The rose and the gun

di dragon_queen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** File 1 ***
Capitolo 2: *** File 2 ***
Capitolo 3: *** File 3 ***
Capitolo 4: *** File 4 ***
Capitolo 5: *** File 5 ***
Capitolo 6: *** File 6 ***



Capitolo 1
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FILE 1

 

Le palpebre erano pesanti, mentre ancora il sapore ferroso del sangue gli inondava bocca e gola. Sentiva dolore al petto e alla testa e ciò stava ironicamente a significare che, in qualche mondo, era ancora vivo. Se ne stupì, dato che l'ultima cosa che ricordava era la canna della pistola di Rena a pochi centimetri dal viso.

Poi il suono dello sparo e in seguito il buio.

Eppure era certo di averla scampata, in quanto, oltre al dolore delle ferite, riusciva a percepire quella che pareva erba umida sotto di sé e l'odore del fumo della sua macchina in fiamme nelle narici.

Per un motivo a lui sconosciuto gli era stata una seconda possibilità.

E non l'avrebbe certo sprecata.

Finalmente riuscì a socchiudere leggermente gli occhi, trovandosi a fissare il cielo scuro. Vicino a lui, pochi metri più in alto, ciò che rimaneva della sua auto, la sua adorata chevrolet, che ancora bruciava.

In quel momento una fresca sensazione su di una guancia. Lentamente avvicinò la mano destra sporca del suo stesso sangue al viso, sfiorandolo. Poi la medesima sensazione sull'altra guancia, sulla fronte, la punta del naso, sempre più frequentemente e pungente. Di lì a poco prese a piovere.

Chiuse nuovamente gli occhi, rilassando il corpo e il respiro. Prima di ripiombare nell'incoscienza, avvertì dei leggeri passi provenire dal bosco. Con il sorriso sulle labbra, si rassegnò alla fine.

 

**

 

Reiko osservava sconsolata il cielo che a poco a poco si stava annuvolando, presagio di un imminente temporale. Non le erano mai piaciute le giornate in quel modo, in quanto la riportavano alla mente tristi ricordi.

Scostò ancora un poco le tendine bianche, continuando a guardare il cielo sempre più scuro.

Era proprio in una giornata come quella che aveva abbandonato l'America per trasferirsi in Giappone da suo nonno, ricco industriale, in modo da ricevere un'educazione adeguata alle sue origini giapponesi.

In fondo non era stato uno sforzo per lei, in quanto la madre era appena venuta a mancare a causa di una grave malattia e suo padre aveva pensato bene di sparire alla volta di qualche sconosciuto paese tropicale. A dir la verità, fino al giorno prima della sua partenza, non sapeva neanche di avere un nonno. Era il padre di suo padre, ma i suoi non lo avevano mai menzionato.

Fu proprio quella mattina di dieci anni prima che lo aveva visto per l'ultima volta, poco fuori dal gate che stava per oltrepassare, bagnato come un pulcino, che la fissava con il corpo scosso dal fiato corto.

Non si erano detti una parola, era bastato uno sguardo. Lui era sempre stata l'unica cosa importante, il migliore amico scoperto troppo tardi, la prima cotta mai confessata.

L'aveva semplicemente lasciato così, allontanandosi a poco a poco trascinata dall'assistente sociale incaricata di consegnarla a suo nonno. Un lieve cenno di saluto con la mano, un sorriso appena accennato.

Di lui non ne aveva saputo più niente.

Fu scossa dai suoi pensieri dalla soffice sensazione contro una gamba del pelo del suo cane, Akira, uno shikoku di appena due anni, dai colori che andavano dal bianco al marrone scuro.

Akira era stato un regalo di suo nonno nel tentativo di convincerla a rimanere con lui quando Reiko gli aveva comunicato la sua intenzione di volersene andare.

Infatti, nonostante negli anni avesse imparato a voler bene all'anziano Fujiwara, c'era qualcosa nei suoi affari che non l'aveva mai convinta. Inoltre la sua casa era circondata da ronde di uomini armati e qualche volta aveva curato alcuni di loro da ferite da coltello o arma da fuoco.

Per quel motivo, quando due anni prima ne aveva avuto l'occasione, se ne era andata dalla villa di famiglia nel quartiere di Ginza per trasferirsi in un piccolo appartamento, più modesto ed economico, ma soprattutto lontano da lui. Aveva per un periodo trovato un lavoretto part-time, tanto per riuscire a pagarsi l'università senza l'aiuto del denaro di famiglia.

In quel momento però la ragazza si trovava in una piccola baita di montagna, presa in affitto per necessità, in quanto doveva preparare uno degli ultimi esami dell'università e aveva bisogno di assoluta tranquillità. Era all'ultimo anno di psicologia, materia che le era sempre piaciuta, in quanto sognava un giorno di poter svolgere un lavoro utile alla società, magari anche tornando in America.

Lanciando quindi uno sguardo verso Akira, il quale guardava verso di lei scodinzolando e con la lingua di fuori, sorrise, inginocchiandosi per accarezzargli teneramente la testa.

-So cosa vuoi dirmi e credo che mi ci voglia realmente una pausa-

Rivolse una veloce occhiata fuori dalla finestra, poi aggiunse:

-Prima che si scateni un temporale, ti porto a fare una passeggiata. Su, andiamo-

Reiko infilò un leggero cappotto, poi aprì la porta, facendo segno all'animale di precederla. Akira, continuando a scodinzolare festoso, accolse l'offerta, schizzando fuori e iniziando a zampettare tra l'erba, ma senza mai allontanarsi troppo dalla sua padrona.

La ragazza sorrideva vedendolo divertire, senza mai perderlo di vista. D'un tratto però non lo vide più riapparire.

-Akira!! Akira!!- lo richiamò preoccupata, ma del cucciolo nessuna traccia.

In quel momento si accorse che la luce era notevolmente diminuita, facendosi quasi notte. Ricominciò a chiamare il cane a gran voce, ma niente da fare. Udiva solo l'abbaiare lontano e decise di seguirlo, nonostante una parte di lei la avvertisse di prestare grande attenzione.

Si avventurò tra i pochi alberi presenti, continuando a seguire il latrato di Akira. In quel momento una goccia le cadde sulla punta del naso. Alzò lo sguardo verso il cielo e un'altra le centrò la fronte.

Doveva recuperare il suo cane prima che li sorprendesse il temporale, altrimenti si sarebbe presa un malanno e l'animale sarebbe puzzato di bagnato per almeno una settimana. Così accelerò il passo, sino a spuntare in uno spiazzo ai piedi della strada che risaliva la collina.

In lontananza notò delle alte fiamme risalire da un veicolo ormai irriconoscibile.

Spaventata, tornò con lo sguardo verso l'ombra che pareva Akira, mentre girava attorno a qualcuno steso tra l'erba, immobile.

Pensando immediatamente a un sopravvissuto dell'incidente, anche se non sapeva spiegarsi come fosse arrivato fin laggiù, si avvicinò veloce, inginocchiandosi poi al fianco dello sconosciuto. Stava cominciando a piovere.

Titubante allungò una mano verso la carotide per sentire l'eventuale battito. Era lieve, ma ancora presente. Quando però allontanò la mano, vide indice e medio sporchi di un liquido rosso e viscoso: sangue.

Lo sconosciuto era ferito, probabilmente anche in modo grave.

-Devo chiamare un dottore- sussurrò e fece per allontanarsi.

Una presa al polso però glielo impedì. Si voltò di scatto, spaventata, vedendo il ragazzo con un solo occhio aperto, che la fissava.

