L'ultimo bacio

di semplicementeme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 20: *** Capitolo IXI ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIV ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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L’ultimo bacio

PROLOGO

La osservava silenzioso. Il respiro regolare. La testa leggermente piegata di lato. Si era addormentata sul divano mentre guardavano un film, il loro film. Quante volte si erano incontrati per vedere quella stupida commedia dove tutti finivano felici e contenti? “L’ultimo bacio”. Quel film che aveva per titolo una canzone della loro cantante preferita, la cantantessa come era chiamata nella loro città. Lo avevano scelto come loro film solo perché la colonna sonora era sua. Era un pezzo di Sicilia che si portavano dietro, un pezzo di Catania. E la persona che adesso dormiva tranquilla nel suo divano gli ricordava tremendamente la sua città. I ricci indomabili. Gli occhi scuri e caparbi. Le labbra carnose. La carnagione ambrata. Il fuoco dell’Etna nelle vene. Tutto di lei sapeva di vita. Vita come lo era Catania. Da quando si era trasferito in Piemonte quella ragazza era diventata la sola a tenerlo legato al suo passato. L’unica che, in un certo senso, riusciva a farlo sentire a casa.

Si conoscevano da una vita, o quasi. Ormai erano otto anni. Erano stati colleghi di studi a Catania e poi insieme avevano scelto di trasferirsi lontano. Lui per far compagnia a lei. Lei, non lo avrebbe ammesso mai, per cambiare aria e dimenticare un amore finito male. Avevano deciso di vivere in due appartamenti differenti. Lo aveva deciso sempre lei, ma a lui stava bene. Almeno così ognuno avrebbe mantenuto la propria privacy, ma una volta alla settimana, era tassativo incontrarsi. Dovevano avere la loro serata tutta per loro, e questa era una di queste.

- Sara, è meglio se stasera resti a dormire da me.

La ragazza neanche lo sentì. Si accucciò meglio tra le braccia dell’amico e continuò a dormire.

Magica quiete velata indulgenza

Dopo l’ingrata tempesta

Salve! Per la prima volta mi cimento in un racconto ORIGINALE. La cosa mi stuzzica parecchio perché così avrò la possibilità di plasmare i personaggi a mio piacere. Sarò io a creare i loro caratteri e stavolta non dipenderò da nulla. Sarà tutta farina del mio sacco. Volevo solo avvertirvi riguardo al titolo che è provvisorio. Prima di salutarvi volevo informarvi che i versi riportati in basso sono citazioni dell’omonima canzone che momentaneamente dà il titolo alla fic, “L’ultimo bacio” di Carmen Consoli.

Buona lettura…

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


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CAPITOLO I

Il mattino successivo la ragazza si risvegliò nel letto dell’amico. Si stropicciò gli occhi e dopo aver trovato le sue scarpe, ai piedi del letto, scese dal suo giaciglio e si diresse con calma nella piccola cucina che era accanto alla stanza da letto. Guardò in direzione del soggiorno, che faceva anche da sala da pranzo, e notò Andrea sdraiato sul divano con una piccola coperta che a mala pena gli ricopriva le spalle. Sorrise all’amico e tornò indietro per prendere una delle coperte che aveva adagiato sul “suo” letto. Facendo attenzione a non svegliare l’amico, sistemò la coperta sulle sue spalle e dopo si diresse in cucina.

Nel silenzio più assoluto, e cercando di non fare il minimo rumore, al buio preparò il caffè. Dal frigo tirò fuori il cartone col latte, versò un po’ del contenuto in un pentolino che mise a riscaldare sul fornello. Preparò il vassoio dove mise delle fette biscottate e marmellata alla ciliegia, la preferita di Andrea, versò il caffè parte in una tazzina, parte in una tazza dove già era stato versato il latte appena scaldato, e silenziosamente andò dall’amico. Poggiò il vassoio sul tavolino, dove ancora giacevano i rifiuti della serata precedente, e spintonando delicatamente Andrea, iniziò a chiamarlo. Il ragazzo mugugnò un paio di volte prima di aprire gli occhi verdi e dopo un sonoro sbadiglio salutò l’amica.

- Buongiorno Scimmia. Sai che dovresti metterti a dieta? Ieri, per portarti a letto, a momenti mi veniva l’ernia.

- Molto gentile da parte tua Capellone.

Andrea fece una smorfia non appena sentì il nomignolo affibiatolgli dall’amica; si passò una mano tra i capelli, anzi tra ciò che ne restava, infatti, aveva deciso di rasarli perché iniziava a perderli, sbuffò e si girò a fissare Sara che, mentre parlava, aveva tirato le tende.

Fuori pioveva come ormai accadeva da tre giorni. Sara guardò la pioggia cadere e si sentì sprofondare nella depressione più nera, si volse verso l’amico che canticchiando si regalava un’abbondante dose di marmellata. Si avvicinò e sedendosi al suo fianco, e coprendosi le gambe con la coperta che aveva usato poco prima con lui, iniziò a sorseggiare il latte e caffè caldo.

- Appena finisco di bere devo scappare in ospedale.

Andrea si voltò a guardarla con espressione perplessa. Cercò un orologio ma non lo trovò, dove lo aveva messo?

- Sara… ma che ore sono?

- Le sei.

Andrea quasi cascò dal divano per la sorpresa. Lui aveva la mattina libera, poteva dormire fino a tardi e quella pazza della sua amica cosa faceva? Lo chiamava all’alba. Si passò una mano a stropicciare ancora una volta gli occhi. Si accomodò meglio sul divano e portò la testa indietro. Sospirò rumorosamente e riprese a sorseggiare il latte che aveva preso prima che Sara gli desse la “lieta novella”.

Andrea dopo aver finito il suo latte si alzò e si guardò attorno e prese una decisione: perso per perso, questa mattina avrebbe rimesso in ordine casa sua che iniziava ad apparire come un tugurio. E dire che Sara glielo ripeteva sempre: “O prendi una donne delle pulizie o giuro che la prossima volta che vengo qua utilizzerò tua maglia preferita per lavare il pavimento! ” Era arrivato il momento di prendere una donna delle pulizie? No, sarebbe stato lui a mettersi a sudare, olio di gomito e tutto splenderà.

- Prendo la giacca e ti accompagno in ospedale. Non mi va di mandarti in giro da sola a quest’ora.

Sara annuì, conosceva Andrea ed era certa che se fosse andata senza svegliarlo, l’amico avrebbe fatto fuoco e fiamme per la sua imprudenza. Andare in giro di “notte” da sola era un’assurdità. Da questo punto di vista era perfettamente siciliano e maschilista. Perché maschilista? Perché secondo lui era un’assurdità la sua idea di diventare chirurgo. Ma poi perché voleva diventare chirurgo? Il suo sogno non era oncologia pediatrica? La risposta è semplice. La sua era una rivalsa. Contro chi? Quella è un’altra storia.

- Sono pronto. Andiamo?

E così escono ed insieme, si dirigono verso l’ospedale Maria Vittoria dove prestavano servizio.

Riprendi fiato e con intenso trasporto
celebri un mite e insolito risveglio

Ecco il I capitolo della fic. Certo è corto ma ancora non siamo nel vivo della storia. Credo che continuerò così per altri due, tre capitoli al massimo. La canzone è, ancora una volta, di Carmen Consoli, ed è ancora “L’ultimo bacio”. Vorrei ringraziare le 38 persone che hanno letto il Prologo, sembrano pochi, ma per me sono tantissimi. Passando ai ringraziamenti:

- _LAURA_: spero di aver accontentato le tue aspettative e spero di poter leggere un altro tuo commento. Dimenticavo: grazie per aver messo la storia tra i preferiti.

- EGIPT: spero di ispirarti curiosità ancora una volta con questo capitolo. A presto.

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


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CAPITOLO II

Camminavano silenziosi in direzione della macchina parcheggiata sotto casa di Andrea. L’aria era gelida, ed un vento tagliente mozzava il fiato. Il cielo iniziava a tingersi di rosa, da poco aveva smesso di piovere e le nubi avevano lasciato il posto al sereno, e lentamente la città si risvegliava. Appena saliti in macchina Andrea mise in moto e subito accese il riscaldamento, al ché Sara aprì leggermente il finestrino. Andrea guardò perplesso l’amica ed alla fine si decise a porle la domanda che da tanto attanagliava la sua mente ogni qualvolta Sara compiva questo gesto.

- Sara perché ogni volta che accendo il riscaldamento abbassi il finestrino? Ti dà fastidio l'aria calda?

Sara guardò sorpresa Andrea, non si aspettava certo quella domanda, aveva sempre fatto così e mai l’amico le aveva posto domande a riguardo.

- Un paio d’anni fa ho letto che il riscaldamento delle auto non fa altro che aumentare la concentrazione di monossido di carbonio all’interno dell’abitacolo. E dato che non mi va di morire asfissiata, ma neanche assiderata, preferisco abbassare il finestrino.

Sara rispose con un po’ do imbarazzo mentre Andrea roteò gli occhi. Ecco le solite fisime mentali di Sara! Senza ribattere continuò a guidare. Sara accese la radio e la voce della giornalista del giornale-radio di diffuse nell’abitacolo. Andrea cambiò stazione e le note di Antonacci volteggiarono attorno a loro. Una canzone che Sara conosceva bene, “Sognami”. La ragazza strinse le braccia attorno al suo corpo come a volersi riscaldare. I suoi occhi erano divenuti improvvisamente lucidi, persi ad anni addietro. Una lenta musica che richiamava il tango argentino riempiva la sua testa ed il vuoto del suo cuore. Andrea notando l’espressione vuota negli occhi dell’amica fece per cambiare stazione ma la mano dell’amica glielo impedì.

- Va bene così.

Sorrise. In maniera triste. Un sorriso finto. Andrea strinse le mani attorno al volante con una voglia incredibile di riempire di botte un individuo in particolare. Quanti anni erano trascorsi da quando quel verme l’aveva abbandonata? Due? Tre? No, erano trascorsi sette anni, ma per Sara sembrava essere trascorso solo un giorno. Fingeva che tutto andasse per il meglio ma in realtà nulla andava bene. Non era più uscita con un ragazzo. Per lo meno, non era più uscita con un ragazzo come dovrebbe fare una ragazza della sua età: per conoscerlo e magari frequentarlo per poi, chissà, far nascere una storia. Era da sette anni che non la vedeva con gli occhi luminosi. Da quattro anni Sara era il fantasma di se stessa.

- Andrea, davvero, sto bene. Mai stata meglio. È stato solo un attimo.

- Un attimo che dura da sette anni.

Le due voci erano opposte. Sara aveva parlato con calma, mentre Andrea sembrava pronto ad esplodere, la sua voce era leggermente stridula. Sara posò i suoi occhi sull’amico e lo fissò per un attimo, poi tornò ad osservare la strada ancora sgombra dal traffico intenso del mattino.

- Credo che sia arrivato il momento di voltare pagina.

- Piantala, ormai non ti credo più.

Sara abbassò il capo colpevole. Andrea aveva ragione. Ogni volta che vedeva l’amico preoccupato per lei, cercava di rassicurarlo. Cercava di confortarlo, ma in realtà, era lei che aveva bisogno di conforto.

Abbassò il parasole e si specchiò. Vide i suoi occhi lucidi e spenti. Si pentì della mossa appena fatta. Si stava facendo male da sola. Doveva reagire. Doveva andare avanti. Era riuscita a laurearsi in meno di un anno dal suo addio. Aveva dato quindici materie in otto mesi ed aveva preparato la tesi in tre. Si era concessa solo un mese per piangere tutte le lacrime di cui era in possesso, ma se ci pensava bene, sapeva che ne aveva molte altre che però, si era rifiutata di versare per lui.

Alla fine il suo voto di laurea non era quello sperato, non aveva ottenuto un 110/110 e lode, ma non c’era da sputare sul suo 108. Lei era riuscita da sola, con le sue forze ad ottenere quel voto. Un anno dopo la laurea era riuscita ad entrare nella scuola di specializzazione in Chirurgia Generale di Torino. Era al suo secondo anno. Altri tre e sarebbe arrivata la specializzazione, il suo sogno. Il sogno di lui. Lei i sogni li aveva chiusi a chiave in cassetto e poi aveva buttato la chiave. Non sarebbe diventata mai oncologa, né pediatra. Lei sarebbe diventata chirurgo. Un grande chirurgo. Il migliore di tutti.

Lei, una donna, la migliore. Questo pensiero la fece sorridere. Un sorriso vero che le illuminò il viso come non accadeva ormai da troppo tempo.

Cerchi riparo fraterno conforto

tendi le braccia allo specchio

Salve gente mi scuso con quanti hanno atteso il secondo capitolo di questa fic, ma lo studio non mi ha dato tregua, e poi… ho altre due fic all’attivo e devo dare la precedenza a queste perché pubblicate prima. Ho notato che la fic non sta riscotendo il successo sperato ma non mi lascio certo prendere dallo sconforto, era tutto preventivato. Si tratta di uno scritto originale e può anche darsi che non interessi il lettore. Per la brevità dei capitoli non so che dirvi. Generalmente scrivo capitoli leggermente più lunghi ( 5 pagine di Word in media ), ma questa storia non vuole saperne di avere capitoli così lunghi e così preferisco non forzare la mano e rischiare di appesantire il tutto, inchinandomi al volere del racconto. Le parole riportate in corsivo alla fine del capitolo sono come sempre versi del “L’ultimo bacio” di Carmen Consoli, che non è la mia cantante preferita, ma che apprezzo tantissimo perché ha portato il sole della mia Sicilia fuori dall’Italia.

Vorrei ringraziare le 54 persone che hanno letto il primo capitolo e le 115 che hanno letto il prologo.

RINGRAZIAMENTI:

- _LAURA_: grazie per essere sempre presente e continuare a seguirmi anche in questa pazza avventura.

- GIROVAGHI: sono felice di ritrovarti anche qui! Se devo essere sincera, per quel che riguarda la descrizione di Sara... diciamo che è un pò un autoritratto, certo ho esaltato un pò i caratteri somatici, ma diciamo che sono molto simile al personaggio descritto. Se devo essere sincera scrivere questa fic si sta rivelando più complicato del previsto, essendo tutti personaggi da creare mi viene molto più complicato caratterizzarli dato che non ho nulla da cui partire, vedremo se riuscirò in questa impresa, ci conto ad avere un tuo parere anche su questo scritto. A presto.

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


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CAPITOLO III

Sara scese dalla macchina di Andrea e lo salutò con un caloroso abbraccio. Andrea percepì qualcosa di diverso nell’amica ma non volle crearsi false illusioni. Troppe volte era stato vittima delle sue stesse speranze.

Ripensò al giorno in cui Sara gli chiamò disperata e gli raccontò di come il Verme era partito per gli States. Senza un preavviso, tre giorni prima della partenza, se n’era uscito con un semplice “ Parto per gli Stati Uniti, resterò via tre anni ”. Fu così che l’Idiota decise di buttare al vento cinque anni insieme, la liquidò solo con una frase. Una di quelle frasi vuote, dette solo per pura formalità. Fu così che il mondo di Sara andò in pezzi in meno di un minuto. Andrea ricordava ancora come la ragazza trascorse il mese successivo piangendo giorno e notte, e quando non piangeva dormiva ed i suoi sogni non erano certo migliori della realtà visto il modo in cui si risvegliava, sconvolta e più disperata di prima. I suoi bellissimi occhi nocciola versarono fiumi di lacrime in quel mese, si gonfiarono e si arrossarono a tal punto da non poter più restare aperti tanto era il dolore e tanto dava fastidio la luce. In quel mese Sara perse più di sette chili, diventò irriconoscibili, pelle ed ossa. Andava avanti a forza di succhi di frutta e solo per non far preoccupare il padre cardiopatico. Andrea temette che l’amica potesse compiere qualche sciocchezza data la disperazione in cui era precipitata, ma per fortuna non fu così.

Un giorno la svolta: “ Andrea sono stanca. Basta. Non posso più buttare al vento la mia vita per lui. Devo reagire. ” E poi il miracolo. Sara reagì. Quindici materie in otto mesi, la tesi in tre. La laurea e poi la decisione di partire insieme. Il primo tentativo andò male, ma l’anno successivo l’ammissione a Torino diventò realtà, almeno per Sara. Lui non era riuscito ad entrare in Chirurgia e così aveva “ripiegato” su Medicina Interna.

Però Sara non era più la stessa. Esternamente sembrava tranquilla ma lui sapeva che non era così. Rideva, scherzava, giocava ma non lo faceva più con la stessa spontaneità. I suoi occhi erano spenti, vuoti. Ed il rapporto con la gente che la circondava era cambiato. Non si confidava più con nessuno, non regalava più un sorriso a nessuno. Era diventata fredda e vuota. Aveva perso quel fuoco che la caratterizzava anche se, ultimamente, con il nuovo lavoro, e con la competizione che ne seguiva, aveva trovato nuovamente un po’ della sua schiettezza. Altra cosa che lo faceva stare inquieto era non l’averla più vista piangere. Lui conosceva Sara e sapeva quanto era emotiva ed adesso la sua freddezza non lo tranquillizzavano per nulla, al contrario, lo preoccupava. Come dimenticare poi la sua decisione di abbandonare Oncologia Pediatrica per Chirurgia Generale? Un sogno da sempre messo da parte per una branca della medicina che non l’aveva mai interessata. Lui sapeva perché lo aveva fatto, anzi per chi lo aveva fatto, ma restava una domanda: era un modo per dimostrare al Verme che anche in Italia si poteva diventare grandi chirurghi, oppure, era un modo per restare legata al suddetto Verme? Andrea moriva dalla voglia di porre questa domanda a Sara, ma non voleva rischiare di litigare con lei, la sua amicizia era troppo importante. Le voleva bene come ad una sorella. La considerava la sua sorellina giacché lui non ne aveva.

Sara dopo aver salutato Andrea entrò nell’hall del Maria Vittoria. Quella mattina, rischiarata da un pallido sole, si sentiva diversa. Piena di energie e con una nuova grinta. Si fermò davanti le porte scorrevoli e tornò sui suoi passi. Notò che Andrea era già andato via e così un po’ a malincuore attraversò la strada ed andò al bar di fronte dove comprò due pezzi di colazione. Con il sorriso sulle labbra si diresse al posto di lavoro con una strana energia, quella che stava per iniziare sarebbe stata una giornata interessante. Salutò Dino, il portinaio, si fermò a scambiare qualche parola sulle partite della domenica ventura e subito andò a timbrare come una brava operaia. Era così che si definiva la giovane chirurga. Si fermò alla macchinetta del caffè e presa il suo solito caffè macchiato per poi portarsi davanti agli ascensori. Salì sorseggiando la bevanda e pensando alla giornata che stava per iniziare. Il turno in ambulatorio lo aveva cambiato per passare una sana mattinata al pronto soccorso. L’ascensore si fermò al quinto piano, scese e non si sorprese di trovare ancora una calma che presto sarebbe svanita come neve al sole. Entrò silenziosa, per non disturbare i degenti del reparto di chirurgia I, per poi andare dritta spedita nella sala dei medici. Aprì piano la porta per paura di svegliare i colleghi, nel caso stessero dormendo, ed accostò altrettanto silenziosamente l’uscio. A quanto pare però Carlo era già sveglio.

- Dimmi che sono le otto.

- Buongiorno anche a te. Spiacente, ma sono appena le sette.

Un mugolio di protesta si era levato dal letto sotto la finestra. Lucia si stava svegliando. Stiracchiandosi mugolò ancora qualche parola incomprensibile per poi coprire la bocca per nascondere un sonoro sbadiglio. Sara fece l’occhiolino a Carlo, il primo ad essersi svegliato, e si avvicinò al letto di Lucia tirando da fuori la borsa nera che portava alla spalla destra, una busta bianca dalla quale si alzava un profumino invitante, e la sventolò sotto il naso della collega dormiente. La bionda, appena il profumo arrivo alle sue narici, si alzò di scatto sbarrando gli occhi castani.

- Oddio Sara sei il mio angelo. Dimmi che hai preso un cornetto alla cioccolata bianca.

Sara sorrise e tirò fuori dal sacchetto un cornetto ricoperto di zucchero filato. Lo porse alla collega che lo addentò senza tanti complimenti. La crema alla fine fuoriuscì ai lati del morso dato dalla bionda. Carlo guardò la bionda disgustato, e dire che quella ragazza era bellissima, quando però non mangiava. Alla fine Carlo si decise a redarguire la ragazza che si stava inzaccherando con la crema bianca.

- Lucia ti prego datti un contegno, non puoi mangiare in questa maniera obbrobriosa. Ed ad ogni modo, questo è un cornetto non una brioche, sono stanco di ripeterti sempre la stessa solfa.

La bionda dottoressa rideva divertita e, per un attimo, la sua risata cristallina riempì la stanza dove sino a pochi minuti prima regnava il silenzio.

Ormai la mattina era inoltrata e stranamente al pronto soccorso non erano giunti casi urgenti che riuscirono ad esaltare Sara. Qualche taglietto troppo sanguinante a causa di capillari superficiali; dei punti di sutura dai ad un bambino troppo vivace, ma nulla di particolarmente complicato. Il giovane chirurgo adesso era seduto nella comoda poltrona dell’ambulatorio tre di chirurgia. Rileggeva gli appunti presi il giorno precedente durante il corso di specializzazione. Si chiedeva come i colleghi potessero affermare che la sua calligrafia fosse chiara e leggibile quando, in realtà, lei era la prima ad avere delle difficoltà nel tradurre ciò che scriveva.

Qualcuno bussò con decisione alla porta e Sara mise subito via gli appunti dando il permesso di entrare.

- Posso?

- Anna ciao! Entra coraggio. Oggi tutti hanno deciso di fare vacanza. Nessun intervento particolarmente interessante. E tu? Non dovresti essere sopra con dei bambini scalpitanti all’idea di incontrare il loro idolo calcistico?

Anna era uno strutturato del reparto di oncologia pediatrica, oltre ad essere una cara amica di Sara. Era una donna di cinquant’anni ma con lo spirito di una ventenne. longilinea e bruna rappresentava la ventata di allegria nelle giornate di Sara. Si erano conosciute quando Sara si era trasferita da poco a Torino. I primi tempi Sara spesso andava al reparto in cui lavorava Anna e si fermava a giocare con i bambini, fu giocando che conobbe la strutturata e così nacque una bella amicizia.

- Dovrei… purtroppo la star del pallone non è potuta venire. Un impegno improrogabile. Ed intanto trentacinque bambini sono rimasti delusi.

La voce della donna era affranta, non tanto per la sua delusione, piuttosto per quella dei bambini. Sara si sentì stringere il cuore, non aveva mai visto quella donna così energica tanto debole e fragile come in quel momento.

- Senti, io non posso arrivare così in alto, ma conosco un altro giocatore della Juventus. Spero solo che si ricordi di me, magari non tutti i bambini saranno contenti, ma sempre meglio di nulla. Non credi?

Anna era raggiante. Un calciatore al posto di un altro? E chi se ne frega, l’importante per quei bambini era avere un idolo presente. Lasciò a Sara l’organizzazione dell’incontro e rientrò in reparto felice di aver trovato una soluzione al suo problema.


Si dice che ad ogni rinuncia
corrisponda una contropartita
considerevole, ma l’eccezione alla regola
insidia la norma.

Eccomi tornata anche con questa fic. È il periodo del mio ritorno. Oggi nel giro di venti minuti ho aggiornato due fic. Un record. In realtà i capitoli erano scritti da un po’. Questa fic per me è molto importante. Più importante delle altre perché come ho detto in ogni capitolo scrivo un po’ di me e di quello che per certi versi è la mia vita. In un certo senso, per un buon 50% è un’autobiografia. Prima che qualcuno inizi a farsi certe idee… purtroppo non conosco nessun giocatore della Juventus ma non demordo… non si può sapere cosa ci riserva la vita. Mi spiace avervi fatto attendere tanto, ma ho avuto per un mese intero problemi di linea ed un blocco dello scrittore che mi ha tenuta fuori gioco e così ho potuto scrivere davvero poco. Adesso passo al ringraziamento all’unica commentatrice del capitolo precedente:

- _LAURA _: grazie per continuare a seguire questa fic, e scusami per l’enorme ritardo. Per quel che riguarda la fic sono felice che il capitolo precedente sia stato di tuo gradimento. Ma cosa ti ha dato da pensare? Il comportamento di Andrea o quello di Sara? Sono curiosa di scoprirlo!

La canzone è “L’eccezione” sempre di Carmen Consoli parte dell’album omonimo dell’anno 2002.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO IV

Sara si maledisse per la sua trovata. Come poteva rintracciare Damien dopo più di dieci anni? Aveva ancora il suo numero di cellulare? Oppure lo aveva, o più semplicemente, cambiando scheda lo aveva perso? Poi improvvisamente una luce si accese nella sua mente. La sua agenda! Lì teneva tutti i numeri di telefono, forse c’era anche quello del suo ex. Si alzò di corsa e disse all’infermiere di contattarla direttamente nella sua stanza, nel caso in cui durante la sua assenza, fosse necessario l’intervento di un chirurgo, assicurò, in ogni modo, che sarebbe mancata per non più di dieci minuti. Tirò dietro di sé la porta dell’ambulatorio e diede solo un giro di chiave e tirò un sospiro, doveva farlo, lo aveva promesso ad Anna. Prese l’ascensore interno. Fortunatamente era sola, non aveva voglia di parlare con nessuno, doveva trovare una giustificazione per telefonare a casa del suo ex dopo un decennio e scusarsi con la madre di lui per il suo lungo silenzio.

Arrivò al terzo piano e con passo sicuro si diresse verso la sua stanza, aprì la porta e si diresse con tranquillità verso il suo armadietto, quello accanto alla finestra. Dal mazzo di chiavi che teneva nel camice prese quella che le serviva, aprì l’anta con un colpo secco. Doveva decidersi a comprare un lucchetto nuovo, quello che utilizzava iniziava a dare qualche problema. Frugò nella borsa fino a quando non tirò fuori la piccola rubrica in pelle color cuoio. Incrociando le dita andò direttamente alla lettera M e qui cercò: Marchese. Morsico. Martello. Napoli. Luca. Lombardo. Mc Glass. Bingo! Un numero di cellulare ed uno di casa. Più tardi avrebbe chiamato a casa adesso però doveva scendere al Pronto Soccorso, non poteva lasciare troppo a lungo vuoto l’ambulatorio.

Quando finì il suo turno al Pronto Soccorso Sara era relativamente stanca. Non esisteva nulla di più stancante di una giornata trascorsa senza far nulla. Entrò nella sua stanza e si mise seduta sulla poltrona di fronte la scrivania che occupava da sempre. Per un attimo poggiò la testa sulla scrivania. Fortunatamente la stanza era vuota. Divideva quell’ambiente con altri due colleghi ed a volte, quando tutti e tre erano presenti, lavorare diventava davvero difficile. Si rimise seduta correttamente e, dopo l’ennesimo sbuffo, decise che era arrivato il momento della tanto temuta telefonata. Prese la rubrica e cercò il numero. In realtà non occorreva cercarlo, ormai lo sapeva a memoria. Aveva anche trovato cosa dire alla cara Marisa… la verità. La pura e semplice verità. Guardò il telefono, si fermò ad osservarlo attentamente, come se da un momento all’altro dovesse esploderle in faccia. Fece un profondo respiro ed alzò la cornetta. Digitò il prefisso. Poi il numero di casa. Attese in linea che qualcuno le rispondesse. Uno squillo. Due. Tre. Al quinto squillo qualcuno rispose. La voce di un ragazzo. Forse Damien?

- Damien… sei tu?

Sara si chiese se effettivamente quella fosse la sua voce, anche lei aveva avuto qualche difficoltà a riconoscerla, era poco più di un flebile sussurro. All’altro capo del telefono arrivò la risposta.

- No, sono Michael. Chi parla.

Bene. Il piccolo Michy. Tanto piccolo non doveva più essere. Dieci anni fa aveva dodici anni… oggi ventidue. Sara tossicchiò ed alla fine rispose.

- Michael! Sono Sara. Cercavo tua madre… o tuo fratello.

Il ragazzo non riconobbe la voce della giovane e così, senza aggiungere altro passò il telefono alla madre. La donna riconobbe quasi subito la ex nuora e fu felice di sentirla. Le due parlarono un po’ del più e del meno, di come mai Sara si trovasse a Torino fino a che non giunsero alla tanto temuta richiesta: perché Sara aveva chiamato dopo dieci anni? Sara con il batticuore spiegò il perché della telefonata e Marisa fu entusiasta all’idea di poter aiutare il giovane medico e non perse tempo le lasciò il numero di Damien aggiungendo, che se fosse stato necessario, sarebbe stata lei stessa a costringere il figlio ad accettare l’invito della ex fidanzata. Sara chiuse il telefono quasi un’ora dopo. L’orecchio sinistro era incandescente. Ma quanto parlava la madre di Damien? Sorrise e rilesse il numero che la donna le aveva lasciato. Era diverso da quello che aveva in agenda. Ed adesso? Cosa avrebbe detto a Damien?

Ciao Demy. Ti ricordi di me? Sono Sara, la ragazza con cui hai fatto l’amore per la prima volta. Come stai? Sai volevo chiederti se potevi venire a fare un po’ di volontariato domani mattina nell’ospedale dove lavoro!

Certo! Era sicura di ricevere il telefono chiuso in faccia. Doveva trovare un argomento valido per telefonare al suo ex. Intanto Anna era entrata nella stanza dell’amica. Guardava Sara che era concentrata a fissare… fissava con attenzione un pezzo di carta. Si avvicinò con cautela all’amica e poi la ridestò dalle sue attenzioni.

- Sara… tutto bene?

La ragazza trasalì, non l’aveva sentita entrare. Osservò il viso dell’amica e poi il pezzo di carta. Di nuovo il pezzo di carta e poi il viso dell’amica. Andava bene? No, cosa poteva dire al suo ex per farlo venire in ospedale? Ricordava benissimo l’avversione di Damien per tutto ciò che riguardava l’ambito medico. Si buttò a peso morto sulla scrivania e sbatté duramente anche la testa, ci mancava solo questa. Alzò il capo ed osservò l’amica con sguardo torvo.

- Niente va bene. È tutta colpa tua. Cosa m’invento per far venire Damien in ospedale? Cosa?

Sbarrando gli occhi, Anna guardò l’amica. Ma dove era finita la sua Sara? La Sara sempre tranquilla e disponibile? Chi era la ragazza che aveva di fronte?

- Sara sicura di stare bene? Sembri… non lo so… nervosa?

Azzardò un approccio diretto. Se l’altra l’avesse assalita sarebbe fuggita dalla porta che si trovava a pochi passi. Di contro, Sara, non disse nulla e si limitò ad osservare il pezzettino di carta che aveva in mano. Poi, spinta da una forza sconosciuta lo porse ad Anna che lesse il numero non capendo cosa volesse dire l’amica.

- È il numero di Damien...

Non ricevendo risposta da parte dell’amica Sara sbuffò e riprese a parlare con un lieve tono isterico nella voce.

- Il ragazzo che dovrebbe venire qua a trovare i bambini…

A quell’affermazione il viso di Anna si illuminò. Era fatta allora… ma perché Sara aveva una faccia da funerale?

- Sara, tesoro, quale sarebbe il problema? Telefoni e gli chiedi di venire in ospedale. È semplice!

- Semplice? Anna tu non ti rendi conto. È da dieci anni che non vedo Damien, che tra parentesi è anche il mio ex ragazzo. L’ultima volta che ci siamo visti io, in pratica, l’ ho mollato davanti i suoi migliori amici. Ti assicuro che non ci siamo lasciati in buoni rapporti, ed adesso che faccio? Gli chiamo come se nulla fosse? Non posso. Chiamagli tu, quello il numero, ma ti prego non fare il mio nome.

Anna guardava l’amica sconvolta. Ecco cosa la tormentava. Non sapeva come attaccare bottone con l’ex che aveva scaricato in modo davvero poco carino. Bel problema… ma in fondo perché preoccuparsi? Non doveva mica umiliarsi, doveva chiedere un favore tutto qui. Non capiva l’imbarazzo dell’amica. Cosa poteva mai rischiare? Un rifiuto?

- Sara cosa ti preoccupa? Non puoi dare in escandescenza per questa sciocchezza.

- Sciocchezza? Anna tu non capisci. Io… non posso. E se lui dicesse di no? Cosa diremo a quei poveri bambini?

Anna scosse il capo divertita. Come aveva fatto a non pensarci prima. Sara si preoccupava per i bambini. Sorrise all’amica. Aprì il fogliettino che aveva ripiegato e digitò il numero di cellulare. Attese che squillasse e poi diede la cornetta in mano a Sara.

- Io scappo in corsia. Poi mi dirai cosa ti ha detto il tuo ex. Sbrigati che all’altro capo qualcuno potrebbe aver già risposto.

Sara osservò l’amica con la bocca aperta. L’aveva fregata. Ed adesso? Cosa avrebbe fatto? Poteva riagganciare, certo. Tanto il numero interno della stanza non era visibile, quella era una chiamata anonima. Damien non poteva rintracciarla. Quando stava per riagganciare però… sentì una voce all’altro capo. Ed ora? Non poteva chiudergli il telefono in faccia. O forse si? No. Scosse vigorosamente la testa e mise la cornetta all’orecchio e con voce un po’ stridula, un po’ tremante rispose.

- Damien Mc Glass?

Il primo passo era stato fatto. Aveva risposto al telefono. Adesso non doveva fare altro che attendere la risposta che non tardò ad arrivare.

- Sì, sono io. Con chi parlo?

“ Bene! Con chi parlo? La tua ex! Si ma quale ex? Dieci anni sono tanti non credi Sara?” Era questa la conversazione che avveniva nella mente di Sara mentre, all'altro capo del telefono, il povero Damien attendeva pazientemente una risposta. Dopo un profondo respirò non rimase che incrociare le dita e sperare di non ricevere un telefono chiuso in faccia.

- Ciao Demy! Sono Sara. Sara Graci. Ti ricordi di me?

Silenzio. Perfetto il suo ex l’aveva dimenticata! E meno male che era la prima con cui aveva fatto l’amore altrimenti… a dire il vero anche per lei era il primo. Aveva solo diciotto anni ed aveva sempre sperato che la prima volta fosse con il suo vero amore… ed in fondo al cuore sperava che anche per l’altro fosse la prima volta… ma mentre era persa nei suoi ricordi d’adolescente la voce del ragazzo la riscosse.

- Quella Sara?

Oddio cosa voleva dire con quella affermazione? Quante Sara conosceva? Perché non poteva essere tutto semplice? Perché doveva sempre complicarsi la vita in modo esagerato? Sara sospirò pesantemente, di certo anche Damien l’aveva sentita. Raccolse tutto il suo coraggio e si preparò a rispondere, ma fu preceduta da lui.

- Sei la “mia Sara”. La prima Sara? Vero?

Adesso era lei che non rispondeva. Sorrise inconsciamente. Ricordava ancora quando Damien la prendeva in giro sostenendo che lei era “la prima Sara in tutto e per tutto”. Per un attimo volle tornare a quei giorni, non tanto perché amava ancora il suo ex. Con il passare degli anni aveva capito che non aveva mai amato Damien, o per lo meno non lo aveva mai amato com’era stato per l’altro… non appena si rese conto della piega che stavano prendendo i suoi ragionamenti, decise di cambiare direzione e rispondere al suo ex.

- Sì sono io Demy. Come stai?

- Sai, era da tanto che nessuno mi chiamava così!

Sara lo aveva fatto a posta. Sapeva che era la sola a chiamarlo in questo modo, almeno, lo era in passato. Ma adesso? Un crampo allo stomaco e poi la sorpresa. Quella era gelosia. Un pizzico di gelosia. E come darle torto. In fondo Damien era stata la sua prima storia importante. Era stati insieme per quasi tre anni. Prima di fare l’amore con lui voleva essere sicura e lui, pazientemente, aveva atteso. Un anno, anzi di più. Quattordici mesi, ma era strano, non ricordava quasi nulla della sua prima volta, a parte la canzone di sottofondo, “It wasn't me”, anche se ancora non riusciva a capire il perché proprio quella canzone. Alla fine parlava di tradimenti ripetuti e non era certo il massimo da utilizzare come sottofondo per una prima notte. Le stranezze della vita!

- A cosa devo l’onore di questa chiamata, dopo quanto? Dieci anni?

Sara sorrise alla domanda di Damien. Lui la conosceva e sapeva che lei non chiamava tanto per sentire la sua voce. Però aveva voglia di prenderlo in giro e così fece.

- Avevo voglia di sentirti.

- Certo. Nevica ad agosto. Parla! Cosa ti spinge a chiamarmi dopo tutto questo tempo.

- Perché scusa, non posso avere voglia di sentire il mio ex ragazzo?

Damien rise alla risposta di Sara, certo che certe cose non sarebbero mai cambiate. Parlare con lei era sempre stato divertente, solo che… solo che dieci anni fa non lo aveva capito e così aveva iniziato a trascurarla, prima gli allenamenti, poi le uscite solo uomini, poi… poi aveva fatto il bastardo ed usciva anche con altre ragazze anche se tecnicamente… e praticamente… non aveva mai tradito Sara, ma lei, all’epoca, non la pensava alla stessa maniera.

- Se non ricordo male l’ultima volta che ci siamo visti mi hai trattato come un verme e mi hai mollato davanti ai miei amici.

Stavolta era il turno di Sara di ridere. Durò solo un attimo però. Era sorpresa. Stava scherzando al telefono con il suo ex ragazzo come se ciò che lui le aveva fatto non contasse nulla. Sara però ricordava ancora le lacrime versate a causa sua, si fermò e tornò a parlare con voce ferma e sicura.

- Hai ragione. Ho un favore da chiederti.

Dritta e coincisa, come era nel suo carattere. Senza girare intorno alle parole. Damien si accorse del mutamento nel carattere della ragazza e si sentì leggermente colpevole. Per un attimo aveva sperato che Sara avesse dimenticato come l’aveva trattata.

- Bene, ho capito. Allora possiamo vederci, che ne dici?

Sara era sorpresa. Come faceva Damien a sapere della sua presenza a Torino? Che l’avesse vista? Si morse l’interno della guancia per trattenere la sua esclamazione di sorpresa al suono di quella domanda ma si trattenne. Decise per la via più semplice. Domandare.

- Cosa ti fa credere che io sia a Torino?

- Come fai a sapere che io sono a Torino?

Sara stavolta rispose senza troppi giri di parole. Quel botta e risposta non le piaceva. Stava diventando tutto troppo… familiare… lei voleva mantenere un minimo di distanza.

- Leggo i giornali.

- Mia madre mi ha telefonato assicurandomi che, se non avessi accettato la proposta che mi avrebbero fatto da qui a poco, mi avrebbe ucciso.

Non può essere mai come ieri
mai più la stessa storia

Finito anche questo IV capitolo. Ho notato che in pochi seguono la fic e stavolta nessuno ha recensito il capitolo scorso. Io non mi arrendo. Ho deciso di scrivere questa fic e non voglio fermarmi. Per me è troppo importante scriverla e raccontarla, se poi non piace pazienza! Il prossimo aggiornamento sarà i primi di marzo, credo tra il 6 e 7, quindi tra circa un mese. A presto e grazie a chi trova 5 minuti per leggere. I versi riportati in fondo al capitolo sono tratti dalla canzone “Mai come ieri” di Mario Venuti, cantata in coppia con Carmen Consoli, parte dell’album omonimo del 1998.

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO V

Quando Sara decise che, almeno per quel giorno, il suo lavoro era terminato già era trascorsa un’ora dalla fine del turno. Prima di andare a casa, infatti, aveva deciso di passare a fare un’ultima visita ai suoi pazienti. Quel pomeriggio, tra l’altro, avrebbero dimesso il signor Paraceli e lei non era come il caro Gregory House, lei aveva un buon rapporto con i suoi pazienti, e li salutava sempre prima che fossero dimessi.

Appena entrata nella sala-degenza sorrise al signor Paraceli, un uomo di mezza età abbastanza robusto. Pensò, ampliando il sorriso in modo quasi sadico, che presto però, questi avrebbe dovuto rinunciare alle sue porzioni extra di brasato al barolo. Non era sicura che l’uomo avrebbe retto lo shock, in ogni modo il suo pensiero si fermò lì, non poteva certo sapere quale sarebbe stata la reazione dell’uomo appena letta la dieta prescritta. Ritornò al suo essere un medico responsabile e rassicurò, il paziente in uscita, sull’esito dell’intervento e soprattutto sul cessare dei fastidiosi bruciori di stomaco che accusava, generalmente, un’ora dopo i pasti. Certo, a causa dell’intervento le abitudini alimentari sarebbero cambiate, drasticamente a parere del paziente, ma almeno la sua vita avrebbe riacquistato una parvenza di normalità.

Sara, al momento della diagnosi, era rimasta sorpresa: ulcera e per di più complicata! Era questo che la tormentava anche dopo aver timbrato il cartellino per segnalare la sua uscita. Si era chiesta com’era possibile che, nel 2008 ancora, c’era chi era costretto a sottoporsi ad un intervento chirurgico a causa di una banale ulcera. Era talmente immersa nelle sue riflessioni che non si accorse di una voce che la chiamava.

- Sara è da più di mezz’ora che ti chiamo.

La ragazza si voltò in direzione della voce e sorrise felice nel vedere Andrea. Quando i loro turni non combaciavano, i due amici, cercavano sempre di vedersi. Di solito si davano appuntamento al bar dell’ospedale e restavano lì a parlare per un po’, magari scambiandosi casi clinici o divertendosi a prendere in giro qualche collega. A volte Andrea le proponeva qualche uscita con un amico ma lei il più delle volte rifiutava, non se la sentiva di uscire con nessuno, non adesso che stava costruendo il suo futuro.

- Non ti ho sentito. Ero immersa nei miei pensieri…

Sara pronunciò l’ultima frase con fare drammatico, mettendo il dorso della mano davanti la fronte ed Andrea la fissò stralunato. Ogni tanto dubitava della sanità mentale dell’amica. Sara sorrise all’amico, quel pomeriggio si sentiva euforica, l’indomani avrebbe assistito il primario in un delicato intervento, sperava solo di non dover reggere tutta la mattinata solo i bisturi.

- Cosa prendi?

La ragazza osservò ciò che era rimasto e si rattristò. Non c’era molto e la tavola calda di Torino non le piaceva affatto. Guardò in direzione dei dolci, la delusione aumentò, non era rimasto nulla. Non aveva voglia dell’ennesimo panino così optò per un succo di frutta.

- Come mai un succo di frutta?

- Quando torno a casa mi preparo un piatto di pasta col pesto di mamma.

- Tua madre ti ha spedito un altro pacco da casa?

Sara annuii in direzione di Andrea mentre sorseggiava il succo che aveva preso. Andrea la guardò infastidito, sua madre non si ricordava mai di spedirgli un pacco con tutte le prelibatezze della sua Sicilia. Sarà intuì i pensieri dell’amico e sorrise.

- Ha pensato anche a te. Stasera quando finisci il turno passa a prendere quel che ti ha mandato.

- Ti ho mai detto che ti adoro?

Sara sorrise si diresse alla cassa dove pagò sia per lei sia per l’amico che obiettò come sempre. Di solito era Andrea ad offrire, ma ogni tanto riusciva ad anticiparlo e pagare lei per entrambi e, quando accadeva, lui ne faceva un dramma. Uscirono dal locale ed una volta all’aperto Andrea si accese la solita sigaretta post-caffè, pre-turno-in-corsia.

- Andrea ma tu non dovresti essere in reparto?

La ragazza osservò l’amico comodamente seduto su una panchina. La schiena poggiata alla spalliera metallica e le braccia distesa su questa. Guardava il cielo di novembre e si accorse che non era perfettamente sereno. Andrea non era molto contento di ciò, ripensando alla pioggia di quel mattino, si maledì per non aver preso l’ombrello. Aveva lasciato la macchina al parcheggio dell’ospedale, quello riservato ai dipendenti, ma per andare al suo reparto doveva attraversare mezzo ospedale, a piedi ed all’aperto. Se pioveva si sarebbe inzuppato. Fumava silenzioso il giovane medico e Sara gli stava seduta accanto, avvolta nel suo cappotto pesante. I capelli le ricadevano sulle spalle indomiti e lei li riportava indietro di continuo.

- Dovrei essere in reparto, solo che… oggi c’è quel lecchino di Marisi e ne ho approfittato per fare una pausa.

Sara alzò un sopracciglio scettica. Pausa? Ma se era trascorsa appena un’ora dall’inizio del turno? Conosceva Marisi e sapeva quanto poteva essere conveniente lavorare con un tipo del genere, sempre pronto a leccare i piedi a tutti, infermieri compresi. Lei aveva un buon rapporto con tutto il personale medico con cui lavorava ma era solo un rapporto lavorativo. Si mantenevano determinate distanze, specie con gli infermieri. Lei era una giovane specializzanda e se, malauguratamente, gli infermieri avessero preso troppa confidenza lei sarebbe stata declassata a porta caffè, era questa la dura legge dell’ospedale. E questo era quello che era capitato al povero Marisi, sfruttato da tutti. Medici. Infermieri. E pure pazienti.

