Well... This should kinda be me

di Caleido
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1: nuovo liceo, nuove persone da spaventare ***
Capitolo 2: *** Giorno 2: Medusa mi ha pietrificato il cuore ***
Capitolo 3: *** Giorno 10: Il mio cuore non più pietrificato adesso scrive canzoni d'amore: grandioso. ***
Capitolo 4: *** Giorno 13: Sentiti carina e gli altri ti vedranno carina ***
Capitolo 5: *** Giorno 14: Ed ecco, signore e signori, il mio problema: l'ansia. ***
Capitolo 6: *** Giorno 14: E’ tutta colpa di mio padre! ***
Capitolo 7: *** Giorno 15: Tempismo perfetto, fratello! ***
Capitolo 8: *** Giorno 16: Come segnali di fumo per qualcuno che non è indiano. ***
Capitolo 9: *** Giorno 17: I’m walking on sunshine ***
Capitolo 10: *** Giorno 18: Come Troy e Gabriella… ma fino a un certo punto. ***
Capitolo 11: *** Giorno 19: Il romanticismo mi fa diventare una frignona ***
Capitolo 12: *** Giorno 21: Meno un giorno all’apocalisse ***
Capitolo 13: *** Giorno 22: Mai, mai, mai più farò una sorpresa a qualcuno. ***
Capitolo 14: *** Giorno 23: Il mio gatto è un ottimo psicanalista. ***



Capitolo 1
*** Giorno 1: nuovo liceo, nuove persone da spaventare ***


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GIORNO 1: nuovo liceo, nuove persone da spaventare
 
Ed eccomi qui. Mi chiamo Hana. No, non "Hannah" o "Hanna" o simili. Hana. In giapponese vuol dire "fiore". E mia madre ha una passione per il Giappone. E' lì che lei e mio padre si sono conosciuti. Nessuno dei due è giapponese, se ve lo steste chiedendo. Mia madre è metà americana, del New Jersey, e metà neozelandese. Mio padre è mezzo canadese dal lato francese e mezzo irlandese. Comunque, questo non ci interessa. Io mi chiamo Hana e ho sedici anni. Quest'anno io e la mia famiglia, che oltre a me e ai miei sopra citati genitori comprende mio fratello minore Peter (niente nome giapponese per lui), un gatto di nome Toulouse e due criceti dagli originalissimi nomi di Cricio e Criceta, ci siamo trasferiti nell'Ohio. E oggi è stato il mio primo giorno al liceo McKinley. Per essere stato un primo giorno non è stato poi così male. Io non sono una delle persone più espansive del mondo, capiamoci. Non rivolgo la parola e se mi viene rivolta rispondo a monosillabi. Non so perché. Non è che la gente non mi piaccia. E quando entro in confidenza parlo e straparlo fino a dare la nausea a me e a chi mi ascolta. Ma il punto è proprio la confidenza. Non la do facilmente. Ma mi sono sforzata di non fare l'orso bruno, dato che sarebbe stato controproducente. Ho pensato di iscrivermi a qualche attività pomeridiana. Ma non ho idea di che cosa frequentare, non c'è nessun corso che mi ispiri e non sono una tipa atletica. Niente sport o cheerleading per me. Perciò per oggi ho passato. Ma torniamo al perché la giornata non è stata male. Non trovavo la mia classe di storia, così ho chiesto indicazioni a una ragazza. E' stata molto carina. Si chiama Marley. Mi ha accompagnata alla classe, e abbiamo chiacchierato un po'. Mi ha chiesto se vorrei far parte del Glee club. Ma io non so cantare (non è timidezza la mia, sono proprio stonata come due pentole che sbattono l'una contro l'altra) né ballare (coordinazione zero patacca, grazia meno uno, elasticità... non ne parliamo nemmeno). Quindi l'ho ringraziata, ma proprio non avrei posto lì. Ci siamo dette che ci saremmo viste per pranzo. E così abbiamo fatto. Mi ha presentato i suoi amici, tutti membri del Glee club, e ho iniziato a parlare con Marley di Hunger Games, che lei ha adorato. Al mio solito ho iniziato a fare confronti con i romanzi distopici classici, da Orwell a Huxley a Golding, citando Dick e altre distopie moderne. Ho spiazzato la poveretta. E con lei tutti gli altri. Ho sentito gli sguardi perplessi su di me e ho immaginato bocche spalancate anche senza vederle. Ma poi Artie, il ragazzo sulla sedia a rotelle, mi ha risposto. Abbiamo iniziato a discutere della distopia di Orwell e a confrontare il genere con quello apocalittico. E' un ragazzo molto simpatico. Mi sono trovata davvero bene a parlare con lui. C'era confronto intellettuale. Quindi ho guadagnato qualche amico. Anche gli altri sono simpaticissimi. Mi hanno detto che nel club sono di più. In quel momento però c'erano solo Marley, Jake (il suo ragazzo, un gran figo color cappuccino), Artie, Sugar (una ragazza che soffre della sindrome di Ansperger) e Unique (che in realtà è un ragazzo e temeva che io mi spaventassi o facessi battute cattive per il fatto che veste da donna. Che follia! E' così dolce!).
Quindi sono soddisfatta. Non è stata affatto male come prima giornata. Certo è sempre stata una "prima giornata", in cui ho dovuto girare per corridoi nuovi e infilarmi in classi nuove con insegnanti nuovi e compagni di classe nuovi. Essere convocata nell'ufficio del preside il mio primo giorno non è stato proprio il massimo. Ha letto la mia cartella e ha visto che nella mia vecchia scuola ho vinto un sacco di premi per saggi di diversa natura. Dice che sarebbe un onore per il McKinley avere una studentessa che si distingue per reali meriti accademici, e non perché è una cantante o una cheerleader. Si aspetta grandi cose da me. Anzi, se proprio voglio darmi da fare subito, tra tre settimane c'è una gara di saggi sulla letteratura latina. Sempre se non è un disturbo. Per puro caso la lì presente professoressa Campbell insegna latino, e sarebbe felice di avermi nella sua classe di livello avanzato e darmi una mano con il saggio. Ma niente pressioni.
Amen, ho stretto la mano alla prof, infilato il modulo di partecipazione nella borsa e sono tornata in classe, dove i miei compagni mi hanno guardato come si guarda una rana che si sta per dissezionare, con un misto di spavento e atroce curiosità.
Ho sospirato e mi sono seduta. Il mio regno del terrore continua.




Nota dell'autore: Salve a tutti eventuali lettori! Questa è la prima storia che pubblico, quindi mi scuso per la pessima impaginazione ma non ho ancora dimestichezza con la trasformazione in HTML (HTML, giusto?) e dubito che la acquisirò in un futuro molto prossimo data l'incompetenza con questo genere di cose.
Attendo i vostri commenti prima di aggiungere altro, oltre evitare di sproloquiare adesso. Spero la storia vi possa piacere!
P.S. Se tutto va bene dovrei pubblicare un capitolo alla settimana. Magari di più quando sarà estate.

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Capitolo 2
*** Giorno 2: Medusa mi ha pietrificato il cuore ***


Image and video hosting by TinyPic Well... This should kinda be me - capitolo 2 GIORNO 2: Medusa mi ha pietrificato il cuore

 
Ho avuto un'infanzia piena di fidanzatini. Ogni due giorni li cambiavo, e dico "li" perché ne avevo sempre più di uno contemporaneamente. Le mamme delle mie amiche mi guardavano male e dicevano a mia madre "Stai attenta, Lyanne, se è così adesso, da grande ti darà molti problemi...". Alle medie il mio momento di gloria è finito, e da ape regina del mio gruppetto e rubacuori indiscussa, sono passata a secchiona asociale. Le mie amiche d'infanzia sono diventate di quelle ragazze che si svegliano la mattina già truccate, fumano qualsiasi erba, consumano alcolici a volontà e fanno sesso da quando avevano quattordici anni, mentre io non ho mai nemmeno baciato un ragazzo (le interazioni con i miei suddetti fidanzatini andavano dal tenersi per mano al dare loro qualche bacino sulla guancia, ma questo solo ai miei preferiti). Anche per questo motivo non ho molti amici. Solo due, in realtà. Ci siamo conosciute proprio alle medie. Si chiamano Allison e Skyler e sono due nerd proprio come me. Nonostante le mie uniche amicizie siano due ragazze, mi trovo molto meglio con i maschi. Eppure non riesco a farmene piacere nemmeno uno. Se non è il personaggio di un romanzo, addio. O perlomeno, era così fino ad oggi.

Oggi ho conosciuto gli altri membri del Glee. E in particolare quando ho conosciuto Ryder Lynn ho sentito qualcosa muoversi nel mio stomaco. Sul momento ho pensato di avere acidità. Soffro di reflusso gastro-esofageo. Ma i sintomi non erano quelli. Quando ci sono arrivata, sono rimasta con la forchetta sospesa a mezz'aria e lo sguardo perso nel vuoto per cinque minuti buoni. Farfalle? Le farfalle nello stomaco! Io ero convinta si fossero pietrificate. Le ho avute, un tempo. Reagivano alla vista dell'altro sesso, quando questo meritava. Ma poi si erano assopite, erano cadute in letargo e si erano tramutate in pietra. E lui le ha risvegliate! Buon Dio! Come diamine ha fatto?
Di solito ci sono solo tre modi per conquistarmi:
1. Essere tremendamente fighi e, poiché se ne è consapevoli, comportarsi da stronzi. Allora io apprezzo la figaggine sebbene l'atteggiamento mi infastidisca. Comunque offrono un bello spettacolo.
2. Essere tremendamente fighi ma esserne inconsapevoli. Un ragazzo figo e dolce è come la Coca Cola zero: gusto Coca Cola, zero zucchero.
3. Essere carini con me. Il mostro di Loch Ness o Gollum potrebbero conquistarmi semplicemente essendo particolarmente gentili con me.
E Ryder Lynn è tutte e tre le cose!
Ero con Marley davanti al suo armadietto. Ryder si è avvicinato per salutare e lei ci ha presentati. Sul momento ho notato quanto fosse bello, ma non ho reagito più di tanto. Ero troppo impegnata a pensare al fatto che il suo nome mi ricordava Flynn Ryder di Rapunzel, e cercavo di non ridere. Ma di pomeriggio sono rimasta a vedere una prova del Glee. E lì l'ho visto cantare (passatemi la sinestesia). Io non ho mai la pelle d'oca, ma mi sono venuti i brividi lungo tutta la spina dorsale. Hanno cantato nell'auditorium, ed è stato allora che Ryder mi ha sorpresa e ha fatto volare di nuovo le mie farfalle. Perché tutti ballavano con qualcuno, e lui ha preso me per mano e mi ha trascinata nella mischia. Io detesto ballare perché mi sento fuori luogo, e difatti sono arrossita sino alla punta dei capelli, ma mi sono divertita. Mi faceva girare e mi stringeva e mi teneva per mano, e mi sentivo leggera come un piumino da cipria. Quando la canzone è finita, mi sarei messa ad attraversare il palco in una serie di grand-jétés immaginando di essere Georgie che corre sui campi con i capelli e il vestito svolazzanti. Nella mia testa era un'immagine molto carina. Ma sono riuscita a trattenere l'impulso e anche, sorprendentemente, il sorriso ebete. Un punto per me.
C'è da dire che nel club sono tutti fantastici e Finn, il capo, è davvero un bravo ragazzo. Si è diplomato l'anno scorso, e sta tenendo le redini del club perché il prof che dovrebbe occuparsene è a Washington. Mi ha detto che posso assistere ogni volta che ne avrò voglia, e se adesso non me la sento di provare ad entrare, comunque il posto è disponibile.
Quindi oltre a Marley, Jake, Ryder, Artie, Sugar e Unique, ci sono:
Brittany e Sam, che stanno insieme e sono le persone più strane che abbia mai conosciuto in vita mia. Non so se fingono di essere un po'.. ehm.. tonti, oppure se sono dei geni che conquisteranno il mondo con la loro aria da bei ragazzi biondi un po' tocchi.
Blaine, che sospetto sia omosessuale e che ha una voce da brivido ed è gentile e disponibile.
Kitty, che è una Cheerio insieme a Brittany e non credo di starle simpatica, ma mi consolo notando che sembra nessuno le stia simpatico. Sembra un po' una rana.
Tina dai bei capelli e dalla bella voce, ma soprattutto dai begli occhi asiatici, che io e la mia passione per l'oriente invidiamo da morire.
Joe, l'unico ragazzo che abbia mai conosciuto che riesca a sembrarmi figo con i rasta.
Dopo le prove sono tornata a casa pensando ai capelli di Ryder. Ho continuato a pensarci mentre studiavo la storia russa (ho deciso di iscrivermi a una marea di corsi avanzati: se proprio devo essere l'orgoglio del McKinley, tanto vale farlo bene) e ho continuato a pensarci mentre cenavo. Poi ho smesso di pensarci mentre pensavo alla sua voce facendo degli esercizi di trigonometria. E sono tornata a pensarci tra un haiku e l'altro.
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Nota dell'autore: Avevo detto che avrei pubblicato più o meno un capitolo a settimana, ma per ingranare ne pubblicherò almeno ancora un paio prima di iniziare a rispettare questa regola. Spero che qualcuno mi faccia sapere che ne pensa, e spero di imparare prima o poi a usare i benedetti codici HTML per dare un formato decente al tutto.

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Capitolo 3
*** Giorno 10: Il mio cuore non più pietrificato adesso scrive canzoni d'amore: grandioso. ***


glee capitolo 3
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GIORNO 10: Il mio cuore non più pietrificato adesso scrive canzoni d'amore: grandioso.
 
