Desire (If only) di Stateira (/viewuser.php?uid=11251)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Collapse ***
Capitolo 2: *** Monster ***
Capitolo 3: *** Sweet eyes of yours ***
Capitolo 1 *** Collapse ***
PREMESSA
PREMESSA
Questa breve fic
in tre capitoli tratta di male pregnacy, ovvero di gravidanza maschile. Per
quanto ciò non sia fisiologicamente possibile nella realtà (mi sento abbastanza
cretina a dirlo), ho cercato di trattare l’argomento nel modo più verosimile e
serio possibile, e mi auguro di tutto cuore di esserci riuscita, ma questo
sarete voi a giudicarlo.
Va da sé quindi
che il contenuto della storia è piuttosto delicato, e potrebbe risultare
sgradito a qualcuno. Ho scelto il rating arancione perché non ci sarà nessuna
scena esplicita di nessun genere, ma se pensate che un rating rosso sia più
adeguato, non fatevi scrupoli a dirmelo.
Meglio abbondare
che deficientare, come diceva quella saggia donna della mia prof di latino.
Ah, come di
consueto, niente spoiler, nada de nada.
Un
sentitissimo, enorme ringraziamento ad Elyxyz, per essersi prestata a betare la
storia e a darmi qualche prezioso consiglio. E per essere un tesoro di donna,
soprattutto.
I owe you
one.
Enjoy!
Stateira
1_ Collapse
- Roy. –
Roy Mustang fece un
sorriso sghembo e intenerito, quando una mano gli solleticò furtivamente il
fianco sinistro nel bel mezzo della notte. La afferrò con le dita intorpidite
dal calore e dal sonno, prendendosi un po’ di tempo per coccolarla e per esplorare
pigramente la forma affusolata di quelle dita.
- Sono sveglio, Ed.
–
Rumori lievi,
fruscii sommessi e confusi di coperte, il cigolare stridulo del materasso, e
alla fine, una testa bionda che emerge dal tutto, con due occhi color oro che
guardano Roy seri seri.
- Sai Roy, c’è una
cosa a cui stavo pensando. –
Edward Elric aveva
ventuno anni. Il bel viso di sempre, i capelli lunghi di sempre, e una vecchia
maglietta sformata color blu sbiadito come pigiama. Era di Roy, quella
maglietta, tra l’altro. Gli arrivava quasi alle ginocchia. Roy vestiva spesso
di blu, anche fuori dall’uniforme. Era un colore che gli donava moltissimo.
- E’ una cosa
importante? –
- Sì. Sì,
abbastanza. –
- E allora come mai
ti è venuta voglia di parlarmene proprio alle due del mattino? –
- Ecco… - Ed non
badò allo sbadiglio divertito con cui Roy aveva sottolineato la sua
osservazione. Non lo stava nemmeno guardando negli occhi. – Perché penso che ti
arrabbierai. –
Roy Mustang aveva
trentaquattro anni, e un gran sonno. Però Edward aveva bisogno di sentirsi dire
che no, non si sarebbe arrabbiato con lui, qualunque cosa fosse la misteriosa
idea che gli frullava per la testa, e lo preoccupava tanto da avergli
cancellato persino il suo solito broncio.
- Ti ascolto. –
sussurrò affondando teneramente le labbra proprio dietro l’orecchio destro di
Edward.
- Sì. Beh ecco, io
stavo pensando che… - Edward deglutì rumorosamente e scattò alla ricerca delle
dita di Roy, quanto di più simile per lui ad un appiglio per non annaspare nel
mare di cose che stava per dire. – L’alchimia. – sputò.
Nonostante tutto il
tempo passato insieme – quattro anni, ormai, mio dio, quattro interi anni – Ed
non era cambiato quasi per niente. Faceva sempre una fatica del diavolo a
parlare di ciò che provava, e più intensa era l’emozione che si teneva dentro,
più tempo impiegava ad esprimerla, e alla fine, più goffo era il risultato. Roy
ricordava molto bene la prima volta, ed una delle pochissime, che Edward gli
aveva detto di amarlo. Aveva tergiversato per ore, rintronandolo con i suoi
“ehm, ecco, dunque”, e alla fine aveva strizzato forte gli occhi, e gliel’aveva
detto con una vocina piccola piccola, nemmeno avesse dovuto confessare un
qualche tremendo crimine.
Edward si faceva
adorare per cose come queste, che davano a Roy la possibilità di sentirsi
adulto.
- Mi chiedevo se
potessimo usarla per… per noi. –
- Per noi? –
Dal punto in cui
era nascosto, Ed riuscì a sentire la fronte di Roy che si aggrottava, e le
sopracciglia che si inarcavano. – Perché, a cosa dovrebbe servirci? –
- All’unica cosa
che non siamo in grado di fare da soli, Roy. –
- L’unica cosa
che…? – Roy Mustang si sollevò di scatto sulle braccia, dimenticandosi di
tutto, dell’ora, del sonno, degli anni. – Ed, ma di cosa…? –
Edward cercò di
accumulare e condensare tutto il suo orgoglio nello sguardo con cui affrontò il
suo compagno nella semioscurità quieta e tesa della loro camera da letto.
Doveva giocarsi la sua carta ora, lo sapeva bene, o non avrebbe mai più trovato
il coraggio di farlo.
- Un bambino. –
pronunciò, rompendo ogni decenza con voce suo malgrado delicata, esitante e ben
scandita allo stesso tempo.
Il tabù dei tabù
andò in frantumi fracassandosi sul pavimento della bella camera da letto della
casa di Roy, dove lui e Ed vivevano insieme da un paio di anni, e schizzando
schegge acuminate in ogni direzione, investendo in pieno Roy che, incredulo, le
ascoltava conficcarsi e scricchiolare dentro il suo petto.
Non servì molto
altro per capire che qualcosa, fra loro due, aveva cominciato a sanguinare.
- Un bambino. –
ripeté Roy, scavando qua e là nella federa del cuscino per cercare di estrarne
fuori un qualche significato inafferrabile che lo salvasse e gli spiegasse. –
Edward, io non credo che… -
- Aspetta, ti
prego. Possiamo almeno parlarne? –
Parlare? Oh,
parlare non portava mai a niente di buono. Roy si ritrovava sempre in balia di
Ed e della sua voglia di fare, finendo con l’assecondarlo a prescindere. Era
sempre stato così, fra di loro, anche quando non stavano insieme, quando non si
era ancora innamorato di lui, se poi c’era mai davvero stato un tempo in cui
lui non lo aveva amato.
