Something's gotta give

di ArizonaRobbins
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The end is the beginning is the end ***
Capitolo 2: *** A change gonna come ***
Capitolo 3: *** These ties that bind ***



Capitolo 1
*** The end is the beginning is the end ***


Alla mia Calliope.






Sembrava una mattina come tante altre al Grey Sloan Memorial Hospital: interventi che si susseguivano a ritmo serrato, pazienti da salvare, specializzandi da terrorizzare, tutto procedeva nella norma e Callie Torres si sentiva decisamente bene per la prima volta dopo tanto tempo.
Per quanto potessero piacerle le sorprese, nell’ultimo anno ne aveva avute fin troppe e tutte decisamente terribili; l’incidente aereo aveva sconvolto la sua vita più di quanto avesse fatto con chiunque altro, privandola in un sol colpo del suo migliore amico nonché padre di sua figlia, e portandole via anche un pizzico di Arizona. Si, quell’incidente maledetto le aveva portato via anche una parte di Arizona, una parte ben più importante della gamba: sua moglie per tanto tempo aveva perso la voglia di vivere, di lottare, e soprattutto di amare. Di amare lei.
Prima a causa del rancore: per settimane le uniche volte in cui le aveva rivolto la parola era stato per ricoprirla di insulti e rinfacciarle di averle rovinato la vita tagliandole la gamba; per mesi non si erano nemmeno sfiorate nonostante lei volesse, perché si accorgeva di come sua moglie si ritraesse disgustata ogni volta che la toccava.
E poi, quando dopo tanta fatica, finalmente il rancore era scomparso ed era tornata la voglia di vivere, di esserci, di amare, quando finalmente era ritornata la tenerezza, erano rimaste la vergogna, l’imbarazzo, il non sentirsi più se stessa con un arto mancante; così tanto altro tempo ancora era passato prima che Arizona riuscisse ad avvicinarsi di nuovo a lei, prima che riuscisse a lasciarsi andare all’ amore.
Come se tutto questo non bastasse, c’era stato il problema dell’ospedale: i medici e non solo, avevano rischiato seriamente di perdere tutto quello per cui avevano lavorato, ma con determinazione e rischiando anche in prima persona, lei e gli altri chirurghi erano riusciti ad evitarlo, dando vita ad un nuovo progetto professionale.
Tutti i pezzi si stavano rimettendo insieme, seppur con fatica, ma tutto sembrava andare per il meglio e questa calma, questa sorta di routine che si stava instaurando di nuovo all’ospedale, le piaceva molto, la tranquillizava.
Non poteva accadere nient’altro di male, almeno così pensava Callie Torres, e continuò a pensarlo quando fu chiamata urgentemente nella sala conferenze, dove c’erano già tutti gli altri membri del consiglio d’amministrazione, tranne Jackson.
“Ehi…ma perché questa riunione improvvisa?Ho un intervento tra mezz’ora…” chiese a Cristina mentre controllava il cellulare.
“Russell se n’è andato.” Sentenziò la Yang senza troppi giri di parole.
“E quindi?”
“Quindi ci serve un nuovo capo di cardiochirurgia!” le rispose il giovane Avery mentre entrava nella sala. “Scusate il ritardo, ma ho appena ricevuto una telefonata importante…” spiegò accomodandosi al tavolo.
