The Wolf Story_ Super Extra: L'angolo delle fanfiction di Renesmee

di Delyassodicuori
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1_The impossible love_ parte 1 ***
Capitolo 2: *** 2_The impossible love_parte 2 ***
Capitolo 3: *** 3_The impossible love_parte 3 ***
Capitolo 4: *** 4_ The impossible love_parte 4 ***
Capitolo 5: *** 5_the impossible love_parte 5 ***
Capitolo 6: *** The impossible love_parte 6 ***
Capitolo 7: *** 7_The impossible love_parte 7 ***
Capitolo 8: *** 8_The Impossible Love_parte 8 ***
Capitolo 9: *** 9_The impossible love_ parte 9 ***



Capitolo 1
*** 1_The impossible love_ parte 1 ***


SPECIALE: L’ANGOLO DELLE FANFICTION DI RENESMEE parte 1


Giorno gente, umani e non. Benvenuti nel mio angolo delle fanfiction (ok, angolo è decisamente esagerato, visto che uso la biblioteca sotterranea di casa Cullen). È qui che io mi metto sulla macchina da scrivere e faccio nascere delle storie intriganti sulla mia famiglia e sui miei amici. Perché? Non lo so, come a mio padre piace inventare nuovi pezzi per il piano, a me piace inventare storie. Sono nata 1 anno e mezzo fa, ma ho già la mentalità di una ragazza di 17 anni. Eppure sembro appena una di 14 (alcuni poi si confondono, visto come cresco veloce!). I miei un giorno mi hanno spiegato come nascono i bambini, quindi si gente, ho fatto anche storie a pallini rossi ed arancioni (Mi sono documentata, ma non ditelo a nessuno, altrimenti chi la sente mia madre?). Ma bando alle ciance! Quel giorno, prima che tutti partissero per cercare le pietre, avevo invitato Zio Jacob, Zia Leah, Zio Seth, Zia Cate e Cloe per farli visitare il mio “angolino”.
Avevo completamente riempito un bel po’ di scaffali, così quando ho mostrato a loro la mia collezione sono rimasti increduli.
-Aspetta…- fece zia Leah, a corto di fiato –Quanto hai impiegato a scrivere tutto ciò?-
-Uh… un mese, forse- risposi. Zia e zio Jacob mi fissarono increduli.
-E di che parlano?- chiese zio Seth, curioso, mentre Cate e Cloe guardavano gli scaffali affascinate.
-Di noi tutti- risposi –Ma in particolare della mia coppia preferita, ovvero Zia Leah e Zio Jacob!-.
Non saprei descrivere le facce dei due, ma vi assicuro gente che erano rossi come peperoncini! Sorrisi compiaciuta per la loro reazione e andai a prendere una delle mie storie su i due innamorati. Saltai in alto verso lo scaffale “F” e presi una pellicola. Scesi con grazia e tirai fuori dalla bustina con cura dei fogli scritti.
-Che ne dite di leggere questo? Ah, non fate caso al tema Medievale, ma sapete com’è, mi affascina da sempre!-
-Uh?- chiesero in coro i due, fissando il titolo della mia storia, The impossible love.
-Amore impossibile?- chiese zio Jacob, confuso.
-Si si, leggete su!- ordinai a loro. Mi fissarono per un secondo, si guardarono poi negli occhi e voltarono pagina per leggere la storia (che presenta un unico capitolo, perché era troppo breve per avercene di più! Tipo la Breve seconda vita di Bree Tanner! Dai, se avete letto i libri della saga avete letto anche quello, no?)
-Questa poi…- disse Leah, immersa nella lettura, seduta tra le braccia di Jacob sulla poltroncina color bordeaux (Awww, non sono teneri?).
-Uffa! E leggilo ad alta voce, sono curiosa!- fece Cloe, avvicinandosi alla madre. Leah guardò perplessa Jacob e lui annui, dandole poi un bacio veloce sul suo collo (ora mi intenerisco).
-Ok- disse lei, con il viso rossissimo, ed iniziò:
 
-<< Pioveva forte quel giorno, anzi, quella notte. Le gocce di pioggia picchiavano forte sui vetri del castello, quasi come se volessero frantumarli in mille pezzi. Una donna, sulla quarantina, naso adunco e sguardo da corvo si dirigeva verso le cucine del castello, per verificare che fosse tutto al suo posto. E sotto ordine del re doveva anche portare alla regina una bacinella d’acqua. La Regina Sarah, infatti, era molto malata, e la famiglia reale era disperata. “Povera donna” pensava la vecchietta “La mia povera regina. Di questo passo…”. Una lacrima scese dal volto di lei. Lei, che era sempre stata la balia della regina Sarah, Che si è sempre presa cura di lei. Arrivò alle cucine quando sentì la porta che portava al piccolo campo di raccolto sbattere. Qualcuno dall’altra parte bussava forte.
“Ma chi è a quest’ora?” si chiese la donna, confusa e seccata. Non aveva tempo per ospiti. Doveva pensare alla sua regina malata.
-Chi è?- chiese, ma nessuno rispose. Sbuffò ed andò ad aprire la porta. Per poco non cacciò un urlo di terrore. Davanti a lei, zuppi e fradici, due bambini stavano alla soglia. Un tuono illuminò i loro volti per un secondo. Una era di appena dieci anni, con i capelli neri e lunghi che le coprivano parte del volto consumato dal dolore nonostante la tenera età. L’altro era sulle spalle di lei, forse di cinque anni, piccolo, gracile, con le guance rosee ma sporche di sangue e fango e capelli neri e corti. Anche la bambina aveva il volto sporco di sangue e fango, sciolti però dalle sue incessanti lacrime. La piccola stringeva i denti, come se fosse affaticata, e aveva uno sguardo strano sulla donna. C’erano rabbia, rancore e tristezza, ma anche sollievo in quegli occhi color cioccolato fondente.
-La prego- disse a fatica la bimba, le braccia che reggevano il bambino e le gambe tremanti -…Per Favore… Lo… aiuti… Ci… aiut…-.
Non riuscì a finire la frase che la bimba chiuse gli occhi e si afflosciò a terra, esausta, assieme al piccolo bimbo.
-Oh Gesù!- urlò la donna, terrorizzata, e li portò dentro, chiudendo la porta. Li poggiò sul pavimento vicino al tavolo e corse verso le stanze della regina. La ritrovò esattamente come l’aveva lasciata. La regina, sdraiata sul letto matrimoniale, aveva il volto sudato, i capelli appiccicati alla fronte e il respiro affannoso. Il re, un uomo con i capelli lunghi e neri, era seduto accanto a lei, a stringerle la mano fredda e impallidita, con lo sguardo morto su di lei. I figli, un bimbo di dieci anni e due bambine più grandi, erano ai piedi del letto, i volti segnati dal dolore e dalla paura per la probabile ed imminente perdita.
-Maestà!- urlò la balia –Due bambini… ci sono due bambini feriti nelle cucine!-
-E curali, vecchia storpia!- urlò il re, fuori di sé. Due bambini sconosciuti erano i suoi ultimi problemi. Il figlio del re alzò la testa, asciugandosi le lacrime. Era simile ai due bambini. Capelli neri e corti e occhi color cioccolato fondente. La balia si scusò e uscì, tornando alle cucine. Prese dell’acqua, la portò al re e tornò dai due bimbi. Riempì una vaschetta d’acqua e sentì dei passi piccoli scendere le scale. Il principino aveva ancora il volto distrutto, ma più deciso.
-Altezza!- sbraitò la donna –Non dovrebbe essere qui!-
-Zitta Madama Gianna!- urlò il principino, furioso come il padre. Fissò i bimbi accasciati per terra, prese una coperta sudicia e li coprì con quella.
Prese due stracci ed assieme a Madama Gianna li inzuppò nella vaschetta. Con uno straccio pulì il viso della bambina, scostandole i capelli dalla fronte. Il bimbo rimase incantato, e rattristato allo stesso tempo. Come mai una bambina così bella era in quello stato? Le pulì il viso con cura e delicatezza, assieme al collo e alle braccia. Per i vestiti ( che ora erano più che altro degli stracci) non poteva farci niente, per il momento. Quando passò una seconda volta la fronte della piccola, lei aprì gli occhi. All’iniziò le parve tutto sfocato, ma poi vide chiaramente il viso di un bel bambino proprio sopra di lei. Lo fissò, incantata e confusa, gli occhi semi aperti.
-Meno male- disse sollevato il piccolo –Madama Gianna, lei è sveglia!-
-Sia lodato il cielo!- fece lei –Si sta svegliando anche lui!-.
La bambina era troppo confusa per capire cosa si stavano dicendo. Continuava a fissare perplessa il piccolo principe. –Stai bene?- chiese lui, un poco sollevato, porgendole appena un sorriso per incoraggiarla.
-Si…- disse lei, la voce debole –Ma… tu… chi sei?-
-Che maleducata!- sbraitò improvvisamente la balia –Lui è il principino, porta un po’ di rispetto!-
-Vecchia rimbambita, NON ORA!- urlò di rimando lui, chiedendosi in quale continente avesse preso le rotelle.
-P-principe?- fece la bimba, incantata.
-Per favore, chiamami Jacob- disse lui, sorridente appena –Tu come ti chiami?-
-L-Leah… rispose la bimba, le guance arrossate.
-E il piccoletto?- chiese Jacob.
-S-Seth…- rispose Leah e di colpo spalancò gli occhi, terrorizzata. –O mio Dio! Dov’è mio fratello?- urlò lei, alzandosi a sedere. Un dolore improvviso si fece sentire allo stomaco, costringendola a sdraiarsi.
-Sta calma, è qui- disse Jacob, indicandole il fianco. Il piccolo Seth teneva a malapena gli occhi aperti. Tremava e i suoi denti battevano forte.
-M…Mamma…- fece il piccolo, gli occhi pieni di lacrime –Papà…-.
Leah sentì come un taglio netto al petto e le guance ancor più bagnate. Abbracciò il fratellino e gli disse rassicurante:-Va tutto bene, piccolo, siamo salvi ora… Siamo al castello, ce l’abbiamo fatta!-.
Si, si diceva, ci erano riusciti. Era riuscita a mantenere la sua promessa…>>-

 
-Ma perché cavolo devo essere sempre io il più piccolo qui?- sbraitò Seth, interrompendo Leah. Lei alzò lo sguardo al cielo. Forse si stava chiedendo se dargli una manata in testa o meno.
-Zio, Taci!- fece Cloe, mentre io e lei eravamo sedute di fronte alla poltroncina con lo zio dietro di noi.
-Dai Seth, falla finire!- fece Cate, sedendosi accanto a lui. Leah tossì e riprese il racconto:
 
­-<< Passarono due giorni. Il re diede il permesso alla balia di tenersi i bambini profughi. Il giorno dopo, però, l’anima della regina Sarah abbandonò il suo corpo. Il giorno successivo c’era tutto il regno al suo funerale. Dopo la cerimonia, Jacob andò a rintanarsi in un angolo del castello da solo. Leah, che teneva per la mano il piccolo Seth, decise di seguirlo, per fargli le condoglianze. Sia lei che il fratello sapevano cosa significava perdere un genitore. Voleva stargli vicino, consolarlo, fargli capire che non era da solo, ma una mano rugosa bloccò la sua spalla. –Dove pensi di andare, eh?-.
-Ma Jacob…- fece lei e la vecchia sguattera la strattonò per un po’. Il piccolo Seth si nascose dietro la sorella e Madama Gianna la guardò in faccia. Alzò il dito davanti al suo naso e disse, seria e severa:- Ricorda, giovane! Lui è il principe, chiaro? Noi siamo povere. Siamo sguattere, capisci? Non possiamo socializzare con la famiglia reale come se fossero persone comuni! Ricordatevi entrambi che dovete chiamarli sempre Altezza o Maestà, e dare a loro del lei  o del voi. Mai per nome! E non parlate se non siete interpellati! E non stringete con loro amicizia! Il vostro compito, d’ora in avanti, è servirli! Mi sono spiegata?-.
A Leah quelle parole facevano molto male. Non poteva parlare con lui? Doveva e Voleva farlo, lo sentiva, ma se non rispettava le regole del palazzo, lei e Seth erano finiti. Doveva rispettarle, per il bene del fratellino…>>-

 
-Certo che è stronza la tipa!- sbraitò Jacob indignato. E ti pareva?
-Anche tu, papà?- fece Cloe, furiosa, sul punto di esplodere.
-Posso continuare o devo essere interrotta?- chiese Leah, ansiosa. Il racconto era riuscito a prenderla, evvai!
-Vai Vai!- feci io con la mano.
-Bene- disse lei –Allora continuo… uh… qui la scena si sposta dopo 10 anni?-
-Si- risposi, dondolando impaziente.
-Ok… allora…. << -10 anni dopo->>
 
< -Torna qui, vigliacco!- urlò Madama Gianna dietro di loro, rincorrendoli, con in mano un mattarello infarinato.
-Cacchiooo!- urlava Seth, terrorizzato, mentre in bocca si teneva un pane.
-Razza di idiota!- sbraitò Leah. Si era tagliata i capelli e ora le arrivavano appena alle spalle.
-C’era proprio bisogno di rubare il pane oggi?- urlò lei, furiosa.
-Ma ho fame! Sono due giorni che non mangio!- rispose Seth –E tu perché scappi allora?-
-Quella donna fa paura!- rispose urlando Leah. Non si accorsero però che dall’angolo sbucò fuori davanti a loro la vecchia Madama Gianna, arrabbiata come un toro alla vista del rosso. Si fermarono appena in tempo ma lei diede ad entrambi una martellata in testa. I due caddero con le facce a terra e le fontanelle di sangue che uscivano dalle loro nuche…>>-

 
-Wow, come nei manga!- fece zio Seth –Brava, stai imparando l’arte del vivere alla Giapponese!- continuò, dandomi le pacche sulla spalla.
-Uh…- feci confusa, quando Cloe intervenne urlando:-Zioooo!-.
Gli diede un violento ceffone sulla nuca e lui cadde a terra proprio come i Leah e Seth della storia.
-Non rompere!- fece lei –Stiamo ascoltando!-
-Ma…-
-Niente MA!-urlò di rimando Cloe, schiacciandogli la testa.
-Uff… continua dai…- fece Cate, incitando la lupa.
Lei sbuffò nervosa e continuò:
 
-<< -Finalmente vi ho beccati!-.
-Seth, mannaggia, ridalle il pane!- disse Leah, massaggiandosi la testa e rimettendosi in piedi.
-Ma ho fame!- ripete Seth, mentre il suo stomaco brontolava di brutto. –Il borridge non lo prendi?- urlò Madama Gianna…>>-

 
-Borridge? C’era all’epoca?- chiese Jacob, interrompendo nuovamente il racconto. Leah sbuffò impaziente, prese un libro dallo scaffale alle sue spalle e urlò:-Taciii!-.
Un colpo violento in testa costrinse Jacob a tacere sul serio. Lasciò cadere la testa sul collo della lupa e lei arrossì di brutto, rimettendo il libro al suo posto.
-Renesmee, smettila con quei occhi a cuoricino- fece Cate, riportandomi alla realtà. Che pizza!
Leah riprese il racconto:
 
-<<-No che non lo prendo!- urlò Seth –Fa schifo!-.
-E allora?- urlò Leah, fuori di sé per quella assurda situazione:- Anche io lo trovo disgustoso, ma lo mangio uguale!-.
A Seth brontolò di nuovo lo stomaco più forte. Madama Gianna sbuffò seccata e disse:-Bene, prendi solo un pezzo, ma pretendo che tu mi restituisca gli altri-.
-Grazie vecchia pirla!- urlò Seth di gioia e, prima che la vecchia potesse solo rispondere, le diede gli altri pani, tenendosi quello che aveva addentato, e scappò ridendo.
-I giovani, tsk!- fece Gianna, indignata. Leah sbuffò. A suo fratello piaceva mangiare bene. Sin dai suoi 5 anni non digeriva il borridge. Entrambi erano stati educati severamente da Madama Gianna, ma nonostante ciò Seth era sempre Seth…>>-
.
 
-Che?- chiese urlando Seth. Gli diedi una gomitata in pieno naso.
-Qualcun altro vuole rompere mentre leggo per tutti?- chiese Leah, irritata. Scuotemmo le teste in segno di “no”, mentre Cate riaggiustava il naso al lupetto.
-Leah, quando ti sei stufata fai leggere a me?- chiese Jacob.
-Si certo- disse lei, dandogli un bacio tenero e dolce sulla guancia, a mo’ di scusa per la botta di prima.
-Oh! Voi due!- urlai, puntando contro loro il dito –Sulle labbra con tanto di lingua la prossima volta!-.
-NESSIE!- sbraitarono loro, rossissimi.
-Vuoi finire, per favore?- chiese Cloe, stufa delle solite interruzioni.
 
-<< Madama Gianna aveva dato a ciascuno un ruolo: Seth era incaricato a comprare i prodotti, caricarli nel carro e portarli al palazzo, per poi pulire le stalle e dar da mangiare ai cavalli. Leah, invece, era la sguattera del castello, assieme ad altre donne, ovviamente. La differenza, però, era questa: essendo stata educata dalla vecchia in persona, era lei quella che dormiva in cucina assicurandosi che andasse tutto liscio e non solo: era diventata anche la balia della principessa Rachel, una ragazza più grande di lei, che portava sempre gli occhiali sul naso e un libro sotto il braccio e sul petto…>>-
 
-Occhiali?-
-TACI JACOB!-
 
-<< -Tu non hai da fare?- chiese Gianna alla ragazza.
-Ho fatto tutto, a dir la verità- rispose Leah –proprio ieri pomeriggio-.
-Leah! Finalmente!-. la ragazza si voltò, ritrovandosi davanti ai suoi occhi Rachel. –Oh, altezza!- fece lei, inchinandosi un poco al suo cospetto. Gianna annui, approvando il suo modo di salutare la principessa, mentre quest’ultima sbuffava indignata. Odiava vederla fare questo.
-Senti Leah- fece Rachel –Non è che mi accompagneresti da mio fratello?-.
-Principe Jacob?- fece Leah, facendole riaffiorare il ricordo del loro primo incontro. Dal funerale della regina non si erano più parlati. Si erano incontrati solo di vista, ma niente di più.
La ragazza ebbe un nodo alla gola. –Certo, altezza- rispose invece, seguendola per il corridoio. Camminarono per un po’, finché Rachel non disse:-Senti, d’accordo che potrebbe avertelo imposto lei, però non esagerare!-.
-Oh, certo- disse Leah, finendo lì il discorso. Arrivarono davanti ad una porta in legno. Dall’altra parte si sentivano rumori di macchinari strani. Le due entrarono in una grande stanza, con tanto di  tavoli, macchinari, strumenti meccanici, chiavi inglesi, martelli, ecc…
Qualcuno dall’altra parte della stanza stava battendo un pezzo di ferro, o almeno così sembrava di sentire Leah. Camminarono verso quella parte, ma una figura umana, con in testa uno strano copricapo di ferro, balzò davanti a loro. In mano teneva un pezzo di ferro battuto e un martello. Le due ragazze urlarono per lo spavento. La persona con il copricapo rise divertito.
Leah non resistette e gli diede un calcio nei marroni. Il ragazzo si piegò in due dal dolore e lei gli pestò la testa più volte, urlando:-Pezzo di idiota, COME OSI SPAVENTARE SUA ALTEZZA?-.
-L-Leah!- urlò Rachel, bloccandola –Quello è Jacob, fermati!-. A Leah ci vollero ben cinque secondi buoni per capire la gravità della cosa. Alzò il piede dalla sua testa e il ragazzo si tolse il copricapo. Alla sguattera si mozzò il respiro. Visto così da vicino era ancora più bello di quanto ricordasse. Jacob si massaggiò la nuca, nel punto esatto dove era stato pestato. –Ahia- fece lui –Stavo solo scherzando io!-.
La ragazza si pietrificò per il terrore. Aveva appena pestato il principe? Madama Gianna l’avrebbe picchiata a sangue. Per di più era lo stesso bambino che era corso per soccorrerla dieci anni fa!
Si inginocchiò a terra e cominciò ad implorare:-Mi perdoni, mi perdoni, mi perdoni, non accadrà più!-.
-Ok, tranquilla- fece il ragazzo, bloccandole la spalla per evitare che si chinasse di nuovo.
-Sei perdonata, anzi, perdonami tu, vi ho spaventate!-.
-Come sempre!- si lamentò Rachel.
-Sorella, qual buon vento?- la salutò Jacob, alzandosi.  Anche Leah si alzò ma rimase in disparte con la testa bassa, lo sguardo sui suoi piedi e i capelli corti che coprivano a malapena il viso.
-Il tuo tutore vuole che tu ti metta a studiare questi invece di giocherellare con i macchinari- disse a mo’ di saluto la principessa, porgendo al fratello un libro.
-Uffa- sbraitò Jacob –Edward sceglie sempre gli argomenti più noiosi!-.
-Se tu ti impegnassi di più non sarebbero noiosi!-
-Ma cavolo, ho 20 anni!-
-C’è gente che studia ancora a quest’età! Ah, un’latra cosa…-
-Dimmi- sbuffò lui.
-Ti ho portato qualcuno per aiutarti a mettere in ordine questo posto- rispose Rachel, indicando con un semplice gesto della mano Leah. Lei alzò la testa, leggermente confusa. Doveva aiutare chi?
-Oh, grazie mille- sorrise soddisfatto il principe. Leah inarcò un sopracciglio, chiedendosi il motivo di tanta felicità.
-Bene, a dopo allora- li salutò Rachel, ma venne bloccata dalla sua balia:-Un attimo, vostra Altezza, cosa dovrei fare qui?-.
-Aiutalo- rispose semplicemente la principessa, chiudendosi dietro la porta. Per la prima volta, si rese conto Leah, erano da soli in una stanza. Le si mozzò il respiro una seconda volta.
E ora? Madama Gianna era stata chiara con lei dieci anni fa: 1) non stringere con loro amicizia; 2) abbassarsi davanti a loro di livello; 3)Darli sempre del lei o del voi e chiamarli sempre “altezza” o “maestà”.
-Allora, non vieni?- chiese lui, indicando il fondo della stanza. Leah si ricordò allora di un’altra regola:4)Non parlare con loro se non si è interpellati.
-Oh, certo… altezza…- rispose lei, seguendolo. Jacob grugnì, dicendo:-Non chiamarmi altezza, ok?-. Leah non rispose. Anche su questo Madama Gianna era stata espressamente chiara: 5)Non ascoltarli quando dicono una frase simile.
Leah fissò il principe dopo dieci anni. Indossava dei pantaloni neri e una t-shirt bianca-grigia. Aveva poi notato che con il tempo aveva sviluppato i suoi muscoli ed era persino più alto di lei. Arrossì, ma poi scosse la testa per non pensarci.
Arrivarono infondo all’enorme stanza, dove vi erano degli scaffali pieni di libri.
-Ok, mentre io rimetto a posto il tavolo, tu puoi riordinare i libri sugli scaffali per favore?- chiese Jacob, indicando il mucchio sparso sulle sedie accanto.
-Certo, altezza- rispose lei, alla quale non le sfuggì un grugni di assenso da parte di lui. Salì la scala con tre volumi pesantissimi in braccio, cercando di rimetterli al loro posto, purtroppo per lei, a fatica. Provò a rimettere al suo posto il terzo libro, ma lo rimise dentro talmente a fatica che quando lo rilasciò sentì l’equilibrio vacillare come il suo corpo. Provò ad aggrapparsi alla scala ma fu troppo tardi. Cadde nel vuoto e chiuse gli occhi. Sentì poi qualcosa stringerle forte per la schiena e le gambe. Aprì gli occhi di scatto. Jacob la teneva in braccio e il suo viso era vicinissimo a quello di lei, quasi a sfiorarsi i nasi. Sentirono entrambi i loro cuori battere forte e le loro guance accaldarsi sempre di più. Ognuno si era completamente immerso negli occhi dell’altro.
-Stai bene?- chiese Jacob, sempre fissando la ragazza tra le sue braccia. Lei arrossì il doppio, rendendosi conto solo ora di quel che stava succedendo. Scese dalle sue braccia, si sistemò la gonna fingendo che fosse tutto nella norma e rispose:-Si, certo…-.
-Sicura?- chiese lui, avvicinandosi. Lei si rivoltò dall’altra parte per non vederlo in faccia. No, non poteva nemmeno rivolgergli la parola se non era interpellata.
-Si- rispose secca lei, abbandonando ogni buona educazione. Si avviò da sola verso l’uscita, prima che Jacob potesse dire solo una A. Uscì e chiuse forte la porta. Si appoggiò ad esso e cominciò a riprendere fiato, ancora con il cuore fortemente agitato.
Dopo un giorno Leah non riusciva ancora a toglierselo dalla testa. Il ricordo di come il principe l’aveva salvata, stringendola forte a sé, le rimbombava nella mente, quasi a stuzzicarla. E anche il suo cuore tendeva a farle dei pessimi scherzi. Quel giorno, comunque, doveva andare a lavare i panni. Camminava per il castello con in mano un enorme cesto, con dentro una montagna di vestiti da lavare. La vaschetta per lavare i panni era al piano superiore rispetto a dove si trovava lei. Cercò di salire pian piano le scale per evitare di cadere di nuovo, quando una voce troppo famigliare la distrasse:- Leah! Eccoti finalmente!-.
-Vostra altezza!- le uscì dalla bocca al solo pensiero di Jacob, che era proprio sotto la grande gradinata dietro di lei. Fu talmente distratta che mise male il piede sul gradino e scivolò. Ancora qualcosa la afferrò, stavolta circondandola tutta. La sensazione di vuoto finalmente cessò, ma un paio di panni caddero addosso a lei, assieme agli altri. Dopo due secondi circa si accorse di essere sdraiata su qualcosa di duro e caldo. Il suo orecchio era poggiato su quella strana superfice e sentiva uscire da essa dei strani battiti.
-Tutto bene?- chiese la voce di Jacob sopra la sua visuale. Alzò un poco la testa. I loro volti erano nuovamente vicinissimi, forse un po’ più della scorsa giornata. Lei era sdraiata sopra di lui e il principe con un braccio la stringeva a sé, con l’altro cercava di rialzarsi. Di nuovo arrossirono e Leah sentì la schiena percossa da brividi enormi. Si staccò da lui bruscamente e disse, agitando le mani:-Mi Scusi, mi dispiace!-.
-Oh, non preoccuparti- rispose lui, sedendosi. La ragazza provò allora a scappare via, ma la mano di lui le afferrò saldamente il polso. Si sentì trascinare da lui e in un attimo il principe stringeva forte a sé la sguattera in un abbraccio caloroso, bloccandole la schiena con le sue enormi braccia. Lui appoggiò la testa di lui sulla sua spalla e fece oscillare la sua sul collo di Leah. La balia di Rachel sentiva il cuore batterle ancor più forte e il viso raggiungere i 40°C, forse i 42. Alla peggio 44!
Le braccia di lei erano completamente bloccate, incastrate tra i loro petti quasi attaccati. Jacob le accarezzò dolcemente i capelli, assaporando il suo dolce profumo. Poi le sussurrò:-Per favore, non scappare-.
-A-altezza…- fece lei, a corto di fiato, ma Jacob la zittì:-Non chiamarmi così!-.
Dopo due secondi e mezzo disse, dolce e triste allo stesso tempo:-Mi sei mancata tanto-.
Leah sentiva il bisogno di piangere. Voleva ricambiare l’abbraccio, dirgli che gli mancava tanto anche a lei, che ogni singolo giorno della sua esistenza non faceva altro che pensare a lui. Ma non poteva. Una lacrima le scese lungo la guancia. Jacob la strinse ancor di più, quasi come se non la volesse liberare. Voleva tenersela così per sempre. Voleva restarle accanto per sempre, sentirla sua, sapere che era sua. Si staccò leggermente da lei, poggiando la fronte su quella della sguattera. Le asciugò la lacrima e i due si fissarono negli occhi, rapiti.
-Jacob!- Sentirono urlare la principessa Rebecca da lontano.
-Dove sei? Ho bisogno di parlarti!-.
“Oh no!” pensarono i due e Leah si staccò subito da lui a forza. Raccolse in fretta e furia i panni sporchi, li infilò nel cesto e corse con essa su per le scale, sbirciando dai vestiti, mentre il suo cuore accelerava sempre di più e il principe la fissava andarsene, con lo sguardo triste…>>-
 

 
-Uffa! Rebecca deve sempre rompere!- sbraitò Jacob.
Leah alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta e se li stropicciò. –Leggo io?- chiese il lupo rosso alla lupa bianca. –Uhm- rispose lei, passandogli il foglio e mostrandogli la riga da dove deve leggere per riprendere la storia.
 
 
-<< Nelle due settimane seguenti aveva sempre cercato di stargli lontano. Quel giorno erano entrambi vicini a varcare quel limite, quel limite che non dovevano superare. Le sue parole le rientravano in testa, ad ogni ora: ”Mi sei mancata tanto!”.
-Ehi, sorellona- la richiamò Seth, seduto alla guida del carro.
-Eh?- fece lei, risvegliandosi dai suoi ricordi.
-Vuoi sbrigarti a caricare dentro quei cetriolini?-.
“Cacchio” pensò Leah, ricordandosi che teneva in mano un cesto di cetriolini. Seth quel giorno doveva distribuire un po’ di merce alla popolazione che non era in grado di permetterseli.
Caricò il cesto nel carro strapieno poi, accarezzando il collo del cavallo, chiese al fratello:-Entro quanto pensi di tornare?-.
-Mah, non dovrei metterci molto spero- disse lui ed agitò le rendini, facendo partire il carro. Da lontano urlò a Leah:-A stasera!-.
-Stai attento!- urlò lei, agitando la mano per salutarlo.
Continuò a fissare il punto dove era sparito Seth. In quel momento aveva in testa il ricordo pungente di come, 10 anni fa, era stato ferito brutalmente…
 
-No, lascialo stare!- urlò la piccola Leah, con il braccio insanguinato.
-Oh, anche tu ti metti contro di me?- ringhiò furioso l’uomo che stringeva il piccolo Seth per la gola. Leah prese un bastone che si trovava a terra e lo sbatte forte sulla testa dell’uomo. Lui urlò di dolore e mollò la presa su Seth, che cadde con un tonfo a terra. Lei lo raggiunse e provò a sollevarlo.
-Sore.... lona… -sospirò il piccolo, ricoperto di sangue e fango.
-Non temere!- disse Leah, quasi urlando –Ho fatto una promessa, ricordi? Riusciremo a salvarci!-. alzò la testa e sgranò gli occhi per il terrore. L’uomo teneva sempre lo stesso  bastone di Leah in alto, pronto a colpirli…
 
-Oh, il piccoletto lavora, allora!-.
Leah si voltò e il suo volto assunse una smorfia di disgusto puro. Sam, comandante dell’esercito del re, era forse la seconda persona che più odiava al mondo. Lo aveva sempre odiato, sin dal loro primo incontro. Infatti, la faccia del comandante era uguale a quella dell’uomo di quella notte.
-Certo che lavora- sputò a terra lei –al contrario di una certa persona!-
Non lo avesse mai detto. Sam assunse uno sguardo furioso, come se la volesse uccidere da un momento all’altro. Le prese a forza il braccio, stringendolo, fino a farle male sul serio.
-Devo ricordarti cosa avevo fatto quella volta alla vostra cara cuginetta?- chiese con un ringhio lui. Leah per poco non si sentì strozzare. Dopo cinque anni di soggiorno al castello, i due fratelli avevano scoperto che assieme a loro lavorava la loro cugina. Emily. Cercò di scacciare via il ricordo di come aveva trovato il comandante sopra la cugina di Leah, intento a penetrarla…>>-

 
Jacob si bloccò in quel punto e, sia lui che Leah, fissavano la riga, impietriti e scioccati, le bocche ad O. Mi guardai intorno e anche gli altri avevano la stessa espressione.
-Che c’è?- chiesi imbarazzata.
-Renesmee Carlie Nessie Cullen- fece Jacob, fissandomi come se avessi appena commesso un crimine –Hai guardato per caso YouPorn, te l’ha spiegato Embry, o i tuoi?-
-I miei cavolo!- sbraitai –Ho la mente di una diciasettenne, non rompete!-
-C-continua…- fece Leah, appoggiando la sua testa sul collo di Jacob, mentre lui appoggiava la guancia sulla suo nuca.
-Nessie, non sbavare- fece Seth, e io mi pulì la bava. Cavolo.
-Non ti facevo tanto pervertita sai?- fece Cloe –Mi chiedo cosa ne penserà Nahuel…-
Una botta in testa da parte della sottoscritta bastò a zittire la lupacchiotta. Arrossì e il mio cuore balzò forte al pensiero dell’ibrido.
-Ehm…. <  
<<-Posso farlo benissimo anche con te- continuò Sam. La ragazza si sentì sbiancare completamente. –Lasciami!- urlò lei, cercando di liberare il suo braccio dalla stretta. Improvvisamente qualcuno sbucò fuori alle spalle di Sam e gli diede un ceffone sulla nuca. Il comandante si voltò, urlando:-Chi cazz…- per poi bloccarsi. Jacob lo fissava con un aria omicida. Leah sospirò di sollievo, ma subito dopo si sentì accaldata ed agitata. Lui  qui?
-Altezza- tremò Sam. Jacob sibilò:-Lasciala stare-. Sam obbedì e corse via, terrorizzato ed infuriato.
Leah rimase immobile, a fissare il ragazzo davanti a lei, mentre lui ricambiava lo sguardo.
-Grazie…- disse lei, a testa bassa e arrossata. Riusciva ancora a sentire sulla sua pelle il calore dolce ed affettuoso del principe. Lui la prese d’istinto per mano e le disse:-Seguimi senza fiatare-. Leah annui, imbarazzata, e Jacob la trascinò dietro di sé, fino ad un piccolo magazzino dove tenevano la scorta per l’inverno. Lui si chiuse la porta dietro di sé a chiave e prese la ragazza per i fianchi, incastrandola tra lui e la parete di legno.
Lui avvicinò il viso al suo.
-Perché continui a scappare ogni volta che arrivo io?- chiese il ragazzo, lo sguardo serio e profondo sugli occhi di lei.
-Altezza, per favore…- cercò di dire Leah, ma Jacob la bloccò al muro per le spalle:-Dimmelo, insomma! Perché, voglio saperlo!-.
Leah ci pensò su due volte o forse più mentre fissava negli occhi scuri del principe, carichi di curiosità. Il volto della ragazza si fece più serio, teso e scuro. Strinse forte i denti e disse, con una voce calma e severa, non sua:- Allora le dirò una cosa, principe, ma è bene che stia molto attento, perché non ripeterò una seconda volta-.
-Ti ascolto- fece lui, le orecchie tese, nervoso. Quello sguardo non era suo, lo sapeva bene. Dopo quella notte, 10 anni fa, prima che la regina Sarah lasciasse la terra, aveva stretto amicizia con Leah, l’unica con la quale avesse avuto un rapporto molto affettuoso, quasi alla pari delle due sorelle. Una volta, poi, quando lei aveva saputo che sua madre era sul punto di morire, lo aveva abbracciato forte. Quella volta aveva di fronte a sé una Leah che, nonostante il trauma vissuto assieme al fratello, riusciva ancora a sorridere, non per sé stessa, ma per gli altri. Forte, coraggiosa, sorridente. E felice quando stava con lui e Seth. Ogni volta che lei sorrideva lui si sentiva bene. Ma ora, chi aveva di fronte a sé? Chi era quella ragazza? Possibile che fosse la stessa bimba di dieci anni fa?
Doveva essere successo qualcosa, chiaro. Altrimenti in quel momento non avrebbe assunto uno sguardo duro. Leah riprese fiato e disse, con un tono asciutto:-Io e lei siamo troppo diversi. Siamo di una classe sociale diversa. Un principe ed una sguattera non dovrebbero mai abbracciarsi in quel modo. Siamo stati fortunati che nessuno ci ha visti, ma sarebbe splendido se non riaccadesse più una cosa del genere-.
Lei stessa si vergognava da sola per qualche strana ragione di quelle stesse parole. Ma sperò che questo potesse far chiarire le idee a Jacob. Provò ad andarsene a testa bassa, ma lui la bloccò di nuovo. Le parole di Leah gli avevano lasciato dell’amaro in bocca. Ora anche il suo sguardo era duro e scuro come quello della sguattera.
-Te l’ha imposto quella vecchia rincitrullita una regola simile?- chiese lui.
Leah provò a non guardarlo negli occhi. Sapeva che se lo avesse fatto avrebbe perso la lucidità.
Non era già abbastanza il fatto che in quel momento il suo cuore battesse così forte?
-Anche se non lo fosse, varrebbe comunque- disse secca lei.
-E secondo te a me importa?- chiese lui, quasi urlando.
-Dovrebbe!- rispose Leah, cercando di mantenere il tono asciutto. Passò un minuto di silenzio, dopo di ché Jacob riprese il discorso:-Ricordi cosa ti avevo detto l’altra volta? Tu mi sei mancata tanto Leah, e mi manchi ora!-.
Si fissarono negli occhi. Lo sguardo di lui era triste e la cosa metteva a disagio lei. Leah cercò di capire il senso dell’ultima parte della frase. Lo sguardo della ragazza era simile a quella volta che dopo dieci anni lui l’aveva abbracciata. Ora Jacob nei suoi occhi (come l’altra volta) riusciva a rivedere la stessa bimba di allora. Almeno questo lo sollevò un po’. Dopo tutto era sempre la stessa. Ma in quel momento di qualche giorno fa aveva subito capito una cosa che lo aveva rattristato parecchio.
-Capisci cosa ti dico?- fece Jacob – Mi manchi ora, e lo sai il perché? Ci sei fisicamente, ma sembra quasi che davanti abbia un’altra persona. Mi spieghi dov’è finita la bimba di un tempo? Quella con la quale avevo stretto amicizia? Quella che per me era più di una sorella?-.
Leah si immobilizzò, il respiro mozzato e il cuore a mille. Sentì gli occhi bruciare, ma batte varie volte le palpebre per non piangere. Non voleva fare la stessa figuraccia una seconda volta. Anche a lei mancavano quei brevi, ma piacevoli momenti. Ogni neurone del suo cervello le diceva di abbracciarlo forte. Lo voleva in un certo senso, ma soffocò subito questo desiderio impossibile.
-Non è mai esistita- disse lei, distogliendo lo sguardo da lui, ma Jacob disse subito:-Bugiarda!-.
Lei si voltò e lo fissò negli occhi. Bugiarda?
-Ti si vede dagli occhi che menti- continuò – tu sei sempre la stessa, solo… ti nascondi… e non mostri la vera te stessa. Ed è questo che mi manca, capisci? Mi manchi, Leah!- prima che lei potesse solo aprire la bocca, lui la strinse forte a sé. L’abbraccio era dolce e caldo come l’altra volta. Jacob assaporò il profumo dei capelli di lei, mentre Leah sentiva dal suo collo l’odore di lui. Non c’era nessuno a guardarli. Erano completamente da soli. Leah non ce la faceva più. Mille emozioni le bruciavano nel cuore e non sapeva a quali dar retta.
Abbracciarlo, o cacciarlo via? Urlargli contro o dire la verità? E se qualcuno fosse entrato in quel momento? Cosa avrebbe fatto la persona? Quale scusa avrebbe usato Leah?
Tutte queste domande le facevano solo scoppiare il cervello. Non ce la faceva proprio.
-Ti prego- fece Jacob al suo orecchio –Non scappare. Ho bisogno di te-.
Silenzio. Nella stanza si sentivano soltanto i battiti forti dei loro cuori. Quelle parole la rendevano sia felice che triste. Chiuse gli occhi e decise di lasciar fare al suo corpo per una volta. Le sue braccia si alzarono tremanti sotto le ascelle del ragazzo e avvolsero a fatica tutta la sua schiena, grosso com’era. Gli strinse l’enorme giaccone rosso che si portava sempre dietro e fece sprofondare la testa su di lui, tra la spalla e il collo. Jacob sorrise e la abbracciò ancor di più, tanta era la paura di lasciarla scappare ancora.
-Non… non…- fece Leah, la voce strozzata e sul punto di singhiozzare. Cosa stava facendo? Se solo Madama Gianna lo avesse scoperto, lei e il fratello…
-Shh…- fece Jacob, accarezzandole i capelli e annusandoli ancora –Possiamo ancora parlarci, sai? Come due persone normali. Sarà il nostro segreto-.
Senza nessuna ragione logica, a Leah piacevano molto quelle parole. Perché no? Infondo anche a lei mancava lui. Bastava solo non farsi scoprire. E poi, non voleva rivedere Jacob triste solo perché lei non poteva esserci. Non doveva e non poteva, ma lo voleva, con tutto il cuore.
-O…ok…- disse lei, stupita dalla sua stessa affermazione. Tanto era solo per chiacchierare come buoni amici. Niente di più, niente di meno. A lei bastava solo questo.
-Grazie- rispose lui, staccandosi un poco da lei e fissandola negli occhi, sorridente –Però non chiamarmi “Altezza” quando siamo da soli e dammi del tu!-.
-Ma…- stava per ribattere la ragazza, ma Jacob la zittì con una mano sulla bocca.
-Non voglio sentire storie- disse lui, serio. Lasciò andare la sua bocca. Leah sospirò e sorrise. Già, dopo tanto tempo, stava sorridendo davvero, e non per grazia.
-E va bene, Jacob- disse lei, con un tono dolce.
-Ora ti riconosco- disse lui, ridendo.
Si diresse verso la porta, ma poi si bloccò. Tornò da lei e la riabbracciò ancora. Leah ricambiò, senza nemmeno rendersene conto. Una parte di lei la stava prendendo in giro: “Solo chiacchierare, eh?”.
La ragazza zittì quella sua voce interiore insopportabile e continuò ad abbracciarlo. Per una volta voleva stringerlo a sé, sentirlo parte di lei, il suo calore, il suo profumo…
 
