… ma non sapeva come avesse fatto ad arrivare lì.
Da quanto aveva capito aveva a disposizione quindici minuti a settimana per le telefonate… lei non li avrebbe sprecati. Però l’idea di suo cugino non l’aveva minimamente sfiorata fino a quel momento… quasi si spaventò del suo strano comportamento: avrebbe dovuto piangere, chiudersi in sé e disperarsi, invece era lì, a camminare in cerca delle compagne appena conosciute.
Improvvisamente si bloccò e voltò lo sguardo; delle mura di pietre grigie circondavano uno spazio decisamente grande per i suoi gusti: il cimitero.
Era a pochi passi dall’entrata. Nonostante provasse non poco ribrezzo per quel posto si avvicinò a sbirciare: il terreno era leggermente coperto da una leggera nebbiolina e lasciava intravedere le lapidi e le statue sacre posti sulle tombe di persone che avevano già concluso la loro vita. Le venne da trattenere il fiato al pensiero che un giorno il suo corpo  sarebbe stato rinchiuso in uno di quelle cose.
Sporse un po’ di più le spalle in avanti per osservare oltre la barriera fosca quando un movimento dietro di lei la fece sobbalzare.
“Ehi, scusa. Non  pensavo di spaventarti.” Un ragazzo alzò le mani in segno di innocenza.
Belle rimase bloccata; per un attimo anche i suoi polmoni non ricevettero più aria e avrebbe giurato che il suo cuore per una frazione di secondo non aveva spinto il sangue nelle sue vene: era bellissimo.
Non riusciva a capire quale fosse la caratteristica che l’aveva colpita di più in quel ragazzo: se la pelle marmorea o i capelli nerissimi, più neri dei suoi, che risplendevano ai pochi raggi solari che il cielo lasciava intravedere. Alla fine Belle decise che la cosa più bella di quel ragazzo fossero gli occhi. Due smeraldi preziosi e splendenti perfetti per completare quell’opera divina che poteva essere stata creata solo dalle mani di Dio.
Trasalì quando si accorse di averlo fissato in silenzio fino a quel momento: “Sono Belle.” Disse abbassando lo sguardo.
“Belle…?” Chiese, lei lo guardò e notò che la stava osservando in maniera strana… un po’ come l’aveva fissata Arianne la notte scorsa, ma poi lui scosse la testa: “… ma no, è impossibile.” Mormorò sorridendo come divertito per la sua stupidità.
Lo aveva fatto restar male? Si sentì quasi in colpa.
Belle trasalì quando gli occhi verdi di lui si posarono nuovamente su di lei: “Io sono Cam.” Si presentò
“Cam…?” Mormorò lei sperando che lui capisse di dirle il nome completo… non era brava ad indovinare attraverso i nomignoli.
“Cameron.” Rispose lui dipingendo sulle sue labbra accese un sorriso beffardo: “Non sei molto perspicace, eh, Isabelle?”
Lei abbassò nuovamente: “Sì… però Isabelle è più facile da indovinare!” si difese.
Lui ridacchiò: “Perché Cam potrebbe corrispondere a un sacco di altri nomi vero?”
Belle passò velocemente in rassegna tutti i nomi che la sua poca esperienza le permetteva di conoscere: “Camden.” Rispose infine.
Cam sorrise divertito: “E va bene, questa te la do vinta… ma solo perché sei nuova.” La ammonì.
Lei sorrise non sapendo che fare.
Lui la squadrò da testa a piedi per poi accarezzarsi la mascella in gesto di interesse: “Però, non sembreresti  tipa da cimiteri.”
“Infatti non lo sono.” Rispose frettolosamente lei gettandosi poi un’occhiata alle spalle.
“E allora come mai sei qui?”
“Ci sono capitata per caso…”
“Beh, ti posso dire che di tutta la scuola questo è il posto più interessante, insieme alla piscina.”
“Piscina?”
“ma come, nessuno ti ha portato a fare il giro turistico?”
“No, cioè… ieri era buio…” cercò goffamente di spiegare.
“Ok, ho capito. Vorrà dire che avrò io l’onore. La prego di seguirmi my lady.” Disse piegandosi in un inchino teatrale.
Belle si sentì surriscaldare al pensiero di passare anche solo cinque minuti in più con quel ragazzo. D’istinto lo associò alla classe dei musicisti Rock… ma non ne era sicura.
Il suo cervello riuscì a riordinare le idee solamente dopo aver varcato la soglia del cimitero: “No!” Esclamò appena si rese conto di aver varcato la soglia.
“No? No che io ti faccia da guida o no al cimitero?” Le aveva letto nel pensiero.
“Cimitero.” Rispose lei secca.
Lui sorrise scherzosamente: “Sta tranquilla, se un morto salterà fuori dalla tomba ti proteggo io.”
Belle arrossì comprendendo la presa in giro: “Non è per quello! È solo che il pensiero di essere circondata da delle persone morte…”
“Pensa se al posto di essere circondata dai morti ti trovassi circondata dai demoni?” aveva tutta l’aria di uno scherzo eppure Belle percepì un significato nascosto; lo guardò perplessa e lui iniziò a ridere.
“Certo che sei forte eh?” Disse lui ancora ridendo.
Lei scosse la testa: “Non è divertente!”
Lui inarcò un sopracciglio perplesso: “Guarda che scherzo…”
“Sì, lo so, è che…”
“Non preoccuparti, la maggior parte dei corpi sepolti qui sarà disintegrata… a parte…”
Non era certa di voler sapere come continua la frase, ma una parte di lei desiderava sapere: “ A parte?”
Lui le lanciò un’occhiata:” Lascia perdere.”  
La guardò ancora per un attimo puntando i suoi smeraldi sull’oceano di lei, poi indietreggiò fino a raggiungerla e le prese la mano: quel contatto fece provare un brivido a Belle che non riuscì a capire se si trattasse di una sensazione di gelo o di calore… ma forse erano entrambe le cose.
E di nuovo si stava fidando di qualcuno che assolutamente non conosceva.
Ma questa volta non aveva assolutamente intenzione di diffidare.
Sarà perché lei in quel ragazzo aveva visto qualcosa di angelico, inumano, ma voleva fidarsi.
Si lasciò guidare dalla mano del ragazzo tra le lapidi sperando solo di fare la cosa giusta.
 Questa è la seconda fanfiction che pubblico e la prima su Fallen, spero vi piaccia.
Avviso che questa fanfiction seguirà a grandi linee il racconto originale fino a "Passion" dopodichè la spiegazione di vari misteri sarà solo data dalla mia fantasia.
Spero che qualcuno la segua. Grazie :) 

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Capitolo 3
*** Cuore ***


Cuore
 

Belle sfiorò il muschio umido creatosi su un monumento di pietra. Non voleva  pensare che quello era un monumento mortuario.
Si guardò intorno lasciando che la densa aria umida le invadesse le narici: “Potrebbe essere un perfetto set teatrale.” Mormorò rivolgendo poi gli occhi al suo accompagnatore che se ne stava appoggiato ad una lapide con una sigaretta ardente tra le labbra. Lui si limitò a sorridere.
Lei continuò a fissarlo: quegli occhi verdi… così irreali, sovrannaturali.
Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro per impedire al suo cuore di fermarsi nuovamente.
Quando si sentì calmare l’anima, decise di avvicinarsi, senza però alzare gli occhi sul suo sguardo.
“Vieni spesso qui?” Chiese lei capendo subito che l’unico scopo della domanda era sentire la voce di lui.
“Quando ho bisogno di pensare.” Le rispose stringendosi nelle spalle.
Lei storse il naso: “Vieni qui da solo? Non ti viene malinconia?”
Lui ghignò divertito: “Perché? In questo posto c’è forse qualcosa che può togliere la malinconia?”
Belle rivolse un’occhiata ai cancelli: no, quel posto era tutto un cimitero.
“Sì beh… ma sei in mezzo ai morti qui…”
“Ma tu sei proprio ossessionata!”  esclamò lui portandosi una mano sugli occhi senza perdere il sorriso di divertimento.
“Senti! A me da fastidio ok?!” Ribatté lei  portandosi le mani sui fianchi. Per quanto la imbarazzasse affrontarlo cercò di non darlo a vedere.
“OK, ok. Non volevo innervosirti. “ disse lui alzando le mani e chinando la testa in segno di resa, poi si voltò e iniziò ad incamminarsi verso i cancelli di quel lugubre luogo.
“Dove vai?” Chiese lei rincorrendolo: non aveva la  minima intenzione di rimanere lì da sola.
“Sembri un cagnolino.” Le fece notare lui quando Belle gli giunse accanto. Lei decise di ignorarlo.
“Ti porto alla piscina.” Rispose infine Cam lasciando poi cadere la sigaretta sulla terra fredda e calpestandola per spegnere l’ultima scintilla.
Belle lo seguì fino ai cancelli: un raggio di sole le colpì gli occhi costringendola a portare una mano davanti alla fronte per coprirsi: “Sembra un altro mondo…” Disse sollevata dall’essere uscita da quel posto.
Ancora con la luce abbagliante ma non bruciante sugli occhi osò spostare il suo sguardo dall’oscurità offertale dal proprio braccio al ragazzo difronte a lei e il respiro si bloccò nuovamente quando per un attimo le sembrò che non fosse il sole a risplendere ma Cam. Cam che risplendeva di una strana luce dorata.
L’impressione più assurda che avrebbe mai potuto avere. Eppure, nonostante il respiro avesse ripreso regolarmente si sentiva ancora quella stupenda voragine all’altezza dei polmoni che la invadeva quando quel ragazzo appena conosciuto la guardava. Era angelico.
Distolse lo sguardo rapidamente quando si accorse che lui si era fermato a guardarla e ricominciò a camminare quando sentì i suoi passi avanzare sull’erba che ormai si stava asciugando.
“Una chiesa? C’è anche una chiesa?” Chiese guardando incredula la sacra struttura.
Cam rise: “No, è una piscina.”
Belle lo guardò di sbieco e incrociò le braccia al petto cercando di darsi importanza: “Non prendermi in giro!” ordinò mentre lui continuava a sorridere.
“Non ti sto prendendo in giro. Questa è un ex-chiesa che ora funge da piscina per la scuola.” Disse Cam cercando di imitare una guida turistica.
Lei si avvicinò alla porta e guardò senza fidarsi delle parole del suo accompagnatore, ma le venne da mordersi la lingua quando davanti a lei si aprì un grande spazio acquatico che occupava tutto il pavimento che un tempo ospitava la platea.
Sui bordi erano ancora presenti dei classici arredamenti ecclesiastici e alcuni dipinti erano ancora nitidi.
Rimase ferma ad osservare quella bizzarra piscina mentre veniva superata da Cam che fece ricadere l’attenzione di lei su di lui. Era come una calamita, Belle non poteva farci niente, al centro dell’attenzione c’era solo lui.
Cam si portò al centro del bordo a destra e si chinò a guardare l’acqua. Belle si chiese se lo avesse fatto per ammaliarla, ma che lo avesse fatto a posta o no… la incantò di nuovo.
Questa volta i riflessi acquatici e le vetrate colorate che risplendevano su di lui e sul suo riflesso davano un effetto magico e perfetto… così bello che volle immergersi anche lei in quell’atmosfera surreale e stupenda. Magica, non c’era altro modo per descrivere l’aria che respirava.
Varcò la soglia e camminò lungo il bordo osservandosi dipinta nell’acqua mentre raggiungeva il ragazzo.
“Stano… ma stupendo.” mormorò guardandosi attorno.
Lui annuì senza dire nulla e continuando a guardare il suo riflesso… o forse il loro?
“Bellissimo finché non ti ritrovi qui per la lezione.”
Lei rimase a bocca aperta: “Nuoto?”
Lui alzò un sopracciglio come per far notare la banalità della domanda: “No, baseball.”
Non le venne da ridere. Lei non sapeva nuotare, anzi aveva il terrore dell’acqua, della profondità.
Scattò in piedi e fece un passo indietro verso le tribune.
“Che c’è? Hai paura?” Chiese Cam con un sorriso che Belle in quel momento definì malefico.
Lei non rispose e salì sul primo gradino delle tribune. Lui si alzò lentamente e iniziò ad avanzare pericolosamente: “Non sai nuotare, e se ti butto?”
Belle saltò sul secondo gradino mentre lui raggiungeva il primo.
“Fermo…!” Lui continuò ad avanzare e lei salì i restanti scalini di corsa per poi correre su tutta la lunghezza dell’ultima panca.
“Fermo! Fermo!” Gridò lei portandosi le mani in avanti come per allontanarlo.
Lui la ignorò e lasciò intravedere i denti bianchissimi tra le labbra accese.
Belle saltò giù dalla panca: “Basta, devo andare.” Disse mostrandosi credibile.
Lui inarcò nuovamente il sopracciglio perplesso: “Andare dove? È domenica…”
“Appunto… non ho voglia di rovinarmela.” Rispose cercando qualunque scusa pur di evitare di essere raggiunta da lui.
Cam incrociò le braccia al petto: “Perché? Passarla con me te la rovina?”
Lei appoggiò le spalle al muro: “Ma se ti conosco da meno di un’ora e non hai fatto altro che prendermi in giro.” Cercò di difendersi da quella che aveva tutta l’aria di un’accusa.
“Guarda che io non faccio mica sul serio. E poi, lo hai detto tu? Mi conosci da meno di un’ora.”
“Beh, può essere che mi basti.” Rispose lei iniziando a titubare.
Gli occhi di smeraldo la fissavano con insistenza e Belle si accorse di aver dato l’idea di voler scappare da lui. Ma non era così. Lei era solo terrorizzata dalla piscina.
Ma ormai era troppo tardi. Abbassò lo sguardo e si portò nuovamente sui gradini iniziando a scenderli finché non si trovò bloccata da un braccio: “Non mi piacciono le persone che mi giudicano alla prima impressione.” Disse lui duro.
Lei rimase sbalordita per la velocità con cui Cam le era apparo davanti.
“N-non ti sto giudicando.” Ed era vero… anzi, lo stava giudicando, ma fin troppo positivamente.
“Ah no?” Chiese lui con una rigida ironia.
Lei abbassò nuovamente lo sguardo e cercò di superarlo ignorando l’impossibilità dell’azione. Lui la bloccò, e lei ci provò ancora ma questa volta si sporse così in avanti che perse l’equilibrio.
Istintivamente si aggrappò al primo appiglio che trovava: Cam.
Afferrò la maglietta nera di lui che in risposta la sorresse con le braccia facendole finire il capo contro il suo petto.
Lei si concentrò sul respiro di lui… e poi lo sentì chiaramente:
il cuore.
Quel battito. Il battito che accompagnava Isabelle ogni notte.  In quel momento avrebbe potuto giurarlo.
Quel suono, il suono che proveniva da dentro il corpo di Cam era lo stesso che la cullava nei suoi sogni.
Chiuse istintivamente gli occhi abbandonandosi a quell’ assurda idea… che potesse essere vero?
Li riaprì. Ma no, tutti i battiti sono uguali. Scosse la testa e ritrovò la stabilità sotto i suoi piedi.
“Grazie…” mormorò alzandosi.
“Di nulla.” Disse lui con un’espressione indecifrabile, ma non arrabbiata.
Belle si sentì in colpa per il suo stupido comportamento di prima: “ Non sei tu che non vai…”
Lui si scosse e inarcò nuovamente il sopracciglio in attesa di un chiarimento.
Lei continuò timidamente: “… è la piscina.”
Lui la guardò un attimo per poi scoppiare a ridere: “La prendo come una richiesta di scuse. Ok, accetto.”
Belle sorrise.
Sorrise perché lei non sapeva nulla, non sapeva come era arrivata lì. Non sapeva dove si trovassero tutti gli amici che l’avevano circondata per tutta la sua vita, non sapeva dov’era suo cugino… eppure era sicura che non si era mai sentita tanto giusta come si era sentita tra le braccia di Cam, accoccolata al suo petto.
 Ok, anche se questa storia non ha seguaci io la continuo a scrivere... scusate ma mi gasa troppo xD
Spero che comunque a qualcuno piaccia. Ringrazio chi ha letto i primi due capitoli. 

