Mary&Eustace[CHARY]

di LadyMaria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'll miss you so much... ***
Capitolo 2: *** Solo pura carità cristiana (?) ***
Capitolo 3: *** Come sarebbe a dire partito? ***
Capitolo 4: *** Questo era amore ***



Capitolo 1
*** I'll miss you so much... ***


La vita a corte procedeva tra feste e sfarzi, non vi era ormai una serata in cui il Re non facesse organizzare un ballo o una grande cena per tutti i nobili che lo circondavano e che, secondo lui, lo veneravano.
Ed ecco che Mary si ritrovava di nuovo a vagare attorno al grande salone centrale ricambiando gli inchini di chi le sorrideva e la omaggiava come la propria posizione all’interno della corte li obbligava a fare. Quando le sembrò che nessuno la stesse fissando sospirò profondamente e socchiuse appena gli occhi.
Tra quei tanti volti non ce n’era nessuno che le facesse piacere rivedere. Per la maggior parte conosceva quelle persone solo superficialmente e non avrebbe potuto intrattenere con loro una lunga conversazione.
Quando, finalmente, eccolo. L’unico volta che desiderava rivedere le si stava avvicinando proprio in quel momento.
Sul volto della ragazza comparve un larghissimo sorriso, il quale aumentava mano a mano che l’uomo accorciava la distanza che li separava.
-Excellency…- esclamò la giovane mentre l’ambasciatore si inchinava, con non poca fatica. Subito allarmata domandò –State bene?-
-Lady Mary….- Eustace chinò rispettosamente il capo e tornò a fissarla mentre la schiena veniva colpita da qualche fitta di dolore.
-Oh! Sì, qualche disturbo, niente di cui preoccuparsi- mentì spudoratamente, ma lo fece in una maniera decisamente magistrale che bastò a convincere la poveretta.
Fu allora che gli dedicò il più bello e dolce dei propri sorrisi e di fronte a quel visetto delicato l’ambasciatore cercò di non arrossire troppo proprio sotto lo sguardo della ragazza.
-Volete sedervi e farmi compagnia?- chiese sollevando la mano sinistra indicando due poltroncine disposte vicino alla parete.
Eustace annuì: -Con molto piacere-
e con altrettanta fatica tentò di camminare senza farle notare che, forse, non era così in salute come voleva apparire.
 Era da qualche giorno che soffriva di dolori alla schiena e alle gambe, ma non aveva ancora visto un dottore a causa dei propri impegni.
Ovviamente a Mary non sfuggì la smorfia creatasi sul volto dell’uomo, ragion per cui quando entrambi si ritrovarono seduti scrutò con attenzione gli occhi azzurri di lui notando qualche venatura grigiastra attorno all’iride. Che strano, non vi aveva mai fatto caso prima di allora! Come era particolare il colore di quegli occhi e come era piacevole soffermarsi ad ammirarli!
Prontamente voltò lo sguardo altrove per celare anch’ella un lieve rossore sulle proprie guance.
-Non danzate, mia signora?- chiese l’ambasciatore dopo qualche minuto di gelido silenzio.
Mary, a quel punto, fu costretta a voltarsi nuovamente verso di lui.
-Oh, no… non ancora…- in realtà ancora nessuno l’aveva invitata! Eustace, il quale ormai la conosceva abbastanza bene da poter decifrare da un semplice sguardo quel che le passava per la mente, intuì all’istante il problema.
-Come mai siete mancato da corte per tutti questi giorni?- domandò in maniera apparentemente disinteressata .
