Desire (If only)

di Stateira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Collapse ***
Capitolo 2: *** Monster ***
Capitolo 3: *** Sweet eyes of yours ***



Capitolo 1
*** Collapse ***


PREMESSA

PREMESSA

 

Questa breve fic in tre capitoli tratta di male pregnacy, ovvero di gravidanza maschile. Per quanto ciò non sia fisiologicamente possibile nella realtà (mi sento abbastanza cretina a dirlo), ho cercato di trattare l’argomento nel modo più verosimile e serio possibile, e mi auguro di tutto cuore di esserci riuscita, ma questo sarete voi a giudicarlo.

 

Va da sé quindi che il contenuto della storia è piuttosto delicato, e potrebbe risultare sgradito a qualcuno. Ho scelto il rating arancione perché non ci sarà nessuna scena esplicita di nessun genere, ma se pensate che un rating rosso sia più adeguato, non fatevi scrupoli a dirmelo.

 

Meglio abbondare che deficientare, come diceva quella saggia donna della mia prof di latino.

 

Ah, come di consueto, niente spoiler, nada de nada.

 

Un sentitissimo, enorme ringraziamento ad Elyxyz, per essersi prestata a betare la storia e a darmi qualche prezioso consiglio. E per essere un tesoro di donna, soprattutto.

 

I owe you one.

 

Enjoy!

 

Stateira

 

 

 

1_ Collapse

 

 

 

- Roy. –

 

Roy Mustang fece un sorriso sghembo e intenerito, quando una mano gli solleticò furtivamente il fianco sinistro nel bel mezzo della notte. La afferrò con le dita intorpidite dal calore e dal sonno, prendendosi un po’ di tempo per coccolarla e per esplorare pigramente la forma affusolata di quelle dita.

 

- Sono sveglio, Ed. –

 

Rumori lievi, fruscii sommessi e confusi di coperte, il cigolare stridulo del materasso, e alla fine, una testa bionda che emerge dal tutto, con due occhi color oro che guardano Roy seri seri.

 

- Sai Roy, c’è una cosa a cui stavo pensando. –

 

Edward Elric aveva ventuno anni. Il bel viso di sempre, i capelli lunghi di sempre, e una vecchia maglietta sformata color blu sbiadito come pigiama. Era di Roy, quella maglietta, tra l’altro. Gli arrivava quasi alle ginocchia. Roy vestiva spesso di blu, anche fuori dall’uniforme. Era un colore che gli donava moltissimo.

 

- E’ una cosa importante? –

- Sì. Sì, abbastanza. –

- E allora come mai ti è venuta voglia di parlarmene proprio alle due del mattino? –

- Ecco… - Ed non badò allo sbadiglio divertito con cui Roy aveva sottolineato la sua osservazione. Non lo stava nemmeno guardando negli occhi. – Perché penso che ti arrabbierai. –

 

Roy Mustang aveva trentaquattro anni, e un gran sonno. Però Edward aveva bisogno di sentirsi dire che no, non si sarebbe arrabbiato con lui, qualunque cosa fosse la misteriosa idea che gli frullava per la testa, e lo preoccupava tanto da avergli cancellato persino il suo solito broncio.

 

- Ti ascolto. – sussurrò affondando teneramente le labbra proprio dietro l’orecchio destro di Edward.

 

- Sì. Beh ecco, io stavo pensando che… - Edward deglutì rumorosamente e scattò alla ricerca delle dita di Roy, quanto di più simile per lui ad un appiglio per non annaspare nel mare di cose che stava per dire. – L’alchimia. – sputò.

 

Nonostante tutto il tempo passato insieme – quattro anni, ormai, mio dio, quattro interi anni – Ed non era cambiato quasi per niente. Faceva sempre una fatica del diavolo a parlare di ciò che provava, e più intensa era l’emozione che si teneva dentro, più tempo impiegava ad esprimerla, e alla fine, più goffo era il risultato. Roy ricordava molto bene la prima volta, ed una delle pochissime, che Edward gli aveva detto di amarlo. Aveva tergiversato per ore, rintronandolo con i suoi “ehm, ecco, dunque”, e alla fine aveva strizzato forte gli occhi, e gliel’aveva detto con una vocina piccola piccola, nemmeno avesse dovuto confessare un qualche tremendo crimine.

Edward si faceva adorare per cose come queste, che davano a Roy la possibilità di sentirsi adulto.

 

- Mi chiedevo se potessimo usarla per… per noi. –

- Per noi? –

 

Dal punto in cui era nascosto, Ed riuscì a sentire la fronte di Roy che si aggrottava, e le sopracciglia che si inarcavano. – Perché, a cosa dovrebbe servirci? –

- All’unica cosa che non siamo in grado di fare da soli, Roy. –

- L’unica cosa che…? – Roy Mustang si sollevò di scatto sulle braccia, dimenticandosi di tutto, dell’ora, del sonno, degli anni. – Ed, ma di cosa…? –

 

Edward cercò di accumulare e condensare tutto il suo orgoglio nello sguardo con cui affrontò il suo compagno nella semioscurità quieta e tesa della loro camera da letto. Doveva giocarsi la sua carta ora, lo sapeva bene, o non avrebbe mai più trovato il coraggio di farlo.

 

- Un bambino. – pronunciò, rompendo ogni decenza con voce suo malgrado delicata, esitante e ben scandita allo stesso tempo.

 

Il tabù dei tabù andò in frantumi fracassandosi sul pavimento della bella camera da letto della casa di Roy, dove lui e Ed vivevano insieme da un paio di anni, e schizzando schegge acuminate in ogni direzione, investendo in pieno Roy che, incredulo, le ascoltava conficcarsi e scricchiolare dentro il suo petto.

Non servì molto altro per capire che qualcosa, fra loro due, aveva cominciato a sanguinare.

 

- Un bambino. – ripeté Roy, scavando qua e là nella federa del cuscino per cercare di estrarne fuori un qualche significato inafferrabile che lo salvasse e gli spiegasse. – Edward, io non credo che… -

 

- Aspetta, ti prego. Possiamo almeno parlarne? –

 

Parlare? Oh, parlare non portava mai a niente di buono. Roy si ritrovava sempre in balia di Ed e della sua voglia di fare, finendo con l’assecondarlo a prescindere. Era sempre stato così, fra di loro, anche quando non stavano insieme, quando non si era ancora innamorato di lui, se poi c’era mai davvero stato un tempo in cui lui non lo aveva amato.