- Roy, senti, se
solo noi provassimo. –
Roy trasalì e stirò
le braccia per ricacciare indietro un brivido freddo che minacciava di rigargli
la schiena.
Stava dicendo sul
serio. Edward, il suo Edward aveva sempre avuto la testa piena di sogni. Le
ricerche per recuperare i vecchi corpi, suo e di suo fratello, a cui lui non
aveva mai rinunciato in quegli anni, e la volontà ferrea di sostenerlo nella
sua lenta conquista del potere, erano tutte cose che lo animavano di energie
inesauribili, dando l’impressione che uno come lui non si sarebbe mai potuto
spegnere.
- E’ nostro
diritto, non credi? Abbiamo il diritto di volere una cosa del genere, e non
faremmo del male a nessuno. -
Edward voleva
soltanto sentirsi dire da Roy che ciò che desiderava non era cattivo, che non
era sbagliato, che non era criminale. Glielo si leggeva negli occhi, che aveva
bisogno innanzitutto di trovare la pace con sé stesso. Non c’era da stupirsi;
sogni del genere corrodono dentro, fino ad arrivare all’anima e ridurla in
brandelli. Aveva sempre avuto un rapporto morboso con le cose impossibili, fin
da quando aveva cercato di derubare la morte da piccolo, finendo quasi per
esserne preda. Ma Edward non era uno che imparava dal passato.
- Hai quasi
trentacinque anni, Roy, e io vorrei soltanto che… -
Che poi non fosse
troppo tardi.
Non lo era,
dannazione, certo che no, ma si sa come vanno queste cose, il tempo comincia a
scorrere, e gli impegni si accumulano, i gradi sull’uniforme aumentano, e con
essi il rischio di fare passi falsi; e allora ci si comincia a ripetere che si
può aspettare ancora un altro po’, per aspettare un momento migliore, ma
intanto i giorni passano, e passano, e passano.
Roy sentì il suo
stomaco contorcersi e minacciare di andare a fuoco.
Un figlio, già, e
chi non lo desidera, quando la tua vita sembra aver preso la piega regolare e
tranquilla della quotidianità condivisa con la persona che ami? Se Roy non ci
aveva mai pensato era soltanto perché aveva sempre, professionalmente dato per
scontato che fosse semplicemente qualcosa di irrealizzabile. Lui e Edward si
erano guadagnati la loro pace lottando, e, maledizione, non era sempre stato
lui a dire che per questo si sarebbero meritati ogni gioia? Non era proprio
lui, l’uomo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendere Edward felice? Dio,
glielo aveva giurato, gli aveva fatto una promessa vera, una promessa di quelle
serie, con gli amici come unici, silenziosi, inutili, commossi testimoni,
soltanto pochi anni prima.
- Io lo vorrei
tanto. Tanto da morire. –
Usare le armi di
Dio per diventare Dio per un momento. Roy avrebbe corrucciato severamente la
fronte e avrebbe pronunciato un no senza appelli, secco e definitivo, se non si
fosse trattato di Edward, del suo Edward.
- Ho imparato dai
miei errori, Roy, non sono più il bambino avventato di una volta. Faremo delle
ricerche approfondite, studieremo ogni particolare, non ci lasceremo sfuggire
nulla, faremo in modo che ogni cosa vada per il meglio. –
Miseria, la forza
del desiderio di un bambino che vuole un bambino. E la nebulosa immagine di
quel sogno che si avvera, così vicino, così a portata di mano. Così possibile.
L’alchimia ha un
potere davvero tremendo, Roy se ne rendeva conto soltanto in momenti come
questi. Ti seduce con promesse da puttana che poi non mantiene mai, come una
sirena vigliacca, nascosta fra gli speroni aguzzi degli scogli, e più male
faceva vedere Edward correre incontro a quella chimera, più lui si interrogava
su quale fosse il prezzo effettivo, se fosse poi un costo così elevato, e senza
nemmeno accorgersene si lasciava sedurre dalla stessa melodia assassina.
- Ed, non lo so. È
rischioso. –
- Sì, però ti
prego, ti supplico Roy, lasciami provare. –
Roy si strofinò
gravemente la mano sugli occhi. – Dio, è così difficile. –
- Offrirò il mio
corpo come incubatrice, penserò a tutto io, te lo giuro Roy, tu non dovrai fare
altro che stare a guardare, non ti sarò di peso in alcun modo, vedrai, andrà
tutto a meraviglia, riuscirò a… –
Roy premette le
labbra del compagno con le sue dita, fermando la frana di parole concitate che
sgorgavano inarrestabili dalla sua bocca. Lo squadrava seriamente,
profondamente, sondando fra i suoi pensieri confusi ed illusi, alla ricerca di
una paura a cui appigliarsi per smontare la sua fantasia. Un’esitazione che
molto probabilmente non esisteva.
- Tu ci credi così
tanto. Così tanto, vero Edward? –
Gli occhi di Ed si
riempirono di lacrime, facendosi ancora più grandi nella penombra. Si sentiva
un bambino stupido e capriccioso, e si vergognava da morire di non riuscire a
far finta di niente per quella volta, per quella cosa che si faceva desiderare
sempre di più, rodendogli lo stomaco pian piano con le prepotenti immagini che
formava a tradimento nella sua testa.
- No, Ed non… -
Roy se lo ritrovò
fra le mani che ormai era troppo tardi.
Gli accarezzò i
capelli sciolti più dolcemente che poté, sfiorandogli la fronte con le labbra
calde fra un tocco e l’altro. Se c’era una cosa che aveva sempre detestato con
tutto il suo cuore era proprio lo scoprirsi cieco. C’era qualcosa di grosso che
faceva star male Edward da chissà quanto, c’era questa cosa macroscopica che
gli offuscava il sorriso, e lui dov’era? Al quartier generale, a occuparsi di
documenti stropicciati? Edward non voleva farlo sentire in colpa, lo sapeva
benissimo, ma lui era il genere di uomo che era sempre scappato dalle
responsabilità che riguardassero il cuore invece della testa, e proprio perché
alla fine ci era cascato anche lui, ora si sentiva in dovere di assumersene fin
troppe.
- Non piangere. –
Gli sembrava di
impazzire, se solo vedeva gli occhi di Edward vacillare.
- Scusa. Mi
dispiace, è solo che… -
Ed si sforzò di
tirarsi su a sedere, e il risultato fu che si stropicciò gli occhi con troppa
forza, finendo con il diventare rosso.