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Capitolo 4
*** Impossibile ***


Impossibile

 
Erano ormai tre giorni che Belle si si trovava imprigionata alla Sword&Cross.
Quella mattina si era svegliata di pessimo umore al pensiero della lezione di biologia che l’aspettava.
Un tocco leggero picchiettò sulla porta: “Avanti!” Concesse sapendo già che avrebbe visto la figura di Gabbe entrare leggera come una farfalla in camera.
“Buongiorno!” Squillò lei con un dolce sorriso mentre la mora si pettinava i lunghi capelli: “Buongiorno a te.”
Belle si fissò un’ultima volta nello specchio opaco che era riuscita a recuperare per poi voltarsi sospirando: “Odio dirlo… ma mi sa che dobbiamo andare eh?”
Gabbe emise un risolino e poi con un espressione comprensiva acconsentì.
“Ben svegliata bella principessa!” Squillò Arianne non appena le due ragazze uscirono dalla stanza.
Il corridoio era gelido… sebbene ormai fosse arrivata la bella stagione in quel momento avrebbe voluto indossare il K-way , ma si convinse che era solo dovuto al suo solito strano sogno.
In confronto al calore che la circondava mentre veniva cullata nel sonno il tepore delle coperte diventava inutile anche d’inverno. Sarebbe tornata volentieri a letto per lasciarsi trasportare ancora da quel dolce battito che le faceva compagnia ogni notte.
Sospirò: e se si fosse data per malata?
Verde.
Quel verde le fece dimenticare subito ciò che aveva appena pensato e le procurò l’ennesimo biglietto per il mondo dei sogni.
Cam.
Lui la guardò per qualche istante poi increspò le labbra intense in un sorriso spavaldo.
Lei rimase incantata a guardarlo passando istintivamente una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
Lui si decise: “Buongiorno Belle!” Disse alzando la voce in modo che il suono la raggiungesse nonostante la distanza.
“Anche a te, Cam!” Rispose lei cercando di mostrarsi disinteressata ma già sapeva che la cosa era impossibile.
“Gira alla larga Briel!” Lo ammonì freddamente Arianne facendo sussultare Belle.
“Arianne!” Gabbe le afferrò il polso come gesto di rimproverò ma la mora si liberò.
“Che è? Sei la sua guardia del corpo?” Chiese il ragazzo alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto.
Belle le osservò: forti, lisce, candide e marmoree… Dio, quanto avrebbe voluto lanciarsi tra quelle braccia ancora, sentirsi sostenuta, ascoltare ancora quel battito che le ricorda il sogno in cui lei vorrebbe perennemente rifugiarsi.
Lo avrebbe voluto raggiungere, sentirsi stretta da lui o almeno… sentirsi vicino a lui.
Guardò Arianne come in cerca di una traccia di tranquillità in lei ma non vide altro che uno sguardo protettivo nei suoi confronti.
“Arianne, lascia stare…” Provò a mormorare continuando a fissare la figura di Cam.
“Ok, andiamocene.” Rispose l’altra frettolosa mentre cingeva le spalle di Belle con un braccio e la trascinava via.
Isabelle avrebbe voluto fermarsi ma non potè, sentì lo sguardo ipnotico del ragazzo sulle sue spalle: che stesse ancora pensando che lei stava scappando?
Portò rapidamente la pupilla sulla coda dell’occhio per poter scorgere l’immagine di quell’angelico tentatore ma al suo posto c’era solo il lungo e continuo corridoio.
“Oh mio Dio! Dobbiamo sorbirci ben due ore?!” Esclamò Gabbe irritata da un ultimo cambiamento di orario.
Arianne si limitò ad alzare le spalle mentre Belle si stava chiedendo se in questi casi fosse davvero così sbagliato suicidarsi.
Sospirò e si decise a mettere il piede in classe quando fu nuovamente bloccata: Cam! Come aveva fatto ad arrivare lì prima di loro?
Questa volta lo guardava perplessa cercando di trovare un filo logico.
Quando non lo aveva più visto in corridoio aveva pensato che si fosse rifugiato in una stanza, magari in quella di Roland… ma allora non avrebbe mai potuto arrivare lì in così poco tempo. D’altro canto, se fosse andato dal lato opposto del corridoio quando lei lo aveva cercato avrebbe dovuto scorgerlo di schiena, invece lui era sparito.
Magari aveva preso la loro stessa direzione superandole e lei non lo aveva notato? Impossibile, Belle avrebbe notato lo splendore di Cam anche tra diecimila persone, ne era certa.
E allora come?
Senza accorgersene si era avvicinata al banco dove lui se ne stava comodamente seduto con le mani incrociate dietro la nuca. Solo quando Arianne la richiamò si rese conto della sua azione, ma non si fermò; anzi accelerò il passo.
Gli occhi smeraldini rotearono su di lei e non appena nella loro pupilla entrò l’immagine di quella figura femminile la schiena del ragazzo si raddrizzò in attesa.
Lei lo raggiunse cercando l’espressione più neutra del suo repertoriò e ci riuscì: “Mi spieghi come mai sei qui?” Disse sorpresa appoggiando le mani sul tavolo di lui.
Lui increspò le labbra in un sorriso: “Io ho lezione e tu?”
“No non intendevo questo!” Rispose lei con un brusco movimento del capo: “Come hai fatto ad essere così veloce?” La domanda le apparve più come un’affermazione. Ma comunque non era umanamente possibile… anzi lo era visto che c’era riuscito, ma lei non capiva come.
Scosse la testa come se la potesse liberare e tornò a concentrarsi su Cam; rimase quasi spaventata quando lo rimise a fuoco. Certo, non per le mani che lui teneva incrociate davanti a se ma lo sguardo, uno sguardo penetrante ma celato… era come se il colore dei suoi occhi si fosse scurito e la incitasse a non andare oltre.
Il respiro le si mozzò ancora una volta ma questa volta per il timore: “C-Cam?” Lo chiamò titubante.
Le palpebre di lui si abbassarono lentamente come le mani e assunse una posizione che lo faceva mostrare concentrato finchè sulle sue labbra non si dipinse un ghigno divertito. Riaprì gli occhi lasciando vedere il verde brillante che li caratterizzava.
“Guarda sotto.” Disse indicando sotto il banco. Belle si chinò lentamente ma si sentì vuota quando vide che non c’era nulla di strano.
“Che c’è?” Chiese lievemente scocciata.
“Ho le gambe decisamente più lunghe delle tue, è normale.” Rispose ridendo.
“Mi stai prendendo in giro…” Mormorò lei irritata. Non era possibile che fosse quella la spiegazione.
Improvvisamente Cam scatto in avanti paralizzandola e affiancò le labbra al suo orecchio: “Aspettami questa notte, passerò a darti un salutino”
Riprese subito la sua posizione iniziale quando Arianne raggiunse Belle: “Non badarlo.” Disse la ragazza afferrandole il polso e trascinandola lontano.
Nonostante ciò gli occhi di Cam non si staccarono dai suoi fino a quando non iniziò la lezione.  
“Che ti ha detto?” La voce squillante di Arianne le suonò nell’orecchio quando finalmente stava per alozare il sedere da quell’irritante sedia scricchiolante.
Belle le rivolse un’ occhiata perplessa poi sorrise come per banalizzare: “Nulla.”
“Nulla? Avete parlato un bel po’ per non aver detto nulla.”
“Non riuscivo a capire come avesse fatto ad arrivare prima di noi, tutto qui.”
“E lui te lo ha detto?” Sembrava agitata
“Ha detto… che è perché ha le gambe più lunghe… ma a me sembra stra…”
“Anche a me” La interruppe  l’amica afferrando i libri “Ma a noi che ce ne frega?” Chiese sorridendo.
Belle sorrise a sua volta e raggiunse Gabbe che amicò.
“Ehi…” Il sussurro di Arianne le raggiunse il timpano “… cerca di tenerti distante da Cam… lui è… molto pericoloso.”
Quelle parole le fecero vibrare le vene: Cam pericoloso? No, impossibile.
Come poteva essere pericoloso?
Era vero che il suo aspetto da duro potesse dare quell’impressione… però… volse lo sguardo al banco dove era seduto il ragazzo.
Vuoto.
Era uscito… ma se lei era davanti alla porta…
“Non avere paura di Cam.” Suggerì Gabbe attenta a non farsi sentire da Arianne.
“Come?” Belle si riscosse da quella sensazione di inquietudine che iniziava a pervaderla.
“Non avere paura di lui, fidati.” Ripetè prendendola per mano.
Fidarsi di Cam.
Ma chi era davvero quel ragazzo?

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Capitolo 5
*** Confidenza ***