-Niente dottore- bofonchiò, ricadendo poi nell'incoscienza.

Reiko sentì la presa sul polso farsi sempre più debole, sino a lasciarla andare. Lo fissò per qualche secondo, indecisa sul fidarsi di qualcuno che si rifiutava di vedere un dottore in quelle condizioni. Un comportamento simile significava solo che aveva qualcosa da nascondere. Non poteva però lasciarlo là, in quelle condizioni. Così, con fatica, riuscì in qualche modo a rimetterlo in piedi e, sotto la pioggia che ormai cadeva ininterrottamente, fece ritorno verso la baita.




NDA 
Salve a tutti. Vi presento questa fan fiction nata per caso, o forse solo per la vana speranza che uno dei miei personaggi preferiti non avesse fatto realmente quella fine...
Comunque spero di avere qualche parere, in quanto è una storia nata un pò per sclero, per scherzo. Un saluto e al prossimo capitolo.
Un saluto

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Capitolo 2
*** File 2 ***


FILE 2

 

Sbattè la porta come un'invasata, cedendo quasi sotto il peso dello sconosciuto, il quale sempre più difficilmente si manteneva in piedi. Per l'ultimo tratto di strada Reiko era quasi stata costretta a trascinarlo, letteralmente.

Si avvicinò al divano, pensando di farcelo sdraiare, ma le gambe le cedettero, lasciandolo cadere con una forza non minimamente considerata, facendogli sfuggire un sonoro gemito.

-Mi dispiace- sussurrò lei, in ginocchio sul pavimento, mentre lo guardava, steso scompostamente sul divano.

Lui però parve essere ripiombato nell'incoscienza. Il fiato era corto e quasi impercettibile, mentre Reiko tentava di capire come si sarebbe dovuta comportare. Sapeva che se avesse esitato ancora un po' probabilmente quello non ce l'avrebbe fatta.

I primi anni di liceo aveva preso parte ad un breve corso di pronto soccorso, ma prima di allora non aveva mai avuto a che fare con ferite simili. Parevano in tutto e per tutto provocate da un'arma da fuoco o qualcosa di simile.

Quell'improvvisa consapevolezza le provocò risentimento per averlo salvato. “Armi da fuoco” significavano uno stile di vita poco equilibrato. In un primo momento aveva pensato che le ferite fossero state provocate dall'incidente, anche se parevano troppo localizzate, ma il suo rifiuto di andare da un dottore, di certo più competente di lei, avrebbe dovuto maggiormente insospettirla.

Eppure una parte di lei continuava ad aver fatto la cosa giusta.

Si alzò lentamente, notando Akira seduto nella sua cuccia improvvisata che la fissava, attento. Lei sorrise, inarcando un poco un sopracciglio in una finta aria di rimprovero.

-Mi hai cacciato proprio in un bel guaio- gli disse lei, scuotendo poi la testa, sconsolata.

Quello era sempre stato il suo più grande difetto: fidarsi troppo. Sperò solo che quella non fosse la volta in cui si sbagliava.

Raggiunse la cucina, tornando dopo un paio di minuti con una bacinella piena d'acqua e un panno bagnato. Nell'altra mano una valigetta del pronto soccorso, dalla quale tirò fuori del disinfettante, garze e bende.

La prima cosa intelligente da fare sarebbe infatti stata quella di pulire le ferite, in modo che non si corresse il rischio che si infettassero.

Così si inginocchiò di fianco al divano, notando il respiro del ragazzo un po' più regolare.

Immerse quindi il panno nell'acqua, per poi strizzarlo energicamente. Avvicinò una mano a quella che lui teneva ancora sul petto, sfiorandola appena. La pelle era fredda, ma avvertì un impercettibile tremito quando le sue dita lo toccarono. Con delicatezza la spostò, in modo da poter aprire la camicia e appurare la gravità della ferita.

Il tessuto leggero della camicia scura era letteralmente impregnato di sangue e pioggia e solo in quel momento Reiko si accorse che anche il divano stava iniziando a macchiarsi. Lanciò una muta imprecazione, mentre si alzava velocemente e afferrava la prima cosa che gli capitava sotto mano: la sua sciarpa. Con cura la rincalzò sotto la schiena del ragazzo, in modo da riuscire anche a fermare un poco l'emoragia.

Dopodichè, lentamente, prese a sbottonare i primi bottoni della camicia, quel tanto che le bastò per vedere finalmente la ferita. Non ebbe più dubbi: era stata sicuramente una pistola a provocargliela e, nella sfortuna, la sorte era stata dalla sua, visto che come era entrato, il proiettile era anche uscito. Il foro era poco sopra il cuore, probabilmente l'aveva evitato per miracolo.

Prese il panno bagnato e tamponò delicatamente la ferita, notando l'irrigidirsi di lui. Inumidì il sangue incrostato più di quello che la pioggia non avesse già fatto, in modo da poterlo rimuovere senza problemi. Un paio di volte lo sentì gemere e voltare la testa verso la parte opposta alla sua, come se avesse voluto fuggire, ma non ne fosse capace.

Dopo aver bendato il petto, avanti e dietro e non con poca difficoltà, passò alla tempia. Sempre con delicatezza sollevò i bordi del cappellino di lana che lui indossava, togliendoglielo. Scoprì così una massa ribelle di capelli neri come la pece e, senza volerlo, si ritrovò a passarvi dentro le dita. Poi si riscosse, prendendo ad eseguire le stesse azioni che aveva fatto poco prima con la ferita sul petto.

Per fortuna quella alla testa era solo più di un graffio, in quanto, probabilmente, il proiettile l'aveva solo sfiorato. Ma era stata una cosa voluta?

Si alzò poi in piedi, la ciotola d'acqua sotto braccio, mentre con l'altro si asciugava la fronte dal sudore causato dalla tensione. Sentì la sensazione di qualcosa di viscoso che le rimaneva sulla pelle. Abbassò gli occhi sul braccio che notò essere sporco di sangue. Afferrò così il panno e se lo passò sul viso.

Dopodichè si soffermò realmente a guardare il volto del ragazzo ancora steso sul suo divano ad occhi chiusi. I tratti del viso non le erano del tutto sconosciuti, ma non riusciva a capire a chi mai potesse assomigliare. I contorni affilati del mento e degli zigomi, il naso dritto, le labbra fini. In quel momento venne colpita dalla forte curiosità di sapere il colore dei suoi occhi.

Reiko però scosse poi energicamente la testa, abbandonando quei pensieri. Aveva altre cose sulle quali concentrarsi e non poteva certo perdere altro tempo.

Lo avrebbe lasciato riposare fino a quando non si fosse ripreso e le avesse finalmente svelato il mistero della sua comparsa ai piedi di quella scarpata.

Rimediò una coperta da uno degli armadi e la usò per coprirlo. Vide il colorito sul volto di lui meno pallido e sorrise segretamente.

Si inginocchiò di nuovo, in modo da poter poggiare la testa sul divano, sostenuta da entrambe le braccia. Lo guardò per qualche istante, pensando a quale mai fosse il motivo che lo avevo ridotto in quella condizione. Da una parte era curiosa, in quanto a prima vista pareva un ragazzo per bene, incapace di fare qualcosa di giuridicamente scorretto. Dall'altra ne era spaventata, temendo di scoprire di aver accettato in casa un pazzo criminale.

Sorrise appena, dandosi della stupida. Dopodichè, colta dalla stanchezza, si addormentò lì, in quella posizione scomoda e con i vestiti ancora sporchi di sangue.