- Non dovresti approfittare così della cortesia dei colleghi.

- Sara piantala. Lo sai meglio di me che quello pur di mettersi in luce agli occhi del primario sarebbe disposto a vendere sua madre. Non lo sopporto. È un lecchino e lo tratto come merita. Non lo considero. Ne approfitto e basta.

Sara non apprezzava il modo di pensare dell’amico. Era vero che Marisi avrebbe fatto di tutto per farsi bello agli occhi del primario ma non poteva certo accettare un atteggiamento simile da parte da Andrea, il suo migliore amico. Sbuffando diede le spalle all’amico e lo salutò con la mano.

Andrea osservava l’amica andare via. Le spalle dritte. I capelli lunghi e castani ondulare ritmicamente. Ancheggiava in maniera sensuale anche se lei non se ne rendeva conto. Sorrise da solo pensando a come tutti credevano che i due fossero amanti, o per lo meno, lo fossero stati un tempo. Ed invece… niente. Mai nulla, se non gli abbracci fraterni. Sara per lui era una sorella. A volte diventava il suo migliore amico. La trattava come un ragazzo senza badare al registro e, se aveva da fare qualche commento pesante nei confronti di qualche ragazza, non si preoccupava, con lei poteva permetterselo, non avrebbe mai detto nulla. Dopo averla persa di vista e finita la sigaretta si alzò per tornare a lavoro. Era vero sfruttava Marisi ma alla fine si sentiva in colpa nei confronti del collega, appena salito lo avrebbe mandato a fare una pausa.

Sara non tornò direttamente a casa come suo solito, ma decise di fare una passeggiata sul lungo Po. In assenza del mare doveva accontentarsi di camminare in riva al fiume. Prese il tram che la portò vicino alla sua destinazione, scese un paio di fermate prima per poter camminare liberamente. Le piaceva camminare e pensare. Torino era una città romantica, ma a lei suscitava tristezza. Si strinse nel suo cappotto ed alzò il colletto. Un vento gelido soffiava tra le vie della città.

La scelta di trasferirsi a Torino per completare gli studi non era stata casuale. In realtà tutto ciò che aveva fatto negli ultimi quattro anni della sua vita non era stato casuale.

Chirurgia generale. Il sogno nel cassetto del suo ex.

Torino. La città preferita dal suo ex.

Indipendenza. Quello che le rimproverava di non avere il suo ex.

Questi erano tre dei punti fondamentali della sua vita. Le parti più rilevanti della sua vita. La specializzazione, la città in cui farla e la sua indipendenza. Questo era il suo futuro e lei lo aveva fatto pensando al suo ex. Inizialmente era una vendetta, ma adesso le stava stretto tutto ciò. Non voleva più vendicarsi.

Il suo sogno era Oncologia Pediatrica ed a volte parlando con Anna rimpiangeva la scelta. Era per questo che aveva stretto questa amicizia con la donna, per non abbandonare totalmente il suo sogno. Ed era anche per questo che aveva deciso di aiutarla. Tra l’altro lei non amava Torino. Era una bella città. Romantica. Mistica. Magica. Ma non era la sua città e poi non c’era il mare. Non c’era il sole. Non c’era l’Etna. Lei amava Catania. Lei voleva tornare a Catania, ma non lo avrebbe fatto, voleva vivere lontano dalla città in cui aveva vissuto insieme a lui. In quella città, ogni angolo, ogni via, ogni locale le ricordava lui. Unica nota positiva era l’aver acquistato l’indipendenza che avrebbe solo desiderato restando a Catania. I suoi genitori la trattavano ancora come un’adolescente nonostante i ventinove anni.

Quei pensieri la incupivano e così chiuse gli occhi cercando di tranquillizzarsi. E poi c’era dell’altro. Erano trascorsi quattro anni ma ancora non aveva superato la separazione da lui. Ma perché? Perché era così difficile dirgli addio? Si erano lasciati così di punto in bianco. In realtà non si erano mai detti addio, anche perché Sara si rifiutò di vederlo dopo aver scoperto la verità.

Lui da sei mesi era a conoscenza del viaggio che avrebbe intrapreso a settembre ma non le aveva mai detto nulla.

I loro amici lo sapevano ma non avevano detto nulla. Tutti sapevano tranne lei.

L’aveva avvertita tre giorni prima di prendere quel maledettissimo aereo che lo avrebbe condotto negli USA.

Lui si aspettava che lei accettasse tutto con il sorriso sulle labbra.

Lui si aspettava che lei sorridesse e lo abbracciasse dopo la confessione.

Lui si aspettava che lei versasse qualche lacrima di dispiacere ma invece…

- Sara, fra tre giorni parto.

- E dove vai di bello?

Sara conosceva le pazzie del suo ragazzo. Sapeva che appena aveva qualche difficoltà tentava di scappare. In questo periodo, per lui, per il suo Principe, le difficoltà erano parecchie tra università e liti con il padre. Spesso prendeva un aereo e si rifugia da sua sorella a Milano o, quando poteva, scappava nella casa a mare che aveva vicino a Taormina. Restava un giorno e poi tornava da lei. Sereno o per lo meno un po’ più rilassato. Sara tornò al presente quando sentì la risposta alla sua domanda.

- Yale. Nel Connecticut.

Sollevò un sopracciglio perplessa. Era uno scherzo. Stava riprendendo a farle stupidi scherzi. Alla fine sorrise al suo ragazzo e gli diede un bacio sulla guancia. Erano in macchina, sotto casa sua. Avevano trascorso tutto il giorno fuori. Erano stati al mare, tutto il giorno, proprio come lei aveva chiesto un po’ di tempo prima. Proprio a Taormina a casa di lui. Tutti e due soli. Mattinata in spiaggia e poi il pomeriggio… un pomeriggio di passione come non capitava da tempo. A Sara era sembrata strana tanta brama nel suo ragazzo, sembrava quasi… scacciò via quei pensieri e tornò a guardarlo in viso, ma lui era rimasto serio.

- Non sto scherzando. È tutto vero. Parto fra tre giorni. Resterò via tre anni.

- Certo… spiritoso.

Il ragazzo sospirò e prese dal cassettino del cruscotto un biglietto aereo e lo porse a Sara che lo prese con mani tremanti.

Lesse il nome.

Lesse il cognome.

Lesse l’aeroporto di partenza. Linate.

Lesse l’aeroporto d’arrivo. New Haven CT.

Lesse la data di partenza. Il 10 settembre.

Oggi ne avevano 7. Mancavano tre giorni. Anzi no. Due giorni dato che ormai erano le 22 del 7. Due giorni e sarebbe andato via. Per sempre?

Lentamente si voltò verso di lui. Tratteneva le lacrime, ancora sperava in uno scherzo. Vide gli occhi di lui lucidi ed allora capì che era tutto vero. Scese una lacrima. Poi un’altra. Ed altre ancora.

- Da quanto tempo hai deciso?

Era riuscita a parlare tra le lacrime ed anche lei non capì come. Tremava come una foglia. Un senso di nausea la colse improvvisamente. Aprì lo sportello e vomitò anche l’anima. Lui fu subito su di lei a stringerla, ma lei lo scansò.

- Cazzo da quanto sai che devi partire.

Stavolta aveva urlato. Nelle loro litigate Sara non urlava mai e questo lo faceva innervosire ancora di più. Ma adesso Sara aveva urlato e non era un buon segno. La guardò e la vide piccola e fragile. Avrebbe retto? Certo che sì. Sara era forte, più forte di lui.

- Sei mesi.

Aveva risposto alla domanda. Sara non disse nulla. Aprì lo sportello e scese dalla macchina. Chiuse piano la portiera senza provocare il minimo rumore. Come se quell’atto di cortesia avesse un senso. Corse verso il cancello e lo aprì. Si fiondò dentro richiudendolo alle spalle senza mai voltarsi indietro.

Sara ricordava tutto.

Era sera. Salì di corsa le scale. Mentre saliva cadde e batté forte il ginocchio. Se lo sbucciò. Uscì sangue. Molto sangue, ma lei non si preoccupò. Arrivò a casa ed era tutto buio. Era da sola. Meglio. Non voleva vedere nessuno. Si cambiò e si buttò sul letto. Pianse nella solitudine della sua stanza. In silenzio, per non farsi sentire dalla madre. Era sciocco però. Lei era sola a casa. I suoi erano fuori. A Catania era ancora piena estate.

La stessa sera lui la chiamò.

Una.

Cento.

Mille volte.

Lei non rispose. Spense il cellulare. Chiamò la madre dicendole che era rincasata, dopo mise fuori posto il telefono. Non voleva essere disturbata. Da nessuno. Quando i suoi rientrarono fece finta di dormire. Il giorno dopo avrebbe raccontato tutto. Ma per quella sera voleva rimanere sola nel suo dolore.

Sara tornò al presente. Una lacrima le solcava la guancia. Andrea credeva che lei non piangesse più ma non era vero. Quando era sola piangeva spesso. Ripensare a quella sera la faceva stare male. Ancora. Le faceva stare male il ricordo di quel pomeriggio. La passione e la dolcezza. Aveva avvertito che c’era qualcosa di diverso, ma non volle farci caso. Ricordava di essersi data della cretina. Era tutto normale ma poi la catastrofe.

Però ancora non le era chiaro cosa la facesse stare peggio. Il pensiero di lui che era andato via, oppure il come l’aveva presa in giro? Probabilmente entrambi. Lei si era fidata. Lo aveva amato con tutta se stessa. Fuori da ogni logica. Contro tutto. Lui l’aveva delusa. Presa in giro.

Sara sbuffò, da sempre era stata presa in giro dai ragazzi. Anche Damien lo aveva fatto.

Damien.

Presto lo avrebbe rivisto. Per l’esattezza la sera successiva, dopo la partita. Si chiese se fosse giusto. Scrollò la testa. Per quella sera troppi pensieri. Si strinse ancora di più il cappotto in vita. Osservò una coppia scambiarsi teneri baci poco distante da lei e li invidiò.

Anche lei aveva avuto qualche storia nei quattro anni appena trascorsi ma nulla di particolare. Niente sesso. Solo qualche bacio. Appena si accorgeva che l’altro voleva di più lo mandava a quel paese e, generalmente, questo accadeva già al quarto appuntamento. Era arrivata ad un settimo appuntamento poi, anche quello l’aveva mandata a quel paese. Sbuffò indispettita. Girò sui tacchi e se ne tornò a casa.

Intanto da qualche altra parte un ragazzo stava guardando quel cielo autunnale accendersi dei colori del crepuscolo. Sorrise pensando alla sua “depressione crepuscolare”. Chissà cosa avrebbe detto Sara nel rivederlo dopo così tanto tempo…

L'ultimo bacio mia dolce bambina
brucia sul viso come gocce di limone
l'eroico coraggio di un feroce addio
ma sono lacrime mentre piove
piove
mentre piove

Eccomi qui. Con anticipo rispetto a quanto detto. Anche questo capitolo è stato un parto difficile. Soprattutto descrivere il dolore di Sara. Tutto il capitolo è di transizione. La prima parte probabilmente non è molto importante ai fini della storia. La seconda parte mi è servita per descrivere lo stato psicologico della protagonista. Volevo ringraziare tutti coloro che seguono la storia, il IV capitolo è stato letto solo da 37 persone ma non mi importa, io spero che siano pochi ma buoni. Continuo a scrivere la storia e cerco di rendere il più reale possibile il comportamento dei protagonisti, spero solo di riuscirci.

RINGRAZIMENTI

- _LAURA _ : grazie per il sostegno non sai cosa voglia dire per me. Soprattutto perché sono davvero in pochi a leggere la storia ed un po’ mi dispiace perché mi sto impegnando parecchio dato che i personaggi sono tutti farina del mio sacco.

- TARTIS : ciao Sara. La protagonista si chiama Sara perché, oltre ad essere un nome che a me piace da morire, è il nome che mia madre avrebbe voluto mettermi se mio padre non avesse insistito per il mio vero nome, Carmela, abbellito in Carmen… sono felice che i personaggi ti piacciano e che siano ben caratterizzati. Non sai che fatica per renderli vivi… spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento. Probabilmente nel prossimo assisteremo all’appuntamento tra Damien e Sara, ma non ti assicuro nulla. A presto e grazie per i complimenti.

Prima di chiudere volevo chiedere aiuto a qualcuno di voi. Magari se tra i pochi lettori c’è qualche torinese e mi desse qualche dritta su luoghi, strade, locali di Torino ve ne sarei grata. Quello che ho scritto sino adesso è tutto reale e deriva da ricerche su internet, ma se voi magari mi deste una mano…

I versi alla fine del capitolo sono tratti dalla canzone “L’ultimo bacio” di Carmen Consoli.

Adesso vi saluto però e vi do appuntamento alla fine di marzo. A presto e grazie…

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO VI

Sara rientrò a casa che ormai era sera. Aprì la porta e posò le chiavi sopra il mobile all’ingresso. Accese la luce e si diresse con passo pesante nella sua camera da letto. A peso morto si buttò sul letto a due piazze, unico sfizio che si era concessa nel suo appartamento torinese. Chiuse gli occhi e sbuffò.

- Buonasera dottoressa.

Alzò la testa di scatto, doveva essere sola in casa ed invece non era così, sorrise alla sua coinquilina, poi le domandò:

- Ma tu non dovresti essere su un treno diretta a Milano?

- Dovrei… peccato che domani mattina devo essere allo studio alle 7. Quello stacanovista del mio capo mi fa lavorare anche il sabato.

Sara prese il cuscino e lo lanciò all’amica.

- Certo! Ma dimmi è stacanovista anche tra le lenzuola?

Clara arrossì alle illazioni di Sara e uscì di corsa dalla stanza per rifugiarsi nella sua. Sara sorrise interiormente. Era stata un po’ troppo cattiva con la coinquilina, ma quella ragazza non era mai contenta. Aveva la fortuna di avere sul posto di lavoro l’uomo di cui era follemente innamorata da ormai un anno ed aveva il coraggio di lamentarsi. Come si poteva? Era un’offesa verso coloro che non avevano la fortuna di amare.

La suoneria del suo cellulare la riscosse da quei pensieri troppo pericolosi per il suo inconscio. Rovistò nella borsa lasciata in terra accanto al letto e trovò il telefonino. Il display illuminato riportava la scritta “Mamma” e Sara, sospirando, rispose alla chiamata.

- Ciao mamma!

Dopo il suo amore finito male, Sara aveva deciso di non permettere più a nessuno di intravedere nel suo animo. Il rapporto con la madre, già da prima difficile, dopo quella decisione si era ulteriormente complicato. Sara recitava la parte della figlia diligente e sempre pronta a rendere fieri ed orgogliosi i genitori, in realtà cercava di stare il meno possibile in contatto con i suoi. Temeva che riuscissero a vedere la tristezza nel suo sguardo. Aveva deciso di non essere più felice. La felicità non era per lei, ma non poteva farli preoccupare. Non voleva far pesare la sua situazione sui genitori, già preoccupati per lei e per il fratello che viveva a Firenze. Sara tornava a casa durante le ferie estive, a volte a Natale e Pasqua. I genitori qualche volta salivano a Torino a farle visita e quel periodo per Sara era estremamente difficile. Doveva cercare di essere disponibile e solare, anche quando il suo unico interesse era quello di andare a dormire e non pensare che doveva ancora cenare.

- Sto bene. Tu e papà?

Sua madre era iperprotettiva. La trattava come quando aveva dieci anni e non si rendeva conto che a ventinove anni Sara ormai era una donna abbastanza in gamba per cavarsela da sola. Viveva a Torino da ormai due anni e sapeva come muoversi per la città. Sara ricordava come la madre l’assillasse i primi tempi che si era trasferita nella metropoli piemontese.

Sara fai lo squillo quando ti svegli.

Sara fai lo squillo quando esci da casa.

Sara fai lo squillo quando arrivi a lavoro.

Sara fai lo squillo quando esci da lavoro.

Sara fai lo squillo quando rincasi.

Un giorno, Sara, esplose di fronte al continuo assillo della madre, le disse chiaramente che non avrebbe fatto più alcuno squillo. Se sua madre avesse trovato qualcosa da ridire sulle sue scelte avrebbe cambiato anche gestore telefonico e numero di telefono. Era improponibile vivere col fiato della madre sul collo anche se lei si trovava dall’altra parte della nazione. D’altro canto sua madre accettò quietamente le imposizioni della figlia anche perché Sara aveva dalla sua il padre.

Suo padre. Era il suo idolo. Amava suo padre con tutta se stessa anche se il rapporto tra loro era parecchio conflittuale. Lui non era uno di quei padri geloso dei capelli della figlia. Non l’aveva mai chiamata Principessa, neanche per scherzare. Era un padre e si comportava come tale. Litigavano sempre anche perché avevano lo stesso carattere. Testardi e ottusi. L’ultima parola doveva essere la loro. Sara non accettava di dover sottostare al volere del padre, che non era un padre-padrone, ma uno di quei padri vecchio stampo.

Non voglio che tu parta da sola con il tuo ragazzo.

Non voglio che tu esca da sola di sera con la macchina.

Non voglio che tu la sera vada a dormire a casa di qualche amica (figurarsi a casa del proprio ragazzo!).

Non voglio che tu disubbidisca alle mie regole.

Sara non era riuscita ad imporsi solo su di un punto. Il primo. Non era mai partita con il suo ragazzo, e dopo tanti anni doveva ringraziare suo padre, almeno avrebbe avuto meno ricordi piacevoli.

Nonostante il rapporto conflittuale con i genitori Sara era pronta a dare la vita per loro. Quando suo padre era stato male Sara si alzava anche la notte per vedere se il genitore respirasse normalmente nel suo letto. Aveva avuto molta paura. Il mondo le era crollato addosso. Il suo eroe era in un letto di ospedale. Debole. Stanco. Non sembrava neanche lui. Perse un anno di studi. Un altro anno lo aveva perso l’anno prima a causa alla morte della nonna.

I genitori erano convinti che avrebbe perso un altro anno in seguito alla separazione dal suo amore, ma non fu così. Sara reagì buttandosi nello studio e loro furono ancora più orgogliosi della figlia.

I genitori di Sara non erano medici. Erano persone comuni. La loro istruzione arrivava alla licenza media ma avevano preteso che i loro figli si laureassero e laddove ciò non era stato possibile, come nel caso di Sebastiano il fratello di Sara, dovevano ottenere, almeno, un diploma di scuola superiore.

- Salite da Sebastiano. Quando?

Naturalmente oltre che andare a trovare la figlia i genitori di Sara andavano anche a trovare il figlio. Il padre di Sara era un ferroviere ormai in pensione ed usufruiva, insieme alla moglie, di una tessera che permetteva loro di viaggiare gratis. Così spesso prendevano il treno ed andavano a trovare i figli. Questo avveniva in media ogni due mesi. Più frequenti erano le visite a Sebastiano, non perché il secondogenito fosse preferito a Sara, ma perché i signori Graci avevano capito che la figlia aveva un ritmo di vita che le permetteva di passare poco tempo con loro e così cercavano di non alterare l’equilibrio del giovane medico.

- Potreste passare a trovarmi. Mi prendo un paio di giorno se mi assicurate che salite.

Di contro Sara adorava le incursioni dei suoi. Certo era contraddittoria ma era nel suo carattere. Voleva mantenere la sua indipendenza ma le mancava da morire casa, soprattutto le mancava da morire la sua famiglia.

- Bene. Allora aspetto la vostra conferma. Certo mamma, è arrivato oggi. Sì. Ho parlato con Andrea, certo che gli darò il suo pacco. No. Mamma non sono gelosa! Mamma fammi parlare prima che mi dimentichi: domani mattina lavoro, ho un intervento importante. Lo so che è sabato… no… mamma aspetta… si, fammi parlare. Ho un intervento importante ti dicevo, devo fare da aiuto al professore… certo che è un’opportunità importante. Capita raramente ai miei colleghi. Ho risolto, certo. Bene. Adesso vado a fare una doccia. Certo ci sentiamo dopo. Bene. Un bacio!

Sara chiuse la chiamata. Sua madre era davvero un osso duro, se iniziava a parlare difficilmente la lasciava andare. La capiva in un certo senso, anche lei un tempo era così. Chiamava alle sue amiche e restava ore al telefono, poi tutto era finito. No. Non era colpa del Verme. Stavolta non era colpa sua. Era tutta colpa dello studio. Sara non perdeva un attimo, era sempre china sui libri. Non aveva tempo da perdere, certo ma intanto rovinava delle belle amicizie. Meno male che le erano rimasti Andrea e Paola. Loro non l’avevano abbandonata anche se il suo comportamento era stato pessimo.

Guardò l’orologio. Quasi le diciotto. Si alzò di scatto dal letto ed uscì dalla sua stanza. Bussò alla porta chiusa della camera della sua coinquilina, attese il consenso per entrare quindi aprì piano la porta.

- Clà! Sei arrabbiata per la battuta di poco fa?

- No, cosa vai a pensare!

- Bene. Dimmi ti va di andare in palestra. Sola mi secca da morire e poi se ci sei tu posso tenere alla larga quel cretino di Marco.

Clara scosse la testa demoralizzata. Al pensiero di Marco il sangue nelle sue vene si era ghiacciato. Certo un bel ragazzo, ma gli anabolizzanti dovevano avergli mandato in fumo il cervello. Ragazzo più strano non lo avevano mai conosciuto.

- Sara, sai qual è il mio problema? Sono troppo buona, dopo la battutaccia di poco fa dovrei mandarti sola in palestra ed invece, il mio buon cuore mi suggerisce di farti compagnia. Guarda che mi devi un favore enorme, ricordalo!

Sara sorrise. Clara era la ragazza più dolce che avesse mai conosciuto. Le ricordava un po’ lei prima del cambiamento come era solita definire la separazione con il suo ex.

Ognuno preparò il proprio borsone per poi sorridenti dirigersi in palestra.

Tre ore dopo erano nuovamente a casa, stanche ma soddisfatte. Marco le aveva stressate come al solito ma quando erano insieme riuscivano a sopportarlo con più facilità. Il proverbio non sbagliava mai: mal comune mezzo gaudio!

- Cosa vuoi per cena?

Sara dalla cucina attendeva la risposta dell’amica che non tardò ad arrivare.

- Ceno fuori, sto uscendo con Danilo.

Venerdì sera e lei sarebbe rimasta sola a casa. Ancora una volta. Situazione deprimente se si fosse trovata a Catania, ma a Torino era normale. Nella sua vita torinese era normale il suo essere pigra.

Sorrise all’amica, ma quella stretta allo stomaco, che avvertiva ogni qualvolta ricordava la sua vita a Catania, si fece ancora una volta viva. A Torino era tutto diverso. Era sola. Completamente sola. Non aveva un ragazzo col quale passare le serate. No! Non era corretto, lei aveva l’amicizia di Andrea, ma aveva bisogno di altro. Non le bastava più. Andrea era solo un amico, non le faceva battere il cuore, non la faceva sentire speciale solo perché le sorrideva. Non la faceva sentire viva. Sara non si sentiva più viva e questo da quando aveva rotto con il Verme. Si riscosse dai suoi pensieri quando si accorse che l’amica la scrutava attentamente. Scosse il capo e le sorrise.

- Si deve fare perdonare per il fatto che domattina lavorerete?

Clara fece una smorfia e sparì dentro la sua stanza senza rispondere alla domanda della coinquilina.

* * * * *

Sara era sul suo testo di Chirurgia Medica e leggeva attentamente la tecnica descritta, l’indomani avrebbe affiancato il suo professore, una duodeno-cefalo-pancreasectomia su di una donna di 83 anni. L’intervento di per sé era complesso, l’età della paziente ed il precario quadro clinico non erano certo di aiuto.

Era talmente immersa nella sua lettura che sussultò appena sentì il suono squillante del citofono. Guardò l’ora, le 22 e 35, certamente era Andrea. Si alzò dalla sedia ed andò a rispondere.

Aspettò l’amico davanti la porta di casa e quando lo vide arrivare infagottato nel suo giubbotto verde militare, la sciarpa multicolore attorno al collo, il cappello stretto in testa e le guance arrossate, un moto di tenerezza la invase. Si fece da parte e lo fece entrare.

- Si gela fuori. Sembra quasi che debba nevicare.

- Non credo, è ancora presto, sei solo infreddolito.

Andrea intanto si tolse il cappello e la sciarpa. Diede un bacio sulla guancia alla sua amica e la guardò. I pantaloni della tuta grigia e la maglia aderente dello stesso colore, nella loro semplicità, le donavano un’eleganza innaturale. Il tutto contornato dai suoi ricci ribelli che le ricadevano liberi sulle spalle coprendone buona parte.

- Se non fosse che ti conosco da quasi una vita, ti chiederei di uscire!

Sara sorrise all’amico e lo abbracciò con dolcezza. Gli diede un altro bacio sulla guancia e poggiò la fronte sulla spalla.

- Se non fosse che sei il mio migliore amico potrei anche accettare il tuo invito!

Andrea senza accorgersene iniziò ad accarezzare i capelli di Sara, stavano bene in quel momento. Entrambi, nelle braccia dell’altro, trovavano la pace e la dolcezza di cui avevano bisogno.

Andrea era sempre stato un ragazzo estroverso. Lo si intuiva dai vestiti sempre colorati e dal fatto che, quando arrivava lui, portava seco un’ondata di allegria. Aveva avuto solo una storia importante ma finita male. Loredana, il nome della ragazza che era riuscita a rubargli il cuore, voleva delle certezze dal loro rapporto, certezze che Andrea, all’età di 23 anni, ancora non si sentiva pronto a darle. Si erano lasciati, di comune accordo. Per un periodo si erano sentiti come amici ma poi, quando Loredana aveva trovato un nuovo amore, per il bene di entrambi avevano deciso di interrompere i loro contatti.

Andrea perso nella dolcezza di quell’abbraccio non si accorse di stringere più del dovuto Sara. La ragazza, di contro, stava talmente bene stretta al suo amico che a malincuore interruppe quel contatto.

- Hai già cenato?

Andrea osservò Sara e la vide più piccola ed indifesa del solito. Probabilmente, il tutto era dovuto a quell’attimo di dolcezza che era già stato superato. Ultimamente si ritrovava a chiedersi come sarebbe stato avere un rapporto più profondo con Sara. Come sarebbe stato conoscerla anche come ragazza. Come sua ragazza. Si sentiva terribilmente in colpa nei confronti dell’amica per quei pensieri. Le sembrava di tradire la fiducia che lei aveva riposto nella loro amicizia per questa ragione ricacciava indietro quei pensieri, a suo modo di vedere, malsani.

- Veramente no. Sono venuto direttamente qui appena uscito dall’ospedale.

Senza perdere altro tempo Sara andò in cucina ed iniziò a preparare per la cena. Mise sul fornello un pentolino con dell’acqua.

- Preferisci pasta al pesto di pistacchio oppure un risotto con i funghi?

- Ardua sentenza. Non saprei. Cosa mi consiglia lo chef?

Sara sorrise ad Andrea che intanto era entrato in cucina e si stava lavando le mani nel lavabo. La ragazza lanciò all’amico un panno dove poteva asciugarsi le mani riflettendo sulla risposta da dare.

- Lo chef consiglia pennette al pistacchio… anche perché domani ho un intervento importante e non voglio coricarmi troppo tardi. Se dovessi prepararti il risotto perderemmo troppo tempo.

Andrea intanto stava iniziando ad apparecchiare. Aveva sistemato la tovaglia ed adesso stava aggiungendo tovaglioli e posate. Sara era intenta a pesare la pasta e preparava anche un’insalata verde.

Presto le pennette furono pronte. I due amici consumarono la cena ridendo e scherzando, lodando le prelibatezze della loro Sicilia ed immaginando le abbuffate che avrebbero fatto appena tornati a casa. Dopo cena lavarono insieme le stoviglie sporcatesi nel corso della serata e parlarono un po’ del loro lavoro.

Sara spiegò l’intervento che avrebbe dovuto eseguire il giorno dopo con il professore che la seguiva. Spiegava la difficoltà di operare una donna tanto anziana e così debilitata. Annunciò anche l’arrivo di un luminare della chirurgia proprio dall’America e delle possibilità che avrebbe avuto lavorando gomito a gomito con un chirurgo così preparato.

Andrea ascoltava distratto le parole dell’amica. Era stanco. Aveva lavorato tutto il pomeriggio dato che avevano avuto tre ricoveri durante il suo turno, due donne ed un uomo e giacché lui era il più anziano, tra i medici presenti, si era dovuto occupare di tutto. Poco dopo mezzanotte si alzò dal divano dove stava per crollare addormentato e si mise il bomber verde militare. Sara fece altrettanto solo che si alzò troppo in fretta e fu colta da un capogiro. Se non fosse stato per il pronto intervento dell’amico si sarebbe ritrovata in terra.

- Ti sei alzata troppo di fretta. Dovresti fare molto più lentamente.

- Ha ragione dottore. Le prometto che non accadrà più.

Sollevò il viso e si fermò ad osservare i tratti dell’amico. Non si era mai accorta che le iridi castane di Andrea fossero screziate di verde. Il suo sguardo scese sulle guance glabre dell’amico, sul pizzetto che partiva da sotto il labbro inferiore, ed infine si soffermò proprio sulle labbra carnose del ragazzo. Non ricordava che le labbra di Andrea fossero così stuzzicanti.

Andrea di contro rimase interdetto. Gli occhi di Sara erano stranamente grandi e… belli. I capelli profumavano di pesca e solleticavano le sue mani. Il seno della ragazza premeva contro il suo torace, o forse lo immaginava lui dato che il bomber creava uno spessore discreto. Quello che lo facevano impazzire però erano le labbra. Rosse. Carnose. Vellutate. Invitanti.

Non capirono come ma presto le loro labbra si sfiorarono in modo delicato. Come se avessero timore di ciò che stava accadendo. Effettivamente avevano timore di ciò che stava avvenendo. Non si capacitavano del perché di quel bacio, ma non volevano curarsene in quel momento.

Andrea strinse un po’ di più Sara e continuò a baciarla sempre con la stessa delicatezza. Nulla di impetuoso. Uno sfioramento di labbra.

Lo scatto della porta li riportò alla realtà, si separarono velocemente e chinarono subito il capo come se il solo osservarsi potesse, in qualche modo, riaccendere le emozioni appena provate. Clara fece il suo ingresso nel salone.

- Sara ancora in piedi? Oh, ciao Andrè.

Nessuna risposta. Clara era sorpresa del silenzio che regnava nella stanza. Andrea aveva alzato il capo ed osservava Sara che era rimasta con la testa china. Si sentì un perfetto idiota. Cosa era accaduto? Perché si era comportato in quella maniera? Aveva mandato alle ortiche l’amicizia con Sara per un bacio.

- Tutto a posto? Mi sembrate strani…

- Tutto bene Clara. Adesso io vado, domani Sara ha un importante intervento e già si è fatto tardi. Notte ragazze.

Così dicendo Andrea uscì di casa lasciando dall’amica la sciarpa oltre che il pacco che aveva ricevuto da Catania.

Sara senza fiatare si rinchiuse in camera e si lasciò cadere a peso morto sul letto. Era impazzita. Baciare Andrea, non uno qualsiasi, no. Proprio Andrea. Era stupida. Aveva distrutto un’amicizia a causa di un bacio.

E quando il sole tornerà, a riscaldare quest'aria
e quando poi tramonterà, ti potrò dire ancora,
ti potrò urlare ancora:
Resta ancora o sempre con me, fino a domani
per potermi dire se hai bisogno di me!

Dite la verità! Mi avevate data per dispersa, forse qualcuno credeva che la fic restasse incompleta ed invece no! Io non lascio mai nulla in sospeso. Eccomi tornata dopo quasi due mesi di assenza. Blocco dello scrittore. Una cosa devastante. Avevo carenza di idee, e se qualcuna si affacciava nella mia povera testolina non sapevo come metterla nero su bianco. Spero solo che sia passato perché, tra questo blocco e lo studio addio aggiornamenti. Ma ditemi un po’… cosa ne pensate di questo colpo di scena? Dico la verità, mentre lo scrivevo mi è sembrata un’idea stupida, e probabilmente anche scontata, spero solo che possiate perdonarmi. Cercherò di rifarmi con gli altri capitoli!

RINGRAZIAMENTI:

- GIROVAGHI: figurati per i commenti, ti capisco, il tempo e tiranno e se io dovessi fare tutto ciò che organizzo per la giornata, 48 ore sarebbero sempre insufficienti. Sono felice che questo capitolo ti sia piaciuto, ho avuto qualche dubbio sulla sua pubblicazione perché temevo che la causa della rottura passasse per un motivo futile. Io sono una persona che basa tutto sulla sincerità e dato che in Sara ho messo parte di me ho descritto la sua reazione basandola sulla mia. Spero di essere riuscita a trasmettere il senso di delusione e smarrimento che ne conseguono. E poi la necessità di mare di Sara è anche questa la mia necessità, io per fortuna vivo in una città di mare e così quando ne ho bisogno mi bastano 5 minuti ed eccomi nel mio mondo. Ma dimmi piuttosto cosa pensi di questo bacio! Adesso ti devo salutare. Il tempo è tiranno ed io devo studiare grazie per la recensione spero di poter pubblicare presto!

- TARTIS: ciao Sara! Certo che puoi chiamarmi Carmen, a patto che io possa chiamarti con il tuo splendido nome, che tra le altre cose è il nome che vorrei dare un domani ad una mia figlia. Mi spiace averti fatto attendere tanto ma tra blocco dello scrittore e studio addio fanfic… considera che ho all’attivo, oltre questa ho altre 4 fic, non so come fare ma non voglio abbandonare nulla e così quando ho un po’ di tempo scrivo. Passando a questa fic cosa posso dirti! Hai ragione, anch’io al posto di Sara avrei continuato con i miei sogni, o forse no! No! Decisamente no! Con il carattere che mi ritrovo avrei fatto come lei, avrei dimostrato a quel pallone gonfiato del suo/mio ex che anche in Italia si poteva diventare un grande chirurgo, e non occorreva andare proprio in America. Come ho detto più volte questa Sara è molto simile a me, forse sarebbe più corretto dire è tale e quale a me! Per l’incontro con Damien dovrai aspettare, ancora non sono certa di ciò che scriverò! Devo pensare e ponderare le mie scelte. Però, intanto, puoi dirmi cosa pensi di questo bacio!

I versi a fine capitolo sono tratti dal testo della canzone “Resta con me” dei Lunapop! Ed adesso vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo, non so quando ma spero presto!

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO VII


Sara quella mattina arrivò in ospedale prima delle sette. La sua notte era stata insonne o quasi, in verità aveva dormito poco e male. Il bacio con Andrea l’aveva sorpresa più di quanto avesse creduto.

Prima di segnare il suo ingresso in ospedale con il badge magnetico decise di passare direttamente alla cappella dell’ospedale. La trovò senza troppe difficoltà, in fin dei conti lei era un’assidua frequentatrice di quel luogo di preghiera.

Prima di ogni intervento, anche il più banale, si recava in quella cappella e pregava. Pregava per sé e per la persona che doveva operare. Chiedeva a Qualcuno Lassù di proteggere se stessa e chi si trovava sotto i ferri. Il suo non era un rito scaramantico ma era un modo per trovare un po’ di conforto.

Il suo bisogno di affidarsi a Dio non era dovuto a scarsa fiducia nelle proprie capacità, no. Lei era sicura quando operava, raramente la sua mano tremava. Il suo affidarsi a Dio era dovuto prettamente ad un bisogno spirituale. Gli imprevisti nel corso di un intervento potevano capitare, ma lei preferiva cercare una specie di “assicurazione” nelle preghiere.

Entrò silenziosa. La cappella, come sempre, era aperta. Il buio la sorprese solo per un attimo. I suoi occhi si adattarono quasi immediatamente alla penombra di quel luogo. La cappella era piccola e contava in totale quattro panche per lato. Un crocifisso era posto nella parete di fronte. Entrando a destra si poteva osservare un quadro raffigurante l’immagine della Madonna con Gesù Bambino. Il piccolo altare era adornato con qualche rosa rossa, le più resistenti dato il periodo in cui si trovava, e qualche girasole. Sorrise nostalgica.


- Il giorno della mia laurea vorrò solo rose rosse e girasoli. Promettilo!

- Ogni suo desiderio è un ordine Principessa.


Scosse la testa come a scacciare quei ricordi. Alla fine lui che era più religioso di lei aveva giurato il falso. Non c’era il giorno della sua laurea. Perché? Perché pensarci ancora? Arrabbiata con se stessa fece il segno della croce e poi si inginocchiò iniziando a pregare come era solita fare.

Chiese un po’ di attenzione per lei e la serenità per la donna che quella mattina doveva operare. Pregò per i suoi cari e chiese perdono per il suo essere così lontana da casa. E poi, come accadeva sempre, alla fine chiedeva un po’ di pace per la sua anima. Sara soffriva e tanto. In silenzio ma soffriva. Si alzò e ringraziò il Signore per aver accolto le sue preghiere. Uscì silenziosa come era entrata, ma l’animo era più leggero. Si sentiva più tranquilla per essersi affidata a Qualcuno più potente di lei.

Entrò nella hall dell’ospedale e timbrò il badge. Non passò dal reparto. Salì direttamente nel suo studio. Estrasse il portachiavi e cercò la chiave per aprire la porta dello studio. Dopo pochi secondi entrò. Le imposte chiuse furono subito aperte. Dopo si tolse il pesante cappotto ed i guanti insieme al cappello di lana che teneva calcato sulla testa. Infilò il camice e gli occhiali che teneva chiusi nel cassetto della sua scrivania. Aprì il testo di chirurgia che aveva portato con sé ed iniziò a ripassare nuovamente. Era la sua occasione, non poteva farsela sfuggire. Lesse e rilesse attentamente immaginandosi davanti il pezzo operatorio. Immaginò come intervenire. Come muovere le mani. Come porsi rispetto alla paziente. Immaginò tutto questo ed alla fine giunse l’ora di scendere ed andare in sala operatoria.

Il bacio con Andrea? Era sempre presente nei suoi pensieri, per quanto cercava di non pensarci il bacio era sempre lì. Nei suoi pensieri. Fisso ed immobile. Il sapore di quel bacio era qualcosa di incomprensibile. Era diverso dai baci dati in passato. Non c’era amore, solo affetto. Un affetto profondo che lo legava da tempo ad Andrea. Alla fine di questa giornata avrebbe parlato con l’amico, era necessario farlo. Non voleva illuderlo, ma forse anche Andrea non era innamorato di lei. Forse si erano trovati entrambi in un momento di difficoltà ed avevano bisogno solo di conforto reciproco. Forse…

- Buongiorno dottoressa Graci.

La voce cupa del professore la distolse dai suoi pensieri. Senza accorgersene era giunta già davanti le porte della sala operatoria. I suoi pensieri l’avevano estraniata dalla realtà che la circondava.

- Buongiorno professore.

Salutò il direttore della scuola di specializzazione con voce sicura. L’intervento che stava per iniziare era troppo importante. Non poteva rischiare di perdere un’occasione simile. Raramente il professore Macchi si faceva assistere da uno studente del suo stesso anno per interventi così delicati. Generalmente loro potevano assistere ma mai avevano un ruolo attivo.

- Come si sente? Non avrà paura spero…

Non permise al docente di concludere la sua affermazione e rispose immediatamente, ma col sorriso sulle labbra.

- Paura no professore. Ho solo fretta di iniziare. Non sono calma lo ammetto, ma non le permetterò di prendersi tutto il merito per questo intervento.

Il professore Macchi sorrise di fronte alla finta arroganza della sua allieva. Conosceva Sara da quando era arrivata a Torino tre anni prima. Il primo anno non era riuscita ad entrare: nessuno la conosceva, era prevedibile un risultato deludente al primo tentativo. Restò un anno internata a chirurgia II, il successivo tentò nuovamente e sbaragliò la concorrenza. Fu la prima. Macchi aveva sempre ammirato la forza e la determinazione di quella ragazza. Molti colleghi la stimavano altri, soprattutto le donne, affermavano che era una ragazza facile, lui non prestava attenzione ai commenti, non gli interessava. L’importante che fosse in grado di fare il suo lavoro e questo sapeva farlo davvero bene.

- Vedremo dottoressa.

Sara sorrise al professore. Era una sfida e questo le metteva a suo agio. Il rispetto che nutriva per il suo mentore era qualcosa che andava al di là della stima professionale. Lo rispettava, ma ciò non le impediva di prendersi qualche confidenza. Aveva imparato a non farsi piegare dagli altri altrimenti non avrebbe mai fatto strada nel mondo della medicina.

Entrarono nell’anticamera della sala operatoria. Un forte odore di disinfettante le fece arricciare il naso come ogni volta che vi metteva piede. I tre lavabi erano perfettamente lucidi come ogni volta. L’orologio posto sopra di questi segnava le otto e trenta. Puntuale come un orologio svizzero. L’intervento, come previsto sarebbe iniziato da lì a quindici minuti. Dodici minuti per le operazioni di lavaggio, tre prima che il professore desse il via.

- Non è passata a parlare con la signora Parti, come mai dottoressa.

Non era una domanda. Non era un’osservazione. Era un ordine esplicito. Il professore era un uomo ligio al dovere, ma prestava attenzione anche al rapporto tra medico e paziente. Prima degli interventi, anche i più banali, si premurava a rassicurare personalmente i pazienti e pretendeva che lo stesso facessero i suoi allievi. Non ammetteva una mancanza simile.

- Ha ragione professore. Solo che, non appena arrivata in ospedale, mi sono chiusa nella mia stanza a rileggere alcuni studi riguardanti proprio l’intervento a cui dobbiamo sottoporre oggi la signora.

- Dottoressa Graci il compito di un medico è rassicurare il paziente, veda di non dimenticarlo per il futuro, ed adesso mi segua.

- Bene professore.

Sara era mortificata dalle parole che le aveva rivolto il proprio insegnante. Aveva dimenticato il rapporto con il paziente e si sentiva in colpa.

Si lavarono le mani in silenzio, senza fiatare. Il professore Macchi, quando voleva, sapeva essere severo. Entrarono in sala operatoria e subito due infermieri erano pronti con i guanti per i chirurghi.

La signora Parti era già incosciente. Sara sollevò lo sguardo sulla paziente. Sembrava che dormisse. Prima di avvicinarsi ulteriormente al piano operatorio recitò un’ultima preghiera, poi attese che il professore iniziasse ad operare.


*****


Tre ore dopo uscì dalla sala operatoria. Aveva un diavolo per capello: non aveva fatto nulla. Era rimasta lì ferma ad osservare il professore che operava. Non l’aveva fatta intervenire neanche quando la situazione era peggiorata a causa di un’emorragia. Non aveva fatto nulla. Il professore voleva punirla per la mancanza di rispetto nei confronti della paziente.

Sara aveva tolto i guanti e li aveva buttati in malo modo in un cesto presente nell’anticamera della sala operatoria. Aveva tolto anche la cuffia che nascondeva i capelli, ed aveva liberato quest’ultimi dalla rigida crocchia in cui li aveva legati quel mattino.

- Dottoressa Graci.

Sara si era fermata e si era voltata verso il suo professore. Lo sguardo fisso oltre le spalle dell’uomo.

- Mi dica professore.

La voce di Sara era dura ed alterata. Era arrabbiata con il suo supervisore e con se stessa. Aveva buttato alle ortiche un’occasione unica ed il suo insegnante offriva solo un’opportunità.

- Secondo lei perché oggi non le ho permesso di mettere un solo dito addosso alla signora Parti.

Altra constatazione. Altra risposta.

- Colpa mia. Immagino sia dipeso dal fatto che stamattina io non sia andata di persona a rassicurare la paziente, quindi, non ho meritato la fiducia di questa, né tanto meno la sua Professore.

- Esattamente. Adesso vada dai parenti della signora Parti e comunichi l’esito dell’intervento. Dopo può ritenersi libera per tutta la giornata. Arrivederci.

Bene! L’aveva liquidata. Per quella giornata aveva finito. Ciò significava solo una cosa, non si sarebbe occupata più della signora Parti. Abbassò il capo mortificata. Strinse i pugni e se la prese con il suo professore, ma che senso aveva farlo? Era solo colpa sua se era stata estromessa.

- Bene. Allora vado.

A testa bassa uscì dall’ambiente asettico in cui si trovava. Una cocente delusione, ecco cosa era stato quel sabato mattina. Mestamente attese l’ascensore che la riportò al piano zero dove si trovava la sala d’attesa per i parenti. Li cercò con lo sguardo. La cuffietta di cotone stretta ancora in mano. Li trovò seduti in un angolo, gli occhi fissi sul tavolino di fronte. Due uomini ed una donna. Se si fosse trovata a Catania la sala d’attesa era stracolma di gente, probabilmente anche bambini, neonati. A Torino erano tutti compassati, almeno era questo che Sara percepiva. Mai disordine o baccano, tutti ligi alle regole. Era strano per lei tutto quel… grigiore. Sì, per lei si trattava di grigiore, abituata agli eccessi della sua terra, quella calma la metteva in soggezione.