 

- Roy, senti, se solo noi provassimo. –

 

Roy trasalì e stirò le braccia per ricacciare indietro un brivido freddo che minacciava di rigargli la schiena.

Stava dicendo sul serio. Edward, il suo Edward aveva sempre avuto la testa piena di sogni. Le ricerche per recuperare i vecchi corpi, suo e di suo fratello, a cui lui non aveva mai rinunciato in quegli anni, e la volontà ferrea di sostenerlo nella sua lenta conquista del potere, erano tutte cose che lo animavano di energie inesauribili, dando l’impressione che uno come lui non si sarebbe mai potuto spegnere.

 

- E’ nostro diritto, non credi? Abbiamo il diritto di volere una cosa del genere, e non faremmo del male a nessuno. -

 

Edward voleva soltanto sentirsi dire da Roy che ciò che desiderava non era cattivo, che non era sbagliato, che non era criminale. Glielo si leggeva negli occhi, che aveva bisogno innanzitutto di trovare la pace con sé stesso. Non c’era da stupirsi; sogni del genere corrodono dentro, fino ad arrivare all’anima e ridurla in brandelli. Aveva sempre avuto un rapporto morboso con le cose impossibili, fin da quando aveva cercato di derubare la morte da piccolo, finendo quasi per esserne preda. Ma Edward non era uno che imparava dal passato.

 

- Hai quasi trentacinque anni, Roy, e io vorrei soltanto che… -

 

Che poi non fosse troppo tardi.

Non lo era, dannazione, certo che no, ma si sa come vanno queste cose, il tempo comincia a scorrere, e gli impegni si accumulano, i gradi sull’uniforme aumentano, e con essi il rischio di fare passi falsi; e allora ci si comincia a ripetere che si può aspettare ancora un altro po’, per aspettare un momento migliore, ma intanto i giorni passano, e passano, e passano.

 

Roy sentì il suo stomaco contorcersi e minacciare di andare a fuoco.

 

Un figlio, già, e chi non lo desidera, quando la tua vita sembra aver preso la piega regolare e tranquilla della quotidianità condivisa con la persona che ami? Se Roy non ci aveva mai pensato era soltanto perché aveva sempre, professionalmente dato per scontato che fosse semplicemente qualcosa di irrealizzabile. Lui e Edward si erano guadagnati la loro pace lottando, e, maledizione, non era sempre stato lui a dire che per questo si sarebbero meritati ogni gioia? Non era proprio lui, l’uomo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendere Edward felice? Dio, glielo aveva giurato, gli aveva fatto una promessa vera, una promessa di quelle serie, con gli amici come unici, silenziosi, inutili, commossi testimoni, soltanto pochi anni prima.

 

- Io lo vorrei tanto. Tanto da morire. –

 

Usare le armi di Dio per diventare Dio per un momento. Roy avrebbe corrucciato severamente la fronte e avrebbe pronunciato un no senza appelli, secco e definitivo, se non si fosse trattato di Edward, del suo Edward.

 

- Ho imparato dai miei errori, Roy, non sono più il bambino avventato di una volta. Faremo delle ricerche approfondite, studieremo ogni particolare, non ci lasceremo sfuggire nulla, faremo in modo che ogni cosa vada per il meglio. –

 

Miseria, la forza del desiderio di un bambino che vuole un bambino. E la nebulosa immagine di quel sogno che si avvera, così vicino, così a portata di mano. Così possibile.

 

L’alchimia ha un potere davvero tremendo, Roy se ne rendeva conto soltanto in momenti come questi. Ti seduce con promesse da puttana che poi non mantiene mai, come una sirena vigliacca, nascosta fra gli speroni aguzzi degli scogli, e più male faceva vedere Edward correre incontro a quella chimera, più lui si interrogava su quale fosse il prezzo effettivo, se fosse poi un costo così elevato, e senza nemmeno accorgersene si lasciava sedurre dalla stessa melodia assassina.

 

- Ed, non lo so. È rischioso. –

- Sì, però ti prego, ti supplico Roy, lasciami provare. –

 

Roy si strofinò gravemente la mano sugli occhi. – Dio, è così difficile. –

- Offrirò il mio corpo come incubatrice, penserò a tutto io, te lo giuro Roy, tu non dovrai fare altro che stare a guardare, non ti sarò di peso in alcun modo, vedrai, andrà tutto a meraviglia, riuscirò a… –

 

Roy premette le labbra del compagno con le sue dita, fermando la frana di parole concitate che sgorgavano inarrestabili dalla sua bocca. Lo squadrava seriamente, profondamente, sondando fra i suoi pensieri confusi ed illusi, alla ricerca di una paura a cui appigliarsi per smontare la sua fantasia. Un’esitazione che molto probabilmente non esisteva.

 

- Tu ci credi così tanto. Così tanto, vero Edward? –

 

Gli occhi di Ed si riempirono di lacrime, facendosi ancora più grandi nella penombra. Si sentiva un bambino stupido e capriccioso, e si vergognava da morire di non riuscire a far finta di niente per quella volta, per quella cosa che si faceva desiderare sempre di più, rodendogli lo stomaco pian piano con le prepotenti immagini che formava a tradimento nella sua testa.

 

- No, Ed non… -

 

Roy se lo ritrovò fra le mani che ormai era troppo tardi.

Gli accarezzò i capelli sciolti più dolcemente che poté, sfiorandogli la fronte con le labbra calde fra un tocco e l’altro. Se c’era una cosa che aveva sempre detestato con tutto il suo cuore era proprio lo scoprirsi cieco. C’era qualcosa di grosso che faceva star male Edward da chissà quanto, c’era questa cosa macroscopica che gli offuscava il sorriso, e lui dov’era? Al quartier generale, a occuparsi di documenti stropicciati? Edward non voleva farlo sentire in colpa, lo sapeva benissimo, ma lui era il genere di uomo che era sempre scappato dalle responsabilità che riguardassero il cuore invece della testa, e proprio perché alla fine ci era cascato anche lui, ora si sentiva in dovere di assumersene fin troppe.

 

- Non piangere. –

 

Gli sembrava di impazzire, se solo vedeva gli occhi di Edward vacillare.

 

- Scusa. Mi dispiace, è solo che… -

 

Ed si sforzò di tirarsi su a sedere, e il risultato fu che si stropicciò gli occhi con troppa forza, finendo con il diventare rosso.