- E’ solo che ci
penso. – sussurrò disperatamente. – Ci penso sempre. Penso sempre di più che
sia possibile. –
Così tanto
possibile.
Ed aveva smesso
subito di piangere, e del resto non era da lui farlo. Era stato un momento di
sconforto, un collasso, mettiamola così, ma la verità incontrovertibile delle
parole venute a galla quella notte sarebbe rimasta viva anche il giorno dopo, e
quello dopo ancora. Roy non era nessuno per negare ad Edward un figlio, ma non
c’erano dubbi sul fatto che lui volesse che quel bambino fosse davvero loro,
non di una donna, e non di chissà chi altro. E, siamo seri, Roy sapeva
perfettamente di essere troppo geloso ed egoista per suggerire qualcosa di
alternativo e di meno complicato.
E quella cosa,
quell’idea, quel miraggio, era davvero così possibile che sarebbe bastato
tendere la mano per afferrarla. Forse Roy non voleva farlo semplicemente per la
paura di dimostrare a sé stesso quanto fosse terribilmente concreta.
- Se ti accadesse
qualcosa non potrei mai perdonarmelo. –
- Ma non mi accadrà
niente. – rispose Ed, con quel suo sorriso inconsolabile che aveva il potere di
farlo a pezzi dentro. – Andrà tutto bene, sarà tutto magnifico, e vedrai, ti
piacerà tanto, potrai scegliere tu il nome, e potremmo risistemare la stanza
del tuo ufficio, che è grande abbastanza ed è proprio qui di fronte a camera
nostra; io ti cederò il mio, tanto non lo uso mai. E in salotto metteremo un
box, basterà spostare il tavolino un po’ più a destra. E in cucina un
seggiolone, e tutto quello che serve, lo spazio c’è, e per le cose ingombranti
come la carrozzina c’è sempre lo sgabuzzino, così magari ci decideremo a
buttare via quel tuo vecchio cassettone che ne occupa metà per niente. –
Le parole di Edward
fluivano come se fossero state pensate, pianificate e fantasticate per chissà
quanto tempo. Roy desiderò di non conoscere così bene il suo compagno, per
potersi illudere che quella non fosse altro che un’impressione.
Ed
insisteva nel sorridergli, accoccolato nel suo abbraccio caldissimo, fra le
coperte tutte stropicciate, imbacuccato com’era nella sua maglietta blu, e fu
così che Roy si tradì. Senza riuscire ad opporsi, si sorprese a immaginare, per
un momento soltanto, come sarebbero potuti essere gli occhi di Edward che
brillavano nel viso di un bambino.
ANGOLINO!
Ed
eccoci qui con questa nuova, breve avventura. Non credo ci sia granché da
aggiungere, rispetto a quanto già esposto nella premessa.
Tre
capitoli in tutto, che dovrei pubblicare con una certa regolarità, fra il
venerdì e la domenica.
Di
nuovo grazie ad Ely, che non è mai abbastanza, e grazie anche a tutti voi che
vorrete leggere, e perché no, lasciarmi le vostre impressioni.
Appuntamento
alla prossima settimana!
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Capitolo 2 *** Monster ***
2_ Monster
2_ Monster
Edward si sentiva
un mostro.
Piegato su sé
stesso, dolorante, con il fiato corto, lui si sentiva un mostro.
Camminare, e
muoversi in generale, era diventata una fatica bestiale già da alcune settimane
per lui, ma quando Roy, la sera prima, gli aveva detto che c’era una cosa
importante di cui dovevano parlare, lui aveva capito subito che avrebbe dovuto
affrontare lo sforzo.
E così quel giorno,
quella mattina fredda persino nelle tonalità dei colori del cielo, era uscito,
sostenuto dal suo compagno e avvolto nel suo mantello più pesante e ampio, che
cancellava quasi del tutto la forma del suo corpo; era salito in macchina, dove
li aspettava Riza per accompagnarli al Quartier Generale, e si era persino
fatto le scale, passo dopo passo, con i denti stretti per la fatica ed il
dolore, come se avesse dovuto scalare una montagna.
Ed si era sentito
un mostro tante volte, per via dei suoi automail così aggressivi e
appariscenti, per i quali la gente lo aveva sempre guardato, additato,
commiserato. E in certi momenti, persino il suo impietoso gemello riflesso in
uno specchio lo aveva fatto sentire un mostro.
Anche adesso tutti
quanti lo guardavano, e non c’erano dubbi sul fatto che, appena voltate le
spalle, non esitassero a discutere, e a rimproverare, ad indicare con quelle
loro dita gelide e giudici.
Edward riusciva a
non darci troppo peso, in fondo era sempre stato abituato a sentirsi un mostro.
Però quel bambino,
quel piccino che si muoveva di tanto in tanto dandogli le vertigini e i conati
di vomito, lui non era un mostro, lui non aveva chiesto niente a nessuno, e
Edward aveva giurato a sé stesso che lo avrebbe difeso con tutte le sue forze
dagli sguardi della gente, e dalle etichette, dai nomi terribili che in molti
avrebbero cercato di incollargli addosso.
I piani alti
dell’esercito, c’erano tutti. Come spettatori riuniti ad assistere ad un
grottesco spettacolo, e allo stesso tempo chiamati a giudicare sul talento
degli attori, sulla solidità della messinscena, sul trucco, le luci, su tutto.
- Prendiamo atto di
ciò che avete fatto. – scandì in modo tremendamente severo il membro più
anziano della commissione, riunita per deliberare sulla richiesta di congedo
temporaneo di Edward. Un militare di quelli vecchi nel senso più ampio del
termine, intrappolato nella sua uniforme e nelle sue medaglie e ben deciso a
restare arroccato nella sua posizione.
La faccenda della
malattia come giustificazione per la sua prolungata assenza aveva funzionato
per un certo periodo, ma a Edward l’idea di chiamare in quel modo il loro
piccolo dava la nausea, e anche Roy aveva cominciato ad ammettere con se stesso
che così non si poteva andare avanti. C’era di che stupirsi che fosse stato
proprio lui a tirare fuori l’argomento e ad ammettere che preferiva di gran lunga
che i vecchi burocrati sapessero come stavano le cose, piuttosto che tirare
avanti altri tre mesi inventando nomi altisonanti ed improbabili che finissero
in –ite, e poi fingendo di meravigliarsi di un bambino piovuto giù dal cielo,
chissà come e chissà perché. Forse era un modo per cominciare a sentirsi un po’
padre, in fondo.