Confidenza

La sera era giunta anche per quel giorno e Isabelle convinse Gabbe e Arianne a rientrare nell’edificio.
“Buona notte, ci vediamo domani.” L’aveva salutata la ragazza dai corti capelli neri mentre entrava nella propria stanza e Belle aveva risposto con un sorriso.
Gabbe l’aveva accompagnata fino alla porta della sua camera per poi fermarsi pensierosa.
“Tutto bene?” Aveva provato a chiedere Belle all’amica persa dei suoi pensieri, e lei aveva sorriso: “ Sì, non preoccuparti. Tu più tosto rifletti un po’ eh?” Il tono era scherzoso ma nonostante ciò Belle rimase sorpresa da quell’affermazione. Perché avrebbe dovuto riflettere?
“Ci vediamo domani. Vengo a svegliarti!” Aveva continuato la bionda abbracciandola e lei aveva risposto teneramente. Gabbe era stata la sua guida in quei tre giorni e avrebbe continuato ad esserlo insieme ad Arianne. Belle si sentì realizzata nel constatare che quelle due ragazze erano davvero sue amiche, amiche vere.
Sospirò felice e abbassò la maniglia della sua camera per poi accendere la luce e gettarsi sul letto; le pareti scrostate della camera erano ormai state coperte da dei poster che le erano stati procurati da Roland, un ragazzo amico di Arianne che le aveva assicurato che nonostante le telecamere che sorvegliavano gli studenti, nelle stanze era possibile fare di tutto e di più essendo l’unico posto non controllato e l’aveva sbalordita dicendole che ogni tanto si organizzavano anche delle feste con tanto di musica a tutto volume e alcolici. Com’era possibile che in un posto rigido come quello i ragazzi si permettessero tali sbandate?  Ma in fondo la consolava: era pur sempre una ragione in più per non morire.
Roland le aveva promesso che appena ce ne sarebbe stata una l’avrebbe avvisata e costretta a venire.
Sorrise divertita: quel ragazzo era decisamente simpatico, ed era anche convinta che tra lui e Arianne ci fosse un legame speciale, ma aveva preferito tacere.
Si rigirò su un lato per poi decidersi a sfilarsi gli abiti neri e indossare i pantaloni celesti di un pigiama accompagnati da una semplice canottiera grigia.
Si guardò allo specchio: Arianne il giorno prima le se era affiancata e le aveva mostrato come loro due potessero essere scambiate per sorelle. Certo, gli occhi azzurri e i capelli neri c’erano, ma i capelli corti che incorniciavano il viso dell’altra ragazza con magnifiche e perfette onde le piacevano molto di più dei suoi che non riusciva a capire se doveva classificarli come lisci o mossi… e anche gli occhi luminosi e chiari di Arianne si contrapponevano troppo con quelli color sera di Belle. Avrebbe tanto voluto essere bella come lei e Gabbe.
Si gettò nuovamente sul letto sbadigliando: finalmente.
Finalmente poteva tornare ad immergersi nel calore e nella luce di quel sogno così dolce e protettivo.
Allungò la mano per premere il tasto sopra la sua testa e spense la luce.
Iniziava già a sentirlo, sentiva già quel rumore tanto dolce che la cullava ogni notte, il tepore che la circondava e la luce che percepiva. Era felice, di una felicità immensa, stupenda. Non avrebbe potuto essere così felice in nessun altro luogo se non in quell’immensità di benessere, sicurezza e… amore. Sì, perché lì tutto risplendeva d’amore, di un forte affetto rivolto solo e soltanto a lei.
Le sue labbra si incresparono in un sorriso mentre il suo corpo si rannicchio di più nel dolce calore.
E il cuore batteva insieme al suo facendole dimenticare che era tutto un sogno.
Batteva…
Batteva…
Batteva…
Batteva. Tock.
Ma l’ultimo battere non era più quel suono che pareva un cuore, no era più… duro?
Sentì qualcosa che la circondava, la stringeva. La sicurezza di prima diventò incertezza e dopo un’ attimo ciò che l’aveva come afferrata prima la strappò dal calore freddamente e con decisione e lei si sentì mancare. Improvvisamente non sentì più il cuore, stette in silenzio cercando di percepirlo di nuovo ma non c’era più nulla. Andò nel panico, si divincolò e gridò sentendo che qualcosa opponeva resistenza…qualcosa la stava aiutando a tornare nel suo piccolo paradiso, cercò di aggrapparsi a quel qualcosa ma fu inutile e un urlo di dolore, il più straziante che avesse mai sentito le risuonò nelle orecchie facendola sobbalzare nel letto spalancando gli occhi.
Il suo corpo tremava a scatti e il suo respiro era accelerato, come se avesse appena corso una maratona. Dalla sua bocca uscivano ancora piccoli gemiti di terrore mentre i capelli le si erano incollati alla schiena.
Calmati, calmati provò a comandarsi ma era inutile. Era sotto shock, nel modo più assoluto. Non riusciva a muoversi, come paralizzata.
Improvvisamente una mano le toccò la schiena facendola scattare come una molla in piedi sul letto.
“Ehi, calmati.” Sussurrò piano una voce che la fece rabbrividire. Si decise a mettere a fuoco quel poco che poteva vedere nell’oscurità e scorse due smeraldi abbaglianti che la fissavano.
“C-Cam…?” Mormorò ancora spaventata.
“Te lo avevo detto di aspettarmi no?” Disse lui in tono scherzoso ma lei non aveva voglia di giocare. Si riaccasciò sul letto con le lacrime agli occhi per poi gettarsi contro di lui.
In quel momento qualsiasi persona le sarebbe andata bene, ma lui era il massimo.
Si lasciò andare, lasciò che i lamenti le uscissero dalla gola e le lacrime bagnassero la maglia di lui mentre la guardava quasi spaventato.
“Che è successo?” Chiese poi in un sussurro preoccupato accogliendola teneramente tra le braccia. Lei si rannicchiò contro di lui. Era propri di quello che aveva bisogno, di sfogarsi tra le braccia di lui. Erano così simili a quel sogno… poi il suo cuore. Era perfettamente uguale… non era il battito di una qualsiasi persona, era meravigliosamente speciale.
“C… Cam…” mormorò tra i singhiozzi.
“Sssh...Sono qui.”
Sono qui.
E per lei questo era sufficiente. Se era stato Cam a strapparla così violentemente da quel paradiso allora andava bene così.  
Lui continuò a stringerla mentre lei si accoccolava sempre di più al suo petto, in cerca di rifugio.
Senza lasciarla Cam allungò la mano e accese la luce illuminando la stanza di uno squallido chiarore latteo.
Belle sobbalzò nello trovarsi illuminata e senza la protezione oscura che la stava nascondendo; sbatté le ciglia umide un paio di volte per abituarsi all’illuminazione ma ben presto si accorse che ciò che le impediva la visuale era lo strato d’acqua che si era forato sui suoi occhi.
“Scusa…” mormorò staccandosi da Cam ma subito se ne pentì: quel brusco risveglio l’aveva lasciata vuota, spaventata. Non era normale visto che nemmeno l’arrivo in quella scuola e il pensiero che non ricordava assolutamente nulla tranne il volto del suo adorato cugino e il proprio l’aveva scombussolata così tanto, anzi, erano stati fatti che l’avevano lasciata quasi indifferente, mentre ora quel sogno e sembrava le dovesse cambiare la vita.
Cercò di stringersi le gambe al petto per colmare almeno in parte quel vuoto che si sentiva dentro ma era inutile.
Una mano le accarezzò dolcemente la guancia e lei alzò lo sguardo per incrociarlo con quello di Cam: “Che è successo?” Chiese piano il ragazzo.
Lei scosse la testa: “Niente.” Ma sapeva benissimo che quella menzogna non avrebbe funzionato.
Lui sospirò ritirando la mano e incrociando le braccia al petto con un’espressione severa: “E tu credi che io me la beva?”
Belle sospirò e affondò il volto tra le ginocchia: “Se te lo dicessi mi prenderesti per matta, anzi, forse lo sono davvero.”
“Se non me lo dici io non posso saperlo.”
“Segreto.” Disse lei cercando di evitare in tutti i modi l’argomento.
Lui sospirò grattandosi la testa: “Allora facciamo così: tu mi dirai questo tuo terribile segreto e io te ne dirò uno mio.”
Gli occhi di Belle si accesero: non che morisse dalla voglia di rivelargli che il panico in cui l’aveva trovata era dovuto ad uno stupido sogno senza senso ma l’idea che quel ragazzo che l’affascinava tanto gli dicesse qualcosa che non aveva mai detto a nessuno la lusingava.
“Allora, ci stai?” Chiese lui allungando la mano come per concludere un affare; Belle la guardò un momento indecisa sul da farsi ma poi si convinse stringerla: “E va bene.”
Il ragazzo sorrise soddisfatto per poi sedersi sul letto accanto alla ragazza che iniziava già a ricredersi sulla decisione presa.
“Prego signorina, sono tutt’orecchi.” Affermò lui non mettendola proprio a suo agio. Lei sospirò e abbassò lo sguardo: “Ecco, ogni notte faccio un sogno strano…”
“Un sogno strano? Mh, questa frase mi ricorda qualche cartone animato… non so dire di preciso quale...” mormorò lui divertito, evidentemente non la stava prendendo sul serio il che la infastidiva molto: era stato lui ad insistere e ora la stava anche prendendo in giro?
Belle si girò velocemente e allungando la gamba andò a colpire violentemente il fianco di Cam che colto di sorpresa si lasciò cadere con la testa sul materasso. Il ragazzo la fissò perplesso per poi ridacchiare sommessamente facendo ancora innervosire Belle: “Smettila! Sei stato tu a voler insistere! Adesso taci e ascolti oppure alzi il sedere dal mio letto e te ne torni a cazzeggiare in camera tua!!” Si stupì anche lei da quei gridi infuriati che uscivano dalla sua bocca e solo in quel momento si accorse di quanto l’argomento fosse per lei delicato.
Il sorriso dal volto di Cam scomparve: “Adesso mi sto preoccupando sul serio. Che cavolo sogni?” Chiese mettendosi nuovamente a sedere fissandola con quei due occhi verdi che in quel momento sembravano fiammeggiare spaventando Belle per quell’ improvviso cambio d’umore da parte del ragazzo. Veramente, quello sguardo le faceva paura, avrebbe pagato qualsiasi prezzo perché quegli occhi si distogliessero da lei, o per lo meno che fossero i propri a smettere di guardarli… perché non riusciva a distogliere lo sguardo?
Continuava a fissare la sua immagine riflessa in quei due bellissimi e terribili smeraldi incandescenti. Ma che gli era preso a Cam? Ce l’aveva con lei?
Belle premette la schiena contro il muro come nel tentativo di allontanarsi: “Sei arrabbiato?” chiese sussurrando cercando di mostrare la sua voce il più tranquilla possibile con scarsi risultati.
Cam aprì la bocca ma non parlò, sospirò e si portò una mano davanti agli occhi inclinando la testa: “No, non sono arrabbiato. Perché dovrei esserlo?”
“Appunto.” Constatò Belle annuendo.
Sulle labbra rosa intenso di Cam si dipinse un lieve sorriso: “Solo non pensavo fosse una cosa così seria… anche se effettivamente eri parecchio sconvolta.”
“Ma infatti non è seria. Non so perché gli do tutto questo peso.”
Cam si portò con fare solenne una mano al cuore: “io Cameron Breil giuro solennemente che qualunque parola uscirà dalla tua bocca non riderò almeno finché non avrai finito di parlare.” Le scoccò un’occhiata per cercare la sua approvazione ma lei lo stava guardando con un sopracciglio inarcato: “E va bene, neanche quando avrai finito.” Concluse il ragazzo.
Lei accennò un sorriso per poi prendere parola: “ Ogni notte, appena mi addormento mi ritrovo immersa in un calore… ma non quello delle coperte… è qualcosa di più… sicuro credo.”
“Credi?”
Lei lo ignorò: “Attorno a me c’è tanta luce. Io non la vedo perché ho gli occhi chiusi, ma la percepisco, quasi come se fosse parte di me… è una sensazione dolcissima… stupenda. Non puoi minimamente immaginare come mi sento quando mi trovo in quel luogo. E poi… e poi un suono mi culla per tutta la durata del sonno; io l’ho sempre identificato come  un cuore ma non ne sono sicura, un cuore che batte lentamente quasi in contemporanea al mio. Io… io vorrei non svegliarmi mai, vivere in quel sogno beato, ma poi c’è il risveglio e tutto sparisce.”
Stette in silenzio in cerca della risposta di Cam e non sentendolo fiatare decise di continuare: “Ma di solito quando mi svegliavo non succedeva nulla di particolare: sentivo il calore raffreddarsi pian piano e comparire le coperte sulla mia pelle mentre quel suono si affievolisce pian piano facendomi capire che devo aprire gli occhi… invece questa volta…”
Non continuò, cercò solamente di ricordare finché la voce di Cam non la incitò a continuare: “Questa volta?”
“Questa volta qualcosa mi ha strappato. Mi ha preso e portato lontano da quel paradiso… lui ha cercato di trattenermi ma io sono stata portata via lo stesso. Avrei voluto aprire gli occhi ma non ce l’ho fatta… è come se… non lo so. Ma mi sono sentita svuotata e terrorizzata. Ho gridato mentre quel calore cercava di riportarmi dentro di se ma alla fine c’è stato un altro grido non mio: era straziante e pieno di dolore e disperazione… non puoi nemmeno immaginarlo… non…”
Belle si strinse violentemente le gambe al petto e si raggomitolò su sé stessa cercando di non gridare nel ricordo.
Come poteva esprimere a parole tutto quello strazio di quel terribile grido che si era elevato nella sua mente? E il dolore che aveva provato nel sentirlo? Ora che ci pensava quella voce… di chi era? Eppure l’aveva già sentita in passato…
“No… ho capito.” La voce di Cam le fece sollevare lo sguardo.
La stava fissando: era particolarmente agitato.
Lei scosse la testa: “Come ti ho detto è una stupidaggine.”
Gli occhi di Cam tornarono ad infiammarsi e balzò in piedi:  “ Stupidaggine?! Come puoi considerarla una stupidaggine?!” Il suo grido la fece sobbalzare causandole una botta contro il muro. Ora sì era arrabbiato. Ma perché? Le sembrava quasi di vedere lacrime di rabbia depositarsi alla base del suo occhio ma sicuramente era un’impressione di Belle.
“Ma… che ti prende?!” Belle cercò di sostenere il suo tono ma l’espressione di lui rendeva la cosa alquanto difficile.
Lui sospirò nervosamente: “Vieni con me!” Le ordinò, lei cercò di divincolarsi: “No… non voglio!”
Lui la ignorava strattonandola: “Vieni!”
“Smettila, mi fai paura!” Gridò  aggrappandosi al lenzuolo del letto e puntando un piede contro il ventre di Cam cercando di allontanarlo, ma era irremovibile… poteva usare tutta la forza che aveva in corpo ma non avrebbe ottenuto nulla.
Lui si decise e con un tiro secco la fece sollevare dal letto facendola balzare in piedi contro la sua volontà: il petto di lei andò a sbattere contro quello di lui e gli occhi verdi fissarono quelli azzurri: “Ora tocca a me rivelarti il mio segreto.”

