Beauty and the Beast

di CignoNero
(/viewuser.php?uid=155616)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un giovane ragazzo dal viso stanco e spaventato, indietreggiava sempre di più, mentre il suo pusher di fiducia accompagnato dai suoi due tirapiedi, era pronto ad attaccare. > Slim sferrò un pugno sul ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Un giovane ragazzo dal viso stanco e spaventato, indietreggiava sempre di più, mentre il suo pusher di fiducia accompagnato dai suoi due tirapiedi, era pronto ad attaccare. > Slim sferrò un pugno sul ***


CAPITOLO .1

 

<> Un giovane ragazzo dal viso stanco e spaventato, indietreggiava sempre di più, mentre il suo pusher di fiducia accompagnato dai suoi due tirapiedi, era pronto ad attaccare.

<< Dove sono i miei soldi fottuto bastardo? >> Slim sferrò un pugno sul volto del giovane ragazzo e lo lasciò sanguinante sull’asfalto.

<< Ti do ventiquattro ore per pagare la merda che ti fumi con i tuoi amichetti, dopodiché ti ritroverai con una pistola puntata alla tempia. >> Si chinò e prese il ragazzo per la maglia facendolo rialzare. Poi gli voltò le spalle e sparì nell’oscurità di quel vicolo della città di Milano.

Slim era il peggior spacciatore in circolazione, non perchè facesse male il suo lavoro, ma perché era una pessima persona.

Tutti lo descrivevano come una bestia, un mostro di uomo privo di sentimenti, il suo cuore era gelido come il ghiaccio. Tutti a Milano parlavano di lui, e tutti sapevano che, se gli avessero mancato di rispetto, si sarebbero trovati con un’arma da fuoco puntata alla tempia e il cervello nelle mani di Slim. Insomma era il boss della città di Milano.

Ovviamente come tutti i boss che si rispettano, anche Slim aveva dei tirapiedi. Una banda di ragazzini pronti a morire per il loro capo. Avevano tutti tra i sedici e i vent’anni e nessuno di loro girava senza un’arma.

I migliori per Slim erano Mike e Alan, due fratelli di diciannove e diciotto anni che lo seguivano ovunque, da quando avevano capito che andare a scuola non sarebbe servito a nulla e che l’unica cosa importante nella vita erano i soldi e il rispetto. Che cosa si poteva pretendere da quei ragazzi, con un esempio del genere davanti?

Slim non aveva passato una bella infanzia. I suoi genitori erano morti quando aveva dieci anni, a causa di un incidente stradale. Nessuno dei suoi parenti volle prendersi la briga di crescere un bambino squilibrato e casinista, quindi il piccolo Slim fu sballottato da un orfanotrofio all’altro, ma anche lì non ebbe fortuna, nessuna famiglia volle adottarlo, fino all’età di quattordici anni.

Così la proprietaria dell’orfanotrofio in cui si trovava decise di portarselo a casa.

Quello fu lo sbaglio più stupido che potesse fare. Slim iniziò a uscire, a farsi la sua comitiva di amici e a combinare i primi casini in giro. Dai quattordici anni ai diciotto non fece altro che entrare e uscire dal carcere minorile, con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti, furti e violenze. A vent’anni se ne andò di casa e si trasferì in un appartamento nella periferia di Milano. Ora, a venticinque anni, era diventato un uomo cattivo e con un odio profondo verso ogni essere umano. La gente rabbrividiva solo a guardarlo.

Nonostante le sue brutte maniere, era sempre circondato da donne, di ogni età. Ovviamente con loro il suo comportamento non cambiava, le trattava tutte come degli oggetti.

Dopotutto era un bel ragazzo: alto all’incirca un metro e ottanta, corporatura da giocatore di rugby, capelli leggermente ricci e di color castano come i suoi occhi colmi d’odio.

Aveva lo sguardo stanco, lo sguardo di uno che ne aveva passate tante, ma aveva ancora la forza di lottare e andare avanti.