 

- E’ solo che ci penso. – sussurrò disperatamente. – Ci penso sempre. Penso sempre di più che sia possibile. –

 

Così tanto possibile.

Ed aveva smesso subito di piangere, e del resto non era da lui farlo. Era stato un momento di sconforto, un collasso, mettiamola così, ma la verità incontrovertibile delle parole venute a galla quella notte sarebbe rimasta viva anche il giorno dopo, e quello dopo ancora. Roy non era nessuno per negare ad Edward un figlio, ma non c’erano dubbi sul fatto che lui volesse che quel bambino fosse davvero loro, non di una donna, e non di chissà chi altro. E, siamo seri, Roy sapeva perfettamente di essere troppo geloso ed egoista per suggerire qualcosa di alternativo e di meno complicato.

 

E quella cosa, quell’idea, quel miraggio, era davvero così possibile che sarebbe bastato tendere la mano per afferrarla. Forse Roy non voleva farlo semplicemente per la paura di dimostrare a sé stesso quanto fosse terribilmente concreta.

 

- Se ti accadesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo. –

 

- Ma non mi accadrà niente. – rispose Ed, con quel suo sorriso inconsolabile che aveva il potere di farlo a pezzi dentro. – Andrà tutto bene, sarà tutto magnifico, e vedrai, ti piacerà tanto, potrai scegliere tu il nome, e potremmo risistemare la stanza del tuo ufficio, che è grande abbastanza ed è proprio qui di fronte a camera nostra; io ti cederò il mio, tanto non lo uso mai. E in salotto metteremo un box, basterà spostare il tavolino un po’ più a destra. E in cucina un seggiolone, e tutto quello che serve, lo spazio c’è, e per le cose ingombranti come la carrozzina c’è sempre lo sgabuzzino, così magari ci decideremo a buttare via quel tuo vecchio cassettone che ne occupa metà per niente. –

 

Le parole di Edward fluivano come se fossero state pensate, pianificate e fantasticate per chissà quanto tempo. Roy desiderò di non conoscere così bene il suo compagno, per potersi illudere che quella non fosse altro che un’impressione.

 

Ed insisteva nel sorridergli, accoccolato nel suo abbraccio caldissimo, fra le coperte tutte stropicciate, imbacuccato com’era nella sua maglietta blu, e fu così che Roy si tradì. Senza riuscire ad opporsi, si sorprese a immaginare, per un momento soltanto, come sarebbero potuti essere gli occhi di Edward che brillavano nel viso di un bambino.

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Ed eccoci qui con questa nuova, breve avventura. Non credo ci sia granché da aggiungere, rispetto a quanto già esposto nella premessa.

Tre capitoli in tutto, che dovrei pubblicare con una certa regolarità, fra il venerdì e la domenica.

Di nuovo grazie ad Ely, che non è mai abbastanza, e grazie anche a tutti voi che vorrete leggere, e perché no, lasciarmi le vostre impressioni.

 

Appuntamento alla prossima settimana!

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Capitolo 2
*** Monster ***


2_ Monster

2_ Monster

 

 

 

Edward si sentiva un mostro.

 

Piegato su sé stesso, dolorante, con il fiato corto, lui si sentiva un mostro.

 

Camminare, e muoversi in generale, era diventata una fatica bestiale già da alcune settimane per lui, ma quando Roy, la sera prima, gli aveva detto che c’era una cosa importante di cui dovevano parlare, lui aveva capito subito che avrebbe dovuto affrontare lo sforzo.

 

E così quel giorno, quella mattina fredda persino nelle tonalità dei colori del cielo, era uscito, sostenuto dal suo compagno e avvolto nel suo mantello più pesante e ampio, che cancellava quasi del tutto la forma del suo corpo; era salito in macchina, dove li aspettava Riza per accompagnarli al Quartier Generale, e si era persino fatto le scale, passo dopo passo, con i denti stretti per la fatica ed il dolore, come se avesse dovuto scalare una montagna.

 

Ed si era sentito un mostro tante volte, per via dei suoi automail così aggressivi e appariscenti, per i quali la gente lo aveva sempre guardato, additato, commiserato. E in certi momenti, persino il suo impietoso gemello riflesso in uno specchio lo aveva fatto sentire un mostro.

 

Anche adesso tutti quanti lo guardavano, e non c’erano dubbi sul fatto che, appena voltate le spalle, non esitassero a discutere, e a rimproverare, ad indicare con quelle loro dita gelide e giudici.

 

Edward riusciva a non darci troppo peso, in fondo era sempre stato abituato a sentirsi un mostro.

 

Però quel bambino, quel piccino che si muoveva di tanto in tanto dandogli le vertigini e i conati di vomito, lui non era un mostro, lui non aveva chiesto niente a nessuno, e Edward aveva giurato a sé stesso che lo avrebbe difeso con tutte le sue forze dagli sguardi della gente, e dalle etichette, dai nomi terribili che in molti avrebbero cercato di incollargli addosso.

 

I piani alti dell’esercito, c’erano tutti. Come spettatori riuniti ad assistere ad un grottesco spettacolo, e allo stesso tempo chiamati a giudicare sul talento degli attori, sulla solidità della messinscena, sul trucco, le luci, su tutto.

 

- Prendiamo atto di ciò che avete fatto. – scandì in modo tremendamente severo il membro più anziano della commissione, riunita per deliberare sulla richiesta di congedo temporaneo di Edward. Un militare di quelli vecchi nel senso più ampio del termine, intrappolato nella sua uniforme e nelle sue medaglie e ben deciso a restare arroccato nella sua posizione.

 

La faccenda della malattia come giustificazione per la sua prolungata assenza aveva funzionato per un certo periodo, ma a Edward l’idea di chiamare in quel modo il loro piccolo dava la nausea, e anche Roy aveva cominciato ad ammettere con se stesso che così non si poteva andare avanti. C’era di che stupirsi che fosse stato proprio lui a tirare fuori l’argomento e ad ammettere che preferiva di gran lunga che i vecchi burocrati sapessero come stavano le cose, piuttosto che tirare avanti altri tre mesi inventando nomi altisonanti ed improbabili che finissero in –ite, e poi fingendo di meravigliarsi di un bambino piovuto giù dal cielo, chissà come e chissà perché. Forse era un modo per cominciare a sentirsi un po’ padre, in fondo.