Per un attimo Eustace aveva creduto, s’era illuso, che lei avesse notato la propria assenza e, chissà, che probabilmente ne avesse anche sofferto, ma… no, Lady Mary domandava per pura cortesia e nient’altro. Perché era dolce nell’animo e non avrebbe mai potuto esser maleducata con nessuno, figurarsi con lui!
-Perché a breve dovrò far rientro nella mia patria, vi rimarrò per qualche settimana,- esattamente non sapeva nemmeno lui per quanto
-e dovevo organizzare i dettagli del viaggio.- spiegò brevemente ed eloquentemente.
Mary si irrigidì appena. Partiva? E sarebbe rimasto lontano da Londra per tutto quel tempo? Deglutì faticosamente e si sforzò di sorridere, ma non le riusciva molto bene e per questo si rabbuiò leggermente.
Lei tornò cupa, assente e  silenziosa e lui non riusciva, chissà poi perché, più a staccarle gli occhi di dosso. Si prese un lungo momento di riflessione. Poteva osare di proporle un ballo? Il Re come avrebbe reagito? Quando incrociò nuovamente gli occhi docili e rassegnati di lei non si fece altre inutili domande.
Stava già per aprir bocca quando un giovane dalla folta chioma castana e dagli occhi seducentemente verdi si avvicinò alla ragazza e le chiese affabilmente:
-Mi concedete l’onore di questo ballo?-
Gli occhi di Mary, per un attimo, tremarono a causa dello stupore e, quasi senza accorgersene, si voltò verso Eustace e gli sorrise. Lui, scioccamente, chinò rispettosamente la testa e la fissò finché entrambi i giovani non si disposero in fila in mezzo alla folla dei ballerini.
Nonostante vi fossero molte coppie Eustace non li perse di vista nemmeno per un momento. Lui la stringeva troppo e lei sorrideva assai graziosamente.
Non lo poteva sopportare, non poteva più guardare.
Che cosa si era messo in testa? Era ovvio che una compagnia giovanile era più adatta a lei! Come avrebbe mai potuto preferire di  ballare con lui?Un vecchio e perfino pieno di dolori!
Si alzò lentamente appoggiando una mano sulla propria coscia per cercare di “farsi forza”. Un’ultima occhiata in direzione di Lady Mary per poi sparire e far ritorno nel proprio alloggio.
Mary si ritrovò a danzare insieme allo sconosciuto e sebbene al principio non le fosse affatto dispiaciuto, non poteva fare a meno di pensare che aveva lasciato l’ambasciatore da solo. Si era voltata diverse volte a fissarlo e gli aveva anche sorriso nella speranza che lui la potesse aver vista.
Quando si voltò per l’ennesima volta e non lo vide più ebbe un tuffo al cuore. Sbatté leggermente le palpebre per qualche secondo e, mentre la mano destra era appoggiata sulla spalla del proprio cavaliere, lo sguardo vagava da un angolo all’altra della sala.
Chapuys non c’era, da nessuna parte. Era sparito? Se n’era sicuramente andato! E sarebbe partito presto e lei….
La danza si concluse e Mary si inchinò rispettosamente di fronte al proprio ballerino.
Quando tornò a camminare attorno agli angoli della sala, con la testa abbassata per celare lo sguardo malinconico e quasi spento, non poté fare a meno di pensare che:
-Non l’ho nemmeno salutato….- altro lieve sospiro che segue mentre gli occhi si rivolgono a fissare le mattonelle del pavimento riccamente decorato da una fantasia di rombi scuri
-I'll miss him so much.....-