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Capitolo 6
*** Paura ***


Paura

 
I piedi nudi erano solleticati dall’erba umida che le bagnava l’orlo di pantaloni rendendoli estremamente fastidiosi. Isabelle aveva sempre avuto un odio profondo per gli abiti bagnati. Eppure mentre la mano di Cam la trascinava stringendole il polso la cosa non aveva la minima importanza.
Le faceva male, aveva una stretta fortissima… troppo.
“Ahi!” Esclamò quando la pianta dei piedi si appoggiò su qualcosa di duro e appuntito. Sassi?
Un sentiero… il cimitero.
“No!” Gridò Belle cercando di impuntarsi ma il ragazzo non le lasciò tregua: “Smettila!”
“No! Mi fai male!”
Sembrava che le sue parole fossero soffocate dal vento.
Nessun accenno di comprensione o di esitazione. Cam continuava a camminare rapido.
Belle cercò ancora di sfuggire a quella presa serrata ma non fece altro che aumentare il dolore bruciante al polso.
Gridò ancora con tutte le sue forze per non andare lì. Non a quell’ora. Non da sola. Non con lui.
Ormai gli alti cancelli le apparivano difronte agli occhi mentre i deboli raggi lunari donavano delle sfumature bluastre ai capelli di Cam.
La tirò, trascinandola fin dentro. Camminarono furiosamente ancora per qualche passo finché il ragazzo non la strattonò con forza facendola passare davanti a sé per poi mollarla di scatto facendole perdere l’equilibrio.
Belle si ritrovò a sbattere inevitabilmente contro una lapide per poi accasciarsi ai suoi piedi.
“C-Cam… ti prego…” mormorò raggomitolandosi in sé stessa e coprendosi gli occhi con il dorso della mano, per paura di guardare la figura davanti a lei.
Lui mosse qualche passo in là, lontano da lei ma poi lo sentì riavvicinarsi.
Si stava chinando.
Sentiva il suo respiro sempre più vicino alla sua testa.
E poi le sue mani marmoree le afferrarono il mento costringendola a guardare quegli smeraldi che ora lo facevano apparire come un tremendo predatore.
“Guardami.” Il sussurro di quella voce bassa la fece rabbrividire. Le ricordava il sibilo di un serpente.
Lei chiuse gli occhi. Sapeva di farlo arrabbiare, ma le venne naturale.
Lui sbuffò imbestialito alzandosi ferocemente e trascinandola con sé.
Dalla forza Belle perse l’equilibrio ma si costrinse ad aggrapparsi al primo appiglio che trovava pur di non finire contro di lui.
Lui ringhiò infastidito da quel comportamento.
Ma quel ragazzo era sul serio umano?
Belle non capiva. Non era il ragazzo che l’aveva ammaliata… era diverso. Certo, non poteva conoscerlo solo per qualche giorno di permanenza nel suo stesso istituto no?
Cam intrecciò le dita dietro il collo di lei attirandola violentemente a sé e facendo sbattere la sua testa contro il proprio petto.
Belle istintivamente posò le mani sul torace del ragazzo per allontanarsi ma lui la costrinse a rimanere attaccata a lui con forza.
“Ascolta!” Le ordinò mentre lei sentiva gli occhi bruciare dalle lacrima.
Le faceva male l’orecchio da forte che premeva.
“No!” Urlò. Non voleva. Voleva solo uscire da quella situazione.
“Ascolta!” Gridò ancora Cam furioso.
Ma cosa doveva ascoltare?
Sentiva gli occhi umidi e inutilmente cercò ancora di allontanarsi.
Che cosa doveva fare?
“Smettila Cam.”
Quell’ordine risuonò chiaro e forte. Belle si immobilizzò.
Arianne.
La presa di Cam si allento leggermente, non tanto da lasciarla fuggire ma abbastanza da permetterle di voltare il volto verso la voce della ragazza per poter scorgere sia lei che la bionda.
Le guardò attentamente: erano bellissime.
“Che volete?” La voce di Cam era gelida seppur sommessa.
La stratta si fece di nuovo sentire e Belle gemette dal dolore.
Arianne sospirò: “Lo sai cosa vogliamo…”
Un lamento grottesco uscì dalla gola del ragazzo che aumentò ancora l’attrito delle sue braccia sul corpo di Belle.
“La volete portare via?” Chiese duro ma senza nascondere una certa titubanza.
Questa volta fu Gabbe ad emettere un leggero sospiro per poi avvicinarsi cautamente, come se stesse addomesticando una belva: “No Cam…”
Il ragazzo abbozzò un mezzo sorriso ironico: “No?”
“No” confermò la bionda riprendendo la camminata verso i due ma Cam ringhiò a denti stretti.
Arianne balzò in avanti affiancando l’amica: “Adesso smettila e lasciala andare!” Ordinò.
Gli occhi smeraldini del ragazzo si incendiarono di un verde fiammeggianti e con un rapido gesto diede le spalle alle sue rivali proteggendo possessivo Belle tra le braccia.
La ragazza gridò impaurita e confusa.
Cosa stava succedendo?
Perché si stava comportando così?
Cosa ci faceva lei lì?
Chi erano quelle persone?
Le domande le riecheggiavano nella mente senza trovare risposta. Lei non sapeva nulla.
Non sapeva nulla di quella situazione, di quei tre ragazzi che ora stavano litigando… e non sapeva nulla di sé stessa.
Tutto ciò che aveva fatto era stato fidarsi di una specie di sesto senso.
“Aiuto!” Implorò cercando di vedere oltre Cam le figure delle sue amiche.
“Cam, lasciala!” Gridò Gabbe udendo la disperazione di Isabelle.
“Non ve la lascio portare via! Non un’altra volta!” Gridò Cam furioso continuando a stringere la ragazza al proprio petto.
Non un’altra volta?
Che significava?
Se si erano appena incontrati!
“Nessuno te la vuole portare via…” Provò a calmarlo la bionda.
“Deve capire…” mormorò il moro con un certo furore.
“Non può capire.”
“Non stiamo parlando di Lucinda! Non le succederà nulla!” Gridò lui.
“Rimarrà traumatizzata a vita!- Ribatté Arianne innervosita- Se continui così, lei non ricorderà assolutamente nulla! Deve volerlo!”
“Ricordare?” Chiese Belle terrorizzata da quella pazza scena ma nessuno le diede retta.
“Non è vero! Ricorderà! Quando vedrà le ali!”
Ali?
Ma cosa cavolo stavano dicendo?
Non è che appartenevano a qualche setta o cose del genere vero?
“Se vorrà vederle! E poi cosa le diresti eh?! Come le spiegheresti il cambiamento?!” Questa volta le parole di Arianne sembrarono colpirlo.
“No…” mormorò allentando involontariamente la presa attorno a Belle.
Gabbe colse l’attimo e repentinamente afferrò la ragazza strappandola dalle braccia di Cam che lanciò un grido logorante. Tanto forte che Belle dovette portarsi le mani agli orecchi.
I suoi occhi blu istintivamente si portarono sul volto di Cam che sembrava sfigurato da un senso di… angoscia?
Si sentì avvolta da uno strano gelo nonostante le braccia di Gabbe la circondassero e inspiegabilmente desiderò per un attimo di tornare tra le braccia di Cam.
“Guarda! È qui! Non te la portiamo via!” Lo rassicurò Gabbe.
Cam sembrò riprendere il controllo sebbene a stento.
“Che sta succedendo?!” Ora era Belle a gridare, se ne sentiva in diritto.
Cosa cavolo dicevano?
E qual’era questo grande segreto di Cam?
“Qual è il tuo segreto? Ali? Cosa sono? Chi cavolo siete?!”
“Lo capirai pian piano Piccolo Angelo, ci riconoscerai.” Sussurrò Gabbe dolcemente, ma quella dolcezza fece rabbrividire Isabelle che si contorse tra le sue braccia per allontanarsi dalla bionda.
“Riconoscervi?! Ci siamo incontrati qualche giorno fa!!”
“Sì… e no. Vedrai, hai solo bisogno di tempo.”
“Bisogno di tempo?! Oh no, siete voi che avete bisogno di uno psichiatra!”
Gabbe scosse la testa: “No, so che non puoi capire. Capirai solo quando vorrai.”
“Non ti faremo del male…” Sussurrò Arianne.
“No?! Quel tipo mi ha trascinato qui a forza!!” Gridò con tutta sé stessa Belle.
Era terrorizzata ma allo stesso tempo sentiva dentro di sé una rabbia inimmaginabile e una voglia di capire ciò che lei non riusciva a comprendere.
Qualunque storia stavano tirando fuori quei ragazzi, la voleva sentire.
“Non pensare male, Cam non voleva farti del male.”
La ragazza mosse qualche passo indietro tentando di allontanarsi.
“Le ali… sono quelle che secondo voi mi faranno ricordare?”
Gabbe sorrise: “Oh no, tu ricordi di già, ma non lo sai.”
“Basta dire cazzate!” Urlò ancora la mora con le lacrime agli occhi.
“No…”
“Mostratemi che è vero! Mostratemi le ali!”
Gabbe lanciò una rapida occhiata ad Arianne: “Sei sicura? Potrebbe farti…”
“Cosa? Non è la mia volontà ciò che conta?! Avanti! Mostratemi queste ali!!”
Gabbe sospirò senza proferir parola.
Allargò le braccia e alzò il volto verso il cielo.
Isabelle tremò. Ma perché? Non sarebbe successo nulla.
Eppure in fondo al cuore sapeva che non era così.
La ragazza si accasciò ai piedi di una tomba spaventata.
“No…” mormorò immotivatamente.
Una strana luce chiara illuminò le spalle di Gabbe mentre si accendeva sempre di più.
Belle spalancò gli occhi. Cosa stava succedendo?
No! Non voleva guardare!
Si coprì di scatto gli occhi gridando per poi raggomitolarsi su sé stessa: “No! Ferma! Ti prego…fermati!”
“Sì.” La voce di Gabbe morbida e rassicurante le fece trovare il coraggio di aprire gli occhi.
Tutto taceva.
Tutto era buio.
“Verrà il momento in cui deciderai di ritrovarci.” La voce di Arianne sembrava un oracolo degli antichi greci.
Gabbe si avvicinò a Belle accarezzandole il viso: “Non avere paura. Noi ti amiamo.”
Poi si voltò e raggiunse Arianne  che lanciò un occhiata furba a Cam: “Vedi di riguadagnare punti.”
“Mi lasciate sola con lui?!” Gridò ancora Belle sentendo la paura crescere di nuovo.
Allungò la mano verso le ragazze che si voltarono verso di lei.
“No… Non ti farò del male, te lo giuro.” La voce del ragazzo questa volta era stranamente insicura, sembrava supplicarla.
“Fidati.” Mormorò Gabbe, e gli occhi di Belle si posarono Ancora su Cam.
 Ok... dopo 753532 anni ecco qui il nuovo capitolo! Ma tanto non si è accorto nessuno ç_ç
Non ho avuto il tempo di ricontrollarlo... quindi, pietà!
Grazie :) 