Per tutto il mese la vita della sguattera si svolgeva allo stesso modo: Assicurarsi che il fratello torni con il guadagno del giorno, rispettare le solite e noiose regole di Madama Gianna, pulire il castello. Ah già, e naturalmente in quel poco tempo libero che aveva riusciva a parlare con Jacob.
Lui la invitava sempre nella sua stanza con i macchinari con la scusa che gli serviva un’assistente. Ed era così che passavano il tempo insieme: lei aiutava lui in alcuni lavori ( come tenere fermi pezzi di ferro, riordinare i libri di meccanica e fisica, pulire il tutto) e intanto parlavano allegramente, come due buoni amici. Infondo lo erano diventati. Stavano per far rinascere la loro amicizia, in letargo da dieci anni. Delle volte prendevano in giro Madama Gianna, delle altre parlavano dei loro interessi e di tante altre cose. Tutto ciò che in un decennio, insomma, non si erano mai raccontati.
-Io sono sempre stato appassionato di queste cose- diceva il principe, mentre stringeva le viti di un pezzo grosso di metallo –Mi è sempre piaciuto costruire macchinari ed inventare strumenti utili alla mia gente, ma Edward, il mio tutore ed insegnante, continua a dirmi che spreco tempo e che dovrei star più concentrato sulle azioni del governo, come se non lo fossi già!-.
-Insistente come Madama Gianna, allora- fece Leah, assistendo alla sua opera.
-Forse anche peggio- fece Jacob, prendendo un'altra vite –Tu invece?-
-Io cosa?- chiese la ragazza, confusa.
-A cosa sei interessata?- chiese di nuovo Jacob, fissandola, in attesa di una risposta. Leah ci pensò su più di una volta. C’erano dei giorni in cui riusciva a vedere dei combattenti che duellavano tra loro a suon di spade, come i soldati Quil ed Embry, al servizio di Sam.
Le erano sempre piaciute le spade. Le loro lame, che brillavano alla luce del sole, la incantavano sempre da dieci anni.
-Forse combattere- rispose lei, tranquilla. Jacob alzò un sopracciglio.
-Ho sempre voluto imparare a farlo- continuò –Mi ha sempre affascinata, non so il perché…-.
-Forte, una dama che ama la guerra- fece lui, scherzoso, tornando ad avvitare l’attrezzo.
-No, la odio- rispose lei, seria –Ma voglio imparare… più che altro per difendere la gente e le persone a cui voglio più bene-.
Jacob smise di lavorare e la guardò, con uno sguardo curioso.
-Che c’è?- chiese lei.
-Non mi hai mai raccontato di voi- spiegò Jacob –Perché quella notte tu e Seth eravate feriti? Cosa vi era successo?-.
Leah non rispose. Il ricordo le pungeva troppo, trattenne a fatica il groppo in gola, nervosa. Non riusciva neanche a parlarne. Né con Madama Gianna, che glielo aveva chiesto più di una volta, né con Seth. E con il fratello era anche peggio. Nemmeno lui ne voleva parlare, ma si arrabbiava di brutto se la vecchia sguattera glielo ricordava senza farlo apposta.
Leah ricordò come (quando lei aveva 16 anni e suo fratello appena 11) il fratello aveva stretto la forchetta quella sera all’ora di cena. Con la posata aveva infilzato il tavolo di legno, bucandolo appena. Madama Gianna si era arrabbiata molto per la sua reazione, e così avevano finito col litigare.
-Posso capirlo se non me lo vuoi dire- disse Jacob, riportandola alla realtà.
-Oh, scusa, è che…- fece lei, ma venne zittita dal principe:-No, tranquilla, sono io che mi devo scusare-.
Jacob tornò al suo aggeggio, mentre lei lo fissava pensierosa ed amareggiata. Se l’era preso? Sperò di no con tutta se stessa.
-S-se vuole…- disse Leah –Posso raccontarle qualsiasi altra cosa voglia…-.
-Ok, ma basta con il lei!- fece esasperato lui, alzando la testa verso il soffitto. Lo riabbassò e guardò la ragazza negli occhi:-Perché Sam ti infastidisce? E cos’è successo a tua cugina?-.
“Ahia” pensò Leah. Forse doveva stare muta. Ma ormai non aveva più scelta. Sospirò e cominciò a raccontare, presa intanto dal suo flashback:
 
-Era successo tutto quasi cinque anni fa, o forse quattro. Stavo lavorando la terra assieme a mio fratello, quando nel castello rientravano i soldati del re. Tra di loro c’erano molti ragazzini, le nuove generazioni. Mi ero allontanata un attimo per ammirare le loro armature, che splendevano sotto i raggi del sole. Fissavo soprattutto le loro armi: spade, lance, frecce, scudi di tutti i tipi. Ne ero affascinata come sempre. Quando tornai, però, mio fratello stava per essere preso a bastonate da un ragazzino armato, più grande di me. Mi intromisi tra i due e fermai Sam con il braccio, guadagnandomi però un livido. Mi scostai leggermente da lui, posizionandomi davanti a Seth per fargli da scudo.
“E tu che cavolo vuoi?” mi sgridò, come se avessi appena interrotto il suo gioco preferito.
“Non bastonare mio fratello, razza di buffone!” gli urlai io di rimando.
Lui grugnì e provò a darmi un cazzotto, ma parai il colpo.
“Perché te la prendi con Seth, eh? Che ti ha fatto di male?”
“Tsk!” fece lui “ E’ solo uno sporco poveraccio che non sa che altro fare per guadagnarsi da vivere. Ho sentito dire che pulisce persino il culo dei cavalli!”.
“Sei veramente un buffone!” gli urlai, provando a dargli un ceffone, che lui schivò con troppa facilità. Andò avanti così per un ora, finché Madama Gianna non ci separò. Ogni volta che ci incontravamo, lui faceva i dispetti più assurdi, come sporcare il pavimento appena pulito o robe simili. L’ho sempre odiato, e lo odio tutt’ora. Quando gli passava per la testa, poi, maltrattava Seth e ovviamente toccava a me far finire la disputa.
Un giorno stavamo tornando alle cucine dopo la solita litigata e Sam mi aveva colpito ovunque, quindi sentivo dolori per tutto il corpo. Fu in quel momento che incontrammo per la prima volta nostra cugina, Emily. Era arrivata qui da dodici anni, quindi era al servizio della famiglia reale da molto più tempo di noi. Ma solo in quel momento eravamo riusciti ad incontrarci. All’inizio non riuscivo nemmeno a crederci che fosse lei. Ma dopo qualche tempo, sia io che Seth avevamo sempre lavorato assieme a Emily, e così abbiamo recuperato il tempo perso. Un giorno, però, quando io e lei eravamo ormai sedicenni, stavamo pulendo le finestre, quando arrivò Sam e mi fece cadere a terra a suon di pugni. Emily aveva preso così le mie difese, e lo aveva sgridato, dicendogli che era un disgraziato buono a nulla. Non lo avesse mai fatto. Lui infatti la prese di mira e la schiaffeggiò. Avevo provato a fermarlo e ci ero riuscita solo a malapena. Quando se ne andò, cercai di consolare la mia unica sorella in tutti i modi e la avvertì di che razza di persona era Sam. Dopo una settimana non c’erano state più risse tra me, Seth e il comandate del cavolo, ma poi arrivò quel momento…- (Leah sospirò e riprese, con il groppo in gola)-… Stavo cercando mia cugina da ormai tutto il pomeriggio. Stavo per arrendermi, quando avevo sentito dei strani versi provenire dallo stanzino delle scope. Il tempo per appoggiare la mano sulla porta che avevo sentito un urlo di donna. Era disperata e terrorizzata. Così aprì la porta, sbattendola contro il muro. Avrei voluto vomitare, sul serio. Quel… gran …. Figlio di puttana! Stava stuprando Emily, e lei urlava dal dolore e dalla disperazione, mentre gli chiedeva pietà. Piangeva anche! Non ho resistito, così entrai, presi una scopa, e la sbattei forte più volte contro la testa di Sam, ma lui continuava e continuava a farla soffrire… solo alla fine ci riuscì. Lui si era alzato da sopra il didietro scoperto di lei, mentre Emily si copriva subito con la gonna, sudata e terrorizzata. Sorpassai Sam e mi inginocchiai al fianco di mia cugina, stringendola forte a me, sperando di interrompere così i suoi singhiozzi. Perdere la verginità in quel modo… era spregevole, e disgustoso! Sam stava per andarsene quando tornò indietro e mi diede un calcio sullo stomaco. Mentre mi piegavo in due dal dolore, lui disse: ”Ora che ho finito con lei, posso farlo anche con te!”. Ricordo ancora lo sguardo che aveva su noi due. Un pervertito, ecco cosa sembrava. O forse anche un pazzo che si divertiva a far soffrire la gente. Si era leccato le labbra e aveva tirato fuori il coltello.
“No!” aveva urlato Emily, ma era troppo tardi… Sam mi afferrato per i capelli e con la lama aveva fatto un taglio netto ad essi. Caddi a terra e davanti a me non c’erano più le ciocche lunghe che possedevo. Mi aveva tagliato i capelli, e ora arrivavano fino  a sotto il mento…-(E con quella si arrotolò con il dito una ciocca di capelli, che erano cresciuti fino a metà collo, quasi vicino alla spalla)-Ovviamente dopo Madama Gianna ed Emily me li avevano sistemati, ma da allora abbiamo imparato ad evitarlo. Però… ogni volta che lo incontrava, lei si nascondeva dietro di me o dietro ad un'altra sguattera per il terrore. E questo è tutto…-.
 
Leah abbassò la testa, stringendo i pugni e ringhiando. Lo odiava troppo, da sempre, ormai. Le adorava i suoi capelli lunghi… e anche i suoi li adoravano…
 
-Oh- fece Sue, pettinandole i capelli –Visto come ti stanno bene?-
-Si mamma!- rispose allegra la piccola Leah, mentre accarezzava il pancione della madre.
-Sai un piccolo segreto?- fece Sue al suo orecchio –Agli uomini piacciono le ragazze con i capelli lunghi e ben pettinati!-.
-Davvero?- chiese Leah, con gli occhi grandi e luminosi.
-Certo!- si aggiunse il padre, Harry –Per questo ho sposato tua madre, no?-.
Sue gli diede una piccola gomitata e lui le baciò la fronte ed il pancione. –Ovviamente mi sono innamorato anche di altre tue qualità, Sue-.
-Vorrai dire della mia cucina?- chiese lei, spiritosa. Leah sorrise e continuò ad abbracciare la madre ed il pancione, mentre Harry abbracciava le due, accarezzando il grembo della moglie.
 
Jacob la fissava, amareggiato e disgustato. Come poteva un uomo trattarla così? Per di più tagliarle la chioma lunga che lei adorava. Avvicinò un dito al suo viso, accarezzando la sua guancia. Leah si risvegliò dall’ennesimo flashback e fissò gli occhi del ragazzo, mentre lui passava le dita sui suoi capelli.
-E non ti ha…- chiese lui, con l’amaro in bocca, temendo una risposta non piacevole.
-No, no…- fece lei, scuotendo la testa –Ma…-
-Cosa? Chiese lui, mollando il suo cacciavite.
-Se… se tu non fossi arrivato, quella volta…- disse –molto probabilmente…-.
Silenzio. Lui fissava lei, sollevato, ma anche arrabbiato. Lo odiava a morte, quel Sam.
Istintivamente circondò la sua schiena con il braccio, afferrandole la spalla sinistra. La attirò a sé e la strinse in un abbraccio incoraggiante. Lei si lasciò coccolare da lui, anche se la sua parte ragionevole continuava a dirle di staccarsi dal principe. Non l’ascolto.
Jacob le massaggiò la schiena dolcemente e le baciò i capelli. Leah si sentì avvampare.
-Non glielo permetterò- disse Jacob, stringendola più forte. Il profumo di lei lo invase, dandogli dei brividi piacevoli.
-Non ti avrà mai- confermò, serio. Leah si sentì stranamente sicura. E anche felice. Ricambiò l’abbraccio, facendosi guidare nuovamente guidare dal suo corpo. Poggiò la testa sul petto di lui, ascoltando il battito frenetico del suo cuore. Assaporò il suo dolce profumo, avida. Sorrise senza nemmeno rendersene conto.
-Lo sai?- disse il principe –Stai molto bene anche con i capelli corti. Certo, eri bella anche con i lunghi, ma da corti… non so… direi che sei perfetta!-.
Leah arrossì. Un ragazzo alla quale piacevano anche i capelli corti?
 
-E se invece non fosse sempre così?- chiese Leah, mentre il padre le rimboccava le coperte.
-Cioè?-
-Che agli uomini piacciono solo quelle con i capelli lunghi- spiegò la bimba.
-Beh- disse Harry –Non tutti sono così. Ma fai una cosa. Se trovi un uomo che gli piaci anche con i capelli corti, nonostante lui li preferisca lunghi, sposatelo! Perché vuol dire che ti trova perfetta da ogni punto di vista-.
 
Il giorno dopo, però, era già passato un mese da quando avevano ripreso il loro rapporto iniziale. Ma quel giorno Madama Gianna era più severa del solito. Aveva riunito tutte le sguattere del castello, all’alba, persino Seth, per una riunione. Una cosa che non accadeva da decenni ormai.
-Ma che succede?- chiese sottovoce Leah ad Emily.
-Forse tra pochi giorni si terrà una cerimonia, chi lo sa- rispose lei, sistemandosi la sua lunga treccia nera.
-Zitte!- urlò la vecchia, facendo cadere il silenzio. Sbatte i piedi a terra come un sumo, si mise ritta con la schiena all’attenti e, con la testa alta e lo sguardo fiero, disse ad alta voce:-Voi tutti, ascoltatemi bene! Tra un mese si terrà un gran ballo voluto dal re per il compleanno della principessa Rachel, quindi questo castello dovrà essere pulito. E quando dico pulito, intendo dire PULITO! P. U. L . I. T. O! se vedo anche una sola macchia o uno strato di polvere, ve la vedrete con me!-.
Le ragazze bisbigliarono tra di loro. Madama Gianna le zittì con lo sguardo e puntò il dito su Seth:- Tu, giovanotto! Pulisci le stalle e i cavalli! Guai a te se vedo che la stalla è sporca!-.
-Ma se cagano sempre…- fece lui, ma la vecchia lo picchiò sulla nuca:- Niente ma! E prima di questo dovrai andare al villaggio a vendere i nostri prodotti e regalare il resto ai poveri delle strade malfamate. Visto che abbiamo fretta, ti accompagnerà Leah per una volta-.
Punto poi il dito alla sorella:- Tu aiuta tuo fratello ed assicurati che faccia il suo lavoro. Deve portare soldi sufficienti per comprarci il pane! Dopo, quando tornate, dovrai pulire tutta, e ripeto TUTTA la sala della cerimonia. Deve essere impeccabile. E dopo dovrai aiutare le altre a pulire il resto del castello, chiaro?-.
-Si…- fece seccata Leah. Pulire da sola una sala intera? Non era da Gianna!
Con tutto quel da fare poi… quando avrebbe rivisto Jacob?
Subito dopo si ritrovarono fratello e sorella fuori palazzo, alle stalle. Seth collegò un cavallo marroncino al carro e lo portò vicino al campo di verdure. Leah lo aiutò a caricare la roba, poi salirono sul carro al posto di guida e Seth fece partire il cavallo, verso il villaggio del regno di La Push.
Arrivarono dopo un quarto d’ora davanti al negozio dell’armeria, scaricarono la roba, sistemarono il “bancone delle vendite” e aspettarono i clienti. In tutta la giornata ne erano arrivati solo dieci. E con tutti, notò la ragazza, Seth sorrideva, incoraggiandoli a comprare le loro verdure. Più volte le vecchiette si incantavano, osservando il sorriso sghembo del 15enne, per poi comprare gran parte delle verdure. Ogni volta, poi, lui le salutava con un largo sorriso, facendo arrossire tutte le donne.
-Ah, ora capisco come fai!- scherzò Leah, dandogli le gomitate.
-Funziona sempre- ammise lui, alzando le spalle.
Voltò la testa e di colpo cambiò espressione. Leah notò che stava anche arrossendo. Guardò verso l’oggetto dell’interesse del fratello. Più che oggetto, era una ragazza. Basetta, con i capelli rossi, lisci e lunghissimi. Il viso sembrava fatto di porcellana, le guance rosee quasi sul color fragola e gli occhi di un color verde smeraldo molto luminosi.
Lei sorrise non appena vide Seth, e lui ricambiò il sorriso, gli occhi scuri illuminati al solo vederla. La ragazza si avvicinò al bancone e il ragazzo potte sentire il suo profumo. Come sempre, sapeva di pesche e fiori.
-Buongiorno Seth- lo salutò lei, con una voce delicata e soave, dolce.
-B-buongiorno Caterina…-la salutò Seth, rossissimo.
-Oh, andiamo, lo sai che preferisco farmi chiamare…-
-Cate! Lo so, scusa- fece il ragazzino, ancor più rosso, grattandosi la testa –volevo essere solo un po’ più cortese di fronte ad una bella fanciulla…-.
Cate arrossì a quella affermazione. “Bella fanciulla?” pensò Leah, fissandoli, incuriosita sempre di più. Fin ora Seth non si era mai comportato così. Era sempre gentile con tutti, questo è ovvio, ed aveva anche un carattere dolce, ma non lo aveva mai visto arrossire in quel modo. Per lei era una novità.
-Già…- fece la rossa, con il viso arrossato, quasi alla tonalità dei suoi capelli –sapevo che lo avresti detto…- e con quella mostrò ai due fratelli la sfera di cristallo che nascondeva dentro al suo cesto.
-Oh giusto!- rise Seth, imbarazzato.
-Ok… ehm… potresti…?- fece lei, ma Seth la anticipò, porgendole un chilo di ciliegie.
-Uh… grazie…- fece Cate, mettendo il chilo nel cesto –e due…-.
Neanche il tempo di finire la frase che Seth le porse due mele verdi. Lei arrossì, e prese anche quelle. Stava per tirare fuori i soldi, ma lui la bloccò, con uno sguardo serio.
-Per favore, Seth, non puoi sempre regalarmeli!- sospirò la ragazza.
“Regalarle?” pensò Leah, stupita. Questo spiegava tutto, ad esempio perché nonostante la merce venduta, il guadagno non risultasse abbastanza positivo, o equo.
-Non se ne parla!- fece Seth –E’ gratis oggi!-.
-Non l’ha detto però al vecchietto di prima- fece sottovoce Leah. Il fratello le diede una gomitata isterica. La sguattera rise di gusto, divertita per la reazione del piccoletto o come lo chiamava lei, mentre Cate tentava di dargli le monete. Continuarono così, finché la sorella non li interruppe, diede una spintonata a Seth e si sporse verso la ragazzina:-Lascia perdere Romeo, dà!-.
-Oh, grazie Leah!- fece lei, dandole le monete.
-Come…?-
-L’ho semplicemente visto- spiegò la veggente.
-Ma… Leah!- sbraitò Seth, offeso.
-Chiudi il becco, moccioso!- lo sgridò Leah, dandogli un pugno leggero sulla nuca.
-Sei sua sorella, giusto?- chiese Caterina.
-Si, e tu devi essere la sua fidanzata, vero?- chiese la sorella, con uno sguardo provocatorio, intenzionata a farli arrossire. E ci riuscì alla perfezione. Cate balbettò qualcosa e lo stesso fece anche Seth, finché contemporaneamente non dissero:-Siamo solo amici, a dir la verità!-.
-Oooh, capiiiiscoooo- fece lei, sorridente. Bingo! I due si piacevano molto, lo sentiva.
-Ehm… ci vediamo Seth…- lo salutò la ragazzina, rossissima, dirigendosi verso il fiumiciattolo.
-Ciaooo…- fece lui, gli occhi su di lei, rapito. Si appoggiò con i gomiti sul bancone, appoggiando poi il mento sui palmi delle mani, fissandola, rosso in viso e con uno sguardo sognante.
-Ti piacciono le rosse, eh?- fece Leah, scherzando.
-Siiii…- rispose in un primo momento lui, ancora sognante, per poi scuotere la testa, arrossato, e risponderle con un tono isterico (cosa che non era normale da lui, per niente):-Cioè, aspetta, no! Ti sbagli, è solo un amica!-.
-Certo!-
-Leah!-
-Si?-
-Rompiscatole!-
-Ah, grazie!-
-Scusate ragazzini- fece una voce roca e profonda, che costrinse i due fratelli a chiudere lì il discorso e a voltarsi verso la fonte della voce. L’uomo era alto e grosso, il mantello nero che lo copriva tutto, nonostante il caldo della giornata, e il cappuccio che gli copriva il viso fino al naso. Il mento era coperto da una barba grigia quasi rasata, in fase di ricrescita.
Leah e Seth tremarono di fronte a quella persona, non tanto per l’aspetto misterioso, bensì per quella voce roca e profonda, famigliare… per qualche ragione ai due ricordava molto l’uomo che aveva distrutto le loro vite quella notte di 10 anni fa…
-Sapete per dove si va alla reggia?- chiese l’uomo, impaziente. Ci vollero ben dieci secondi o forse più perché la ragazza potesse rispondere, cercando di rimanere con un tono asciutto, sperando di non far vedere all’interlocutore la paura che le stava salendo lungo la schiena:-Si… sempre dritto per quella salita. Se prende un cavallo potrebbe metterci solo un quarto d’ora, se invece va a piedi ci impiegherebbe dieci minuti in più…-.
L’uomo fissò la strada che portava al castello da lei indicata, pensieroso, per poi rivolgersi nuovamente ai due:-Voi lavorate per la famiglia reale?-
-Si…-rispose secco Seth, con le braccia tremanti. Il giovane non aveva mai parlato con quel tono fino ad ora, neanche quando litigava con Madama Gianna. Entrambi avevano completamente gli occhi fuori dalle orbite, ma allo stesso tempo cercavano di mantenere i nervi saldi. No… non poteva essere lui…
-Bene- disse l’uomo con il mantello –potreste consegnare questa lettera da parte di Ser Levi Uley a sua maestà?-.
L’uomo, mentre parlava, tirava fuori dal suo indumento una bustina ingiallita e la porse a Leah. La mora la prese, le mani che tremavano. Al solo contatto con quella carta sentiva le dita bruciare, come se invece di lavarle con l’acqua calda le avesse lavate con della lava incandescente. Le bruciavano così tanto da far male, così tanto da desiderare di strappare quella busta o di buttarla in faccia all’uomo incappucciato. Ma il nome che aveva appena nominato lui la bloccava del tutto. Era davvero lui? Più ci pensava, e più sperava che non lo fosse… ma aveva seri dubbi su ciò. La voce… il nome… che sia proprio quel mostro?
Si fece coraggio, mandò giù la saliva, si ricompose e chiese, con aria di sfida:-Scusi signore, ma se vuole che consegniamo la lettera, ci necessita vedere il suo volto-.
-Oh, giusto- rispose seccato ed impaziente l’uomo, scoprendo la testa.
Non una, non due, ma più di mille lame affilate perforarono i cuori dei due fratelli. La cicatrice che avevano sempre cercato in quei dieci anni di curare si stava riaprendo di colpo. Sembrava quasi che il sangue fuoriuscisse da quella ferita dolorosa. Rimasero immobili, impietriti, le bocche semiaperte e gli occhi spalancati. Per poco non sussultarono alla visione di un uomo con i capelli grigi, gli occhi scuri e piccolissimi e il volto segnato da leggere rughe. Se non fosse per l’invecchiamento, sarebbe stato uguale al comandante che entrambi odiavano a morte.
Levi Uley li fissava da capo a piedi, confuso per i loro sguardi quasi omicidi su di lui. Li fissò per bene, e per qualche strana ragione il viso delicato della ragazza e il volto dolce del ragazzino, soprattutto quei loro occhi di un color così scuro che potrebbe andare dal cioccolato fondente al nero gli ricordarono due bambini… gli stessi bambini che li aveva dati per morti…
-Glielo consegnerete si o no?- chiese Levi, seccato e nervoso per la loro reazione e per quella assurda somiglianza. No, quei due bambini sono morti da ormai dieci anni… per lui era assolutamente assurdo… sarà solo un caso, pensava.
-Certo- rispose amara ed acida la ragazza, come mai fino ad ora.
-Perfetto- disse secco l’uomo. Si rimise il cappuccio, girò i tacchi e sparì dalla circolazione.
Silenzio.
-Quel… maledetto…- fece Seth, ringhiando, stringendo i pugni. A forza di stringerli le sue nocche si erano impallidite e le sue unghie avevano quasi infilzato la carne. Il ragazzino riusciva a sentire per poco il calore del suo sangue sulla mano.
Leah strinse i denti. La busta che teneva ancora in mano continuava a bruciarle, anzi, ora le stava ustionando le dita. Sembrava quasi che quella busta non fosse fatta di carta pregiata, ma di acido corrosivo. Voleva buttar via la lettera per non sentir più quel dolore insopportabile… ma allo stesso tempo era tentata dal leggerlo. Voleva sapere che cosa aveva scritto per il re quel mostro patetico… ma non poteva fare nessuna delle due cose. Non era sua la lettera. Doveva consegnarla alla famiglia reale. Era suo compito.
Di una cosa però ne era certa: se non fosse stato per la presenza del fratello, avrebbe volentieri preso il coltello che lo nascondeva sempre sotto la gonna tenuta dalla giarrettiera (un arma che usava come anti-Sam), per poi saltargli addosso e tagliargli la gola. Godeva alla sola idea di tagliargli la carne, vedere il suo sangue schizzare via dalla sua giugulare, e la sua anima schizzare via dagli occhi…
Trattenne i suoi istinti omicidi, in quel momento decisamente allettanti, e strinse i pugni. Purtroppo, al momento, non poteva far altro. E per qualche strana ed inspiegabile ragione, sentiva il bisogno di avere accanto a sé Jacob. Voleva sentirsi nuovamente sicura tra le sue braccia, come si era sempre sentita fin ora. La voglia di rivedere il principe era aumentata di colpo. Si maledisse per quel pensiero tanto osceno e batte la mano sulla fronte, cercando di calmare i suoi spiriti bollenti.
 
Quel pomeriggio aveva lavorato sodo. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che pulire la sala da cerimonia. Era una sala abnorme, perfetta per farci entrare tutto il ragno e la metà di un altro magari, di forma ovale. Le enormi vetrate correvano lungo i muri, ora splendide. Le tende rosse erano state tutte lavate per bene ed ora non erano più di un rosso mattone sbiadito, ma di un color scarlatto che si intonava perfettamente con il pavimento bianco marmoreo e quasi perlaceo, lucidato alla perfezione. Anche le tovaglie dei tavoli rotondi erano state lavande e da grigie erano tornate bianche, ma di un bianco splendente, come se fossero state ricavate dalla luce di una stella. Anche i quattro troni, d’orati con le imbottiture rosse, erano state lavate e pulite alla meglio. L’oro dei ricami e dell’incorniciatura dei troni era tornato a splendere come un tempo e le imbottiture era diventate dello stesso color scarlatto delle tende. Anche i divani erano stati lavati alla stessa maniera e brillavano di luce propria come i troni che si ergevano sugli scalini in fondo alla sala, coperti da un baldacchino gigantesco color bordeaux.
I raggi del tramonto illuminavano il pavimento, rendendo la stanza ancor più calda.
Leah si asciugò la fronte, sudata ma soddisfatta, fissando con un aria orgogliosa il pavimento luminoso che aveva appena finito di lucidare, assieme a tutta la sala, ovviamente.
Il suo sorriso scomparve non appena ripensò all’avvenimento di quella mattina. La lettera che teneva nella tasca del grembiule chiuso intorno alla vita sotto il corpetto marrone bruciava attraverso la stoffa dei vestiti.
Il volto dell’uomo che aveva distrutto la vita ai due fratelli le rivoltava le budella. Avrebbe vomitato da un momento all’altro, se avesse continuato a pensarci.
Sbuffò e andò a sdraiarsi un attimo sul divano rosso che dava di spalle alla grande vetrata.
Poggiò la testa sul suo braccio e chiuse gli occhi, stanca e nervosa.
 
-Quello stupido di un insegnate!- si lamentò Jacob, camminando per i corridoi, stufo. Aveva già litigato con la famiglia sua, ci mancava solo il suo tutore. E purtroppo per lui, Edward dava ragione al re e alla principessa Rebecca. Rachel invece era la sola della famiglia ad essere d’accordo con il fratello minore. Almeno per questo ne era grato. Aprì il portone del salone da cerimonia. Sapeva che Leah quel pomeriggio ci doveva lavorare e ci beccò: tutta la sala brillava di luce propria, una cosa che non accadeva da ormai dieci anni. Sembrava infatti ritornata allo splendore di quei tempi. Entrò nella sala e trovò la mora addormentata sul divano, un ciuffo nero che le copriva la fronte. Si avvicinò a lei e solo in quel momento notò che la sua espressione non era felice. Forse era la più triste che avesse mai visto. Si sedette al suo fianco, accarezzandole la testa e la guancia. Era davvero bella, quando dormiva, nonostante la sua espressione. Potte osservarla meglio tranquillamente dopo un decennio. I suoi capelli, neri e corti, erano soffici e morbidi al solo contatto. Jacob sentiva sempre il bisogno di accarezzarli e sentire il loro profumo. Per qualche ragione, nonostante fosse una sguattera (quindi una ragazza che non si metteva addosso profumi o robe del genere) i suoi capelli, il suo collo, tutta lei stessa sapeva di cioccolato, miele e pini. Sapeva di dolcezza e semplicità. Il viso della mora aveva dei lineamenti delicati, e la sua carnagione era bronzea come quasi tutti quelli del regno, famiglia reale compresa. Le sue ciglia erano nere e folte, perfette, e le labbra erano carnose al punto giusto. Ogni volta che le fissava il ragazzo sentiva il bisogno di sentire il loro sapore, di assaggiarle…
Arrossì a quella pazza ma piacevole idea e scosse la testa. Si accorse il quel momento che una lacrima stava scivolando dall’occhio sinistro di lei e stava scivolando lentamente lungo la sua guancia. Jacob si chinò su Leah, appoggiando le mani ai lati del suo busto, il viso a tre dita di distanza dal suo. Si abbassò ancor di più e baciò la sua guancia, bagnandosi le labbra con la lacrima di Leah, dolciastra. Era un bacio lento e dolce allo stesso tempo sufficiente a risvegliare la ragazza da un probabile ed imminente epilogo del suo incubo.
Lei aprì gli occhi, stranita. Li roteò, guardandosi intorno, e vide con la coda dell’occhio il braccio di Jacob al fianco dei suoi seni. Voltò di scatto la testa ed il busto, ritrovandosi faccia a faccia con lui, a pochi millimetri di distanza. Arrossì, non appena pensò che fosse bello, mentre si immergeva nei suoi occhi scurissimi. Il principe le sorrise, felice di rivedere finalmente dopo una giornata stressante quegli iridi color cioccolato fondente, in quel momento luminosissimi.
-Buongiorno, bella addormentata- disse, con la voce dolce e suadente allo stesso tempo. Lei sgranò gli occhi, arrossì ancor di più e per poco non perse la capacità di respirare. Erano così vicini da sentire il suo alito, caldo e dolce. Leah si maledisse per la sua pazza voglia di sentire quell’alito mischiato al suo.
Provò a sedersi e anche Jacob si staccò da lei, permettendole di ricomporsi.
-Sc-scusa…- fece lei, imbarazzata. Si era addormentata su un divano? Non se lo poteva mica permettere un lusso simile! Provò ad alzarsi in fretta e furia, ma Jacob le afferrò il polso e la bloccò lì, per poi stringerla in un abbraccio affettuoso. Possibile che ad entrambi mancava il calore dell’altro dopo solo mezza giornata? Possibile che entrambi volevano drogarsi di quel calore?
-Ti ho cercata ovunque, lo sai?- sussurrò lui al suo orecchio. Ed in effetti era vero. Aveva mandato completamente a quel paese il suo insegnate e i suoi macchinari solo per cercarla. Quando lo aveva chiesto alla vecchia, Madama Gianna aveva risposto: “E’ al villaggio con suo fratello a vendere la merce, altezza. Visto che fra non molto ci sarà la cerimonia, abbiamo dovuto far accelerare un poco i lavori”. E mentre se ne stava tornando nel suo studio per chiedere scusa ai suoi attrezzi, suo padre era venuto a cercarlo e gli aveva parlato di una cosa per niente piacevole. Per questo, quella stessa mattina, e anche alcuni giorni fa, aveva litigato con la famiglia.
Il ragazzo sentiva tutta la sua rabbia di oggi svanire nel nulla, e il tutto grazie al solo contatto con il corpo slanciato di Leah.
-E-ero con mio fratello al villaggio…- fece lei, imbarazzata.
La ragazza si rese conto, però, che per qualche ragione il tono del principe non era felice come era il suo solito. Non capì. Cos’aveva?
Lui la strinse forte, assaporando il suo profumo, mentre ripensava alla litigata con il padre. Sarà anche un compleanno, ma per lui quella cerimonia era la sua rovina. La rovina di tutto. Non riusciva neanche a pensare ad una vita senza Leah. La sentiva parte di lui, della sua stessa vita, ormai.
Leah notò che la sua stretta era più strana del solito e così si staccò un poco da lui e lo fissò negli occhi con un sopracciglio rialzato.
-Va tutto bene?- chiese lei, con la voce addolcita. Lo sguardo del principe era diverso. Sembrava stufo di tutto, della sua vita stessa.
Come se da un momento all’altro potesse succedere qualcosa di brutto.
Lui sorrise, un sorriso falso che a lei non piaceva. A lei piaceva il suo vero sorriso, quello sincero, che le diceva che la vita era bella così com’era con tutti i suoi difetti.
-No, va tutto bene, non preoccuparti- disse lui, fissandola allegro, sempre in modo falso, ingannevole.
Leah non ci cascò, ma decise di lasciar fare a lui. Sarebbe stato Jacob a dirle tutto quanto, quando sarà arrivato il momento. O meglio quando se la sentiva. Ricominciò a sentire la lettera bruciare tra la stoffa del grembiule e dell’abito (che per di più sembrava uno straccio per la gonna). Dopo aver finito il lavoro del giorno si era ripromessa di andar a consegnare la busta a qualcuno della famiglia reale. Lo tirò fuori, consegnandola a Jacob, che la prese con un aria incuriosita, mentre fissava il mittente.
-Da parte di un cavaliere per il re- disse secca lei. Non aveva proprio voglia di parlarne di quella mattinata, per niente. Era solo un ricordo da buttare nel caminetto con il fuoco acceso.
-Levi Uley?- fece lui, incredulo, mentre apriva la busta –Strano. Non abbiamo notizie sue da un decennio ormai-.
Leah non rispose e cercò di non pensarci. Jacob aprì la busta e lesse la lettera ad alta voce:
 
"vostra maestà,
maggior parte del vostro regno non è riuscito a pagare le solite tasse. tuttavia le seguenti famiglie che avevano in affitto le sue terre sono state costrette a restituirle a lei. le famiglie che ora nominerò sono familgie di contadini che erano al suo fedele servizio.
sono:
la famiglia young
la famiglia ateara
la famiglia call
la famiglia lahote
la famiglia clearwater...."
 
 
Jacob continuò a leggere, ma Leah non riuscì a sentire altro. La famiglia… Clearwater… la sua famiglia… venduta una terra? La loro terra? La spiaggia venduta? Era un oltraggio!
La sua terra non era mai stata restituita al sovrano… perché era stata completamente distrutta! Finita in fiamme! Di quella terra ormai c’era solo cenere!
Non riusciva più a sentire niente intorno a lei. La voce di Jacob in quel momento le sembrava lontana, quasi irraggiungibile.
Vedeva solo le immagini del suo passato, suo padre che cadeva a terra privo di vita, il volto di sua madre coperto di sangue, che le diceva di mantenere la sua promessa, il volto distrutto dal dolore del giovane e piccolo Seth, che era fin troppo piccolo per poter sopportare un dolore simile, la loro casa bruciare, assieme a tutto ciò che avevano e ai corpi dei loro genitori, mentre Levi ghignava soddisfatto…
-Leah-
La sentiva ora. Una voce si sentiva, sfocata.
-Leah! Leah cos’hai?-
Ora era più chiara… sembrava… in pensiero?
-Leah! Dammi un segno di vita!-
Le tremarono le mani. I suoi occhi erano fuori dalle orbite. Riusciva a sentire Jacob, ma non riusciva ad aprire bocca. Lui le afferrò il braccio e la riportò alla realtà, alla sala da cerimonia che lei stessa aveva risistemato con cura. Leah fissò Jacob con uno sguardo fuori dal comune, non suo. Sembrava quasi sul punto di scoppiare…
-Leah?- fece lui, preoccupato ed ansioso.
-E’ un bugiardo…- disse lei, con un filo di voce.
-C-come?- disse il principe, mettendo in tasca la lettera.
-E’ un bugiardo- ripete, alzando di più la voce, man mano che parlava:-E’ un bugiardo, un bugiardo, UN BUGIARDO!-
Tutta la calma che possedeva la perse in un colpo. Si strinse la testa fra le mani, come se potesse esplodere da un momento all’altro.
Le solite e fastidiose immagini non la volevano abbandonare.
Jacob la sentì urlare, mandare a quel paese qualcuno, per poi urlare ancora.
Le lacrime uscivano dai suoi occhi come cascate, incontrollabili. Si agitò troppo e per poco non prese a pugni il cuscinetto del divano.
-Calmati Leah!- supplicò il ragazzo, afferrandole i polsi. Ma cos’aveva? Perché tutt’a un tratto reagiva così? Provò a tenerla ferma. La rabbia della ragazza crebbe.
Alzò la testa e urlò:-E’ UN BUGIARDO DI MERDA!-.
-Ma…-
-CHE COSA VUOI?- urlò, in faccia al principe. Silenzio totale.
Lei fissò i suoi occhi, rendendosi conto di come lo aveva sgridato. Sussultò ed abbassò piano la testa. Si coprì il volto con le mani e cercò di far cessare la cascata dolciastra che scivolava sai suoi bulbi oculari.
-Leah…- fece lui, calmo, con un tono di voce dolce e triste.
-Scusatemi…- fece invece lei, singhiozzando, maledicendosi per la sua figuraccia.
-Tranquilla- disse Jacob, abbracciandola, posando la sua testa sulla spalla di lui.
Lei lo strinse a sé e finalmente ricominciò a respirare, piano. Smise finalmente di piangere. Si sentì nuovamente al sicuro tra le sue braccia. Ormai era da sempre così. Un sorriso le comparve a malapena sul suo volto. Lui le accarezzò i capelli e li baciò con tenerezza ed affetto.
-Non ce l’ho con te- disse lui –anzi, ti ringrazio. Almeno ora so che puoi arrabbiarti con me e non comportarti sempre come una cameriera timida-. Lui sorrise e lei alzò la testa. Si fissarono nelle loro iridi. I loro occhi erano più luminosi, carichi di tenerezza.
Lui asciugò la guancia di lei.
I raggi caldi del tramonto illuminavano a metà i loro volti da dietro il divano.
Jacob le afferrò il viso delicatamente.
Stessa cosa lo fece anche Leah.
Lui fece avvicinare il viso di lei al suo.
Si sfiorarono i nasi, per poi toccarseli.
Chiusero contemporaneamente gli occhi.
Jacob poggiò delicatamente le sue labbra su quelle di Leah. Come immaginava, erano morbide, delicate e calde. Leah ricambiò il bacio e aprì ancor di più la bocca e lui ci infilò dentro la sua lingua, ce trovò facilmente quella della ragazza. Le loro lingue ballavano insieme, infuocate, in un bacio appassionato. I loro aliti caldi si mischiarono e sentirono entrambi subito il bisogno assaporarsi ancora a vicenda. I loro cuori non erano mai stati tanto pulsanti e le loro guance non erano mai state tanto bollenti fino ad ora. Lui spostò le sue mani dal viso di lei al suo collo, liscio e caldo, per poi arrivare alle sue spalle scoperte, ed infine ai suoi fianchi. Lei invece passò le sue mani sui capelli di lui, corti e selvaggi, afferrandoli ed attirandolo così ancor di più a sé.
Jacob spostò una mano sulla sua nuca, affondando le sue dita tra la chioma della ragazza, nera e corta, trascinandola così verso di lui. Si strinsero sempre più a vicenda, tanto da avere i loro petti a contatto tra di loro. Lui prese la schiena di lei e la fece appoggiare delicatamente sui cuscinetti rossi, appoggiando i gomiti ai lati delle sue spalle. Staccarono un attimo le loro labbra per riprendere fiato, rimanendo però al contatto tra di loro attraverso le lingue, per poi ricominciare il bacio. Jacob le accarezzò i capelli, mentre lei circondava il suo collo con le braccia. Piegò le ginocchia, per poi circondare la sua vita con le gambe. Facendo così, però, la sua gonna lunga scivolò all’ingiù, scoprendole le cosce. Mentre continuavano a baciarsi, lui passò una mano sulla sua coscia, liscia , calda e nuda, dandogli dei brividi piacevoli lungo la schiena man mano che con la mano saliva fino ai fianchi, passando a fatica le dita sotto quel corpetto, in quel momento per lui di un assoluta inutilità. Si strinsero sempre più a vicenda. In quel momento sembrava quasi che i loro problemi esterni non esistessero. Come se la differenza tra le classi sociali non fosse mai esistita. Non erano più la sguattera e il principe, ma semplicemente Leah e Jacob, due persone normali che in quel momento stavano sfogando i loro più profondi sentimenti. Jacob se ne era reso conto da ormai molto tempo, ma adesso ne era certo.
Si era innamorato di Leah.
Non voleva nessun’altra. Voleva solo Leah.
Leah e basta!
La ragazza, intanto, sentiva il suo cuore scoppiare.
Lo voleva. Lo desiderava. Solo allora se ne rese conto, ma forse lo sapeva già. E fin ora aveva provato a non ammetterlo a sé stessa.
Si era innamorata di Jacob.
Lui, che era un principe…
Spalancò gli occhi di colpo. Cosa stava combinando? Stava amoreggiando con un principe? No, non poteva. Non doveva nemmeno. Eppure lo voleva. Quel limite che voleva superare, ma che allo stesso tempo temeva… lo aveva appena superato. Diede dei colpetti sul petto di lui, poi lo spinse via a forza, interrompendo così il bacio. Si fissarono negli occhi come sempre, ma stavolta la situazione era diversa. Molto diversa.
Lui era confuso per la reazione di Leah.
Lei era incredula e sconvolta.
Scivolò via dalla sua stretta, finendo in ginocchio sul pavimento.
Jacob stava per inginocchiarsi al suo fianco, quando lei urlò:-No! Lasciami stare!-.
Si alzò di colpo e corse verso la porta. Jacob provò a raggiungerla, ma ormai Leah era uscita dalla sala. Correvano entrambi per i corridoi infiniti del palazzo, lei con le lacrime agli occhi e i denti stretti. Superò una porta di legno, dalla quale uscì fuori Edward, che fermò il principe.
-Che cavolo c’è?- urlò Jacob, infuriato, verso il tutore. Non aveva tempo da perdere con lui. Voleva raggiungere la ragazza che stava correndo via, la ragazza che amava.
-Il re sua maestà la vuole, altezza- disse serio il suo insegnante. Il ragazzo osservò la sguattera correre via verso le cucine, con il cuore a pezzi. L’aveva spaventata? Si, ne era certo. La conosceva. Lei stessa gli aveva detto che non potevano e non dovevano frequentarsi. E ora che avevano fatto quel passo da gigante…
Sbuffò, amareggiato. Avrebbe voluto inseguirla, ma non poteva. Forse era meglio lasciarla nei suoi pensieri. Forse era meglio lasciare che sia lei a raggiungere lui. L’avrebbe aspetta. Sempre.
 