<< Che ci facciamo qui Slim? >> Chiese Alan guardandosi intorno.

Quel posto metteva i brividi. Era una strada senza uscita dove le uniche cose che c’èrano erano dei bidoni della spazzatura e un lampione che illuminava i volti dei tre ragazzi.

<< Aspettiamo un cliente. >> Rispose il capo sorridendo.

Dopo qualche secondo un ragazzo magrolino apparve dal fondo della strada. Era vestito in modo elegante e camminava insicuro verso i tre ragazzi.

<< è lui? >> Chiese Alan sorpreso. << Un figlio di papà, non gli manca nulla, perché si distrugge con questa merda? >> Continuò guardando Slim in cerca di risposte.

<< Ragazzo, non ci interessa la sua storia ma solo i suoi contanti. >> Rispose il boss, tirando fuori dalla tasca dei suoi pantaloni una bustina trasparente.

<< Mike, tocca a te. >> Disse poi avvicinandosi al ragazzo.

<< Raddoppio il prezzo a questo fighettino? >> Domandò il ragazzo prendendo in mano la busta con la coca.

<< Vedo che hai stoffa ragazzo! >> Slim diede una pacca sulla spalla al suo allievo e lo spinse verso il ragazzo che ormai era a pochi metri da loro.

Aspettarono che Mike finisse di servire il loro cliente e dopodiché si spostarono in piazza del duomo. Si misero seduti sui gradini davanti alla cattedrale sorseggiando birra e osservando la piazza ormai vuota a quell’ora.

<< Slim. >> Disse Alan facendo un tiro e passando lo spinello a suo fratello.

Slim lo guardò sorseggiando la sua birra e attendendo che il ragazzo andasse avanti.

<< Credo di essermi innamorato. >> Disse poi timidamente.

<< Cazzate! >> Disse Slim in tono cattivo.

<< No, è così. Lei è bellissima e dice di amarmi. >>

<< Sì, è così che funziona. Dicono di amarti, fanno qualche smanceria e poi quando sei cotto al punto giusto, ti fottono. >> Sì alzò in piedi e si dispose davanti ai due ragazzi.

<< Ascoltate bene. >> Disse poi. << Non dovete mai e dico mai mostrare amore. L’amore è cosa da sfigati, è per i deboli. >> Quelle parole Slim non le pensava davvero, lui sapeva bene quanto fosse importante amare qualcuno, ma sapeva anche che avrebbe dovuto trovare la persona giusta.

<< Giusto. >> Esclamò Mike, alzandosi in piedi e brindando con il suo capo che intanto rideva compiaciuto.

Alan non disse più nulla, rimase seduto in silenzio. Non condivideva il pensiero di Slim ma se voleva salvarsi la pelle, non aveva altra scelta, doveva tacere e accettare qualunque cosa dicesse il suo capo. 

_____________________________________

 

<< No, no e ancora no. Angelina le ho detto mille volte che mia figlia non deve mangiare carboidrati a colazione. Butti questa roba e le prepari una tisana alle erbe, svelta. >>

Aurora, una donna dai lungi capelli rossi e con più silicone in corpo che carne, rimproverava la propria domestica. Angelina, terrorizzata, fece dietrofront e tornò in cucina.

La donna dai lunghi capelli attraversò l’enorme salone della sua meravigliosa villa appena fuori Milano, ed entrò nella camera di Josefine, la sua unica figlia.

<< Amore è ora di alzarti, non lo sai che dormire troppo invecchia la pelle? >> Si avvicinò alle grandi finestre e aprì le tende. In un attimo la stanza dall’alto soffitto s’illuminò.

<< Mamma lasciami dormire. >> Mugugnò Josefine da sotto le coperte.

<< Tesoro abbiamo il grande gala questa sera, dobbiamo prepararci al meglio. Ho preso la briga di prenotarti un massaggio al centro benessere e subito dopo manicure e piega. >>

Josefine si scoprì il volto e si mise seduta: << Fantastico! >> Sorrise e si voltò a guardare la porta della sua camera, dalla quale entrò Angelina.