“Non c’è problema…piuttosto iniziamo?Ho un intervento da fare…” chiese Derek. “Si anche io non ho molto tempo…” aggiunse Arizona; così si sistemarono tutti attorno al grande tavolo ovale.
Il primo a parlare fu  proprio Jackson, membro di maggior peso del consiglio, nonché esponente della Fondazione Avery  “Allora, come sapete, Russell ha rassegnato le sue dimissioni due giorni fa…ha ritenuto che il taglio di budget al suo dipartimento fosse ingiusto e così ha deciso di andarsene…” spiegò a tutti i presenti pur sapendo che fossero già al corrente della situazione, in particolare Cristina, visto che era stata proprio lei ad insistere per quei tagli.
“Ragion per cui, abbiamo bisogno di un nuovo capo di cardiochirurgia al più presto possibile..!Abbiamo riaperto da poco…non possiamo permetterci di restare senza una figura così importante!” concluse guardandoli uno ad uno.
“Lo faccio io.” annunciò Cristina con tutta la tranquillità del mondo.
“Sono brava, straordinaria direi, e sarei un ottimo capo per cui, lo faccio..!”
“Sei troppo giovane, Cristina…” le rispose subito Derek.
“E Jackson allora?E’ più giovane di me e guardate dov’è!”
“Si ma lui si chiama Avery…” ridacchiò Callie, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dello stesso Jackson e di Arizona, che prese la parola.
“Sentite…che Cristina sia un chirurgo eccellente è fuori discussione e sono sicura che sarebbe un capo perfetto….tra un paio d’anni! – aggiunse subito spegnendo sul nascere la faccia soddisfatta della Yang, per poi rivolgersi a lei direttamente -  Sei appena diventata uno strutturato  Cristina, sei un membro del consiglio d’amministrazione, scusa ma credo sia troppo nominarti anche capo di cardiochirurgia…”
Cristina sbuffò. “Bè che volete che ne sappia lei, fa la pediatra…”
“Chirurgo pediatrico. Io eseguo grandi operazioni su piccoli umani, non mi occupo di sciocchezze.” Subito le rispose un tantino piccata Arizona.
“Ok ok…sentite, direi che siamo tutti d’accordo, tranne Cristina, che Cristina non possa essere il nuovo capo di cardiochirurgia, giusto?” chiese Callie guardandoli tutti, in particolare soffermandosi su Meredith che non si era ancora espressa in merito. “Si…ecco…si, siamo tutti d’accordo…” disse la Grey, scusandosi con lo sguardo con la migliore amica.
“Bene…allora dobbiamo trovare qualcun altro!Abbiamo già delle opzioni?” chiese il chirurgo ortopedico a Jackson.
“A dire il vero abbiamo qualcosa di meglio di un’opzione… - rispose lui sorridendole soddisfatto – Prima ero a telefono con una vecchia conoscenza dell’ospedale…è un cardiochirurgo straordinario e vi conosce già tutti, quindi sarebbe perfetto..!”
“Aspetta un momento…non sarà…Burke, vero?” Il cuore di Cristina aveva perso un battito nel sentire le parole di Jackson; era passato tanto tempo ormai e non provava più assolutamente nulla per Preston Burke, ma certo, averlo lì come capo del suo dipartimento, non sarebbe stato esattamente il massimo della vita.
“Oh no, no, sarebbe stato fantastico, ma il dottor Burke ha un contratto blindato con il Mass. Gen. … - le rispose Jackson piuttosto dispiaciuto, del resto lui non sapeva niente del mancato matrimonio tra i due – No, si tratta di Erica Hahn!”