 
Fine prima parte.
 
 
Angolo autrice: e rieccomi con questo Super Extra! Si, è luuuungo come capitolo iniziale, e per questo mi scuso infinitamente! Spero vi sia piaciuto! Alla prossima!

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Capitolo 2
*** 2_The impossible love_parte 2 ***


SPECIALE: L'ANGOLO DELLE FANFICTION DI RENESMEE parte 2




-Allora?- chiesi, confusa. Jacob aveva stranamente smesso di leggere e, sia lui che Leah avevano assunto una faccia strana. Non saprei descriverla nemmeno io.
-Ragazzi?- provò a risvegliarli Seth, ma rimasero zitti. Dopo un secondo buono, o forse più, Jacob sospirò:-Ma io vengo sempre cacciato via o cosa?-
-EH?- chiedemmo in coro e Leah alzò lo sguardo sul marito.
-Ehi, frena un attimo!- disse, alzando la voce, tornando se stessa –Io avevo tutte le ragioni per farlo, ricordi? Mi avevi baciata all’improvviso senza prima spiegare!-
-E poi la Leah della storia era una sguattera, quindi cerca di capire- intervenne Cate –Non sarebbe normale se fosse il contrario già da subito-.
-E poi non hai finito di leggere!- sbuffai.
Jacob lasciò cadere i fogli a terra e si strinse forte la lupa, sussurrando un:-Scusa- che non sfuggì all’orecchio di nessuno. Lei gli accarezzò i capelli e lo guardò negli occhi con uno sguardo dolce, il suo modo per dirgli che era perdonato.
-Bacio, Bacio, Bacio, Bac…- stavo ripetendo, battendo le mani, ma Jacob prese un libro da dietro la sua testa e me lo lanciò in piena faccia.
-Uh?- fece confusa la moglie, ma soprattutto scioccata dalla reazione del lupo.
-E chiudi il becco!- disse lui. Sbuffai e gli ricambiai il lancio, solo che Jacob riuscì a pararlo.
-Che si fa?- chiese Seth, interrompendo il battibecco.
-Rileggo io- disse Leah, avanzando con il braccio verso il foglio. Jacob la aiutò e le porse i fascicoli.
-Allora… eravamo a qui…- fece lei, facendosi aiutare dal marito che segnava con il dito la riga –

 
<<-Ehi, Leah, vuoi muoverti a passarmi quello straccio?-

-Leah?-

-Andiamo, cugina, smettila con quella faccia!-
-Chi?- chiese la ragazza, risvegliandosi dal suo sogno ad occhi aperti.
-Stai bene?- chiese Emily, mentre altre ragazze si radunavano intorno per capire il motivo per cui Leah era in quello stato.
-Si, certo- rispose lei, con un tono strano, come se per tutto il tempo fosse stata da un'altra parte e si stesse risvegliando appena.
-Sicura?- chiese Kim alle sue spalle.
-Certo, non preoccupatevi…- disse Leah, fingendo un sorriso allegro. Emily fece il broncio, intuendo che la sua era una bugia bella e grossa.
-Allora passami lo straccio!- disse, tendendo la mano verso di lei.
Leah si voltò, prese una scopa appoggiata alla parete e glielo porse.
-Straccio! Non scopa!- sospirò la cugina. Era la prova che oggi Leah non era mentalmente con loro.
-Ops…- disse solo, lasciando la scopa li dov’era.
-Dai, muoviamoci a pulire le vetrate, altrimenti chi la sente quella vecchia?- le incoraggiò un’altra sguattera, e tutte quante tornarono al proprio lavoro.
Emily salì le scale per pulire la grande vetrata del corridoio, mentre Leah reggeva la scala e le passava gli strumenti adatti. La cosa, per qualche ragione, le ricordò quando aiutava Jacob…
La sua mente fu di nuovo occupata dalla sua immagine, dal suo sorriso, dai suoi occhi, da come le sue labbra si incastravano perfettamente con le sue, dolci, morbide e bollenti, al sapore della sua lingua e della sua bava, ai suoi tocchi delicati ma decisi, al suo profumo…
Leah scosse la testa, cercando di non dar a vedere alle altre la paura e l’angoscia dipinti nel suo volto. Ma cosa aveva combinato? Come le era saltato in mente? E come se non bastasse, lui aveva ricambiato quel bacio, anzi, l’aveva incoraggiata a proseguire. Non potevano e nemmeno dovevano farlo. Neanche a pensarlo! Leah non riusciva più a concentrarsi sui suoi lavori. Solo tre giorni fa era accaduto e, se incontrava Jacob per strada, lei cambiava direzione e ne prendeva un’altra, anche se più lunga della prima.
Si toccò le labbra, ricordando ancora il sapore dolce delle sue, che in quel momento l’aveva richiamata, attirata…
Abbassò il capo, provando a non piangere. No, era assurdo. Presto il principe se ne sarebbe scordato. L’avrebbe dimenticata e si sarebbe concesso ad una dama molto più ricca di lei. Sperò che andasse così, ma una parte di lei non era d’accordo. Anzi, provava rabbia al solo pensiero che lui potesse stare con qualcun’altra. Una rabbia che non pensava di conoscere, diversa da quella che provava nei confronti di Sam o di suo padre Levi. Era... strana. Non piacevole.
Strinse i pugni molto forte, scrocchiando così le nocche, che diventarono subito bianche.
Doveva dimenticarlo. Avevano fatto un passo sbagliato. Doveva dimenticarlo… doveva…
Eppure non ci riusciva.
Qualsiasi cosa facesse, c’era sempre lui nei suoi pensieri. Cosa poteva fare? Come doveva comportarsi?
Non lo sapeva. Si faceva troppe domande senza risposta. Ma una cosa era certa. Lui la doveva dimenticare. Non poteva far nascere un casino abnorme solo per questa storia. E se qualcuno avesse saputo della cosa? Meglio celarla nel profondo dell’animo, pensò Leah. Si. Doveva tenere la bocca chiusa.
Si sentirono dei passi, scricchiolanti, ma anche come se stessero pestando del fango. Le ragazze si voltarono tutte da una parte, e ne rimasero disgustate. I passi si avvicinavano sempre più, e una ragazza urlò:-Ehi, senti, stiamo pulendo da questa mattina!-
-Oh, ma andiamo- disse una voce maschile, che a Leah non piacque per niente.
-Tanto pulite voi, no?- continuò –E avete tutto il tempo per farlo!-
Emily scese subito dalla scala, e questo bastò, assieme al suo sguardo terrorizzato e disgustato, a far risvegliare Leah. Si voltò anche lei. Sam era davanti a loro, il ghigno malvagio in faccia, e gli stivali sporchi di fango. Le sue impronte avevano insozzato tutto il corridoio, che con fatica tutte, persino lei, avevano pulito.
Emily si nascose dietro la ragazza, non appena lo sguardo del comandante finì sul suo. Leah sentiva le mani che la reggevano per le spalle tremare forte e i denti della ragazza dietro di lei battere.
-Cosa vuoi?- chiese, secca, acida, verso l’uomo.
-Sono solo venuto a vedere come procedeva il lavoro- disse Sam, pestando il tappeto rosso, sporcandolo sempre più.
-Qui stiamo lavorando, imbecille schifoso- sputò lei, con una voce amara –Quindi…-(e con quella riprese la scopa, afferrandola saldamente e puntandola contro il comandante)-Ti conviene sparire!-
-Oh Oh, vacci piano…- stava per dire lui, ma Leah lo colpì con la punta della sua ipotetica arma sullo stomaco, abbastanza forte da piegarlo in due.
-Ho detto sparisci!- ringhiò cupa lei, mettendosi in posizione d’attacco.
-Leah! Lascia perdere!- disse Kim, che stava abbracciando Emily.
-L-Leah…- balbettò quest’ultima.
-Ci metto un attimo!- rispose Leah.
Sam sguainò il suo coltello, con un aria da duro super incazzato. Leah assunse lo stesso sguardo, ma più fiducia nei suoi confronti. Anche se un brivido di paura le percosse la schiena, non ci fece caso, anzi, lo ignorò. Voleva fargliela pagare per il male che aveva fatto ad Emily. Lei non si meritava un maltrattamento simile.
Scattarono entrambi. Sam colpì il bastone con la lama, incastrandolo però. Non fece in tempo a tirarlo fuori che Leah gli diede un destro fortissimo in piena guancia, facendolo indietreggiare di un passo o due. Lei sorrise, compiaciuta, e con il bastone lo colpì in piena nuca. Sam, più arrabbiato di prima, afferrò la scopa con una mano, trascinandolo assieme alla ragazza verso di lui. Non fece in tempo a fermarlo. La sua lama tagliò un solco non molto profondo sulla vita di Leah. Dal suo fianco scivolò fuori una gran dose di sangue.
-Leah!- urlò Emily, disperata.
Le altre sussultarono, o urlarono.
Leah piegò la testa all’ingiù, tossendo. Il dolore al fianco bruciò, ma non quanto la sua ira, che cresceva di secondo in secondo. Ringhiò, un ringhio cupo e silenzioso.
Sam la afferrò per i capelli, compiaciuto, portando l’orecchio di lei alla sua bocca.
-So cosa è successo tre giorni fa- disse, con una voce spaventosa, fuori dal comune. Leah spalancò gli occhi.
-Pensa come la prenderebbe la famiglia reale se lo sapesse-
-Cosa… Stai blaterando?- urlò la sguattera, che con un ceffone riuscì ad allontanarsi da lui. La paura di poco prima crebbe. Non sapeva per caso di quel…?
-Oh, lo sai di che parlo- fece lui, avvicinandosi pericolosamente, con il coltello sporco di sangue.
“Merda” pensò lei. Accadde in un attimo. Sam scattò verso Leah, Leah provò a pararsi. Qualcosa fermò il comandante, lasciando di stucco la ragazza. Emily non era più tra le braccia di Kim. Anzi, stava fermando Sam, stringendogli il braccio che teneva la lama.
-Emily…- uscì dalla bocca di Leah.
-Lasciala stare!- urlò la cugina. La ragazza non credette ai suoi occhi. Da dove aveva preso quel coraggio?
-Ma fatti da parte!- urlò Sam, dandole uno spintone talmente forte da farla finire al tappeto su un fianco.
-Brutto figlio di puttana!- urlò Leah che, incurante della sua ferita che continuava a bruciarle, scattò verso il suo avversario, con il disgusto che aumentava.
Lui parò il suo colpo e le diede un pugno in piena pancia. Le sue budella si contorsero e sputò gran litri di sangue.
-Ora smettila!- urlò Kim.
-Dai smettetela!- urlò qualcun altro.
-E adesso come facciamo?-
-Per favore, basta!-
-State tutte zitte!- urlò Sam, facendole zittire sul posto. Leah alzò lentamente la testa, con sguardo assassino.
-Ti… Odio!- sputò. L’uomo la afferrò per i capelli una seconda volta, facendola voltare, per poi stringerla per il petto.
-Ah, è così?- domando lui, ghignando. Le altre provarono ad avvicinarsi, ma lui urlò:-Se qualcuna di voi fa un altro passo, la uccido subito!-.
Indietreggiarono, deglutendo, spaventate per la loro compagna.
-L-L..- balbettò la povera Emily, che a malapena si reggeva seduta.
Il comandante la soffocò con una mano, mentre le leccava la gola. Leah provò subito un senso di disgusto e repulsione. Avrebbe voluto vomitargli in faccia.
Ma il fiato cominciò a mancarle e la stretta sul suo collo era sempre più forte.
-Ma così la ammazza lo stesso!- urlò una sguattera. Sam non se ne curò e continuò a leccarle la spalla. La stessa che Jacob, quel pomeriggio tardo, aveva accarezzato.
Una lacrima scese dal volto di lei. Perché proprio ora doveva pensare a Jacob?
Sam stava per metterle una mano sul seno per strizzarglielo, quando improvvisamente si bloccò, terrificato. Le altre ragazze sussultarono, e qualcuna sospirò di sollievo.
-Grazie… al cielo…- sospirò Emily. Leah non capiva. Cosa stava succedendo?
-Lasciala. Andare- sentì dire dietro di loro. La sua voce… quella bella voce… si voltò appena e riuscì ad incontrare il suo sguardo. Il principe Jacob impugnava una spada, toccando con la punta il collo di Sam, tanto da punzecchiarlo.
-A…Alte…- stava per dire quest’ultimo, ma Jacob gli sferrò un potentissimo destro. Sam mollò la presa su Leah e per poco non cadde a terra. Prima che anche lei potesse crollare, Jacob la afferrò al volo, stringendola forte a sé. Il cuore di entrambi cominciò a battere forte come quella volta. Il rossore apparve sul viso dei due. Sentire il profumo dell’altro li fece per poco perdere fiato, e il contatto fisico non era d’aiuto.
Sam si massaggiò la guancia, ringhiando sonoramente, per poi scappare via da quella situazione vergognosa.
Le sguattere sospirarono, sorrisero, ringraziarono Jacob. Kim aiutò a sollevare Emily, ma questa andò subito a stringersi alla vita della cugina, che era ancora attaccata al ragazzo.
-Leah… scusami… non ho potuto fermarlo…- singhiozzò la ragazza, mortificata. Leah accarezzò la sua testa e le fece un sorriso incoraggiante.
-Tranquilla. Sto bene. E tu?- chiese alla sua amica.
-Io bene…- si asciugò le lacrime Emily –Ma tu sei ferita!-.
La sguattera si toccò la ferita, sporcandosi la mano con il suo stesso sangue. Ora che ci pensava le faceva ancora male.
Jacob fissò quella ferita e ringhiò forte. Prese per il polso la ragazza e disse alle altre:-Ci penso io a lei, voi tornate al lavoro. E se Madama Gianna ve lo chiede, ditele che se prova a lamentarsi la licenzio in tronco!-.
-Certo altezza!- risposero in coro le ragazze, e tornarono tutte al lavoro. Jacob si trascinò dietro Leah, e lei non riuscì a resistere. Il suo polso bruciava al solo contatto con la sua mano calda, e questo fece accelerare i suoi battiti cardiaci.
Arrivarono, senza che lei se ne potesse accorgere, nelle cucine. Jacob la lasciò in mezzo alla stanza, chiuse le porte e le finestre a chiave, per poi rovistare tra i cassetti e gli armadi, in cerca delle bende.
Leah rimase con la testa bassa, cercando di non fissarlo.
Alla fine il ragazzo trovò quello che cercava e raggiunse la ragazza, che era ancora immobile.
Sussultò quando lui si avvicinò a lei, per poi afferrare con due dita il nastro  al suo petto che teneva legato il corpetto marrone.
Per assicurarsi che lei non scappasse, con il braccio la strinse a sé per la vita, mentre pian piano le toglieva il corpetto. Si accorse allo stesso tempo che in effetti a qualcosa serviva, oltre che tenere la sua vestaglia: le evidenziava bene quei fianchi, gli stessi che stava stringendo a sé. Lentamente cominciò a sciogliere i lacci, senza però guardare negli occhi la ragazza. Temeva che in questo modo lei potesse reagire di impulso.
Leah appoggiò le mani sulla sua spalla e, con il viso basso sulle mani di lui, disse, con la voce strozzata e il groppo in gola:-P…per favore… alt…-
-Taci!- sibilò lui, togliendole definitivamente il corpetto, lanciandolo a terra. La veste di Leah era tutta bianca e svolazzante e per poco non le ricadeva dal petto. Lei con una mano la resse, arrossendo di brutto.
Jacob non perse tempo, si inginocchiò ai suoi piedi, prese il materiale e cominciò a disinfettare il taglio. La ragazza trattenne le urla di dolore, stringendo i denti, mentre quel miscuglio che usavano come disinfettante che era stato creato dal medico di corte Carlisle le bruciava il fianco in modo terribile.
Il principe avvertì comunque il dolore della fanciulla e si strinse i denti anche lui. Se solo fosse arrivato prima… se solo le fosse stato accanto…
Le coprì la ferita con la fascia, strappandola poi con i denti. Il cuore di lei batte forte quando la bocca di lui fu vicina alla sua pancia.
Chiuse la fascia annodandola a forma di fiocco e rimase lì, a fissare il grembo della ragazza. La stessa che amava. La stessa che aveva fatto piangere.
Leah rimase immobile, chiedendosi perché lui non reagisse o cosa.
-G..grazie..- disse, imbarazzata. Avrebbe voluto dire molto di più, ma non ci riusciva. Non ce la faceva…
Il cuore del ragazzo cominciò a martellare troppo forte. Finalmente erano da soli. Avrebbe voluto parlarle, accarezzarla, spiegarle la situazione, i suoi sentimenti…
Ma l’unica cosa che riuscì a fare era abbracciarla, stringerla forte ed aggrapparsi a lei per la vita.
Leah sussultò incredula, rossissima e il cuore che in quel momento stava usando un cannone per uscire dal suo petto.
-P..prin…- stava per dire, ma sentì degli strani singhiozzi. Fissò il ragazzo che la stava stringendo a sé. In quel momento le sembrava un bimbo innocente, un bambino che sentiva il bisogno assoluto del calore di qualcuno.
Il suo cuore si addolcì, assieme al suo sguardo, che era anche triste ed amareggiato.
-Leah…- sospirò lui, con il groppo in gola. Perché piangeva? Perché stava facendo quella figura da stupido?
Era ovvio. Perché per poco non la perdeva. E aveva paura. Si. Aveva paura di perderla, di perdere la sua unica ragione di vita.
E aveva anche paura di essere rifiutato ancora.
Il modo in cui lui sussurrò il suo nome fece sciogliere definitivamente la ragazza. Era lei la causa del suo pianto? Si maledisse da sola, quando si accorse che era proprio questo il motivo per cui piangeva. Si lasciò trasportare dalle emozioni e si fece inginocchiare. Le braccia di Jacob ora stringevano la sua schiena e lui guardava lei, incredulo ed agitato.
La ragazza gli accarezzò la guancia, asciugandola dalla lacrima.
-Non piangere…- disse lei. Ecco, aveva di nuovo usato il tu.
Lui afferrò la sua mano, lasciandola sulla guancia sua. Sentire il calore della sua mano lo risollevò un po.
Leah lo fissò. Era proprio ridotto male. Dov’era finito il ragazzo che sorrideva sempre? Sapeva che c’era. E allo stesso tempo sapeva il perché della sua eclissi.
Il suo istinto ebbe la meglio in lei. Si avvicinò pericolosamente a lui, modellando le sue labbra con quelle del principe, che la fissava con gli occhi spalancati dalla sorpresa. Notò che le sue guance erano rossissime e arrossì anche lui.
La ragazza si rese conto di quello che stava facendo e si staccò bruscamente da Jacob, fissandolo negli occhi, rossa. Si alzò velocemente in piedi, voltandosi, senza far intravedere al ragazzo il suo volto.
-Scu… scusatemi…- disse, il groppo in gola sempre più forte. Jacob si alzò, incredulo, ma spinto dal suo istinto.
-Perché ti scusi?- chiese, ad un passo dalla sua schiena.
La sguattera sospirò, cercando di non perdere la calma.
-Perché…- disse –Per colpa mia… voi state così…-
Ci fu un attimo di silenzio. Jacob sentiva la rabbia crescergli in petto. Si stava dando la colpa per una roba tanto stupida? Solo perché si erano baciati? Solo perché si erano sfogati i propri sentimenti? Poi ricordò cosa le aveva detto una volta lei, quando aveva cercato di farla tornare da lui:
 
Io e lei siamo troppo diversi. Siamo di una classe sociale diversa. Un principe ed una sguattera non dovrebbero mai abbracciarsi in quel modo.
 
Lui sospirò, triste. Era evidente che la pensava in quel modo. Anche se tecnicamente non aveva torto. Era proibito. Molto proibito. Ma a lui ormai non importava niente.
-Sei così stupida…- sibilò Jacob. Leah si voltò di colpo, ritrovandosi il viso di lui a pochi centimetri dal suo. Arrossì fortemente e per poco non indietreggiò. Questo fece scattare il ragazzo, che la afferrò per le spalle e la fece sbattere contro la parete, tra la porta di legno che conduceva ai corridoi interni e al buco in mezzo alla parete che faceva da letto alla ragazza.
La fissò negli occhi e per poco Leah pensò che la volesse uccidere. Ma si sbagliò, quando lui avvicinò il viso al suo ancor di più, sfiorandole il naso, per poi sussurrarle piano, ma deciso:-Io non voglio rinunciare a te. Le classi sociali non mi interessano-.
Lei aprì ancor di più gli occhi. Stava dicendo la verità? Beh, ovvio che lo diceva, si disse, è di Jacob che stava parlando. Era un principe molto ribelle lui. Anche troppo. Eppure quella sua parte le piaceva. Quella che se ne fregava delle regole inutili del palazzo imposte da suo nonno Ephraim, che rischiava il tutto per tutto.
Il suo cuore batte forte, sempre più forte. Non voleva vederlo triste. Di nuovo si maledisse da sola. Di nuovo si sentiva la causa della sua infelicità. Si sentiva un mostro. Se solo quella stupida vecchia non l’avesse rimproverata. Se solo non esistessero le classi sociali…
Jacob si fece più vicino. Non ce la faceva più la ragazza. Leah sentì subito il bisogno di buttare fuori ciò che pensava. Trattenerlo sempre più le dava la nausea. Voleva dirlo, anche urlarlo se necessario. Ma riuscì solo a sussurrare.
-Ho paura…- disse, la voce strozzata.
Jacob la guardò negli occhi. –Non ti farò del male-.
Lei scosse la testa. Non aveva capito il senso.
-Non parlo di te- disse –ho… paura che se andiamo avanti così… se ci lasciassimo andare…-
-Tu e tuo fratello finireste nei guai, la so la storia- disse lui
-Ma anche tu finiresti nei guai!- fece lei, alzando la voce –Che diranno la tua famiglia, a quel punto? Sam l’ha già scoperto…-
-Non gli crederà nessuno-
-E se invece gli crederanno?-
-Nessuno ha creduto a quel pallone gonfiato, Leah!- sospirò Jacob –Anche a mio padre non piace molto, ma era l’unico abbastanza abile e forte da guidare un esercito-.
Lei lo fissò. Si rese conto in quel momento che lo voleva. O meglio dire lo desiderava. Con tutto il cuore.
Lui si avvicinò ancor di più, tant’è che Leah riuscì a sentire il sapore del suo caldo e dolce alito.
-Non dovremo…-
-Lo so…-
-Ma…-
-A me non importa!- ribatte lui.
Passarono cinque secondi, durante la quale i due non si mossero. Alla fine Leah si sfogò. A dir la verità, le importava, si, ma solo per le conseguenze probabili. Ma per il resto… poteva anche non fotterle niente. Lei lo sentiva. Lo amava. Perché dovrebbe allora rinunciare a qualcosa che per lei era prezioso? A qualcuno alla quale avrebbe dato la vita?
-Nemmeno a me…- sussurrò alla fine lei e i due avvicinarono le loro labbra, sfiorandosele, per poi baciarsi.
Leah afferrò il viso di lui per avvicinarlo sempre più a sé, mentre Jacob le stringeva la vita, facendo attenzione a non toccarle la ferita appena fasciata. Il loro sapore era sempre lo stesso. Se ne drogarono immediatamente. Sia a lui che a lei era mancato il sapore delle loro labbra, il profumo dell’altro, i suoi tocchi… tutto, insomma!
Leah si considerò una stupida. Come aveva fatto a resistere senza di lui? Stessa cosa si chiese Jacob: perché non aveva chiarito subito la faccenda?
Il principe spostò le mani sulle cosce di lei, per poi alzarle. La sguattera lo circondò con le gambe per la vita, aggrappandosi a lui, mentre quest’ultimo la reggeva per i glutei, aumentando l’intensità del bacio. Se la trascinò dietro, appoggiandola poi (facendo attenzione a non sbattere la testa) sul giaciglio di Leah, ritrovandosela nuovamente sotto.
Appoggiò i gomiti ai lati della sua testa, baciandola sempre più intensamente, tanto da sembrare affamato. Anche Leah aumentò l’intensità, stringendo la testa di lui ed attirandola a sé.
Le loro lingue danzavano insieme, in un valzer infuocato, ravvivato da quei fuochi chiamati Passione ed Amore.
Lui assaporò il gusto delle dolci labbra di lei, cercando di assaporarne il più possibile, di memorizzare il suo modo di baciare, il suo sapore, il suo tocco… stessa cosa provò a fare lei, anch’essa affamata di baci. Era come se nuovamente non fossero più un principe ed una sguattera, ma Jacob e Leah. Due persone che finalmente avevano ammesso i loro sentimenti. Due persone che avrebbero voluto che il tempo si fermasse, solamente per poter assaporare quel momento così dolce, passionale, carico di amore.
Si staccarono un secondo, per poi fissarsi negli occhi. In entrambi c’erano sicurezza, determinazione, passione, gioia, felicità… mille emozioni pervasero i loro cuori e le loro menti. Niente all’esterno contava, ormai.
Jacob accarezzò con due dita la fronte di Leah, scostandole una ciocca di capelli, per poi sfiorarle il naso con il suo.
-Non scappi?- chiese lui, dal tono sicuro. Ma dentro di sé avvertiva solo ansia.
Leah lo fissò. Non desiderava altro che lui. Forse era questo che aveva sempre cercato. Forse erano destinati da tempo. Erano destinati sin da quando lei aveva varcato per la prima volta la soglia delle cucine, quando il piccolo Jacob l’aveva guarita. 
Era questo dunque il suo desiderio. Stare con Jacob.
-No- disse, sicura, determinata. Non lo voleva perdere. Questo era certo.
Lui sorrise, sollevato e compiaciuto. Uno di quei sorrisi che faceva girare la testa a lei. Si sentì mezza scema nel ricambiargli il sorriso. Lui la premiò con un altro bacio, dolce e delicato.
-Non hai paura?- chiese poi.
-Di te no- rispose Leah, certa –Solo… -
-Non ci scopriranno, fidati- disse lui, sicuro solo al cinquanta percento.
-Come fai a dirlo?- chiese lei, accarezzandogli i capelli corti.
-Lo so e basta. Bisogna solo non darlo a vedere. Faremo come prima, ovvero ce lo teniamo per noi-
Leah scosse la testa. –Quello è ovvio, ma metti caso che qualcuno ci spii…- e al solo dirlo ripensò a quello che aveva detto Sam prima…
 
So cosa è successo tre giorni fa. Pensa come la prenderebbe la famiglia reale se lo sapesse!
-Per ora lo sa solo lui- disse Jacob per tranquillizzarla –Ma non gli crederanno mai. E poi non può essere tanto scemo da farlo-.
-Stiamo parlando dello stesso Sam?- chiese ironica Leah, alche i due scoppiarono a ridere.
-Giusto, ma anche se fosse non gli daranno ascolto, e su questo non ci piove-.
Si scambiarono uno sguardo dolce, pieno di affetto. Continuarono a baciarsi, avidi, carichi di passione. Lui stringeva lei, e lei stringeva lui. Finché non sentirono dei passi avvicinarsi per le scale. Jacob si alzò in fretta e guidato dalla sguattera uscì dalla porta sul retro. Prima di sgattaiolare via, però, rubò un bacio a stampo da lei, facendola arrossire, per poi correre via verso le stalle. Leah chiuse la porta in tempo, quando l’altra venne aperta da Madama Gianna.
-Leah, ma che mi combini?- la sgridò subito, notando poi i suoi vestiti.
Sembrava molto agitata e la ragazza non capì se era per la lotta di poco fa.
-Lo sai che contro quell’arrogante non ci devi lottare!- disse, abbracciando poi Leah, con grande stupore e incredulità di lei. Prima d’ora non era stata abbracciata da Madama Gianna. Da quando aveva questo lato “Dolce”?
-M-Madama Gianna?- fece Leah, ancora sotto shock.
La donna si scostò dalla ragazza, studiando la fasciatura.
-Promettimi che non ti metterai nei guai a causa sua!- disse poi, con il suo solito tono severo.
-Si- rispose Leah, incerta su ciò che aveva detto. Nei guai ci stava finendo lo stesso, se ci finiva anche per colpa di Sam era la ciliegina sulla torta.
I giorni seguenti passarono abbastanza veloci. Ormai mancavano due giorni al compleanno di Rachel e tutto il castello era in fermento.
E le giornate di Leah erano sempre divise così: La mattina serviva la colazione alla principessa, la puliva e la aiutava a vestirsi. Poi andava a pulire il castello fino a mezzogiorno. Dopo di chè aiutava il fratello con il mercatino e tornavano al castello per uno spuntino. Il pomeriggio continuava a pulire, finché la sala a lei assegnatasi non era perfetta. A quel punto Madama Gianna le dava il resto del tempo per riposare. Era in quelle ore che finalmente poteva vedere il principe. Si incontravano sempre in due posti: o nel suo studio, o nel boschetto dietro alla reggia. E lì era perfetto per passare del tempo senza farsi notare. Quel giorno i due stavano nello studio, mentre Jacob armeggiava con il solito macchinario.
-Solo per sapere – chiese la ragazza –Cosa stai costruendo?-
-Beh, per il momento…- disse lui –Dovrebbe essere un qualcosa per asciugare i panni-
Leah annui, pensando che se avrebbe portato a termine l’oggetto, molta gente di La Push ne sarebbe stata contenta.
Passò poi a fissare gli altri aggeggi sparsi qua e la. Jacob capì che era molto curiosa e si alzò, lasciando a metà il lavoro. Porse la mano alla ragazza e lei la afferrò, alzandosi. La guidò verso la parete, dove c’era incastonato una torcia spenta. La abbassò e di colpo la parete si spostò a destra. Leah rimase di stucco, nel osservare la stanza nascosta che si celava dietro a quel muro.
Era quadrangolare, piccola, con un divano rosso appoggiato al lato sinistro. In quello destro c’erano delle mensole, con sopra appoggiati alcuni oggetti fatti da lui e completati.
-Questa è la stanza dove tengo le invenzioni finite- disse lui, invitando Leah ad entrare. Una volta dentro la porta si chiuse alle loro spalle. La ragazza notò che c’era un'altra torcia in quella stanza, spenta anch’essa.
-Un tempo, però, la si usava come scappatoia in caso di attacchi al castello- spiegò poi Jacob, avvicinandola alle mensole.
-Wow- esclamò lei, osservando qui piccoli oggetti di metallo.
-Hai fatto tutto tu?-
-Si- rispose, fiero.
-Questa a cosa serve?- chiese lei, indicando una scatoletta. Jacob la prese e glielo aprì ai suoi occhi. Dalla scatola sbucarono fuori due statuine danzanti, e una musichetta, allegra e soave, accompagnava la danza delle figure minuscole.
-Oh- fece Leah, affascinata, sia dalla scatola che dalla musica che emanava.
-Ci avevo messo un po per farla- disse Jacob –Anzi, questa è la mia prima creazione-.
-Sul serio?- chiese lei –E quanto tempo fa l’hai fatta?-
-Diciamo…. Cinque anni fa- disse –All’età di tuo fratello, insomma-
-Eri già bravo all’epoca?- chiese Leah, incredula e stupita. Lui annui, grattandosi la testa. Leah richiuse la scatola e la rimise al suo posto.
Non appena lo riappoggiò alla mensola, sentì delle mani afferrarla per i fianchi, poi per le gambe, ed infine essere presa in braccio dal principe.
Arrossì in modo violento e lui rise divertito. La poggiò sul divano e si sedette accanto a lei, stringendosela forte.
-Potremo anche venire qui- propose il ragazzo, e alla sola idea di usare quel posto come un luogo d’amore, Leah arrossì ancor di più. Baciò il suo collo, con sua grande sorpresa. Lui le massaggiò le braccia e la baciò, in modo così intenso che quasi la ragazza non perse i sensi. Finirono entrambi di nuovo sdraiati sul divano, a coccolarsi a vicenda. Jacob sfiorò la parte ferita di lei, che ormai stava guarendo. Si mordicchiarono le labbra, assaporandosele, gustandosi poi il sapore dei loro aliti e le loro lingue, che danzavano insieme in un fiume di lava. Intanto il ragazzo portò la mano sul petto di lei, fino ad incontrare il fiocco che chiudeva il corpetto, per poi scioglierlo lentamente, per godersi il momento. Le tolse alla fine l’indumento marrone, lanciandolo a terra, per poi massaggiarle il corpo, bello e slanciato.
Continuarono a baciarsi così, a stringersi così, ognuno affamato dell’altro. Il ragazzo staccò la bocca da quella di lei e la poggiò delicatamente sul suo collo, liscio e profumato, baciandoglielo.
Le diede minimo dieci baci, tutti delicati e dolci, facendo il solletico alla sguattera.
-Fai il solletico- disse, ridendo piano.
Il principe sorrise, divertito, e tornò a baciarla in vari punti della gola, poi sul petto, senza andare oltre la veste, ed infine tornare sul viso radioso e bello di lei. Mentre Leah gli accarezzava i capelli, Jacob la baciava in ogni punto del volto, facendola ridere una volta baciato il naso. Spostò poi le labbra delicatamente e lentamente sulle sue, per dare il tempo a lei di cercarle, rendendola affamata.
Si saziarono di baci dolci e teneri, forti ed intensi, le lingue al contatto fra di loro anche mentre si staccavano per riprendere fiato.
Lui poggiò la testa sul petto di lei, mentre quest’ultima gli baciava la nuca in modo così dolce ed affettuoso che Jacob si sentì un mezzo mostro. Già, perché oramai mancavano due giorni a quella cerimonia. Da una parte poteva anche essere una cosa bella, ma solo per il resto della sua famiglia. Per lui significava solo disperazione e costrizione. Odiava essere costretto a fare qualcosa che non gli piaceva, soprattutto se quel qualcosa voleva dire dimenticare la ragazza su cui ora era poggiato. Abbassò lo sguardo a terra, triste, e si lasciò cullare dalle braccia e dai seni di Leah. Doveva dirglielo, ma come poteva farlo? Da dove doveva cominciare? Come avrebbe reagito lei? Conoscendola, sarebbe scappata via urlando, rimproverandolo per ragioni che solo lei poteva sapere.
Avrebbe pianto? È molto probabile. Si sentirebbe tradita? Non lo sapeva.
Leah notò che il ragazzo era stranamente silenzioso. Continuando ad accarezzargli i capelli, chiese:-Sicuro che va tutto bene? Ormai sono giorni che stai mezzo zitto…-
Jacob ebbe un groppo in gola. Non riusciva a dirglielo. Come poteva?
Non rispose, e ciò preoccupò il doppio la sguattera. Jacob che non rispondeva ad una sua domanda? La cosa era seria!
Stava per aprire bocca, quando all’improvviso, dall’altra parte della parete, sentirono la voce di Rebecca chiamare Jacob. Lui si alzò di scatto, ringraziando la sorella per averlo tolto da quel momento di imbarazzo totale e allo stesso tempo insultandola in tutte le lingue del mondo per essersi intromessa una seconda volta.
Si voltò verso Leah e le disse:-Stai nascosta qui, quando apro la parete dopo che se ne va esci-
-mhm- fece lei, nervosa. In quanti della famiglia reale sapevano della stanza?
Jacob uscì e, dopo qualche minuto, aprì il muro. Leah sgattaiolò fuori, guardandosi intorno. Sospirò di sollievo, tenendosi una mano al cuore.
-Ora è meglio che vada- disse lui, chiudendo la porta –Devo andare da Edward e vedere cosa vuole-.
-D’accordo…- disse lei, stranamente poco allegra. Lui la notò e, prima che potesse voltare i tacchi, la afferrò per i fianchi e le diede un bacio appassionato, leccando la sua lingua con avidità. La sguattera e il principe di attaccarono tra di loro, peggio della colla. Lui non la voleva mollare e lei non voleva mollare lui a sua volta. Si mordicchiarono le labbra, baciando l’uno il labro inferiore dell’altro, attizzando l’amante.
Si staccarono a malavoglia e il principe le diede un bacio tenero ma triste sulla fronte.
-A domani- disse.
-A domani- salutò lei.
 
 
 
-Leah, finalmente!- esclamò Emily, non appena la ragazza andò a trovare la cugina nella stanza per le sguattere. Erano tutte quante intorno ad un letto, dove stava sdraiata Kim. Sembrava diversa dal solito. Era completamente gialla, gli occhi pesanti e il viso sudato. Di fianco al suo letto c’era un cesto pieno di vomito.
-Ma che succede?- chiese la ragazza, avvicinandosi al letto dell’amica.
-Sembra che abbia preso una malattia strana…- spiegò Madama Gianna, seduta ai lati del letto, mentre con uno straccio bagnato puliva il viso della povera malata.
-Abbiamo appena chiamato il dottore di corte, non preoccuparti- disse una.
Leah fissò la povera ragazza, che a malapena respirava. Doveva ammalarsi proprio in quel momento?
-E adesso?- chiese un’altra ragazza.
-Avete provato con le medicine tradizionali?- chiese Leah alla vecchia.
-Si, ma non hanno fatto effetto- disse, amaramente triste.
-Sembra che questa sia quella nuova malattia che colpisce un po’ tutti al villaggio- disse una.
-Cavolo- sospirò un'altra.
-E se dovesse colpire anche noi?-
-Ma non essere stupida, abbiamo comunque il medico di corte-
-Anche se ci mette un po ad arrivare…-
-Leah, bisogna che tu faccia una cosa- disse infine Madama Gianna, interrompendo il brusio che si era appena creato. Kim tossì forte e una ragazza accanto a lei le porse il secchio.
-Si?- chiese Leah, concentrando la sua attenzione sulla vecchia invece che sul vomito.
-Devi sostituire Kim fino a quando non si sentirà meglio!- le ordinò la donna. Leah deglutì. Kim era la cameriera di corte. Pensava sempre lei a portare il pranzo e la cena alla famiglia reale. E li serviva fino all’ultimo.
Il punto comunque era che, ora che lei e Jacob si frequentavano di nascosto, doveva evitare di guardarlo, anche se non era facile. Ma la domanda fondamentale era un’ altra… lui si sarebbe contenuto di fronte alla sua famiglia? Sperò di si con tutto il cuore.
 
