Le battaglie dei mutaforma -Alla ricerca degli scritti perduti.

di theplatypus_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo | ***
Capitolo 2: *** Capitolo ll ***



Capitolo 1
*** Capitolo | ***


 
                                                                                                            Capitolo 1




 
 
Il medico mi ha prescritto altri farmaci. Che io ovviamente dovrò prendere con regolarità, altrimenti finisco nella gabbia dei matti. Più che aiuto, suona più come un ricatto. Perchè quei farmaci mi intontiscono solo. E mi fanno ingrassare. 
Dicono che mi aiuteranno. Ma credo di poter sapere solo io cosa mi aiuterà. E di certo non sono quelle pillole che ti gonfiano come un maiale. 
Aspetto che la signorina Grass faccia uscire l'altro paziente, per entrare.
Dio, quanta tristezza mi mette questo posto. E' tutto troppo freddo. Persino i quadri, se così li posso chiamare. 
Faccio tamburellare le dita sui jeans a ritmo di quella canzone country che ho sentito ieri sera in radio.
Già, ieri sera era stato piuttosto fico. Niente pillole, niente ramanzine e niente psicologi o dottori che si tenevano alla larga da te. Solo io e quella canzone. 
Dopo che ebbi finito di mangiare, aspettai che mia madre chiamasse papà a telefono e me ne sgattaiolai fuori dall'appartemento per correre in macchina.
Era da un mese che non me ne stavo un po' per i fatti miei. 
Allo scattare della porta, alzo il viso verso James. Ci eravamo scambiati giusto qualche parola per sapere come ci chiamavamo e che malattie avavamo:
- Bipolarismo - aveva detto.
- Ho tentato il suicidio -.
Mi aspettavo un'altra faccia scandalizzata, ma lui si limitò a fare spallucce e un saluto col capo.
Qui sono tutti simpatici. Tranne che i dottori e la segretaria.
Quando mi alzo dalla sedia, faccio scivolare le mie braccia lungo i fianchi per far passare di lato James. 
-Tutto apposto? - chiedo
- Tutto apposto -.
Sorrido e mi giro verso Miss. Grass. Non è che è antipatica, è solo che come tutti i dottori, porta la nausea. 
Nascondo un piccolo sospiro e, come da copione, mi vado a sdraiare sul lettino dei pazienti.
- Allora Kate...come ti senti oggi? -.
Sono stanca. Ho freddo. Sono stordita per colpa di quei farmaci del cazzo. Mi sento inutile. 
Ah, e grazie a te ho anche la nausea.
- Bene - mi limito a rispondere.
La signorina Grass fa scorrere la penna sul suo block notes, dove immagino avrà scritto che sono una povera malata in cerca di affetto.
- Se stessi davvero bene non ci sarebbe bisogno di farti venire qua, non credi? - pare un po' spazientita. Se si scoccia, le sedute possono finire qui.
- E' quello che mi dico anche io, sà? -.
Sospira. Poi si gira verso la scrivania e prende una caramella all'arancia. Se la ficca in bocca. Poi ne prende un'altra e me la porge.
- Vuoi? -
Odio le caramelle all'arancia. Sanno di medicina. E per i miei gusti ne ingerisco fin troppa. E' come se usassero quelle caramelle per far credere ai pazienti che sono solo innuocui dolcetti alla frutta, quando magari sono una concentrazione di farmaci. 
La prendo senza esitare, per far credere che non mi faccio tanti problemi per una caramella.
- Allora. Che ne dici se ti ripeto la domanda e tu cerchi di rispondermi sinceramente?-
Senza aspettare una mia risposta, mi ripone la domanda.
- Bene - ripeto. Di certo non vado a dire i miei pensieri contorti a una che puzza di caramelle d'arancia e che mi assilla ogni martedì. 
Sospira di nuovo.