- La richiesta è
evidentemente accolta. –
In quelle parole
dal sapore formale, nell’”evidentemente”, soprattutto, c’era il retrogusto
amaro del ribrezzo. Edward si sentì decine di dita puntate contro, e sguardi
schifati e fin troppo onesti nell’ammettere che se la passavano liscia era
soltanto perché l’Alchimista d’Acciaio e l’Alchimista di Fuoco non si potevano
toccare. Nomi troppo famosi, troppo importanti.
Soldi, status,
potere, a Edward non era mai importato niente di tutto ciò. E nemmeno a Roy,
almeno per quanto riguardava i primi due punti. Un brivido freddo si impadronì
del suo braccio buono: fino a quel momento nessuno aveva osato rivolgersi
direttamente a Roy, ma Ed non potè fare a meno di chiedersi quante e quali
rinunce avrebbe comportato tutto questo per lui. Roy aveva accettato di sua
spontanea volontà di correre il rischio, e lui, egoisticamente, non si era mai
fermato ad interrogarsi su cosa questo avrebbe comportato.
Si impose di non
pensarci. Adesso era ufficialmente in congedo temporaneo, sollevato da ogni
incarico e responsabile soltanto per sé stesso e per il suo addome deformato.
Chinò la testa di quanto bastava per un saluto formale e si girò, sforzandosi
di ignorare la selva di dita immaginarie che sentiva ancora inesorabilmente
tese verso di lui.
Anche Roy le sentì.
Fulminò i presenti con un’occhiata furiosa, e come se il suo gesto potesse
assumere per tutti quanti un valore superiore, si affrettò ad avvolgere le
spalle di Edward con il suo braccio, e a coprirlo da ulteriori sguardi. In quel
momento, stava sfidando tutto ciò in cui aveva sempre creduto, e molto
probabilmente stava mettendo a repentaglio i risultati di anni di sforzi e di
sofferenze, e lo stava facendo per lui. Edward si sentì piccino, di fronte
all’uomo formidabile che aveva accanto.
- Andiamo, Ed,
vieni. Torniamo a casa. –
Il ticchettio
indeciso delle stampelle di Edward, accompagnato dai passi regolari e sordi di
Roy, rimbombò nella grande stanza, e poi ancora nel corridoio deserto dei piani
alti, fino a spegnersi gradualmente nell’aria, nel silenzio generale.
* * *
La loro casa,
ormai, era diventata un ambulatorio. Edward aveva bisogno di cure costanti, e
di moltissimo riposo. Non era in grado di sostenere il peso di un bambino, il
suo era un corpo maschile, per Dio, c’erano le questioni del baricentro, dello
sforzo innaturale a cui era sottoposto, del continuo, estenuante monitoraggio
perché il procedimento alchemico a cui era stato sottoposto non si alterasse.
Non voleva nemmeno sapere come funzionasse esattamente il tutto, in che misura
l’alchimia avesse trasformato i suoi organi interni per adattarli ad una
funzione che non apparteneva loro. Gli era stato garantito che dopo la nascita
del bambino si sarebbe potuto rimettere tutto a posto, e tanto gli era bastato.
Doveva prendere le
stampelle anche solo per fare un passo, e come se non bastasse c’era la
costante minaccia di rigetto, e l’impianto dell’automail della gamba creava dei
problemi non indifferenti; Winry si era dovuta precipitare da lui fin dal
secondo mese, e imprecando a più non posso, quasi piangendo, aveva dovuto
installare delle componenti provvisorie ed allentare parecchi bulloni, perché
un groviglio di metallo conficcato troppo vicino al basso ventre decisamente
non andava bene.
- Come ti senti? –
Roy glielo chiedeva
ogni minuto, ed ogni volta le sue risposte non gli bastavano mai. Arrivò dalla
cucina armato di una tazza di tisana fumante che emanava un buon profumo di
fiori, e gli si sedette vicino, sul divano.
Edward accettò la
tazza e gli regalò un sorriso mesto e dolcissimo, che non aveva nulla di quei
sorrisi vitali, antipatici e esplosivi a cui Roy era abituato.
Quel sorriso, in
quel momento era di una tristezza avvolgente, come una benda che si stringeva
con morbidezza e calore, sì, ma attorno ad una ferita che faceva male, male da
morire.
Edward stava
continuamente male, ma non c’era nulla che si potesse fare per sistemare le
cose; soltanto fidarsi della sua forza e aspettare. Mangiava poco, dormiva
ancora di meno, e ogni tanto andava soggetto a violente crisi di vertigini, a
dolori un po’ dappertutto, a cefalee lancinanti e quant’ altro. Ma nonostante
tutto si sforzava sempre di fargli un piccolo sorriso, chissà se per
rassicurarlo o per ribadire la sua scelta.
Il campanello suonò
brevemente.
All’improvviso,
spezzando il silenzio familiare e ombroso della casa. Roy sospirò e si alzò dal
divano controvoglia, per andare ad aprire. Ed doveva muoversi il minimo
indispensabile, e ciò significava nella fattispecie il tragitto compreso fra
camera da letto, bagno e salotto, perciò figurarsi l’andare alla porta. Si
sentiva un rimorchio inerte quando vedeva Roy affaccendarsi in tutte quelle
cose che normalmente si erano sempre spartiti equamente, e menomato, incapace
di compiere persino le azioni più ovvie. E dire che gli aveva promesso decine e
decine di volte che non sarebbe stato in alcun modo di peso per lui.
- Ciao. – disse una
voce che Ed conosceva bene.
Deglutì persino,
non si aspettava proprio una visita di Al.
Nonostante Al fosse
stato al suo fianco fin da subito ed avesse appoggiato la sua decisione con
fraterno affetto, pur con una certa riluttanza, lui cercava in ogni modo di
evitare di vederlo, e da qualche settimana a questa parte soprattutto. La
pancia ormai si vedeva fin troppo, persino il mantello serviva appena, e il
fatto era che Ed si chiedeva sempre più insistentemente che cosa ne pensasse Al
di suo fratello. Se lo ritenesse un pazzo, un egoista, un disgustoso nemico
della scienza, o cos’altro.
Si vergognava.
E si vergognava di
vergognarsi.
- Che ci fate voi
qui? –
Ed corrugò le
sopracciglia e si sforzò di voltarsi per inquadrare l’ingresso.
Voi?
- Come sta il mio
nipotino? –
La voce di Winry lo
sorprese e quasi lo spaventò.