 

**

 

Aprì lentamente gli occhi, le palpebre rese pesanti dalla spossatezza. Lentamente alzò una mano e se la portò al petto, trovando però la sensazione di una morbida fasciatura.

Alzò quindi leggermente la testa, notando la camicia sbottonata e una candida benda che gli girava intorno al torace. In quel momento, come un insieme di flash sistemati alla rinfusa, si ricordò il volto di qualcuno che lo sovrastava, ma che non pareva intenzionato a fargli del male. Non era riuscito a distinguerne bene i tratti a causa della vista appannata, ma i tratti sembravano gentili e delicati, come quelli di una donna.

Riuscì con notevole sforzo ad alzarsi a sedere, stringendo i denti quando una fitta al petto lo fece gemere, e prese a guardarsi intorno. L'ambiente non era molto ampio, per lo più contava forse tre stanze.

Quella nella quale si trovava doveva essere la più grande, in quanto comprendeva un cucinotto e un piccolo salotto. C'era silenzio, ma sentiva di non essere solo. In lontananza si udivano ancora i tuoni e il bagliore dei lampi rischiarava l'ambiente.

Tutta quella situazione pareva irreale. Per la prima volta in vita sua era relamente convinto che non ce l'avrebbe fatta e invece eccolo là, sdraiato su di uno sconosciuto divano in una casa sconosciuta. Non sapeva neanche se chi lo ospitava era ostile oppure no, ma anche se lo fosse stato, in quel momento non avrebbe riscontrato in lui una grande resistenza. Ma chi era stato a salvarlo?

Fu allora che finalmente la notò, una figura minuta che dormiva scomodamente poggiata al divano, le braccia incrociate sotto la testa in un vano tentativo di farle sembrare un cuscino. Era una ragazza, forse di un paio di anni più giovane di lui. Era stata lei a salvarlo? E per di più era rimasta a vegliarlo per tutto il tempo?

La guardò meglio, per quanto la penombra potesse permettere, avendo per un attimo un tuffo al cuore. Con un ulteriore sforzo si avvicinò piano a lei, in quanto assomigliava incredibilmente a qualcuno che lui conosceva.

-Akemi...- sospirò, allungando una mano come a volerla toccare.

Dovette però ritrarla velocemente, in quanto, in quel momento, lei si mosse ed aprì gli occhi.

 

**

 

-Ti sei ripreso- disse Reiko, vedendo il ragazzo seduto che la guardava.

-No, non è lei, ma le somiglia davvero molto- si disse lui, continuando a fissarla.

-Qualcosa non va?- chiese ancora la ragazza, lo sguardo azzurro ghiaccio che lo squadrava, preoccupato.

-Sei tu che mi hai soccorso?- domandò freddo lo sconosciuto, poggiando la schiena alla spalliera del divano, accennando una smorfia di fastidio.

Lei si limitò ad un cenno di assenso.

-Ti ringrazio- continuò lui, abbassando però lo sguardo, come se quelle parole le avesse dette solo per una cortesia di circostanza.

-Come ti senti?-

Il ragazzo sollevò di nuovo il viso, tornando a guardarla. Oltre alla sconvolgente somiglianza con Akemi, quella ragazza aveva decisamente qualcosa di familiare. Aveva la sensazione di averla già vista, ma non riusciva a ricordare dove.

D'un tratto fu destato dal tocco leggero di lei sulla sua fronte. Ne fu infastidito e spiazzato al tempo stesso.

-La febbre pare essere scesa, ma dovresti comunque riposarti ancora-

Lui, celatamente, si sottrasse al contatto, ma Reiko comunque se ne accorse. La vide distogliere lo sguardo, mordicchiandosi il labbro inferiore e torturandosi nervosamente le mani che aveva in grembo.

-Mi spiace se ti ho offeso in qualche modo- disse ancora, raccogliendo la bacinella con l'acqua con cui aveva pulito le sue ferite e andandola a poggiare sul piano della cucina.

-Non appena mi reggerò in piedi, toglierò il disturbo- rispose lui freddo, sdraiandosi nuovamente sul divano e smettendo di guardarla.

La ragazza non ritenne necessario rispondere. Continuò a voltargli le spalle, stringendo forte i bordi della bacinella sino a farsi venire le mani rosse.

Non sapeva con esattezza perchè quelle parole le facessero quello strano effetto, ma era come se non fosse la prima volta che le sentiva.

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Capitolo 3
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Non riusciva a dormire, in quanto l'uggiolare del cane non gli dava tregua. Era quasi mezz'ora che l'animale stazionava davanti ad una porta chiusa, dietro la quale la ragazza si era rinchiusa dopo il loro primo e ultimo scambio di battute.

Così, rinunciando al riposo, si mise a fissare il soffitto, pensando. Sarebbe dovuto essere grato a quella ragazza, in quanto, grazie al suo intervento, gli era stata concessa una seconda possibilità per vendicarsi.

Forse era stato troppo duro, ma d'altro canto lui era così, almeno da quando lei era stata uccisa per un suo stupido errore. In fondo, sperava solo di non ritrovarsi sulla coscienza il cadavere di un'altra innocente se mai loro avessero scoperto che era ancora vivo.

Si alzò allora dal divano, dirigendosi verso la porta chiusa, poggiandosi un paio di volte ad un mobile e una parete durante il tragitto, in quanto, non appena i piedi avevano toccato terra, un capogiro lo aveva colto.

Giunto alla meta, il cane che si era spostato come a fargli spazio, bussò. Da dentro non ottenne risposta, ma avvertì invece dei passi e la maniglia che girava. Inconsciamente, arretrò.

Davanti a lui comparve la ragazza, la quale indossava una felpa larga, occhiali da vista e aveva legato i capelli mori in una coda di cavallo.

-C'è qualche problema?- chiese lei, il tono diverso da quello usato in precedenza.

Pareva più freddo e distaccato e lui non potè darle torto. La guardò per un attimo negli occhi, poi rispose:

-Mi spiace disturbare, ma le ferite stanno bruciando e credo che le fasciature vadano cambiate-

Reiko lo fissò, poi spostò lo sguardo sulle bende del petto e il cerotto sulla tempia. In effetti stavano cominciando a macchiarsi.

Si voltò, gettando il blocco e la penna che aveva in mano sul letto assieme agli occhiali e lo precedette nell'altra stanza. Lui la raggiunse con difficoltà, lasciandosi cadere debolmente sul divano.

La ragazza, continuando a rimanere in silenzio, si inginocchiò di fianco a lui, cominciando a rimuovere le bende attorno al torace.

Nel frattempo il ragazzo, con la coda dell'occhio, la osservava, sempre più stupito della somiglianza con Akemi. Fu così che gli venne spontaneo dire:

-Sai, assomigli molto ad una persona che conoscevo-

La vide per un attimo fermarsi, mentre le mani ebbero un tremito. Dopodichè disse, di getto:

-Davvero? Una vecchia fiamma?-

-Si. Lei...è morta, uccisa- rispose lui, abbassando lo sguardo e fissando i pugni che teneva stretti attorno al tessuto dei pantaloni.

Reiko, dal canto suo, si sentì una carogna nell'aver preso così alla leggera quella frase. Finì quindi di stringere le bende attorno all'addome e ritirò di scatto le mani, come scottata.

-Mi dispiace- sussurrò.