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Capitolo 2
*** A change gonna come ***


Per degli attimi  interminabili sembrò che tutti avessero smesso di respirare, preoccupando non poco Jackson che si aspettava non fuochi d’artificio, ma almeno qualche commento positivo per quello che era riuscito a fare. Si, Jackson Avery talvolta peccava di ingenuità, anche se non era del tutto colpa sua. In fondo non c’era ancora quando era successo quello che era successo, per cui non sapeva niente nemmeno di Erica e Callie. Non capiva perché non appena avesse nominato la dottoressa Hahn, un silenzio tombale era sceso nella sala e tutti avevano guardato, più o meno sfacciatamente, in direzione della Torres. E ancora meno capiva perché in quell’esatto momento, il chirurgo ortopedico s’era quasi soffocata, a quanto pareva con l’aria, finchè proprio lei decise di rompere quell’assordante silenzio.
“Cosa?!” gli chiese Callie con una voce di mezzo tono più alto del normale.
“Erica?Quella Erica?Cioè…Erica…Erica?!”
“Quante altre Erica Hahn conosci, Torres?” la guardò Avery stupito, capendo ancora meno di prima.
“Oh…bè…ecco…non…dirai sul serio, Jackson!” 
“Veramente si…il suo contratto con la Cleveland Clinic è scaduto un paio di giorni fa, lei si stava guardando intorno, mia madre l’ha saputo…ed ecco fatto!” spiegò come fosse la cosa più semplice del mondo e abbozzando un’espressione orgogliosa per le doti persuasive di sua madre.
“Ecco fatto!” ripetè la Torres visibilmente sconvolta.
“Bè…è una cosa buona, no?La Hahn è un ottimo chirurgo..!”  provò a dire il povero Avery guardando gli altri in cerca di una qualsiasi risposta. S’era aspettato complimenti e pacche sulle spalle per aver procurato all’ospedale un cardiochirurgo di altissimo livello, e tutto quello che stava ottenendo invece, erano sguardi scettici e la Torres che sembrava sul punto di svenire.
“Come no…l’ultima volta ha reso impossibile la vita di Cristina…” gli rispose Meredith.
“A-ha…ma stavolta sarei io il suo capo, tecnicamente.” Forse mai prima di allora era apparso un sorriso così soddisfatto sul viso di Cristina Yang.
“Per me va bene!” aggiunse quindi subito dopo.
“Anche per me…” dissero all’unisono Derek e Meredith.
“Bè, io non la conosco…ho solo sentito parlare di lei… - disse Arizona decisamente scura in volto – Ma…immagino che professionalmente parlando, sia un’ottima cosa per l’ospedale…per cui, va bene.” Lanciò un’occhiata a Callie, che si stava tormentando le mani.
“Calliope?” “Eh?” “Va bene…no?” le chiese sua moglie. “Si…si certo…benissimo…alla grande!Davvero! – si alzò visibilmente innervosita – Adesso però devo andare, ho un intervento…ci…ci vediamo dopo, ok?” Senza aspettare alcuna risposta, lasciò la stanza, in preda ad un solo pensiero che le martellava la testa: Erica Hahn stava tornando.