Ogni tanto scrivo poesie. Solo quando sono particolarmente confusa. Quando sento i pensieri shakerati in testa fino a non distinguere più un concetto da un altro come in un frullato non si distingue la banana dalla fragola, scrivo una poesia. Poi dimentico anche di averla scritta finché non la ritrovo per sbaglio. Non mi sento una poetessa. Nemmeno la amo particolarmente, la poesia. Preferisco i romanzi. Praticamente quando non studio e non leggo, o mi drogo di telefilm o sono in chat con le ragazze, oppure disegno. Faccio un'eccezione per gli haiku. Ma solo perché sono stata contaminata dalla passione del Giappone tanto da pensare che laggiù facciano qualunque cosa meglio di noi, anche scrivere poesie.
Ma ecco quello che è successo. Oggi mi è caduto un quadernetto mentre ero in corridoio e cercavo di stipare nel mio armadietto più di quanto questo sia in grado di contenere. Visto che io ho la mania di scrivere su fogli sparsi piuttosto che sulle pagine dei quaderni (ehi, ognuno ha le sue fisse), uno sciame di fogli si è sparso per il corridoio, e sono partita all'inseguimento. Blaine è capitato lì e mi ha aiutato a raccoglierli. E il suo sguardo si è fissato su un foglietto.
- Scrivi canzoni? - mi ha chiesto. Al che ho sistemato i miei occhiali che nella caccia al foglio erano finiti in bilico sulla punta del naso e l'ho guardato perplessa.
- Canzoni? No, solo qualche poesia. Ma nulla di che.
- Stai scherzando? Questa sembra proprio una canzone. Magari ripetendo la terza strofa come ritornello..
- Ma dai, è una poesia su una ragazza che parla con la sua seconda personalità. Che canzone ne verrebbe fuori? - gli ho detto ridacchiando. Ho ripescato il foglio dalle sue mani e l'ho rimesso a casaccio dentro il quaderno.
- Secondo me ne verrebbe fuori una bella canzone. Fammi provare. Proverò a metterci su la musica, la canterò al club senza dire di chi è il testo, e se agli altri piace potresti diventare la nostra nuova compositrice. Che ne dici? - Mi ha guardato fiducioso, e così ho accettato. Non è che mi vergogni delle mie poesie, ma non hanno senso. Sono solo il frutto di istanti di delirio. Spruzzi di colore su tela. Ma tentar non nuoce. Magari quest'aria di postmodernismo che emergerà sarà apprezzata. La gente ama le cose strane. Altrimenti perché veneriamo Lady Gaga?
A pranzo ho mangiato con gli altri, e così ho scoperto due cose infelici: 1) che Ryder è dislessico. Segue delle lezioni private speciali da quando ha scoperto - grazie a Jake - di avere questo problema; 2) che gli piace Marley. Al che le mie farfalle hanno perso le ali e sono piombate nel baratro. Hanno sussultato un altro po', cercando di rialzarsi, e poi sono stramazzate al suolo freddo e duro. Okay, magari esagero. In fondo non ne sono proprio certa. Ma ho questa vaga impressione, che si è insinuata nel mio stomaco come un serpentello di campagna striscia nel giardino senza che tu te ne accorga. Sì, i nostri stomaci sono sempre affollati di animali. Il punto è che queste metafore rendono l'idea. Comunque questo mi ha ispirata per scrivere una delle mie poesie. Parla di un amore non corrisposto, ovviamente. Mi sono sembrata molto Eponine del musical "Les misérables", che canta canzoni d'amore per Marius mentre lui le canta per Cosette. Non immagino che tipo di musica ci starebbe sopra. Magari, se la poesia che ha preso Blaine avrà successo, potrei proporgli anche questa.
Non sono rimasta con loro alle prove. Avevo alcuni dei miei corsi avanzati, di pomeriggio. Fortunatamente la chimica organica richiede così tanta concentrazione da parte del mio cervello portato per le materie umanistiche, che non ho potuto pensare ad altro.
Ma prima di addormentarmi non ho potuto non pensare a lui, e a quanto mi piacerebbe saper cantare. Potrei entrare in classe, dire a Finn che vorrei cantare una canzone, sedermi sullo sgabello e con voce da usignolo cantare il mio sentimento. E poi nasconderne il destinatario. Non mi era mai sembrata una tale mancanza il non saper cantare. Puah! Perché mio fratello ha il dono della musica? Suona la chitarra, il pianoforte e la batteria. E canta, e anche bene. E io?
Io scrivo saggi.
---

Nota dell'autore: Be'... ora che me ne rendo conto, questo capitolo è cortissimo. Indi-per-cui tra cinque minuti pubblicherò il prossimo.
Mi scuso con la mia amica Luna per non averla ringraziata anche pubblicamente per la fanart: tu sai che adoro tutti i tuoi lavori <3
Detto questo mi appresto a pubblicare il prossimo capitolo, e intanto buona lettura :)

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Capitolo 4
*** Giorno 13: Sentiti carina e gli altri ti vedranno carina ***


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GIORNO 13: Sentiti carina e gli altri ti vedranno carina

 

Stamattina mi sono svegliata sentendomi particolarmente carina. A volte mi capita, di svegliarmi pensando "Sono così carina, che mi darei un morsetto sul naso!". Ho inforcato gli occhiali e sono andata all'armadio puntando dritta ad alcuni capi. Di solito mi cambio almeno tre volte prima di uscire di casa. Ma nei miei giorni sì, so esattamente cosa mettere. Così ho indossato la mia camicetta blu preferita sotto il mio maglione largo e cadente a righe abbinato, i miei jeans più comodi, scarpe rosa antico come la sciarpa, e ho completato con gli accessori. Mi sono anche messa il mascara! I capelli a cui avevo fatto lo shampoo ieri erano morbidi e particolarmente luminosi. Sono uscita pimpante e allegra, quando Artie è passato a prendermi. Abita a qualche strada di distanza, e visto che lo accompagna sua madre, danno un passaggio anche a me.

Gli ho piazzato in mano il volume di filosofia kantiana che ho appena concluso, accompagnando il gesto con alcuni miei commenti random, e mi sono seduta, nel silenzio più totale dell'abitacolo. Ho alzato gli occhi verso lo specchietto retrovisore, incrociando prima i miei stessi occhi color indaco (non mi piace descrivere i colori degli occhi con i banali "marrone", "verde", "nero" o "azzurro". L'occhio umano distingue così tante sfumature di colore che è un peccato non usarle!) e poi quelli della signora Adams e di Artie, che mi guardavano di sottecchi.

- Che c'è? - ho chiesto, sentendo l'impulso di strizzare le palpebre come avevano fatto loro.

- Niente, è solo che oggi sembri diversa. - ha detto la signora Adams.

- Fai profumo. - ha aggiunto Artie.

Ho inarcato un sopracciglio. - Vorrebbe dire che di solito faccio puzza? - ho chiesto.

- No. Solo che fai PIU' profumo. Profumo di.. profumo.

Ho riso: - Però, e dire che hai un QI di quasi 160! Uno si aspetterebbe qualche spiegazione migliore.

Non se ne è parlato più. E ho cercato di non dare a vedere troppo che gongolavo perché avevano notato la differenza.

La giornata è continuata senza avvenimenti di particolare importanza fino a pranzo. Non ho avuto tempo di andare in mensa perché dovevo consegnare il mio saggio sulla letteratura latina alla prof, che mi ha trattenuta per parlarmi di un concorso di traduzione a cui potrei partecipare. Ho cercato di sbrigarmi, ma la pausa pranzo era quasi finita quando sono riuscita a scappare. Ryder è comparso dietro il mio armadietto facendomi saltare il cuore nella scatola cranica, porgendomi un sacchetto di carta.

- La signora Rose ti manda il pranzo. - mi ha detto con un sorriso. Cercando di non balbettare soffocandomi con le mie stesse farfalle, ho aperto il pacco e ho sorriso. Riso al curry, pollo al limone, patate al rosmarino, torta alle fragole, un'arancia. In quantità industriale. Capisco perché la signora lo faccia. E' la madre di Marley. Marley ha disturbi alimentari. Hanno perso le provinciali perché lei è svenuta sul palco. Il fatto che non mi sia mostrata a pranzo avrà mandato la signora Rose nel panico. Le sto simpatica almeno quanto lei sta simpatica a me, è adorabile.

- Mi sa che potrei sfamarci tutta la squadra di football con tutto questo cibo. - ho risposto sorridendo. - Grazie. Andrò a mangiare in qualche classe vuota. Non ho lezione adesso.

- Nemmeno io. - ha detto lui, e ho cercato di non fare correre al galoppo la mia immaginazione. Non pensare a cosa potrebbe esserci sottinteso. Vai per le cose ovvie, mi sono detta. Però evidentemente il sottinteso c'era sul serio, perché poi ha aggiunto: - Invece di mangiare da sola in una classe, perché non andiamo insieme nell'auditorium?

Inutile dire che non ho neanche lontanamente ipotizzato di rifiutare.

Così siamo andati nell'auditorium e ci siamo appollaiati sul bordo del palco, non prima che io lo avessi accuratamente disinfettato con cinque salviette antisettiche, sotto lo sguardo divertito di Ryder.

- E allora.. tu che cosa nascondi? - mi ha chiesto di punto in bianco mentre cercavo di non prendere forchettate di riso troppo grandi, onde evitare di sembrare una morta di fame.

- Che intendi?

Lui: - Nel Glee club tutti hanno qualche problema. Era così nel Glee club originale, e continua ad essere così: Artie la sedia a rotelle, io la dislessia, Jake il cattivo ragazzo, Marley l'alimentazione, Blaine l'omosessualità, Wade si sente donna...

Io, mordicchiando la forchetta di plastica: - Be', sapete anche cantare e ballare e alcuni anche recitare, mentre io no.

Lui: - Tu sei estremamente intelligente. Anche più di Artie. Non hai mai avuto problemi per questo, a scuola?

Io, dopo averci pensato un po': - No. Non mi disturba fare la parte della secchiona. Mi piace. Se intendi come tratto con i bulli.. Non è mai conveniente mettersi contro la pupilla dei presidi e degli insegnanti. Non è conveniente nemmeno per gli insegnanti, mettersi contro la pupilla dei presidi.

Ho sorriso e lui ha ricambiato.

- Perciò adesso il Glee ha due protettori: il figo giocatore di football dinnanzi a me, e la secchiona preferita del preside dinnanzi a te.

Ha inarcato il sopracciglio con un mezzo sorriso: - Figo?

Al che sono arrossita fino alla punta dei miei capelli rossi: - Come se non te l'avessero mai detto. - Ho borbottato. - Dividiamo la torta? - ho chiesto, per sviare la conversazione. Ha accettato e abbiamo preso una forchettata ciascuno.

- Cosa fai questo venerdì? - mi ha chiesto lui ad un certo punto, al che stavo per cadere dal palco. O dei del pantheon! Che diamine dico? "Nulla"? Come dire: "Prendimi, sono tua!". "Cosa proponi?"? E' come dare per scontato che voglia chiedermi di uscire. "Perché vuoi saperlo?"? Civettuolo, ma al momento la trovo l'alternativa migliore.
- Non so, perché?

- Ho una partita a Ohio City, e mi chiedevo se ti andasse di venire. Poi potremmo andare al Breadstix. Ci sei mai stata, da quando sei qui?

- No. - ho risposto, cercando di controllarmi per non levitare causa contentezza. - Ma ti avviso, non so nulla di football, quindi ti dirò che sei stato molto bravo qualunque cosa accada.

Ha riso, e poi la campana è suonata.

- Devo scappare, abbiamo un incontro con la coach Beiste. Ci vediamo dopo? - mi ha chiesto, e ho annuito con un sorriso. Se ne è andato, e io sono stramazzata al suolo, incurante della colonia di germi e batteri e virus e organismi monocellulari e non solo sotto di me, sentendo le farfalle salire su per la trachea e invadermi anche la testa, e scendere fino ai piedi, dandomi la sensazione che avrei potuto spiccare il volo da un momento all'altro.

Purtroppo sono dovuta tornare con i piedi per terra e andare a seguire tre ore di francese, e quando sono tornata a casa ho anche cantato sotto la doccia.

I'd never gone with the wind
Just let it flow
Let it take me where it wants to go
Till you open the door
There's so much more
I've never seen it before
Always tryin to fly
But i couldn't find wings
But you came along and you changed everything

You lift my feet off the ground
You spin me around
You make me crazier, craizer
Feels like i'm fallin' and I
Am lost in your eyes

You make me crazier, crazier, crazier...

---
Nota dell'autore: Così ecco il quarto capitolo, a pochi minuti di distanza dal precedente, come promesso. Detto questo spero vi possa incuriosire, e mi farò sentire di nuovo venerdì con il quinto capitolo. Dalla settimana prossima invece pubblicherò un capitolo a settimana per uno o due mesi a meno di non riuscire ad avere più tempo, e poi ricomincerò a pubblicare più spesso.
Avviso anche che la fanfiction seguirà la serie corrente. Hana è arrivata tra la puntata di Sadie Hawkins e quella di San Valentino, che tra non molto salterà fuori. Aggiungerò giusto un paio di settimane in più. Quando la stagione finirà, invece, proseguirò per conto mio.
Detto questo vi lascio con la lettura dei nuovi capitoli e spero di ricevere qualche recensione in più oltre a quelle private dei miei amici che sopportano i miei deliri.
P.S. La canzone finale del capitolo è "Crazier" di Taylor Swift, della colonna sonora del film di Hannah Montana. 

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Capitolo 5
*** Giorno 14: Ed ecco, signore e signori, il mio problema: l'ansia. ***


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GIORNO 14: Ed ecco, signore e signori, il mio problema: l'ansia.

Ho detto a Ryder che io non ho nessun problema. Sì be', non ho nessun problema serio. Sono sociopatica, ho manie ossessivo-compulsive, sono ipocondriaca, maniaca della pulizia, ho fobie specifiche e ansia generalizzata. E mi sono autodiagnosticata tutte queste cose leggendo un manuale di psichiatria. Ma la mia ansia è cosa riconosciuta universalmente. E dire che la giornata era cominciata così bene!
Sono andata a scuola, ho preso i miei bei voti, ho consegnato delle tesine ai miei corsi extra, mi sono iscritta ad altri quattro concorsi di saggi, e poi, al Glee, sono diventata l'attrazione del momento. Come mai? Be', Blaine ha portato la mia canzone.
Ha detto di voler proporre un brano, e lo ha suonato lui stesso al pianoforte. Queste le reazioni:
Sam: - Amico, è stato fantastico! Non avevo neanche mai sentito questa canzone.
Finn: - Già, ottimo lavoro, Blaine. Di chi era? Qualche musical di quelli che conoscerebbero solo Kurt e Rachel?
Brittany: - Secondo me l'ha scritta Blaine Usignolo.
Artie: - Dai, dicci di chi è, Blaine.
Joe: - Già, amico. E' stata la tua esibizione migliore!
Blaine: - Calma, calma. Grazie dei complimenti, ragazzi, ma la canzone non è merito mio. E' di Hana.
Al che tutti si sono girati verso di me e sono andata in apnea.
Finn: - Hana, scrivi canzoni? Sei bravissima!
Io: - Io.. ehm.. si cioè.. scrivo poesie. Più o meno. Blaine ha letto questa per caso e mi ha detto che gli sembrava una buona canzone. Ci ha messo lui la musica e tutto, io ho solo buttato giù il testo. Ma non era niente di che.
Ryder: - Scherzi? Era favolosa.
Finn: - Ryder ha ragione, Hana. Senti, noi possiamo presentarci alle gare anche con canzoni originali. Anzi, sono più apprezzate. Non vorresti scriverne altre? Per noi?
Io: - Ehm.. okay. Ci provo. Non vi assicuro niente.
Finn: - Ragazzi, sapete cosa vuol dire questo? Faremo la pelle a tutti, alle regionali.
Kitty: - Se Marley non ci sviene di nuovo sul palco.
Io, infiammata di colpo come nei miei giorni di mal di pancia acuto: - Se tu non la convinci di nuovo che deve ficcarsi le dita in gola.
Kitty: - Ehi, le ho solo detto cosa fare per avere il mio meraviglioso fisico che tutte qui invidiano.
Io: - Per avere il tuo meraviglioso fisico dovrebbe essere alta la metà. E sarebbe comunque più alta di te.
Lei: - Zitta, gigante testarossa, è solo la tua invidia a parlare.
Finn: - Ehi, ehi, basta. Nessuno sverrà sul palco né avrà complessi per nessun altro motivo, è chiaro?
E la discussione è finita lì. Ma mi sentivo particolarmente nervosa. Avrei morsicato via la testa di Kitty dal suo collo con molto piacere.
Ma poi Ryder si è offerto di accompagnarmi a casa e, se fossi stata un personaggio anime, i miei occhi a forma di teschio si sarebbero trasformati in due cuoricini che battono.
Abbiamo chiacchierato un po' delle mie poesie, ma io non pensavo molto a quello che stavamo dicendo. Ero troppo impegnata a immaginarmi una scena da film con noi due protagonisti, camminare per strada, lui un po' più avanti e io dietro cantando:

I hung up the phone tonight 
Something happened for the first time 
Deep inside 
There's a rush, what a rush 
Cause the possibility 
That you would ever feel the same way 
About me 
It's just too much, just too much

Why do I keep running from the truth 
All I ever think about is you 
You got me hypnotized, so mesmerized 
And I just got to know

Do you ever think 
When you're all alone 
All that we can be 
Where this thing could go 
Am I crazy or falling in love 
Is it real or just another crush

Do you catch your breath 
When I look at you 
Are you holding back 
Like the way I do 
Cause I'm trying, trying to walk away 
But I know this crush ain't going away, going away

 
- Hana? - mi ha chiesto ad un tratto.
- Mh? - è stata la mia eloquentissima risposta.
- Siamo arrivati.
- Oh. Ah. Mh. - Certe volte mi sorprendo davvero di essere una che si porta il dizionario dietro e lo legge come fosse un romanzo. - Come sapevi dove abito? - mi è venuto in mente ad un tratto.
- L'ho chiesto ad Artie. E ho riconosciuto la casa perché c'è il tuo cognome sulla cassetta delle lettere.
Mi sono voltata e in effetti ho visto la cassetta rosso fiammante su cui spicca a chiare lettere il cognome "Hepburn". No, io e Audrey non siamo neanche lontanamente imparentate.
- Vuoi entrare? - ho chiesto prima che mi mancasse il coraggio per farlo.
Ha acconsentito, così ho frugato dentro la mia borsa a tracolla praticamente sparendoci dentro per metà fino a trovare il mio mazzo di chiavi, più massiccio che se fossi stata custode delle chiavi di Hoghwarts.
- FAMIGLIA?! – ho gridato entrando. – La figlia è tornata! C’è nessuno? Siete presentabili? C’è un ospite! – Nessuna risposta. Libero. Ryder è entrato scuotendo la testa con un sorriso.
- Che c’è? – ho chiesto, sbattendo le palpebre confusa.
- Niente. – ha detto subito. Ho inarcato le sopracciglia, ma non ho indagato oltre. Ho tolto le scarpe e le ho lasciate sul tappetino accanto all’ingresso. – A casa nostra funziona come in Giappone: entrati in casa ci si toglie le scarpe e si indossano pantofole. O, se preferisci, puoi camminare scalzo come faccio io. E, visto che sono le cinque e io ho vaghe discendenza inglesi, è l’ora del tè. Ne vuoi?
Ha accettato e mi ha seguito in cucina, dove ho preparato per entrambi tè verde al gelsomino, servito nelle nostre tazze di ceramica giapponesi. Lui si è messo ad osservare la porta del frigorifero, in tutto e per tutto decorata con foto della famiglia in diversi luoghi del mondo.
- Però, siete stati ovunque. Io non sono mai uscito dagli Stati Uniti.
- Abbiamo un po’ la fissa dei viaggi. – ho detto, versando il tè nelle tazze. Quando mi sono girata ho notato che aveva staccato una foto e la guardava con una strana espressione. Diamine! Ecco che succede a stare sempre con il naso ficcato nei libri invece di osservare le persone vere! Non si sanno riconoscere le espressioni più elementari!
- Qui dov’eri? – mi ha chiesto facendomi vedere la foto. Ero io a dieci anni, appesa a testa in giù al ramo di un albero, felice di riuscire a rimanere in equilibrio stando aggrappata con le sole gambe. Mi sbracciavo per fare vedere a mio fratello che io potevo farlo e lui no.
- In Irlanda, a casa dei miei nonni. – ho detto, sorridendo al ricordo di quella bella estate. Allora non ero ancora diventata una nerd che vive in simbiosi con il divano.
- Sei davvero… - ha iniziato a dire, ma non ho più saputo cosa “sono davvero”, perché la porta d’ingresso si è sentita e una voce mi ha fatto letteralmente saltare in aria dallo spavento.
- TADAIMA! Se ci siete battete un colpo, se non ci siete battetene due! – ha urlato mio fratello, facendo sentire a tutti il tonfo del suo zaino che veniva gettato a casaccio in salotto.
Io ho preso il mattarello da un cassetto e ho dato due colpi allo schienale di una delle sedie di legno.
- Onee-san, sei tu? Mostrati! – ha detto con voce fintamente imperiosa. Mi sono affacciata dalla cucina e gli ho fatto la linguaccia.
- Okaerinasai otooto-san! Oh, e c’è anche il tuo tomodachi. Konnichiwa Yuu-chan. Ogenki desu ka?
Okay, breve spiegazione: intanto a casa mia siamo tutti pazzi, ecco spiegate le mie urla quando sono entrata, ed ecco spiegata l’appena descritta scenetta. Io e mio fratello ci rivolgiamo l’uno all’altra con i termini giapponesi per fratello minore e sorella maggiore, e, da quando entrambi abbiamo iniziato a studiare un po’ di giapponese, usiamo nelle frasi comuni le parole imparate. Quindi:
Tadaima=eccomi!
Okaerinasai=bentornato.
Tomodachi: amico.
Ogenki desu ka?=Stai bene?
Ora: mio fratello ha avuto la provvidenziale fortuna di conoscere un ragazzo giapponese appena ci siamo trasferiti qui, ovvero il suddetto Yuu-chan. Così ci esercitiamo con lui.
- Hai, genki desu. Hana-san wa? (Si, sto bene. E tu?)
- Hai, watashi mo genki desu.(Anche io sto bene) Mina-san, kore wa Ryder desu. (Ragazzi, questi è Ryder) Watashi no tomodachi desu. (E’ un mio amico) Nihongo o wakarimasen. (Non capisce il giapponese) Ego o hanashite kudasai. (Per favore, parlate in inglese) Scusa, – ho detto a Ryder con una smorfia – loro sono mio fratello Peter e il suo nuovo amico Yuu. Come avrai capito, con lui parliamo giapponese per esercitarci.
- Tomodachi desu ne? – ha chiesto mio fratello strizzando gli occhi con sospetto. Mi ha chiesto “Quindi siete amici?”
- Hai. – gli ho abbaiato addosso. – Tomodachi dake desu. Sì. Siamo solo amici.
- Ooo..kay. Piacere di conoscervi, ragazzi. – ha detto Ryder.
- Noi andiamo a giocare, Yuu ha il nuovo Call of duty e..
- E avete studiato a scuola, giusto? – ho chiesto, trattenendo per il colletto della maglietta il furbetto che stava per sgattaiolare via. Mi ha guardato con due occhioni nocciolati che avrebbero fatto intenerire uno squalo bianco. – Giochiamo solo un’oretta… E poi facciamo i compiti, te lo prometto!
- Lo so che lo farete, altrimenti la signora Ashikaga non permetterà più a Yuu di venire da te. – ho detto con un sorriso perfido, e ho lasciato andare i due birbanti. Yuu vive solo con sua madre, che tiene molto all’istruzione del figlio, come tutte le mamme giapponesi.
- Così sai anche il giapponese. – ha commentato Ryder con un sorriso. – C’è qualcosa che non sai?
Ho fatto finta di pensarci su. – Mh. Non so ancora se è venuto prima l’uovo o la gallina. – ho detto infine, facendolo ridacchiare. Abbiamo sorseggiato il nostro tè contemporaneamente.
- Però.. – ha detto. – E’..
- Intenso? – ho suggerito. – Se non ti piace puoi anche lasciarlo. Se sei un profano del tè, come prima volta è un po’ troppo.
- No, mi piace. Ma devo abituarmi. E’ .. strano. – ha preso qualche altro sorso e casualmente ha guardato l’orologio sulla parete di fronte.
- Cavolo, è tardi. Ho lezione con il mio prof privato. Devo proprio andare. – ha raccolto il suo zaino e l’ho accompagnato alla porta, dove ha rimesso le scarpe in fretta dicendo:
- Domani mattina ho allenamento invece che lezioni, ma magari riesco a sgattaiolare via per pranzo. Comunque ci vediamo alle 3 davanti alla palestra, okay? Il pullman partirà da lì.
- Okay, sarò lì. – ho risposto aprendo la porta.
- Okay. – ha ripetuto, fermandosi per guardarmi negli occhi. – A domani.
E mi ha dato un bacio sulla guancia! Dei santi e benedetti! Questo, è stato proprio questo, a farmi venire l’ansia. Ho chiuso la porta e mi ci sono appoggiata sopra con la schiena, restandoci per un po’. Poi, di punto in bianco, sono sfrecciata di sopra, in camera mia, dove mi sono barricata chiudendo a chiave. Ho preso il mio telefono a forma di fiore e ho selezionato la chiamata comune. Ho digitato i numeri di Allison e Skyler e mi sono mangiucchiata le unghie stando seduta sul letto mentre aspettavo che rispondessero.
- Moshi moshi! – ha urlato Ally (in giapponese significa “pronto”), mentre Sky rispondeva con un suo solito colpo di tosse.
- MA A CHE DIAMINE PENSAVO? – ho urlato in preda all’isteria. – Come diavolo ho potuto accettare di uscire con lui?! Sono una schiappa in relazioni umane! Manderò tutto a monte! E se volesse baciarmi?! – Questa improvvisa consapevolezza mi ha fatto bloccare. Occielo! Non ci avevo neanche pensato!
-Porgi le labbra. E vedi di non mettere il gloss, saresti tutta appiccicosa. – ha risposto pragmaticamente Skyler.
- Hahaha! – è stata la risposta di Allison al commento di Sky. – Ma dai, poverina, nemmeno io saprei che fare.
- Ma qual è il problema? – ha continuato la prima. – Lui le piace un botto, a lui sembra piacere lei, e cosa fanno un ragazzo e una ragazza che si piacciono alla fine di un appuntamento? Limonano!
- Che schifo! – abbiamo esclamato in coro io e Allison.
- Okay, okay, “si sbaciucchiano”. Meglio? – ha detto lei, esasperata.
- Quasi. Ma io non so come fare. Come si impara a baciare? Suppongo baciando. Non mi pare che i romanzi insegnino come si fa. Magari c’è qualche manuale sull’argomento.. Oppure i video su youtube! C’è un tutorial per qualunque cosa, ce ne sarà anche uno per come si bacia! – in preda all’esaltazione stavo quasi per accendere il Mac.
- Santo cielo, tu sei pazza, sorella. – ha detto Allison, mentre Skyler si sbellicava dalle risate. – Lo so che te lo dico sempre, ma impazzisci ogni giorno di più.
- Avete ragione, queste non sono cose che si imparano vedendole. Bisogna provare. Perché cacchio non mi sono esercitata con qualcuno? Uno qualsiasi! Così al momento giusto sarei stata un’eccellente baciatrice!
- Sei ancora in tempo per pomiciare un po’ con qualcuno prima di domani. – ha detto Skyler.
- E con chi, l’amico di suo fratello che ha tredici anni? – l’ha canzonata Ally.
- Se è figo… - ha borbottato Sky.
- Ma ha 13 anni! – ha insistito l’altra.
- Ehi, ho sempre riconosciuto di essere una pedofila.
- Okay, basta, basta. – ho detto, sgonfiandomi come un palloncino. Mi sono seduta al centro del mio morbido tappeto bianco, incrociando le gambe e seppellendo il viso tra le mani. – Suppongo che tutta questa agitazione non servirà. E poi, non è nemmeno detto che voglia baciarmi.
- Oooh! Perché no, cucciola? – ha chiesto Allison con voce tenera.
- Non è possibile che io gli piaccia, ecco perché.
- Perché mai? – ha insistito lei.
- Perché gli piace Marley! Io sono solo un ripiego. E non posso nemmeno biasimarlo. Insomma, lei è una cantante eccellente, sa muoversi sul palco, ha due occhi azzurri limpidi come il cielo… I miei occhi si vedono a malapena attraverso i fondi di bottiglia che porto.
- Senti, non rompere le balle. – Skyler versione fine mode on. – Smetti di sottovalutarti e per distrarti raccontaci cos’è che ti ha gettato questo panico addosso.
E così, con un sospiro, ho raccontato loro la giornata.

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Nota dell'autore: Questa volta il capitolo è bello lunghetto, quindi come ho detto martedì da adesso in poi pubblicherò un capitolo a settimana. Perciò a venerdì prossimo con il sesto capitolo, buona lettura! :)

P.S. La canzone citata nel capitolo è "Crush" di David Archuleta.

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Capitolo 6
*** Giorno 14: E’ tutta colpa di mio padre! ***


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GIORNO 14: E’ tutta colpa di mio padre!

