The stranger.

di DK in a Madow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The stranger. ***
Capitolo 2: *** The moment. ***
Capitolo 3: *** The eternity. ***



Capitolo 1
*** The stranger. ***


The stranger.








17 marzo 1975; Seattle Center Coliseum, Seattle.



- It's been a long time since I rock and rolled, it's been a long time since I did the Stroll!
Folla. Una folla immensa al loro cospetto. Seattle bruciava dietro la voce e le parole di Robert, Jimmy dietro di lui misurava il palco saltando e correndo, mentre Jonesy e Bonzo trascinavano tutti nel loro ritmo incalzante fino a portarli all’apice dell’adrenalina.
Robert continuava a cantare e nel frattempo con lo sguardo fotografava ogni singola espressione dei volti che componevano il grande pubblico di fronte a lui. Canzone dopo canzone sentiva l’eccitazione montargli addosso fino a bruciargli il petto nudo, iniziando così a sudare.
Non era nemmeno iniziata The Rain Song che ebbe un sentore, un allarme; c’era qualcosa, o qualcuno, di maledettamente familiare nel pubblico.
I suoi occhi presero a scrutare felini tra la gente fino a quando non si soffermarono alla loro destra, dove una nuvola di fumo si alzava leggera all’estremità delle prime file.
Lo vide. Lo fissava con interesse, quasi stesse analizzando la sua performance, con una canna tra le labbra e gli occhi turchesi stretti in uno sguardo concentrato.
Non posso crederci, che cazzo ci fa qui?” pensò continuando a cantare, anche se la sua voce era diventata improvvisamente nervosa, tesa. Sentì gli occhi di Jimmy sulla propria nuca, poteva quasi vedere il suo sguardo turbato nonostante gli desse le spalle. Cercò di darsi una calmata, concentrandosi sulle parole e lasciandosi rubare dal ritmo.
Il concerto andò avanti e si concluse tranquillamente; Robert aveva dato ogni fibra di sé anche quella sera, nonostante lui lo fissasse come se fosse una specie di leopardo che punta la preda. Non lo aveva imbarazzato, anzi. Effettivamente, esso stesso non riusciva a ritenersi una persona timida. Guardò un’ultima volta verso la platea, ma quegl’occhi azzurri erano già scomparsi, chissà dove.


Si erano incontrati per caso. Lui, biondo e magro, era ancora un roadie preciso e amante della chitarra. Se ne stava silenzioso a guardare e ad accompagnare quattro giovani di Cambridge, come lui, immersi anima e corpo nella scena psichedelica degli ultimi anni sessanta.
Robert, invece, era riuscito ad infilarsi nel backstage per godersi lo spettacolo da più vicino. Non che ammiccasse a quella psichedelia, che invece sembrava infuocare gli occhi neri del bel giovane che cantava sul palco, ma quei testi lo affascinavano e lo spingevano a godere da ascoltatore di quella musica così “celeste”.
“Hey, che ci fai qui? Nessuno può entrare nel backstage!”
Plant si voltò verso il roadie con sguardo innocente.
“Ce l’hai con me?” chiese indicandosi il petto.
Il giovane dai capelli color grano gli si avvicinò; Robert credeva lo avrebbe cacciato fuori a pedate. Non che fosse più alto di lui, ma di certo era un po’ più robusto e abbastanza forte da prenderlo a calci in culo. Non sapendo che fare, sfoderò un sorriso ammiccante. Magari gli andava bene. Quando gli fu vicino, vide che il ragazzo non era per niente arrabbiato; anzi sembrava che lo stesse supplicando con lo sguardo.
“Ti prego, non mettermi nei guai. Se vuoi stare qui non fare casino, altrimenti ci cacciano entrambi a calci nel sedere!”.
Robert sorrise trionfante. Gli era andata meglio di quanto avesse previsto.
“Fidati di me!” disse, dando una generosa pacca sulla spalla dell’altro, che nel frattempo aveva tirato fuori un pacchetto di sigarette.
“Vuoi?”
“Grazie!” esclamò Robert, afferrando una sigaretta dal pacchetto del ragazzo. “Lavori da molto con loro?”.
“Sì!” rispose il roadie buttando fuori la prima nuvola di fumo: “Io e Syd abbiamo anche frequentato la stessa scuola … è il cantante!” precisò, notando lo sguardo interrogativo dell’altro.
“Ha talento!” disse Plant sincero.
“Già!” confermò l’altro abbassando lo sguardo per fissarsi le scarpe.
Robert non se lo fece scappare.
“E tu? Cosa sai fare?”
“Suono la chitarra. Sia classica che elettrica. Da quando ho lasciato la scuola, è diventata il mio pane quotidiano. Sono andato anche a Parigi, vivendo come artista di strada. Lo stesso ha fatto Syd.”
A bocca spalancata, Robert fissava ammaliato il ragazzo.
“Parigi?”
“Sì” confermò l’altro: “È meravigliosa! Tu invece che fai? Oltre a imbucarti ai concerti, ovviamente!”
“Canto e sono determinato a farmi sentire fino alla fine del mondo.”
“Ambizioso!”
“Tanto. Tu non lo sei?”
“Io sono un sognatore.” disse il roadie sorridendo dolcemente. “Oh, cazzo, hanno finito! Credo sia meglio che tu vada via!”
“Perché?”
“Oh, ti prego!” insistette il biondo, iniziando a spingere Robert verso l’uscita del backstage. Ci riuscì, aprì la porta che dava sul parcheggio e uscì fuori tirando l’altro con sé.
“Scusami, ma dovevo farlo, altrimenti mi cacciano. Ora devo tornare!”
“Aspetta!”
Robert lo afferrò per un braccio, lui gli rivolse uno sguardo confuso.
“Come ti chiami?”
“David.”
“Oh!” sussurrò Plant avvicinandosi “Grazie per avermi fatto vedere il concerto, Dave!” e così dicendo, gli diede un bacio a stampo sulle labbra carnose. Si allontanò correndo, la chioma riccia che ondeggiava nell’aria notturna.
“E tu? Come ti chiami?”
Arrestò la corsa.
“Robert Plant!” urlò, ormai lontano di qualche metro: “E, vedrai, un giorno sentirò parlare di te!”
“E io di te!”
Robert sorrise fiero e riprese a correre, mentre David rientrava nel backstage.