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Capitolo 7
*** Buono ***


Buono

 
“Fidati.” Mormorò Gabbe, e gli occhi di Belle si posarono Ancora su Cam.
Era ancora lì in piedi, la pelle chiara da far invidia alla luna e gli occhi verdi sembravano brillare di luce propria.
Belle si voltò nuovamente verso le due ragazze ma al loro posto non c’era che il vento.
Erano come sparite nel nulla, nessuna traccia.
Proprio come aveva fatto Cam quel giorno.
Non erano umani, ormai lo aveva capito… ma a quanto pare finché lei non si sarebbe sentita pronta non avrebbe mai potuto sapere cos’erano.
Non era facile comunicare con un qualcosa che non era della sua stessa natura facendo finta di nulla… o almeno nel caso di Cam.
Quando si voltò di nuovo si ritrovò il volto del ragazzo a pochi centimetri dal suo; se ne stava chino accanto a lei con un’espressione di attesa.
Lei sussultò alla sua vista. Non aveva sentito il minimo spostamento d’aria.
“Allontanati.” Gli ordinò con voce tremante.
Lui allungò la mano sfiorandole la guancia che lei nascose con la spalla nella vana speranza di frapporre una barriera tra lei e quell’essere.
“…Belle…” Mormorò quasi come una supplica senza speranza.
Lei  avrebbe voluto scappare, avrebbe voluto  gridargli che era un mostro senza avere motivo per farlo, eppure a quella voce sentiva il suo cuore scaldarsi e i suoi occhi riuscirono a  leggere un’ infinita tristezza dentro a quegli smeraldi angelici.
“Perché?”
“Perché cosa?” Chiese lui con un sussurro, come se stesse parlando ad una bambina che ha appena smesso di piangere per la morte del suo gattino.
Nemmeno lei sapeva rispondere.
Perché?
Perché c’era qualcosa di strano in tutto quello che stava succedendo?
Perché c’era qualcosa di strano in lei?
Perché si fidava di persone che non ha mai visto?
Perché non ricordava nulla?
Perché non scappava?
Perché sebbene  avesse  paura di quel ragazzo si sentiva così attratta da non poter nemmeno pensare di allontanarsi?
“Chi sei?”
Lui sospirò: “ Hai sentito cos’hanno detto loro…”
“Dimmi qualcosa! Qualunque cosa! Ti prego! Almeno tu!” Lo supplicò, voleva sapere.
Non era pronta per vedere quello che stavano per mostrargli, non era pronta per ricordare… ma voleva sapere.
Cam si sedette accanto a lei, appoggiando la schiena alla lapide: “Non sono umano.”
“Lo avevo capito…” rispose lei titubante.
Lui la guardò con la coda dell’occhio senza spostare il volto per poi portare lo sguardo sul cielo che ora era stellato.
“Vedi le stelle?” Chiese indicandole con un breve cenno, lei annuì senza emettere alcun suono.
“Io potrei vederle da vicino, se volessi.”
“Allora… avete delle ali vere e proprie?” Domandò Belle portando anche lei gli occhi zaffiri sul manto scuro che copriva la terra.
“Sì. Ma ti dico che non ci sarebbe nessuno splendore da vedere.”
“Cosa?... Ma… chiunque vorrebbe vedere da vicino una stella… senza ustionarsi.”
Lui scoppiò in una breve risata: “No, non farei la fine di Icaro, né di una strega medievale… solo che io ho visto molte altre cose, infinitamente più meravigliose.”
Lei lo guardò meravigliata, sia per quell’affermazione che per lui stesso, per la straordinaria sensazione ad avere qualcuno di così irreale lì accanto.
“Molti dicono, che le stelle siano una delle cose che ci sono rimaste del paradiso.”
“Che bugiardi!”
“Forse sono solo ignoranti.”
“Nessun mortale può sapere cosa c’è con certezza di là.”
“Tu lo sai?”
Silenzio.
Cam esitò : “Forse.”
Forse?
Era immortale?
Non solo quelle erano creature non umane, ma pure immortali!
“Cosa sei… una specie di vampiro?” Azzardò lei cercando di nascondere l’insicurezza.
Sulla faccia di Cam si dipinse una smorfia che Belle non riuscì a capire a quale emozione era dovuta.
Il ragazzo tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accese una.
La ragazza rimase ancora in silenzio con uno sguardo insistente in attesa di una risposta.
Quando finalmente il giovane si accorse che lei non accennava a mollare accennò un leggero sorriso sillabando un semplice: “No.”
Lei prese respiro per porre la domanda seguente: “Sei… cattivo?”
Lui gemette leggermente chiudendo gli occhi e togliendo la sigaretta dalle labbra per poi prendersi il volto fra le mani.
Sembrava ferito, e Belle non capiva come interpretare quella reazione.
“Sei… di natura cattiva?” Riprovò lei con un certo timore.
Gli occhi verdi scrutarono stranamente titubanti la figura della ragazza.
Cam non era mai stato una persona che si lasciava intimidire, ma lei era lei.
E il pensiero di farla scappare, in una qualsiasi maniera gli faceva paura.
“Io… non sarei di natura cattiva…”
Non sarei.
Ovviamente quel verbo nascondeva un ma.
Belle lo aveva capito fin troppo bene, e Cam lo sapeva… ma sapeva anche che non poteva mentirle, o avrebbe rischiato di perderla sul serio.
Lei però, non poteva capire, per lei Cam non era altro che un ragazzo appena incontrato e terrificante… forse.
Si ritrasse in se stessa lanciando un leggero grido, non molto acuto ma abbastanza da far sussultare il ragazzo accanto a lei.
La ragazza si mosse rapidamente ndel tentativo di alzarsi ma venne trattenuta dalle mani di Cam che nuovamente le strinsero i polsi per non lasciarla andare.
“Lasciami…” mrmorò, non aveva intenzione di fare la scenata di prima, ma non aveva nemmeno intenzione di rimanere lì.
“Lasciami.”
“No Belle! Per favore… non ti farò del male. Devi credermi, è tutto così complicato e indistinto, ma l’idea di farti qualcosa non mi sfiora nemmeno. Capirai… spero…”
“Speri?”
“Sono successe così tante cose Piccolo Angelo…”
La ragazza sospirò: “Ma io non ne conosco nemmeno una.”
Cam si passò una mano tra i capelli neri osservando il cielo: “Non ci vorrà molto.”
Belle si limitò a guardarlo mentre si riposizionava accanto a lei.
“Cam…”
“Cam?... bello” Disse lui.
“Cosa?” Chiese lei stranita ritardando ciò che doveva dire.
“ Non trovi sia bello essere chiamati da qualcuno? Vuol dire che quella persona vuole solo te, e nessun altro.”
La ragazza abbassò lo sguardo in riflessione.
“Dimmi.” La incitò Cam, facendole appunto ricordare che lei aveva attirato la sua attenzione.
“Tu… non dovevi mostrarmi un tuo segreto?”
Lui la guardò con un’aria che si sarebbe potuta definire di rimprovero: “Te lo dirò… un giorno.”
Lei preferì non approfondire … non era pronta.
Lui si alzò stiracchiandosi per poi porgerle la mano: “Almeno un’ora di sonno è meglio che ce la facciamo non trovi?”
“Hai bisogno di dormire?”
Lui ridacchiò: “Sai… può essere rilassante.”
“A proposito… tu sai come posso contattare mio cugino?” Chiese lei con finta noncuranza.
Cam si bloccò.
Belle non poteva vederli, ma i suoi occhi si erano accesi di una strana luce insicura e arrabbiata: “Lascia perdere.”
 
Ok, ecco il nuovo capitolo.
Dovrei ringraziare tutti, uno ad uno per aver dato un seguito a questa storia, già, perché al capitolo  5 stava per essere abbandonata e invece VOI la state facendo continuare! C’è anche chi si è preso la briga di recensire dal primo capitolo e non potrei mai ringraziare abbastanza!
Grazie a tutti! A chi ha seguito e a chi ha inserito la storia in una delle categorie, GRAZIE!!

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Capitolo 8
*** Legame ***


Legame

 
Cam l’aveva accompagnata fin in camera quella sera, dopo la secca risposta del ragazzo riguardo a suo cugino, nonostante la voglia e la curiosità, Belle aveva preferito finirla lì, anche per evitare scene come quella di prima.
Erano entrati entrambi nella squallida stanza e Belle si era coricata sotto le coperte per poi sfilarsi i pantaloni bagnati e lasciarli cadere sul pavimento. Si era già sciacquata i piedi alla meno peggio visto che una doccia non le sarebbe stata sicuramente concessa.
Aveva adagiato la testa sul cuscino chiudendo le palpebre dubbiosa nel riuscire ad addormentarsi, nessuno sarebbe stato tranquillo nel sapere che le persone che lo circondavano non erano umani, ma un affettuoso tocco sulla guancia la fece sentire nuovamente protetta e fiduciosa.
Cam era rimasto lì ancora qualche secondo, a guardarla con un’espressione di tenerezza non tipica di lui e con la mano che sfiorava la pelle della ragazza ormai in bilico tra la realtà e le braccia di Morfeo… o di qualcun altro.
“Buonanotte” Aveva mormorato allontanandosi da lei sentendo ancora il cuore riempirsi di una nostalgia e di un desiderio infernali.
È tutto diverso.
“’notte” La voce di Isabelle era arrivata flebile ma Cam l’aveva percepita perfettamente increspando le labbra rosee in un sorriso; nonostante fosse ormai entrata nella fase onirica, Belle si era preoccupata di rispondergli, e questo per lui era sufficiente.
Il sogno nella mente della ragazza era sempre uguale e sempre perfetto, nonostante questo Belle era impaurita.
Non voleva sentire le grida.
Non voleva essere portata via.
Non poteva aprire gli occhi ma con le mani cercò qualche appiglio, qualunque cosa potesse trattenerla in un’eventuale separazione.
Come se quel calore avesse percepito la sua paura si intensificò e il suono di quel probabile cuore si fece più vicino: la stava stringendo.
La sua mano ancora in cerca di qualcosa da afferrare venne accarezzata e poi afferrata da quel dolce amore.
Belle serrò le dita attorno a quella cosa.
Poteva toccarlo?
Ad un tratto qualcuno iniziò a cantare.
Era una voce maschile, ma nonostante questo era dolce e delicata come quella di un… angelo?
Notò che il suono era molto vicino al battito del cuore, quel cuore che l’amava così tanto… era un cuore vero.
Era un petto.
Quel calore era una persona che la stringeva e la cullava.
Si sentì riempire di gioia.
Cercò di aprire gli occhi ma quando finalmente ci riuscì non vide altro che il gelido soffitto e sentì il bussare della porta.
Era sicuramente mattina e Gabbe era venuta a svegliarla.
“Sì…” mormorò stiracchiandosi.
“Sei ancora lì? Su, dobbiamo andare!” Disse allegramente la bionda. Sembrava che quello che era successo la sera prima non fosse altro che un avvenimento onirico sospeso tra il sogno e l’incubo… ma indubbiamente era realtà.
Gli occhi della ragazza si puntarono sulla finestra che lasciava trasparire una luce biancastra.
Nonostante quel luogo non le piacesse  per nulla, pian piano, ogni minuto di più, lo riusciva a percepire come un rifugio, come una casa.
Non certo per le grigie mura, o per il simpatico cimiero… ma c’era qualcosa che la faceva sentire più vicina a sé stessa, alla sua esistenza, al suo essere.
I corridoi erano pieni di gente cha andava e veniva, eppure ile sue pupille ignoravano tutte quelle presenze per incentrarsi solo su quelle che le interessavano.
Anche Arianne, l’aveva accolta come se lei non fosse successo nulla di anormale.
Ma per loro era normale.
Era lei che in quel momento era fuori regola, lei così tranquilla mentre l’anima la voleva costringere al terrore.
Chiuse gli occhi nonostante la lezione si presentasse complessa e la sua mente la riportò tra le bracca del suo unico appiglio, quella voce che quella notte l’aveva cullata…
Cam.
I suoi occhi ruotarono verso un punto ben preciso, dove lei sapeva che lo avrebbe trovato.
Non c’era motivo per cercarlo, eppure il sogno la portava da lui.
Quella mattina non lo aveva ancora visto e nemmeno lo aveva pensato, eppure ora quasi sentiva la necessità di vederlo, anche solo per un attimo, solo per accertarsi della sua presenza.
Lui era lì.
Si reggeva il capo con una mano mentre con ogni probabilità non ascoltava nemmeno una parola di ciò che gli veniva insegnato.
Camriel.
No, lui si chiamava Cameron, così le si era presentato. E poi quel nome da dove saltava fuori?
Camriel… eppure era così perfetto, per lui.
Avrebbe voluto chiedersi cosa significasse ma gli occhi smeraldino di lui le fecero dimenticare tutto.
La stava guardando, come se avesse sentito il suo richiamo lui le aveva risposto.
Sul viso del ragazzo si dipinse un’espressione indecifrabile, forse di attesa.
Lei sorrise, incapace di fare altro, e di nuovo lui l’assecondò.
Le labbra rosee disegnarono una curva perfetta sul volto chiaro del ragazzo.
Una comunicazione silenziosa che fece capire a ciascuno tutto ciò che l’altro voleva dire.
“Non va bene così signor Cameron, non sta attento alle lezioni!” Annunciò Belle correndo dietro il ragazzo diretto a qualche posto della scuola.
Lui si voltò per vederla rallentare ed affiancarsi.
“Oh, ti assicuro che non mi servono a nulla.” Sorrise furbastro.
“Ma certo, cosa vuoi che serva ad uno come te, bah, mi chiedo chi si faccia queste idee.”
E intanto lei si chiedeva perché si sentisse così in confidenza, così vicina a lui… al loro.
Quando rialzò il volto due sfere verde acceso la scrutavano a pochi centimetri dal suo volto e una mano le accarezzava il collo: “Se devo essere sincero, direi che non servono nemmeno a te.”
Lei si sentì come ipnotizzare, come se il tocco le prosciugasse ogni forza lasciandola inerme, incantevolmente inerme.
Sarebbe rimasta lì per sempre, ma si costrinse a scuotere il capo incitando l’allontanamento della mano di lui: “Cam… chi è il più diverso?”
Lui alzò un sopracciglio: “Forse le lezioni mi servono per capirti… che intendi?”
Lei abbassa lo sguardo: “Intendo… tra noi due.”
Lui si passò una mano tra i capelli come lo aveva già visto fare: “Se la metti così, mi stai chiedendo chi è il più normale…”
Lei annuì capendo il contorcimento della sua domanda.
Cam sospirò: “Credo che siamo a pari merito.”
Lei si strinse una mano alla gola sentendo qualcosa ostacolarle la respirazione: che stava dicendo? In fondo quello non umano era lui! O forse…
“Camriel… tu cosa sai di me? Della mia vita? Di quello che sono?”
Quelle domande le uscirono dalla bocca forse gridate o forse sussurrate ma lei non ci badò, lei lasciò solo che la sua bocca le pronunciasse, perché sentiva che la sua anima si avvicinava ad una verità inaspettata, e lui era il portale per raggiungerla.
Ma la risposta di lui la portò da un’altra parte: “Come mi hai chiamato?”
Lei scosse la testa per sottolineare la non importanza di quella domanda a rigor di logica incomprensibile: “Cam…” si bloccò “…riel?”
Se lo stava chiedendo. Era da quella mattina che quel nome le suonava così famigliare. Da quando quella voce aveva cantato.
“Scusa, non so perché ti ho chiamato così… una volta conoscevo una persona che aveva quel nome.”
Che fosse veramente così?
Che quel nome appartenesse a qualcuno che conosceva?
“Davvero? A chi?”
A chi?
Chi poteva chiamarsi così?
Suo cugino?
No, lui no. Ne era sicura.
Ma allora di chi era? E come si chiamava il suo unico ricordo?
Si portò una mano tra i capelli stringendo.
Si sentiva la testa esplodere.
Stringeva, continuava a stringere.
Era ad un passo dalla verità, dal ricordare ogni cosa… eppure non ci riusciva.
“Te lo dico io.”
La voce di Cam le fece alzare il viso speranzosa.
Sì! Sì! Lo voleva sapere!
Cam la guardava impassibile: “Quel nome è il mio.”
Suo?
Impossibile eppure ovvio.
Certo, era così.
Nulla di incerto, la sua mente concepiva quell’affermazione come verità.
Come se in fondo lo avesse sempre saputo.
“Ma… avevi detto di chiamarti…”
“Lo so” Gli occhi di lui la inchiodarono.
Camriel, Camriel, Camriel.
Era sicura che quel nome faccesse parte della sua vita. Ma perché?
Possibile che lei avesse davvero già conosciuto quelle persone? Perlomeno Cam?
Come se ci fosse stata una forza magnetica che l’attirava verso di lui avanzò quasi inconsciamente per poi appoggiare la testa al suo petto in attesa di una specie di conferma.
Il cuore batteva forte dentro di lui.
Chiunque avrebbe preso quel gesto come un segno di affetto e ricerca di rifugio, ma per quanto una parte del cuore di Belle desiderava ciò, quella più piccola ma in quel momento più assetata di risposte guidava quell’azione repentina.
Lui lo sapeva, ma non gli importava.
La circondò con le braccia nella speranza che un minimo capisse.
Lei si sentì cullata. Chiuse gli occhi per assaporare il momento a pieno.
Era così, come quel sogno.
Mancava la luce, ma non era importante.
Il corpo di lui la fece dondolare, come se ci fosse il sottofondo di una musica irreale.
Era perfetto.
Era il paradiso.
Era lui.
Avrebbe tanto voluto sentirlo cantare.
Non era ancora pienamente sicura che quel sogno fosse Cam, ma una voce detro di lei le diceva che poteva stare tranquilla.
Ma ancora non bastava.
Lei voleva esserne certa, voleva conoscere tutto… ma aveva paura.
“Quando ti ho già incontrato?”
Lui sciolse l’abbraccio, e lei si allontanò dal corpo di lui.
“Un incontro? Non so se il nostro possa essere proprio definito un incontro…” disse Cam portandosi una mano al mento con fare pensieroso.
“Allora è vero! Io ti ho già visto!”
Sul viso di lui apparve una smorfia leggermente irritata: “Potrei quasi offendermi.”
Lei si accigliò un po’ delusa da quell’affermazione, visto che era lei a doversi sentire offesa per il trattamento che quei ragazzi le riservavano.
“Perché?” Provò a chiedere.
Cam sorrise spavaldo: “Sai che sei molto perspicace? Impari molto più velocemente di Lucinda.”
Lucinda? Anche quel nome non le era nuovo.
La mano di Cam le accarezzò i capelli: “C’è un legame a cui né io né te possiamo fuggire, e io non ho alcuna intenzione di farlo, è qualcosa che risale a molto prima della nascita del tuo adorato cugino, qualcosa che risale alle tue notti. Piccolo Angelo, tu non puoi scappare da me.”
Il tocco di lui scivolò via.
Doveva provare paura, eppure il suo cuore si rifiutava e i suoi occhi rimanevano fissi sulla figura di Cam che ora guardava altrove.
Forse ora c’erano più dubbi di prima, ma a lei in quel momento importava solo che nella sua vita ci fosse lui.
 