- Che dobbiamo fare, Kate? - si avvicina verso di me con uno sguardo mieloso - Che dobbiamo fare per farti capire che siamo dalla tua parte?-
Socchiudo gli occhi, riflettendo un'attimo su quella domanda. Ci sono miliardi di risposte che potrei utilizzare, ma la più accettabile è:
- Lasciatemi vivere in pace. Lasciatemi vivere come se fossi una ragazza normale. Ho commesso un errore, è vero. Ma tutti ne commettono. In fondo è anche per questo se siamo esseri umani, no? -
Dirigo lo sguardo verso di lei, che a quanto pare la mia risposta l'ha fatta solo impietosire di più.
- Amo la tua saggezza, Kate. Ma quello che hai fatto non è un errore. O, almeno, per te non lo è. Tu eri intenzionata a farlo. E noi siamo qui per capire perchè l'hai fatto e per farti capire che sei una ragazza meravigliosa e piena di doti. -
Una ragazza meravigliosa e piena di doti. Strano, i miei compagni di scuola mi facevano capire che era il contrario. 
Senza dire niente, mi alzo, prendo la borsa e me ne esco dallo studio, lasciando la psicologa allibita.
Non vado lì a perdere tempo. Pensavo che, in fondo, dessero risposte sensate. E inceve mi vengono a dire tutto l'opposto di quello che mi aspettavo.
Se ero meravigliosa, non avrei fatto quello che ho fatto. Se ero meravigliosa sarei stata accettata per quello che ero. Se ero meravigliosa, avrei almeno baciato un ragazzo.
E questo non è mai accaduto. Forse prima di diventare pazza, avrei avuto qualche possibilità. Ma come ho detto, queste possibilità sono morte insieme alla mia stabilità mentale.
Sempre se ne ho avuta una. 
Tira freddo, così mi cingo meglio la sciarpa al collo. Le lacrime iniziano a solcarmi il viso, ma grazie al vento i passanti non se ne accorgono.
Cos'ho di sbagliato? E' come se qualcuno stessa assistendo alla mia vita e mi stesse tirando  sassi per farmi cadere. E una volta c'è quasi riuscito. Non voglio più sentirmi così.
Inizio a correre, talmente che sono disperata. Lascio cadere la borsa lungo il marciapiede, ma non me ne curo. Intralciava solo la mia corsa disperata verso casa. 
Quando arrivo sotto il portone a causa degli occhi grondanti di lacrime, non riesco a trovare la chiave per entrare.
Scaccio via le lacrime che mi offuscano gli occhi e metto a fuoco la chiave.
Apro il portone e quando mi ritrovo dentro casa, mi faccio scivolare sul pavimento. 
-Tesoro, sei in casa? - 
Era come risvegliarmi da un sogno: non mi ero accorta che mia madre era lì. Cerco di asciugare le lacrime dal viso e di far andare via il rossore dalle guance, senza grandi risultati.
Mi alzo e vado in cucina, dove mi aspetta mia madre intenta a "preparare" il pranzo per oggi. 
La trovo in mutande e canottiera, girata verso i fornelli.
Quando mi sente arrivare si gira di scatto e scaccia via una ciocca di capelli dal viso.
- Oh...sei qui, allora - dicee mentre si rigira verso la padella per rompere due uova.
Odio la superficialità di mia madre. So benissimo che il centro l'ha già chiamata, avvertendola del mio atto trasgressivo.
- Ho saputo della tua fuga -. Mi mordo il labbro. Che tatto, mamma.
Inizia a girare le uova nella padella, aggiunge il sale e viene a sedersi davanti a me.
Dopo che si è seduta comodamente con le braccia distese sul tavolo, mi rivolge un semplice:
- Beh? -
Beh cosa? Ho distrubi, cazzo. Se mi sento depressa, do' di matto. Il bello è che lei fa come se fossi una ragazza nella norma. Che non ho attacchi schizofrenici.
- Senti...sai com'è andata. Immagino che non ti avranno risparmiata di un dettaglio, quindi me ne vado in camera -.
Mi alzo, facendo strusciare la sedia sul pavimento.