Ho passato al telefono due ore e mezza, narrando ogni minimo dettaglio della gestualità di Ryder quel giorno e in quelli passati. Purtroppo c’è un motivo per cui sono amica di Allison e Skyler: hanno la stessa esperienza di rapporti umani che ho io. Siamo tre lupi solitari che si sono incontrati e hanno deciso di diventare un branco in cui vige la democrazia. Quando il fratello di Skyler ha iniziato a tormentarla perché gli serviva il telefono, e le urla della madre di Allison che la chiamava per cena si sono fatte sentire in tutta la mia casa, abbiamo staccato. Aspettano miei aggiornamenti domani.
Per parte mia sono rimasta distesa per terra, spalmata come un formaggino sul mio tappeto, finché non ho sentito la porta di casa chiudersi e mia madre gridare:
- Chi c’è?! Ho portato i viveri!
Il giovedì è giornata di pizza, che mia madre compra mentre torna dal lavoro. Insegna religioni e filosofie orientali all’università. E’ per questo che ci siamo trasferiti qui. Prima stavamo nel New Jersey. Papà invece è uno psichiatra, cosa che trovo fighissima perché posso spulciare tutti i suoi tomi di medicina e autodiagnosticarmi tante malattie. O meglio, lo potevo fare finché per un periodo verso i tredici anni non mi sono convinta che di lì a poco mi sarebbero comparse le vene varicose e ho iniziato a mangiare solo mirtilli per prevenzione, e allora mi è stato proibito di avvicinarmi alla libreria nello studio di mio padre, chiusa a chiave 24 ore su 24.
Dato che nessuno ha risposto al richiamo di mamma orsa perché Peter era sotto la doccia e io ero il fantasma formaggino, lei ha detto:
- Yu-hu? Nessuno in casa? Hana? – Ha aperto la mia porta e si è affacciata. – Che fai?
- Mi deprimo. – ho risposto con voce roca. Ally e Sky parlano a voce abbastanza alta, e per stare dietro a loro devo urlare. Anche se probabilmente quel pomeriggio ero talmente concitata che avrei urlato comunque. – Domani sarà un disastro. Non so cosa mettermi, non capisco un accidente di football e non potrò dare delle vere opinioni, a cena non saprò cosa ordinare per non fargli spendere troppo, dopo lui mi accompagnerà a casa e mi vorrà baciare e io probabilmente avrò una crisi di panico perché non ho idea di come si faccia. Si inclina la testa di lato? Si schiudono le labbra? Rischiando di fare entrare una zanzara in bocca nel caso in cui lui non abbia intenzione di baciarmi perché è chiaro che in realtà non gli piaccio ma voleva essere gentile con me e distrarsi dal fatto che in realtà gli piace Marley ma lei non ha occhi per nessun se non per Jake e visto che San Valentino si avvicina lui non voleva essere solo o forse perché in realtà vuole vedere se lei si ingelosirà e.. – stavo parlando così a raffica che nemmeno io seguivo il filo del mio discorso.
- Tesoro, che cavolo dici? Smettila, va bene? Mi sto arrabbiando. – E’ entrata nella stanza e ha spalancato il mio armadio, tirando fuori alcuni vestiti. Nel frattempo ha continuato a parlare: - Devi smetterla di sottovalutarti. Non c’è motivo per cui tu non possa piacergli sul serio. Soprattutto considerando come si è comportato con te ultimamente. – Avevo raccontato ogni dettaglio alla mia mami giorno per giorno. Era la mia confidente number one. – Perciò mettiti i tuoi stivali preferiti con la gonna a righe blu. E una camicetta con il maglioncino che ti ha fatto la nonna per Natale – mia nonna era una guru dell’uncinetto, e da qualche anno aveva anche un negozio tutto suo in cui vendeva le sue opere d’arte – e il cappello bianco. E il mio cappotto blu scuro, quello con i bottoni argentati che ti piace tanto. Per quanto riguarda i baci…
- Sai una cosa? E’ tutta colpa di papà. – ho detto ad un certo punto, mettendomi a sedere, furibonda. Lei mi ha guardato perplessa, così ho chiarito meglio: - I padri di solito non sono autoritari e impediscono alle figlie di uscire con i ragazzi fino ai trent’anni? Lui perché non mi proibisce di uscire? A quest’ora avrei avuto la scusa perfetta per declinare l’invito!
- E poi, quando a trent’anni te l’avrebbe permesso, che avresti fatto? Saresti stata ancora più inesperiente.
- Sì ma…
- E poi non mi pare che l’autoritarismo degli altri padri funzioni. O sbaglio? Anche le più secchione escono dieci volte più di quanto non faccia tu. E no – ha detto bloccando con la mano la mia prevedibile protesta – andare a piedi fino a casa di Allison o Skyler non è considerata “uscita”. E ora vai a darti una rinfrescata, quando tuo padre torna si mangia.
Così mi sono trascinata in bagno e ho lavato via le mie preoccupazioni con bagnoschiuma al fiordaliso e poi le ho ammorbidite con olio Johnson’s baby alla camomilla. Ma quando sono scesa a cenare, sfoggiando dei capelli bagnati che mi davano l’aria di un papavero in balia al vento, l’ansia mi ha assalita di nuovo, e ho accolto mio padre dicendogli:
- Perché non segui il football come tutti i padri, tartassandoci tutti con nomi e commenti che a nessuno in casa interessano, ma che potrebbero tornare utili alle ragazze che escono con ragazzi che praticano questo sport? E’ tutta colpa tua!! – E ho preso una fetta di pizza e sono tornata in camera mia a rimuginare sull’ingiustizia della mia vita, sotto lo sguardo perplesso dei miei familiari.

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Scusate, dovevo pubblicare ieri ma proprio non ho avuto testa per farlo. Spero di essere meno incasinata venerdì prossimo. Buona lettura! :)

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Capitolo 7
*** Giorno 15: Tempismo perfetto, fratello! ***


Well... This should kinda be me - capitolo 7

GIORNO 15: Tempismo perfetto, fratello!

Ho dormito sorprendentemente bene, nonostante a) la preoccupazione per l’appuntamento (che parola strana! Finora se qualcuno mi avesse chiesto “Hai un appuntamento?” avrei risposto “No, non devo andare dal dentista”) del giorno dopo, b) la pancia brontolante perché non avevo mangiato abbastanza e c) il senso di colpa per non aver studiato un accidente. Stamattina ero pimpante e allegra già alle 6. Ho fatto un’altra doccia per sicurezza, ho indossato tutto quello che mi aveva consigliato la mia saggia genitrice, ho riordinato i miei riccioli con il ferro caldo e sono uscita, non dopo essere rientrata in casa quattro volte perché avevo sempre l’impressione di avere dimenticato qualcosa.

La mattinata è trascorsa senza intoppi. Il vantaggio di essere un genio scolastico (evviva la modestia) è che se per un giorno sei un tantino distratto nessuno ci fa caso. Se poi pur essendo un tantino distratti si è comunque meglio di tutti gli altri, ancora meglio. Dopo pranzo mi sono piazzata davanti alla palestra e mi sono messa a leggere “Introduzione al football: tutto quello che c’è da sapere sullo sport più popolare degli USA”, una guida che mostrava anche schemi di gioco che ai miei occhi risultavano un misto tra geometria e coreano.

Alle due meno un quarto Ryder è uscito dalla palestra con un gran sorriso. O aveva sorriso vedendomi là fuori? Visto che non l’ho notato finché non mi si è parato davanti, non lo saprei dire.

- Scusa se non sono comparso, a pranzo, la coach ci ha trattenuti. – ha detto, passandosi una mano sugli occhi. Sembrava stanco.

- Ma vi siete allenati tutto il giorno? Non avreste dovuto, chessò, riposarvi prima del grande evento? – ho chiesto.

- Non è nei metodi della coach Beiste. E visto che di solito i suoi metodi ci fanno vincere..

- Vi fa correre per una mattina intera prima della partita. – ho completato. – Vi ho visti dalla serra. – ho aggiunto come spiegazione al suo sguardo interrogativo. La serra si affacciava sul campo di atletica e mentre non ascoltavo quali elementi distinguono una cellula vegetale da una animale osservavo Ryder che correva intorno al campo. Sarò anche una che si schifa davanti a una goccia di sudore sulla fronte, ma la visione di lui che correva mi ha fatto dimenticare che molto probabilmente in quel momento stava sudando come un cavallo (bleah!). Mi ha fatto persino trovare attraente la corsa. Sempre che la facciano altri, è chiaro. La mia filosofia resta quella del “non vedo motivo di correre a meno di non essere inseguiti”.

- La serra? E che ci facevi lì? Il secondo anno non fa botanica. – ha osservato.

- Io seguo tutti i corsi avanzati, ricordi? – ho detto con un sorrisone. Lui ha scosso la testa come per dire “incredibile!”, facendo scivolare i suoi capelli chiari e sottili sul viso. Al sole sembravano quasi biondi, e così lisci e luminosi che mi stava tremando l’occhio alla Scrat lo scoiattolo per la voglia di toccarli.

Altri ragazzi sono usciti dalla palestra e ho notato che non ero l’unica ragazza invitata alla partita. Con mio immenso rammarico ho visto Kitty, ma solo quando ho notato anche Brittany ho capito il perché: certo che a una partita c’erano le cheerleader! Avrei dovuto pensarci prima. Prima che potessimo dire o fare altro la coach è comparsa per fare l’appello dei presenti prima di salire sul pullman. La distanza che c’è tra Lima e Ohio City è di un’oretta, e il viaggio è passato davvero in fretta, con Ryder che canticchiava sopra le canzoni che ascoltavamo dividendoci gli auricolari del suo iPod. Faceva facce buffe e tentativi di imitazione degli assoli di chitarra e batteria.

Quando siamo arrivati al liceo contro cui si giocava, sono scesa davvero malvolentieri dal pullman. Avrei quasi voluto che il viaggio continuasse. Ma quando sono scesa, Ryder mi ha presa per mano per aiutarmi, e dopo non l’ha lasciata, il che mi ha fatto triplicare le farfalle nello stomaco. Ormai c’era sovraffollamento.

- Noi dobbiamo andare nello spogliatoio a prepararci. La coach ti farà vedere da dove devi entrare. Mi raccomando, non sederi troppo avanti, altrimenti non avrai una panoramica completa. E non sederti troppo in alto o io non ti vedrò. – Mi ha accompagnato un ricciolo dietro l’orecchio e mi ha lasciata con un bacio sulla guancia. Inutile dire che sono andata a fuoco.

- Buona fortuna! – ho balbettato.

- Ma che carini. – ha detto Kitty con il suo sorriso da rospo – Potrei anche credere che gli piaci sul serio.

- Non hai altro da fare? Tipo andare a spolverare i tuoi pon-pon o strappare le ali alle rondini per fartene di nuovi?

- Okay, ospiti dei giocatori, seguitemi, vi faccio vedere da dove dovete entrare. – ha detto la Beiste prima che potesse rispondermi. Ma il suo sorriso da viscida rana non si è nemmeno sfumato.

Tutto sommato la mia guida sul football mi ha più o meno permesso di capire qualcosa. In sostanza avrei dovuto essere contenta se i nostri fossero riusciti a portare la palla dall’altro lato del campo facendo touchdown. Ho cercato di tenere gli occhi su Ryder, ma ad un certo punto ho confuso i giocatori. Al che ho avuto la brillante pensata di registrare parte del gioco come materiale da inviare a Skyler e Ally. Ho tirato fuori il cellulare e ho fatto partire la registrazione.

- Ecco, ho pensato di rendervi partecipi di questa manifestazione di un tipico sport americano. Uno di quelli vestiti in rosso sul campo è Ryder. Credo che sia quello che adesso sta correndo verso sinistra con la palla in mano, cercando di segnare, ma non ne sono sicura. Non so nemmeno se riuscite a distinguere chi tiene la palla. Oddio, abbiamo segnato! Oh, altro tipico momento dello sport, quello dell’esultanza per il punto. Hahaha! Guardate i balletti strambi di quello che ha appena segnato! E si toglie il casco! O elmo? Come cacchio si chiama? Oh! OH! Era sul serio Ryder. Oddio si sta avvicinando alla recinzione. Mi sta salutando? Sì, mi sta proprio salutando! – Ho sorriso inebetita e ricambiato con uno sventolio altrettanto ebete della mano. Stava anche dicendo qualcosa, e mi indicava. – Per.. per te? Per chi? Ah, per me! Per me! Mi sta dedicando il punto!

- Ragazzina, smettila di fare la cronista, ci vediamo anche noi. – ha commentato il signore dietro di me, con voce scocciata.

- Mi scusi. – ho detto arrossendo. – Be’, mi sa che devo staccare, la gente qui è davvero presa.

Ho chiuso la registrazione e l’ho salvata. Il gioco è continuato sulla stessa scia. I nostri segnavano ogni tanto, e ogni tanto segnavano gli altri. Alla fine però abbiamo vinto, ma non è che abbia potuto esultare granché, dato che tutti lì erano genitori e amici dell’altra squadra. La coach ha chiamato me e gli altri ospiti, che sono ricomparsi miracolosamente (sono piuttosto sicura del fatto che se la siano svignata all’inizio della partita e siano tornati al segnale della fine) e hanno iniziato a complimentare la Beiste per la vittoria.

I ragazzi sono usciti dalle docce profumati e in delirio. Ryder è venuto da me e, con la più totale naturalezza, mi ha abbracciata. I suoi capelli profumavano di shampoo e la pelle di bagnoschiuma, ed era così caldo in confronto a me, gelata lì fuori mentre aspettavo!

- Congratulazioni! Per quello che sono stata in grado di capire, sei stato bravissimo. E grazie per.. per la dedica del primo punto. – ho detto quando, mio malgrado, ci siamo separati. Fosse dipeso da me mi sarei aggrappata a lui come una scimmietta.

- Te lo meritavi. – ha detto con un sorriso che ho ricambiato. – Ma sei gelata! – ha esclamato sfiorandomi la mano. In effetti le unghie stavano assumendo un lieve colorito bluastro per il freddo. – Ecco, mettiti questa. – dalla sua sacca ha tirato fuori la giacca da giocatore e me l’ha messa sulle spalle. Ho cercato di protestare, più perché è la prassi che per altro, ma non mi sono impegnata più di tanto e ho accettato. La giacca avrebbe potuto contenerne due di me, ma non mi dispiaceva.

Il viaggio di ritorno è stato molto più movimentato, perché i ragazzi commentavano la partita con tanto entusiasmo così contagioso che ho quasi capito cosa stavano dicendo. Quasi.

Siamo stati lasciati a scuola e da lì siamo andati al Breadstix. Forse a questo punto dovrei commentare il posto. Mh. Quali sono i criteri? Per me qualunque cosa non sia una casa del tè o un ristorante di lusso di quelli che piacciono ai miei è un posto indescrivibile. Comunque l’atmosfera era carina. Non che io potessi sentire qualcosa di negativo in presenza di Ryder. Aveva prenotato un tavolo e una cameriera carina tutta sorrisi è venuta a servirci. Ryder mi ha chiesto se poteva ordinare per entrambi le specialità del posto, e io con fare indifferente ho accettato. In realtà mi sarei messa a ballare la Macarena perché mi aveva evitato l’imbarazzo dell’indecisione.

- Allora, parlami un po’ del New Jersey. Come ti trovavi lì? – mi ha chiesto dopo che la cameriera se ne è andata.

- Be’, non avevo di cosa lamentarmi. La scuola era okay, la città in cui stavo anche e la pasticceria “Da Carlo” era poco distante.

- Il boss delle torte? – ha chiesto alzando le sopracciglia. – Le sue torte sono davvero mangiabili?

- Interamente, anche se io preferisco i suoi cupcakes. Le mie migliori amiche mi hanno fatto fare una torta a tema Giappone una volta, ed è stato un peccato che non l’abbiano fatta vedere nella trasmissione, perché è stata un capolavoro.

- Ti mancano? Le tue amiche, intendo, non le torte di Buddy.

- Certo che mi mancano. – ho detto, provando mio malgrado un moto di tristezza.

