La tavolozza ha sette mutamenti

di agaetis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Primo ***
Capitolo 2: *** Il Secondo ***
Capitolo 3: *** Il Terzo ***
Capitolo 4: *** Il Quarto ***
Capitolo 5: *** Il Quinto ***



Capitolo 1
*** Il Primo ***


Pre-lettura: I fatti di questo primo capitolo sono riferiti alla 2x10, puntata in cui Arthur è sotto un incantesimo di re Alined, che desidera vedere Camelot in guerra con Olaf. Arthur quindi è follemente accecato da Vivian, la figlia di Olaf, re rivale di Uther. Quando Olaf scopre la tresca fra i due, sfida Arthur a duello. Per spezzare l'incantesimo, Arthur deve baciare il suo vero amore, così Merlin e Gwen organizzano un piano...





La tavolozza ha sette mutamenti

 

La tavolozza ha sette mutamenti,
uno per ogni bacio che mi hai dato.
Sette baci di labbra e assoluto.
                                                                                          Alda Merini



Il Primo
 
 
Il primo fu un dovere, avvenne per esigenza.

Merlin scostò le stoffe ruvide della tenda allestita per il torneo: c’era lei, Guinevere, con le labbra incollate a quelle di Arthur, proprio secondo il loro piano.

Fu il volto del suo principe, però, a non tranquillizzarlo per nulla: aveva gli occhi ancora assenti, l’espressione babbea di quegli ultimi giorni. E il fatto che, quando Gwen si allontanò dal suo viso per vedere gli effetti del suo gesto, Arthur rimase imbambolato a fissarla, ripetendo per ben tre volte che lei non era la sua Vivian, complicò ancor più la situazione.
 
Merlin stava sudando freddo, la faccenda era più problematica del previsto: era sicuro che Gwen fosse l’amore della vita di Arthur, non si era neanche posto il problema che un suo bacio non avrebbe funzionato! E adesso doveva assolutamente allontanarla, e provare lui stesso a far tornare Arthur normale, ricorrendo alla magia. Era la loro ultima possibilità.

Il primo passo non fu difficile: nemmeno il tempo di muoversi che Guinevere si era già precipitata fuori dalla tenda correndo, le lacrime che rigavano il suo viso tremante.
Per un attimo Merlin pensò che sarebbe stato giusto confortarla, ma non ne aveva il tempo; ci avrebbe pensato dopo. Mascherando la tensione dal viso, irruppe nella tenda.


«Sire, sta per iniziare il duello, lasciate che vi risistemi l’armatura» chiese pur di avvicinarglisi per portare a termine il suo compito.
«Merlin, ma che dici? Me l’hai messa neanche una veglia fa» bofonchiò Arthur «È già a posto così com’è».
«Sì, ma, vedete, non vorrei che durante il duello-»
«Sì, sì, capisco» lo interruppe Arthur agitando una mano per aria. «D’altronde sapevo già di avere un servitore idiota, non è una novità. Fa’ pure» sbuffò.

Merlin incassò il colpo e gli si mise dietro; armeggiò prima con lo spallaccio e poi con il busto dell’armatura, sistemando più e più volte la gorgiera per prendere tempo. E, grazie a Dio, Arthur iniziò a farneticare frasi sconnesse, complimenti e discorsi pomposi, la sua Vivian di qua, la sua Vivian di là… così poté lavorare più tranquillamente.

«Oh, è proprio la più bella ragazza che io abbia mai incontrato» Sospirava a ogni frase «È un dono degli dei, te lo dico io» e intanto Merlin provava.


Ma il primo incantesimo non funzionò.


«I suoi occhi… oh, i suoi occhi sono zaffiri che brillano alla luce del sole»


Riprovò.


Neanche quello.


«La sua bocca… un bocciolo di rosa in primavera»


Niente. Si leccò le labbra e ritentò.


«E la sua voce! È come il canto soave di un usignolo all’alba»
Santissimi numi, nulla.
 

 
Il panico riempì gli occhi di Merlin, tornati azzurri per un’ultima volta. E lasciò cadere le mani dall’armatura; il buio riempiva la sua mente, non aveva più alcuna risorsa.

«Merlin?» si voltò Arthur, non sentendo neanche una risposta alle sue continue orazioni.
 



Il panico. Le parole del Drago rimbombavano nella sua mente:
 



 “Giovane mago… La soluzione si trova nella forza più antica e potente di tutte, l’Amore”

“L’Amore?”

“Un bacio dalla persona amata spezzerà l’incantesimo, e lui non avrà più desiderio per Vivian”

 




Esatto.
 

E si sa…


«Non credi anche tu che sia la ragazza più fantast-»


… Quando è il panico a prevalere, la ragione impazzisce.

Merlin si buttò verso Arthur, fece aderire le loro labbra prendendolo per le spalle e sbilanciando il suo equilibrio. Arthur si ritrovò spinto contro il tavolo, le spade su esso che tintinnarono per il colpo.

L’ultima spiaggia per Merlin, per Arthur, e per Camelot era quella. E il Mago premette ancora di più sulle labbra del Principe sperando che finalmente avrebbe funzionato.

Arthur rimase interdetto, e il suo corpo si bloccò. Perché quelle non erano le labbra di Vivian né quelle di Guinevere: non gli davano respiro, erano calde e allo stesso tempo rigide come la corda di una cetra… ma gli piacevano, ammise a se stesso.

Si stava per abituare a quel contatto, dimenticando chi avesse di fronte, quando Merlin gli si allontanò notevolmente.

Aveva le gote arrossate e lo sguardo che non riusciva a trovare un appoggio, vagando velocemente nella stanza… Tutto pur di non fissare il suo padrone.


«Merlin» disse Arthur a bocca aperta, e un fremito lo accolse nel pronunciare quel nome.
Ma una scossa maggiore s’impossessò di lui e, come se fossero tornate le sue priorità, continuò «… Che cosa sto facendo?»
Almeno ha funzionato, pensò Merlin.
«State duellando... all’ultimo sangue» lo fissò negli occhi. «State perdendo»
«M-ma cosa» La sua voce era disorientata.
«Arthur, non c’è tempo per spiegare, ma ora dovete vincere» Merlin sorvolò sull’accaduto.
Il suono delle trombe intanto annunciava l’inizio dell’incontro; si diressero verso l’arena.
 

 
 
Arthur sconfisse l’avversario, Merlin non ne aveva dubbi. Ma un peso interiore lo trafiggeva.
Prese un respiro profondo.
 

E ora?

E ora avrebbe dovuto convincere Gwen che l’effetto del suo bacio si era verificato in ritardo, ma di non preoccuparsi, che era lei l’unico vero amore per Arthur. Lei.
 
Ma l’unico che doveva veramente preoccuparsi, era proprio lui.

E ripensandoci un altro brivido gli oltrepassò il corpo. Era stato ingiusto, illegale, malsano, un peccato mortale; era stato necessario… ma piacevole.
Si diede dello stupido per quell’ultimo, insignificante e assolutamente non vero pensiero.


E tornò nella tenda di Arthur per liberarlo dall’armatura.
 


Il primo fu un dovere, avvenne per esigenza.     






Note:
Buonasera a tutti :)
Spero abbiate gradito questo primo capitolo! Non voglio sbilanciarmi troppo nel parlare, quindi sarò breve. Sono sette capitoli che descrivono la storia d'amore fra Merlin e Arthur, saranno ripresi alcuni dialoghi o scene del telefilm, che mi hanno ispirato alla lettura.
Anche se, tutta questa pappardella, è nata dalla bellissima frase della grande Merini, che per me è sempre fonte di ispirazione.
Al prossimo "bacio"
Mara

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Capitolo 2
*** Il Secondo ***






La tavolozza ha sette mutamenti

La tavolozza ha sette mutamenti,
uno per ogni bacio che mi hai dato.
Sette baci di labbra e assoluto.
                                                                                            Alda Merini



Il Secondo
 
Il secondo riaccadde, più per mancanza che per sentimento.


 
Non avevano più parlato di quell’accaduto, e Merlin non poteva che esserne sollevato.
Il tempo passava a Camelot, e la primavera mostrava tutto il suo splendore. I contadini rientravano tardi dalle famiglie per raccogliere i frutti della semina precedente, il sole lasciava sfumature dorate sulla cittadella fino alla campana del vespro, e le battute di caccia miglioravano nettamente, a detta di Merlin: era più piacevole vedere gli alberi attorno a sé di nuovo verdi e brillanti, e l’aria che prima pungeva sul suo viso ora era un dolce tepore. Anche Arthur, sì, anche lui cambiava; perché il suo regno era in festa dopo il rigido inverno, e così lui: un leggero sorriso, con l’arrivo della nuova stagione, era sempre presente sulle sue labbra.