 
Per la prima volta in vita sua Leah si rese conto che il re e i suoi figli mangiavano molto. C’erano porzioni non per quattro persone, ma per sei! Possibile che mangiassero tanto? La ragazza trascinò per tutto il corridoio il carrello con la cena della famiglia reale. Giunse finalmente alla sala da pranzo, ove ci era entrata varie volte solo per pulirla. Aprì il portone, ritrovandosi davanti un salone tutto in pietra, con un lungo ed enorme tavolo rettangolare. A capotavola stava ovviamente il re, Billy, seduto su una sedia a rotelle (invenzione di suo figlio). Alla sua sinistra erano sedute le figlie, mentre alla sua destra…
Per poco Leah non avrebbe lanciato urla di disapprovazione, assieme forse a qualche piatto di minestra e pollo arrosto. Quello che stava vedendo… non poteva crederci.
Levi Uley e suo figlio Sam Uley erano seduti  vicini al re. Jacob, di fianco a Sam, stava sbuffando seccato. Quando entrò Leah, di colpo gli si illuminarono gli occhi, ma poi nascose il suo sguardo per non farsi notare dagli altri. Leah deglutì. Quel maledetto uomo… quel maledetto assassino…
Leah si fece coraggio, mandò giù la saliva a fatica e  portò il carrello vicino alla parete. Il re e l’ex comandante discutevano fra di loro. Nessuno dei due si era accorto che al posto di Kim c’era Leah.  Lei cominciò a servire ai ricchi, sotto gli sguardi increduli di Jacob e Rachel. Sam sbuffava quando notò che il principe lo fissava malissimo, come se lo volesse uccidere. Anzi, il suo era un avvertimento, come un: “Prova solo a sfiorarla e ti uccido anche qui!”.
Quando arrivò a servire Levi, in un primo momento avrebbe voluto versare il contenuto sulla sua testa, che ancora scottava. Avrebbe gioito nel vedere quell’uomo soffrire. Ma si trattenne dal farlo. C’era tutta la famiglia reale lì, non poteva di certo farlo. E anche se non ci fosse stata, era comunque in svantaggio contro quell’uomo per due ragioni:
1_ Essendo un nobile l’avrebbe denunciata, cacciata via assieme a suo fratello, e tanti cari saluti alla protezione del reame e a Jacob!
2_ era un ex comandante, mentre lei a malapena sapeva armeggiare con la scopa. Non aveva mai preso in mano una spada, e non sapeva come usarla, per giunta.
In entrambi i casi, non ci avrebbe guadagnato un fico secco. Strinse i denti quando servì il suo piatto senza fiatare. Stessa cosa lo fece con Sam, che però a lui riservava uno sguardo torvo, lo stesso del principe. Per questo il giovane comandante si sentiva a disagio. Ma non quanto Leah e Jacob. Lui perché doveva trattenersi dall’abbracciarla e dal baciarla davanti a tutti, lei perché si stava disgustando da sola per aver dato da mangiare a quello che aveva quasi rovinato l’esistenza ai due fratelli. Lo odiava a morte. Andò in un angolino, aspettando che finissero il primo. Intanto Billy conversava con il vecchio comandante. Senza nemmeno volerlo, Leah ascoltò i loro discorsi.
-E’ strano che la mia gente abbia venduto le terre- disse il re –Insomma, se così fosse, i soldi sarebbero arrivati, no? E poi me le avrebbero vendute di persona-.
-Oh, maestà, purtroppo nemmeno io ho idea di dove sia finito il denaro- disse Levi –Ma forse i funzionari avranno già dato una parte alla gente… beh, come dire… senza “classe”-.
-Non dovreste parlare così di loro- intervenne Jacob, con il grande stupore di Leah, che in quel momento avrebbe voluto prendere un coltello e tagliare le vene al bugiardo accanto a sua maestà.
-Sono sempre delle persone, perché le giudica al di sotto di una formica?-
-Vogliate scusarlo, Ser Levi- disse Billy, fissando severo il figlio –Ha ancora molto da imparare.
Jacob grugnì secco, infastidito. Sam trattenne a stento una risata.
-Oh, non importa, i giovani sono tutti così- giustificò l’uomo.
Finito il primo, Leah servì il secondo, con lo stesso umore nero di prima. Jacob la guardò, curioso e rattristato dal suo sguardo. Capiva il motivo per cui guardava male Sam, ma non aveva ancora compreso perché ce l’avesse con Levi. Cosa aveva fatto quell’uomo a lei? Si ricordò all’improvviso del giorno in cui si erano baciati la prima volta. Lei all’inizio aveva urlato qualcosa.. che magari era un bugiardo…
Ma cosa intendeva dire, esattamente? Non riusciva a spiegarselo.
-Allora, sua imminenza…- fece Levi finito di mangiare.
-Non esageriamo, adesso…- fece invece Billy. Almeno in questo era come i figli, pensò Leah.
-Va bene- disse Levi –A quanto pare fra meno di due giorni ci sarà il compleanno di suo figlia Rachel-.
-Esattamente- disse allegro il re (anche troppo), mentre la principessa si teneva la testa con una mano, scuotendola.
-E che cosa si farà in particolare?- chiese improvvisamente Sam, con uno strano sguardo divertito ed un ghigno spaventoso. Così spaventoso che né a Leah né a Jacob piaceva. Ma cosa voleva fare?
-Beh, ci sarà il ballo, ovviamente- spiegò il re, mentre la sguattera cominciava a raccogliere i piatti sporchi –La torta della mia amata figlia-(e in quello fece una faccia talmente buffa da far ridere Rebecca e intimidire Rachel) –E per finire- (in quelle tre parole Jacob si immobilizzò e Leah tese l’orecchio per ascoltare meglio) –Ci sarà l’annuncio al matrimonio!-.
Jacob deglutì e fissò d’istinto la ragazza, che era rimasta bloccata sul piatto di Sam.
-Matrimonio?- chiese quest’ultimo –Di chi, se posso sapere?-
“Figlio di puttana, era a questo che miravi?” pensò Jacob guardandolo molto male, con la voglia intensa di strangolarlo e farlo tacere. Leah era ancora lì, immobile, curiosa. Il ragazzo pregò che il padre non rispondesse, ma purtroppo per lui, il destino ebbe la meglio:- Di mio figlio Jacob, naturalmente, con la duchessa del ducato dei Cullen-.
Un rumore simile a dei piatti che si frantumavano in mille pezzi attirò l’attenzione dei presenti a tavola su Leah. I piatti le erano scivolati di mano, e fissava Jacob con uno sguardo strano.
Sam ghignò soddisfatto, Rachel la fissò sconcertata, Billy e Levi si accorsero solo ora della sua presenza, Rebecca la fissò con aria di disapprovazione. E Jacob… non riusciva a guardarla, tant’era la vergogna e il disgusto per se stesso. Il cuore di Leah non si era fermato, anzi, era stato come pugnalato da migliaia di lame incandescenti. Lo sentiva sanguinare, contorcersi dal dolore…
Passarono cinque secondi, o forse più. Lei non sentiva più alcun suono nella sala. Vedeva, ma non vedeva. Riusciva solo a distinguere delle persone che la richiamavano. Automaticamente cadde in ginocchio, gli occhi fuori dalle orbite. Sempre in modo automatico sibilò un :-Scusatemi- e si mise a raccogliere i pezzi di ceramica sul suo grembiule. Jacob la guardò. Avrebbe voluto dare un cazzotto a Sam, urlare in faccia ai suoi e stringere forte a sé la ragazza. Voleva scappare via con lei, andarsene lontano, dove classi sociali non esistevano…
La ragazza, ancora con gli occhi vuoti ma con il cuore che si riduceva ad uno straccio sanguinante, raccolse i pezzi, buttandoli poi  nel cesto del carrello.
-Sono tutte così le sue servitrici?- chiese improvvisamente Levi.
-No…- fece offeso Billy. Rachel e Jacob la fissavano, l’una confusa e preoccupata, l’altro pieno di angoscia ed ansia.
-Beh, solo lei, a dirla tutta- fece Sam, sempre con quell’odioso ghigno.
-Davvero?-
-Certo. Una volta mentre passavo tranquillamente per il corridoio, lei mi aveva aggredito, neanche avessi fatto qualcosa…-
Il comandante non riuscì a completare la frase. Jacob si era alzato e lo fissava con un aria omicida.
-Magari perché tu avevi aggredito sua cugina e sporcato il pavimento di fango, essere ripugnante e schifoso- disse, sibilando.
-Jacob!- sbraitò il re, confuso e severo.
Leah non riuscì a sentire altro. Senza che il suo cervello ragionasse, scappò via, sotto gli occhi di tutti. Corse per tutto il castello, senza una vaga meta. Non sapeva dove andare, cosa fare. Perché? Perché non le aveva detto niente? Perché tenerglielo nascosto?
Alla fine, quando arrivò ad un angolo, appoggiandosi ad esso, arrivò ad una conclusione, amara, triste, ma plausibile (solo in parte, ma in quel momento non riusciva ad avere la mente lucida).
Che sia stata presa in giro? Che Jacob fin’ora l’abbia solo usata per divertirsi?
Si toccò la bocca con la mano, disgustata al solo pensiero, pallida in volto, il cuore ancora sanguinante e le gambe che non la reggevano più.
-Leah!- sentì urlare alle sue spalle.
“No…” pensò la ragazza “Non lui!”
Jacob la raggiunse, con il fiatone. La vide, appoggiata all’angolo, piegata in avanti, come se fosse sul punto di vomitare.
Sospirò, per poi inghiottire la saliva. Provò a sfiorarle la spalla. Non l’avesse mai fatto. Lei si voltò di scatto, con la rabbia negli occhi, assieme alla completa tristezza e delusione. Lo schiaffo lo beccò in piena guancia, tanto da farlo voltare con la testa. La rivoltò lentamente, incredulo, la guancia rossa.
Lei era immobile, mentre cercava di riprendere il fiato, con i denti ed i pugni stretti. Mille emozioni le invasero il cuore ormai andato distrutto. Non sapeva a quale dar retta…
-Leah…- sospirò il ragazzo, triste e disgustato da sé stesso. Lei sobbalzò al solo sentirsi chiamare da lui.
Riprese il coraggio e la forza di parlare. Anzi, urlò:-Perché? Perché non me l’hai detto?-
-Lascia che ti spieghi…-
-Volevi prenderti gioco di me, non è vero?-
-NO!- urlò lui –Mai e poi mai! Lo sai che non lo farei mai una cosa così stupida!-
-E allora perché mi hai tenuto tutto nascosto?- chiese acida lei, fuori di testa, la pazienza andata a morire assieme al suo cuore.
-Credimi, avrei voluto dirtelo!- urlò lui –Ma non ne avevo il coraggio!-.
Leah lo fissò negli occhi. Non l’aveva fatto perché non aveva il coraggio?
Jacob tornò ad essere composto e si avvicinò a lei, che automaticamente si allontanò. Questo bastò a far scattare il principe. La afferrò per il polso e la strinse forte a sé.
Leah sgranò gli occhi, scioccata. Provò a ribellarsi, ma non ci riuscì. E non solo perché era più forte di lei, ma anche perché… non ci riusciva. Il suo corpo non le rispondeva più. Come se non fosse più padrone di sé stessa.
-Ti prego…- fece lei, quasi supplicandolo.
-Leah… io non potrei mai prenderti in giro- disse Jacob, afferrando il viso della ragazza, per poi incrociare i suoi occhi, luminosi, ma non per la felicità.
-E’ una cosa che anche se volessi non potrei fare per mia natura- continuò –Tu sei… troppo preziosa per me, lo capisci? Non l’ho detto perché volevo trovare il modo e il tempo giusto per farlo, solo… che è volato il tempo e ora…-
Fece una pausa, mentre Leah lo fissava. La sua mente tornò lucida. In effetti… non era da Jacob approfittarsene degli altri. Non era lui quello che inventava oggetti strambi per aiutare la gente del suo regno? Non era stato lui a salvarla più di una volta? Non era stato lui a medicarla per due volte ad un intervallo di un decennio?
Allora quello che diceva era vero… provò a mettersi nei suoi panni per un attimo, ed in fondo riuscì a capirlo. Non sarebbe stato facile affatto.
-Ascolta- fece lui, portando la mano di lei al suo petto, nel punto esatto dove era posizionato il suo cuore –Lo senti? Batte così ogni volta che sono con te. Se ti avessi presa in giro, non avrebbe fatto in questo modo, non credi?-
Leah ascoltò il battito frenetico del cuore di lui, quasi stupendosi della cosa. Poi fissò gli occhi di Jacob.
-Io ti amo, scemotta isterica!- disse Jacob, fissandola negli occhi a sua volta. Leah si sentì il cuore rigenerarsi di colpo. Come se quelle lame non ci fossero mai state. Quelle parole la rinvigorirono come non mai.
Senza nemmeno rendersene conto, cominciò a piangere silenziosamente, tenendo lo sguardo su di lui.
-Ti amo, stupido ribelle!- disse Leah –E credimi, vorrei prenderti a schiaffi… ma non ci riesco….-
Jacob rise e se la avvicinò a sé. Le sfiorò le labbra con le sue, baciandola con affetto. Leah per poco non svenne per l’emozione. Lo amava troppo, ovvio.
Ricambiò il bacio con dolcezza. Si staccarono per pochi istanti, sfiorandosi le fronti e sorridendo.
-Ora mi è tutto più chiaro- disse improvvisamente una voce femminile dietro il ragazzo. Entrambi sussultarono alla vista di Rachel, che li fissava incredula e a bocca aperta.>>.

 
-Nuooooooooooo! Cazzo! Leah, siamo stati scoperti!- urlò Jacob, agitato, afferrando la moglie per le spalle ed agitandola.
Lei riuscì a prendere il libro di prima e a sbatterglielo in piena faccia.
-Ma te la finisci di fare l’imbecille?- urlò severa Leah, che in quel momento faceva paura tanto quanto Sindy in versione licantropo!
-Proprio ora che c’è il punto succoso…- brontolò Cloe.
 
To Be Continued

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Capitolo 3
*** 3_The impossible love_parte 3 ***


SPECIALE: ANGOLO  DELLE FANFICTION DI RENESMEE parte 3
 
Lo zio si massaggiò il naso, sbuffando un :-Stavo scherzando!-, mentre Leah rimetteva a posto il libro di prima.
-Ehi, vorrei leggere anche io per una volta!- sbottò Cloe all’improvviso. Risi e la zia passò i fogli alla mia amica lupacchiotta. Lei cercò il punto da dove riprendere il racconto, sedendosi ai piedi della loro poltrona.
 
-<<Nessuno dei tre capì esattamente quanto tempo passò. Una cosa era certa: Rachel non sembrava né disgustata, né arrabbiata, né altro. Solo incredula e stupita.
Di colpo Jacob si staccò dall’amata e con un coltello minacciò la sorella:-Prova a spifferarlo in giro e ti uccido!-
-Jacob!- urlò Leah, dandogli un calcio negli stinchi. Lui mollò il coltello e si piegò in due, toccandosi i gioielli appena maltrattati.
-Tranquilli, è ovvio che non lo dirò a nessuno- disse la principessa, con una strana faccia. Sembrava… compiaciuta? Raggiante?
-Altezza…- sospirò Leah, incredula, sia per quello che aveva detto lei, sia per il suo sguardo.
-Stai bleffando?- fece Jacob, tornando a comporsi.
-No, nessuna menzogna o robe simili- rispose la sorella –Anzi, manterrò il segreto, non preoccupatevi-.
-Ma come…- fece la sguattera, avvicinandosi –Ci avete appena visti in atti intimi vietati a corte, perché…-
-Oh, sciocchezze Lee-lee…>>-

 
-Anche lei con quel soprannome odioso? Ma la fate finita?-
-Leah, ora sei te che rompi- borbottò Seth. La zia non riuscì a guardarlo. Sapevo che avevano litigato, ma per quanto ancora volevano far andare avanti con questa storia?
Cloe tossì e continuò:-
 
<<… lo sai che queste regole non contano per me-.
“Tale fratello, tale sorella” pensò Leah, sospirando di sollievo.
-E questo spiega molte cose- continuò la ragazza con gli occhiali –Ad esempio perché ultimamente sembravi allegra, o perché hai fatto cadere i piatti quando è saltato fuori il discorso del matrimonio-.
Alla parola matrimonio la ragazza si sentì soffocare. D’accordo che Jacob non l’aveva presa in giro, che l’amava sul serio, ma il matrimonio si faceva lo stesso. Sembrava quasi che il fato non li volesse aiutare.
-Anche lei è dalla mia parte, sai?- fece Jacob, sfiorando la spalla della sguattera –Non è d’accordo sulla cosa del farmi sposare con qualcuno che nemmeno conosco e che, soprattutto, non è te!-
-C-Come mai?- chiese lei, un po’ confusa e un po’ rossa per quell’ultima parte della frase.
-Perché semplicemente mi è sempre sembrato molto ridicolo- rispose la principessa –Insomma… che senso ha vivere il resto della tua vita con qualcuno per la quale non provi niente? Per di più questa cosa la volevano annunciare a tutto il regno al mio compleanno…-
-Sembra quasi che il problema maggiore sia quello…- sospirò esasperato il fratello. La sorella gli fece la linguaccia, cosa che Leah non si aspettava da una dama come lei.
 
La sguattera ormai non faceva altro che contare i secondi, minuti, ore… contava il tempo che mancava a quel giorno fatale. E allora… che ne sarebbe stato del loro amore? Leah non faceva altro che pensarci, distraendosi per la maggior parte del tempo, tanto da guadagnarsi ben tre strigliate in un solo giorno dalla vecchia. Di solito lo considerava una cosa veramente insopportabile, ma stavolta non ci fece nemmeno caso alla vecchia sguattera. Era… persa nei suoi pensieri, come se non vivesse più sulla Terra.
Anche il mattino di quel giorno fatale era distratta, ma peggio delle altre volte. Si era svegliata ricordandosi in un attimo cosa l’aspettava quella sera. Ci aveva messo una vita a vestirsi e a portare la colazione a Rachel. Non riusciva più a sorridere anche se pensava a Jacob, perché se si permetteva di farlo, la sua immagine veniva poi accompagnata da qualche bella dama, vestita bene e con tanto di gioielli, che stringeva il braccio al principe. Il suo principe. La cosa la faceva ribollire di rabbia, ma non aveva mica il potere per impedire che ciò avvenisse. Non poteva mica farlo…
Arrivò alla stanza della principessa, poggiando il vassoio con la colazione sul tavolino, mentre la ragazza si stropicciava gli occhi.
-Buon compleanno, altezza- le diede il buon giorno la balia.
-Niente altezza, e non c’è niente di buono oggi- disse Rachel, alzandosi dal letto –E questo lo sai bene, visto che ti riguarda-.
Leah non rispose. Semplicemente abbassò la testa. Avrebbe voluto dare a pugni un oggetto qualsiasi in quel momento.
Rachel si sedette al tavolo e cominciò a sgranocchiare una fetta di pane, mentre la sguattera rimaneva con gli occhi fissi sul pavimento.
Tutt’a un tratto sospirò, facendo voltare la principessa:- Cosa posso fare io?-
Le sue parole scatenavano mille emozioni, ma nessuna di esse era felice. Rabbia, angoscia, tristezza, depressione, amarezza, consapevolezza, delusione, disperazione… le parole le scivolarono via dalla bocca con la stessa facilità di una foglia che si staccava da un ramo.
Rachel fissò la sua balia, triste ed in pensiero. Cosa poteva fare? La considerava un’amica alla quale appoggiarsi e vederla in quello stato la metteva a disagio.
Si alzò dalla sedia e abbracciò per la prima volta Leah. Di solito la ragazza ci sarebbe rimasta di stucco, ma stavolta non reagì. Non riusciva a pensare bene, a schiarirsi le idee. Qualsiasi cosa le accadesse intorno, ormai non avevano alcun senso.
La sorella di Jacob si staccò dall’amante di quest’ultimo, provando a cogliere l’espressione degli occhi. Vuoti, freddi, luminosi, angoscianti.
Ci pensò su e, come un fulmine a ciel sereno, le venne un idea. Pazza, pericolosa, ma pur sempre geniale. Afferrò per le spalle la ragazza e disse, sicura :-So come possiamo impedire ciò!-.
Leah alzò la testa, fissandola, inarcando un sopracciglio.
-Ascolta- Disse la principessa –L’unico modo è fare una bella impressione davanti a mio padre e a Rebecca. “Come?” ti chiederai. Beh, la risposta è semplice: devi partecipare al ballo con un bel vestito!-.
Silenzio totale. Alla sguattera ci vollero ben dieci secondi per mettere moto al cervello e capire di cosa stava parlando. Quando finalmente ci arrivò, assunse una faccia strana, incredula, gli occhi fuori dalle orbite, come scioccata, e la bocca aperta neanche ad “O”. A momenti il suo mento avrebbe toccato terra. Lei fare cosa? Vestirsi da dama e ingannarli?
-Senza offesa, sua altezza, ma…- fece Leah, cercando di riprendersi, per poi riprendere fiato e sgridare per la prima volta la ragazza:-MA DI CHE ALLUCINOGENI SI E’ FATTA LA SERA SCORSA????-.
Rachel rise, contenta di vederla finalmente arrabbiata e carica.
-Eddai, Leah, è un ottimo piano- disse, trattenendo le risate.
-Un corno!- sbraitò l’ultima –Non posso ingannare suo padre e sua sorella! Le ricordo che voi avete dato a me e a Seth alloggio qui al castello! Non posso fare ciò!-
-Ma basta che non ti scoprano-
-Mi scopriranno!-
-No, perché è un ballo in maschera!- disse infine Rachel. Leah sbuffò, pensierosa. Avrebbe dovuto accettare questo folle piano? Si lasciò sedere sul letto, emotivamente esausta. Cosa poteva fare? Doveva ingannare tutti solo per stare con l’uomo che amava? Ma d’altra parte non ci riusciva ad accettare quel matrimonio. Una parte di lei sentiva il bisogno di correre il rischio.
-Non ho un abito- si giustificò alla fine lei.
-Per quello non c’è problema- disse Rachel –Te ne presto uno mio-
-Ma non posso prendere…- stava per dire Leah, quando la principessa la zitti:-Senti, vuoi vedere per caso mio fratello con un'altra donna?-.
-No!- rispose secca lei, senza pensarci due volte. Di questo ne era sicura al cento per cento.
-E allora farai meglio a darmi retta, Lee-Lee!- fece infine la ragazza, sorridente e con l’occhiolino.
 
 
 
La sera del ballo arrivò. Più di cento invitati entrarono nella sala. La musica accompagnava allegramente essi in un insieme di valzer e balli. Sembravano tutti divertirsi. Tutti, tranne il principe con la faccia seria e agitata seduto dall’inizio della festa accanto al trono del padre.
Ormai da mezz’ora teneva il gomito sul bracciolo rosso scarlatto e il pugno sulla guancia, con il broncio.
Fissava tutti gli ospiti come se fossero fasulli, ignoranti, come se non potessero capire che c’era qualcosa che mancava lì, o qualcuno…
-Dovrai accettarlo prima o poi- disse sbuffando il padre, seduto accanto a lui (d’altronde, stando sempre su una sedia non poteva ballare. Le sue gambe avevano smesso di funzionare da anni).
-Tsk- disse solo Jacob, ancora furioso nei suoi confronti. Accettare cosa? Di perdere l’unica persona che ama pià di se stesso per una perfetta sconosciuta? E chi cavolo sarà mai?
-Figliolo, ci passiamo tutti- continuò re Billy –Per cui…-
-Un corno- sibilò freddo il figlio, cosa del tutto inusuale da parte sua –Non ci passano tutti, c’è chi ha il privilegio, anzi, l’onore di sposare chi cavolo vuole!-
-Perché non hanno problemi economici come i nostri!- sbottò il re, che man mano cominciava a perdere la pazienza con il giovane ribelle –Lo vedi come il nostro regno cala? Ci mancava solo questa stupida malattia!-
-Ma perché proprio me?- chiese infine Jacob, alzando finalmente lo sguardo su Billy –Perché non Rebecca?-
-Rebecca?-
-Si- fece lui, indicando la sorella maggiore che ballava con il principe di Honolulu –Guarda! Sbava dietro al principe hawaiano! Fai sposare lei con lui, non me con.. chi?-
-La duchessa Cullen, per l’amor del cielo!- esclamò il padre, ormai sul punto di tirargli uno schiaffo.
-Pfff, nemmeno ci suona il nome!- sbuffò Jacob, alzandosi dal trono per dirigersi al mini buffet, evitando così l’ennesima strigliata con il padre.
Mentre raggiungeva la tavola addobbata di varie prelibatezze, l’uomo che di solito annunciava l’arrivo di un qualche ospite importante, stagliatosi sopra le scale che incorniciavano il portone (c’erano due entrate, uno dal piano terreno rispetto alla sala e uno superiore) dividendosi in due curve, rimase sbigottito di fronte alla dama che era appena entrata dalla porta. Aveva  la bocca arricciata in una smorfia e le sopracciglia aggrottate, come se si sentisse a disagio stare in quel luogo.
-Nome e regno o ducato, madamigella?- chiese l’uomo, un omino bassissimo e con i basettoni grigi.
Leah lo riconosceva. Era il signor Chiavion, e si diceva spesso che in passato fosse stato l’amante di Madama Gianna. Al solo pensiero per poco non rideva.
-Nome e regno o ducato?- richiese il signor Chiavion, scombussolato. Di solito gli ospiti rispondevano subito a questa domanda.
-Uh…- fece Leah. “Cazzo!” pensò “E ora cosa mi invento?”
-Ehm…. Contessa…. di Francia… solo questo per ora, odio far spi… ehm… conoscere agli altri il mio nome… messere…- disse balbettando la ragazza.
“Contessa di Francia? Diamine, sono messa proprio male!”
L’uomo si schiarì la voce e la alzò, esclamando agli invitati e portando così l’attenzione su Leah:-La Contessa di Francia Senzanome-.
“Ma che…?” pensò la sguattera, sudando freddo. Che razza di nome era?
Tutti gli sguardi furono puntati su di lei. Le bocche degli ospiti si allargarono in mille O.
Alcuni erano stupiti. Altri affascinati.
Non riuscirono a parlare. Al solo vedere quella dama sconosciuta si erano tutti accecati.
-Che succede?- chiese Jacob, notando che si era fatto un silenzio incredibile in sala. Persino i suonatori avevano smesso.
-Fratello, guarda alle scale!- bisbigliò Rachel, soddisfatta del proprio capolavoro. Jacob si voltò.
La sua mascella avrebbe toccato il pavimento a momenti.
Non poteva essere vero.
Quella dama non poteva essere la ragazza che amava.
Riconosceva tra mille la sua fisionomia, anche se con la maschera.
Leah fissava la sala, imbarazzata e spaventata, non sapendo cosa fare.
Jacob la fissò meglio.
L’abito, di un color celeste molto tendente al bianco, si allargava dai fianchi, fluenti, con vari veli trasparenti che ricoprivano la stoffa pregiata. Il petto era contornato da una stoffa più resistente, con ricami blu oceano ai bordi. Niente guanti o collane o orecchini. I capelli, seppur corti, erano legati dietro a cipolla con un elastico, alla quale erano attaccati due grossi fiori blu cobalto.
La maschera che portava al viso, che le incorniciava solo gli occhi e la radice del naso, era bianca perlacea, con anch’essa dei ricami azzurri.
Era incredibilmente, incondizionatamente bella. Nessuno della sala fin ora aveva osservato tale bellezza.
Jacob continuava a fissarla, il cuore che partiva a mille e la faccia rossissima.
Rachel fece un risolino soddisfatto, che non sfuggì alle orecchie del fratello.
-Tu non c’entri con questo, vero?- chiese quasi sibilando.
-Cosa te lo fa credere?- disse con un tono divertito lei, sparendo tra la folla per non farsi calciare in culo dal principe.
“Porca miseria, Rachel ne ha fatta un’altra!” si disse fra sé “E se la scoprono? E se va tutto a puttane? Però… cavolo…. È bellissima….”.
Si accorse che stava sbavando e si ripulì in fretta.
Leah scese lentamente le scale, imbarazzata, il cuore a mille. E ora cosa doveva fare? Tutti quanti non la smettevano di fissare, e questo non l’aiutava. Ma perché cavolo aveva dato retta alla principessa?
Arrivò ai piedi delle scale, nel modo più aggraziato possibile. Per fortuna di questo ne era un po capace. Tutto merito di Rachel che quel pomeriggio le aveva fatto una lezione breve sul come comportarsi. E non solo. Ai primi anni la fissava sempre allenarsi, e perciò imparava qualcosa anche lei.
Sospirò di sollievo, sapendo che almeno sul camminare e sul parlare poteva evitare figuracce tremende.
I suonatori ripresero con la loro musica, e gli invitati si risvegliarono dal loro sogno temporaneo. Tornarono tutti a ballare, formando un misto di maschere giganti e abiti che si mescolavano fra di loro, con migliaia di colori che schizzavano ovunque. Leah ne rimase incantata. Non era mai stata ad un ballo. Era davvero magico.
Jacob cercò di infiltrarsi tra i ballerini per raggiungerla. Troppo tardi, perché una signora di mezza età, robusta e gli occhi piccolini quanto la sua statura, lo afferrò per la manica e fece, con la voce da oca straziata:-Balli con me, altezza!-
“MIIIIIIINCHIAAAAA!!!!” urlò dentro di sé Jacob dal terrore, quasi sbiancato. E questa da dove sbucava?
Si trattenne dal dirlo e fece un:-Ecco… veramente…-
-Dai, shu, da queshta paghrte!- disse entusiasta la donna, strattonandolo via. Jacob ebbe solo l’occasione di dare un ultima occhiata a Leah, che nel frattempo stava ricevendo un invito a danzare da parte di un uomo magrolino, con i dentoni gialli, le lentiggini e gli occhi giganti.
La ragazza non potte far a meno di accettare contro sua voglia. Doveva essere educata, e rifiutare un ballo era segno di maleducazione. Per sua fortuna, anche nella danza era abbastanza capace.
I due danzarono con i partner peggio immaginati. Jacob non riusciva a fissare la vecchietta, che intanto gli pestava pure i piedi. Leah non sapeva dove sbattere la testa. Il suo cavaliere era incapace in questo campo, e anche lei veniva spesso pestata, e anche di brutto.
Il principe e la sguattera si guardarono intorno per tutto il tempo, sperando l’uno di ritrovare l’altro.
Leah ebbe per un attimo l’impressione di averlo scorto. Aveva sempre addosso il suo giaccone rosso, ma stavolta indossava una maschera, quasi della stessa forma di Leah (ma ovviamente per i maschi) e di un rosso acceso.
Per poco non si sarebbe buttata a capofitto su di lui. Il dentone continuava ancora a ballarci insieme, e la ragazza si chiese quando avrebbe cambiato cavaliere. Come a risponderle la domanda, il signor Chiavion intervenne sul palco dei suonatori per annunciare, mentre tutti ballavano:-Ora, signori, si dia il via allo scambio della dama!-
“Bene!” pensò di colpo Jacob, notando che la dama che voleva ardentemente era a pochi passi da lui. In un batter d’occhio tutte le donzelle si staccarono dai loro partner in una giravolta colorata, con i loro abiti che svolazzavano e formavano dei cerchi sinuosi e fluenti. Jacob la vide, staccarsi dal dentone e roteare intorno a sé stessa con una posa aggraziata. Lasciò andare la vecchia e afferrò per i fianchi Leah, stringendola dal davanti contro il suo petto, per poi sussurrarle all’orecchio:-Ti ho presa!-.
Alla sguattera batte forte il cuore, stupita. Sussultò per un secondo, per poi fissare negli occhi di Jacob, mentre i due cominciavano finalmente a ballare.
Lui con un braccio stringeva il fianco di lei, mentre quest’ultima posava l’avambraccio dietro al suo collo.
Si strinsero le mani libere e volteggiarono in mezzo alla sala.
Non sembrava nemmeno che ci fosse una festa di mezzo.
Per entrambi era come se nessuno fosse presente con loro.
Erano soli, solo lui e lei, il principe e la sguattera, Jacob e Leah, in mezzo alla sala, a danzare.
Tenevano sempre i nasi sfiorati appena, le bocche semi aperte, affamate di passione e di baci.
Entrambi sospiravano di continuo, ed entrambi sentivano il dolce alito dell’altro, mandandoli su di giri.
-Sei talmente pazza da assecondare ogni piano di mia sorella?- chiese infine sottovoce Jacob, sorridente.
-N-no… è che insisteva…- si scusò Leah, imbarazzata e arrossata.
-Secondo me lo hai fatto anche per gelosia- ammise il ragazzo, facendola agitare di più.
-Non è vero, non lo sono!- borbottò la ragazza, fissando altrove.
-Certo, come no- disse lui, trascinandola via, sempre danzando, verso la terrazza che dava al regno intero.
Riuscirono a spostarsi senza farsi notare da nessuno, tutti concentrati sulla festa.
Smisero di ballare non appena misero piede all’esterno nella terrazza grande. Si nascosero dietro al muro, più precisamente entro una nicchia quadrata che separava due grandi finestre.
Era l’unica parte di parete ad essere coperta. Nascondersi lì era sin troppo semplice.
Jacob prese per i fianchi Leah, appoggiandola alla nicchia, in modo tale da far incastrare dentro entrambi.
Le tolse la maschera dalla faccia, e stessa cosa lo fece anche lei. Sorrisero nel vedersi finalmente con i volti scoperti.
-Sei pazza non solo per esserti presentata ad una festa in maschera- disse sottovoce lui, baciandole il collo, arrivando poi più su fino alla guancia.
-Ma anche per esserti presentata così. Lo sai che sei fin troppo attraente? Anzi, neanche la parola bellissima basterebbe-.
-Esagerato come sempre!- rise Leah, solleticata dai continui baci sul collo. Si sfiorarono i nasi, fissandosi nelle iridi, immergendosi in esse.
Era perfetto. Ora la festa era perfetta.
Si sfiorarono le labbra, per poi aprire le bocche e far danzare le loro lingue al ritmo della musica in sala.
Non c’era bisogno di ballare. Le loro lingue lo facevano per essi, bollenti, quasi scottanti.
Le loro labbra si incastravano perfettamente, come dei pezzi di un puzzle. Era come se fosse destino che le loro bocche potessero incrociarsi, anzi, dovessero incrociarsi.
Leah arrossì forte quando il principe la strinse a sé per i fianchi, per poi passare le mani giù ed infine sollevarle le gambe. Le incrociò dietro il fondoschiena di lui. Non solo ora le loro labbra erano dei pezzi di puzzle, ma lo erano anche loro. Lo erano sin dall’inizio. Erano fatti per legarsi.
Lei abbracciò la nuca del principe, aumentando non solo l’intensità del bacio, ma anche la loro voglia matta di stringersi, di baciarsi, di coccolarsi, di sentirsi parte l’uno dell’altro.
Entrambi muovevano le labbra e le lingue affamati ed avidi, come se non si baciassero da molto tempo. Si staccarono per un secondo, ed entrambi ansimarono per il poco fiato rimasto. Mentre Leah abbracciava Jacob, quest’ultimo le leccava la gola. Lei spostò la testa, permettendogli così di andare con la bocca in altri punti. La ragazza sentì il cuore battere forte quando il ragazzo, che leccava la sua giugulare, le toccò il seno, con fare delicato, come ad aver paura di farle male al solo gesto della mano.
Tornò poi a reggerla per bene, tra lui e la nicchia, riposando le labbra sulle sue, impedendole di fiatare.
Lei si lasciò andare al dolce e caldo sapore di lui, invitante e sensuale, facendogli fare ciò che piaceva più a lui.
Le morsicò il labbro, che volentieri venne ricambiato…>>-

 
-No, scusate, ma non riesco ad andare oltre…- fece Cloe, imbarazzatissima.
-Che palle, tanto non puoi crescere più di così, no?- feci, stufa. Proprio alla parte più interessante….
-Ehm… Nessie…- mi richiamò Cate, mostrandomi due lupi sulla poltroncina poco contenti. Mi fissavano entrambi come se avessi fatto chissà cosa di brutto.
-C-Che c’è?- chiesi, imbarazzata e spaventata.
-Di un po’, Renesmee cara- cominciò la lupa –Quante altre scene simili hai scritto?-
-Oh, beh- risposi, grattandomi la guancia con l’indice –Diciamo più di un milione…-
-Che bello!- disse ironicamente Cloe.
-Ok, ho capito, leggo io!- disse Cate, prendendo i fogli dalla nipote lupa.
 
 
-<<Continuarono a baciarsi in modo intenso, tra il romantico e il sensuale, fino a quando la voce roca di Sam non li richiamò dall’altra parte della parete:-Principe, sua maestà la chiama!-
-Che palle…- sospirò piano lui, per poi urlare al comandante che stava alla porta (e che quindi non poteva vedere Leah):-Digli di aspettare, arrivo fra un po’!-.
Sam girò i tacchi, lasciandoli nuovamente da soli.
Jacob si voltò verso Leah, che ora aveva assunto uno sguardo triste, colpevole.
I suoi occhi erano luminosi e le sue labbra erano arricciate in una smorfia.
-Devo… ecco…- provò a dire lui, ma lei fece, deglutendo:-Non importa, vah pure… io…-.
Già, lei cosa? Cosa avrebbe dovuto fare? Rimanere lì e vedere la sua futura moglie, colei che non potrà mai essere?
La ragazza scese dalle braccia del principe, scoraggiata, il volto a terra.
Fece per andarsene via, quando lui la afferrò nuovamente per i fianchi, per poi bloccarla di nuovo alla parete. Mise le mani ai lati delle sue spalle, avvicinando il suo viso a quello di lei.
-Sciocca…- sibilò lui, i nervi che salivano alle stelle. Perché doveva rinunciarla? Non lo voleva mica!
E soprattutto…. Detestava vederla così. Si, odiava vederla triste. Era la cosa più odiosa al mondo.
-Anche se mi sposerò con un'altra persona… non significa che rinuncerò a te. Anzi, potrei anche andare avanti così, se necessario!-
-Ma Jacob…- fece Leah, incredula e scioccata dalle sue parole –Questo vuol dire tradire alla grande! io... non me la sento...-
-Leah!- fece lui, insistente, fissandola negli occhi scuri –Io. Non. Voglio. Perderti!-.
“Nemmeno io…” pensò la ragazza, la bocca socchiusa. Abbassò nuovamente la testa, ma puntualmente Jacob con entrambe le mani riportò il suo sguardo a quello di lui, per poi poggiare con delicatezza le sue labbra su quelle di lei. Era un bacio dolce, ma anche triste.
Leah aprì la bocca, dando il permesso alla lingua di Jacob di rientrare dentro di lei ed assaporare così la sua.
Appoggiò le mani al petto di lui, dalle quali potte chiaramente sentire il battito cardiaco del ragazzo. Forte, energico, allegro. Ecco come lo poteva descrivere. E forse anche il suo cuore batteva allo stesso ritmo.
Mentre i due ritornavano a ballare il valzer dell’amore, un generale scocciato riuscì dalla sala. Si fermò, scioccato, nel vedere il principe baciarsi con la sguattera. Rimase fermo per due secondi. Il tempo sufficiente per elaborare un piano, un piano malefico e semplice che avrebbe potuto rovinare la vita di entrambi. Ghignò al solo pensiero e li lasciò correre, pensando: ”Certo, limonate pure, finché potete…”>>-
.