 Ok, capitolo nuovo vita nuova ^^
Va bene, lasciamo perdere, sono stanca e non ho voglia di andare a scuola u_u.
Non so giudicare questo capitolo, ma vi dico che nel prossimo Cam sarà messo un po’ da parte… forse ( o forse non ci riuscirò), anche se comunque la storia gira un po’ su di lui.
Grazie a tutti ^^ 
 

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Capitolo 9
*** Secoli ***


Secoli

 
Isabelle passeggiava tra i corridoi di quella prigione che ora per lei era diventata una casa con aria determinata.
Nessuno aveva intenzione di dirle niente, a quanto sembrava, ma dentro di lei iniziava a farsi spazio una certa nostalgia.
Cam a quanto pare conosceva suo cugino, allora perché non la metteva in contatto con lui? Anzi, sembrava stesse cercando di evitare l’argomento.
Ma non importava, se lui non aveva intenzione di aiutarla avrebbe cercato sostegno da qualcun altro… anche se non sapeva da chi.
Le pareti grigie parevano voler far volare via ogni speranza a chi vi era rinchiuso, una specie di inferno mascherato, eppure la gente dentro ormai era talmente abituata che si muoveva come se fosse stato il luogo più allegro e libero della terra.
Le telecamere di sorveglianza la osservavano, ma ormai Belle riusciva ad ignorarle.
“Ehi principessa, dove se ne va in giro tutta sola?” La voce di Roland la fece voltare.
In effetti era la prima volta che vagava per la scuola senza alcun tipo di accompagnamento.
“Stavo pensando.” Rispose avvicinandosi al ragazzo che se ne stava appoggiato alla parete scrostata.
I suoi occhi la penetrarono come avevano fatto quelle degli altri tre ragazzi.
La sua mente, come se lo avesse sempre saputo registrò anche lui come un non umano.
Tutto normale, nulla la turbava… non più.
Dopo quella sera l’inquietante realtà era diventata di una naturalezza assoluta.
“Roland… tu sei molto amico di Cam?”
Lui storse un attimo le labbra: “Diciamo che siamo sulla stessa barca.”
“Oh… no, perché… mi chiedevo se tu sapessi… che genere di persone frequenta…”
Roland scosse la testa con fare confuso: “Ho capito che tu sai qualcosa, non ho capito qual è il punto.”
Lei alzò lo sguardo su di lui per mostrargli i suoi occhi blu.
Lui sorrise: “Chiedimi pure ciò che vuoi, con ordine.”
Lei prese un respiro, non tanto di incoraggiamento, ma solo per ricordarsi di essere viva e che tutto quello che era successo non era un sogno.
“Tu sei come loro?” Se Roland non avesse compreso la domanda non sarebbe stato necessario continuare, ma il suo breve cenno del capo le confermò il suo istinto.
“Quindi noi ci siamo già visti.”
Lui scoppiò a ridere: “Oh, Piccolo Angelo, io ti ho visto nascere!”
Lei sussultò e senza volerlo arretrò di scatto.
“Scusami, te l’ho detto istintivamente…” Cercò di rassicurarla lui portando le mani in avanti nel tentativo di calmarla.
“Quanti anni avete?” Chiese lei ritirandosi incerta su sé stessa.
Il ragazzo sospirò: “Molti… ma tu no sei…”
La frase non finì, ma la ragazza la completò di nuovo per istinto: “io sono come voi.”
Subito dopo essersi resa conto di quelle parole scosse la testa per scacciare via quel pensiero. Era strana, questo era poco ma sicuro, ma di certo era umana.
Ma allora come spiegare quel dolce sogno?
Oh certo, non poteva essere quello a mettere in discussione la sua natura.
“Io voglio sapere qualcosa riguardo a mio cugino. È l’unico essere umano di cui ho pieno ricordo.”
Lui si passò una mano sulla mascella: “Dovevi volergli davvero un gran bene eh?”
“Perché parli al passato?” Chiese allarmata lei.
Lui non sembrava pentito del tempo usato.
“Perché l’hai conosciuto secoli fa.”
Lei rimase pietrificata. Un brivido le percorse la schiena e il cuore perse un battito.
Di nuovo quella certezza inspiegabile, come per il nome di Cam.
Ma questa volta era terrificante.
Lei esisteva da prima che la sua mente potesse ricordare, lei aveva vissuto accanto a persone che non avrebbe riconosciuto.
“Stai scherzando?” Le sembrava una domanda naturale nonostante tutto.
“Puoi non credermi.”
Lei scosse la testa.
Non poteva non credergli. Perché ora era tutto limpido.
L’immagine di suo cugino era limpida.
La pelle dorata e i capelli scuri lunghi fino alle spalle, gli occhi circondati da un sottile e intenso alone nero e il delicato panno di lino che circondava la vita.
Era lui. Ma non era certo un ragazzo di quel tempo.
Ashraf era qualcuno che ora non c’era più tranne che nel suo cuore.
Tutto, tutto in quel momento perse colore, persino il grigio dell’istituto sembrava più spento di quanto non fosse mai stato.
Era devastante, devastante il pensiero della sua esistenza  immemorabile, devastante il pensiero che la sua unica certezza risalisse a tempi così remoti… era distrutta.
“Cosa ricordi di lui?” La voce di Roland era solo un sottofondo sbiadito che chiedeva qualcosa di infernale, eppure l’anima di Belle rispose.
“Ricordo quando da bambini giocavamo in riva al Nilo, ci rimproveravano sempre perché scappavamo dal palazzo.  Ricordo quando, ormai cresciuti, gareggiavamo a cavallo, diceva che ero l’unica donna che avesse mai visto cavalcare con tanta maestria. Diceva che adorava i miei capelli, ero una delle poche a cui era concesso di tenerli lunghi, e anche lui era un’eccezione.  Spesso litigavamo anche, l’ultima volta era stata quando lui aveva deciso di avvicinarsi ad un coccodrillo per prendere le squame… che cosa se ne faceva con delle scaglie di coccodrillo?”
I ricordi fluivano proprio come quel fiume che ancora scorreva sulla loro terra, sulla terra che li aveva visti insieme, e che molto probabilmente se l’era portato via.
Pensare che ora l’ antico Egitto fosse ritenuto uno dei campi di studio più ambiti, quando lei ancora ci aveva vissuto con tanta naturalezza la fece sentire così spaventa che si chiese che cosa le sarebbe successo in futuro.
Ma la cosa più importante è che ora lei non aveva nulla, tutto ciò che era in suo ricordo lo aveva lasciato in quella vita dimenticata.
“Solo questo?” Chiese il ragazzo riportandola alla realtà.
“Sì.” Rispose lei fissandolo “Ma dovrei ricordare di più… le ali!”
“Cosa?” Roland non fece in tempo a capire.
Lei era già corsa via.
Correva.
Correva veloce, senza sentire il fiato che mancava, incurante delle regole, incurante di dove stesse andando.
Aveva capito perfettamente che per quanto limpido ora fosse il ricordo di Ashraf le mancava ancora qualche tassello, qualche tassello di loro.
Doveva vedere le ali, se le avesse viste avrebbe ricordato.
Continuava a correre.
Il vento scorreva tra i suoi capelli quando lei ancora non si era resa conto di essere uscita.
“Ehi!” La voce di Cam le giunse all’orecchio mentre un suo braccio la bloccò.
“Dove corri principessa?”
Lei lo guardò ancora con lo sguardo affannato e confuso: “Principessa?”
Lui inarcò le sopracciglia emettendo un leggero sospiro divertito.
“Voglio vedere le ali.” Affermò la ragazza senza che lui avesse chiesto nulla.
“Cosa?”
“Mostramele!” Implorò lei mentre lui annullava il contatto con il suo corpo.
“Non posso, non io.” Disse lui con una nota fredda e malinconica nella voce.
Lei si sentì irritare. Stava facendo totale affidamento su di lui, lo aveva involontariamente scelto come sua guida, ma lui sembrava volerla sempre più allontanare dalla realtà.
“Allora mi arrangio da sola.” Affermò decisa per poi riprendere il suo cammino con decisione.
“No… “ Cam si portò una mano tra i capelli e sul suo volto si stese un velo di qualcosa di simile alla paura e al rimpianto. “…Ferma.”
Isabelle si volta verso  di lui nella speranza di un cambiamento d’idea.
“Io… non ti voglio impedire di ricordare, ma prima che tu veda qualunque altra cosa, la storia di Ashraf te la devo spiegare io…”
Non cera nessun segno di convinzione nella voce del ragazzo, c’era solo insicurezza e paura.
A quanto pare lo faceva solo perché d’obbligo.
“Allora?” Chiese lei impaziente.
“Andiamo alla piscina.” Ordinò Cam iniziando ad avviarsi.
“Oh, è qualcosa di così segreto che dovrai per forza annegarmi?”
Lui rise senza perdere la tensione: “No, è un posto rilassante non trovi?”
Lei si strinse nelle spalle per poi affiancarsi a lui.
Quando entrarono nella vecchia chiesa vennero subito colpiti dai riflessi colorati che dipingevano l’acqua chiara.
Il tramonto ormai prossimo donava alle vetrate una maggiore colorazione rossastra che andava ad infuocare le pareti dell’edificio.
Cam si sedette su una panca delle tribune e lei scivolò al suo fianco.
Gli occhi verdi del ragazzo contrastavano con tutto quel colore caloroso che li circondava facendo perdere un battito a Belle.
Era stupendo, come sempre.
“Allora?” Chiese nel vedere che lui indugiava nel parlare.
“Non dovresti prenderla così alla leggera, Huriyya.” Sussurrò lui come se si fosse offeso.
Lei sobbalzò sentendosi trasportare indietro ne tempo.
Era il suo nome, era così che la chiamavano quando stavano in Egitto.
Lui sorrise rassegnato: “Non ti parlerò delle tue origini, partirò subito da quando sei ricomparsa...”
Ricomparsa?
In quel momento si rese conto che avrebbe saltato un pezzo della sua storia.
La voce del ragazzo iniziò ad innalzarsi nel luogo, come se stesse parlando ad un intera platea.
“Quando tu ti ritrovasti nella terra del Nilo io non ero con te, ero molto distante, a supportare l’amore di quei due innamorati…”
Belle non capì di chi stesse parlando, eppure non ci diede importanza, come se conoscesse la risposta.
“Tu sei stata trovata nientemeno che dal principe, figlio del faraone ed erede al trono, avevi assunto l’aspetto di un neonato umano.”
Quindi non era umana?
Ormai lo aveva capito. Semplicemente dal fatto che tutte quelle idee assurde fossero rielaborate ed accettate dalla sua mente come idee normali.
“Lui ovviamente salì al trono, e tu eri considerata sua figlia, la principessa d’Egitto.
Ora, il faraone aveva un figlio legittimo. Questo era Ashraf.”
“Un momento!” Interruppe Belle “Ashraf era mio cugino, non…”
Cam la guardò come se stesse dicendo la cosa più stupida del mondo: “Piccolo Angelo, gli Egiziani avevano la pessima abitudine di sfidare le leggi che la natura ha dettato per non contaminare il sangue reale.”
Lei annuì nel ricordo della tradizione, come aveva potuto dimenticarla?
“Tu eri molto affezionata a lui, Roland vi osservava, diceva che lui ti insegnava tutto…”
Roland, ma certo!  Faceva parte della corte del faraone… le era sempre stato accanto.
“E a te non è per niente dispiaciuto quando gli sei stata promessa in sposa.”
L’ultimo briciolo di polvere sulla sua memoria venne spazzato via.
Una bellezza così straordinaria non può essere non nobile.
Così aveva detto suo padre quando aveva annunciato il fidanzamento.
E lei si era gettata al collo di Ashraf senza indugio.
Più tosto di uno sconosciuto, lui era il migliore.
“Quando l’ho saputo…” Cam nascose il viso tra le mani “… non l’ho digerito.”
“Perché?” La domanda le venne naturale.
“Perché?” ripeté lui “è uno dei motivi per cui io voglio che tu ricordi.”
Lei lo guardò sentendo una sensazione di tristezza afferrarle il cuore.
“Sono venuto lì, poco prima delle nozze, non ti ho vista, ti avrei cercata dopo. Sono andato da lui e l’ho minacciato di uccidere suo padre, il loro dio in terra, se lui avesse osato troppo con te.”
A lei si mozzò il respiro: “Cam…” sussurrò.
“Tu non devi essere di nessun altro.” Sibilò a denti stretti lasciando intravedere un’iride smeraldina.
Cosa?
Si sentì le guance riscaldarsi mentre tutto sembrava svanire.
Eppure sentiva che quell’affermazione andava oltre al classico significato, e non capiva se esserne felice o meno.
Non era ciò che chiunque avrebbe inteso, era un possesso diverso da quello amoroso.
Ma non ebbe tempo per rifletterci perché Cam continuò.
“Non credevo ti amasse così tanto… l’idea di averti accanto senza poterti toccare lo uccise. Poco prima della cerimonia il suo corpo fu trovato sulle sponde del vostro Nilo e tu…”
E lei?
Ricordava le urla, il pianto, le lacrime, quelle lacrime che stavano per scorrere di nuovo sul suo viso… ma lei che cosa aveva fatto dopo?
“… tu sei scomparsa ancora. Dopo secoli e secoli spesi ad aspettarti e cercarti te ne sei andata ancora… per ritornare solo ora.”
Solo ora?
Che cosa era successo per tutto quel tempo?
“Cam...”
Il ricordo di Ashraf bloccò la frase per farla scoppiare in un pianto liberatorio represso per seimila anni.
Il ragazzo provò a calmarla, ma un dolore bruciante lo costrinse ad accasciarsi su sé stesso.
Era colpa sua.
Quando finalmente gli occhi lucidi le permisero di vedere la figura di Camriel si sentì sprofondare.
C’era qualcosa che non andava.
Non voleva vederlo così, non poteva.
Perché lui era l’unico di cui aveva ricordo certo?
“Cam…” la mano delicata passò sulla schiena muscolosa.
Lui la guardò senza alzare il viso: “Ti ho aspettata per tutto quel tempo, e ti ho fatto sparire prima di poterti toccare.  E ora è tutto diverso…”
“Cam… noi cosa siamo?”
Finalmente lui decise di alzarsi: “Noi esistiamo da prima che nascesse l’universo.”
Bastò quello: “Angeli…” mormorò.
Non ricordava nulla del resto, ma di quello ne era certa.
Per un attimo si immaginò al di sopra di ogni albero, di ogni montagna… con Cam.
“Ashraf, era un fratello per me.”
Lui annuì: “Ma ciò non cambia nulla. Ora è tutto diverso, nulla tornerà più com’era, e io non rivedrò mai più il paradiso, non potrò più essere con te.”
Lei scosse la testa: “Cosa dici?”
Lui sorrise triste: “Piccolo Angelo, a te sembra di aver fatto chissà quali scoperte, ma diversamente da Lucinda, tu devi scoprire molto di più e molto più in fretta, per essere come noi, alla pari, e poter guidare lei.”
Quasi ringhiò le ultime parole.
Lei continuava a non capire.
Le ali. Se avesse visto le ali era sicura che sarebbe diventata come Cam chiedeva.
Il ragazzo puntò lo sguardo sull’acqua che ormai iniziava a perdere il bagliore donato dal sole.
“Cam… perché non dovresti vedere il paradiso?”
Lui scosse la testa: “Non cercare di capire.”
La mente di lei provò ad ipotizzare ogni cosa possibile, ma nulla riusciva ad attribuire a Camriel.
Gli si avvicinò, e come una bambina gli si accoccolò contro. Non con malizia, ma come se lui fosse il suo protettore.
Di tutto ciò che le aveva detto ben poco rivelava di lui, eppure quel cuore, anche in Egitto, l’aveva cullata per tutte le notti.
“Cam… qualunque cosa tu abbia fatto, sarai perdonato.”
Un ghigno divertito si innalzò nell’aria: “Da dove l’hai tirata fuori questa?”
“Se non esistesse il perdono non esisterebbe neanche la salvezza, e se in un cuore  c’è anche solo un minimo di purezza, allora può essere salvato.”
Lui rimase a fissare la tenera figura rifugiata in lui.
Appoggiò la testa sul capo di lei e chiuse gli occhi.
Era impossibile.
 