Si avvicinò alle uniche persone ferme in sala d’attese. Inspirò ed espirò poi con una calma che in realtà non possedeva, come capitava tutte le volte che si trovava a parlare con i parenti di pazienti che aveva operato, si schiarì la voce ed iniziò a parlare. Si sentiva una principiante.

- Siete i parenti della signora Parti?

Tre teste si sollevarono contemporaneamente. Un uomo anziano la guardò con i suoi occhi di un azzurro ormai sbiadito, completamente canuto e la pelle del volto macchiata dai segni del tempo.

- Sì, io sono il fratello.

Sara annuì e si fermò ad osservare gli altri due parenti. Una ragazza all’incirca della sua stessa età ed un uomo più maturo. Osservò i volti dei presenti. Forse non vi era la stessa confusione di Catania ma la sofferenza e l’ansia erano uguali. Sia a Torino, sia a Catania si soffriva alla stessa maniera.

Decise di sorridere per allentare la tensione, sperò che gli altri tre cogliessero il suo tentativo di alleggerire gli animi. Poi con voce professionale riprese a parlare.

- Sua sorella è in terapia intensiva.

Appena finì di pronunciare la prima frase colse uno scatto nervoso da parte della più giovane dei tre. Si soffermò ad osservarla. I suoi occhi verdi erano pieni di paura. Riprese a parlare osservando la ragazza che non aveva avuto il coraggio di parlare.

- È la prassi. Resterà lì fino a domattina, dopo sarà il professore a dire se potrà tornare in camera. L’intervento è andato bene, solo una piccola emorragia ma subito tamponata. Nonostante l’età la signora Parti ha retto bene sia l’anestesia sia lo stress pre-operatorio. Adesso dovremo attendere e vedere se il suo organismo saprà reagire alla nuova situazione. Abbiamo dovuto asportare un tratto maggiore dello stomaco, ma siamo comunque riusciti a dare continuità tra vie biliari, pancreas, stomaco ed intestino.

Si fermò cercando di dare il tempo, ai parenti della signora Parti, di elaborare le informazioni che aveva dato. Osservò i volti e notò che tutti e tre gli sguardi erano puntati sulla sua persona. Si sentì imbarazzata come capitava ogni volta che si trovava in quella situazione. Lei, in quel momento, rappresentava il legame tra il parente operato e il mondo della medicina.

- Dottoressa… come sta mia nonna.

Per la prima volta Sara sentì la voce dell’unica presenza femminile presente. Osservò la ragazza e notò come le ricordava lei quando era stato suo nonno ad essere ricoverato in ospedale. Vedeva la stessa angoscia e la stessa ansia.

- Le ripeto. È in terapia intensiva. Domani sarà il professore a sciogliere o meno la prognosi. Io non posso dirle di più.

Alla fine prevalse il tono professionale. Non poteva permettersi di dare false speranze, era meglio preparare i parenti al peggio anche se… anche se era stata più ottimista del solito. Aveva detto che l’intervento era andato bene. Aveva detto che l’organismo della signora aveva retto bene. Aveva detto che c’era da aspettare, ma credeva di essere stata abbastanza positiva, forse quelle persone volevano di più ma lei non poteva. Non ne aveva l’autorità.

- Possiamo vederla?

Almeno questo poteva concederlo, o no? Poteva permettere di vedere la loro cara. Che male potevano fare?

- D’accordo, ma solo per pochi minuti e… non potrete entrare nella stanza…

- È la prassi, lo sappiamo.

Anche l’altro uomo aveva parlato. Adesso tutti e tre avevano espresso la loro opinione. Tutti e tre avevano dato voce ai propri pensieri. Sara si ritrovò ad annuire e fare loro cenno di seguirla.

Presero l’ascensore interno, quello riservato al personale medico, e scesero di un paio di piani e si ritrovarono di fronte un corridoio grigio. La temperatura era decisamente elevata, tanto che la ragazza che era con loro tolse il pesante giubbotto che aveva, sino a poco prima, tenuto indosso. Camminarono silenziosi fino a giungere davanti ad una porta. Sara bussò lievemente ed un’infermiera aprì loro.

- Buongiorno. Sono la dottoressa Graci. Mi servirebbero tre tute usa e getta.

L’infermiera senza aprire bocca rientrò nella stanza e chiuse loro la porta in faccia.

- Si vede che l’educazione non è di casa.

Sara si ritrovò a commentare il gesto dell’infermiera senza neanche rendersene conto.

- Per voi… per alcuni di voi, non per tutti però, è normale tutto questo. Intendo operare, parlare con i parenti, rassicurarli, accompagnarli in terapia intensiva. Per noi che stiamo da questa parte è tutto più difficile.

- Resta il fatto che l’educazione non dipende dal tipo di lavoro. O si ha o non si ha.

Dopo questo scambio di battute tra Sara ed il più giovane dei due uomini, la porta chiusa si riaprì e l’infermiera diede loro tre buste di plastica dopo, la stessa infermiera, porse a Sara un foglio dove la dottoressa mise la propria firma, restituì il foglio e la porta si richiuse senza alcun saluto.

- Io resto dell’idea che per fare certi lavori occorra una certa vocazione.


- Il medico si fa per vocazione.

- Forse una volta, adesso non più.

- Ma come fai a parlare in questa maniera. Tu perché hai scelto medicina?

- Io? Forse perché mi è sempre stato detto che questa sarebbe stata la mia strada. Sara io non sono come te. Non ho avuto la possibilità di scelta.


Si sorprese a ricordarsi di quella conversazione. Generalmente pensava ad altro che riguardasse il loro rapporto, raramente pensava alle conversazioni serie. Preferiva ricordare episodi più allegri. Le parole dell’uomo più anziano del gruppo l’avevano sorpresa e non poco.

Consegnò ad ognuno un sacchetto e poi fece strada per altri corridoi. Raggiungere il reparto di Terapia Intensiva era una caccia al tesoro dato che i cunicoli ed i corridoi era interminabili. Alla fine dell’ennesimo corridoio si ritrovarono davanti la porta del reparto che stavano cercando. Sara fece passare la chiave magnetica nell’apposito sensore e le porte si aprirono automaticamente.

Sorrise nel ricordare la sensazione strana provata i primi tempi che entrava in quel reparto grazie all’ausilio della chiave magnetica. Le sembrava di essere la protagonista di uno dei tanti film catastrofici che facevano alla televisione e che in estate propinavano a bizzeffe perché non avevano nessun nuovo programma da presentare.

- Per favore aspettatemi qui. Io controllo un attimo le condizioni generali della paziente e poi vi faccio entrare.

I tre annuirono, la più convinta parve la ragazza. Sara sorrise ed entrò nella stanza numero tre.

La signora Parti sembrava che dormisse. Sara sapeva che quel sonno indotto dagli anestetici si sarebbe protratto sino al tardo pomeriggio. Osservò le macchine collegate alla paziente, l’elettrocardiogramma era normale, una leggere tachicardia ma normale, probabilmente effetto di qualche anestetico. Controllò il contenuto del catetere. Esaminò il colorito della paziente. Toccò la cute tiepida. Tutto nella norma. Un ultimo sguardo alla tabella con la temperatura ed alla fine si decise di coprire la paziente con il lenzuolo fornito dall’ospedale. Non voleva mettere in imbarazzo la signora Parti anche se incosciente. Lo stesso valeva per i parenti. Il protocollo obbligava i pazienti di terapia intensiva ad essere nudi nei loro letti. Il tutto era per facilitare le potenziali manovre di rianimazione e poter ispezionare di continuo la cute del paziente e notare eventuali cianosi dei tessuti. Si fermò un ultimo istante, la osservò un’ultima volta e poi si avvicinò alla finestra della stanza, quella che dava sul corridoi dove si trovavano i suoi parenti. Tirò la tendina e si scostò. Uscì silenziosa e si mise in disparte ad aspettare.

La ragazza che aveva pressappoco la sua età aveva gli occhi lucidi e le mani poggiate sul vetro. Osservava il corpo inerme della donna.

- Entra. Però solo per pochi minuti.

Sara poggiò la mano sulla spalla della ragazza ed aprì nuovamente la porta che aveva chiuso con l’abbandono della stanza. La ragazza la osservò spaesata e poi annuì debolmente e si precipitò verso la donna dormiente.

- Grazie dottoressa. Mia moglie è morta quando Cristina aveva solo quattro anni e da allora è stata mia madre a prendersene cura.

Sara rimase immobile osservando Cristina posare delicatamente la mano su quella della nonna. Non disse nulla né fece fretta alla ragazza per uscire. Attese in silenzio. Dopo solo pochi minuti la giovane lasciò la stanza con gli occhi pieni di lacrime che ormai non riusciva più a trattenere. Sorrise mestamente alla dottoressa e si buttò tra le braccia del padre dove diede libero sfogo al suo dolore.


*****


Dopo aver lasciato i parenti della signora Parti, Sara decise di passare nel suo reparto per vedere come stavano gli altri pazienti. Dopo aver svolto la normale routine decise di poter tornare a casa, ormai erano le tredici e la mattina era finita.

Il pensiero di Andrea per un po’ l’aveva risparmiata. Si sentiva meglio. Più rilassata. Più tranquilla. Prese il pullman che l’avrebbe portata a casa e si andò a sedere nella fila infondo, il cappello sempre calcato per benino in testa.

Scese quattro fermate dopo, aveva intenzione di camminare un po’. Aveva chiamato sua madre durante il viaggio in autobus ed aveva chiuso che era stanca, peggio di stare tre ore in sala operatoria senza far nulla. Sua madre era capace di sfinirla anche a chilometri di distanza. Camminò per un po’ di tempo osservando la punta delle scarpe.

Arrivata a casa salutò cordialmente il portinaio, ritirò la posta e salì a piedi le scale. Girò le chiavi nella toppa e si stupì di non trovare la porta blindata chiusa a dovere. Entrò e chiamò Clara a risponderle però fu Andrea.


Speriamo che finisca presto questo giorno nero,
speriamo torni un bel sorriso largo un anno intero.
Si spera vengano di nuovo le mezze stagioni
così almeno ci sarebbe un armistizio, asole e bottoni.


Salve! Dopo più di un mese torno ad aggiornare. Mi spiace tantissimo per la lunga attesa ma cercate di capirmi. Ho diverse opere in cantiere e soprattutto si avvicina la sessione estiva… quindi ciò vuol dire tanto studio!

Mi rendo conto che in questo capitolo in realtà non accade nulla ma, credo che sia stato giusto scriverlo. È stata una decisione ponderata ed a mio modo di vedere corretta.

Qualcuno potrebbe contestare la scelta di dare a Sara un carattere religioso, quindi rendere pubblicamente la sua fede, ma io credo che sia giusto così. Dopotutto ho sempre detto che in Sara c’è molto di me e quindi, dato che io sono così è giusto rendere Sara il più reale possibile.

La parte che si svolge in sala operatoria ed il post-operatorio credo che siano indispensabili per rendere umano ciò che accade. A volte i medici dimenticano cosa vuol dire aspettare e diventano, quasi, cinici. Ho deciso di dare maggiore umanità a Sara e maggiore umanità al suo professore perché spero che esistano davvero medici simili al Professor Macchi (anche perché io, purtroppo, non ne ho mai incontrati!).

Il prossimo capitolo vedrà il chiarimento tra Andrea e Sara e poi, forse, ci sarà l’incontro con Damien. Credo di aver detto tutto ed adesso passo a ringraziare l’unica persona che abbia commentato, la Sara quella vera per intenderci:

TARTIS: mia cara grazie per essere sempre presente. Per capire cosa è accaduto tra i due occorrerà aspettare ancora un altro capitolo, ma spero tu possa farcela sino al prossimo aggiornamento. Però almeno sappiamo cosa ne pensa Sara, vedremo che ne penserà Andrea… per poter vedere e conoscere Damien dovrai attendere ancora due capitoli, forse tre, ma riuscirai a resistere? Io mi impegnerò per aggiornare con più frequenza ma non prometto nulla. Adesso però scappo… un bacio e grazie per la costante presenza.

A tutti gli altri grazie per le letture e spero di poter trovare un commentino in più (ma se commentaste in tanti sarei ancora più felice!), grazie ancora ed alla prossima. Prima di mettere il punto a questo capitolo volevo farvi sapere che come sempre i versi a fine capitoli sono tratti da una canzone. Stavolta ho scelto un pezzo di Alex Baroni, il titolo è “Speriamo” e fa parte della raccolta Semplicemente (conosciuta anche come SemplicementeAlexBaroni), uscita nell’autunno del 2002 a sei mesi dalla morte di questo grande artista che nella sua breve esistenza ci ha regalato grandi successi.


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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO VIII

Panico. Questo fu la prima sensazione nel ritrovarsi Andrea davanti.

Panico.

Non si aspettava l’amico.

No.

Questo mai.

Cercò di posare le chiavi sul solito mobile all’ingresso ma fallì miseramente. Le caddero a terra. Sara sorrise interiormente, almeno le chiavi, cadendo, avevano rotto il pesante silenzio piombato da un paio di minuti tra lei e l’amico. In verità, da quando si erano trovati uno di fronte all’altra, non si erano detti poi molto lei ed Andrea… anzi lui aveva detto solo un “Ciao” che aveva mandato nel pallone Sara.

Ed adesso osservava il suo amico, chiedendosi cosa dovesse fare.

Era ferma.

Immobile.

Le pupille leggermente dilatate per la sorpresa.

La bocca socchiusa.

La gola secca.

Le mani sudavano.

Sudore freddo.

Ansia.

Tachicardia.

Non si aspettava di trovarselo in casa. Immediatamente il ricordo della sera prima le tornò alla mente, chinò il capo per evitare di mordersi il labbro e dare segno del suo nervosismo.

- Com’è andato l’intervento?

Ancora una volta fu Andrea ad interrompere il silenzio che era calato tra loro.

Sara senza alzare la testa rispose all’amico.

- Bene.

Rispose in fretta. Troppo in fretta. Nulla di più di un semplice e banale “Bene”. La voce stridula. Le mani le sudavano. La testa le girava. Era questo l’effetto che le faceva l’amico? Da quando?

- Io volevo…

- Ero venuto…

Parlarono contemporaneamente. Si fermarono. Entrambi sospirarono pesantemente.

Sara alzò il capo ed incontrò gli occhi castani di Andrea. Si sorprese, stavolta, di non trovare le screziature verdi della sera precedente. Il cuore non aveva più il battito accelerato, lentamente, stava tornando regolare. Si portò una ciocca dietro l’orecchio, come faceva ogni volta che metteva in ordine le idee.

- Dovremmo parlare di ciò che è accaduto ieri sera.

Fu lei ad interrompere il loro silenzio. La sua voce era tranquilla. Serena. Guardava l’amico negli occhi senza più quel senso di tensione. Era inutile fuggire. Doveva chiarire. Doveva far capire ad Andrea che per lei era solo un amico. Nulla di più. Un caro amico. Il migliore certo, ma solo un amico.

- Già. È per questo che sono qui. Sara…

Andrea si portò una mano tra i capelli rasati. Questo gesto lo tranquillizzava. Il lieve solletico provocato dai suoi capelli, lunghi poco più mezzo centimetro, lo rilassava. Era arrivato il momento di mettere le cose in chiaro. Definitivamente. Aveva riflettuto tutta la notte e parte della mattinata.

Il bacio con Sara lo aveva sconvolto. L’arrivo di Clara era stato provvidenziale. Se non fosse stato per lei non voleva pensare cosa sarebbe accaduto. Lui… non amava Sara. Sicuramente l’amica era una bella ragazza ma nulla di più. Lui la vedeva come la sua sorellina e le sorelle non si baciano. Era scappato lasciando lì la sciarpa ed il pacco che la signora Graci gli aveva spedito da Catania, non poteva fare diversamente. Era terrorizzato.

Era salito subito in auto. La stanchezza ed il sonno svaniti nel nulla. Aveva acceso il motore e poi la radio. Era partito a razzo, senza curarsi di vedere se aveva la strada libera. Era… angosciato. Terrorizzato. Si sentiva un idiota. Aveva distrutto l’amicizia con Sara. Per cosa poi?

Un momento di stanchezza.

Un’esitazione.

Un attimo di sbandamento.

Non poteva mandare a monte otto anni di amicizia per un solo misero attimo.

L’attimo fuggente.

Già.

Avrebbe anche riso se la situazione non fosse così tragica.

Oddio tragica. Per lui che lavorava in un ospedale definire tragico un bacio con la sua migliore amica poteva sembrare anche esagerato, ma conoscendo la situazione di Sara, la fiducia e l’affetto che li univa, era davvero tragica come situazione. Doveva fare qualcosa.

Senza badare a molto dove si dirigeva non si accorse di essersi fermato proprio nei pressi del lungo Po. Spense il motore quindi scese dalla macchina. Camminò per un po’. L’aria fredda di novembre lo investì in pieno. Alzò il bavero del bomber e si accucciò meglio nel giubbotto militare. Il bacio con Sara era stato… non sapeva definirlo.

Casto.

Puro.

Non lo sapeva neanche lui. Le loro labbra si erano appena sfiorate. Non aveva avuto neanche il tempo di assaporare la loro essenza. Subito si erano separati e non aveva avuto neanche il coraggio di fissare l’amica negli occhi. L’aveva delusa. Si passò una mano tra i capelli cortissimi. Quel gesto lo tranquillizzava. Fumò un paio di sigarette restando con gli occhi chiusi. La città era silenziosa. Si poteva stare in pace, peccato per il freddo.

Sara.

Sara che ancora era legata al suo passato.

Sara che ancora amava il ragazzo che l’aveva ferita.

Sara che ancora soffriva a causa di quella storia finita male.

Sara. In una sola parola: fragile.

Lui doveva proteggerla e non farla soffrire a sua volta.

Decise di salire nuovamente in macchina e tornarsene a casa. Lì avrebbe cercato di dormire. Ne dubitava, il pensiero della sua amica lo avrebbe perseguitato per tutta la notte, ma doveva tentare. Doveva tentare di riposare altrimenti non sarebbe mai riuscito ad andare a casa della sua “sorellina” cercando di spiegarle il perché di quel bacio.

Non riuscì a finire la frase che Sara lo bloccò iniziando a parlare lei al posto suo.

- Andrea io… io non lo so. Io ci ho riflettuto a lungo e sono giunta alla conclusione che per me sei solo un amico. Un fratello. Io non posso vederti diversamente. Mi capisci? Io ti voglio bene, ma come ne voglio a mio fratello Sebastiano. Io non posso ricambiare…

- Ehi! Frena un attimo. Io ero venuto qui per scusarmi con te. Non avevo certo intenzione di farti una dichiarazione. Lo sai perfettamente che non sei il mio tipo e poi ti ricordo che è da otto anni che ti chiamo me soru (*), se lo faccio ci sarà un motivo, non credi?

Sara al solito suo era partita in quarta e non si era fermata a prendere fiato. Andrea si era trovato costretto a bloccarla altrimenti avrebbe proseguito con il suo sproloquio ancora chissà per quanto.

- Quindi anche per te il bacio di ieri sera…

- Sì, anche per me. Non ha avuto alcun valore. Solo un attimo di follia.

Sara tirò un sospiro di sollievo. Non aveva perso il suo migliore amico. Nulla era compromesso. Almeno lo sperava, infatti…

- Andrea ne sei sicuro. Non mi stai dicendo questo solo per non farmi sentire in colpa. Vero?

Andrea sorrise e le scompigliò i lunghi capelli ricci.

- Noto con piacere che hai un’alta considerazione di te stessa. Comunque, non scherzo. Sai perfettamente che non sei il mio tipo. Sei troppo piatta.

Sara a quell’affermazione prese uno dei cuscini dal divano e lo lanciò in faccia all’amico e si andò a chiudere nella sua camera. Lei si preoccupava e lui la prendeva in giro.

Dopo pochi secondi sentì bussare alla porta. Non rispose. Sapeva che era Andrea. Infatti, Clara non sarebbe rientrata per quel giorno, avrebbe passato la mezza mattinata in ufficio con il fidanzato e poi, dopo pranzo sarebbero partiti per Milano. Le aveva mandato un sms in mattinata dove l’avvisava del cambio di programma.

Bussarono una seconda volta e lei, imperterrita, continuò ad ignorare l’amico dall’altra parte della porta. Andrea bussò una terza volta ma ancora nulla. Alla fine iniziò a battere il pugno ripetutamente sulla porta chiusa, andò così per diversi minuti, alla fine Sara, esasperata, aprì di slancio la porta ed il pugno di Andrea si fermò a mezz’aria.

- Cosa vuoi ancora?

Rispose con acidità. Molta più di quella che aveva voluto. Il ragazzo le sorrise appena notò gli occhi arrabbiati dell’amica. Sara era una cara ragazza, ma appena si mettevano in dubbio le sue forme diventava peggio di una iena. Era cresciuta con il complesso di avere curve troppo poco pronunciate, anzi per essere corretti lei aveva la convinzione di avere un seno piccolo, mentre il suo fondoschiena… avrebbe volentieri fatto il cambio di taglie. Una in più sopra ed una in meno sotto. Da perfetta siciliana quale era aveva un importante fondoschiena, molte ne andavano orgogliose, molte appunto, ma non di certo lei!

- Se cucino io mi perdoni?

- No.

Così dicendo Sara richiuse la porta in faccia all’amico che stavolta, senza attendere oltre, entrò nella stanza. Trovò Sara intenta ad ordinare il suo armadio. Sorrise e si mise a sedere sul letto. Sara lo fulminò con lo sguardo ma continuò ad ignorarlo. Passarono così alcuni minuti alla fine Andrea, esasperato per il lungo silenzio dell’amica, parlò.

- Ti porto ovunque basta che non mi tieni il muso. Ho sbagliato e ti chiedo scusa. Le tue forme sono bellissime. Prosperose e rotonde. Ogni uomo sognerebbe di poterle toccare, anche solo sfiorare…

Non continuò la frase perché si trovò il viso coperto dalla sua sciarpa.

- Sai che se parli così mi metti a disagio. Sei un imbecille.

Sara uscì dalla sua stanza e si fiondò in cucina dove si lavò le mani ed iniziò ad armeggiare per il pranzo. Andrea la raggiunse subito dopo e si mise al suo fianco cercando di capire cosa l’amica stesse preparando.

- Allora mi hai perdonato?

- Può darsi, ma fa attenzione a ciò che mangi… potrebbe essere avvelenato.

Con questo avviso i due giovani si misero a tavola iniziando a pranzare. Un pasto veloce, insalata ed una fetta di carne cotta ai ferri. Sara era stanca e non aveva intenzione di stare molto tempo tra i fornelli. Andrea, da parte sua, non voleva far infuriare ancora di più l’amica.

- Allora. L’intervento di oggi? Come ti sei sentita mentre massacravi quella povera vecchietta?

Sara sospirò ed iniziò a raccontare la giornata. Alla fine del suo resoconto Andrea la osservava serio e dispiaciuto. In parte si sentiva responsabile. Se non fosse stato per il loro bacio a quest’ora Sara avrebbe avuto tutto un altro umore.

- Mi spiace. È colpa mia. Se ieri sera io non avessi…

- Se non sbaglio si bacia in due. Anch’io ieri sera ho ricambiato il tuo bacio… e poi bacio… da quando uno sfiorarsi di labbra lo si definisce tale? Aspetta un attimo… Andrea non dirmi che tu baci così tutte le ragazze! Adesso capisco perché le tue storie vanno sempre a finire male. Sei un impiastro!

Andrea non rispose alla provocazione di Sara, almeno non rispose subito. Se Sara aveva deciso di buttarla sullo scherzo voleva dire che non aveva voglia di continuare quel discorso, anzi quei discorsi: il bacio e l’intervento. Decise allora si assecondare l’amica e cambiare argomento.

- Allora, dato che ieri sera mi hai offerto la cena e lo stesso è capitato oggi con il tuo pranzo… che ne diresti se domani sera ti porto fuori a cena? Stasera lavoro e non posso chiedere il cambio, soprattutto visto che è sabato.

Sara guardò l’amico e si grattò la testa imbarazzata. Non ci aveva pensato! Come avrebbe detto ad Andrea che usciva con il suo ex ragazzo? Anzi, per essere corrette, con il suo ex-ex-ragazzo!

- Andrea veramente io… domani sera avrei un appuntamento… un appuntamento di lavoro!

Effettivamente non stava dicendo una bugia, aveva davvero un appuntamento di lavoro. Doveva discutere con Damien dell’incontro che avrebbero avuto in ospedale il lunedì mattino. Allora se si trattava di lavoro perché quest’imbarazzo?

E' l'amico e'

una persona schietta come te,

che non fa prediche e non ti giudica
fra lui e te divisa due la stessa anima
però lui sa, l'amico sa
il gusto amaro della verità
ma sa nasconderla e per difenderti
un vero amico anche bugiardo e'

(*) “ me soru ” sarebbe a dire mia sorella in dialetto siciliano.

Bene gente! Aggiorno con ben 7 giorni di anticipo! Ringrazio le 43 persone che hanno letto il VII capitolo. Spero che non vi abbia annoiato. Passo a ringraziare l’unica persona che abbia commentato il capitolo precedente.

- KAYDA: ciao! Ben venuta tra le lettrici di questa fic. Hai letto gli 8 capitoli in una sera? Allora ti sarai annoiata! Mi spiace deluderti però, la coppia Andrea-Sara è precipitata ancor prima di decollare, sperò però, di poter continuare a leggere le tue recensioni. A presto e grazie per aver commentato!

Un saluto va alla Sara quella reale, TARTIS, mi auguro che la tua assenza sia dettata dagli esami e non perché tu sia rimasta delusa dalla mia storia. A presto e grazie a tutti coloro che hanno solo letto.

La canzone ha il titolo “L’amico è” di un autore che personalmente non conosco, ma la canzone si. L’autore si chiama Dario Baldan Bembo, la canzone è del 1984, ma non so di che album fa parte!

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO IX

Sara si trovava davanti al proprio armadio alla disperata ricerca di qualcosa da mettere per il famoso appuntamento di lavoro.

Clara non era ancora rientrata dai due giorni a Milano con Michele. Ed intanto Sara era rimasta sola a godersi quel po’ di tranquillità domestica.

Adesso, però, osservava con occhio critico il suo guardaroba e non trovava nulla di adatto alla serata. Non sapeva cosa indossare. Sportivo o elegante? Quando stavano insieme, lei e Damien, l’italo-americano più di una volta era uscito il sabato sera con una tuta, senza preoccuparsi di deludere Sara per la scarsa attenzione che, quello che all’epoca era il suo ragazzo, prestava alla propria persona. Fu così che anche la giovane aveva preso l’abitudine di non prestare più attenzione al suo modo di vestire, optando per vestiti comodi a discapito della sua femminilità. Tanto per Damien, all’epoca, non faceva differenza.

Già, all’epoca, ma adesso? Il suo problema non era piacere a Damien. Il suo problema era se essere se stessa, e quindi indossare qualcosa di sobrio ma allo stesso tempo elegante, oppure essere sportiva sperando che in quegli anni Damien non avesse cambiato modo di vestire. A lei non interessava fare colpo sul suo ex. A lei interessava solo prendersi una piccola rivincita sul ragazzo che dieci anni prima le aveva fatto perdere un po’ di sicurezza in sé.

Alla fine decise! Sarebbe stata la Sara di sempre. Non avrebbe rinunciato ai suoi tacchi a spillo né tanto meno al suo stile.

Era in intimo davanti all’armadio ed i capelli erano legati in una crocchia. Le braccia ad incrociare ed il piede a battere ritmicamente a terra. Un occhio tremava leggermente. Il suo nervosismo era alle stelle. Si voltò verso il suo letto ed inorridì nel momento in cui vide la montagna di vestiti con cui era ricoperta la trapunta arancione. Decise di sistemare un po’ del caos che regnava in quella stanza, magari rimettendo in ordine qualche vestito decente sarebbe saltato fuori!

Contemporaneamente il suo cellulare squillò e si precipitò a rispondere. In cuor suo una preghiera…

Fa che sia lui… fa che sia lui… fa che rimandi la cena… ti prego…

Ma nulla da fare. Era sua madre. Rispose portando il telefonino all’orecchio destro, intanto piegava i vestiti sparsi sul letto.

- Pronto mamma. Ciao!

- Bene, grazie.

Un attimo! Perché non chiedere a lei? Dopotutto i consigli delle mamme sono sempre i migliori! Cercando di raccogliere tutto il suo coraggio, e soprattutto cercando di mascherare l’agitazione che la stava divorando, formulò la sua domanda.

- Mamma ascolta. Stasera avrei una cena con un… amico che mi sta aiutando con un progetto per l’ospedale. Che cosa posso mettere?

Attese la risposta della madre cercando di trattenere il lieve tremore della sua voce. Se la madre avesse scoperto di chi si trattava altro che parere. Sarebbe saltata alle solite conclusioni affrettate.

- Frena! Non si tratta di un collega. Non lavora neanche in campo medico. No, che non è un medico. In ogni modo, è da un po’ di tempo che non ci vediamo né ci sentiamo e la cena non ha nulla di ufficioso…

Intanto prese a torturarsi una ciocca di capelli annodandola più volte attorno ad un dito. Nel frattempo continuava a piegare i vestiti ammassati sul letto, sperando di veder spuntare da un momento all’altro la sua ancora di salvezza.

- Che ne diresti di un paio di jeans ed un maglione panna a collo alto?

Teneva tra le mani un maglione di lana leggero. Aveva dimenticato l’esistenza di quel maglione e quella sera, averlo ritrovato, le era sembrato un segnale dal cielo.

- Perfetto! Allora vada per jeans e dolcevita! Sai dirmi che ore sono?

Appena sentì l’orario il maglione le cadde dalle mani. Era tardissimo. Tra meno di dieci minuti il suo taxi sarebbe arrivato e lei ancora doveva finire di prepararsi.

- Oddio mamma è tardissimo! Devo scappare. Ti chiamo appena sono sopra il taxi. Un bacio e grazie per l’aiuto. Dai un bacio anche a papà da parte mia. Ciao!

Chiuse il telefono senza dare il tempo alla madre di risponderle. Ormai la donna era abituata alle crisi della figlia. Era lo stesso quando era a Catania, figurarsi adesso che era a Torino. Ogni volta che doveva uscire le chiamava chiedendole un aiuto su cosa indossare. Forse era un modo per mantenere una parvenza di normalità.

Intanto Sara correva da una parte all’altra della stanza. I maglioni furono ripiegati e rimessi ai loro posti nei cassetti. Lo stesso capitò per i vestiti dell’armadio. Osservò la radiosveglia e si maledì. Cinque minuti. Come una furia mise il dolcevita. Davanti allo specchio cercò di sistemare il maglione ed intanto tirava fuori i capelli rimasti impigliati tra le spalle ed il tessuto del maglione. Si maledì per la sua lentezza.

Davanti lo specchio fissò il suo viso e sbuffò. Era di un pallore cadaverico. Prese il correttore per coprire le profonde occhiaie. Poi fu il turno della cipria per dare un po’ di colore al viso e togliere quell’alone lucido dal volto. Si guardò. Adesso era decisamente meglio. Cercò di donare un effetto naturale al suo trucco sfumando con la cipria sin dove non iniziava il collo alto del maglione. Si dedicò alle palpebre tamponandole con un ombretto neutro. Passò una pennellata di fard ed infine un tocco di matita nera all’interno dell’occhio. Un po’ di mascara ed un lucidalabbra che donava alle labbra un po’ di lucidità rendendole piene e morbide.

Guardò nuovamente la radiosveglia. Perfetto. Era in ritardo di cinque minuti sulla sua tabella di marcia. Il taxi era sotto da un po’ e lei ancora non era pronta.

Si guardò attorno alla ricerca disperata dei jeans. Li trovò abbandonati sulla spalliera della poltrona della sua camera. Li mise facendo bene attenzione a non sfilare in nessuna maniera le calza nuove. Non appena indossati i pantaloni vagò per la stanza alla ricerca delle decolté a punta nere. Le trovò al loro posto, almeno quelle! Le mise ed intanto passava a sistemare la borsa nera.

Portafogli.

Cellulare.

Cipria.

Lucidalabbra.

Fazzolettini.

Chiavi.

Infilò il cappotto bianco. Per ultimo sciolse i capelli, ed una cascata di ricci castani le ricaddero in disordine sulle spalle. Una rapida occhiata allo specchio. Giusto il tempo di mettere l’orologio ed uno spruzzo di profumo. Perfetta. Era finalmente pronta. Sulla soglia della porta prese al volo la sciarpa bianca che le aveva regalato Anna per il suo compleanno. L’avvolse attorno al collo non badando ai suoi ricci che furono imprigionati dalla sciarpa di lana pesante.

Tirò la porta dietro di sé. La chiuse a chiave e poi come un razzo scese a piedi senza preoccuparsi di rompersi l’osso del collo a causa dei tacchi a spillo alti.

Vide subito il suo taxi dall’altro lato della strada. Dopo essersi assicurata di poter attraversare senza rischiare la vita, lo fece. Salì e salutò il conducente. Diede l’indirizzo e solo quando l’auto si mise in moto, e si avviò verso il locale, poté riprendere a respirare regolarmente. Per tutto quel tempo le era parso di stare in apnea.

Cercò all’interno della borsa ed alla fine trovò il cellulare. Chiamò la madre che subito le rispose.

- Mamma. Ciao. Sono sul taxi.

- Tutto bene?

- Sì, sono solo stanca. Ho fatto tutto di corsa, come al solito.

- Sei diventata ritardataria. Comunque, di che cena si tratta? Hai detto che è lavoro…

- Sì mamma. Sto organizzando, con una collega, un incontro tra alcuni calciatori di Juventus e Torino ed i bambini ricoverati nel reparto di oncologia pediatrica. Stasera dovremmo definire gli ultimi dettagli con questo amico di cui ti ho parlato. Ci sta dando una mano a definire il tutto…

- Che bella cosa. Per il resto? A lavoro come va? Il tuo professore ti ha detto qualcos’altro oppure il discorso si è chiuso lì?

- Niente di niente mamma. Non l’ho neanche visto. Domani mattina però devo andare in reparto. Ho alcune dimissioni di pazienti che ho seguito personalmente.

- Non preoccuparti. Vedrai che si sistemerà tutto. Aspetta che ti passo papà.

- Pronto papà? Ciao. Come ti senti?

- Ciao. Bene.

Perché parlare con suo padre era così difficile. Stravedeva per lui ed il sentimento era reciproco, ma per il padre parlare era al quanto difficile.

- Hai sentito? Sto andando a cena con un pezzo grosso della Juventus.

- Un pezzo grosso della Juventus? E dimmi, noi lo conosciamo.

- Cosa? Che dici papà!

Ecco lo sapeva. Suo padre era informatissimo. Era stato lui ad aggiornarla riguardo l’acquisto fatto dalla squadra torinese la stagione precedente. Le aveva chiamato raccontandole la novità. Più che altro le aveva chiamato per metterla in guardia da strani incontri ed adesso… adesso ci stava andando a cena!

- Sara ti dico solo di stare attenta. Ti ripasso tua madre.

Ecco! Suo padre l’aveva scoperta e forse si era un po’ arrabbiato. Il mattino dopo avrebbe dovuto chiamare il genitore e raccontargli della cena. Altra persona che voleva un racconto dettagliato.

- Sara, tesoro, ci sei?

- Sì mamma scusa. Non ti sentivo più. Dimmi.

- Nulla. Volevo solo dirti che domattina esco presto. Vado in ospedale con i nonni. Sai hanno la visita dall’oculista. Se non mi trovi a casa è per questo. Ci accompagna papà.

- Va bene. Mamma adesso chiudiamo. Ti chiamo domani e ti racconto tutto. Buonanotte. Un bacio a te ed a papà.

- Buonanotte tesoro e sta attenta. Mi raccomando, non fare tardi.

- Mamma! Ho ventinove anni. Per favore! Un bacio ciao!

Rimise il cellulare in borsa scuotendo la testa. Sua madre non sarebbe cambiata mai. Le imponeva di non fare tardi anche adesso che si trovavano a più di mille chilometri di distanza. Che assurdità.

- Che vuole farci signorina. Per noi genitori voi figli resterete sempre i nostri bambini.

Sara sorrise. Già lei sarebbe rimasta per sempre la bambina dei suoi genitori.

- Ha ragione. In fondo è piacevole restare, almeno per i propri genitori, una bambina. Riduce le responsabilità.

- Se lo dice lei!

Dopo questo scambio di battute tornò il silenzio all’interno dell’abitacolo. Ma durò poco. L’autista porse un’altra domanda a Sara.

- Ha detto che va a cena con un pezzo grosso della Juventus. Posso sapere a chi si riferiva?

Sara sorrise. E meno male che erano i Siciliani quelli che non riuscivano a tenere la bocca chiusa. Il proverbio non sbagliava di certo: tutto il mondo è paese… e quando si parla della propria squadra del cuore diventano tutti loquaci.

- Certamente. Dovrei incontrare il signor Damien Mc Glass.

- Il centrocampista?

- Esattamente.

- Gioca molto bene per essere, effettivamente, alla sua prima stagione in serie A, l’anno scorso non è stato molto sfruttato, probabilmente a causa dell’infortunio. Mi scusi. Magari la sto annoiando con i miei discorsi e lei non è neanche interessata all’argomento.

- Si figuri. Il calcio è sempre stato uno sport che mi ha affascinata. Si figuri che il mio sogno da bambina era diventare il medico sociale di una squadra di calcio. Peccato che non sia stato possibile!

Sara ed il conducente del taxi parlarono per tutto il tragitto della strada in modo amichevole senza accorgersi di essere arrivati a destinazione. Sara scese dall’auto e pagò la corsa. Si voltò ed osservò l’ingresso del locale. Entrò titubante guardandosi attorno alla ricerca di Damien! Tirò comunque un sospiro di sollievo quando entrò nel ristorantino. Bene! Il suo abbigliamento si sposava perfettamente al luogo. Era un ristorante accogliente. Nulla di particolarmente elegante o sciccoso. Almeno non si sarebbe sentita a disagio per tutta la cena.

Osservò i diversi tavoli. Il locale era relativamente pieno, gli occupanti, per lo più erano coppiette che si scambiavano sguardi languidi. Sara si chiese se anche lei, quando era innamorata, aveva quello sguardo così… felice.

Un cameriere le si avvicinò e chiese se necessitava di un aiuto. Sara stava per rispondere ma un’altra voce lo fece per lei.

- Non si preoccupi. La signorina è con me.

Rimase immobile. Era alle sue spalle. Damien era alle sue spalle. Si voltò lentamente cercando di rimanere seria e non facendo trapelare il suo nervosismo. Il battito leggermente accelerato.

Davanti a lei Damien.

Non era cambiato molto in quei dieci anni. O forse sì? A Sara sembrò di trovarlo leggermente più alto. Eppure era strano. Quando stavano assieme lei non usava i tacchi e Damien era molto più alto di lei. Perché adesso che aveva otto centimetri di tacco si sentiva sempre lo stesso piccola accanto al suo ex?

I tratti del viso, poi, erano uguali ma diversi. Più marcati. Più maturi. In una parola, virili. Gli occhi castani sorridevano come le labbra carnose. I capelli, leggermente ondulati, arrivavano un po’ sotto al collo. In mano una rosa rossa che le porgeva con uno sorriso disarmante.

Sara rimase immobile senza sapere cosa fare. Fu Damien a strapparla dal suo imbarazzo per farla cadere nella vergogna più totale quando lui l’avvolse in un caldo abbraccio e le fece posare la testa su uno dei suoi pettorali.

- Quanto tempo. Come stai? Ti trovo in splendida forma.

Ed era vero. Sara era splendida.

- Sono felice anch’io di rivederti. Sei più alto!

Sara si diede mentalmente della stupida per ciò che aveva detto. Da dove le veniva una frase del genere? Voleva sprofondare a causa dell’imbarazzo.

- Dici. Sono solo un metro e ottentotto.

- Hai visto. L’ultima volta che ti ho visto eri alto un metro e ottantadue, mentre ti ritrovo sei centimetri più alto.

Mentre parlavano Damien accompagnò Sara al loro tavolo. Era in un angolo della sala. Le luci erano basse, come in tutto l’ambiente d’altronde. Il tavolo era apparecchiato per due. Una candela accesa al centro ed un tovagliolo leggermente spiegazzato segno dell’attesa del ragazzo. Damien posò la rosa sul tavolo e poi scostò la sedia dove prese posto Sara. Poi fu lui a prendere posto di fronte a lei.

- Spero che non ti dispiaccia se il tavolo è leggermente in disparte. Sai… è complicato. Se dovesse vedermi qualche tifoso dubito che riusciremmo a passare una serata tranquilla.

Sara gli sorrise di rimando.

- Immagino. Sai io non sono così famosa da essere fermata per strada ma posso capire che sia fastidioso essere un fuoriclasse.

Stavolta Damien rise di gusto.

- Esagerata. Comunque, questa rosa è per te. Un piccolo omaggio alla tua bellezza.

Un piccolo omaggio? Era un misero omaggio. Sara era stupenda. I capelli erano ancora più lunghi di come li ricordasse Damien. Adesso sembravano più morbidi e setosi. Era certo che se avesse preso un boccolo tra le dita e lo avesse tirato questo, una volta libero, sarebbe tornato al suo posto come se nulla fosse. Gli occhi erano sempre stati splendidi, ma quella sera brillavano, certamente a causa dell’imbarazzo di Sara. Le guance erano piene e rosa, non capiva se a causa del freddo preso per strada o per loro natura. Le labbra… meglio spostare l’attenzione, quelle labbra lo attiravano come una calamita. Per non parlare poi del suo corpo. Da urlo! Le gambe non erano eccessivamente lunghe ma quei jeans le rendevano particolarmente toniche mentre il maglione a dolcevita aderente disegnava perfettamente le rotondità dei suoi seni. E dire che Sara dieci anni fa prendeva una seconda scarsa. Ma Damien fu distratto dal suo stato di contemplazione dalla voce di Sara.

- Noto che sei come il vino. Invecchiando migliori!

Sara aveva riacquistato il suo solito tono allegro. L’imbarazzo iniziale era svanito lasciando il posto ad una sensazione di tranquillità. La ragazza si soffermò ancora una volta sul fisico del suo accompagnatore.

Era vero, Damien era più alto, ma non solo quello. Era diverso. Più… uomo. Le spalle larghe, la gambe muscolose facevano intuire l’importanza che lo sport rivestita nella sua vita. Anche il suo modo di vestire era cambiato. Aveva smesso di indossare quei pantaloni larghi e quei maglioni scelti dalla madre. Quella sera si era presentato con un paio di jeans scuri, aderenti alle cosce, ed un maglione a mezzo zip rosa antico.

- Ed io noto con piacere che tu sei sempre più bella. Il tempo ti ha resa più donna di quanto non lo fossi dieci anni addietro.

- Ti ringrazio Damien, ma non siamo qui per ricordare i bei tempi andati.

Sara aveva deciso di bloccare sul nascere quello scambio di battute che non avrebbe portato a nulla di buono. Lei era lì per uno scopo. L’incontro, che la mattina successiva si sarebbe tenuto tra Damien ed i piccoli degenti del reparto di oncologia pediatrica.

Il ragazzo non si scompose più di tanto. Ricordava bene il modo in cui si era comportata Sara dopo che si erano lasciati. Dopo un anno dal loro addio avevano ripreso a sentirsi. Una volta si erano pure incontrati. Lui aveva provato a baciarla ma lei aveva evitato il bacio. Ormai era finita, non aveva senso prendersi in giro.

Tornò con la testa al presente. Non avevano più vent’anni. Erano trascorsi dieci anni e le loro strade si erano ormai separate. Allora perché sentiva l’irrefrenabile desiderio di stringere, o anche solo sfiorare, la mano di Sara? Perché?

La suoneria di un cellulare trasse i due giovani dall’imbarazzo in cui era precipitata la situazione. Sara si affrettò a cercare il telefonino all’interno della borsa. Rispose al volo senza controllare chi fosse all’altro capo.

- Pronto?

Dall’altro capo del telefono Clara informava l’amica di essere rientrata e che Michele si sarebbe fermato a dormire lì da loro. Sara riattaccò ed alzò gli occhi per fissarli sulla figura di Damien che attendeva in silenzio. Sorrise e si scusò con il ragazzo per la risposta di pochi minuti prima.

- Scusami. Ti ho attaccato senza che tu avessi fatto nulla. Non era mia intenzione.

Cercò di sorridere per mascherare parte del suo imbarazzo. Immaginava la difficoltà della cena che si sarebbe svolta con il suo ex ragazzo, ma non immaginava sino a questo punto. Ogni parola doveva essere controllata e misurata per evitare di tirare in ballo ciò che erano stati.

- Credo che sia meglio parlare di quello che dovevi propormi. Sentendo mia madre si tratta di una proposta a cui non si può dire di no!

Bene! Marisa non aveva detto nulla al figlio. Adesso arrivava la parte difficile della situazione.

- Si tratterebbe di beneficenza! Per dei bambini…

- Certo! Ed io che dovrei fare?

Sara si guardò le mani tenute sopra il tavolo. Solo per un attimo, giusto il tempo di riordinare le idee.