- Mi sorprendi sempre, sai? Ti sei trasferita in un’altra città lasciando indietro le tue amicizie, eppure riesci a comportarti come se niente fosse. Trovi il tempo per studiare per una marea di corsi avanzati, per vincere competizioni di scrittura, per venire alle riunioni del Glee, per leggere e imparare il giapponese e io.. io ho avuto difficoltà anche a conciliare il football con la scuola. Anche perché mia madre mi permette di continuare con lo sport solo se riesco ad avere la media della B in pagella.

- Mi fai sembrare molto migliore di quanto io non sia. – ho mormorato. – Ognuno ha il suo modo di vivere. Io non faccio altro che studiare e leggere, tu pratichi sport e canti. Siamo come.. Hai mai visto High school musical? – ho chiesto con un sorriso, quando mi si è affacciato alla mente il paragone. Lui ha annuito. – Ecco, Gabriella era una secchiona fissata con la chimica. Troy invece era un ottimo giocatore di basket e un cantante e ballerino dal talento innato. Questo non rendeva lei migliore di lui.

La cameriera è venuta a portarci le ordinazioni proprio quando lui si è messo a ridacchiare per il mio ragionamento. Gli spaghetti al salmone erano davvero profumati.

- Non ti facevo il tipo che guarda High school musical. – ha detto lui dopo avermi augurato buona cena.

- Tsk, quante cose devi ancora scoprire. Troy Bolton è stato il mio primo amore adolescenziale. Ho registrato il film e l’ho riguardato ogni giorno almeno due volte al giorno per una settimana.

Lui è scoppiato a ridere. – Altri segreti?

Ci ho pensato su per un attimo. – Per un periodo ho amato i Jonas Brothers, ho sofferto di Bieber fever per un’estate e devo ammettere che alcune canzoni dei One Direction non mi dispiacciono. Ciò non toglie che la mia band preferita siano i Muse – almeno fino al loro penultimo album - e il mio cantante preferito Nat King Cole. Quando ho l’influenza niente mi tira su come un po’ del buon vecchio Nat.

- Sei una contraddizione vivente. – ha detto. – Mi piace.

Gli ho sorriso. La conversazione è continuata su questo tono. Praticamente è venuto fuori tutto quello che ci piace. Ad un certo punto ho dimenticato di essere ad un appuntamento, ho dimenticato di sentirmi in imbarazzo e ho iniziato ad essere a mio agio. Ho riso e mi sono divertita e ho scordato ogni preoccupazione. Quando però mi ha riaccompagnata a casa, ho iniziato a farmi venire le solite fisime.

E se vorrà baciarmi? Avrei dovuto prendere una mentina dopo cena?

E se non vorrà baciarmi? Significherà che non è interessato a me?

E se mi bacerà? Io come farò? Come saprò cosa fare?

E se mi farà una di quelle brillanti domande del tipo “Vuoi essere la mia ragazza?”, che io immagino scritte sui bigliettini a quadretti, stropicciati e strappati in maniera irregolare dal fondo dei quaderni, con una calligrafia da scuole elementari e con sotto due quadratini con vicino scritto “sì” e “no” (e in alcuni casi anche “forse”, per quanti sono più indecisi)?

E che mi baci oppure no, come saprò che cosa rappresento per lui? La comodità della brillante domanda sopra citata era che perlomeno non potevano esserci fraintendimenti. Ad occhio e croce dire che un bacio equivarrebbe a un impegno, ma quanta gente fa sesso e quando si chiede “Ma state insieme?” la risposta è una faccia sconvolta e un “Noi? Non ancora.”?

Quando siamo arrivati davanti alla porta ho fatto per sfilarmi la giacca e restituirgliela.

- No, tienila. – mi ha detto. – Me la darai un’altra volta.

L’ho fissato imbambolata. Improvvisamente mi pentivo di aver accettato l’ultima fragola ricoperta di cioccolato. Le mie farfalle non stavano gradendo.

- Hana, io.. – ha iniziato a dire mentre con una mano mi portava i capelli dietro l’orecchio soffermandosi ad accarezzarmi la guancia. Solo che, di nuovo, non ho mai saputo lui cosa, perché in quel momento, in cui io stavo per indietreggiare perché lui era talmente vicino che potevo sentire il suo respiro sul viso, quel momento in cui il mio cervello mi stava dicendo che non mi sentivo affatto pronta per essere baciata, mentre tutto il resto di me stessa mi diceva il contrario – in quel momento, insomma, si è aperta la porta, e per lo spavento stavo per cadere dentro il cespuglio di rose dietro di me.

- Scusa! – ha esclamato mio fratello sgranando gli occhi nella sua migliore espressione di allarme – Pensavo fosse il ragazzo che consegna le pizze! Scusate! Buonanotte! – E’ rientrato sbattendo la porta.

Ho guardato Ryder, che stava ridacchiando. – Be’, è meglio che vada. Ci sentiamo domani, okay? – Mi ha dato di nuovo un bacio sulla guancia.

- Okay, a domani. – ho sussurrato. L’ho accompagnato con lo sguardo lungo il vialetto e sono entrata in casa.

- Peter? Vieni qui, per favore. – ho detto. Un ciuffo di capelli biondo-rossicci si è affacciato dal divano.

- Ti giuro che non sapevo che fossi tu! Scusa! Pensavo sul serio che fosse il ragazzo delle consegne! – ha squittito. Quando mi sono avvicinata al divano si è rannicchiato come un cucciolo spaventato. – Non volevo interrompere niente, davvero! – ha aggiunto.

- Alzati, per favore. – gli ho detto con voce neutra. Malvolentieri lui ha obbedito e si è alzato. Allora l’ho abbracciato e ho iniziato a ricoprirlo di baci sulla testa. – Grazie, grazie, grazie! – dicevo mentre lui: - Ahia! Lasciami! Mi stai soffocando!

- Domani andiamo insieme al centro commerciale e ti compro tutte le caramelle frizzanti alla coca cola che vuoi! – ho detto, lasciandolo andare. Il poverino aveva tutti i capelli scombinati ed era rosso in viso. Oltre che evidentemente perplesso.

- Stai bene? – mi ha chiesto con fare circospetto.

- Certo che sto bene! – ho esclamato con una risata. – Ora vado a cambiarmi. Come mai devi ancora cenare? Ah, mamma e papà non ci sono, giusto. Cosa stavi guardando? Ah, stavi giocando. Bene, vedi di finire la partita prima che io scenda, così possiamo guardare “Cars 2”.

Sono salita a cambiarmi fischiettando – si fa per dire, perché la natura non mi ha concesso la dote di saper fischiare – sotto lo sguardo ancora intensamente perplesso di Peter.

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Nota dell'autore: Bene, eccoci qui. Avrei voluto pubblicare di pomeriggio ma mi hanno piazzato una lezione all'università e prima non ho avuto il tempo di farlo. Comunque. Spero vi possa piacere e a venerdì con il seguito!

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Capitolo 8
*** Giorno 16: Come segnali di fumo per qualcuno che non è indiano. ***


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Giorno 16: Come segnali di fumo per qualcuno che non è indiano.

- Non posso credere che tu non ti sia fatta baciare. – ha detto Skyler. Eravamo su Skype, insieme ad Ally, da due ore e mezza, a commentare la giornata passata. Avevano voluto che raccontassi ogni minimo dettaglio, anche com’era fatta la cameriera del ristorante (come se facesse qualche differenza).

- Farò finta che questa non sia la dodicesima volta che lo ripeti. – le ho risposto alzando gli occhi al cielo.

- E lo ripeterò anche una tredicesima, se servirà a farti capire che sei scema. – ha ribattuto con tono saccente.

- E io continuo ad essere dalla sua parte. Al suo posto penso che mi sarei arrotolata la sciarpa fino a lasciar fuori solo gli occhi. – ha sentenziato Ally con gli occhi di fuori perché evidentemente si stava già immedesimando nella scena.

- Quindi non ti ha ancora telefonato? – è tornata all’attacco Sky.

- No, e mi hai già chiesto anche questo. Ma sono solo le 12, c’è ancora tutta la giornata davanti. Non voglio ridurmi a stare attaccata al telefono aspettando una telefonata da parte di un ragazzo che non è nemmeno il mio ragazzo. – Ho cercato di assumere una faccia da persona convinta di quello che dice. Quello che la telecamera non stava riprendendo erano il mio cellulare e il cordless poggiati accanto al pc sulla scrivania, che cercavo di non guardare ossessivamente anche se ogni tanto pensavo “E se per caso il cellulare fosse silenzioso e io mi distraessi proprio quando suona?”. Anche se il cellulare non era silenzioso, perché lo avevo impostato su “All’aperto” appena mi ero svegliata.

- Perché non dovrebbe telefonarti? – ha chiesto Allison. – Non sembra proprio il tipo di ragazzo alla Jess Mariano. Lui sembra il tipo affidabile alla Dean Forrester.

- Considerando che io tifavo fino al dolore per Jess invece che per Dean questo non mi rincuora granché, ma ho colto la sostanza. – ho detto ridacchiando. – Ma comunque stai dando per scontato che lui voglia telefonarmi, il che non è detto. Magari non gli è piaciuto come si è conclusa la serata. Per quanto possa essere paziente, come disse una volta un giovane saggio dal nome Jace Wayland-Lightwood, è pur sempre un maschio adolescente.

- Pidge, stai rompendo le scatole come al solito. – Nonostante le parole, lo sguardo di Sky era compassionevole, in linea con il nomignolo che mi aveva dato un anno prima senza apparente motivo. – Di sicuro gli piaci. Non ti avrebbe dedicato un punto, altrimenti. Da parte di un maschio americano è la più grande dimostrazione d’interesse che potresti ottenere!

Siamo scoppiate a ridere tutte e tre.

- E poi non cercare di leggere i suoi segnali, sempre che ne mandi. – ha aggiunto Allison. – Sai come la penso. Mentre tu cerchi di cogliere il senso profondo dell’universo nell’atteggiamento dei maschi, per la maggior parte delle volte loro sono solo distratti. Cercare di comunicare con loro è come mandare segnali di fumo a qualcuno che non è indiano. Bisogna essere espliciti o niente.

Io e Sky abbiamo annuito lungamente di fronte alla verità di cotanta saggezza.

- Piuttosto… - ha detto poi Ally arrossendo un tantino. – Sapete che quest’anno sono nel club di video e fotografia, giusto? – Io e Sky abbiamo annuito. – Ecco, ho avuto il mio incarico ufficiale. Registrerò le performance musicali del nostro Glee club, che a quanto pare quest’anno va fortissimo. Non indovineresti mai le persone che ci sono, Han.

- Sul serio? – ho alzato un sopracciglio. Il Glee club nella nostra scuola l’anno precedente non aveva nemmeno raccolto il numero di membri necessario per partecipare alle competizioni.

- Aylin Bayramoglu, Mario Bonds, Betty Pilsbury, Tyler Ford e Charlie Ludbeck dovrebbero darti l’idea di cosa aspettarti. – ha commentato Sky con una faccia tremendamente alla “Grumpy cat”. Al che ho strabuzzato gli occhi fino al massimo concessomi dalla natura. Aylin era una ragazza del secondo anno come noi e proveniva da una famiglia musulmana tremendamente conservatrice, anche se lei si liberava degli abiti che avrebbe dovuto portare non appena metteva piede nella scuola. Mario era un ragazzo cieco iscrittosi alla nostra scuola a metà dell’anno precedente. Betty Pilsbury era capo-cheerleader, ma era anche su una sedia a rotelle da quando aveva due anni. Tyler, anche conosciuto come Britney, aveva deciso di cambiare sesso circa un anno prima. Charlie, invece, soffriva di disturbi dell’attenzione.

- Wow, sembra.. ehm… - ho iniziato.

- Inaspettato? – ha completato Ally per me. Non avrei detto proprio quello, ma non mi veniva una definizione migliore. – Appena finirò di montare i video con le loro audizioni vedrai quanto ti lasceranno a bocca aperta. Hanno deciso di cambiare il nome, adesso sono i “Dynamos”.

- Huh. Be’, non che voglia difendere il mio territorio, ma non possono essere più bravi delle New Directions di Lima.

- Che suppongo non saranno un ritrovo per disadattati come qui. – ha borbottato Sky, al che Ally le ha scoccato un’occhiataccia.

- Non sono dei disadattati!

- Lo dici solo perché ti piace quel Michael!

- Frenate frenate frenate! – ho esclamato. – Chi è Michael?

- Veintenheimer. Hai presente? Quel secchione che batte sempre Ally alle gare di matematica. – mi ha spiegato Skyler, guardandosi le unghie perfettamente ricoperte di smalto color prugna. Ally sembrava furiosa.

- Non mi batte sempre, e poi non è vero che mi piace! Solo perché ho detto che è carino…

- Ehm.. Non voglio prendere posizioni ma.. tu che dici di un ragazzo che è carino è un evento epocale. Non credo di avertelo mai sentito dire. – ho detto sorpresa.

- Non è vero, uso anche l’aggettivo “figo”! – ha ribattuto lei.

- Guarda che attribuito a Ian Somerhalder non conta, qui si sta parlando di ragazzi veri. – le ha detto Skyler.

Prima che Ally potesse ulteriormente ribattere qualcuno ha bussato alla mia porta. Era mio fratello:

- Onee-san, vieni al centro commerciale con noi? – mi ha chiesto. Era ancora perplesso da quanto era successo la sera prima, e non potevo nemmeno biasimarlo, il poveretto. Vorrei vederla un’altra sorella che promette un premio al proprio fratello minore per aver interrotto un quasi bacio con il suo quasi ragazzo.

- Sì, arrivo subito. – ho risposto, e lui è andato via.

- Sentite, qui devo staccare. Ma voglio assolutissimamente altri aggiornamenti sulla storia di Michael.

- E tu facci sapere se Ryder ti telefona! – hanno esclamato entrambe contemporaneamente. Ho mandato baci alla telecamera e ho spento il pc.

Ovviamente, prima di uscire, ho preso il cellulare e ho controllato per l’ennesima volta che non mi fosse sfuggito qualche cambiamento. Niente.

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Nota dell'autore: Mi scuso infinitissimamente per il fatto che pubblico solo ora! ç__ç Sono una testa bacata, ho perso la cognizione del tempo. Comunque, spero vi possa piacere ;)

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Capitolo 9
*** Giorno 17: I’m walking on sunshine ***


Well... This should kinda be me - capitolo 9

GIORNO 17: I’m walking on sunshine

Ho sempre avuto delle perplessità riguardo a tutti quelli che dicono “Sono così in ansia che mi si chiude lo stomaco e non riesco a mangiare!”. Com’è che più io sono ansiosa, invece, più il mio stomaco diventa una voragine capace di divorare il mondo? Non so se avete mai visto il film di Miyazaki “La città incantata”. Se lo avete fatto, ripensate un attimo a Senza Volto che divora tutto quello che gli viene portato, occasionalmente anche alcuni personaggi. Ecco, quella sono io quando sono in ansia. Di solito. Perché oggi, pur essendo nervosa tanto da farmi venire un bel brufolo sulla fronte che mi fa sembrare un unicorno – più un rinoceronte in realtà, ma sto cercando di incrementare la mia autostima, perché me lo ha consigliato l’oroscopo – non sono riuscita a buttare giù nulla. Ho sorseggiato una minestrina per pranzo e pressoché null’altro. Forse è solo l’ansia da cotta che fa passare l’appetito. Ecco spiegato perché io, Ally e Sky, che siamo tre zitelle gattare, non abbiamo mai mancanza d’appetito. Ansia o stress per qualunque cosa sì, agitazione da “sto-andando-per-la-prima-volta-a-casa-del-mio-più-o-meno-ma-più-meno-che-più-ragazzo”, mai.