 

- La richiesta è evidentemente accolta. –

 

In quelle parole dal sapore formale, nell’”evidentemente”, soprattutto, c’era il retrogusto amaro del ribrezzo. Edward si sentì decine di dita puntate contro, e sguardi schifati e fin troppo onesti nell’ammettere che se la passavano liscia era soltanto perché l’Alchimista d’Acciaio e l’Alchimista di Fuoco non si potevano toccare. Nomi troppo famosi, troppo importanti.

 

Soldi, status, potere, a Edward non era mai importato niente di tutto ciò. E nemmeno a Roy, almeno per quanto riguardava i primi due punti. Un brivido freddo si impadronì del suo braccio buono: fino a quel momento nessuno aveva osato rivolgersi direttamente a Roy, ma Ed non potè fare a meno di chiedersi quante e quali rinunce avrebbe comportato tutto questo per lui. Roy aveva accettato di sua spontanea volontà di correre il rischio, e lui, egoisticamente, non si era mai fermato ad interrogarsi su cosa questo avrebbe comportato.

 

Si impose di non pensarci. Adesso era ufficialmente in congedo temporaneo, sollevato da ogni incarico e responsabile soltanto per sé stesso e per il suo addome deformato. Chinò la testa di quanto bastava per un saluto formale e si girò, sforzandosi di ignorare la selva di dita immaginarie che sentiva ancora inesorabilmente tese verso di lui.

 

Anche Roy le sentì. Fulminò i presenti con un’occhiata furiosa, e come se il suo gesto potesse assumere per tutti quanti un valore superiore, si affrettò ad avvolgere le spalle di Edward con il suo braccio, e a coprirlo da ulteriori sguardi. In quel momento, stava sfidando tutto ciò in cui aveva sempre creduto, e molto probabilmente stava mettendo a repentaglio i risultati di anni di sforzi e di sofferenze, e lo stava facendo per lui. Edward si sentì piccino, di fronte all’uomo formidabile che aveva accanto.

 

- Andiamo, Ed, vieni. Torniamo a casa. –

 

Il ticchettio indeciso delle stampelle di Edward, accompagnato dai passi regolari e sordi di Roy, rimbombò nella grande stanza, e poi ancora nel corridoio deserto dei piani alti, fino a spegnersi gradualmente nell’aria, nel silenzio generale.

 

*          *          *

 

La loro casa, ormai, era diventata un ambulatorio. Edward aveva bisogno di cure costanti, e di moltissimo riposo. Non era in grado di sostenere il peso di un bambino, il suo era un corpo maschile, per Dio, c’erano le questioni del baricentro, dello sforzo innaturale a cui era sottoposto, del continuo, estenuante monitoraggio perché il procedimento alchemico a cui era stato sottoposto non si alterasse. Non voleva nemmeno sapere come funzionasse esattamente il tutto, in che misura l’alchimia avesse trasformato i suoi organi interni per adattarli ad una funzione che non apparteneva loro. Gli era stato garantito che dopo la nascita del bambino si sarebbe potuto rimettere tutto a posto, e tanto gli era bastato.

Doveva prendere le stampelle anche solo per fare un passo, e come se non bastasse c’era la costante minaccia di rigetto, e l’impianto dell’automail della gamba creava dei problemi non indifferenti; Winry si era dovuta precipitare da lui fin dal secondo mese, e imprecando a più non posso, quasi piangendo, aveva dovuto installare delle componenti provvisorie ed allentare parecchi bulloni, perché un groviglio di metallo conficcato troppo vicino al basso ventre decisamente non andava bene.

 

- Come ti senti? –

 

Roy glielo chiedeva ogni minuto, ed ogni volta le sue risposte non gli bastavano mai. Arrivò dalla cucina armato di una tazza di tisana fumante che emanava un buon profumo di fiori, e gli si sedette vicino, sul divano.

 

Edward accettò la tazza e gli regalò un sorriso mesto e dolcissimo, che non aveva nulla di quei sorrisi vitali, antipatici e esplosivi a cui Roy era abituato.

 

Quel sorriso, in quel momento era di una tristezza avvolgente, come una benda che si stringeva con morbidezza e calore, sì, ma attorno ad una ferita che faceva male, male da morire.

 

Edward stava continuamente male, ma non c’era nulla che si potesse fare per sistemare le cose; soltanto fidarsi della sua forza e aspettare. Mangiava poco, dormiva ancora di meno, e ogni tanto andava soggetto a violente crisi di vertigini, a dolori un po’ dappertutto, a cefalee lancinanti e quant’ altro. Ma nonostante tutto si sforzava sempre di fargli un piccolo sorriso, chissà se per rassicurarlo o per ribadire la sua scelta.

 

Il campanello suonò brevemente.

All’improvviso, spezzando il silenzio familiare e ombroso della casa. Roy sospirò e si alzò dal divano controvoglia, per andare ad aprire. Ed doveva muoversi il minimo indispensabile, e ciò significava nella fattispecie il tragitto compreso fra camera da letto, bagno e salotto, perciò figurarsi l’andare alla porta. Si sentiva un rimorchio inerte quando vedeva Roy affaccendarsi in tutte quelle cose che normalmente si erano sempre spartiti equamente, e menomato, incapace di compiere persino le azioni più ovvie. E dire che gli aveva promesso decine e decine di volte che non sarebbe stato in alcun modo di peso per lui.

 

- Ciao. – disse una voce che Ed conosceva bene.

 

Deglutì persino, non si aspettava proprio una visita di Al.

 

Nonostante Al fosse stato al suo fianco fin da subito ed avesse appoggiato la sua decisione con fraterno affetto, pur con una certa riluttanza, lui cercava in ogni modo di evitare di vederlo, e da qualche settimana a questa parte soprattutto. La pancia ormai si vedeva fin troppo, persino il mantello serviva appena, e il fatto era che Ed si chiedeva sempre più insistentemente che cosa ne pensasse Al di suo fratello. Se lo ritenesse un pazzo, un egoista, un disgustoso nemico della scienza, o cos’altro.

Si vergognava.

E si vergognava di vergognarsi.

 

- Che ci fate voi qui? –

 

Ed corrugò le sopracciglia e si sforzò di voltarsi per inquadrare l’ingresso.

Voi?

 

- Come sta il mio nipotino? –

 

La voce di Winry lo sorprese e quasi lo spaventò.

 

E poi.