- Potresti venire in ospedale e passare con loro un po’ di tempo…

Sara osservò Damien che era rimasto in silenzio. Bene! Adesso avrebbe rifiutato. Damien era terrorizzato dagli ospedali. Ricordava che una volta, quando la nonna del ragazzo fu ricoverata, Damien non era riuscito ad andarla a trovare neanche una volta vista la sua paura. Quando aveva saputo che Sara era riuscita ad entrare a medicina era stato felice per lei, ma non era riuscito a nascondere il suo disagio. Il suo timore che la fidanzata iniziasse a raccontargli di interventi e robe simili.

Sara intanto attendeva pazientemente torturandosi le dita. Odiava aspettare e Damien la stava mettendo in ansia. Perché non parlava?

- Ho capito. Io in ospedale…

- Sì, sai sono i bambini del reparto di oncologia pediatrica, non escono quasi mai dal reparto. E se escono lo fanno per tornare a casa.

Ok, stava esagerando e anche di brutto. Stava descrivendo quel luogo con tinte più cupe del dovuto ma era l’unico modo per convincere il ragazzo. Magari se avesse fatto pressione sul lato umano sarebbe riuscito a convincerlo!

- Ok… verrò…

Sara stava riprendendo a parlare quando si soffermò sulle parole del suo ex. Cosa aveva detto? “Verrò…” aveva sentito male o era tutto vero? Osservò ancora Damien che la guardava di rimando con un’espressione leggermente contrariata. Aveva accettato, a malincuore ma aveva accettato. Sara lo aveva fatto a posta, colpirlo sul suo punto debole. I bambini, ma gliel’avrebbe fatta pagare.

- Posso allargare l’invito ad alcuni compagni di squadra?

Sara strabuzzò gli occhi. Non poteva sperare per il meglio. Intanto il cameriere era venuto per prendere le ordinazioni.

La cena si svolse senza altri intoppi. Damien aveva chiesto il perché Sara avesse scelto chirurgia come specializzazione e la ragazza aveva risposto in maniera evasiva, ma in parte convincente. Continuarono a parlare del progetto in cui Damien era stato coinvolto per tutto il resto della cena. Ogni tanto ricordavano alcuni momenti divertenti degli anni passati insieme, senza però sprofondare nell’imbarazzo come era avvenuto in precedenza. Alla fine arrivò il momento del conto. Damien insistette per offrire la cena alla ragazza.

- Prendila così! La prossima volta che ci vedremo offrirai tu!

Sara accettò l’offerta anche se un po’ perplessa. Quindi, oltre che in ospedale, si sarebbero visti ancora. Non sarebbe poi stato difficile. Stare in compagnia di Damien era piacevole.

La ragazza prese il cellulare dalla borsa ed iniziò a cercare nella rubrica il numero di telefono della stazione dei taxi…

- Potresti aspettare un attimo. Sto chiamando un taxi.

- Un taxi? Ma sei impazzita. Ti riaccompagno io!

Sara guardò sconvolta Damien. Voleva riaccompagnarla a casa? No. Sembrava troppo un appuntamento. I complimenti. La rosa. Lui che insiste per offrirle la cena… ed adesso il passaggio sino a casa. No. Non poteva accettare.

- Damien ti ringrazio ma già hai fatto tanto offrendomi la cena.

- Ho detto che ti riaccompagno e basta.

- Damien ma io…

- Ho detto basta così. Dai andiamo. Si è fatto tardi.

Sara si ritrovò ad accettare il passaggio di Damien. Anche perché il tono impiegato dal ragazzo non ammetteva repliche. Camminarono uno accanto all’altro per un po’. Sara si sentiva incredibilmente piccola accanto al ragazzo. Erano quasi venti i centimetri che li separavano e Sara poteva contare su un paio di tacchi vertiginosi!

Arrivati di fronte ad un’utilitaria restò piacevolmente sorpresa. Allora non si era montato la testa!

- Non fare quella faccia. Preferisco le auto piccole. Se avessi un macchinone avrei qualche difficoltà a poter girare per le strade della città, non lo pensi anche tu?

- Ed io che pensavo che avessi comprato un’utilitaria solo per tirchieria…

Damien si ritrovò a scuotere la testa. Quella ragazza aveva la battuta sempre pronta. Salirono in macchina con tranquillità. Sara spiegò al ragazzo dove abitava e lui iniziò a guidare senza parlare. Erano in silenzio da già cinque minuti. Sara guardava davanti a sé rannicchiata nel sedile del passeggero. Damien teneva gli occhi fissi sulla strada.

- Mi sembra assurdo. È impossibile.

Sara si voltò in direzione di Damien che continuava a guidare senza voltarsi verso di lei, dopo alcuni secondi di silenzio riprese a parlare.

- Essere qui. Insieme. Seduti in macchina.

- Già. È… strano!

Sara non terminò la frase che scoppiò a ridere, seguita poco dopo da Damien. Risero e ricordarono degli episodi accaduti in macchina. Intanto erano arrivati sotto il palazzo in cui abitava Sara. Damien parcheggiò e spense il motore, poi si voltò verso Sara.

- Ricordo che eravamo davanti alla tua scuola… seduti dentro l’Alfa di mio padre… era una bella giornata di sole… presi coraggio e ti bacia, fu il nostro primo bacio… e poi ti chiesi “Mi piaci! Che ne diresti di metterci insieme!

Damien restò in silenzio in attesa di una risposta da parte di Sara. Risposta che non tardò ad arrivare.

- Già lo ricordo. Il romanticismo non era il tuo forte!

Sara gli sorrise dolcemente. Damien si soffermò ad osservarla. Era bella. Stupendamente bella. Si fermò ancora una volta ad osservare quelle labbra così piene. Ricordava il loro dolce sapore.

- Bene. Ti saluto.

- Aspetta. Ti accompagno.

- Damien non occorre. Dai vai!

- Scherzi? Dai scendi che ti accompagno sino al tuo appartamento, solo quando ti vedrò al sicuro dentro casa ti lascerò andare.

Sara non insistette oltre. Anche Andrea ogni volta l’accompagnava sino al suo appartamento e lei, per questo, gli era intimamente grata. Non le piaceva salire da sola. Le metteva paura. Così, con un sorriso impercettibile sulle labbra, scese dalla macchina e si avviò, con Damien, verso il portone del palazzo in cui si trovava il suo appartamento.

Salirono sull’ascensore in silenzio. Nessuno parlava e nemmeno fissava l’altro. Erano due statue di cera. Si capiva che erano vivi solo per lo sbattere delle ciglia. L’ascensore si fermò al quinto piano. Le porte automatiche si aprirono e Sara scese per prima seguita subito dopo da Damien. Prese le chiavi e le inserì nella toppa. Dopo due giri la porta si aprì e Sara finalmente si voltò verso Damien.

- Bene.

- Bene.

Sembravano due idioti. Entrambi davanti l’uscio dell’appartamento, si guardavano in faccia attendendo una mossa dell’altro. Sara riprese a parlare.

- Bhè allora grazie per la cena… e grazie per aver accettato la mia proposta… e grazie anche per il passaggio.

- Figurati!

Damien in quel momento si sentiva un perfetto idiota mentre Sara si sentiva come una delle protagoniste dei telefilm che vedeva da ragazzina.

- Allora ciao… e grazie ancora.

- Sì, ci vediamo lunedì prossimo. Ok?

- Certamente!

- Posso chiamarti una di queste sere?

- Certo! Non ci sono problemi.

- Ok, allora buonanotte.

- Buonanotte.

Si avvicinarono per darsi un bacio sulla guancia solo che i loro movimenti non erano sincronizzati e così quando uno andava a destro l’altra lo seguiva nel suo movimento e viceversa. Andarono avanti così per un paio di minuti, alla fine fu Damien a prendere in mano la situazione. Prese Sara per le spalle, la fermò e dopo la baciò delicatamente sulla fronte. Un tocco lieve. Una carezza. Sara inconsapevolmente chiuse gli occhi e sorrise.

Quando si separarono Damien andò via senza aggiungere altro, si voltò solo per una volta e le sorrise mentre Sara, chiuse la porta solo quando lo vide sparire all’interno dell’ascensore.

Certi amori non finiscono
fanno dei giri immensi e poi ritornano
amori indivisibili, indissolubili, inseparabili


Buonasera! Avete visto che sorpresa! Un capitolo flash! Un attimo di ispirazione e via! Tutto nero su bianco! Spero che vi sia piaciuto il mio regalino! Questo per festeggiare le 3 recensioni ricevute. Secondo alcuni possono essere poche, secondo me sono tante, specie se si considera il fatto che i personaggi non sono reali e la storia è ORIGINALE! Vi assicuro che per me tre recensioni sono tantissime considerando la fatica che faccio per scrivere questa storia.

RINGRAZIAMENTI

- TARTIS: mia cara Sara, vera Sara… hai visto che sorpresa! Un capitolo buttato così, senza preavviso. Spero tanto che ti sia piaciuto! Finalmente ha avuto luogo l’appuntamento tanto atteso. Spero solo di non averti delusa con questo capitolo! Mi spiace per la tua mamma, spero che adesso sia tutto a posto. Per quel che riguarda il rapporto medico/paziente per me, e credo che per tutti dovrebbe essere così, è alla base della professione medica! Un sorriso, alle volte, può fare molto di più di un ciclo di terapia! Come vedi le cose tra i nostri due amici si sono sistemati, per il meglio! Ancora però non sai quale è stata la reazione di Andrea appena ha saputo dell’appuntamento… vedremo se nel prossimo capitolo ti farò sapere qualcosa… ma intanto dimmi, che ne dici di questo?

- KAYDA: sono felice di sapere che la storia non ti abbia annoiato! Per quel che riguarda la tua storia personale… se non ti ha capita forse non teneva davvero alla vostra amicizia… io non so come siano andate effettivamente le cose, ma non preoccuparti. Se è destino che siate amici… o qualcosa di più.. tutto andrà a posto da solo! Ma cosa mi dici di questo capitolo inatteso? Sono curiosa di sapere che ne pensi!

- _LAURA_ : Prima di tutto ben tornata! Mi sei mancata… sei sempre stata presente ed iniziavo a chiedermi se la fic non ti aggradava più o altro… mi spiace per le tue rogne, spero che adesso tutto si sia sistemato ed anche tu possa godere di questa caldissima estate! Spero che l’appuntamento sia stato di tuo gradimento. Adesso ti saluto!

Bene gente! L’appuntamento per il prossimo capitolo, il capitolo X, resta fissato per l’11 agosto. Un bacio e buona estate a tutti nel caso in cui non dovessimo sentirci!

I versi riportati alla fine del capitolo sono tratti dalla canzone “Amici mai” di Antonello Venditti, dell’album “Benvenuti in Paradiso” dell’anno 1991.

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


CAPITOLO X

Il giorno seguente Sara si alzò controvoglia. La sera prima non aveva fatto eccessivamente tardi solo che non era riuscita a chiudere occhio per tutta la notte. Il pensiero di Damien la perseguitava, o meglio, la perseguitava la sensazione di beatitudine provata al momento del bacio.

Un banale bacio sulla fronte. Un banale, e dolcissimo, bacio sulla fronte.

Ciò che più le faceva paura era la sensazione di serenità provata a quel semplice contatto. Era come se, improvvisamente, gli anni trascorsi separati fossero solo un ricordo. Per pochi secondi le era sembrato di essere tornata indietro di anni. Le era sembrato di avere ancora diciannove anni.

Il suono della sveglia la riscosse dai suoi pensieri. Erano le sette. La giornata era appena cominciata. Si stiracchiò nel letto ancora qualche minuto. Si passò una mano sugli occhi cercando di togliere le ultime tracce di sonno, semmai fosse stato presente. Si mise a sedere sul letto e guardò verso la finestra. Le doghe di legno erano leggermente aperte ma non entrava nessun raggio di sole. Il sole era sorto da poco. Ancora non era alto, inoltre, molto probabilmente, il cielo era nuvoloso. La sera prima non pioveva ma le nuvole erano visibili.

Sara mise un piede fuori ma si fermò a mezz’aria. Era il sinistro. Sua madre le diceva sempre che iniziare la giornata con il piede sbagliato era rischioso, si poteva compromettere l’intera giornata. Il sinistro era il piede sbagliato. Sara non era superstiziosa o, per lo meno, rientrava nella sfera delle persone che dicevano: “ non ci credo, però, meglio non rischiare! ”, per questo motivo ritirò il piede incriminato e mise in terra il destro. Bene! Per quella giornata poteva tirare un sospiro di sollievo: il pericolo era scampato!

Si alzò e senza neanche accendere la luce si diresse verso la finestra ed aprì maggiormente le ante. Tirò la tenda ed emise un piccolo brontolio di disappunto. Pioveva. Lasciando la tenda tirata, si diresse verso l’armadio e lo aprì cercando qualcosa da mettere. Tirò fuori un paio di pantaloni marrone ed un maglione in tinta. Cercò tra la moltitudine di scarpe che possedeva, sua passione insieme alle borse, un paio di stivali da abbinare a ciò che aveva scelto per quella giornata. Recuperò dalla scarpiera, posta accanto all’armadio, ciò che le serviva.

Facendo poco rumore si diresse in bagno. Non voleva svegliare Clara che il lunedì iniziava a lavorare solo alle nove. Chiudendosi alle spalle la porta del bagno, cercò a tentoni l’interruttore della luce. Lo trovò poco distante da dove si era lei in quel momento.

Si guardò allo specchio e stavolta non poté reprimere lo sbuffo di disapprovazione. I suoi capelli erano gonfissimi e tutto per colpa dell’umidità. Decise di legarli in modo da non soffrire troppo a causa di quella visione. Si lavò cercando di non pensare, ancora, alla sera prima.

Era stata bene. Normale si disse. Con Damien si conoscevano da molto tempo, ancora prima di conoscere Andrea. Non occorreva essere formali. C’era una confidenza che era mancata con gli altri ragazzi con cui era uscita e poi, mica era andata ad un appuntamento galante. Quello era un appuntamento di lavoro. E poi anche quando usciva con Andrea stava bene.

Ma non alla stessa maniera.

Con Andrea era diverso. Era suo fratello, o quasi. Infatti, i fratelli non si baciavano come era capitato a loro qualche sera prima; e poi, per quale motivo non gli aveva raccontato dell’appuntamento con Damien? Semplice! Non era importante.

Non era questa la verità.

Non sapeva neanche lei perché aveva taciuto l'appuntamento all’amico. Per qualche assurda ragione aveva deciso di mantenere il segreto. Ma anche quella non era la verità. No. Lei sapeva perché non aveva detto nulla. Lei sapeva il perché del suo silenzio.

Paura.

Paura di deludere, ancora una volta l’amico. Sara sapeva che ogni volta che un suo appuntamento andava male, Andrea soffriva per lei e non voleva che capitasse ancora. Non voleva vedere quel lampo di tristezza nello sguardo del ragazzo appena comprendeva che l’appuntamento era stato un fiasco totale. Sara era sicura che Andrea soffrisse più di lei a causa dei suoi fallimenti sentimentali.

Ma non era questo il punto! Perché non aveva detto nulla ad Andrea?

Quello tra lei e Damien, dopotutto, era stato un appuntamento di lavoro. Perché non aveva detto al migliore amico che usciva con il suo ex ragazzo? Non lo sapeva neanche lei, diamine! A volte c’erano segreti che non riusciva a condividere con l’amico. Era una forma di difesa la sua. Non si fidava totalmente di nessuno, neanche di Andrea.

Da quando lui, il Verme, l’aveva lasciata aveva perso la fiducia nel prossimo. Non poteva farci nulla. Sapeva che era sbagliato ma non riusciva ad essere totalmente sincera con una persona. Si era totalmente confidata con solo una persona e quella era partita senza dirle nulla. Organizzando un viaggio senza informarla se non a ridosso della partenza. Che cosa aveva costruito in cinque anni? Nulla. Solo bugie.

Alla luce di quelle considerazioni anche il bacio di Damien perdeva di importanza. Non era nulla, solo una dimostrazione di affetto.

Affetto?

Era possibile dell’affetto tra loro? Era davvero possibile continuare a volersi bene dopo dieci anni? Dopo dieci anni in cui non si erano mai visti…

Probabilmente. Forse era legata a Damien per ciò che lui aveva rappresentato. Il suo primo ragazzo. Il suo primo amore. Il primo… probabilmente era quello che l’aveva resa euforica per un singolo bacio. Si. Era senza dubbio il ricordo di un amore. Un amore ormai passato. Un amore consumato dal tempo che era passato.

Uscì dal bagno e si diresse in camera sua. Si vestì con calma. Aveva ancora tempo. Si guardò allo specchio e sospirò ancora una volta. I suoi occhi avevano nuovamente quell’espressione triste che l’accompagnava ogni qualvolta ripensava al suo passato. Uscì dalla stanza senza indossare gli stivali, il rumore dei tacchi avrebbe svegliato Clara. Si diresse in cucina dove iniziò a preparare il caffè. Accese la televisione ed ascoltò il telegiornale del mattino, tenendo il volume basso per non disturbare la coinquilina. Appena il caffè fu pronto ne versò una parte in una tazza, il resto in un termos. Si preparò il suo caffelatte. Aprì lo sportello del forno a microonde e vi lasciò dentro la tazza con il latte freddo ed il caffè. Inserì il programma ed attese. Un minuto dopo, il bip che indicava la fine dell’operazione l’avvisò che il caffelatte l’aspettava fumante. Prese tra le mani la bevanda calda, si andò a sedere per sorseggiarla con calma seduta davanti alla tv.

Questo per Sara era un rituale. Era stato così da quando aveva iniziato a frequentare il liceo. La mattina si prendeva quei cinque minuti solo per lei. Non faceva nulla, neanche pensava. Si preparava ad affrontare la sua giornata!

Finita la colazione, dopo aver lasciato un messaggio all’amica dove le augurava il buongiorno, lavò i denti e poi ritornò in camera dove si truccò e sistemò i capelli. Riuscì a tenerli a bada sotto un pesante cappello di lana, almeno fino a quando non sarebbe arrivata in ospedale – lì avrebbe provato a legarli in qualche maniera, la meno trasandata possibile. Mise il cappotto e la sciarpa coordinata al cappello, lasciò le pantofole di Gatto Silvestro in camera e si diresse all’ingresso tenendo in mano gli stivali. Non voleva assolutamente svegliare Clara e poi non le dispiaceva camminare scalza per casa. Davanti la porta d’ingresso mise i pesanti stivali marroni, prese l’ombrello ed uscì di casa.

Giunta in strada decise di fare due passi. Adorava camminare sotto la pioggia. La faceva sentire tranquilla anche se non sapeva spiegarsi il perché.

Dopo un paio di passi prese il cellulare dalla borsa e compose il numero della madre. Non aveva chiamato da casa per evitare di svegliare la coinquilina. Attese che rispondesse ed intanto continuava a camminare tenendo con l’altra mano l’ombrello. Il telefono squillò a vuoto diverse volte fino a che la madre non rispose.

- Mamma ciao! Iniziavo a preoccuparmi.

- Sara, come stai? Ti avevo avvisato. Oggi dovevo accompagnare i nonni in ospedale. Lo hai dimenticato?

Sara improvvisamente si ricordò di ciò che le aveva detto la madre e scosse la testa. Stava perdendo colpi.

- Hai ragione mamma. Lo avevo completamente rimosso. Ma dimmi ora dove sei?

- In macchina con papà. Stiamo andando a prendere i nonni. E tu?

Una folata di vento costrinse Sara a stringere con forza il manico dell’ombrello. La pioggia stava diventando insistente. Era meglio fermarsi ed aspettare l’autobus che sarebbe passato da lì tra meno di due minuti. Una cosa che Sara amava di Torino erano i servizi pubblici. La GTT, il Gruppo Torinese Trasporti, era puntuale. Veramente puntuale, nulla a che vedere con i servizi urbani di Catania.

- Sara ci sei? Non ti sento più…

- Scusa mamma, hai ragione. Sono per strada… è che c’è stata una folata di vento ed ho dovuto fermare l’ombrello altrimenti l’avrei perso. Sto andando in ospedale.

Continuò a parlare con la madre anche dopo aver preso il pullman che l’avrebbe portata in ospedale. Parlò anche con i nonni che, finalmente, erano in macchina con i genitori. Parlò poco, a dire il vero, con il Vecchio. Il suo nonno materno. L’unico nonno, maschio, ad aver conosciuto. Era sua nonna Maria a parlare di continuo, sembrava non fermarsi mai. Era incredibilmente logorroica, mentre suo nonno Carmelo era più tranquillo; stava poco al telefono, passava gran parte del tempo davanti la tv a guardare le partite della Juventus, la sua squadra preferita.

I suoi nonni. I suoi amati nonni.

Le mancavano, forse più dei genitori, forse perché era cosciente del fatto che erano anziani.

Forse perché, troppo spesso, nel suo reparto vedeva nonni abbandonati dai figli e dai nipoti.

Sara raccomandò loro di stare attenti alla salute e di riguardarsi. Poi tornò a parlare con la madre ed a ripetere a lei le stesse raccomandazioni fatte poco prima ai nonni materni.

Il suo tono di voce era basso per non disturbare gli altri viaggiatori. Il silenzio che regnava sui pullman, dopo tutti quegli anni, la metteva ancora a disagio. Parlarono ancora e Sara sembrava essersi rilassata, non pensava più alle sensazioni percepite durante e dopo l’incontro di lavoro avuto con Damien. Era serena, però, quando ormai la ragazza era giunta in ospedale, la madre le passò il marito. Sara chiuse gli occhi, la serenità di poco prima svanita nel nulla. Cercò di ragionare rapidamente e prepararsi ad affrontare suo padre. Quella sarebbe stata una conversazione difficile da gestire.

- Ciao papà.

- Ciao. Come è andata ieri sera?

Bene! Ecco da chi aveva preso Sara! Anche lei amava andare dritta al sodo senza inutili giri di parole. Non comprese il perché ma iniziò a sudare freddo.

- Bene. Abbiamo discusso dei dettagli dell’incontro. Dovrebbe venire lunedì prossimo con alcuni compagni di squadra. Abbiamo cenato e poi mi ha riaccompagnato a casa. Niente di che papà, fidati!

L’uomo non rispose subito. Forse la moglie era ancora presente e non voleva renderla partecipe della conversazione.

Su una cosa la madre di Sara era particolarmente esagerata. I suoi figli. Se avesse scoperto che la figlia, la sera prima, era stata a cena con Damien avrebbe preso il primo volo per Torino per controllare lo stato di salute di Sara. Cinque anni prima aveva sofferto con la figlia. Aveva pianto con lei. Aveva cercato in tutti i modi di consolarla, ma inutilmente. Sapeva che dopo quella storia Sara aveva perso la fiducia nel prossimo, anche nei suoi genitori. Era per questo che, da madre, non aveva opposto resistenza alla decisione di Sara di lasciare Catania. Sapeva quanto fosse difficile per la figlia vivere nella città in cui aveva tanti ricordi del suo ex ragazzo.

In passato con Damien era stato diverso. Sara aveva sofferto ma non come per… il Verme. Anche sua madre aveva iniziato a chiamarlo con il nomignolo creato da Andrea. Ecco perché l’uomo era così titubante, temeva di mettere in agitazione la moglie.

- Sara…

Quando suo padre iniziava un discorso chiamandola per nome non era un buon segno.

- Io mi fido di te, sono gli altri a non convincermi.

Ed ecco la solita frase che mandava in bestia Sara. La ragazza chiuse gli occhi e poggiò la testa sul vetro freddo del finestrino. Perché era sempre così? Suo padre aveva così poca fiducia in lei?

- Papà… fidati. Non è successo niente. Mi ha riaccompagnata a casa. Un bacio in fronte e poi a letto. Tutto qui.

Si fermò. Perché si giustificava con il padre?

- Come vuoi. Ti ripasso la mamma. Ciao.

La telefonata con suo padre era finita, velocemente per fortuna. Si sentiva sollevata. Aveva parlato con qualcuno di ciò che era successo. Aveva detto a suo padre la verità. Non gli aveva mentito.

- Pronto Sara. Sara? Ci sei?

- Sì mamma, il telefono si sente male. Non c’è campo. In ogni caso sono arrivata. Ti lascio. Dai un bacio a papà ed alla nonna ed uno anche al Vecchio, per stavolta però. Ti chiamo dopo per sapere come è andata. Un bacio.

- Va bene. Stai attenta. Mi raccomando sta attenta. Ci sentiamo dopo. Un bacio anche a te!

Scese dall’autobus proprio davanti l’ingresso dell’ospedale. Mancavano dieci minuti alle otto. Aveva ancora un po’ di tempo prima di andare in corsia e controllare i suoi pazienti. Entrò e salutò Dino, quindi timbrò il suo badge magnetico ed attese l’ascensore riservato al personale. Una volta dentro, pigiò il tasto che la condusse al terzo piano. Lì, poi, si diresse con passo tranquillo nella sua camera. Tirò fuori le chiavi ma si stupì di trovare la porta socchiusa.

Bussò una prima volta ma senza ottenere risposta. Bussare davanti alla porta della propria camera poteva sembrare strano, ma non era così! Condivideva quello spazio con altre due persone quindi, non era totalmente libera di entrare come e quando voleva! Bussò ancora, ma niente nessuna risposta! Alla fine decise di entrare ma forse era meglio non farlo!

Si fermò con la mano ancora sul pomello della porta ed un piede dentro la stanza. Era allibita. Sapeva di storie tra colleghi - a dire il vero in passato, quando ancora era solo una studentessa, anche lei aveva avuto qualche idea a riguardo, ma sempre con il suo ragazzo come protagonista maschile - qui, invece, si toccava il fondo!

Carlo aveva la camicia sbottonata e le brache calate sino alle caviglie. Comodamente seduta su di una scrivania, invece, stava una giovane infermiera, le sue gambe divaricate facevano capire che non era lì per caso.

Appena i due amanti si accorsero della presenza di Sara cercarono di ricomporsi con rapidità. Almeno questo fu ciò che cercò di fare Carlo, la donna, Teresa, si rivestiva con calma e sul viso aveva impressa un’espressione infastidita, probabilmente per l’entrata di Sara.

Nel frattempo la giovane chirurga aveva richiuso la porta senza aprire bocca. Era shockata. Teresa si era sposata solo tre mesi prima e Carlo lo avrebbe fatto entro sei. Come era possibile, allora, che si trovassero insieme, in quella stanza, a fare sesso senza tanti problemi?

Sara era ancora con la testa bassa e gli occhi fissi sul pavimento quando la porta si aprì e ne uscì prima l’infermiera e dopo il chirurgo. Carlo si fermò davanti alla collega ed iniziò a parlare ma la ragazza lo fermò ancor prima che riuscisse a mettere insieme tre parole, una dietro l’altra.

- Sara io…

- No Carlo! Sta zitto! Non voglio sapere nulla. Non mettermi in mezzo e sappi che non racconterò nulla ad Alessandra solo perché spero che sia tu a farlo! Per quel che riguarda Teresa… assicurati che i miei ed i suoi turni non coincidano, mai.

Il tono usato dalla ragazza era freddo. Carlo non aveva mai visto Sara così arrabbiata ma non voleva darsi per vinto. Lui doveva spiegare le sue motivazioni.

- Aspetta Sara, non è come sembra, non sai niente e non conosci la mia storia…

Sara a sentire quelle parole scattò come una molla. Lasciò la parete alla quale era poggiata e puntò il dito verso il suo collega.

- Non conosco la tua storia e non voglio conoscerla… ma ti assicuro che conosco il dolore che si prova ad essere traditi dalla persona che si ama quindi non permetterti più di dirmi che non so!

Detto questo oltrepassò il ragazzo e chiuse con forza la porta dello studio alle sue spalle. Osservò, solo per un attimo, la scrivania dove si stava consumando quel tradimento e le tornarono alla mente delle parole pronunciate tempo addietro…

- Una volta sposati, non ti farò mai fare i turni di notte in ospedale, rischierei di essere tradito. È in ospedale, tra colleghi o tra medico ed infermiera, che nascono la maggior parte dei tradimenti! Forse anche tu un giorno mi tradirai con qualche collega bello ed affascinante!

- Certo, come no… non farò i turni di notte… ed in ogni modo, scusa ma non potrei mai tradirti! Non tollero il tradimento… semmai potrei cercare di sedurti nella tua camera!

Erano trascorsi quattro anni da quando si erano lasciati. Quattro anni in cui Sara si era sforzata di non pensare a lui continuamente. Non ricordarlo sempre ad ogni piccolo avvenimento. Ma era inutile. I ricordi, i sentimenti, erano impossibili da cancellare. Sara era ancora troppo legata al suo ex per permettere a qualcun altro di prenderne il posto.

Aveva iniziato la giornata con il piede destro, ma erano sicuri che fosse il sinistro il piede storto. Era proprio il sinistro il piede che portava sfiga? Lei non ne era molto sicura. Da quando si era alzata non aveva fatto altro che sentirsi agitata ed ancora erano solo le otto del mattino, sarebbe arrivata illesa alla fine della giornata?

e per ogni giorno
mi prendo un ricordo

che tengo nascosto lontano dal tempo
insieme agli sguardi veloci

momenti che tengo x me

Bene gente! Son tornata! Contenti? Da quanto non aggiorno questa storia? Due mesi! Caspita quanto tempo! Mi perdonerete vero? Tra esami e vacanze e nuovamente esami ho davvero poco tempo. Non posso neanche ringraziarvi come si deve! Spero solo che il capitolo vi piaccia! Vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo che sarà pubblicato il 20 ottobre, lontano lo so, ma ho altre storie da portare avanti e non posso permettermi di tralasciare lo studio! Spero che possiate comprendermi e scusarmi se non vi ringrazio singolarmente! Un grazie alle 81 persone che hanno letto il IX capitolo ed un bacio a TARTIS (spero che non ti sia dispiaciuto se ho indagato maggiormente le emozioni di Sara piuttosto quelle di Andrea!) e _LAURA_ (l’episodio davanti la porta è tratto da scene di vita vissuta personalmente da me!) per aver commentato.

La canzone è "Sei parte di me ", degli Zero Assoluto, parte del disco “Appena prima di partire” dell’anno 2007.

Adesso vi lascio. Un bacio alla prossima!

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO XI

Dopo lo scontro avuto quella mattina, Sara decise di restare il più possibile in corsia per evitare di pensare di continuo a quanto aveva visto.

Il contatto con i pazienti l’aiutava, in qualche maniera, a placare la rabbia e la delusione provata poco prima.

Ancora una volta aveva creduto alle illusioni generate dall’amore. Ancora una volta aveva creduto che un uomo potesse amare senza riserve solo una donna. Si era illusa, com’era accaduto anni addietro con il Verme. Per l’essere umano, e per l’uomo in particolare, amare se stesso era più importante dell’amore per il prossimo. Questa consapevolezza si faceva giorno per giorno strada nei suoi pensieri. Adesso si sentiva una stupida. Si era avventata contro Carlo come se quella tradita fosse stata lei e non Alessandra. In un certo senso, aveva riversato sul collega la sua rabbia e frustrazione per quel tradimento che le ricordava lo stesso tradimento subito da lei anni addietro.

Un tradimento fisico contro un tradimento spirituale. Erano entrambi dolorosi e difficili da superare. La fiducia tradita faceva male tanto quanto una ferita nel proprio orgoglio. Nel proprio amore.

Ancora una volta il suo passato era tornato a scandire il suo presente e lei lo aveva lasciato fare, senza opporre alcuna resistenza. Era arrivato il momento di dare un taglio netto a quei ricordi. Doveva seppellirli per l’eternità.

Ecco perché aveva passato la mattinata in corsia con maggiore accanimento rispetto alle altre mattine. Lavorando e dedicandosi ai suoi pazienti era riuscita a mettere, almeno per poche ore, da parte la delusione provata quella mattina. Verso le undici, però, la sua mattinata era stata interrotta. Con una certa urgenza era stata richiamata nella sua camera. Sperava di non dover incontrare ancora Carlo. Francamente, sperava che il collega fosse già andato via. Se lo avesse avuto di fronte lo avrebbe preso a schiaffi. Se si fosse trovata davanti l’infermiera… non faceva differenza, avrebbe schiaffeggiato anche lei. Il tradimento non lo concepiva. Ci provava, ma non riusciva a perdonarlo. Era sempre stato così. Il tradimento rappresentava per lei la fine di tutto. La mancanza di rispetto. Una crudeltà nei confronti della persona che hai amato

Immersa in questi pensieri salì al terzo piano prendendo l’ascensore interno riservato al personale. Quella mattina indossava la tuta da chirurgo. Il verde non le donava e per questo aveva preferito, sin da subito, per una tuta azzurra.

Un tempo questa era quella utilizzata dagli anestesisti ma, da un paio di anni, non era più il colore della tuta a determinare la specializzazione del medico. Non era raro vedere, in giro per le corsie, tute amaranto o blu e le indossavano sia chirurghi, sia anestesisti alle volte anche gli infermieri. Non faceva più alcuna differenza l’abbigliamento, quel che contava erano le capacità del medico. E certamente sia che la tuta fosse stata verde, sia che fosse stata azzurra, Sara era un chirurgo valente.

Con il camice a nascondere la tuta e le calzature adatte per la vita da ospedale, i capelli raccolti alla bene e meglio, Sara salì sino al terzo piano. Bussò più forte delle altre volte, magari per evitare di avere altre brutte sorprese e, dopo aver ricevuto il permesso per entrare, rimase sorpresa da ciò che si trovò davanti una volta dentro.

- Oddio… Maria sono stupende.

Delle rose rosa erano sistemate in un vaso, improvvisato per l’occasione, su quella che era la scrivania di Sara, proprio di fronte la porta. Dodici rose rosa. Una più bella dell’altra. Profumate. Alcune erano solo boccioli, altre erano appena schiuse, ma tutte e dodici splendide.

- Maria, ma chi te le ha regalate?

La giovane collega di Sara si grattò perplessa la testa e poi, sorridendo imbarazzata, rispose con voce allegra.

- Sara… veramente sono per te!

- Cosa? Per me?!

Sara guardava il mazzo di rose sulla sua scrivania e si chiedeva chi mai potesse aver avuto un pensiero simile. Guardò Maria, la collega con cui divideva la stanza oltre a Carlo, poi tornò a posare i suoi occhi sulle rose e solo allora lo vide. Un bigliettino. Rapidamente prese il foglio tra le mani e lo aprì. Non riconobbe la calligrafia e così lesse con attenzione le parole vergate sul cartoncino bianco.

Grazie per la bella serata.

Spero di poterla bissare quanto prima.

È stato come tornare indietro.

Un tuffo nel passato.

Un passato dolce ed amaro.

Non era firmato ma Sara conosceva il mittente di quel biglietto. Accarezzò con la punta delle dita quelle parole e sorrise dolcemente. Guardò nuovamente le rose e solo allora si accorse di una rosa diversa dalle altre. Più lunga. Senza spine. Schiusa e con i petali brillanti. Una rosa rossa. Chinò il capo e rilesse ancora quelle parole.

- Allora? Chi te le manda?

La voce di Maria la riportò alla realtà. Guardò la collega e poi le rose. Sorrise in modo dolce.

- Un amico. Un amico che ho rivisto ieri dopo tanto tempo.

- Ad averli io amici come i tuoi!

Sara non rispose a Maria. Restò ferma ad osservare le rose. Damien. Perché quelle rose? Perché doveva metterla in ansia in quella maniera? Perché si stava comportando in quel modo. Anni addietro quando stavano assieme non le aveva mai regalato un fiore ed adesso… tredici rose, senza contare quella della sera precedente! Ma perché?

Il cellulare vibrò e solo allora si accorse di dover tornare in corsia. Salutò rapidamente Maria e scese le scale di corsa. Non aveva tempo per aspettare l’ascensore. Ma il pensiero delle rose l’avrebbe accompagnata per l’arco della mattinata.

*****

Alle quattordici riuscì a staccare. Era stravolta. In corsia vi era stata un’emergenza ed era stata impegnata sino a poco prima. Timbrò nuovamente il badge magnetico, ma stavolta in uscita. Guardò fuori e vide che il tempo non era migliorato, anzi. Pioveva ed anche abbastanza forte. Riportò il suo sguardo sulle rose e si chiese come avrebbe fatto sul pullman. Le avrebbe sicuramente rovinate.

- Vuoi un passaggio o preferisci attendere che spiova?

Sara fu sorpresa da quella voce che certamente non doveva trovarsi lì, a quell’ora. Spostò la sua attenzione dalle rose e la dedicò completamente ad Andrea; l’amico era davanti a lei con in mano un ombrello viola. La guardava in attesa di una risposta. Risposta che arrivò subito dopo.

- Preferisco il passaggio. Non ho voglia di aspettare un’eternità. Qui sembra che non smetta mai di piovere!

Sara stringendosi in vita la cintura del cappotto ed alzando il bavero, si calcò in testa il cappello per paura di vederlo volare via e tutto con una mano, aiutandosi come poteva o con i denti, o con il braccio occupato dalle rose. Cercò, per quanto poteva con l’omaggio floreale ricevuto quella mattina tra le braccia - ed una sola mano libera - di prendere il suo ombrello, quando la voce dell’amico la bloccò ancora.

- Lascia perdere. Il mio ombrello è abbastanza grande da coprire entrambi. Comprese le tue rose! A proposito…

Sara comprese subito a cosa faceva riferimento l’amico e lo precedette.

- In macchina. Puoi aspettare altri cinque minuti?

Sospirando Andrea spinse Sara un po’ più vicino. Poi rispose.

- E così sia. Però, muoviamoci prima che ci ripensi.

Senza aggiungere altro prese sottobraccio Sara e la condusse fuori. Il giovane medico aprì l’ombrello quando ancora si trovavano sotto la tettoia dell’ospedale e senza attendere oltre spinse, delicatamente, l’amica a fare qualche passo. Camminarono stretti evitando le pozzanghere. Andrea ogni tanto tentava di spingere Sara un qualche buca ma la ragazza riusciva a resistere agli assalti dell’amico. Anzi, più di una volta, era stata lei a mettere a segno qualche colpo! Mentre camminavano Andrea cercava di estorcere qualche informazioni riguardo il mittente delle rose.

- Non vuoi dirmi proprio nulla? Un piccolo indizio! Uno solo… siamo amici in fin dei conti. E poi ti sto riaccompagnando a casa! Cavolo dovresti ripagarmi in qualche maniera!

Sara lasciava parlare Andrea senza interromperlo. La sua attenzione era concentrata sulla strada ed ad evitare che le sue rose subissero troppi danni. Stava attenta ad evitare le buche e non prestava attenzione ad Andrea, odiava camminare impacciata. Per non sembrare troppo persa nei suoi pensieri si limitava ad abbassare la testa, tanto per far comprendere che ancora era presente, proprio come stava facendo in quel momento.

- Andrea in macchina saprai tutto. E ti giuro… sarai l’unico a sapere, almeno in ospedale.

Andrea si strinse maggiormente all’amica passandole una mano attorno alle spalle. Poi con fare cospiratore si chinò sul suo collo ed iniziò a parlare a bassa voce, come se quello che stesse per chiedere fosse un qualcosa di particolarmente serio, proprio come vedeva fare nei film di azione che tanto gli piacevano. Si guardò prima a destra e poi a sinistra e poi con voce bassa e strascicata diede voce alla sua curiosità.

- Almeno in ospedale… Sara cosa mi stai nascondendo?

Sara storse il naso. Ecco! Si era data da sola la zappa sui piedi. Quando Andrea si metteva di impegno diventava peggio di una comare pettegola. Guardò l’amico e poi le rose. La macchina era vicina. Andrea doveva solo pazientare ancora un po’.

- Andrea è questione di cinque minuti. Puoi aspettare o morirai prima?

- Morirò prima!

Sara alzò gli occhi al cielo e poi rispose all’amico.

- Bene! Allora crepa. Non ti dico più nulla. Sai che non mi piace essere messa sotto torchio! Cosa ti costa aspettare due minuti? Stiamo arrivando in macchina. Per favore, Capellone! Magari ti invito a pranzo! Che ne dici?

- Affare fatto! Mi hai comprato per un piatto di spaghetti. Come sono caduto in basso!

Sara si strinse nelle spalle e rise divertita. Era contenta, sembrava non essere successo nulla tra lei e l’amico. Forse era davvero così. Forse quel bacio era stato un mezzo per rinsaldare ancora di più il loro legame. Magari adesso sarebbero stati ancora più amici.

Giunsero in macchina continuando a spingersi – reciprocamente – fuori dall’ombrello. La pioggia cadeva con meno insistenza ma il freddo era pungente. Sara fece attenzione nel posare le rose all’interno dell’auto. Non voleva che si rovinassero. Una volta seduti e partiti improvvisamente si ricordò che Andrea per quel giorno aveva il turno di notte!

- Andrea… ma tu come mai sei passato? Non dovresti avere il turno di notte?

- Ho visto il tempo ed immaginandoti a piedi ho deciso di passarti a prendere. Tutto qui!

Sara baciò la guancia dell’amico. Andrea era sempre stato premuroso con lei. Più di un fratello. La veniva a prendere o la accompagnava a seconda delle necessità. E tutto questo senza che Sara chiedesse mai un passaggio. Litigavano perché Andrea non voleva mai fare a metà per la benzina e Sara ogni volta si sdebitava preparandogli pranzi e cene degne di un principe. Una cosa che Sara adorava fare era cucinare. Le metteva il buon umore. E pensare che a Catania non metteva mai un dito ai fornelli, sua madre glielo impediva. Ridendo e scherzando i due giovani medici raggiunsero l’appartamento della ragazza. Andrea non chiese più nulla riguardo il mittente delle rose. Sarebbe stata Sara a raccontargli tutto, non voleva insistere più di tanto. Non era giusto nei riguardi dell’amica.

*****

Davanti un piatto di pasta fumante Andrea e Sara stavano parlando tranquillamente. Ad un certo punto la ragazza si fece tesa ed iniziò a giocherellare con il suo tovagliolo. Andrea l’aveva lasciata in pace ma adesso era giunto il momento di dare risposta ai dubbi dell’amico. Ed il ragazzo si era accorto del cambiamento di Sara ma non disse nulla per non sembrare troppo interessato alla questione anche se… stava morendo di curiosità.

- Andrea… per le rose… bhè sai… è una storia lunga.

Il ragazzo alzò lo sguardo e fissò l’amica. Era raro vedere Sara tanto imbarazzata. Chi era il mittente delle rose?

- Sara, ascoltami. Se ti va di parlarne io sono qui. Ma se ti dovessi sentire obbligata non voglio sapere nulla.

Sara sorrise all’amico e scuotendo la testa si portò i capelli da un lato del collo ed iniziò a raccontare.

- La scorsa settimana doveva esserci l’incontro tra i giocatori della Juventus ed i bambini del reparto di oncologia pediatrica. Ricordi?

Andrea chinò il capo facendo comprendere all’amica di ricordare, ma l’espressione del suo viso tradiva un senso di incomprensione. Cosa aveva a che fare ciò con le rose di Sara? Intanto la ragazza, comprese le perplessità dell’amico, riprese il suo racconto.

- Come sai è saltato e così mi sono offerta di aiutare Anna ad organizzare un secondo incontro. Ho chiamato Damien Mc Glass, il mio ex, e gli ho chiesto il favore di poter venire in ospedale a fare visita ai bambini. Damien mi ha chiesto di vederci per definire i dettagli della visita e così ieri sera… sono stata a cena con lui ecco perché non sono uscita con te… e stamattina mi ha mandato queste rose.

Sara a grandi linee, a grandissime linee, aveva raccontato i fatti all’amico. Adesso era in attesa di una reazione da parte di Andrea. Reazione che non tardò ad arrivare.

- A cena… fuori… con il tuo ex. Perché non me lo hai detto?

La voce di Andrea non tradiva nessuna emozione. Era calma e piatta. Non una inclinazione. Osservava l’amica senza però manifestare nessun sentimento.

- Io… non sapevo come avresti reagito. Ho preferito mantenere il silenzio. Tutto qui. Te lo avrei detto.

Sara aveva la voce leggermente tremante. Non voleva dire all’amico che dopo il bacio che si erano scambiati giusto un paio di sere prima, non si sentiva di essere totalmente sincera su quella che era la sua vita privata. Non voleva ferirlo e poi non sapeva cosa dirgli. Era stata a cena con Damien, ma era stata una cena di lavoro nulla di più. E poi… perché si doveva giustificare? Cosa aveva fatto di male?

- Sara a me puoi dire tutto. Io sono tuo amico. Vorrei solo sapere se è successo qualcosa… sai per spiegare le rose.

Sara aggrottò la fronte e fissò Andrea. Cosa doveva essere successo? Osservando l’amico notò un’espressione maliziosa. Si alzò di scatto e diede un pugno in testa ad Andrea che intanto aveva iniziato a ridere come un matto.

- Cosa ti salta in testa. Damien mi ha riaccompagnata a casa e basta. Non è successo nulla di quello che hai pensato. Maiale!

Ed Andrea continua a ridere coprendosi le mani con la testa. Sara di contro continuava a picchiare duro contro la testa dell’amico, ma sorrideva, era felice: il rapporto con Andrea non era stato compromesso. Quando gli animi si furono calmati fu Andrea a parlare.