“Ho sentito dire che pubblicherete a Settembre!”

“Esatto!”
Robert si bloccò nel corridoio che portava al backstage.
Cristo, è qui!”
“E come si chiamerà l’album?” stava chiedendo Jimmy, la voce gracchiante di chi ha la gola secca.
“Veramente abbiamo solo qualche canzone, non so se si possa ancora parlare di album. Comunque abbiamo un pezzo che potrebbe funzionare anche come titolo per l’album, Wish You Were Here.”
“Hmm, bel titolo!”
Sì, era David, e a Robert non era sfuggita la nota amara che aveva attraversato la voce del chitarrista nel dire quel titolo. La storia dei Pink Floyd non era un mistero per nessuno, ormai, quindi poteva comprenderne le ragioni. Prese fiato e si decise ad entrare nel backstage.
Lì, tra groupies, organizzatori e roadies, ritrovò i suoi compari, tra cui Jimmy che parlava tranquillamente con Dave, seduti su un divanetto davanti a parecchie birre gelate.
“Salve, Dave.”
David alzò lo sguardo verso Robert, il quale gli rispose con un sorriso venato di malizia, come lo era stato il suo saluto. Il chitarrista sorrise dolcemente da dietro la folta barba che gli ricopriva guance e mento, si alzò e gli porse la mano. Il cantante la strinse con forza e decisione, spazzando via ogni traccia d’incertezza che aveva caratterizzato il loro incontro di qualche anno prima. Nel frattempo, Jimmy osservava la scena in silenzio mentre Bonzo afferrava una birra dietro l’altra e Jonesy andava a parlare con Peter che si trovava dall’altra parte della stanza. Page non aveva più fiatato, semplicemente aveva piantato le sue iridi verdi nel volto di Plant per capire da dove saltasse fuori quella malizia e confidenza rivolta a David.
“Sai, Jimmy. Io e Dave ci siamo conosciuti quando ancora eravamo degli sconosciuti” annunciò Robert passando un braccio attorno le spalle di Gilmour. Aveva notato la faccia interrogativa e leggermente contrariata di Jimmy e di certo non si sarebbe fatto sfuggire l’occasione di stuzzicare entrambi i chitarristi. “Lui era il roadie dei primi Floyd, mentre io ero un ragazzetto innocente, in cerca di fortuna, che s’imbucava ai concerti.”
Il cantante concluse il racconto rivolgendo una risata radiosa a David, il quale si grattò la testa imbarazzato, lo sguardo di uno che sta cercando una scusa per poter scappare via dalle grinfie di una persona appiccicosa.
“Ma che incontro fortunato!” esclamò Jimmy con una punta di sarcasmo, afferrando una birra e innalzandola alla loro salute. Robert ne afferrò due in fretta, ne porse una a David e i tre brindarono alla musica.
“Beh, io dovrei andare a fare una telefonata. C’è un telefono da queste parti?” chiese David dopo aver svuotato la sua bottiglia.
“Nel corridoio che porta ai camerini” disse Jimmy indicando l’uscita che si trovava di fronte a quella che portava al palco. Così, si congedò con i due, si alzò e si diresse verso le groupies, sedendosi in mezzo a loro, mentre David lasciava Robert dirigendosi verso il corridoio.
Ritrovandosi da solo, Robert ebbe il tempo di realizzare il fatto che David fosse davvero lì. Improvvisamente gli ritornò alla mente quel bacio innocente che aveva lasciato su quelle labbra pochi anni prima. Gli sembrò quasi di poterne sentire il profumo di sigaretta e la morbidezza di rosa. Si guardò intorno: Jimmy era come se non ci fosse, immerso tra le grazie delle ragazze, Bonzo era incollato alle birre e Jonesy parlava ancora con Peter. Decise di parlare con lui.
“Hey John, se mi cercate, sappiate che sono andato a cambiarmi.”
“Oh, ok Robert!” gli rispose Jonesy, prima di tornare a parlare con Peter.
Robert si avviò verso l’uscita e, prima di lasciare la stanza, diede l’ultima occhiata a Jimmy, il quale lo stava fissando con uno sguardo vuoto, freddo, per poi girargli definitivamente le spalle.
Plant sospirò, poi si buttò nel corridoio alla ricerca di David. Lo trovò dopo aver girato l’angolo che portava ai camerini, poggiato al muro che parlava al telefono a bassa voce. Si avviò verso di lui, il quale lo guardò con sguardo acceso, poi gli fece un cenno di saluto e lo superò. Quando gli fu alle spalle, notò che il suo petto, per un attimo, si era allargato e sollevato in un sospiro di sollievo. Era teso, e la cosa piacque particolarmente al cantante, che si mordicchiò le labbra con gusto, prima di avvicinarsi alla schiena di David.
“Sì Ginger, tesoro. Domani torno in Europa.” stava sussurrando alla cornetta con dolcezza, prima di sussultare silenziosamente appena avvertì la presenza di Plant alle proprie spalle e il suo naso esploragli il collo.
“Non è nemmeno iniziato il tour e già mi manchi, amore mio!”
“A-anche tu, cara.” rispose David, mentre Robert aveva preso a baciargli dolcemente la mascella.
“Amore mio, non ti stresserà troppo tutto questo lavoro?”
“Chi?” sussurrò con trasporto, mentre una mano di Plant scivolava pericolosamente lungo il suo basso ventre e avvicinando le labbra andava a sussurrargli nell’orecchio libero: “Mmmh, tesoro torna a casa!”
“Come chi Dave? Mi senti?”
“S-si, ti sento.” provò a dire mentre la mano di Robert ormai si stringeva spudorata contro il rigonfiamento del suo cavallo. “S-sto bene, niente stress” aggiunse, mentre prese a guardare disperatamente il corridoio pregando che improvvisamente non arrivasse qualcuno.
“Lo spero tesoro, anche perché abbiamo i preparativi per il matrimonio.”
“S-si, il ma-matrimonio.” balbettò, la mano che ormai si muoveva avida tra le sue gambe.
“Riattacca!” ordinò Robert sussurrando all’orecchio di Dave, il quale annuì come in trance.
“Chiamami prima di partire.”
“S-si. Tranquilla. Ora devo andare.”
Ginger non fece nemmeno in tempo a salutarlo con un “ti amo”, che David aveva riposto il telefono con violenza, girandosi di scatto contro Robert, il quale rise trionfante.
“Che cazzo ti passa per la testa, Plant?” disse infervorato, rosso di rabbia ed eccitazione, mentre inchiodava il cantante contro il muro.
“Beh, non mi è sembrato ti dispiacesse, Gilmour!” rispose provocante, mentre con le mani insisteva a volergli accarezzare il sedere. David, mani al muro e volto a pochi centimetri da quello di Robert, combatteva tra la sua voglia di fiondarsi affamato sul quel corpo fremente sotto il suo e il senso del pudore. Chiuse gli occhi, come un assetato che finalmente ha trovato l’acqua e ne gode a ogni sorso, cedendo ai tocchi esperti di Plant che ormai gli metteva le mani ovunque. Li riaprì e con uno scatto incollò il suo corpo infuocato contro quello dell’altro, premendo le proprie labbra contro quelle del cantante e schiudendogliele senza tante cerimonie. S’insinuò con la sua lingua nella bocca dell’altro, assaggiandone il sapore, dando inizio a una danza affamata fatta di tocchi, morsi, scontri.
“Ti facevo più timido, Dave!”
“Mi fai salire il sangue al cervello quando mi chiami così” rispose, prima di zittirlo nuovamente con altri baci.
Robert sentiva l’eccitazione crescere momento dopo momento. Spostò le labbra contro il collo del chitarrista, leccandone ogni singolo centimetro di pelle.
“Te lo dissi che avrei sentito parlare di te!” gli soffiò a pochi centimetri dal suo pomo d’Adamo, prima di mordicchiarglielo con gentilezza.
“Anche io ho sentito parlare di te, Plant” rise David, facendo scivolare una mano tra i capelli di Robert, mentre l’altra andava a posarsi lieve sulla sua erezione ancora fasciata nei pantaloni a zampa d’elefante: “Ma non solo come cantante!”
Robert si bloccò e guardò interrogativo Dave che invece gli sorrise beffardo prima di stringere con forza la propria mano sul rigonfiamento crescente dell’altro, che strizzò gli occhi e spalancò la bocca in cerca d’aria.
“Chissà se sono vere queste voci.” sussurrò malizioso.
“Vuoi provare, Gilmour?”