-Non devi. Non potevi saperlo-

Poi Reiko disse ancora:

-Chi sei tu? Qual'è il tuo nome? Non sono una sempliciotta e ho capito subito che queste ferite sono state provocate da un'arma da fuoco. Inoltre, quando ti ho trovato, mi hai chiesto di non portarti da un dottore, segno che hai qualcosa da nascondere-

-Diciamo che per il momento è necessario che mi credano morto, ma per un motivo che non posso né voglio spiegare. In quanto al nome, sono Akai-

Reiko rimase per un attimo impietrita, in quanto quel nome le ricordava momenti del suo passato. Lo osservò per qualche secondo, lo sguardo assorto. In quel momento, guardandolo meglio, le parve quasi di riconoscerlo, ma lui non parve aver fatto altrettanto. Preferì quindi tacere, per non complicare ulteriormente le cose.

Poi lui riprese:

-E tu? Chi sei? Non tutti avrebbero soccorso uno sconosciuto, ferito, ai piedi di una scarpata-

-Diciamo che anche tu mi ricordi qualcuno che conoscevo. Comunque il mio nome è Reiko-

Lei lo vide bloccarsi per un attimo e in quel momento sperò che si ricordasse di lei, la sua amica d'infanzia. E invece i suoi occhi tornarono quelli di prima.

-Ti chiedo scusa per come mi sono comportato prima. Il fatto è che sono sempre stato abituato a diffidare-

-Nessun problema. Al tuo posto probabilmente avrei agito allo stesso modo. Forse sono stata troppo invadente-

Mentre lei si allontava di qualche passo con le vecchie bende tra le mani, lui le chiese ancora:

-Mi sorge spontanea una domanda: come hai fatto a riconoscere delle ferite da arma da fuoco? Non sono certo le più diffuse-

Reiko si fermò, voltandosi e rivolgendogli un sorrisetto furbo.

-Diciamo che anche io ho dei segreti dei quali preferisco non parlare-

Rimasero entrambi a fissarsi per alcuni secondi, come se ognuno stesse tentando di svelare gli arcani che l'altro celava.

La ragazza fu la prima a distogliere lo sguardo, per poi domandare:

-Hai fame?-

Quelle due parole ebbero la capacità di smuovere qualcosa dentro Akai. Era una domanda senza un'apparente importanza, ma che per lui nascondeva un calore che non sentiva più da anni. Gli occhi di Reiko poi erano riusciti per un attimo a destabilizzarlo, intaccare quella barriera fredda che lo aveva sempre contraddistinto, l'indole distaccata che era sempre stata capace di tenere alla larga il prossimo, rendendolo uno dei migliori agenti del Bureau.

-Non temere. Non per vantarmi, ma me la cavo bene in cucina, quindi non ho intenzione di avvelenarti-

disse Reiko, distraendolo dai suoi pensieri.

La ragazza si era avvicinata alla credenza, attendendo una risposta per sapere se doveva tirare fuori un doppio coperto.

Sentendosi improvvisamente vulnerabile, Akai tentò di assumere nuovamente la sua aria distaccata, anche se doveva ammettere di essere affamato.

-Spero sia così, perchè ho davvero fame-

 

Consumarono il pasto preparato da Reiko quasi in perfetto silenzio, ad eccezione di qualche ringraziamento di circostanza. Parevano due liceali ad un primo appuntamento. Entrambi fuggivano agli sguardi dell'altro, i gesti erano timidi e forzate, le parole misurate.

Per Reiko poteva essere così, mentre per Akai era un modo per studiare meglio la ragazza di fronte a sé. Nel corso del suo lavoro, l'attenzione per i particolari, l'occhio preciso e attento, erano sempre stati il fulcro del suo successo come agente. Aveva sempre diffidato di tutti e l'unica volta in cui non l'aveva fatto si era beccato un proiettole nel petto e uno in testa.

Certo, Rena l'aveva avvertito, il mantenimento della sua copertura sarebbe stato la cosa più importante e sarebbe passata sopra a qualunque cosa, persino a lui, agente dell'FBI.

Per quel motivo non l'aveva mai giudicata da quando si era risvegliato, né quando gli aveva puntato la pistola contro, né in quel momento. A quel pensiero portò una mano alla bianca benda che gli circondava il petto. Proabilmente, per la riuscita della missione, anche lui si sarebbe comportato allo stesso modo.

-Tutto bene?-

La voce di Reiko lo distrasse dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri di lei che lo fissavano, un misto tra curiosità e apprensione.

Dovette ammettere che, più la guardava, più riteneva che la sua somiglianza con Akemi fosse sconvolgente: nonostante i capelli e gli occhi fossero di diverso colore, i lineamenti dolci del viso erano gli stessi. Per questo, trovarsi di fronte a lei risvegliava in Akai delle strane sensazioni.

In quel momento si rese conto di non aver risposto alla domanda che Reiko gli aveva rivolto. Quando infatti fece per tornare a guardarla vide che si era alzata in silenzio e stava versando in una ciotolo il cibo per il cane, sopraggiunto al solo rumore provocato dalla confezione.

-Ecco...io...- tentò di dire lui.

Si sentiva in dovere di rimediare per un motivo che ancora non gli era affatto chiaro.

La ragazza però non lo fece neanche terminare. Dopo aver posato a terra la ciotola con i bocconcini del cane, si voltò a guardarlo, le sopracciglia inarcate in un'espressione alquanto contrariata.

-Non c'è bisogno di dire niente. Le false scuse mi paiono solo inutili. Quindi fammi il favore di non mostrare una comprensione che non hai. Non so quale sia la tua storia e in fondo neanche mi interessa-

Reiko si morse l'interno della bocca per non proseguire, in quanto sapeva con esattezza con chi stava parlando in quel momento, anche se le pareva pressocchè impossibile.

-Comunque lasciamo perdere, non ho voglia di arrabbiarmi con qualcuno che neanche conosco, ma essere ignorata è la cosa che odio di più in assoluto. Ti comunico che tra un paio di giorni io me ne andrò, tornerò alla mia vita di sempre. Quindi non temere, non dovrai sopportarmi ancora per molto. Spero solo che per quel momento tu ti sia rimesso-

Detto questo si alzò, lasciando Akai stupito e spiazzato da quelle parole.

-Dove vai?- chiese allora lui.

-In camera mia. Devo studiare e sei pregato di non disturbarmi, a meno che non ti stia dissanguando sul pavimento del salotto- rispose la ragazza e, con passo quasi marziale, sparì dietro la porta della sua stanza, sbattendola sonoramente.

Akai, rimasto in silenzio fino a quel momento, si lasciò scivolare contro lo schienale della sedia, alzando gli occhi al soffitto e sospirando.

Quella ragazza di Akemi aveva unicamente l'aspetto, in quanto racchiudeva lo spirito di un demone nel corpo di un angelo.

Due giorni aveva detto? Sarebbe stata una convivenza interessante...

 

**

 

La donna bionda fece il suo ingresso nella stanza semibuia, illuminata solo dalla luce quasi accecante di alcuni monitor. Si sistemò i lunghi capelli con il solito atteggiamento da diva, il quale provocò lo sdegno di un'altra componente femminile della banda.

La bionda fissò la compagna con sufficienza, per poi fermarsi al centro della stanza.

In quel momento il familiare odore di tabacco e nicotina la investì in pieno, segno che il capo era accanto a lei.

-L'hai trovata?- chiese la sua voce gelida.

Quella sorrise, grattandosi la base della nuca da sotto la chioma.

-La nostra piccola Rena ha letteralmente preso il volo-

-Che intendi?- chiese l'altra donna.

-Che se ne è andata, sparita, probabilmente aiutata dagli stessi che le avevano affidato il compito di infiltrarsi nella nostra organizzazione-

-Rena era una spia?!?- chiese il secondo cecchino.

La bionda si voltò verso il capo, il quale gettò il mozzicone a terra, schiacciandolo rudemente con il piede.