Erano piene e rosse, quelle labbra. Arthur a volte le inumidiva con la lingua, quando era concentrato sul lavoro, o ne mordicchiava la parte inferiore, quando una decisione diventava ostile. E avrebbe potuto anche negarlo all’infinito ma Merlin non le aveva mai dimenticate, e le bramava ogni volta che si soffermava a guardare quei particolari, conoscendone ogni mossa.


Tuttavia le cose fra Arthur e Guinevere erano migliorate: i due passavano, quando gli impegni del Principe lo permettevano, giornate insieme fra pranzi nel mezzo della natura e sgattaiolate fuori dalla cittadella in piena notte; e Merlin non poteva che esserne felice. Doveva esserlo, perché Gwen era la persona giusta per Arthur.

Ma non riusciva a non chiederselo, se lui avesse davvero dimenticato quel bacio.



Il bicchiere d’argento urtò il tavolo scivolandogli dalle mani, e lo riportò alla realtà; sistemò le pesanti posate d’argento e così anche il piatto pieno di carne fumante. Il suo stomaco borbottò, non mangiava da quella mattina.

Corse giù nelle cucine a riempire una brocca di acqua fresca, e quando tornò nelle stanze reali Arthur era già seduto a tavola, a strappare con i denti la coscia di cinghiale nella sua mano.

«Oh. Buon appetito, Sire»

Riempì il suo boccale e lo lasciò mangiare in pace, riordinando la stanza. C’erano abiti stropicciati sparsi ovunque da quella mattina. Ma sentì ancora borbottii e strizze dallo stomaco, così decise che avrebbe sistemato tutto il giorno seguente, e avvertì Arthur che sarebbe andato a cenare.

«Non andare» gli disse questo prima di addentare un altro pezzo di carne.
«Come dite?»
Arthur finì di masticare. «Di non andare. Accomodati, resta a farmi compagnia»
«Oh. Ma, vedete, Gaius è-»
«Capirà» lo liquidò Arthur «Sa che il lavoro ti occupa molto tempo»
«Sì, ma» Era confuso. Non voleva passare tempo in più con lui, ultimamente già era stato difficile stargli vicino, e l’ultima cosa che voleva era cenarci insieme.
Fissò i propri piedi muovendo le mani prima sul viso, poi sui fianchi, poi ferme lungo il corpo. «…Il cibo non basta per due!»
«Oh, avanti, Merlin. Non trovare scuse, lo vedi anche tu che ci si sfamerebbe un esercito con un cinghiale del genere!» lo indicò Arthur. E sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi quando Merlin, rassegnatosi, acconsentì e si sedette al suo fianco, l’angolo del tavolo fra loro.

«E poi vi lamentate pure dei buchi da aggiungere alla vostra cintura…»
«Merlin! Stai per caso insinuando che io sarei grasso?»
«Oh, non mi permetterei mai, Sire»
«Mh, sarà meglio» disse Arthur sorridendo: quel loro teatrino era fra i più frequenti.
«A proposito, ecco qui, che sei tu quello tutto pelle e ossa» e gli offrì una porzione del cinghiale.
 
 
 
 

«Mh, Merlin?» chiese dopo aver ingoiato l’ultimo boccone.
«Sì, Sire?»
«Ricordi quella volta che ti ho detto che non ti avrei potuto offrire da bere in pubblico
Merlin alzò gli occhi dal suo piatto appena svuotato «Sì, certo».
«Beh, nella credenza laggiù c’è una bottiglia di sidro» indicò Arthur «Mi è stato regalato dal principe Aghrad delle terre dell’ovest, ma non avevo ancora trovato l’occasione giusta per aprirlo» e detto ciò Merlin si pulì la bocca col tovagliolo, annuì e si alzò verso la spessa credenza di legno.

Trovata la bottiglia, colmò i due calici e si risedette al proprio posto.

«Brindiamo» suggerì Arthur prendendone uno. «A Camelot!»

«A Camelot!» ripeté Merlin con un sorriso.
Le labbra di Arthur si bagnarono di sidro. Una goccia ne fuoriuscì, scendendo prima sul suo mento e poi sul suo collo; brillava come rugiada, e raggiunse il suo pomo d’Adamo ritmato dal bere intenso.

«Cosa c’è? Non bevi?» lo riportò alla realtà.
Merlin sperò che non si fosse accorto della sua faccia. «Sì, sì. Certo»

Il gusto del sidro invase la sua bocca. Ogni volta che deglutiva, sentiva un profondo calore aumentare dal petto verso la faccia, scoppiandogli nella testa. Strizzò gli occhi pur di non farsi vedere da Arthur, ma la sua espressione non doveva essergli passata inosservata, sentendo la sua risata invadere la stanza.
«Sei proprio una donzella…»

Merlin strinse i pugni e lo fissò negli occhi. «Dite?» Buttato giù il primo si sentiva più sicuro, ne avrebbe retti sicuramente altri. «Bene, vediamo se anche Voi sarete ancora così in forma dopo un altro bicchiere», e riempì nuovamente i calici.
«E d’accordo… Alla salute!»
«Alla salute!» ed entrambi si sgolarono un altro boccale.
 

«Bene, ora calmati però. Sai com’è, non vorrei morire prima di diventare re» ammise Arthur, e appoggiò i gomiti sul tavolo, lasciandosi andare a una posizione ben più comoda.
Merlin lo punzecchiò «E ora chi sarebbe la donzella?!»
«Merlin, non mi tentare»
«Oh, andiamo» Riempì il primo bicchiere. «Così deboluccio oggi? Ed io che vi credevo una roccia, un uomo dalle mille risorse» riempì anche il secondo, con così tanta forza che per poco non rovesciò tutto sul tavolo. «Basta solo qualche goccia a destabilizzarvi?» e l’espressione che si dipinse sul suo volto agli occhi di Arthur significava solo una parola: sfida.

Afferrò il bicchiere e bevve fino all’ultima goccia, non lasciando mai gli occhi di Merlin, che risplendevano di un azzurro più cupo del solito, sotto la luce del camino alle sue spalle.
E anche il terzo brindisi andò.


Così il quarto.


E il quinto.

 
Qualche parola buttata lì riguardo all’onore maschile, ed ecco anche il sesto.
 
 
 

La legna ardeva e scoppiettava nel camino, le ceneri sul fondo e le lingue di fuoco ora più alte, ora più basse. Si riflettevano le fiammelle negli occhi di Arthur scaldandogli lo sguardo, ammorbidendone i lineamenti, e scaldando la sua pelle. Merlin, appoggiato sul tavolo, continuava a giocherellare con il proprio calice, lanciando di tanto in tanto occhiate al Principe.


«E con Guinevere» osservava il tavolo «come va?», le guance arrossate dall’alcool e dal caldo.

Arthur osservò le sue dita tracciare il contorno delle decorazioni del bicchiere. «Sai, Merlin» Aveva la voce impastata «Credo di esserne innamorato» che rimbombò nel cranio di Merlin, che lasciò stare il suo calice per guardarlo con occhi socchiusi.

«Sono contento per voi» fu l’unica cosa che riuscì a rispondere, anche se non si capacitò del perché di quelle parole.

Il viso di Arthur era ambrato, sfumature più chiare e più scure enfatizzavano il suo sguardo: aveva gli occhi del loro azzurro più vivo, quella sera, mentre le labbra semichiuse fremevano sotto il respiro leggero.

Versò altro vino nei bicchieri. «E tu?» chiese tra un sorso e l’altro. «Insomma, niente amore in vista?»
«No, niente» si limitò Merlin. «Ma sono ancora giovane, e ho gusti molto difficili» Tuttavia la voce che uscì non la sentiva propria, come se un attore dovesse interpretare se stesso.

«Oh, Dio la benedica, la povera donna che dovrà passare la vita con te!»
«Da che pulpito…»
Arthur si avvicinò a Merlin, scandendo ogni sillaba «Cosa intendi dire?» con un sorrisetto sulle labbra.
«Oh, scusatemi, Vostra Altezza» e entrambi scoppiarono a ridere.
 
 

Arthur sospirò. «Eh… ti deve trovare proprio uno che ce n’abbia voglia, a te, Merlin…»* sbiascicò, anche se si accorse solo dopo di aver parlato ad alta voce.
«Una, vorrete dire» lo corresse Merlin.
«Ed io che ho detto, di grazia?»
«Uno»
Gli occhi di Arthur erano vispi e attenti, sicuramente più del suo intelletto annebbiato dall’alcool. Merlin fu certo di scorgervi sgomento, per un attimo.
«No, ti stai sbagliando, Merlin.» Continuò sicuro Arthur. «Una. Tu te ne devi trovare una.»
 
«Mh, e se invece fosse proprio uno?» rise sorseggiando altro sidro, che per poco non sputò subito fuori, vista l’espressione sconcertante dipintasi sul volto di Arthur.

«Oh, non dire sciocchezze. È contro la legge» La risata di Arthur riecheggiò nella stanza, forse addirittura troppo esagerata vista la situazione. Colpa del sidro pensò Merlin.