Angolo della demente:
Salve. ^^’
Ora vi chiederete, chi è sta deficiente che prima scrive boiate, le pubblica e poi se ne vergogna?
Io! *sventola la manina*
Lo so, non sono normale. Però sì, una spiegazione su come e da dove sia nata questa cagata, la meritate.
Bene il “come” è questo: sono fan sia dei Led che dei Floyd (ma va?).
Il problema è il “dove”: non so in quanti di voi conoscano la leggenda attorno a questa foto:

pdl

In molti hanno sempre sostenuto che fosse una foto che ritraeva, appunto, David, Paul e signora al concerto dei Led Zeppelin. Da qui è nata l’idea malsana di questa storia.

Poi, mi sono informata meglio riguardo la foto, che è stata scattata il 21 agosto del 1976.
Beh, il 1976 vi dice nulla?
Ecco, in realtà David, Paul e Linda stavano assistendo a un’esibizione dei Rolling Stones al Knebworth Fair, una specie di Woodstock che aveva luogo nel Regno Unito.
Però, da sempre, la leggenda vuole che in realtà il trio si stesse godendo i Led invece che gli Stones. Inoltre, vi sono in giro per il web svariate foto recenti che ritraggono David e Robert insieme.
Quindi mi sono detta, perché non fantasticare?
Chiedo davvero tanto, tanto perdono per questa boiata. Spero solo che vi abbia lasciato un sorriso sul viso, tutto qui. ^^
Addio! :D
Franny.