- Ehi - mi sento bloccare il braccio. Mi giro e vedo mia madre che mi tira verso di lei. Cerco di trattenermi, ma la corsa mi ha sfinito; così finisco sulle gambe di mia madre.
- Voglio solo aiutarti -
-Non mi sembra che tu sia specializzata tanto in questo campo - mi scollo e dato che voglio una risposta da parte sua, rimango eretta davanti a lei, con le mani conserte.
La vedo abbassare la testa e portare una mano a scompigliarsi i capelli. Dice sempre che l'aiuta a riflettere.
- Sai che non sono il tipo di madre perfetta...sto facendo quello che posso -.
Alzo gli occhi al cielo e lascio cadere le braccia lungo i fianchi. Come dimenticarlo. Il triste racconto di lei sedicenne che viene messa incinta dal primo cafone che passa. Quando se ne usce con quella storia diventa sempre lei la vittima. Quella che non ha potuto partecipare al ballo della scuola perchè era incinta. Quella che ha avuto una figlia per errore. Quella che ha una figlia malata.
Sospiro e me ne vado. Mentre sto per salire le scale, però, la sento dire:
- Perchè non chiami quel tuo amico...com'è che si chiamava? Nate? -.
Mi blocco. Nate. Non ci parliamo da un bel po'. Diciamo pure che non ci parliamo da anni. Da quando ho tentato il suicidio non mi rivolge la parola. Non so se perchè ha paura o perchè i suoi amici lo prenderebbero per un pazzo come me. Decido di optare per la seconda. 
Salgo su per le scale e mi chiudo in camera mia. 
Entro a passo lento e mi lascio cadere sul letto, sospirando. Mi avvicino al telefono e lo inizio ad osservare. Non perchè sono talmente pazza da essere interessata ad un telefono, ma perchè sono combattuta per il fatto di chiamarlo oppure no. 
Cosa potrei dire?
'Ehi, Nate. Ti ricordi di me? Sono Kate. La tua ex migliore amica, quella che hai lasciato sola mentre doveva combattere per salvarsi da sè stessa. No, eh? Beh, ci si vede'
Sospiro e butto il telefono sul letto. Poi, d'istino mi alzo, prendo la borsa e scendo le scale.
- Io esco - urlo a mia madre, sperando che senta.
Apro la porta facendola sbattere e inizio a correre per il viale. Ricordo ancora la strada: andare dritto, svoltare a destra, continuare dritto ed infine girare a sinistra.
La pioggia continua a cadere incessantemente e ormai i miei capelli grondano di acqua.
Quando arrivo davanti il portone, scosto una ciocca umida dall'occhio e busso.
Aspetto cinque minuti sotto la pioggia, in attesa che qualcuno mi apra. Infine esito per un momento e ribusso. 
Aspetto altri cinque minuti invana. Nessuno risponde, nessuno mi viene ad aprire. 
Ho capelli talemente bagnati che il mio occhio è mezzo aperto a causa di una ciocca di capelli che lascia cadere gocce d'acqua. 
Faccio per andarmene, quando la porta viene aperta.
Mi giro e vedo Nate in pantalone da tuta e una canottiera sporca di unto.
Quando mi vede la sue espressione è un misto di sorpresa e confusione. Esita per cinque minuti, poi decido di rompere il silenzio.
- Ti dispiace? - faccio un cenno col capo all'interno di casa sua.
Nate non cambia espressione, ha le ciglia ancora aggrottate; tuttavia mi fa spazio e mi lascia entrare.
Quando entro resto impalata ad osservare casa sua. Nonostante gli anni passati, è rimasta la stessa di sempre. Emana ancora quell'odore di pane.
Come svegliata, poi, mi tolgo il giaccone bagnato e lo poggio sul braccio.
- Da' qua -Nate mi parla. Ed è strano tutto ciò, perchè non mi parla da anni e la prima cosa che riesce a dirmi è 'Da' qua'. Lo guardo intensamente, mentre appende il mio giaccone all'attaccapanni.