-Tu lo sapevi, non è vero?- gli chiese la bionda.

Quello non le rispose. Il suo silenzio però confermava il sospetto.

-Ne avevo il sospetto, ma lei non poteva saperlo. Perchè allora è fuggita?-

-Perchè forse immaginava che avremo presto scoperto il suo piccolo fallimento-

-Che cosa?-

Stavolta anche il capo era sorpreso.

La bionda, sorridendo, si sedette, accavallando le gambe lunghe e sinuose e accendendosi poi una sigaretta, lunga e fine. Tirò una boccata e buttò fuori il fumo.

-Sono stata da un amico che lavora come medico legale presso il dipartimento che si è occupato dell'incidente causato da Rena quando le hai affidato il compito di uccidere quell'agente. Mi ha detto che, tra le lamiere, non è stato ritrovato alcun cadavere-

Il gelo scese nella stanza.

-Vuoi dire che...- cominciò a dire quello seduto di fronte ai monitor, rimasto in disparte fino a quel momento.

-Shuichi Akai è ancora vivo-

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Capitolo 4
*** File 4 ***


FILE 4

 

Akai se ne stava steso sul piccolo divano a fissare il soffitto. Si era liberato della giacca, ma anche la camicia, incrostata di sangue e puzzolente di fumo, iniziava ad innervosirlo.

Ripensò alla discussione avuta in precedenza con quella ragazza: lei gli aveva rivolto parole dure e dirette e all'inizio non aveva compreso il perchè se la prendesse in quel modo. In fondo lui era solo uno sconosciuto, non avevano niente da spartire e mai lo avrebbero avuto. Certo, Reiko gli aveva salvato la vita e di quello gliene sarebbe stato eternamente grato, ma la sua gratitudine finiva lì.

Certo, nei rapporti umani non si poteva definire un genio, ma non ci aveva mai seriamente pensato. Solo con Akemi e forse Jodie era riuscito a mostrare una parte nascosta di sé. Allora perchè sentiva di doverglielo a quella ragazza, almeno un po'?

Durante la sua vita aveva incontrato molte persone, ma solo di una si ricordava perfettamente e della quale gli spiaceva di non aver saputo più niente: si trattava di una bambina conosciuta durante la sua infanzia, per puro caso al parco vicino a casa sua. Lei gli aveva rubato il libro che teneva tra le mani, costringendolo ad inseguirla per tutto il pomeriggio. Infine la compagna si era fermata, gli aveva sorriso ridandogli il libro e l'aveva ringraziato per aver giocato con lei.

Quello era stato il loro primo incontro. In seguito avevano preso a vedersi ogni giorno, alla stessa ora, nello stesso posto. Erano diventati quelli che molti definiscono migliori amici.

Akai era sempre stato un solitario, un carattere problematico, dal quale tutti i suoi coetanei si tenevano alla larga. Ma lei no, aveva scaputo scorgere qualcosa dentro di lui, rendendolo felice e spensierato. Purtroppo quella gioia era durata poco, in quanto la sua amica se ne era andata, lasciandolo nuovamente solo. Quel giorno aveva corso sotto la pioggia fino all'aeroporto con la vana speranza di fermarla, di non farla andar via, ma quando l'aveva guardata per l'ultima volta, una parte di sé gli aveva detto che probabilmente il loro addio sarebbe stata una cosa giusta.

L'unica cosa che in quel momento non riusciva con chiarezza a ricordare era il suo nome, ma poco male, dato che non sarebbe mai andato a ricercarla.

D'un tratto i suoi pensieri furono interrotti da una sensazione umidiccia contro il palmo della mano che teneva oltre il bordo del divano. Si voltò, trovando gli occhi chiari del cucciolo di Reiko, se cucciolo si poteva definire data la stazza, che lo fissava con desiderio.

Con un poco di fastidio riuscì a mettersi seduto, poggiando i gomiti sulle ginocchia e avvicinando il viso al muso del cane, e sospirò:

-E tu? Sei arrabbiato con me come la tua padrona?-

L'animale, di tutta risposta, gli leccò il viso, facendolo appena sorridere. Il ragazzo non era abituato ad avere a che fare con nessun tipo di animale. Da piccolo aveva chiesto un cane ai suoi genitori, ma quelli

non gli avevano mai comprato neanche un pesce rosso.

Sollevò lentamente la mano, posandola poi sulla testa dell'animale, il quale abbassò le orecchie e chiuse gli occhi. Mentre Akai lo grattava dietro le orecchie, una voce alle sue spalle lo colse di sorpresa.

-Vuole che lo porti fuori-

Lui si voltò, incontrando lo sguardo chiaro di Reiko, poggiata allo stipite della porta con una spalla. Aveva legato nuovamente i capelli, stavolta in una crocchia spettinata, e sul naso portava i fini occhiali che le davano un'aria molto intellettuale.

Akai, per la prima volta dopo tempo, si sentì strano, come imbarazzato, ma si dette dello stupido poco dopo.

-E quindi?- chiese lui, scostante.

-Quindi perchè non lo porti a fare una passeggiata? Farebbe bene anche a te prendere un po' d'aria al cervello- continuò lei, acida.

-Ehi, non ho ben capito perchè tu ce l'abbia tanto con me, ma non ti permetto queste confidenze. In fondo neanche mi conosci-

-Il solo fatto di averti salvato la vita credo che me lo permetta. Comunque pensavo solo che ti avrebbe fatto bene fare due passi. Io intanto vedo se riesco a rimediarti qualcosa da vestire, così che poi tu possa farti una doccia- e detto questo sparì nuovamente dentro la sua stanza.

Akai guardò il cane ancora davanti a lui, dicendo, mentre si alzava:

-La tua padrona è davvero una stronza-

-Guarda che ti ho sentito!!- gridò Reiko dall'altra stanza.

Il ragazzo si affrettò a raggiungere la porta d'ingresso, scivolando fuori accompagnato da Akira.

 

**

 

Reiko sorrise appena, immaginando l'assurdità di quella situazione. Da quanto tempo non aveva più avuto un uomo in casa?

Rovistò in uno dei cassetti, trovando proprio quello che stava cercando: sollevò una felpa grande, monocolore grigia, nessuno stemma o logo. Per un attimo, vedendola, venne invasa dalla nostalgia, e se la strinse al petto. Inspirò, sentendo ancora il suo odore sul tessuto e avvertì una lacrima scenderle lungo una guancia.

Erano trascorsi quasi due anni dalla sua scomparsa e ancora non si era data pace. A volte si svegliava nel cuore della notte, gli occhi inondati dalle lacrime, il fiato corto e il cuore che batteva all'impazzata. Si fissava le mani tremanti e le pareva di vederle ricoperte di sangue.

Le mancava, terribilmente, ogni giorno più del precedente. Si era liberata di ogni cosa lo ricordasse, tranne quel completo sportivo. Lo portava sempre con sé ovunque andasse, in quanto, quando si sentiva terribilmente sola, si stringeva al petto quella felpa, immaginando lui al suo fianco che le sorrideva.

In quel momento avvertì la porta che si apriva e l'abbaiare festoso di Akira annunciare il ritorno di Akai. Reiko afferrò allora la felpa e i pantaloni, un paio di asciugamani puliti ed entrò in salotto.

Vide il ragazzo, in ginocchio davanti al cane, al quale stava carezzando la testa. Quando la sentì arrivare, Akai si voltò a guardarla, ma il suo sguardo mutò quasi immediatamente.

-Tutto bene?- le chiese.