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Capitolo 2
*** The moment. ***


Non rispose a quella domanda. Si limitò a fissarlo, specchiandosi in quegli occhi accesi da un fuoco che lo pervadeva da capo a piedi. Il silenzio di quel momento era riempito semplicemente dai loro respiri affannati che si mescolavano, mentre Dave non mollava la presa su di lui. Sorrise di nuovo, questa volta con un’espressione rigata dal dispetto. Tolse le mani e si allontanò, poggiando le spalle contro il muro opposto a quello su cui aveva lasciato, affannato e deluso, Robert. L’espressione beffarda, aveva fatto posto a una di rabbia.
- Fanculo, Gilmour! – disse, la voce rotta dal desiderio rimasto insoddisfatto.
David non rispose, rimanendo fermo con le spalle contro il muro, le braccia incrociate sul petto ormai tornato a muoversi regolarmente. Vedendo che l’altro non dava segno di voler cambiare idea, Robert girò sui tacchi, si tolse di dosso la camicia già sbottonata fradicia di sudore e si avviò verso il camerino. David lo seguì con lo sguardo, lo stesso che non aveva perso di vista lo stesso Robert pochi minuti prima sul palco. Lo vide avvicinarsi ad una porta, quella del suo camerino, e solo allora si staccò dal muro, accelerò il passo e gli fu dietro non appena Robert aprì la porta. Questo, preso alla sprovvista, per poco non perse l’equilibrio, ma David lo afferrò saldamente per i fianchi, prima di lanciarsi sulle sue labbra quasi mordendole. Robert si fece scappare una risata compiaciuta, mentre affondava le mani tra i capelli setosi e lisci di Dave. Quel bacio divenne una lotta continua che faceva sbattere i loro respiri contro le guance, mentre Dave allungava un braccio verso la porta e la chiudeva rumorosamente. Robert strinse l’altro contro di sé, lasciando che lo sbattesse violentemente contro il muro. Allontanò le labbra per un istante per riprendere fiato, cercando di scrutare lo sguardo di David nella penombra del camerino illuminato solo da una piccola lampadina posta sopra lo specchio di fianco a loro, trovandolo acceso della stessa lussuria che sicuramente illuminava i suoi.
- Cristo, che labbra! – esclamò spudorato, disegnando con un dito il contorno della bocca, seminascosta dalla barba, di David, il quale rispose poggiandole famelico sulla pelle morbida e ancora sudata del collo di Robert, che prese a muoversi contro il chitarrista, strusciando il bacino contro la sua coscia. Con le mani, prese a percorrere il petto di Dave da sotto la maglietta nera, trovandolo morbido e bollente, non esattamente atletico, ma sicuramente accogliente. Poi, tornò ad armeggiare con l’orlo della maglietta e gliela sfilò via, facendo così ricadere i lunghi capelli color grano sul viso.
- Hai fretta? – esordì Dave dopo esser rimasto per tanto tempo in silenzio, mentre Robert armeggiava con i suoi jeans. La sua voce, arrochita dall’affanno, aveva aggiunto una nota di sarcasmo che Robert non si fece sfuggire.
- Effettivamente, credo che qualcuno di là stia lottando contro l’istinto omicida e la voglia di farmi il culo – rise Robert, la voce tesa di chi ha fretta.
David rise di gusto, mentre l’altro, chinatosi di fronte a lui, lo liberava degli stivali e, con un solo gesto, dei pantaloni e delle mutande, guardandolo dal basso verso l’alto con uno sguardo affamato.
- A quello ci penserò io! – dichiarò il chitarrista, afferrando il cantante per le spalle, sollevandolo e mettendolo faccia al muro. Aderì col petto alla sua schiena e nel frattempo percorreva a mani aperte il torace asciutto dell’altro, facendole scivolare lentamente pantaloni neri, togliendoglieli. Nel risalire, passò le dita callose dalle caviglie fino ai glutei di Robert, massaggiandoli sensualmente.
- Ah, la delicatezza dei Floyd – sospirò il cantante – Non la capirò mai! – aggiunse mentre portava una mano indietro. Trovò subito l’erezione dell’altro, la strinse senza ombra d’incertezza o vergogna, carezzandola. David lo imitò, mentre l’impazienza lo portava a muoversi col bacino nella mano di Plant, il quale aveva iniziato ad ansimare pesantemente. David avvicinò le labbra rosee al suo orecchio.
- Voglio sentire la tua voce.
- Non ti è bastato sentirla per un concerto intero? – gemette Robert, cercando di mantenere il tono basso, nonostante le dita di David, strette sul suo membro, l’avrebbero portato dì lì a poco a urlare come se fosse la sua Fender.
- No! – soffiò David tra i capelli ricci dell’altro, respirandone il profumo a pieni polmoni. Nel frattempo, portò l’altra mano vicino all’apertura dell’altro, l’intenzione di volerlo preparare fino a quando non gli avrebbe supplicato di prenderlo. Robert, però, staccò la mano con cui lo stava accarezzando e gli bloccò il polso.
- Non c’è tempo ... – sospirò, il respiro che s’inspessiva con lo scivolare degli attimi e della mano di David tra le sue cosce – Prendimi, Dave.
Quella frase, quel suo gemere quasi da puttanella, quella voce pregna di malizia arrivò alle orecchie di David come se la stesse ancora sentendo da un amplificatore, chiara eppure sporca di sesso e l’aria sembrò colorarsi di rosso. Quelle parole, il suo nome sospirato in quel modo, lo portò quasi ad uncinare con le dita i fianchi rotondi dell’altro, entrandogli dentro con furia.
 - Cazzo! – imprecò Robert a denti stretti, l’urlo soffocato male gli uscì fuori come un tuono, accompagnando i gemiti sabbiati di David, il quale gli riservò la premura di fermarsi un attimo e di asciugargli una piccola lacrima che gli rigava la guancia destra, mentre la sinistra rimaneva premuta contro la parete. Dopo pochi istanti, Robert recuperò un po’ di fiato e prese a muoversi piano contro David, che lo assecondò prima con dolcezza, poi con trasporto, fino a quando le sue spinte non si fecero possenti e irregolari, mentre la sua mano ancora stretta sull’erezione dell’altro continuava a scivolare su e giù velocemente.
La stanza, pregna dell’odore di sudore, andò a riempirsi dei loro gemiti; più quelli di David diventavano rochi e possenti, più quelli di Robert diventavano acuti e sguaiati.
- Dave! – urlò ancora Robert, prima che una scossa gli attraversasse l’inguine, trascinandolo verso un profondo orgasmo. David, invece, continuava a gemere ad occhi chiusi sulla spalla dell’altro, fino a quando, stringendo le proprie braccia attorno al petto di Robert, non venne anche lui. La stanza tornò silenziosa, fatta eccezione per i loro respiri pesanti che dopo un po’ tornarono regolari. Rimasero contro quel muro, guancia contro guancia, sentendo il cuore muoversi, l’uno contro la mano e la schiena dell’altro. Il resto era tranquillo, completa quiete, fino a quando l’aria non venne rotta come un cristallo da un rumore di passi che da vicino la porta si allontanavano nel corridoio.
- Merda! – sussurrò Robert, deglutendo rumorosamente.
David gli si staccò di dosso, si sedette sul pavimento, intrecciando una mano in quella di Robert, invitandolo con lo sguardo tornato più celeste di prima, a sedersi tra le sue gambe. Lo abbracciò di nuovo, con tenerezza, affondando il naso tra i capelli dell’altro, cullandolo lieve.
- Non disperare. – disse con tono profondo, uno di quelli che ispira sicurezza anche con una sola parola – Io e te siamo l’istante.
Robert alzò lo sguardo, immergendosi negli occhi di David, l’espressione ammaliata e persa che aveva avuto quando, durante il concerto dei Floyd, il chitarrista gli accennò di Parigi, aspettando la fine del discorso.
- Tu e Jimmy siete l’eterno.
Robert sorrise ingenuamente e tuffò il capo sul petto di David.
- Un po’ come tu e Wright.
- Come fai a saperlo? – tossì David con espressione shoccata.
- Certe cose si sentono, non si sanno. – sussurrò – La gente crede che quei suoni, quell’accompagnarsi e seguirsi a vicenda sia solo un discorso di ricerca del suono o cazzate varie. La verità è che l’unione dello spirito porta a creare insieme…
- Non ti facevo così profondo, Plant! – lo interruppe David.
- E anche a grandi scopate! – ridacchiò Robert, tirando uno schiaffo leggero su una coscia di David, che rise a sua volta.
- È meglio che ci rivestiamo entrambi e che tu vada da lui. – consigliò David saggio, poggiando una guancia sul capo del cantante. Questo annuì in silenzio.
Si alzarono, si rivestirono e uscirono dal camerino, trovandolo silenzioso e vuoto come l’avevano lasciato. Robert si voltò verso David che lo seguì richiudendo la porta; gli prese dolcemente il viso sulle mani e gli diede un bacio breve, ma intenso.
- Mi mancheranno quelle labbra. – sospirò Robert.
- Smettila di fare l’idiota, Plant! – rise il chitarrista.
- Grazie di nuovo, Dave.
- È meglio che tu vada, altrimenti questa volta il culo te lo prendo a calci!
Risero e insieme tornarono nel backstage. Erano tutti lì.
Tranne lui.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo della pazza:
*tossicchia imbarazzata*
Sì, ritorno da queste parti e ritorno con la continuazione della precedente OS.
Il problema è che, quando l’ho scritta, credevo che l’immaginazione si sarebbe sfogata ed esaurita. Invece no. ^^’
Così, mi ritrovo qui. Sono sincera, ho un’idea per un eventuale terzo capitolo.
Non so dove andrò a finire e se finirò.
Ne approfitto per ringraziare coloro che hanno recensito la OS originaria, in particolare la piccola Nao! :3
Grazie anche a chi ha semplicemente letto! ^^
Ci si becca!
Franny