E poi.
- Hey, spegni
immediatamente quella sigaretta, razza di disgraziato! – tuonò Roy.
- Io gliel’avevo
detto di non accendersela. – precisò Hawkeye, professionale come sempre.
- Avanti Roy, non
farci restare sulla porta, non è carino, no? -
Un secondo dopo, il
salotto era animato dalle voci allegre di tutte le persone che Edward aveva da
sempre considerato una parte consistente della sua vita. C’erano Al e Winry, i
due simboli più cari del suo passato, e c’erano Hawkeye, Huges e Havoc, persone
con cui aveva condiviso anni, uffici, e casini di ogni genere da alcuni anni a
quella parte. La loro presenza chiassosa lo confondeva e lo rincuorava allo
stesso tempo, mentre Roy sembrava più che altro scocciato dall’idea di dover
lasciare di nuovo il divano per andare a fare del caffè.
Con il passare
delle settimane era diventato una specie di orso protettivo, sempre scorbutico
con tutti per necessità. Aveva la faccia segnata dalla stanchezza e dalla
preoccupazione, ma nonostante tutto non aveva voluto mollare il lavoro, per
poter tenere sotto controllo la situazione al Quartier Generale anche dopo il
suo congedo. Gli era presa la strana fissazione che qualcuno avrebbe potuto
cercare di fare del male al suo Edward, e per l’amor del cielo, anche al loro
piccino. Era ossessionato, o forse soltanto spaventato, dall’idea che qualcuno
potesse cercare di approfittare di quel loro momento di vulnerabilità.
- Prendi. –
proclamò Maes, tendendo con aria solenne una scatoletta di cartone colorato.
Roy se la girò fra
le mani fino a trovare il pomposo nome inciso sul fronte. – Sono integratori? –
domandò, scettico.
- Li prendeva la
mia Glacier quando era incinta di Elicia. E hanno funzionato alla grande, hai
visto che angelo di bambina è venuta fuori? –
- Non credo che
sia… -
Roy stava per
metterci l’anima per smontare Maes e le sue trovate folli, ma gli bastò
incrociare il mezzo sorriso di Edward per convincersi a desistere. Sembrava un
viaggiatore approdato in una piccola oasi dove dissetarsi e riposarsi un
momento, prima di riprendere il suo tremendo viaggio.
- E va bene. – si
rassegnò. – Vedremo se queste pillolette sono miracolose come dici. -
* * *
Se ne andarono
tutti poco prima dell’ora di cena. Edward si scusò mille volte di non potersi
alzare per accompagnarli. E, per un momento, era stato tentato di chiedere loro
di fermarsi a mangiare da loro. Era stato bene con loro, circondato dal calore
fraterno e dalla rassicurante consapevolezza di essere capito.
Riza gli aveva persino
chiesto di potergli toccare l’addome. Ci aveva messo sopra la mano con
prudenza, e quando aveva avvertito un movimento ovattato sotto la superficie si
era irrigidita, intenerita ed imbarazzata. Al si era lagnato a morte di non
poter fare la stessa cosa, guadagnandosi per l’ennesima volta la stessa,
vecchia promessa da parte di suo fratello, che prima o poi sarebbero riusciti a
riavere indietro i loro corpi.
Ad essere sinceri,
Ed aveva sperato di incappare in qualche notizia utile, durante le estenuanti
ricerche per il piccolo. Ma aveva scoperto presto che creare una nuova vita era
ben diverso dal riprendersi indietro qualcosa che era già esistito, e che ora
non c’era più.
Quando Roy
raggiunse nuovamente Edward, dopo aver fatto le veci del perfetto padrone di
casa, lo trovò ad accarezzarsi debolmente l’addome, aggrappato con la mano di
metallo allo schienale del divano.
- Tutto bene? –
Edward insinuò un
sorrisetto amaro.
- Sto cercando di
pentirmi di ciò che ho fatto. – confessò sottovoce. – Sto cercando di
vergognarmi di questo. –
Il “questo” venne
sfiorato da un’ennesima carezza. Roy si inginocchiò pigramente davanti al suo
compagno, e aggiunse anche la sua mano sul loro “questo”. Guardava dritto
davanti a sé, niente in particolare, scorreva con il palmo sulla circonferenza
rigida e regolare, e la sua mano era meravigliosamente ampia, rispetto a quella
di Ed.
- Ma non ci
riuscirai, vero? -
- No, credo di no.
Sono ancora certo che potrei sopportare tutto questo per sempre. E tu invece? -
- Nemmeno io. – Roy
sottolineò le sue parole con un sorriso. – A me basta che non ti succeda nulla,
lo sai. –
Sì, Ed lo sapeva.
Anche se la consapevolezza di essere il centro assoluto delle attenzioni e
delle priorità di Roy Mustang aveva ancora il potere di farlo arrossire.
- Sei un uomo
straordinario. Scusa se non te lo dico mai. – sussurrò.
Roy si accorse che
aveva socchiuso leggermente le palpebre, lasciandosi andare ad un piacevole
rilassamento. Pareva strano persino a lui ammettere una cosa del genere, però
in quel momento Edward era bello. Bellissimo, pur nella contraddizione
fisiologica del suo stato, come una scultura immobile nella sua serenità
eterna.
- Non c’è niente di
straordinario in me. Sono solo un uomo che farebbe qualsiasi cosa per rendere
felice la persona che ama. E che crede fermamente di lottare per qualcosa di
giusto. Per il resto, sto ancora cercando di capacitarmi che presto avremo un
bambino. –
ANGOLINO!
Doveroso angolino
per rispondere a tutte le vostre recensioni, che sono state tante e tutte
imbarazzantemente piene di complimenti e di incoraggiamenti.
Grazie, grazie,
grazie, sono veramente commossa!
Fra l’altro, le
recensioni di alcune di voi mi hanno aperto gli occhi circa una cosa di cui non
mi ero assolutamente resa conto. Ma davvero non esistono mpreg di FMA in
italiano? O__O
Ely: doveroso
iniziare da te. Ok, finiremo con il picchiarci per decidere chi deve
ringraziare chi, ma ad ogni modo è anche un po’ merito tuo, lo sai. Quanto al
mare di emozioni, beh, quando sono al lavoro su questa storia mi ritrovo spesso
a dirmi “meno male che esistono”.
Bad Girl:
semplicemente… grazie! Sono felicissima di essere addirittura fra i tuoi
preferiti, spero di continuare a meritarmelo!