 

- Hey, spegni immediatamente quella sigaretta, razza di disgraziato! – tuonò Roy.

- Io gliel’avevo detto di non accendersela. – precisò Hawkeye, professionale come sempre.

- Avanti Roy, non farci restare sulla porta, non è carino, no? -

 

Un secondo dopo, il salotto era animato dalle voci allegre di tutte le persone che Edward aveva da sempre considerato una parte consistente della sua vita. C’erano Al e Winry, i due simboli più cari del suo passato, e c’erano Hawkeye, Huges e Havoc, persone con cui aveva condiviso anni, uffici, e casini di ogni genere da alcuni anni a quella parte. La loro presenza chiassosa lo confondeva e lo rincuorava allo stesso tempo, mentre Roy sembrava più che altro scocciato dall’idea di dover lasciare di nuovo il divano per andare a fare del caffè.

 

Con il passare delle settimane era diventato una specie di orso protettivo, sempre scorbutico con tutti per necessità. Aveva la faccia segnata dalla stanchezza e dalla preoccupazione, ma nonostante tutto non aveva voluto mollare il lavoro, per poter tenere sotto controllo la situazione al Quartier Generale anche dopo il suo congedo. Gli era presa la strana fissazione che qualcuno avrebbe potuto cercare di fare del male al suo Edward, e per l’amor del cielo, anche al loro piccino. Era ossessionato, o forse soltanto spaventato, dall’idea che qualcuno potesse cercare di approfittare di quel loro momento di vulnerabilità.

 

- Prendi. – proclamò Maes, tendendo con aria solenne una scatoletta di cartone colorato.

Roy se la girò fra le mani fino a trovare il pomposo nome inciso sul fronte. – Sono integratori? – domandò, scettico.

- Li prendeva la mia Glacier quando era incinta di Elicia. E hanno funzionato alla grande, hai visto che angelo di bambina è venuta fuori? –

- Non credo che sia… -

 

Roy stava per metterci l’anima per smontare Maes e le sue trovate folli, ma gli bastò incrociare il mezzo sorriso di Edward per convincersi a desistere. Sembrava un viaggiatore approdato in una piccola oasi dove dissetarsi e riposarsi un momento, prima di riprendere il suo tremendo viaggio.

 

- E va bene. – si rassegnò. – Vedremo se queste pillolette sono miracolose come dici. -

 

*          *          *

 

Se ne andarono tutti poco prima dell’ora di cena. Edward si scusò mille volte di non potersi alzare per accompagnarli. E, per un momento, era stato tentato di chiedere loro di fermarsi a mangiare da loro. Era stato bene con loro, circondato dal calore fraterno e dalla rassicurante consapevolezza di essere capito.

 

Riza gli aveva persino chiesto di potergli toccare l’addome. Ci aveva messo sopra la mano con prudenza, e quando aveva avvertito un movimento ovattato sotto la superficie si era irrigidita, intenerita ed imbarazzata. Al si era lagnato a morte di non poter fare la stessa cosa, guadagnandosi per l’ennesima volta la stessa, vecchia promessa da parte di suo fratello, che prima o poi sarebbero riusciti a riavere indietro i loro corpi.

 

Ad essere sinceri, Ed aveva sperato di incappare in qualche notizia utile, durante le estenuanti ricerche per il piccolo. Ma aveva scoperto presto che creare una nuova vita era ben diverso dal riprendersi indietro qualcosa che era già esistito, e che ora non c’era più.

 

Quando Roy raggiunse nuovamente Edward, dopo aver fatto le veci del perfetto padrone di casa, lo trovò ad accarezzarsi debolmente l’addome, aggrappato con la mano di metallo allo schienale del divano.

 

- Tutto bene? –

 

Edward insinuò un sorrisetto amaro.

 

- Sto cercando di pentirmi di ciò che ho fatto. – confessò sottovoce. – Sto cercando di vergognarmi di questo. –

 

Il “questo” venne sfiorato da un’ennesima carezza. Roy si inginocchiò pigramente davanti al suo compagno, e aggiunse anche la sua mano sul loro “questo”. Guardava dritto davanti a sé, niente in particolare, scorreva con il palmo sulla circonferenza rigida e regolare, e la sua mano era meravigliosamente ampia, rispetto a quella di Ed.

 

- Ma non ci riuscirai, vero? -

- No, credo di no. Sono ancora certo che potrei sopportare tutto questo per sempre. E tu invece? -

- Nemmeno io. – Roy sottolineò le sue parole con un sorriso. – A me basta che non ti succeda nulla, lo sai. –

 

Sì, Ed lo sapeva. Anche se la consapevolezza di essere il centro assoluto delle attenzioni e delle priorità di Roy Mustang aveva ancora il potere di farlo arrossire.

 

- Sei un uomo straordinario. Scusa se non te lo dico mai. – sussurrò.

 

Roy si accorse che aveva socchiuso leggermente le palpebre, lasciandosi andare ad un piacevole rilassamento. Pareva strano persino a lui ammettere una cosa del genere, però in quel momento Edward era bello. Bellissimo, pur nella contraddizione fisiologica del suo stato, come una scultura immobile nella sua serenità eterna.

 

- Non c’è niente di straordinario in me. Sono solo un uomo che farebbe qualsiasi cosa per rendere felice la persona che ama. E che crede fermamente di lottare per qualcosa di giusto. Per il resto, sto ancora cercando di capacitarmi che presto avremo un bambino. –

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

Doveroso angolino per rispondere a tutte le vostre recensioni, che sono state tante e tutte imbarazzantemente piene di complimenti e di incoraggiamenti.

 

Grazie, grazie, grazie, sono veramente commossa!

 

Fra l’altro, le recensioni di alcune di voi mi hanno aperto gli occhi circa una cosa di cui non mi ero assolutamente resa conto. Ma davvero non esistono mpreg di FMA in italiano? O__O

 

 

Ely: doveroso iniziare da te. Ok, finiremo con il picchiarci per decidere chi deve ringraziare chi, ma ad ogni modo è anche un po’ merito tuo, lo sai. Quanto al mare di emozioni, beh, quando sono al lavoro su questa storia mi ritrovo spesso a dirmi “meno male che esistono”.

 

Bad Girl: semplicemente… grazie! Sono felicissima di essere addirittura fra i tuoi preferiti, spero di continuare a meritarmelo!

 

Nacchan: grazie mille, sono più che felice che questo Ed ti piaccia!