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Capitolo 3
*** The eternity. ***


And I know that I should leave, but I know I'm gonna stay.
No good man I've ever known has made me love this way.
(Bad Love is Good Enough - Beth Hart)






- Ma tu non dovevi andare a cambiarti? – chiese Jonesy non appena vide entrare Robert e David, notando che il primo aveva esattamente gli stessi vestiti indossati sul palco.
- Mi sono fermato a fare quattro chiacchiere con Dave. – rispose il cantante, mentre con lo sguardo perlustrava ogni centimetro della stanza, ma del chitarrista moro nemmeno l’ombra. John lo guardò dubbioso, così decise di parlare con Gilmour che ormai era in preda all’imbarazzo.
- Logorroico il nostro Robert, eh? – chiese il bassista per rompere il silenzio.
- Parecchio! – confermò David cercando di assumere un tono di voce e una faccia convincenti.
- Il mese prossimo sarete in tour vero?
- Sì, passeremo anche da qui! – rispose David, mentre con la coda dell’occhio scrutava Robert. Era ormai un fascio di nervi e mentre beveva la seconda birra da quando erano tornati, non faceva altro che ravvivarsi i capelli riccioluti e a sobbalzare ad ogni persona che entrava nel backstage.
- Oh, bene! – concluse John, dando una pacca sulle spalle del chitarrista che sorrise imbarazzato – Io credo che andrò in albergo! – aggiunse, consultando l’orologio che aveva al polso – John, vieni con me?? – urlò al batterista dall’altra parte della stanza che sonnecchiava pigramente sul divano, mentre a terra giacevano una cinquina di bottiglie di birra, ormai vuote.
Il povero batterista sobbalzò, trascinato via dal proprio sonno dall’urlo del bassista.
- Jonesy, oggi la delicatezza ce l’hai in culo, eh?
- Dai non fare storie, andiamo.
- Dove?
- In albergo.
- Ok! – acconsentì il batterista pigramente, alzandosi dal divano barcollando leggermente e raggiungendo il bassista -Ciao Dave! - aggiunse, salutando cordiale il chitarrista che gli rispose con un gran sorriso.
- Scusaci Dave! È stato un piacere averti tra il pubblico, davvero! – sorrise John e tese la mano a David.
- Piacere mio! – rispose lui, stringendola cordiale.
Improvvisamente, Robert si avvicinò a John e Bonzo.
- Dov’è Jimmy? – chiese, lo sguardo infiammato e disperato.
- Ha detto che andava a cambiarsi pure lui, poi non l’ho visto più! – rispose Jonesy aggrottando la fronte.
- Quello è un paranoico cronico in cerca d’attenzioni. – disse improvvisamente Bonzo che, nonostante la notevole quantità d’alcool in corpo, sembrava essere quello più vigile sulla situazione – Sarà andato a scoparsi qualcuno.
A quelle parole, il volto di Robert si distese in un’espressione di desolazione, mentre i suoi amici salutavano ancora Dave e andavano via.
- Andiamo a cercarlo, dai!
- Che? Sei impazzito? No. Devo cercarlo da solo. – rispose Robert con voce isterica.
- Ho detto che andremo a cercarlo, non a parlarci insieme. – rispose rassicurante David – Fatti aiutare, dai!
- Va bene! – sospirò il cantante e insieme si avviarono verso l’uscita dello stadio.

***
 
- Dov’è che non abbiamo cercato? – si chiese Robert, ormai esasperato dalla sparizione nel nulla di Jimmy, passandosi una mano sulla fronte, mentre David, seduto accanto a lui, guardava fuori dal finestrino del taxi.
- In albergo.
- Sono sicuro che non è lì.
- Plant, so che l’ovvietà non è roba per artisti, ma per una persona ferita è tutto. – disse David quasi con tono di rimprovero, fissando i suoi occhi nello sguardo scoraggiato di Robert. Sospirando, diede l’indirizzo dell’hotel all’autista.
- Bravo! – approvò David, stringendogli un ginocchio.
- Grazie mille Dave. – sorrise l’altro.
In pochi minuti furono di fronte all’albergo e Robert sembrò avere quasi paura di scendere dall’auto.
- Io tra mezz’ora dovrò partire, altrimenti verrei con te!
- Non c’è bisogno Dave! – rispose Robert carezzandogli lieve una guancia. – Dovrò sdebitarmi, prima o poi. – aggiunse, con la solita malizia nella voce.
- Lo hai già fatto, Plant.
- Quando la smetterai di chiamarmi per cognome? – rise il cantante.
- Vai ora! – sorrise David, mentre Robert scendeva dall’auto.
- Ci rivedremo, vero? – disse, mentre tirava fuori il portafoglio dai pantaloni per pagare il taxi.
- Ci penso io al taxi! – lo fermò David, prendendogli il polso – Buona fortuna, Robert!
Questo gli regalò l’ennesimo sorriso acceso di sole.
- Ne avrò bisogno. Arrivederci, Dave! – e così, chiuse lo sportello dell’auto. David lo salutò con un cenno della mano, mentre l’auto andava via.
 