Nacchan: grazie
mille, sono più che felice che questo Ed ti piaccia!
Inuyasha94: Eh, Ed
non è proprio un mago in fatto di tempistiche. Comunque spero che il proseguio
ti piacerà!
Ale2: wow, una
doppia Ale! ^_^ Grazie a tutte e due allora, mi auguro di non deludervi!
Chibimayu: ecco, la
tua è una di quelle recensioni! Ma pensa, ci sono solo in inglese? E dire che
io non ne ho mai letta una. Comunque grazie mille per tutti i complimenti, sono
davvero lusingata! E giuro solennemente che il mio scopo non è farti piangere…
Ma non garantisco nulla!
Steelrose
Alchemist: Eccone un’altra! Ma insomma, qui bisogna rimediare, le mpreg ci
vogliono in questo fandom! >///< Diamoci da fare. Roy, Edward, a
rapporto! Avete una missione moooolto importante da compiere!
Ed92: addirittura,
ma graaazie! Hihih, anche io adoro le descrizioni mortali, quelle che ti
raccontano del granello di polvere sullo scaffale! E comunque, sempre in tema
mpreg, adesso ci mettiamo a tradurne un po!
Envuccia: hihi,
qualcuno che si interessa anche al punto di vista di Roy, eh? Benissimo,
contenta che ti piaccia, spero di non deluderti con quello che verrà!
Setsuka: me si
inchina a te, grazie di tutto cuore! Le metafore e le descrizioni sono la mia
passione, non so cosa farei per entrare totalmente in sintonia con la
situazione ed i personaggi. E uff, non sai che bel sospiro mi hai fatto tirare,
ero terrorizzata dal rischio di scadere nel ridicolo!
Chiara: ma… ma…
Ecco, io mi commuovo, per recensioni come queste. Che dire, grazie, grazie e
ancora grazie, l’idea di “imponenza” di Roy era quella che mi premea in
particolare rendere, e sviluppare in questo altro capitolo. Perciò,
contentissima di essere riuscita nell’intento, e ancora grazie!
Roy Mustang sei uno
gnocco: ma guarda un po’ che nick! ^^ Guarda che se Ed te lo scopre poi sei nei
guai, sai com’è, è un tantino geloso! Scherzi a parte, ti ringrazio tanto,
spero che il seguito ti piacerà!
Yumi: Volevo che il
titolo contenesse un po’ tutto il senso più profondo della storia, e mi fa
moltissimo piacere sapere che ti ha colpita, significa che l’ho scelto bene!
The dark side:
l’idea mi frullava in testa da un po’, in realtà! Già, né Ed né Roy sono dèi,
ma chi lo dice che per questo non potranno almeno tentare di trovare la loro
felicità? Anche se, c’è da scommetterlo, i problemi non saranno pochi.
Dark: waaa,
darkina! Eh sì, vedrai che la vicenda è ben diversa da quella del nostro James,
ma l’amore di due genitori è pur sempre amore! *__*
E con questo ho
finito. Spero che anche questo capitolo vi abbia emozionati, aspetto i vostri
pareri e le vostre impressioni!
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Capitolo 3 *** Sweet eyes of yours ***
3_ sweet eyes of yours
3_
sweet eyes of yours
Gabriel era un nome
poco adatto al visetto paffutello e vispo di un bimbo nato da poco più di dieci
giorni.
Era serioso ed
importante, suonava già da solo come un titolo di un certo prestigio.
Eppure Roy lo aveva
scelto senza esitare un secondo, come se fosse stato il frutto di mesi di
meditazione intensa, e non un impulso nato da chissà dove, in un momento che
ben poco aveva avuto di razionale.
Semplicemente,
quando aveva visto gli occhi di quel bambino – di suo figlio, per l’amor del
cielo, suo figlio – aprirsi su di lui per la prima volta, e guardarlo come solo
un bimbo sa guardare, con quel colore dorato che sapeva immensamente di Edward,
gli era uscito dalla bocca in un singhiozzo, ed era finito direttamente su
carta, sul certificato di nascita che Riza Hawkeye si era affrettata a
consegnargli da compilare e controfirmare.
Quel documento
lindo e anonimo sarebbe persino potuto sembrare una delle solite, dannate
scartoffie che lo perseguitavano anche quando andava al bagno, da quando la sua
posizione era diventata sufficientemente alta da valergli una poltrona
imbottita tutta per lui. Se non fosse stato che Hawkeye, il tenente di ferro
Hawkeye, era quasi irriconoscibile, tutta commossa ed eccitata com’era.
Ed non aveva detto
una parola sulla sua scelta. Si era limitato ad annuire e a formare un sorriso
stanco. Si era appena svegliato dall’anestesia, poverino, ed era a pezzi per la
gioia.
Perché sì, la gioia
può ridurti in ginocchio, quando passi nove mesi della tua vita ad aspettare un
miracolo che cresce dentro di te costringendoti a camminare con le stampelle e
ad affrontare l’inferno di chi ti nega il diritto di sentirti umano, e poi alla
fine ti fa schiantare a terra come un a marionetta rotta, e ti obbliga ad una
corsa assassina verso l’ospedale militare, bianco e mezzo morto per il dolore,
e via sotto i ferri.
Così, al piccolino
era stato dato il nome Gabriel.
- Lo sai, Ed. –
Roy si piegò in
avanti, sul divano azzurro del soggiorno di casa, appoggiandosi sui gomiti.
Gabriel smise subito di succhiare il biberon, e lo fissò spalancando gli occhi,
come faceva sempre. Tese una manina verso di lui, per afferrargli chissà, una
manica, i capelli, o per stringere il suo cuore fra quelle ditina carnose. Ma
poi il suo prezioso biberon tornò repentinamente e prepotentemente in cima ai
suoi pensieri, e il salotto si riempì nuovamente del suo quieto poppare.
- I suoi occhi sono
incredibilmente identici ai tuoi. –
Usò un tono
solenne, per dire quelle sue poche parole. Dopo tutto quello che loro due
avevano passato per arrivare fino a lì, per Roy era davvero, davvero importante
che il loro bimbo avesse gli occhi di Edward. Era un po’ come un riscatto
dovuto, il senso ultimo di un’ora e mezza di terrore e di ansia trascorsa nel corridoio
anonimo di un ospedale, davanti ad una porta bianca che si ostinava a rimanere
chiusa davanti a lui.