 
-No cavolo, anche nelle fanfiction deve rompere la carbonella?- sbraitò lo zio, mentre la zia lo fissava scioccata per l’interruzione improvvisa.
-Papà, ti prego!- supplicò la lupacchiotta. Cate tossì e continuò:
 
 
-<<Il generale dal volto oscuro ritornò in sala nell’attimo in cui i due amanti smisero di baciarsi, a fatica, vista la voglia incredibile di continuare. Jacob sorrise e le prese la mano, per poi rimettere nel suo naso la maschera. La rindossò pure lui e disse:-Prima di vedere cosa vuole ancora il vecchio, voglio fare un ultimo giro, ti va?-.
Leah sorrise. Voleva passare più tempo possibile assieme al ragazzo che amava, ora che i secondi erano contati…
Rientrarono in sala e ripresero a ballare, infiltrandosi nella mischia.
Il principe la strinse più a sé per la vita, sfiorandole il naso con il suo. Senza pensarci due volte la ragazza si fece avanti di un passo, sempre più vicina al suo amato. Ora i nasi si toccavano, e le loro labbra erano sul punto di sfiorarsi appena.
-Non qui…- sospirò la sguattera, facendo gioire lui nel sentire il suo alito dolce.
-Non importa- rispose piano –Non ti riconoscono mica-
-Ma a te si…-
-Non m’importa!- ripeté lui, la sua bocca sempre più vicina a quella di lei, afferrandole il mento con due dita, per impedirle di allontanarsi…
Nell’attimo esatto in cui avevano chiuso i loro occhi, sentirono due mani trascinarli via, allontanandoli l’uno dall’altro.
Leah riaprì gli occhi, confusa. La vecchietta di prima si era riattaccata al principe, che non sapeva se guardare con orrore lei o la sua amata in modo sconvolto ed incredulo. Leah capì il perché dell’ultima affermazione quando al suo orecchio, una voce roca e fastidiosa, non la fece sobbalzare:-E così ci imbuchiamo per slinguazzare con il nostro amato principino, eh?-
-Cazzo!- sbraitò senza pensarci lei, mentre Sam la bloccava con il braccio per la gola, e con l’altra mano la teneva ferma per l’addome.
-Miseria!- sbraitò a sua volta Jacob, liberandosi dalla presa della vecchia, quando scorse l’immagine di Leah che veniva trascinata via da Sam. Corse in mezzo alla folla, spintonando gli ospiti, che lo fissarono confusi e scioccati.
-Fermo!- urlò Jacob, e Sam si fermò. I suonatori smisero di suonare, e gli ospiti smisero di ballare. Cadde un silenzio incredibile, e tutti fissarono il comandante che bloccava la dama e il principe fissarlo con aria omicida.
A Leah tremavano le braccia. Dannazione, proprio in mezzo al pubblico doveva succedere?
-Lasciala andare!- sibilò lentamente il ragazzo, lo sguardo di fuoco che avrebbe spaventato chiunque.
-Altrimenti?- chiese il comandante, divertito. Con la mano strinse forte il seno della ragazza, tanto da farle male. Il suo non era un tocco delicato e dolce come quello di Jacob, bensì crudele e privo di amore.
Il principe ringhiò forte, stringendo i pugni, tanto da perforare con le unghie i palmi e sentire il sangue fluire su di esse.
-Che sta succedendo qua?- si intromise il re, arrivando con la sedia a rotelle guidata dalla figlia Rebecca. Anche Rachel li raggiunse, preoccupata per la sua balia.
-Oh, bene, ora che anche la famiglia reale è qui, è giunto il momento di fare un annuncio- disse Sam, alzando la voce in modo tale che tutti nella sala, compreso il padre che stava in disparte, potessero sentire.
-Ma cosa…- fece Billy.
-Perché sta torturando la dama?- chiese Rebecca.
-Dama?- fece Sam –Quale dama? Quella che avete di fronte a voi, non è altro che un impostora!-.
“Maledizione!” pensarono contemporaneamente Leah e Jacob. Gli ospiti bisbigliavano fra di loro, chiedendosi cosa volesse dire per impostora.
-Vostra maestà, la vera identità di questa ragazza è…- disse Sam, appoggiando la mano sulla maschera della fanciulla.
-NO!- urlarono Jacob e Rachel.
Fu in un attimo, ma era come se il tempo avanzasse troppo lentamente.
La maschera fu tolta.
Gettata a terra.
In sala si sentiva solo l’oggetto cadere sul pavimento.
Lo sguardo di tutti era incentrato solo sulla ragazza.
I suoi occhi erano vuoti, in quel momento.
Il comandante si staccò finalmente da lei, ghignando.
Levi Uley inarcò un sopracciglio, mezzo sorpreso.
Il re Billy e Rebecca avevano le bocche aperte, sconvolti, increduli, scioccati.
Rachel aveva le mani alla bocca, disperata.
Jacob fissava negli occhi Leah, che purtroppo lei non seppe ricambiare.
Il suo volto era scoperto davanti a tutti.
Sudò freddo.
Il cuore smise di battere.
Non si sentiva più alcun suono.
-Questa, miei signori- esclamò Sam, rompendo il silenzio –Non è altro che la sguattera della famiglia reale, che, guarda caso, aveva rapporti intimi e segreti con il principe Jacob!-.
In sala tutti sussultarono.
Leah non ci vedeva più.
Rimase immobile, incapace di muovere un solo dito.
Jacob ringhiò, la furia che in quel momento scoppiava in petto.
-Sam…..- ruggì lui, lo sguardo fuori dal comune, nero di rabbia –Ti ammazzo!-
Leah non vide, ma poté capire. Jacob era saltato addosso a Sam, e ora i due si prendevano a pugni, mentre gli invitati si allontanavano dalla zuffa.
“Perché?” si chiese la ragazza, gli occhi sul pavimento “Sono una stupida….”>>-

 
 

 

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Capitolo 4
*** 4_ The impossible love_parte 4 ***


SPECIALE: ANGOLO DELLE FANFICTION DI RENESMEE PARTE 4

< Jacob sputò litri di sangue, le budella che si contorcevano dal dolore.
Leah rimaneva immobile, incapace di muovere anche un dito.
Cosa doveva fare, ora?
Si era infilata nei casini. La famiglia reale non sapeva se fissare la lotta o lei. Tutti erano rimasti sbigottiti e scioccati.
La sguattera strinse l’abito e i denti. Come ha potuto essere tanto scema?
Stava rischiando grosso. E tutto solo perché si era innamorata del principe Jacob.
Fissava sempre a terra, mentre i due uomini combattevano fra di loro a suon di pugni.
-Imbecille!- urlò il ragazzo, sferrando il pugno sinistro contro il naso del comandante.
Lui indietreggiò, tenendosi il viso con le mani per fermare l’emorragia.
-Adesso piantatela!- li rimproverò il re, che fino ad ora era rimasto zitto. Ma i due non lo obbedirono e continuarono a lottare.
“Stanno litigando…” pensò Leah, ascoltando i rumori in sala.
“In un momento simile… si mettono a litigare?”. Strinse i pugni, deglutendo.
Non aveva il coraggio di parlare né tanto meno di muoversi, ma qualcosa la doveva pur fare.
Non poteva stare li ferma per anni.
Le tremò la schiena quando sentì un colpo secco vicino al suo orecchio. Jacob aveva subito l’ennesimo cazzotto in faccia. Barcollò, tenendosi la guancia, ringhiando contro l’avversario.
Quest’ultimo tirò fuori un coltello dagli stivali, proprio quando il re urlò ancora:-Smettetela, basta!-
Jacob rimase incredulo, incapace di muoversi, quando vide Sam scattare ad una velocità pazzesca verso di lui. Non ebbe il tempo di fare qualcosa, ma Leah, più veloce del comandante, finalmente agì.
Tirò fuori un coltello da macellaio che teneva stretto da una cinta alla coscia (per sicurezza, non si poteva mai sapere), raggiunse Jacob e si parò tra lui e Sam. Fermò il colpo, scontrando la lama del comandante contro la sua. Il suono metallico fu così forte che riempi tutta la sala. Gli invitati, che fino ad ora bisbigliavano piano, rimasero muti come pesci, con le facce sbigottite più che mai, increduli
Leah teneva lo sguardo fisso sul nemico, seria, arrabbiata. Si, era decisamente furiosa. Sam aveva appena rovinato la festa, e ora stava anche per rovinare la loro vita.
Levi si avvicinò, mischiandosi tra la folla, notando come la ragazza parava il colpo del figlio. Rimase per un po’ perplesso, per poi guardare meglio il viso di lei. Per qualche ignota ragione, il suo volto e la sua espressione gli erano familiari…
-Giù. Le. Armi!- sibilò Billy, ottenendo finalmente l’attenzione dei tre. Sam ripose la sua arma e Leah la gettò a terra. Anzi, le scivolò dalla mano, come se non avesse più senso tutto ciò.
Jacob sospirò, guardando il collo della sua amata, sollevato. Almeno lei aveva evitato di farsi ammazzare.
Guardò poi verso il padre come fece Sam. La ragazza, invece, rimase con la testa bassa dalla vergogna,
-Jacob- disse il sovrano, calmo, ma serio –Dimmi, è vero quello che ha appena detto Sam?-.
Il principe deglutì. Era una situazione imbarazzante e spaventosa allo stesso tempo. Non sapeva cosa rispondere. L’idea della sorella era stata davvero pessima. Aveva coinvolto Leah in questo disastro, e ora non sapeva come farli uscire.
Abbassò il capo. Non voleva sapere che faccia avrebbero avuto i suoi alla sua risposta. Pregò solo che Sam non ne combinasse un’altra in un momento tanto critico.
Sospirò piano, cercando il coraggio per parlare.
-Si, è vero- rispose, dal tono serio. Tutti in sala sobbalzarono, scioccati.
Billy rimase con la faccia sbigottita, Rebecca assumeva una mezza smorfia, come a dire: cosa hai combinato, uffa?
Rachel era sempre più in ansia. Levi inarcò di nuovo il sopracciglio. Sam ghignò.
E Leah? Lei rimase con la testa bassa, ma stavolta aprì gli occhi dallo stupore e socchiuse le labbra. Jacob lo aveva davvero detto?
-Ed è per questo- continuò lui, serissimo, i pugni ben stretti e lo sguardo dritto verso il re –Che non volevo sposarmi con quella duchessa. Perché io mi sono innamorato di Leah, e lo sono da sempre!-.
La gente tornò a bisbigliare nervosamente, mentre il rossore riempiva le guance della giovane, che ancora non poteva credere alla situazione attuale.
Billy rimase ancora scombussolato, per poi lasciar cadere le spalle, abbandonandosi del tutto sulla sedia.
Sospirò, indeciso sul da farsi.
Picchiettò con le dita contro il bracciolo, cercando di prendere la decisione più adatta.
-D’accordo, ho capito- disse, aprendo gli occhi –Mi fa piacere che tu prova qualcosa di così forte, ma mi spieghi come facciamo con la duchessa, ora?-
-Non ce ne sarà bisogno!- disse una voce femminile, attirando l’attenzione di tutti. Era una voce fanciullesca.
Guardarono tutti verso una bambina graziosa, in fila davanti alla folla.
Teneva le mani ai fianchi ed uno sguardo serio e deciso.
I suoi capelli erano di un color rosso bronzeo, ricci, che cadevano per la schiena. Il suo viso era come di porcellana, con delle guance belle rosse. E gli occhi erano di un color simile al cioccolato al latte…->>.

 
-La modestia!- dissero lo zio Jacob e la zia Leah, mentre Cloe tratteneva le risate.
-che c’è?- domandai –non mi sono mica vantata, ho solo descritto me stessa!-

 
< -R-renesmee!- la chiamò una donna alle sue spalle. Aveva gli occhi come lei, ma la pelle più pallidina e i capelli marroni. Dallo sguardo sembrava scombussolata e anche imbarazzata per l’atteggiamento improvviso della piccola.
-Mamma, per piacere!- disse quest’ultima, avvicinandosi alla sedia a rotelle.
-Maestà, capisco che siate scioccato da quello che avete appena sentito, ma credetemi, è meglio così!-
-Uh… tu saresti?- domando lui, confuso.
-La famosa duchessa di cui tanto parlava- rispose essa –Sono Renesmee Cullen, del ducato dei Cullen. Ero stata promessa in sposa a suo figlio, ricorda?-.
Il silenzio più totale. Jacob e Leah fissavano la bambina, scioccati.
Gli ospiti della sala, compresi la famiglia reale, Jacob, Leah e Sam, urlarono un:-EHHHH????- molto forte, tanto da far tremare il pavimento. Anche il signor Chiavion era paonazzo, i baffi ritti in alto assieme ai suoi pochi capelli.
Avevano tutti gli occhi fuori dalle orbite, le bocche che toccavano le scarpe, pietrificati.
La madre di Renesmee sudò freddo. Prese un fazzoletto e si asciugò la fronte, sospirando un :
-Perdonatela, perdonatela!-
-Ecco, per questo non voglio che il matrimonio s’abbia da fare!- esclamò Renesmee –Sono troppo giovane io, ho appena otto anni!-
-OTTO ANNIIII???- urlarono ancora tutti, sempre più paonazzi.
-Per questo, vostra maestà, la scongiuro, la prego!- disse ancora, per poi inginocchiarsi davanti al re, che ancora doveva riprendersi dallo shock –Non mi faccia sposare con lui! Fatelo mettere assieme alla fanciulla, ma lasci perdere la mia verginità, la mia purezza, la mia castità!!!-
Billy fissò la bambina, tornando ad essere serio. Sembrava davvero disperata. Stava persino per lacrimare!
-Uh… ecco….- fece il re, di nuovo indeciso.
Prima ancora che potesse dire qualcosa, il figlio si avvicinò a lui, con una faccia poco contenta. Sembrava molto furioso.
-Quindi tu da un mese intero insistevi a farmi sposare con una poppante?- domandò, tra l’incredulo e l’incavolato.
-Ma veramente non sapevo nemmeno che fosse così piccola!- si scusò lui, asciugando la fronte dal sudore con un pezzo di stoffa.
-A dir la verità doveva sposare me- disse la madre di Renesmee, sbigottendoli –Ma io, Isabella Cullen, avendo già avuto una figlia, non potevo di certo sposarmi con sua altezza!-
-Oh, beh, ora è chiaro!- fece Rebecca.
Jacob notò il suo tutore Edward avvicinarsi piano da dietro a Isabella, come se fosse più incredulo del solito.
-Mhm- fece il re, pensandoci su –Visto che è così…-
-Non fa niente, maestà- parlò Leah, facendo piombare il silenzio di botto. Tutti la fissarono, curiosi.
Leah raccolse il coraggio che ha raccolto l’attimo prima per parlare. Respirò forte e disse, seria, ma con la voce quasi tremolante:-Capisco l’errore, e quanto la cosa possa essere imbarazzante per voi. Per cui… tolgo il disturbo, se la cosa può risolvere la faccenda…-
-NO!- urlò Jacob, interrompendola. La ragazza lo fissò finalmente negli occhi, stupita per quel no.
Anche gli altri nella sala da ballo rimasero in ascolto.
-No, Leah, non puoi prenderti tutte le colpe sempre tu!- sbottò, furioso.
-Ma…-
-Niente Ma!- urlò di nuovo lui, per poi rivolgersi a suo padre:-Ascolta, sarà anche povera, ma io sono pazzo di questa donna da quando era arrivata qui! Anche tu ti eri innamorato di mia madre quando eri piccolo, per cui questa cosa la puoi capire meglio di chiunque altro!-.
Il sovrano per poco non sussultò quando il figlio gli menzionò la moglie ormai morta. Ancora gli mancava la donna, e nonostante il decennio passato, non riusciva a dimenticarla.
In effetti poteva capire il ragazzo. Anche lui da giovane si era innamorato, per poi sposare Sarah…
-Mhf… posso avere del tempo per pensarci?- domandò, serio, ma stufo di quella situazione.
Jacob annui, la speranza brillare nei suoi occhi.
-Molto bene- disse Billy alla fine –Tutti voi, tornate pure a divertirvi come se la festa non si fosse interrotta. Duchessa e duchessina, potete rimanere un attimo qua?-
-Certo- affermarono le due. La gente tornò sulla pista da ballo e i suonatori si rimisero al lavoro, mentre Leah spostava lentamente i piedi verso l’uscita, convinta che ormai il disastro era compiuto.
Ma puntualmente (e con sua grande sfortuna) Jacob la afferrò per il polso.
-Aspetta, non ora- disse al suo orecchio, facendola spaventare. E adesso? Cosa voleva fare ancora?
La figura di prima davanti a tutti non era stata sufficiente?
Cosa avrebbe scelto il re? Avrebbe accettato l’amore tra i due, oppure li avrebbe divisi?
E nell’ultimo caso si sarebbe comunque sposato con una bimba?
Erano domande che mandavano Leah fuori di testa. Voleva solo andarsene da quel posto e sotterrarsi fino a venti metri di profondità.
-Jacob, non…- fece lei, ma lui posò le labbra sulla sua fronte, appena sopra il naso.
-Andrà tutto bene- le disse, con il sorriso più sincero ed incoraggiante –Mio padre non è stupido, e anche lui ha un cuore, accetterà!-
-E se non lo dovesse fare?- chiese la sguattera, nervosissima.
-Lo farà- rispose il principe –Lo dovrà fare per forza. Non avrebbe senso il contrario-.
Leah però non era così sicura. Aveva paura. Un enorme paura. Se fosse finita male, lei e Seth avrebbero dovuto abbandonare il castello per sempre. E questo era difficile da digerire per due motivi: il primo, non sarebbe riuscita a proteggere Seth nel modo giusto. Il secondo, e più doloroso, avrebbe dovuto dire addio al suo unico amore.
E questo non lo voleva.
Sotto gli occhi di tutti i ballerini strinse a sé la sguattera, poggiando le labbra sul suo collo delicato e dolce.
Lei rimase, come sempre, immobile. Con fatica riuscì a credere che la stava ancora abbracciando nonostante il casino. Non sapeva se ricambiare o meno. Era nervosissima, e anche imbarazzata. Si sentì il viso rosso e caldissimo, mentre poggiava piano la testa sulla spalla di lui.
-Leah Clearwater!- si sentì urlare da dietro il portone del pian terreno. Gli altri continuarono a ballare, forse stufi delle novità in arrivo, mentre Leah deglutiva.
La vecchia Gianna piombò nella sala, con gli occhi furenti sulla ragazza. Lei e il principe si staccarono. Lui con uno sguardo severo, l’altra con la faccia paonazza. E la sua vecchia tutrice come l’aveva scoperto?
Lo capì quando il signor Chiavion sbucò da dietro la vecchia, fissando i due giovani.
Madama Gianna si avvicinò pericolosa alla sguattera, la faccia paragonabile ad un toro alla vista del rosso.
-Non. Ti. Avevo. Insegnato. Niente?- sibilò la donna, afferrandola per il gomito e strattonandola forte.
-Madama…- stava per rimproverarla il ragazzo, ma la sua amata, fissandolo negli occhi, gli pregò di tacere.
La vecchia si trascinò via la giovane, che volgeva un ultimo sguardo al suo amato principe.
Lui rimase così, immobile, con i pugni stretti.
“Maledizione” si disse, pensando di essere proprio uno sciocco. Il generale l’avrebbe potuta uccidere, e ora a quello ci potrà pensare la sua tutrice (non in senso letterale, ma era comunque una tortura).
Intanto Madama Gianna trascinava la giovane sguattera verso le cucine.
Una volta spalancato la porta, la buttò a terra con tanta forza. Leah finì sdraiata su un fianco sopra il pavimento pieno di polvere.
-Cosa ti è saltato in mente, eh?- urlò la donna, chiudendosi dietro la porta. Leah si alzò su entrambe le mani, stringendo a forza i denti dalla rabbia.
Prima che potesse risponderle, la porta che conduceva all’orto si aprì. Le donne si voltarono, fissando Seth, che a sua volta fissava entrambe, confuso.
Guardò l’abbigliamento della sorella, e ciò lo confuse il doppio.
-Uh… cosa… succede? Perché sei vestita così?- domandò, senza sapere chi guardare.
-Tua sorella- rispose per lui Madama Gianna –Si è appena imbucata al ballo reale!-.
Silenzio. Seth aprì la bocca per lo stupore. Il suo mento poteva toccare il pavimento. Gli occhi fissi sulla sorella, non riuscì a credere alle parole della tutrice. Eppure, se era vestita elegante…
-C-Cosa?- chiese solo, incredulo. Leah non lo guardò.
Madama Gianna si avvicinò a lei, per poi afferrarle i capelli e tirandola così in alto, all’altezza della sua testa chinata.
-Come hai potuto fare ciò, eh?- domandò, quasi sibilando, mentre il giovane cominciava a terrorizzarsi per la sorella.
-Cosa ti avevo insegnato?- richiese, senza risposta.
La lasciò nuovamente cadere a terra, per poi urlarle contro:-Sei per caso impazzita? Frequentare sua altezza? Diventare l’amante del principe Jacob? Cosa ti è saltato in testa?-
-Cosa?- domandò ancora incredulo il fratellino, fissando Leah, che intanto si rialzava, sempre con i denti ben stretti.
-E’ per l’oro?- fece la vecchia, furiosa.
-NO!- ruggì Leah. Come poteva pensare a ciò? Dell’oro non le importava un ficco secco!
La vecchia e il ragazzino rimasero in silenzio.
-Io non lo faccio per quello- rispose finalmente –All’inizio ero incerta sulla cosa. Crede davvero che mi sia buttata così a capofitto? Si sbaglia! Io stessa cercavo di evitarlo le prime volte, ma dopo dieci anni mi ha fatto capire che non ne potevo più! Che io non riuscivo a stargli lontana! A Jacob delle classi sociali non gliene importa niente, per questo è stato il primo ad incoraggiarmi. E io allora mi sono lasciata andare. Capisce? Io lo amo davvero!-.
Ripiombò il silenzio>>
(nel mentre si leggeva la frase notai come lo zio stava baciando la guancia della moglie, e la cosa mi addolcì ancor di più il cuore. Non sono teneri?) < Quest’ultima lasciò cadere le braccia, scuotendo la testa, pensando che oramai la bimba che aveva adottato era senza speranze.
Si inginocchiò davanti a lei e disse, con calma:-Lo sai? L’amore è una pura menzogna. Nessuno sa se durerà o meno. Il giorno prima ti innamori, e il giorno dopo scopri che va male. Sei davvero sicura di amarlo? Sei davvero disposta a tutto pur di stargli vicino?-.
Leah notò come Madama Gianna la guardava. Sembrava seriamente preoccupata, ma non perché aveva violato le sue regole. Era come se temesse di vederla piangere per amore!
La ragazza si fece coraggio, sicura di sé.
Annui, per poi dire, con gli occhi di chi sapeva cosa diceva:-Si, sono sicura-.
La vecchia annui, intuendo la serietà della giovane. Sapeva persino lei che l’amore dei giovani era impossibile da fermare.
-Aspetta, ma… mi raccontate per bene cosa è successo?- chiese di nuovo Seth.
 
 
 
 
Il giorno dopo la festa tutti nel regno ne parlavano. Era uno scoop sensazionale per gli abitanti, sapere che il principe aveva rapporti intimi con una sguattera del castello.
Alcuni era scioccati, altri non vedevano di buon occhio la cosa. Altri, invece, erano contenti per loro. Nessuna ragione li legava a ciò, lo erano e basta.
Intanto, a corte, il re Billy riferiva al figlio la decisione prestabilita. Quando finì, il principe sorrise, felice come una pasqua.
Se ne andò dalla sala del trono, ringraziando mille volte il padre, per poi recarsi di corsa verso le cucine. Voleva dare la notizia alla sua amata, farle sapere che era tutto ok.
Senza accorgersene, però, andò a sbattere contro qualcuno, distratto com’era.
Caddero entrambi di sedere sulla moquette rossa del corridoio.
-Ahi- disse la persona.
-Scusatemi…- stava per dire lui, quando capì che la persona era proprio Leah.
Lei lo fissò, imbarazzata.
Lui rise, divertito. –Cavolo, dobbiamo sempre cadere?-
-Non saprei…- rispose essa, abbassando la testa. Non sapeva ancora cosa dire a lui, al suo amore, dopo la scorsa notte.
-Senti, Leah, ho appena parlato con mio padre- disse Jacob, avvicinandosi a lei. La ragazza alzò la testa, curiosa, ma con il cuore in agitazione. E adesso?
Temeva una risposta negativa, ma il sorriso del principe le diceva tutt’altro.
-Anzi, te lo dirò dopo, ora seguimi- le disse, alzandosi, per poi porgerle la mano. Lei fece una mezza smorfia, impaziente, ma accettò comunque la sua richiesta e lo segui.
Salirono le scale, arrivando al piano più alto del castello. Per essere precisi, alla torre Nord.
Jacob si chiuse la porta alle spalle. Era una stanzetta minuscola, una soffitta piena di polvere e di cose troppo vecchie.
Afferrò la mano della giovane, trascinandosela verso di lui. La strinse per i fianchi e la fissò negli occhi. La ragazza lo fissò a sua volta. In quelle iridi riuscì a leggere quella strana voglia che il principe riservava, quella matta voglia di sfogare il suo amore.
Arrossì il doppio del solito al solo pensiero. In fondo erano da soli, e nessuno ora poteva disturbarli…>>-.

 
-NOOOO; fermi tutti!- interruppe Cloe, il volto rossissimo quanto quello dei genitori.
-Possiamo saltarlo quel pezzo?- chiese, imbarazzata.
-No, cavolo!- dissi, seccata –Abbiamo fatto troppe interruzioni, non voglio che si salti nulla!-
-Se non vuoi stare a sentire esci- propose Jacob. Cloe si alzò decisa, per poi uscire dalla stanza. La seguirono anche Caterina e Seth con mia grande sorpresa.
-Uh… quindi.. chi legge?- domandò Leah, rossa il triplo.
-Uh! Uh! Io! io! io!- supplicai ai due. Loro sbuffarono e acconsentirono.




Angolo Autrice: soooooorrrryyyyyy per il ritardo. ho avuto troppo da fare, ultimamente, e l'ispirazione non arrivava mai. beh, spero solo di riuscire a pubblicare il prossimo più in fretta. grazie e scusate ancora il ritardo.
un bacio a coloro che mi seguono.
Delyassodicuori

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Capitolo 5
*** 5_the impossible love_parte 5 ***



SPECIALE: ANGOLO DELLE FANFICTION DI RENESMEE parte 5

Prima che potessi solo prendere i fogli che erano a terra, Jacob e Leah mi fermarono.
-Aspetta- dissero, e io rimasi immobile con la mano verso i fascicoli.
-Gli altri saranno di certo fuori a sentire- disse lo zio.
-Per cui vieni qui, noi ti teniamo i fogli, tu leggi e intanto ce li leggi attraverso le tue mani-.
Li guardai, osservando attentamente come le loro guance fossero rosse nonostante la carnagione.
Annui, fiera della loro reazione (sono cattiva, lo so, buahahha), mi avvicinai a loro con i fogli del racconto, zia Leah li afferrò e me li tenne davanti. Io appoggiai le mani sulle loro guance, per poi farli appiccicare ancor di più.
Non dissero nulla, anzi, provarono solo a non allontanarmi.
Così cominciai finalmente a leggere io la storia:

 
<<”S-siamo soli…” pensò Leah, rossissima.
“Finalmente siamo soli” sorrise compiaciuto Jacob, dopo aver visto il rossore nelle guance di lei.
Avvicinò le sue labbra alla guancia sinistra, prima baciandola, e poi mordendola delicatamente.
Per assicurarsi che la sguattera non scappasse via (ancora temeva una simile azione, pensando di spaventarla) afferrò più saldamente i suoi fianchi, facendoli scontrare contro i suoi.
Leah si sentì in imbarazzo, ma non si allontanò. Anzi, lo lasciò fare. Si lasciò andare su di lui, poggiando i pugni sul suo petto. Questo spinse il ragazzo a metterci più serietà. La spinse in modo dolce, sensuale e sicuro contro la parete, incastrandola tra il muro di pietra ed esso.
Ad entrambi il cuore cominciò a battere forte come non mai.
La pelle di lei si fece più incandescente quando finalmente lui arrivò ad incontrare la bocca con la sua.
Si baciarono in modo dolce, intenso e pieno di passione. La lingua di lui, seria e decisa, ma anche con un ché di sensuale, leccò quella di lei, insicura, ma desiderosa e avida di quel contatto intimo e profondo.
Leah afferrò il volto del principe, per poi portare le dita sui suoi capelli e stringerli, così da attirarlo ancor di più a lei.
Jacob godette di quel messaggio, che lo incitò a continuare.
Voleva farsela sua ora, in quel luogo misterioso e lugubre ma allo stesso tempo sicuro e lontano da sguardi indiscreti… o almeno ci sperava.
Voleva sentirla, toccarla, baciarla…
La strinse forte a sé, aumentando l’intensità del loro bacio.
Con una mano strinse energicamente contro la sua schiena, vicina ai fianchi, con l’altra più in su, in modo tale da far incontrare i loro petti.
Il principe sentì subito la morbidezza dei seni di lei contro il suo petto, facendolo eccitare il doppio.
Leah, d’altro canto, si sentiva sempre più accaldata, il cuore in fiamme e la schiena percossa da brividi piacevoli che solo il suo amato era in grado di donarglieli.
Provò un leggero imbarazzo ma anche una piacevole sensazione che non pensava di conoscere quando lui cominciò a tirarle più in giù la manica.
Arrestò la mano, per poi prendere per i glutei la sua amata e alzarla così da terra. Lei incrociò le gambe dietro la sua vita, aggrappandosi all’amato.
Fu allora che Jacob la fece sdraiare a terra sotto di lui, aumentando non solo il piacere di quel momento tanto intimo e romantico, ma anche l’intensità dei loro movimenti, sia con le loro labbra che con i loro corpi.
Staccò la bocca da quella di Leah, le lingue ancora al contatto, bagnate dalle loro salive mischiate l’una con l’altra.
Spostò le labbra lentamente sulla giugulare della ragazza, mentre stringeva i suoi polsi e li teneva fermi all’altezza della testa della sguattera.
Leah sentì come i suoi respiri pian piano venivano meno, come il suo cuore accelerasse sempre più, come il suo volto cominciasse non solo ad assumere una tonalità di rosso più forte della sua carnagione, ma anche a sudare.
Una ciocca di capelli le cadde sul naso dalla fronte, quando Jacob, passando dal suo collo, arrivò con i denti al fiocco del suo corpetto. Tirò verso di sé il laccio, sciogliendo così la chiusura della sua divisa da sguattera. Il tutto mentre la guardava. Guardava come lei cominciasse a respirare forte, come i suoi occhi fossero chiusi fino a ridursi a due fessure, alla sua dolce e squisita bocca semi aperta che cercava soltanto l’aria…
Lasciò andare il laccio, sempre più affamato di desiderio. Infilò le mani tra la fessura del corpetto, per poi aprirlo con forza, anche se inutile, essendo fatto di cuoio.
Fissò il suo petto, osservando attentamente come il tessuto del suo vestito fosse sottile, abbastanza da fargli intravedere (con grande gioia di lui) la forma dei suoi seni, e di come questi si alzavano e si abbassavano ad ogni affanno di lei. Guardò poi la ragazza, che nel frattempo appoggiava il palmo della mano sulla sua guancia. Con l’altra afferrò la sua testa e lo attirò su di sé. Si mordicchiarono le labbra, si baciarono, in un modo così intenso che a momenti si sarebbero mangiati a vicenda.
Senza che Leah capisse come, Jacob si tolse il giaccone di dosso, buttandolo all’aria, per poi staccarsi dalla bocca della ragazza e afferrarle i fianchi. La fece alzare da terra e si sedettero, con lei sopra le sue gambe.
La sguattera, stupendosi della sua azione, gli tolse la t-shirt, facendolo rimanere a petto nudo contro il suo. Tornarono a far ballare le loro lingue, con la ragazza che afferrava il volto di lui. Intanto Jacob trascinava le mani contro la schiena dell’amata, toccando quella pelle attraverso la stoffa sottile. La afferrò saldamente, stringendo i pugni, per poi strappare in due la veste, scoprendole la schiena nuda. Ciò eccitò ancor più la sguattera, tant’è che arrivò a leccargli il collo con avidità, mentre Jacob poggiava le labbra sulla sua spalla calda e le toglieva l’indumento superiore lentamente, in modo tale da rendere più piacevole ed intenso quel momento.
La ripoggiò a terra, con la bocca sul suo collo, mentre Leah cercava ancora una volta l’aria.
Il principe alzò la testa, guardando bene il petto nudo di lei. Era la prima volta che vedeva una donna nuda, e ciò lo fece arrossire e sanguinare leggermente dal naso. Si pulì in fretta, accorgendosi di come la ragazza lo fissava, timida, e assolutamente rossa.
Il sudore sulle loro pelli era aumentato di più.
Jacob tornò a baciare Leah, in modo dolce ed appassionato, mentre le toglieva la gonna con facilità.
Si tolse i pantaloni e, con grande stupore dell’amata e con grande gioia di lui, infilò una mano nelle mutande di Leah. Lei ansimò, e subito dopo il ragazzo gliele tolse, togliendosi a sua volta le mutande. Infine anche le loro scarpe vennero lanciate in aria.
Ora erano completamente nudi. Nudi ed avvinghiati in cima ad una torre.
Lì non esistevano regole. Erano liberi. Liberi di agire e di amarsi come volevano.
Il principe tornò ad infilare le dita tra l’intimità della ragazza. Quest’ultima non solo arrossì, ma ansimò. Si staccarono le bocche a vicenda, mantenendo però le labbra vicinissime.
Jacob godette nel sentire l’alito di lei sul suo, nel vederla ansimare. Lo trovava dannatamente sensuale.
Aggiunse altre due dita, muovendole quasi al suo interno. Il fiato di Leah stava cedendo. Il suo cuore sarebbe uscito a momenti.
Staccò le dita, per poi poggiare le labbra sulla sua fronte. Leah tornò a respirare per cinque secondi buoni.
Jacob le afferrò le gambe, aprendole di più ed alzandole. Lei piegò le ginocchia, provando a tener fermi i piedi sul pavimento per la prossima mossa dell’amato.
Si guardarono negli occhi, sicuri.
Jacob poggiò la bocca sulla guancia di Leah, per poi passare al lobo dell’orecchio.
Fu allora che partì.
Il ragazzo infilò la sua intimità dentro quella della ragazza. La forza iniziale era talmente forte che Leah non riuscì a trattenere un gemito, un misto di dolore e piacere puro.
Gli strinse i capelli, reggendosi a lui, mentre il suo amato guidava dentro di lei, quasi come se la volesse esplorare tutta.
I piedi di lei non riuscirono a stare fermi. Si muovevano come se ballassero il tip tap, frenetici.
I loro bacini si muovevano in sincronia tra di loro.
Lui la tenne stretta per i fianchi, accompagnandola nel suo movimento.
Provò ad infilarsi sempre più in profondità. Ciò fece quasi urlare la ragazza, ma lei seppe tapparsi la bocca. Si morse il labbro e strinse gli occhi. I due sudarono il doppio. I loro cuori pulsarono al ritmo della loro musica intima. Tutto il loro corpo era percosso da brividi, intensi e piacevoli.
Jacob spostò la lingua sul collo della ragazza, leccandolo lentamente. Passò poi la sua bocca ai seni di lei, mangiucchiandoli. Leah si stringeva ancora a lui, mentre l’intimità di quest’ultimo continuava a farsi strada dentro di lei.
Leccò il suo petto, fino a raggiungere le labbra di lei. Non la baciò, anzi, ci rimase sopra, assaporando con gusto e piacere il fiato di Leah, che stava decisamene mancando.
Le baciò la guancia, e smise di muoversi al suo interno. Uscì fuori dalla sua intimità. Tornarono a respirare forte, ma a fatica, contando come l’aria intorno fosse diventata troppo calda per loro.
I due sperarono con tutto il cuore di non aver lasciato tracce con quell’incontro sensuale ed intimo.
Leah aprì gli occhi, ritrovandosi il volto di Jacob vicinissimo al suo. Il ragazzo si stava drogando del calore dell’alito della sguattera, anche se pure a lui mancava il giusto respiro.
Le sorrise, felice. Lei ricambiò, felice anch’essa, il volto ancora più arrossato.
Erano quei sorrisi dolci che fin ora non erano riusciti a scambiarsi. Erano sorrisi bellissimi, sinceri.
Quei sorrisi racchiudevano mille significati. Ma quei significati erano tradotti in una sola frase.
-Ti amo- si dissero a vicenda. Due parole composte da cinque lettere che li fecero sorridere ancor di più.
Si baciarono ancora, per poi sdraiarsi sui fianchi e coccolarsi a vicenda.
Leah poggiò la testa sul petto sudato di Jacob, ascoltando con tenerezza i battiti cardiaci dell’amato principe.
Rimasero così, per molto tempo, assaporando quell’attimo dolce e tenero che li abbracciava.>>

 
Finì di leggere la parte della loro azione sessuale, con il sorriso in faccia. Ogni volta che lo leggevo mi riempivo il cuore di dolcezza e amore. Non solo, ma per qualche ragione mi sentivo anche accaldata.
Alzai la testa verso di loro, staccando le mani dalle loro guance. Solo allora notai le loro espressioni. Non sapevo se ridere per quanto fossero ridicole o meno.
Zia e zio assumevano la stessa faccia incredula a scioccata, le bocce spalancate fino a toccare il terreno, i rivoli di sangue che fuoriuscivano dai loro nasi, le facce paragonabili al pomodoro ma dalla stessa temperatura della lava incandescente.
-Qu-Quante altre scene simili hai scritto?- chiese la zia, diventando di colpo balbuziente.
-Una trentina, o una quarantina, sapete com’è… - risposi, tra l’imbarazzo e la soddisfazione.
I due lupi avrebbero potuto aggiungere qualcosa, ma non ci riuscirono. Aprirono le bocche varie volte, senza far uscire alcun suono.
Si, avevo fatto centro! Un punto a Nessie, evvai!
-Ehi, ragazzi- urlai verso la porta –Qui abbiamo finito, entrate!-.
Seth, Cate e Cloe ritornarono alla loro postazione, ma i loro sguardi non mi convincevano.
Cate sembrava imbarazzata (se non fosse una vampira avrei detto che fosse diventata pure rossa), Seth era disgustato e Cloe… era un misto tra gli zii. Era sia verde vomito che rosso accesso.
-Uh, cosa sono quelle facce?- domandai, con un pessimo presentimento.
-Ecco…. Diciamo che…- rispose Caterina, balbuziente quanto la cognata –Io.. ho visto ciò che pensavi… cioè.... l’ho predetto appena siamo usciti… e succede delle volte che quando vedo qualcosa che dura a lungo lo dico ad alta voce senza accorgermene, tipo da sonnambula… e loro devono averlo sentito…-.
La biblioteca Cullen cadde in un silenzio imbarazzante.
Ora non solo Leah e Jacob erano rossi per quel momento tanto… beh, capito, no? Ma anche per la rabbia.
Avrei anche giurato che la zia mi stesse mangiando con gli occhi.
-P-Possiamo tornare al racconto, piuttosto...?- chiese Cloe, l’occhio sano a terra per evitare lo sguardo dei genitori.
-Ricomincio io, vah!- esclamò secca la zia lupa, girando i fogli dalla sua parte.

 
< Ma non immaginavano che qualcuno potesse spiarli. Un occhio scuro e ficcanaso fissò dalla serratura della porta. Vedeva i loro corpi nudi ed avvinghiati, quasi incollati. Le sue orecchie sentirono le risate allegre dei due amanti.
Jacob baciò l’orecchio di Leah, facendola ridere, dopo di ché riprese a baciarla, ma stavolta con tenerezza e dolcezza, in modo lento, per godersi le sue labbra calde e morbide.
Leah si gustava la sua lingua, dai movimenti decisi e dal sapore più dolce del pianeta.
L’occhio continuava a scrutarli. Strinse i pugni dalla rabbia.
Avrebbe dovuto toglierle lui la verginità, non quel principe.
Si mordicò il labro, pensieroso.
L’istinto gli diceva di spaccare la porta, uccidere lì il ragazzo e stuprare a morte lei. Ma si trattenne. In questo modo si sarebbe soltanto fatto arrestare, e i piani di suo padre sarebbero andati in fumo.
Si alzò in modo composto, per poi dirigersi verso le stanze dei soldati. Era lì che Levi aveva deciso di alloggiare. Entrò all’interno della sala di ritrovo delle guardie. Era tutto in pietra, senza decorazioni particolari, ma solo gli stemmi del regno appesi ai muri.
Calpestò ferocemente il pavimento (anch’esso di pietra), raggiungendo così il tavolo al centro della sala. C’erano solo lui e Levi a quell’ora. L’ex comandante stava studiando una cartina, con vari rotoli di pergamena qua e là.
-Padre- lo chiamò Sam, facendogli alzare la testa dal suo lavoro.
-Cosa vuoi?- domandò lui, seccato. Non voleva evidentemente essere disturbato mentre lavorava.
-Non possiamo fare in fretta?- domandò il figlio, agitato.
Levi lo guardò, curioso.
Alzò un sopracciglio, per poi domandargli:-E come mai?-
-Beh, pensaci bene un attimo- disse –Il re a quest’ora avrà deciso di certo di non farlo sposare con una mocciosetta. Se le cose stanno in questa maniera, è molto probabile che sarà quella sciagurata di una sguattera a sposarlo. E se ciò dovesse succedere, direbbe al re ciò che hai fatto negli ultimi dieci anni-.
Levi sbuffò, lasciandosi cadere sulla sedia, afferrando una pipa. La accese e la abboccò.
Si staccò per far fuoriuscire il fumo dalle narici e dire:-E chi le darebbe retta?-
-Ha anche un fratello- puntualizzò Sam.
-Non darà retta a due mocciosi- rispose Levi, tornando a fumare. Lui stesso ci era arrivato.
Infatti al mercato, quando li aveva visti, i loro volti gli erano sembrati famigliari.
Lo sguardo dei due, poi, lo avevano attirato.
Sembravano infatti avercela con lui. In un primo momento non ci badò, ma poi quando vide la ragazza al ballo, affrontare suo figlio con quello sguardo furioso, ebbe uno strano presentimento. Infatti, quello sguardo e quel modo di affrontare la situazione lo aveva già visto. Si era documentato meglio da Sam e aveva persino saputo i loro nomi.
La ragazza era Leah.
Il ragazzino era Seth.
Quei nomi li erano sembrati fottutamente famigliari. Ci aveva pensato meglio e alla fine era arrivato ad un'unica conclusione.
Possibile che i figli di Harry e Sue Clearwater si fossero salvati? Eppure era sicuro al cento per cento che fossero morti. Come hanno fatto a sfuggire all’uomo nero?
Come hanno ingannato la morte?
Potevano essere solo loro, gli indizi erano chiari.
Anche se non capiva il perché della loro presenza al castello.
E ora che erano cresciuti ucciderli non sarebbe stato facile. Non sotto la protezione di sua maestà, con al suo servizio ben 2500 soldati, tra cui 250 cavalieri.
No, sarebbe stato impossibile finire il lavoro di un tempo.
Per questo doveva smettere di pensarci per potersi concentrare sul piano che riservava da anni, da quando era persino molto giovane.
-Ma oltre a loro c’è anche la loro cugina della famiglia Young, e due soldati della famiglia Ateara e Call! Il re potrebbe dar retta anche a loro-.
-Non ne hanno le prove per dimostrarlo- rispose solo, tornando al lavoro con ancora la pipa tra le labbra.
-Piuttosto vai a fare quello per cui il re ti ha dato questo mestiere!- gli disse infine, quando il figlio stava per ribattere. Strinse i denti e voltò i tacchi, chiudendosi dietro la porta.



