La lista dei desideri

di hipster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo, pt. 1 - Kurt ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo, pt. 2 - Blaine ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Note: Salve a tutti!
Sì, sono ancora qui. Gli alieni non mi hanno rapita e voi non mi avete ancora uccisa perché ho ben tre storie lasciate in sospeso (forse non dovrei ricordarvelo con così tanta nonchalance, mhh...). Sono tornata con questa nuova storia perché... boh, mi andava di farlo.
La trama è ispirata ad un libro meraviglioso che mi sono ripromessa di finire presto, "La lista dei desideri" di Eoin Colfer. E niente, spero vi piaccia, perciò fatemi sapere con una piccola recensione. 

Recensire i capitoli altrui allunga la vita, ricordatelo sempre u.u
A presto,
Allie <3





«Era una donna meravigliosa e tutti noi la ricorderemo con affetto» disse l’officiante, mentre un’elegante bara di legno frassino veniva calata nella profondità della terra. La lapide di marmo bianco quasi feriva gli occhi con il suo candore sullo sfondo verde dell’erba: “Elizabeth Daves” vi era inciso sopra le date di nascita e di morte.
Kurt strinse le palpebre per dissipare le ultime lacrime e concentrarsi su quel nome dorato, come se, ignorando tutto il resto, quello che stava accadendo attorno a lui potesse svanire nel nulla e la sua mamma potesse tornare da lui, per abbracciarlo e farlo sorridere di nuovo.
Ma c’era la mano di suo padre Burt, forte e calda, a tenerlo ancorato alla realtà: a certe cose semplicemente non puoi sfuggire, non importa per quanto tempo o quanto faticosamente ci provi. Non puoi nasconderti tra i vestiti nell’armadio e fingere di non esistere, perché la vita pretende che tu esca e la affronti, che tu sia pronto o meno per farlo. La vita è spietata e crudele e non aspetta. Ti afferra con i suoi artigli acuminati e ti mette davanti alla realtà, che non è sempre idilliaca.
Kurt asciugò le lacrime sul suo visino pallido e umido e strinse forte la mano di Burt: anche se la sua mamma stava per essere coperta da terra, il suo papà sarebbe stato sempre con lui; lo avrebbe protetto da ogni male e lo avrebbe consolato e rassicurato. Questi pensieri lo consolavano abbastanza, anche se la sensazione di solitudine gli faceva ancora dolere il petto. La mano di suo padre era calda e ruvida in un modo così piacevole e familiare da fargli torcere lo stomaco. La sua mente era affollata di dubbi e domande che non aveva il coraggio di pronunciare, ma la sua curiosità alla fine ebbe la meglio e sollevò lo sguardo per poter guardare suo padre.
«Papà, perché si muore?» sussurrò. L’aveva chiesto un milione di volte da quando era successo “il fatto”, ma Burt non si stancava mai di rispondergli. «Per andare in Paradiso, Kurt. In cielo non puoi portare con te il tuo corpo, è troppo pesante, per questo devi lasciarlo qui.» rispose pazientemente; la sua voce sembrava più calma e tranquilla a mano a mano che ripeteva questa frase. Kurt si chiese se forse suo padre la ripeteva a se stesso nella sua mente mentre stava in silenzio a guardare la tomba della mamma.
E come se fosse il copione di una scena già scritta e recitata troppe volte, il bambino ribatté: «È stata la mamma a voler andare via, quindi? Non voleva restare qui con me?». La sua voce uscì fuori esitante e preoccupata e Burt poté giurare che suo figlio fosse sull’orlo di scoppiare a piangere di nuovo, perciò scosse la testa: «È Dio che decide, Kurt. Quando siamo pronti, Lui ci chiama e noi possiamo solo andare con Lui. Se siamo stati abbastanza buoni, ci concederà di restare in Paradiso. È un posto bellissimo, sai? Si è sempre felici lì; tutti sono buoni e gentili con te e puoi giocare tutto il giorno.» rispose.
«Odio Dio» sbottò Kurt. «Non avrebbe dovuto chiamare la mamma. Non ancora almeno. Lei qui con noi era felice!»
«... Sì, lo era.» sospirò Burt rassegnato. Spiegare a suo figlio le dinamiche di un “mondo” e di una personalità in cui non credeva poi così tanto era difficile; ma sperava che Kurt potesse consolarsi almeno un po’ al pensiero che sua mamma fosse libera e felice in un posto meraviglioso, anziché fredda e pallida in una bara in attesa di dissolversi nel nulla. Forse un giorno gli avrebbe detto sinceramente cosa pensava, ma per qualche anno, forse, poteva ancora raccontargli le “favole” di Elizabeth.
«Io non sarò mai buono, così Dio non mi chiamerà mai.» disse Kurt dopo un momento di riflessione. «Dio chiama sempre le persone buone.»
«Dio chiama tutti, i buoni e i cattivi, però i cattivi finiscono all’Inferno. E io spero proprio che tu abbia il buonsenso di scegliere di essere buono, altrimenti niente più tea party per un mese.» lo ammonì Burt in tono severo, mentre Kurt si voltava verso di lui con fare accigliato.
«Papà, tanto a Dio non importa» borbottò Kurt, sentendo altre lacrime scivolare sulle sue guance, mentre alcuni uomini si avvicinavano a Burt per fargli le condoglianze. «Non Gli importa di nulla.»
 

******

 
Kurt soffiò fuori il fumo, abbozzando un sospiro. Il campo da football era deserto, come anche le gradinate: non c’era anima viva. Solo pace. Kurt amava venire qui di nascosto, mentre gli altri dormivano; se lo avessero beccato sarebbe stato un problema – alla Dalton erano molto severi per la faccenda del coprifuoco, ma al ragazzo non importava un granché: a chi importava se veniva mandato dal preside ancora una volta?
Aspirò ancora dalla sigaretta sentendo il fumo maligno inondargli i polmoni. Un tempo odiava persino l’odore del fumo in una stanza, ma da quando aveva provato per la prima volta a tredici anni non aveva più smesso. Il fumo lo calmava ed era una cosa che riusciva a controllare, al contrario di tutto il resto. Fumava quando ne aveva voglia, smetteva quando voleva, decideva se e quando accendere un’altra sigaretta e in presenza di chi: sono poche le cose che ti permettono di essere controllate in questo modo.
Non che Kurt fosse un maniaco del controllo, ma aveva vissuto abbastanza nei suoi diciotto anni da imparare ad apprezzare le cose che possono essere controllate. Quando ti succede di tutto e di più, capisci che una sigaretta ogni tanto non è poi un’idea così cattiva. Poi il fumo gli faceva compagnia; lo osservava mentre saliva leggero verso il cielo scuro e lo invidiava per essere così libero come lui non poteva mai esserlo in quella prigione dorata che era la Dalton, in cui l’aveva chiuso suo padre. “Per il tuo bene” gli aveva detto. Per impedirgli di fare cose stupide. Per non vederlo più in giro a ciondolare per strada. Per non dover più ricevere telefonate in officina dal preside Figgins perché aveva combinato casini. Kurt quasi lo odiava per questo: odiava la Dalton e odiava chi la frequentava; odiava che lì i professori e il preside li volessero tutti uguali, tutti intelligenti, tutti bravi ragazzi, tutti perfetti.
Kurt sapeva di non poterlo essere, semplicemente perché era un essere umano e non una di quelle macchine addestrate ad essere gentili e cordiali e oh, così educati figli di papà. Erano tutti così a parte Sebastian. Il suo migliore amico e coinquilino. Kurt era stato molto fortunato ad essere messo in stanza con “il nuovo arrivato” Sebastian Smythe, ricco e viziato come tutti alla Dalton, ma arrogante e cattivo come pochi. Kurt si trovava bene in sua compagnia; Sebastian aveva il suo stesso animo tormentato, sentiva l’insofferenza che provava Kurt nei confronti della Dalton e come lui tentava di ottenere più piacere possibile da quell’esperienza. Erano entrambi due grandi casinisti.
Lasciò cadere il mozzicone a terra, prima di pestarlo con forza per spegnerlo e fu davvero solo, o almeno così credeva. Un rumore di passi gli fece alzare lo sguardo e riuscì a riconoscere una figura nera che si stava avvicinando a lui nel buio, risalendo le gradinate. Sorrise quando finalmente lo riconobbe: «Hey, ‘Bas» esclamò cordialmente, facendogli cenno di sedersi accanto a lui. Ovviamente era Sebastian: chi altri poteva essere? Il ragazzo sorrise a sua volta e si lasciò cadere accanto a Kurt, voltandosi verso di lui per poterlo guardare: «Che ci fai qui da solo?» chiese, aggrottando le sopracciglia. «Credevo che fossimo sempre in due ad infrangere il coprifuoco della Dalton» aggiunse in tono quasi risentito, quando Kurt non rispose subito.  Sebastian gli ricordava spesso un bambino capriccioso, quando faceva così: non accettava di essere in qualche modo escluso, non permetteva a nessuno di ignorarlo.
«A volte ho bisogno di stare un po’ da solo» rispose il ragazzo a mo’ di spiegazione, porgendogli il pacchetto mezzo pieno di sigarette come segno di pace. Sebastian sospirò e ne prese una, per poi accenderla; la fiamma dell’accendino illuminò il suo viso per un istante: le sopracciglia erano corrugate sopra occhi verdi e intensi, le mani chiuse a coppa attorno alla sigaretta che sembrava in precario equilibrio stretta tra le labbra. Sebastian era davvero molto bello, Kurt doveva confessarlo a se stesso, ma sapeva che non ci avrebbe mai provato con lui. Prima di tutto erano amici e Sebastian lo vedeva solo come un amico; ma cosa più importante, Kurt era un sognatore, anche se faticava ancora ad ammetterlo. Sognava ancora l’amore, sperava ancora di poter essere fortunato quanto uno dei personaggi dei suoi musical preferiti che riusciva a trovare qualcuno che lo amasse e rispettasse completamente e follemente. Ci sperava, anche se non ci credeva fino in fondo; sapeva di essere un completo disastro.
«E tu che ci fai qui?» continuò Kurt dopo un po’, riprendendo l’accendino e mettendolo al sicuro nel pacchetto e poi in tasca: ne aveva persi fin troppi a causa di Sebastian e, anche se era il suo migliore amico, era ancora fottutamente difficile trovare il modo di portare delle sigarette e accendini decenti nel campus senza che nessun professore idiota gliele sequestrasse. La stupida politica della Dalton contro il fumo, l’alcol e la droga era divertente e rendeva il tutto eccitante, ma era abbastanza seccante. «Ti cercavo» rispose il ragazzo, sollevando le spalle con fin troppa nonchalance e espirando il fumo; le sue labbra erano atteggiate in un sorrisetto che Kurt amava con tutto se stesso: quel sorriso significava che sarebbero entrati in azione molto presto.
«Chi e dove.» disse semplicemente, alzandosi in piedi. Sapeva cosa li aspettava e non poteva esserne più felice: ne aveva bisogno; aveva bisogno di qualcosa che lo riscuotesse da quella stupida apatia. «Blaine Anderson, terzo anno.» rispose Sebastian, inspirando ancora una volta, con lentezza studiata. «Lo avrai visto sicuramente alla riunione dei Fringuelli» aggiunse con un sorrisetto di scherno, quando vide l’espressione pensierosa di Kurt, mentre cercava di associare un viso a quel nome. Il viso del ragazzo si illuminò, quando riuscì a ricordare: «Il piccolo Hobbit con la passione per il gel per capelli?» chiese per sincerarsene, ridacchiando divertito all’idea.
«Lui. – annuì – È uno di quei figli di papà super noiosi, scommetto che non ci proverà nemmeno a reagire.» rispose Sebastian. Kurt annuì a sua volta e gli fece cenno di alzarsi, mentre gli dava le spalle per poter scendere dalle gradinate e raggiungere il campus.
Mentre passeggiava fianco a fianco con Sebastian, chiacchierando con lui del più e del meno, pensò a Blaine: c’era qualcosa in quel ragazzo che lo aveva irritato fin dal primo istante in cui l’aveva visto. Era troppo gentile, troppo educato, troppo intelligente; troppo tutto. Era ancora più fastidioso degli altri damerini. Perciò era quasi felice che Sebastian lo avesse scelto come la loro prossima vittima.
Ogni mese sceglievano un ragazzino da spaventare e derubare. Tutti quei fighetti figli di papà non avevano bisogno di tutti i soldi che si portavano dietro, e anche in una scuola “in cui il bullismo non era accettato” c’era bisogno di un capo. Il compito di Kurt e Sebastian era semplicemente ricordare a tutti che in quella scuola comandavano ancora loro.  
I due ragazzi raggiunsero il campus e poi la camera di Blaine. Il ragazzo aveva una camera singola, come previsto. Più semplice e più efficace. Sebastian sorrise vagamente prima di prendere dalla tasca un coltellino per forzare la serratura della porta; la Dalton era una vecchia scuola e anche se i genitori di ogni studente pagavano moltissimi soldi per mandare i loro damerini a scuola lì, l’edificio non era mai stato ristrutturato interamente, specialmente i dormitori non erano in ottime condizioni; certo, sarebbero stati in migliori condizioni se Kurt e Sebastian non si fossero iscritti. La luce del bagno era ancora accesa, lo avevano notato prima dalla finestra, quindi dovevano essere molto veloci e silenziosi, affinché il ragazzo non si accorgesse che stavano scassinando la porta finché non fossero entrati.
Riuscirono a spalancare la porta dopo pochi secondi e nello stesso istante Blaine entrò in camera dal bagno: indossava ancora il blazer, sebbene nel campus, alla fine delle lezioni, non fossero obbligati ad indossarlo. Kurt detestava quel blazer con tutto se stesso: li rendeva tutti uguali, quando era assolutamente evidente che non lo erano. Quel damerino sicuramente non era come lui, non pensava ciò che pensava lui e non aveva vissuto ciò che lui aveva vissuto. In quell’istante si odiò per non essersi cambiato prima, come Sebastian che indossava pantaloni sportivi e una maglietta nera.
«Chi siete voi?!» esclamò Blaine stupefatto, spalancando gli occhi e guardandoli con i suoi occhioni da cervo, come se quei due ragazzi fossero due fantasmi usciti dai suoi incubi da bambino. Kurt lo detestò ancora di più per questo: Blaine gli ricordava un ragazzino indifeso, troppo simile al se stesso che aveva lasciato al McKinley tanto tempo prima.
«Servizio d’ordine» rispose Sebastian con un sorrisetto cattivo, che fece indietreggiare Blaine. Kurt poteva quasi vedere il nervosismo fluttuare nell’aria tra loro, mentre la realizzazione di ciò che stava per accadergli colpiva Blaine in piena faccia. Il riccio piantò i piedi per terra – Kurt poteva immaginarselo benissimo mentre nella sua mente si rimproverava per essersi mostrato debole e spaventato – e strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi delle mani: sembrava quasi l’avesse già fatto prima e questo colpì molto Kurt: di solito a questo punto le vittime scoppiavano a piangere.
«Io so cosa volete. Andatevene o chiamo qualcuno.» disse Blaine con voce volutamente decisa e ferma: Kurt provò quasi compassione per lui quando vide Sebastian che imperterrito entrava completamente nella stanza, lasciandolo fuori; Kurt sapeva che dietro quella spavalderia Blaine stava tremando nel suo piccolo blazer come una foglia scossa dal vento. Non poté fare a meno di ricordare quando era lui a tremare per un ragazzo più forte e più grosso di lui, finché un giorno non aveva deciso di seguirlo per vomitargli addosso tutto il suo disprezzo e picchiarlo finché non fosse ricoperto di sangue e sudore.
«Non prima di averti dato il benvenuto, Blaine.» continuò Sebastian, avvicinandosi di più al ragazzo che intanto indietreggiava ancora fino a toccare la scrivania con il sedere. Sebastian gli sorrise – uno di quei sorrisi che a Kurt ricordavano sempre una tigre che ha appena intrappolato la sua preda e si compiace di torturarla prima di divorarla davvero – e gli prese il mento tra il pollice e l’indice, sollevandogli leggermente il viso come per poterlo guardare meglio.  Studiò i suoi lineamenti per un po’, poi il suo sorriso si allargò: «Sei carino.» disse semplicemente, come se fosse una semplice constatazione. «Non è carino, Kurt?» continuò, quando sentì Blaine tremare e ritrarsi per sfuggire alla presa delle sue dita.
Kurt, intanto, stava rovistando ovunque alla ricerca di oggetti di valore per poi rovesciarli nel proprio zaino e quando si sentì chiamato in causa raddrizzò la schiena e guardò il suo amico gelidamente: «Non pensarci nemmeno, ‘Bas. – lo ammonì in tono severo – L’altra volta è finita malissimo. Non devi toccarlo... Sebastian!» si interruppe, guardando torvo il ragazzo che stava tentando di baciare Blaine.
«’Bas, smettila. Non puoi farlo senza il suo consenso, sarebbe violenza sessuale e tu non hai bisogno di un’altra denuncia così grave sulla tua fedina penale!» esclamò Kurt con voce stridula, trattenendo un sospiro sollevato quando vide che il ragazzo gli aveva dato ascolto e si era staccato – a malincuore – dalle labbra ora arrossate (e particolarmente invitanti, doveva ammetterlo) di Blaine.
«Lo so, lo so. Hai ragione, mammina.» disse Sebastian in tono annoiato, lasciando andare del tutto un Blaine ora ammutolito per poter aiutare Kurt a raccattare la roba. Con la coda dell’occhio, Kurt vide il ragazzo che li guardava come stralunati, sfiorandosi le labbra come se non gli appartenessero più.  «Primo bacio?» ipotizzò con aria di scherno, guardandolo con freddezza;  Blaine non rispose, ma il rossore che si dipinse sulle sue guance fu piuttosto eloquente.
«An- Andate via, o chiamerò qualcuno.» disse Blaine, con voce flebile e tremula. Sebastian gli sorrise: «Andiamo via, non preoccuparti.» disse in tono rassicurante, mettendosi lo zaino ora pieno e pesante in spalla. Si avvicinò di nuovo a Blaine e Kurt poté vedere il ragazzo tremare violentemente mentre Sebastian gli catturava di nuovo il mento con una mano e lo attirava a sé per baciarlo. «Sei impossibile, ‘Bas» sbuffò infastidito ma celando un sorriso, cosa che fece ridacchiare Sebastian, che aveva ancora il viso a pochi centimetri da quello di Blaine.  
«Prova a chiamare qualcuno, Blaine, e sei morto.» sussurrò il più alto sulle labbra di Blaine con voce dolce, prima di lasciarlo andare e uscire fuori, seguito da Kurt.
Kurt non si voltò indietro, ma sentì solo un tonfo – la porta che si chiudeva.

 

******


«Perché l’hai baciato? Non avresti dovuto!» esclamò Kurt, non appena furono al sicuro nella loro camera. Avevano appena messo a posto i soldi appena “guadagnati”, dopo averli divisi. «Mi piaceva. Aveva delle belle labbra.» rispose Sebastian, sollevando le spalle. «Non voglio discutere delle mie ragioni, dormiamo!» continuò, quando vide che Kurt stava per aggiungere qualcosa e continuare a discutere su quanto “è sbagliato e pericoloso. Non dobbiamo metterci in guai troppo grossi per noi, hai dimenticato l’ultima volta e blablabla” . Il ragazzo sbuffò infastidito, ma annuì. Spense la luce e si infilò sotto le coperte, vestito con i soli boxer: nella loro camera faceva molto caldo e anche se Sebastian era gay non lo metteva mai in imbarazzo essere semi-nudo davanti a lui. Aveva superato la fase in cui si imbarazzava al solo pensiero di mostrare un po’ di pelle. Sapeva di essere attraente, anche se non era perfetto.
Aveva appena chiuso gli occhi, quando udì un fruscio. Convinto che fosse solo Sebastian che si sistemava sotto le coperte, lo ignorò e sospirò stancamente: era stata una lunga giornata all’insegna della fuga dalle responsabilità. Quasi all’improvviso cominciò a tremare per il freddo: forse non era stata una buona idea non mettere il pigiama, anche se ne fu sorpreso; non aveva mai sofferto così tanto il freddo. Si alzò, cercando di non far rumore, per poter recuperare un paio di pantaloni della tuta gettato sul fondo dell’armadio. La camera sembrava più buia del solito e inciampò nella sedia, perciò imprecò sommessamente mentre si massaggiava il piede e si voltava verso Sebastian per assicurarsi di non averlo svegliato.
«Non dovresti usare certe parole.» disse una voce. Era eterea e lontana, ma molto, molto familiare; come proveniente da un sogno dimenticato. Kurt si voltò verso la porta, le sopracciglia inarcate per lo stupore:
«Mamma?!»