 

Inuyasha94: Eh, Ed non è proprio un mago in fatto di tempistiche. Comunque spero che il proseguio ti piacerà!

 

Ale2: wow, una doppia Ale! ^_^ Grazie a tutte e due allora, mi auguro di non deludervi!

 

Chibimayu: ecco, la tua è una di quelle recensioni! Ma pensa, ci sono solo in inglese? E dire che io non ne ho mai letta una. Comunque grazie mille per tutti i complimenti, sono davvero lusingata! E giuro solennemente che il mio scopo non è farti piangere… Ma non garantisco nulla!

 

Steelrose Alchemist: Eccone un’altra! Ma insomma, qui bisogna rimediare, le mpreg ci vogliono in questo fandom! >///< Diamoci da fare. Roy, Edward, a rapporto! Avete una missione moooolto importante da compiere!

 

Ed92: addirittura, ma graaazie! Hihih, anche io adoro le descrizioni mortali, quelle che ti raccontano del granello di polvere sullo scaffale! E comunque, sempre in tema mpreg, adesso ci mettiamo a tradurne un po!

 

Envuccia: hihi, qualcuno che si interessa anche al punto di vista di Roy, eh? Benissimo, contenta che ti piaccia, spero di non deluderti con quello che verrà!

 

Setsuka: me si inchina a te, grazie di tutto cuore! Le metafore e le descrizioni sono la mia passione, non so cosa farei per entrare totalmente in sintonia con la situazione ed i personaggi. E uff, non sai che bel sospiro mi hai fatto tirare, ero terrorizzata dal rischio di scadere nel ridicolo!

 

Chiara: ma… ma… Ecco, io mi commuovo, per recensioni come queste. Che dire, grazie, grazie e ancora grazie, l’idea di “imponenza” di Roy era quella che mi premea in particolare rendere, e sviluppare in questo altro capitolo. Perciò, contentissima di essere riuscita nell’intento, e ancora grazie!

 

Roy Mustang sei uno gnocco: ma guarda un po’ che nick! ^^ Guarda che se Ed te lo scopre poi sei nei guai, sai com’è, è un tantino geloso! Scherzi a parte, ti ringrazio tanto, spero che il seguito ti piacerà!

 

Yumi: Volevo che il titolo contenesse un po’ tutto il senso più profondo della storia, e mi fa moltissimo piacere sapere che ti ha colpita, significa che l’ho scelto bene!

 

The dark side: l’idea mi frullava in testa da un po’, in realtà! Già, né Ed né Roy sono dèi, ma chi lo dice che per questo non potranno almeno tentare di trovare la loro felicità? Anche se, c’è da scommetterlo, i problemi non saranno pochi.

 

Dark: waaa, darkina! Eh sì, vedrai che la vicenda è ben diversa da quella del nostro James, ma l’amore di due genitori è pur sempre amore! *__*

 

 

E con questo ho finito. Spero che anche questo capitolo vi abbia emozionati, aspetto i vostri pareri e le vostre impressioni!

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Capitolo 3
*** Sweet eyes of yours ***


3_ sweet eyes of yours

3_ sweet eyes of yours

 

 

 

Gabriel era un nome poco adatto al visetto paffutello e vispo di un bimbo nato da poco più di dieci giorni.

 

Era serioso ed importante, suonava già da solo come un titolo di un certo prestigio.

 

Eppure Roy lo aveva scelto senza esitare un secondo, come se fosse stato il frutto di mesi di meditazione intensa, e non un impulso nato da chissà dove, in un momento che ben poco aveva avuto di razionale.

 

Semplicemente, quando aveva visto gli occhi di quel bambino – di suo figlio, per l’amor del cielo, suo figlio – aprirsi su di lui per la prima volta, e guardarlo come solo un bimbo sa guardare, con quel colore dorato che sapeva immensamente di Edward, gli era uscito dalla bocca in un singhiozzo, ed era finito direttamente su carta, sul certificato di nascita che Riza Hawkeye si era affrettata a consegnargli da compilare e controfirmare.

Quel documento lindo e anonimo sarebbe persino potuto sembrare una delle solite, dannate scartoffie che lo perseguitavano anche quando andava al bagno, da quando la sua posizione era diventata sufficientemente alta da valergli una poltrona imbottita tutta per lui. Se non fosse stato che Hawkeye, il tenente di ferro Hawkeye, era quasi irriconoscibile, tutta commossa ed eccitata com’era.

 

Ed non aveva detto una parola sulla sua scelta. Si era limitato ad annuire e a formare un sorriso stanco. Si era appena svegliato dall’anestesia, poverino, ed era a pezzi per la gioia.

Perché sì, la gioia può ridurti in ginocchio, quando passi nove mesi della tua vita ad aspettare un miracolo che cresce dentro di te costringendoti a camminare con le stampelle e ad affrontare l’inferno di chi ti nega il diritto di sentirti umano, e poi alla fine ti fa schiantare a terra come un a marionetta rotta, e ti obbliga ad una corsa assassina verso l’ospedale militare, bianco e mezzo morto per il dolore, e via sotto i ferri.

 

Così, al piccolino era stato dato il nome Gabriel.

 

- Lo sai, Ed. –

 

Roy si piegò in avanti, sul divano azzurro del soggiorno di casa, appoggiandosi sui gomiti. Gabriel smise subito di succhiare il biberon, e lo fissò spalancando gli occhi, come faceva sempre. Tese una manina verso di lui, per afferrargli chissà, una manica, i capelli, o per stringere il suo cuore fra quelle ditina carnose. Ma poi il suo prezioso biberon tornò repentinamente e prepotentemente in cima ai suoi pensieri, e il salotto si riempì nuovamente del suo quieto poppare.

 

- I suoi occhi sono incredibilmente identici ai tuoi. –

 

Usò un tono solenne, per dire quelle sue poche parole. Dopo tutto quello che loro due avevano passato per arrivare fino a lì, per Roy era davvero, davvero importante che il loro bimbo avesse gli occhi di Edward. Era un po’ come un riscatto dovuto, il senso ultimo di un’ora e mezza di terrore e di ansia trascorsa nel corridoio anonimo di un ospedale, davanti ad una porta bianca che si ostinava a rimanere chiusa davanti a lui.