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Capitolo 2
*** Solo pura carità cristiana (?) ***


Eustace doveva partire il mattino successivo alla volta della Spagna. Era già stato concordato tutto, ma il caso volle che l’ambasciatore si fosse sentito male durante la nottata. Era stato chiamato il medico di corte il quale lo aveva visitato a lungo prima di rivelargli la "sentenza" definitiva.
 
-Temo che sarete costretto a rimanere a letto- 
 
 
disse il medico mentre rivestiva il povero ambasciatore, dato che non riusciva nemmeno a muoversi.
 
-Questo non è possibile, dottore…- esclamò Eustace quasi balbettando 
 
 
 
–Devo salpare domani mattina!- gli occhi cominciarono a contrarsi a causa del nervosismo e dell'agitazione. Doveva far ritorno in Spagna, il proprio re lo aspettava! Non poteva ammalarsi!
 
-Non salperete.-
 rispose il medico in modo, decisamente, irritato.
 
 
 –Voglio che sia chiaro….- 
si sedette di nuovo sul bordo del letto mentre richiudeva la valigia contenente gli strumenti del proprio lavoro per poi proseguire il discorso
 
 
 –se non farete ciò che vi dico io ci saranno ben poche possibilità che vi rimettiate e potreste morire. Se volete questo…- 
sospirò profondamente, si alzò e afferrò la valigia marrone 
 
 
–fate pure.- 
 
Non lo degnò più né di una parola né di uno sguardo e si fece scortare da uno dei domestici in direzione dell’uscita.
Morire? Come era possibile?- pensò Eustace sollevando una mano per adagiarla sulla fronte. Le dita andarono a smuovere i piccoli riccioletti brizzolati che gli ricadevano sulla fronte. 
Tornò ad adagiare la schiena contro il cuscino, si fece il segno della croce e racchiuse le mani davanti a sé per pregare sommessamente:
 
 
-Madre de Dìos…..-
 
Mary sedeva nel proprio alloggio insieme alle dame di compagnia. Il re e la consorte erano impegnati nel ricevere alcuni nobili stranieri e lei, non essendo stata chiamata a partecipare all’evento, era rimasta silenziosa a leggere un libro nel proprio appartamentino mentre le domestiche parlottavano tra loro.
Nonostante bisbigliassero riuscì comunque a capire, in parte, quel che stavano dicendo. Parlavano di… tese meglio l’orecchio fingendo di interessarsi alla pagina del romanzo che stava, svogliatamente, sfogliando.
 
 
-Come non lo sapete?- 
esclamò a bassa voce una di loro
 
 
 
 –L’ambasciatore spagnolo è stato costretto a rimanere in Inghilterra. Sembra che abbia contratto una gravissima malattia…-
 
 
 
Quello che riuscì a capire fu abbastanza sufficiente da far sbiancare il volto della ragazza. Deglutì lentamente e, richiuso il libro, si allontanò in fretta. 
Le proprie dame erano così impegnate a spettegolare che non si accorsero della sua repentina scomparsa e lei si ritrovò prima a camminare e, poi, a correre nei corridoi del palazzo.
Chapuys stava male, era malato e lei non lo sapeva! Se vi fosse stato qualche passante sicuramente, a causa dell’ansia e della preoccupazione sempre più crescenti, lo avrebbe travolto senza tante cerimonie. In quel momento l’unico obiettivo era vedere l’ambasciatore, sperando che non fosse troppo tardi.
 
 
 
-No, grazie…- 
tuonò la voce di Eustace in direzione del domestico. Non aveva mai rivolto una mala parola a nessuno prima di allora, ma lo stavano, tutti, decisamente irritando. Volevano costringerlo a mangiare quando lui di fame non ne aveva proprio.
All’ennesima supplica li congedò in malo modo e, una volta rimasto solo, si sdraiò con molta fatica e cominciò a fissare con fare annoiato il soffitto.
C’era talmente tanto di quel silenzio che Eustace riusciva a percepire il minimo suono e il più impercettibile dei rumori.
Quando gli sembrò di  sentire, in lontananza, il rumore di … tacchetti? Probabilmente erano scarpe da donna a provocare tutto quel trambusto, perché nessuna scarpa maschile avrebbe mai prodotto quel suono.
Comunque sia quando cominciò a percepire quel rumore farsi sempre più vicino e intravide la figura di Lady Mary, tutta scompigliata ed evidentemente affannata da una recente corsa, sulla soglia della propria stanza non poté fare a meno di sbattere lentamente le palpebre.
 
 
-Lady Mary? Cosa state facendo?-
 chiese cercando di mettersi seduto con scarso risultato.
 
 
 
-Ambasciatore- 
esclamò portandosi una mano sul petto mentre avanzava verso di lui 
 
 
–Ho saputo…-
 lo fissò per un breve istante negli occhi e si rese conto di quanto fossero meno brillanti rispetto alla sera precedente 
 
 
-che siete malato.-
 
Lei si era recata a fargli visita perché qualcuno le aveva riferito della propria, momentanea, malattia? Per quel motivo il volto della giovane sembrava tanto stravolto? Possibile che fosse..:preoccupata per lui?
 
 
 
-Lady Mary non dovete preoccuparvi. Qualche giorno di riposo 
e passerà tutto- 
 
 
 
mormorò lui mentre si massaggiava la schiena con il palmo della mano sinistra. Chi cercava di convincere? Lei? O se stesso? Sarebbe mai veramente guarito? 
La ragazza lo fissò con uno sguardo quasi compassionevole. Aveva da poco parlato con uno dei domestici dell’ambasciatore e le era stato detto che se lui non si fosse sforzato di mangiare probabilmente non avrebbe mai più ripreso le forze e non avrebbe superato l’indisposizione.
Con una tranquillità, che in quel momento non le apparteneva, si mise seduta di fronte al suo capezzale e spostò lo sguardo in direzione del comodino. Un piatto pieno di brodo vi giaceva ancora intatto.
 