N.B. Modificato il 04/01/2014

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Impossibile. Quello che stava accadendo non era reale. Non era possibile che sua madre fosse lì davanti a lui con le braccia incrociate e un’espressione corrucciata sul volto (così familiare, così vivo, proprio come lo ricordava). Sua madre era morta dieci anni prima e i morti non tornano indietro, l’aveva sperimentato proprio lui: prima sua madre, poi suo nonno... I morti sono morti per sempre. Aveva anche smesso di credere a quelle “favole” del Paradiso e i fantasmi, davvero? Stupide leggende per consolare i cuori troppo deboli per accettare la verità.

«Sto cominciando a fumare davvero troppo, cazzo.» borbottò incredulo, scuotendo la testa, perché era semplicemente impossibile che quello che vedeva fosse vero: doveva esserci un trucco, per forza. Forse era un ologramma o si era già addormentato e tutto quello era un sogno.

«Ti ho detto che non dovresti usare certe parole, Kurt. È da maleducati.» ripeté sua madre, la stessa voce di sempre, dolce ma severa, seppur con una certa eco, come se provenisse da molto lontano, come se Kurt fosse immerso sott’acqua. La figura di Elizabeth risplendeva di una tenue luce nell’oscurità e sembrava essere senza peso; il suo viso era pallido e liscio, privo delle rughe di sofferenza che avevano segnato i suoi ultimi giorni di vita. Sembrava una divinità bellissima e senza tempo completamente vestita con una tunica bianca, un angelo sterminatore a giudicare dalla postura rigida e dagli occhi severi.

«... Sei davvero tu, mamma?» chiese Kurt con voce flebile ed esitante dopo averla fissata a lungo. Non sapeva se classificarlo come un sogno o un incubo. Tante volte aveva sperato che sua madre tornasse da lui, ma aveva imparato a rassegnarsi col tempo. I lineamenti di Elizabeth si addolcirono e la donna sorrise, sebbene i suoi occhi azzurri fossero sempre severi. «Sì – disse con voce dolce, avvicinandosi a lui di pochi passi – sono io, Kurt.»

Il ragazzo spalancò gli occhi; probabilmente se fosse stato uno di quei film per teenager da pochi soldi sarebbe svenuto e caduto a terra come un sacco di patate. «Non è possibile.» disse, facendo un passo indietro per allontanarsi da quella cosa. «Tu non sei reale. I morti non ritornano e i fantasmi non esistono. Ho fumato troppo o Sebastian mi ha messo qualcosa nell’acqua a cena e non me ne sono accorto. Non è assolutamente possibile che tu sia vera, non puoi essere vera- perché se tu fossi vera, dove diavolo sei stata per tutti questi anni? Perché non sei tornata da me, quando piangevo la notte perché mi mancavi?» esclamò, la voce sempre più alta a mano a mano che le parole gli sfuggivano dalle labbra. Sentiva come uno tsunami pronto ad esplodere dentro i suoi occhi, ma non poteva permettersi di piangere: Kurt aveva smesso di piangere molto tempo prima e non poteva tornare a quell’esserino debole e malandato che era stato prima. Non poteva tornare ad essere il piccolo Kurt Hummel, il figlio di Burt Hummel e Elizabeth Daves morta dieci anni prima che tutti volevano stringere e consolare senza sapere che non si può consolare qualcuno con un abbraccio sbagliato – un abbraccio che non sia quello della persona che ami più di te stesso e senza la quale non vorresti mai continuare a vivere.

«Io sono vera, Kurt. Sono io.» lo interruppe sua madre, avvicinandosi ancora. Stavolta Kurt non si mosse e le permise di avvicinarsi a lui e di afferrargli le mani: erano leggere, sembravano quasi vuote, ma non erano trasparenti. Era come stringere tra le mani un palloncino. «Sono tornata adesso per metterti in guardia, piccolo mio.» disse lei in tono severo, stringendogli con più forza le mani.
«Se è uno scherzo, sappi che non è divertente.» borbottò Kurt, liberando una mano per potersi stropicciare un occhio, come se potesse svegliarsi definitivamente con quel gesto e scoprire che era tutto frutto della sua fervida fantasia – o di una qualche droga che gli aveva propinato Sebastian. Dio, se fosse stato quello il motivo delle sue allucinazioni, lo avrebbe ucciso.

«Non è uno scherzo, Kurt. Vieni con me; fidati di me.» disse Elizabeth, guardandolo con i suoi occhi luminosi e supplichevoli. Quando Kurt ebbe annuito dopo qualche istante, esitante e nervoso come mai prima di allora, lei si rilassò e sorrise. Sollevò la mano libera e schioccò le dita. Il suono risuonò nella stanza, acuto come un gong in una sala di meditazione, fin troppo alto per essere umanamente possibile. Kurt dovette resistere all’impulso di tapparsi le orecchie con le dita. Come era possibile che Sebastian non si svegliasse, con tutto quel casino?!

Quando si guardò intorno – aveva chiuso gli occhi senza nemmeno accorgersene – notò che non erano più nella sua stanza alla Dalton. Erano in un’ampia sala dorata, o almeno Kurt pensò fosse una sala: era talmente enorme e luccicante da non permettergli di distinguere le pareti: sembrava non avere inizio né fine. Degli orologi pendevano dal soffitto, milioni e milioni di orologi che ticchettavano in modo fastidioso, tutti in modo discorde all’altro. Alcuni erano grossi e di un materiale che assomigliava all’ottone, altri erano più piccoli, fatti d’oro, ed emettevano uno strano squillo ogni tanto, altri ancora somigliavano a sveglie d’argento.

«Dove siamo?» chiese senza fiato, dopo aver visto un orologio da taschino aprirsi e chiudersi da solo. «Nella Stanza del tempo, ovviamente» rispose sua madre, stringendogli la mano nella sua per poterlo condurre all’interno della sala. «Ogni orologio che vedi segna il tempo di una persona sulla terra.» spiegò, indicandone uno a cucù che batteva l’ora. «Ognuno ne ha uno proprio diverso a seconda del carattere e ognuno è unico nel suo genere, proprio come le persone. Scandiscono i giorni che ad una persona restano da vivere, anche se non sono immutabili ed eterni: il tempo può essere ingannato con le decisioni che prendiamo, con le cose che ci accadono e le azioni che compiamo.»

Mentre parlavano, Elizabeth gli fece cenno di fermarsi, poi camminò attorno a lui fino a sbarrargli la strada. «Ed è qui che arriviamo a te, Kurt. Tu stai prendendo una serie di decisioni, stai commettendo certe azioni che-»
«Oh mio Dio, sono in fin di vita?! Sapevo che era un brutto sogno alla Scrooge. Adesso mi mostrerai la mia tomba?» la interruppe Kurt in tono sarcastico, ridendo sommessamente. Non voleva ammetterlo nemmeno a se stesso, ma era quasi spaventato dalla risposta che gli avrebbe dato sua madre: non voleva certo morire a diciotto anni.

«No, Kurt, non sei in fin di vita.» rispose sua madre, ignorando volutamente il suo atteggiamento con pazienza. «Ma un giorno morirai. Non ti è dato sapere quando né come, ma succederà.». Con queste parole si scostò per mostrargli un piccolo orologio da taschino d’argento finemente decorato con volute e rampicanti. Quando Kurt sollevò una mano per toccarlo, questo si scostò da solo, aprendosi e rivelando l’interno. Le lancette erano ferme, segnando i minuti, mentre dal lato del coperchio era inciso un “Kurt Hummel” in una grafia elegante e ricca di volute che il ragazzo riuscì a leggere appena, poiché l’orologio continuava a muoversi.
«Sì, è il tuo.» disse Elizabeth, quando capì che Kurt era troppo scosso per poter parlare ancora. «Ho visto quanto tempo ti rimane, Kurt. E ho visto come lo passerai. Figlio mio, non puoi continuare così. Sarai dannato.» continuò la donna, accorata, con la voce quasi rotta dal pianto.

Kurt non rispose subito, troppo incantato a fissare l’oggetto miracoloso di fronte a lui. Sollevò di nuovo la mano per prenderlo, ma questo gli sfuggì ancora, allontanandosi ancora di più da lui, come se fosse vivo e spaventato da lui. «Intendi dire che finirò all’Inferno?» chiese poi, quando vide che sua madre non aveva intenzione di continuare a parlare.
«Il futuro può essere cambiato. Devi cambiare tu.» disse lei, senza rispondere esplicitamente alla sua domanda, anche se Kurt capì che sì, sarebbe finito all’Inferno se non avesse cambiato il suo atteggiamento. «Cosa devo fare?» chiese Kurt, sospirando sconfitto. «E funziona sempre così per tutti quanti i delinquenti? Le loro madri morte li visitano per riportarli sulla retta via?» non poté impedirsi di chiedere, guardandola con aria di sufficienza: aveva bisogno di prove che tutto ciò che stava vivendo era reale.
Lo sguardo di Elizabeth si addolcì. «No, amore mio. Tu sei speciale e io credo in te. Credo che tu sia buono e credo che tu possa cambiare in meglio. Per questo mi hanno dato questa possibilità – ti hanno dato la possibilità di cambiare e di meritarti la felicità. Potrai fare cose straordinarie se solo vorrai, ma Kurt, dovrai guadagnarti la tua redenzione.» disse dolcemente ma decisa, mettendogli le mani sulle guance per impedirgli di guardare altrove se non i suoi occhi e il suo viso.

Il viso di Kurt si contorse in una smorfia: lui non credeva così tanto in se stesso, ma quella che gli stava dando quella possibilità era sua madre: non ci credeva fino in fondo e amava la sua vita incasinata che si era costruito, ma anche lui per una volta – forse – voleva darsi una possibilità per migliorare. «Va bene – acconsentì annuendo – cosa devo fare?»
Il viso di Elizabeth si illuminò di pura gioia e sembrò dovette combattere fisicamente con se stessa per non gettargli le braccia al collo e abbracciarlo con tutta la sua forza. «Ce la farai, vedrai.» disse lei felice. «Dovrai aiutare una persona, un ragazzo alla Dalton. Blaine Anderson.»
 

******

 
Kurt si svegliò la mattina successiva con uno strano peso sullo stomaco e la sensazione di aver dimenticato qualcosa di fondamentale. Un compito in classe? Una riunione con il preside? Non gli importava granché. Anche senza impegnarsi molto era sempre stato uno studente modello, imparare cose nuove gli piaceva e lo faceva sentire migliore. Si alzò a sedere, stiracchiandosi per sciogliere i muscoli delle spalle e si stropicciò gli occhi per dissipare il sonno. Si voltò verso il letto del suo amico, ma Sebastian non era in camera, segno che con ogni probabilità era ancora troppo presto e il ragazzo la notte prima era sgattaiolato via mentre dormiva per andare da Hunter (Sebastian lo avrebbe negato fino alla morte, ma tra lui e Hunter c’era del tenero, Kurt ne era certo). Si costrinse ad alzarsi, anche se la temperatura fredda della sua camera lo implorava di restare a letto a rotolarsi tra le coperte, e si preparò lentamente, godendosi la solitudine e il silenzio; era raro che potesse prepararsi senza che Sebastian o la sveglia gli mettessero fretta.

Mentre si preparava, ebbe il tempo di pensare. Mentre era sotto la doccia aveva ricostruito nella mente ogni istante del “sogno”, aveva rivissuto ogni momento per cercare di capire cosa potesse essere vero e cosa no. La prima cosa da decidere era: era stato una fantasia oppure no? La parte razionale di lui gli diceva di sì, che era uno stupido solo a considerare che l’alternativa fosse reale. Ma sotto sotto sapeva che non avrebbe mai potuto immaginare tutto da solo: la visita di sua madre, la Stanza del tempo, l’orologio che scandiva la sua vita. E in più la nuova aggiunta alla sua scrivania sicuramente era un indizio tangibile e reale: un piccolo block notes nero.
Lo aprì, sospirando sommessamente. Sulla prima pagina campeggiava una scritta nera ed elegante: “La lista dei desideri”. Kurt sfiorò il foglio con le dita tremanti e si morse il labbro inferiore con forza. Non riusciva a credere a quello che gli aveva detto sua madre.

“Per redimerti completamente dovrai ottenere il perdono da qualcuno puro di cuore che hai ferito e per te ho scelto Blaine Anderson. Avrai il compito di renderlo felice e di esaudire tre dei suoi desideri più profondi. Ma la cosa più importante è che tu ti penta delle tue azioni passate, Kurt. Sii felice, piccolo mio.”

Come poteva convincere Blaine che non era uno scherzo e che voleva davvero aiutarlo? Sarebbe stata una follia, il ragazzo gli avrebbe riso in faccia se non fosse scappato subito davanti a lui. Però doveva tentare. Per sua madre. Per se stesso. E anche Blaine si meritava i suoi tre desideri dopo quello che era successo, anche se era un damerino figlio di papà.
Uscì dalla sua camera per andare in caffetteria, dove sperava di trovare Blaine. In un luogo affollato non avrebbe potuto fuggire da lui e sarebbe stato più tranquillo e ragionevole, o almeno sperava non sarebbe stato così folle da urlargli contro davanti a tutti o fuggire. Quando entrò, spalancando la porta, scrutò ogni tavolo alla ricerca di una testa ricoperta di gel e la trovò – al tavolo degli Usignoli, ovviamente. Era così ovvio che quel Blaine frequentasse le rock star della Dalton. Aveva proprio tutto quello che quei damerini canterini cercavano. Si avvicinò al loro tavolo con fare deciso e arrogante, anche se sperava non minaccioso; cominciò a dubitarne quando vide che un primino sbarrava gli occhi nel riconoscerlo e si affrettava a bisbigliare qualcosa nell’orecchio del suo vicino che a sua volta lo guardò terrorizzato e fece per alzarsi.

«Blaine.» lo chiamò semplicemente, quando fu abbastanza vicino da essere udito. Il ragazzo era di spalle ed evidentemente non aveva riconosciuto la sua voce, perché quando si voltò il suo viso era ancora aperto e luminoso per le risate che stava cercando di contenere. Però quando riconobbe chi lo aveva chiamato si irrigidì e si morse il labbro inferiore. «Ehm... Ciao?» provò con voce esitante e flebile. Sembrava imbarazzato, ma anche impaurito. Kurt quasi si pentì all’istante di quello che aveva fatto, perché quegli occhi schivi e spaventati da cucciolo erano davvero troppo anche per lui. «Posso parlarti?» disse, indicando un tavolo vuoto poco distante da quello a cui era seduto Blaine. Il ragazzo deglutì vistosamente, ma annuì a malincuore e si alzò: forse credeva di non avere altra scelta se non assecondare Kurt in tutto. Kurt temette quasi che un ragazzo lo trattenesse per la manica e lo costringesse a restare lì. Per l’amor del cielo, metteva davvero così tanta paura? Sebastian ne sarebbe stato contento. Kurt si voltò e gli fece strada fino al tavolo dove si sedette. Blaine lo imitò, seppur nervosamente; stava seduto sul bordo della sedia, come se fosse pronto ad alzarsi e correre il più velocemente possibile lontano da lui. Se non fosse stata ampiamente giustificata, quella mancanza di fiducia avrebbe potuto sinceramente offendere Kurt.

«Volevo chiederti scusa.» disse con difficoltà, dopo qualche minuto di silenzio. Non aveva mai chiesto scusa a nessuno per qualcosa che aveva fatto. Non che adesso si sentisse davvero in colpa per quello che avevano combinato lui e Seb, ma faceva parte del piano, no?
«... Volevi chiedermi scusa?» gli fece eco Blaine con gli occhi spalancati colmi di sorpresa. Adesso che Kurt era così vicino a lui poteva vederlo bene in viso: c’era qualcosa di estremamente dolce nei suoi lineamenti decisi e marcati, le sue labbra piene e rosee erano semiaperte per lo stupore. Quando Kurt si soffermò sui suoi occhi fu tentato di chiedergli di che colore fossero: erano strani, sembravano... nocciola. Con una sfumatura di verde e- adesso che aveva mosso la testa però il sole li illuminava in modo diverso e sembravano ancora diversi rispetto prima...

Datti un contegno si disse, scuotendosi di dosso quelle sensazioni inappropriate. «Sì, esattamente.» annuì. «Mi sono comportato in maniera imperdonabile nei tuoi confronti, io e Sebastian abbiamo esagerato. E mi dispiace.» disse, cercando di sembrare sincero e di sentire sinceramente quelle parole dentro di sé. Blaine espirò sollevato – probabilmente aveva sinceramente creduto che Kurt volesse fargli ancora del male e a questo pensiero Kurt si sentì davvero un po’ in colpa. «Accetto le tue scuse.» disse Blaine dopo qualche secondo di silenzio, abbozzando un sorriso gentile. Kurt poté sentire il suo corpo rilassarsi, e non si era nemmeno accorto di avere i muscoli in tensione.

E la prima parte è andata...

« Vorrei fare qualcosa per farmi perdonare.» continuò Kurt frettolosamente, quando vide che Blaine si stava alzando. «Ma non ce n’è bisogno. – disse il riccio in tono cordiale – ti ho già perdonato. Non mi aspettavo che tu ti scusassi, perciò sei già perdonato, davvero.» disse, alzandosi e facendo per allontanarsi.
«Blaine, io devo.» lo interruppe Kurt, alzandosi a sua volta e trattenendolo per il braccio. «Per favore. Io devo aiutarti.» disse e si odiò perché anche alle sue orecchie le sue parole sembravano quasi una supplica.  «Che- Che vuoi dire?» disse Blaine confuso, aggrottando le sopracciglia spesse in una maschera di confusione.
«Vieni con me, facciamo una passeggiata.»



 

Modificato il 04/01/2014

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


«... E questo è tutto. Mi aiuterai?»


Kurt si interruppe, tremando vagamente ed espirando; detta ad alta voce a qualcuno quella storia sembrava ancora più assurda e lui sembrava davvero uno psicopatico. Blaine non aveva  detto niente mentre lui parlava, lo aveva solo guardato con interesse mentre Kurt gli raccontava della morte di sua madre dieci anni prima, della sua vita scombussolata fino a quel momento, della “visita” di sua madre e della “missione” che aveva davanti a sé. Non lo stava ancora guardando come se fosse pazzo e per questo Kurt lo ringraziò dal profondo del cuore. Non avrebbe tollerato lo sguardo di Blaine in quel caso.

«So che è difficile da credere, ma-» cominciò di nuovo, mentre i minuti passavano e il silenzio diventava sempre più pesante tra di loro. «Io ti credo.» lo interruppe Blaine sincero, guardandolo negli occhi. «Deve essere stato terribile per te, portarti tutto questo dentro da solo per così tanto tempo.» disse.