Perché ieri Ryder ha telefonato. Di pomeriggio, verso le 6, il cellulare che avevo lasciato in salotto mentre ero nella mia stanza a finire di sistemare oggetti che dopo il trasloco erano rimasti nelle scatole ha suonato, e mi sono sorpresa della mia agilità, scendendo gli scalini a tre a tre e tuffandomi dal sesto direttamente sul pavimento con un tonfo che ho preferito ignorare. Ho risposto cercando di ignorare il dolore alla milza. Abbiamo chiacchierato variamente e lui mi ha chiesto di andare da lui il giorno dopo. Ecco perché oggi non ho quasi mangiato.

Sta di fatto che pur avendo lo stomaco in subbuglio sono uscita e mamma mi ha accompagnata a casa di Ryder. Molto carina, tra l’altro. Molto seria, non mezza sbucata dalle favole come la mia, a cui manca solo una serie di funghetti rossi con macchiette bianche in giardino per sembrare uscita dal Paese delle meraviglie (stiamo pensando di metterne alcuni di plastica, comunque, anche se mio padre non è d’accordo: dice che gli fanno perdere professionalità con i pazienti). Mi ha aperto la porta anche prima che suonassi, il che è stato un sollievo. Se mi avesse aperto uno dei suoi genitori? “Piacere, sono Hana Hepburn, una.. mmh.. amica di Ryder.” La mia indecisione sulle parole da usare sarebbe stata molto fraintendibile. Comunque dicevo. Mi ha aperto la porta e mi ha accolto con un sorriso, per poi dirmi che saremmo stati soli per un paio d’ore perché i suoi genitori non c’erano. Fiù. Scampata per un altro paio d’ore. Ma un momento! Una fanciulla ingenua da sola in casa con un giovane di belle speranze? Così inappropriato! (Okay, magari leggo troppi romanzi ottocenteschi.)

Però la mia agitazione è scemata un po’ quando, invece di dirigerci verso luoghi potenzialmente pericolosi come la sua stanza, siamo andati in salotto, dove una marea di libri era sparsa sul tavolino di fronte a una TV accesa su una puntata dei Simpson. In effetti mi aveva invitata per studiare. E così abbiamo studiato, perlomeno per un po’, finché non abbiamo iniziato a chiacchierare dimenticandoci dei compiti (che io avevo comunque già fatto).  E alla fine ci siamo ridotti a seguire la maratona dei Simpson, prima seduti sul divano in maniera abbastanza composta, poi finendo nelle posizioni che per forza di assumono quando si guarda la televisione, spaparanzati e mezzi distesi, ognuno che finisce sopra l’altro. E non riuscivo a trovare strano il fatto che avevo le gambe sopra le sue e le sue mani erano sulle mie ginocchia. Mi sembrava stranamente naturale. E piacevole. I suoi genitori hanno chiamato per dirgli che avrebbero fatto tardi e che poteva non aspettarli per cena.

- E così siamo rimasti senza cena. Ordiniamo una pizza? Oppure usciamo? – mi ha chiesto. Ci ho pensato su per un attimo.

- E se invece cucinassi io? – ho proposto. – Non sono proprio una master chef ma prometto di non avvelenarti.

L’idea si è dimostrata essere divertente, perché Ryder ha voluto dare una mano, ed era un po’ bizzarro vedere questo ragazzo che palesemente non ha l’aria da cuoco fare cose come condire l’insalata o passarmi gli ingredienti per il riso al curry. Ho trovato anche gli ingredienti per una semplice cheesecake e mi sono data da fare. Quando ho finito la cucina era un disastro, ma il cibo è venuto abbastanza bene. Ma ripulire il disastro è stata la parte più divertente. Mentre lui mi passava i piatti da lavare l’ho schizzato per sbaglio, e così è iniziata una guerra di schizzi e colpi di strofinaccio con tanto di inseguimenti per la cucina, finita quando, purtroppo, il mio telefono ha iniziato a squillare. Mia madre voleva sapere quando poteva passare a prendermi, e notando che erano le dieci e un quarto le ho detto di venire. Così ho ripulito in fretta nonostante le insistenze di Ryder di lasciar perdere perché ci avrebbe pensato lui, ho raccolto la mia roba e sono andata verso la porta.

- La prossima volta cucino qualcosa di giapponese. Non preoccuparti – ho detto, vedendo la sua faccia preoccupata – niente pesce crudo o robe strane. Mi terrò sul semplice. Magari il ramen. Alla fine è un po’ come la pasta. Dovrai abituarti a mangiare con le bacchette! Non sarà così difficile, finché non le proverai con il riso. E – ho continuato a blaterare mentre mettevo la mano sulla maniglia. Non sapevo più nemmeno di che cosa stavo parlando. Ma improvvisamente mi ero sentita molto agitata e avevo bisogno di impegnare quegli imbarazzanti minuti di separazione. Solo che lui li ha riempiti molto meglio di me. Perché ad un certo punto, interrompendo il mio fiume di parole, prima che avessi il tempo di preoccuparmi, di pensare a cosa e come avrei fatto, lui mi ha baciata. Ha messo le mani sul mio viso come se tenesse una coppa e io non ho dovuto chiedermi che cosa avrei dovuto farci con le mie, di mani, perché la sorpresa mi ha fatta traballare un tantino e mi sono appoggiata a lui posandole sul suo petto. Visto che stavo già parlando e quindi avevo la bocca aperta, non ho ancora risolto il mistero delle labbra schiuse! Però so che le labbra si sono unite come due pezzi di puzzle che combaciano. E io ho istantaneamente pensato alla teoria di Mia in Pretty Princess, sull’alzare la gamba durante il bacio perfetto. Suppongo che ognuno se lo immagini diversamente. Io non avrei voluto alzare la gamba. Il mio equilibrio era già abbastanza precario in quel momento. Piuttosto il mio corpo, che si sentiva molle come uno spaghetto cotto, voleva allungarsi e intrecciare le braccia al suo collo, cosicché le mani finissero tra i suoi capelli, che avrei tanto voluto toccare con una buona motivazione, onde evitare di finire come Lane quando aveva toccato di sana pianta i capelli del ragazzo che le piaceva nella prima stagione di Una mamma per amica. Ma visto che era la mia prima volta, avrei appuntato questa idea per l’eventuale seconda, perché ero ancora troppo sorpresa. E felice. Non pensavo che baciarsi fosse così piacevole. Mi sentivo la testa svuotata e improvvisamente così interamente leggera che avevo l’impressione di poter levitare, se lui non mi avesse trattenuta a terra.

La mia narrazione sta facendo sembrare questa cosa infinita. E invece è stato breve, tanto che quando si è allontanato e mi ha guardata ero indecisa se reagire alla Rory Gilmore dicendo “Grazie”, oppure stringere le mani a pugnetto e saltellare esclamando “Ancora! Ancora, ancora!”. E invece ho reagito sbattendo le palpebre convulsamente, come a dire “Sogno o son desta?”. Col senno di poi, devo essere sembrata davvero tonta. E il peggio doveva ancora venire. Perché quando il clacson della macchina di mamma ci ha annunciato che era arrivata, ho sussurrato un saluto e sono uscita. Solo che la macchina non era quella parcheggiata davanti alla casa, che io ho cercato di aprire per un minuto buono, prima che mia madre mi chiamasse dal finestrino della macchina giusta, che era subito dietro. Mi sono voltata verso Ryder che era ancora sulla porta, ho fatto ciao con la mano e sono corsa nella nostra macchina, sprofondando sul sedile:

- Vai, veloce! Ho bisogno di un sacchetto di carta da mettere in testa! – ho esclamato a una davvero perplessa madre.

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Eccoci qui! Anche questa settimana mi tocca pubblicare di sabato invece che di venerdì, vabeh -.-'

Come al solito spero che il capitolo vi possa piacere e prego perché non mi venga di nuovo stravolta l'impostazione della pagina. Alla prossima! ;D

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Capitolo 10
*** Giorno 18: Come Troy e Gabriella… ma fino a un certo punto. ***


Well... This should kinda be me - capitolo 10

GIORNO 18: Come Troy e Gabriella… ma fino a un certo punto.

Ed ora, signore e signori, ho l’onore di presentarvi la settimana di San Valentino. Per quanti non hanno persone con cui condividere il famosissimo giorno degli innamorati, la festa si traduce nella totale indifferenza o nell’odio più assoluto. Di solito a me sembra una cosa carina, perché mio padre e mio fratello regalano sempre qualcosa a me e a mia madre. Tutto il discorso del “Se si ama una persona a San Valentino la si ama tutto l’anno e quindi non c’è bisogno di fare regali solo quel giorno” secondo me non ha senso. Perché allora ci facciamo i regali per Natale se possiamo farceli in qualunque altro periodo? Perché si regalano fiori alle donne l’8 marzo? Perché si mangiano le uova di Pasqua solo a Pasqua? E il tacchino del Ringraziamento solo per il Ringraziamento? Abbiamo i fiori, le uova e i tacchini anche durante il resto dell’anno. Ma è l’occasione che rende le cose speciali.
Facendo un passo indietro: andare a scuola il lunedì è stato complicato. Perché dopo l’esperienza della domenica sera non sapevo come comportarmi. Così quando, sotto lo sguardo piacevolmente meravigliato di Artie, Ryder è venuto da me e mi ha dato un bacio, come se fosse la cosa più naturale del mondo, io ho rischiato di avere un attacco di tachicardia. Ma lui sembrava così tranquillo che mi sono calmata anche io. Mi ha detto che a pranzo mi avrebbe fatto un primo regalo di San Valentino, in mensa. Non sapevo che cosa aspettarmi. Poi mi ha baciata di nuovo ed è andato in classe, mentre Artie alzava le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli e mi guardava interrogativo.

- Mi sono perso qualcosa? – ha chiesto.

- Non lo so, ma mi sa che me la sono persa anche io. – ho brontolato. In effetti non è che sapessi se stavamo insieme o no. Però evidentemente lui lo sapeva, e mi sarei sentita stupida a chiederlo.
Siamo andati nelle rispettive classi e la mattinata è passata noiosamente tra vari compiti. A pranzo, in mensa, mi sono seduta con gli altri senza vedere Ryder da nessuna parte. Non ne capivo il motivo, ma c’era un tavolo vuoto con dei microfoni montati su. Quando ho visto Ryder ho sventolato la mano per palesare la nostra presenza, ma lui non è venuto verso di noi. E’ andato verso il suddetto tavolo. Ci è salito su e ha acceso uno dei microfoni. Oh cielo.
- Facendo finta che questa non sia una delle cose più imbarazzanti che abbia mai fatto, vorrei che convinceste Hana Hepburn a salire qui insieme a me a cantare una delle canzoni che conosce meglio, particolarmente adatta a una settimana di San Valentino.
Io ho spalancato gli occhi e stavo per sputare l’insalata che avevo in bocca su Marley, nella migliore figura da “Cereal guy”. Cosa?! Salire su un tavolo in una mensa gremita di gente a cantare? Io? COSA?!

Ma non ho avuto poi moltissima scelta, perché Jake e Marley mi hanno presa ciascuno per una mano e mi hanno trascinata fino al palco improvvisato, mentre il Glee fischiava e applaudiva. In maniera molto poco graziosa sono stata fatta salire sul tavolo, dove Ryder mi aspettava raggiante. In mano aveva un telecomando e quando un pulsante è stato premuto, una melodia familiare si è espansa per la sala. E lui, timidamente, ha iniziato a cantarci su:

Living in my own world 
Didn't understand 
That anything can happen 
When you take a chance 

La canzone era “Start of something new”, di High school musical. Mi è venuto da ridere. Quando stava per toccare a me, ho sorriso e gli ho intimato: - Questa te la farò pagare.

E poi, dopo un luuuuungo respiro, ho continuato con la mia parte:

I never believed in 
What I couldn't see 
I never opened my heart (ooh) 
To all the possibilities (ooh)

E poi, mentre il Glee esplodeva in sottofondo:

I know that something has changed 
Never felt this way 
And right here tonight 

This could be the start 
Of something new 
It feels so right 
To be here with you (ooh) 
And now looking in your eyes 
I feel in my heart (feel in my heart) 
The start of something new 

Now who'd of ever thought that (ooh) 
We'd both be here tonight (ooh yeah) 
And the world looks so much brighter (brighter) 
With you by my side 
I know that something has changed 
Never felt this way 
I know it for real 

This could be the start 
Of something new 
It feels so right 
To be here with you (ooh) 
And now looking in your eyes 
I feel in my heart 
The start of something new 

I never knew that it could happen 
Till it happened to me 
I didn't know it before 
But now it's easy to see 

It's the start 
Of something new 
It feels so right 
To be here with you (ooh) 
And now looking in your eyes 
I feel in my heart 

That it's the start 
Of something new 
It feels so right (so right) 
To be here with you (ooh) 
And now looking in your eyes 
I feel in my heart 
The start of something new 
Start of something new 
The start of something new

Un sacco di gente ha iniziato ad applaudire, il che mi è sembrato del tutto insensato, data la mia voce più adatta a canticchiare canzoncine Disney sotto la doccia che a un’esibizione in pubblico. Ma ehi, la gente a San Valentino ama le manifestazioni d’amore. Ridendo e arrossendo, ho abbracciato Ryder e, quando mi sono allontanata (si fa per dire, perché avevo un suo braccio intorno alla vita), lui mi ha baciata, e il pubblico si è espresso con una serie di “ooooh” e “aaaah” e “uhuuuu” che mi hanno fatta diventare dello stesso identico colore dei miei capelli. Ci siamo voltati verso di loro, abbiamo fatto un piccolo inchino, e poi Ryder è saltato giù dal tavolo e con tanta galanteria mi ha aiutata a scendere.

- Spero che tu non abbia intenzione di ripetere l’esperienza in futuro, oppure giuro che mi metterò a studiare a casa! – ho esclamato, sorridendo mio malgrado come un ebete. Dovevo ammettere che nonostante l’agitazione e l’imbarazzo, era stata una cosa estremamente dolce. E carina. E tenera. E mi sarei messa a vomitare arcobaleni da un momento all’altro.