-Non state mangiando….- 
non era una domanda, ma una constatazione.
 
 
 
 –Non va bene…-aggiunse sporgendosi un poco in avanti per afferrare il piatto e il cucchiaio e portarli entrambi sul grembo.
Eustace osservò ogni suo movimento incuriosito e quando la vide afferrare il piatto corrugò così tanto la fronte che una profonda ruga si formò vicino alle sopracciglia.
 
-Cosa state facendo?-domandò basito mentre lei, ormai, aveva già intinto il cucchiaio nel brodo leggermente tiepido per avvicinarlo alle labbra dell’ambasciatore.
 
 
-Vi aiuto a rimettervi.- rispose senza scomporsi 
 
 
 
–Mi avete aiutata così tante volte, adesso permettetemi di ricambiare la bontà che mi avete sempre dimostrato.-
 
 
 
-Non ho bisogno di compassione, Lady Mary. Non dovreste nemmeno esser qui- 
la malattia lo aveva reso estremamente burbero ed perfino leggermente acido.
Mary drizzò appena la schiena e fece per indietreggiare col busto per poi mormorare
 
 
 
- Non è compassione, Eustace.-
 tornò ad avvicinargli il cucchiaio
 
 
 –Mangiate. Parleremo a mente lucida più tardi.-
 
 
 
L’uomo, seppur contrario alle insistenze che gli venivano mostrate, aprì la bocca e aspettò che la principessa si avvicinasse ancora un po’.
Mando giù il brodo quasi controvoglia e quando avvertì una piacevole sensazione di caldo all’altezza dello stomaco non poté fare a meno di socchiudere gli occhi e tornare ad appoggiare la schiena contro il morbido cuscino.
 
 
 
-Ho tutto il tempo del mondo, ambasciatore. Potete anche bere un cucchiaio di brodo ogni ora, ma finché non sarà finito non lascerò questa stanza.- 
disse Mary con un tono di voce estremamente convinto.
Di fronte al suo temperamento e alle sue parole Eustace riaprì debolmente gli occhi e accennò ad un sorriso.
 
 
 
 
-Mi ricordate molto vostra madre…-
 fu tutto quello che riuscì a dire. Caterina era stata una donna estremamente combattiva, ma dolce. Aveva sempre pensato al bene del prossimo invece che al proprio e Mary le assomigliava molto in tutto ciò che faceva. Si ricordava persino che alcuni movimenti e gesti particolari che spesso usava Mary li aveva visti molti anni fa nella Regina. Le avversità avevano separato madre e figlia, ma evidentemente le loro anime erano sempre connesse in un modo molto più profondo della semplice corporeità. 
Chapuys tornò a sollevarsi per proprio conto e, senza che Mary gli dicesse niente, aprì la bocca e rimase ad aspettare che lei lo imboccasse. Si sentiva uno sciocco, ma non poteva fare a meno di pensare che era molto felice di averla lì davanti.
Mano a mano che il tempo passava il brodo diminuiva ed Eustace era tornato ad essere lo stesso di sempre.
Incredibile il miracolo che poteva operare su di lui Lady Mary.
Nessuno era riuscito a farlo mangiare, seppur fosse stato minacciato di future ed atroci disgrazie se non lo avesse fatto, e invece lei in meno di due ore e mezzo lo aveva imboccato amorevolmente, aveva parlato con lui e scherzato amabilmente. 
 
 
 
-Avete mangiato tutto…- 
declamò lei assai fieramente mentre adagiava il piatto vuoto sul comodino. Si alzò e gli sorrise per l’ennesima volta mormorando un sommesso
 
 
 
 –Vi lascio riposare.- 
 
Eustace chinò, o almeno ci provò, rispettosamente il capo e cercò di sdraiarsi anche se una fitta all’altezza della schiena lo fece sussultare.
Mary si avvicinò e, adagiando una mano dietro la schiena di lui e l’altra sul petto, lo fece distendere con movimenti lenti e delicati.
 
-Ecco…-
 
 
mormorò con un largo sorriso mentre la mano di Eustace s’era leggermente sollevata in direzione del petto per incontrare quella di lui.
 