Poi avanza in soggiorno, dove la televisione è accesa ad un volume altissimo. E' una partita di calcio. Non riesco a definire le squadre a causa della mio disinteressamento a quello sport. Immagino che non mi abbia risposto subito alla porta perchè il volume è troppo alto.
Con saggezza, Nate decide di prendere il telecomando e di abbassare. 
Mi fa un cenno per dirmi di sedere sul divano. Accetto la sua proposta e lo osservo ficcarsi in bocca delle patatine. 
Poi, dopo aver dato un ultimo sguardo alla partita, decide di sedersi sul divano accanto a me. 
Il mio petto si alza e si abbassa freneticamente a causa della situazione. E' abbastanza imbarazzante, perchè non mi aspettavo così la nostra riconciliazione. E' solo che ho bisogno di qualcuno con cui sfogarmi...e lui è l'unico di cui possa fidarmi. Almeno lo era.
Esito un attimo e poi dico tutto d'un fiato:
- Ho bisogno di parlarti -.
Si gira verso di me e mi guarda con i suoi occhi nocciola. Prima mi rassicuravano, adesso aumentano solo la mia agitazione. Probabilmente è anche colpa dei farmaci. 
- Dimmi -.
Poi prende il telecomando e spegne definitivamente la televisione. 
Diavolo, non me lo aspettavo da un ragazzo.
Scrocchio le mie dita, cercando di trovare le parola giuste. Infine sospiro.
- Beh... - Nate mi guarda intensamente e il mio disagio cresce.
Intreccio disperatamente le mie mani, cercando di non fare una figura di merda.
Apro e chiudo la bocca senza accorgermene e questo rende nervoso anche Nate, che si fa più vicino.
Mi mette un braccio intorno alle spalle.
- N-no - lo scaccio e mi allontano.
- Kate...che ti succede? -.
Mi alzo innervosita. Cerco di calmarmi, ma quello che sento è solo la rabbia che mi ribollisce all'interno. Dopo tutti questi anni solo adesso riesce a chiedermi 'Che ti succede?'. 
Senza riflettere lo spintono contro lo schienale del divano e gli tiro uno schiaffo.
- Bell'amico sei! - stringo i pugni, tentando di calmarmi e di riportare la mia respirazione normale. 
Nate si tiene la guancia ormai rossa e lo sguardo basso.
- Oddio, scusami... - 
Mi avvicino allungando le braccia, sperando che non ce l'abbia con me. Fortunatamente mi lascia libero accesso alla sua guancia accaldata.
Corro in bagno a prendere una pezzetta bagnata e ritorno da lui. Mi siedo cautamente sul divano e gliela porgo sulla guancia.
Non ho dato l'impressione di una ragazza che ha ripreso il controllo di se stessa. Ho sbagliato tutto. Avevo bisogno solo di un abbraccio e invece ho schiaffeggiato il mio ex migliore amico.
- D-davvero scusami - la mia mano che passa la pezzetta bagnata sulla sua guancia trema, e a quanto pare anche Nate lo capisce perchè me la prende dalla mano e inizia a raffreddarsela da solo. 
- No, fa niente... -.
E' così freddo. Se avessi fatto una cosa del genere qualche anno fa, mi avrebbe iniziato ad insultare e a tirarmi cuscini in testa.
Avrei preferito mille volte un calcio. 
Non sapendo cosa fare, mi alzo e lo resto a guardare per un po'.
Che fosse un bel ragazzo tutti lo pensavano. Altrimenti come spiegarsi tutta la fila di ragazze che gli andava dietro? Solo che lui non aveva mai avuto occhi per nessuna di loro.
- Beh...io vado - dissi riprendendo la borsa caduta a terra.
Sospiro, abbasso lo sguardo e dopo un secondo mi ritrovai le braccia di Nate che mi avvolgono in un abbraccio che avevo desiderato da fin troppo tempo.
Quasi non ci credo e, mentre cerco di chiudere la bocca per la sorpresa, ricambio, circondando le sue spalle con le mie braccia. 
- Va tutto bene, Kate. -