«Blaine, è successo solo ieri sera-»

«Mi riferivo alla morte di tua madre.» lo interruppe ancora, mentre Kurt abbassava gli occhi. «È successo tanto tempo fa, Blaine, non è importante adesso.» mormorò. «Mi aiuterai?» ripeté a voce un po’ più alta, sollevando lo sguardo per poterlo guardare intensamente negli occhi: odiava che alle sue orecchie sembrasse una preghiera. Odiava dover dipendere da Blaine. Ma quella era la realtà, lui aveva bisogno di Blaine.
Il ragazzo annuì deciso, sorridendo vagamente. «Anche se io non ho tre desideri, davvero.» disse pensieroso. Kurt roteò gli occhi infastidito: «Vedi che sei irritante? Mi stai praticamente sbattendo in faccia il fatto che tu hai tutto e che la tua vita è perfetta.» disse sarcastico. Il viso di Blaine si adombrò a queste parole e il ragazzo si morse il labbro inferiore, improvvisamente a disagio. «Non è così, Kurt.» disse mortalmente serio e con un tono così triste che Kurt si pentì per quello che aveva detto.

Quelle sensazioni che gli faceva provare Blaine erano... fastidiose. Strane. Inusuali. E non erano del tutto piacevoli.

«Scusa, non avrei dovuto dirlo.» disse sincero, più sincero di quanto fosse stato mai. Era la seconda volta che si scusava in venti minuti, wow. Era un record. Blaine si costrinse a sorridergli e annuì.
«Credo di avere il primo desiderio.»  annunciò dopo pochi minuti di silenzio, durante i quali avevano continuato a passeggiare fianco a fianco.  «Se vuoi che la smetta di prenderti in giro credo di potercela fare, ma se ti aspetti che non mi sfoghi sui tuoi amichetti camerieri...» disse Kurt ironico, trattenendo una risatina, sebbene fosse preoccupato per quello che Blaine avrebbe potuto chiedere: non era esattamente pronto a fare di tutto. Aveva ancora dell’amor proprio.

Blaine roteò gli occhi: «No. Voglio che tu ci aiuti a vincere le Regionali.» disse entusiasta, evidentemente soddisfatto di se stesso per aver chiesto una cosa del genere. Kurt ci restò di sasso. «E io cosa dovrei fare, scusa?! Non posso certo sabotare le altre squadre o corrompere i giudici o-»
«Sai cantare?»
 

******

 
Non posso credere di aver accettato.

Kurt si sentiva un pesce fuor d’acqua mentre attorno a lui quei ragazzi discutevano delle canzoni da portare alla competizione. La maggior parte delle loro proposte era troppo scontata o di cattivo gusto e Kurt pensò seriamente che sarebbe stata un’impresa da titani far vincere i Fringuelli.
Aveva tentato di convincere Blaine a cambiare desiderio, ma dopo si erano accorti che nella Lista era già stato inserito come primo desiderio da realizzare (si era scritto da solo, per giunta, in quella calligrafia tonda ed elegante che Kurt stava già cominciando ad odiare ed ammirare insieme), quindi non poteva far altro che accettare di entrare nel gruppo e sperare per il meglio.

Prima di entrare in sala aveva dovuto aspettare dieci minuti fuori, seduto a terra contro il muro mentre Blaine convinceva tutti ad ammetterlo dentro la stanza e solo dopo aveva potuto fare una pseudo-audizione. Anche se non cantava da quando aveva chiuso con il Glee al McKinley, la sua versione di “Don’t cry for me Argentina” era stata spettacolare, un’esibizione emozionante e coinvolgente: non si era mai sentito così fiero di se stesso. Molti lo avevano guardato con stupore e ammirazione, mentre altri erano solo infastiditi dal fatto di non poterlo cacciare perché non era abbastanza bravo.

Si era seduto accanto a Blaine e il ragazzo gli aveva sussurrato entusiasta all’orecchio che era stato bravissimo. A quel commento lo stomaco di Kurt si torse con doloroso piacere: era da tanto che non riceveva complimenti del genere e doveva ammettere che la parte di lui più “Diva” stava facendo i salti di gioia all’idea di tornare su un palco, sebbene fosse costretto a dividerlo con quei ragazzi che detestava. Dopo la votazione con la quale entrava a far parte definitivamente degli Usignoli, avevano cominciato a discutere delle canzoni da proporre.

E lì Kurt temette di esplodere per davvero, perché quegli incapaci non riuscivano a proporre canzoni nemmeno lontanamente decenti, figuriamoci appropriate, per una competizione tanto importante. Avrebbe voluto urlare per la frustrazione. Ma essendo l’ultimo arrivato, scoprì, non aveva alcun diritto di parola.

Alla fine della riunione era nervoso e teso come una corda di violino: da quell’esibizione dipendeva il suo futuro, letteralmente. Era come se se ne stesse rendendo conto solo in quel momento, ma la verità lo aveva colpito come uno schiaffo sul viso mentre ascoltava quei ragazzi discutere. «Dobbiamo parlare, vieni.» disse nervosamente a Blaine, prima di allontanarsi senza nemmeno assicurarsi che il ragazzo lo seguisse. Si diresse verso il campo da football: gli atleti si stavano ancora allenando alla luce del tramonto, mentre lui e Blaine si sedevano, ma sapeva che non avrebbero dato fastidio.

«Così non va.» esordì in tono critico, mentre prendeva un quaderno su cui aveva scribacchiato durante tutta la riunione. Blaine poté vedere che erano appunti e lo guardò stupito: «L’hai presa sul serio questa cosa, vero?» chiese ridacchiando divertito.
«Ne va della mia salvezza a quanto pare, genio.» ribatté Kurt ironico, anche se nel momento in cui pronunciò quelle parole si accorse che non era poi propriamente vero. Sì, c’entrava anche la sua salvezza, ma... era felice di essere di nuovo in gioco. Al McKinley partecipare al Glee club era stata l’esperienza più bella della sua vita e non si era accorto di sentirne la mancanza. Cantare era sempre stato importantissimo per lui, fin da quando era bambino e guardava musical con sua madre: era stata lei a farlo avvicinare al mondo del teatro, a quell’universo a sé stante pieno di emozioni e magia; era stata lei ad insegnargli il potere della musica, con quanta forza e prepotenza le note scavino dentro gli ascoltatori lasciando impronte e marchi incancellabili di emozioni e sentimenti, come fosse semplice e facile e naturale piangere o ridere o semplicemente vivere grazie alla musica. Quando era stato costretto a lasciare il McKinley, Kurt non era ancora pronto a rinunciare a tutto questo – all’affetto dei suoi compagni, alla gioia del cantare insieme, all’emozione che gli bloccava la voce in gola quando doveva salire su un palco e affrontare la platea – ma aveva dovuto; e adesso si presentava davanti a lui una seconda chance, grazie al desiderio di Blaine, e non l’avrebbe sprecata come se non contasse nulla: gli Usignoli dovevano vincere.

«Prima di tutto, i cantanti: Blaine, sei bravissimo, dico davvero. Ti sai muovere sul palco con naturalezza e sicurezza e non ho mai sentito nessun ragazzo con una voce così straordinaria ed emozionante e coinvolgente - ti stai lasciando trasportare troppo dal discorso, Hummel, torna al punto si rimproverò Il ragazzino non deve montarsi troppo la testa - e alle Provinciali avete vinto perché avevate te come solista. Ma dubito che ce la farete alle Regionali. Lì non puoi farcela da solo. Abbiamo tante voci nel gruppo, dobbiamo solo sfruttarle tutte nel modo migliore, ma non sfruttarle per far risaltare la tua. So che è dura scendere dal piedistallo e condividere il palco con qualcuno, ma-»

«Non è un problema per me “scendere dal piedistallo”; e poi mi fido di te.» lo interruppe Blaine annuendo, sollevando le mani come per fermare il fiume in piena che erano le sue parole. Kurt fu stupito dalla sua reazione accondiscendente, ma non commentò: Blaine non faceva che stupirlo, qualsiasi cosa facesse o dicesse.
Semplicemente Blaine non era la persona che si aspettava. Era... Blaine.

«Okay, affrontato il primo punto, passiamo al secondo: le canzoni. Blaine, non possiamo andare alle Regionali con delle canzoni orribili di Katy Perry, ti prego.» disse in tono quasi implorante, dato che alla riunione molti avevano optato per ‘Firework’ – e lui non avrebbe mai permesso che gli Usignoli si presentassero con quella canzone così commerciale.

«Cos’hai contro Katy Perry?» chiese Blaine risentito, aggrottando le sopracciglia e guardandolo malissimo – e Kurt ricordò che era stato proprio lui a proporla. «Niente, per carità, le sue canzoni sono anche carine. Ma andare alle Regionali con Katy fa molto bambini delle elementari, secondo me. Dobbiamo stupirli i giudici, dargli qualcosa che gli altri non possono dargli!» rispose entusiasta, gesticolando e sorridendo; le guance quasi gli facevano male per aver sorriso così tanto. Era felice, si accorse con stupore; era felice dopo tanto tempo e non riusciva a credere di dover ringraziare Blaine – sono il più perfetto dei perfetti damerini – Anderson per questo.

Blaine sorrise a sua volta, come se anche lui fosse felice, e questa era davvero una novità per Kurt: a parte Sebastian e suo padre, pochi sembravano felici della sua presenza; alla Dalton riceveva solo occhiate diffidenti e di rimprovero da parte dei professori e anche dei suoi compagni. Era piacevole il pensiero che finalmente qualcun altro stesse cominciando ad apprezzare la sua presenza; era bello che fosse Blaine ad apprezzarlo.
«Sembra che tu sappia proprio quello che fai. Come se tu l’avessi già fatto prima...» disse il riccio sovrappensiero, scuotendo Kurt dai suoi pensieri. «Credevo che non ti interessassero queste cose, e invece...»

«Blaine Anderson, quante cose non sai di me.» scherzò il ragazzo, abbozzando una risata divertita. «Facevo parte del Glee alla mia vecchia scuola – confessò, facendo una smorfia, come se stesse raccontando un aneddoto imbarazzante – e sì, ero anche tra i più bravi, quindi so esattamente ciò che faccio.» aggiunse, facendogli la linguaccia e facendolo ridere.
«Ma andiamo avanti adesso. Per quanto riguarda le coreografie...»
 

******

 
I giorni si susseguivano e la data delle Regionali si avvicinava sempre di più tra riunioni e prove. Kurt quasi non aveva più tempo per studiare e stare con Sebastian, poiché era sempre con Blaine o con i ragazzi: a pranzo si sedeva con gli Usignoli per poter discutere delle prove di quel giorno, nel pomeriggio andava alle prove che potevano durare dalle due alle quattro ore e dopo, spesso, andava sul campo di football con Blaine per poter chiacchierare o esercitarsi o studiare o semplicemente stare insieme.

Lui e Blaine, aveva scoperto, avevano molte cose in comune: gli piacevano le stesse cose e avevano lo stesso senso dell’umorismo. Entrambi amavano i musical di Broadway – anche se Blaine preferiva la versione londinese di Evita, come era possibile?! Entrambi veneravano J.K. Rowling e tutti i libri da lei scritti – e spesso si perdevano in discussioni del genere “Preferisci la coppia Drarry o Dramione?” che non si concludevano mai e Kurt le amava così tanto. A Blaine piaceva ascoltare le vecchie storie del McKinley e a Kurt piaceva sentirlo parlare di pranzi e cene dell’alta società frequentata dagli Anderson. Si ritrovarono ad aprirsi l’uno con l’altro, a confessarsi cose che nessun altro sapeva: Kurt gli raccontò del bullismo che aveva subito, della difficoltà di essere gay e di non avere la possibilità di nasconderlo, del dolore per aver perso sua madre e dell’amore che provava per Burt; Blaine, di rimando, gli parlò della sua situazione familiare, della sua sessualità, – Kurt non avrebbe mai immaginato che Blaine potesse essere gay – del motivo per cui si era trasferito alla Dalton: anche Blaine aveva sofferto tanto per il bullismo; era stato picchiato e preso in giro e si era rifugiato alla Dalton proprio come lui.

Kurt era felice di aver trovato in Blaine un amico con cui stendersi sulle gradinate e chiacchierare, semplicemente chiacchierare senza pretendere niente.
Spesso quando era lì ricordava quando era solito andarci da solo con la sua sigaretta, ma quando guardava il viso sorridente di Blaine non gli mancava affatto. Blaine era un ottimo amico. Era speciale.
 

******

 
Quella mattina, quando Kurt si svegliò, Sebastian si era appena alzato. «’Giorno» lo salutò cordialmente, come sempre, ma il ragazzo non rispose. «Che fine hai fatto, Kurt?» disse invece in tono scontroso. «Non ti vedo quasi più, e io e te viviamo insieme, cazzo. Non sembri più tu.» borbottò irritato, sembrava quasi arrabbiato. Kurt si sentì in colpa, perché era vero: non aveva più passato molto tempo con Sebastian, anche perché, in tutta sincerità, non aveva più molta voglia di riprendere a fare cazzate con lui. Gli piaceva essere uno studente modello; gli piaceva essere preparato in classe e telefonare suo padre quando riusciva a passare un test con il massimo dei voti; gli piaceva passare il suo tempo con gli Usignoli e soprattutto con Blaine.

«Mi dispiace.» disse sincero, e anche se non sapeva come continuare, come spiegargli, voleva che Sebastian sapesse che gli dispiaceva davvero, ma non era pronto a svelare il suo segreto: era sicuro che Sebastian non sarebbe stato comprensivo come Blaine. «Non so- io sto provando ad essere migliore, ‘Bas. Mi piace- Mi piace essere così. Sono stanco di fare cazzate a destra e a manca. Mio padre non si merita un figlio così e io- io voglio essere una persona migliore per me e per lui.» ammise, nonostante le parole uscissero fuori con difficoltà. Come puoi spiegare a qualcuno che il tuo intero essere sta cambiando, anzi, che forse il tuo vero essere sta venendo a galla e tu non puoi far altro che accoglierlo a braccia aperte e accettarlo?

Sebastian sbuffò con aria di sufficienza e scosse la testa: «È colpa di quel Blaine Anderson, vero? Da quando esci con lui sei diverso. State insieme?» chiese seccamente, incrociando le braccia al petto. «No! Cavolo, no, io e Blaine- siamo amici. Solo amici!» esclamò Kurt con voce acuta, spalancando gli occhi. Non sapeva perché stava reagendo così, come se fosse un sacrilegio il solo pensiero di lui e Blaine insieme; sarebbe stata una situazione tanto tragica e disperata? Blaine era bello e gentile e divertente e lo faceva sorridere. Lo faceva sentire il benvenuto, speciale. Cosa c’era di male in tutto quello? Perché vergognarsi di un legame così?

Scosse la testa per scacciare quei pensieri stupidi, perché non aveva mai pensato a Blaine in quel modo e non avrebbe permesso che a causa di una provocazione di Sebastian quell’idea gli si installasse nel cervello e non andasse più via, rovinando la sua amicizia con Blaine. Perché di questo si trattava, semplice amicizia.
«Okay, solo amici, ho capito.» sospirò Sebastian. «Però non ignorarmi, brutto stronzo, o te la faccio pagare.» aggiunse con un sorrisetto, avvicinandosi a lui per scompigliargli i capelli. «Come va con Hunter?» chiese Kurt sorridendo vendicativo.
«Io e lui non stiamo insieme!» esclamò Sebastian esasperato, prima di chiudersi in bagno.  «Oh, sicuro, come no...» ribatté Kurt, ridendo divertito.
«Smettila!»
 

******

 
Il week-end era arrivato e Blaine era partito per tornare a casa dai suoi genitori. La politica della Dalton poteva essere molto restrittiva, ma durante i week-end lasciavano andare tutti via in “libertà vigilata”. Un tempo Kurt non vedeva l’ora che arrivasse il fine settimana per poter tornare a Lima da Burt e dai suoi amici, ma poi aveva perso l’abitudine di tornare quando aveva legato con Sebastian e approfittava dei week-end per uscire con lui e altri amici e andare in giro per locali a Columbus. Anche quella sera Sebastian era andato fuori, ma Kurt aveva approfittato della serata tranquilla per stare con gli Usignoli che non erano tornati a casa. Erano stati nella stanza di David per tutta la sera a guardare film, a ridere e a mangiare pizza: in tutta sincerità non credeva si sarebbe divertito così tanto, visto che aveva l’impressione di aver legato profondamente solo con Blaine, ma gli altri lo avevano accolto bene nel gruppo. Era stata davvero una piacevole sorpresa che lo aveva reso felice ed euforico all’idea di essersi finalmente integrato alla Dalton, di essere uno di loro, di far parte di nuovo di un gruppo. Aveva sperimentato quella sensazione solo l’anno prima con il Glee club al McKinley, mentre dopo aveva allontanato tutti, tranne Sebastian.

Stava tornando nella sua camera quando decise di cambiare direzione e andare verso il campo da football. Era diventata una strana abitudine andarci con Blaine prima di andare a letto per chiacchierare un po’, e anche se Blaine non era alla Dalton sarebbe stato piacevole stare lì per un po’ per assaporare un po’ il silenzio e la pace del luogo, magari fumando un po’, visto che da quando aveva scoperto che a Blaine dava fastidio l’odore aveva smesso di fumare in sua presenza.

Salì le gradinate per raggiungere il loro solito posto, quando notò che era già occupato da qualcuno. Aggrottò le sopracciglia, cercando di capire chi fosse nonostante la luce fioca e spalancò gli occhi quando lo riconobbe. «Blaine, che ci fai qui? Credevo fossi tornato a casa!» esclamò sorpreso.

Il ragazzo si voltò verso di lui, sobbalzando, e sebbene fosse buio Kurt poté distinguere chiaramente le lacrime sulle sue guance brillare alla luce pallida e bianca della luna. «Hey, Blaine...» mormorò, avvicinandosi a lui per inginocchiarsi al suo fianco e accarezzargli una guancia umida con affetto. «Cos’è successo?» disse con voce dolce, in un modo in cui non aveva mai parlato con nessuno se non forse con suo padre, quando era più piccolo.

Blaine non rispose, semplicemente si lasciò andare contro il suo petto, affondando il viso nella sua maglietta di cotone morbido e bagnandola con calde lacrime. Un singolo singhiozzo gli scosse le spalle, facendo tremare anche Kurt nel profondo del cuore.
«Hey... è tutto okay, B. Sono qui, è tutto okay...» mormorò Kurt dolcemente, abbracciandolo istintivamente e cullandolo come se fosse un bambino piccolo. Prese ad accarezzargli teneramente i capelli – erano ricci, Blaine aveva i capelli ricci, era assurdo essere stato così tanto tempo con lui e non essersene mai accorto – e a mormorargli cose senza senso nell’orecchio per calmarlo mentre il ragazzo piangeva e singhiozzava e tremava contro di lui. Si sentiva come se qualcuno stesse stringendo il suo cuore in un pugno, soffocandolo e impedendogli di battere, a vederlo piangere in quel modo scomposto e così dolorosamente disperato.


«Ho un nuovo desiderio, Kurt.»




Note: Ci tengo a precisare che non ho nulla contro Katy Perry, perciò non mi uccidete XD
Questo capitolo è stato il mio preferito da scrivere, soprattutto perché è quasi il vero "inizio": qui cominciano davvero KurteBlaine e io sono metà entusiasta metà terrorizzata perché non so se riuscirete ad apprezzare i miei ragazzi, qui. 
Perciò vi sarei infinitamente grata se mi lasciaste un piccolo commento/recensione/quello che vi pare in cui mi dite cosa ne pensate. Per la scienza. 