- Lo hai chiamato per ringraziarlo?

- No. Lo farò stasera.

Andrea annuì e dopo un po’ si alzò e si preparò per tornare a casa. Sara lo accompagnò fino alla porta di casa, prima di andare via però l’amico si voltò ed abbracciò la ragazza con affetto per poi sussurrarle all’orecchio una frase che rese Sara ancora più felice.

- Vederti serena è la cosa più importante di tutte. Ricordati che a me puoi dire tutto. Io e te siamo fratello e sorella. Quando io ho avuto bisogno di te, sei sempre stata presente e viceversa. Sara non mentirmi mai. Ti prego.

Sara si strinse con forza al giubbotto dell’amico e affondò la testa in quell’abbraccio caldo e confortevole. No. Non avrebbe mai mentito ad Andrea. La loro amicizia era qualcosa di speciale e che doveva essere curata e protetta da tutto e tutti. La loro amicizia era sincera. Era stata l’ancora di salvezza di Sara nel suo periodo più cupo.

*****

Erano ormai le 18 quando Sara prese il telefono per chiamare Damien e ringraziarlo per le rose. Il telefono squillò un paio di volte prima di ricevere una risposta.

- Finalmente! Pensavo che non chiamassi più!

Sara rimase a bocca aperta davanti alla risposta dell’amico. Cosa voleva dire e poi, da quando era così… sfacciato?

- Cosa ti faceva credere che avrei chiamato?

- Il fatto che sei una persona educata.

La giovane sorrise davanti alla risposta. Una persona educata. Certo che era una persona educata. Con chi credeva di parlare?

- Allora siccome sai perché ti ho chiamato possiamo anche chiudere. Non abbiamo nient’altro da dirci.

Dopo un paio di secondi arrivò la risposta di Damien.

- Certamente. Ciao.

Sara inarcò un sopracciglio ma non disse nulla. Lei, in fin dei conti, stava solo giocando, Damien invece era serio.

- Allora grazie per i fiori e ciao.

- A lunedì.

Sara riagganciò perplessa. Damien aveva chiuso senza tante cerimonie. Cosa era successo? Come mai tutta quella freddezza? Neanche il tempo di finire il ragionamento che il cellulare riprese a suonare. Lesse il numero e le sue perplessità aumentarono. Rispose con qualche dubbio.

- Damien?

Il ragazzo all’altro capo del telefono rideva con gusto.

- Sara in sincerità, ma ti trovo parecchio peggiorata. Davvero credevi che avrei rimesso giù?

- Io veramente…

Le risate di Damien divennero più forti. Sara intanto si sentiva sempre più imbarazzata.

- Scusa… aspetta che mi riprendo.

- Certo, fai con comodo. Quando avrai finito di ridere di me puoi pure riprendere a parlare.

Odiava essere oggetto di scherno. Damien lo sapeva perfettamente, era così anche quando stavano insieme, ma lui sembrava essersene dimenticato.

- Certo che non sei cambiata poi tanto per quel che riguarda il carattere.

Appunto.

- Sara aspetta due minuti che ti richiamo io!

Aveva messo giù. Di nuovo. Sara inspirò ed espirò più volte. Cercava di mantenere la calma, ma era difficile. Come si poteva con uno che ti chiudeva il telefono in faccia ogni tre secondi? Tecnicamente la prima volta aveva detto lei che potevano chiudere, ma solo perché Damien era sembrato freddo e di fretta.

Sara prese il cellulare e lo posò sul tavolo della cucina dove si trovava al momento della telefonata. Se Damien avesse chiamato non avrebbe risposto, così imparava, il calciatore, a fare tanto lo spiritoso. Se Damien ricordava perfettamente il carattere che aveva, doveva ricordare pure che non amava essere oggetto di scherno, da parte di nessuno.

Il campanello della porta la distrasse dai suoi piani di vendetta. Si alzò dalla sedia ed andò alla porta. Lo spioncino era stato messo fuori uso dal figlio della signora Rondi, grazie ad una gomma da masticare che aveva rappreso talmente tanto che era stato impossibile rimuoverla.

Sara aprì la porta facendo sbucare solo la testa, restò sorpresa nel ritrovarsi davanti proprio Damien. Senza aprire bocca richiuse la porta per togliere la catenina che fungeva da protezione, riaprì nuovamente ed il ragazzo entrò senza neanche aspettare l’invito della giovane. Meccanicamente la ragazza richiuse la porta. Damien intanto era fermo, appoggiato al muro. Guardava Sara con un sorriso birichino sulle labbra.

- Cosa ci fai qui?

- Sono felice anch’io di vederti.

Sara si riprese dal suo stupore e guardò Damien attentamente. Effettivamente anche con addosso una semplice tuta il ragazzo non sfigurava.

- Scusa solo che… non mi aspettavo di trovarti davanti la porta di casa mia. Che scema! Accomodati.

Sara guidò il ragazzo in quello che era il soggiorno. Un ambiente piccolo ma accogliente. Un divano rosso e due poltrone dello stesso colore, rispettivamente, davanti ed ai lati di un mobile basso pieno di riveste. Un televisore su un altro piccolo mobile, arredato da qualche soprammobile e delle fotografie con Sara ed altre due persone, un ragazzo ed una ragazza. Altre foto con la stessa ragazza della foto di Sara con un ragazzo diverso dal primo. Poi una foto singola di Sara e lo stesso ragazzo della prima foto.

A parte le foto l’ambiente risultava leggermente freddo. Non vi era nulla che facesse trasparire la personalità degli abitanti della casa. Nulla a parte le pareti di un giallo tenue che, invece, erano adornate da disegni a mano libera, fatti con la tecnica del chiaro scuro.

Damien, che aveva osservato curioso le foto, adesso aveva calamitato la sua attenzione sui disegni appesi alle pareti.

- Sono tuoi vero?

Sara annuì meccanicamente. Era rimasta ferma ad osservare Damien. Aveva notato la sua curiosità verso le foto ma aveva deciso di rimanere in silenzio. Non era il caso di spiegare nulla. In fin dei conti, non c’era nulla da spiegare.

- Riconoscerei la tua mano ovunque.

- Esagerato! In ogni caso, ormai sono anni che non tengo in mano una matita. Ho dimenticato come si fa.

Damien, riportando la sua attenzione sulla figura di Sara, aveva messo le mani in tasca. Osservava Sara con maggiore attenzione rispetto la sera prima. Cercava di ritrovare, nella donna che aveva davanti, la ragazza che aveva amato dieci anni prima. I capelli ricci erano gli stessi di allora, solo più lunghi e leggermente più chiari. Le labbra carnose e rosse come il corallo, più mature di quelle di dieci anni prima, molto più tentatrici. Le guance piene erano rimaste tali e quali. Gli occhi… occhi castani cangianti al verde. Uguali fuori ma diversi dentro. Erano più seri, meno limpidi rendendola, però, affascinante e misteriosa al tempo stesso. La gonna di jeans, al ginocchio, ed il dolcevita rosa modellavano la sua figura slanciandola. Ai piedi un paio di pantofole la rendevano dolce, e tenera come una bambina.

Mi ritorni in mente,

Bella come sei, forse ancor di più

Mi ritorni in mente,

Dolce come mai, come non sei tu

Buongiorno! Scusate l’enorme ritardo. Il capitolo era pronto solo che non ho avuto il tempo di rileggerlo e controllarlo. Domani ho esami e così ho deciso di prendere la pausa pranzo per dedicarla a voi! Ecco a voi il capitolo. In pratica non è successo nulla di particolare, a parte l’amicizia di Sara ed Andrea rinsaldata e la visita a sorpresa di Damien. Ed adesso cosa accadrà? Ancora non ne ho idea… le parole riportate in basso sono tratte dalla canzone “Mi ritorni in mente” del grande Lucio Battisti. Canzone che è inclusa nell’album “Emozioni” del 1970.

RINGRAZIAMENTI:

- _ LAURA_ : tu sei poco puntuale? Ed io che vi dico il giorno in cui aggiornerò e poi non mantengo mai la parola data? Cosa dovrei dire io? Mi rendo conto che in questo capitolo non è accaduto nulla di eclatante, mi auguro solo che possa piacerti, come a me è piaciuto scriverlo! Ti ringrazio per l’appoggio e la presenza costante, alla prossima e stavolta cercherò di essere puntuale! Promesso!

- TARTIS: ciao tesoro. Mi spiace averti fatto aspettare tanto, ma sai… lo studio è lo studio. Non posso fare più di quello che faccio, cercherò di migliorare prometto! Passando alla fic. Sono felice che il capitolo dedicato ai sentimenti di Sara ti sia piaciuto. È stata una scelta sofferta per quel capitolo. Sapevo che molti si aspettavano qualcosa di più materiale tra Damien e Sara, ma ancora, in sincerità, non so come si evolverà il rapporto tra i due. Se ti aspettavi qualche scenata da parte di Andrea mi spiace averti delusa! Andrea è Amico di Sara e non le farebbe mai del male. Per quel che riguarda il padre di Sara… hai azzeccato il punto. Ho preso ispirazione dal mio papà. Io credo che abbiano coniato il termine ermetico per descrivere il suo carattere, non fa mai capire cosa pensa e cosa prova. È davvero difficile riuscire ad interpretare i suoi gesti. Credo che per molti sia difficile capire un comportamento simile ma, per chi come noi, ha un padre simile è tutto più facile. Sara adora suo padre e presto cercherò di far trapelare questo suo amore sviscerato per il genitore. Per quel che riguarda i due che becca Sara, Carlo e Teresa, sono quelli del turno di notte, solo che erano talmente presi dai loro bisogni di non essersi resi conti dell’ora! Per quel che riguarda il Verme… non dico nulla. Sara è intelligente e sa perfettamente come interpretare quel messaggio. È solo che è difficile scordare il passato ed un amore che ci ha delusi profondamente…

Grazie a tutti coloro che hanno perso 10 minuti della loro giornata per leggere questo capitolo. Un saluto a tutti vi do appuntamento al prossimo aggiornamento, in data 20 novembre.

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Nuova pagina 1
CAPITOLO XII

La baciava con enfasi. Aveva paura. Era come se temesse che lei fuggisse via. Come se dovesse ripensarci da un momento all’altro, e non voleva che ciò accadesse. Il suo cuore batteva a mille ma non lo dava a vedere, sembrava padrone della situazione, ma non lo era.

Aveva caldo, terribilmente caldo, si chiese se non fossero in agosto tanto si sentiva sudato. Lei, intanto, ricambiava il suo bacio, ma con meno enfasi. Lentamente. Come se volesse rallentare il ritmo. Come se avesse bisogno di tempo per abituarsi a quella situazione. Ma lui non poteva più aspettare. La voleva.

Le mani di lei erano strette sulla sua maglia.

Le sue mani erano allacciate ai fianchi di lei.

Si baciavano mentre il mondo fuori non esisteva. Le note di una canzone lontana riempivano l’ambiente, ma lui non le sentiva. Unico suono percepito dalle sue orecchie era il battito, accelerato, dei loro cuori. Era certo che per Sara fosse lo stesso. Almeno lo sperava.

Poi qualcosa di morbido attirò la sua attenzione. Si stupì e si chiese come erano finiti sul quel letto. Quando era successo?

Lui era sopra di lei.

Aveva paura di schiacciarla.

Aveva paura di farle del male.

Lui che l’amava da impazzire.

Che aveva bisogno di lei più dell’ossigeno.

Lei, che era la sua isola felice.

Si fermò. Alzò il capo ed incrociò i suoi occhi. Non gli era mai sembrata più bella. I ricci arruffati ad incorniciarle il viso. Le guance rosse. Le labbra gonfie. Gli occhi lucidi dalla paura e dal desiderio. Il respiro affannato.

La guardava e tremava. Sara sorrise per rassicurarlo, per fargli capire che, nonostante i suoi timori, lo voleva. Voleva quell’attimo tutto per loro, per riscoprirsi sotto una nuova luce.

Fu lei a baciarlo. Incerta. Le mani, però, erano ferme ai lati del suo corpo, inermi. Questo gli bastò per trovare un minimo di lucidità e fermarsi. Se Sara non era partecipe che senso aveva continuare? Voleva che fosse speciale per entrambi. Unico. Indimenticabile.

- Vuoi fermarti?

Lei fece di no con la testa. Era certa. Sicura. O per lo meno, così le sembrava.

- Davvero Sara. Posso aspettare.

- Sono io a non poter più aspettare, ti voglio. Adesso.

*****

Un lieve tocco sulla spalla lo riportò al presente. Si guardò attorno smarrito dimentico, per un attimo, del luogo in cui si trovava. Il viso sorridente di Sara lo fece tranquillizzare.

- Dove eri finito?

Alzò le spalle come a scrollarsi di dosso il ricordo che lo aveva letteralmente rapito. Si sorprese anche leggermente eccitato. Era bastato così poco a mettere in moto i suoi ormoni? Era ridotto male!

- Nel passato. Stavo pensando alla prima volta… che ci siamo conosciuti? Ricordi?

Si fermò giusto in tempo. Non poteva dirle che stava ripensando alla loro prima volta. Non gli capitava spesso, ma ogni tanto era capitato. Ricordare determinati momenti trascorsi con lei. Questo capitava, soprattutto, quando restava deluso da qualche storia. Fu Sara che, ancora una volta, lo sottrasse dai suoi ricordi.

- Certo! Era una sera a casa di Laura. Una giocata a carte!

Damien sorrise. Già e pensare che lui, a quella giocata, non voleva neanche andarci. Lo avevo costretto Eleonora.

- Dopo tanti anni mi chiedo come facevi ad essere amica di Laura. Siete così… opposte!

Era riuscito a risolvere una situazione compromettente. Magari parlando del passato sarebbe riuscito a dimenticare le sensazioni suscitate da quel ricordo.

- Gli opposti si attraggono, non lo sapevi?

Sara sorrideva mentre sistemava sul tavolino, ormai sgombro di riviste, un vassoio con una fetta di crostata alla nutella ed un bicchiere con un succo d’arancia. Porse a Damien la crostata e prese per sé la bibita.

Damien portò in bocca il primo boccone, poi il secondo. Con quattro forchettate fece fuori la porzione, per nulla piccola, di dolce mentre Sara teneva tra le mani il bicchiere ancora pieno.

- Sara era buonissima. Dove l’hai comprata?

Era rimasto deliziato da quella crostata. La pasta frolla era morbida e friabile, si scioglieva in bocca, mentre la nutella non era per nulla dura, anzi, era della normale consistenza.

- Veramente l’ho fatta io!

- Mi prendi in giro?

Sara si alzò e portò via il piattino ormai vuoto. Damien osservò la ragazza, che gli dava le spalle. I capelli ricci arrivavano quasi al sedere. La sua attenzione si concentrò, poi, sul fondoschiena della ex e sentì nuovamente caldo. La gonna lo fasciava in maniera invitante. Doveva controllarsi oppure le sarebbe saltato addosso.

Sara tornò nel soggiorno con una nuova porzione di crostata e la mise davanti a Damien, adesso troppo scombussolato per poter gustare un’altra fetta di dolce. I suoi pensieri poco casti lo stavano mettendo in agitazione. Cosa gli stava prendendo? Sembrava un ragazzino con gli ormoni in subbuglio. Guardava la crostata come se fosse del cibo proveniente da un’altra galassia, ma in realtà era con la mente altrove. Cercava di calmare il suo istinto.

- Adesso che sai che è fatta da me non ne vuoi più?

- No, non è per questo. Veramente non dovrei abusare con i dolci. Sai è per via della dieta che seguo.

Si stava giustificando come un bambinetto. Osservava Sara che sorseggiava tranquilla la sua aranciata. Non sembrava per nulla turbata dalla sua presenza. Era solo lui che si sentiva così maledettamente a disagio? Forse era meglio interrompere quel silenzio così angosciante. Cavolo! La sera prima era stato tutto più naturale mentre oggi… si sentiva impacciato.

- Hai notizie di Laura? Sai che fa? Dove lavora?

Forse se avesse incentrato il discorso sulle amicizie del passato avrebbe ritrovato la calma e serenità tale per intavolare una conversazione decente.

- Che io sappia adesso lavora in un ospedale di Catania come tecnico. Ha preso il diploma di tecniche audiometriche due anni prima che io mi laureassi. Ma non so dirti altro. E tu, invece, che mi racconti di Salvo? Hai ancora contatti con lui?

Damien tirò un sospiro di sollievo. Si trovava bene a parlare con Sara del loro passato. Era molto meno nervoso e senza neanche accorgersene, iniziò a mangiare anche la seconda fetta di crostata. I bocconi andavano giù senza sforzi, era qualcosa di inspiegabile, sublime. Ed intanto, tra un boccone e l’altro aveva trovato il tempo per rispondere alla domanda di Sara.

- Ha preso il posto di suo padre al Comune. Ormai ci lavora da circa quattro anni. Ogni tanto quando scendo ci capita di vederci, ma non più come una volta. Dopo che noi due ci siamo lasciati, lui ha iniziato ad avere problemi con Laura, fino a che lei non lo ha lasciato di punto in bianco. È stata una pazza. Salvo ha sofferto tantissimo!

Mentre parlava aveva posato il piattino nuovamente sul tavolino basso e si era messo ad osservare Sara che, al contrario, teneva il suo sguardo fisso sulla sua spremuta d’arancia.

- In parte mi sento responsabile della fine della loro storia! È un po’ come se io e te avessimo dato il via alla fine anche della loro. Non credi?

Quello di Sara era stato un pensiero che l’aveva accompagnata da quando aveva saputo della fine della relazione dei due amici. Se lei e Damien non si fossero lasciati forse neanche Laura e Salvo avrebbero seguito il loro esempio.

- Stai scherzando? Io ancora mi chiedo come tu e Salvo potevate stare con una psicopatica come Laura. Finiscila. Secondo me Salvo ha fatto bene a lasciarla. Laura è troppo strana.

- Sei incredibile! Come fai a parlare di lei in questa maniera? Capisco che non ti sia mai piaciuta, ma ti ricordo che è stato grazie a lei, a casa sua, se noi due ci siamo conosciuti. Se poi è finita come sappiamo è un altro discorso, ma non puoi parlarne male. Certo, c’è sempre la possibilità che per te, l’avermi conosciuto, non sia stato altro che una perdita di tempo. Ma quello è un altro discorso!

Ecco, era partita. Quando si parlava male di Laura, Sara partiva in quarta e non si fermava. Era sempre stato così anche quando stavano insieme. Damien criticava l’amica e Sara la difendeva. Come stava facendo adesso. Il bicchiere posato bruscamente sul mobile e lei che iniziava a gesticolare e parlare. I capelli che le ricadevano sul viso e lei che cercava di riportarli indietro con un movimento deciso del capo. E lui non resisteva. Doveva risponderle. Doveva metterla a tacere anche perché tutto quello che stava accadendo lo riportava indietro a quando loro stavano ancora insieme. E questo, lui non sapeva spiegarselo, gli piaceva.

- Mi hai sentito dire questo? Mi hai sentito dire che l’averti conosciuto è stata una perdita di tempo? Non mi sembra! Andiamo Sara, lo sappiamo entrambi. Laura è sempre stata parecchio acida con la gente. Con me. Con Salvo. Anche con te. Mi spieghi perché quando andavate a scuola, in classe, non era mai bene accetta? Semplice. Era indisponente. Si sentiva superiore agli altri. Era volgare e stupida. E tu lo sai meglio di me dato che eri la sola a sopportarla.

E come sempre anche lui si alterava e finivano a litigare.

- Se ci siamo lasciati sono fatti nostri. Anzi. È solo colpa mia. Sono stato io a comportarmi male con te, Laura non ha voce in capitolo. Ma resta il fatto che è una ragazza parecchio problematica.

Si era messo a sedere sul divano in maniera più comoda e guardava il piatto pieno meno della metà. Si era arrabbiato. Si era innervosito come dieci anni prima e come dieci anni prima avevano iniziato a litigare, ma stavolta era diverso. Non avrebbero fatto pace con baci e carezze. Non stavano insieme. Eppure la voglia di baciarla era tanta, troppa. Damien in quei dieci anni aveva avuto molteplici storie, anche lunghe. Con Francesca ci era rimasto per tre anni ma era finita, ancora una volta, per colpa sua. Non riusciva a stare con quella ragazza bionda e dagli occhi azzurri così bella ma anche così vuota (*). Poi era stata la volta di Giorgia, rossa e caliente, ma anche con lei non era stato il vero amore. Ed ancora ricordava Martina, Valentina, Anna e Maria e tante e tante altre di cui non ricordava più il nome. Tutte belle, intelligenti, di compagnia ma vuote. Nessuna riusciva a riempire il vuoto che aveva nel cuore. A nessuno aveva mai raccontato i propri sogni. A nessuno aveva confessato il dolore e l’umiliazione che provava tutte le volte che era costretto a recuperare suo padre, completamente ubriaco, in qualche bar. A nessuno… tranne a Sara. Solo Sara sapeva cosa provava e cosa sognava. Solo Sara era stata capace di accettare il suo essere egoista e pensare solo al suo dolore. Solo Sara si era accorta che c’era altro dietro la facciata del ragazzo italoamericano che parlava benissimo il catanese.

- Con te ho sbagliato. Ti ho trattata da schifo. Ti ho mentito. Ti ho mancato di rispetto. Ti ho fatto male e mi dispiace. Ma voglio che tu sappia una cosa: ti ho amata e come ho amato non ho amato nessun’altra in questi dieci anni.

Alla fine lo aveva detto. Si era liberato del peso che gravava nel suo cuore. Si era tolto quel senso di colpa che lo stava annichilendo dal giorno precedente. No, da quando l’aveva sentita tre giorni prima.

- Ormai il passato è passato e non torna. Abbiamo sbagliato entrambi. È inutile piangere sul latte versato. È finita. Punto. Stop. L’importante è riuscire a mantenere dei rapporti civili e sperare in una bella amicizia.

Le parole di Sara erano un conforto per Damien, ma allo stesso tempo erano un peso insopportabile. Lui le aveva fatto male. L’aveva tradita, nell’anima e lei adesso… adesso le diceva che era tutto passato. Si sentiva meglio. Più leggero, ma allo stesso tempo era un po’ dispiaciuto. Avrebbe desiderato che lei lo rimproverasse. Che gli dicesse che aveva sbagliato ed invece… invece gli proponeva un’amicizia. Allora la loro storia era davvero finita? Certo, erano già trascorsi dieci anni! Ma allora perché si sentiva deluso?

Non ti scordar mai di me
di ogni mia abitudine
in fondo siamo stati insieme,
e non è un piccolo particolare.

(*) Con questo non voglio dire che le bionde siano stupide, vuote oppure oche. No. Se ho descritto Francesca dicendo che è bionda con occhi azzurri, è per opporla a Sara, con capelli castano ramato e occhi castani! Ci tenevo a specificarlo. È solo per risaltare il particolare. Avrei preferito omettere questa nota, ma forse il messaggio nascosto non era ben comprensibile oppure era troppo nascosto e così, per evitare equivoci eccovi spiegato il perché di questa descrizione!

Bene gente! Ecco il capitolo. Per cercare di tenere fede alla data d’aggiornamento, purtroppo, non risponderò alle recensioni! Perdonatemi. Non volevo! Vi prometto che la prossima volta riceverete doppia risposta.

Come avrete capito in questo capitolo mi sono spostata su Damien. Ho provato a cambiare punto di vista, ditemi voi come vi sembra… non crediate che Damien sia ancora innamorato di Sara, non si tratta di questo, solo che… solo che, alcune volte, quando la persona con cui abbiamo condiviso tanto ci lascia, nel nostro cuore avrà sempre un posto speciale, è così per Damien ed anche per Sara. Il testo della canzone riportato in basso è “Non ti scordar mai di me” del 2008 di Giusi Ferreri.

Grazie per aver letto. Alla prossima!

Dimenticavo, il prossimo aggiornamento è in data 15 dicembre!

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII ***


Nuova pagina 1

CAPITOLO XIII

 

       - Tu sei la mia briciolina.

       - Non ti credo. Sei sempre pronto a prendermi in giro… a te non importa nulla di me.

       - Non è vero. Tu sei tutto il mio mondo… ho solo paura di non riuscire a renderti felice.

       - Amami e mi renderai la donna più felice dell’intera galassia.

       - Sara… tu non capisci… ricorda che ti amerò per sempre.

 

* * * * *

 

   Si era risvegliata di soprassalto madida di sudore. Era in pieno autunno e la cosa era parecchio strana. Guardò la radiosveglia. Le tre del mattino. Non si sarebbe riaddormentata facilmente. Si risistemò meglio sotto le coperte e guardò il soffitto nero della sua stanza.

   Non aveva acceso neanche la piccola abat-jour sul comodino accanto al suo letto altrimenti sarebbe stato impossibile riaddormentarsi.

   Pensava.

   Pensava a Damien ed al pomeriggio trascorso insieme. Era stato strano vedere il ragazzo piombare in casa e poi restarci tutto il pomeriggio. Avevano parlato e discusso per un po’. Avevano programmato gli ultimi dettagli per l’incontro che si sarebbe tenuto il lunedì successivo. Avevano riso e scherzato e per qualche minuto avevano ritrovato la stessa tranquillità che avevano quando erano dei ragazzi. Però era durato poco.

   Ad un certo punto Sara si era irrigidita. Aveva iniziato a stare male. Si sentiva soffocare. Probabilmente anche Damien aveva percepito il repentino cambio di umore della giovane ma non aveva detto, o fatto, nulla per farlo intuire. Era rimasto in silenzio fino a che… fino a che restare con lei non era diventato impossibile. Era andato via… in silenzio.

   Sara non sapeva spiegarsi del perché di quel cambio di umore. Non trovava alcuna spiegazione. Si sentiva stupida. Si sentiva in colpa…

 

* * * * *

 

   Era andato tutto bene. Quasi tutto. Ad un certo punto Sara si era innervosita ma lui non capiva il perché. Lui era certo di non aver fatto nulla di male. Stavano ridendo e scherzando. Stavano parlando degli ultimi dettagli relativi all’incontro che si sarebbe tenuto il lunedì successivo, ma poi Sara si era trasformata.

   Silenziosa. Nervosa. Scontrosa.

   Damien non aveva detto o fatto nulla per far comprendere all’altra che si era accorto che qualcosa non andava. Era rimasto calmo. Attendeva un segnale che gli facesse comprendere che era arrivato il momento di poter chiedere spiegazioni a Sara riguardo il suo strano comportamento. Ma questo momento non era arrivato.

   Erano le tre. Era maledettamente nervoso. Non gli piaceva quello che stava accadendo. Si sentiva… non lo sapeva neanche lui come si sentiva. Era preoccupato. Sì, dannatamente preoccupato. Sara lo stava facendo impazzire.

   Si rigirò un paio di volte nel letto… alla fine stanco decise di alzarsi.

   Girò un po’ per la casa. Le spalle larghe erano lasciate nude. Come pigiama indossava un paio di pantaloni di una tuta. Si grattava la nuca pensieroso. Non sapeva cosa fare. Poi si accorse del cellulare lasciato sul tavolo della cucina.

   Lo prese e lo fissò. Decise di accenderlo. Un minuto dopo gli arrivarono dei messaggi. Messaggi della segreteria telefonica, l’indomani mattina avrebbe richiamato a tutti.

   Stava per spegnere il cellulare ma poi si bloccò. Più deciso che mai tornò al menu di avvio. Si diresse alla funzione dei messaggi. Aprì la cartella con scritto “nuovo messaggio”. Fissò la pagina bianca. Era impazzito. Quale uomo sano di mente avrebbe mandato un messaggio alle tre del mattino? Anzi, alle tre e trenta del mattino. Erano già trascorsi trenta minuti da quando si era alzato.

   Ma che male c’era? In fondo stava solo mandando un sms ad un’amica.

       Alle tre e trenta de mattino?

   Odiava la voce della sua coscienza, lo faceva sentire un idiota. Comunque, che male c’era nell’inviare un messaggio a quell’ora del mattino?

      Nulla di male… a parte il fatto che stai dichiarando alla tua ex che la stai pensando nel cuore della notte.

   Non era vero. O meglio, era vero, ma era solo curioso di sapere perché Sara si era arrabbiata con lui. Era suo diritto saperlo, o no?

       Hai avuto tutta la sera per chiederle spiegazioni, perché lo stai facendo solo adesso?

   Cavolo! Da quando la sua coscienza era diventata così antipatica?

       Non sono antipatica. Semplicemente io uso la testa....

   Alle tre… anzi, alle tre e trenta del mattino?

       Veramente adesso sono le tre e trentacinque…

   Oltre che antipatica era anche petulante. E poi a chi apparteneva quella voce femminile? Non era certo la sua… forse a sua madre?

       Punti di vista. Io mi definisco precisa e comunque, non sono tua madre.

   Basta. Non ne poteva più. Scosse il capo diverse volte. Era come se stesse cercando di sradicare dalla sua testa quella vocina fastidiosa. Alla fine decise di scrivere il messaggio. Al diavolo la sua coscienza!

       Idiota! Te ne pentirai.

   La ignorò bellamente ed iniziò a scrivere.

   La prima volta.

   La seconda volta.

   La terza volta.

   Ogni volta che iniziava un messaggio, subito dopo lo cancellava.

   O era troppo banale.

   Oppure troppo stupido.

   Ancora troppo sdolcinato.

   Era stanco. Distrutto. Guardò l’orologio. Le tre e cinquanta. Da quasi un’ora girava per casa ed ancora non aveva concluso nulla. Al diavolo, questo sarebbe stato l’ultimo, in qualsiasi forma lo avrebbe inviato. Non gli importava di nulla.

 

È strano.

Sono quasi le quattro

Del mattino ed io sono qui

A mandarti questo sms.

Credo di non aver fatto

Nulla di simile neanche quando

Stavamo insieme e farlo adesso,

dopo 10 anni,

 mi risulta ancora più difficile.

Arriviamo subito al sodo.

So che non ti piacciono i giri di parole.

Cosa è accaduto oggi pomeriggio

Di così grave da aver alterato

Il tuo buon umore?

È dipeso da me?

Sara, parliamoci francamente.

Se ti dà fastidio la mia presenza

Puoi dirlo liberamente.

Non mi faccio sentire più,

ci vedremo solo lunedì prossimo

e poi sparirò nuovamente dalla tua vita.

Ti prego semplicemente di essere sincera.

Damien.

 

   Forse era stato leggermente catastrofico ma nel complesso il messaggio era chiaro.

       Solo leggermente catastrofico?! Sembri un bambino sul punto di piangere.

   Era arrivato il momento di una vacanza. La voce della sua coscienza era davvero irritante.

   Rilesse un’ultima volta il messaggio e poi, soddisfatto, lo inviò alla ragazza. Adesso toccava a lei fare la seconda mossa. Lui aveva fatto il primo passo…

   Si diresse verso il bagno. Sciacquò il viso e si guardò allo specchio. Era decisamente un bel ragazzo. Qualsiasi ragazza avrebbe fatto carte false per passare del tempo con lui… qualsiasi eccetto una.

   Era già sotto le coperte quando il bip del cellulare lo fece scattare a sedere.

   La suoneria dei messaggi. Chi poteva essere a quell’ora del mattino? Qualche ragazza? Oppure la ragazza. Sara? Impossibile, cosa ci faceva sveglia alle quattro del mattino? Magari era a lavoro? No. Ricordava benissimo che l’indomani sarebbe stata di riposo. Ok. Restando a letto non sarebbe mai riuscito a capire chi era il mittente del messaggio. Tanto valeva alzarsi.

   Arrivò in cucina velocissimo, da quando aveva le ali ai piedi? Guardò il display del cellulare e pigiò sul pulsante per poter aprire il messaggio… non ci credeva. Era davvero Sara.

 

Effettivamente ricevere

Un sms da te, a quest’ora della notte,

È un fatto insolito.

Credo che tu abbia ragione:

neanche quando stavamo

insieme, 10 anni fa, è mai successo.

Ma passo alla tua domanda.

No, non hai colpe.

Non è dipeso da te il mio

BRUSCO cambio di umore.

Anzi, mi scuso. Non era mia intenzione.

Spero solo che tu voglia continuare

A sentirmi e,

 quando è possibile,

a vedermi.

Sara.

 

   Lesse il messaggio più volte per trovare qualche significato nascosto, ma non trovò nulla. Era un semplice messaggio di risposta al suo. Gentile. Educata… distaccata. Decisamente Sara aveva un problema con lui. Non c’era traccia di calore in quel messaggio.

   Ok… doveva battere il ferro finché era caldo. Aprì nuovamente la cartella con su scritto “nuovo messaggio” e rapido compose un nuovo sms.

 

Bhè strano!

Dalla tua risposta non si direbbe.

Un iceberg mi riscalderebbe di più di questo sms.

Sara non sei mai stata brava

Nel dire le bugie.

 

   Adesso l’aveva istigata. La risposta, se conosceva Sara abbastanza bene, non sarebbe tardata ad arrivare. Ed infatti…

 

Tu non sei normale.

 

   Ok. Sara si era infuriata. Adesso sarebbe stato difficile farla parlare. Doveva inventarsi qualcosa, e presto. Ma mentre era immerso nei suoi pensieri un nuovo messaggio lo riportò nel mondo dei comuni mortali.

 

Il tuo problema è che la popolarità

Ti ha dato alla testa.

Adesso pretendi che tutte le ragazze

Si sciolgano come neve al sole

Solo sentendo pronunciare il tuo nome

(tanto per restare in tema con il tuo iceberg).

Mi dispiace ma io non sono così.

 

   Bene. La situazione era precipitata.

 

* * * * *

 

   Il suo mea culpa fu interrotto dalle vibrazioni generate dal suo cellulare. Lo aveva dimenticato acceso. Chi poteva mandarle un messaggio nel cuore della notte? Guardò l’ora. Quasi le quattro. Era sveglia da già un’ora? Meno male che l’indomani poteva restare a poltrire a letto. Aprì il messaggio e si stupì di scoprire che il mittente misterioso fosse proprio Damien. Che ci faceva sveglio a quell’ora della notte?

   Lesse il messaggio  e restò sorpresa. Forse leggermente in colpa… molto più in colpa di prima.

   Doveva rispondere velocemente. Non voleva che quella situazione restasse irrisolta per molto. Damien non aveva colpe e poi si era mostrato molto gentile con lei, senza contare la cena e tutto il resto. Doveva necessariamente rimediare.

   In breve tempo scrisse il messaggio e lo inviò con la coscienza più leggera.

   Lasciò il cellulare acceso nell’eventualità di una nuova risposta, ma ne dubitava. Magari Damien le aveva inviato quel messaggio a quell’ora perché era appena tornato da un’uscita con amici. Ma… neanche il tempo di finire di formulare il pensiero ed ecco la risposta. Cosa avrebbe scritto stavolta?

       - Ma è pazzo.

   Inviò il suo messaggio, ma subito dopo se ne pentì. Doveva mettere i puntini sulle “i”. Cavolo, lui non poteva trattarla come una bambinetta ecco perché iniziò a scrivere da subito un secondo messaggio.

  Non era soddisfatta neanche di quello ed ecco perché si stava preparando a scriverne un terzo quando il cellulare iniziò a vibrare ripetutamente. Quello non era un sms. No. Quella era una telefonata.

   Cosa voleva a quell’ora della notte? Doveva rispondere? No. Non doveva rispondere. Lasciò finire di vibrare il cellulare e poi lo riappoggiò sul comodino. Dieci secondi dopo riprendeva a vibrare. Ancora una nuova chiamata. Non poteva comportarsi da bambina. Doveva rispondere.

       - Se non te ne fossi accorto, non ho voglia di parlare con te.

   Mettere da subito le cose in chiaro.

       - Strano. Pensavo il contrario.

   Damien era deciso a morire.

       - Cosa vuoi? Non hai detto che sono un iceberg? Attento, potrei ghiacciarti anche per telefono.

   Il sarcasmo era l’unica arma contro Damien.

       - Volevo scusarmi. Non volevo farti arrabbiare. Il mio era un sms spiritoso, ma si vede che tu lo hai interpretato in modo diverso.

       - Hai uno strano concetto dello spirito.

   Quel ragazzo era molto pericoloso. Doveva tenerlo a distanza. Doveva necessariamente tenerlo lontano.

-         Ma dimmi, cosa ci fai sveglia alle quattro del mattino?

 

* * * * *

 

   Doveva cercare di addolcirla altrimenti l’avrebbe ucciso per telefono, altro che ghiacciato.

       - Ma dimmi, cosa ci fai sveglia alle quattro del mattino?

       - Veramente adesso sono le quattro e mezza.

   Questa voce!

       Finalmente ci sei arrivato…

   Stava impazzendo, non c’era altra spiegazione. La sua coscienza non poteva avere la voce della sua ex. O forse sì?

 


Nelle cose che non dici

Quelle che la notte

Un po’ te ne vergogni

  Nascoste ma le fai

E ne parli con gli amici

Rimangi tutto a volte

Porti le cicatrici

Ma nessuno le vedrà

 

Bene gente, un piccolo regalo fuori programma! Che ne pensate? Siete contenti? Lo so, nel mio account c’è scritto che la fic è sospesa per problemi legati al mio pc ed è tutto vero, solo che… stasera non esco e dato che non mi andava di studiare ho deciso di aprire una pagina bianca nel pc di mio fratello e questo è il risultato… non si capisce molto, non è vero? Se non si fosse capito ho usato due punti di vista, il primo è quello di Sara, il secondo è Damien. Adesso sta a voi dirmi se l’esperimento è riuscito!

   Siate clementi, è da tanto che non scrivo qualcosa quindi se è brutto vi posso capire. Il testo della canzone riportato in basso è di Tiziano Ferro, “Le cose che non dici” dell’album Rosso Relativo dell’anno 2001. Quanti brutti ricordi legati a quell’anno. Stop!

   Ragazze mi spiace ma non ho il tempo per ringraziarvi come si deve, spero che possiate capirmi! Comunque mia cara Tanya è da molto che non ci becchiamo sul pc e sappi che ne sono molto addolorata. Mi mancano le nostre chiacchierate, spero che tu abbia superato il tuo momento no, ti prometto che dalla prossima settimana, pc e fratello permettendo, cercherò di essere più presente possibile! Per quel che riguarda te Sara, spero che questo Damien così dispettoso continui a piacerti. Un bacio ad entrambe, a presto… spero… pregate per me e che il mio pc non sia definitivamente ko!

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV ***


Nuova pagina 1

Capitolo XIV

 

   Sara quel pomeriggio decise di dedicarsi totalmente alla sua persona. Prima la palestra, dove sopportare Marco era stato davvero stressante, poi in giro per i negozi del centro. Il freddo di novembre diventava sempre meno sopportabile. Per lei, abituata al sole della sua Sicilia, non era facile resistere a quel clima così rigido.

   Mentre passeggiava tra le vie del corso le sembrò di intravedere la sagoma di Andrea. Lo chiamò per accertarsi di non essersi sbagliata ma il ragazzo non si girò. Quando ormai era certa di essersi sbagliata, il ragazzo, svoltando per una traversa sulla sinistra, mostrò parte del suo volto anche se non tutto quadrava. Era come se, il presunto amico, barcollasse sulle proprie gambe.

   Iniziando ad arrancare lo raggiunse nella traversa e lo chiamò a gran voce e stavolta il giovane si girò. Appena la ragazza vide il volto di Andrea restò impietrita nella sua posizione: gli occhi verdi del giovane erano gonfi e pesti. Il labbro spaccato sanguinava ancora. Andrea era una maschera di sangue, Sara si chiedeva come avesse fatto a riconoscerlo da lontano se adesso, che si trovavano a pochi metri di distanza, faticava a credere che sotto tutto quel sangue si potesse trovare il suo amico.

       - Ma… cosa diamine ti è successo?

   Andrea provò ad abbozzare un sorriso ma il risultato fu solo una smorfia. Si portò subito la mano alla guancia destra dove un gonfiore era ben visibile. Sara senza perdere tempo, e riacquistando tutto il suo sangue freddo, si portò vicino all’amico e, con delicatezza, sollevò il mento di quest’ultimo per osservare il taglio profondo che spaccava il labbro inferiore.

       - Dobbiamo andare subito in ospedale e fare delle lastre. Sono certa che hai qualche costa fratturata… e poi devo capire cosa ti ritrovi in quella scatola vuota che hai al posto della testa. Come hai fatto a ridurti così?

   Tutto ciò che Sara ottenne dall’amico fu un abbraccio disperato. Lo slancio di Andrea fu talmente inaspettato che Sara perse l’equilibrio e si ritrovò in terra con Andrea stretto al collo che non parlava.

       - Andrea così mi preoccupi. Cosa è successo? Parla dannazione… parla.

   La ragazza, l’unica cosa che sentì, fu un singhiozzo, seguito poi da tanti altri, infine, le lacrime che bagnavano le sue guance! Era basita. Conosceva Andrea da quasi dieci anni ma quella era la prima volta che lo vedeva piangere. Senza parlare, e comprendendo il bisogno di sfogarsi dell’amico, fece l’unica cosa che in quel momento le sembrava la più sensata: lo abbracciava rispettando il dolore di Andrea.

   Dopo alcuni minuti Andrea si era già calmato ma restava sempre stretto nell’abbraccio con l’amica. Non aveva il coraggio di incontrare lo sguardo costernato di Sara, non sapeva come giustificare il suo crollo emotivo e così, senza interrompere quel contatto, con gli occhi chiusi ed il naso premuto contro il collo dell’amica, parlò con voce bassa e rauca a causa del prolungato silenzio e del pianto di poco prima.

       - Si sposa… Loredana… si sposa. Me lo ha detto un amico in comune.

   Sara non parlò ma aumentò la stretta. Chiuse gli occhi cercando di trovare le parole giuste per consolare il dolore di Andrea. Il silenzio, per la seconda volta, fu interrotto dalla voce del ragazzo adesso più ferma e meno tremante.

       - Se al posto mio ci fossi stata tu… cosa avresti fatto?

   Sara si irrigidì appena sentì quella domanda. Chiuse gli occhi scacciando dalla sua mente il ricordo di una zazzera riccia. Non disse nulla e restò in silenzio, ed ancora Andrea parlò.

       - Scusa, non dovevo.

       - Non preoccuparti.

   Andrea si scostò dall’amica e si alzò, poi porse la mano la mano alla ragazza perché facesse lo stesso. Sara, ancora scossa, per l’ultima domanda rivoltale, accettò un po’ titubante la mano di Andrea. Cercando di tornare padrona di se stessa sorrise all’amico e poi mettendo da parte il suo dolore si rivolse al ragazzo.

       - Casa mia o casa tua?

   Il ragazzo le sorrise, sempre per ciò che i tagli al volto gli permettevano, e rispose alla domanda.

       - Sporcacciona adesso mi fai pure le proposte indecenti?

   Sara guardò sconvolta l’amico per poi scoppiare in una fragorosa risata insieme a lui. Insieme, con Sara che sorreggeva il giovane, si diressero verso casa della ragazza.

 

*****

 

       - Se venissi adesso a casa tua… mi faresti entrare?

       - Ma sei impazzito? Sei sicuro di quello che dici?

   Era sconvolta, non trovava altra spiegazione per definirsi in quel momento. Era impossibile, inconcepibile. Non era reale. Stava dormendo, non trovava altra soluzione a ciò che le stava capitando.

       - Sono serio. Serissimo. Sto arrivando.

   E mise giù.

 

   Il tempo passò in fretta per lei. Troppo lentamente per lui che adesso correva per la strada cercando di arrivare il prima possibile da lei. Appena arrivato si precipitò giù dalla macchina. La chiuse con l’antifurto a distanza e si diresse al suo citofono. Non riuscì neanche a pigiare il tasto che il portone si aprì, come se lei fosse lì ad aspettarlo.

   Salì i gradini a due a due. Aveva urgentemente bisogno di lei ed alla fine la trovò sul ciglio della porta che lo aspettava con i pantaloni della tuta neri e una maglione a collo alto anch’esso nero. Gli occhi rossi, i capelli spettinati come sempre. Un sorriso triste sulle labbra. Appena lo vide non riuscì a frenare una lacrima e lui arrancò ancora di più per terminare gli ultimi scalini che la separavano da lei.

   Con lo slancio della corsa compiuta per raggiungerla, con la stessa foga, l’abbracciò e la strinse a sé per cercare di annientare il suo dolore. Le catturò le labbra in un bacio rabbioso e disperato. Un bacio che lentamente, grazie a lei, si stava trasformando in un balsamo per la sua ferita. Le labbra si cercavano con meno rabbia, con più desiderio, con più amore. Non voleva perderla. Aveva bisogno di lei. Ne aveva maledettamente bisogno e lei lo sapeva per questo non si era opposta alla sua richiesta. Lui aveva bisogno di lei. Lei aveva bisogno di lui.

       - Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.

   Quelle due parole erano ripetute come una lenta litania e lei le ascoltava con gli occhi pieni di lacrime. Non poteva conoscere il suo dolore, ma poteva intuirlo… poteva solo immaginarlo. Aveva rischiato di perdere il padre una mattina di fine estate e si era sentita morire. Adesso poteva solo ipotizzare il dolore del suo amore. Poteva solo intuire il profondo senso di sconforto del suo ragazzo. No, non poteva abbandonarlo.