Ed si chiuse dietro
ad un sorriso delicato ed un po’ imbarazzato, che nulla voleva nascondere, ma
che sottintendeva talmente tante cose da parere ermetico. Roy diede un buffetto
sulla guancina morbida di Gabriel, che continuava imperterrito a succhiare il
suo latte tiepido, e si sedette vicino a loro, facendo attenzione a non
strattonare Ed.
Ed che era
diventato, da nove mesi a quella parte, un delicatissimo cristallo, per lui,
una maestà da adorare e da proteggere. Vederlo seduto con la testa reclinata
sullo schienale, le braccia raccolte a culla e lo sguardo assorto sul loro
piccolo, così sereno, così pieno, valeva tutta una vita, Roy poteva giurarlo.
- Dammelo un po’
qui, avrai le braccia di legno ormai. –
- Puoi anche dire
che lo vuoi tenere tu, sai, stupido Colonnello? –
Roy fece scattare
fulmineamente gli occhi verso l’alto, per non dargli troppa soddisfazione. Come
sempre il piccoletto ci aveva preso.
Ed acconsentì
comunque, naturalmente, e glielo accomodò fra le braccia delicatamente,
assicurandosi che la testolina fosse ben sostenuta.
Roy si sentiva
immensamente grande quando teneva in braccio suo figlio. Ed ogni volta che
Gabriel lo guardava fisso negli occhi, con un’ espressione stupita e catturata,
lo sentiva ancora di più, gli sembrava di essere ad un passo dal sole. Ed stava
ad osservarli, e sorrideva fra sé di quell’inestimabile composizione, come se
non potesse esistere niente di più bello al mondo di ciò che aveva davanti agli
occhi.
E Roy, preso in
mezzo fra quelle due paia di occhi dorati, innamorato perso di entrambi in un
modo tanto diverso quanto equivalente, non poteva che lasciarsi
meravigliosamente annegare.
– Roy. –
Un sorriso
smarrito, uno sguardo che fluttua con calma dal suo uomo al loro piccolo. Ed si
sentì cullare da una sensazione di pace potente e torpida che lo avvolse.
E Roy si ricordò
all’improvviso del perché fosse lì, in quel momento. A guardare suo figlio
giocare con un lembo della sua camicia, e ad emozionarsi per il modo in cui il
suo compagno pronunciava il suo nome come se fosse ancora la prima volta.
Si ricordò anche
che quando lo avevano lasciato entrare nella stanza di Ed, dopo che si era
bruciato due o tre vite nell’attesa, lì fuori, la primissima cosa che aveva
fatto era stata chinarsi sul suo viso, ed inspirarne rapidamente l’odore. Poi
gli aveva dato un bacio morbido, sulla guancia. Edward sapeva di disinfettante,
di sudore e di se stesso, e Roy non aveva avuto bisogno di sapere altro. Quando
gli aveva mostrato il fagottino seminascosto nell’incavo del suo braccio
destro, scostando la copertina bianca che lo avvolgeva, e glielo aveva porto
con gli occhi pieni di speranza e di una paura irrazionale e folle che qualcosa
non andasse bene, che Roy lo rifiutasse e li abbandonasse proprio ora che tutto
era compiuto, lui aveva avvicinato il volto a quello del figlio, e aveva
respirato ad occhi socchiusi. Anche suo figlio odorava di disinfettante, ed emanava
un profumo purissimo e dolciastro, un piccolo mondo nuovo, una corolla di
sensazioni da mettere i brividi.
Certe cose sono
semplicemente animali, si fanno e basta. Da quell’analisi istintiva Roy aveva
ricavato tutto ciò che avrebbe mai voluto sapere, e aveva stabilito dei legami
che mai nessuna parola sarebbe bastata a definire.
- Quasi quasi
capisco Maes. – si sorprese a mormorare.
Edward glissò le
dita sulla fronte e sulla testolina di Gabriel.
Pensò a Maes con un
sorriso, e alla sua immagine si sovrappose quella di Roy, così limpida nella
sua mente, di quel giorno incancellabile. Lui ad un passo dal suo letto, con
addosso l’uniforme da colonnello che non aveva potuto cambiare, e Gabriel fra
le braccia, in silenzio, bello e solido come niente al mondo avrebbe mai potuto
essere.
Un soldato che
stringe il suo figlio neonato, un qualcosa di universale, questo era stato Roy
per lui, per alcuni, lunghissimi istanti.
- Già. –
Silenzio.
Era incredibilmente
bello starsene lì, senza un motivo, ad ascoltare il gorgoglio sommesso del
succhiare di un bambino.
Edward era riuscito
a stupire tutti una volta di più. Il piccolo, scorbutico, vulcanico Fullmetal,
aveva saputo trasformarsi in un genitore perfetto.
Aveva un istinto
paterno tutto suo, Edward. Che gravitava attorno alla consapevolezza, piena ed
umile, che ciò che aveva creato era grande, molto più grande del corpicino
vestito di verde chiaro che Roy teneva in braccio. Aveva sfidato il mondo con
il suo consueto spirito battagliero, per lui, lo aveva afferrato per il bavero
della giacca e lo aveva scosso talmente forte da far tremare ogni cosa,
soltanto per avere Gabriel, per potersi beare di dire “respira”.
Roy, dal canto suo,
faceva ancora troppa fatica a riconoscere sé stesso, il Roy Mustang di soli
pochi anni prima, nell’uomo seduto sul divano di casa, innamorato fino alle
lacrime di un ragazzino biondissimo e pazzo, e di un bambino che, per quanto lo
riguardava, lo aveva completamente in pugno, con quegli occhi.
Nonostante i
tredici anni di differenza, Roy aveva cominciato a ragionare come un uomo
adulto solamente quando Edward era entrato nella sua vita, passando attraverso
le sue braccia. Prima di lui era stata la voglia di giocare, il dirsi che di
impegnarsi non ne valeva la pena, troppi rischi e troppe incertezze. Era
servito qualcuno che gli fosse intimamente gemello, per scombussolarlo a tal
punto da convincerlo a prendere in mano la sua vita. Con quella sua forza
micidiale, con il suo implacabile sognare, e con le mille insicurezze che punterellavano
il suo carattere come stelle, lui era riuscito a farlo sentire uomo nella
quiete della stabilità, e a dargli il coraggio per proclamarsi innamorato.
- Però giura che
non comincerai ad ammorbare tutti quanti con le telefonate, come fa lui. – lo
ammonì Ed.
- Sul mio onore. –
ghignò Roy.
Di nuovo silenzio.