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Capitolo 2
*** Capitolo ll ***


 
 
                                                                                   Capitolo ll
 
 
Scribacchio sul quaderno il tema assegnatoci, ma sono talemente frustata, che le due righe scritte in mezz'ora mi rimbombano nella testa.
Porto la mano nei capelli e li scuoto, come per imitare mia madre. 
 

'La sera prima.
Mi siedo goffamente sulla sedia della cucina e aspetto che mamma porti la cena in tavola.
Arriva trafficando con bicchieri, posate, piatti ed infine posa davanti a me un hamburger bruciacchiato e delle patatine surgelate.
Inizio a portarmene una alla bocca, quando mia madre inizia a parlare.
- Stavo pensando... - tradussi io: il centro pensava... - di farti cambiare aria, almeno per un po' -.
Alzo la testa, per guardarla negli occhi, ma non smetto di masticare la patatina.
- Decifra 'farti cambiare aria' - le dico, tagliando un pezzo di hamburger. 
Mia madre sospira e porta le mani in aria.
- Senti, domani partiamo e ce ne staremo per un po' in un bungalow, okay? -.
Okay? Mi chiede anche se è 'okay'? 
La cosa è abbastanza prevedibile: la fuga deve aver allarmato un po' tutti e vogliono evitare qualsiasi altro atto drammatico.
- Mmm - annuisco svogliatamente.
Con la coda dell'occhio la vedo abbasare la testa e, se i miei problemi non hanno attaccato anche la vista, mi pare di vedere una piccola lacrima bagnare la tovaglia.'

 
Guardo l'orologio sul computer affianco al quaderno e quasi mi viene un colpo: le quattro meno dieci. Tra qualche minuto mia madre arriverà e mi trascinerà nella sua renault per portarmi in una prigione all'aperto.
Rinuncio alla possibilità di concludere il tema e chiudo il quaderno, prendo il computer, qualche libro, il mio ipod e li ficco distrattamente in uno zaino. Prendo la mia vecchia valigia bordeaux e inizio a piegarci dentro qualche vestito. 
Mentre sto per posare una maglietta nell'angolo della valigia, trovo in una tasca di essa una piccola collanina. La guardo attentamente e la getto sul letto, il più lontana possibile da me. 
Me l'aveva regalata mio padre per il mio decimo compleanno. Poi, esattamente un anno dopo, i miei si sono separati e lui si è risposato. 
Inutile dire che quel gesto ha contribuito a farmi diventare pazza e, probabilmente, alla mia continua ostinazione nel rifiutare  gentilezze da mia madre. Chi si affeziona troppo, ci finisce sempre per rimanerci male...in un modo o nell'altro.
Tanto per, mia madre arriva armeggiando con borse e valigie di tutti i tipi, davanti la porta della mia stanza.
-Pronta? - dice, mentre si lega i capelli in una coda frettolosa.
-Si - dico, prendendo lo zaino in spalla e facendo trascinare la valigia sul pavimento.
Ci dirigiamo verso il portone di casa e, proprio mentre mia madre lo sta per chiudere, riesco a dare un'ultima occhiata a quello che era il soggiorno di casa mia.
Dopo essere riuscite a ficcare tutti i bagagli nel retro della macchina, saliamo sui nostri sedili e mia madre accende il motore.
Un lungo viaggio solo a pensarci. Non tanto per la durata in sè. E Kiss Me di Ed sheeran non aiutava granchè.
 