Detto questo vi saluto, a lunedì prossimo!
Allie <3




Modificato il 04/01/2014

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Il suono del respiro finalmente calmo di Blaine riempiva il silenzio che altrimenti sarebbe stato opprimente e insopportabile per Kurt; anche se forse anche il silenzio sarebbe stato un sollievo dopo aver sentito piangere Blaine per quasi un’ora e più. Kurt aveva accompagnato il ragazzo nella sua camera dopo che questi gli ebbe raccontato cosa era successo: Blaine era tornato a casa dei suoi genitori a Westerville ed era andato tutto bene finché non si era trovato da solo con suo padre e lo aveva invitato ad assistere alla loro esibizione alle Regionali. Aveva raccolto tutto il suo coraggio, fatto un respiro profondo e gliel’aveva chiesto di getto, senza pensare troppo al discorso che aveva provato con Kurt. Il ragazzo sapeva quanto sarebbe stato importante per Blaine sapere che i suoi genitori sarebbero stati tra il pubblico ad applaudire per lui. Anche se non nutriva molte speranze, Blaine si era lasciato convincere da Kurt, che adesso si sentiva tremendamente in colpa. Suo padre lo aveva rimproverato perché la musica è un campo così precario, Blaine, vuoi davvero fare l’artista? Non sei più un bambino, devi pensare seriamente al tuo futuro! Perciò dopo aver litigato e urlato per un po’, Blaine era andato via, aveva guidato di nuovo fino alla Dalton ed era rimasto su quelle gradinate per ore finché Kurt non lo aveva trovato.

Il nuovo desiderio di Blaine era: “Avere un padre che mi sostenga” e Kurt sapeva che sarebbe stato difficilissimo, ma avrebbe fatto di tutto per far sì che si avverasse, e non solo per la sua salvezza futura. In quelle settimane aveva cominciato ad apprezzare molto Blaine, come persona e come amico; aveva cominciato a volergli bene e adesso voleva sinceramente aiutarlo.
Gli sistemò il lenzuolo fin sul mento e gli accarezzò i ricci morbidi con tenerezza, mentre le sue labbra si curvavano in un sorriso dolce. Guardare Blaine dormire era come osservare l’oceano all’alba in estate: era così indifeso e calmo, infondeva pace nel suo cuore. E vederlo così, finalmente addormentato e tranquillo, lo fece sentire sollevato. Blaine era una così brava persona, così dolce, e un amico così disponibile e sincero che meritava profondamente di essere felice e di essere amato.

Quando si rese conto del fatto che si stava comportando come un maniaco, decise di uscire e tornare nella sua camera da letto. Sebastian non era ancora tornato, sebbene fosse tardi, ma non se ne preoccupò più di tanto: conosceva abbastanza Seb da sapere come andavano a finire le sue serate fuori: probabilmente avrebbe trovato qualcuno con cui passare la notte – un ragazzo a caso, o forse Hunter. Kurt sperava che fosse Hunter, perché anche se Sebastian lo negava, sapeva che in fondo il ragazzo stava cominciando a provare dei sentimenti anche profondi; solo che non aveva il coraggio di ammetterlo né a se stesso né ad Hunter. Kurt si ripromise di aiutare anche lui, quando avrebbe finito con Blaine. Si preparò per la notte e prima di rintanarsi sotto le coperte sfogliò il block notes della “Lista dei desideri”, fissando il nuovo desiderio da realizzare che si era magicamente scritto sulla seconda pagina.

Non aveva la più pallida idea di cosa fare per avvicinare Blaine e suo padre. Per lui non era mai stato un problema, perché Burt gli era sempre stato vicino, gli aveva sempre dimostrato il suo affetto e non gli aveva mai fatto mancare il suo supporto. Non dubitava che il padre di Blaine lo amasse tanto quanto Burt amava lui, ma doveva riuscire a far capire al signor Anderson che doveva dimostrarlo, che l’amore tenuto dentro di sé nascosto agli occhi di tutti e covato in segreto è inutile e deleterio per tutti, perché Blaine non poteva semplicemente leggergli nel pensiero e capire che suo padre lo amava profondamente e che voleva per lui solo il meglio. Blaine si meritava quel tipo di amore prepotente, che urlava e strepitava per essere udito da tutti i presenti. Blaine meritava tutta la felicità di questo mondo e Kurt voleva essere colui che sarebbe riuscito a dargliela.

Kurt sospirò abbattuto e poggiò il quadernetto sul comodino, dopo aver scritto e cancellato dei possibili piani per il compimento del secondo desiderio – era arrivato al piano C prima di rinunciare, per poi spegnere la luce e sistemarsi sotto le coperte. Chiuse gli occhi e dopo pochi minuti si addormentò.


Erano quasi le tre quando un rumore di una porta che si apriva lo svegliò. «’Bas, sei tu?» mormorò con la voce impastata dal sonno, sollevandosi su un gomito per poter guardare, sebbene fosse buio. Si passò una mano tra i capelli mentre si sforzava di distinguere la figura scura del ragazzo nel buio in cui era immersa la loro stanza.
Questi non rispose, piuttosto si avvicinò a lui senza far rumore. «Posso restare con te?» sussurrò una voce familiare, ma non era Sebastian, era-

«... Blaine?!»

«Sì, sono io. Scusa se sono piombato qui così a quest’ora e ti ho svegliato, ma- Posso restare qui con te?» ripeté il ragazzo, ignorando volutamente la domanda inespressa di Kurt – “Che ci fai qui?”.

Kurt sbatté le palpebre – una volta, due, prima di realizzare che Blaine Devon Anderson era nella sua camera e gli stava chiedendo di dormire con lui. Sforzandosi di non vedere la cosa come assolutamente non era, annuì. «Vuoi- ehm, ti ospiterei nel letto di Seb se fossi sicuro che non tornerà prima o poi e ti caccerà fuori a calci nel sedere...» cominciò Kurt, sentendo le guance farsi più calde e ringraziando tutte le divinità esistenti e non per il fatto che fosse troppo buio affinché Blaine se ne accorgesse.
«Posso restare nel tuo letto, se a te non da’ troppo fastidio...» disse Blaine imbarazzato, mordendosi l’interno della guancia e guardando con occhio critico lo spazio angusto del letto in cui avrebbero dovuto dormire in due.

Kurt cercò di respirare profondamente e di non far capire al ragazzo accanto a lui che stava morendo dall’imbarazzo perché in realtà voleva che Blaine dormisse accanto a lui; voleva stringerlo a sé e consolarlo proprio come aveva fatto poche ore prima. Perciò annuì, sforzandosi di sembrare tranquillo: «Certo che puoi. Vieni.» disse, sollevando le coperte – le mani gli tremavano leggermente e sperava che Blaine non si accorgesse di nulla – come per invitarlo accanto a sé.

Il ragazzo sorrise e Kurt poté distinguerlo chiaramente ora che i suoi occhi si erano abituati. Sentì un rumore – Blaine che si sfilava le scarpe – poi il peso di un altro corpo che fece cigolare le molle del letto. Blaine lasciò cadere la testa sul cuscino accanto alla sua e gli sorrise debolmente mentre Kurt rimetteva a posto le coperte e ringraziava di essersi ricordato il pigiama, perché era già disperato all’idea che Blaine vedesse il disastro che sarebbero stati i suoi capelli l’indomani mattina.

«Grazie» sussurrò Blaine, cercando le mani di Kurt per poterle stringere con forza tra le sue. «Stai scomodo?» disse Kurt, sfilando le mani da quelle di Blaine, sentendo il viso farsi sempre più caldo. «No. Si sta bene in due.» rispose il riccio, sorridendo tiepidamente. Era il primo sorriso effettivo che Kurt vedeva sul suo volto da quando l’aveva trovato sugli spalti e anche se non era un granché sapeva di non doversi lamentare.

«Come mai questa visita a quest’ora?»

Blaine non rispose per qualche minuto, Kurt poteva praticamente sentire il suo cervello assonnato mentre metteva in fila le parole per formulare una spiegazione plausibile.
«Non riuscivo a dormire» disse semplicemente, sollevando le spalle. Kurt aggiustò la coperta sulle sue spalle e aspettò in silenzio che continuasse. «Un incubo. Mi sono svegliato per un incubo e la stanza era- mi sentivo solo...» mormorò Blaine, prima di abbassare lo sguardo e smettere di parlare.

«Dovresti dormire, hai avuto una giornataccia» mormorò Kurt dopo qualche secondo di silenzio. Non sapeva esattamente come comportarsi: non era la prima volta che si trovava in un letto con un ragazzo – era uscito abbastanza con Sebastian da “sperimentare” certe cose, anche se non aveva ancora “concluso” – ma era la prima volta che si trovava in un letto al buio con Blaine e con l’intenzione di dormire solamente uno accanto all’altro, come amici. L’idea gli stava facendo girare la testa e stava cominciando a chiedersi se accettare Blaine nel suo letto fosse stata una buona idea.

«Hai ragione» sospirò Blaine, chiudendo gli occhi e raggomitolandosi su se stesso, come se volesse farsi più piccolo. Sembrava terribilmente giovane e indifeso in quel modo e Kurt sorrise debolmente, intenerito. Allungò una mano e la poggiò sulla guancia di Blaine; il tocco delle sue dita fece spalancare gli occhi a Blaine, sebbene fosse stato delicato e dolce: il suo sguardo colmo di sorpresa ferì Kurt; da quanto tempo Blaine non riceveva una carezza su una guancia solo per avere la dimostrazione di affetto e conforto? Continuò ad accarezzarlo finché non sentì la fossetta sulla guancia di Blaine, quella che si formava sempre quando sorrideva e non poté impedirsi di sorridere a sua volta.

«Buonanotte, Blaine» sussurrò, quando sentì le ciglia del ragazzo sfiorargli le dita quando questi richiuse le palpebre. «’Notte Kurt» rispose con tono assonnato e anche Kurt chiuse gli occhi, lasciandosi andare ad un sonno ristoratore.
 
******
 
La prima cosa di cui Kurt fu cosciente la mattina successiva era la presenza di un qualcosa che gli stava schiacciando il petto. Era caldo e pesante e fastidioso in un certo senso. Aprì gli occhi e abbassò lo sguardo per trovarsi davanti uno spettacolo che non si sarebbe aspettato: Blaine si era steso sopra di lui mentre dormivano, la sua testa all’altezza del suo petto, e si stava stringendo a lui con forza, abbracciandolo quasi con prepotenza. Se non fosse stato così imbarazzante, sarebbe stato addirittura piacevole. Blaine non era poi così pesante, anzi, era piuttosto leggero; poi era decisamente più caldo della sua coperta: sembrava emanare calore ad ondate come un sole. Aveva i ricci scompigliati sulla fronte e le labbra pigramente semiaperte: la visione fece tremare il cuore di Kurt nel suo stesso petto per quanto sembrasse piccolo e tenero, come un cucciolo tutto da coccolare e proteggere.

Pessimi pensieri, Kurt, pessimi pensieri.

Cercò di scivolare sotto di lui e magari lasciarlo dormire un altro po’, perché per nulla al mondo avrebbe voluto che Blaine si svegliasse mentre erano stesi in quel modo, non avrebbe potuto sopportare di avere i suoi occhi nocciola così vicini ai suoi e-

Cavolo, si era preso una cotta per Anderson, non è vero?!
No. Merda.

Riuscì a scivolare da sotto il suo corpo senza svegliarlo, ma ovviamente la fortuna di Kurt doveva per forza esaurirsi con quello, perché proprio mentre stava per alzarsi – lentamente e con cautela – la sveglia sul comodino trillò con prepotenza, squarciando il silenzio e facendo sobbalzare Blaine e imprecare Kurt al tempo stesso.

Il ragazzo si affrettò a spegnerla, maledicendosi per essersi dimenticato ancora una volta di disattivarla: ogni domenica era la stessa storia e spesso Sebastian a quel punto gli lanciava il cuscino addosso; per fortuna il ragazzo non c’era, altrimenti avrebbe dovuto spiegare anche a lui esattamente perché Blaine Anderson avesse dormito nel suo letto. Si voltò verso Blaine e lo guardò mentre il ragazzo si stropicciava un occhio con una mano e si copriva malamente la bocca con l’altra mentre soffocava uno sbadiglio.

«Uhm- Buongiorno.» disse esitante Kurt, con la voce ancora arrochita dal sonno; sentì le sue guance imporporarsi. L’idea di risvegliarsi accanto a qualcuno, di vederlo in pigiama, di vederlo sbadigliare con gli occhi gonfi di sonno era troppo personale, troppo intima, soprattutto per loro.

«Hey...» mormorò Blaine, abbozzando un sorrisetto assonnato prima di mordersi leggermente il labbro inferiore. «Mi- Mi dispiace di essere piombato qui così, io-» cominciò, spalancando gli occhi per la preoccupazione e il rimorso, sollevandosi a sedere e appoggiandosi al muro accanto a sé.
«Blaine, va tutto bene.» lo interruppe Kurt, sedendosi di nuovo accanto a lui e prendendogli le mani tra le proprie. «Eri triste e avevi bisogno di qualcuno; va bene se chiedi aiuto a me, mi fa piacere aiutarti.» disse, cercando di rassicurarlo con il tono più conciliante che poté trovare, perché Blaine aveva cominciato a scuotere la testa. «No, non è questo – beh, sì, insomma, è anche questo, ma- io ti ho condannato, Kurt.» disse con un fil di voce, abbassando lo sguardo e liberandosi dalla stretta delle sue mani. «Non c’è verso che tu riesca a convincere mio padre che- insomma- è tutto inutile e io non avrei dovuto chiedertelo-» continuò, chiudendo con forza gli occhi, come se fosse sul punto di scoppiare a piangere ancora e Kurt semplicemente non poteva permetterlo.

«Blaine.» lo chiamò con voce dolce, sollevando una mano e poggiandola sulla sua guancia, accarezzandolo con cautela; però adesso che non c’era più il buio e il sonno a proteggerlo era più difficile toccare Blaine in questo modo. «Va tutto bene. Abbi fiducia in me, okay? Io posso aiutarti, voglio aiutarti e non perché devo per la mia salvezza. Io- sto cominciando a volerti bene, Blaine. Ti avrei aiutato a prescindere, e sono contento che tu abbia scelto questo desiderio. Perché ti meriti- ti meriti che tuo padre capisca.» disse, sollevando il viso di Blaine affinché lo guardasse negli occhi e potesse leggervi dentro tutto l’affetto e la sincerità che gli stavano infuocando il petto.
Probabilmente qualcosa nei suoi occhi convinse Blaine, il cui viso si illuminò in un modo così completo e delizioso e intimo, da far sentire Kurt sulle nuvole. Fu il più breve degli istanti quello che seguì: prima Kurt stava ancora accarezzando la guancia di Blaine e un attimo dopo il ragazzo gli aveva gettato le braccia al collo e si era stretto a lui, proprio come aveva fatto inconsciamente poco prima mentre dormiva. Come se Kurt fosse importante per lui, come se Kurt fosse la sua roccia e la sua ancora che lo teneva attraccato al porto, al sicuro. Kurt ricambiò l’abbraccio, affondando il mento nella spalla del ragazzo e stringendolo forte a sé.

«Anche io ti voglio bene, Kurt.» mormorò Blaine al suo orecchio con il più tenue dei sussurri, facendo sorridere teneramente Kurt, perché Blaine sembrava così emozionato mentre lo diceva, come se avesse sperato a lungo di poterlo dire; e questo pensiero fece girare la testa di Kurt per il desiderio di baciarlo.
 

«Che diavolo state facendo?!» esclamò una voce stupefatta, accompagnata da un tonfo – un paio di scarpe che cadevano a terra.
«Sebastian!» esclamò Kurt senza fiato, scostandosi da Blaine e arrossendo violentemente. Blaine non sembrava più a suo agio di lui, anzi, tenne lo sguardo incollato alle sue mani intrecciate in grembo.
Il ragazzo li scrutò per qualche istante, poi fece schioccare la lingua. «Solo amici, eh?»






 

Note della matta che scrive:
Salve!
Piccola comunicazione di servizio. Purtroppo per volontà divina (che non dipende da me, ma dai miei prof pazzi) temo che sarò costretta ad aggiornare una volta ogni due settimane, sempre di lunedì.

Maggio è il mese che ribattezzerò "Inferno dantesco" perché tra compiti in classe, interrogazioni su libri interi e progetti di indefiniti edifici da consegnare ogni settimana sto già impazzendo e, detto tra noi, non posso permettermi di passare l'estate a scuola a recuperare debiti vari. Anche se la scrittura dei vari capitoli procede abbastanza bene, è difficile trovare il tempo di riscriverli a computer, perciò cercate di capirmi (e soprattutto non uccidermi) se ho deciso di aggiornare ogni due settimane. Avrò più tempo per fare un lavoro migliore, così nessuno di noi resterà deluso. 
Quindi...
A lunedì, miei prodi!
Baci,
Allie. 

p.s. Perdonatemi per la lunghezza del capitolo, ma sono stata costretta. L'alternativa era un mattone di millemila parole e non mi sembrava assolutamente il caso di propinarvi una cosa del genere. <3

p.p.s. Non so a chi possa interessare, in realtà, ma per ogni aggiornamento o commento o se semplicemente mi amate troppo e volete starmi vicino (seh...) vi lascio qui la mia pagina facebook dove scrivo cazzate varie e a volte cose intelligenti, ma soprattutto comunico i vari aggiornamenti e eventuali spoiler che non fanno mai male. 






Modificato il 04/01//2014

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Note: Salve! 
Visto che brava? Tutte le mie paranoie la scorsa settimana non sono servite a niente, perché sono riuscita comunque ad aggiornare. Sono molto orgogliosa di me :') 
Spero che questo capitolo vi piaccia. 
Ma nel caso non vi piacesse, vi invito comunque a scrivere una piccola recensione per farmi sapere cosa ne pensate. Mi aiuterebbe davvero moltissimo. 
E ricordate: con ogni recensione, l'associazione A.L.L.I.E. donerà una matita nera a Darren Criss (l'associazione A.L.L.I.E. è un po' ossessionata da quell'hobbit con la matita nera).
A lunedì, spero!
Al. 




«Kurt, non pensarci nemmeno, non c’è verso che tu mi convinca a cantare con te e Le Quaglie-»
«’Bastian, sei bravissimo, ti sento quando sei sotto la doccia. Abbiamo bisogno di una voce come la tua! Aiutami! Sarà divertente, passeremo più tempo insieme – visto che ti lamenti un giorno sì e l’altro pure perché passo troppo tempo con Blaine – e in più potrai stare più vicino ad Hunter!»

«Io e Hunter non stiamo insie-»

«Sì, okay, se questo ti aiuta a dormire la notte... La riunione comincia tra dieci minuti. A dopo, ‘Bas!» trillò Kurt al telefono, troncando la telefonata prima che Sebastian potesse protestare ancora una volta.

E questa è andata... pensò sollevato: Sebastian era un grande cantante, aveva davvero molto talento anche se non lo aveva mai messo a frutto, e avrebbe sicuramente fatto la differenza nel gruppo: gli Usignoli ne avevano un gran bisogno. L’unico vero problema era far sì che tutti lo accettassero com’era successo con lui e soprattutto che Seb prendesse l’impegno seriamente; era proprio questo il grande problema di Sebastian: amava essere al centro dell’attenzione e essere il più bravo di tutti, ma aveva difficoltà a prendere le cose sul serio, ancor di meno le persone. Per quanto ne sapeva, lui era l’unico ragazzo con cui Sebastian avesse mai stretto un’amicizia sincera e duratura; Kurt non sapeva dire perché lo avesse “scelto”, ma quando ci pensava non riusciva a non sentirsi lusingato. Quando riesci a conquistare la stima e l’affetto di qualcuno che sembra irraggiungibile non puoi far altro che sentirti speciale.

Kurt chiuse la telefonata sentendosi come un militare pronto a partire per l’Afghanistan: convincere Sebastian, infatti, era solo la prima fase di un piano ben articolato e studiato nei minimi dettagli durante la notte precedente. Ed era stata anche la parte più semplice: aveva convocato per quella mattina una riunione degli Usignoli, per poter comunicare loro le sue idee per l’ormai imminente esibizione. Non era nervoso al pensiero di dover parlare con loro, quanto per il fatto di riuscire a convincere tutti. C’era ancora qualcuno ostile alla sua presenza, Kurt se n’era accorto dai mormorii e le occhiatacce diffidenti, e avrebbe dovuto giocare ogni singola carta che aveva, giocando anche sporco se necessario per poterli convincere ad approvare le sue proposte.