Gabriel ora
osservava con attenzione il suo orgogliosissimo padre, annidato fra le sue
braccia. Le sue labbra umide di latte vibravano quasi impercettibilmente ad
ogni respiro, che sibilava con tranquilla monotonia, e di tanto in tanto
sbatteva le palpebre, con le ciglia lunghe e lucide. Piccolo, dolce miracolo.
- E tu che cos’hai
da guardare, eh? – lo coccolò Roy.
Ed scivolò più
vicino a lui, e gli si strinse al braccio affacciandosi oltre il suo gomito. –
Guarda te. – disse serio, pieno di convinzione. – Guarda il suo papà. –
Roy sorrise in modo
professionale, per dissimulare la sensazione delle sue viscere che si
squagliavano come cioccolato, a quelle parole.
Aveva sempre,
ferocemente desiderato diventare importante. Ma le due persone che aveva vicino
in quel momento, sul quel divano, erano le sole per le quali voleva essere
importante in modo completamente diverso.
- E’ così piccolo.
-
- Sì. Non riesco a
credere che abbia causato tanti guai. -
- Non ti
ringrazierò mai abbastanza, per questo bellissimo dono. Per esserti ostinato a
volerlo, e per aver convinto anche me. E adesso lui ti somiglia, e nei suoi
occhi vedo i tuoi, ed è qualcosa di… –
Roy si lasciò
interrompere dal sorriso di Edward, che si mise in ginocchio sul divano, e si
sporse prudentemente fino a raggiungere la sua bocca.
Si scambiarono un
bacio che sapeva di buono. Ed si appoggiò con la mano destra al petto di Roy,
per potersi sbilanciare verso di lui e lasciarsi andare.
Non si erano
nemmeno accorti che Gabriel si era addormentato, con le labbra imbronciate.
Continuarono a baciarsi ad occhi chiusi come ragazzini, per alcuni, lenti
minuti.
Edward e Roy erano
innamorati l’uno dell’altro.
Se lo fossero stati
da sempre, se l’erano chiesto spesso, ma non aveva poi una grande importanza.
Andava bene così, ora che tutto faceva un po’ meno paura.
Andava bene perché
tanto la gente avrebbe continuato a guardarli, a parlare di loro, a giudicarli
senza sapere che nulla di tutto ciò aveva importanza, per due persone che
avevano la fortuna di vedere il loro amore riflettersi negli occhi splendidi,
dorati del loro bambino.
FINE
ANGOLINO
Ed eccoci con
l’epilogo. Cavolo, è già finita, non avete idea della tristezza che provo! Mi
sono affezionata moltissimo a questa storia, e concluderla è davvero una
sofferenza.
Ma è giusto così.
Il mio scopo primario era affrontare un tema piuttosto controverso come la male
pregnacy nel modo più credibile possibile (e prima che qualcuno me lo chieda,
no, Fathers non è una male pregnacy, visto che nessuno è pregnant! ^^), e
l’alchimia faceva proprio al caso mio.
Ad ogni modo, in
questa fic mi sono concessa qualche capriccio anche dal punto di vista
prettamente stilistico. Ogni capitolo comincia con il nome dei tre protagonisti
e si chiude con la parola “bambino”
(non se n’era
accorto nessuno, vero? =__=).
E a proposito, una
menzione particolare a Setsuka, che ha preso in pieno il messaggio fondamentale
del secondo capitolo, quel contrasto/fusione fra la prima frase “Edward si
sentiva un mostro”, e una delle ultime, “ Edward era bello”. Roy per primo se
ne accorge, e ce lo dice, ci costringe a riflettere su quanto bello sia Ed,
nella sua mostruosità che è grandiosa e coraggiosa.
Grazie di cuore per
tutte le recensioni, mi avete dato ancora più entusiasmo, sono davvero
commossa!
Dark: oh sì, Maes
ci voleva assolutamente. Sarà che personalmente non ho mai elaborato il lutto,
perciò per me è ancora vivo, punto e basta.
Nacchan: grazie
mille!
Setsuka: ho già
detto sopra, per il resto non posso che ringraziarti tanto, per i complimenti e
per le osservazioni, tutte giustissime (soprattutto quella su Hughes, non mi
ero assolutamente accorta dell’errore, ed è stranissimo perché di solito i nomi
li controllo).
Bad Girl: Waaa,
grazie! Beh concordo pienamente, io a quegli avvoltoi le dita le staccherei ad
accettate, maledetti!
Ed92: nuuu, le
giornate di pioggia super depressione… meno male allora che la seconda parte
del capitolo è dolce, altrimenti c’era da spararsi! ^_^
Yumi: volevi sapere
quanti cap? Questo è l’ultimo. Sono solo tre, è già finita! Ç__ç
Ely: scrivere
questa storia mi ha totalmente coinvolta (oltre che prosciugata), perciò lo
sai, sapere che anche solo un millesimo delle emozioni passa è già grandioso
per me.
Chiara: wow,
recensione approfonditissima che mi onora immensamente, perché oltre a tutti i
fantastici complimenti mi sono meritata soprattutto la tua attenzione, che è la
cosa più importante. E non posso che dire che le tue osservazioni rispondono
pienamente alle mie idee, e ciò mi rende più che felice. I due padri, è vero,
suona stranissimo, però non so, mi sembra la cosa più tenera del mondo.
Soprattutto valutando i nostri due soggetti.
Dark side: ce
l’hanno fatta, yes! Del resto lo sappiamo che Ed ha una testaccia di legno se
ci si mette…
Ale2: ooooh, grazie
grazie grazie! Hihihi, maternizzazione suona proprio bene!
Roy Mustang sei uno
gnocco: ma non ci credo, anche io voglio fare i sogni con Ed che sbava dietro a
Roy!!! *___* accidenti dimmi cos’hai mangiato, che corro a fare doppia razione!
Steelrose
Alchemist: Ah beh, non potrei che essere felicissima di leggere una traduzione,
si si si!
Chibimayu: noooo,
aiuto non piangere! E soprattutto non dirmi certe cose che poi mi imbarazzo, la
prima mpreg italiana (a parte quella incompiuta che mi andrò a cercare, ma se è
comica è tutto un altro genere) Cavolo sì, voglio sicuramente leggerne qualcuna
in inglese, ti scriverò al più presto per chiederti qualche indirizzo!
Inuyasha: sì, anche
la nostra Hawkeye in fondo si emoziona… ogni tanto… in casi eccezionali.
Egittofona: grazie
infinite, troppo buona!
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