       - Lo so. Lo so. Sono qui con te. Rilassati ci sono io qui. Non preoccuparti.

       - Non lasciarmi. Non lasciarmi mai oppure ne morirei. Giuramelo.

   Lei lo guardò e asciugò le lacrime del suo uomo come se avesse davanti un bambino. Sfiorò le sue labbra con un dolce bacio e rispose alla sua preghiera.

       - No, non ti lascerò, stai tranquillo. Resterò qui.

       - Non farai come lei, giuralo.

   Lo strinse nuovamente a sé. Lo sentì piangere nuovamente e lei pianse con lui. Dio se lo amava. In quel momento avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitargli tutto quel dolore.

       - Ti prego… ti prego… calmati. Ti prego.

       - Io… ho bisogno di te. Non abbandonarmi.

   Lo strinse con maggiore forza mentre entrambi si buttarono sul divano. Lei iniziò a baciargli i capelli mentre lui continuava a pregarla. Con la voce rotta dal pianto alla fine riuscì a rispondere.

       - Lei non ti abbandonato. Ascoltami. Non ti ha abbandonato. Tua madre non ti ha abbandonato. Non fare così ti prego. Non piangere più. Ti prego.

   E lo strinse a sé con tutta la sua forza e tra i suoi capelli gli giurava un amore eterno che sarebbe finito presto, molto presto.

 

*****

 

       - … ho capito.

   Fu riportata al presente da una pacca dell’amico sul braccio. Lo guardò e si chiese da quanto era ferma a ripulire la stessa ferita.

       - Scusa, ero soprappensiero. Dicevi?

   Andrea sorrise e scosse il capo. Lui stava male, più per il suo orgoglio che per altro e, forse, poteva capire Sara. Anche lei stava male a causa del suo orgoglio. Lo stesso orgoglio che le impediva di confidarsi con lui o con altri.

       - Dicevo che oggi sono stato uno stronzo a farti quella domanda. Mi dispiace.

       - Non preoccuparti. Non è successo nulla. Mi sembra di essere sopravvissuta.

Era tornata in bagno per prendere altri cerotti e garze. Nel frattempo si lavò ancora una volta le mani e poi si guardò allo specchio e osservò il suo volto. Ormai non era più una ragazzina, aveva più di trent’anni, ma nel suo profondo si sentiva ancora un’adolescente alle prese con le pene d’amore.

   Si guardò un’ultima volta poi tornò in cucina dove Andrea l’aspettava per essere medicato.

       - Comunque, non so come mi sarei comportata al tuo posto… io sono stata mollata.

   Quelle ultime parole furono sussurrate ma Andrea le poté cogliere nitidamente. Fermò le mani dell’amica e la costrinse a guardarlo in faccia. Quella, a distanza di sette anni, era la prima volta che Sara faceva esplicitamente riferimento alla sua storia con il Verme.

       - Tu non sei stata mollata. Lo hai mollato tu. Ci siamo capiti? E comunque non parliamone più. Siamo d’accordo.

   Sara non rispose, continuò a medicare le ferite di Andrea come se nulla fosse ma dentro di lei sapeva che l’amico aveva torto. Lei era stata mollata. Era stata lasciata come una pezza per le scarpe dopo che aveva giurato il suo amore all’unico ragazzo che l’aveva fatta sentire viva, l’unica persona per la quale sarebbe stata capace anche di morire.

 

Come dicon tutti il tempo è
l'unica cura possibile
solo l'orgoglio ci mette un po'
un po' di più per ritirarsi su

 

 

Ieri ho pubblicato il capitolo e solo oggi aggiungo i ringraziamenti. Spero che nessuno si sia offeso per non essere stato ringraziato come si deve… ecco qui le magnifiche quattro che hanno avuto pietà di me ed hanno perso due minuti del loro tempo per esprimere il loro parere su questa storia!

 

RINGRAZIAMENTI:

 

- _LAURA_ : ciao Laura, mi spiace solo che tu abbia commentato prima che io potessi ringraziarti come ti meriti. La tua costante presenza e la tua gentilezza sono incentivi importanti per me e soprattutto per la mia ispirazione che si trova a fare i conti con un genere nuovo dato che qui, i personaggi, sono tutti farina del mio sacco. Ti ringrazio per esserci sempre… e poi detto tra noi, Tiziano Ferro è uno dei miei cantanti preferiti e non mi vergogno a dirlo!

 

- TARTIS: ciao Sara! Il pc mi ha abbandonato da tempo ed adesso mi ritrovo a lavorare su quello di mio fratello, fino a che non servirà a lui naturalmente. Speriamo il più tardi possibile! Se nel capitolo passato sono stata cattivella, adesso come mi definirai? Non ti ho detto nulla riferito alla telefonata passata… chissà cosa si sono detti i due, mistero… sei partita per Damien? E Andrea? Non ti piace più il mio caro e dolcissimo Andrea sempre con la battuta pronta anche in casi come questo? Per quel che riguarda i doppi punti di vista vedremo come si evolveranno nel corso della storia. Per adesso è stato solo un esperimento che vedo è stato apprezzato! Alla prossima e mi raccomando… dimmi cosa ne pensi!

 

- BEAB: immagino che il tuo nome sia Beatrice, se ci hai fatto caso tendo sempre ad avere un rapporto diretto con chi mi recensisce chiamandolo per nome, mi fa sentire più vicina a voi e, se per caso ho sbagliato il tuo nome ti chiedo scusa. Sono felice che la mia storia ti sia piaciuta e sono felice che tu, da adesso, anzi da quando hai scoperto la storia, inizierai a seguirmi. Grazie davvero. Un bacio alla prossima!

 

- HATORI: Tania ciao! Come vedi ho aggiornato nonostante i miei impegni e, francamente, ho scritto tutto in meno di mezz’ora anche perché il capitolo non è particolarmente lungo e complicato. Avevo già le idee in testa più che chiare… torna la mia vena drammatica e malinconica ma giuro che sto provando a limitarla, ogni tanto voglio scrivere qualcosa di allegro! Tu parli di un vecchio e mai spento sentimento, vedremo se è davvero così. Ricordi cosa ti ho detto su questa fic? Pensaci e vedremo poi se hai capito! Adesso ti saluto dolcissima Tania… anche se con ritardo, BUON COMPLEANNO!

 

Grazie anche alle 51 persone che hanno letto la storia. Grazie di cuore. Adesso devo davvero scappare! Dimenticavo, la canzone è “Nessun rimpianto” degli 883 dell’anno 1996, facente parte dell’album La dura legge del gol!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo XV ***


Nuova pagina 1

Capitolo XV

 

   Lunedì mattina e Sara si trovava in compagnia di Anna nel reparto di pediatria oncologica. Il medico più anziano era molto teso per l’incontro che ci sarebbe stato da lì a poco.

       - Sara e se non dovessero venire?

   Per l’ennesima volta la siciliana alzò gli occhi al cielo e non rispose alla domanda della collega. Era da almeno venti minuti che Anna andava avanti con quella litania e Sara era al limite della sopportazione.

       - Sara non fare quella faccia. Sai che delusione per i bambini se non dovesse venire nessuno.

       - Anna a costo di dover portare di peso Damien, ma sta tranquilla. Andrà tutto bene. Ancora ci vogliono dieci minuti. Rilassati.

   Non che Sara fosse tranquillissima. Conosceva Damien e sapeva il terrore che suscitava in lui un ospedale ma non voleva credere che l’avrebbe abbandonata. Non si trattava di lei ma di bambini malati. Senza neanche accorgersene prese il cellulare e guardò il display, le 9:47. Alle 10 era previsto l’arrivo della delegazione della squadra. Si portò una mano tra i capelli, Anna la stava innervosendo.

   L’arrivo di un’infermiera fece in modo che Anna lasciasse sola Sara che adesso fissava nervosa la porta chiusa del reparto. Prese nuovamente il cellulare in mano. Il display segnava le 9:53. Mancavano sette minuti. E se Damien le avesse dato buca? Lo avrebbe ucciso, anzi… prima sarebbe andata a prenderlo, lo avrebbe fatto giocare con i bambini e poi, solo dopo che aveva adempiuto al suo dovere, lo avrebbe ucciso.

   Il cigolio della porta fece scattare la testa di Sara come una molla. La porta si aprì piano ed altrettanto piano si richiuse. Damien, accompagnato da altre quattro persone, fece il suo ingresso in reparto.

   Il viso di Sara si illuminò. Era fatta!

   I cinque atleti entrarono e si guardarono attorno. Il reparto era totalmente diverso da quello che si aspettavano.

   Le pareti erano colorate, tinte calde e soprattutto allegre che trasmettevano vita. Il rosso, l’arancio, il giallo. Ed ancora verde, blu ed azzurro. Era come entrare in un piccolo arcobaleno di colori.

   Le stampe e le sagome di personaggi Disney sbucavano da ogni dove. Pippo e Paperino. Topolino con la dolce Minnie. Zio Paperone e Qui, Quo e Qua. C’erano tutti, in un angolo stava pure Gastone il cugino fortunato di Paperino.

   Entrando i cinque, per un attimo, si sentirono nuovamente bambini. Oltre ai vecchi personaggi Disney stavano i nuovi eroi, quelli moderni. Goku, Vegeta, Naruto… i Gormiti e le Winx. Erano tutti li, quel posto sembrava tutto fuorché un reparto di oncologia pediatrica.

   Sara sorrise all’amico e gli andò incontro. Damien fece altrettanto anche se si guardava sospettoso. Aveva immaginato quella mattinata come qualcosa di difficile da sopportare ed invece, almeno per il momento, sembrava una piacevole gita.

       - Ben arrivati!

   Sara salutò sorridente Damien che fece lo stesso grattandosi, imbarazzato, la testa. Poteva abbracciarla?

       - Io sono la dottoressa Graci, l’amica di Damien, lieta di conoscervi!

       - Damien, se ci avessi detto che la tua amica era così carina saremmo venuti anche prima.

   A parlare era stato il giocatore alla destra del ragazzo. Aveva parlato a bassa voce ma Sara aveva sentito ugualmente la battuta e scoccò un’occhiata di fuoco in direzione di Damien che non fece altro che scrollare le spalle: non era colpa sua se quella mattina il suo compagno aveva voglia di scherzare con il fuoco.

       - Il suo compagno di squadra non la pensa alla stessa maniera. Mi ha definita iceberg.

   E questa era una frecciatina rivolta all’americano, che accusò il colpo senza replicare. Sara non aveva digerito il messaggio ed adesso gliela avrebbe fatta pagare.

       - Come si fa a definire una simile bellezza iceberg?

   Damien alzò gli occhi al cielo. Ci mancava solo che quel beota del suo compagno di squadra gli desse corda. Doveva intervenire.

       - Non per essere di troppo nella vostra conversazione, ma credimi, una come lei è meglio perderla che trovarla. Te lo dice uno che la conosce abbastanza bene.

   Sara lo ignorò bellamente e si rivolse al resto della truppa che ascoltava in silenzio quelle schermaglie tra i due.

       - Vi sono molto grata per essere qui stamattina, non sapete con quanta ansia i bambini attendevano il vostro arrivo.

   La ragazza strinse la mano a ciascuno dei componenti del gruppo.

       - Se volete seguirmi vi porto a fare visita ai piccoli.

  

   L’incontro era andato bene. Fortunatamente i giocatori erano riusciti ad instaurare da subito un contatto diretto con i piccoli che non erano riusciti a restare fermi neanche per un minuto.

   Sara ed Anna erano soddisfatte del loro lavoro. Avevano regalato a quei piccoli sfortunati una mattina piena di speranza e serenità. Sara aveva osservato quei piccoli così felici e si era chiesta se era stato giusto rinunciare al suo sogno. La chirurgia non le era mai piaciuta. Lei non voleva fare la “macellaia” come più e più volte aveva ripetuto al suo ex. Ma adesso… adesso era proprio un chirurgo, o comunque, ci mancava poco per esserlo.

   I giocatori erano andati via e Sara era tornata nel suo reparto. Il suo turno sarebbe cominciato da li a pochi minuti ed aveva giusto il tempo di cambiarsi e rilassarsi dieci minuti. 

   Il bussare alla porta la prese in contropiede. Si strofinò gli occhi con le mani cercando di togliersi quell’espressione contrita dal volto e, dopo essersi seduta in una posizione più comoda, diede il permesso per entrare.

   Si sarebbe aspettata chiunque ma non Damien.

       - E così questa è la tua stanza… il tuo mondo. 

   Sara annuì senza prestare davvero attenzione alle parole dell’amico. Era sicura che Damien avesse lasciato l’ospedale ed invece… eccolo lì, davanti a lei.

       - Allora, sei soddisfatta? È andata bene, o no?

   Il giovane si era seduto sulla sedia posta davanti la scrivania dove era sistemata Sara. Osservava la sua ex ragazza con espressione serena. Non sembrava soffrisse particolarmente l’ambiente ospedaliero, era a suo agio, tranquillo.

       - Sì, ammetto che avevo paura di un tuo ripensamento ma mi hai sorpresa… specie quando hai dimenticato di essere in ospedale e ti ho dovuto rimproverare davanti a tutti quei bambini ed hai messo il broncio. Lì, ti giuro, ho faticato a trattenermi dallo scoppiarti a ridere in faccia.

   Damien allungò le gambe e mise le mani sulle ginocchia, alzò i suoi occhi castani e li fissò in quelli quasi gemelli della mora. Sorrise furbescamente e subito le rispose.

       - Sarò magnanimo e non ti risponderò ma… io ho fatto qualcosa per te, adesso devi essere tu a fare qualcosa per me.

   Conosceva quell’espressione maliziosa ed allo stesso tempo divertita, non preannunciava mai nulla di buono e Sara questo lo sapeva. Si sentiva a disagio nella sua sedia e cercò una posizione più comoda. Nervosamente portò una ciocca dietro l’orecchio e guardò il ragazzo senza capire cosa volesse.

       - Scusa ma non si trattava di beneficenza?

       - Certamente. Ma adesso tocca a te dare una mano a me!

 

Stop ! Dimentica
Uno sguardo che rompe il silenzio
Uno sguardo ha detto ciò che penso
Uno…uno guardo
Uno sguardo può durare un giorno
La partenza senza mai ritorno
Uno…uno sguardo
E tutto ciò che so te lo dirò

 

   Bene gente dopo un’eternità aggiorno ed il capitolo fa davvero schifo, ma sapete è stato necessario scriverlo, non tanto per la storia, ma per me. Per riprendere confidenza con questo racconto. Ho davvero poco tempo a disposizione e mi spiace non potervi ringraziare singolarmente. Spero che possiate perdonarmi per aver pubblicato questo capitolo davvero penoso.

   La canzone che chiude il capitolo è di Tiziano Ferro, autore che personalmente adoro. Fa parte della raccolta Nessuno è solo del 2006!

   Alla prossima, grazie a:

 

- _ LAURA_;

- TARTIS;

- HATORI;

- NAFASA;

 

per aver commentato. Grazie a:

 

- KA_CHAN;

- CICHA;

- FELPATOSB;

- GOCCIOLINA;

- MORBIDINA;

- NAFASA;

- NINASAKURA;

- PRINCESSARX;

- TARTIS;

- XXXANOMALABAMBINAXXX;

- _ LAURA _

 

per aver inserito la storia tra i preferiti. E grazie a

 

_ NOVEMBERTHEER _

 

per aver inserito il racconto tra le fanfiction seguite.

   Vi prometterò che cercherò di non deludervi più!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI ***


Nuova pagina 1

 

Capitolo XVI

   

   Nello studio della dottoressa Graci si sentivano due voci distinte battibeccare abbastanza animatamente.

       - Non se ne parla.

       - Perché no?

       - Non mi piacciono queste feste.

       - Ci sei mai stata?

       - Forse.

       - Sara non fare la difficile. Ti sto chiedendo di accompagnarmi ad una festa dove ci saranno molte persone influenti. È un’occasione anche per te.

       - Damien ti ringrazio ma la mia risposta è no.

       - Testarda. Ecco cosa sei. Fallo come favore personale.

       - No. Jamais. Alcuna vez. At no times. Niemals. In quali altre lingue lo vuoi detto?

       - You’re

       - Non usare l’inglese con me, non attacca. Sono stata tre mesi in Inghilterra ed adesso lo parlo meglio di te.

       - È americano.

       - Non cambia poi molto.

       - Ti sbagli, cambia e tanto.

       - Dettagli.

       - Sara sei insopportabile. Vuoi avere sempre l’ultima parola.

       - Non è vero.

       - Ti passo a prendere mercoledì sera alle nove in punto.

       - Ho detto che non verrò.

       - Certo. Ci vediamo mercoledì.

       - Damien Mc Glass non contarci.

       - Buona giornata anche a te Sara!

   E così dicendo si era chiuso la porta alle spalle. Come aveva fatto ad incastrarla? Quando aveva detto “Ok, passami a prendere?” lei non aveva mai detto nulla del genere, eppure… eppure Damien alla fine l’aveva fregata. Era proprio fregate, e dire che lei aveva rinunciato per sempre a quel genere di serata.

   Gente snob con la puzza sotto il naso che aveva la tendenza a mettere in mostra i propri successi. Che si vantava di traguardi raggiunti con poca fatica. Figli di papà che erano lì, pronti a giudicarti solo perché tu venivi da un altro mondo. Già s’immaginava la serata… in un angolo, con un bicchiere in mano ad aspettare l’ora giusta per scappare. Damien l’avrebbe pagata, sì, avrebbe pagato a caro prezzo lo scherzo di cattivo gusto.

   Alla fine si alzò. Prese il camice e lo indossò. Il suo turno stava per cominciare, era meglio mettere da parte quei cattivi pensieri.

 

*§*§*§*§*§*§*§*§*§

 

   Mercoledì sera.

   Eccola li, con il suo abito nuovo: un tubino nero che le arrivava sopra il ginocchio e che, a stento, le permetteva di respirare per come le comprimeva il giro-vita ed il seno; un coprispalle dello stesso tessuto e colore del tubino e, per finire, le decolté nere con un tacco che sfiorava i dieci centimetri. Un filo di perle al collo ed un trucco leggero. I capelli ricadevano ricci, e liberi, sulle spalle. Si guardò allo specchio. Sobria ed elegante. Nulla di eccessivo. Se Damien l’aveva costretta a quella festa pazienza, lo avrebbe accompagnato, ma lui doveva starle attaccato. Non voleva rimanere da sola.

   Il trillo del citofono l’avvertì che il suo cavaliere era arrivato.

       - Chi è? Va bene, scendo…

   Rimise a posto la cornetta e poi urlò all’amica che stava andando via. Dalla porta della cucina sbucò fuori la testa di Clara.

       - Come sarebbe a dire che vai. Ferma lì.

   Sara corrugò le sopracciglia. Ed adesso cosa era successo?

       - Clara… Damien è sotto che mi aspetta! Cosa c’è?

       - Appunto. Non puoi scendere subito. Potrebbe pensare che eri affacciata alla finestra ad aspettarlo.

       - Tu sei matta. Ma che ti salta in testa? Ti sei bevuta il cervello?

       - Sara ascoltami. Ho più esperienza di te in queste cose.

   Sara mise il cappotto nero, poi prese la borsa rossa di Valentino, unico accessorio di tinta diversa scelta, di proposito, per spezzare ed esaltare il suo vestiario. Salutò Clara ma questa la bloccò afferrandola per il polso.

       - Sei impazzita?

       - Lasciami andare.

       - Almeno scendi dalle scale. Impiegherai più tempo.

       - Tu sei matta.

       - Ascoltami una volta ogni tanto!

       - Ok, prenderò le scale. Adesso posso andare?

   Clara era impazzita. Non aveva altre spiegazioni. Aveva passato il pomeriggio a farle raccomandazioni su come comportarsi, su come vestirsi, anche su cosa dire, come se si trattasse di una ragazzina al suo primo appuntamento. L’aveva in pratica costretta a depilarsi. Le aveva sistemato le unghie, non solo quelle delle mani, poi era passata allo smalto. Aveva insistito per truccarla. Almeno sul vestito si erano trovate d’accordo, per quel che riguardava gli accessori… Clara le aveva prestato la sua collana di perle.

   Riuscì a scappare da casa ed iniziò a scendere le scale maledicendo Clara, perché non le aveva fatto prendere l’ascensore? Odiava scendere le scale quando aveva i tacchi così alti.

       - Sara aspetta!

   Ancora? Ed adesso cosa voleva?

       - Clara ti sto uccidendo. Cosa c’è adesso!

       - Le precauzioni!

   Questo era troppo. Clara non era normale. Se non fosse stato così tardi sarebbe risalita e l’avrebbe uccisa. Si voltò con un sorriso diabolico verso la coinquilina, poi con voce bassa le parlò.

       - Clara… considerati morta! Al mio ritorno preparati. Qualsiasi ora sia ti ucciderò!

       - Tranquilla. Mi troverai sveglissima. Voglio tutti i dettagli di questa serata.

   Sara roteò gli occhi al cielo e riprese a scendere le scale.

   Quando arrivò di sotto Damien era sceso dall’auto e l’aspettava appoggiato alla portiera. Si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia per poi passarle il braccio destro attorno alle spalle. Per un attimo i suoi occhi si alzarono a guardare un balcone al terzo piano e lì vide un’ombra muoversi.

       - Ma che…

   Aveva aperto la portiera dell'auto a Sara che si era seduta, facendo una battutina che lui non aveva colto, preso com'era dal tenere i suoi occhi fissi sul balcone che, poco prima, aveva attirato la sua attenzione. Girò attorno all’auto, guardò un’ultima volta in direzione del balcone di prima e rivide nuovamente la stessa ombra.

       - Strano.

   Intanto si era seduto in auto ed aveva parlato ad alta voce.

       - Cosa?

       - Come scusa?

       - Hai detto strano.

       - Ho visto come un’ombra muoversi sul balcone di casa tua.

   Sara guardò, tramite lo specchietto laterale, il balcone di casa sua. Anche a lei era parso di vedere un’ombra.

       - Tranquillo. È la mia coinquilina… sta innaffiando le piante.

   Peccato che loro non avevano piante nel balcone.

       - Ho capito. Allora possiamo andare?

       - Certamente.

   Damien mise in moto e partirono dopo pochi secondi. Sara intanto meditava la sua vendetta.

 

*§*§*§*§*§*§*§*§

 

   Arrivarono alla festa dopo meno di mezz’ora. Il tragitto in auto era stato piacevole. Avevano riso e scherzato, o meglio, Damien aveva riso e scherzato, Sara lo aveva rimproverato per averla costretta a quella serata tra la crème-crème ti Torino. Lei odiava quel genere di feste dove, tutti, erano concentrati a gonfiarsi come galli da combattimento e far ruotare la propria ruota di piume come pavoni.

       - Non sarà così male. Vedrai.

       - Certo, come no.

   Avevano appena lasciato i loro cappotti all’ingresso ed adesso Sara, ed il suo cavaliere, salivano uno accanto all’altra diretti verso il salone da cui proveniva una leggera melodia di violini.

       - Ma mi spieghi perché tanto odio nei confronti di queste feste? Io non ci trovo nulla di così orrendo.

       - Lascia stare, non potresti capire.

       - Grazie per la considerazione.

       - Non si tratta di te. Semplicemente queste cene non mi fanno sentire a mio agio. È come se fossi un pesce fuor d’acqua.

   Damien si fermò incurante del fatto che si trovassero in mezzo alle scale. Guardò la ragazza e poi parlò.

       - Tra me e te… tra di noi… quello che si è sempre sentito fuori luogo sono sempre stato io. Sara tu sei perfetta per questo ambiente. Sei intelligente. Preparata. Sei un ottimo medico. Secondo te perché ti ho chiesto di farmi da dama?

   Sara sorrise leggermente sentendo le parole di Damien. Lui che si sentiva fuori luogo. Capiva cosa volesse dire…

 

      - Le tue solite fisime mentali. Mi vuoi lasciare per questo? È assurdo.

       - Assurdo? Non direi. Non sei tu quello che si sente a disagio in determinate situazioni.

       - Ti ho mai fatta sentire a disagio?

       - No.

       - E allora perché? Perché tiri fuori ancora questo discorso?

       - Non ci riesco. La tua famiglia è ricca mentre la mia è… povera.

       - Sei una stupida. Dovresti essere fiera della tua famiglia. Ti ha dato dei valori che oggi sono praticamente scomparsi.

       - Non ci riesco, mi dispiace.

       - Quando, dimmi quando ti ho fatto pesare la differenza di ceto.

       - Mai.

       - Sei sempre stata tu a sottolineare le differenze famiglie. A me dei soldi non me ne frega niente.

       - E tuo padre?

       - A tempo debito ce ne occuperemo. Perché avvelenarci questi anni. Io ti amo, il resto vale zero.

 

   Tornò al presente e scacciò quel ricordo.

       - Grazie.

       - Si tratta della semplice verità.

   Si sorrisero e ripresero a salire. Erano arrivati all’interno del salone ed erano riusciti a non attirare l’attenzione di nessuno.

       - Bene, nessuno si è accorto di noi. Contenta?

       - Sarò contenta quando saremo fuori di qui.

   Sara strinse il braccio di Damien quando notò una figura che si dirigeva verso di loro. Ma perché era tanto agitata? Non era la prima volta che si trovava in un luogo simile. Aveva affrontato situazioni molto più… importanti. Sorrise in direzione di Damien e gli fece cenno verso la persona che li puntava.

       - Lo conosci?

       - Sì, è un giornalista.

       - Ah.

   L’uomo arrivò dopo neanche due secondi, strinse la mano a Damien e poi si voltò in direzione di Sara con un sorriso smagliante.

       - Noi non ci conosciamo, o forse…

       - No, non credo…

       - Ed invece sì. Dove l’ho vista? Come si chiama la sua agenzia?

       - Come scusi?

       - L’agenzia per cui lavora. Come si chiama. Non mi dica che lei lavora per Guidoletti. Sa, mi hanno detto che…

   L’uomo iniziò a raccontarle di fatti assurdi a fare nomi di persone che non conosceva. La ragazza si voltò verso Damien che non riusciva a trattenere le risate. All’ennesima assurdità, Sara non ne poté più ed interruppe l’uomo.

       - Mi sta confondendo con qualcun'altra. Io sono un chirurgo. Lavoro all’ospedale Santa Maria Vittoria.

   L’uomo guardò la ragazza come se, improvvisamente, le fossero spuntate delle antenne in testa. Sara guardò Damien in cerca di aiuto e questi decise di fare le presentazioni dato il quiproquo che si era venuto a creare.

       - Mio caro Ardenti le presento la dottoressa Sara Graci. Sara questo è il signor Ardenti, giornalista per Magazine sport.

       L’uomo strinse la mano di Sara, la fissava con un misto di imbarazzo e disagio. Non aveva fatto una bella figura. Era meglio cambiare aria e dopo due secondi sparì dalla circolazione lasciando i due giovani da soli.

       - Faccio davvero uno strano effetto sugli uomini. Li faccio scappare a gambe levate.

   Damien rise e mise la mano sulla spalla della ragazza spingendola, delicatamente, verso l’interno del salone. Non potevano restare certo tutta la sera all’ingresso ed evitare gli sguardi della gente.

  

   La serata trascorse tranquilla. Sara si era sciolta ed aveva parlato senza problemi con chiunque Damien le presentasse. La sua preparazione era stupefacente. Riusciva a spaziare dalla politica alla filosofia, dalla religione allo sport. Aveva anche discusso animatamente, con un ex calciatore, su quelle che erano state le ultime prestazioni dello stesso Damien, definendolo anche “goffo, stanco ed impacciato”.

       - Sara, io sarei qui.

       - Lo so, ti vedo. Ma non puoi negare che nelle ultime tre gare sei stato sottotono.

       - Sara ho già un allenatore, da te preferirei un tipo di supporto psicologico.

       - Come la fai lunga. Scusa!

   Ed erano andati avanti così tutta la serata. Tra un bicchiere di vino e qualche dolcetto. La serata stava andando abbastanza bene. Forse aveva ragione Damien, non era poi così male e la gente non era così antipatica.

       - Damien vado un attimo in bagno.

       - Stai male?

       - No, niente di che. Si è solo sganciata la bretella del reggiseno.

       - Vuoi una mano?

       - Spiritoso.

   Così dicendo era andata.

   Il bagno era molto ampio. Vi erano due lavandini con uno specchio unico che copriva l’intera parete. Le luci erano soffuse e l’ambiente profumava di mandorle.

   Sara si infilò dentro la prima cabina poi, con qualche difficoltà, riuscì a sfilarsi il coprispalle.

   Il cigolio della porta le fece intuire che qualcuno era entrato nel bagno delle signore, un lieve chiacchierio confermò la sua ipotesi.

       - Ma l’hai vista?

       - Chi scusa?      

       - Quell’oca!

   Ecco cosa non sopportava di quelle feste. La falsità della gente. Sorrisi davanti ed alle spalle pettegolezzi. Ma perché la gente non si faceva mai gli affari propri? Era riuscita a sistemare il reggiseno, poteva uscire e lasciarsi alle spalle quella sgradevole conversazione. Stava per aprire la porta quando un nome attirò la sua attenzione.

       - Su calmati!

       - Calmarmi? E come faccio. Damien doveva chiedere a me di accompagnarlo e non a quella…

   Stavano parlando di lei? No, non poteva essere! Però, era meglio tendere l’orecchio…

       - La dottoressina perfettina tutta sorrisini e strette di mano. È un essere insulso. Io non capisco cosa Damien possa trovarci in lei. È priva di portamento e di classe.

   L’imbarazzo di Sara aumentava. Sentiva le guance incandescenti. Probabilmente il viso le era diventato rosso, ma come si poteva mantenere la calma sentendo simili parole?

       - Stai esagerando.

       - Ma che dici? L’hai vista nel suo tubino nero con le perle. Per favore, sembra mia nonna… ti giuro, se l’avrei di fronte le riderei in faccia per quanto è insignificante.

   Ne aveva abbastanza. Aveva deciso di uscire dalla cabina solo quando quelle due se ne fossero andate, ma non poteva rimanere lì a farsi insultare da una che era capace di litigare anche con l’italiano. No, il suo carattere non glielo permetteva. Aprì delicatamente la porta ed uscì.

   Appena la videro, sbiancarono. Sara con calma, e come se nulla fosse, si diresse verso i lavandini e si lavò le mani. Prese una delle salviettine e la usò per asciugarsele, poi gettò il tutto nell’apposito contenitore. Prese il rossetto dalla borsa e lo mise.

   Le due ragazze guardavano da tutt’altra parte. Il silenzio di quel bagno era qualcosa di pesante e fastidioso. La tensione, e l’imbarazzo, si tagliavano con il coltello. Sara non rivolse neanche un’occhiata alle due, stava per andare quando ad un tratto si fermò e si girò in direzione delle due. Le squadrò da testa a piedi e, prima di andare via, pronunciò un’unica frase che gelò le due povere sventurate.

       - Perché Damien ha scelto me? Forse perché io almeno conosco l’italiano. Ed adesso scusami, ma il mio cavaliere mi aspetta. In ogni caso, vai a studiare un po’ l’italiano, il periodo ipotetico vuole il congiuntivo e non il condizionale…

   Così dicendo era uscita dal bagno lasciando le due malcapitate più mortificate che mai.

   Raggiunse Damien che si era fermato a parlare con un giornalista. Il ragazzo lanciò solo un’occhiata a Sara ma questa bastò per fargli intuire che qualcosa non andava. Liquidò il reporter con una scusa banale e si allontanò con Sara.

       - Sei accaldata. È successo qualcosa in bagno?

       - Damien hai dimenticato di dirmi qualcosa?

       - No, cosa dovevo dirti?

       - Allora spiegami perché in bagno c’è una pazza che non fa altro che sputare sentenze su di me.

   Aveva parlato con un tono di voce leggero ma dentro sentiva il sangue ribollirgli nelle vene. Era stato terribile sentire tutte quelle assurdità.

       - Non capisco…

   La ragazza prese sotto braccio l’amico e lo spinse verso una delle vetrate. In disparte da occhi, ed orecchie, indiscrete spiegò l’accaduto a Damien.

       - Mi dispiace. Deve essere stata Lucrezia.

       - Non me ne frega un accidenti di chi è e chi non è, dovevi dirmelo che alla festa c’era una tua ex.

       - Ehi frena! Lucrezia non è una mia ex siamo usciti insieme un paio di volte e lei deve essersi messa in testa chissà cosa. Mi spiace, se vuoi la cerco e le parlo.

       - Non occorre. Fai finta di niente e torniamo alla festa.

   Tornarono alla festa anche se Damien continuò a cercare per tutta la serata il volto di Lucrezia. Non avrebbe detto nulla, ma sarebbe bastato uno sguardo a farle capire di doverla piantare.

 

*§*§*§*§*§*§*§*§*§

 

   Era mezzanotte passata. La festa non era finita ma sia per Damien sia per Sara era ora di tornare a casa. Il primo per via del coprifuoco, la seconda perché l’indomani mattina doveva lavorare.

   Entrarono in macchina continuando a parlare della serata.

       - Visto che la serata non è stata così male?

       - No, hai ragione, a parte il piacevole incontro con la tua ex.

       - Ancora? Ti ho detto che non è la mia ex. A questa festa c’era solo una ex e tu la conosci abbastanza bene.

   Continuando a parlare e punzecchiarsi i due arrivarono sotto casa di Sara.

       - Ti accompagno.

       - Grazie mio cavaliere.

   Stavolta il viaggio in ascensore fu meno imbarazzante, i commenti sulla serata furono diversi e tutti molto pepati. Specie quelli di Damien.

       - La prossima volta che ti chiedo di accompagnarmi ad una festa, mi devo fornire di una guardia del corpo, tutti gli uomini presenti in sala non ti toglievano gli occhi di dosso.

   Arrivarono al piano di Sara, scesero e Damien l’accompagnò sino al suo appartamento. Sara trafficava con le chiavi senza riuscire a metterle nella toppa. Alla fine Damien prese il mazzo ed inserì direttamente la chiave nella serratura che scattò subito. Sara sorrise.

       - Forse ho bevuto un po’ troppo.

       - Oppure è la mia vicinanza.

       - Credici.

   Il ragazzo sorrise. Sara era sempre così esuberante e sicura di sé. Amava quel lato nuovo del suo carattere. La ragazzina di dieci anni prima era diventata una donna splendida.

       - Io vado. Si è fatto tardi. Se il mister scopre che ancora sono in giro mi butta fuori squadra.

   La battutina di Sara non si fece attendere.

       - Vedi che perdita… sei raccomandato per questo sei arrivato dove sei.

       - Strega.

   Si salutarono. In modo meno impacciato rispetto al loro primo appuntamento. Damien attese che Sara si richiudesse la porta alle spalle e poi risalì sull’ascensore. Una volta dentro, osservò il suo riflesso. Il segno rosso di un bacio spiccava sulla guancia. Passò due dita su quel segno, poi le baciò.

   Nel silenzio dell’ascensore risuonò una domanda…

       - Sara cosa mi stai facendo?

 

guarda come cammini
senti quello che dici
sembri proprio un attrice
e tu nemmeno lo sai
che sei protagonista
di tutti i gesti tuoi

io che non so mai che fare
io che non so cosa dire
io che non sono un attore
ma che ci provo semmai
di stare nel tuo film
io non mi stancherei mai

 

 

   Dato che il capitolo scorso non mi piaciuto per niente ho deciso di aggiornare nuovamente per farmi perdonare da voi cari lettori.

   La festa… ecco cosa voleva Damien in cambio, essere accompagnato ad una festa. Dopo diversi tira e molla alla fine la ragazza ha accettato (a dire il vero non è che Damien le abbia lasciato molta possibilità). La festa è stata tranquilla, nulla di esagerato, tranne la cara Lucrezia, ma in quale festa non ci sono imprevisti?

   Ho poco tempo ma ci tengo ai ringraziamenti, quindi bando alle ciance e via…

 

RINGRAZIAMENTI

 

- NAFASA: probabilmente è stato il tuo commento, altrettanto corto, ad avermi spinto a regalarvi questo nuovo aggiornamento, spero solo che questo capitolo possa piacerti più del precedente.

- _ LAURA _: ciao mia cara, sono felice che il capitolo ti piaccia, a quanto pare ho trovato un’altra cara ragazza che adora Tiziano Ferro, io sono depressa. Il 15 c’è il concerto ma non ho trovato i biglietti… e dire che il primo concerto, estate 2002, ho pagato solo 5 euro ed ancora Tiziano non era nessuno… bei ricordi… anzi no, brutto periodo. A parte questo ti ringrazio per i complimenti, mi sono limitata a descrivere un ambiente che esiste davvero per questo è stato relativamente facile farlo. Mi auguro che questo nuovo capitolo possa piacerti! Un bacio alla prossima!

- HATORI: te lo avevo detto stamattina che il capitolo era pronto doveva essere solo corretto ed aggiungere i ringraziamenti, ed eccomi qui! Ma davvero Damien e Sara ti ricordano qualcuno… oddio, non dirmelo… mi sa che questa fic sta diventando troppo autobiografica… se continuo così finisce che farò piacere a Sara ciò che piace  a me e le farò odiare ciò che odio…torniamo a Sara e Damien… non volare troppo con la fantasia… la storia è ancora lunga… può succedere di tutto! Per adesso che Damien non ha fatto nulla di male vanno d’amore d’accordo… ma mai dire mai nella vita! Per quel che riguarda Damien… gli serviva una dama per una festa e Sara è stata costretta ad accettare… che ne pensi di questo capitolo? Ti è piaciuto come il precedente? A me, in sincerità, è piaciuto molto! Adesso però vado che devo pranzare… un bacio alla prossima!

 

   Un altro grazie va a:

 - HATORI;

- NINASAKURA;

   che, con NovemberTheer, hanno inserito la fanfic tra le seguite.

 

Prima di chiudere tre precisazioni:

1. la canzone che chiude il capitolo è “Una donna così” di Gianluca Grignani. La canzone fa parte dell’album “Destinazione Paradiso” del 1995;

2. la volta scorsa tra i preferiti ho inserito male il nome di Aika_chan, ti prego di scusarmi;

3. mi sono accorta che ninasakura ha tolto la fanfic dai preferiti, mi spiace aver deluso le tue aspettative.

   Vi saluto carissime e vi do appuntamento al prossimo capitolo che non so quando pubblicherò! Grazie a tutti, a chi recensisce e chi legge soltanto.

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII ***


Nuova pagina 1

Capitolo XVII

 

   Tolse le scarpe per evitare di fare rumore coi tacchi e poi i piedi le dolevano incredibilmente. Aveva dimenticato cosa volesse dire indossare per così tanto delle scarpe alte ma, soprattutto, scomode. Senza accendere la luce, ed in perfetto silenzio, si diresse in camera sua, il cappotto ancora indosso. Aprì la porta e la richiuse alle sue spalle senza provocare il minimo rumore. Sempre al buio si lasciò cadere sul letto…

       - Ma che diamine…

   Si era buttata a peso morto sul letto e la sua testa aveva cozzato contro qualcosa di duro. Massaggiandosi la nuca, e cercando di accendere l’about-jour sul comodino, Sara si chiedeva cosa mai avesse potuto urtare di così spigoloso sul suo letto. Accese la luce e...

       - Cosa ci fai nel mio letto?

   Clara era sotto le coperte e si rigirava dal lato opposto rispetto al punto da dove proveniva la luce. Sara aveva sbattuto contro il ginocchio dell’amica che, infastidita da tutto quel trambusto, aveva girato le spalle ed aveva continuato a dormire come se nulla fosse. Il giovane medico, però, non era dello stesso avviso e con un unico gesto aveva strattonato le coperte dal corpo raggomitolato di Clara ed adesso stava osservando l’amica rannicchiarsi in posizione fetale.

       - Avvocato Nobile, le do esattamente cinque secondi per lasciare il mio letto.

   Clara, per risposta, si chiuse ancora di più a riccio, continuando a dormire come se nulla fosse. Sara allora preferì cambiare tattica.

       - O ti svegli o non saprai mai se Damien in questi dieci anni è diventato un baciatore esperto.

   Quella insinuazione ebbe il risultato sperato. Clara aprì lentamente gli occhi e guardò l’amica che restava in piedi a lato del suo letto.

       - Non ti credo.

       - Fai male a farlo.

   Clara si mise a sedere sul letto e incrociò le gambe scrutando attentamente la figura della coinquilina. Dopo pochi secondi rispose.

       - Mi stai prendendo in giro. Il tuo rossetto è in uno stato perfetto. Non c’è traccia della minima sbavatura.

   Sara sbuffò spazientita. Non era riuscita ad ottenere il risultato sperato.

       - Ok, hai ragione tu ma ciò non toglie che sei nel mio letto ed io ho sonno. Tra meno di sei ore suonerà la sveglia ed io, domani, devo lavorare.

   Clara si sistemò meglio sul letto dell’amica.

       - Anch’io domani lavoro, questo che vuol dire?

   Sara si passò una mano tra i capelli ricci poi, cercando di far ricorso a tutta la calma di cui disponeva – ed in quei minuti era davvero poca –  parlò.

       - Domani devo essere in sala operatoria.

   A quelle parole Clara si alzò dal letto e sbuffando si diresse verso la porta, prima di uscire dalla stanza però si girò verso l’amica e le sorrise, aggiungendo un commento pungente.

       - Non lo avrai baciato… però qualcosa è successo anche perché hai un viso disteso e sereno. Per caso, siete stati da qualche parte e vi siete guardati occhi negli occhi parlando del vostro passato e ricordando i magici momenti passati insieme?

   Come risposta Clara ricevette solo uno sbuffo da parte di una Sara indispettita dall’insinuazione di quella che doveva essere un’amica. Quello sbuffo accompagnò Clara fino alla sua stanza. Intanto Sara, rimasta sola, era presa dal togliersi il tubino nero e le calze. Solo con l’intimo addosso si guardò allo specchio. Le parole di Clara le risuonarono in testa. Non aveva un viso sereno. Era semplicemente tranquilla. Tolse la collana di perle e la rimise nella custodia. Cercò il suo pigiama e lo trovò piegato su una sedia. Lo mise facendo attenzione a non macchiare nulla con il trucco. Lasciò la sua stanza per andare in bagno dove si struccò con calma. Solo verso l’una riuscì a coricarsi. Chiuse gli occhi e si addormentò subito, era stanca. Per fortuna quella serata era finita!

 

§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*

 

  Solo quando la luce della camera di Sara si spense, Damien mise in moto ed andò via. Non sapeva neanche lui perché era rimasto lì. Non era riuscito a muoversi da dove si trovava, era rimasto ad attendere… cosa poi?

   Sperava davvero che Sara lo invitasse ad entrare? Per fare cosa poi? Sara ormai era parte del suo passato. Stavano ricominciando come amici, nulla di più. Amici. Il suono di quella parola non lo entusiasmava ma faceva, comunque, buon viso a cattivo gioco. Rivoleva Sara nella sua vita, le era mancata.

   Con quei pensieri, ed augurandole la buona notte, si diresse verso casa.

 

§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§

 

       - Cercavo la dottoressa Graci.

       - La può trovare nell’ambulatorio 3, quarta porta sulla sinistra.

       - Grazie.

   Con passo spedito si diresse verso l’ambulatorio indicato. Era strano andare a cercare proprio Sara ma non poteva fare diversamente. Quando la sera prima l’aveva vista non era riuscita a credere ai propri occhi. Era davvero lei, non era cambiata in quei sette, forse otto, anni. L’ultima volta che l’aveva vista era stata quando si trovava in Sicilia per il funerale della madre.

   Quando si ritrovò davanti alla porta fece un profondo respiro e poi suonò il citofono.

       - Chi è?

       - Sono Milena Bruno. Cercavo la dottoressa Graci.

   Ancor prima che finisse la frase la porta si era aperta. La donna entrò nell’ambulatorio chiedendosi perché mai aveva deciso di fare quella improvvisata al giovane dottore… e dire che Paolo le aveva chiesto di non fare nulla, di non andare a trovarla. Le aveva consigliato di continuare a vivere come se nulla fosse accaduto ma lei non era riuscita. Quella ragazza l’aveva sempre affascinata ed incuriosita con il suo carattere all’apparenza pacato ma che poi nascondeva una grande forza altrimenti non sarebbe mai riuscita…

       - Sei proprio tu!

   La voce di Sara la strappò alle sue elucubrazioni mentali.

       - Sì, sono io. In carne ed ossa.

   Non era riuscita a trattenere la battuta ne a fermare il sorriso che le era nato spontaneo sulle labbra. Restarono così in silenzio, giusto il tempo di riordinare, ognuna, le proprie idee. Milena si sentiva una stupida ed essere piombata lì senza un valido motivo ma era stato più forte di lei. Non era riuscita a trattenere il suo bisogno di rivederla.

       - Spero che tu non abbia bisogno di me.

   Il tono della voce di Sara voleva apparire sereno ma non era così. Dentro di lei era in corso una vera e propria tempesta di sentimenti. Milena era stata una sorpresa e dire che per sette anni aveva temuto quell’incontro ed adesso… adesso era agitata ma non come aveva ipotizzato. Era strano ma non aveva paura, aveva raggiunto la sua dimensione di pace, aveva raggiunto il suo equilibrio.