 
-Grazie….-
 
 le disse fissandola negli occhi con uno sguardo assai riconoscente.
Dal canto suo la ragazza provò un lieve, e piacevole, brivido quando le sue dita si intrecciarono con quelle di lui. Rimase a fissarlo per qualche secondo, non sapeva bene cosa dire o cosa fare perché quello sguardo la stava totalmente spiazzando.
Il cuore cominciò a battere più ritmicamente, al punto che  temeva che sarebbe schizzato fuori da un momento all’altro. Per questo allontanò la mano da quella dell’ambasciatore e fece un passo indietro.
 
 
-Buon riposo, Eustace.-
 
 
un altro respiro profondo e poi gli diede le spalle e si avviò in direzione della porta. 
Lui, rimasto immobile avvertendo un misto di emozioni ancora non ben definibili, la fissò scomparire oltre la soglia della stanza e si perse a fissare il soffitto.
L’espressione di Lady Mary era cambiata nell’esatto momento in cui lui le aveva afferrato, per pura riconoscenza, la mano o si era immaginato tutto?
In fondo come poteva vederlo se non come un vecchio malato costretto a rimanere a letto? La sua era stata pura carità cristiana, sicuramente.
Si tormentava da solo per tutte quelle fragili illusioni, ogni volta crollavano come un castello fatto di carta e lui, stavolta, non era più sicuro di riuscire a mettere insieme i pezzi del proprio castello.

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Capitolo 3
*** Come sarebbe a dire partito? ***


Recarsi nell’alloggio dell’ambasciatore per accertarsi del suo stato di salute era diventata una piacevole abitudine per Mary. Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò ad aspettare quei momenti liberi dallo sfarzo di corte per poter dirigersi da lui il più in fretta possibile.
Come i giorni da poco trascorsi Mary si ritrovò a camminare nell’ampio corridoio. Era agitata, non riusciva a star ferma, non vi era riuscita per tutto l'arco della mattina. Avvertiva l'impellente bisogno di vedere l'ambasciatore. Si avvicinò quasi in punta di piedi, si soffermò davanti alla porta e prese a bussare con l'ausilio delle nocche della mano destra.
Non ricevendo alcuna risposta rimase per qualche istante immobile di fronte alla porta chiusa ammirando le venature del legno per poi inclinare appena il volto e sbattere le ciglia più volte.
Forse Eustace stava ancora riposando e quindi dormendo, per tal motivo non le aveva risposto.
Stava per indietreggiare quando la voce di uno dei domestici al servizio dell’ambasciatore la costrinse a fermarsi all’istante.
- Principessa… - mormorò l’uomo inchinandosi di fronte a lei, mentre Mary sollevava lentamente la mano per fargli intendere che non c’era bisogno di tanto formalismo.
-Potete riferire all’ambasciatore che verrò a fargli visita più tardi?- gli chiese con un tono di voce pacato e con un largo sorriso stampato sul volto fin quando…
-Ma l’ambasciatore è partito, Lady Mary.-
Le spalle della ragazza subirono un lungo fremito mentre la schiena si drizzava appena.
-Cosa?- chiese fissando il povero domestico con uno sguardo stupito costellato dalle iridi chiare tremanti.
-L’Ambasciatore Chapuys ha fatto ritorno in patria proprio questa mattina.- ripeté allora l’anziano scrutando ogni piccolo, impercettibile, mutamento d’espressione della giovane.
Le labbra di Mary si aprirono leggermente e, mentre il labbro superiore tremò appena, cercò di mostrarsi “indifferente” di fronte a quella notizia.
Era più scossa del necessario, più turbata di quello che pensasse, più afflitta di quel che avrebbe mai dovuto mostrare in pubblico, figurarsi ad un uomo di servizio come colui che aveva di fronte!.
Prese un profondo respiro, annuì col capo e, abbozzando un sorrisetto di circostanza, rispose:
-Capisco. Non vi importunerò oltre- e afferrando il lembo più lungo del vestito lo sollevò a mezz’aria e riprese a camminare nella stessa direzione dalla quale era arrivata.
Quando il corridoio si fece sempre più stretto, e il domestico sempre più lontano, ecco che Mary affrettò il passo.
Mille domande la tormentavano, e a nessuna di esse riusciva a trovar risposta.
Un nodo di saliva le si formò all’altezza della gola e, per diversi istanti, non riuscì a mandarlo giù. Fu costretta a sollevare la mano sinistra e adagiarla sul collo. Premendovi appena le dita riuscì a mandar giù il “groppo” che s’era formato mentre alcune lacrime scesero a rigarle le guance.
Perché era partito se il dottore gli aveva raccomandato di non farlo? Perché non l’aveva mandata a chiamare? Perché non aveva voluto vederla?  Aveva forse detto o fatto qualcosa che l’aveva infastidito durante quei giorni, anzi quelle poche ore, trascorse in compagnia l’uno dell’altra?
Certo Eustace era sempre costretto a rimanere sdraiato, ma Mary cercava di riferirgli ogni minimo particolare e avvenimento che capitava a corte. Sperava in tal modo di poterlo distrarre dalla monotonia alla quale era costretto a vivere, e per questo cercava sempre un argomento diverso per ogni ora che passavano insieme.
E le sembrava che anche lui gradisse chiacchierare con lei in modo tanto amabile.
La porta della propria stanza, grazie al cielo, si fece sempre più vicina.
Adagiò la mano sul pomello e lo girò per entrare all’interno della camera e richiudere la porta dietro di sé.
Lasciando adagiate le mani sul legno duro dell’imposta e fissando il pavimento Mary cominciò ad accasciarsi. La testa veniva appena scossa, di tanto in tanto, a causa di qualche lieve singhiozzo. Le tempie, a causa del pianto incessante, pulsavano tremendamente mentre le lacrime, ormai, raggiungevano anche i lati delle proprie labbra.
La disperazione più devastante nasceva dal fatto che Mary si domandava se:
-Lo rivedrò mai più? Mi ha lasciato per sempre?-
 