                                                                                                                                                                         **
Non mi ero accorta di essermi appisolata durante il viaggio, così la scrollatina di mia madre, abbastanza violenta, mi sveglia con un sussulto.
Guardo fuori dal finestrino: un bungalow bianco è circondato da un piccolo ma grazioso giardinetto e il muro di pietre è coperto, in parte, da un'edera verdeggiante. Il tutto sembra una bellissima cartolina; magari sarei stata anche contenta di trascorrere qualche settima in questo posto, se non fosse stato per il fatto che io sono qui perchè me l'ha consigliato un medico. 
Quando apro lo sportello, inspiro a pieni polmoni quell'aria fresca e d'un tratto mi sento meglio. Prendo lo zaino e mi dirigo verso il portone del bungalow. 
Mia madre è intenta a scorrere con le dita il mazzo di chiavi, in cerca di quella giusta.
Quando la trova fa un piccolo esulto di gioia e infila la chiave nella serratura. 
Spingo la porta e mi ritrovo in un corridoio con un parquet in legno finissimo. Entro e do' un occhiata all'interno: la cucina e il salone sono in comume, c'è un bagno e una camera da letto. Ma la cosa che fa nascere dentro di me una piccola luce di speranza è il camino nel salone-cucina.
Mi immagino già, seduta su una sedia con i piedi posati sul bordo, a leggere. 
Non è un granchè come bungalow, ma è comodo. Mamma deve aver speso tutti i suoi risparmi da cassiera per questa piccola abitazione.
Poso la giacca sullo schienale di una sedia ed esco dalla casa per prendere della legna, vicino al portone. Rientro con tutti gli arti ancora funzionanti per miracolo e la posiziono nel camino, in modo da accendere un bel fuoco.
- Non è male, vero? - dice mia madre, guardando il frigorifero aperto - peccato che non ci sia nulla da mangiare - dice, quasi vergognandosi.
Evidentemente deve aver speso davvero tutti i risparmi che aveva. Quasi mi sento in colpa. Quasi. 
Devo dedurre che resterò digiuna. Ed è in questi momenti che mi pento di non aver finito le salsicce a pranzo.
Sospiro e prendo dei fiammiferi dalla credenza. Ne prendo uno e lo faccio strusciare sulla scatolina. Butto il fiammifero tra la legna e la guardo prendere fuoco. 
Mi sento già le guance accaldate, quando le tocco con le mie mani. Vedo mia madre frugare nella sua borsa, cacciare il suo portafoglio e cercare di non ammettere di essere senza soldi. 
Quando si accorge che la sto fissando, mi sorride con pietà. Quasi come se si volesse scusare. 
Ma non ce la faccio a ricambiare...ne ho visti troppi di quei sorrisi. E non premettono mai niente di buono. 
                                                                                                                                                             