Dopo anni, l’avrebbe rivista, le avrebbe di nuovo parlato. Non che volesse, no, in effetti non voleva parlarle. No, in effetti non voleva nemmeno vederla. Del resto l’ospedale era grande!Erica era un cardiochirurgo, lei un chirurgo ortopedico, quante possibilità c’erano che si incontrassero in quell’enorme ospedale?Infinite, pensò Callie mentre usciva dalla sala operatoria. Aveva pensato ad Erica per tutta la durata dell’operazione, a come poteva essere cambiata, a quello che l’aveva spinta a tornare in quell’ospedale…Possibile che non si fosse posta il problema di rivederla? Bè no, è passato tanto tempo. Magari è sposata anche lei, magari crede che lavori da un’altra parte, o forse mi ha semplicemente dimenticata…Continuava a pensare a lei e a tutte le possibili conseguenze che il suo arrivo avrebbe portato, e al fatto che in quel momento Mark sarebbe stato un vero toccasana; in quei momenti sentiva come un macigno la mancanza del suo migliore amico. Quando nella sua testa c’era il caos, quando c’erano mille domande e tremila risposte diverse, quando non sapeva cosa fare, provare o pensare, quando non sapeva nemmeno se era il caso di pensare a certe cose, Mark le mancava come l’aria. Ma anche se lontano, lui riusciva a calmarla lo stesso, perché pensare a lui, canalizzare i pensieri verso di lui l’aiutava a ragionare, a non impazzire pensando ad altro. Forse non era il massimo delle soluzioni, ma la malinconia che la prendeva pensando a lui, la distraeva da tutto il resto.
Per questo ci mise qualche secondo in più del dovuto per accorgersi del cercapersone che suonava: stavano arrivando dei pazienti ed era richiesta la sua presenza, così si diresse subito verso l’ingresso dell’ospedale dove attendevano le ambulanze.  Fa che sia un grosso trauma…fa che ci siano sangue e ossa spappolate da riscostruire…  ripetè mentalmente mentre raggiungeva la Bailey e gli specializzandi già in attesa.
“Sappiamo già qualcosa?”
“E’ crollato il tetto di una casa…ci sono sei persone ferite, con un bel po’ di danni e ossa rotte…avrai da fare tutto il giorno, Torres…”
“Oh grazie a Dio..!! - esultò il chirurgo ortopedico – Oggi ho bisogno di seppellirmi in sala operatoria e pensare solo ad operare!”
“Brutta giornata?” le chiese Miranda.
“Pessima!Non sai cosa è stato appena deciso…” Ma non potè finire la frase per l’arrivo delle ambulanze con i feriti.
Immediatamente con la Bailey e gli specializzandi si mise a lavoro, ed effettivamente vista la gravità della situazione, fu impegnata tutto il giorno; solo a sera inoltrata riuscì a riposarsi un pò, sdraiandosi per qualche minuto sul divano nel salottino degli strutturati, ingurgitando l’ennesimo caffè della giornata. Fu lì che la trovò sua moglie. 
“Ehi!Giornata pesante eh?”
Callie si alzò di scatto, come una che è stata sorpresa con le mani nella marmellata. “Si…si, molto…”
“Non ti ho vista per tutto il giorno… - Arizona si accomodò sul bracciolo del divano, e le sistemò una ciocca di capelli – Tutto bene?”
“Bè…è stata una giornata pesante…l’hai detto anche tu…”
“Non mi riferivo a questo, Calliope.” La guardò dritto negli occhi.
“Ti sta bene che Erica Hahn torni a lavorare qui?”
La capacità che aveva Arizona di leggerle dritto nell’anima, solo guardandola negli occhi, la sorprendeva sempre; si sentiva nuda, priva di qualunque difesa quando la guardava in quel modo, così abbassò lo sguardo e rimase in silenzio per un pò. La verità è che non lo sapeva se le stava bene o meno; non sapeva cosa avrebbe provato quando l’avrebbe vista, non sapeva cosa le avrebbe detto, se le avrebbe rivolto la parola, non sapeva niente di niente.
Erano passati anni dalla sera in cui Erica l’aveva abbandonata così, di punto in bianco, e per tanto, tantissimo tempo, il ricordo di quei momenti l’aveva ossessionata. Poi era arrivata Arizona, con il suo amore, il suo carattere, il suo sorriso super magico e tutto era cambiato: si erano sposate, avevano avuto una bambina, certo avevano vissuto anche momenti terribili, ma grazie all’amore che le legava li avevano sempre superati, così, piano piano, il ricordo di Erica Hahn era sparito dalla sua testa ed aveva finito col dimenticarla; o almeno così aveva sempre pensato fino a quella mattina.
“Io…non lo so Arizona… - iniziò a dire senza incrociare lo sguardo di sua moglie – Erica mi ha fatto soffrire…molto…te l’ho raccontato…”
“Bè, non devi essere sua amica comunque…dovete solo lavorare insieme e non è nemmeno detto…” Iniziò ad accarezzarle la schiena dolcemente, come spesso faceva quando la vedeva giù di morale.
Callie sospirò pesantemente e le poggiò una mano sulla gamba.
“Hai ragione…andrà…andrà bene..!” disse per rassicurare più se stessa che sua moglie, la quale si avvicinò lentamente e le sfiorò le labbra con le sue. “Si, andrà bene amore. Adesso però devo andare, ho un piccolo umano da aiutare…ci vediamo direttamente a casa?” le chiese Arizona mentre con calma alzò per dirigersi verso la porta. “Ah…no, credo che resterò qui in ospedale stanotte, sai, con quella famiglia che è arrivata oggi…preferisco restare…con Sofia c’è la babysitter, quindi…” 
“Ah okey, io tornerò a casa tra un po’ comunque, quindi ci penserò io a lei…A dopo!” le strizzò l’occhio e uscì dalla stanza. Callie si sdraiò di nuovo sul divano e chiuse gli occhi cercando di dormire un po’, anche se in cuor suo sapeva che sarebbe stato un sonno agitato.