Solo in quel momento la ragazza si accorse della lacrima che le era scivolata su di una guancia e che lei non aveva provveduto a far sparire. Così si passò velocemente il palmo della mano libera sul volto.

-Un po' di polvere negli occhi, niente di preoccupante. Comunque tieni- e gli porse il completo sportivo, assieme agli asciugamani.

-Il bagno è là. Fatti pure una doccia e dopo provvederò a rifarti le medicazioni. Intanto iniziò a preparare qualcosa per cena-

Reiko voltò le spalle ad Akai, non aggiungendo altro. Lui, dal canto suo, pensava di aver riconosciuto quello sguardo, in quanto l'aveva visto più volte su se stesso quando si guardava allo specchio.

Era qualcosa di nostalgico, di un profondo e inguaribile dolore che solo la perdita di una persona amata poteva provocare. Guardò per un attimo gli indumenti che Reiko gli aveva dato: erano maschili. In un angolo, nascosto dal risvolto del cappuccio, vide un piccolo alone di bagnato simile ad una lacrima. A quel punto gli bastò fare due più due.

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Capitolo 5
*** File 5 ***


FILE 5

 

Reiko sentì l'acqua della doccia scorrere da dietro la porta del bagno, segno che Akai aveva cominciato a lavarsi.

Pensò per un attimo a come lui l'aveva guardata poco prima, come se in qualche modo avesse capito e condividesse il suo stesso tipo di dolore. Poi si ricordò di quello che le aveva detto riguardo la sua somiglianza con qualcuno che lui conosceva e che era venuto a mancare in circostanze alquanto violente. Probabilmente anche il suo passato non era stato affatto facile.

A quel punto però il mistero attorno ad Akai si infittiva ancora di più, rendendola restìa a lasciarsi completamente andare in sua presenza. Qualcosa in lei però le diceva che poteva fidarsi, ricordandosi del ragazzino che lei aveva conosciuto.

Mentre la pentola che aveva messo sul fuoco iniziava a bollire, Reiko si avvicinò al bagno, poggiando l'orecchio sulla porta e sentendo l'acqua scorrere. Così accostò la porta che dava su una piccola anticamera che fungeva da spogliatoio, intravedendo gli abiti scuri di lui lasciati scompostamente sul pavimento.

Si inginocchiò a raccoglierli. Aveva intenzione di lavarli e di provare a rammendare la camicia, in modo che lui potesse rimetterli.

Mentre raccoglieva i pantaloni, però, qualcosa cadde da una delle tasche con un rumore sordo: un cellulare.

Reiko rimase per un attimo a fissare l'oggetto, indecisa se dare un'occhiata per scoprire qualcosa in più oppure lasciar perdere.

In quel momento il display si illuminò, dando il segnale di un messaggio ricevuto da un numero che non era stato segnato in rubrica. In quel modo la sua curiosità ebbe la meglio.

Raccolse il cellulare e lo aprì. In effetti c'era un messaggio non letto.

Sentendo ancora l'acqua scorrere al di là del vetro appannato, decise che arrivata a quel punto non aveva più possibilità. Così premette il pulsante centrale della tastiera e sul display apparvero delle strane parole.

Kir ha smesso di vivere. L'aquila è tornata al nido.

Guardati le spalle. Buona fortuna

Reiko rilesse quelle parole, non trovandone il senso. Poi l'occhio le cadde su un altro nome della lista, una certa Akemi. Le era sembrato di sentire quel nome pronunciato da Akai nel dormiveglia. Che fosse lei...

-Trovato qualcosa di interessante?-

Per la sorpresa Reiko lasciò andare il cellulare che finì a terra, per fortuna senza rompersi. Poi alzò lo sguardo, incontrando quello serio di Akai.

-Ecco io...volevo solo...stavo prendendo i vestiti per lavarli...insomma...-

-D'accordo, non devi scusarti-

-Ma io...-

-Ho detto che non devi scusarti. Va bene così-

Stavolta il tono con cui pronunciò quelle parole fece rabbrividire Reiko, la quale, solo in quel momento, si accorse delle condizioni del ragazzo: era seminudo, con solo l'asciugamano che lei gli aveva dato stretto in vita. Il suo corpo era tonico, muscoloso, ma asciutto e non esagerato. Le gambe erano lunghe e snelle. Parevano quelle di un corridore.

I capelli mori, ancora gocciolanti d'acqua, gli stavano appicicati alla fronte, rendendolo ancora più misterioso e affascinante. Gli occhi verdi non la guardavano, ma non sapeva se per paura o disprezzo.

All'improvviso la ragazza si sentì avvampare come non gli accadeva più da tempo. Mentre Akai si chinava per raccogliere il cellulare ancora a terra, lei ne approfittò per sussurrare le ennesime scuse e, a capo basso, uscire dal bagno, sbattendo la porta.

Lui si limitò a sospirare mentre, una mano poggiata su un fianco e l'altra stretta attorno al telefono, aprì il display per assicurarsi che non fosse rotto. Vide così il messaggio in codice, probabilmente per evitare che fosse capito se intercettato.

Lo rilesse quindi due o tre volte prima di riuscire a capirne il senso, ma poi gli fu tutto più chiaro: Rena l'aveva consapevolmente lasciato in vita, mettendosi contro l'organizzazione e facendo così saltare la sua copertura. Aveva quindi dovuto abbandonare il Giappone e fare ritorno in America, dove probabilmente la CIA l'avrebbe messa sotto protezione.

Sospirò, portandosi una mano tra i capelli umidi e pensando al da farsi: non poteva contattare Jodie e il capo, in quanto avrebbe significato rivelare a tutti il suo essere vivo e che la notizia sarebbe giunta irrimediabilmente alle orecchie dell'organizzazione. Avrebbe dovuto quindi pensare ai preparativi per conto suo.

Tornare in azione avrebbe però comportato il fatto che la ragazza che si trovava nella stanza accanto e che l'aveva salvato, sarebbe rimasta coinvolta e lui non poteva permetterlo. Glielo doveva, in fondo.

Per il momento però gli sarebbe servita una copertura e un posto da usare come “base operativa”.

Quindi, nonostante si sentisse uno stronzo a farlo, si sarebbe servito di Reiko per rimanere nascosto.

 

-Accidenti a me e alla mia curiosità. Ma in fondo sapere qualcsa su di lui non è certo come chiedere la luna, no? Me lo deve, che diamine!!-

Reiko stava cercando di tirare via il sangue secco dal tessuto della camicia. La cannella aperta e il rumore dell'acqua che scorreva non le consentì di avvertire i passi che si fermarono dietro di lei.

Il tocco che sentì sulla spalla la fece sussultare. Si voltò, rimanendo di sasso: davanti le stava Akai, con indosso solo i pantaloni della tuta, la parte superiore nuda.

-Dovresti rifarmi le medicazioni- si affrettò a dire lui, confuso dall'espressione assunta da lei.

La ragazza non rispose immediatamente, ma continuò a fissarlo per qualche secondo: pensare che quello era lo stesso ragazzino che aveva conosciuto durante la sua infanzia la fece quasi sentire una pazza. Eppure, guardandolo meglio, gli occhi erano gli stessi, freddi e distanti, e anche i capelli, neri come le piume di un corvo ed eternamente spettinati.