Angolo Autrice: e rieccomi con questo capitolo. scusate, ma questo mi è venuto corto. spero che vi piaccia comunque. un bacio a tutti!
Delyassodicuori

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Capitolo 6
*** The impossible love_parte 6 ***


SPECIALE: L'ANGOLO DELLE FANFICTION DI RENESMEE parte 6

-Cosa? E questo quando pensavi di dirmelo?!?- chiese sorpresa Leah, fissando gli occhi di Jacob.
-Beh, proprio stamattina mi ha informato di ciò- rispose lui, grattandosi la nuca.
Leah si lasciò cadere la schiena sul pavimento.
Sospirò, tra lo stupore e la felicità.
Si tirò sul petto la veste (o quel che ne restava) con il sorriso stampato in faccia.
Jacob la fissò in volto, sorridendo. Quanto era bella con quel sorriso dolce e felice? Quanto riusciva quel gesto a rallegrare il suo cuore?
Si piegò sulla ragazza, tenendosi sul gomito e sfiorandole il viso con la mano libera.
Lei voltò la testa verso il ragazzo, con gli occhi luminosi carichi di amore. Forse erano più luminosi del solito, perché Jacob ne rimase totalmente incantato.
Le baciò il naso, facendo ridere Leah, poi la fronte, il lobo dell’orecchio, la gola, la mascella, la guancia, e per finire arrivò alle sue labbra.
Era un semplice bacio a stampo, che regalò comunque ai due un senso di pace immenso.
Jacob si staccò dalla sua bocca, per poi poggiare la testa piano sul petto di lei, appena sotto la mascella.
Annusò il suo corpo, sudato e bollente. Si drogò di quel profumo squisito, che gli ricordava molto il cioccolato e il miele.
Leah gli accarezzò la nuca, affondando le dita tra le sue ciocche selvagge e scure, sospirando ancora.
-Ti ho resa felice, dillo!- fece lui, chiudendo gli occhi.
-Beh… direi di si…- annui lei, fissando il soffitto stracolmo di ragnatele.
-Te l’ho detto io, no?- aggiunse il principe, sollevando la testa sopra la sua.
-Si… ci hai azzeccato- gli sorrise la sguattera, fissandolo negli occhi.
Si baciarono ancora, ancora e ancora, facendoli ridere di gusto.
Il ragazzo passò le sue labbra sul collo di lei, gustandosi la sua pelle bagnata e calda.
Il cuore di Leah non la voleva smettere di battere forte. Lei stessa temeva che potesse scoppiare da un momento all’altro.
Alzò la testa verso la finestra alle loro spalle, sgranando gli occhi.
Si era fatto buio, ormai. Il crepuscolo era appena sceso, sostituendo l’azzurro limpido con il blu scuro della notte ormai alle porte.
-Uh, Jacob, non per rovinare questo momento, ma non è un po’ tardi?- chiese Leah, scuotendogli un poco le spalle.
Jacob alzò la testa, il sopracciglio incarnato, fissando la finestra.
-Acc… Vero!- fece, alzandosi da lei.
Mentre lui si stava già vestendo, la ragazza prese la sua veste, esaminandola.
Rimase a bocca aperta, scombussolata, con il nervoso salire alle stelle, mentre fissava quell’enorme strappo. Potte chiaramente distinguere ogni filo spezzato. Avrebbe tranquillamente potuto ricucirlo, ma per il momento come andava in giro? Nuda?
Si alzò piano da terra, raggiungendo la schiena dell’amato (nel frattempo si era già messo i pantaloni e le scarpe).
Mentre lui indossava la t-shirt, lei prese fiato, gonfiò le guance fino a farle arrossare, tirò indietro la gamba destra e, per finire, tirò un calcio portentoso in mezzo alle gambe di Jacob, urlando nel frattempo:-RAZZA DI IDIOTA!!!!!-
Lui rimase a bocca spalancata fino al terreno, gli occhi fuori dalle orbite e il corpo piegato dal dolore.
Per un secondo buono restò fermo, per poi piegarsi ancor di più fino a toccare con la testa il pavimento.
-Che…. Cassoooooooooooooooooo- gli uscì dalla bocca a denti stretti, mentre Leah lo fissava, senza capire se sentirsi in colpa o meno.
Con le mani ai pantaloni, il ragazzo alzò la testa e si voltò verso di lei, sbraitando:-Ma sei impazzita??? Sto coso mi serve!!!-
Leah allora gli mostrò la veste strappata, sbuffando dal naso rumorosamente.
Jacob fissò lo strappo, incredulo. Azzardò un mezzo sorriso innocente, grattandosi la nuca, imbarazzato.
-E adesso come faccio? Non posso andare per il castello nuda!- esasperò Leah, lasciandosi scivolare sulle ginocchia.
-Scusa, ma il corpetto allora a cosa ti serve?- chiese il principe, indicandole l’indumento.
Leah rimase un poco scettica, ma poi pensò che in fondo era a questo che serviva. Nessuno avrebbe notato lo strappo, no?
Indossò la sua veste e cercò di tenerla ferma mentre si chiudeva a fatica il corpetto. Jacob, dopo essersi vestito del tutto, andò ad aiutarla, chiudendo il fiocco sopra il suo petto.
-Visto? Problema risolto- disse lui, sorridente come sempre.
Leah si sentì un mezzo mostro per il calcio. Era esagerato, su questo non c’erano dubbi.
Abbassò il capo, imbarazzata.
-Scusa per prima- disse timidamente, rigirando gli indici.
-Scusa per lo strappo- disse lui, afferrandola per i fianchi e regalandole un bacio mozzafiato.
Per un momento rimase lì a fissarlo, ma poi ricambiò il bacio, sorridendo appena.
 
 
 
-Scusa, ma per il regno, allora?- domandò Leah, mentre i due innamorati si dirigevano verso le cucine, mano nella mano.
Ormai è inutile nasconderlo. Tutto il regno era a conoscenza del loro rapporto.
-Per quello non c’è problema- rispose Jacob –Rebecca ha supplicato migliaia di volte a nostro padre di farla sposare con il suo amante, quindi…-
-E’ un principe anche lui, dico bene?-
-Re. Da questa mattina esatta. E governa le Hawaii, che sono messe molto meglio rispetto al nostro regno. Puoi immaginare cosa ha risposto il nostro re a mia sorella-.
-Quindi… ricapitolando… il nostro regno, che era prossimo a subire la carestia e che per di più sta subendo questa specie di contagio strano, potrà rimediare grazie al regno delle Hawaii?- chiese lei. Se si parla di politica, beh, non era molto preparata. Non aveva seguito gli studi di Jacob e delle sue sorelle, per cui ciò che sapeva lo aveva solo sentito dire in giro.
-Esatto- confermò lui –riguardo alla malattia, Carlisle sta ancora cercando una cura, ma sembra che il materiale presente da noi non sia sufficiente. Mentre questo re hawaiano possiede medicinali che guariscono la febbre a dirittura in poche ore!-
-Stai scherzando?- fece Leah, incredula.
-No no, non scherzo affatto- rispose Jacob, scuotendo la testa –Lo ha pure dimostrato. Carlisle deve aver usato quel medicinale su una tua collega questa mattina-.
-Kim!- fece Leah, ricordandosi delle condizioni dell’amica.
-Si chiama così?- domandò lui.
-Si. Se è vero quel che dici, allora a quest’ora dovrebbe star bene…- disse, entusiasta, pronta a scattare verso il dormitorio. Ma appena imboccato l’angolo, la figura di un uomo alto e muscoloso la paralizzò. Jacob la raggiunse, fissando l’uomo, per niente sorpreso.
Leah aveva gli occhi paralizzati su di lui, i denti stretti e le mani tremolanti.
Levi Uley la fissava da capo a collo, sbuffando.
La ragazza non riusciva a muovere un solo muscolo.
Sentiva il bisogno frenetico di ucciderlo, di farlo a pezzi, di squagliarlo vivo…
Eppure non riusciva a fare nulla.
Non riusciva a sentire nulla.
Nessun suono le giungeva alle orecchie, se non il battere spaventato del suo cuore.
I nervi non rispondevano.
Rimaneva lì, fissa, senza riuscire a staccare gli occhi da lui. Dall’uomo che aveva per poco rovinato la loro vita…
Nel frattempo Jacob salutava l’ex-comandante:-Buona sera, cercava mio padre?-
-Beh, in effetti si, giovanotto- rispose lui, fissando ancora la ragazza che lo squadrava.
L’aveva già riconosciuta, ma fece finta di niente. Era ovvio che era quella bambina.
Lo sguardo terrorizzato, la forma del viso, appartenevano a quella bimba.
Se lei era qui, c’era anche il fratello minore, no?
Avrebbe potuto finire il lavoro lì.
La sua arma era incandescente, desiderosa di squartare la carne della giovane e di immergersi nel suo sangue.
Sfiorò con le dita l’impugnatura, la sete d’omicidio farsi vivo in lui.
Jacob notò quello strano atteggiamento e disse:-Lo trovate assieme alle mie sorelle nella sala del trono, a quest’ora-.
Il vecchio comandante si distrasse, lasciando ricadere la mano, rinunciando così alla sete di sangue.
Guardò un ultima volta la ragazza, per poi rivolgere lo sguardo al principe:- Molto bene, se mi permettete allora, vado a congedarmi con il re-.
Il ragazzo, però, lo guardava torvo.
Non si era mai fidato molto di quell’uomo, e quando aveva visto la mossa delle sue dita sull’impugnatura della spada, i suoi dubbi crebbero.
Perché voleva sguainare l’arma? No, la cosa non gli suonava granché positiva.
Annui a mo’ di saluto, mentre Levi girava verso destra, trovandosi a superare Leah.
Ma in quell’attimo esatto, nello stesso momento in cui scontrò il braccio contro la spalla di lei, avvicinò le labbra la suo orecchio.
L’unica cosa che Leah riuscì a sentire era:
 
-
So chi siete, piccola Clearwater. Non pensare di averla fatta franca, tu e il tuo caro fratellino-.
 
Leah sentì la gola secca, come se qualcosa le avesse bloccato la trachea.
Le sue iridi divennero microscopiche, il sudore bagnarle la fronte.
Il cuore aveva smesso di battere.
Nessun suono, nemmeno un sospiro, uscì dalla sua bocca.
 
Ancora più paralizzata di prima, fissava davanti a sé, ma ormai era come se non fosse più alla reggia.
 
Davanti a sé, un enorme prato buio e bagnato si era spalancato davanti alla sua visuale.
Riusciva a distinguere chiaramente le gocce di pioggia che inzuppavano i due bambini, che correvano spaventati, allontanandosi da una casetta di legno. Non appena si voltarono verso di essa, la casa divenne un fuoco, un unico grande incendio che cominciò a divorare tutto.
Se prima per loro quel posto era il paradiso, ora, davanti ai loro occhi, era l’inferno…
 

-Leah? LEAH???-
Uno scossone, molto forte.
-EHI, MI SENTI?? PARLA!! DI QUALCOSA!!-.
D’un tratto quell’immagine svanì dalla sua vista. Davanti a lei, ora, c’era il principe, che la teneva stretta per le spalle. Il suo sguardo era come terrorizzato.
Lo fissò per un po’, per poi inarcare un sopracciglio, confusa.
-Che c’è?- chiese, la voce stranamente piana e debole.
-E me lo chiedi anche? Sembravi… una statua!- rispose paonazzo lui, riprendendo fiato.
-I-io?- fece lei, fissandolo ancora.
-SI!- esclamò Jacob, preoccupato –Insomma, cosa ti è successo? Un attimo prima eri felice per Kim, poi quando è apparso Levi, ti sei pietrificata!-.
-Ecco… io…- disse solo, senza sapere cosa dire esattamente.
Su una cosa, però, era certa, nonostante la confusione del momento.
Levi sapeva di loro.
Sapeva che il suo lavoro con loro non era ultimato.
Senza perdere altro tempo, Leah voltò i tacchi, liberandosi dalla presa di Jacob, dirigendosi nuovamente  verso il dormitorio delle sguattere.
-Aspetta- la fermò lui, afferrandola per il gomito.
La sguattera voltò appena la testa.
-Sicura… che va tutto bene?- chiese lui, con uno strano tono nella voce, che la ragazza non potte decifrare.
-Certo, nessun problema- disse lei, voltandosi verso di lui, mostrando il sorriso più falso del pianeta.
A Jacob questo non sfuggì, naturalmente, ma sapeva che non era di certo questo il momento per insistere a lungo.
Mostrò solo un espressione triste e pacata allo stesso tempo.
-D’accordo, quando te la senti, però, dimmelo- disse solo, arricciando le dita con le sue.
Leah afferrò quel gesto, aggiungendo anche un bacio leggero sulla guancia del ragazzo.
Sciolsero la stretta e la ragazza corse verso Kim, nascondendo all’amato un viso disgustato, deluso, e furibondo.
Disgustato perché era così che si sentì quando vide il volto di lui al suo falso “certo, nessun problema”.
Deluso, perché si sentiva una vigliacca. Si sentiva uno schifo a scappare via in quel modo.
E soprattutto furibonda perché non poteva fare nulla. Non poteva fare niente per impedire che Levi ne combinasse un’altra. Era solo una schiava, una lurida sguattera innamorata persa di un principe. Cosa poteva fare una come lei? Non sapeva nemmeno armeggiare una spada. A malapena si sapeva difendere con una scopa!
 
Le ragazze abbracciavano tutte insieme un'unica fanciulla, seduta sul letto, con i capelli lunghi ancora in disordine e la veste gialla come pigiama.
Era ciò che si presentava di fronte a Leah non appena entrò, chiudendosi la porta alle spalle, ancora con l’amaro in bocca e la gola secca.
Si trattenne dal far uscire delle lacrime, sniffando con il naso, per poi avvicinarsi a Kim con un sorriso sincero.
La ragazza notò il suo arrivo e sorrise anch’essa.
-Leah! Che bello rivederti!-
-Ehi, Kim, allora ha funzionato!- disse Leah, entusiasta, abbracciando l’amica. Era davvero felice per lei, ma lo sarebbe stato ancor di più se Levi non le si fosse presentata davanti un minuto prima.
Cercò di scacciare via il pensiero del comandante, ridendo e scherzando con le altre ragazze. Madama Gianna arrivò proprio in quel momento. Quando vide Kim, portò le mani alla bocca, e due lacrimucce uscirono dai suoi occhi, stranamente luminosi.
Prima che le altre potessero solo emettere una acca, la vecchia si ritrovò ad abbracciare (o meglio stritolare molto forte) Kim.
La ragazza si sentì mezza soffocare, senza sapere se ricambiare o meno “l’abbraccio”.
Le altre ridacchiarono, quando Gianna esclamò a squarciagola:- O Buon Dio, stai beneee! Finalmente ti sei ripresa! Peccato, mi ero abituata a lavarti sempre la ciotola del vomito e del…-
-Madama Gianna!- la bloccò Kim, imbarazzata.
-Allora è vero che si è ripresa!- esclamò Seth, sgattaiolando da dietro la porta, stupendo le altre (sorella compresa).
Quando il ragazzino andò ad abbracciare la ragazza seduta al letto, Leah sentì una fitta, allo stomaco e al cuore. Suo fratello era ancora troppo giovane, troppo innocente.
Avrebbe voluto raccontargli l’accaduto, ma non era sicura di avere il fegato di spaventarlo…
Eppure lo doveva avvertire.
Lei stessa sapeva che, da brava sorella, doveva difendere il fratello più piccolo.
Non era questo il compito di una sorella maggiore?
Non era ciò che aveva promesso a sua madre per caso?
Strinse i pugni e per poco non ringhiò al pensiero di quella notte.
Riuscì a scacciarlo via scuotendo la testa, ma la fitta era sempre lì, a dirle, con voce quasi provocatoria:-Non servirà a nulla avvertirlo. Sai già che un minimo errore significa la sua morte, vero?-
Deglutì, scacciando anche quel pensiero che l’istinto, il suo conscio o quel che era le stava dicendo.
-Ehi, Leah, non dirmi che ora ti ammali pure tu?-
-Cosa?- fece la ragazza, cadendo dalle nuvole. Seth era di fronte a lei, lo sguardo leggermente in pensiero. Stessa cosa valeva per le altre sguattere.
-Oh, no, sto bene, stavo solo… pensando- disse in fretta, senza aggiungere altro.
-Convinta tu…- fece spallucce il ragazzino, come se non si fosse accorto di nulla.
Anche se, come del resto tutti lo sapevano, era molto, troppo sveglio per cascarci.
-Allora andiamo in cucina, sto morendo di fame da stamattina- disse con troppa allegria lui, poggiando le mani alla nuca e dirigendosi verso la porta.
Leah annui, fece un cenno di saluto agli altri, augurando buona ripresa di salute a Kim, e uscirono.
Camminarono in silenzio, scendendo le scale, per poi arrivare al corridoio di prima.
Esattamente dove la ragazza aveva incontrato Levi pochi minuti fa.
-Allora, mi dici che hai?- chiese Seth all’improvviso.
Leah lo fisso, stupita. Non era da lui avere quello sguardo troppo serio, ma allo stesso tempo nervoso.
Sbuffò.
Non aveva molta scelta. Doveva avvertirlo del pericolo che correvano entrambi.
Sospirò forte e raccontò tutto d’un fiato al fratello. Lui se ne stava lì, ad ascoltare ogni singola parola, gli occhi colmi di rabbia e rancore, ma anche di angoscia e tristezza.
Assunse anche un’aria assolutamente spaventata e agitata quando Leah gli rivelò quello che Levi aveva sussurrato a lei.
Rimasero in silenzio per po’, dopo di ché ci pensò Seth a rompere il ghiaccio:-E tu… cosa hai fatto?-
-Nulla. Non ho fatto proprio nulla- deglutì la ragazza –Sono stata solo impalata e ferma come una statua! Ho spaventato persino Jacob!-
-Ma almeno lui sa di questa storia?- chiese Seth, impaziente. Leah lo guardò un attimo, per poi abbassare gli occhi sulla moquette rosso bordeaux.
-Immaginavo- rispose al suo posto il giovane, sospirando, scoraggiato.
-Non posso raccontarglielo, Seth- disse la ragazza –E’… troppo rischioso…-
-Rischioso?- fece lui –Io non direi poi così tanto. Beh, certo, tralasciando il fatto che quello lì vuole farci fuori una volta per tutte-(deglutì)-andiamo, Leah, è … di sua altezza che stiamo parlando, no? Se la famiglia reale fosse a conoscenza della cosa, sono sicuro che…-
-Ma non ci arrivi?- fece la sorella, quasi sgridandolo –Non mi crederanno mai! Magari Jacob, ma il re non mi ascolterebbe! Crederà che sono una pazza che fa di tutto per diventare una principessa arrogante del cazzo, e allora ci caccerà via entrambi! A quel punto, non sapremo più dove nasconderci! Saremo come delle prede facili per lui! Una volta fuori dal regno, la storia di dieci anni fa si potrebbe benissimo ripetere!-.
Riprese fiato, cercando di calmare i bollenti spiriti. Seth era rimasto zitto, senza però abbassare lo sguardo.
Leah si massaggiò la fronte, nervosa, stanca e stressata.
-Non saremo al sicuro, allora- ammise con voce debole e flebile.
-Non siamo al sicuro neanche qui- la corresse Seth, appoggiando la schiena al muro, sospirando piano.
Aveva ragione, pensò Leah. Sia fuori che dentro, erano dei bersagli. Come potevano evitare ciò?
Raccontare tutto alla famiglia reale?
Magari non l’avrebbero ascoltata… oppure si?
Sempre guardando per terra, notò una cosa strana. Fissò per bene la moquette, nel momento esatto in cui le nuvole diedero la possibilità alla luna di mostrarsi in tutto il suo splendore.
Gocce di liquido rosso erano sparse un po’ in giro. C’erano persino due o tre pozzanghere.
Leah si morse la lingua quando capì che quel liquido poteva essere solo sangue…
 
 
Qualche minuto prima
 
 
Il principe la vide salire le scalinate, fino a quando la sua gonna non scomparve oltre la parete.
Sbuffò, nervoso. Ma che era successo in quel unico minuto? Era tutto così… strano. Ed inquietante.
-E così non riusciamo a calmare le donzelle povere, eh?- fece una voce dietro di lui. Non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi era.
-Che vuoi, comandante dei miei stivali?- fece Jacob, fissando ancora le scale.
-Solo semplice curiosità- fece Sam, facendo rigirare la manica del coltello tra le dita, giocherellandoci tranquillo.
-Ovvero?-
-Com’è che la tua cara sguatterella non ti ha raccontato nulla del suo passato? Non eravate tutto pappa e ciccia?- chiese.
Jacob voltò appena la testa, giusto il modo di intravedere quel orrendo sorriso malefico stampato sul suo volto.
-Perché? Non dirmi che ne sai qualcosa?- domandò, con un certo nervosismo nella voce.
Com’è che lui sapeva, mentre Jacob no?
-Non io. Dovresti chiederlo a qualcun altro- disse il comandante, smettendo all’istante di giocherellare con il coltello.
Per qualche strana ragione il principe si immaginò Levi. Magari questo spiegava lo strano comportamento di Leah…
-Dimmi chi- fece lui, gelido e autoritario, un tono che utilizzava solo se stava perdendo la pazienza. E ne stava perdendo altrettanta.
-E se rifiutassi di farlo?- domandò Sam, provocandolo il doppio.
Il ragazzo strinse i denti. Con la velocità pari a quella del fulmine, sguainò la spada e attaccò l’avversario. Sam, aspettandosi una reazione simile, parò con il coltello.
Il suono stridulo e metallico riecheggiò in quel piccolo corridoio. La luna faceva splendere attraverso la finestra le lame. Quella di Jacob era argentata, con un incisione scarlatta. Il coltello di Sam era nero come la pece.
-Oh, cosa vedo? Degli occhi che vanno a fuoco?- disse il comandante.
Non che avesse tutti i torti. Gli occhi di Jacob erano ridotti a due fessure, che riuscivano ad emanare tutta la sua furia interna.
Normalmente qualcuno si sarebbe spaventato a quella vista, ma il comandante provò a  non darlo nell’occhio, stuzzicandolo ancor di più:-Chissà cosa ne penserebbe la tua amata-.
Il principe fece un verso, tra il disgustato e il furioso. Allontanò la spada e provò a colpirlo di nuovo. Naturalmente Sam lo parò di nuovo, senza fermarlo lì, stavolta.
Il duello ebbe inizio, di punto in bianco, con l’uomo che continuava a tormentarlo  con le sue battute su Leah.
Jacob provò a non ascoltarlo, ma non potte far a meno di sentire l’ultima:-Sai, una volta mi sono scopato sua cugina. Un bocconcino delizioso. Quella volta avrei potuto benissimo farmi anche Leah, ma ho deciso che prima era meglio toglierle l’orgoglio di donna-.
-Tagliandole i capelli?- urlò il principe, parando un colpo ben mirato del comandante.
-Quello era solo l’inizio, sua altezza. Ora come ora potrei ucciderla o ferirla come minimo per poter andare da lei e…-
-Smettila!-
-Farla mia una volta per tutte!-.
Non c’era da stupirsi se Jacob perse definitivamente la pazienza con lui. Parò un altro colpo, bloccandolo, però.
Nel mentre strinse il pugno sinistro e diede un fortissimo cazzotto dritto al naso di Sam. Il comandante barcollò un poco lontano, lasciando cadere il braccio con il coltello, tenendosi il naso dolorante. Del sangue cominciò ad imbrattargli l’uniforme e la mano, trattenendo a stento un urlo per il male che provava.
Jacob ne approfittò per dargli un secondo pugno all’addome, centrandolo in pieno.
Sam si piegò in due, sputando sangue sulla moquette.
Per completare l’opera in grande stile, il principe gli diede una ginocchiata portentosa e ben mirata alla mascella. La testa dell’uomo venne spinta in su, la sua schiena all’indietro.
Barcollò ancora, fino a perdere l’equilibrio e cadere a terra di sedere, abbracciandosi lo stomaco e sputando altro sangue sulla divisa.
Il principe si massaggiò il pugno, notando alcuni schizzi rossi sulla manica del giaccone. Beh, tanto era rossa, nessuno lo avrebbe notato subito.
Si avvicinò minaccioso a Sam, la spada puntata sulla sua nuca.
-Prova a ripeterlo, e giuro che ti uccido all’istante- disse freddo Jacob. La voce sembrava totalmente diversa dal solito. Oltre ad essere fredda, era distante, acida, minacciosa.
Nessuno di loro ebbe tempo di aggiungere altro, perché una voce da fanciullo li interruppe:
-Altezza, che succede?-
Jacob voltò la testa, stupito. Seth fissava la scena, un po’ scioccato e confuso.
Ritirò la spada e la rimise al suo posto nel fodero, fissando ancora il comandante. Questi alzò dapprima lo sguardo sul ragazzino, poi sul ragazzo più grande. Riuscì ad alzarsi, tenendo sempre una mano all’addome, riponendo il coltello sul piccolo fodero alla cintura.
-Beh, alla prossima, Altezza- disse Sam, imboccando il corridoio verso il dormitorio dei soldati, sparendo dalla loro vista.
Jacob fece un sospiro molto forte, nervoso.
-Sei Seth, dico bene?- chiese al giovane.
Seth annui, ancora confuso per ciò che aveva visto.
-Perfetto. Allora, fammi una favore, quando non ci sono con lei, puoi tenere d’occhio tua sorella?- domandò Jacob.
Seth rimase un poco perplesso, ma essendo sveglio non ci mise molto a capire a cosa si riferiva.
-Certo, mi sembra più che logico Al…- stava per dire ma il principe lo interruppe con il solito:-O No, ti prego, anche tu con il voi e quelle cavolate no! Chiamami semplicemente Jacob!-
-Sul serio?- chiese il ragazzino, stupito.
-Leah non te l’ha mai detto?-
-No, anche perché Madama Gianna è stata piuttosto chiara con noi su questo concetto-.
-Già- disse il principe, sorridendo. Ricordava perfettamente come si comportava Leah con lui.
-Non è un po’ tardi per stare in piedi?- domandò poi.
-Lo so, volevo solo andare a trovare Kim- rispose Seth –Mia sorella è da lei, vero?-
-Si- fece Jacob, voltando i tacchi per dirigersi in camera sua, aggiungendo poi:-Mi raccomando, stalle vicino-.
-Lo farò- disse Seth, imboccando subito dopo le scale.
Era naturale che dovesse tenerla d’occhio, era sua sorella, no? E poi aveva sentito dire che Levi era tornato al castello. Il pericolo per i due fratelli si era fatto più intenso.
Aveva solo quindici anni, ma era abbastanza grande per poter proteggere Leah, si diceva.
Era ora di dimostrare alla sua famiglia quanto fosse cresciuto con il tempo. Sorridendo pensò tra sé che in fondo non per nulla aveva imparato di nascosto ad usare una spada!



Angolo Autrice: MI DISPIACEEEEEEE!!! PERDONATEMI, SONO STATA TROPPO IMPEGNATA! TRA SCUOLA, LOL, SCUOLA, PROGETTAZIONE, SCUOLA E MANCANZA DI ISPIRAZIONE NON SAPEVO COSA FAREEEEEE!!!
Lo so, sono pessima -.- Non riesco nemmeno a rispettare le date di scadenza -.-
Beh, detto questo, passiamo alla storia. Nell'ultima parte possiamo capire cosa è successo mentre Leah andava da Kim. E poi c'è quella frase che fa capire che in realtà Seth sa usare un arma. Come è possibile? Beh, magari lo svelerò o nel prossimo capitolo o quello dopo ancora, dipende tutto da quanto lungo sarà XD
Alla prossima e un grazie infinito a coloro che seguono la storia e che hanno aspettato con ansia (scusatemi ancora LoL)
Delyassodicuori

P.S. Se anche voi giocate a League of Legends, fatemi sapere XD

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Capitolo 7
*** 7_The impossible love_parte 7 ***


L'ANGOLO DELLE FANFICTION DI NESSIE parte 7

-Brutto… figlio…. Di… buona… DONNA!- ansimava Leah da ormai mezz’ora, mentre il sacco pieno di patate assumeva man mano una forma strana.
Per tutto il giorno Leah era rimasta senza un lavoretto da fare. Il castello era così lucido che per una settimana non ci sarebbe stato alcun bisogno delle pulizie.
E non lavorare per Leah non solo significava spreco di tempo o sfruttamento del luogo (da quando alloggiava al castello si era decisa a dover ricambiare la protezione offerta dal re, lavorando sodo, e non facendolo, appunto, per lei era come se fosse un disturbo per tutti).
Anzi, dalla serata scorsa, aveva bisogno per forza di fare qualcosa, per distrarsi dalle parole che Levi le aveva sussurrato.
Quella minaccia continuava a ronzare nella sua testa, senza sosta.
 
-So chi siete, piccola Clearwater. Non pensare di averla fatta franca, tu e il tuo caro fratellino-.
 
Strinse i denti, trattenendo la voglia di urlare a squarciagola.
Tirò un pugno contro il sacco per la sesta volta. Non avendo nulla da fare, doveva pur distrarsi con qualcosa. E il sacco di patate le era risultato la soluzione migliore. Solo che poi, man mano che cominciava a dargli dei colpetti leggeri, si immaginò la testa dell’ex-comandante al posto di quel sacco.
Naturalmente il nervoso le era salito il doppio, così cominciò a dare seri pugni contro quel povero sacco già malandato.
Era da tempo che sentiva la voglia di colpire qualcosa. E in effetti ad ogni pugno si sentiva già meglio, per poi risentirsi peggio quando quelle parole le riecheggiavano nella sua mente, tra un pugno e l’altro.
 
Non pensare di averla fatta franca
 
Un calcio.
 
So chi siete, piccola Clearwater
 
Due calci, poi un pugno.
 
Tu e il tuo caro fratellino
 
Ma lasciare Seth fuori da questa storia mai? Perché anche lui doveva subire questa tortura?
Un altro cazzotto bastò a far strappare il sacco dalla fune che lo teneva appeso al melo del piccolo orto.
Leah continuò a dare calci, digrignando i denti con così tanta forza da sentir male alla mascella, strinse i pugni così forte da sentire le unghie perforare la carne.
Si morse varie volte il labbro, rischiando di farlo sanguinare.
Dopo l’ennesimo calcio, il sacco si strappò, con stupore di lei.
Le patate erano belle fresche, o almeno così dovevano essere. Ora erano mezze schiacciate, quasi come se qualcuno avesse avuto la voglia di farci un purè.
La ragazza respirò forte, poi piano, sempre più piano, fino a recuperare la calma.
Prese il sacco, cercando di chiudere con una mano lo strappo per non far rovesciare il contenuto. Aprì la porta delle cucine con un calcio, facendola sbattere contro la parete.
Seth per poco non sobbalzò quando sentì lo schiantarsi del legno contro la pietra.
-Delicatisssssssssima- scherzò lui, mentre tagliava con cura l’insalata.
-Scusa, ho le mani un po’ occupate- si giustificò la sorella, mostrandogli il sacco, per poi poggiarlo sul tavolo.
Seth guardò il sacco, in particolare lo strappo, per poi notare come le patate fossero stranamente… piatte.
-E il sacco di patate sarebbe un valido avversario?- domandò il ragazzino, continuando la sua opera.
-Haha, spiritoso- fece Leah –Tu piuttosto da quand’è che ti metti a tagliare verdure?-
-Sono per i cavalli, devo dar da magiare a loro, no?-
-E il fieno?-
-Per favore!-
-Pensavo mangiassero quello…-
-Si, ma… uff, lasciamo perdere!- finì lui. In quel momento esatto entrò Madama Gianna. Sembrava più raggiante del solito.
-Qualche notizia buona?- chiese Leah, sperando che almeno questa fosse davvero buona.
-Certamente!- rispose la vecchia –Presto ci sarà il matrimonio tra la principessa Rebecca e il re Hawaiano… come si chiamava? Bah, non me lo ricordo-.
-Che bello!- esclamò Seth, finendo di tagliare la verdura.
-Ma qualcuno già sapeva della cosa evidentemente, eh?- domandò la vecchia alla giovane.
Leah si sentì in imbarazzo - oltre che essere leggermente in colpa.
D’altronde aveva violato quasi tutte le regole imposte da Madama Gianna. Era naturale che ce l’avesse con lei, o semplicemente che ne fosse rimasta delusa.
Abbassò la testa per la vergogna, finché non sentì uno strano peso su di sé.
Sgranò gli occhi quando si accorse che la vecchia donna la stava abbracciando forte. La cosa la confuse leggermente.
-Se credi che sia delusa, magari lo sarò un poco- disse Madama Gianna, con una voce stranamente dolce, consolatoria.
-Ma qualsiasi cosa accada, io vi considererò non solo due rompiscatole a tempo pieno… per me siete diventati ormai i figli che non ho mai avuto…-.
La ragazza si sentì strozzare e non di certo per l’abbraccio troppo forte della donna. Un nodo alla gola per poco non le impedì di respirare.
Sapevano tutti cosa era successo a Madama Gianna da giovane, sin dalla sua nascita.
 
La donna era sempre stata orfana, cresciuta da una famiglia troppo grande ma troppo povera per sfamare tutti quanti. I genitori adottivi la odiavano pure, credendo che fosse solo un incapace. D’altronde non l’avevano mai voluta. L’avevano solo trovata davanti alla loro porta di notte, con un biglietto che spiegava la morte dei suoi parenti. Un giorno l’avevano venduta ad un aristocratico come schiava, quando aveva solo sei anni (la cosa era proibita nel regno di La Push, punibile con il carcere a vita), senza che questa notizia passasse sotto il naso del re. La bimba era costretta a lavori forzati fino all’età di 22 anni, ovvero quando scappò dall’aristocratico dopo l’ennesima punizione (una frustata alla schiena).
La donna aveva vagato un po’ per il regno, senza un soldo per sfamarsi.
Una sera, mentre stava distesa a terra, con la pancia che brontolava peggio del solito e la morte imminente, una donna la trovò. Era vecchia di quasi sessant’anni (quasi un record per le donne dell’epoca), ed era la sguattera più vecchia del castello.
Madama Gianna era stata ospitata dalla vecchia, Madama Clarissa, al castello, con il permesso del re. Da allora lavorava come sguattera della reggia, ma la sua vita al castello era cento volte migliore di quella vissuta fin ora.
Quando poi Clarissa morì, fu compito suo organizzare le altre giovani sguattere per pulire e ordinare la reggia.
Aveva avuto anche una relazione con il Signor Chiavion, ma la cosa non durò a lungo, quando lui (all’epoca più alto) scoprì che la donna non poteva avere figli. Da sempre non li poteva avere.
E questo per la donna era più che triste. Il solo sapere di non poter mai abbracciare un bambino, né tanto meno avercelo, per lei era doloroso.
 
Leah e Seth lo sapevano da sempre, come tutti gli addetti al castello.
Ai due la vecchia aveva sempre fatto pena. E, (incredibile ma vero) anche loro la consideravano come una seconda madre. Non all’altezza della loro vera mamma, ovvio, ma.. era abbastanza vicina. Si era sempre presa cura di loro da ché avevano messo piede nella reggia, crescendoli non solo come dei lavoratori per il futuro, ma appunto, come se fossero suoi figli.
La ragazza ricordava come una volta la donna l’avesse consolata quando in piena notte era scoppiato un tuono, o quando, al tempo degli incubi, Madama Gianna arrivava per cantarle una ninna nanna e farla addormentare tra le sue braccia.
Ricambiò l’abbraccio dopo un po’ di tempo, mentre Seth stava ancora fissando le due con una faccia più che stupita.
-Grazie…- riuscì solo a dire la giovane, mentre scioglievano l’abbraccio.
La vecchia si asciugò un occhio con l’indice, sorridendo. Una cosa che capitava raramente.
 
Il giorno dopo finalmente la sguattera aveva qualche lavoretto da fare.
Certo, stendere il bucato, pulire le finestre, portare la colazione, pranzo e cena (Kim si era ripresa, ma era ancora stranamente debole alle gambe, per cui Carlisle le aveva espressivamente proibito di muoversi per due giorni o tre) alla famiglia reale, e aiutare il fratello con l’orto non era cosa da poco. Ma era contenta di fare qualcosa. In questo modo si sarebbe distratta meglio dal peso che le aggravava il cuore.
 
 
Non pensare di averla fatta franca
 
 
Ormai quelle parole la devastavano anche nel sonno. I suoi incubi fanciulleschi, da quella sera, divennero pessimi, quasi insopportabili.
 

Due bambini, uno di cinque anni, e un altro di dieci, chiusi a chiave in una gabbia di ferro. Intorno alla gabbia c’erano i corpi del resto della famiglia reale e di Harry e Sue, a terra, i volti coperti di sangue.
La gabbia, i bimbi e i corpi erano entro una stanza, fredda e sinistra. L’unica luce proveniva dalla porta aperta, e allo stipite, una bambina di dieci anni fissava la scena, con il terrore dipinto in volto e gli occhi luminosi carichi di lacrime.
Saltando da un corpo all’altro, raggiunse i due bambini. Quello più piccolo non la smetteva di piangere.
-Andrà tutto bene- disse la bimba, cercando di calmare il piccolo –Vi farò uscire da qui, promesso!-.
Provò ad aprire la gabbia con le sue forze, invano. Si guardò attorno, in cerca di una chiave per aprire il lucchetto o almeno un ascia per romperlo.
-Non puoi- disse l’altro bambino.
La sua voce costrinse la piccola a voltarsi verso di lui.
I suoi occhi erano freddi, scuri, come se non avessero mai visto la luce. O come se questa luce fosse stata sottratta a lui.
-Come no?- domandò lei –Posso eccome! Datemi del tempo perché…-
-Voglio la mamma!- piagnucolò ancora il bimbo più piccolo. Ormai il suo viso era bagnato dalle calde lacrime, gli occhietti ridotti a due fessure minuscole, la bocca spalancata in un continuò urlo di terrore e tristezza.
Si stropicciava gli occhi con le sue piccole manine, incapace di calmarsi.
-Tr-tranquillo, andrà tutto bene…- disse la bambina, provando a consolarlo. Ma perché l’altro non lo faceva? Perché aveva quei occhi vuoti, sinistri?
-Ti prego, calmalo, mentre cerco un modo per farvi uscire!- urlò lei, facendo passare la mano attraverso le sbarre e scuotendo la spalla di lui.
Il bambino si accorse solo ora della sua presenza. Alzò il viso verso di lei.
-…Scappa…- disse solo, con una voce mezza strozzata.
La piccola non capì.
Gli occhi del bimbo uscirono fuori dalle orbite, le iridi minuscole.
Erano occhi terrificati, spaventati.
Prese la mano della bambina, stringendola, per poi baciarla delicatamente sul palmo, senza staccarle gli occhi di dosso.
-Cosa… ti succede?- domandò lei, con un filo di voce.
Il più piccolo non la smetteva di piangere.
-Leah… SCAPPA…- fu l’ultima cosa che sentì pronunciare dalla sua bocca.
Di colpo la porta si chiuse. La stanza divenne così buia che la piccola Leah non potte vedere proprio nulla.
Buio pesto. Buio di terrore.
Tutt’a un tratto non sentì nulla.
Il lamento del piccolo era finito.
Al suo posto sentì come  se una lama affilata tagliasse l’aria, l’acqua schizzare via, la carne venir squagliata.
-Jacob…? …Seth…?- domandò Leah, in preda al panico.
Nessun rumore, nessun suono.
-Jacob?- domandò di nuovo.
-Li hanno raggiunti- disse una voce alle sue spalle. Leah deglutì. Non poteva vedere nulla, ma riusciva chiaramente a distinguere la voce. Era quella voce.
Voltò la testa di appena novanta gradi, il terrore farsi vivo in lei.
Dalla piccola finestra in alto i raggi lunari le schiarirono la visuale.
Gli occhi dell’uomo, normalmente scuri, erano rossi, assetati di sangue.
-Ma tranquilla.
Li raggiungerai presto anche tu!-
 
-NON CI PENSARE, NON CI PENSARE, NON CI PENSARE!!!- continuava a ripetersi, scuotendo energicamente la testa.
-Leah, hai finito di parlare a vanvera?- chiese Emily alle sue spalle, stufa del suo strano comportamento. Era da stamattina che faceva così, parlando sottovoce da sola e scuotendosi la testa continuamente.
-Ah, già scusa- fece lei, sorridendo appena.
-Questi sono i piatti che devi portare, Leah- disse lo chef della reggia, indicando i piatti pieni sul tavolo. Il suo nome era Quil Ateara, nonno di uno dei soldati del re che portava, guarda caso, il suo nome.
-Si, certo- annui.
-Sicura di poterli portare senza ciarlare troppo?- chiese invece Madama Gianna, mentre li posava sul carrello di legno.
-C-certo… terrò la bocca chiusa…- si scusò Leah, mentre dei passi cominciavano a scendere le scale.
-Vedo che qui vi date un po’ tutti da fare, eh?-.
“Quando si parla del diavolo spuntano le corna” pensò Leah, provando a non rientrare in quello stato di shock.
Levi entrò nelle cucine, annusando l’aria.
-Mhm, come al solito la sua cucina è ottima, chef-.
-G-grazie…- disse il vecchio cuoco. La ragazza notò come l’uomo, ormai sulla sessantina, tremasse. Strano. Non tremava mai. Eppure, quando è entrato Levi… e quel modo di balbettare, poi! Che significava?
Smise di pensarci (probabilmente di stava soltanto immaginando la cosa) e andò ad aggiungere i preziosi fazzoletti al carrello. Frugò nel cassetto in basso, prendendo quelle bianche a ricami rossi, i preferiti della famiglia reale.
Appena il tempo di voltarsi che, con orrore, si accorse di un altro fatto.
Madama Gianna e Emily erano completamente girate verso il bancone per lavare i piatti, mentre il vecchio Quil sistemava le pentole ormai pulite.
Per questo nessuno, eccetto Leah, potte vedere, anche se per un secondo, l’ex-comandante versare qualcosa di liquido da una fiala trasparente su un piatto.
Era un liquido fluido quanto l’acqua, color viola. Un viola intenso, un viola che le ricordava… il veleno.
Leah tossì forte, mettendo in allarme l’uomo, che tappò immediatamente la fiala, infilandosela dentro la divisa. Si avvicinò al carello, evitando, ovviamente, di guardarlo. Mise in modo quasi perfetto le stoffe sotto i piatti, facendo finta di niente.
-E’ da molto che lavori qui?- domandò all’improvviso Levi alla ragazza.
“Calma Leah, calma” si disse, trattenendo l’ira che colmava il suo cuore.
Strinse i pugni, quasi scrocchiandosi le nocche, per trattenersi ancor meglio.
Aprì la bocca per rispondere, ma Madama Gianna, che si era appena voltata, fu la prima a parlare:-Oh si, Sir Levi, lei e il suo fratellino sono qui da anni-.
-Oh, davvero?- chiese l’uomo.
-Ma certo- continuò la donna –Sono arrivati qui dieci anni fa esatti. Poverini, qualcuno li aveva bastonati alla grande, perché quando si sono presentati qui erano ridotti malissimo. Erano fradici e sporchi di sangue e fango. Mio Dio, se solo sapessi chi è quel diavolo che li ha trattati in questa maniera…-.
Cosa cavolo fai? Basta, stà zitta, non lo capisci che stai parlando proprio con quel “diavolo”? avrebbe voluto dire Leah.
Il suo cuore galoppava veloce per il nervoso. E’ vero, Levi sapeva già di loro, su questo non c’erano dubbi, ma non le sembrava proprio il caso. La situazione sarebbe solo peggiorata così!
-Sul serio?- fece Levi, voltando la testa verso Leah. Non poteva vederlo, standogli di spalle, ma avrebbe giurato dieci monete d’oro che quell’uomo la stava incendiando con gli occhi.
-Maggior parte di coloro che sono qui oggi hanno subito più o meno questo tipo di tortura- aggiunse la vecchia –tutti ritrovati da fanciulli o già adulti con milioni di ferite sul corpo. oserei dire che questo tipo sia un serial killer. Peccato che nessuno di loro ne abbia mai parlat…-
-Madama Gianna! Hai dimenticato di lavare quel piatto o sbaglio?- si intromise di colpo lo chef, interrompendo la vecchia.
“Un momento, come sarebbe a dire? Io e Seth non siamo gli unici?” pensò la ragazza, confusa. Di colpo le venne in mente cosa accadde al suo primo bacio con Jacob, anzi, un attimo prima di quel dolce ricordo.
 