Si diresse verso la sala del Consiglio, camminando deciso e risoluto, salutando chi lo incrociava con un cenno del capo, troppo nervoso per parlare o anche semplicemente sorridere senza sembrare una statua. Lì, davanti alla porta chiusa, vi trovò Sebastian: aveva un’espressione imbronciata e le braccia incrociate al petto per il disappunto, ma almeno era lì e Kurt, ne era sicuro, non era mai stato così felice di vederlo. Avrebbe avuto bisogno di una faccia amica, con tutto il polverone che stava per sollevare.

Spalancò la porta e vide che molti dei suoi compagni – tra cui anche Blaine che gli sorrise caldamente – erano già lì ad aspettarlo. Kurt deglutì vistosamente quando gli sguardi di molti si indurirono nel riconoscere Sebastian, ma non si lasciò intimorire. O almeno, finse di non lasciarsi intimorire. Non sapeva esattamente perché avesse così tanta paura di parlare loro: fino a poche settimane prima non sarebbe stato per niente spaventato da quei ragazzi. Ma fino a poche settimane fa il tuo destino non dipendeva da questi ragazzi... disse una voce maligna dentro di lui; si costrinse ad ignorarla, altrimenti si sarebbe bloccato e sarebbe fuggito via. Si ripeté che Kurt Hummel non scappa mai davanti ai pericoli, si schiarì la gola e cominciò: «Non ci siamo ancora tutti, ma credo di poter cominciare almeno dicendovi perché vi ho convocati qui.» disse e mentre parlava gli ultimi ritardatari varcarono la soglia e si affrettarono a sedersi ai propri posti sui divanetti. Kurt li salutò con un cenno del capo e continuò:
«Vi ho fatti venire qui perché volevo parlarvi di alcune idee che ho per migliorare la nostra esibizione alle Regionali».

Adocchiò David che scriveva tutto frettolosamente sul verbale e deglutì ancora nervosamente. Le riunioni con le New Direction non erano state affatto così e la cosa lo faceva sentire a disagio; quelle riunioni sembravano così “formali”, come avrebbe immaginato fossero quelle in una multinazionale. Si sentiva come se fosse stato intrappolato nella fossa dei leoni: quanto tempo sarebbe passato prima che cominciassero ad attaccare?
«Cosa abbiamo bisogno di migliorare? Credo che siamo già perfetti così!» ribatté Thad, aggrottando le sopracciglia.  Ecco, appunto. E pensare che aveva appena iniziato. Doveva essere un record. «Infatti. Blaine è un ottimo solista, vinceremo sicuramente anche senza modificare nulla» esclamò Jeff, beccandosi una gomitata da parte del suo vicino, Nick, che lo guardò male. Jeff restò zitto, intimorito dallo sguardo dell’amico, che sembrava intenzionato a ribattere.

«E non c’è dubbio – intervenne Kurt, cogliendo l’occasione al volo, anche per salvare Jeff e distogliere da lui l’attenzione di Nick – che Blaine sia straordinario, ma non può farcela da solo. Alle Regionali competeremo con alcuni dei gruppi più forti e i cantanti più bravi della regione e non possiamo permetterci di fallire: l’intera scuola conta su di noi! Blaine è bravissimo, certo, ma non è il solo. Ci sono tante voci speciali qui tra noi e alcune sono ancora estranee e sconosciute...»

«Ben detto, Kurt!» esclamò Nick, sollevando il pugno in segno di esultanza, prima che venisse a sua volta zittito da Wes. Era risaputo che Nick avesse tentato molte volte di strappare un assolo a Blaine, senza mai riuscirci purtroppo, a causa dell’infatuazione di Wes per la voce e il portamento di Blaine sul palco; Kurt sorrise sollevato nella sua direzione, lieto di avere almeno una persona a parte il suo amico che lo sostenesse, mentre Blaine gli faceva cenno di continuare, sorridendogli incoraggiante e sollevando i pollici.
«Ecco perché come prima proposta, vi chiedo di accettare il mio amico Sebastian Smythe, che non vede l’ora di poterci aiutare a vincere insieme le Regionali!» esclamò con il tono più allegro che riuscì a racimolare.

Ci fu  un silenzio tombale per due secondi – e Kurt sapeva che non significava niente di buono, perché quei ragazzi non stavano mai in silenzio, avevano sempre qualcosa da dire e da contestare – prima che tutti esplodessero in  proteste indignate.

«Come puoi semplicemente proporlo, Kurt?! Smythe non ha mai provato nessun interesse ad unirsi al nostro gruppo-»

«E poi adesso, quando le Regionali sono così vicine? Non avrà il tempo di imparare le canzoni e le coreografie-»

«E chi ci assicura che sia un bravo cantante? Non possiamo rischiare di perdere perché prendiamo un novellino con noi alla vigilia di una gara!»

Kurt si fece piccolo piccolo sotto i loro sguardi di fuoco, mentre Sebastian lo guardava con aria di sufficienza, come a dire “Visto? Non mi accetteranno mai, te l’avevo detto”.

«Hey, silenzio!» esclamò Blaine alzandosi in piedi e ottenendo il silenzio tanto agognato.
Kurt rimaneva sempre stupito dall’autorità che sembrava esercitare Blaine nel Consiglio: tutti lo rispettavano e lo ascoltavano quasi con reverenza, sebbene Blaine fosse tra i più giovani e sembrasse troppo dolce e piccolo e ingenuo per essere un leader. Ma in questi casi era così evidente che fosse nato per esserlo: con la sua postura, il suo atteggiamento sicuro e la sua voce ferma quasi obbligava gli altri ad ascoltarlo e ad appoggiarlo. Blaine aveva una personalità così magnetica e carismatica da far sentire spesso Kurt invidioso.

«Perché dovete avere così tanti pregiudizi su Sebastian? Sì, si è comportato male in passato e nemmeno io posso ignorarlo, ma perché non dargli una seconda possibilità? Avete pensato la stessa cosa quando Kurt si è unito a noi, l’esperienza non vi ha insegnato proprio nulla? Non dobbiamo giudicarlo a priori, la maggior parte di noi non lo conosce nemmeno così bene, se non per la fama che ha. Io mi fido del giudizio di Kurt e so che non l’avrebbe proposto se non fosse assolutamente certo che Sebastian merita di stare con noi. Diamogli una chance!» esclamò accorato.
Kurt adorava quando Blaine faceva questi discorsi perché sembrava parlare con tutto il corpo; il suo viso espressivo si illuminava di determinazione e la sua voce si faceva concitata e decisa. Gesticolava animatamente con le mani e guardava tutti negli occhi, uno ad uno, convincendoli solo con la forza del proprio sguardo. Incantava tutti con il suo atteggiamento e anche Kurt si sentiva sempre un po’ più attratto da lui dopo averlo visto così.

Come previsto, molti annuirono sentendo il discorso di Blaine, tra cui anche Wes che diede a Sebastian il permesso di cantare un pezzo per la sua audizione, zittendo con un secco colpo del martelletto un tenue borbottio di protesta. Proprio mentre il ragazzo intonava la prime note di “Glad you came”, Kurt riuscì ad intercettare lo sguardo di Blaine e mimò un “grazie” con le labbra.
Blaine gli sorrise e gli fece l’occhiolino, facendolo sorridere a sua volta.

Sebastian incantò tutti, proprio come Kurt aveva sperato avrebbe fatto; era bravissimo e molti si alzarono in piedi per applaudire quando concluse la sua audizione. Il ragazzo donò loro un sorrisetto presuntuoso, ma anche soddisfatto, che si trasformò in un ghigno quando incrociò lo sguardo di chi prima aveva ipotizzato che lui non fosse un bravo cantante. La votazione fu unanime e Sebastian divenne subito un membro a tutti gli effetti; quando si sedette accanto ad un sorpreso Hunter – che lo aveva guardato a bocca aperta per tutto il tempo da quando aveva varcato la soglia – Kurt giurò di vederlo sorridere felice guardando il ragazzo, sorriso che divenne ancora più luminoso quando Hunter gli accarezzò con discrezione la gamba, come per congratularsi silenziosamente con lui: Kurt credeva di adorarli già come coppia; doveva assolutamente inventarsi qualcosa per farli uscire allo scoperto, perché erano semplicemente adorabili insieme.
Kurt sospirò sollevato e tornò ad alzarsi: se fosse sopravvissuto anche al discorso che stava per fare avrebbe potuto considerarsi per davvero graziato dagli dei o addirittura immortale.

«Ora, vorrei proporre delle audizioni per un nuovo solista...» disse, ma quasi non riuscì a concludere la frase, perché molti cominciarono a protestare animatamente, senza curarsi di Wes che tentava di riportare l’ordine a suon di martelletto. Kurt tentò di convincerli ad ascoltarlo perlomeno – “Sono stato per molto tempo in un altro gruppo e so che è difficile cambiare, ma ne abbiamo bisogno per stupire i giudici...” – ma era quasi impossibile discutere con una turba di ragazzi indignati che squittiva proteste a destra e a manca. Kurt si sentiva come intrappolato in un manicomio.

Blaine si alzò di nuovo in piedi e intimò il silenzio, cogliendo Kurt di sorpresa quando annunciò: «Ho un’idea!».
Molti lo guardarono scettici, tra cui Kurt che diavolo avesse in quella testa ricoperta di gel quel pazzo di un hobbit. Non avevano concordato nulla prima, se non l’aiuto che avrebbe offerto Blaine nel caso l’ingresso di Seb negli Usignoli avesse provocato problemi e, ad essere sincero, temeva che Blaine potesse peggiorare la situazione dividendoli ancora di più.

«Voi non volete un altro solista e mi sento molto lusingato e fortunato per questo, ragazzi, perché mi fa capire quanta fiducia avete in me, ma Kurt ha ragione: da solo non posso competere con gli altri gruppi e i giudici hanno bisogno di vedere cose nuove, qualcosa che solo noi possiamo dargli – disse, parafrasando un discorso che Kurt gli aveva fatto tempo prima, facendo sorridere il ragazzo perché Blaine ricordava le sue parole, lo ascoltava davvero quando parlava e teneva in considerazione le sue idee – per questo voglio proporre un duetto.» concluse, sorridendo sornione. Si guardò intorno, quasi aspettando le proteste che non arrivarono, perché Kurt esclamò: «Perfetto!». La sua voce era entusiasta e riprese subito la parola, approfittando del fatto che tutti fossero zitti e meditabondi. «È un’idea geniale, Blaine! Sarà originale, perché mai ci hanno visto fare qualcosa del genere, ma soprattutto sarà un’ottima occasione per mettere in mostra alcuni talenti fenomenali che abbiamo! Quindi, per quanto riguarda le audizioni, quando sareste disposti a...?» disse, sentendo già il cervello mettersi in moto mentre pensava a chi sarebbe stato più adatto accanto a Blaine per poi passare alla canzone più adatta...
«Oh, no. Nessuna audizione.» esclamò Blaine, interrompendo sia le sue parole che i suoi pensieri e guadagnandosi occhiate incuriosite e confuse da parte di molti. Il riccio rivolse uno sguardo preoccupato e quasi nervoso a Wes, che annuì con fare incoraggiante, perciò prese un respiro profondo – così innaturale per una persona sempre così sicura di sé – e continuò: «Voglio cantare questo duetto con Kurt.» annunciò, e oh, bentornata sicurezza, il suo tono di voce era deciso e sicuro, da “non ammetto repliche”, e la mascella di Kurt crollò perché era davvero l’ultima cosa che avrebbe mai immaginato; Blaine non gliene aveva mai parlato prima. Certo, avevano cantato più volte insieme dei duetti (anche alcuni schifosamente romantici, che Kurt amava più di quanto fosse lecito), ma mai e poi mai avrebbe immaginato che Blaine volesse cantare con lui ad una gara ufficiale, che si fidasse di lui a tal punto e lo ritenesse così bravo: il pensiero era troppo anche per una “Diva” come lui.

Il ragazzo credeva che molti avrebbero protestato – nemmeno l’autorità di Blaine poteva evitarlo, altrimenti sarebbe stato chiaro che il ragazzo avesse qualche fottuto potere voo-doo con cui controllava gli altri, perché non era possibile contenere quegli Usignoli – e sembrava quasi che Nick stesse per dire qualcosa, ma Jeff gli sussurrò qualcosa all’orecchio che apparentemente gli fece cambiare idea e lo fece sorridere.

«Mi sembra un’ottima idea, Blaine!» disse in tono entusiasta, incoraggiando di conseguenza tutti gli altri ad annuire e ad esprimere i loro giudizi positivi, lasciando Kurt completamente a bocca aperta. Il ragazzo si sentì arrossire e balbettò dei ringraziamenti per la loro fiducia inaspettata e, diavolo, doveva essere davvero emozionato, perché Kurt Elizabeth Hummel non balbetta mai.

Sebastian doveva essersene accorto, perché ridacchiò e gli lanciò un bacio in punta di dita, che gli fece roteare gli occhi; ma la distrazione era servita allo scopo, perché adesso le guance di Kurt non sembravano più tramutate in fuoco liquido.
La riunione si concluse così, tra saluti e sorrisi e congratulazioni a Kurt. Il ragazzo li ringraziò ancora, non sapendo bene cosa dover dire esattamente, perché era davvero la prima volta che gli capitava una cosa del genere – che qualcuno si fidasse di lui – e si avvicinò a Blaine con l’intenzione di ringraziarlo, di chiedergli perché l’aveva fatto, dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma quando se lo trovò di fronte non poté far altro che guardarlo. Era rimasto completamente senza parole.

Blaine non sembrava più tanto sicuro di sé adesso che era da solo con Kurt. Si mordicchiava il labbro inferiore – e Kurt avrebbe tanto voluto dirgli di smetterla, perché rischiava davvero di rovinarsi le labbra – e si torturava le mani, evitando lo sguardo di Kurt.
«So che non te l’ho chiesto prima e per te è una sorpresa – cominciò esitante, spostando il peso del corpo prima su un piede e poi sull’altro in un modo così adorabile da farlo sembrare un bambino – ma vorrei davvero cantare un duetto con te alle Regionali, Kurt.» disse, guardandolo finalmente negli occhi con un’espressione preoccupata e speranzosa insieme, come se temesse che Kurt potesse dirgli di no.

Sembrava così timido mentre lo guardava con quegli occhioni da cucciolo smarrito, che Kurt avrebbe accettato comunque, anche se non avesse voluto. Represse l’istinto di abbracciarlo e si limitò a sorridergli caldamente e ad annuire: «Sono felice che tu mi abbia scelto. Non credevo che tu me lo avresti chiesto, che tu potessi avere tanta considerazione di me. Non vedo l’ora di cantare con te.» ammise sinceramente. Avrebbe voluto dirgli molto, molto altro, ma le parole sono niente senza i fatti, solo sabbia che scivola via tra le dita: niente di certo o affidabile. Avrebbe presto dimostrato la sua gratitudine impegnandosi al massimo e portando gli Usignoli alle Nazionali.

Il viso di Blaine si illuminò di gioia come quello di un bambino la mattina di Natale e fu lui a gettargli le braccia al collo e abbracciarlo con forza mentre esclamava: «Grazie, grazie, grazie! Sono così felice che tu abbia accettato, Kurt!» e sembrava davvero un bambino iperattivo mentre saltellava e rideva eccitato e sproloquiava su quanto fosse felice di avere un amico come Kurt, che rise di gusto nel vederlo così entusiasta. Kurt adorava i momenti di euforia di Blaine, che gli ricordavano costantemente quanto fosse stato stupido un tempo a giudicarlo una “macchina da guerra” senza sentimenti, fatta di educazione ed efficienza. Era interessante e affascinante scoprire nuovi lati di Blaine ogni giorno, e Kurt spesso si chiedeva se fosse mai riuscito a conoscerlo per davvero. E, cosa più importante, si chiedeva se fosse possibile innamorarsi ogni giorno di più di Blaine a mano a mano che conosceva ogni più piccola sfumatura del suo carattere.


Riuscì eventualmente a liberarsi di lui dopo un po’ con la promessa che sarebbe andato in biblioteca a cercare su internet una canzone per il loro duetto; si sentiva un po’ in colpa ad avergli mentito così spudoratamente, ma la fase B del suo piano per realizzare i desideri di Blaine era già in atto e non poteva più aspettare: avrebbe pensato poi ad una canzone adatta a loro.

Uscì di corsa dalla sala e raggiunse Sebastian che lo aspettava ai piedi delle scale dove gli aveva dato appuntamento. «Alla buon’ora, Hummel!» esclamò il ragazzo, sollevando il polso sinistro come a mostrargli un inesistente orologio.
«Scusami, Blaine mi ha trattenuto.» disse Kurt a mo’ di spiegazione mentre gli faceva segno di seguirlo. «Per una sveltina veloce?» chiese Sebastian sfacciato, sorridendo maliziosamente in un modo che fece indignare Kurt. «Ovviamente no, Blaine non è certo il tipo!» sbottò infastidito, roteando gli occhi e accelerando il passo. Sebastian rise: «Perché, tu sì?» ribatté, sempre più sfacciato, meritandosi un’altra occhiataccia da parte di Kurt che lo divertì ancora di più.

«Allora, cosa vuoi che faccia per te, tesoro?» disse poi, quando fu evidente che Kurt non aveva intenzione di rispondergli. Il suo tono sembrava quello professionale di un uomo d’affari e Kurt scoppiò a ridere.
Quando smise e tornò a respirare normalmente, si voltò appena per guardare il viso acceso di curiosità di Sebastian e sorrise: «Devi aiutarmi a trovare una persona, ‘Bastian.»
 

******

 
«Kurt, sbrigati a trovare quel cazzo di fascicolo, sei dentro da un’ora almeno! Se ci trovano qui dentro ci uccidono.» sibilò Sebastian, facendo capolino dalla porta e adocchiando Kurt che stava rovistando tra decine e decine di documenti. «Lo so, non mettermi fretta. Tu piuttosto torna a fare il palo.» ribatté Kurt in tono autoritario. Sebastian sbuffò infastidito e richiuse la porta dietro di sé; Kurt gli fece eco subito dopo, sentendo la rabbia montargli dentro mentre richiudeva l’ennesimo cassetto dello schedario. La Dalton vantava di essere una delle migliori scuole dell’Ohio e non aveva i suoi cazzo di documenti salvati su un modem, così da essere trovati accuratamente e velocemente.

Kurt stava cercando il fascicolo di Blaine. Doveva sapere di più sulla sua famiglia e su dove vivevano. Il ragazzo era sempre stato schivo nel parlare dei suoi genitori: aveva detto a Kurt solo che sua padre si chiamava Aidan Anderson ed era un avvocato, mentre sua madre, Amihan Anderson, era stata – prima di avere figli – una promettente pianista.

Kurt aveva fatto ricerche su ricerche su internet, ma non aveva trovato niente di significativo, se non il sito dell’ufficio del padre di Blaine, con l’indirizzo e il numero di telefono di questo, a Columbus. Li aveva salvati entrambi sul suo smartphone, ma non voleva davvero andare lì; andare in un ufficio gli faceva pensare che Blaine fosse “una questione di lavoro”, e ormai da tempo rendere felice il suo amico non era più un lavoro.

Evidentemente non aveva ancora capito con quale criterio le segretarie tenevano gli ordine quegli schedari, perché era il terzo cassetto che perlustrava da cima a fondo alla ricerca di qualcosa di utile e poi richiudeva sbattendolo. Sebastian fece di nuovo capolino per sussurrargli di sbrigarsi, mentre Kurt sollevava lo sguardo per fulminarlo ancora una volta e intimargli di tornare a fare il “palo”.
Aveva provato a chiedere queste informazioni “legalmente”, ma tutti in segreteria si erano rifiutati di aiutarlo. E dopotutto, chi fa da sé, fa per tre. Giusto?