«Già» lasciò quindi in sospeso, beandosi della risata senza ritegno di Arthur e finendo il suo bicchiere fino all’ultima goccia.

Decise che era tempo di andare.



Così si alzò per sistemare i boccali e gli avanzi della cena. Barcollò un po’ e si guardò attorno: vedeva l’armadio in fondo alla stanza senza riuscire a distinguerne le ante, e le tende alle finestre addirittura triplicate, ma bene o male se la cavava. A fargli tremare il colpo e pulsare la testa, però, era lo sguardo intenso di Arthur che sentiva fisso su di sé.

E la pelle bruciava, sotto quello sguardo.

La sua risata, diventata più bassa e roca, era ancora nell’aria.

Mise il tutto sul lato opposto del tavolo: avrebbe pulito meglio l’indomani, con più lucidità.
«Allora, adesso vi preparo e poi vi metto a letto, d’accordo?» ed ebbe la conferma di quel che pensava: gli occhi di Arthur non lo avevano lasciato per un solo istante, e ora lui annuiva alla sua domanda, sorridendo stortamente. Azzurri, quegli occhi. Sempre così dannatamente azzurri e intensi, ladri di cuori di regni.

 
Prese la tenuta da notte dal cassetto di fianco al letto, e arrivò il momento di alzare Arthur dalla sedia: ondeggiò e sbatté contro lo spigolo del tavolo, e sarebbe caduto, se Merlin non l’avesse afferrato in tempo per le spalle.


«Proprio non lo reggete un po’ di alcool, eh» gli sussurrò mentre lo lasciava per afferrare la casacca, facendogli alzare le braccia per aiutarsi a sfilargliela.
«Oh, non mi sembra che tu lo regga molto meglio di me» sbiascicò Arthur, venuto fuori dalla veste. La sua figura sfocata prese forma agli occhi di Merlin: aveva i capelli scompigliati, e i pettorali evidenziati dalla luce, i muscoli rilassati e l’addome piatto, le guance del colore delle labbra. Merlin si concentrò sul togliergli i calzoni, piuttosto che su quel viso e quel corpo che lo avrebbero portato ad azioni ben poco pertinenti.

Tolti stivali e pantaloni, fu il momento di vestirlo per la notte. Prese i calzoni puliti appoggiati sul tavolo a fianco a loro, e si mise all’opera.


Fu un’ardua impresa.

Arthur era talmente ubriaco da barcollare anche da fermo, la vista ormai non era più nitida da quando aveva visto tre bicchieri sul tavolo, e anche l’udito si era fatto ovattato. Ma rideva, con una mano poggiata al tavolo per reggersi. E anche se insana e dovuta al fiume di sidro che gli scorreva al posto del sangue, Merlin adorava quella risata. E non poteva che essere felice pure lui, infondo.


Riuscì comunque a fare un lavoro più che decente. O almeno, Arthur i calzoni ce li aveva addosso, e non erano al rovescio. 
Aveva gli occhi lucidi per aver riso tutto quel tempo, e le labbra dischiuse in un sorriso sornione. E quando Merlin si voltò per prendere la tunica da notte, Arthur ebbe la forza di afferrarlo per il foulard e tirarselo addosso.
Gli cinse la vita magra col suo braccio muscoloso e lo girò, facendo aderire i loro corpi.


Il suo peso sbilanciò Merlin, ed entrambi scontrarono il tavolo per restare in piedi. Arthur lo baciò, e lo strinse più forte a sé. Lo alzò di un poco per le cosce e lo appoggiò sul tavolo, continuando a baciarlo, lo scoppiettio del camino come unico rumore insieme ai loro respiri.


Merlin non ebbe la forza né la volontà per opporsi a quel contatto, perché gli era mancato. E ora lo aveva colto alla sprovvista con tutta la sua intensità. Allacciò le gambe alla vita di Arthur, strette. Mise le mani sul suo petto nudo e gli si avvinghiò sempre di più.



Era passione cieca, erano gesti mal calcolati e sbadati. Merlin aprì gli occhi quando sentì Arthur baciargli il collo, e strinse i suoi capelli con una mano, mentre il desiderio si faceva sempre più intenso.

E poi un altro bacio. Al sapore di sidro, al sapore mancato di quello che era stato in passato.

Un bacio che ti distrugge, che ti mozza il fiato.

Anche quando le labbra si separarono, i respiri rimasero uniti.

«Questo sì che è un vero bacio » soffiò Arthur sulle sue labbra «Altro che quello nella tenda»
Merlin, le fronti ora l’una contro l’altra, aprì gli occhi «Allora ve lo ricordate», e fu come un lampo in tempesta.



Il respiro di Arthur era caldo. «Non ho mai dimenticato»
 


Merlin non poteva permettere a se stesso di lasciarsi andare così. Nulla di tutto ciò era stato giusto, né prima né in quel momento. Scostò Arthur da sé e scese dal tavolo, trascinandosi oltre la porta di quella stanza e chiudendosela alle spalle.

I suoi passi si fecero sempre più distanti nella testa confusa del Principe. Rimase con le braccia appoggiate al tavolo, fissando i piatti sporchi sul fondo, e i suoi vestiti stropicciati a terra. Versò quel che era rimasto della brocca dell’acqua sul camino, e quando finalmente il fuoco si spense, si trascinò fino al suo letto. Rimboccato sotto le coperte, prese un respiro pesante e soffiò sulla candela del comodino.



E il giorno seguente fu tutto come prima.



Incolparono l’alcool, e furono ben accorti dal non toccarne più una sola goccia quando si trovavano a una vicinanza pericolosa, ma non parlarono più dell’accaduto, per un’altra volta.

Non potevano affrontarlo.


Perché dovevano dimenticarlo.




Il secondo riaccadde, più per mancanza che per sentimento.









Note:

* Arthur è ubriaco marcio, fa fatica a dire più di cinque parole di senso compiuto. Spero che il senso si capisca, anche se credo proprio di sì :)

Comunque
Buonasera a tutti! :)

Inanzitutto vorrei ringraziare tutti quelli che hanno recensito il primo capitolo, e messo la storia fra le seguite-ricordate-preferite! Grazie mille a tutti voi!

Beh, eccoci al secondo bacio fra i due!
Lo so, l'espediente dell'alcool è stra abusato nel mondo delle fan fiction e ormai è davvero un cliché... ma proprio per questo mi sono divertita molto ad usarlo! Ho cercato di essere il meno banale possibile e di mantenere la vostra attenzione, ditemi voi se è stato un esperimento andato a buon fine o meno.

Non penso di avere altro da dire, quindi vi do la buonanotte
Mara :)

"To the next kiss" :)


P.S.: la volta in cui Arthur disse a Merlin di non poter offrirgli da bere in pubblico fu nella 1x02. Gran bei vecchi tempi :')

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Capitolo 3
*** Il Terzo ***


1111

Pre-lettura: I fatti di questo capitolo sono riferiti alla 4x01, puntata in cui abbiamo a che fare con i Dorocha, gli spiriti dei morti risvegliati da Morgana che temono la luce ma non possono essere uccisi dalla magia di Merlin. Qui siamo nel mezzo del viaggio verso l'isola dei Beati, nella notte in cui Arthur e Merlin si ritrovano a nascondersi dai Dorocha dopo aver perso il resto dei Cavalieri che è già nelle loro tracce...





La tavolozza ha sette mutamenti

 

La tavolozza ha sette mutamenti,
uno per ogni bacio che mi hai dato.
Sette baci di labbra e assoluto.
                                                                                          Alda Merini



Il Terzo
 
 

Il terzo fu il brivido, nella notte più buia.

 

Accovacciati in un angolo in quella torre angusta, le loro schiene erano schiacciate contro il muro umido e ammuffito. Osservavano la vecchia porta di legno cigolare nella stanza.

Era il Suo respiro pesante a riempire il silenzio, l’aria tagliente e la paura palpabile.

«Che c’è?» gli domandò Merlin preoccupato.

Soffiò parole rigide come il suo viso: «Fa freddo».

«Certo» Il sarcasmo di Merlin era presente anche nelle situazioni meno opportune.

«Non lo senti?»

Scosse la testa. «Io…»

«Merlin, sei più coraggioso di quanto credessi» Arthur continuava a guardarsi intorno, la mano prontamente ferma sull’elsa, anche se la sua spada aveva ben poca importanza contro i Dorocha, creature dell’altro mondo, spiriti malvagi che agivano nella notte più profonda.

«Davvero? Era un complimento?» Perché Merlin non credeva alle sue orecchie.

«Non essere stupido» ringhiò Arthur prima di lasciarsi andare in un sorriso, sentendo la risata del suo servitore.

L’atmosfera quella notte era surreale: entrambi sapevano di star andando incontro alla morte, ma non potevano proprio fare a meno di cercare un briciolo di sollievo anche in quel momento e di ridere come se non ci fosse un domani, come se fossero le ultime due persone sulla faccia della terra.