 

Ed si chiuse dietro ad un sorriso delicato ed un po’ imbarazzato, che nulla voleva nascondere, ma che sottintendeva talmente tante cose da parere ermetico. Roy diede un buffetto sulla guancina morbida di Gabriel, che continuava imperterrito a succhiare il suo latte tiepido, e si sedette vicino a loro, facendo attenzione a non strattonare Ed.

 

Ed che era diventato, da nove mesi a quella parte, un delicatissimo cristallo, per lui, una maestà da adorare e da proteggere. Vederlo seduto con la testa reclinata sullo schienale, le braccia raccolte a culla e lo sguardo assorto sul loro piccolo, così sereno, così pieno, valeva tutta una vita, Roy poteva giurarlo.

 

- Dammelo un po’ qui, avrai le braccia di legno ormai. –

- Puoi anche dire che lo vuoi tenere tu, sai, stupido Colonnello? –

 

Roy fece scattare fulmineamente gli occhi verso l’alto, per non dargli troppa soddisfazione. Come sempre il piccoletto ci aveva preso.

 

Ed acconsentì comunque, naturalmente, e glielo accomodò fra le braccia delicatamente, assicurandosi che la testolina fosse ben sostenuta.

Roy si sentiva immensamente grande quando teneva in braccio suo figlio. Ed ogni volta che Gabriel lo guardava fisso negli occhi, con un’ espressione stupita e catturata, lo sentiva ancora di più, gli sembrava di essere ad un passo dal sole. Ed stava ad osservarli, e sorrideva fra sé di quell’inestimabile composizione, come se non potesse esistere niente di più bello al mondo di ciò che aveva davanti agli occhi.

E Roy, preso in mezzo fra quelle due paia di occhi dorati, innamorato perso di entrambi in un modo tanto diverso quanto equivalente, non poteva che lasciarsi meravigliosamente annegare.

 

– Roy. –

Un sorriso smarrito, uno sguardo che fluttua con calma dal suo uomo al loro piccolo. Ed si sentì cullare da una sensazione di pace potente e torpida che lo avvolse.

 

E Roy si ricordò all’improvviso del perché fosse lì, in quel momento. A guardare suo figlio giocare con un lembo della sua camicia, e ad emozionarsi per il modo in cui il suo compagno pronunciava il suo nome come se fosse ancora la prima volta.

 

Si ricordò anche che quando lo avevano lasciato entrare nella stanza di Ed, dopo che si era bruciato due o tre vite nell’attesa, lì fuori, la primissima cosa che aveva fatto era stata chinarsi sul suo viso, ed inspirarne rapidamente l’odore. Poi gli aveva dato un bacio morbido, sulla guancia. Edward sapeva di disinfettante, di sudore e di se stesso, e Roy non aveva avuto bisogno di sapere altro. Quando gli aveva mostrato il fagottino seminascosto nell’incavo del suo braccio destro, scostando la copertina bianca che lo avvolgeva, e glielo aveva porto con gli occhi pieni di speranza e di una paura irrazionale e folle che qualcosa non andasse bene, che Roy lo rifiutasse e li abbandonasse proprio ora che tutto era compiuto, lui aveva avvicinato il volto a quello del figlio, e aveva respirato ad occhi socchiusi. Anche suo figlio odorava di disinfettante, ed emanava un profumo purissimo e dolciastro, un piccolo mondo nuovo, una corolla di sensazioni da mettere i brividi.

Certe cose sono semplicemente animali, si fanno e basta. Da quell’analisi istintiva Roy aveva ricavato tutto ciò che avrebbe mai voluto sapere, e aveva stabilito dei legami che mai nessuna parola sarebbe bastata a definire.

 

- Quasi quasi capisco Maes. – si sorprese a mormorare.

 

Edward glissò le dita sulla fronte e sulla testolina di Gabriel.

 

Pensò a Maes con un sorriso, e alla sua immagine si sovrappose quella di Roy, così limpida nella sua mente, di quel giorno incancellabile. Lui ad un passo dal suo letto, con addosso l’uniforme da colonnello che non aveva potuto cambiare, e Gabriel fra le braccia, in silenzio, bello e solido come niente al mondo avrebbe mai potuto essere.

Un soldato che stringe il suo figlio neonato, un qualcosa di universale, questo era stato Roy per lui, per alcuni, lunghissimi istanti.

 

- Già. –

 

Silenzio.

 

Era incredibilmente bello starsene lì, senza un motivo, ad ascoltare il gorgoglio sommesso del succhiare di un bambino.

 

Edward era riuscito a stupire tutti una volta di più. Il piccolo, scorbutico, vulcanico Fullmetal, aveva saputo trasformarsi in un genitore perfetto.

Aveva un istinto paterno tutto suo, Edward. Che gravitava attorno alla consapevolezza, piena ed umile, che ciò che aveva creato era grande, molto più grande del corpicino vestito di verde chiaro che Roy teneva in braccio. Aveva sfidato il mondo con il suo consueto spirito battagliero, per lui, lo aveva afferrato per il bavero della giacca e lo aveva scosso talmente forte da far tremare ogni cosa, soltanto per avere Gabriel, per potersi beare di dire “respira”.

 

Roy, dal canto suo, faceva ancora troppa fatica a riconoscere sé stesso, il Roy Mustang di soli pochi anni prima, nell’uomo seduto sul divano di casa, innamorato fino alle lacrime di un ragazzino biondissimo e pazzo, e di un bambino che, per quanto lo riguardava, lo aveva completamente in pugno, con quegli occhi.

Nonostante i tredici anni di differenza, Roy aveva cominciato a ragionare come un uomo adulto solamente quando Edward era entrato nella sua vita, passando attraverso le sue braccia. Prima di lui era stata la voglia di giocare, il dirsi che di impegnarsi non ne valeva la pena, troppi rischi e troppe incertezze. Era servito qualcuno che gli fosse intimamente gemello, per scombussolarlo a tal punto da convincerlo a prendere in mano la sua vita. Con quella sua forza micidiale, con il suo implacabile sognare, e con le mille insicurezze che punterellavano il suo carattere come stelle, lui era riuscito a farlo sentire uomo nella quiete della stabilità, e a dargli il coraggio per proclamarsi innamorato.

 

- Però giura che non comincerai ad ammorbare tutti quanti con le telefonate, come fa lui. – lo ammonì Ed.

- Sul mio onore. – ghignò Roy.

 

Di nuovo silenzio.