Ecco il nuovo capitolo!
Spero sia di v ostro gradimento… alla fine non sono riuscita a mettere da parte Cam.
Va bene, abbiamo svelato suo cugino, ma c’è ancora tanto da scoprire su Isabelle e anche su Cam… la storia è ancora lunga, avrete pazienza?

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Capitolo 10
*** Addio ***


Addio

 
“Perché non puoi mostrarmi le tue ali?” Era da un po’ che Isabelle stava girando sull’argomento.
Lei e Camriel erano usciti dalla piscina per iniziare a passeggiare senza una meta precisa.
“Perché è meglio che tu sappia un po’ di cose prima di vedere le mie.” La voce del ragazzo non sembrava infastidita da quella curiosità, ma in ogni caso celava una specie di timore nonostante il timbro fosse naturale.
“Oh, avanti… sono sicura che sono bellissime!” Cercò di lusingarlo lei, nella vaga speranza che lo stupido metodo funzionasse.
Gli occhi verdi di Cam si accesero di divertimento mentre anche le sue labbra lo dimostravano: “puoi scommetterci!”
Belle amicò quasi illudendosi di esserci riuscita… quasi.
“Ma è meglio vedere quelle meno stupefacenti, altrimenti chissà quali conseguenze…”  ribatté l’angelo corvino come se stesse annunciando la fine dell’universo.
Certo, lui scherzava, ma in cuor suo sapeva che ci sarebbero state delle difficoltà.
Stupido.
Non faceva altro che ripeterselo, ogni giorno e ogni notte.
Colpa di Daniel e di Lucinda!
Per quanto li amasse non poteva fare a meno di odiare il loro amore, la loro stupida storia romantica, il loro essere sempre insieme anche se lontani.
Quella che per Cam in tutti quei millenni era stata solitudine Daniel ,nel suo caso, la chiamava attesa, attesa del suo tesoro.
Non riusciva a capire suo fratello, sapeva di essere troppo impulsivo, troppo frettoloso.
Ma in fondo, nessuna delle attese di Daniel, per quanto lunghe, erano mai state come la sua! La sua, durata più di un milione di vite… dalla caduta fino a pochi giorni prima.
Prima lo schianto dal cielo, poi lo stordimento e l’incoscienza, e alla fine la ragione e la ricerca, la ricerca di lei, la sua piccola Isabel per tutti i deserti circostanti, per tutti i monti, i laghi, le città che pian piano venivano modificate… e il rendersi conto che lei non era con lui.
Avrebbe dato le ali per poter essere al posto dell’ angelo dei Grigori, per poter avere la certezza di ritrovare il suo completamento.
Maledizione! Quando nell’antico Egitto era apparsa la principessa Huriyya, quando Isabel era uscita allo scoperto avrebbe potuto sistemare tutto, ma quella sua impulsività gliel’aveva fatta scappare dalle mani ancora prima di poter vedere il suo aspetto.
Altro grande errore.
Doveva ammetterlo, nonostante alla fine il suo corpo si fosse formato nel mondo terreno era davvero stupenda, bella come doveva essere.
“Ah…” Un tocco fresco interruppe i suoi pensieri. Un tocco dietro al collo.
“Perché ti sei tatuato un sole nero?”
Un brivido percosse la schiena dal demone nel ricordo.
Sperava con tutto sé stesso che non avesse in qualche modo appreso che cosa significava quel simbolo, e che la vista delle ali di Gabbe glielo facessero ricordare.
Era un comportamento idiota quello di rimandare, sapeva perfettamente che prima o poi lei avrebbe capito.
Lilith… dannata Lilith. Era colpa di quella ragazza.
Che era successo? Perché si era innamorato di lei?
No, aveva solo paura della solitudine. Eppure era evidente che era mortale.
Era bastata la frase: “Ci conosciamo già?”
Idiota! Idiota Camriel!
“In realtà mi sono pentito sai?”
“Non è brutto.”
Ingenua, lei non poteva capire, inutile ripeterlo ancora.
“Com’è volare?”
Un leggero sorriso si formò sulle labbra accese di Cam: “Volare? È come suonare.”
“Suonare?”
“Sì. Se devo scegliere un atto umano che si possa paragonare al volare con le proprie ali, direi che la sensazione più simile la provo quando suono la chitarra elettrica. Certo, la dimensione angelica e quella umana è ben diversa… ma si può paragonare.”
“Ah… io non credo di essere brava con la musica…”
“Sicuramente sei brava a cantare. E poi nessuno può battere Roland.”
Roland, l’angelo della musica. Lui l’aveva vista anche in Egitto… quanto lo invidiava…
“Mi farai sentire un pezzo?”
“Anche ora se vuoi.”
“Io volevo trovare Gabbe.”
Cam sorrise spavaldo: “Hai un’ eternità davanti.”
Sapeva che non era vero. Non avevano un’infinità di tempo, perché la vita di Lucinda era diversa.
Cazzo! Perché tutto girava intorno a lei?! Perché non poteva mai fare un discorso senza includerla?
Lucinda, povera Lucinda. Sempre separata dal suo amore, sempre destinata a morire… perché bisognava risolvere solo i suoi problemi?!
Era logorante, ma forse era giusto fare così. Così che tutti guardassero il sole, la bella Luce… e anche Isabel lo avrebbe fatto, presto.
Isabel, eccola, era tornata. Si era presentata come Isabelle. Questa volta solo una sillaba in più, giusto per rendere più comune il nome.
Cosa centrava lei in quel casino? Cosa centrava lei nella caduta?
Afferrò la chitarra quasi automaticamente mentre la ragazza si sedeva sul letto senza nascondere una certa emozione.
Le note iniziarono a viaggiare nell’aria mentre gli occhi splendenti del ragazzo fissavano il lieve rossore che Belle non riusciva a camuffare.
Eccola, innamorata di lui. Perché doveva riacquistare i ricordi? Perché doveva, presto, rovinare tutto? Quando avrebbe appreso del cambiamento di Cam… non ci voleva molto per capire come sarebbe finita.
Già, eppure era inevitabile. Doveva farlo per Luce, e per Daniel.
Per quanto a Camriel sembrasse sbagliato quello che stava succedendo, abbandonare Daniel portandosela via era ancora più sbagliato.
Sapeva che lei avrebbe amato Luce, e che sarebbe stato un aiuto prezioso.
Per Isabel non ci sarebbero stati rischi, lo avrebbe odiato, ma lui avrebbe continuato a proteggerla.
L’ultima nota si dissolse nell’atmosfera silenziosa della stana.
Gli occhi blu continuavano a fissare il ragazzo pieni di sentimento. Lo avrebbe ascoltato per anni… e nel cuore del ragazzo salì una certa malinconia al pensiero che per loro sarebbe stato realizzabile.
Lei non ne era ancora cosciente… ah, quanto desiderava vederla spiegare le ali.
Non ci sarebbe voluto molto, ma probabilmente in quel momento lo avrebbe considerato suo nemico.
Nulla sarebbe tornato come prima.
Cam tese la mano verso il suo angelo per aiutarla ad alzarsi.
I palmi prima si sfiorarono titubanti e poi si unirono in una presa stretta.
Camminarono mano nella mano lungo i corridoi.
Non sarebbe successo subito, almeno sperava. Forse lei non avrebbe avuto la concezione della caduta, di Lucifero… forse lui avrebbe avuto il tempo per tastare il terreno.
Bastava non mostrarle le ali dorate… o almeno prolungare l’attesa…
Illuso.
“Gabbe!”
Eccola.
“Belle!”
Il passo di Cam si fermò e lasciò che la mano delicata della ragazza scivolasse via dalla sua.
Lei si voltò un attimo e gli sorrise.
Lui non riuscì a ricambiare, fece un solo gesto con la mano.
Sapeva che quando lei avrebbe preso coscienza del suo essere, sarebbe partito il conto alla rovescia che gliel’avrebbe portata via per sempre.
L’avrebbe custodita finché tutto non fosse finito e poi… una stellasaetta l’avrebbe sicuramente trovata.
A lei non sarebbe importato.
Continuò a seguire con lo sguardo le due ragazze che si allontanavano, pronte a dare vita ad un nuovo inizio.
Presto avrebbe rivisto la sua Isabelle, forse solo qualche minuto più tardi. La sua Isabelle cresciuta.
Addio, Piccolo Angelo.”
 