 
L’ambasciatore viaggiava all’interno di una carrozza. L’unica direzione possibile era: il porto.
La propria nave sarebbe salpata di lì a breve, quella volta non poteva proprio perderla.
Doveva far ritorno in Spagna. Sua sorella gli aveva nuovamente scritto. Era gravemente malata e chiedeva all’adorato fratello di raggiungerla per “un ultimo saluto”, così gli aveva scritto nella corrispondenza.
E forse questo viaggio improvviso era stato un segno che Dio aveva voluto inviargli.
Era ormai chiaro, perfino per Chapuys, che ciò che provava per Lady Mary non lo rendeva più lucido e razionale come un tempo. Prima riusciva a mostrarsi indifferente, ma adesso..gli sembrava di tradirsi anche con un semplice sguardo o una parola pronunciata con un mezzo tono più dolce del dovuto.
Non poteva più rischiare tanto.
Lady Mary gli aveva fatto visita tutti i giorni dal giorno della propria indisposizione, ma solo perché (almeno così pensava Eustace) era una persona troppo buona per lasciare il prossimo in difficoltà.
In questo assomigliava tantissimo a sua madre, alla cara Caterina D’Aragona.
Uno scossone più prolungato gli fece capire di essere arrivato. Si fece aiutare a discendere dalla carrozza e respirò a pieni polmoni l’aria salmastra che lo circondava mentre, adagiando la  punta del bastone a terra, tentava di camminare in direzione della nave ormai prossima alla partenza.
Era faticoso perfino fare un singolo passo, ma sua sorella aveva bisogno di lui. Con tale pensiero impresso nella mente ecco che i piedi cominciarono ad avanzare più velocemente di prima.
Non sapeva per quanto tempo sarebbe stato lontano da Londra, non aveva idea di quanto avrebbe resistito, ma il segnale inviatogli da Dio era chiaro: doveva allontanarsi, dimenticarsi della Principessa e seppellire i propri sentimenti. Peccato che Dio gli avesse inviato questo messaggio tramite la malattia della sorella. Eustace era molto legato a lei, lo era sempre stato fin da quando era un bambinetto.
Prima di salire sul pontile afferrò il rosario e cominciò a pregare sottovoce mentre la punta delle dita scorreva sul piccolo monile di culto.
Un lieve venticello si levò dalle onde del mare e cominciò soffiare sul porto.
Si udì la voce del Capitano gridare qualche insulto ai marinai mentre questi levavano l’ancora.
La partenza era vicina e il cuore di Eustace così lontano. Per un attimo il viso di Mary gli comparve nitidamente davanti agli occhi. Si alzò di scatto, sollevò gli occhi in direzione del cielo terso e, baciando il rosario, sussurrò:
-Dio perdonami…-
Con tutta fretta fece cenno agli addetti di non far partire la nave.
Doveva scendere, doveva rivederla.
Anche un’ultima volta soltanto: per dirle addio.
Non si sarebbe mai perdonato una simile mancanza proprio con la persona che più di tutte le altre gli aveva sempre mostrato profondo rispetto e infinita comprensione.
 