 

Gli altri cavalieri, intanto, percorrevano la torre oscura, carica di spiriti intenzionati a ucciderli. Dovevano ritrovare il loro Principe, di sicuro era rimasto bloccato da qualche parte nella torre con Merlin, in pericolo.

Ma era rischioso girare per la torre. Molte erano le scale a chiocciola, molte le porte da aprire. Un labirinto buio e deserto. Solo il fuoco poteva allontanare i Dorocha, e loro avevano un’unica torcia a proteggerli tutti quanti. 

Vagavano in quel labirinto di pietra in cerca dei loro compagni.

Ispezionavano ogni cunicolo, illuminavano ogni angolo.

 

 

Il silenzio era tornato a regnare. Arthur osservava il corpo di Merlin plasmato dalle ombre: la testa era inclinata contro il muro, il petto si alzava e abbassava sotto la luce fioca della luna, e le labbra tremavano per il respiro profondo. Aveva gli occhi socchiusi, e si torturava continuamente le mani mordicchiandosi le unghie, ora sfregandole fra loro, ora cingendole attorno alle ginocchia raccolte.

«È la prima volta che mi succede» Arthur spezzò il silenzio «non ho mai temuto la morte».

Merlin alzò il capo, per guardarlo negli occhi «Continuate a non temerla». Le sue parole immobilizzarono Arthur «A volte mi lasci perplesso, Merlin».

«Non mi avete mai osservato bene» Già, era quello il problema. Arthur credeva di conoscerlo, mentre si accorgeva poco a poco che non aveva mai compreso a pieno Merlin; gli era sempre sfuggito come granelli di sabbia dalle dita. E ora a quel pensiero gli prudevano le mani. «Già…»

Merlin fece un debole sorriso, se così si poteva chiamare la smorfia sul suo viso.

Sentirono un rumore provenire dall’esterno, e la sua magia scattò subito in allerta, mossa dentro di lui. Reagì d’istinto e si protese verso la porta, come se questo movimento lo rendesse più sicuro. O forse rendesse più al sicuro solo Arthur, che si era visto Merlin avvicinarsi velocemente, rimanendo accucciato in bilico davanti a lui, reggendosi col braccio alla parete, pronto a tutto pur di difendere il suo principe, se qualcosa fosse entrato da quella porta.

Poi più nulla, e seguirono altri attimi silenziosi.

 

La notte aveva inghiottito le parole, ed era formata dai loro respiri ansiosi, e dai loro battiti accelerati. Perché sapevano di stare sfidando la morte. Era lì, palpabile e presente. I loro visi tremavano nell’ombra, il legame fra i loro occhi li rendeva più vicini che mai.

 

«Se le cose fossero state diverse» sussurrò Merlin «saremmo stati buoni amici».

«Sì» La voce calda di Arthur gli provocò un brivido lungo la spina dorsale, e in un attimo quel freddo di cui prima avevano parlato gli entrò nelle narici, rendendogli gli occhi lucidi. Poggiava la mano destra ancora sul muro, proprio affianco alla sua testa. Si accorse troppo tardi di essergli più vicino di quanto credesse, solo quando sentì il suo respiro sulla pelle, quando poté osservare a fondo i suoi occhi azzurri scrutarlo nel silenzio. 

Forse fu la paura imminente di perderlo, o il desiderio di riaverlo un’ultima volta che spinsero Merlin ad avvicinarsi ancora di più, e a socchiudere gli occhi allo sfiorarsi dei loro nasi. Un altro brivido gli attraversò le membra dal petto lungo la schiena, fino alle gambe.

 

 

 

E così come si era avvicinato, tutto d’un tratto spalancò gli occhi e si allontanò.

Sapeva ciò che stava per rifare, e non voleva ricommettere lo stesso errore che lo perseguitava da qualche tempo. Un “no” sussurrato gli morì in gola. Arthur strinse con vigore la sua spalla, i suoi occhi erano lame di spade: «Non allontanarti».

«Arthur, no» La voce di Merlin era spezzata come dopo un lungo pianto «Ti prego, non di nuovo».

«Stanotte potremmo morire»

«Sì» sussurrò Merlin «lo so» in preda al panico.

Sentì la mano di Arthur muoversi piano dalla spalla e accarezzargli i capelli ciocca per ciocca, passare alla nuca e scendere lungo collo, segnando lenti cerchi con le dita ruvide e grandi. Merlin ritremò, sentendosi soffocare. «Che diavolo state facendo?» rantolò, con il respiro affannato di chi non ha la situazione fra le mani.


«Se oggi dovesse essere l’ultimo giorno, se tutto dovesse finire così-»

«Arthur, state uscendo di testa» La presa dietro il suo collo si fece più forte, Arthur voleva mostrare il proprio possesso sul suo corpo. Strattonò il viso di Merlin davanti al suo «No. Non ci sarebbe più niente» sussurrò sulle sue labbra. Merlin cercò di allontanarsi «State tranquillo, usciremo vivi da qui, sicuramente ci troveranno», ma Arthur sembrava lontano, non lo stava ascoltando e continuava a ripetere frasi sconnesse «Più niente… niente!», mentre la stretta sul suo collo iniziava a fargli male, e così gli sfuggì un gemito di dolore.

E allora nel sentirlo, Arthur si calmò e allentò la presa. Si stavano fissando e respirando addosso, quando il suo sguardo si concentrò sulle labbra di Merlin. Un sussurro, una preghiera: «Baciami».

 

Un po’ per il freddo, un po’ per reazione, Merlin scosse la testa. «Arthur, no. Voi amate Guinevere»

Arthur restò immobile a fissare le sue labbra ancora, respirando piano. «Ti rendi conto che potremmo» digrignò i denti, e la sua mascella si fece più tesa «essere uccisi, qui, stanotte?».

«Questo non conta, Arthur, non è un buon motivo mandare all’aria tutto ciò che avete costruito con lei!» Merlin lo scosse per la spalla, aveva ancora lo stesso barlume di luce negli occhi, e non voleva guardarlo. 
«Basta con questa storia» sussurrò «basta», forse più a se stesso che a lui, la voce di nuovo incrinata dal pianto. Lo scosse di nuovo, perché ancora non otteneva risposta. «Guardatemi! Voi avete lei!»

Arthur si umettò le labbra, e con un lento movimento di palpebre sussurrò lentamente: «Io ho te».

 

E Merlin rimase pietrificato.

Per un attimo non sentì più l’aria entrare nel corpo, non sentì più alcun rumore e davanti a sé vide solo gli occhi di Arthur. Era difficile mantenere il controllo, adesso. Aveva ancora il corpo bloccato, il sangue raggelato, ma gli accarezzò il viso. «La paura vi gioca brutti scherzi» sussurrò, portandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio con la mano tremante. Ma Arthur prese quella mano nella sua e la tenne sulla guancia, «Non scherzo» disse accarezzandola.

Merlin si umettò le labbra. Sentiva il suo corpo cedere a quelle attenzioni, stava tremando ed era sicuro che il freddo non fosse l’unica ragione. Arthur continuava ad accarezzargli il dorso della mano. Ora l’indice, ora il medio, ora giù verso il polso, e poi ancora sull’anulare, fino ad arrivare al mignolo, e poi ancora.

Sentì qualcosa insinuarsi sotto la sua maglia e subito s’irrigidì. Gli ci volle qualche battito di ciglia per capire che era l’altra mano di Arthur ad accarezzargli la schiena. Era gelida e grande, e stava percorrendo con una lentezza disumana ogni sua vertebra.

Sotto le sue carezze, era riuscito a rilassarsi di nuovo. Erano ancora vicini, l’uno a fissare l’altro negli occhi, e Merlin si sentiva terribilmente fragile, protetto da una bolla di sapone, pronta a rompersi da un momento all’altro. La sua magia non riusciva a tenerlo lontano da Arthur, non quando lo aveva così vicino, quando il suo profumo gli invadeva le narici e le sue mani riscaldavano la sua pelle.

Bastò un soffio lontano, un rumore quasi impercettibile a far voltare Merlin per un secondo, giusto quello che bastava ad Arthur per rompere la sua bolla.

E quando Merlin si rigirò, fu invaso dal respiro di Arthur sul suo e non poté impedire alle sue labbra di avvicinarglisi un’ennesima volta.

Solo che, diversamente dalla volta precedente, adesso Merlin piangeva.

Arthur lo stava baciando e accarezzando il suo viso sentì le sue guance bagnate. «Ehi» sussurrò sulle sue labbra, cercando il suo sguardo. «Che succede?»

Merlin non riusciva più a trattenersi, tremava più forte e molte lacrime gli bagnavano il viso. Cercava di mantenere il respiro fermo, ma i fremiti lo annientavano e la calma non riusciva a possederlo. Prese il viso di Arthur fra le mani e con fermento lo spinse quanto più poteva contro il muro baciandolo.