***
 
L’ascensore che portava alla suite di Jimmy sembrava non voler risalire mai, mentre Robert batteva ritmicamente il piede in uno sfogo nervoso. Poi, finalmente, la risalita terminò e le porte si aprirono e sembrò che l’augurio di fortuna fatto da Dave fosse andato a buon fine.
- Jimmy.
Solo un filo tremante di voce riuscì a superare le labbra di Robert, mentre il chitarrista di fronte a lui lo scrutava con sguardo spento, oscurato dalla rabbia.
- So come mi chiamo. – disse con tono monocorde - Devi uscire o vuoi rimanere lì? Io dovrei scendere.
- Per fare cosa? – balbettò Robert.
A quelle parole, Page sgranò gli occhi, afferrò saldamente le spalle di Robert e lo trascinò fuori dall’ascensore, sbattendolo contro il muro.
- Dato che io non ti chiedo la lista delle persone a cui dai il culo. – disse a denti stretti, la rabbia che gli faceva alzare il petto in un respiro affannoso, sotto lo sguardo spaventato di Robert – Gradirei che almeno continuassi a farti i cazzi tuoi e che non t'intromettessi nei miei. – sibilò a pochi centimetri dalla faccia del biondo, prima di staccarsi da lui ed entrare nell’ascensore.
Prontamente, Robert bloccò le porte con un piede, sotto lo sguardo sempre più spento di Jimmy.
- Possiamo parlare? – chiese, sperando fermamente che il chitarrista mettesse per un attimo da parte l’orgoglio. Invece, continuava a fissarlo in silenzio, come se in lui si stesse svolgendo una lotta di sentimenti che cercava perfettamente di celare con una fredda immobilità. Poi, lasciò cadere lo sguardo sulle sue scarpe abbassando la testa, i riccioli neri che gli ricoprivano il volto, entrando nel corridoio e avviandosi verso la sua stanza. Robert lo seguì in silenzio, con una leggera sensazione di speranza che iniziava a crescergli nel petto.
Page frugò nelle tasche dei pantaloni finché non trovò la chiave della stanza, aprì la porta ed entrò, senza curarsi che Robert lo stesse seguendo o meno. Ma lo sapeva. Sapeva che era lì e, anche se non poteva vederlo, poteva immaginare il suo sguardo a metà tra il colpevole e la supplica. Una volta accese le luci, si avvicinò al mobile bar, afferrando una bottiglia di Jack Daniel’s e versandosene un po’ in un bicchiere. Robert continuava a rimanere in silenzio, osservando ogni singola mossa del chitarrista, dal primo sorso fino a quando non si sedette su una poltrona di fronte al letto.
- Di cosa vuoi parlarmi? – disse improvvisamente, staccando l’altro dalla sua piccola trance – Ti avverto che puoi risparmiarti i particolari di quello che è successo prima. Il casino che facevate si sentiva anche nel corridoio! – e così dicendo diede l’ultimo sorso al suo whiskey, versandosi prontamente l’altro.
- Non capisco perché ti ostini a farti del male. – sospirò Robert staccando lo sguardo da quello del chitarrista.
Jimmy scoppiò in una risata, lugubre quanto vuota di ogni traccia di felicità. Si alzò, andò alla finestra, poggiando sul davanzale il bicchiere e accendendosi una sigaretta.
- Ti ricordi il primo tiro che facesti a una sigaretta, Plant?
Il cantante tornò a guardarlo spaesato, senza capire che cosa intendesse.
- Bruciava la gola, i polmoni, persino il respiro. – continuò, fissando un punto nel vuoto – Eppure, non sei riuscito più a smettere. Come se quel fuoco che ti bruciava il petto potesse essere più forte di qualsiasi dolore, come se questo fottuto catrame che ti avvelena l’aria potesse sottolineare addirittura un momento felice come quello post-scopata. Sai che quella sigaretta ti sta sporcando il respiro, eppure sembra la più sana delle consolazioni.
Robert lo ascoltava in silenzio, chiedendosi dove sarebbe andato a parare.
- Quel giorno a Pangbourne, a casa mia, quando arrivasti avevi tra i capelli un profumo d’incenso e vaniglia. Quell’odore dolce, così in contrasto con la voce che ti ritrovi. Sporca e rude. – Jimmy sembrava perso in quel racconto, mentre Robert si domandava ancora come potesse servire quel ricordo al suo ragionamento – Quel dannato contrasto per me è diventato come il fumo. Il tuo profumo e la tua voce mi hanno avvelenato l’anima eppure non riesco più a farne a meno! – concluse, rivolgendo al biondo uno sguardo intenso, carico di sofferenza e passione, prima di spalancare la finestra e buttare via il mozzicone di sigaretta.
Robert era senza parole, non riusciva a crederci. Dopo tutti quegli anni passati insieme, a sfiorarsi lievemente sul palco, a sorprendersi occhi negli occhi e distogliere lo sguardo con imbarazzo, come se non fosse giusto, come se non fosse da uomini, eppure continuando a stuzzicarsi come bambini. E poi, cambiare letto e donna ogni notte solo per non avvertire quel piccolo spazio vuoto che si era creato tra il cuore e i polmoni, come se l’anima avesse fatto spazio a qualcosa che però non arrivava. O rimaneva taciuta.
- Non ci credi nemmeno tu, eh? – rise Jimmy, una risata schiacciata dal nervosismo e dalla tensione – Non volevo crederci nemmeno io. Eppure sono di fronte a te, sono solo al mio secondo bicchiere – disse buttandolo giù d’un fiato – e … non lo so. Sto sputando fuori tutto il veleno che mi hai iniettato.
Jimmy fece silenzio, accendendosi lentamente l’ennesima sigaretta, mentre scrutava col suo sguardo tagliente ogni singola goccia di sudore freddo che si faceva strada sulla fronte di Robert.
- Perché non me l’hai mai detto prima? – chiese, in un filo di voce venato d’isteria.