- No, ma le sorprese di San Valentino non finiscono qui. – mi ha detto con sguardo brillante. Al che non ho saputo se spaventarmi a morte o esserne contenta. Ho optato per la seconda. E così, la prima parte di “Hana e le sue avventure di San Valentino”, si concludeva con una me che era diabaticamente felice. Non tutta la settimana era destinata ad essere così.

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Nota dell'autore: Sì, scusate ancora per il ritardo -.- Ormai mi sa che pubblicherò sempre di sabato. Ieri sera è uscito l'ultimo capitolo di Vampire Knight (non so se lo conoscete) e ho passato un'ora fra esclamazioni di incredulità e gioia assoluta perché per la prima volta nella mia vita la ship per cui tifo si è realizzata. Ma questo non vi interessa. Be', alla prossima settimana e buona lettura! ^^

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Capitolo 11
*** Giorno 19: Il romanticismo mi fa diventare una frignona ***


Well... This should kinda be me - capitolo 11

GIORNO 19: Il romanticismo mi fa diventare una frignona

Al Glee è tornato il prof. Schuester, il vero insegnante che tiene il corso. Il che mi è parso un po’ strambo, perché mi ero abituata alla figura di Finn come leader. Gli altri invece erano felici come una Pasqua del suo ritorno. Mi sta simpatico, certo, perché sembra molto più uno di noi che un professore tipico del grigio universo dei professori. Giovedì, ovvero il giorno di San Valentino, si sposa con la signorina Pillsbury, la nostra matta consulente scolastica. E il tema della settimana è proprio il matrimonio, perché vuole che il Glee si occupi dell’intrattenimento. Gli sono anche stata presentata come nuovo membro del Glee che effettivamente non parteciperà alle esibizioni. Ha tentato di convincermi. Dice che hanno avuto altri membri che in effetti non sapevano cantare (Mike Chang?) o cantare&ballare (Lauren Zises?), ma si sono divertiti comunque ad averli. Non so, io non vorrei intralciarli. Ma ho promesso che un giorno proverò insieme a loro. Anche perché secondo Blaine potrei arrivare ad essere intonata se solo mi esercitassi. Si è offerto di aiutarmi. Contenti loro! Anche la mia prof di musica delle medie pensava che sarei stata una brava cantante, se solo mi fossi fatta “plasmare dalla nobile arte del canto”, ovvero se avessi partecipato al suo beneamato coro. Magari hanno ragione loro.
Il martedì comunque è stato un altro giorno di sorprese. Jake ha dedicato una canzone a Marley la mattina, e Ryder ne ha dedicata una a me il pomeriggio. Fortunatamente non in classe né in altri luoghi così pubblici, perché il mio povero cuore non avrebbe retto ancora. No, è stato al Glee club. Ha detto che voleva cantare una canzone per me. Seduto su uno sgabello accanto a Sam che suonava la chitarra, ha cantato “Little things” dei One Direction (visto che l’ha scritta Ed Sheeran, io preferisco pensare che sia sua, mi fa sentire meglio con me stessa):

Your hand fits in mine 
like it's made just for me 
But bear this in mind 
it was meant to be 
And I'm joining up the dots 
with the freckles on your cheeks 
and it all makes sense to me 
I know you've never loved 
the crinkles by your eyes 
when you smile, you've never loved 
your stomach or your thighs 
the dimples in your back 
at the bottom of your spine 
But I'll love them endlessly 

I won't let these little things 
slip out of my mouth 
but if I do, it's you (oh, it's you) 
They add up to, I'm in love with you 
And all these little things 

You can't go to bed 
Without a cup of tea 
And maybe that's the reason 
that you talk in your sleep 
And all those conversations 
are the secrets that I keep 
Though it makes no sense to me 

I know you've never loved 
the sound of your voice on tape 
You never want to know how much you weigh 
You still have to squeeze into your jeans 
But you're perfect to me... 

I won't let these little things 
slip out of my mouth 
but if it's true it's you, it's you 
They add up to, I'm in love with you 
And all these little things 

You'll never love yourself 
half as much as I love you 
You'll never treat yourself 
right darlin' but I want you to 
If I let you know I'm here for you 
Maybe you'll love yourself 
like I love you, oh 

I've just let these little things 
slip out of my mouth 
‘cause it's you, oh it's you, it's you 
They add up to and I'm in love with you 
And all these little things 

I won't let these little things 
slip out of my mouth 
but if it's true, it's you, it's you 
They add up to, I'm in love with you 
And all your little things.

Le parole mi sembravano così personali che non ho potuto non piangere, mio malgrado. Sorridevo tra alcune lacrime che mi inondavano gli occhi e che cercavo di trattenere. Soprattutto perché il pomeriggio prima ero stata a casa di Ryder, e mentre lui studiava spalmato sul pavimento della sua stanza (già, da zona-salotto ci eravamo trasferiti lì) io leggevo il mio ultimissimo saggio di storia da consegnare il giorno dopo, distesa sul suo letto. Solo che ad un certo punto tra pagina uno e pagina due, giusto per confermare quanto siano interessanti queste cose, mi sono addormentata. Al mio confuso risveglio Ryder stava ancora studiando, e mi ha subito guardata sorridendo. Immaginavo i miei capelli pettinati dal cuscino e i miei occhi da miope che cercavano di mettere a fuoco la stanza senza gli occhiali, che evidentemente lui doveva avermi tolto dal naso mentre dormivo, forse quando mi aveva disteso sopra una copertina.
- Sai che borbotti nel sonno? – mi ha detto. Porca paletta! Certo che lo sapevo, e non osavo immaginare cosa potevo avere detto. – Stavi ancora ripassando il tuo saggio. Non spegni il cervello nemmeno mentre dormi! – mi ha spiegato, e ho tirato un sospiro di sollievo.
- Sarà colpa di tutta la teina che ingurgito – avevo detto prima di sbadigliare come una leonessa nella savana.
- Artie mi ha mandato il video della nostra esibizione in mensa, se vuoi vederlo. – ha detto con un sorriso.
- No, per carità! – ho esclamato. – La mia voce registrata è peggio di quella dal vivo. Sembra stranamente nasale. – ho borbottato. Sì, nei miei primi minuti dopo un risveglio da un sonno non programmato, sono un tantino burbera.
- Tu e le tue fisime – ha commentato alzando gli occhi al cielo. Io gli ho sorriso e ho abbracciato il cuscino, chiudendo di nuovo gli occhi. Ero ancora intontita.
- Sai che preferirei tu abbracciassi me invece che il mio cuscino.
- Non è colpa mia se tu preferisci il tappeto al materasso. O a me. Sono ancora più morbida. – ho bofonchiato, la faccia sepolta nel cuscino. Ho sentito dei movimenti e poi il materasso che traballava sotto il suo peso. Senza neanche aprire gli occhi mi sono accucciata sul suo petto, mentre mi abbracciava. Sarà stato il torpore del sonno, sarà stato lo stato confusionale del dopo-sonno, ma sta di fatto che in quel momento tutto ciò non mi era sembrato strano. Io che due giorni prima davo di matto di fronte alla possibilità che lui potesse baciarmi, ora mi facevo abbracciare sul suo letto, nella sua stanza, con la porta chiusa e i suoi genitori che non c’erano. E non mi sentivo una donzella che teme per la sua virtù.
Quindi sentirgli cantare “Little things” aveva riportato alla mia mente le immagini di quel pomeriggio particolarmente felice, e mi aveva fatta piangere di gioia. E’ proprio vero che il romanticismo fa diventare melodrammatici.
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Nota dell'autore: Ed ecco qui! Di nuovo di sabato. Annuncio adesso che la settimana prossima pubblicherò, ma quella dopo ancora no. Farò una pausa di una settimana causa esami che non mi hanno permesso di andare avanti con la scrittura.

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Capitolo 12
*** Giorno 21: Meno un giorno all’apocalisse ***


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GIORNO 21: Meno un giorno all’apocalisse

Il giovedì è stato un giorno inaspettato e triste. Meno triste di quanto non sarebbe stato il venerdì, ma più imprevedibile.
Ma facciamo un passo indietro, perché di mezzo c’è stato anche il mercoledì, che mi sento in dovere di citare perché ho ricevuto un’altra dedica da Ryder. Stavolta si è svolta nell’Auditorium, mentre non c’era nessuno. Ha cantato la sua canzone preferita, ovvero “I’ll be” di Edwin McCain. E’ stato di nuovo molto dolce, e solo col senno di poi mi sarei resa conto che tutta questa dolcezza era troppa per me. Ero come una persona che non mangiava carboidrati e improvvisamente si rimpinzava di marshmallows, caramelle zuccherate, zucchero filato, marzapane, cioccolato, meringhe e panna. Stavo perdendo un tantino il contatto con il mio cervello, ma mi sentivo così al sicuro e felice che non avrei nemmeno ascoltato il Grillo Parlante, sempre che lo avessi avuto. Ma andiamo con ordine.
Il giovedì è arrivato e mi sono sistemata nella maniera più carina possibile: vestito color indaco, scarpe col tacco (con un paio di scarpe basse in borsa, perché conoscendomi non avrei retto i tacchi più di due ore, sempre che queste le avessi trascorse da seduta), trucco fatto dalla mia mami, capelli meno boccolosi del solito, lenti a contatto (con gli occhiali in borsa, perché nemmeno queste le avrei rette per troppo tempo). Ryder mi ha portato un mazzo di giacinti lilla rendendomi felice come una pasqua, perché sono i miei fiori preferiti. E, poiché avevo detto che non volevo oggetti di gioielleria, mi ha regalato una scatola per il bentoo (tipico pranzo a sacco giapponese, per chi non lo sapesse) con Death the Kid, che è il mio personaggio anime preferito (dell’anime Soul Eater, per chi non sapesse neanche questo). Io, invece, gli ho regalato una poesia, perché aveva detto che non voleva altro da me. E così, siamo andati al matrimonio.
Che non c’è stato. Non ho ben capito come abbiano fatto tutti quanti ad essere così neutrali di fronte a questa cosa. E’ così all’ordine del giorno che la sposa scappi dai matrimoni? Evidentemente sì. Perché si è deciso di fare comunque il ricevimento. Non so voi, ma io l’ho trovata una cosa tristissima. Vero è che ci siamo divertiti dopo, ma festeggiare mentre un pover’uomo era stato lasciato non mi pareva il caso, all’inizio. Ma non ho protestato e così si è fatta comunque festa.
Al che mi è toccato fare la mia sorpresa. Perché quello che finora ho taciuto è che mi ero esercitata nel canto con Blaine dal lunedì. Avevamo detto al prof Schue che avrei cantato al matrimonio, e mentre io volevo cantare qualcosa di semplice quanto più semplice si potesse, dato che non avevo avuto tempo di esercitarmi a dovere, Blaine aveva insistito che cantassi una canzone di Jessie J. Jessie J? Seriamente? Con quattro giorni di pratica scarsi? E Jessie J sia. Visto che doveva essere una canzone che avesse a che fare con l’amore, ho optato per Abracadabra. Così, dopo il duetto Klaine (yep, ho conosciuto il famoso Kurt Hummel, e devo dire che non avevo mai visto Blaine così raggiante) Blaine ha introdotto il mio numero musicale. Al che tutti sono rimasti a bocca spalancata. Per la sorpresa, s’intende. Con le labbra viola e le unghie blu per l’agitazione (sì, psicosomatizzo così) sono salita sul palco. Mi sono schiarita la voce e, nel silenzio più imbarazzante e più assoluto, ho balbettato:
- Ehm.. questa canzone è per.. mmh.. R-Ryder Lynn. – E la musica è partita.
Ryder mi fissava con espressione ancora sorpresa e piacevolmente meravigliata (state notando i miei progressi nell’interpretazione delle espressioni umane?) e ad un certo punto ho smesso di sentirmi in imbarazzo. Glee è essere chiunque tu sia e voglia essere senza doverti sentire a disagio. Quindi che importa se non sono magra come potrei, se non ho l’agilità di Kitty o la voce di Marley? Rapidamente mi sono liberata dei tacchi e ho dato voce (in tutti i sensi) alla mia rinnovata autostima.
E ho spaccato. Sul serio. Erano tutti in pista, e ad un certo punto sono scesa dal palco e mi sono intrufolata in mezzo a loro, piroettando qui e lì, fino a ritrovarmi, a fine canzone, esattamente dove volevo trovarmi: tra le braccia di Ryder. Ho sorriso e gli ho intrecciato le braccia al collo per poi baciarlo con un’enfasi davvero non da me (e che altrimenti avrei anche criticato) facendo applaudire il pubblico.
Mentre gli altri si complimentavano con me, ho notato che Jake chiamava Ryder da una parte per dirgli qualcosa. E allora il mio orecchio bionico è entrato in funzione. Chiariamoci, io non sono una che spia. Mi sento in colpa ad aver ascoltato quello che in realtà non avrei dovuto sentire. Ma in quel momento il mio istinto mi ha detto che avrei fatto bene ad ascoltare. Ed ecco la loro discussione:
Jake: - Amico, grazie a te stasera farò tardi.
Ryder: - Cosa?
Jake: - Be’, Marley ha voluto fare le cose con calma e lo abbiamo fatto, e va bene, ma tutto questo romanticismo è… Ho preso una stanza per noi, nel caso in cui… Credo che succederà.
Ryder: - Non è pronta per questo! È solo al secondo anno e sta ancora affrontando i suoi problemi alimentari.
Jake: - Marley non è come le altre ragazze. Credo di amarla. E credo che stia abbassando la guardia tanto da permettersi di ricambiare. Ti ho promesso che non le avrei fatto del male? Be’, io mantengo le promesse.
Ryder: - Bene, mi fido.
Jake: - Ma tu e Hana.. insomma, lo so che state insieme da poco. Ma.. ne avete parlato?
Ryder: - No, non ne abbiamo parlato. Ma Hana.. lei è davvero diversa. Non ho mai conosciuto nessuno come lei. Non manderò tutto a monte mettendole fretta. Possiamo aspettare.
Perciò da un lato sono contenta di avere ascoltato. Non mi aspettavo questa superficialità da Jake. Nel senso: capisco come si possa sentire, ma pensavo che avrebbe capito che Marley non è quel tipo di ragazza. E’ più probabile che faccia sesso prima io, che ho ricevuto il mio primo bacio nemmeno una settimana fa, che non Marley, che è l’ingenuità fatta adolescente. Le parole di Ryder, invece, mi hanno resa davvero fiera di lui. E di essere la sua ragazza. Perciò quando, ad un tratto, dopo un duetto di Finn e la sua ragazza-non-ragazza-fidanzata-quasi-moglie-mai-sposata o quello che è, che devo dire ha una voce che ha eclissato in un istante qualsiasi esibizione avessi mai visto, tutti sono spariti si-può-immaginare-dove, sono andata da Ryder e l’ho preso per mano, per poi condurlo in pista. Di nuovo l’ho baciato, stavolta con più tenerezza che enfasi, e gli ho sussurrato un “grazie”. Era riferito alle sue parole di poco prima, ma si poteva anche interpretare come un ringraziamento per le cose che aveva fatto per me quella settimana.
Abbiamo continuato a ballare finché non sono tornate tutte le coppie-scoppie (persino Artie con una ragazza bionda che mi era vagamente familiare, parente della Pillsbury) e anche oltre, e io pensavo che più felice di così non avrei potuto essere.
Be’, avevo ragione.