<< La sua colazione signorina. >> Posò il vassoio sul comodino e uscì dalla stanza.

<< Vado dall’estetista, a più tardi cara. >> Aurora prese quattro banconote da 500 euro e le posò sul comò di fronte al letto a baldacchino di sua figlia, dopodiché uscì dalla stanza.

Josefine si alzò dal letto, prese la sua tisana e iniziò a sorseggiarla. Poi si avvicinò al comò si guardò allo specchio e subito dopo abbassò lo sguardo. Sfiorò con le dita le banconote e sorrise soddisfatta.

Josefine era la classica ragazza snob, viziata e superficiale. Era cresciuta pensando che i soldi potessero comprare qualunque cosa.

Passava la metà delle sue giornate dall’estetista, dalla parrucchiera o a fare shopping con le amiche.

Fin da bambina aveva sempre avuto tutto ciò che desiderava. Lei non aveva idea di cosa volesse dire faticare o lottare per ottener qualcosa. I genitori l’avevano sempre accontentata in tutto.

Non era da tutti ricevere come regalo dell’ottavo compleanno una fattoria vera e propria, o una casa in montagna per i suoi diciotto anni.

Posò la tazza sul comò e si guardò nuovamente allo specchio.

Era una ragazza splendida. Aveva un corpo perfetto: la pelle bianca come il latte e una liscissima chioma bionda.

Entrò nella sua cabina armadio che assomigliava molto a un negozio di abbigliamento.

Prese un paio di jeans e una magliettina a maniche corte e si cambiò. Lasciò la vestaglia e le ciabatte sul pavimento accanto al letto, tanto sarebbe passata Angelina a riordinare.

Funzionava così, lei non alzava un dito in casa dal momento in cui Angelina era ai suoi ordini.

Avrebbero dovuto farla santa a quella donna. Ormai erano vent’anni che lavorava per la famiglia di Josefine e non aveva mai sbottato. Serviva una pazienza infinita per sopportare i capricci della piccola Jo, i compiti assegnati dalla padrona di casa Aurora e le prediche e i rimproveri del signor Alessandro, L’uomo di casa, il quale era sempre fuori per lavoro.

Josefine scese la lunga scalinata e arrivò nel salone, dove c’èra l’entrata principale della villa.

<< La sua auto l’aspetta infondo al vialetto signorina. >> La governante si avvicinò alla ragazza e le porse la borsa.

<< Grazie Angelina. >> Josefine sorrise, prese la borsa e si precipitò fuori dalla porta.

Attraversò il vialetto fatto di mattoncini, contornato da bellissimi fiori.

Salì sulla sua limousine nera e dopo aver salutato l’autista, gli ordinò di portarla in centro a Milano, dove avrebbe incontrato le sue due amiche, Elisabetta e Caterina.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


CAPITOLO. 2

 

<< Slim!!! >> Mike, in piena notte, urlava spaventato sotto la finestra dell’abitazione del suo capo.

<< Slim, ho bisogno di te. >> Urlò nuovamente.

Dopo qualche minuto la finestra si aprì, ed ecco apparire l’uomo dal cuore di ghiaccio.

<< Che cosa vuoi Mike? Spero che tu non mi abbia svegliato per una stronzata, perché se no ti uccido. >>

<< Hanno pestato Alan. Siamo andati a Quarto a trovare un amico e una banda di ragazzi più grandi di noi hanno iniziato a darci fastidio. >>

<< Merda. >> Disse Slim, passandosi una mano sulla testa rasata. << Ora dov’è Alan? >>

<< Slim il problema non è Alan, lui sta bene, se l’è cavata con un occhio nero e qualche graffio. >> Mike deglutì rumorosamente e dopo essersi guardato intorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, rialzò lo sguardo sulla finestra: << Ci hanno fottuto la roba. >>

Slim sgranò gli occhi e per poco non saltò giù per picchiare il povero Mike.

<< Che cosa? >> Gridò incredulo. << Ragazzo dimmi che stai scherzando. >>

Mike scosse la testa, facendo innervosire ancora di più il suo capo.