 

 

Rieccomi!La Hahn arriverà a breve e vedremo che combinerà…Intanto ringrazio chi mi ha recensito o letto silenziosamente, e chi ha inserito la storia tra le seguite, come direbbe Arizona: YAY!!!xD
Alla prossima. ;)

 



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Capitolo 3
*** These ties that bind ***


Non aveva chiuso occhio per tutta la notte. A causa dei miei pazienti, avrebbe risposto a chi gliel’avesse chiesto, ma non sarebbe stata la completa verità. Certo, un paio di volte era andata a controllare i loro valori, ma sostanzialmente per distrarsi da altri pensieri, visto che sarebbero bastati gli specializzandi per monitorare la situazione. La verità era che Callie Torres aveva passato la notte in tutta una serie di conversazioni immaginarie tra lei ed Erica Hahn. Aveva ipotizzato dialoghi, situazioni, gesti, e addirittura le relative conseguenze di quei dialoghi, di quelle situazioni e di quei gesti. Aveva anche immaginato che Jackson si sarebbe rotto un paio di ossa, o con un po’ di fortuna, tutte le ossa, e che lei avrebbe dovuto sistemargliele. Senza anestesia. Si, perché in fondo era tutta colpa sua se aveva perso la tranquillità e il sonno. Sua e di sua madre. Maledetti Avery!                           
Aveva vissuto beata fino alla mattina precedente, raccogliendo finalmente i frutti di un raccolto troppo spesso distrutto da ex-mariti morti, sparatorie, borse di studio Carter Madison, incidenti d’auto e disastri aerei; finalmente si stava godendo un po’ la vita e la sua famiglia, ma Jackson Avery e la sua genitrice avevano deciso di distruggere il suo bellissimo castello e darle un pugno in pieno stomaco. Brava Torres, brava!Ti sei rilassata?E adesso la paghi! Così li aveva immaginati: brutti, deformi, a ridere maleficamente della sua ingenuità nel credere di poter avere una vita normale, una volta tanto. Assumere Erica aveva avuto la stessa valenza del prenderla di peso e gettarla in un’arena, senza armatura né gladio, pronta per essere sbranata dai leoni; anche se in realtà il leone era uno solo e probabilmente, più che sbranarla, l’avrebbe ignorata. 
Ottimo, no? Si chiese guardandosi allo specchio nella toilette dell’ospedale, mentre cercava di darsi una sistemata. 
Se ti ignora, è perfetto. No?  No, forse no.
 L’aveva già fatto, Erica.  Dopo essere stata lasciata fuori dall’ospedale aveva provato a chiamarla una, due, dieci volte, senza alcun risultato; anche nei giorni seguenti, quando tutti si chiedevano che fine avesse fatto il cardiochirurgo, aveva cercato di contattarla, chiamandola e lasciandole messaggi in segreteria, ma mai una volta Erica Hahn s’era presa il disturbo di risponderle finchè, un giorno, il suo numero di cellulare era risultato “inesistente”. Probabilmente l’aveva disattivato. Tutto, pur di non parlare con lei.
Arizona non era stata di certo da meno. Quando l’aveva lasciata per andarsene in Malawi s’era tenuta in stretto contatto con Teddy Altman, talvolta persino con Karev, ma mai aveva chiesto di lei a chicchessia, né s’era mai presa la briga di rispondere ai messaggi che nei primi giorni le aveva mandato. 
No, essere ignorati non è una bella cosa. Pensò mentre si rinfrescava il viso. L’indifferenza ti lascia in un costante stato di attesa, sempre in bilico tra la speranza che da un momento all’altro la tua persona si farà sentire, e la consapevolezza che non lo farà mai più. L’indifferenza ti incatena, impedendoti di andare avanti, ti inchioda in un limbo senza fine; ti lascia in sospeso, come un’opera interrotta al primo atto o una sinfonia incompiuta. 
Così s’era sentita per tanto tempo. Incompiuta. E adesso quell’orribile sensazione stava prepotentemente tornando alla ribalta: credeva di essere andata oltre, di essere riuscita a finire la partitura che  Erica aveva voluto abbandonare, e invece, a quanto pareva, non era così. C’era ancora un filo che le legava, sottilissimo, quasi invisibile, ma c’era, anche se non riusciva a capire di cosa fosse fatto. Uno squillo la tirò fuori dai suoi pensieri, riportandola alla realtà: era un messaggio di Arizona che le dava il buongiorno e l’avvertiva che sarebbe arrivata in ospedale a breve, insieme alla piccola Sofia; questo la fece sorridere immediatamente. Non vedeva la sua bambina da 24 ore ormai, e sarebbe rimasta a lavoro ancora per un bel pezzo, quindi l’idea di passare un po’ di tempo con lei la mise subito di buon’umore. Sofia era il suo piccolo miracolo, la grande gioia della sua vita e questo niente l’avrebbe mai potuto cambiare. Si guardò un ultima volta allo specchio per poi lasciare la toilette e dal momento che prima di fare qualsiasi cosa aveva bisogno di una massiccia dose di caffeina, si diresse verso la caffetteria.