Poi finalmente si riscosse:

-Oh certo. Mettiti pure seduto che prendo la valigetta del pronto soccorso-

Chiuse la cannella, si asciugò le mani e andò a recuperare tutto l'occorrente. Nel frattempo Akai si era accomodato su una delle sedie e osservava attentamente Reiko. Più la guardava, più si chiedeva chi mai realmente fosse quella ragazza. Cominciando con il fatto che quando si era presentata non gli aveva rivelato il cognome, come d'altronde anche lui, probabilmente perchè anche lei aveva qualcosa da nascondere, e finendo con la precisione con la quale gli aveva applicato i punti sulla ferita al petto. Nonostante la doccia e i movimenti bruschi, non ne era saltato neanche uno.

Distolse lo sguardo non appena lei tornò verso di lui. La ragazza poggiò la cassetta sul tavolo, aprendola e recuperando disinfettante e bende pulite.

-Aspetta, sei ancora umido- gli disse in quel momento e, afferrata una pezza poco lontana, gli iniziò a tamponare il petto e l'addome.

Stavolta, stranamente, non fu lei a sentirsi a disagio, ma Akai. Per un attimo rivide Akemi nel volto concentrato di Reiko e la mano si alzò impercettibilmente, come a volerla toccare. Poi però si riscosse, tossendo lievemente per farle anche solo lontanamente intuire il suo disagio.

-Ti ho fatto male?- chiese ingenuamente lei, allontanandosi un poco per poterlo guardare in faccia.

-Certo che no. È solo che credo di essere asciutto ormai-

-Oh si, hai ragione. Adesso ti disinfetto e ti applico le bende-

Akai fissava le mani di Reiko che viaggiavano sul suo corpo, che lo sfioravano appena, temendo di potergli fare del male, e per un attimo chiuse inconsapevolmente gli occhi, assaporando quella sensazione, allo stesso tempo nuova e familiare.

Poi fu riscosso dalla voce della ragazza che disse:

-Mi dispiace per prima. Non era mia intenzione frugare tra le tue cose. Non accadrà più-

Lui riaprì gli occhi, notando che lei, per l'intero discorso, non l'aveva minimamente guardato. Non seppe perchè, ma gli venne da sorridere.

-Come ti ho già detto non sono necessarie le tue scuse, anzi, sono io che dovrei scusarmi per come mi sono posto. Non sono abituato ai rapporti con gli altri, non lo sono mai stato e per quello che facevo andava bene così. Quindi scusami tu-

Reiko rimase spiazzata da quella confessione, quasi quanto lo fu Akai stesso. Non era proprio da lui essere così espansivo.

Vide la ragazza sorridergli, per poi sollevarsi un po' per controllare la ferita alla testa.

-Chiunque ti abbia fatto questo ti voleva davvero bene- sospirò lei mentre applicava un nuovo cerotto.

-Già- si limitò a dire il ragazzo.

Lei si allontanò appena da lui, per poi aggiungere, trionfante:

-Ecco, ho finito. Avanti, mangiamo-

 

Consumarono il pasto in silenzio, fino a quando Reiko non notò lo sguardo provato di Akai e gli disse che, se voleva, poteva andare a sedersi sul divano e magari accendere la tv mentre lei sparecchiava e rimetteva in ordine.

Lui accettò volentieri l'invito, dato che si sentiva realmente molto stanco. Così si accomodò sul divano e accese la televisione, tirando un sospiro.

Decise di evitare notiziari o cose del genere, in quanto era possibile che passasse la notizia della sua morte e che quindi potessero rivelare la sua identità come agente del Bureau.

Optò infine per un film d'azione, il quale però lo annoiò quasi subito. Dopo qualche minuto avvertì il divano al suo fianco abbassarsi un poco e, voltandosi, notò Reiko che si era seduta accanto a lui.

-Ti spiace se ti faccio compagnia?- chiese lei, stringendosi le ginocchia al petto.

-No, affatto- rispose lui, sentendosi nuovamente a disagio.

Rimasero entrambi ai lati opposti del divano. Akai, in particolare, cercava di concentrarsi il più possibile sul film che stavano guardando.

Ad un tratto un groppo gli chiuse la gola. Avvertì la testa di lei che gli si poggiava sulla spalla. Il corpo si irrigidì, guidato da uno strano imbarazzo.

Senza farsi notare, abbassò lo sguardo, cercando di capire quali fossero le intenzioni della ragazza. La vide mentre faceva aderire il corpo al suo e chiudeva gli occhi.

-Hai il suo odore- sospirò lei prima di addormentarsi.

Akai la fissò ancora per qualche secondo, non sapendo come comportarsi. Poi, mosso dal puro istinto, le fece scivolare la testa contro il suo petto, in modo che col braccio potesse circondarle le spalle. Dopodichè, con quella ragazza appena conosciuta addormentata sopra di lui, chiuse gli occhi, cullato da una sensazione che in qualche modo gli pareva familiare.

Eppure non c'entrava la somiglianza di lei con Akemi a scatenargli quell'uragano di emozioni. Era qualcosa di molto più lontano nel passato.

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Capitolo 6
*** File 6 ***


FILE 6

 

Quando Akai aprì gli occhi, si trovò accasciato contro il bracciolo del divano, in una posizione per niente comoda. Addosso, a coprirlo, aveva una coperta di lana, vecchia e infeltrita. Notò immediatamente di essere solo e che Reiko era sparita da qualche parte.

Alzò un poco la testa, gemendo lievemente, avendo avvertito dei rumori dalla camera della ragazza. Mentre si alzava a sedere si massaggiò energicamente il collo, imprecando.

Dopo un paio di tentativi riuscì finalmente a mettersi in piedi, avanzando verso la stanza di Reiko. Si affacciò, trovando la ragazza indaffarata nel preparare i bagagli. Allora si ricordò di quando lei gli aveva comunicato la sua partenza dopo due giorni. Che fare?

-Buongiorno- salutà Akai, attirando la sua attenzione.

-Buongiorno- rispose lei, non smettendo però di fare quello ce stava facendo e non alzando neanche gli occhi per guardarlo.

Lui ignorò quel comportamento, aggiungendo:

-Dove andiamo?-

-Io torno a casa, tu non lo so-

Erano tornati ai toni freddi di quando si erano appena conosciuti.

-Ehi, non vorrai lasciarmi qui, vero?- sorrise nervosamente lui, allargando le braccia in segno di resa.

-E perchè no? In fondo neanche ti conosco-

A quelle parole una fitta le colpì il cuore, facendola quasi smettere di respirare. Ma che cosa le prendeva?

Quella mattina, quando si era svegliata abbracciata ad Akai, aveva avuto paura. Contro ogni aspettativa si stava affezionando ad un altro uomo e questo la spaventata. Soprattutto se la persona in questione era qualcuno conosciuto da meno di un giorno.

Per questo aveva preferito innalzare nuovamente quel muro che in poche ore lui aveva a poco a poco intaccato.

Certo, continuava a diffidare, ma se lui realmente ero lo stesso bambino che aveva conosciuto durante l'infanzia, allora una parte di lei non poteva fare a meno di fidarsi.

Ciò però non comportava il fatto che lo avrebbe riammesso nella sua vita.

-Andiamo Reiko, non ho un posto dove andare. Non ti importa?- insistette Akai.

Era la prima volta che la chiamava per nome e questo le provocò un singolare calore all'altezza dello stomaco.

-Ripeto, non so come aiutarti, mi dispiace...-

Fece per superarlo che, senza rendersene conto, si trovò schiacciata tra lui e la parete, con il viso completamente affondato nel suo petto, il quale si alzava e abbassava come se avesse avuto il fiatone.