«E se cantassimo una canzone di Adam Lambert?» chiese, a voce abbastanza alta da essere udito da Sebastian che era tornato di nuovo fuori. Il ragazzo aprì la porta ancora e si affacciò per poterlo guardare con espressione scettica: «Siamo in Ohio, Kurt. Se canti una canzone sull’amore omosessuale con un ragazzo, come credi che potrebbero reagire gli spettatori, i giudici e compagnia bella? Sei intelligente, ragiona con la tua bella testolina anziché con il pene. So che muori dalla voglia di portarti a letto quel nanetto, ma almeno non mandare a monte il lavoro di tutti!» esclamò.
Kurt abbozzò un sorriso: «”Il lavoro di tutti”? – ripeté facendogli il verso – “Di tutti” o solo di Hunter?» chiese malizioso, sollevando un sopracciglio quando Sebastian sbuffò. «Perché sei così convinto che mi piaccia o che mi importi minimamente di lui?» sbottò il ragazzo, roteando gli occhi con fare infastidito, ma Kurt poteva vedere chiaramente che era chiaramente arrossito.

«Va bene, okay. Come vuoi.» disse, roteando gli occhi a sua volta. «Io continuo a pensare che tu abbia una cotta per lui. Ma se non vuoi parlarne con me è okay!» aggiunse, prima che Sebastian richiudesse la porta, forse sbattendola un po’ troppo forte. Si affrettò a cercare il fascicolo, perché sebbene Sebastian fosse un cretino alle volte, in quel caso aveva ragione e ci stava mettendo troppo: qualcuno avrebbe potuto vederli e lì sarebbero stati sospesi sul serio. Immaginava che rovistare nei documenti personali degli studenti nella segreteria scolastica fosse qualcosa per cui venir sospesi.

Quasi urlò dalla gioia quando finalmente riuscì a trovare il fascicolo di Blaine. Cominciò a sfogliarlo velocemente, reprimendo una smorfia quando vide che il ragazzo aveva voti impeccabili e aveva partecipato a così tante attività extracurricolari da riempire un intero foglio: Blaine era letteralmente un ragazzo modello e il figlio diligente che tutti i genitori volevano avere: mai un brutto voto, mai un’assenza ingiustificata, nessuna punizione. E Kurt sarebbe stato davvero impressionato se avesse saputo che Blaine lo faceva perché gli interessava davvero la scuola, e non perché voleva impressionare suo padre: glielo aveva rivelato tempo prima, e Kurt era rimasto sinceramente sorpreso per questo. Blaine non si sentiva abbastanza, credeva che suo padre non lo amasse e che si vergognasse segretamente di lui, del fatto che fosse gay; dopotutto, i suoi genitori avevano avuto lui molti anni dopo aver avuto il loro primo figlio: Blaine si era considerato sempre un errore.

Trovò quasi subito l’indirizzo di casa di Blaine e lo salvò sul suo smartphone, poi richiuse il fascicolo e lo ripose dove lo aveva trovato. Si guardò intorno un paio di volte per sincerarsi di non aver lasciato nulla fuori posto, poi uscì, raggiungendo Sebastian.
«Spiegami di nuovo perché non potevi chiederlo direttamente a Blaine, il suo indirizzo.» borbottò Sebastian infastidito, mentre si allontanavano furtivamente dalla porta, come se non fossero mai stati lì. «Di nuovo, ‘Bas, perché Blaine non deve sapere che io voglio presentarmi da suo padre a casa sua. Non voglio dargli false speranze, nel caso vada male.» spiegò, forse per la centesima volta, mentre Sebastian roteava gli occhi. «Sinceramente, non capisco perché tu lo faccia. Cosa hai intenzione di dire a papà Anderson?» chiese in tono sarcastico, lasciando però trapelare la sua sincera curiosità. «Devo- Devo parlargli di una cosa che riguarda Blaine.» rispose Kurt esitante. Non era che non si fidasse di Sebastian, ma non voleva dirgli la verità: quelle erano questioni che riguardavano la vita di Blaine, e lui non voleva che la cosa diventasse di dominio pubblico; Sebastian aveva una gran brutta boccaccia e aveva una passione per i pettegolezzi (prima che diventassero amici, aveva messo in giro la voce che Kurt faceva la doccia vestito perché era troppo pudico).

«Credo che sappia che sia gay- Oddio, non vuoi chiedergli di sposarti, vero?!» esclamò Sebastian, fermandosi e bloccando anche Kurt mettendogli una mano sul petto e guardandolo con gli occhi spalancati come se fosse pazzo.
«Oh, Cristo, ‘Bas, certo che no! Non siamo fidanzati, non stiamo nemmeno insieme, e io non- insomma- Sono cose private, okay?! Fatti gli affari tuoi!» esclama Kurt, arrossendo terribilmente per l’immagine che Sebastian aveva evocato nella sua mente: lui e Blaine, vestiti con un elegante completo, che si tenevano per mano davanti ad un guidice; sorridevano entrambi emozionati, guardandosi negli occhi come se non esistesse altro al di fuori di loro due; la fede d’oro brillava alla mano sinistra di Blaine, intrecciata a quella di Kurt come se quello dovesse essere il suo posto per sempre. Ma ciò che lo faceva arrossire non era tanto la fantasia in sé, quanto il fatto che l’idea non era così tremenda e improponibile come avrebbe dovuto.

Gli piaceva in un certo senso, più di quanto fosse lecito.

Scosse la testa per scacciare quei pensieri pericolosi, mentre Sebastian si lamentava del fatto che poiché queste questioni erano così “private”, forse Kurt avrebbe dovuto lavorarci da solo la prossima volta, senza il suo aiuto.
Fortunatamente, Sebastian ebbe l’intelligenza di zittirsi quando vide Blaine avvicinarsi a loro quasi saltellando mentre percorreva il corridoio deserto.

«Ho trovato la nostra canzone!» annunciò a Kurt il riccio, con un sorriso a centosessantadue denti, porgendogli uno spartito. Kurt aggrottò le sopracciglia, guardandolo con diffidenza e cercando di nascondere i suoi pensieri che Blaine sembrava sempre leggere così bene: la sua fantasia di pochi istanti prima sembrava ancora troppo presente.
«Niente Katy Perry, vero?» chiese ironico, sebbene fosse decisamente preoccupato che Blaine avesse scelto una canzone di cattivo gusto per il loro duetto. Non voleva bocciargli l’idea e smorzare il suo entusiasmo, ma non voleva davvero cantare una pessima canzone alle Regionali solo per non vedere i suoi grandi occhioni tristi. Il ragazzo rise divertito, incantando Kurt per un attimo con la sua risata cristallina e contagiosa che amava tanto. «Niente Katy Perry,» confermò con un sorriso orgoglioso.
«È “Candles”, degli Hey Monday.»






Modificato il 04/01/2014

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


La gamba di Kurt si muoveva su e giù come se fosse un trapano in funzione, anche la sedia su cui era seduto sembrava tremare insieme a lui come sottoposta ad una scossa di terremoto al grado 7 della scala Richter. Si sentiva così patetico in quel momento, per come stava reagendo, ma non poteva farne a meno! Era troppo nervoso all’idea di quello che stava per accadere.

Il ragazzo stava aspettando pazientemente da almeno dieci minuti (o forse non così tanto pazientemente, a dirla tutta) che il signor Anderson si liberasse per poter parlare con lui come aveva programmato. Era giunto a casa di Blaine poco prima, determinato a parlare con Aidan; durante il viaggio in macchina guidato dalla noiosa e squittente voce del navigatore (odiava Sebastian quando gli faceva certi scherzi, come modificarla e renderla il più insopportabile possibile) aveva anche provato il discorso da fare: voleva essere deciso e autoritario, ma soprattutto pronto a qualsiasi cosa Aidan potesse dire per contestarlo. Nell’auto era sembrato così facile “rispondere” a domande e accuse immaginarie, ma adesso che Kurt aspettava nel salotto degli Anderson si chiedeva se fosse stata davvero una buona idea presentarsi lì in quel modo, senza un preavviso o comunque senza averlo detto almeno a Blaine. Se fosse stato Aidan, anche lui si sarebbe sbattuto fuori a calci nel sedere.

Stava pensando seriamente di battere in ritirata – scattare in piedi, evitare il maggiordomo (usando la forza, se necessario) e fuggire di corsa sperando che non liberassero i cani come succedeva sempre in cartoni animati scadenti – quando la porta di aprì e un uomo entrò nella stanza. Il suo piano andò in fumo, come una piccola bolla di sapone scoppiata da un bambino. L’uomo era piuttosto alto, con i capelli ricci scurissimi e gli occhi verde intenso; non sembrava vecchio, al contrario, dimostrava al massimo quarant’anni. I lineamenti del viso erano squadrati e marcati, ma comunque armoniosi, e ricordavano vagamente quelli di Blaine. Nel complesso era molto bello e attraente, e Kurt poteva immaginare benissimo da chi Blaine avesse ereditato la sua compostezza e il suo temperamento: dietro gli occhi di quell’uomo era acceso un fuoco alimentato da passione e tenacia, e questa sensazione fu confermata quando Aidan gli strinse la mano e si presentò con un: «Aidan Anderson». La sua voce era profonda e autoritaria e Kurt avrebbe potuto immaginare benissimo il suo Blaine proprio così dopo trent’anni. Era la sua fotocopia, se non fosse stato che Blaine non era così intimidatorio come suo padre. Negli occhi di Blaine si celava una dolcezza che sembrava inesistente in quelli di Aidan.

Gli occhi dell’uomo si accesero di comprensione – e preoccupazione? – quando Kurt si presentò come “un amico di Blaine”, con voce bassa e imbarazzata. Gli fece cenno di accomodarsi e, prima che Kurt potesse dire una parola, gli chiese se poteva offrirgli qualcosa. «Oh- uhm... un caffè andrà benissimo, grazie.» rispose Kurt, preso in contropiede da così tanta gentilezza: per quanto al McKinley fosse amico i molti ragazzi al Glee, spesso la sua “fama” di combinaguai lo precedeva presso i genitori, e si sa che la gente ha questa brutta abitudine di giudicare gli altri ancor prima di conoscerli davvero. Aidan richiamò il maggiordomo che gli aveva aperto la porta – Greg, si chiamava Greg. Sul serio, quanto erano ricchi gli Anderson per permettersi un maggiordomo? – e diede disposizioni per far preparare due caffè. Sembrava voler ignorare volutamente l’imbarazzo di Kurt, tentando però di farlo sentire a proprio agio; il ragazzo gliene fu immensamente grato, anche se non sapeva come avrebbe reagito quando si sarebbe deciso a parlare.

Quando furono di nuovo soli e il silenzio scese tra loro, Kurt si decise a prendere la parola; prese un respiro profondo per ritrovare il coraggio e la voce (era un tic che aveva preso da Blaine, che cominciava sempre così i suoi discorsi “seri”), ma proprio quando stava per aprire bocca e dire: “Sono qui per parlarle di suo figlio”, fu interrotto dalla porta che si apriva. Si voltò verso di essa, maledicendo il tempismo del loro nuovo ospite, ma quando si rese conto di chi fosse il suo cervello si azzerò: era entrata una giovane donna, bassina ed esile, con capelli corvini lunghi fino a metà schiena lasciati liberi in ciocche ordinate; gli occhi a mandorla le davano un’aria esotica e lo avrebbero certamente intimidito se i lineamenti del suo viso non fossero stati così dolci e materni. Le labbra carnose e rosee erano atteggiate in un sorriso tenero, che si allargò quando la donna incontrò lo sguardo adorante di suo marito. Si guardavano in un modo così intimo da far sentire Kurt un intruso e anche più solo che mai.

Non è il momento di pensarci si disse, riscuotendosi.

La donna chiuse la porta di legno bianco dietro di sé con un movimento lento ed aggraziato e poi puntò i suoi occhi dolci e al tempo stesso penetranti su Kurt; il ragazzo avrebbe potuto giurare che quella fosse la madre di Blaine. Avrebbe potuto riconoscerla tra mille altre donne, sebbene non l’avesse mai vista prima di quel momento. «Signora Anderson, salve.» disse, dopo essersi ripreso dalla sua vista: se Aidan gli era sembrato vagamente simile a Blaine per alcuni tratti fisici, la somiglianza di Amihan Anderson con suo figlio era quasi sconcertante. C’erano in lei quella grazia e bontà e dolcezza così pure che Kurt era solito associare solo a Blaine. Ed era molto bella, bella come suo figlio. Lei gli sorrise caldamente e si affrettò a stringergli la mano che Kurt le porgeva. «Chiamami Amy, caro. Tu sei...?» rispose, stringendo la sua mano con vigore.

«Kurt, Kurt Hummel. Sono un amico di suo figlio.» rispose il ragazzo e stavolta non poté ignorare il lampo di preoccupazione che balenò negli occhi di entrambi. «È- successo qualcosa a Blaine?» chiese la donna esitante, quasi come se fosse spaventata dalla sua stessa domanda. Kurt scosse la testa, ansioso di spiegarsi e maledicendosi mentalmente per essersi presentato lì così, quando furono nuovamente interrotti dalla porta che si apriva. Greg entrò, portando con sé un vassoio con due tazze di caffè e una di the.  Kurt ringraziò l’uomo e bevve un sorso della bevanda calda e buonissima prima di parlare.
«Blaine sta bene. O almeno fisicamente, sì, sta bene.» si affrettò a precisare e poté vedere entrambi rilassarsi, prima che lo sguardo dell’uomo si facesse di nuovo sospettoso: «Non ci sono stati altri episodi di bullismo alla Dalton, vero?» chiese preoccupato, mentre sua moglie cercava la sua mano per stringergliela forte, forse per conforto, anche se Kurt non avrebbe saputo dire se fosse stata lei o lui a necessitare di conforto. «No, no, stia tranquillo.» rispose velocemente, prima che potesse ripensare al fatto che almeno un mese prima era stato proprio lui il bullo di Blaine.

Si chiese se il ragazzo ne avesse parlato con i suoi genitori, anche se non credeva Blaine l’avesse fatto; quando parlava di loro, molto raramente, li descriveva come molto lontani da lui. Specialmente il padre.
Ma per la prima volta in vita sua si sentì fisicamente male al pensiero di aver ferito qualcuno e ringraziò silenziosamente sua madre per averglielo fatto capire e per avergli dato la possibilità unica di rimediare ai suoi errori in quel modo.

Sia Aidan che Amihan si rilassarono al sentire le sue parole e la donna sospirò, visibilmente sollevata.

«Allora cos’è successo? Si è cacciato nei guai?» continuò Aidan. “Ci siamo” pensò Kurt, tremando un po’ dentro di sé. “O la va o la spacca”. «Volevo parlarle dell’ultima volta che Blaine è venuto a farvi visita.» cominciò con lo stesso tono di voce esitante, tutta la sicurezza che aveva acquistato con l’ingresso della madre di Blaine perduta, e poté vedere lo sguardo dell’uomo farsi subito più freddo: sicuramente ricordava benissimo quell’episodio di due settimane prima, quando Blaine era fuggito via da lui. «Quando è tornato alla Dalton, lui- mi ha raccontato tutto.» concluse, cercando di non farla sembrare un’accusa, anche se lui stesso era ancora arrabbiato. Non riusciva a credere che un padre avesse potuto ferire così tanto il proprio figlio.

«E ti ha chiesto di venire qui? Non è così che ho educato mio figlio, come un codardo che si nasconde dietro gli amici-» esclamò Aidan, guardandolo con disapprovazione prima di scuotere la testa. «Blaine non sa che sono qui. – ribatté Kurt deciso interrompendolo prima che potesse dire altro su Blaine. Gli faceva male sentirlo parlare in questi termini del suo migliore amico. – Sono venuto qui di mia spontanea volontà per dirvi che vostro figlio, dopo il vostro incontro, ha pianto per due giorni.» disse con la voce più fredda e distaccata che riuscì a tirar fuori; aveva ancora davanti a sé l’immagine di quegli occhi arrossati, poteva quasi sentire le lacrime salate che gli bagnavano la camicia e le braccia del ragazzo attorno al suo collo. Non era un bel ricordo e sperava di poterlo cancellare con il suo gesto.
Amihan sobbalzò nel sentire le sue parole e strinse ancora più forte la mano di suo marito: «Aidan...» cominciò, ma l’uomo la interruppe: «Amy, sai che ho detto quelle cose per il suo bene. Non potrà diventare un musicista, ci vuole talento e tantissima fortuna...» esclamò Aidan, parlando sempre più concitatamente, con l’aria di uno che tenta disperatamente di difendersi da accuse che sa essere vere.
«Lei ha mai visto un’esibizione di suo figlio, signor Anderson?» lo interruppe Kurt, aggrottando le sopracciglia in un’espressione severa.

«No, ma cosa c’entra adesso-»

«Dovrebbe. In questo modo capirebbe perché sia io che Blaine vogliamo questa vita per lui: perché è veramente felice solo su un palcoscenico. Le Regionali ci saranno fra due settimane; dovrebbe provare a venire e dopo potrà decidere se accordare a Blaine il permesso di continuare in questo campo. Prima di giudicare se suo figlio potrà farcela o meno, dovrebbe almeno dargli una chance. Per favore, glielo deve.» disse il ragazzo, guardandolo dritto negli occhi e cercando di comunicare molto di più che il semplice discorso che aveva appena pronunciato. Non era nemmeno lontanamente simile ad uno dei discorsi che aveva provato in auto, ma ciò che aveva detto era quello che custodiva nel cuore e niente gli era sembrato più adatto in quella circostanza. Aveva detto solo la metà delle cose che voleva dire, ma si alzò subito dopo e si affrettò a salutare i due coniugi, impaziente di andarsene: si sentiva messo a nudo; per come la vedeva lui, aveva appena confessato i suoi sentimenti per Blaine, perché mai per nessun altro avrebbe fatto una cosa del genere. La cosa lo spaventava. E poi, voleva lasciare ai signori Anderson il tempo per riflettere – e prendere la decisione giusta per Blaine. O almeno sperava che questo bastasse. Burt gli aveva insegnato che la parola è il dono più potente che abbiamo e parlare aiuta a risolvere le questioni dentro e fuori di noi.

Fu accompagnato alla porta dal maggiordomo che lo salutò con garbo, ma quando stava per uscire, la voce di Amihan che lo chiamava lo fece fermare. «Kurt, tu credi davvero che Blaine sarebbe felice, se potesse cantare?» chiese la donna con voce ferma e seria. Sembrava tesa, come se la risposta di Kurt fosse l’equivalente del responso dell’Oracolo di Delfi.

Il ragazzo annuì, senza battere ciglio. «È il suo sogno, signora Anderson. Se glielo distruggerete, lui morirà con esso. Blaine è un ragazzo meraviglioso e merita di essere felice» disse accorato, stringendo involontariamente i pugni. Il sorriso di Amihan si allargò, illuminandole il volto e rendendola ancora più bella: era identica a Blaine quando sorrideva e Kurt si sentì arrossire, perché pensava che anche Blaine era più bello quando sorrideva e il suo viso si illuminava tutto di gioia e calore.

«Sono contenta che Blaine abbia te.» disse sinceramente, e Kurt comprese che Amihan doveva aver indovinato i suoi sentimenti nei confronti di suo figlio. Dio, era davvero così trasparente? E pensare che credeva di essere un ottimo attore. Ma forse nella vita non bisogna essere attori, ma semplicemente se stessi; Kurt lo stava riscoprendo a mano a mano che viveva la sua vita con Blaine e essere finalmente se stesso lo rendeva immensamente felice. Non doveva più nascondersi dietro una falsa facciata con Blaine; non doveva più fingere di essere una statua di marmo senza sentimenti, forte e solida. Poteva essere il piccolo, determinato, passionale Kurt Hummel grazie a Blaine. «Io sono fortunato ad avere lui.» disse, abbozzando un sorriso timido e arrossendo irrimediabilmente. Amihan gli regalò un altro sorriso materno e complice, poi lo lasciò andare via dopo averlo salutato con un caloroso abbraccio che Kurt apprezzò particolarmente. Nessuno lo abbracciava mai in quel modo così vigoroso, a parte suo padre.