                                                                                                                                                                        **
 
E' una sera calma e placida; si sentono le lucciole là fuori e, qualche volta, ne ho vista qualcuna dalla finestra.
Le fiamme sono belle alte e riscaldano i miei piedi in modo meraviglioso. Sfoglio una pagina del libro che sto leggendo e mi lascio sprofondare sulla sedia.
Mamma è uscita con la scusa di dover comprare qualcosa da mangiare, ma non vedo come sia possibile dato che è senza soldi. 
Probabilmente sarà andata a fare una passeggiata.
Non mi accorgo dell'ora che si è fatta, fino a quando non vedo sull'orologio: mezzanotte passata.
Inizio seriamente a preoccuparmi su dove possa essere finita mia madre.
Poso il libro e prendo il cellulare dai pantaloni, provando a chiamarla. Niente, suona ma non risponde.
Poi sento un suono. O meglio, una musichetta. Stranamente la riconosco. Il che è strano, perchè è molto semplice. E' un semplice squillare di trombe. 
Poi capisco. Corro ad aprire la porta e trovo mia madre seduta sugli scalini, con il suo cellulare che squilla e una bottiglia di vodka vicino. 
La guardo ed ho molta pena. Non mi ero mai accorta di quanto stesse male, sia per me che per papà. Insomma, ho sempre pensato che loro si amassero, e probabilmente anche mia madre. Poi bum. Tutto a un tratto finisce quell'amore: iniziano a litigare, neanche più un bacio la mattina. Tutto finito. 
E poi ci sono io. Io. La ragazza che da' solo problemi. Probabilmente se non fossi me, mi terrei anche io alla larga come gli altri. Eppure mia madre non l'ha mai fatto. Ho sempre cercato di essere distante per non affezionarmi come è successo con papà, ma solo ora mi rendo conto che lei ha bisogno di affetto.
Mi siedo affianco a lei e le tolgo la bottiglia da vicino.
-Questa la prendo io - dico, quasi sorridendole.
Lei ricambia, ma sembra più un sorriso che chiede scusa.
Poi si alza, prende il telefono e entra. La seguo con gli occhi, per poi farlo direttamente con il corpo.
La vedo piegarsi sul tavolo e imprecare, poi si asciuga le lacrime dal viso e mi guarda.
- Dai sempre la colpa a me! Ma vedi, tu non sei molto d'aiuto! Mi fai sentire una nullità! Io non so più come fare... ci sto una merda. Tutto è una merda - dice mamma tutto d'un fiato. Mi guarda con fare accusatorio. 
- Senti, lo so...- ma non mi lascia finire e continua.
- No, non voglio sentire più i tuoi insulti. Sono stanca! Perchè devo avere io una figlia pazza?Una che ascolta dalla mattina alla sera solo musica e che legge solo quei cazzo di libri! - fa un cenno con la mano verso il mio zaino - Cos'ho fatto di male, eh? Vaffanculo Kate! Vaffanculo a te, tuo padre, il tuo ipod e i tuoi libri!- così facendo, prende il libro che stavo leggendo qualche minuto fa e me lo getta nel fuoco. Lo guardo bruciare, fino a diventare cenere. 
Mi sento inutile. Se prima pensavo che la vita fosse ingiusta, beh adesso fa completamente schifo. Cerco di rimanere impassibile a quelle parole, ma semplicemente piango. Inizio a piangere per il dolore. Tutto il dolore che si è insidiato dentro di me. Che voleva sempre uscire, ma che io non ho mai permesso. Ed ora non ce l'ho fatta a trattenerlo. E' stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Prima avevo quasi tutti contro di me. Adesso anche mia madre. Sinceramente non mi stupisco se ho tentato il suicidio, perchè lo rifarei in questo preciso momento. 
Vedo mia madre venire verso di me, aprire le braccia, cercare di farsi perdonare.
Ma no, non ci riesco. Semplicemente me ne vado a letto piangendo.
 