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Nota dell'autore: Chiedo umilmente perdono per avere ritardato così tanto nella pubblicazione! Spero davvero di riuscire a  rifarmi! Grazie per la pazienza di chi mi legge ancora (:

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Capitolo 13
*** Giorno 22: Mai, mai, mai più farò una sorpresa a qualcuno. ***


Well... This should kinda be me - capitolo 13

GIORNO 22: Mai, mai, mai più farò una sorpresa a qualcuno.

Il giorno dopo il (mancato) matrimonio sono andata a scuola in modalità “I’m walking on sunshine”. Quando la serata è finita Ryder mi ha accompagnata a casa, e dopo una seduta di baci davanti all’ingresso sono entrata in casa senza riuscire a reprimere un enorme sorriso. Mi sono addormentata così beata che per una volta non ricordo più cosa ho sognato, tanto la mia testa era svuotata.
A scuola è stata la solita solfa, finché non ho pensato di cambiarmi qualche lezione e rinunciare a qualche corso avanzato per averne qualcuno in comune con Ryder. Sono andata in segreteria e ho compilato la richiesta. E ho pensato di correre a dirlo a Ryder. Ho imboccato il corridoio e, quando ho svoltato l’angolo quasi saltellando, sono quasi caduta per lo shock. Il mio sorriso si è pian piano congelato ed è scivolato via dal mio viso. Mi sono fermata, in apnea.
Ryder e Marley. Un bacio.
Certo che sono stata davvero idiota. Ingenua fino a sfiorare il ridicolo. Sapevo bene di essere solo un ripiego. Non avrei mai dovuto permettermi illusioni. In un felice universo parallelo in cui viviamo la vita come un musical, in questo momento io mi sarei girata con espressione ferita, avrei svoltato in un corridoio lasciato deserto apposta per me e avrei intonato una canzone strappalacrime sulla mia ingenuità e sulla delusione (vi dice qualcosa “When there was me and you” di High School Musical? Ecco. Più o meno così.).
Invece mi sono girata e basta. Purtroppo (o per fortuna, col senno di poi non saprei dire cosa sarebbe stato peggio), Ryder mi ha vista. E per una volta non ho avuto difficoltà a interpretare la sua espressione, che era “sono stato colto sul fatto”.
Me ne sono andata, ma dopo una serie di “Hana! Hana, aspettami!” mi ha raggiunta.
- Hana, non… - ha iniziato a dire.
- Non è quello che penso, giusto? – ho detto con un sorriso amareggiato. – Senti, non devi spiegarmi nulla. Sapevo perfettamente cosa provavi per Marley. Solo che avreste potuto essere più discreti. Jake avrebbe potuto vedervi, e non sarebbe stato giusto nei suoi confronti, perché ama Marley, e tu sei il suo migliore amico.
- Hana, ascolta, fammi spiegare. Non è davvero come può sembrare.
- No, non dirmi nulla. Adesso vorrei stare un po’ da sola, se non ti dispiace. Mi capirai se al momento non ho molta voglia di parlare con te. O con Marley.
Me ne sono andata prima che potesse aggiungere altro. Ho cambiato sul serio corridoio, camminando a larghe falcate. Sono passata davanti all’armadietto di Artie, che vedendomi è passato dall’allegro al confuso e infine al preoccupato.
- Hana? Stai bene? Cosa è successo? – ha chiesto, cominciando a seguirmi.
- No, ma non ti preoccupare, prendo la mia borsa e vado a casa. – e infatti ho raggiunto e aperto il mio armadietto, ho tirato fuori la borsa e sono uscita. All’ingresso non c’era nessuno. Artie mi ha bloccato prima che potessi raggiungere le scale.
- Ehi, ehi, guardami. Che è successo? – ha insistito. E allora non ce l’ho fatta più. Mi sono lasciata cadere su una delle panchine e sono scoppiata a piangere. E intendo proprio con trasporto. Con singulti e tutto il resto. E mi viene sempre la candela al naso quando piango.
- Ho appena visto Ryder e Marley che si baciavano. – E’ stata la frase concepita nella mia testa, anche se deve essere suonata qualcosa come: Ho-ho a-ap-pe-ena v-visto R-r-r-yder e-e-e Ma-Marley c-che s-s-si ba-b-ba-baciavano.
- Che cosa? – ha chiesto lui, e non ho capito che lo diceva come un “Non è possibile!” o come un “Ripeti quello che hai detto, non ho capito niente”. Così ho preso un profondo respiro e ho ripetuto, con più calma:
- Ho appena visto Ryder e Marley che si baciavano. In corridoio. Dio, certo che non so se sono più stupida io che mi sono fatta fregare così, o loro che si baciano in corridoio in un cambio d’ora! – con improvvisa rabbia ho frugato nella borsa in cerca di un fazzoletto e mi sono soffiata il naso stile Eolo dei sette nani.
- Sei sicura di quello che dici?
- Avrò anche ricevuto il mio primo bacio sei giorni fa, ma so riconoscere un bacio quando lo vedo. – Mentre ripensavo alla scena, lo scatto di rabbia è svanito, e il labbro inferiore ha preso a tremarmi di nuovo, e sono di nuovo scoppiata a piangere. Artie mi ha preso una mano e l’ha tenuta tra le sue, dandomi piccole pacche per calmarmi.
- Adesso vado a casa. – ho detto infine. – Improvvisamente la musica di Adele sta avendo senso e vorrei approfittarne per ascoltarla.
- Vuoi che ti accompagni? – si è offerto lui.
- No, grazie. Spero che correre da sola fino a casa mi tolga così tanto il fiato da non lasciarmi sufficiente ossigeno nel cervello da permettermi di pensare. Ci sentiamo. – Mi sono alzata, ho sceso gli ultimi gradini e poi, con uno sprint che il mio corpo non vedeva più o meno da quando avevo otto anni, sono corsa a casa.

 

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Capitolo 14
*** Giorno 23: Il mio gatto è un ottimo psicanalista. ***


Well... This should kinda be me - capitolo 14

Giorno 23: Il mio gatto è un ottimo psicanalista

Gelato quando si ha mal di cuore? Ma proprio no. Non mangiavo così poco da così tanto tempo che non ricordavo nemmeno se fosse mai successo. Qualche fettina di pollo arrostito quasi trasparente era il mio unico cibo. La tisana al tiglio era la mia unica bevanda. Poiché il tiglio ha effetti calmanti, pensavo che mi avrebbe tranquillizzata. Invece non succedeva niente. Le possibilità erano due: o bisognava iniettarsela in vena per farla funzionare, o l’effetto non era immediato, e quando mi sarei addormentata sarei finita in coma per tre giorni consecutivi. Ma andiamo con ordine.

Arrivata a casa ero corsa nella mia stanza. Mi ero appoggiata alla porta ed ero scivolata a terra senza battere ciglio. Avevo il fiato corto e mi pulsavano svariati organi interni, oltre alle tempie. Non riuscivo più a piangere. A casa non c’era nessuno. Ero rimasta così, seduta per terra a fissare il vuoto, per una quantità di tempo indefinita. Probabilmente sarei stata ancora lì dopo molte ore, se Toulouse, il mio empatico gatto, non avesse iniziato a miagolare fuori dalla porta. Così mi ero alzata per aprirgli e lui, camminando con estrema lentezza, era entrato nella stanza e con un atletico salto si era trovato una posizione comoda sul letto, da dove mi fissava in attesa di risposte.

- Lo so! – ho sbottato, non riuscendo a sostenere lo sguardo indagatore del mio felino da compagnia. – Lo so che non dovrei essere sorpresa. In fondo ho sempre saputo che tenevo a lui molto più di quanto lui non tenesse a me. Ma pensavo che almeno un po’ ci tenesse! Perché arrivare a fare questo? Non poteva semplicemente non mettersi con me? A quest’ora io sarei stata com’ero prima: una zitella sulla via dell’acidità caustica, che già pensava ai nomi dei suoi futuri 27 gatti. Avevo anche la lista dei primi 18!

Toulouse aveva scosso la testa con quello che mi era parso un lieve disappunto.

- Non ti preoccupare, tu saresti sempre stato il mio preferito. – l’avevo rassicurato, e lui aveva steso una zampetta come per dirmi che aveva capito, ed ero perdonata. – Be’, i tuoi fratelli adottivi ti sarebbero piaciuti. E avresti avuto un’intensa storia d’amore con una gattina bianca di nome Margot. Sai, come la regina, la figlia di Caterina de Medici.

Lui aveva rizzato le orecchie fissandomi con attenzione, e si era leccato i baffi.

- Ti garba l’idea, non è vero? Be’, adesso possiamo mettere in atto questo piano. Considerando che sono di nuovo zitella. Oppure no? Non so nemmeno se ci siamo lasciati. C’è bisogno di una comunicazione ufficiale, secondo te? Oppure si dà per scontato che se mi ha… tradita non stiamo più insieme?

Toulouse ha piegato la testa di lato.

- Sì, hai ragione. – gli ho detto. – E’ ovvio che non stiamo più insieme. Oh, Toulouse! Cosa mi consigli di fare?

Lui si è girato in direzione del mio bagno. Poi è tornato a guardarmi.

- Hai ragione. Farò un lungo bagno caldo fino a raggrinzirmi tutta, ascoltando Adele, Taylor Swift e.. mmh.. Coldplay, sì, anche loro fanno canzoni tristi… ecco, fino a che non mi scioglierò del tutto nell’acqua. Sei un ottimo gatto, Toulouse. Dai ottimi consigli.

Così mi ero alzata, gli avevo fatto un grattino dietro le orecchie, e mi ero messa a mollo.

Nella vasca da bagno, con le cuffie dell’ipod nelle orecchie, avevo ascoltato le canzoni che mi ero riproposta di ascoltare, ma una in particolare mi aveva fatta piangere di nuovo, e con voce singhiozzante l’avevo anche cantata: Skinny Love. Avevo diverse versioni nell’ipod, ma dovevo concordare con Skyler nell’affermare che quella di Birdy era di gran lunga la migliore.

Dopo due ore, con gli occhi gonfi e rossi, mi ero messa un pigiama e mi ero buttata sul letto.

Ed ero stata lì a riflettere su non si sa cosa per non si sa quanto tempo finché lo squillo del telefono non mi aveva riportata alla realtà. Avevo aperto gli occhi ed ero stata sorpresa di notare che era buio. Mi ero addormentata? Mi sentivo più stanca di prima. Prima di arrivare a prendere il cordless, su cui avevo notato un numero straniero, qualcuno in casa aveva risposto. Quindi erano tornati? Mi ero affacciata dalla porta con fare circospetto. Anche Toulouse si era intrufolato tra le mie gambe per guardare nel corridoio. Poi aveva deciso che strusciarsi sui miei polpacci era più interessante che ascoltare la telefonata, che stava avvenendo di sotto, in soggiorno. Era stata mia madre a rispondere. Avevo preso in braccio – non senza qualche difficoltà, data la tendenza verso l’obesità – il gatto, che stranamente si era fatto sollevare come un bebè, ed ero scesa di sotto. Mio fratello era seduto sul divano, e aveva sgranato gli occhi quando mi ero seduta a gambe incrociate accanto a lui. In effetti immaginavo il mio delizioso aspetto: capelli pettinati dal cuscino, occhi pesti, incarnato smorto, impronte del materasso sulla faccia e sul collo, Toulouse tra le braccia come una vecchia psicopatica.

- Sono gli zii? – avevo chiesto con una voce che aveva sorpreso anche me. Sembrava venire dall’oltretomba.

- Sì. Ma a te che è successo? Sei raffreddata? – mi aveva chiesto lui, sporgendosi per toccarmi la fronte.

- No. – avevo gracchiato. – Sto benissimo.

Lui aveva alzato un sopracciglio, ma non aveva detto niente.

- Ma certo che sono sicura, che sciocchezze! – aveva trillato mia madre. – Aspetta, ora ti passo tuo fratello. D’accordo, vi abbraccio. A presto. – aveva detto poi. Si era girata verso la cucina, dove evidentemente c’era mio padre. Gli aveva passato il telefono ed era tornata nella stanza, dove il sorriso le si era congelato sul viso quando mi aveva vista. Santo cielo, ma ero davvero messa così male?

- Hana, hai l’influenza? – mi aveva chiesto preoccupata. – Ho visto che dormivi quando siamo tornati. Non hai un bell’aspetto.

Il labbro inferiore aveva preso a tremarmi prima che potessi fermarlo: - Oggi io e Ryder ci siamo lasciati. – avevo detto. – Almeno credo. L’ho visto baciare Marley in corridoio.

Una lacrima mi aveva rigato la guancia.

- Che cosa?! – mio fratello era saltato due metri in aria.

- Per favore, ora non mi va di parlarne. – avevo detto, asciugandomi la lacrima.

- Tesoro, qualunque cosa.. – aveva iniziato mia madre.

- No, davvero. Non voglio parlarne, ora come ora. Dicci degli zii. Stanno bene? Non chiamano mai a casa. Poi adesso da loro che ore sono? – “E da noi che ore saranno?” ho pensato.

 - E’ notte, molto tardi, ma non volevano disturbarci. Si tratta di tuo cugino. Sai che l’anno scorso ha fatto un anno di scuola negli Stati Uniti, no? E’ venuto fuori che l’ha fatto proprio nella tua scuola, a Lima. Da quando è tornato non fa che parlare di come si è trovato bene in America, così i tuoi zii gli hanno chiesto se gli piacerebbe tornare. Stando a casa nostra gli verrebbe più facile ottenere i documenti. Ovviamente ho accettato.

In quel momento papà era uscito dalla cucina e, con un gran sorriso, mi aveva passato il cordless.

- Hana, tuo cugino vorrebbe salutarti.

Avevo preso il telefono, ancora un po’ intontita, e l’avevo portato all’orecchio. In quel momento mi ero completamente dimenticata di quanto di brutto mi era successo quel giorno, e, aprendomi in un sorriso, avevo risposto:

- Rory Flanagan, mio irlandese cugino, a quanto pare saremo compagni di classe!

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Nota dell'autore: Eccomi qui con un altro capitolo. Mi sono resa conto che nello scorso la mia nota dell'autore è stata mangiata dal computer, perché è sparita dalla circolazione o__o Quindi mi rifaccio. Come si può capire, un vecchio personaggio torna a farci visita, mentre presto ne introdurrò di nuovi. "Nuovi" se non avete mai seguito il Glee Project. Altrimenti li riconoscerete tutti. Spero che il capitolo vi piaccia e alla prossima settimana!

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