Jacob aprì la busta e lesse la lettera ad alta voce:
 
VOSTRA MAESTÀ,
MAGGIOR PARTE DEL VOSTRO REGNO NON È RIUSCITO A PAGARE LE SOLITE TASSE. TUTTAVIA LE SEGUENTI FAMIGLIE CHE AVEVANO IN AFFITTO LE SUE TERRE SONO STATE COSTRETTE A RESTITUIRLE A LEI. LE FAMIGLIE CHE ORA NOMINERÒ SONO FAMIGLIE DI CONTADINI CHE ERANO AL SUO FEDELE SERVIZIO.
SONO:
LA FAMIGLIA YOUNG
LA FAMIGLIA ATEARA
LA FAMIGLIA CALL
LA FAMIGLIA LAHOTE
LA FAMIGLIA CLEARWATER....
 
Una lampadina si accese sopra la testa di Leah. Emily era della famiglia Young, i parenti della famiglia Clearwater. Il vecchio Quil e suo nipote erano della famiglia Ateara. E ci avrebbe anche giurato che un altro soldato era della famiglia Call…
Allora Seth e Leah non erano gli unici! Certo, sapeva che Emily era arrivata qui più o meno nelle stesse condizioni dei due, ma nessuno dei suoi cugini aveva avuto il coraggio di chiederle la sua storia.
Ma ora la sapeva. Perché era identica (o almeno a grandi linee) alla loro.
-Cosa, quale piatto?- fece la vecchia mentre la ragazza arrivava a questa ovvia spiegazione.
-Quello!- fece il vecchio Quil.
“Ecco perché tremava fino ad un attimo fa” pensò poi la sguattera “certo, di fegato per interromperla ne ha trovato parecchio”.
-Beh, sembra che abbiate molto da fare, quindi, con permesso…- li salutò Levi, dirigendosi verso la porta di servizio.
Nel mentre non mancò di sussurrare nuovamente a Leah (senza che qualcuno se ne accorgesse):
 

-Il vecchio ha avuto più coraggio di te, stupida bambina-
 
Come quella sera, Leah rimase bloccata, il sudore freddo sulla fronte.
Per poco non fece un verso di puro terrore.
L’uomo uscì e nella cucina tornò l’aria calda di prima.
-Io ho pulito tutti i piatti, vecchio scemo!- strillò arrabbiata Madama Gianna.
-Oh, non me ne sono accorto, sai, la vecchiaia…- si scusò il vecchio Quil.
-Tutto bene?- chiese Emily, porgendosi verso la cugina.
Quest’ultima tornò subito in sé, si massaggiò le guance (freddissime e, ci avrebbe giurato, sbiancate), e disse:-Si, vado a consegnare la colazione-.
La cugina annui, in pensiero per lei, mentre la ragazza traportava il carello dalla scorciatoia che collegava le cucine al primo, secondo e quarto piano.
Era un corridoio stretto, senza finestre, con solo delle fiaccole accese alle pareti.
Il passaggio non aveva scale, ma solo salite e discese lisce, perfette per far passare il carrello. E poi la strada per le stanze dalle cucine e viceversa era molto più breve.
Sapeva perfettamente che quell’uomo, quel verme disgustoso aveva messo del veleno solo in un piatto.
Aveva annusato per bene le pietanze, ed in effetti solo un piatto aveva un odore strano. Decise di metterlo sul ripiano sotto il carello.
Consegnò in fretta la colazione a Rebecca (che non faceva altro che sognare ad occhi aperti il suo re hawaiano), e a Rachel (che si congratulava continuamente con lei per l’ottima impresa e si lamentava di quanto la sorella fosse troppo distratta ultimamente) con tanta facilità.
Quando arrivò nella stanza del re, teneva sempre il capo basso. Certo, sapeva della decisione di lui, ma si sentiva comunque in imbarazzo per quella figura al ballo.
Consegnò da magiare, ma quando arrivò all’uscio della porta, Billy disse:-Sai, ho sempre pensato che avevi qualcosa di speciale-.
Leah si bloccò, stupita, senza voltarsi.
-Non sono mai riuscito a capire cosa, però- continuò –Ma… evidentemente mio figlio ci è riuscito. Per questo è impazzito per te. E, da buon padre, ho deciso di accontentarlo per questo-.
La ragazza si voltò, fissando il re. Aveva la faccia seria e serena allo stesso tempo. E lei che pensava che fosse arrabbiato nonostante tutto.
-Insomma, non capita tutti i giorni che un principe ed una…. Serva… si innamorino così profondamente da ignorare ogni regola. Io e Sarah eravamo così. Io ero il nipote di Ephraim Black. I miei all’epoca erano morti, quando incontrai Sarah. Era la figlia di un mercante, e nonostante il basso rango, era una ragazza bellissima- (mentre lo diceva, fissava l’alto, assumendo l’aria sognante di Rebecca)-ed era così brava nella pittura che sarebbe potuta diventare un’artista di successo se non fosse perché era una donna. Ma io me ne innamorai ugualmente. Ci innamorammo, nonostante le regole di mio nonno. Lui ci scoprì una volta. Non sto a raccontarti la lavata di capo-(rise)- ma poi, dopo mille suppliche, accettò di farci sposare. Questo è un altro motivo per cui vi sto regalando quest’opportunità. Vi posso capire appieno, posso capire come vi sentite entrambi. E perché negarlo, allora?-.
Leah era rimasta senza parole. La storia del re, così simile a quella di Leah e Jacob, l’aveva stupita.
-Secondo me, per Jacob sei una perfetta moglie- finì, abbuffandosi sulla colazione (in modo moderato, si intende).
La ragazza arrossì alla sola parola moglie.
-Grazie… maestà- disse piano lei, uscendo dalla stanza.
-Ma di cosa, bimba? Vai da lui e divertiti!- disse il re, mentre lei chiudeva la porta.
“DIVERTITI????” pensò lei, rossissima. Senza pensarci troppo raggiunse la sua stanza. Bussò e dopo un assonnato :-Avanti!- dall’altra parte della porta, entrò.
La stanza di Jacob era quasi simile al suo laboratorio, piena zeppa di libri sulla meccanica, fisica, e cianfrusaglie varie ideate da lui. Modellini e pergamene con vari schizzi sulle sue idee riempivano il suo tavolo di legno in fondo alla parete.
Vicino ad esso, su un letto matrimoniale a baldacchino, il principe si stropicciava un occhio.
Leah rimase un minuto buono a fissarlo, sbigottita.
-Oh, buongiorno bellissima!- la salutò Jacob, sorridendo.
-B-b-b-b-buong…. MA PERCHE’ CAVOLO DORMI A PETTO NUDOOOO????- strillò lei, la faccia ancor più rossa e il cuore in agitazione.
-Eh?- fece lui, fissandosi il corpo. –Oh beh- si grattò la nuca –Faceva abbastanza caldo, e poi mi infastidisce-.
-Hai seri problemi, lo sai?- disse lei, con un espressione che voleva dire: “Mi prendi in giro?”.
-Uh?-
-Siamo in pieno autunno!- disse Leah, esasperata.
-Non lo so se hai notato, ma le stanze nostre sono sempre troppo calde…-
-Oh- fece lei. In effetti era caldo lì dentro. Allora erano le cucine ad essere troppo fredde…
Portò il carello vicino al letto, porgendo a Jacob l’ultimo piatto.
-Non dovevi mica disturbarti- si lamentò lui.
-E’ il mio lavoro, e finchè Kim ritorna a camminare invece di zoppicare…- disse lei, con la voce troppo seria.
Il suo sguardo era fisso sul piatto. Su quella pietanza avvelenata.
-Beh, allora…- fece il principe, prendendo una forchetta, pronto ad infilzare la colazione.
Ma nell’attimo esatto in cui poggiò le punte della posata sul cibo, la ragazza lanciò via il piatto alle sue spalle.
Questo andò a finire contro la parete, sporcandola.
Jacob rimase a fissare prima il muro, poi lei, decisamente confuso.
-Ehm… guarda che ti avrei offerto la metà…- disse.
Leah scosse la testa.
-No, saremo morti entrambi in quel caso- disse, serissima.
-C-come?- chiese lui, sicuro di aver capito male.
-Era avvelenata, Jacob!- strillò lei di colpo –Possibile che non ne avessi avvertito l’odore??-.
Calò uno strano silenzio, seguito dalla faccia sbigottita di lui.
-Avvelenata…?- disse, con un groppo in gola.
Leah annui, sedendosi di fianco al principe sul suo letto. Il materasso era bello morbido.
-Come.. insomma… cosa… Leah…. Come avvelenata? Di che stai parlando?- chiese di nuovo, nervoso. Nessuno fin ora aveva tentato di avvelenarlo. Poteva essere stato Sam per lui. D’altronde i due si odiavano a morte.
La ragazza si strinse la gonna sulle ginocchia. La rabbia le saliva sempre di più. Era chiaro che Levi voleva far fuori la famiglia reale, ma perché? Se lei non si fosse accorta della cosa, molto probabilmente…
Si strozzò per poco con la saliva al solo pensiero.
-Uff…- sbuffò il principe, passandosi una mano sulla fronte e poi tra i capelli.
-Certo… che il destino gioca proprio brutti scherzi, eh?- disse Leah, la voce così piana, leggera e triste che a Jacob si spezzò il cuore.
-Di… cosa stai parlando?- chiese, stringendole la mano. Lei ricambiò la stretta, voltando piano la testa verso di lui. Quando i loro occhi si incontrarono, il ragazzo avrebbe voluto abbracciarla forte. Gli occhi di lei erano così carichi di angoscia e tristezza…
Se avesse solo fatto ricadere una lacrima di certo non avrebbe resistito e l’avrebbe stretta forte a sé.
-Voi… non … vi dovreste fidare di Levi…- disse Leah. Il suo tono era serio, ma nascondeva anche una certa rabbia.
-Levi? Che c’entra, scusa?- domandò Jacob, ancor più confuso di prima.
Leah sbuffò.
-Non bastava la nostra vita. Deve per forza distruggere anche quella degli altri..- fece, fissando il pavimento.
-Distruggere la vita a chi? Leah, ti prego, raccontami cosa è successo da capo, altrimenti finirò per scoppiare e…-.
Non sapeva cosa fare. L’aveva vista triste, ma mai fino a questo punto.
Era quasi… come quando lei aveva saputo del suo matrimonio (ora saltato).
-D’accordo- disse lei, voltando l’intero busto verso di lui. Scacciò via il groppo in gola, facendosi coraggio.




Angolo Autrice: Yoooo bella gieeeenteeeee! Che dite, sono stata veloce stavolta? XD
Ok, lo so che ci tenevate a sentire la storia, ma in questo modo il capitolo veniva troppo lungo, e per di più, messo così si rovinava a parer mio.
Beh.... non so cosa aggiungere XP 
Fatemi sapere e un grazie a coloro che mi seguono :*
Delyassodicuori

 

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Capitolo 8
*** 8_The Impossible Love_parte 8 ***


SPECIALE: L'ANGOLO DELLE FANFICTION DI RENESMEE parte 8

-Ehi, papà! Guarda cosa ho trovato!- esclamò una bambina, salendo la collina di corsa.
Era una calda giornata di fine estate. Il sole stava ormai calando, colorando con i suoi ultimi raggi il cielo di arancio e violetto.
La collina ove si trovava, vicina di soli pochi chilometri alla spiaggia, lera bella erbosa, mentre quelle di fianco erano zone dedicate ai campi di coltura. Uva, cereali, grano, ogni cosa si coltivava in quei campi. E quei campi appartenevano alla famiglia Clearwater. Erano solo una famiglia di contadini, che il re, però, notando il loro grande talento nel coltivare, decise di nominarli suoi vassalli.
Non erano però vassalli molto ricchi. Loro non amavano il denaro. Preferivano vivere all’aria aperta, lontano dalla vita cittadina.
E vivevano bene. Si nutrivano di ciò che la terra offriva a loro.
Si divertivano con ciò che la natura offriva loro.
La bambina finì di salire, con il fiato sospeso, ma con il sorriso raggiante.
Era una fanciullina di appena dieci anni, dai morbidi capelli lunghi e neri, la carnagione bronzea e gli occhi color cioccolato fondente.
Tutta la sua famiglia era scura di carnagione, capelli e occhi. Era una fisionomia assai diffusa in quel regno.
-Cosa c’è, piccola Leah?- chiese suo padre, Harry, mentre finiva di sistemare i ramoscelli vicino alla parete esterna della loro casa.
Era piccola, di legno, con le mura circondate da una grande e verdissima edera, ma confortevole, e durante l’inverno sapeva tenere bene il caldo al proprio interno.
L’uomo aveva circa 35 anni ormai, e si poteva notare qualche ciuffo bianco tra i capelli neri.
Leah si avvicinò al padre, mostrandogli ciò che teneva in mano.
-Non è grazioso?- chiese la piccola, sorridente.
Harry non sapeva se ridere o meno. Quello che teneva in mano era un ragno peloso, innocuo, ma pur sempre un ragno.
-Leah, non si prendono così gli insetti- fece lui, scuotendo la testa.
-Ma è carinoooo!!!- disse la bimba, fissando il ragnetto. Ai suoi occhi l’insetto era davvero dolce e tenero.
-Cosa è carino?- chiese alle sue spalle un bambino più piccolo, di appena cinque anni, dal sorriso più dolce e tenero del pianeta.
-Questo!- fece Leah, mostrando al fratellino il ragno.
Seth rimase a fissarlo per un po’. Un ragno così grosso… così peloso… con quelle zampe… e quegli occhietti rossi e quella bocca sbavosa… dovrebbe essere carino?
Il piccolo sentì un brivido alla schiena.
-Bleah, che schifo!- fece, togliendo lo sguardo dalla creatura.
-Maleducato!- sbuffò la sorella, contrariata dalla sua opinione.
-Seth, sei un maschietto, non dovrebbero piacerti gli insetti?- chiese Harry al piccolo.
-Si, ma questo fa proprio schifo! Dov’è carino, Lee?-
-Ragazzi, si sta facendo buio e la cena è pronta!- li richiamò la mamma Sue dalla casa.
-Arriviamo- risposero in coro i tre, entrando dentro casa (naturalmente Leah lasciò andare il ragnetto prima di entrare).
-Cosa abbiamo di buono, tesoro?- domandò l’uomo alla sua donna. Sue era una delle poche donne del regno a possedere una bellezza assoluta, trasmessa poi alla figlia. I capelli neri e lunghi le ricadevano lisci sulle spalle, e i suoi occhi erano sempre luminosissimi, carichi di amore e felicità.
Vedere i suoi figli crescere di giorno in giorno e il marito che la baciava la sera prima della cena… non poteva chiedere di meglio.
-Minestra di pollo- rispose lei, ricambiando il bacio a stampo di Harry.
-Bleah!- dissero i due bambini, seduti al tavolo.
-Parlate presto voi due- rise Harry –Tanto vi capiterà!-
-No uffa, io voglio diventare un forte e valoroso cavaliere!- disse la bimba, alzandosi sulla sedia e mostrando la forchetta in alto, come se fosse una spada.
-Spetta e spera, sorellona!- rise il fratellino, bevendo un sorso d’acqua dal bicchiere.
-Ehi, è un suo sogno, lasciala fare- fece Sue, portando il pasto a tavola.
La cena si era svolta tranquilla, tra risate e chiacchere, come sempre.
Il momento del pasto per loro era sempre così. Allegro e sereno.
Dopo mangiato, Leah aiutava sempre sua madre a pulire i piatti, mentre Harry giocava con il piccolo Seth.
Quando le due finivano di riordinare tutto, la famiglia si riuniva intorno al camino di pietra. Il padre accendeva il fuoco, mettendo a bollire del thè, mentre Sue coccolava i due bambini.
Quando il thè era pronto, tutti cominciavano a berlo, per poi raccontarsi a turno una favola.
Quella sera toccava ad Harry raccontare qualcosa alla famiglia.
-C’era una volta, in un paese molto lontano, una giovane fanciulla, bellissima, dal cuore forte e dall’animo più puro che possa esistere al mondo.
Viveva in un castello magico, sopra le nuvole. Ma il castello non era suo. Lei, infatti, era la sguattera di corte. Il castello apparteneva ad un principe forte e valoroso, buono e gentile.
Ma al giovane mancava qualcosa. Qualcosa che mancava anche alla fanciulla.
A loro, miei cari, mancava l’amore-.
-Oooohhhh- fece Leah, colpita.
-Come mancava l’amore?- chiese Seth, succhiandosi il pollice e stringendosi forte il suo orsacchiotto.
-Beh, nessuno dei due aveva qualcuno con cui stare. Vivevano da soli in quel castello sopra le nuvole, nonostante il villaggio che li circondava-.
-Quindi c’era anche un villaggio?- chiese Leah.
-Si- rispose Harry –Ma nessuno entrava nel castello-.
-Perché?- chiesero i due bambini.
-Perché, nonostante il buon animo del principe, nessuno si preoccupava di lui. Pensavano infatti che non fosse un buon regnante, e così volevano vivere le loro vite senza farsi condizionare da lui.
Comunque sia, il principe era talmente solo e depresso, e la sguattera era l’unica persona con la quale si confidava. E questo perché anche lei si sentiva sola, molte volte. Non le era rimasto nessun caro parente al suo fianco, nemmeno un amico su cui fare affidamento. Nessuno dei due aveva nessuno eccetto loro stessi-
-Cioè?- chiese la piccola Leah, sempre più rapita dal racconto. Era sempre così: i racconti del padre erano i migliori.
-Cioè?- fece Harry –Beh, con il tempo capirono che, per soddisfare il loro bisogno di stare con qualcuno, dovevano fare affidamento tra di loro. Cominciarono così a frequentarsi di più, a parlare, chiacchierare e scherzare come due buoni amici, fino a quando, entrambi, un bel giorno, si accorsero che i loro cuori battevano ad un ritmo strano. Forte, veloce, potente, un ritmo che fin’ora non avevano mai sentito, ma che regalava loro sensazioni piacevoli.
Capirono, dunque, che non era la semplice amicizia che li univa. Era l’Amore-.
I bimbi rimasero con il fiato sospeso, in particolar modo la piccola.
Sue sorrise e sotto lo sguardo magnetico di Harry, arrossì.
-Quindi si sono sposati?-  chiese Leah, gli occhi luminosi e il sorriso a trentadue denti.
Harry annui:-Esatto. Si sposarono e vissero insieme…-
-Ma io credevo che accadesse dell’altro!- sbuffò il piccolo Seth.
Sue rise allegramente, dando un puffetto sulla guancia del bimbo.
-Effettivamente accadde dell’altro- spiegò l’uomo –dopo il loro matrimonio si ritrovarono l’intero regno contro di loro. Perché? Semplice. Non erano d’accordo sul loro matrimonio. Così una notte assediarono il castello.
Ma il principe riuscì a portare in salvo la sua amata, che nel frattempo aspettava un bambino. Il loro bambino-.
Leah rimase con il fiato sospeso, mentre Seth sgranava gli occhi dall’emozione.
-La nascose in una stanza segreta, che conoscevano solo loro. Ci entrò anche lui, per dare l’ultimo saluto all’amata. La sguattera, però, lo supplicò varie volte di non andare, di rimanere al suo fianco, di scappare insieme. Dopo varie suppliche, però, il principe non potte accettare. La baciò dolcemente, le asciugò le lacrime e chiuse la porta della stanza a chiave-.
-E poi?- domandarono i bimbi, immersi nel racconto, sempre più emozionati.
-La donna riuscì a scappare da una seconda porta che dava fuori dal castello. Si nascose in una stalla, aspettando con ansia che il suo amato tornasse, ma ciò non accadde mai.
Dopo tre giorni interi, nascosta tra il fieno e i cavalli, la ragazza sentì qualcuno chiamarla per nome. Lei si alzò e spinta dalla curiosità andò a vedere chi era.
Il principe era ritornato. Era ferito, si, ma era vivo.
La ragazza pianse forte, correndo poi ad abbracciarlo. Ma non appena lo sfiorò, l’immagine del principe si dissolse, come un fuoco che si spegne di colpo.
La donna non capì inizialmente, credendo che fosse una sorta di miraggio, ma poi, con il cuore in gola e la bocca amara, si rese conto che quello era lo spirito del principe. Non era vivo, come credette lei.
Si inginocchiò a terra e pianse, pianse e pianse.
Non faceva altro che piangere, giorno e notte, nascosta nel fieno.
Le sue lacrime cadevano sempre nello stesso punto, e un giorno, mentre continuava a singhiozzare, da quel punto apparve una pianta. Era un fiore color rosso fuoco, bellissimo.
La ragazza lo ammirò, incantata.
Quando sfiorò il fiore, sembrò quasi di vedere i suoi petali infiammarsi, nel vero senso della parola. Andarono a fuoco, senza però bruciare. Superato lo spavento iniziale, la sguattera provò a ritoccare il fiore. Quando lo fece, non andò a fuoco come temeva. Era caldo, ma non bruciava. Era un calore accogliente, protettivo, che aveva già avvertito quando il marito la stringeva a sé. E poi, come per magia, il fiore parlò. Era la voce del principe. Lo spirito si era reincarnato in quel bellissimo fiore ardente.
La ragazza singhiozzò, stavolta commossa. Decise di prendere il fiore e di piantarlo con cura. Da quel giorno, assieme al loro piccolo bambino, mettevano del carbone e un poco di fieno dentro il vaso del fiore, come fonte di nutrimento-.
-E l’acqua, allora?- chiese Seth.
-Si sarebbe spento in questo modo, e la donna avrebbe solo perso nuovamente il suo amato- spiegò il padre.
-E come finisce?- chiese Leah.
-Semplice: fino alla fine dei loro giorni madre e figlio nutrirono quella pianta. Quando i loro giorni finirono, anche la pianta morì, la i tre spiriti furono nuovamente riuniti, insieme, per sempre-.
-Leah, stai piangendo?- chiese tutt’a un tratto Sue, fissando la figlia con aria materna. La piccola si asciugò gli occhi luccicanti e disse:-Era una bellissima storia, triste, ma bellissima…-
Il padre rise e abbracciò la piccola, baciandola sulla nuca.
-Bene, e ora andiamo tutti a nanna, ok?- proposero i genitori, e come risposta sia Seth che Leah sbadigliarono.
L’uomo e la donna li posarono delicatamente su un unico letto (tanto erano piccoli, c’entravano entrambi), stendendo su di loro una pelliccia calda. Sorrisero, fissando i bambini sul procinto di dormire, dando loro il bacio della buonanotte.
 
 
Uno strano rumore costrinse la piccola Leah a svegliarsi da un sonno senza sogni. Aprì lentamente gli occhi stanchi, confusa.
Cos’era questo rumore nel cuore della notte?
Si sedette, stropicciandosi l’occhio sinistro, mentre una ciocca di capelli le ricadeva sulla fronte. La scostò, e nel mentre, sentì delle voci.
Due le riconosceva, ma chi era il terzo che parlava? Sembrava appartenere ad un uomo adulto.
Era roca e  dura, fastidiosa e spaventosa.
-Cosa succede?- chiese il piccolo Seth, sbadigliando, mentre la sorella fissava la porta aperta della loro stanza. La luce nella sala era ancora accesa?
-Non lo so- rispose lei, alzandosi dal letto, con il fratellino che la seguiva a ruota.
Si diressero verso la porta. Sbirciarono da dietro essa, senza fare il minimo rumore.
Riuscirono a vedere, sotto la luce fioca della candela sul tavolo da pranzo, i loro genitori discutere con qualcuno.
Era un uomo alto e grosso, i capelli neri e gli occhi scuri, come se fossero privi di luce.
I lineamenti del volto, però, agitava i cuori dei bimbi, se non di Harry e Sue.
Erano lineamenti decisi, retti, privi di dolcezza. Sembrava molto il classico stregone delle favole notturne di Sue.
Ma non erano solo i lineamenti ad incutere timore. Lo sguardo era deciso, pericoloso, come un leone pronto a balzare sulla preda.
L’uomo indossava un mantello nero e spesso, che lo copriva dal collo agli stivaloni scuri.
-Dunque, mi state dicendo che non avete il denaro?- chiese l’uomo. La sua voce fece rabbrividire i bambini. Seth si aggrappò alla veste bianca senza maniche di Leah, intimorito.
-Te lo abbiamo ripetuto ormai un miliardo di volte, Levi!- disse Harry, con un tono agitatissimo e furibondo, come se cercasse di non saltargli addosso.
-Non abbiamo ancora i soldi necessari! Non ci dai mai il tempo di raccoglierli, miseria!-
-Invece di tempo ve ne sto dando anche troppo!- rispose l’uomo dal nome di Levi, quasi come se volesse sputare a terra.
-No, invece- ribatte la moglie, nervosa, con le mani al cuore –Di tempo ce ne accorciate troppo. Tutte queste tasse non riusciremo mai a pagarle se non ci date del tempo necessario!-.
-Chiudi il becco, donna- disse acidissimo Levi, bruciandola con lo sguardo.
-Non. Rivolgerti. Così. A. Mia. Moglie!- sibilò tra i denti Harry, stringendo saldamente i pugni.
-Io mi rivolgo ad essa come mi pare e piace- fece l’uomo –ed essendo il comandante, ho più diritto di te di parlare a qualcuno con qualsiasi tono. Tu, d’altro canto, dovresti insegnarle a tenere a fermo la lingua!-
-Noi non seguiamo il vostro stesso concetto di “donna”, sporco riccone- ribatte il padre dei bimbi, che continuavano a fissare la scena con il fiato corto.
-Sporco riccone a chi?- chiese Levi, assumendo sempre più uno sguardo omicida, da far rabbrividire persino le ossa.
-Per favore, Sir Uley!- lo supplicò Sue, sempre più agitata e impaurita –Abbiamo dei bambini noi, e dobbiamo pensare a nutrire anche loro oltre che pagare le tasse. Dateci un altro po di tempo e vedrete che il denaro nostro giungerà alle vostre casse-.
-Tu parli troppo per una donna- disse il comandante, tornando a fulminarla con gli occhi.
-Ma insomma, perché non ci volete ascoltare?- fece Harry, sul punto di perdere la testa –più i giorni passano e più ci impoveriamo! Siamo la famiglia al servizio del re più povera di questo regno, e infatti, come può ben vedere, non abbiamo uomini noi! Abbiamo solo questa casa, la nostra famiglia e le terre da coltivare per noi e per il regno! Non abbiamo nulla se non queste cose! Non siamo feudatari ricchi, anzi, siamo molto poveri! I soldi li abbiamo a malapena per noi stessi!-
-E con ciò?- fece Uley –vorresti dirmi che non volete pagare?-
-No, al contrario, vorremo farlo!- rispose la moglie –Ma come dice mio marito, ci mancano i fondi necessari per…-
Non riuscì a finire la frase. L’uomo tirò fuori la sua spada, impugnandola contro la giugulare della donna.
Leah e Seth tremarono alla sola vista.
La loro mamma stava lì, con la punta della lama quasi a sfiorarle la pelle d’oca.
Leah sentì un brivido freddissimo lungo la schiena, mentre Seth si aggrappava sempre più a lei.
-Ghh- fu il verso che usci tra i denti stretti di Sue. Due gocce di sudore scivolarono lungo la sua fronte.
-Stà zitta, donna!- sibilò Levi Uley, lo sguardo nero e pietrificante.
-Lasciala stare!- strillò Harry, sudando anch’esso –Non ha detto nulla di male!-
L’uomo posò poi lo sguardo sul contadino, sempre con la stessa espressione malvagia.
In un secondo, un largo sorriso malefico contornò il suo orrido viso.
Senza che Harry potesse far nulla, sotto il suo e lo sguardo incredulo dei bambini, Levi afferrò Sue per il gomito, trascinandola davanti ad esso. La afferrò saldamente per la gola, bloccandola poi il braccio. Impugnò la lama sempre contro la sua gola.
-E’ un peccato che debba uccidere una donna che ciarla tanto, ma che…-(e in quella annusò i suoi capelli, godendosi quell’odore squisito)-… è allo stesso tempo una bellezza mozzafiato!-
“Lascia stare mia madre!” avrebbe voluto urlare Leah, il cuore sempre più in subbuglio, ma non appena aprì bocca per ribattere, Harry urlò, decisamente fuori di sé:-Lasciala andare!-.
Il tutto accadde in un colpo.
Harry si gettò su Levi, con le mani sul braccio che stritolava Sue.
Levi lo schivò, spostando la lama dalla moglie al marito.
Un colpo.
Un colpo silenzioso.
Gli sguardi dei due fratelli si fecero più increduli, più spaventati, più agitati.
Gli occhi di Leah, Seth e Sue erano fuori dalle orbite, le iride ridotte a minuscolissime fessure, le bocche spalancate,  le espressioni nere e terrificate.
Il sangue schizzò, finendo sulla parete al fianco di Levi e sul pavimento di legno.
La lama si era appena imbrattata di quel liquido rosso.
Gli occhi di Sue erano su quelli di Harry che, mentre scivolava a terra, perdevano man mano la loro luminosità.
Con un tonfo il corpo cadde a terra sul fianco.
La casa piombò nel silenzio totale.
Il sangue sgorgò fuori dal petto dell’uomo, senza sosta, mentre la sua anima scivolava via dagli occhi sotto forma di lacrime.
-HARRYYY!!- urlò disperata la donna, liberandosi dalla presa di Levi (in quel momento non salda).
Si buttò sul corpo del marito, scuotendolo energicamente.
-Harry! Rispondimi, ti prego!- urlò ancora e ancora, mentre i suoi occhi piovevano a dirotto.
Ma Harry non diede segno di vita. La sua anima, ormai, aveva abbandonato il mondo dei vivi.
Sue continuò a scuoterlo, con le lacrime che le annebbiavano la vista, e alle spalle il comandante ghignare soddisfatto.
-P-papà…- sussurrò Leah.
Seth, ancora aggrappato a lei, cominciò a piangere forte. Il suo singhiozzo attirò l’attenzione dei due adulti.
La bambina avanzò, calma e lenta, verso il corpo del padre.
Il suo sguardo era fisso su di lui, ancora con gli occhi spalancati dal terrore e dall’incredulità.
Fino a poche ore prima il padre aveva raccontato quella bella favola…
Fino a pochi giorni fa le aveva insegnato a coltivare il grano…
Fino a un mese fa le aveva rivelato il segreto degli uomini sui capelli delle donne…
Quei ricordi le scivolarono via dagli occhi, liquidi, caldi.
Seth mollò la presa sulla sorella e si inginocchiò sul padre, abbracciando forte la sua testa.
-Papà!- singhiozzò il piccolo, gli occhi infradiciati e le guance rosse per la rabbia che il suo cuore stava colmando pian piano.
Leah si inginocchiò, sempre piano. Con le dita accarezzò la guancia di Harry. Tremò al solo percorrere con le piccole dita la pelle, farsi sempre più fredda.
Si rialzò, sempre con lo stesso andamento.
Spostò lo sguardo sull’uomo che aveva appena ucciso suo padre.
Lo fissava, con uno sguardo fuori dal comune, con uno sguardo che nessun bambino del mondo avrebbe mai potuto assumere.
Era uno sguardo omicida. Uno sguardo vendicativo. Uno sguardo furibondo.
Anche Levi la fissò, chiedendosi le intenzioni di quella bambina.
Leah voltò la testa verso il tavolo, dove stava poggiato un coltello da cucina.
L’istinto prese il sopravvento.
Afferrò lentamente l’impugnatura, stringendola forte tra le dita. Era una sensazione strana. Un brivido che le corse lungo la schiena. Forse era l’adrenalina che cresceva sempre di più, o forse era semplicemente la rabbia che si era impossessata del suo cuore.
Prima che Sue potesse solo sfiorarla per impedirle di agire, Leah si ritrovò ad urlare forte.
Era un urlo disperato, arrabbiato, spaventato.
Si scagliò contro Levi, gli occhi colmi di lacrime, lo sguardo più furibondo di prima.
Levi sogghignò, mentre la madre urlava:-No, Leah!-.
La bimba non riuscì mai a colpire l’assassino.
L’uomo schivò il colpo troppo facilmente, spostandosi di lato, e lei perdette per un attimo l’equilibrio.
Prima ancora che potesse voltarsi o semplicemente stare ben ritta con le gambe, il comandante le diede un violento schiaffo dietro il collo.
Sue urlò dal terrore, Seth pianse ancor più forte.
Leah cadde a terra, mentre il coltello le scivolò di mano e finì vicino alla porta di casa, lasciata aperta.
Si ritrovò con la faccia spiaccicata contro il pavimento di legno, mentre la rabbia cedeva ora il posto al terrore.
Levi le calpestò la nuca, aumentando sempre più il peso sul piede.
La bimba si sentì schiacciare il cranio. Strinse i pugni, trattenendo le urla di dolore.
Di colpo non sentì più il peso dello stivale sulla sua testa. La alzò, perplessa e ancora agitata, voltandosi poi verso il nemico.
Sue si era scagliata contro di lui, picchiandolo continuamente. Ma i suoi schiaffi non ebbero effetto su di lui.
Di colpo la donna si ritrovò con la schiena al muro e i polsi bloccati dalle mani dure e forti di lui.
-Lasciala!- urlò Leah, ancora sdraiata, mentre Levi le leccava avido il collo.
Seth gattonò verso la sorella, decisamente spaventato.
-Lasciami schifoso!- strillò la donna, mentre il comandante ora l’afferrava per la gola, quasi a strozzarla.
Sue portò le mani al suo polso nel tentativo di allentare le presa, invano.
-Ho detto lasciala!- urlò ancora Leah, rialzandosi dal terreno. Scatto nuovamente verso di lui, ma stavolta senza nessuna arma. Gli diede quanti più pugni poteva alla schiena, mentre l’uomo soffocava la madre dei bimbi baciandola con aggressività.
-Lasciala, lasciala, lasciala!- singhiozzò la piccola, mentre Seth ricominciava a piangere.
Sue tentò di liberarsi dalle sue labbra aspre e amare, ma non ci riuscì. Era troppo forte.
Solo dopo aver separato la sua bocca da quella morbida e dolce di lei si accorse che la figlia dei due contadini lo stava picchiando la dietro.
-Sporca mocciosa!- fece lui, mentre con la mano libera afferrava Leah per la gola, alzandola dal terreno.
-No!-
-Sorellona!-
Levi sogghignò ancora, lanciando la bimba vicino alla porta. Lei atterrò sul pavimento con il fianco destro. Il dolore al bacino si fece immenso, mentre quello alla gola spariva pian piano.
-Maledetto… bastardo!- urlò Sue.
-Ah si?- fece Levi, assumendo nuovamente lo sguardo omicida.
Anche questo durò un secondo, ma fu come se andasse al rallentatore…
L’uomo aveva conficcato il coltello nell’addome di Sue. Quest’ultima sentì il fiato mancarle, il dolore allo stomaco inevitabile.
I bambini fissarono la scena, con le stesse espressioni di prima alla morte di Harry,
del sangue uscì dalla pancia di lei e dalla sua bocca.
Levi sbuffò un:-E’ un vero peccato, saresti stata un ottima concubina-, lasciandola cadere sul pavimento.
Mentre l’uomo andava a pulire l’arma del delitto sui vestiti di Harry, i due bambini avevano raggiunto il corpo della madre in un batter di ciglia.
Sue era ancora viva, ma dal suo modo di respirare e dalla quantità di sangue che le sgorgava dall’addome i due piccoli capirono all’istante che la stavano perdendo.
Seth pianse sempre più forte, urlando continuamente:-Mamma, mamma!-.
Leah era ridotta persino peggio.
Con il volto coperto dalle ciocche nere e disordinate e dal sangue che le era fuoriuscito dal naso, fissava il viso di Sue.
Tutti e tre piangevano, chi più forte e chi più debole.
-M-mamma….- fece Leah, accarezzando i capelli della madre.
-Shhh… bambini.. miei…- fece a stento lei, accarezzando la guancia di Leah, per poi poggiare la stessa mano sulla nuca di Seth, che nel frattempo si era piegato sul suo petto ad abbracciarla.
-Mamma…- fece ancora la bimba, mentre pian piano il senso di colpa iniziò a possederle il cuore.
Perché aveva attaccato? Se non l’avesse fatto, a quest’ora la madre sarebbe ancora viva e vegeta…
Ma adesso… la sua anima era sul punto di lasciare il corpo.
-Piccola mia…- sussurrò Sue, tornando ad accarezzarle la guancia, asciugandole le lacrime.
La piccola strinse forte la mano di lei, nel timore che potesse abbandonarla.
-Abbi cura di tuo fratello… ok?- fece Sue, regalandole un sorriso incoraggiante, nonostante la bocca sporca di sangue.
Leah annui, il dolore al cuore sempre più intenso.
-Te lo prometto…- disse quest’ultima, decisa –Te lo prometto, mamma! Non lascerò che facciano del male a Seth!-.
Dal canto suo il piccolo bambino continuava a piangere, stringendo ora il collo di Sue. Lei lo abbracciò e invitò Leah a fare lo stesso.
Non resistette. La bambina si lasciò cadere sul suo corpo, singhiozzando di brutto.
-Abbiate… cura… di voi…amori miei…- furono le sue ultime parole, prima che la sua anima scivolasse via dagli occhi, raggiungendo quella del marito defunto.
I due bambini continuarono a piangere forte, e quando finalmente Leah si accorse che il suo cuore non batteva più, urlò forte.
-Povera sciocca ragazzina- disse l’uomo alle loro spalle. I due si voltarono verso il comandante.
Il piccolo con la faccia spaventata e sconsolabile.
La piccola con l’espressione più furiosa di prima.
-Perché….- fece lei, per poi urlargli contro:-Perché lo hai fatto? Che ti hanno fatto di male?-
-li rivoglio!- pianse il bambino, stropicciandosi gli occhietti.
-Non sono cose che voi stupidi marmocchi potete comprendere- disse Levi, sguainando poi la spada ed alzandola alla loro altezza:-Ora, che ne dite di raggiungerli?-
Leah si rese conto subito del pericolo. Strinse il piccolo fratello a sé e si buttò dalla parte della porta, un attimo prima che la lama li colpisse. Andò a finire invece sul fianco del corpo senza vita della donna.
-Non pensate di potermi sfuggire!- ringhiò Levi, mentre Leah si alzava velocemente e prendeva in braccio Seth. Corse fuori dalla porta, imboccando l’altura della collina più vicina.
Quella notte era troppo buia per i loro occhi. Le stelle non c’erano, anzi, erano coperte da spesse nuvole nere che minacciavano la pioggia.
Lasciò andare il fratellino e, tenendosi per mano, corsero fino ad arrivare sopra la collina. Si voltarono, e subito dopo se ne pentirono dell’azione.
La loro casa andava a fuoco.
I muri di legno venivano inghiottiti velocemente dalle fiamme ardenti, assieme a tutto ciò che c’era dentro, compresi i corpi dei due genitori…
-Mamma…papà…- singhiozzò nuovamente il piccolo, fissando con orrore la scena.
Anche Leah lo fissava con orrore, ma soprattutto con disgusto, rabbia e rancore.
Se prima per loro quel posto era il paradiso, ora, davanti ai loro occhi, era l’inferno…
Un’altra cosa, però, attirò la loro attenzione. Con terrore si accorsero che Levi era uscito illeso da quella casa e che, anzi, in groppa ad un cavallo nero, li stava raggiungendo.
-Corri!- strillò Leah, afferrando saldamente la mano di Seth. Scapparono verso la discesa della piccola collina, diretti verso il boschetto al limitare della spiaggia.
Raggiunsero gli alberi scivolando più o meno il pendio, per poi correre sempre più veloci.
Levi li stava raggiungendo, e dallo sguardo sembrava deciso una volta per tutte ad ammazzarli.
-Presto, Seth!- urlò Leah, con il fiato corto per la corsa. Il fratellino era ridotto persino peggio.
Sentiva dolori immensi alle piante dei piedi, i polmoni bruciare, il fiato mancare. Non era abituato a correre così tanto, e soprattutto, non era abituato a sopportare tutto quel misto di emozioni.
La sorella si sentiva più o meno così, ma aveva gambe molto più resistenti, perciò prese in braccio nuovamente il piccolo e corse il più veloce che poteva.
Il rumore degli zoccoli si facevano sempre più vicini. Se Leah non trovava al presto una soluzione era finita…
Un lampo di genio le balenò di colpo la mente offuscata.
Decise di svoltare a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. Procedeva insomma a zig-zag, cercando non solo di seminare l’assassino, ma anche di trovare un nascondiglio.
L’impresa però era abbastanza ardua, considerando il buio pesto del bosco.
Svoltò nuovamente a sinistra, e stavolta si fermò dietro ad un enorme tronco.
Ai suoi piedi vi erano dei bastoncini, che i bambini usavano come spade quando con i genitori andavano a tagliare gli alberi o a raccogliere le castagne.
Leah cercò di riprendere fiato, poggiando la schiena contro il tronco, mentre Seth scendeva e si inginocchiava a terra. Guardò verso il basso, con i pugni ben stretti, mentre le lacrime cadevano sui dorsi delle sue manine.
-Perché? Perché?- si chiese, stringendo a forza gli occhi, mentre gli gocciolava il nasino.
Leah nel frattempo si era lasciata cadere ai piedi dell’enorme albero. Si strinse la testa con le mani, con una voglia matta di urlare.
Perché? Perché di colpo le loro vite da perfette sono crollate?
Cosa avevano fatto di male Harry e Sue per meritare la morte?
Nessuno dei due la smetteva di piangere.
Intanto le gocce di pioggia caddero sulle loro teste.
Queste si moltiplicarono, fino a diventare un vero e proprio acquazzone.
Fu forse per quello che non si accorsero che intanto levi li aveva scovati. Sorrise maligno quando i due si accorsero con orrore di avercelo proprio davanti.
Leah non fece in tempo ad alzarsi. Seth venne catapultato via con un calcio allo stomaco, sporcandosi di fango.
Sputò sangue e tossì forte.
-Seth!- urlò disperata la sorella, mentre l’uomo tirava fuori il coltello. Afferrò l’avanbraccio di lei e fece un taglio netto sul suo braccio.
Leah urlò di dolore, mentre lentamente l’uomo le tagliava la carne.
-Lasciala!!!!- urlò Seth. Entrambi rimasero stupiti nel vederlo rialzarsi e correre verso l’assassino.
-Hai fegato, moccioso- ghignò l’uomo, mollando la presa su Leah (dopo averle dato uno schiaffo fortissimo sulla guancia.
Un secondo schiaffò colpì il piccolo, facendolo cadere a terra di sedere.
Poi lo afferrò per il collo, e con la punta della lama creò un solco non molto profondo sul petto, creando uno strappo sulla sua canottiera sporca.
Anche Seth urlò di dolore, mentre Leah provava a rialzarsi.
Levi gli diede poi un pugno sul naso. Per poco questo non si ruppe.
-No, lascialo stare!- urlò la piccola Leah, con il braccio insanguinato.
-Oh, anche tu ti metti contro di me?- ringhiò furioso l’uomo che stringeva il piccolo Seth per la gola. Leah prese un bastone che si trovava a terra e lo sbatte forte sulla testa di Levi. Lui urlò di dolore e mollò la presa su Seth, che cadde con un tonfo a terra. Lei lo raggiunse e provò a sollevarlo.
-Sore.... lona… -sospirò il piccolo, ricoperto di sangue e fango.
-Non temere!- disse Leah, quasi urlando –Ho fatto una promessa, ricordi? Riusciremo a salvarci!-. Alzò la testa e sgranò gli occhi per il terrore. L’uomo teneva sempre lo stesso  bastone di Leah in alto, pronto a colpirli.
Chiuse gli occhi e si piegò sempre più sul fratello, come a fargli da scudo corporeo.
Uno, cinque, dieci, quindici, venti botte.
Trenta, quaranta, cinquanta…
Sempre e solo bastonate.
Levi si divertì un mondo a picchiarli, con una risata degna del più pazzo del pianeta.
Man mano che ricevevano le bastonate, i due piccoli sentirono le forze abbandonarli.
I dolori aumentarono di brutto, e il ramo con la quale l’assassino li colpiva creava ferite ovunque.
Ad un certo punto Levi smise di colpirli, respirando forte.
I due bambini erano stesi a terra, coperti di sangue e fango.
La pioggia si faceva sempre più forte ed incessabile.
Levi sorrise compiaciuto della sua opera.
Uccidere, in particolar modo i bambini, era la sua passione.
Diede un leggero calcio al braccio di Leah. Questo venne spostato, ma non diede nessun segno di vita.
Il suo lavoro era compiuto.
L’uomo girò i tacchi e salì in groppa al cavallo, per poi sparire in mezzo all’acquazzone e agli alberi.
Quanto tempo passarono i due bambini in quelle condizioni? Leah non riuscì a ricordarlo.
Fatto stà che lei riuscì a muovere un dito dopo quello che sembrava un infinità di tempo.
Pian piano cominciò a muovere tutta la mano, poi l’altra, ed infine il resto del corpo, indolenzito.
Si alzò piano in ginocchio, fissando Seth. Ascoltò il cuore del piccolo.
Quando sentì i suoi battiti, seppur leggeri e deboli, ringraziò il Signore più di una volta.
-Grazie… grazie… grazie…- sussurrava lei, con la voce stridula e soffocata, lo sguardo rivolto verso il cielo. Le gocce picchiavano sul suo viso, regalandole dapprima una freschezza incredibile sulle ferite, per poi gelarla tutta.
Si massaggiò il braccio dolente, per poi prendere Seth e farlo salire in groppa alla sua schiena con immensa fatica. I dolori erano troppo forti, ma doveva resistere. Tenne da dietro il piccolo con entrambe le mani, mentre si incamminava per uscire da quella foresta maledetta.
Camminò e camminò, a lungo, senza sosta. Forse erano passate due ore, o di più. Ma era sempre più buio e la pioggia non migliorava la situazione.
Solo quando con l’amaro in bocca la bimba era sul punto di cedere notò delle luci.
Leah fissò meglio, avvicinandosi ancora un poco.
Riuscì a distinguere delle case, e cosa ancor più importante, un castello.
Sorrise.
Il castello sarebbe stato un ottimo posto per nascondersi.
Si incamminò verso la reggia, il cuore sempre più agitato. Non c’era nessuno per le vie del villaggio (naturalmente), quindi potte arrivare davanti alla reggia senza problemi (se vogliamo dirlo in modo ironico).
Quando finalmente giunse davanti ad una porta in legno della reggia, che dava ad un piccolo orto, si fermò. Respirò forte per tre volte, con le braccia indolenzite.
Liberò una mano e bussò alla porta.
Sperò solo con tutto il cuore che qualcuno aprisse per loro…
 