Il ragazzo tornò alla sua macchina sentendosi al tempo stesso più sollevato e più vuoto: finalmente si era tolto un peso; l’idea di incontrare i genitori di Blaine lo aveva logorato per giorni, ma adesso cominciava a temere che tutto quello non fosse abbastanza, che gli Anderson nonostante tutto non l’avrebbero ascoltato.

Per la prima volta ebbe paura per sé, perché quelle persone avevano in mano non solo il futuro di Blaine, ma anche il suo e ne erano totalmente all’oscuro. Non sapevano che negando a Blaine i suoi sogni non avrebbero distrutto solo le sue speranze, ma anche quelle di Kurt. Il suo cuore sembrava come impazzito mentre sentiva la crisi di panico in agguato, riusciva a malapena a controllare il respiro mentre la testa cominciava a vorticare senza sosta, facendolo sentire come se stesse per vomitare o svenire.  
Un “bip” proveniente dal suo telefono – fortunatamente – lo distrasse, e per una volta ne fu davvero grato; prese il cellulare e osservò per qualche secondo la bustina da lettere che lampeggiava sullo schermo e che segnalava un nuovo messaggio.

“Pronto per le prove? Courage! – B.”

Kurt si ritrovò inconsciamente a sorridere come un idiota, la crisi di panico completamente dimenticata per il momento, perché quel messaggio era di Blaine. A volte si chiedeva se quel ragazzo con il sorriso luminoso non avesse un sesto senso che gli comunicava quando Kurt stava male e come fare per farlo sentire meglio, invece. La felicità di sapere che non era solo, che il suo Blaine sarebbe stato al suo fianco sempre e comunque, lo rincuorava e spazzava via ogni paura: era certo che avrebbe affrontato volentieri l’Inferno per Blaine.

«Sono fortunato ad averti, Blaine...» mormorò a se stesso, desiderando tanto di poterglielo dire; ma non poteva. Perché lui e Blaine erano solo amici e quello che Kurt avrebbe voluto dirgli non era esattamente una cosa che un ragazzo dice ad un suo amico. Sebastian aveva ragione: Blaine gli piaceva davvero tanto.

“Dammi un po’ di tempo e sono subito da te. Camera tua? – K.” Digitò in risposta, e prima che potesse far partire la macchina, il cellulare squillò ancora: “Sì. Non vedo l’ora :) – B.”

Kurt sorrise nuovamente e infilò il cellulare in tasca, reprimendo un sospiro sognante che lo avrebbe reso ancor di più una dodicenne alla sua prima cotta. Quanto avrebbe voluto che tra lui e Blaine le cose fossero diverse, che non ci fossero complicazioni sovrannaturali tra loro che incasinavano ancor di più i suoi sentimenti già incasinati.

Doveva pensare lucidamente, analizzare la situazione: a lui piaceva Blaine?

Sì, ed era anche piuttosto ovvio. Gli piaceva passare il suo tempo con lui; Blaine era divertente e imprevedibile, sapeva farlo ridere, ma era anche capace di affrontare conversazioni serie e impegnative: con lui poteva parlare di tutto. Il carattere di Blaine era particolare: era sempre solare e allegro, sempre disponibile e volenteroso quando si trattava di aiutare gli altri; ma era anche fragile, sebbene si sforzasse di nasconderlo agli altri per gli altri. E Kurt poteva capirlo alla perfezione: anche lui da quando sua madre era morta nascondeva il suo dolore e la sua rabbia, sebbene dietro l’arroganza al contrario di Blaine. Blaine sapeva trasformare ogni emozione negativa in allegria, o perlomeno si sforzava di farlo; rendeva Kurt felice solo con una canzone. E Kurt amava la sua voce, amava poter cantare con lui; la passione di Blaine per la musica li aveva uniti fin dal primo giorno e aveva continuato a farlo, consolidando il loro rapporto. E, in ultimo, Kurt adorava il viso di Blaine: oggettivamente non era bellissimo, ma era armonioso e tanto dolce. I suoi occhi incorniciati da lunghe e folte ciglia scure erano i più espressivi e aperti e fiduciosi che avesse mai visto e le sue labbra le uniche che desiderasse baciare.

Lo amava?

Non lo sapeva. (Non ancora? Suggerì una vocina dentro di lui). I suoi sentimenti erano confusi e si sentiva come una casa durante le pulizie di primavera: a soqquadro, completamente sotto sopra.
Provava affetto, voleva proteggerlo, voleva vederlo sorridere, amava abbracciarlo. È quello che provano gli amici, o no?
Kurt sbuffò infastidito da se stesso e dai suoi ragionamenti pressoché inutili: lui e Blaine erano solo amici perché Blaine lo considerava solo un amico e nient’altro. Non aveva alcun motivo per continuare a pensarci. Non poteva permettersi distrazioni in quel momento: doveva confidare in Amihan e nel fatto che almeno lei avesse compreso ciò che aveva tentato di dire loro con la sua visita; sperava di potersi fidare di lei. Non aveva altra scelta.
 

*****

 
«Cinque minuti di pausa, B, ti prego! Se continuiamo così, non avrò più voce per le Regionali!» si lamentò Kurt, lasciandosi cadere sul letto di Blaine. Il ragazzo rise e si sedette accanto a lui. «E va bene – acconsentì – ma solo perché sei stato straordinario.» aggiunse con la sua solita gentilezza e sincerità, dandogli una pacca amichevole sulla gamba. Il suo viso aperto e luminoso, sebbene stanco, era bellissimo agli occhi di Kurt che si ritrovò a sorridergli. Annuì come per confermare le sue parole: «Anche tu non sei stato male, Anderson.» si complimentò.

Blaine gli sorrise calorosamente e lo ringraziò, rievocando nella mente di Kurt il ricordo di Amihan Anderson, della sua gentilezza e del suo sorriso: doveva dire a Blaine cos’era successo quel pomeriggio. «Devo dirti una cosa.» disse, sollevandosi a sedere per poterlo guardare negli occhi.

«Dimmi.» incalzò Blaine, vinto dalla curiosità, quando notò che Kurt non accennava a continuare; in realtà, il ragazzo temeva che Blaine si sarebbe arrabbiato con lui perché aveva agito d’impulso e senza consultarlo minimamente. Ultimamente discutere del modo migliore per “realizzare i desideri” di Blaine era diventata quasi un’abitudine per loro; non era più solo il lavoro di Kurt, anche Blaine era intenzionato ad aiutarlo. Il suo primo desiderio, aveva confessato, era stata quasi una “punizione” per come Kurt si era comportato con lui, ma adesso che Blaine lo considerava il suo migliore amico aveva tutta l’intenzione di aiutarlo e salvarlo dalla dannazione eterna.

«Oggi sono stato a casa tua.» confessò Kurt a bruciapelo, incrociando le mani in grembo. Non amava i giri di parole e con Blaine era sempre stato molto diretto. Il ragazzo fece per ribattere, un’espressione di curiosità mista a sorpresa sul suo volto, ma Kurt continuò a parlare, ignorando il suo tentativo: quando era nervoso aveva la brutta abitudine di cominciare a blaterare, senza mai parlarsi: era un’abitudine che aveva preso da sua madre, Burt lo prendeva sempre in giro per questo. «Ho parlato con i tuoi genitori di quella sera e delle Regionali, e ho cercato di convincerli a venire. Tua madre non mi sembrava tanto in disaccordo, anzi; ma tuo padre... è- ho tanta paura che potrei aver combinato altri casini presentandomi così. E, per favore, non arrabbiarti; io voglio davvero aiutarti, perché sei il mio migliore amico dopotutto e-»

«Kurt, calmati!» esclamò il ragazzo, sorridendogli dolcemente e abbozzando una risatina: anche lui di solito si prendeva gioco di Kurt quando cominciava a parlare così tanto, ma non stavolta. Gli prese le mani tra le sue – Kurt non si era accorto di star tremando – e gli accarezzò le nocche con le dita. «Per quanto tu sia carino e divertente quando fai così, devi calmarti. Respira. Non sono arrabbiato con te, anzi, ti sono grato. Tu stai facendo così tanto per me... Dovresti essere tu quello arrabbiato con me piuttosto per quello che ti ho chiesto di fare. Ma ce la faremo, non permetterò che ti succeda qualcosa di male.» disse risoluto, guardando Kurt dritto negli occhi. Ovviamente, aveva subito capito cos’altro preoccupava Kurt così intensamente, anche se il ragazzo non ne aveva fatto cenno. Dio, quanto avrebbe voluto baciarlo in quel momento...

«Grazie.» disse Kurt, sorridendogli sinceramente quando si fu calmato. Blaine ricambiò il sorriso e lo attirò a sé per poterlo abbracciare: Kurt non aveva avuto idea di quanto lo avesse desiderato fino a quel momento.
«Courage.» sussurrò Blaine al suo orecchio, il loro nuovo mantra. Loro due e il loro coraggio contro il mondo. Sì, potevano farcela.
 

******

 
Sebastian era in piedi davanti allo specchio del bagno mentre si lavava i denti con foga ed entusiasmo: aveva un appuntamento con Hunter e non vedeva l’ora che il ragazzo arrivasse. Forse aveva ragione Kurt, dopotutto, e si era preso una cotta per lui. Ormai nessuno più credeva che fosse solo sesso, nemmeno il suo pene.

Era così perso nei suoi stessi pensieri – è vero o no? Mi piace o no? Dovrei parlarne con lui? con Kurt? Cosa fare? – da non accorgersi della porta che si apriva. Fu solo quando un paio di mani familiari si posarono sui suoi fianchi che ritornò alla realtà e Hunter premette le labbra dietro la sua nuca, facendolo sorridere come un ragazzino. Era assurdo riconoscere qualcuno anche dal ritmo del suo respiro? Aveva passato notti ad ascoltarlo. Conosceva ogni sua variante, dal respiro corto e spezzato mentre facevano sesso a quello calmo e rilassato quando correvano insieme che Sebastian non poteva fare a meno di invidiargli. Erano entrambi in forma, ma non sarebbe mai stato all’altezza di Hunter.

Il ragazzo stava continuando a baciargli il collo, facendo sentire Sebastian in paradiso, ma in un istante questi si rese conto che sbrodolarsi di dentifricio non era assolutamente la scena sexy che aveva in mente, perciò si chinò per sciacquare velocemente la bocca, allontanando Hunter da lui con un movimento dei fianchi. Il ragazzo aspettò pazientemente che l’altro si ricomponesse, guardandolo divertito. «Che ci fai qui? Manca ancora un’ora al nostro appuntamento.» disse Sebastian sorpreso, posando lo spazzolino e voltandosi verso di lui per poterlo guardare con un’espressione divertita. «Non avevo voglia di aspettare.» rispose Hunter con sincerità, sollevando le spalle e sorridendogli malizioso prima di baciarlo sulle labbra ancora umide.

Sebastian ricambiò il bacio,stringendogli le braccia al collo per attirarlo ancora più vicino a sé: il cuore sobbalzò di felicità nel suo petto quando la lingua di Hunter si intrecciò alla sua. Sospirarono entrambi quando le loro labbra si separarono e Sebastian si ritrovò a sorridere come un idiota. Hunter gli accarezzò i fianchi con fare provocatorio e Sebastian capì che non c’era più tempo per i sospiri e i ragionamenti sui suoi sentimenti. Lo baciò di nuovo con passione e lo prese per i fianchi per guidarlo sul suo letto, senza permettere che le loro labbra si separassero nemmeno per un istante. Ridacchiarono entrambi quando ricaddero sul letto, accarezzandosi e spogliandosi a vicenda.


«Porca miseria, Kurt, potresti anche bussare!» esclamò Sebastian irritato, quando il ragazzo spalancò improvvisamente la porta, ridendo insieme a Blaine. «Oh, Dio, scusascusascusa!» esclamò lui spalancando gli occhi per la sorpresa ma sorridendo compiaciuto quando si rese conto di cosa avevano interrotto lui e Blaine. «Andiamo via subito, promesso.» aggiunse, entrando e avvicinandosi alla sua scrivania, ricevendo un’occhiataccia da parte di Sebastian per questo. Blaine restò sulla porta, sorridendo imbarazzato e guardando Kurt con fare divertito.

Sebastian sbuffò infastidito e affondò il viso nell’incavo del collo di Hunter che ridacchiò mentre gli accarezzava la schiena nuda e gli lasciava un bacio tra i capelli scompigliati. Quando vide che Kurt non accennava a sbrigarsi, anzi, si divertiva a restare nella camera più del necessario, Sebastian si alzò per poterlo cacciare fuori, tra minacce e spintoni. Kurt rise divertito, fingendo proteste riguardo al fatto che quella era anche la sua camera.

«Dovrete uscire da quella camera da letto, prima o poi!» sussurrò Kurt in tono critico, mentre Sebastian gli chiudeva la porta praticamente in faccia. Non voleva ascoltarlo, sebbene sapesse che aveva ragione. Provava dei sentimenti forti per Hunter ed era arrivato il momento di smetterla di nascondersi.

Si voltò verso il ragazzo semi nudo sul letto e gli sorrise: «Allora, dov’eravamo?»








Note: Sono tornata, gente!
Che bello essere di nuovo qui e poter aggiornare regolarmente. La scuola è finita, woo-hoo!
Scrivo queste note non solo per ringraziarvi di aver letto il capitolo, ma anche per dirvi un paio di cose riguardo alla storia.
Primo, il nome dei genitori di Blaine. è stata durissima scegliere dei nomi che mi piacessero e alla fine ho optato – come avete visto – per “Aidan” e “Amihan”. So che vi state chiedendo tutti il perché (o forse no).
Il nome “Aidan” significa “orgoglioso” e mi sembra piuttosto appropriato per il padre di Blaine, cosa che scoprirete meglio in seguito. (*si sente malvagia perché lei sa come va la storia*)
Il nome “Amihan”, invece, è il nome filippino che sta ad indicare il monsone, il vento che porta la pioggia. Ho scelto questo nome non solo per il significato, ma anche come riferimento ad un’altra bellissima storia che io amo da morire. “Obviously” della meravigliosa Paola, che io ammiro tantissimo.
Secondo, non so a quanti di voi farà piacere la parte finale del capitolo, ma io ci tenevo tanto ad inserirla. Fatemi sapere cosa ne pensate!
A lunedì prossimo!
Baci,
Allie. 






Modificato il 05/01/2014

 

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo, pt. 1 - Kurt ***


Note.
Hey...
Chi non muore si rivede, eh? *si nasconde dietro il letto*
Perdonatemi. Sono una donna impossibile, un'autrice pessima e una lettrice ancora peggiore. Mi sono presa una gran bella pausa da EFP, ma proprio ieri mi sono detta (e se seguite la mia pagina su facebook lo sapete) che credo sia arrivato il momento di continuare a scrivere. In primis perché non ce la faccio più, ho bisogno di distrazioni dalla scuola e dall'ansia (chi ha inventato la maturità? Eh?!) e poi perché mi mancavate troppo.
So che questo non è il capitolo che vi aspettavate, in realtà è solo di passaggio, ma ho dovuto dividerlo perché stava diventando mostruosamente gigante e non mi andava di traumatizzarvi subito con un capitolo di millemila parole. Ma non temete, la seconda parte arriverà tra domani e dopodomani. Croce sul cuore. 
Perdonatemi per averci messo così tanto, giuro che non era mia intenzione. 
A presto.
Baci,
Allie c:


p.s. Se non avete deciso di uccidermi, perché non lasciare una piccola recensione?
p.p.s. Nel caso dal "titolo" non fosse chiaro, questa prima parte del capitolo è narrata dal punto di vista di Kurt, la seconda parte sarà narrata dal punto di vista di Blaine. <3
p.p.p.s. Quasi dimenticavo! Ho modificato un po' i capitoli precedenti giacché rileggendoli mi erano sembrati pieni di errori e orribili. Non c'è stato nessun cambiamento della trama, ovviamente, per non confondere le idee, ma se vi va potreste pensare di rileggerli e magari farmi sapere cosa ne pensate. A presto c:


«Oddio, sto per morire.» esclamò Kurt con gli occhi sbarrati per la paura e lo stomaco in gola, guardando la sala gremita di persone. Non credeva ci sarebbe stata tanta gente: tutti loro lo avrebbero visto e lo avrebbero sentito cantare. Era una sensazione spaventosa ed esaltante insieme. Da una parte era ciò che aveva sempre voluto, ma dall’altra era comunque la prima volta che faceva una cosa del genere; quando si era esibito con le New Directions non aveva mai avuto un assolo o almeno non per una competizione così importante. Mentre adesso doveva uscire lì fuori e cantare davanti a tutti.

«Esagerato! Non ti sei sempre lamentato del fatto che gli Usignoli non ti davano abbastanza possibilità di emergere? Eccoti qui, adesso!» esclamò Blaine sorridendo divertito, ma il ragazzo si rese conto molto presto che nemmeno una battuta poteva risollevare Kurt, che diventava sempre più pallido a mano a mano che i secondi passavano. Sospirò e gli poggiò le mani sulle spalle, facendo per scrollarlo piano. «Calmati!» esclamò ancora, strappandogli un sorriso timido.

«Non sono un cocktail da shakerare, Blaine!» esclamò, ridendo e scuotendo la testa. Anche Blaine sorrise e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, lieto di essere riuscito nel suo scopo. «Sei bravissimo e sul palco sei assolutamente perfetto. Li stenderemo tutti.» disse con la sua solita sincerità disarmante e Kurt si sentì arrossire: non sapeva esattamente come fosse possibile, ma Blaine riusciva sempre a dire la cosa giusta. Fece per ringraziarlo, quando l’arrivo di Sebastian li interruppe: «Pronti a vincere, checche isteriche?!» esclamò il ragazzo ad alta voce, proprio nel suo orecchio, stringendo il braccio attorno alle spalle di Kurt per avvicinarlo a sé. Kurt lo guardò male per poi dargli una gomitata che fu scansata prontamente da Sebastian che gli fece l’occhiolino. Blaine rise: i modi di fare disinibiti di Sebastian lo divertivano e i due si stavano avviando ad essere sempre più amici, cosa di cui Kurt era segretamente felice.

Sebastian grazie alla loro influenza aveva abbandonato la figura del “Bello e Dannato”, anche se non del tutto – era sempre il solito arrogante e viziato, solo non così cattivo e arrabbiato con gli altri. Kurt era felice che anche lui potesse cambiare come stava facendo lui. Non avrebbe voluto lasciarlo da solo nel baratro in cui erano caduti insieme, sarebbe stato da egoisti; anche per questo aveva deciso di farlo ammettere nel gruppo degli Usignoli e Blaine era stato d’accordo con lui fin dal principio. Anzi, era stata proprio un’idea di Blaine e ciò non sorprendeva affatto Kurt: Blaine era proprio il tipo di persona che si faceva in quattro per aiutare gli altri; sembrava non desiderare altro che essere gentile con tutti.

«Grazie per il “checche isteriche”, ma qui c’è solo una persona isterica e entrambi sappiamo che non sono io» disse Blaine divertito, ridacchiando e guardando Kurt allusivamente. Il ragazzo si finse offeso mentre anche Sebastian scoppiava a ridere ed esclamava: “Quest’hobbit mi piace sempre di più!”

«Sei il re dei commenti inopportuni, ‘Bas!» esclamò Kurt risentito, cercando di sfuggire alla sua presa – inutilmente, giacché Sebastian ne approfittò per stringerlo ancora più forte a sé. «Kurtie, lo sai che mi ami!» scherzò, cominciando ad ondeggiare. Kurt scoppiò a ridere e Blaine con lui; quest’ultimo fece per dire qualcosa, quando fu chiamato da David, perciò si scusò e si allontanò da loro.