       - No, assolutamente. Sono venuta… sono venuta per farti un saluto. Ieri sera ti ho vista a quella cena e così…

       - C’eri anche tu?

       - Sì. Accompagnavo Paolo.

   Ed ecco un altro di quei silenzi imbarazzanti in cui non si sa mai cosa dire. Milena si guadava attorno cercando di trovare, osservando le pareti intonse, qualche spunto per conversare.

       - Perché non usciamo? Lascio detto all’infermiera che faccio una pausa ed andiamo al bar dell’ospedale. Ti va?

       - Non vorrei toglierti del tempo!

       - Ma smettila… due minuti ed arrivo. Tu vai pure avanti.

 

   Quando Milena fu fuori dall’ambulatorio, Sara tornò a respirare. Milena Bruno e chi se l’aspettava vederla piombare nel suo studio. Si guardò nello specchio che era posto proprio sopra il lavabo che era presente nella stanza. Le occhiaie che indicavano il poco sonno erano segno evidente della stanchezza che la stava schiacciando. Era stata una giornata piena. La mattina era volata in sala operatoria ed adesso, che era pomeriggio inoltrato, sperava di riposare un po’ ma i suoi piani, ancora una volta, erano saltati. Uscita dall’ambulatorio si diresse alla stanza occupata dal personale infermieristico.

       - Signora Antriciano io sono al bar. Mancherò quindici, massimo venti minuti. Se dovesse avere bisogno di me può chiamare al cellulare. Le porto qualcosa al mio ritorno?

       - La ringrazio dottoressa ma non mi occorre nulla. Se la cercano la chiamo subito.

   Così dicendo lasciò l’infermiera per andare al bar. Mise il cappotto sotto il camice. Quelli di Striscia La Notizia potevano dire quello che volevano ma non era reato girare all’interno dell’ospedale con il camice e poi quello non era neanche quello che usava per la sala operatoria. Si fermò mentre formulava quel pensiero! La visita di Milena, o forse la stanchezza accumulata nell’arco di quella giornata, la stavano facendo straparlare. Dandosi mentalmente della stupida si diresse verso l’esterno. Appena fuori passò la sciarpa attorno al collo e mise le mani sotto le ascelle. Faceva proprio freddo. Fece una corsetta e raggiunse in fretta il bar.

   Il locale era vuoto, cosa normale nel pomeriggio. Generalmente era sempre così. Stracolmo di gente al mattino, deserto dopo le quindici. Cercò Milena e la trovò seduta vicina alla vetrata, l’avvocato le faceva cenno con la mano di raggiungerla. Quando arrivò al tavolo occupato dall’altra, tolse il cappotto, che poggiò sulla sedia vuota posta alla sua destra, e si mise a sedere proprio di fronte Milena.

       - Allora cosa mi racconti? Come sta Mattia?

   Era meglio rompere il ghiaccio ed iniziare subito la conversazione.

       - Bene. Ormai è un giovanotto. Quest’anno è in quinta elementare.

       - Ma quanti anni ha?

       - Dieci a gennaio il…

       -  Sedici. Già lo ricordo. Cavolo come passa il tempo. Di botto mi sento più vecchia.

       - Non dirlo a me che devo badare a lui ed all’altra mia figlia.

       - Un’altra? E come si chiama? Quanti anni ha?

   Il sorriso della donna più matura si allargò ancora di più. Parlare dei suoi figli la rendeva sempre felice. Intanto il cameriere aveva preso le loro ordinazioni.

       - Si chiama Maria, come mia madre; ha cinque anni, compiuti il mese scorso.

       - Non dirmi che tu e Paolo avete intenzione di mettere in cantiere anche un terzo figlio?

       - No, con Paolo abbiamo deciso di fermarci qui. Basta! È difficile riuscire a gestire tutto. Il mio lavoro ne ha risentito parecchio. Ho lasciato la metà dei miei clienti ed adesso, quasi, lavoro part-time. E tu invece? Cosa ci facevi ieri sera a quella cena? E dire che ti credevo ancora giù al calduccio!

       - Ed invece no, sono qui al Nord a patire questo freddo quasi polare. Io… sono al quarto anno di specialistica in chirurgia generale. Il prossimo anno è l’ultimo. Vivo praticamente in questo ospedale da… sette anni. Questa è la mia vita!

       - Sette anni, praticamente…

       - Già. Proprio così.

   Il cameriere aveva portato i due caffè ordinati e se ne era andato silenzioso. Milena intanto rifletteva sul comportamento di Sara che l’aveva interrotta senza permetterle di finire la frase, forse non voleva parlare del passato. Si chiese se era giusto o meno tacere. Era vero che non erano problemi suoi ma aveva voluto bene a quella ragazza e probabilmente gliene voleva ancora, alla fine, però, decise di tacere. Paolo aveva ragione, non doveva impicciarsi e doveva lasciar stare e rimanere in silenzio come aveva sempre fatto. Era meglio cercare di non pensarci e continuare come se nulla fosse.

       - Ma ancora non mi hai detto cosa ci facevi ieri sera alla cena.

   La dottoressa si mosse leggermente a disagio sulla sedia. Il caffè era finito ed adesso stringeva la tazzina calda tra le mani sperando di riscaldarle. Aveva dimenticato la faccia tosta di Milena.

       - Ho accompagnato un amico, niente di particolare. Aveva bisogno di una compagna e dato che avevo la serata libera mi sono offerta di fare da dama.

       - Complimenti per l’amico. Davvero niente male, li avessi io amici come i tuoi!

   Sara e Milena risero assieme della battuta di quest’ultima.

       - Scusa ma tu ormai sei una madre di famiglia.

       - Sì, ma gli occhi sono fatti per guardare…

       - E le mani per toccare!

   Ed andarono avanti per ancora diverso tempo con questo scambio di battute. L’imbarazzo iniziale era passato ed aveva lasciato posto ad una piacevole sensazione di familiarità che mai, prima di allora, avevano provato. Presto arrivò il momento dei saluti e le due donne si promisero di rivedersi quanto prima.

       - Davvero Sara mi farebbe piacere averti a cena da me una di queste sere.

       - Io non saprei.

       - Il passato è passato. Non può pregiudicare il presente. Pensaci e fammi sapere. Questo è il numero del mio cellulare. Adesso scappo, devo andare a comprare qualcosa per cena. Mi raccomando Sara. Non perdiamoci ancora di vista.

       - Non accadrà più. Salutami Paolo e dai un bacio ai piccoli.

   Con questa promessa le due donne si salutarono. Sara tornò all’ambulatorio e Milena diretta a casa.

  

§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§

 

  Era finita! Quella giornata infernale era finita, ed adesso, l’unica cosa che desiderava era buttarsi sotto la doccia e fare un lungo bagno caldo. Quella giornata era stata davvero massacrante: aveva bisogno di una lunga dormita.

   Seduta sul tram che la conduceva a casa, Sara sentì lo squillo del suo cellulare. Per un momento fu tentata dal non rispondere ma se si fosse trattato di lavoro non poteva certamente rifiutare la chiamata. Cercò il telefonino in quella che lei definiva la borsa di Mary Poppins e, quando ormai aveva perso le speranze, riuscì a trovarlo ed a rispondere prima che la chiamate venisse deviata alla segreteria telefonica.

       - Pronto Clara cosa c’è?

       - Mi faresti un favore?

       - Spara!

       - Compreresti del vino rosso?

   Non poteva essere. Non quella sera. Tutto ma non quella sera. Aveva un maledettissimo bisogno di dormire. Clara non poteva aver organizzato una cena proprio quella sera.

       - Clara non è vero. Dimmi che non sto pensando quello che tu hai organizzato.

   La risata nervosa di Clara la fece infuriare ancora di più. Ma perché la sua coinquilina, e proprietaria dell’appartamento che dividevano, non doveva mai metterla al corrente dei suoi programmi se non quando mancavano solo un paio di ore all’evento?

       - Ma dai. È solo una cena tra amici. Niente di esagerato.

       - Me la pagherai… o se me la pagherai.

   Una cena tra amici… come no, come minimo avrebbe trovato la casa stracolma di gente. Conosceva Clara e sapeva cosa intendeva lei per una cena tra amici, un minino di trenta invitati.

       - Guarda che stavolta non scherzo. Due bottiglie di Nero D’Avola saranno più che sufficienti.

       - Me lo auguro per te!

   Così dicendo, senza neanche salutare l’altra, Sara mise giù e si preparò a scendere. Dannazione a Clara ed alla sua mania di organizzare cene. Adesso sarebbe dovuta tornare indietro a comprare il vino.

   Scese alla fermata successiva. Un leggero nevischio iniziava a scendere. Novembre era quasi finito e dicembre era alle porte. Si diresse rapidamente verso l’enoteca alla fine del corso.

 

   Erano quasi le nove quando riuscì a tornare a casa. Uscì dall’ascensore e non si stupì di sentire una musica di sottofondo provenire proprio dal suo appartamento. Era sempre così con Clara, quando si metteva in testa di organizzare una cena, la radio doveva farle compagnia… senza contare tutto il caos che creava!

   Entrò e chiamò a gran voce l’amica che spuntò dalla cucina con il mestolo in mano. Dopo pochi secondi alla figura di Clara si accostarono Danilo, il fidanzato di Clara e…

       - Ma tu che ci fai qui?

   Sara era ancora con la sciarpa in mano e squadrava il ragazzo che era poggiato allo stipite della porta.

       - Spero che non ti dispiaccia. Ho invitato io Damien. Sai era passato a trovarti ma non c’eri e così ne ho approfittato e l’ho invitato a cena.

       - No, figurati. Hai fatto benissimo. Scusate un attimo. Vado in bagno a fare una doccia e sono subito da voi.

       - Aspetta un secondo che devo chiederti una cosa sull’arrosto.

   Lasciando il mestolo in mano a Danilo, Clara seguì Sara fino in camera sua. Una volta chiusa la porta la mora scattò come una furia contro la coinquilina.

       - Che ti è saltato in testa? Sei impazzita?

   Clara si mise a sedere sul letto dell’amica e accavallò le gambe in modo seducente iniziando a sbattere le ciglia con fare civettuolo!

       - Moi?! E perché mai?

   Sara intanto frugava tra i cassetti alla ricerca di qualcosa da indossare. Tirò fuori dall’armadio un paio di jeans sdruciti ed un maglione grigio.

       - No, cosa stai facendo? Posa quei jeans e metti qualcosa di più accattivante.

       - Piantala Clara!

   Clara alzò gli occhi al cielo e portò le mani ai fianchi iniziando a battere ritmicamente il piede in terra.

       - No, dico. Ma tu lo hai visto? È perfetto! Bellissimo. Divertente. Intelligente. Di compagnia. Quel ragazzo ha tutto. Perché sei così… frigida?!

       - Frigida io? Ma sei scema o cosa?!

       - Dio Sara è meglio dal vivo che in foto.

   Sara stava iniziando a perdere la pazienza. Clara stava diventando fastidiosa.

       - Io non capisco allora cosa ci fai qui e non sei di là con lui!

       - Sei proprio una stupida! Non puoi continuare così.

       - Clara per favore, non stasera. Sono sfinita.

       - Ogni volta che si tocca questo tasto sei sfinita.

       - Ti prego?

   Senza aggiungere nulla Clara lasciò la stanza e Sara riuscì, finalmente, buttarsi sul suo letto chiudendo gli occhi. Neanche due minuti e la porta si aprì nuovamente. Sara rimase ferma nella sua posizione senza aprire neanche gli occhi.

       - Clara che c’è ancora?

   Il cigolio delle molle del letto ed una lieve pressione alla sua sinistra le fecero capire che la sua amica si era seduta, anzi per l’esattezza sdraiata, accanto a lei.

   Una mano, ben presto, iniziò a scostarle le ciocche che le ricadevano sul viso. Sara aprì gli occhi sorpresa da quel gesto così intimo.

   Gli occhi castani di Damien furono la prima cosa che riuscì a focalizzare.

       - Ciao.

   La voce del ragazzo appariva tranquilla mentre continuava ad accarezzare i capelli di Sara.

       - Ciao.

   Sara non era riuscita a dire altro. Quella strana atmosfera la confondeva.

       - Se sei stanca vado via. Ero passato solo a farti un saluto veloce, poi la tua amica mi ha chiesto di rimanere…

   Sara sorrise divertita immaginando come Clara avesse, in pratica, costretto il povero Damien a rimanere.

       - Dì la verità: ti ha praticamente obbligato a rimanere!

       - Più o meno. Ma ancora non hai risposto alla mia domanda.

   Sara chiuse gli occhi e si lasciò coccolare ancora per pochi secondi.

       - Dammi il tempo di fare una doccia e sono subito da voi. Se non sto dietro a Clara dubito che stasera ceneremo con qualcosa di diverso dalla pizza!

   Risero insieme a quella battuta e restarono lì a guardarsi fino a che le risa non lasciarono il posto al silenzio. Solo dopo pochi secondi, Damien si chinò sul viso di Sara e vi lasciò un bacio leggero proprio sulla punta del suo naso.

       - Hai il naso freddo. Cerca di riscaldarti o ti prenderai un’influenza coi fiocchi!

       - Tra i due, se non sbaglio, sono io il dottore! Vuoi rubarmi il mestiere?

   Damien si alzò ed aiutò Sara a fare lo stesso.

       - Assolutamente. Il mio è solo un consiglio. Mi preoccupo per te!

       - Adesso vai! Io prendo la roba pulita e vado a fare una doccia.

   Damien uscì dalla stanza e Sara finalmente riprese a respirare. Le guance erano incandescenti, segno che quel bacio l’aveva sorpresa. Prese il cambio ed andò in bagno, altro che bagno caldo, le serviva una doccia fredda!

 

Ma dove guardano ormai
quegli occhi spenti che hai?
Cos’è quel buio che li attraversa?
Hai tutta l’aria di chi
da un po’ di tempo oramai
ha dato la sua anima per dispersa.

 

  Buon venerdì a tutti! Lo so, è da un macello che non aggiorno ma dovete sapere che ho avuto un esame importantissimo e subito dopo questo ho ripreso a studiare per un esame importante… cavolo ma ho solo materie importanti?! Scherzi a parte. Ecco qui un altro capitolo. Un po’ di transizione un po’ di approfondimento, con qualche novità… spero che vi piaccia e che vi abbia incuriosito. Passo rapidissimamente ai ringraziamenti perché è tardi ed il mio stomaco brontola (sono le 12:31)…

 

RINGRAZIAMENTI

 

- TARTIS: ciao! Visto che carino Damien, prima aspetta che vada a dormire e poi il giorno dopo le spunta a casa così senza preavviso! Che dire, sta provando il ragazzo, ma Sara sembra davvero frigida, come dice Clara! E poi le coccole sul letto ed il bacino sul naso… dai anch’io mi sto sciogliendo, ma sai… come hai detto è ancora presto per qualcosa di più anche perché Sara non ha mai dato alcun segno di un suo coinvolgimento sentimentale… ha sempre mantenuto le distanze con il nostro italo-americano! Per quel che riguarda Lucrezia… mi sono ispirata ad un personaggio reale e, soprattutto, mi sono ispirata ad un episodio della mia vita dove al posto di Sara chiusa nella cabina c’ero io che ascoltavo i commenti di certa gente su una mia cara amica… diciamo che questa storia prende molto spunto dalla realtà! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto come gli altri, presto farà ritorno anche Andrea, ma per il momento ho dato un po’ di spazio anche a Clara, la coinquilina di Sara!

 

- NINASAKURA: ciao, per un aggiornamento rapido ne seguo uno in ritardo ma non dipende da me ma dagli impegni universitari. Sono felice di sapere che la storia ti piaccia e spero di poter leggere ancora un tuo commento. Questo capitolo è una via di mezzo tra la transizione, l’introspezione e la commedia, spero che sia di tuo gradimento. Grazie per i complimenti, alla prossima!

 

- HATORI: Tania ci sei? Ti è piaciuto il capitolo nuovo? Qui niente colpi di scena a parte un bacino sul nasino (Ed ho fatto anche la rima, o forse è meglio dire il rimino?)… per quel che riguarda Lucrezia… non so, forse comparirà nuovamente o forse la sua è stata solo una comparsata. Dipende da come si metteranno le cose tra i due giovani… oddio, parlo come mia nonna! Scusa ma poi ho una domanda da fare? Ma se Sara ha lasciato Damien non credete che abbia avuto i suoi buoni motivi? Se il ragazzone è così perfetto come credi che senso aveva lasciarlo? E dopo averti messo la pulce nell’orecchio io chiudo qui la risposta alla tua recensione. Un bacio ed alla prossima!

 

- NAFASA: ciao! Che dire, a me il nome Lucrezia in fin dei conti piace parecchio, mi sa tanto di aristocratica… Lucrezia Borgia… forse anche un po’ di donna di facili costumi, ma dopo tutto non è l’abito, in tal caso il nome, a fare il monaco. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

 

Con questo è davvero tutto… ah dimenticavo! Il brano che chiude il capitolo è di Eros Ramazzotti, tratto dalla canzone “Parla con me” dall’album “Ali e Radici” dell’anno 2009! Adesso è davvero l’ora di mettere il punto e darvi appuntamento al prossimo aggiornamento che non so quando sarà!

 

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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII ***


Nuova pagina 1

Capitolo XVIII

   La cena si era svolta senza problemi. La conversazione era stata piacevole grazie soprattutto alla spontaneità di Clara. La giovane era riuscita ad imbastire chiacchierate dove tutti gli ospiti potessero partecipare senza sentirsi a disagio, tutti eccetto Sara dato che era proprio lei il centro delle discussioni. Anche se, ad essere sincere, il suo disagio era legato al fatto che fosse lei al centro dell’attenzione, questo però era inevitabile: era l’unico legame esistente tra tutti i commensali. Comunque, Clara si stava comportando abbastanza bene, le sue battute erano sempre limitate e su misura, conoscendo il carattere dell’amica, Sara era piacevolmente stupita da questo suo comportamento.

       - Ops!

   Ecco, come si era soliti dire: le ultime parole famose.

   Il sopracciglio di Sara si sollevò immediatamente non appena sentì l’esclamazione della coinquilina. Non era un buon segno, se lo sentiva. Clara stava tramando qualcosa e questo la fece rabbrividire, Damien contribuì ad aumentare la sua angoscia quando rispose all’esclamazione della ragazza.

       - C’è qualcosa che non va?

   Era finita! Il calciatore, inconsapevolmente, si era dato la zappa sui piedi da solo. Dare corda a Clara era un errore, un enorme sbaglio.

       - Vedi non so come ma… ho dimenticato il dolce. Che stupida. Potevo chiedertelo a te Sara ma mi è sfuggito.

   La strozzava. Sì, l’avrebbe strozzata. Se ne fregava delle conseguenze, in quel momento voleva uccidere la sua coinquilina. Se la conosceva, e lei la conosceva molto bene, stava architettando qualcosa che l’avrebbe messa in una situazione imbarazzante. Doveva escogitare qualcosa, ed in fretta.

       - Amore ma c’è la cro… ahia! Che…

   Danilo si bloccò a metà osservando il volto della fidanzata.

       Taci!

   Era questo il messaggio nascosto dietro l’espressione sorridente di Clara. Il ragazzo, massaggiandosi la gamba dolorante, decise di non fare altre domande: ci teneva alla propria incolumità.

   Sara osservava di sottecchi le mosse dell’altra, era pronta a parare un eventuale attacco. Con la forchetta giocava con il po’ di insalata che le era rimasta nel piatto. Le era definitivamente passato l’appetito e dire che aveva messo su, nel giro di venti minuti, una cena di tutto rispetto e Damien, ma soprattutto Danilo, avevano largamente ricompensato le sue fatiche.

       - Sara, tesoro, che ne diresti di andare nella pasticceria giù all’angolo, quella che rimane aperta tutta la notte. Non possiamo concludere una cena così deliziosa senza un dolce, non credi?

   Ed eccolo l’affondo. Aveva atteso il momento propizio ed alla fine ecco l’attacco, adesso bisognava parare il colpo e cercare di restituirlo limitando i danni: no, per il momento era meglio solamente parare, all’attacco ci avrebbe pensato in seguito. Facendo leva sul suo autocontrollo, Sara decise per la risposta meno caustica.

       - Clara, tesoro, per stasera potresti anche fare a meno del dolce. E poi è quasi mezzanotte e la pasticceria, sicuramente, starà per chiudere!

   Convinta di aver messo a segno un punto importante, e convinta di avere la partita in pugno, Sara aveva abbassato la guardia… mai errore fu più grave!

       - Se la metti così… Danilo, amore, mi faresti compagnia in pasticceria? Per favore…

   E su quel per favore così smielato, lanciò uno sguardo di vittoria verso la sua coinquilina. Sara era rimasta ferma, immobile, basita. Clara era davvero una grande stratega e lei era solo una povera pivella: era caduta come una stupida nella sua trappola. Senza aver possibilità di ribattere Clara costrinse il povero Danilo ad imbacuccarsi per benino ed andare alla pasticceria all’angolo.

       - Damien vuoi qualcosa in particolare?

   Danilo si era rivolto al giocatore che sembrava alquanto confuso per via del sorriso smagliante presente sul viso di Clara e dall’espressione imbufalita di Sara.

       - No grazie, per me niente. Ma se volete…

   Fu fermato da una mano di Clara che subito iniziò a parlare.

       - Non sia mai. Sei un ospite e non devi preoccuparti di niente. Noi torniamo quanto prima… Sara mi raccomando, prenditene cura tu.

   E su queste parole Clara lasciò da soli i due giovani.

   Prima di uscire però Clara infierì ulteriormente. Stando attenta a non farsi vedere da Damien, e con Danilo sottobraccio, mosse le labbra ed una frase si compose: dacci dentro!

   Sara fulminò con lo sguardo la coinquilina che presto si defilò sventolando la mano come segno di saluto. Il silenzio che era calato tra gli unici due occupanti della casa fu interrotto da Damien che non capiva l’espressione arrabbiata dell’altra. Per cercare di stemperare la situazione disse la prima cosa che gli era passata per la testa!

       - La tua amica è sempre così…

       - Esuberante?

   Sara aveva concluso la frase per Damien che era rimasto in silenzio non trovando un aggettivo adatto per descrivere Clara.

       - Credimi, stasera si è trattenuta. Ed anche parecchio.

       - Però con lei non ti annoi mai!

       - Questo è certo.

   Sara si era alzata e stava iniziando a sparecchiare. Damien la imitò presto. L’arrabbiatura verso Clara non era passata ma non poteva certo prendersela con Damien che, a par suo, era una povera vittima dei giochetti nevrotici dell’avvocato.

       - Scusa ma che stai facendo?

   Il medico si era fermato con le mani poggiate sul lavabo ed osservava attentamente Damien che le si era affiancato tenendo tra le mani due piatti sporchi.

       - Ti do una mano.

   Era stata l’ingenua risposta del ragazzo.

       - Scherzi? Siedi e non fare niente. Non hai sentito Clara? Sei un ospite, ergo, non devi alzare neanche un dito. 

       - Altrimenti Clara ti ucciderà?

   La battuta era stata spontanea. Damien si divertiva a stare con Sara, con lei era sereno, se stesso. Non temeva di dire o fare qualcosa di sbagliato. Poteva tranquillamente dare di matto o essere spiritoso fino allo sfinimento, la giovane non avrebbe detto nulla per fermare sul nascere le sue reazioni. Era questo che non aveva trovato nelle altre: la capacità di accettarlo pienamente.

       - Se non la uccido prima io!

   Damien si fermò ad osservare l’amica aspettando che proseguisse nel suo discorso e Sara, un po’ impacciata, si vide costretta a spiegare il perché di questi piani omicidi nei confronti della coinquilina.

       - Si è messa in testa che io e te… che noi… oh insomma! È convinta che tra noi ci possa essere un ritorno di fiamma.

   Lo aveva detto. Era riuscita a dire tutto senza farsi venire un infarto. Certo, adesso si sentiva parecchio imbarazzata e la sola idea di uccidere Clara non la soddisfava più, no. Clara doveva soffrire atrocemente prima di morire.

       - E che ci sarebbe di male?

   Sara si fermò ad osservare Damien. Cercava nei suoi occhi la traccia di scherno ma non vi trovava nulla. Erano seri come mai era riuscita a vederli. Distolse lo sguardo e tornò ad affaccendarsi in quello che stava facendo: nulla.

   Damien dal canto suo si chiedeva il perché era stato così maledettamente sincero. Lo sapeva, aveva corso troppo.

   Un momento: era stato sincero? Aveva corso troppo? Ma che assurdità stava dicendo, lui non aveva pensato mai di tornare con Sara, o forse si? Si diede mentalmente dello stupido! Ok, alla fine aveva detto qualcosa che doveva tacere ma non era troppo tardi per rimediare e cercare di scoprire qualcosa su Sara. Era inutile negarlo: si sentiva profondamente attratto da lei, e non solo sul piano fisico.

       - Perché quella faccia?

       - Damien, stai scherzando, vero?

   La voce di Sara era bassa, un sussurro. No, non poteva essere. Non poteva davvero credere che Damien dopo più di dieci anni nutrisse ancora un sentimento d’amore nei suoi confronti!

       - Scusa perché? Non ti piace l’idea di essere la fidanzata di un calciatore bello, bravo e famoso?

   Forse era meglio metterla sullo scherzo, forse Sara si sarebbe rilassata. Ed infatti la battuta sortì l’effetto sperato!

       - Non vedo dove sia il calciatore bello, bravo e famoso!

       - Spiritosa… eppure se non ricordo male, quando questo calciatore bello, bravo e famoso giocava ancora nel suo paese, tu eri sempre sugli spalti a fare il tifo e pretendevi ripeto, pretendevi, che ad ogni gol ti mandasse un bacio!

   Sara si mise a ridere e ribatté a tono…

       - Ma per favore segnavi un gol a stagione, quando eri fortunato erano due! Non farmi ridere!

       - Rimane il fatto che hai confermato che sono bello, bravo e famoso!

       - L’importante è crederci!

   E parlando e scherzando i due, insieme, avevano finito di sparecchiare. Lo squillo del cellulare di Sara interruppe la loro conversazione.

       - Mamma, è successo qualcosa?

       - Sara, no nulla. Volevo solo sapere come stavi. Poco fa eri strana al telefono.

       - Tranquilla. Ero solo stanca. Niente di particolare.

       - Sicura, posso stare tranquilla?

       - Tranquillissima. Papà?

       - Dorme sul divano.

       - Al solito!

       - Già, al solito! I tuoi amici sono andati via?

       - Quasi tutti, è rimasto l’ultimo! Sto provando a farlo andare via ma è un osso duro!

   Damien sentendosi chiamato in causa lanciò in direzione di Sara un tovagliolo attorcigliato, scimmiottandola nelle movenze. Sara per risposta gli fece una linguaccia che riuscì a strappare un sorriso all’altro.

       - Allora ti lascio. Domani che turno hai?

       - Dalle 14 alle 20! Di mattina resto a casa a dormire. Sono distrutta.

       - Va bene. Buona notte tesoro mio.

       - Buonanotte mamma e trascinati papà a letto. Un bacio ad entrambi.

       - Sì, buonanotte!

   Finita la telefonata, Damien non riuscì a trattenere una battuta.

       - Che dice la mammina? Non si è tolta il vizio di chiamare un miliardo di volte al giorno!?

   Sara fece finta di non sentirlo e cominciò a lavare i piatti che, con l’aiuto di Damien, aveva sistemato nel lavabo. Odiava questo atteggiamento del ragazzo. Ricordava ancora come, quando stavano assieme, ogni volta che litigassero il giovane incolpava la madre di lei di tutto, anche quando non aveva nulla a che fare con la disputa.

       - Eddai Sara!  Tua madre non mi hai mai sopportato.

   Nel suo silenzio Sara continuava a lavare i piatti. Era assurdo. Se avesse risposto, ne era certa, avrebbe litigato con Damien e non ne aveva voglia. Era troppo stanca per ribattere ad ogni affermazione. Aveva voglia di chiudere tutto ed andare a dormire.

       - Chi tace acconsente. Devo pensare che mi stai dando ragione?

       - Pensa quello che vuoi, non mi interessa!

   Aveva risposto in modo acido ma non le importava. Aveva provato a trattenersi ma non era riuscita. Potevano dire di tutto riferito a lei ma nessuno doveva toccare la sua famiglia. Nessuno.

       - Certo, come no. Sara non puoi negare l’evidenza. Tua madre non mi ha mai tollerato. Scommetto che quando ci siamo lasciati ha fatto festa.

       - Sì, infatti. Ha organizzato una mega festa che è durata tre giorni e tre notti. Ha invitato tutta la città, ci siamo divertiti da morire. Ma fammi il piacere!

   Aveva gettato la spugna nel lavabo ed il detersivo era schizzato arrivandole sul viso. Con l’avambraccio si pulì dal sapone e si girò verso il ragazzo che aveva lasciato la sua espressione tranquilla per assumere un cipiglio che non preannunciava nulla di buono.

       - Lo vedi? Anche adesso che sono passati più di dieci anni siamo qui a litigare a causa sua. Non puoi negarlo!

       - Sei tu che stai litigando. Io ti ignoro.

   La ragazza aveva asciugato le mani in uno straccio e se ne stava andando in camera sua lasciando Damien da solo in cucina; ma il ragazzo non aveva nessuna intenzione di lasciar perdere. Erano trascorsi dieci anni, ma dovevano mettere in chiaro alcune cose, lui doveva metterle in chiaro.

       - Stai scappando.

       - Non ti sento.

       - Complimenti! Il tuo è un comportamento davvero maturo.

   Sara era arrivata in camera sua ed aveva chiuso la porta in faccia a Damien che stava ancora parlando con lei. Si era buttata sul letto ed aveva messo la testa sotto il cuscino: non ne poteva più! Era stanca, distrutta. Ci mancava solo Damien che rivangasse il passato.

   La porta della sua camera fu aperta con un gesto secco. Lei rimase con la testa sotto il cuscino. Se Damien aveva voglia di sbraitare che facesse da solo, lei voleva dormire.

       - Sto parlando con te.

       - Ti ignoro.

       - Certo. Davvero matura. Sei una ragazzina. Credevo che fossi cresciuta ed invece… scommetto che neanche hai detto a tua madre che ero io ad essere a cena a casa tua. Mi sbaglio?

   No, non si sbagliava. Aveva ragione. Non aveva detto nulla alla madre per il semplice fatto che non aveva voglia di sentire la madre sgridarla per il suo riavvicinamento con l’ex che l’aveva fatta soffrire e che…

       - Ho ragione io. Tu non hai detto niente a tua madre. Non sia mai. Mammina si potrebbe arrabbiare se sapesse che sua figlia le ha disobbedito.

   Era troppo. Quello era troppo. Sara con uno scatto si alzò dal letto e buttò il cuscino in un angolo della stanza. Si girò verso il ragazzo e lo guardò dritto negli occhi.

       - Hai ragione. Non ho detto nulla a mia madre, ma tu dimmi cosa le avrei dovuto dire? “Mamma ti ricordi di Damien? Il mio primo ragazzo, quello che mi ha spezzato il cuore. Sai, stasera viene a cena a casa mia!” Dovevo dirle così, vero?

       - Non sia mai che la dolce e cara Sara dia un dispiacere alla mamma. Sara hai trent’anni quando inizierai a fare di testa tua senza chiedere il permesso di tua madre?

       - Ma che ne sai tu? Che ne sai di me e di cosa ho vissuto in questi anni? Ma fammi il piacere… non sai niente. Tu non sai niente. Ti assicuro se avessi dato retta a mia madre tante cazzate non le avrei commesse.

   Sara era davvero al limite. Le gote arrossate e gli occhi lucidi. Lottava contro la rabbia e la voglia di buttare fuori da casa Damien. Ma chi si credeva di essere? Come si permetteva di giudicare sua madre? Con che coraggio?

       - L’unica colpa che ha mia madre è il suo volermi sempre e comunque proteggere. Le rimprovero solo questo. Dimmi Damien è colpa di mia madre se ci siamo lasciati? È colpa sua? È stata mia madre che ti ha detto di andartene da Alessandra e provarci? È stata lei che ti ha costretto a mentirmi? Dimmi Damien, è stata lei?

   Damien si passò una mano tra i capelli. Quella discussione stava prendendo una piega che non aveva considerato. Lui sperava semplicemente di capire cosa la ragazza provasse per lui, non voleva certo litigare.

        - Ancora con questa storia? Tra me ed Alessandra non c’è mai stato niente. N.I.E.N.T.E. come devo fartelo capire? Ho sbagliato. Sono stato un bastardo a provarci, a mentirti. Ho sbagliato, se tu mi hai lasciato è stata tutta colpa mia, sono stato io a spingerti a prendere quella decisione, ma cazzo! Non è questo il punto. Ogni cosa, ogni gita, ogni iniziativa, tutto doveva essere prima approvato da lei. Se non c’era il suo benestare non si poteva fare. Ti rendi conto? Il nostro era un rapporto a tre!

       - Avevo quindici anni. Cosa pretendevi?

   La voce di Sara aveva sovrastato quella di Damien che aveva iniziato ad urlare man mano che parlava. Era assurdo. Non poteva essere vero! Damien non poteva davvero dire tutte quelle assurdità.

       - Almeno una volta, in tre anni, avresti potuto fare di testa tua e non ubbidire ciecamente a tua madre, sbaglio?

       - Ho perso la verginità con te! Ho fatto l’amore per la prima volta con te perché ti amavo e ti assicuro che mia madre, se avesse saputo una cosa del genere, mi avrebbe ammazzata con le sue stesse mani. Ma scusa, questo non è abbastanza. Non è mai stato abbastanza quello che ho fatto per te. Perdonami!

   Era incredibilmente amaro il sorriso presente sul viso di Sara. Non credeva che rivedendo Damien sarebbero tornate anche le vecchie discussioni.

       - Io non sto dicendo questo…

       - Ma stai zitto! Dopo tre mesi, tre mesi… mi volevi lasciare. Erano trascorsi tre mesi da quando avevamo fatto l’amore. Sai cosa? Forse ti dovevo lasciare all’epoca e non stare insieme un altro anno. Sono stata una stupida.

       - Ero confuso. La situazione a casa non era delle migliori e lo sapevi. Mio padre bevevo sempre di più e mia madre non faceva altro che piangere. Cosa avrei dovuto fare?

       - Damien non stiamo parlando di questo!

   Aveva urlato ancora. La gola le bruciava per quanto stava urlando. Erano secoli che non urlava così tanto.

       - No, stiamo parlando proprio di questo.

       - Vattene!

   Non lo aveva urlato. Lo aveva detto semplicemente con un tono di voce basso, sicuro… rassegnato.

   Damien rimase per alcuni secondi immobile, indeciso sul da farsi, al che Sara lo fissò ancora ed iniziò a spintonarlo verso la porta della sua stanza, una volta fuori, chiuse la porta e si poggiò su essa.

   Basta. Quella giornata era stata devastante. La lite con Damien era stata solo la ciliegina sulla torta. Una lacrima le rigò la guancia ma fu asciugata con un gesto brusco, compulsivo. Non voleva piangere. Non più.

 

Perché indimenticabile ancora sei per me
anche se i giorni passano più duri senza te
tutte le cose che farò avranno dentro un po' di te
perché lo so dovunque andrai in ogni istante resterai
indimenticabile

 

   Salve gente. Ed eccomi qui. Mi spiace ma al momento non ho il tempo per ringraziarvi, lo farò quanto prima. Come avete potuto notare è saltato fuori il caratterino di Sara, ma anche Damien non scherza ed ecco perché si sono lasciati… ancora siete dell’idea che Damien sia così perfetto? Scappo… davvero non ho tempo. La canzone che chiude il capitolo è Indimenticabile di Antonello Venditti, fa parte dell’album “Dalla pelle al cuore” dell’anno 2007! Grazie e scusate se non vi ringrazio singolarmente…

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo IXI ***


Nuova pagina 1

Capitolo XIX

 

       - Fammi capire, lo hai buttato fuori di casa?

   Erano seduti in quel pub da ormai tre ore. Era la quarta, forse la quinta volta, che stava raccontando cosa era successo la sera prima. Era stanca, stremata, era peggio di un interrogatorio. L’esame di farmacologia speciale, in confronto, era stato una passeggiata.

   E poi il trattamento che stava ricevendo…

   Ne era certa, con lei, Clara stava usando lo stesso tono inquisitorio che utilizzava nel corso dei processi a cui prendeva parte. Già la immaginava in un’aula di tribunale, in piedi, con le braccia incrociate davanti al seno, il capo chino e passeggiare avanti ed indietro mentre, nella sua testa bacata, formulava le domande per mettere in difficoltà la sua povera vittima.

       - Cioè… fammi capire… lo hai fisicamente buttato fuori dalla tua stanza? Uno di quella stazza? Dio, Sara devo ricordarmi di non farti mai incavolare: diventi parecchio pericolosa quando perdi le staffe!

   E poi c’era Andrea. Anche lui, quando ci si metteva, diventava parecchio insistente. In futuro lo immaginava come uno di quei professori trita-cervelli odiato da tutti gli studenti, temuto, evitato come uno degli untori de I Promessi Sposi. Già se lo immaginava seduto dietro una cattedra con il sorrisino beffardo pronto ad impalare i suoi studenti e, negli occhi, il piacere di vedere quei poveri ragazzi in difficoltà.

   Come era possibile che i suoi amici fossero così… brutali? Era più corretto dire spietati. La tenevano sotto torchio ormai da tre ore e non ne avevano ancora abbastanza. Ma perché? Sara era alla seconda birra e la sua testa iniziava a girare, non era abituata a bere così tanto ma se voleva sopravvivere a quei due era necessario farlo.

   Clara era tale e quale ad Aileen Wuornos, la serial killer più famosa d’America interpretata da Charlize Theron nel film “Monster”; una prostituta che adescava le sue vittime e poi le uccideva durante l’amplesso. Clara agiva alla stessa maniera, prima ti dava la gioia di aver finito con il suo interrogatorio e poi… puff ti dava il colpo di grazia con qualche domanda a bruciapelo a cui non potevi che rispondere nonostante l’imbarazzo.

   Per quel che riguardava Andrea lui era perfetto nel ruolo di “Chucky La Bambola Assassina”, chi poteva mai sospettare che dietro ad un sorriso cordiale e degli occhi che esprimevano allegria e gioia di vivere come quelli di Andrea, si nascondeva un mostro pronto a pugnalarti alle spalle. E poi lo immaginava pronunciare con la sua voce sempre allegra la frase cult di Chucky, “ciao, sono Chuchy, saremo amici fino alla fine!” e poi giù con la batosta. No, doveva fare qualcosa per liberarsi di quei due. Era impossibile restare ancora in quel pub.

       - Sentite… è la quarta, forse la quinta volta, che vi ripeto come sono andati i fatti, non occorre insistere oltre. Sì Clara, ho buttato fuori di casa Damien. E sì anche per te Andrea, è stato buttato fisicamente fuori dalla sottoscritta. Adesso, se temete la mia furia, vi consiglio di piantarla qui con il vostro interrogatorio crociato perché, vi assicuro, sono stanca e pronta ad esplodere.

   Ed alla fine lo aveva detto, probabilmente era anche merito dell’alcool che scorreva nelle sue vene, ma alla fine era riuscita a far tacere i suoi aguzzini.

       - Per me hai commesso la cazzata più grossa della tua vita. Te ne pentirai, fidati di me!

   Come non detto! Clara non temeva la sua furia. Era ancora lì a continuare nella sua crociata “salviamo il povero Damien” quando in realtà quello che doveva essere salvato era Danilo che quella sera, fortuna sua, era rimasto a casa perché il giorno successivo aveva un’importante udienza in tribunale e dove rivedere le ultime carte del processo. Sara si chiedeva come poteva, quel caro ragazzo,  sopportare una furia come Clara.

   Ma non era quello il momento di pensare a Danilo, doveva pensare a salvare se stessa.

       - Io me ne torno a casa, voi continuate pure senza di me.

   Si era alzata e stava per andare quando la frase di Clara la lasciò di sasso.

       - Per quanto ancora hai intenzione di scappare dal ricordo di Lorenzo?

   Sara si era immobilizzata ed Andrea era rimasto con il boccale di aria. Eccolo il colpo di grazia, era stata una sciocca a sperare di poter andar via senza subire un attacco da parte di quella che reputava un’amica.

   Rimase in silenzio alcuni istanti, forse per riprendersi dal colpo oppure per evitare di fare scenate in quel pub, la voglia di prendere a schiaffa Clara era tantissima. Ripresasi dal suo torpore afferrò il cappotto nero e lo mise e senza aggiungere altro, ma lasciando i soldi sul tavolo con un gesto di stizza, si diresse verso la porta. Il richiamo di Clara fu fermato dalla voce di Andrea che aveva lasciato il solito tono gioviale per sostituirlo con uno più serioso.

       - Non ho ancora finito...

       - Clara adesso basta. Credo che per stasera tu abbia già detto abbastanza.

   Ed ascoltando quello stralcio di conversazione, Sara, lasciò quel locale che adesso le sembrava cupo ed eccessivamente affollato nonostante fosse tardi e praticamente vuoto.

   All’interno erano rimasti solo loro due. Andrea e Clara. Il ragazzo guardava la giovane che le faceva compagnia con espressione arrabbiata. Clara, come al solito, aveva straparlato e non si era curata di ferire i sentimenti di Sara. Ma perché quella ragazza aveva una lingua così lunga?

       - Ti rendi conto…

       - Andrea ti prego non ricominciare. Ogni volta con questa storia che Sara ha sofferto troppo a causa di Lorenzo! Adesso stiamo rasentando l’assurdo. Sono trascorsi sette anni… sette anni. Per quanto ancora dobbiamo vederla fare così? Andiamo, non dirmi che anche tu non desideri vederla felice, serena…

   Clara aveva parlato senza permettere all’altro di interromperla. Aveva espresso, ancora una volta, l’ennesima da quando conosceva Andrea, il suo desiderio di vedere Sara raggiante come mai le era capitato di vederla.

       - Non tutti hanno bisogno di un compagno per essere felice… non tutti sono come te.

   Ancora una volta, come tutte le volte, Clara non sapeva cosa rispondere ad Andrea. Chinò il capo silenziosa e si osservò le mani curate.

   A lei non occorreva un uomo per sentirsi felice.

       - Non stare qui a chiederti se ho ragione o meno. È la verità, lo sappiamo entrambi.

   La voce di Andrea era arrivata a rispondere ai suoi quesiti. Non alzò il capo, restò lì ad osservarsi le mani e ad immaginarle intrecciate a quelle del suo compagno, ma non era il volto di Danilo quello che si era materializzato nella sua mente.

       - A me non occorre un compagno per essere felice.

   Alla fine non era riuscita a tacere. Non era riuscita a tenere per sé quel peso gravoso.

       - Per questo stai con Danilo?

       - Non stiamo parlando di me.

       - Di noi

   Andrea si impedì di continuare a parlare. Non poteva. Se l’era promesso quel pomeriggio quando Sara lo aveva trovato pestato e  piangente che girovagava per le vie del centro.

 

* * * * *

 

   Erano arrivati a casa di Sara ed Andrea si era buttato a peso morto sul divano, stava male. Non era più tormentato come quando era stato trovato da Sara, adesso era più calmo. Era rimasto in silenzio solo per rimettere a posto i pezzi del suo cuore.

   Loredana si sposava e lui piangeva… no, non era innamorato della sua ex. Era qualcosa di diverso, totalmente diverso. Era qualcosa che Sara non poteva capire perché lei non sapeva.

   Ed intanto Sara stava disinfettando la stessa ferita da più di cinque minuti. Era immersa nei suoi pensieri, chissà quale cassetto del suo passato era stato aperto con quella stupida domanda.

       “Se al posto mio ci fossi stata tu… cosa avresti fatto?”

   Come se lei avesse potuto rispondere a quella domanda. Lei non sapeva nulla di quello che era accaduto. Erano stati attenti a nascondere tutto. Erano stati perfetti, talmente perfetti da ingannare anche la loro amica. Lei non sapeva cosa intendeva veramente con quella domanda.

       “Se al posto mio ci fossi stata tu… cosa avresti fatto?”

   Avresti lottato per riprenderti la persona che ami? Era questo quello che voleva sapere Andrea. Era giusto piombare nella vita di lei, nella vita della donna che amava, e gettarla nello scompiglio? Era giusto farla soffrire ancora?

   Forse era meglio per la sua sanità mentale, che la finisse con quei pensieri sicuramente poco confortanti.

       - Sara io… ho capito.

       -  Scusa, ero soprappensiero. Dicevi?

   Andrea sorrise e scosse il capo. Lui stava male, più per il suo orgoglio che per altro e, forse, poteva capire Sara. Anche lei stava male a causa del suo orgoglio. Lo stesso orgoglio che le impediva di confidarsi con lui o con altri. Stavano soffrendo entrambi: lo stesso male per cause simili ma profondamente diverse.