 

 

 «Volevo passarci sopra, volevo-» singhiozzò sulle sue labbra «Non doveva succedere… di nuovo. Non so che cavolo ti giri per la testa in questo periodo, ma ti assicuro che tutto ciò non va bene e che a me fa male».

Fece un respiro profondo, tenendo ancora stretto il viso di Arthur fra le sue mani: «Ci tengo a te, se non te ne fossi accorto,» e nel dire queste parole sentì la mano sulla sua schiena stringerlo più forte «ma sappiamo entrambi che il tuo futuro non è con me. Dobbiamo starci lontano, Arthur.» La stretta aumentava. «Dobbiamo farlo insieme, perché io da solo non posso farcela» e un altro singhiozzò gli scosse il petto, mentre stringeva le sue ciocche di capelli e si lasciava andare al pianto contro il petto dell'altro.

Arthur lo aveva ascoltato e ora lo vedeva, inerme sotto la luce della luna a piangere lacrime amare. Stava così per lui, e quella era l’ultima cosa che avrebbe voluto vedere.

 

Gwaine sconfisse l’ennesimo Dorocha.

Ne avevano già trovati una decina quella notte, ma di Arthur e Merlin neanche l’ombra. Giravano e rigiravano più volte, sempre le solite strade e le solite porte, la torre che li ingannava, pareva li volesse tenere rinchiusi la notte intera.

Chissà se sarebbero sopravvissuti a quella lunga notte, chissà se avrebbero ritrovato Arthur e Merlin, vivi.

Un urlo possente lo riportò alla realtà, e si rese conto che per poco il suo amico Leon non ci aveva lasciato le penne, in quella torre. Non potevano distrarsi neanche per un secondo, né chiudere occhio.

Continuavano a vagare.

 

 

Merlin aveva ancora gli occhi rossi, ma era tornato a debita distanza e non era riuscito più a guardare Arthur negli occhi, mentre quest’ultimo non faceva che osservarlo.

Un rimbombo rintronò nella stanza. Proveniva da fuori, ma non doveva essere troppo lontano.

Merlin finalmente guardò Arthur d’istinto, e vide le sue labbra serrarsi e diventare più sottili. Era preoccupato almeno quanto lui.

«Dicono che l’ora più oscura sia quella prima dell’alba» Gli occhi di Arthur vagavano verso il cielo nero fuori dalla finestra sopra di loro. La sua voce era presente, l’udito attento a ogni minimo rumore.

«Adesso è abbastanza oscura»

«Finirà presto, Merlin»

Un sussurro «Lo penso anch’io».

 

All’istante un urlo inquietante, angoscioso, straziante.

Un Dorocha irruppe nella stanza.

Arthur sfoderò la spada e fece forza sulla mano per alzarsi, quando fu placcato dall’agilità di Merlin che lo superò, e che andò incontro alla morte con uno slancio veloce, nell’urlo che lacerò le corde vocali di Arthur, come una mano che strappa un cuore pulsante dal petto.

E Lancelot e gli altri entrarono nella stanza appena il corpo di Merlin toccò terra, allontanando il Dorocha con la torcia, salvando almeno Arthur.

 

Almeno.

 

Forse.

 

 

Il terzo fu il brivido, nella notte più buia.









Note!
Oddio, guardate veramente non so che dirvi. Cioè non so quanti di voi leggeranno veramente queste note, ma per chi lo farà volevo scusarmi seriamente per un immenso ritardo nel pubblicare il capitolo e nel rispondere alle recensioni.
Sono veramente dispiaciuta, ma un po' il blocco dello scrittore, un po' il periodo, questa storia l'avevo lasciata un po' andare.
Tuttora non è ancora finita, ma è mio dovere (verso me stessa) finirla, anche se ciò potrebbe impiegarmi mesi e mesi.
Grazie mille (duemila e tremila) per aver aggiunto la storia ai preferiti, ai ricordati e ai seguiti, e soprattutto grazie per averla recensita! Scusate il terribile ritardo ma veramente, grazie mille.
Non vorrei sembrare troppo ripetitiva, casomai mi venisse in mente qualcosa da aggiungere lo scriverò qui.
Un bacione e al prossimo bacio (sperando che non arrivi troppo tardi)
Mara :)

P.S.: mi pare normale, non pubblico da mesi e mesi e, la prima volta che lo faccio, lo faccio alle 3 di notte. Uoh oh.

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Capitolo 4
*** Il Quarto ***


1111

Pre-lettura: Da questo capitolo in poi si perdono un po' i contatti con il telefilm. Ci saranno certi momenti importanti presenti, ma non precisi minuziosamente o più che altro da un punto di vista temporale. Niente di che comunque.





La tavolozza ha sette mutamenti

 

La tavolozza ha sette mutamenti,
uno per ogni bacio che mi hai dato.
Sette baci di labbra e assoluto.
                                                                                          Alda Merini



Il Quarto
 

Il quarto fu delicato, una culla per l’anima.


Arthur era tormentato da incubi, malgrado fossero passate settimane da quella notte. Vedeva nitido il viso di Merlin nella sua mente: la pelle grigia, la mascella tesa, la vena verde brillante sulle tempie; e gli occhi, come nebbia, spalancati e fissi nel vuoto mentre lasciavano fiumi di lacrime.


Eppure Merlin ora stava meglio, era riuscito a scampare alla morte, e la loro vita a Camelot era tornata abituale.


O quasi…


… Perché quella faccenda nella grotta aveva lacerato l’animo di Arthur, e le parole di Merlin ancora gli rimbombavano in testa: “Dobbiamo starci lontano, io da solo non posso farcela”. Aveva preso quelle parole alla lettera. Il problema ora era che Arthur inizialmente si era ritrovato confuso per i sentimenti che provava per Merlin, ma questa distanza ostentata non aveva aiutato a farglielo allontanare dalla testa, anzi gli aveva fatto capire che ormai era una parte importante della sua vita.

Indispensabile.

Il loro rapporto non era più come prima, e i primi ad accorgersene furono gli abitanti di Camelot. Non vedevano più i due ragazzi scherzare tra di loro e rincorrersi fra le mura, né fare passeggiate o punzecchiarsi l’un l’altro. A dirla tutta Merlin cercava ogni scusa possibile pur di non passare del tempo con Arthur. Aveva aperto il suo cuore a lui, nella grotta. Aveva versato le sue lacrime, e ora si vergognava tremendamente dei propri sentimenti che non riusciva più a guardarlo negli occhi.


«Ma mi stai ascoltando?» Ripeté il principe alzando il tono di voce, anche se neanche questo riuscì a destare Merlin dal lucidare il tavolo delle sue stanze.

«Merlin!» urlò sbattendo le mani sul tavolo su cui stava lavorando.

E allora eccolo che sobbalzò al richiamo. «Sì, Sire?» Aveva un colorito più chiaro del solito e delle occhiaie più scavate. Non si notava parecchio, ma Arthur lo conosceva abbastanza bene da accorgersi che doveva aver passato parecchie notti insonni.

Ma continuava a non guardarlo. Merlin fissava prima il pavimento, poi il tavolo, la finestra, e la porta. Muoveva lo sguardo e non sapeva dove fermarsi.

«Devi andare a preparare i cavalli per domani, accompagnerò Sir Percival e Sir Gwaine al controllo dei confini» disse Arthur mentre cercava il suo sguardo, il busto teso in avanti verso Merlin e le mani appoggiate al tavolo. Stava cercando di iniziare una conversazione.

«Sì, Sire» rispose atono Merlin.

«E devi passare in cittadella da Arold per i miei stivali di pelle di serpente».

«Sì, Sire» stesso tono.

«E poi è meglio se vai a riposarti per oggi».

«Sì, Sire»

«…Ti vedo abbastanza stanco ultimamente»

«Sì, Sire»

Arthur gli alzò velocemente il mento con la mano senza pensare e «Dico sul serio, ti vedo stanco» ripeté. Ed eccoli, finalmente, i suoi occhi color ghiaccio. Sapeva di aver rischiato con quel contatto, e si era subito accorto di quanto Merlin fosse diventato teso, ma non poteva fare altro. «E guardami negli occhi, la prossima volta» ma non arrivò alcuna risposta, il «Sì, Sire» morì nella gola di Merlin, che sussultò e inghiottì a labbra socchiuse.

Merlin dovette allontanarsi da quel contatto e uscire dalla stanza. «Vado» disse in fretta facendo un breve inchino e dileguandosi, lasciando Arthur immobile a fissare il punto dove stava fino a qualche secondo prima.

Merlin si chiuse la porta alle spalle, e a quel punto il fuoco che gli bruciava nel petto si propagò in tutto il corpo, e si appoggiò contro un muro del corridoio, afferrandosi i capelli con le mani e scivolando piano lungo la parete. Le lacrime gli bagnavano il volto, ma non poteva rischiare di farsi vedere così. Si asciugò il viso con il fazzoletto al collo, e reggendosi alla parete si rialzò, ora più distrutto di prima, con gli occhi gonfi e arrossati. Tutti quei sentimenti, tutti quei pensieri e desideri, doveva tenerseli solo per sé, e doveva conviverci.