                                                                         
                                                                                                                                                                    **
 
E' strano tutto ciò che sogno. Fin troppo. Non ero mai stata una ragazza con una fervida immaginazione, nonostante leggessi solo libri di avventura e fantasy.
Eppure quel sogno fu l'avventura più pazzesca che avessi mai letto.
Sto dormendo e qualcuno mi sveglia con una mano calorosa sulla spalla. 
- Ehy Hailey, svegliati -.
Ok, questo è davvero strano. Perchè, insomma...la gente non sogna mai di chiamarsi in un altro modo.
Sbatto freneticamente gli occhi e, quando metto a fuoco il luogo in cui mi trovo e colui che mi ritrovo davanti, quasi mi viene un colpo.
- Hailey? Ehy, ci sei? Mi sa che il vino di ieri sera ti ha dato alla testa - dice il ragazzo che mi trovo davanti.
-Chi è Hailey? - biascico.
Il ragazzo scoppia a ridere e mi tocca la punta del naso con l'indice.
- Si, direi di si - dice, continuando a ridere e porgendomi una fetta di pane con una tazza di latte.
- Prendi...direi che servono più a te che a me - lo guardo stralunata e con difficoltà prendo ciò che mi porge.
Inizio a masticare, ma solo quando ho finito di bere il latte mi rendo conto di dove mi trovo.
E' un prato verdeggiante, con in fondo un bosco. Intorno a me c'è una specie di campo, tronchi usati come sedie e delle tende. Tende ovunque.
Ingurgito l'ultimo pezzo di pane (mangio piuttosto in fretta, dato che la sera prima non avevo mangiato) e chiedo:
- Ma...cosa diamine succede? -
Il ragazzo di cui non so ancora il nome, ma la situazione mi dice che lo dovrei sapere, inizia a ridere ancora più fragorosamente.
Poi, vedendo il mio sguardo serio, aggrotta le sopracciglia e inizia a dire:
- Wow, non ricordavo che ne avessi bevuto così tanto- alza le sopracciglia - comunque...beh, niente. Siamo accampati per attaccare l'esercito di Yra, una regione del Paese abitati da esseri ripugnanti e tu sei una delle infermiere e una delle più brave guerriere che io abbia mai visto - dice con un ghigno sulle labbra.
- Che? - dico, quasi cadendo dal tronco.
- Guerriera -.
All'inizio mi scandalizzo abbastanza, poi però ricordo che tutto è un sogno e mi lascio trasportare come se fosse normale.
Annuisco senza pensare e mi alzo.
- Dove vai? L'infermeria è dall'altra parte - mi dice sorridendo.
Porto una mano sulla fronte, come per 'uuh, che imbranata' e me ne filo via, sentendolo biascicare su qualcosa che aveva a che fare con il 'troppo vino' e 'devo diminuire le dosi'.
Giro intorno al campo e, per trovare l'infermeria, entro in diverse tende, tutte ovviamente sbagliate.
Ed ogni volta, tutti mi salutano con vigore, quando io non so nemmeno chi sono.
Dopo svariate figuracce, riesco a trovare l'infermeria. Puzza molto, ma è fresca.
 Gironzolo tra i lettini, ma i pazienti non sembrano troppo feriti: chi ha qualche graffio, chi ha mal di stomaco, chi ha un forte emicrania, o chi semplicemente è venuto per le infermiere che stanno riordinando gli antibiotici in un armadietto.
Mi avvicino a loro con timidezza, quasi avendo paura.
Vedo quella mora girarsi indispettita e guardarmi con le sopracciglia alzate.
- Beh? - inizia -Hayley, è tardi, cribbio! -
Mi prende per mano e mi trascina in una stanzetta buia e fredda.
- Cambiati in fretta, sai che dopo ci sono le iniezioni - dice, girando i tacchi e lasciandomi sola con una divisa bianca sull'avambraccio.
Inizio a togliermi una giacchetta che non ricordavo di avere e, mentre estraggo il braccio dalla manica, un pezzo di ferro sul muro me lo graffia.
Inizia a uscire del sangue, ma non me ne preoccupo più di tanto. Insomma, quelle due ragazze sembrano saperla lunga sul sangue e sulle bende. E, anche se è solo un sogno,  io stessa ,in teoria, sono un'infermiera.
Inizio a sentire un lieve bruciore su quel punto e mi accorgo che la ferita è abbastanza profonda.
Poi capisco. In genere in un sogno non provi dolore.
E proprio quel dolore mi fa capire che quello non è affatto un sogno


   ** 


 Emh...allora, devo dire che questa storia mi piace ouo
Abbiamo visto che Kate è pazza e che ha qualche problema con la sua famiglia. Tant'è che le parole della madre la feriscono molto. 
Poi...il sogno. 'Il sogno' non è un sogno lol
Poi capirete nei prossimi capitoli come fa ad accadere tutto ciò ewe
Quiindi, beh recensite in tanti c': fatemi sapere se vi piace o meno la storie e mettete tra preferiti, ricordate e sguite adsj
Al prozzimo capitolo ouo
                                             

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