 

 

Erica Hahn non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Perché è il mio primo giorno di lavoro al Grey Sloan Memorial Hospital, avrebbe risposto a chi le avesse chiesto il motivo di quelle occhiaie piuttosto pronunciate, ma non sarebbe stata esattamente la verità. Era uno strutturato da diversi anni ormai, cardiochirurgo di fama internazionale e candidata all’Harper Avery, non era certo il tipo di persona che si faceva intimorire da un nuovo posto di lavoro, soprattutto considerando che quello non era un posto del tutto nuovo per lei. La verità era che aveva passato la notte a pensare a Callie. No, in realtà anche questa non era esattamente la verità, perché lei non aveva mai spesso di pensare a Callie. Nemmeno per un giorno, nemmeno per un istante, neanche nel più breve attimo della sua vita, aveva smesso di pensare a lei. E si che ci aveva provato a dimenticarla; eccome se ci aveva provato! 
Dopo quella maledetta sera in cui aveva fatto la stupidaggine più grande della sua vita, passò mesi a stordirsi il più possibile: lavorava per giornate intere alla Cleveland Clinic, dove era stata subito assunta, e se solo aveva pochi attimi liberi si dedicava alla poco nobile arte del sesso promiscuo. Probabilmente, no sicuramente, aveva fatto più sesso in quel periodo che in tutta la sua vita fino a quel momento. Callie le aveva aperto un mondo, le aveva permesso di vedere finalmente le foglie e dopo aver dato un calcio all’incredibile fortuna che era stata conoscerla, si era messa di impegno per conoscere più foglie possibili; ma in ognuna di loro, era lei che cercava. Fosse anche solo il colore dei capelli, o degli occhi, o un gesto particolare che gliela ricordasse, in ogni donna cercava e le sembrava di vedere qualcosa di lei.                 
Col tempo mi passerà, si diceva. Ma l’unica cosa ad essere passata erano stati gli anni. Mentre guidava verso l’ospedale ripensò a tutte le volte che era stata sul punto di chiamarla fermandosi puntualmente, talvolta quando le mancava un solo numero da comporre per far partire la chiamata. Cosa mai avrebbe potuto dirle? Callie scusami, sono un’idiota? Probabilmente neanche l’avrebbe ascoltata, forse non si ricordava nemmeno di lei, o forse era tornata a frequentare gli uomini e aveva seppellito nella memoria la loro relazione catalogandola come una parentesi gay molto post adolescenziale. Erica Hahn, il famoso cardiochirurgo che salvava centinaia di vite, la donna che poteva stringere il cuore in una mano, che ne sentiva i battiti sotto le dita, che lo curava, riparava, la donna del cuore, aveva spento il suo. Ne ignorava i battiti, i sospiri, aveva lasciato che avvizzisse senza far nulla per evitarlo.
La donna del cuore stava lentamente lasciando morire il suo.
Stava sprecando la sua vita nella speranza che accadesse qualcosa, una specie di miracolo che in qualche modo rimettesse Callie sulla sua strada, e questo miracolo si era palesato sotto le sembianze della premiata ditta Catherine Avery e figlio. Mentre parcheggiava l’auto ripensò alle loro telefonate, a come le fosse salito il cuore in gola sentendoli parlare del nuovo Seattle Grace, del consiglio di amministrazione formato da medici e della dottoressa Torres che faceva parte di quei medici. Disse subito di si, senza pensarci due volte; era stata sciocca, pavida, senza un briciolo di determinazione in quegli anni, ma non era ancora una completa idiota: non avrebbe mai e poi mai perso anche quell’occasione di riavvicinarsi a Callie. 
Scese dall’auto visibilmente emozionata, ma cercò di darsi un contegno, anche perché scorse d’avanti all’ingresso una sua vecchia conoscenza che l’attendeva. Aumentò un po’ il passo e in men che non si dica le si parò d’avanti.  