Il volto di Reiko si era improvvisamente infiammato e quella posizione le stava alquanto stretta. Prima però che potesse dire qualunque cosa, fu Akai a parlare:

-Reiko, senti, ti sono grato per quanto hai fatto per me e so anche che non ti fidi completamente e credimi, al tuo posto farei lo stesso. Ma ti prego di cercare di capire, dato che ho seriamente bisogno che tu mi aiuti ancora. Non ho nessuno dal quale tornare, in questo momento ho solo te-

Quelle parole la paralizzarono, ma il culmine fu il respiro pesante del ragazzo a contatto con la sua fronte. La sua mente letteralmente si scollegò per almeno un paio di minuti. Dopodichè rispose:

-Non so perchè lo sto facendo, ma una parte di me pensa di potersi fidare. Quindi d'accordo, puoi venire a stare da me, a patto che sia una cosa temporanea e che, quando te la sentirai, tu mi racconti qualunque cosa nascondi-

-Non posso prometterlo, ma ci proverò-

-Per il momento vedo di farmelo bastare. Adesso ti spiacerebbe lasciarmi andare?-

Akai, ancora su di lei, si allontanò rapido, schiarendosi la voce, come se fosse lui quello imbarazzato. La ragazza, dal canto suo, stava combattendo per non far cedere le ginocchia e per calmare il tremito che l'aveva invasa. Da quando reagiva in quel modo davanti ad un uomo?

 

Non appena le valigie furono pronte, Akai aiutò Reiko a caricarle in macchina. Dopodichè insistette per guidare lui.

-Sei sicuro di esserne in grado?- chiese scettica lei mentre raggiungeva di contro voglia il posto del passeggero.

-Stai scherzando, vero?-

-Era solo per chiedere. Con quella ferita al petto non so come tu faccia anche solo a sollevare il braccio-

-Sono abituato a molto peggio. Forse un giorno te lo racconterò-

La ragazza sospirò, arresa, per poi aprire lo sportello posteriore e far salire Akira. Mentre Akai la guardava salire a sua volta in macchina, ebbe una strana sensazione, come se qualcuno li stesse osservando.

Si voltò di scatto e gli parve per un attimo di aver visto qualcosa scintillare sul fianco della collina, come il riflesso di uno specchio.

Se lo stavano osservando, lui aveva anche capito di chi poteva trattarsi e la cosa non lo rese affatto più tranquillo.

Se l'organizzazione era a conoscenza del fatto che era vivo, non ci avrebbe impiegato molto ad arrivare a lui. Ciò significava che anche Reiko era in pericolo. Aveva però ancora bisogno di lei, quindi non si sarebbe allontanato per il momento. Certo, avrebbe fatto comunque qualunque cosa per proteggerla.

-Che ti prende?- lo raggiunse la voce di lei, la quale si era risollevata dal posto del passeggero e lo osservava, confusa e sospettosa.

-Niente, va tutto bene. Andiamo?- rispose Akai, aprendo lo sportello dell'auto e salendo, non senza lanciare un'ultima occhiata verso la collina.

Reiko, colto lo sguardo di lui, si voltò a sua volta nella stessa direzione, non notando però niente di strano. Così si strinse nelle spalle e salì a sua volta in macchina, la quale, quasi cinque minuti dopo, stava già imboccando la strada per tornare in città.

 

**

 

La donna sorrise malignamente, mentre lentamente si staccava dal mirino del suo fucile e prendeva a smontarlo, quasi fischiettando. Dopodichè afferrò la trasmittente poggiata sopra lo zaino.

Premette il pulsante per parlare.

-Capo?-

-Chianti, hai novità?-

-Credo di aver appena trovato il nostro Silver Bullet-

 

**

 

Reiko giurò a se stessa che non sarebbe più salita su una macchina insieme ad Akai. Aveva guidato come un pazzo e persino Akira, ad un certo punto, aveva nascosto il muso tra le zampe, prendendo ad uggiolare.

Quando l'auto si fermò, la mora saltò fuori, quasi come avesse avuto una molla sotto il sedile.

-Tu sei pazzo!!- imprecò, rivolta al ragazzo, il quale stava uscendo a sua volta dal veicolo.

-Ma che ho fatto?- chiese con tono innocente Akai.

-E lo chiedi anche? Devo mettermi a contattare le volte che abbiamo rischiato di ammazzarci grazie alla tua guida? Sappi che ci metterò un po'-

-Non dirmi che te la stai prendendo per questo? Io sono abituato, me lo hanno insegnato. Devi fidarti più di me-

-Davvero? Dovrei fidarmi di qualcuno che, nonostante gli abbia palesemente salvato la vita, continua a raccontarmi un mucchio di bugie?-

-A dirla tutta penso che anche tu abbia qualcosa da nascondere o mi sbaglio?-

Reiko non seppe come ribattere, in quanto quelle parole in qualche modo la fecero riflettere. Forse era vero, qualcosa da nascondere ce l'aveva, ma non certo come lui. O almeno così pensava.

-Hai finito?- gli chiese poi, incrociando le braccia sul petto e guardandolo male.

Non gli dette neanche il tempo di rispondere, in quanto si voltò e prese a camminare, dirigendosi verso una piccola palazzina dalle pareti bianche, il cui ingresso si trovava proprio su di una affollata strada piena di negozi.

Vantaggioso per chi non voleva farsi seguire, cancellare le proprie tracce. Svantaggioso per chi doveva tenere gli occhi aperti.

Mentre guardava Reiko e Akira fermarsi davanti al portone d'ingresso, lui rabbrividì. Si voltò lentamente verso la macchina, stracolma di bagagli, e sospirò.

-Stiamo scherzando, vero?-

 

-Diamine, sono un uomo ferito, dovrei essere io quello accudito e non fare il mulo da soma- si diceva Akai, mentre saliva per l'ultima volta le scale che conducevano all'appartamento di Reiko, per fortuna al primo piano.

Poggiò poco delicatamente le ultime valigie per terra, stirando poi la schiena con un gemito strozzato. Doveva ammettere però che, a parte tirare per via della cicatrizzazione, la ferita al petto non gli dava più di tanto fastidio.

Quella ragazza, nonostante il brutto carattere che si ritrovava, aveva delle mani da guaritrice. Era davvero sicuro che fosse una normale studentessa di psicologia?

-Tutto a posto?- lo raggiunse la voce di lei alle sue spalle, facendolo voltare.

Reiko, un sorriso sincero sulle labbra, gli stava porgendo una tazza di quello che pareva caffè. Akai rimase spiazzato per quella improvvisa bontà, dato che fino a cinque minuti prima, se avesse potuto, probabilmente lo avrebbe ucciso.

Sospettoso, accettò la tazza fumante e, mentre se la portava alle labbra, la annusò, come a volersi accertare che era tutto a posto.

-Niente scherzi, giuro. Prendilo come un segno di pace- disse la ragazza, continuando a sorridere.

Akai la fissò intensamente, rivedendo per un attimo la sua Akemi in quegli occhi color del ghiaccio.

-Che c'è?- chiese lei, visibilmente confusa e anche un po' imbarazzata.

-Niente. È solo che le somigli davvero tanto- si lasciò sfuggire lui senza volere.

Accortosi dell'errore, per mascherare l'imbarazzo, si tuffò sulla tazza di caffè. Avvertendo però gli occhi di Reiko che continuavano ad osservarlo, cercò un modo per svignarsela, finendo sul terrazzo che dava sul fiume.

Mentre guardava l'orizzonte, sentì dei passi alle sue spalle. Stavolta non si voltò.

La ragazza si poggiò alla balaustra con ancora la tazza di caffè tra le mani.

-Mi racconterai mai di lei?- gli chiese inaspettatamente.

-Forse un giorno...- rispose lui, mentre un sorriso nostalgico gli si formava sulle labbra.

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