Finalmente Sebastian lasciò Kurt e gli sorrise con fare malizioso. «Dopo la gara io e Hunter andremo a cena fuori. In un ristorante a Columbus. Sotto gli occhi di tutti. Contento?» disse Sebastian, ostentando indifferenza; ma Kurt sapeva che stava morendo dalla voglia di condividere l’informazione con lui. «Sì. Sono molto, molto, molto contento» “Sono davvero felice per te” esclamò, dandogli un pugno sul braccio. «Ottimo lavoro, ragazzo mio. A quando il matrimonio?» lo prese in giro. L’altro gli fece la linguaccia. «Mai!» “Grazie, Kurt. Lo sono anch’io” esclamò, incrociando le braccia al petto.

Sebastian non lo avrebbe mai ammesso – ancora reminiscenze da “il bello e il dannato” – ma era follemente innamorato di Hunter e per una volta sembrava pronto a dimostrarlo. Al contrario di Kurt, che era ancora nell’ombra.

«Quando hai intenzione di dire a Blaine che sei cotto di lui?»

Appunto.

«Mai?»

«Stasera.»

«’Bastian! Non posso dirglielo stasera, come potrei dirglielo stasera?» esclamò Kurt arrossendo violentemente. «Sono già abbastanza stressato per il duetto, non posso mettere in mezzo anche una dichiarazione, ne va della mia salute mentale! E poi anche per Blaine questa è una serata difficile, non abbiamo ancora visto i suoi genitori e tu sai quanto ci teneva e quanto io ci tenessi...»

«Hai paura!» esclamò Sebastian con aria trionfante, interrompendo il suo penoso sproloquio. «Hai paura di un rifiuto ed è normale, ma non preferiresti un rifiuto al dubbio? Almeno se ti dice che non gli piaci e che vuole solo esserti amico, pace, finisce la questione e la smetterai di ascoltare stupide canzoni strappalacrime mentre sei sotto la doccia! Sta diventando noioso vederti così, Kurt.»

Il ragazzo fece per ribattere “Almeno nel dubbio ho il mio migliore amico, poi chissà”, quando proprio il suo migliore amico scansò Sebastian per poterlo abbracciare con tutta la sua forza. «Oh, Kurt, sono qui! Grazie a te, sono qui! Mamma e papà, sono in platea!» esclamò, saltellando. Sembrava davvero non potersi fermare. In preda all’entusiasmo non si accorse delle guance rosse di Kurt e dello sguardo eloquente di Sebastian.

«Hey, calma tigre, era quello che volevamo, ricordi?» esclamò Kurt ridendo, abbracciandolo a sua volta ma per tenerlo fermo. Blaine sospirò e si costrinse a restare immobile per qualche secondo, poi sciolse l’abbraccio: evidentemente non ce la faceva davvero a restare fermo. «Grazie. Davvero, grazie. Non posso credere che siano venuti davvero. Ma cosa gli hai detto esattamente per convincerli?» esclamò, felicissimo.

Kurt sorrise. «Segreto» disse malizioso. Blaine sorrise nervosamente e prese un respiro profondo.
«Li stenderemo, nano.» disse Kurt, accorgendosi del fatto che Blaine si era rabbuiato, forse spaventato all’idea dei suoi genitori che potevano giudicarlo adesso.

Un addetto al palcoscenico fece loro cenno di salire sul palco, giacché era arrivato il loro turno. Blaine strinse inconsciamente i pugni e Kurt sospirò, afferrandolo per il polso e stringendogli poi la mano quando Blaine si rilassò.

«Courage.» mormorò e salirono sul palco, lasciando che le luci illuminassero i loro volti sorridenti e nervosi e che le loro orecchie fossero colmate dagli applausi degli spettatori. 

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo, pt. 2 - Blaine ***


Le luci erano spente mentre i ragazzi si sistemavano sul palco. Blaine si sentiva come se fosse sott’acqua, ogni rumore giungeva ovattato alle sue orecchie, ogni movimento era faticoso e lento nella sua mente; fu solo quando le luci furono riaccese e lo accecarono, quando la musica cominciò a risuonare nel silenzio del teatro che capì che tutto quello era reale. Riconobbe la sua battuta d’inizio e...
Dimenticò tutto il resto.

The power lines went out
And I am all alone
But I don't really care at all
Not answering my phone

Dimenticò i suoi genitori seduti sulle comode poltrone in platea, dimenticò Wes che gli aveva fatto promettere di non improvvisare, dimenticò le luci che lo accecavano, dimenticò il resto del pubblico, dimenticò il mondo. L’unica cosa che poteva vedere era Kurt, di fronte a lui, che lo guardava sorridente e fiducioso, sebbene sapesse quanto anche lui fosse nervoso.

Ma nonostante tutto si fidavano l’uno dell’altro; entrambi sapevano che l’altro non lo avrebbe abbandonato da solo nel mezzo del duetto, entrambi sapevano che l’altro sarebbe stato lì per lui.

Lost sight
Couldn't see
When it was you and me


Un passo. E furono più vicini mentre cantavano.


Blow the candles out
Looks like a solo tonight
But I think I'll be alright

Il viso di Kurt era splendidamente illuminato di lato, il suo naso proiettava una strana ombra sul suo zigomo sinistro in modo da evidenziarlo e quando il ragazzo sorrise, Blaine non poté fare a meno di trovarlo assolutamente adorabile.

You're invisible
Invisible to me
My wish is coming true
Erase the memory of your face

Doveva concentrarsi sulla canzone, lo sapeva, non sul viso di Kurt – così bello e così amato. Eppure quando si perdeva nei suoi occhi aveva l’impressione che la sua voce diventasse ancora più calda, più potente, più bella. Come anche quella di Kurt, più limpida, più perfetta. Amava la voce di Kurt, così inusuale e particolare. E insieme le loro voci erano perfette, si incastravano alla perfezione, riempiendo il silenzio con potenza e grazia. Ma aveva spesso di pensare che fosse solo quello il motivo per cui aveva scelto Kurt come suo partner; certo erano perfetti insieme, musicalmente parlando, ma Blaine sperava potessero essere perfetti insieme e basta, come persone.

Blow the candles out
Looks like a solo tonight
I'm beginning to see the light

Sapeva che Kurt era gay, lo aveva scoperto durante una delle prime conversazioni con lui, e sapeva anche che aveva avuto più esperienze di lui, non solo cotte passeggere per commessi di GAP, grazie all’influenza di Sebastian. Per questo aveva creduto di non essere il suo tipo, ma quando cantavano insieme aveva l’impressione di vedere qualcosa di più negli occhi di Kurt e questo “di più” gli aveva dato speranza e gli aveva fatto decidere di parlare con Wes al riguardo della possibilità di cantare un duetto con Kurt alle Regionali. Molti pomeriggi passati insieme, molte canzoni cantate insieme e più speranze per lui. Certo, non aveva messo in conto il fatto di innamorarsi perdutamente di Kurt.

Non era stato per niente professionale.

One day
You will wake up
With nothing but you're sorrys


E non era per niente professionale mentre si avvicinava ancor di più a Kurt mentre cantavano insieme.


And someday
You will get back
Everything you gave me

Fu con grande sforzo che si ricordò della promessa fatta a Wes – Non improvvisare – e si costrinse a piantare i piedi per terra; però a quel punto fu Kurt a fare un passo in avanti per avvicinarsi ancora di più a lui, cantando come se fossero soli, guardandolo negli occhi come se non esistesse nient’altro che lui. Blaine rischiava davvero di perdere la testa.

Blow the candles out 
Looks like a solo tonight 
I'm beginning to see the light 
Blow the candles out 
Looks like a solo tonight 
But I think I'll be alright



Quando la canzone finì, Blaine quasi non se ne accorse; respirava a fatica, come se avesse appena corso la maratona di New York, ma non si sentiva in imbarazzo perché anche Kurt era nelle sue stesse condizioni. Continuarono a guardarsi negli occhi, incuranti della valanga di applausi che gli spettatori gli stavano rovesciando addosso. Il primo a distogliere lo sguardo fu Kurt, che si voltò verso la platea. Blaine lo imitò, dopo aver notato il suo sorriso e i suoi occhi lucidi per l’emozione. Si avvicinò a Kurt per prendergli la mano e lo portò al centro del palco, per far sì che ricevesse tutti gli applausi che meritava.
«Sei straordinario» mormorò, prima di fare un passo indietro. Kurt fece un inchino impacciato, poi si voltò per afferrare la mano di Blaine e trascinarlo davanti con lui. Il ragazzo rise, inchinandosi con lui, mentre il pubblico era in delirio. Non poteva vedere i suoi genitori, ma sperava che fossero tra quelli che applaudivano.

Il secondo pezzo fu “Applause” di Lady Gaga; Kurt non poteva essere più felice del fatto che avessero deciso davvero di fare un pezzo del genere, proposto da lui tra l’altro, perciò diede il meglio di sé. Sebastian era la voce principale e questo aveva indispettito qualcuno, ma non Blaine, che anzi era felice di poter lasciare il suo posto sotto i riflettori a qualcun altro. Specie dopo quel duetto che l’aveva scosso fin nelle fondamenta. Si era sentito nudo sotto lo sguardo di Kurt, sotto lo sguardo di tutti, più del solito; si sentiva come se avesse appena confessato al mondo i suoi sentimenti per Kurt, ma non era sicuro della risposta del ragazzo. Si sentiva sciocco e patetico, ma anche fiducioso.

Quando scesero dal palco, Blaine si sentiva nervoso e impacciato, come un cucciolo smarrito, ma si costrinse a sorridere a Kurt, che stringeva tra le mani il block notes nero della Lista dei desideri, sperando con tutto se stesso di poter spuntare almeno il primo desiderio. E, entrambi speravano, anche il secondo.
Poiché loro erano stati l’ultimo gruppo ad esibirsi, dovevano aspettare solo che i giudici decidessero a chi assegnare il premio. Blaine si avvicinò a Kurt con fare circospetto e si schiarì la gola: «Allora...» mormorò impacciato.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui e aggrottò le sopracciglia: «Allora?» ripeté, quando si rese conto che Blaine non aveva intenzione di continuare. Il riccio gli sorrise imbarazzato e fece per passarsi una mano tra i capelli, dimenticandosi che li aveva fissati con una dose extra di gel. «Proprio un bel duetto, vero?» continuò, fingendosi indifferente. Vide le guance di Kurt farsi più rosee e il ragazzo abbassò lo sguardo. «Speriamo che ne sia valsa la pena... Dobbiamo vincere» disse sospirando. «Ce la faremo. Io credo in noi.» lo rassicurò Blaine, realizzando solo dopo ciò che aveva detto e arrossendo anche lui impietosamente.

Furono entrambi salvati da quel momento di imbarazzo – e da Sebastian che minacciava di rendere le cose ancor più imbarazzanti per loro con il suo arrivo – poiché furono chiamati sul palco insieme agli altri gruppi. Restarono vicini comunque e mentre il presentatore introduceva i gruppi e i giudici, la mano di Kurt cercò quella di Blaine per stringerla forte. Blaine si era accorto che tremava. Poteva solo immaginare quanto terrificante potesse essere per lui tutta la situazione: non si trattava solo di un trofeo, ma della sua vita. Blaine si sentì malissimo per quello: non poteva scegliere qualcosa di più semplice da realizzare?! Aveva rischiato di condannare il suo migliore amico.

Quando fu annunciato il gruppo arrivato al terzo posto, Kurt si rilassò un po’, ma non abbastanza, perché il presentatore fece un lunghissimo discorso per aumentare la suspense. Blaine dovette davvero trattenersi dal raggiungerlo per strappargli la busta di mano. Poi finalmente accadde: l'uomo la aprì e lesse il suo contenuto.

Avevano vinto.

Kurt e Blaine si guardarono stupefatti, poi furono l’uno tra le braccia dell’altro; si strinsero forte, ridendo e piangendo insieme di gioia perché ce l’avevano fatta. Erano di un passo più vicini alla fine di quell’incubo che li aveva tormentati ma anche avvicinati moltissimo. Non riuscirono a parlare, poiché furono subito abbracciati dagli altri Usignoli, entusiasti come loro per la vittoria. Era sicuramente quello il momento più bello della vita di Blaine.

O almeno così credeva.

Quando scesero dal palco, discutendo riguardo il locale che volevano invadere per tutta la notte per festeggiare, ridendo e scherzando, Blaine si accorse che suo padre lo stava aspettando davanti alla porta dei camerini. Sembrava incredibilmente a disagio come Blaine non l’aveva mai visto, ma si avvicinò comunque a lui, un po’ a malincuore perché temeva il peggio: sapeva che sicuramente gli avrebbe detto “Potevi fare di meglio, Blaine”, perché era questo quello che suo padre gli diceva sempre.
Perciò fu una sorpresa quando l’uomo gli sorrise incrociando il suo sguardo e gli disse: «Sono fiero di te»

Quelle quattro parole che suo padre non aveva mai pronunciato per lui gli riempirono le orecchie e il cuore, portandolo in paradiso. Non gli importava di nient’altro, solo del fatto che suo padre avesse finalmente accettato che lui era un artista, che lui era bravo e che lui poteva e voleva continuare su questa lunghezza d’onda.
«Grazie. Anch’io.» rispose Blaine, sorridendogli entusiasta. Aidan rise e gli scompigliò i capelli. «Va’ pure a festeggiare con i tuoi amici. Te la saluto io la mamma.» promise. "Sai perché ho fatto ciò che ho fatto e ho detto ciò che ho detto. Io ti vorrò bene, qualsiasi cosa sceglierai" - Forse Aidan non sarebbe stato mai capace di dirlo ad alta voce, troppo orgoglioso per ammettere di essersi sbagliato su suo figlio, ma Blaine capiva, poteva sentire il suo affetto e la sua approvazione e tanto bastava a renderlo felice. Il ragazzo lo salutò con la mano e corse dai suoi amici, saltando sulla schiena di Wes che stava esultando in quel momento. Probabilmente i giocatori di football sono più aggraziati in campo si disse, ma in realtà non gli importava, non davvero. Era felice. Quello era il giorno più bello della sua vita e niente avrebbe potuto rovinarlo.

«Blaine!»

Il ragazzo si voltò verso la voce e si accorse che era Kurt che lo chiamava, facendogli cenno di raggiungerlo in un angolo più appartato. Stringeva tra le mani la Lista dei desideri e la stava fissando con gli occhi sbarrati. Blaine corse al suo fianco, non sapendo come interpretare la situazione: andava tutto bene? Era successo qualcosa? Un messaggio dalla madre di Kurt? Era tutto perduto? Cosa poteva essere successo da costringere Kurt ad allontanarsi dai festeggiamenti?

«Cos’è successo?» riuscì a chiedere con voce strozzata, poiché Kurt non parlava, ma si limitava a sfogliare le pagine del quaderno nero.

«I desideri... Si sono cancellati da soli» mormorò Kurt, mostrandogli le pagine del quaderno. Le due righe numerate che li avevano perseguitati per settimane si erano semplicemente sbarrate da sole, come se niente fosse. Blaine lo guardò entusiasta e anche Kurt ricambiò con quel sorriso familiare e bellissimo che donava a lui soltanto.

«Adesso ci manca l’ultimo. C’è niente che desideri?» chiese Kurt in un soffio.

Blaine si morse il labbro inferiore. C’era una cosa che desiderava, da tempo ormai, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederlo. Non voleva chiederlo, perché non voleva che Kurt lo facesse perché doveva. Eppure in quel momento era tutto ciò che desiderava.

«Non voglio che tu lo faccia perché sei costretto» sussurrò, abbassando lo sguardo, poi si costrinse a guardarlo negli occhi di nuovo. «... Ma tu mi piaci da morire, Kurt. Mi piaci- Mi piaci da sempre.» confessò. Vide Kurt sbarrare gli occhi per la sorpresa e si morse il labbro inferiore per l’imbarazzo. «Io- posso capirlo se per te non è così. Però vorrei comunque chiederti- come ultimo desiderio, intendo... Un bacio. Lo considererò un bacio d’addio se deciderai di non parlarmi più.» disse tutto d’un fiato, cercando di combattere la timidezza.

Kurt gli sorrise dolcemente e abbassò lo sguardo sulla pagina del quadernetto, e non si stupì nel vedere che accanto al numero tre era stato scritto “Un bacio”. Glielo mostrò, poi lo gettò a terra.

«Non lo faccio perché devo» disse, avvicinandosi a lui e mettendogli una mano sulla guancia per avvicinarlo a sé. «E non è un bacio d’addio» soffiò sulla sua bocca, prima di premere le labbra sulle sue con decisione, avvicinandolo ancora di più a sé. Blaine chiuse gli occhi di scatto, portandogli una mano sul fianco e stringendo il tessuto del suo blazer, come per assicurarsi di non cadere o svenire da un momento all’altro.
Sentì un paio di fischi e fece per allontanarsi da Kurt per vedere chi era stato, ma il ragazzo lo trattenne al suo posto, sorridendo nel bacio. Quando finalmente si separarono, si guardarono negli occhi, sorridendosi timidamente come ragazzini.

«Grazie per avermi salvato, Blaine...» sussurrò Kurt sincero, prima di abbracciarlo.

Altri fischi e applausi coronarono il momento e anche un “Finalmente!” di Sebastian. Kurt si allontanò da Blaine, ridendo e voltandosi verso il suo amico per fargli la linguaccia che Sebastian ricambiò prontamente, facendo ridere anche Blaine.

«Andiamo a festeggiare, ragazzi?» propose Wes, distogliendo l’attenzione dalla nuova coppia e ricevendo molti consensi. Tutti uscirono alla spicciolata, prendendo le loro cose e continuando a discutere sul locale migliore in cui festeggiare – Kurt e Blaine restarono soli nei camerini, erano sempre gli ultimi a mettere in ordine le loro cose. O meglio, Blaine lo era, e Kurt lo aspettava pazientemente alla porta. Quando Blaine finalmente lo raggiunse sull’uscio, Kurt premette di nuovo le labbra sulle sue, sorridendogli felice.

«Come ti senti ad essere libero?» chiese Blaine, ironico.
«... Non mi sono mai sentito schiavo dei tuoi desideri, Blaine. Volevo sinceramente aiutarti.» ribatté Kurt impettito.
«Anche all’inizio?»
«Okay, forse non all’inizio. E sì, è una bella sensazione sapere che non finirò all’Inferno. Per ora.» disse ridendo.

Blaine gli sorrise e si sollevò sulle punte dei piedi per baciarlo di nuovo. «Andiamo a festeggiare?»
«Se per festeggiamento intendi “baciarci per tutta la sera”, sì!»
 












Note della matta che scrive.

Wow. Non ci credo, finalmente ho finito una fanfiction! (Sono pessima, lo so, non odiatemi T.T)
Dopo tanto penare, e soprattutto dopo un'infinità di tempo, ce l'ho fatta. Sono molto orgogliosa di me (e spero che possiate esserlo anche voi).
So che è un po' affrettata come conclusione - o forse no? Lascio giudicare a voi! - ma già nel progetto originale questa fiction doveva avere pochi capitoli, il fatto che io abbia pochissimo tempo per scrivere ha influito molto poco. 
E parlando del poco tempo che ho per scrivere, sì, mi sto impegnando anche a continuare le altre storie lasciate in sospeso - alcuni di noi mi avevano chiesto in messaggi privati qui e su facebook quali fossero le mie intenzioni riguardo le altre storie, per questo lo ribadirò ancora una volta: non ho intenzione di abbandonarle e anche se ci metterò una vita a finirle e perderò tutti i "lettori" che mi "seguono" non importa; mi prenderò il mio tempo per cercare di fare sempre un lavoro migliore. 
Detto questo, grazie a chi c'è stato fino alla fine, l'ho davvero apprezzato c:
Un bacio alla mia fidata Beta, Mary - come potrei farcela senza di te che mi sproni ogni giorno a continuare? <3
E un grazie a te che stai leggendo questo sproloquio! 
Alla prossima storia. 
Tanti baci,
Allie c: 

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