<< Non ti muovere da lì, scendo tra un secondo. >> Chiuse la finestra, si vestì velocemente e uscì dall’appartamento.

La prima cosa che fece quando arrivò da Mike, fu tirargli un ceffone sulla nuca.

<< Slim scusami cazzo! >> Gridò il ragazzo.

<< Scusami?!! >> Gridò Slim salendo in auto e mettendo in moto. << Che cosa siete delle femminucce? Vi ho insegnato a combattere non a farvi mettere i piedi in testa, sai quanto vale quella roba? Io ci mangio con quei soldi. >> Continuò poi.

<< Merda, erano una decina di ragazzi Slim. >> Sbottò Mike.

<< Ok, non voglio sentire altro. Recuperiamo ciò che è nostro e torniamocene a casa. >>

Mike non disse più una parola. Odiava far incazzare Slim, aveva sempre paura che gli alzasse le mani. Era già successo una volta, gli aveva tirato un pugno sul volto facendogli sanguinare il naso per ore.

Arrivati a destinazione, i due ragazzi scesero dalla macchina e iniziarono a camminare lungo una stradina contornata da altissimi alberi.

<< Come pensi di riprenderti la coca? >> Chiese Mike, camminando al fianco del suo capo.

<< Loro non sanno che la roba che hanno rubato è la mia, quindi gli basterà sapere che sono Slim per farli scappare. >> Slim camminava a testa alta, sicuro di se stesso e pronto a qualsiasi evenienza.

<< E se questo non basterà a farti ridare il tutto? >> Chiese nuovamente il ragazzo, questa volta con tono incerto.

Slim sbuffò e alzò gli occhi al cielo: << Mike mi stai irritando, cazzo. Se questo non basterà, passeremo alle maniere forti. >> Con la mano alzò la maglietta che aveva addosso e dai pantaloni spuntò una pistola. Mike la guardò sorridendo e dopo poco riportò lo sguardo davanti a se.

<< Eccoli. >> Disse poi indicando con un dito il parco di fronte a se.

<< Una decina di ragazzi è?! >> Disse Slim guardando male il suo amico.

In realtà davanti a loro c’èrano due ragazzi poco più grandi di Mike.

<< Beh se ne saranno andati. >> Rispose imbarazzato il ragazzo.

<< Certo, o forse non ci sono mai stati. >> Slim sorrise compiaciuto mentre Mike non spiaccicò più parola.

<< Hey ma quello è Slim. >>Sussurrò uno dei ragazzi.

<< Sì proprio così, sono Slim e la droga che avete rubato è mia. >>

<< Ci...ci dispiace, noi non lo sapevamo. Te la restituiremo subito. >>

Il ragazzo che aveva appena parlato indietreggiò di qualche metro mentre l’amico, più coraggioso, prese le bustine di coca e si avvicinò a Slim.

<< Non dovresti mandare in giro due sfigati con la tua roba nelle tasche. >>Disse passando le bustine nelle mani dell’uomo senza cuore.

<< Io non sono uno sfigato!!! >> Gridò Mike lanciandosi sul ragazzo.

<< Mike cazzo! >> Slim lo afferrò per le spalle. Mentre lo tirava su, non si accorse che il ragazzo era già pronto a sferrare un pugno sul volto del povero Mike, ma sfortunatamente non colpì lui ma il suo capo.

Mike si coprì la bocca con la mano, Slim si tocco delicatamente l’occhio mentre i due ragazzi iniziarono a correre.

<< Capo. >> Sussurrò tremante Mike.

Slim tirò un urlo di rabbia e senza dire nulla si voltò e tornò in auto.

 

______________________________

 

 

Un balletto alla Scala era quello che ci voleva per rilassarsi un po’.

Josefine, nel suo bellissimo abito da sera rosso, accompagnata dai genitori e amici di famiglia, saliva tranquilla e serena le scale del teatro. Amava andarci, era una cosa che faceva tutte le settimane.