“Yang…Ti sei addirittura presa il disturbo di venire ad accogliermi?” chiese sarcastica. 
“Mi sembrava il minimo dottoressa Hahn, è stata una delle mie migliori insegnanti.” Le rispose Cristina con un sorrisetto beffardo; non si poteva certo dire che la Hahn fosse stato un buon mentore per lei, anzi, probabilmente se fosse dipeso dalla bionda dottoressa avrebbe dovuto cambiare specializzazione. 
“E adesso sono il nuovo Capo di Cardiochirugia..!” le sorrise altrettanto beffardamente Erica. “Bè, io sono il Capo di tutto. Le hanno detto che sono uno dei membri del consiglio, vero?” In quel momento Cristina Yang gongolava come forse mai prima, sembrava quasi brillare, tanta era la soddisfazione, ma la Hahn incassò il colpo . “Non vedevi l’ora di dirmelo, vero Yang?” Intanto fece alcuni passi, entrando finalmente nell’ospedale e lanciando un paio di occhiate in giro  “Bè, ad ogni modo, prima di fare qualsiasi cosa ho bisogno di un caffè…La caffetteria è sempre allo stesso posto?” chiese a Cristina che la seguiva. “Si certo, ma io ho un paziente da visitare, quindi dovrà arrangiarsi da sola… - le rispose senza troppi complimenti – L’aspetto tra quindici minuti nel dipartimento di cardiochirurgia, così l’aggiornerò sulla situazione, dottoressa Hahn.” Mise una particolare enfasi nel concludere la frase, era un modo sottile per chiarire sin da subito le cose. Non era più una specializzanda che doveva sempre e comunque fare quello che le veniva chiesto, adesso era uno strutturato, una sua pari, anzi, anche qualcosa in più. Ed Erica capì l’antifona. “Molto bene, dottoressa Yang.”  Le rispose guardandola dritto negli occhi, riconoscendola come sua pari. O quasi. 
Restò ferma per alcuni secondi, guardando Cristina andare via, poi prese un respiro profondo e si diresse verso la caffetteria. Continuava a guardarsi intorno, notando molte facce nuove ma anche tante vecchie conoscenze, vide alcuni dei cambiamenti realizzati nell’ospedale, ma non scorse da nessuna parte la persona che più le premeva vedere, finchè non arrivò a destinazione. 
La notò subito, appoggiata al bancone della caffetteria: con una mano teneva l’onnipresente cellulare, concentrata a digitare centinaia di caratteri in pochi secondi, e con l’altra teneva il caffè –lungo, senza zucchero con panna, così lo prende sempre ma vista l’ora avrà optato per un cappuccino – si disse mentre la guardava e si scioglieva lentamente. Rimase imbambolata al centro della caffetteria per un bel pezzo, finchè decise di farsi coraggio e passo dopo passo, le si avvicinò. La Torres non sembrava essersi accorta della sua presenza, così, per attirare la sua attenzione, il cardiochirurgo simulò un leggero colpo di tosse, la bruna alzò lo sguardo e in quel momento, Erica capì di essere veramente perduta. Gli occhi scuri, profondi e sbigottiti di Callie si puntarono dritto nel ghiaccio dei suoi e le sembrò, come mai era successo prima, che il cuore le fosse scoppiato via dal petto. 
“Erica…sei…sei…qui…”  Era un’affermazione la sua, più che una domanda. Aveva pensato e ripensato al momento dell’incontro per le passate ventiquattr’ore, ma non credeva sarebbe giunto così presto.
Non era ancora pronta per quello.
Non era pronta.
Ancora. 
“Sono qui Callie…” le rispose Erica, sorridendole.  
“Adesso…sono qui.”

 

 

 

 

 


Ecco il nuovo capitolo, col fatidico incontro, anche se per ora c’è stato solo un breve assaggio…spero vi piaccia. Ancora mille grazie a chi recensisce, legge in silenzio e segue la mia storia. Alla prossima! ;)                                                                                          

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