- Oh, Plant, cosa volevi per caso? Che mi mettessi in ginocchio di fronte a te con un mazzo di rose e ti dichiarassi amore eterno? – la voce di Jimmy era intrisa di scherno e la sua faccia era pervasa dal compiacimento vedendo finalmente il suo bel cantante in difficoltà – Non vedo nulla di così romantico nell’amore, niente di simpatico, visto che il tuo passatempo preferito è stuzzicarmi con le tue battute da puttanella. L’amore è un casino, è una storia triste, uno schiaffo in faccia, un colpo al cuore! È una cagna affamata che lascia il vuoto ad ogni promessa che puntualmente non viene mantenuta!
Ormai urlava, mentre la bocca di Robert si apriva e tremava dallo stupore, e un po’ anche dal senso di colpa.
- Eppure la gente pagherebbe per trovare una persona buona da amare e per lasciarsi amare. E io? – si fermò, versandosi il terzo bicchiere di Jack Daniel’s – Io affido l’anima non a chiunque, ma a qualcuno che si prende gioco di me! Dio solo sa quanto vorrei odiarti. E ogni volta che provo a farlo, cerco disperatamente di perdonarmi. – e così buttò giù anche quel bicchiere, prima di dire – Eppure, se solo avessi un cuore, te lo darei.
Una valanga di parole, che li aveva travolti entrambi. Un rumore assordante accompagnò la caduta del bicchiere che Jimmy stringeva in mano poco prima che lui lo lasciasse scivolare a terra, come un segno di resa. Buttò via anche il secondo mozzicone, sii allontanò dalla finestra e si buttò sul letto, mentre l'ultima nuvola di fumo gli ricopriva il viso incorniciato dai riccioli neri. Le ultime parole che aveva pronunciato ruotavano nel cervello di Robert e ben presto s’incollarono allo stomaco, provocandogli un conato. No, non di vomito. Di disperazione. Scavalcò i vetri rotti e raggiunse Jimmy sul letto, sovrastandolo.
- Smettila! – urlò, la rabbia che tentava di inumidirgli gli occhi, ma che lui prontamente cercava di ingoiare – Smettila di farti … di farci del male! – e così dicendo, aprì con un solo gesto la camicia vermiglia di Jimmy, facendo saltare i bottoni – Dici di non avere un cuore e allora mi spieghi cosa si muove qui? – concluse, premendogli una mano sul petto, lì dove il cuore del chitarrista galoppava fiero e forte, antitesi esatta del suo proprietario che ora distoglieva silenziosamente lo sguardo da Robert, girando la testa da un lato, come a volersi arrendere.
- Vattene, Robert. – sussurrò.
- No cazzo! So perfettamente che dovrei andarmene, ma io voglio restare. – urlò Robert – Voglio restare per contare ogni singolo battito che si muove sotto la mia mano, sentirti respirare. Nessuno ha mai detto che amare sia facile. Amare è la parte più difficile del percorso, ma se mi prendi per mano arriveremo al traguardo insieme. Sai cosa mi ha detto prima, David?
Jimmy non rispose, semplicemente chiuse gli occhi facendo scattare la mascella, ma Robert continuò lo stesso.
- Che io e lui eravamo solo un istante, ma che io e te siamo l’eterno.
- Anche l’eterno è fatto d’istanti, Plant! – rispose Jimmy con tono glaciale.
- Ti sbagli Jimmy! – sorrise Robert – L’eterno è quel singolo, irripetibile istante vissuto con tale intensità da poter spostare i confini del tempo, così tanto che una vita è troppo breve per contenerlo e la morte non basta per fermarlo. E noi possiamo cogliere quell’istante, Jimmy. Potremmo averlo, se solo ora mi stringessi la mano.
Calò nuovamente la quiete, interrotta solo dai loro respiri pesanti che accompagnavano le scosse di adrenalina che scuotevano i loro petti. Lentamente, Jimmy riaprì gli occhi, ruotò la testa e incontrò lo sguardo cristallino e inumidito di Robert che ancora teneva una mano sul suo petto. Il cantante avvertì subito il cambiamento di ritmo del cuore del chitarrista, divenuto talmente veloce da sembrare un rullante non appena il verde dei suoi occhi incontrò i propri.
- Stringimi, Jimmy! – sussurrò supplichevole.
Un grande sospiro sollevò il petto del chitarrista. Poi, con uno scatto, la sua mano sinistra si strinse attorno a quella di Robert, mentre con l’altra lo afferrava per i capelli e lo spingeva contro il proprio viso. Le loro labbra s’incontrarono così come i loro petti che andarono a unirsi quasi fino a fondersi, con in mezzo le loro mani che si trasmettevano calore a vicenda, fino a diventare bollenti. Un bacio, il primo che si davano e l’uno lo lasciava all’altro come se fosse l’ultimo, con una disperazione che gli faceva scoprire i denti per mordersi, con una fame che li spingeva ad assaggiarsi con la punta della lingua, mentre rimanevano immobili, uno sopra l’altro, senza il minimo movimento dei loro corpi che potesse esprimere un desiderio urgente. La fretta non esisteva e così le parole di Robert si realizzavano. Quell’istante si sarebbe dilatato così tanto che non c’era bisogno di bruciare il tempo, perché ormai erano fuggiti dallo scandire dei secondi, delle ore, dei secoli.
Si staccarono, riprendendo fiato. Jimmy che ormai aveva perso la sua espressione glaciale, facendo posto a una rosea serenità; Robert aveva ripreso a splendere più del consueto, come un secondo sole che ha incastrato nei suoi occhi il cielo. La mano di Jimmy lasciò quella di Robert e andò ad accompagnare quella che si trovava intrecciata nei biondi capelli del cantante, per poi scivolare sul suo viso in una carezza lieve, mentre l’altro gli cingeva la vita in un abbraccio rassicurante.
- Rimani con me stanotte, Robert?
Robert sorrise, ingenuamente, mentre una luce diversa, quasi malefica, si faceva strada tra gli occhi di Jimmy.
- Ogni notte, Jimmy.