Quando era bambina, si sedeva comoda sulla poltroncina rossa e con occhi lucidi e pieni di ammirazione, guardava i ballerini di danza classica sul palco. cercando di memorizzare le coreografie.

All’età di sette anni, i suoi genitori decisero di farle seguire delle lezioni private di danza, ma all’età di diciotto anni sua madre decise che la danza non doveva essere la strada da seguire. Josefine doveva diventare una prima donna e non una prima ballerina.

Il sogno di Aurora fu infranto da sua figlia. La piccola Jo decise di voler fare la fotomodella. Beh come darle torto, il suo corpo era uno schianto assurdo.

Finito lo spettacolo, lei, la sua famiglia e i loro amici andarono a cena in uno dei ristoranti più costosi di Milano. Ovviamente tutti ordinarono caviale e champagne, non badarono a spese, tanto i soldi erano l’ultimo dei loro problemi.

<< Complimenti Aurora, hai una figlia splendida! >> Vittoria, una delle amiche di famiglia, riempiva sempre di complimenti Josefine.

<< Grazie mille vittoria. >> Rispose timidamente la ragazza.

<< Dovrei farti conoscere mio nipote Federico, è un principe sai. >>

<< Ah davvero? Un principe! >> Aurora alzò immediatamente lo sguardo su Vittoria.

<< Sì, proprio così. >> Rispose l’amica.

<< Hai sentito Josefine, il nipote di vittoria è un principe. >>

<< Sì mamma, ho sentito. >> Rispose irritata Jo.

Ovviamente ad Aurora non interessava quanto fosse bello questo misterioso principe, ma le bastava sapere che fosse di sangue reale.

<< Settimana prossima verrà a cena a casa mia, siete invitati anche voi. >> Disse poi Vittoria, rivolgendosi ad Aurora e a sua famiglia.

Josefine osservò lo sguardo emozionato di sua madre e scosse la testa disapprovando l’invito a cena.

Alla fine della serata, la ragazza chiamò il suo autista, che passò a prendere lei e le sue due migliori amiche.

<< Allora ragazze dove volete andare? >> Chiese versando lo champagne nei bicchieri delle sue amiche.

<< Ho sentito che danno una festa privata al Leggend54. >> Disse Elisabetta sistemandosi i lunghi capelli neri.

<< Una festa privata? Allora noi non possiamo entrare. >> Caterina fece un sorso al suo champagne.

<< Autista! >> Gridò Josefine, abbassando il vetro scuro che la divideva dall’abitacolo anteriore della macchina.

<< Sì, signorina. >> Rispose il buon’uomo.

<< Andiamo al Leggend54. >> Con un sorriso compiaciuto alzò il bicchiere e brindò con le sue migliori amiche.

Arrivati al pub, si misero in fila per entrare, ma quando toccò a loro, il ragazzo dell’entrata le bloccò all’istante: << Signorine i vostri nomi non sono sulla lista, mi dispiace ma non posso farvi passare. >>

Caterina ed Elisabetta iniziarono a borbottare mentre Josefine tirò fuori il suo portafoglio dalla borsa: << Quanto vuoi per lasciarci entrare? >> Disse poi, sbattendo i suoi grandi occhioni verdi.

<< Credo che 500 bastino. >> Disse il ragazzo afferrando la banconota dalle mani della ragazza.

Le tre amiche sorrisero felici ed entrarono nel pub.

Josefine e le sue amiche amavano farsi notare e movimentare le feste. Erano famose per questo.

Iniziarono a ballare sui tavoli, sorseggiando vodka direttamente dalla bottiglia.

<< Settimana prossima andrò a cena con un principe! >> Gridò Josefine, cercando di superare il volume della musica con la sua voce.

<< Un principe! >>Dissero in coro le amiche, scoppiando a ridere subito dopo.

<< Sì, mia madre starà già progettando il matrimonio. >> Scoppiarono tutte tre a ridere continuando a ballare come delle matte sotto gli occhi di tutti.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1583859