 

Gabriel ora osservava con attenzione il suo orgogliosissimo padre, annidato fra le sue braccia. Le sue labbra umide di latte vibravano quasi impercettibilmente ad ogni respiro, che sibilava con tranquilla monotonia, e di tanto in tanto sbatteva le palpebre, con le ciglia lunghe e lucide. Piccolo, dolce miracolo.

 

- E tu che cos’hai da guardare, eh? – lo coccolò Roy.

 

Ed scivolò più vicino a lui, e gli si strinse al braccio affacciandosi oltre il suo gomito. – Guarda te. – disse serio, pieno di convinzione. – Guarda il suo papà. –

 

Roy sorrise in modo professionale, per dissimulare la sensazione delle sue viscere che si squagliavano come cioccolato, a quelle parole.

 

Aveva sempre, ferocemente desiderato diventare importante. Ma le due persone che aveva vicino in quel momento, sul quel divano, erano le sole per le quali voleva essere importante in modo completamente diverso. 

 

- E’ così piccolo. -

- Sì. Non riesco a credere che abbia causato tanti guai. -

- Non ti ringrazierò mai abbastanza, per questo bellissimo dono. Per esserti ostinato a volerlo, e per aver convinto anche me. E adesso lui ti somiglia, e nei suoi occhi vedo i tuoi, ed è qualcosa di… –

 

Roy si lasciò interrompere dal sorriso di Edward, che si mise in ginocchio sul divano, e si sporse prudentemente fino a raggiungere la sua bocca.

 

Si scambiarono un bacio che sapeva di buono. Ed si appoggiò con la mano destra al petto di Roy, per potersi sbilanciare verso di lui e lasciarsi andare.

Non si erano nemmeno accorti che Gabriel si era addormentato, con le labbra imbronciate. Continuarono a baciarsi ad occhi chiusi come ragazzini, per alcuni, lenti minuti.

 

Edward e Roy erano innamorati l’uno dell’altro.

 

Se lo fossero stati da sempre, se l’erano chiesto spesso, ma non aveva poi una grande importanza. Andava bene così, ora che tutto faceva un po’ meno paura.

Andava bene perché tanto la gente avrebbe continuato a guardarli, a parlare di loro, a giudicarli senza sapere che nulla di tutto ciò aveva importanza, per due persone che avevano la fortuna di vedere il loro amore riflettersi negli occhi splendidi, dorati del loro bambino.

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

ANGOLINO

 

Ed eccoci con l’epilogo. Cavolo, è già finita, non avete idea della tristezza che provo! Mi sono affezionata moltissimo a questa storia, e concluderla è davvero una sofferenza.

 

Ma è giusto così. Il mio scopo primario era affrontare un tema piuttosto controverso come la male pregnacy nel modo più credibile possibile (e prima che qualcuno me lo chieda, no, Fathers non è una male pregnacy, visto che nessuno è pregnant! ^^), e l’alchimia faceva proprio al caso mio.

 

Ad ogni modo, in questa fic mi sono concessa qualche capriccio anche dal punto di vista prettamente stilistico. Ogni capitolo comincia con il nome dei tre protagonisti e si chiude con la parola “bambino”

 

(non se n’era accorto nessuno, vero? =__=).

 

E a proposito, una menzione particolare a Setsuka, che ha preso in pieno il messaggio fondamentale del secondo capitolo, quel contrasto/fusione fra la prima frase “Edward si sentiva un mostro”, e una delle ultime, “ Edward era bello”. Roy per primo se ne accorge, e ce lo dice, ci costringe a riflettere su quanto bello sia Ed, nella sua mostruosità che è grandiosa e coraggiosa.

 

Grazie di cuore per tutte le recensioni, mi avete dato ancora più entusiasmo, sono davvero commossa!

 

Dark: oh sì, Maes ci voleva assolutamente. Sarà che personalmente non ho mai elaborato il lutto, perciò per me è ancora vivo, punto e basta.

 

Nacchan: grazie mille!

 

Setsuka: ho già detto sopra, per il resto non posso che ringraziarti tanto, per i complimenti e per le osservazioni, tutte giustissime (soprattutto quella su Hughes, non mi ero assolutamente accorta dell’errore, ed è stranissimo perché di solito i nomi li controllo).

 

Bad Girl: Waaa, grazie! Beh concordo pienamente, io a quegli avvoltoi le dita le staccherei ad accettate, maledetti!

 

Ed92: nuuu, le giornate di pioggia super depressione… meno male allora che la seconda parte del capitolo è dolce, altrimenti c’era da spararsi! ^_^

 

Yumi: volevi sapere quanti cap? Questo è l’ultimo. Sono solo tre, è già finita! Ç__ç

 

Ely: scrivere questa storia mi ha totalmente coinvolta (oltre che prosciugata), perciò lo sai, sapere che anche solo un millesimo delle emozioni passa è già grandioso per me.

 

Chiara: wow, recensione approfonditissima che mi onora immensamente, perché oltre a tutti i fantastici complimenti mi sono meritata soprattutto la tua attenzione, che è la cosa più importante. E non posso che dire che le tue osservazioni rispondono pienamente alle mie idee, e ciò mi rende più che felice. I due padri, è vero, suona stranissimo, però non so, mi sembra la cosa più tenera del mondo. Soprattutto valutando i nostri due soggetti.

 

Dark side: ce l’hanno fatta, yes! Del resto lo sappiamo che Ed ha una testaccia di legno se ci si mette…

 

Ale2: ooooh, grazie grazie grazie! Hihihi, maternizzazione suona proprio bene!

 

Roy Mustang sei uno gnocco: ma non ci credo, anche io voglio fare i sogni con Ed che sbava dietro a Roy!!! *___* accidenti dimmi cos’hai mangiato, che corro a fare doppia razione!

 

Steelrose Alchemist: Ah beh, non potrei che essere felicissima di leggere una traduzione, si si si!

 

Chibimayu: noooo, aiuto non piangere! E soprattutto non dirmi certe cose che poi mi imbarazzo, la prima mpreg italiana (a parte quella incompiuta che mi andrò a cercare, ma se è comica è tutto un altro genere) Cavolo sì, voglio sicuramente leggerne qualcuna in inglese, ti scriverò al più presto per chiederti qualche indirizzo!

 

Inuyasha: sì, anche la nostra Hawkeye in fondo si emoziona… ogni tanto… in casi eccezionali.

 

Egittofona: grazie infinite, troppo buona!

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