Angolo della pazza:
Arieccomi! :3
Ho aggiornato in fretta perché questa storia mi perseguita durante le mie giornate infestate di noia totale.
La cosa straziante è che ora sono convinta che questo sarà l'ultimo capitolo, eppure lascerò la storia "in corso", perché effettivamente non so se dopo aver messo "completa" non mi balzerà di nuovo in mente l'idea malsana di continuare.
Bene, che dire?
Ringrazio quelle pie donne che hanno recensito i primi due capitoli e anche quelle persone che hanno semplicemente letto, preferito, ricordato e seguito la storia. E' solo grazie al numero di visualizzazioni se la mia mente malata continua ad elaborare fuori dal mio controllo. ^^'
Bene, spero davvero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto, perché mi è piaciuto tanto scriverlo (pardon il giro di parole!).
Ah, sì, ascoltate la canzone che ho utilizzato durante la stesura del capitolo e che ho usato anche come "soundtrack". E' un brano della meravigliosa Beth Hart cantante rock/jazz/blues/soul/pop, fan sfegatata di Robert (infatti nei suoi live canta spesso Whole Lotta Love), che spesso fa coppia con Joe Bonamassa (chitarrista con i controcavoli) e Slash.
Niente, credo di avervi rotto abbastanza i cosiddetti, ergo smonto la baracca.
A presto! ^^

Franny

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