 Ecco dopo millenni il nuovo capitolo!
Ok, capitolo un po’ corto… lo so, ma avevo il bisogno di chiarire la situazione di Cam.
Non so cosa si sia capito da questo, so che avevo promesso che si sarebbero capite molte cose… ma alla fine ho optato per lasciare un attimo in disparte Belle e guardare il nostro bel demone.
Grazie a tutti! 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Ali ***


Ali

 
Sembrava quasi una cerimonia, lei e Gabbe camminavano a passo lento nel buio del bosco.
Nonostante fosse giorno, a Belle tutto sembrava più scuro.
Doveva ammetterlo, era da un po’ che si chiedeva se quella era la scelta giusta.
Perché ogni stranezza le sembrava così naturale? Il solo fatto della sua vita in un epoca troppo lontana per essere ricordata così chiaramente, il solo accettare che poi non era mai più esistita sino ad ora.
Che cosa ne era stato di lei fino alla sua ricomparsa?
Forse era per questo… eppure sapeva che c’era una motivazione ancora più profonda di sé stessa;
Cam.
Sì, voleva capire che cos’era. Cos’era stato… cosa sarebbe stato.
I suoi occhi si alzarono sulla bionda figura che procedeva davanti a lei.
“Hai paura?” Le chiese dolce la ragazza, quasi avesse capito la preoccupazione dell’amica.
“Un po’…” ammise lei “Cam era strano…”
Gabbe sorrise, Belle lo capì nonostante fosse di spalle.
“Ha i suoi motivi… ma non ti preoccupare, sono sicura che andrà tutto bene.” Mormorò la bionda.
“Potrebbe anche non essere?”
Gli occhi blu della mora si trovarono a scrutare quelli dell’amica da vicino; si era voltata afferrandole le spalle.
“Belle, tu sei la più innocente tra tutti noi, sono sicurissima che capirai. Sta a te capire, e se lo farai le paure di Cam saranno completamente infondate.”
Un brivido percosse la schiena della giovane: “E… se non dovessi capire?”
“Dipende dalla tua volontà.” Affermò con una certa freddezza l’altra voltandosi.
La sua volontà.
Non sapeva nemmeno chi era, come faceva a sapere cosa voleva?
“Pronta?”
Le pupille di Belle si alzarono di nuovo sulla bellissima figura.
Gabrielle era ferma al centro di una innaturale radura circondata da alberi che prendevano una strana colorazione nerastra sotto il cielo grigio.
“Guarda gli annunziatori.”
Annunziatori.
Qualcosa di remoto nella mente di Belle la spinse ad osservare delle strane ombre che solo allora si rese conto volteggiassero attorno a loro.
“Cosa sono?”
“Perché me lo chiedi? Fino ad ora non ti sembravano una cosa naturale?”
In effetti…
La scena le ricordava molto un rituale esoterico, e l’abbigliamento scuro che le avvolgeva il corpo non faceva che accentuare quella sensazione.
La bionda tese le mani in avanti, in attesa che Belle le afferrasse.
In quel momento tutto le sembrava spaventoso… non riusciva a capire cosa stava facendo. Sarebbe stato più facile far finta di nulla, uscire da quella scuola e vivere una vita ignorando tutto… era molto più invitante.
Ogni volta che si sentiva finalmente sicura tutto svaniva quando arrivava davanti al grande passo.
E anche questa volta tutto la spaventava… persino gli occhi rassicuranti dell’amica, persino il pensiero di Roland e Arianne… solo una cosa rimaneva intatta, accogliente e amabile come nessun’altra: il calore del corpo di Cam.
Allungò le braccia e pose i palmi su quelli della bionda che la incitò a chiudere gli occhi.
“Vedrai, sarà tutto più facile, Tesoro.”
Non c’era altro che nero dietro le sue palpebre. Eppure finalmente qualcosa si muoveva. Sentì un dolce fruscio e poi le pupille coperte di Belle percepirono una colorazione rossastra, dovuta al sangue nei capillari, e poi aumentava, continuava ad aumentare, una rosso acceso, poi arancione e infine un rosa salmone inumano. Nonostante non potesse vedere la luce le si parava davanti.
“Guarda.”
Non ne aveva il coraggio. Forse si sarebbe accecata. Era troppo forte, troppo inumano.
“Guarda.”
La voce è calda e paziente, eppure non ammette repliche. Ma gli occhi della ragazza restano chiusi.
“Guarda.”
Non può, forse perderà tutto… come se avesse              qualcosa da perdere.
“Guarda.”
Basta. Non può più aspettare, è un suo dovere.              
Un cambiamento rapido, come un’ondata di coraggio e di appartenenza a quel qualcosa che le sta davanti.
Un brivido caldo le percorre il corpo terminando poi al centro delle scapole e con autonomia gli occhi si scoprono permettendole di vedere tutto lo splendore indescrivibile.
Inutile riportarlo, tanto nessuno capirebbe la bellezza di quelle gigantesche ali, pure come nessuna cosa appartenente a questa terra, ora così piccola e inutile davanti a quella ragazza bionda.
Gli occhi di Belle si tingono di uno strano colore alla luce di quell’opera divina, il loro colore paradisiaco che è loro essenza.
La ragazza rimane immobile adorante.
La sua mente non ragiona, non sa nemmeno più di esistere. Quella luce ucciderebbe per la troppa grandiosità… eppure lei è lì.
Gabrielle, avvolta dalla sua stessa luce lascia che le labbra le si pieghino in un sorriso dolcemente soddisfatto, sa bene che è ora.
La ali si piegano lievemente all’indietro per poi ritirarsi davanti, lasciando che una folata di vento investa delicatamente il sinuoso corpo di Belle.
“Apri la mente, torna da noi, Isabel.”
La voce sembra così lontana alle orecchie di Belle mentre lo spesso velo posato sulla sua mente e sul suo cuore viene spazzato via da quell’aria.
Delle immagini si fanno nitide e naturali. Ma certo… come aveva fatto a dimenticare?
Era tutto così logico.
Le immagini si fecero nitide ma non presenti. Ancora prima di accorgersi di ricordare un senso di nostalgia le pervase il petto andando sempre più affondo,  negli abissi più profondi dell’anima.
Quella luce dorata che si estendeva verso l’infinito, quella luce che gli occhi umani non possono nemmeno immaginare, quei fiori bianchi e quel dolce profumo celestiale.
Come dimenticarlo… il Paradiso.
Gli angeli che volavano liberi, cantando melodie di lode… e lei era lì.
Vedeva quelle scintillanti piume piene di gloria e purezza volteggiare in quel cielo divino.
E mentre i ricordi fluivano le si trafisse il cuore nel ricordare che lei non aveva fatto in tempo a spiegare le sue ali.
Già… lei non era un angelo come tutti quelli che in quel momento esistevano. Lei era l’angelo più giovane. L’ultimo angelo che il Monarca aveva creato. L’ultimo distaccato dalla grande luce generatrice… l’unico ad essersene andato dal paradiso senza partecipare alla caduta.
Oh, tutto per colpa di quel meraviglioso Portatore di Luce.
Gli angeli non sono eterni. Sono immortali, almeno naturalmente, ma non eterni.
Esiste solo un essere eterno, che sempre è esistito e sempre esisterà, e da lui hanno origine tutte le cose… anche gli esseri angelici, e di conseguenza i demoniaci, ora.
Lei era appena nata. Non aveva nemmeno una forma, era qualcosa di umanoide che emanava una forte luce, quella luce che le permetteva già di amare, che le permetteva già di pensare e avere una coscienza.
Tutti gli angeli erano così, all’inizio. Qualcosa di assolutamente perfetto… e poi in quella perfezione prendeva forma il loro corpo celeste, crescevano come gli umani, ma molto più velocemente e allo stesso modo molto più lentamente.
Nel Regno del Cielo il tempo non esiste, non ha senso.
Ogni volta che nasce un angelo c’è un gran fervore in Paradiso, una gioia immensa si aggiunge alla gioia naturale che è l’essenza di quel mondo.
Tra gli angeli non avrebbero dovuto mai esserci gelosie, battaglie e odi, tutti dovevano amarsi l’un l’altro. Era l’amore l’essenza di tutto, e lei lo sapeva bene. Lo sapeva poiché ancora in lei aleggiava nitido il ricordo della sua generazione, di quel sentimento generatore… e di quell’affidamento.
Perché ogni neo-angelo era affidato ad un angelo ormai formato, ad un angelo forte ormai già con le ali ben aperte. Per tutti gli angeli è stato così.
A partire dal primo, colui che portò alla disgrazia, Lucifero, che venne cullato direttamente dalla Forza Generatrice, e fu lui a cullare a sua volta una miriade di nuovi angeli venuti all’esistenza… prima fra tutti Lucinda.
Oh, come dimenticare l’amore di Daniel e Lucinda. Chissà che fine avevano fatto loro.
Ma ora non era quello che le importava.
Ecco chi era, il suo Camriel.
Aveva ragione, con lui c’era un legame più profondo di ogni altro legame che potesse esistere nell’universo, un legame che trascendeva il tempo e lo spazio.
Lui era il suo angelo protettore.
Ecco il sogno delle sue notti.
Era lui che la cullava, che cantava per lei, che la amava, perché a lui era stata affidata.
Gli era stata affidata lei e solo lei. Era sua, era scritto nel libro del destino.
L’aveva tenuta stretta al petto fin dall’inizio della sua eternità. Questa era la cosa importante.
Si sentì volare le farfalle nello stomaco al pensiero che sin dal principio lei era stata legata a quell’angelo con una catena indistruttibile.
Non era più un sogno, ora era un limpido e saldo ricordo nella sua mente.
Quanto lo aveva chiamato. Quanto lo aveva invocato. E ora lo aveva lì.
Lei era collegata a lui, come un bambino nel grembo materno, senza di lui la sua luce si sarebbe presto spenta, invece il Monarca li aveva voluti unire in una amore incontrollabile, che le creature umane non possono nemmeno immaginare.
Le venne da piangere per la gioia.
Poi il ricordo delle sue ali candide, bianchissime. Quanto voleva rivederle.
E poi il tragico momento. Quando uno strano buio si era esteso sul paradiso. Lei era piccola, ancora non aveva la visuale completa, non capiva, eppure intuiva.
Qualcosa di tragico.
Cam l’aveva stretta al petto, ma altre braccia la reclamavano.
Lui aveva gridato, l’aveva stretta ancora di più a sé. Quelle grida, le stesse di qualche notte prima. Oh, quale creatura terrena potrebbe mai immaginare lo strazio di quelle grida?
Come se qualcuno gli stesse strappando a morsi il cuore.
E lei, nel suo possibile cercava disperatamente di aggrapparsi a lui.
“Lasciala! Non c’è tempo! Lei non centra con tutto questo! La ritroverai, ma ora pensa a salvarla!”
Era la voce di Arianne. Era lei che cercava con tutta sé stessa di portarla via da Cam.
“Non posso!” Le aveva abbaiato contro lui.
“Devi! Soffrirà di più se non la lasci. Ecco, guarda! Ecco il buio che invaderà l’inferno ora si estende su di noi! Credi che una volta toccato il suolo terrestre lei sarà lì con te? Verremmo scagliati chissà dove! Sarete ancora più lontani di quanto lo sarete se lei andrà nel Limbo!”
E quella fu la vittoria di Gabbe e Arianne che avevano parlato.
L’avevano portata via dal suo rifugio per evitarle la Caduta, nonostante non sapessero ancora con precisione cosa significasse. Questa era la spiegazione. Ma lei avrebbe preferito cadere con loro, più tosto che essere allontanata così, da tutti loro.
Ed ecco che un annunziatore per la prima volta aprì il passaggio, per lasciare che un Angelo si rifugiasse per scappare a tutto il terrore che sarebbe avvenuto.
Ma era impossibile.
L’accesso al Paradiso era negato anche per lei, nonostante la caduta di nove giorni non fosse rientrata nel suo destino, il suo corso doveva seguire quello dei suoi compagni.
Vagò per i vicoli bui degli annunziatori finché non riuscì a trovare un passaggio. Quello che la portò sulla Terra per la prima volta, sotto forma di bambina, senza ricordi.
Avvenne ciò che Roland le aveva fatto ricordare. L’amore per suo cugino, il matrimonio… e la sua morte. La sua morte che l’aveva logorata. E cosa aveva fatto dopo?
Oh, certo. Lei era cresciuta tra umani, la sua mente era umana. Così, più tosto che sopportare aveva deciso di morire con lui, morire con il suo amore inconsapevole del suo passato. Si era portata su una delle rare rupi e aveva pregato per l’ultima volta gli dei.
Secondo i suoi criteri, lasciandosi cadere, laggiù, sarebbe dovuta morire. Ma lei non poteva, e un annunziatore la accolse nuovamente dentro di sé.
Così aveva vagato ancora, ormai angelo formato, e aveva gridato i nomi degli altri caduti. Aveva gridato il nome di Camriel.
Ma ora era tornata. Questa volta ce l’aveva fatta.
Sentiva il cuore battere forte per la gioia. Aveva vinto.
“Ce l’ho fatta…” Sussurrò aprendo gli occhi.
Gabbe davanti a lei annuì, sorridendo per la sorella ritrovata: “Sì angioletto, sei con noi, ora.”
La strinse forte tra le braccia, avvolgendo i loro corpi con le ali.
“Vedrai che presto le spiegherai anche tu…” mormorò dolce mentre nella mente di Belle si fece vivo solo il pensiero di correre a cercare quegli adorati occhi verdi.
 
Eccoci con il nuovo capitolo che ha aspettato mesi ad uscire (come se fosse colpa sua)!
Sinceramente, spero che questo non abbia deluso nessuno. Questo, come è facile capire, è un capitolo abbastanza importante, che da inizio ad una nuova parte della storia dove finalmente si ritroveranno più attivamente anche gli altri personaggi.
Qui certe cose le ho inventate di sana pianta. In fondo non è mai stato spiegato come nascono gli angeli no? Spero che questa interpretazione non sia odiata!
Grazie e (spero) a presto!

 
 
 
 
 
 

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