Peccato che Arthur, col suo comportamento, non lo aiutasse per niente.

Prese un respiro profondo e scese le scale. Non credeva che un sentimento così forte potesse distruggerlo così tanto.

Ora come ora doveva solo pensare ad Albion, al futuro che gli si sarebbe presentato davanti libero e sereno, e non a questi dannati pensieri che lo riportavano sempre ad Arthur.

Ma il dover andare a preparare il Suo cavallo e a prendere i Suoi stivali non lo aiutavano proprio nel suo intento.

 

 

*

 

 

Se già la vita lì a Camelot stava distruggendo Merlin, gli eventi che accaddero nei giorni successivi non fecero che peggiorare la situazione. In modo drastico.

Nel giro di un ciclo lunare Arthur si era ritrovato orfano anche di padre, re di Camelot, e senza più una futura moglie. Gli era caduto il mondo addosso. Guinevere l’aveva tradito per Lancelot, era ceduta alla passione e Arthur li aveva colti sul fatto. Senza ragionare per più di un secondo l’aveva cacciata dal regno, non aveva esitato alle sue lacrime e alle sue scuse, e adesso si sentiva debole come non mai.

Aveva perso ogni certezza nel giro di così poco tempo, e Merlin aveva deciso che doveva stargli più vicino che mai, e non pensare per un attimo ai suoi problemi e concentrarsi solo su Arthur. Lo vedeva troppo distrutto per poter pensare a se stesso.

Si era allenato tutta la sera nei giardini del castello, e non aveva permesso a nessuno di avvicinarglisi, se non a Merlin, che se ne stava in un angolo a osservarlo, mentre lottava contro il fantoccio. Affondava colpi su colpi con la sua spada, concentrava tutta la sua forza in quei gesti, si stava sfogando di tutta l’ira che aveva in corpo.

Poi tutto d’un tratto aveva buttato la spada e l’elmo a terra, e si era girato verso Merlin, continuando a non proferir parola. Aveva ancora uno sguardo teso e ormai i due si capivano a sguardi. Merlin si avvicinò e iniziò a togliergli il resto dell’armatura, sotto il suo sguardo ispettore. Ogni tanto si guardavano a vicenda, ma da loro non usciva alcuna emozione. Quando Merlin iniziò a mettere a posto i pezzi dell’armatura, lo vide con la coda dell’occhio andarsene via, pensò, verso le sue stanze.

Così quando finì, entrò lentamente nella stanza, e lo trovò seduto sul bordo del letto a fissare il pavimento. Per non sembrare troppo invasivo si mise a pulire dell’argento che trovò sul tavolo.

 

L’unico rumore che riempiva l’aria era lo sfregare di Merlin su piatti e stoviglie antiche, Arthur aveva richiesto espressamente di non volere niente per cena, e adesso il buio aveva invaso le finestre, e solo le candele illuminavano la stanza.

 

Passò altro tempo e il silenzio era ancora sovrano.

 

«Non so più cosa fare» disse a un certo punto Arthur, e Merlin non capì subito se stava effettivamente parlando con lui o solo riflettendo ad alta voce. Tuttavia decise che era meglio rispondere «Dovete farvi forza … avete solo bisogno di tempo».

Arthur sbottò: «Merlin, io non ho tempo! » E continuò tutto d’un fiato «Che cosa penserà ora il popolo di me? Sono stato preso in giro! Avevo promesso ai miei sudditi stabilità, e invece cos’hanno? Un re che non è affidabile nemmeno nella sua vita privata! » era diventato rosso in viso e fissava un punto dritto di fronte a sé, come se Merlin non fosse in stanza.

«La gente non pensa questo di voi, davvero. Sento cosa dicono i cittadini, e potete starne certo. Sono cose che capitano a tutti e loro vi comprendono, Arthur» disse Merlin con l’intento di calmarlo.

«Come fai a essere sempre così positivo? Ti prego, dimmelo, Merlin. Perché io proprio non ci riesco» Adesso Arthur lo fissava sconcertato, gli occhi celesti spalancati e la mascella più tesa del solito.

«Io… servo a questo. È difficile, lo so, ma» Merlin sospirò, in tutti quegli anni non l’aveva mai visto così provato «non siete solo. Non lo sarete mai».

Lo vide coprirsi il viso intero con le mani, e poi borbottò: «Io non so cosa fare. Io…».

Merlin lasciò stare le stoviglie sul tavolo e si avvicinò al letto, di fronte a lui «Da quando vi conosco, Arthur, siete maturato e cresciuto, non siete più il ragazzino di un tempo. Saprete come affrontare anche questa situazione, lo so. » Nel frattempo lo vedeva contorcersi e fare smorfie. «Ci saranno tempi migliori e noi li vedremo. Ora siete un re, e dovete affrontare ogni problema a testa alta».

Un sussurro triste: «Merlin…»

Merlin mise una mano sulla sua spalla: «Vedrete che si risolverà tutto. Anche se lei vi ha tradito, date tempo al tempo».

«No, non posso perdonarla, capiscimi. Ha tradito me e il mio popolo» spiegò Arthur, sempre con la stessa voce strozzata.

«Dovete ancora ragionare a mente lucida. Farete la scelta migliore, lo so»

«Non è facile»

«No, e non deve esserlo» ribatté  all’istante Merlin. Aveva ancora la mano sulla sua spalla, e con un sorriso malinconico la stava accarezzando.


Arthur lo prese per la maglia e lo avvicinò a sé, facendogli spazio in mezzo alle gambe, per godersi meglio le sue carezze.



Passarono altri attimi di silenzio, anche se la tensione si era un po’ attutita.


«Non so come farei se non ci fossi tu» sussurrò Arthur preso dalle carezze di Merlin, che erano passate al collo, alla nuca, e ai capelli. Non ricevette risposta e così andò avanti: «Io… io non penso più che Gwen sia così indispensabile nella mia vita».

La mano di Merlin si fermò e la sua risposta fu più dura del previsto: «Io invece penso che dovreste darle un’altra opportunità».

Arthur alzò la testa per incontrare il suo sguardo «Merlin, mi stai di nuovo allontanando da te… io ti vedo, so che stai male, io… non pensi che forse non sarebbe così sbagliato? Perché continui ad evitarmi?» chiese esasperato.

Merlin però non ce la faceva a mantenere il contatto con i suoi occhi, specie quando i suoi si stavano velando di lacrime, quindi guardò davanti a sé, oltre a Arthur. «Ve l’ho già detto, Arthur, lo faccio per il destino» e a quelle parole trite e ritrite si perse in una smorfia malinconica che non sfuggì ad Arthur.

«Il destino ci ha fatto incontrare, ricordalo» Cercava di nuovo il suo sguardo, invano.

Niente, Merlin si era chiuso a riccio, nelle sue false convinzioni. Anche se aveva ricominciato con le leggere carezze. «Sarete felice c-con lei» La sua voce però era inclinata, non stava pensando le parole che diceva.

«Merlin, tu» gli chiese Arthur sussurrando «… mi ami?».


Per Merlin il tempo si fermò. Arthur lo notò dai suoi occhi vitrei.



La verità è che non sapeva neanche lui stesso se lo amava. Provava qualcosa, era inevitabile, ed era anche qualcosa di molto forte, ma era davvero amore? No, non poteva… Albion, la magia, Camelot… avrebbe buttato tutto a rotoli per Arthur?

… Sì.

Avrebbe dato la sua stessa vita senza pensarci due volte. Avrebbe voluto essere suo, sì.

E rimase scosso dalla sua stessa risposta.


Gli uscì una voce affannata, e poco convinta: «Sh… ora riposate, ne avete bisogno» ma era proprio lui che aveva bisogno di chiarirsi le idee.

Entrambe le mani di Merlin ora erano sulle spalle di Arthur, e continuando a non guardarlo sentì le sue braccia cingergli la schiena, e avvicinarlo a sé. Aveva il suo viso contro lo stomaco, e riusciva a sentire il suo respiro su di sé.

Prese il viso di Arthur fra le mani, lo allontanò un po’ e si chinò su di lui per averlo di fronte a sé. Lo osservò per qualche secondo: i suoi occhi azzurri lo guardavano a palpebre socchiuse, e il suo viso ora era finalmente rilassato. Merlin posò le sue labbra sulla fronte dell’altro in un bacio casto e purissimo, scostando le ciocche bionde che lo intralciavano. Sentì le braccia attorno a sé farsi più strette. La fronte di Arthur era calda, e poteva sentire il suo respiro sul suo collo. 


Con la stessa lentezza con cui si era avvicinato separò le labbra da lui con un leggero schiocco e fece per allontanarsi, ma le sue braccia lo strinsero ancora di più, e così rimase con il suo viso fra le mani, e i loro respiri l’uno sull’altro.


I loro nasi si sfioravano. Arthur notò gli occhi chiaramente lucidi di Merlin.