 
 
 
 
La pioggia picchiò forte i vetri, mentre il tuono sovrastava il cielo scuro.
Jacob fissava incredulo Leah. La ragazza ora aveva la testa bassa, lo sguardo sulle ginocchia. Stringeva i pugni sopra di esse, trattenendo a stento le lacrime.
-Tutto questo…- fece Jacob. Non riusciva a credere al racconto dell’amata.
Davvero Levi aveva fatto questo? Eppure… tutto combaciava!
Il comportamento di Leah quando aveva letto la lettera, il suo sguardo cupo quando doveva servire la cena quella volta alla famiglia reale e ai due ospiti (poco graditi per lui), la sua espressione pietrificata di fronte alla figura di Levi in corridoio, il piatto buttato via …
-Perché… perché non l’hai detto subito?- chiese lui, scioccato.
-Temevamo… che non ci avreste mai creduto…- disse sincera lei, mentre si sentiva ancora un tuono in lontananza.
-O beh, si certo, come non credere a due bambini feriti a sangue- disse sarcastico lui.
Più passavano i minuti e più si incazzava con Levi. Ma perché ha fatto ciò?
-Mi spiace- disse infine lei, stringendo il grembiule fino a quando le sue nocche non si sbiancarono.
Jacob voltò la testa verso di lei. Le afferrò il viso con entrambe le mani, fisandola negli occhi.
Erano più luminosi del solito, ma allo stesso tempo più scuri.
La baciò delicatamente sulle labbra, provando a consolarla.
Ci riuscì. Leah avvertì subito la morbidezza e il sapore dolce delle sue labbra. Ricambiò il bacio, aprendo la bocca per far entrare la lingua di lui al contatto con la sua.
Era un bacio che, seppur intenso, era lento, dolce.
I movimenti delle loro labbra erano precise e delicate al contempo. La sguattera spostò le mani sul suo petto nudo, mentre il principe sostava le sue dietro la schiena di lei, stringendola a sé.
Si staccarono poi le bocche, respirando però ognuno nell’alito dell’altro.
Leah posò le dita sui lineamenti del viso di lui, mentre Jacob poggiava la fronte contro quella di lei.
-A me invece dispiace per ciò che avete passato- sussurrò lui sulle sue labbra, sincero.
La baciò ancora e ancora, più volte, sempre ricambiato.
Alla fine si staccarono e lui le baciò la tempia, mentre un idea si illuminava nella sua mente.
-Ok… visto che le cose stanno così- disse, fissando Leah –Ehm… prima dimmi se siete solo voi i superstiti-.
-Cioè?- chiese lei.
-Cioè… insomma, nella lettera Levi indicava non solo la vostra famiglia, ma anche quella degli altri. Ci sono alcuni di queste famiglie che lavorano a corte, sai?-
-Questo lo so anche io…- disse –E… si, penso di si. Mia cugina, per esempio. E anche il cuoco Quil Ateara…-
-Perfetto, abbiamo dei testimoni!- disse raggiante Jacob, alzandosi dal letto e porgendo la mano a Leah.
-Testimoni?- chiese perplessa lei, posando la mano sulla sua e alzandosi.
Jacob, mentre indossava la t-shirt, disse:-Certo!-
-Ma… cosa vuoi fare, scusa?- domandò la sguattera, scuotendo la testa.
-Non l’hai capito?- fece lui, infilando la mano nella manica del giaccone –Lo denunciamo a mio padre-.
 



Angolo Autrice: Sorry, I'm so sorry, really!
no, sul serio, c'avro impiegato quanto per scrivere sto capitolo? cavolo, il flash back non finiva mai XD
detto ciò, vi saluto e scusatemi ancora.... TT_TT
grazie a chi continua a seguire le mie strambe storie
Delyassodicuori

 

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Capitolo 9
*** 9_The impossible love_ parte 9 ***


SPECIALE: L'ANGOLO DELLE FANFICTION DI RENESMEE parte 9

-Lo sapevo che sotto sotto anche Levi era un coglione!- disse Jacob, interrompendo per l’ennesima volta la narrazione.
-Tale padre, tale figlio, giusto Lee?-
Leah annui, decisa.
-Ehi, siamo ad un punto cruciale!- ribatte Cloe –Possiamo continuare e smetterla di interrompere?-
-Giusto- tossì io –Anche perché quello che succederà fra un po sarà importante!-.

 

<<-E’ una follia, Jake!- ribatte Leah, quando l’amato finì di indossare gli stivali.
-Follia?- chiese lui, perplesso.
-Certo. Insomma, credi davvero che tuo padre potrebbe dar retta alla storia?- disse lei, poco sicura della decisione del ragazzo.
-Dovrà farlo!- rispose Jacob, legando alla cintura la sua spada –Anche perché se richiamiamo a noi i testimoni dei crimini di Levi non potrà non crederci-.
-Ma…-
-Leah!- disse lui, prendendola per le spalle e fissandola negli occhi. –Ti fidi di me, vero?-.
Passò un secondo, dopo di ché Leah annui. Certo che si fidava di Jacob, ma non era questo il punto.
Aveva come una pessima sensazione. Come se denunciare Levi non fosse sufficiente a fermarlo. Questo però non sapeva come spiegarlo a Jacob, e poi era solo una sensazione, così decise di non dire altro.
Il ragazzo le sorrise, fiero, per poi prenderla per mano e condurla dal re.
A quell’ora il re e le figlie avevano già finito la colazione e come loro solito, il sabato mattina, la passavano tra scacchi, letture e tornei di barzellette.
Quel giorno, però, solo Rachel e Rebecca giocavano a scacchi nella sala del trono. Billy era seduto sulla sua solita sedia a rotelle, fissando fuori dalla finestra il suo regno.
-E’ sicuro di potersi fidare di questo re Hawaiano?- domandò Levi al suo fianco, le mani dietro alla schiena e lo sguardo fisso sul villaggio come il re.
-Certo- rispose quest’ultimo, accarezzando la lettera che il futuro marito di Rebecca aveva spedito a loro. Spiegava le proprietà del medicinale innovativo che avrebbe fatto rinvigorire la popolazione, più altri dettagli in fatto di politica, una cosa sulla quale possiamo ritornarci più tardi.
-Ho sentito che la medicina ha funzionato con una nostra cameriera- continuò il vecchio re. Non gli piaceva dire la parola “sguattera” specialmente dopo l’accaduto tra i figlio ed una di loro.
-Quindi se funziona questa…- disse Levi, facendo finire la frase a Billy:-Si, le altre persone ammalate saranno ristabilite. Questo è poco ma sicuro-.
Intanto i due giovani erano arrivati davanti al portone della sala del trono. Leah sentiva le mani sudare, e non solo per la stretta di Jacob. Era un sudore freddo.
-Scusa… ma se vuoi convincere tuo padre dell’accaduto, non dovresti chiamare gli altri?- chiese lei, voltando la testa verso di lui.
-E secondo te perché mi sono fermato un attimo per parlare con quello scemo del mio tutore?- fece lui, sorridendo come sempre.
In effetti si erano fermati quando, dopo aver svoltato l’angolo, avevano incontrato Edward. Jacob gli aveva parlato sottovoce, e l’uomo dai capelli rossi aveva semplicemente annuito.
-Oh, ecco perché- pensò ad alta voce Leah, fissando nuovamente la porta.
Sospirò forte, mentre Jacob con il pollice le massaggiava il suo.
Con la mano libera spinse la porta, aprendola.
I presenti nella sala si voltarono quando il portone si aprì.
Jacob e Leah entrarono, e lui si chiuse la porta alle spalle.
-Oh, Jacob, buongiorno- lo salutò il padre. Rachel smise di giocare con Rebecca ed andò incontro a Leah, abbracciandola.
-Scusa scusa scusa scusa scussssaaaa!!!!!- la supplicò, mentre Leah spalancava la bocca dall’incredulità.
-Rachel, dai, non rompere!- le disse il fratello, mentre la principessa si staccava dalla sguattera.
Solo allora Leah, con il cuore in gola, notò l’ex-comandante Levi al fianco del re Billy.
Deglutì, mentre Jacob aumentava la stretta sulla sua mano.
-Pap… ehm… padre, dobbiamo parlati di una cosa molto importante- disse lui, avanzando assieme alla sguattera verso i due vecchi.
Billy fece girare la sedia verso di loro, incuriosito, mentre Levi girava solo metà busto, le braccia incrociate al petto e lo sguardo fisso su Leah.
Sembrava quasi che la volesse mangiare con gli occhi. In un primo momento la ragazza rimase pietrificata, ma poi scosse la testa e si fece coraggio, ricambiando lo sguardo.
-No, aspetta, non me lo dire….- fece il re, scuotendo le mani, come imbizzarrito.
-Eh?- fece il figlio, fermandosi.
-SEI INCINTA????- urlò il re, scoccato, indicando con l’indice l’addome di Leah.
-COSA?- fecero i due, guardandosi in faccia e arrossendo di brutto…>>-
 
-Buahahhahaha!!- rise lo zio, interrompendo ancora.
Leah gli diede un ceffone violento sulla nuca, facendolo zittire.

 

-<<-Nonononononono!- scossero la testa entrambi e agitando le braccia peggio del vecchio sulla sedia a rotelle.
-Uh?-
-Non sono incinta, maestà!- disse imbarazzata Leah, mentre le sorelle di Jacob trattenevano a stento le risate.
Levi invece rimase impassibile.
-Oh, sul serio?- chiese il re, mezzo sollevato e mezzo deluso.
-Certo!- rispose Jacob –E comunque non siamo qui per questo, papà!-
-Ah no?-
-NO!- strillò il figlio, sul punto di perdere la pazienza. Leah avrebbe giurato che quel ragazzo stesse per far uscire del fumo dalle narici.
Prese un bel respiro, calmandosi, per poi parlare:-Siamo qui per denunciare un crimine!-

(nota autrice: Oddio, ma cos’è? sembra Irina! T_T)

-Un… crimine?- chiese il padre, tutt’a un tratto serio. Levi si mise sull’attenti, mantenendo però la stessa posa.
-Si- rispose Jacob, fissando Levi e sfidandolo –Il vostro caro amico ex-comandante Levi Uley vi ha raccontato un mucchio di balle!-
-Di cosa stà parlando, altezza?- domandò Levi, mantenendo un tono piatto.
-Lo sa benissimo di cosa parlo, Levi- fece il ragazzo, facendosi più duro. La preoccupazione di Leah aumentava sempre di più.
-Lei conosce questa ragazza, no?- domandò il principe, indicando Leah con lo sguardo.
-E’ una sguattera della reggia, se non erro- rispose l’uomo. Ora la stava decisamente incendiando con la forza delle iridi. Leah non si fece intimorire e resse ancora la sfida.
-Sa dire solo questo, comandante?- chiese il ragazzo, deciso a metterlo con le spalle al muro.
-Beh, direi proprio di si, altezza. Ai miei tempi non poteva di certo lavorare al cast…- stava per rispondere il vecchio, quando Jacob lo interruppe, urlando per tutta la sala:-QUESTO perché AI SUOI TEMPI LEI VIVEVA FELICE E CONTENTA CON LA SUA FAMIGLIA, LA STESSA CHE LEI, SIGNOR LEVI, HA SOTTRATTO!-.
Un silenzio cupo entrò nella sala.
Le principesse fissavano Leah, Jacob e Levi.
I tre reggevano ancora lo sguardo furioso, anche se quello di Levi era quasi alle stelle.
Il re invece scosse la testa, confuso.
-Scusa Jacob- chiese lui –Ma di che stai parlando? Levi avrebbe sottratto la famiglia di questa fanciulla, cosa vuol dire?-
-Vi ha mentito, padre!- rispose il giovane, guardando ora il vecchio sulla sedia a rotelle –Non è vero che le famiglie che vi aveva nominato avevano restituito o venduto le terre a voi. Sono state massacrate da questo uomo, e sono sicuro che non può aver compiuto quest’opera da solo! Ha dei seguaci, Levi? Che mi dice di suo figlio, eh?-
-Buono buono buono, stai correndo troppo!- lo zittì Billy –Insomma… puoi spiegare dal principio?-
-Certo- rispose Jacob, sbuffando forte –Ma visto che non voglio perdermi nei dettagli ti racconterò a grandi linee: Levi Uley dieci anni fa, se ben ricordi, aveva il compito di ritirare le tasse dai tuoi vassalli, ricchi o poveri che siano. La famiglia Clearwater, come ben sapete, era l’unica ad aver sempre rifiutato la ricchezza per godersi una vita più normale, più libera, servendovi come meglio potevano. Tu stesso sapevi che non avevano molto denaro, e per questo avevi fatto si che loro pagassero di meno affinché potessero reggere la loro vita e andare avanti. E fin’ora eravamo tutti convinti che la famiglia Clearwater, assieme alle altre famiglie, non fosse riuscita nell’intento, e avesse persino restituito la terra come hanno fatto gli altri. E invece, poco fa, ho scoperto che non è così che sono andate le cose! Levi non ha mai consegnato le terre, le ha distrutte! Leah e suo fratello Seth erano della famiglia Clearwater e all’epoca lei aveva dieci anni come me, mentre lui ne aveva solo cinque. Levi aveva ammazzato i loro genitori e aveva deciso di uccidere anche quei due bambini, ma si sono salvati per miracolo, giungendo fin qui! E sono sicuro che la stessa identica cosa l’avrà fatto anche con gli altri!-.
Il principe tacque, riprendendo fiato, dopo quel lungo e veloce discorso. A momenti non respirava neanche dal naso per poter finire il racconto.
I presenti rimasero tutti sgomenti di fronte alle sue parole. Alle sue spalle la sorella Rebecca disse, confusissima:-Hai parlato così veloce che non c’ho capito niente!-
-Io ho capito anche troppo invece!- fece Rachel, incredula –Ma, Jacob, sei sicuro di quello che dici?-
-Assolutamente si!- rispose lui, voltandosi appena per poi tornare a fissare Levi.
Tutti poggiarono gli occhi sull’ex-comandante, curiosi ed ansiosi di sapere il vero.
Levi fece una risata leggera, chiudendo gli occhi ed incrociando le braccia. Li riaprì e disse, con disinvoltura e sicurezza:-La fantasia dei giovani arriva fino alle stelle. Ma speravo davvero che almeno con la testa fossero apposto. E invece vedo che da retta alle parole di una sguattera qualunque, che non ho mai incontrato prima, per giunta-.
Leah strinse i pugni e Jacob la imitò.
-Non so se i tuoi genitori sono morti davvero, donna- continuò –ma di sicuro sarà stato tremendo in quel caso. Posso capire quanto doloroso sia perdere una famiglia e cercare di proteggere il proprio fratello, fuggendo da una casa in fiamme, poi!-.
-Quindi sta dicendo che quello che ha detto fin’ora è fassullo? Mera e pura invenzione della ragazza?- chiese Billy, che in quel momento non aveva proprio idea di come comportarsi.
Prima ancora che Levi potesse rispondergli, Leah aprì la bocca, inchiodandolo con un:-Un momento, se dice di non avermi mai visto prima, e che non ha mai commesso un crimine del genere, come fa a sapere che la casa stava andando a fuoco?-.
Rimasero tutti zitti ed immobili. Leah aveva beccato in pieno il vecchio comandante, che si morsicò la lingua.
“Troppo sveglia la ragazza” si disse, cominciando ad innervosirsi.
-Beh, se il principe Jacob ha appena detto che la terra è stata distrutta, allora si presume che sia andata in fiamme, no?- si difese, sempre con disinvoltura –Piuttosto vorrei sapere come avreste fatto invece a fuggire da un pazzo furioso se stava cercando di uccidervi in una foresta quando c’era una tempesta di notte…-
-Prima allora farebbe meglio a spiegare come faceva a sapere che io e mio fratello siamo scampati alla morte in quella foresta di notte se lei non era presente!- disse di nuovo Leah, ottenendo nuovamente un punto a suo favore.
Fissarono tutti nuovamente Levi, il sopracciglio rialzato.
“Decisamente troppo sveglia” si disse ancora, per poi rispondere:-Conosco quel territorio, visto che sono andato a prendere le tasse da lì, no? Lì vicino c’era una foresta, mi sembra naturale che…-
-E il fatto che fosse notte?-
-Non credo che qualcuno fosse così poco attento da fare una strage in pieno giorno…-
-E della tempesta, che mi dice invece?- fece finalmente Leah, avanzando di un passo, con lo sguardo più deciso di prima.
La famiglia reale spostava continuamente lo sguardo da Leah a Levi, senza sapere a chi dei due dare retta.
L’uomo rimase sbigottito. Si era scavato da solo la fossa con la parola tempesta. E ora come lo spiegava del meteo di quel giorno?
La sua espressione divenne leggermente agitata, quasi paonazza. Per poco Leah non si metteva a sogghignare. Lo aveva messo con le spalle al muro.
Rimasero tutti in silenzio, finché Levi non disse:-Potrete parlare quanto vorrete, ragazzina, ma finché non ci sono prove a mio svantaggio…-
-In effetti- disse il ragazzo-caro comandante (“del cazzo” avrebbe voluto aggiungere Jacob) abbiamo delle prove-
-Ah, davvero?- fece l’uomo, con un tono autoritario che nascondeva invece la sua furia.
-Più che altro sono dei testimoni- disse Jacob, e non appena finì la frase, il portone si aprì, facendo entrare in sala Edward, Seth, Emily, il vecchio Quil Ateara e due soldati.
-Li ho portati come avevate ordinato- disse Edward, uscendo dalla sala.
-Loro sarebbero i testimoni?- chiese Levi, mentre il portone si richiudeva. Un attimo prima di chiudersi, però, un piede bloccò il legno della porta, facendo entrare Sam.
Emily tremò al solo vederlo, affiancando subito il cugino.
-Cosa succede qui? Perché avete portato via due mie soldati?- chiese il comandante, nervoso.
-Sono convinti che io abbia distrutto le loro terre e le loro famiglie- disse Levi, ancor più nervoso del figlio –Esattamente come vuole far credere questa lurida sguattera!-
-Non. La. Chiami. Così!- sibilò Jacob, avanzando e afferrando la mano di Leah, che non mollava un attimo lo sguardo sul nemico.
-Ma dai, e tutta questa gente dovrebbe essere a favore di questa messinscena?- chiese Sam, azzardando un falso sorriso –Sul serio credono che tu abbia ammazzato i genitori di quei due stupidi servi?-
-E tu come sai della cosa?- chiese Leah, voltandosi. Adesso gli sguardi erano sul comandante.
Levi scosse la testa, pensando automaticamente: ”Ma solo mio figlio è così scemo?”.
-Ma guarda che sorpresa- disse Jacob –Allora abbiamo un testimone in più, che senza volerlo ha parlato anche troppo-.
Sam divenne lentamente rosso dalla rabbia, senza sapere come ribattere.
-E per gli altri?- chiese Billy, serio, cominciando man mano ad avere seri dubbi sull’affidabilità di Levi.
Il vecchio Quil avanzò, affiancato da uno dei due soldati.
Loro e gli altri testimoni avevano ormai capito perché erano li.
-Io e mio nipote, vostra maestà- cominciò lui –possiamo assicurarle che quest’uomo non ha solo distrutto la famiglia e la terra di questi due giovani ragazzi, ma anche la nostra. Mio nipote Quil aveva a malapena compiuto dieci anni quando accadde quel disastro. E non è tutto. Non eravamo solo noi in quella casa. quella notte avevamo invitato anche la famiglia Call…- (e in quella fece un cenno all’altro soldato di avvicinarsi)-… Quando arrivò quell’uomo, non era solo. Era accompagnato da venti… o trenta soldati… erano comunque più numerosi di noi e delle guardie messi insieme. Io, assieme a mio nipote Quil e suo amico Embry Call siamo riusciti a fuggire per miracolo con un cavallo, ma per il resto della famiglia… non c’era più speranza…-
Il vecchio concluse il racconto con un sospiro profondo, triste, mentre nella sua mente riusciva ancora a sentire chiaramente le urla di dolore della sua famiglia o il pianto dei due bimbi che teneva in braccio a cavallo.
Il re spostò poi lo sguardo dai tre uomini a Emily.
-E tu cara cosa sapresti dirci?- le chiese, incoraggiandola a raccontare.
Emily prese un bel respiro e cominciò:-Anche io mi sono ritrovata la mia famiglia distrutta. Ho perso mio padre quella notte e anche i miei nonni. Solo io e mia madre siamo riusciti a scampare per un pelo. Siamo arrivate qui nel regno solo correndo, e una volta raggiunto il castello eravamo sfinite. E dato che quella notte pioveva fin troppo e faceva anche molto freddo, mia madre si ammalò dopo solo un ora dal nostro arrivo. E il giorno successivo non c’era più…-.
Leah avrebbe giurato di aver visto una piccola lacrima scendere lungo la guancia della cugina.
Le afferrò la mano con fare rassicurante, mentre le due si sorridevano appena.
-A questo punto forse è inutile aggiungere anche la mia versione, visto che io e Leah siamo della stessa famiglia- disse Seth, avvicinandosi.
-Quando sei arrivato al castello dovevi essere un bambino di cinque anni, dico bene?- chiese il re Billy. Seth annui.
-Dunque, puoi dirmi esattamente cosa ti ricordi di quella volta?- gli chiese ancora.
Levi si stava pian piano stufando di quella situazione.
-Beh- rispose il ragazzo –Non molto, purtroppo. I dettagli li ricorda solo mia sorella, io ricordo i fatti a grandi linee. Ero troppo piccolo e troppo spaventato e arrabbiato per avere la mente lucida. Ricordo i volti dei nostri genitori una volta morti, ricordo come le loro anime sono scivolate via dal loro corpo, ricordo come casa nostra andò in fiamme, ricordo quanto male mi fece ricevere tutte quelle bastonate in una volta… poi devo essere sicuramente svenuto, non lo so, perché al mio risveglio eravamo già nella reggia. Quant’erano quelle bastonate? Dieci? Venti?-
-Molti di più- rispose Leah.
-Bastonate?- chiese Levi di colpo, facendo voltare tutti verso di lui.
-Ma non dire stupidaggini, ragazzino. Se è vero quel che dici, allora dovresti già avere dei segni su tutto il corpo. ma a giudicare dalla faccia non si direbbe proprio…-
-In realtà…- lo interruppe Seth, facendosi coraggio –I segni ce li ho. Non ce li ho sul viso perché mia sorella aveva cercato di farmi da scudo quella notte, se ben ricordi!-.
Levi si morse il labbro, soprattutto quando il ragazzo gli diede sfacciatamente del “tu”.
Seth slacciò il gilet marrone, per poi alzare la maglia, scoprendo l’addome e il petto. La famiglia reale e i testimoni rimasero scioccati. Levi strinse i denti. Leah provò a non farci troppo caso. Aveva già visto tante volte quelle cicatrici e di certo non le voleva più vedere.
Un tempo potevano anche essere profonde, ma ormai quelle cinque cicatrici grandi quanto una mano sembravano quasi solo delle strisce di pelle scolorita, che andavano per obliquo sul petto e sull’addome, quasi come se fosse stata bruciata tempo fa. Ma i segni non erano di ustione. Erano i segni di una frustata con un bastone.
-Ma per favore- disse Levi, mentre Seth riabbassava la maglia e chiudeva il gilet, fissandolo con aria di sfida.
-Potresti essere stato semplicemente disarcionato quando eri a cavallo, e probabilmente avrai ricevuto un enorme botta alla testa, credendo che…-
-Levi caro, sappiamo tutti come si procura una ferita quando si viene disarcionati- lo interruppe Billy, serio –E meglio di chiunque altro dovresti sapere che questi non sono segni di chi è cascato dal cavallo-.
L’ex comandante strinse le labbra. Se non faceva subito qualcosa…
-Se è come dicono loro, allora anche la sorella dovrebbe avere delle cicatrici simili, no?-
“Merda” pensò Jacob, convinto del contrario. Quando erano da soli quel giorno sulla torre non aveva visto nessun segno di cicatrice sul suo corpo.
Leah sbuffò un:-Molto bene-, per poi voltarsi e slacciarli il corpetto.
-Leah?- fece il principe, confuso.
Rachel andò a coprire con il corpetto di Leah il suo petto, mentre la ragazza mostrava ai presenti la sua schiena nuda. Rimasero tutti scombussolati, mentre Jacob stringevi i denti dalla rabbia e dallo shock.
Anche lei presentava cicatrici simili a quelli di Seth, ma non erano cinque, bensì otto. Otto strisce di carne scolorita e smorta, due delle quali erano lunghe non quanto una mano ma quanto un piede.
Emily si mise le mani alla bocca, mentre Seth stringeva i pungi e diceva:-Vedete? Mia sorella, per proteggermi, si è guadagnata molte più bastonate di me-.
-E ancora osi dire di non aver mai commesso tutti questi crimini?- sibilò Jacob, incendiando con lo sguardo il vecchio comandante, mentre Leah si rivestiva.
-Vostra maestà- disse Levi, voltandosi verso il re –Non penserete davvero che …-
-Purtroppo, Sir Levi, questi ragazzi hanno presentato prove abbastanza schiaccianti- disse Billy, fissandolo, severo.
-Impossibile- disse l’uomo, sul punto di innervosirsi sul serio –Lo chieda ai suoi funzionari di corte. Le diranno sicuramente…-
-Non penso che lo faranno- ribatte il re –per vari motivi. Il primo è che tutti i miei funzionari che erano in carica in quegli anni sono misteriosamente scomparsi. Il secondo, sin da quando mi è arrivata la vostra lettera avevo coltivato dei sospetti nei vostri confronti. Se è vero che le terre non sono state distrutte ma restituite, allora i miei funzionari avrebbero dovuto avvertirmi. Invece è dalla morte di mia moglie che sono spariti senza lasciare tracce. E sono sicuro, che se invece fossero ancora qui, avrebbero registrato nei loro archivi se quelle terre esistevano ancora o meno. Ma suppongo che i funzionari attuali, per qualche ignota ragione, non abbiano registrato nulla al riguardo. Non vorrà ora dirmi che lei non c’entra niente con la loro scomparsa, no?-
-Ma…-
-E’ inutile, Levi- disse freddo Jacob, avanzando di un passo –Non puoi più rigirare la frittata. Ammetti i tuoi peccati e falla finita!-.
Levi abbassò la testa, lo sguardo cupo e nero sul pavimento, facendo piombare il silenzio in sala.
Poi, ad un tratto, si mise a ridere. Tutti rimasero confusi dal suo strano comportamento.
Era una risata terrificante, che Leah e Seth ricordavano bene. Ai due vennero i brividi, e il loro coraggio di poco fa sembrò svanire di colpo.
-Davvero? Non posso rigirare la frittata, eh?- fece l’ex-comandante, quasi sibilando come un serpente velenoso.
Prima che qualcuno potesse emettere un sospiro o anche solo sbattere le ciglia, l’uomo tirò fuori il suo pugnale, puntandolo alla gola del re.
Le sue figlie trattennero il fiato, mentre il principe stringeva i denti.
“Cosa vuole ancora?” si chiese Leah, mordendosi il labro inferiore “Non ne ha avuto abbastanza di spargimenti di sangue?”
-Bene, bene, bene- disse Levi, con il ghigno in volto,  e anche questo i due fratelli ricordavano. E avevano sempre voluto non rivederlo mai.
Il comandante continuò:-A quanto vedo siete stati in gamba. Mi avete smascherato, i miei complimenti. E’ vero, sire, ho ucciso io tutte quelle persone, ma soltanto con la famiglia Clearwater ero da solo. Così sciocchi e idioti da non volere nemmeno un centesimo. È stato troppo facile con loro. Peccato che non mi sono accorto che le due pesti erano ancora vivi. Stessa cosa per il nonnetto, la sguattera e i suoi cani dell’esercito-.
Immediatamente si sentì un’altra spada che veniva sguainata. Si voltarono tutti verso Sam, che aveva preso alla gola Emily, puntando su di essa la punta della lama.
-Emily!- urlarono Leah e Seth, disperati. La ragazza aveva un’aria più che spaventata. Era terrorizzata, peggio di quella volta che aveva perso la sua purezza a causa dello stesso uomo che la stava stringendo a sé. La sua pelle era di colpo sbiancata e la sua schiena tremava di continuo. Mosse le labbra varie volte, boccheggiando, ma senza riuscir a spifferare una sola lettera.
-Perché?- chiese di colpo Jacob, rivolgendosi nuovamente al vecchio Uley –Perché fai una cosa del genere, eh? Fin’ora mio padre era stato generoso con te, e questo è il tuo modo di pagare la sua gentilezza? Che cavolo hai in mente?!?-.
-Non ci sei ancora arrivato, stupido principino?- fece Levi, afferrando per la spalla il re, per poi stringerlo sul collo e puntandogli ancora una volta il coltello, ma stavolta sul cuore.
L’ex-comandante era molto più alto di Billy, per cui le sue gambe oscillavano sopra il terreno, mentre con le braccia cercava di allentare la presa.
-Mi sembra ovvio cosa voglia io, no?- continuò Levi –Chi se ne importa se era gentile con me, chi se ne importa se mi ha assunto in passato come comandante! Io da sempre volevo diventare più potente, da sempre volevo qualcosa di più dalla mia misera vita! Ho sempre voluto prendere in possesso questo cavolo di regno per poi renderlo un impero! Perché ho ammazzato tutte quelle persone? Perché una volta fuori gioco loro, le loro terre (distrutte, ovviamente) sarebbero andate a me! di diritto sarebbero tornate dal re, ovvio, ma io le ho conquistate sotto il suo naso, senza che questo vecchio rimbambito se ne accorgesse. E in quei giorni la sua cara mogliettina stava così male che non pensava ad altro, per cui il mio lavoro era così fottutamente facile che l’unico modo per divertirmi era uccidere con le mie stesse mani tutti quei feudatari! A questo regno ormai non rimane più una terra, e, ciliegina sulla torta, è arrivata pure questa malattia che sta già facendo una bella strage tra la gente. Io però sono stato molto più furbo. Quel medicinale che possiede il re Hawaiano l’ho trovato! E non è altro che una stupida pianta che però aumenta notevolmente le difese immunitarie! Ho usato questa sui miei soldati, sapete? E per quanto riguarda quegli stupidi funzionari, se sono spariti è perché li ho uccisi tutti io. Mentre quelli attuali non possiedono nessun documento su quelle terre e lo sapete il perché? Perché mio figlio ha bruciato ogni singolo foglio che riguardasse quei feudi, ogni traccia distrutta, non è rimasto proprio niente!-.
-Allora è vero che anche Sam era coinvolto…- sibilò tra i denti Seth, guardando con la coda dell’occhio il comandante che teneva ancora in ostaggio sua cugina.
-Ma che cazzo….- si lasciò sfuggire Leah, stringendo forte i pugni dalla rabbia –Maestà, perché ha chiesto a quest’uomo di rimuovere le tasse?!? Non c’erano i funzionari per quello?-
-Non… gliel’ho mai chiesto, infatti…- disse il re, il fiato sospeso.
Levi rise. –Semplice, sono andato io a sua insaputa-
-E la lettera? Che cavolo di senso ha?-
-Non ci arrivi? I funzionari erano ormai morti molto prima di quella lettera. Così sono andato io al loro posto, e per dieci anni, dopo aver conquistato quelle terre, ho fatto si che i miei uomini diventassero più forti e più numerosi. Dopo di ché ho inviato quella lettera, e sotto avevo anche scritto “data la sparizione misteriosa dei funzionari di dieci anni fa, mi sono preso il permesso di continuare io il loro lavoro”. Maledettamente facile, non trovate? E tutto sotto il naso di questo vecchio rincitrullito!-
-Non. Offendere. Nostro. Padre!- sibilò Jacob, furioso.
-Puoi… uccidermi pure… se vuoi…- disse Billy di colpo, con il poco fiato che gli rimaneva –Ma… lascia andare.. la ragazza… e la … mia… gente…-.
-Nahhh, è troppo gnocca questa!- fece Sam, leccando avido la gola di Emily, facendo rabbrividire.
-Lasciala stare, mostro!- gli sgridò Leah, che non sapeva più se preoccuparsi per il re o per sua cugina.
-Hai appena detto che posso ucciderti, eh, Maestà?- chiese Levi, puntando ora il pugnale sulla gola di Billy, il ghigno sempre più ampio.
Il tutto durò un secondo.
La lama del uomo tagliò la carne con un solco profondo. Tanto, tantissimo sangue schizzò via dai nervi, spruzzando sul viso di Jacob.
Quest’ultimo, assieme ai presenti, assunse uno sguardo fuori dal comune. Gli occhi completamente fuori dalle orbite, la bocca spalancata dal terrore, il sudore freddo sulla fronte.
Gli occhi di Billy si fecero più scuri, perdendo lentamente la loro luminosità.
Le sue braccia scivolarono via dalla stretta, afflosciandosi verso il terreno come i piedi.
Levi sorrideva di gusto, osservando come la sua lama avesse tagliato la gola quasi come se fosse burro.
Lasciò la presa sul corpo del re, che cadde con un tonfo pesantissimo sul pavimento, immerso in una pozza di sangue.
E mentre i suoi occhi si spegnevano del tutto, l’ultima cosa che il re Billy riuscì a sentire furono le urla delle figlie, assieme all’urlo di suo figlio, più forte, più doloroso:-NOOO!-

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