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Capitolo 4
*** Questo era amore ***


La Corte si faceva sempre più vicina.
La carrozza viaggiava in maniera spedita lungo il sentiero setacciato.
Eustace era più ansioso che mai.
Non sapeva nemmeno che cosa avrebbe detto alla povera Lady Mary in merito al quel ritorno che tanto sarebbe apparso improvviso quanto inaspettato, ma di una cosa era certo: desiderava vederla.
Quando il cocchiere fece fermare la vettura e aiutò il povero ambasciatore a discendere, Eustace gli sorrise grato e lo congedò con qualche moneta lasciata a mo’ di tariffa per il favore che gli era appena stato fatto.
 
Mary, invece, si trovava chiusa nell’alto e piccolo appartamento, lontana dagli sfarzi di corte intenta a rileggere per l’ennesima volta l’unico libro che riusciva a confortarla in ogni momento difficile: la Sacra Bibbia.
Le esili e bianche dita della giovane solcavano le candide pagine del libro mentre uno dei piedi tamburellava uno strano, insolito e assai lento ritmo a causa del lieve rumore provocato dal tacchetto della scarpina quando esso si ritrovava a toccare il pavimento.
“Tic… tic… tic-tic… tic…” Era proprio così che faceva.
Tutto ad un tratto, però, quel piede smise di muoversi e lo sguardo fu sollevato verso l’alto a causa dell’arrivo di una delle domestiche.
Mary si ritrovò a sospirare appena, sicuramente le veniva annunciata una qualche visita di cui, al momento, poco le importava.
 