«Rimani con me stanotte» gli disse.

«Arthur, non mi sembra una buona idea…»

«Ti prego, fallo per me»

«Beh, ma-»

«Per favore, Merlin» la sua voce era diventata un sussurro.

Arthur era troppo distrutto quella sera. Merlin non voleva che stesse ancora peggio e, seppur con tutta la forza che poteva imporsi, non riusciva a evitare di voler rimanere con lui. In fondo, non avrebbe più voluto dover indossare quella maschera.

«Va bene» Sospirò, e si allontanò definitivamente da quel contatto, iniziando a girare per la stanza «Coraggio, sdraiatevi, che spengo le candele e arrivo».

 

 

 

Ognuno sul proprio lato del letto, si ritrovarono nel silenzio e nel buio totale.

«Grazie» sussurrò Arthur, e anche se Merlin era voltato di schiena percepì il suo sorriso dallo sbuffo che fece.

 

 

 

 

Un lampo, un tuono.

Non riesco a girarmi, sono bloccato.

Un corridoio. È buio, non vedo.

 

Un altro lampo. Una figura lì in fondo.

È vicina, sfocata. Corro verso di lei.

È Guinevere.

Mi guarda impaurita, i suoi occhi diventano bianchi, cade a terra. Non posso aiutarla. Non posso muovermi.

Vedo mio padre, è lontano e mi guarda. Borbotta qualcosa che non riesco a capire, mentre il corpo disteso davanti a me si muove e cambia forma.

Capelli neri.

Viso appuntito.

Orecchie a- Merlin!

Merlin è lì, è… Ha gli occhi vitrei, esce del sangue a fiotti dalla bocca, bisogna fermarlo! La pelle è grigia! Devo salvarlo!

No!

Merlin! Merlin, rispondi! Provo a toccarlo ma non posso raggiungerlo.

 

D’un tratto ecco che ricambia. Ecco che ritorna Guinevere.

Mi sento sollevato.

Mi sento sollevato, e ciò mi preoccupa… preoccupa il mio subconscio.

 

Poi nuovo. La sua faccia davanti a me.

 

Morto.

 

Merlin!

No!

 

Merlin!

 

Arthur si svegliò di scatto e tirò su il busto dal letto. Respirava a fatica, e sentiva la pelle bagnata dal sudore. Si mise le mani sul viso e cercò di respirare nel modo più calmo possibile. Quando sentì un respiro alla sua destra, e allora si voltò improvvisamente.

Si era dimenticato che lì con lui c’era Merlin, e ora grazie a Dio lo vedeva. Aveva gli occhi aperti –anche se ancora assonnati, e lo stava fissando preoccupato.

«Ehi» disse Merlin con una voce roca e impastata. «Tranquillo» gli prese il braccio e lo accarezzò, sorridendo «era solo un incubo». Sembrava così innocente ora, con i capelli arruffati e il collo libero dal suo solito fazzoletto, che Arthur non poté che ripensare all’istante al viso del suo incubo. «…Già» rispose Arthur in un sussurro, pur affannando ancora, e reagì d’istinto. Si sdraiò di nuovo e lo attirò a sé con il braccio sinistro, tenendolo abbracciato davanti a sé. Sentiva il suo calore addosso, e ora si sentiva al sicuro, potendolo proteggere. Merlin sorrise e si rivoltò dall’altra parte, rimanendo con la schiena contro il petto di Arthur e il suo respiro vicino all’orecchio. E così anche Arthur si riaddormentò facilmente.



Il quarto fu delicato, una culla per l’anima.









Note:
Buonaseraaaa :)
Scusate per l'attesa! Sicuramente è stata più breve della scorsa, ma guardate io proprio non so pubblicare a date prestabilite! Spero che mi perdonerete lo stesso!
Non ho molto da dirvi su questo capitolo. Ormai, per Merlin soprattutto, ogni capitolo è decisivo per le sue idee e i suoi pensieri. Ultimamente non scrivo molto sui pensieri dei personaggi, preferisco farli uscire fuori a gesti e a parole, anche se sono ancora all'inizio purtroppo... non so se questa cosa si nota o che, mi farebbe molto piacere avere un vostro parere, per sapere come viene visto da chi legge :) Che ne so, magari potrebbe sembrare un modo di scrivere troppo freddo proprio perché ancora non sono abituata, oppure potrebbe sembrare poco curato e buttato lì a spizzichi e bocconi... non so.

Comunque, volevo ringraziare tutte le lettrici che hanno recensito la storia fino a qui, che la seguono, e che l'hanno messa tra ricordate o preferite! Davvero, grazie mille!


Infine, questo capitolo lo dedico a mia cugina Ladyan, perché era troppo impaziente e spero di non averla delusa con questo capitoletto <3

Spero che abbiate letto in modo piacevole il capitolo e di avervi interessato ancora di più alla continuazione della storia :)
Se qualsiasi cosa non fosse chiara chiedete pure.

Buon proseguimento ;)
Mara

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Capitolo 5
*** Il Quinto ***


1111





La tavolozza ha sette mutamenti

 

La tavolozza ha sette mutamenti,
uno per ogni bacio che mi hai dato.
Sette baci di labbra e assoluto.
                                                                                          Alda Merini



Il Quinto
 

Il quinto fu sincero, per entrambe le facce della medaglia.   

Il gran giorno era arrivato: il suono pomposo delle trombe riempiva tutta la cittadella, le file di gigli che costeggiavano la gradinata del palazzo lasciavano un profumo dolce nell’aria, e oltre alla sala principale preparata per la cerimonia, si aveva già l’acquolina in bocca al solo avvicinarsi alle cucine di coorte, dove la scia dei succulenti arrosti conquistava le narici.

Merlin stava correndo a destra e a manca dalla prima campana del giorno, le gambe gli dolevano e pulsavano, ma nel castello erano tutti indaffarati e nessuno aveva un attimo di pace. Il borbottio continuo della gente lo stava rintronando. Non aveva ancora visto il Principe quella mattina, doveva essere tirato a lucido per l’evento, e servitori più specializzati di lui lo stavano sicuramente già sballottando da una parte all’altra per renderlo perfetto nel suo giorno migliore.

Sistemata l’ennesima tovaglia per il pranzo riservato a nobili e cavalieri, andò a dare un’occhiata nelle stanze reali, per vedere se tutto procedeva per il verso giusto.

L’abitudine gli fece percorrere quella strada a occhi chiusi, e in men che non si dica si ritrovò lungo il corridoio delle Sue stanze, ma qualcosa non andava: una decina di servitori erano in fila oltre le porte sbarrate delle stanze di Arthur, urlando e gesticolando animatamente contro le guardie.

Si avvicinò a quel vociare…

«Non può non farci entrare!»

«Abbiamo un compito da svolgere!»

«Un matrimonio non si prepara da solo!».

Capì la situazione. Riusciva quasi a sentirli, i passi di Arthur pesati sul pavimento in ebano, il suo avanti e indietro lungo la stanza, le falcate dalla finestra al letto, dal letto al tavolo.

«Ma che diavolo succede qui?» chiese alla guardia che bloccava le porte.

«Il re oggi non vuole assolutamente che entri nessuno nelle sue stanze».

«Lascia fare a me»

«Ma Merlin…»

«Sono il suo servitore»

«Anche tutti loro» gli mostrò la guardia con un braccio, anche se lo sguardo cui andò incontro gli fece capire che non sarebbe servito a nulla controbattere.

Il rapporto tra Arthur e Merlin era risaputo. Era il suo servitore, certo, ma era il solo che sapeva temprare l’animo del nobile, e chiunque lavorasse a coorte poteva giurarlo.

Così la guardia aprì la porta per far entrare Merlin, che prima che la richiudesse gli sussurrò «Non fare assolutamente entrare nessun altro, nessuno» e l’ultima cosa che vide fu l’annuire della guardia.

 

Merlin prese un respiro profondo e si voltò: c’erano libri sparpagliati per terra, pagine strappate ovunque, le coperte del letto sgualcite che ricoprivano il pavimento, e poté giurare di vedere le piume d’oca del cuscino sul lampadario. Arthur era nel mezzo di quel marasma, i calzoni addosso e una camicia bianca i cui bottoni erano stati chiusi nei buchi sbagliati. Rabbioso, si avvicinò a Merlin a grandi passi.

«Che ci fai tu qui?» gli inveì contro «Avevo detto che non volevo vedere nessuno!».

«Arthur, non mi sembra il caso» Merlin mise davanti a sé una mano per fermarlo «Tutto il regno è in fermento solo per voi, dovete prepararvi!».

«Vattene via»

«Arth-»

«Merlin. Ho detto Vattene via» ripeté Arthur, facendo grandi respiri come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.

«Perché vi comportate così?»

L’espressione di Arthur s’irrigidì a quella domanda, e spalancò gli occhi incredulo.

«Tu, ma come ti- oh, dannazione!» e fece grandi passi verso il camino spento, rovesciando con una sola manata i cimeli d’argento prima ben esposti sulla mensola. Caddero sul pavimento come un tuono in tempesta.

Merlin gli si avvicinò di fretta. «Mi volete dire che vi succede, ancora?»

Arthur aveva appoggiato le mani sulla mensola appena svuotata, e adesso fissava il pavimento sotto di sé. Riprese fiato, chiuse lentamente gli occhi, e quando si decise a riaprirli pesò le parole che uscirono dalla sua bocca, la voce estremamente calma.

«Ti sei mai sentito incatenato, Merlin? Voler mostrare a tutti ciò che sei, ma non potere?»

Merlin sentì un fremito lungo la schiena «sì».

Arthur non aveva intenzione di continuare, così fu Merlin a spronarlo: «Perché dite questo?».

«Sai, se non fossi il re, sarebbe tutto più facile».

«Ne abbiamo già parlato. La vita non è mai facile»

Arthur voltò la testa verso di lui con la bocca socchiusa, riflettendo sulle sue parole. «Forse, ma alcune scelte lo sarebbero»

«È così difficile per voi sposarvi e pensare al vostro futuro?».

Arthur si allontanò finalmente dalla mensola, rimanendo in piedi di fronte al suo servitore.

I suoi capelli neri come la notte erano scompigliati, al solito. Gli occhi azzurri erano contornati da lievi occhiaie, il fazzoletto sgualcito allacciato malamente al collo, e spostava il peso del suo corpo da un piede all’altro. Non ci riusciva proprio, a stare fermo.

Arthur prese il suo mento fra indice e pollice e gli si avvicinò così tanto da sfiorare le sue labbra «Non vuoi proprio accettarlo, eh?» si riallontanò.

Le labbra di Merlin erano dischiuse, e si muovevano a un respiro che diventava affannato, sempre di più. Boccheggiava guardando dritto negli occhi di Arthur, cercando una risposta a quel gesto.

Ma non voleva realmente trovarla, aveva paura della cruda verità. Il suo sguardo volò per un attimo alla finestra, da dove provenivano urla di baldoria.

«Dovete prepararvi, è un giorno importante» e come se non l’avesse sentito, si diresse verso il letto, dove buttata malamente stava la giacca da cerimonia, sfarzosa e luccicante nei suoi decori in oro.

La raccolse e quando si girò Arthur lo aveva raggiunto, pronto a farsi vestire, senza proferir parola.

«Avete tutti i bottoni fuori posto» sorrise Merlin, anche se il suo viso rimaneva teso come un pezzo di legno. Riappoggiò la casacca sul letto dietro di sé e sistemò i bottoni della sua camicia, in rigoroso silenzio, solo il borbottio della cittadella in sottofondo. «Ecco fatto» disse dopo aver terminato il lavoro.

«Mer-»

«Siete in ritardo, dovete andare» non voleva permettergli di dire una sola parola. Doveva sposarsi e chiudere lì questo loro sciocco teatrino; andava avanti da troppo tempo.

Ma evidentemente anche Arthur la pensava allo stesso modo. Gli si avvicinò, così che Merlin rimase bloccato tra lui e il letto.

«Vuoi davvero che la sposi?» disse avanzando ancora, facendo perdere l’equilibrio a Merlin, che pur di non cadere si aggrappò con un braccio al suo collo. «Arthur, potrebbero vederci da un momento all’altro, non mi sembra il caso».

«Rispondimi»

«No, non ti deve importare quello che io voglio».

«E invece m’importa, non posso farci niente».

Merlin sbuffò scuotendo la testa «Dobbiamo andare», ma Arthur mise un ginocchio sul letto e si protese in avanti, obbligando un Merlin contrariato a cadere supino sul letto; sopra di lui, Arthur a carponi. «Arthur!»

«Vuoi vedermi fra le sue braccia?»

Merlin risbuffò e si guardò attorno deglutendo, per poi fissarlo negli occhi. Guardavano solo lui, e in quel momento pensò di non aver mai visto nulla di più bello.

«Eh? Vuoi sentirmi mentre la chiamo Mia amata ogni giorno?».

Era perfetto, il suo viso. Anche così rosso, tremante e arrabbiato.

«I nostri baci? Puro diletto? Merlin! So che non lo credi davvero!» Gli urlò addosso e finalmente si sfogò. Quella situazione era difficile per entrambi.

Merlin deglutì e chiuse gli occhi, non riusciva più a mantenere il contatto con i suoi.

Lui non voleva vederlo fra le braccia di Guinevere, non voleva che la chiamasse Mia amata e no, i loro baci non erano stati un incidente. E se n’era accorto quella notte, quando la sola paura di morire era riuscita a riavvicinarli.

Ma non riusciva ad accettarlo. Arthur sarebbe stato il re di Albion, e doveva avere una moglie pronta ad amarla e a dargli un erede, non lui.

Ora sentiva il respiro di Arthur pervadergli le orecchie, pesante e irregolare. Era tornato il silenzio tra loro.

 

«Merlin, io…» sussurrò, e Merlin socchiuse gli occhi, notando il viso di Arthur farsi più rilassato… più vicino «Ho davvero voglia di baciarti».

Si ricordò di quando l’aveva conosciuto, di quando l’aveva baciato nella tenda, di quando lo aveva accompagnato a ogni incontro con Gwen. Gli tornò sulla punta della lingua quella gelosia provata, quella morsa allo stomaco nel vederli insieme. Mentre ora era lì, Arthur era solo suo.

Schiuse le labbra e sussurrò sulle sue: «Allora fallo».

Arthur non se lo fece ripetere. Lo baciò, e le mani di Merlin si allacciarono attorno al suo collo, mentre con una mano Arthur si reggeva sul materasso, e con l’altra accarezzava il suo fianco sotto di sé.

Fu un bacio irruento, e Arthur non avrebbe voluto più separarsi dalle sue labbra. Anche Merlin era dello stesso avviso. Ne voleva di più, sempre di più. Inarcò la schiena per avvicinarsi a lui e Arthur lo tenne stretto a sé.

La passione li aveva avvolti. Arthur lo riappoggiò totalmente sul letto, e dopo avergli dato un ultimo bacio a fior di labbra, si spostò un po’ più in basso, ad accarezzare con le labbra la mascella di Merlin, a baciare lentamente il suo collo, mentre sentiva le sue mani intrecciarsi fra i capelli.

Fu quando baciò più ardentemente il suo pomo di Adamo che sentì un gemito uscire dalle labbra di Merlin, e un brivido gli percorse la schiena. Alzò il viso:

«Vorrei farlo all’infinito» sussurrò Arthur sulle sue labbra, accarezzandogli il fianco.

La barriera attorno a Merlin si era spezzata, non riusciva a non sorridergli «Lo farai».

«Ti sei deciso, finalmente?» sbuffò, lasciandosi andare a una risata.

«Io…» Merlin era ancora ammaliato dal vedere Arthur ridere così vicino a sé «mi sono accorto che, se ci stiamo comportando così, forse vuol dire che, insomma, il destino vuole… questo» e quando finì di parlare Arthur gli schioccò un sonoro bacio sulle labbra, mentre i suoi occhi brillavano di felicità.

«Resta il fatto che siete in ritardo, Sire» disse poi Merlin, tornando al tono che usava tutti i giorni con Arthur, come se non fosse successo niente, e come se non fosse ancora letteralmente sotto di lui sul suo letto matrimoniale.

«Già, devo sposarmi…» sussurrò Arthur con gli occhi spalancati, mentre si metteva più comodo con i gomiti ai lati della testa di Merlin. Si era dimenticato del matrimonio, di Guinevere, e di Camelot. «A te non dà fastidio?»

«Posso sopportare. Il popolo ha bisogno di un erede in cui sperare dopo di voi» disse Merlin, accarezzandogli i capelli.

«Ma adesso te-»

«Ci sono, e ci sarò»

«Me lo prometti?»

Occhi negli occhi «Sì, Arthur».

«E come faremo, beh, con… con tutti?»

«Tranquillo, ci penseremo su. Adesso alzati da qui e vai.»

 

Il quinto fu sincero, per entrambe le facce della medaglia.   









Note:
Buonasera, e buon San Valentino a tutti! :)
Scusate la lunghissima attesa, penso che ormai chi legga questa storia ci si sia abituato :/ non per scusarmi, anzi, sono proprio una frana coi tempi c___c

Comunque, ringrazio tantissimo voi lettori, chi fra voi recensisce, chi mette fra i preferiit-ricordati-seguiti e chi legge e basta :) siete importantissimi!

La storia è quasi giunta al termine... mancano ancora solo due baci :)
Spero di non farvi aspettare troppo per un mio prossimo aggiornamento :(


Tanti baci a tutti
Mara

P.S.: ho cambiato nome, già :) diciamo che questo è un po' più impronunciabile dell'altro, ma sono sempre mavruz ahahahah ;)

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