-L’ambasciatore Eustace Chapuys per voi, Madama…- mormorò la dama di compagnia prodigandosi in un profondo inchino mentre a Mary le forze vennero quasi meno.
Era dunque tornato? Per restare o solo per dirle “addio”? Ad ogni modo, dopo un istante di titubanza, sussurrò:
-Fatelo accomodare…- mentre ella stessa si alzava lentamente dalla sedia, sistemava un lembo mal ripiegato del vestito per muovere un passo in avanti e fermarsi di colpo. Incrociò le mani all’altezza del ventre e rimase lì, immobile ad attenderlo.
Non la fece aspettare molto perché non appena la domestica svanì oltre la soglia della stanza ecco che Chapuys vi faceva il proprio ingresso.
Le apparve subito un poco impedito nei movimenti, zoppicava più di quanto ricordasse, ma la ragazza imputava la cagione di tale “malessere” alla malattia che l’uomo aveva da poco superato.
Mentre lui si inchinava Mary cercò di ricambiare con eleganza quei piccoli segni di riverenza che le circostanze gli imponevano  di seguire nei minimi dettagli e di rivolgerle.
Ma Eustace avrebbe voluto avvicinarsi subito a lei, afferrarla per le spalle e stringerla a sé con il desiderio di non lasciarla andare mai più.
E tuttavia non lo fece. Si limitò a fissarla intontito non ben consapevole di cosa poter dire o di cosa poter fare per giustificare il cattivo comportamento che le aveva riservato. A lei! All’unica persona che Chapuys poteva definire “amica”.
-Lady Mary…- borbottò Eustace inchinandosi per l’ennesima volta portandosi un braccio all’altezza dello stomaco
-Eustace vi prego- esclamò lei notando con quanta fatica il poveretto riuscisse a piegare la schiena per generare un inchino decente, ogni muscolo del suo viso denotava un intenso e soffocato dolore
-Non mi sembrate proprio nelle condizioni per piegarvi a quel modo…- ed ecco che tutta la rabbia e la delusione provata per l’improvvisa e non rivelata partenza di lui erano svanite nel nulla. Era bastato che Chapuys la chiamasse per nome per dimenticare ogni cosa, era bastato ascoltare il soave tono della sua voce, era bastato vederlo e in un attimo l’oggetto del dolore provato nel frangente passato era diventato l’oggetto della presente gioia.
Quelle parole lasciarono senza fiato e senza parole il poveretto. Era sempre stata troppo buona con lui e, in quel momento, lui era ben consapevole di non meritare un simile e cortese trattamento come quello.
Muovendo un passo verso di lei riuscì a trovare il coraggio di guardarla, finalmente negli occhi, e a mormorare un sentito:
-Mi dispiace….-
La giovane gli fece cenno di sedersi mentre lei stava già facendo la medesima cosa. Solo allora si affrettò a rispondergli:
-E di cosa?- sorridente come non mai. –Di essere partito e di non aver detto niente?- le rosee labbra di lei si assottigliarono e per un attimo ad Eustace parve di scorgere nel suo sguardo un qualcosa che assomigliasse vagamente alla tristezza. Ormai la riconosceva bene la tristezza che si rifletteva nelle iridi di Lady Mary. Gliel’aveva vista, purtroppo, dipinta sul volto molte (troppe) volte.
Stavolta era lui stesso ad esser stato la cagione di quello sguardo dolorante e, in cuor proprio, non riusciva a perdonarsi per il male che le aveva procurato.
-Esattamente….- non sapeva nemmeno lui in quale maniera fosse in grado di articolare mentalmente quelle povere sillabe né tantomeno di come fosse capace di pronunciarle.
Se avesse ascoltato il proprio cuore sarebbe rimasto in silenzio, con il colpevole sguardo rivolto verso il basso, ma gli occhi di lei erano troppo belli per non essere guardati perennemente.
Fu tutta una questione di attimi. La situazione si rovesciò e,quella volta, fu Mary a non trovare parole per rispondere dato che gli occhi le si stavano iniziando a fare, stranamente, lucidi.
Eustace si alzò di scatto non appena vide sgorgare da quelle terse iridi qualche lacrima. Senza rendersene nemmeno conto le fu vicino e, afferrandole la mano, le baciò teneramente il dorso ripetendo:
-Mi dispiace infinitamente, Lady Mary…-
Quel contatto fece avvampare le guance della ragazza, le labbra vennero percosse da un lungo ed intenso tremolio mentre la morbida mano, che Eustace ancora teneva stretta tra la propria, cominciò ad essere pervasa da lievi ed impercettibili scosse.
-Ho forse detto qualcosa che non dovevo?- domandò il poveretto non riuscendo a capacitarsi della sua reazione. Aveva sbagliato nel non riferirle la propria partenza, ma perché Mary ne pareva così tanto turbata?
Ovviamente non riusciva a capire che anche lei s’era resa conto di essergli molto legata e, purtroppo, non nella maniera in cui entrambi s’erano sempre pensati: non erano più “amici” erano diventati due innamorati.
E come ogni innamorato che merita tal nome si ritrovarono con l’anima in angoscia e col cuore in tumulto. Perché l’amore provoca questo: enormi picchi di sofferenza alternati a piccole dosi di felicità.
Purtroppo per loro nessuno dei due osava rivelare all’altro la natura del proprio sentimento: entrambi per paura d’essere respinti, entrambi ben consapevoli del fatto quanto una simile unione avrebbe provocato uno scandalo di proporzioni inaudite.
Mary adagiò la mano libera su quella dell’ambasciatore, la quale era poggiata sull’altra mano della ragazza. Fu un’unione di mani e di sguardi e di silenzi nei quali l’uno trovò pace nell’altra.
-Siete tornato.. è questo l’importante.- disse Mary con un tono di voce che fece sciogliere maggiormente il vecchio e palpitante cuore di lui.
Eustace chinò la testa eprese a mormorare:
-Sì sono tornato – ripeté quasi in un sussurro mentre sulle labbra di lei si dipingeva un sorriso adorabilmente dolce
-e non me ne andrò più-
Sarebbe rimasto a corte ancora un po’, se allontanarsi da Lady Mary pareva impossibile avrebbe dovuto rassegnarsi e celare quel che provava per lei. In fondo avrebbe continuato a svolgere il lavoro che tanto lo avevano occupato negli ultimi anni: preoccuparsi per lei, aiutarla in ogni difficoltà e rimanerle vicino.
Si accontentava di questo. L’avrebbe resa felice, avrebbe convinto il Re a cercare un ottimo partito per la principessa.
Mary sarebbe stata felice con un altro e non con lui, ma Eustace ne sarebbe stato ugualmente “soddisfatto”. La felicità di lei veniva prima della propria.
Questo era amore.

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