   Era meglio piantarla con quelle fisime. Era meglio chiedere scusa a Sara e fermare quel fiume in piena che erano i suoi pensieri.

       - Dicevo che oggi sono stato uno stronzo a farti quella domanda. Mi dispiace.

       - Non preoccuparti. Non è successo nulla. Mi sembra di essere sopravvissuta.

   Si era sopravvissuta e poi era scappata in bagno a lavarsi le mani come se ne avesse bisogno per continuare a vivere. Stava fuggendo da se stessa. Dal disagio di quella domanda e lui ne aveva approfittato per indossare, nuovamente, la maschera da scavezzacollo dato che l’amica era tornata leggermente più serena.

       - Comunque, non so come mi sarei comportata al tuo posto… io sono stata mollata.

   Quelle ultime parole furono sussurrate ma Andrea le poté cogliere nitidamente. Fermò le mani dell’amica e la costrinse a guardarlo in faccia. Quella, a distanza di sette anni, era la prima volta che Sara faceva esplicitamente riferimento alla sua storia con il Verme e lui sentiva il bisogno di confortala anche se… anche se Sara non poteva sapere cosa, in quel momento, agitava l’animo dell’amico.

       - Tu non sei stata mollata. Lo hai mollato tu. Ci siamo capiti? E comunque non parliamone più. Siamo d’accordo.

   Già non parliamone più perché la sua coscienza non ne poteva più. Non ne poteva più di mentire alla sua migliore amica, maledetto il giorno in cui aveva deciso di farlo. Maledetto il giorno in cui avevano deciso così.

   Dopo poco Sara aveva finito di medicare le ferite di Andrea e lo guardava curiosa.

       - Cosa vuoi?

       - Niente…

   Aveva risposto in quella maniera vaga di chi vuole effettivamente una risposta.

       - Ok. Ho fatto a pugni con un mastino di due metri. Avevo bisogno di scaricarmi. Adesso sei contenta?

       - No.

   Cosa?! Adesso non capiva. Aveva risposto alla sua domanda perché non era soddisfatta? Cos’altro voleva scoprire? Scoprire?! E poi perché aveva utilizzato quel tono secco e imperativo?

       - Cosa non ti è chiaro?

       - Cosa dovevi scaricare?

   Ok! Sara lo stava spaventando. Cosa stava insinuando? E quel sorriso birichino?

       - Non ti capisco.

       - Certo, come no.

   Iniziava a sudare freddo, ma perché poi? Che male c’era se Sara aveva intuito qualcosa? La ragazza avendo capito i pensieri dell’amico sorrise e si alzò andando a prendersi un bicchiere d’acqua.

       - Andrea io adesso vado in palestra, se vuoi puoi rimanere qui ad aspettare Clara.

   E lo aveva lasciato lì come un allocco.

   Era rimasto lì, seduto in cucina con la testa tra le mani a darsi ancora una volta dell’imbecille.

   Deficiente.

   Imbecille.

   Cretino.

   I complimenti si potevano spendere a suo indirizzo. Come aveva potuto essere così idiota. Lui… aveva avuto paura e per questo aveva deciso di interrompere quella relazione nata per caso e che gli aveva regalato tre mesi di felicità e serenità.

   Era stato un emerito imbecille ad aver lasciato Clara.

 

* * * * *

 

       - Non esiste più alcun noi quindi non credo che questa conversazione debba andare ancora avanti.

   Così dicendo anche Clara si era alzata e, come l’amica, aveva abbandonato da solo il giovane seduto al tavolo.

  

   Clara era corsa fuori in cerca di Sara. Era quasi mezzanotte e faceva freddo. Ormai dicembre era alle porte e quella pazza della sua coinquilina, se la conosceva come credeva, sicuramente era diretta a casa… a piedi.

   Salì di corsa in macchina e mise in moto. Camminava piano cercando di trovare l’amica e la vide dopo poco. Imbacuccata in un cappotto nero che la rendeva ancora più piccola. Lasciò la macchina in doppia fila, chiuse con l’allarme a distanza e maledicendo la voglia di camminare dell’altra, corse in sua direzione.

       - Aspetta! Sara dai, non fare così!

   Clara continuava a chiamarla, ma era bellamente ignorata dalla coinquilina; esasperata afferrò l’amica per un polso e la costrinse a fermarsi. Si guardarono un paio di secondi fino a che Clara non sbottò.

       - Se speri nelle mie scuse caschi male.

   Sara non si scompose più di tanto. Conosceva Clara e non si aspettava certo che si cospargesse il capo di cenere ed ammettesse le sue colpa ma quell’atteggiamento così spavaldo la irritava e parecchio.

       - Allora cosa vuoi?

       - Farti capire che non puoi continuare a pensare a quel bastardo.

   Sara chiuse gli occhi e con uno strattone si liberò dalla presa dell’altra.

       - Clara non puoi capire.

       - Certo che non posso.

   Sara rimase in silenzio aspettando che continuasse, era strano che Clara le stesse dando ragione.

       - Sei bella. Intelligente. Spiritosa. Di compagnia. Hai tutte le qualità di questo universo. Sei un fiore di ragazza. Oddio Sara ci sono uomini che farebbero carte false per avere solo un’occasione. Una. E tu che fai? Chiudi loro la porta in faccia.

       - Se ti riferisci a Damien…

       - Ma che Damien. Lui è solo la punta dell’iceberg. Da sei anni dividiamo lo stesso appartamento e non ti ho mai vista prendere seriamente in considerazione un appuntamento. Non arrivi mai al terzo appuntamento e non è sempre colpa degli altri. Anche con Damien. È la terza volta che vi vedete e lo hai buttato fuori da casa. Il tuo problema è che stai scappando da una possibile relazione.

       - Clara aspetta…

       - No, non aspetto niente. Non voglio che tu butti alle ortiche gli anni più belli della tua vita perché uno stronzo, bastardo, vigliacco ti ha mollato senza avere il coraggio di continuare la vostra relazione.

       - E dimmi, dovrei fare come te?

   Clara si era interrotta. Cosa voleva dire Sara e perché stava facendo le stesse allusione di Andrea che…

       - Dovrei illudere un uomo solo perché non voglio che chi mi ha spezzato il cuore si accorga di quanto soffro?

   Ok, adesso era Clara a trovarsi in difficoltà. Era in silenzio. Sara le mise un braccio intorno alle spalle e la fece girare verso la macchina. Iniziarono a camminare abbracciate in quella maniera.

       - Non ti faccio domande. Non faccio riferimenti espliciti. Solo una domanda: ma mi credete talmente scema? Ma davvero eravate così sicuri, tu ed Andrea, di essere riusciti a tenermi nascosta la vostra relazione?

       - Ci speravamo…

 

Quando finisce un amore così com'e' finito il mio
senza una ragione ne' un motivo, senza niente
ti senti un nodo nella gola,
ti senti un buco nello stomaco
ti senti un vuoto nella testa e non capisci niente
e non ti basta più un amico e non ti basta più distrarti
e non ti basta bere da ubriacarti
e non ti basta ormai più niente
e in fondo pensi, ci sarà un motivo
e cerchi a tutti i costi una ragione
eppure non c'e' mai una ragione
perché un amore debba finire…

 

  

   Buona sera a tutti! Per festeggiare la medaglia vinta nei tuffi da Tania Cagnotto io pubblico un nuovo capitolo (e domani ho pure l’esame di neurologia… sì sono matta!). Allora cari lettrici e cari lettori nel cosa ci fossero anche maschietti tra i sostenitori di Sara… che ne dite di questo capitolo? Io, francamente, non ne sono per nulla convinta. Manca di incisività, non credete. Sarà che manca Damien oppure la storia d’amore tra Clara ed Andrea vi sembra troppo scontata? Voi che ne dite? Spero che si sia capito che il flash-back che si trova verso la fine del capitolo sia una sorta di prosecuzione del racconto del capitolo XIV, se così non fosse ve lo dico io! Aspetto i vostri commenti e vi anticipo che questo sarà l’ultimo e che da domani sarà ufficialmente in vacanza e questo vorrà dire addio casa, addio scrivania, addio pc… forza e coraggio che torno alla fine di agosto!

 

RINGRAZIAMENTI:

 

- NAFASA: Niente romanticismo nel capitolo scorso e neanche in questo. Anzi qui neanche si vede Damien. Spero che questo non ti porti a non commentare. Un bacio e buone vacanze!

 

- MORBIDINA: Sara è davvero arrabbiata ma questo è ancora niente. Lascia che la storia entri nel vivo e poi vedremo cosa farà la nostra dottoressa. Anche per te vale lo stesso discorso fatto a Nafasa, non è che perché manca Damien non mi lasci neanche un commentino… anche a te buone vacanze.

 

- HATORI: Taniuzzedda ( un modo tutto siciliano per rendere un vezzeggiativo al tuo nome!) sono diventata latitante ma spero che tu abbia capito il perché! Lo studio mi ha sommersa. Sei disgustata da Damien? E tu pensa che quello che ho scritto non è altro che la realtà, quello che è capitato a me con il mio ex quindi ti assicuro è tutto molto reale. La mia relazione dopo è finita come quella di Sara e non è più ripresa, ma sarà lo stesso per la dottoressa? Vedremo! Damien sarà davvero cambiato o il successo gli ha dato alla testa? Come ti avevo anticipato questo è l’inizio, aspettati di tutto nei prossimi capitoli. Ed ecco il primo colpo di scena, una storia d’amore nascosta! Anche a te, nel caso non dovessimo più sentirci da qui al prossimo aggiornamento, buone vacanze!

 

- TARTIS: Buona sera! Come va? Allora se tu metti che le Sara siete passionali e che questa Sara è mediterranea… oddio. Povero Damien sarà dilaniato dalle unghie delle bella dottoressa! Lo avete detto voi che Damien era perfetto, io da sempre sono stata in silenzio, bocca cucita. Questo è un aspetto del carattere del calciatore che io, francamente, per esperienza vissuta in prima persona, non giustifico neanche a distanza di otto anni e neanche dopo le scuse del suddetto ex fidanzato. Ma sei sicura di voler consolare Damien? Ed Andrea chi me lo consola? Neanche lui è messo parecchio bene! Comunque a parte questo ti auguro buone vacanze!

 

   Io vi saluto e vi do appuntamento al XX capitolo che non so quando pubblicherò. Dimenticavo. Per chi mi aveva chiesto di Milena… il capitolo in cui fa la sua prima apparizione è il XVII! I versi che chiudono il capitolo sono tratti dalla canzone “Quando finisce un amore” di Riccardo Cocciante facente parte dell’album “Quando ci si vuole bene” del 1986.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo XX ***


Nuova pagina 1

Capitolo XX

 

   Era stata una giornata difficile.

   Una delle giornate più pesanti da quando era arrivata al Maria Vittoria.

   Aveva quasi perso un paziente.

   Non sarebbe stato il primo – e non sarebbe stato neanche l’ultimo, ne era consapevole –  ciò che la faceva stare peggio, però, era la modalità con cui lo stava per perdere: negligenza medica.

   Il signor Amorosi era arrivato al suo reparto a causa di un improvviso peggioramento verificatosi due giorni dopo un banale intervento di appendicectomia eseguito in una clinica privata.

   Le condizioni da subito erano apparse gravi. Ipotermia. Ipotensione. Tachipnea. Delirio.

   Poco dopo il ricovero il paziente era entrato in coma.

   Erano intervenuti il più in fretta possibile, avevano riaperto la ferita e quello che si erano ritrovati davanti li aveva lasciati basiti.

   I punti di sutura erano saltati. Tutti. Esterni ed interni.

   I bordi della ferita erano in necrosi.

   Il pus aveva riempito tutta la cavità addominale.

   Era una situazione disperata.

   Le probabilità di sopravvivenza erano scarse ma non potevano tirarsi indietro.

   Quello che aveva lasciato tutti perplessi era stata la scelta della tecnica operatoria: un intervento a cielo aperto. Ormai questa metodica, almeno per quel che riguardava le appendicectomie, era superata si preferiva intervenire con tecniche laparoscopiche per ridurre gli stress post-operatori, ma nel caso del signor Amorosi non era stato così.

   Il chirurgo che aveva operato con Sara, il dottor De Chierici, aveva chiesto di analizzare il filo utilizzato per la sutura. Sospettava che proprio da questo fosse partito il focolaio infettivo che aveva causa le complicazioni che avevano portato all’aggravarsi delle condizioni generali del paziente.

   Avevano aperto, ripulito la ferita e richiuso.

   Non si poteva fare niente di più.

   Adesso non restava che aspettare… ed affidarsi alle mani del Signore.

   Durante le ultime fasi dell’intervento era subentrata una crisi cardio-respiratoria che quasi era stata fatale al paziente.

   Avevano ripreso il signor Amorosi per i capelli e Sara, almeno per questo, si riteneva davvero fortunata.

   Adesso il paziente, un uomo di 43 anni, era in un coma di II grado. Non si poteva fare altro che aspettare e pregare.

   Subito dopo la fine dell’intervento era uscita sfinita dalla sala operatoria, fortunatamente per lei, era stato il dottor De Chierici a voler parlare con i parenti del signor Amorosi e fornire loro un quadro preciso delle sue condizioni. Lei non sarebbe riuscita ad essere obiettiva tanta era la rabbia per quello a cui aveva assistito: quel povero uomo era stato trattato come carne da macello.

   La denuncia, ne era sicura, sarebbe partita nel giro di poche ore, forse era già stata fatta.

   A breve, probabilmente, anche lei sarebbe stata chiamata a testimoniare. Non era la prima volta che le capitava – ormai si era soliti sporgere denuncia in qualsiasi caso, anche per un’unghia incarnita che lasciava una microscopica cicatrice – ma ogni volta si sentiva terribilmente a disagio: era difficile avere a che fare con la legge, peggio, avere a che fare con le forze dell’ordine.

   La prima volta che si ritrovò a dover fornire la propria versione dei fatti, in seguito ad una denuncia scattata per malasanità, era stata chiamata alla stazione dei carabinieri a causa del decesso di una donna di 93 anni. Decesso avvenuto perché la donna non aveva superato un intervento di gastrectomia parziale eseguito a causa di un tumore maligno diagnosticato in fase avanzata. Il professore Macchi si era opposto all’idea di intervenire ma i figli della donna avevano fatto pressione affinché fosse operata. Alla fine, stanco della pressione a cui era sottoposto quotidianamente, il professore aveva deciso di dimettere la paziente, la signora Rossi ricordava ancora il suo nome. I figli si erano rivolti ad un’altra struttura ospedaliera, la signora Rossi era stata operata ma, come era prevedibile data la difficoltà dell’intervento e l’età avanzata, non aveva superato lo stress post-operatorio. La denuncia era partita subito, come se non si aspettasse altro che il decesso dell’anziana donna.

   Sara era stata chiamata a testimoniare, insieme al professore Macchi, per spiegare il perché l’ospedale Maria Vittoria si era rifiutato di operare la paziente. La convocazione era arrivata telefonicamente, una volta messa giù la cornetta, Sara si era fisicamente precipitata dal professore Macchi per cercare rassicurazioni che non si fecero attendere. La notte prima del colloquio, però, non aveva chiuso occhio, forse perché Clara, per divertirsi alle sue spalle, l’aveva terrorizzata.

   Quello, però, era un caso diverso. Un caso che, stavolta, la vedeva protagonista in prima persona. Il signor Amorosi aveva corso, e stava correndo, davvero un grave rischio. Avrebbe dato la sua versione dei fatti, avrebbe detto chiaro e tondo che, a suo modo di vedere, chi aveva operato era un macellaio e non un chirurgo.

   Stanca di tutto, soprattutto stanca della tensione accumulata nel corso di quella mattinata, aveva deciso di chiedere un permesso ed uscire prima della fine del suo turno. Adesso erano le 12 e 20 e dopo aver passato gli ultimi dieci minuti nello spogliatoio dei medici, si era decisa a tornare a casa e cercare di mettere alle spalle la frustrazione accumulata in quella giornata.

 

   La città si era colorata proprio quel giorno. Il primo dicembre. Per stemperare la tensione, alla fine, aveva deciso per un giro in centro anche se, in verità, non ne aveva molta voglia.

       - Sara…

   Si era sentita chiamare ed aveva riconosciuto, da subito, quella voce. Voleva continuare ad andare avanti ed ignorarlo ma decise di fermarsi. Era inutile comportarsi da ragazzini, nello stesso istante Damien l’aveva affiancata ed aveva ripreso a parlare.

       - Credevo che non ti fermassi.

   Nella sua voce non c’era nessuna nota particolare, né pentimento né attesa, era normale. Sara decise di prendersi ancora qualche secondo prima di replicare con la risposta più adatta, alla fine, aveva trovato ciò che cercava: una frase pungente e sarcastica.

       - Ormai ho trent’anni. È arrivato il momento che faccia di testa mia e non mi faccia consigliare da mammina.

   Ed eccola arrivata la frecciatina velenosa.

   Quelle parole che riescono sempre a metterti al tappeto nonostante i tuoi buoni propositi. Ecco questa era Sara, poche parole ma dette a tempo e modo giusto… per lei.

   Quelle erano le stesse parole che lui aveva pronunciato un paio di sere prima. Quelle stesse parole che adesso, lei, aveva pronunciato con un sorriso falso – ed ironico – sulle labbra rosse e piene; più cattiva di prima aveva continuato il suo attacco.

       - Cosa vuoi?

   Era stata… glaciale. Esatto, il tono utilizzato non era stato altro che glaciale. Damien non aveva mutato la sua espressione, si era aspettato una reazione simile, Sara era sempre stata parecchio vendicativa, sin dai tempi del liceo.

       - Porgerti le mie scuse.

   Fu tutto ciò che aveva risposto e lui, ogni volta, aveva sempre cercato, nei limiti del possibile, di limitare i danni di un eventuale scontro diretto con lei.

       - Scuse accettato. Addio.

   Con quella risposta, Sara aveva definitivamente chiuso la questione. Era stata chiara, non avrebbe più ripreso l’argomento e forse non gli avrebbe più rivolto la parola. Ma Damien non la pensava alla stessa maniera.

       - Ti va se pranziamo insieme?

   Non si sarebbe certamente arreso, non amava le porte sbattute in faccia e Sara era già la seconda volta che lo faceva: la prima volta a casa sua – e quella era una porta vera – adesso davanti all’ingresso dell’ospedale e questa, anche se era una porta metaforica, faceva ancora più male. Era un chiudere definitivamente, ancora una volta, con lui e non poteva accettarlo.

  

   Sara era andata avanti, incurante del suo invito. Aveva svoltato a destra ed aveva preso subito per il Corso Alessandro Tassoni, per lei Damien non esisteva. Preferì camminare al centro del viale alberato sperando che Damien si desse per vinto, cercando di non prestargli attenzione, ma era difficile con lui che andava ora alla sua destra ed un attimo dopo alla sua sinistra, confinato in un silenzio che era tutto tranne che rilassante.

   Damien non si dava per vinto. Non si sarebbe messo da parte, non questa volta. Se Sara era decisa ad ignorarlo, bene, lui era altrettanto deciso a farle cambiare idea. Non voleva ritirarsi ancora una volta. Non voleva andarsene con la coda tra le gambe solo perché lei non voleva vederlo a causa della rabbia che ancora provava dal loro ultimo litigio.

       - Che ti costa accettare il mio invito? Stai tornando a casa e non è bello pranzare da soli. A te non è mai piaciuto.

   Sara era esasperata. Non sopportava più la pressione che le stava mettendo addosso Damien. Era stanca e di cattivo umore a causa di quella mattinata iniziata male e che stava procedendo verso il peggio. Alla fine, sfinita,si fermò al centro del viale incurante dei passanti. Damien si fermò subito al suo fianco. Forse Sara stava per cedere, se lo sentiva.

       - Ascoltami. Oggi è stata una pessima giornata. Una di quelle giornate che non vedi l’ora che finiscano per mandare tutto a quel paese coricarti, addormentarti e svegliarti il mattino successivo. Oggi è una giornata no. Stavo per perdere un paziente mentre lo operavamo e siamo riusciti a salvarlo solo grazie ad un miracolo. Sono arrabbiata con me stessa per non essere stata in grado di limitare i danni; sono infuriata con la medicina che ancora non è riuscita nell’impossibile; sono incazzata con chi, prima di me, era intervenuto senza comprendere la reale gravità della situazione. Ho voglia di spaccare tutto. Ho voglia di urlare. Di rintanarmi a casa. Ho voglia di restare per i fatti miei. Quindi non sarei una buona compagnia, perché non chiami Luana, Ludovica, Lucrezia o come caspita si chiama quell’oca di quattro soldi e mi lasci in pace. Non chiedo altro. Voglio solo essere lasciata sola. SOLA.

   Sara si era voltata verso Damien ed aveva parlato mantenendo un tono di voce basso e calmo. I suoi occhi non avevano lasciato neanche per un attimo quelli del giovane che aveva ascoltato le sue parole con attenzione. Damien nella voce di Sara aveva percepito una nota di urgenza, di necessità. Sara aveva bisogno davvero di restare da sola ma dentro di lui sapeva di non poterla accontentare. Non era giusto abbandonarla proprio adesso che era così di cattivo umore.

       - Mi spiace ma non posso lasciarti sola proprio adesso, e poi… non dirmi che sei gelosa di Lucrezia! Te l’ho già detto tra me e lei non c’è stato nulla se non un paio di sere a cena!

   Il primo istinto di Sara fu strozzarlo, alla fine prevalse la logica, chiuse gli occhi e riprese a camminare. Lei gelosa di un’oca senza cervello, ma stava delirando? Non aveva intenzione di ascoltare ancora la voce di Damien. Aveva bisogno di pace e tranquillità e nient’altro.

   A quest’ora, se Damien non si fosse intromesso, si sarebbe fatta un giro al centro per sbollire la frustrazione, avrebbe mangiato un panino per strada e poi sarebbe tornata a casa, fatto un bagno rilassante, messo il pigiama e buona notte a tutti… ma con lui dietro doveva rinunciare al suo programma.

   Doveva sbarazzarsi di lui ma arrancare il passo era fuori questione, Damien era molto più allenato di lei. Unica soluzione era tornare a casa ed ignorarlo fino a che non si fosse scocciato e deciso a lasciarla in pace .

   La camminata di Sara si concluse alla fermata del tram che l’avrebbe condotta a casa. Si mise a sedere alla fermata e Damien prese posto proprio accanto a lei.

   Perfetto! Aveva deciso di farla imbestialire!

   Il tram era passato da poco e la corsa successiva sarebbe stata dieci minuti dopo, aveva molto tempo da condividere con Damien ma non ne aveva intenzione: nessuno doveva permettersi di occupare i suoi spazi.

   Il leggero brusio che proveniva dalla sua sinistra la costrinse a voltarsi. Una ragazzina di circa quindici anni parlava con un’amica in modo abbastanza concitato, non stavano litigando, erano emozionate, lo si intuiva dal sorriso sulle labbra di entrambe e dalla loro gestualità. Qualche parola arrivava al suo orecchio ed aveva intuito, da quei frammenti di conversazione, che le due dovevano aver riconosciuto Damien.

       - Ti dico che è lui!

   La ragazza che era seduta proprio accanto a Sara parlava con voce bassa per paura di essere sentita.

       - Forse hai ragione tu perché non chiedi alla ragazza che è seduta accanto a te!

   Cosa?! Adesso volevano tirare anche lei al centro di quella conversazione, non se ne parlava. Era già di cattivo umore di suo ci mancava anche una conversazione con due adolescenti emozionate per la presenza di un calciatore a pochi metri da loro. Lei voleva solo un pomeriggio rilassante. Nulla di più. Ed intanto l’altra aveva subito risposto.

       - Non mi sembra che ne capisca poi molto. È seduta accanto a lui e non sembra per nulla contenta. Anzi, ne sembra infastidita. Secondo me è un po’…

   Bene! Adesso le avrebbe uccise, ma come si permettevano… lei lo conosceva Damien, e come se lo conosceva… molto intimamente e molto meglio di loro!

       - Scusate!

   Perfetto! Adesso il suo pomeriggio di tranquillità poteva definitivamente ritenersi concluso. Damien aveva deciso di attentare alla vita di quelle due povere ragazze rivolgendosi direttamente a loro.

   Come previsto le due povere disgraziate non riuscirono a spiccicare parola ma, in compenso, spalancarono la bocca come una portaerei. La più rotondetta delle due fu la prima a riacquistare l’uso della parola.

       - Pre… prego.

   Se Damien avesse sorriso ammiccando, Sara era pronta a denunciarlo per tentato omicidio.

       - Dovrei prendere il tram ma purtroppo mi trovo senza biglietto, sapreste dirmi dove posso comprarne uno?

   Per Sara fu spontaneo alzare gli occhi al cielo. Dio! Damien aveva deciso di non mollarla un attimo e, intanto che era immersa nelle sue riflessioni, non si era accorta che l’altra – quella che per prima aveva notato la presenza di Damien – aveva tirato fuori dalla tasca un biglietto per il tram, probabilmente il suo. La domanda sorgeva spontanea: anche lei a quindici anni era così facilmente preda degli ormoni?

       - Sei gentilissima, quanto ti devo?

   Adesso l’istinto le diceva di sbattersi la testa nel muro. Damien quando voleva sapeva essere davvero nauseante.

       - Niente… figurati!

   Stava per vomitare ne era sicura. Quanta melensa in quelle parole pronunciate da Damien e quanta enfasi nella risposta della povera ragazzina che aveva dato il suo biglietto ad un calciatore che, sicuramente, aveva la macchina a pochi isolati da lì e che non aveva certo bisogno del tram per spostarsi. Fortunatamente lo scambio di battute si era fermato lì, ma non era lo stesso per gli sguardi di fuoco che le due lanciavano in direzione di Damien.

   Dopo pochi minuti, per fortuna di Sara, il tram arrivò. Salita sul mezzo prese posto proprio accanto al finestrino. Nonostante l’ora di punta i posti abbondavano, ed erano talmente tanti che Damien si mise a sedere, casualmente, dietro di lei puntando gli occhi proprio tra le sue scapole. Sara decise, comunque, di ignorare ancora il poveraccio e infilò gli auricolari dell’ipod alienandosi dall’ambiente circostante.

   Il viaggio fu molto più sereno dell’attesa alla fermata. Nessuno sembrava aver riconosciuto Damien neanche quando il ragazzo aveva ceduto il posto ad un anziano carico di buste. Unica nota negativa fu il ritrovarsi Damien piantato davanti. Dopo cinque fermate, e dopo aver fulminato Damien con lo sguardo per il suo non volersi spostare dalla posizione trovata – proprio davanti il sedile di Sara – Sara si avvicinò alla bussola pronta per scendere ma una frenata improvvisa del veicolo le fece perdere l’equilibrio. Sbatté contro qualcuno che, prontamente, l’afferrò per le spalle impedendole di sbandare ancora.

       - Tranquilla, ti tengo io.

   La voce di Damien arrivò leggera alle orecchie di Sara. Era un lieve sussurro che le provocò la pelle d’oca, parlando il giovane inavvertitamente, o forse no, con l’alito le aveva solleticato il collo. Il turbamento di Sara durò poco, appena fu tornata padrona di sé si scostò dal torace di Damien e gli rispose senza, però, guardarlo in viso ma tenendo ostinatamente gli occhi fissi sulla bussola ancora chiusa.

       - Non mi occorre il tuo aiuto. Comunque grazie.

   Dopo di che la bussola si aprì ed un fiume di gente scese. Sara e Damien scesero per ultimi.

 

   Damien dietro di lei la seguiva a debita distanza, forse per paura di un’occhiata di fuoco da parte dell’altra. Sara, d’altro canto, era decisa più che mai ad ignorarlo fino all’arrivo a casa che ormai era questione di pochi minuti.

   Il cielo non prometteva nulla di buono era di uno scuro grigio ed in lontananza si sentivano i tuoni segno che, molto probabilmente, non lontano da loro era in corso un bel temporale.

   Il portone di casa era ormai visibile quando le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere, una pioggerellina leggera che quasi si confondeva con il nevischio. Sara affrettò il passo cercando di non bagnarsi. Raggiunse il portone, mise le chiavi nella toppa ed aprì e richiuse, senza perdere tempo. Damien era stato, volutamente, ignorato ma questo non gli impedì di fermarsi proprio sotto l’abitazione della giovane ed aspettare, con le mani sotto le ascelle. Aspettare un segno di perdono da parte di Sara. Cavolo se era vendicativa la ragazza!

   Sara salì di corsa le scale decidendo di non prendere l’ascensore occupato chissà a quale piano. Una volta dentro casa tolse il cappotto, dopo fu la volta degli stivali. Aprì le finestre e si stupì di notare, proprio sotto il palazzo, Damien attendere un suo segnale. Fortunatamente quella pioggerellina era finita e da lì a pochi minuti, di sicuro, Damien sarebbe tornato a casa.

   Senza attendere oltre Sara si diresse in bagno dove aprì i rubinetti per un bagno caldo. Riempì la vasca e poi vi depositò i sali che aveva comprato un paio di giorni prima in erboristeria, prese il ministereo dalla sua stanza e lo posizionò su una sedia in bagno ed accese il lettore cd. Le note di un brano di Ludovico Einaudi riempirono il piccolo bagno mentre Sara iniziava a togliersi i vestiti.

   Quando mise il primo piede in acqua tutti i suoi pensieri furono relegati in un angolino della sua testa: quello era un momento da dedicare totalmente alla sua persona e non voleva intromissioni dal mondo esterno, anche per questo aveva staccato il cellulare.

   La testa fu poggiata sul piccolo cuscino creato con un asciugamano e gli occhi furono chiusi. La musica entrò lentamente dentro la sua testa e le sue labbra si piegarono in un sorriso rilassato. Era questo quello di cui aveva bisogno, pace e tranquillità: in una parola solitudine.

   Quando l’acqua iniziò a raffreddarsi, Sara capì che era il momento di uscire dalla vasca prima che quel bagno rilassante si trasformasse in qualcosa di terrificante. Infilò l’accappatoio e lo strinse in vita. Si stiracchiò perché la posizione occupata all’interno della vasca da bagno non era proprio comoda poi si diresse verso la sua stanza per cambiarsi.

   Una volta in corridoio sentì il ticchettio della pioggia contro le finestre. Scostò una delle tende e vide che pioveva abbastanza forte, il temporale di poco prima alla fine era arrivato e si stava scatenando sulla città.

   Senza prestare molta attenzione fissò il punto dove poco prima stava Damien e non si stupì di trovarlo vuoto, spostò gli occhi un po’ più a sinistra e stavolta la sorpresa fu tanta. Damien si trovava seduto sotto la tettoia della fermata del tram che passava proprio dalla via dove stava Sara. Questo era davvero assurdo.

   Il primo istinto fu quello di tirare la tenda e fare finta di niente, con quell’atteggiamento Damien non stava concludendo proprio un bel niente, alla fine però prevalse il buon senso e scotendo il capo andò in camera sua ed accese il cellulare. Compose il numero di Damien nascondendo, però, il proprio numero di telefono per non essere riconosciuta subito da lui. Al quinto squillo la voce di Damien, infreddolita ed anche un po’ scontrosa, rispose alla chiamata.

       - Pronto?

   Silenzio. Sara aveva deciso di giocare un po’ con lui.

       - Pronto chi parla?

   Ancora silenzio. Il sorriso si allargava sulle labbra di Sara mentre sentiva Damien perdere sempre più la pazienza.

       - Pronto? Ma non hai niente da fare invece di rompere le scatole? Ma vaffa…

   Adesso aveva perso davvero le staffe, Sara poteva rispondere alle domande del giovane.

       - Hai deciso di fare un sit-in proprio sotto casa mia?

   Il sospiro di sollievo di Damien non si fece attendere.

       - Bhè sai… se non inscenavo qualcosa di davvero spettacolare non mi avresti mai perdonato.

       - E tu credi che basti così poco per farsi perdonare?

       - Non basta?

   Le certezze che Damien pochi secondi prima aveva acquistato, improvvisamente, stavano iniziando a vacillare. Sara non sembrava molto convinta nel volerlo perdonare.

       - Non credo proprio…

   Silenzio. Damien era senza parole. Si trovava lì da ormai trenta minuti, pioveva da almeno venti e non si sentiva più le dita dei piedi. Sara lo stava facendo morire congelato, non era giusto.

       - Ma per questa volta cercherò di farmelo bastare. Cerca di salire e finiscila con questa pagliacciata.

   Ed aveva rimesso giù. Per stavolta poteva ritenersi salvo. Improvvisamente tutto il freddo accumulato era solo un ricordo lontano. Senza attendere molto, per paura di un repentino cambio di idea da parte di Sara, Damien attraversò la strada ed entrò nel palazzo dove abitava la fonte di quella sua infreddatura.

 

Un passo indietro ed io già so
di avere torto e non ho più le parole
che muovano il sole

Un passo avanti e il cielo è blue
e tutto il resto non pesa più
come queste tue parole che si muovono sole

  

   Buon pomeriggio gente! Ho scritto il nuovo capitolo di questa fanfic. Spero che, anche se non accade nulla di eclatante, vi sia piaciuto.

   Anche se con due giorni di ritardo rispetto la promessa fatta ecco le risposte alle splendide cinque donne che hanno trovato un minuto del loro tempo da dedicare ad una sfaticata come me!

 

RINGRAZIAMENTI:

 

- MORBIDINA: Abbiamo un’altra coppia che ancora non sono riuscita a gestire come si deve, Clara è troppo esuberante per i miei gusti ma non posso fare diversamente. La persona che me l’ha ispirata è proprio come lei ed ogni volta è una sorpresa!  Spero tanto che questo nuovo capitolo ti sia piaciuto come il precedente (ho letto la tua recensione e vedo che ti è piaciuto!). Grazie per aver speso un po’ del tuo tempo per m! Alla prossima!

 

- TARTIS: Clara e Danilo non ti hanno mai convinto perché ho reso la loro coppia troppo sbilanciata e probabilmente anche tu, come me, ami la sintonia nelle coppie. Damien come hai potuto notare è tornato all’attacco e Sara, almeno per il momento, ha ceduto ma come ben comprendi voi Sara siete dure a cedere e quindi non cantare vittoria troppo presto il povero Damien faticherà molto prima di essere perdonato. Tornando ai due piccioni del capitolo IXI perché si sono lasciati? Perché non dirlo a Sara? Se lo sapessi te lo direi ma al momento il mio cervello si rifiuta di collaborare… spero di aver risposto a tutte le tue domande ti mando un bacio!

 

-  _ LAURA _ : ma che scusa e scusa, mica devi necessariamente recensire, se hai tempo e voglia fallo altrimenti pazienza, mica te lo ha prescritto il medico! Dai non preoccuparti! Sono felice di rileggerti sia chiaro ma non voglio che tu lo prenda come un obbligo, ognuno deve sentirsi libero di farlo! Passiamo alla storia. Ti ringrazio per quel che riguarda il carattere dei personaggi, cerco di renderli il più umani e veri possibile. Cerco di dar loro dei pregi ma altrettanti difetti e mi auguro di riuscire nel mio intento: renderli veri e piacevoli. Adesso ti saluto, un bacio!

 

- NAFASA: Beautiful è tratto dalla vita di tutti i giorni, forse è un po’ troppo estremizzato ma credimi di storie simili, per fortuna non uguali, a quella di Brooke ne ho sentito parlare… mi sono chiesta perché non poteva succedere anche ai miei due personaggi? Dai che come idea non è tanto malvagia!

 

- HATORI: Taniuzza bedda eccomi qua! Per storpiare il mio nome non ci vuole poi molto prova con Cammmilinedda, mi raccomando le 3 M sono importanti per rafforzare il suono! Mia cara dato che per dare vita al personaggio di Sara mi ispiro molto alla mia persona, e dato che ho una grande stima per il mio migliore amico e gli voglio un’infinità di bene… credimi non potevo mai pensare che tra Sara ed Andrea fosse successo qualcosa. Già descrivere solo la scena del bacio è stato traumatizzante, mi sembrava di scrivere qualcosa di incestuoso figurati se avessi pensato ad una storia tra loro, oddio, ho i brividi! Come mi avevi chiesto per questo capitolo ho scritto qualcosa di tranquillo, niente di che, solo qualche battuta per far ridere. Spero che il capitolo sia di tuo gradimento, come sempre ti mando un mega bacio mia dolce Sanguisuga… alla prossima!

  

   Vorrei invitarvi, se avete tempo e voglia, a leggere la mia nuova fanfic intitolata “Prima dell’ultimo bacio” se siete furbi, ed anche se il titolo è stupido, avrete capito di cosa parlo. Un grazie alle due splendide anime pie che hanno recensito oltre questa anche l’altra storia. Adesso vi saluto e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento!  

   La canzone è “Un passo indietro” dei Negramaro dell’album “La finestra” del 2007.

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo XXI ***


Nuova pagina 1

Capitolo XXI

 

   Se lo era ritrovato in casa sua. Non capiva come fosse possibile eppure, Damien Mc Glass in quel preciso momento, era davanti l’ingresso del suo appartamento…

   La domanda sorgeva spontanea: perché lo aveva invitato a salire?

   L’espressione “cane bastonato” si identificava perfettamente con quella che aveva Damien.

   Testa china. Espressione mogia. Spalle curve.

   Sapeva di avere torto e stava tentando in tutti i modi – leciti e non – di intenerire Sara. I capelli bagnati gli ricadevano sul viso nascondendogli gli occhi castani. La pozza che si era formata ai suoi piedi mostrava chiaramente che era rimasto a lungo sotto il temporale, nonostante la tettoia sotto cui aveva trovato rifugio, e tutto questo solo per un gesto di perdono da parte di lei.

   E poi il significato di quel silenzio – colpevole – era inequivocabile: ho sbagliato ma perdonami!

   Stava fermo sulla soglia attendendo un cenno per entrare. Non avrebbe mai messo piede all’interno dell’appartamento se Sara non si fosse fatta da parte e gli avesse concesso il permesso: Damien sapeva come giocarsi le sue carte!

       - Hai finito con questa sceneggiata? Non mi corrompi con quattro moine!

   Si era fatta da parte per lasciarlo entrare. Damien non se lo fece ripetere due volte precipitandosi all’interno dell’appartamento. In realtà temeva che Sara potesse cambiare idea da un momento all’altro, magari costringendolo a tornarsene sotto il temporale che imperversava fuori.

   Il tepore che lo accolse gli fece rilassare i muscoli delle spalle facendogli assumere una posizione più rilassata.

       - Togli quel giubbotto ed il maglione, saranno fradici. Se vai in bagno puoi asciugare i capelli, il fon lo trovi nel mobile sotto la finestra. Io intanto vedo se ho qualcosa da prestarti…

       - Niente pizzi e merletti se è possibile!

   La risposta era uscita spontaneamente. Senza doppi sensi, senza intenzioni bellicose. Era stata una battuta gettata lì per caso solo per allentare la tensione, ma Sara non l’aveva interpretata in tal senso.

       - Lo fai apposta, non è vero?

   Sara non sapeva come spiegarsi il comportamento di Damien: prima si comportava come un cucciolo bisognoso di coccole – e di perdono – e l’attimo dopo era il suo aguzzino pronto a colpire a tradimento con una battuta acida. A che gioco stava giocando?

   Damien invece non comprendeva gli sbalzi d’umore di Sara: l’attimo prima era preoccupata per il suo stato di saluto, l’attimo dopo l’aggrediva come una belva assetata di sangue… per giunta il suo sangue!

       - Non capisco. Che vuoi dire?

       - Lascia perdere!

   Aveva lasciato lì Damien ed era andata in camera sua per cercare una delle tante felpe che, puntualmente, Andrea dimenticava da lei. Dopo una breve ricerca tornò davanti la porta del bagno bussò diverse volte ma senza successo. Il rumore dell’asciugacapelli copriva i suoi richiami. Sistemò la felpa sul tavolino basso del soggiorno ed andò in cucina. Avrebbe pensato dopo alla felpa da prestare a Damien.

   Damien era entrato in bagno ed aveva tolto il maglione bagnato lasciandolo ad asciugare sul termosifone caldo. Si guardò allo specchio e notò la barba leggermente lunga. Si lavò il viso sperando di calmarsi: la visione di Sara, con un maglioncino striminzito a comprimerle i seni sodi e rotondi, non lo aveva lasciato indifferente. Se lo sentiva, quello sarebbe stato un pomeriggio difficile, molto difficile!

 

   Il profumo del soffritto di cipolla stava saturando l’ambiente. Sara stava preparando un’insalata quando la raggiunse la voce di Damien.

       - Sara scusa un attimo…

   Si girò e rimase immobile, sorpresa. Damien era in cucina scalzo e con il torace nudo. I capelli perfettamente in disordine incorniciavano quel viso ricoperto da una barba di un paio di giorni.

   Damien non mancò di notare l’imbarazzo di Sara e decise di aumentarlo. Dopo tutto doveva riprendersi una rivincita: pochi minuti prima era stata lei a farlo andare su di giri! Con il tono più beffardo del suo vastissimo repertorio, decise di continuare con il suo piano di vendetta!

       - Ti faccio ancora questo effetto…

       Sara si riprese immediatamente non appena sentì la voce di Damien. Nonostante la voce divertita, negli occhi del calciatore si poteva intuire un’espressione… vittoriosa.

       - Non capisco di cosa parli!

   Damien sorrise e guardò Sara attentamente. Un contatto diretto per cercare di arrivare a lei, alla sua parte più intima. A quella ragazzina di diciotto anni di cui era innamorato… di cui forse era ancora innamorato anche se adesso quella ragazzina era una donna stupenda.

       - Sì che lo sai.

   Sara sorrise in modo ironico e si girò nuovamente verso i fornelli. Il modo in cui l’aveva guardata Damien non le era piaciuto. Era come se le avesse scavato dentro facendole tornare a galla sensazioni sopite, forse dimenticate.

   Sentiva le guance in fiamme ed il cuore che batteva a mille. La gola era secca e le mani tremavano leggermente. Si sentiva come quando, ancora adolescente, restava senza parole davanti al corpo di Damien.

       - Sara…

   C’era una cosa che però Sara non tollerava, era la sicurezza acquisita da Damien negli anni: le mancava il ragazzo timido che prima di parlare con lei si guardava le scarpe per cercare le parole adatte per iniziare un discorso.

       -  Sara…

   Al secondo richiamo era sbottata. Si sentiva maledettamente nervosa, quella situazione la imbarazzava e Damien continuava con il suo atteggiamento da latin lover.

       - Ok! Sì, sei un bel ragazzo ed è normale che io mi sia imbarazzata nel trovarti così svestito in cucina! Sei contento adesso?!

   Damien non riuscì a trattenere il sorriso che era nato sulle sue labbra.

       - Veramente volevo chiederti dove potevo trovare qualcosa da mettermi addosso…

   Sara arrossì fino alla punta dei capelli. Non poteva essersi resa ridicola con le sue stesse affermazioni. Non poteva aver detto quello che avevano sentito le sue orecchie. Non era lei ad aver tratto conclusioni affrettate. Non poteva essere vero!

   Arrabbiata con se stessa si diresse in soggiorno. Prese la felpa e la lasciò in malo modo tra le mani di Damien che, vedendo questa reazione, non riuscì a trattenersi dallo stuzzicarla… ancora.

       - Se preferisci resto così, per me non è un problema!

       - Piantala!

   Fu un ringhio quello di Sara. Aveva pregato tutti i Santi del Paradiso affinché la proteggessero e le evitassero di commettere un omicidio. Non poteva uccidere Damien e rovinare così la sua promettente carriera di chirurgo. Lei le vite le salvava! No, doveva trattenersi dal commettere l’errore più grosso della sua vita…

       - Perché? È divertente vederti imbarazzata! Le tue guance diventano rosse e si gonfiano… mi ricordi tanto una bambina che ho conosciuto molti anni fa!

       - A me invece non fa ridere.

   Così dicendo diede le spalle a Damien e si concentrò sulla cipolla che si dorava a fuoco lento.

   Damien restò ad osservare le spalle di Sara e sorrise. Era più forte di lui, doveva necessariamente stuzzicarla altrimenti non sarebbe riuscito a trattenersi.

   Da quando era entrato in quell’appartamento moriva dalla voglia di baciarla.

   Restava al suo posto solo perché non aveva capito se poteva permettersi una cosa del genere. Era un rischio che non sapeva se poteva correre, non voleva rinunciare a lei solo perché non era riuscito a trattenere il suo desiderio.

   Mise la felpa e decise di darle – e darsi – un po’ di tregua, non poteva continuare per molto, rischiava di farla infuriare ed allontanarla.

   Si mise a sedere proprio in cucina e rimase ad osservare i movimenti di Sara che con grazia ed agilità si destreggiava tra i fornelli, il profumo era buono, stuzzicante. Si chiedeva cosa stesse preparando di buono.

 

   Dopo meno di mezz’ora – e dopo l’ennesima litigata su chi doveva apparecchiare – erano seduti in tavola. Il risotto ai funghi si presentava davvero bene. Gli spiedini di carne erano tenuti al caldo in una pirofila di terracotta, l’insalata era condita e le bibite erano al centro del tavolo.

   Sara e Damien sedevano uno di fronte l’altro e fissavano i loro piatti.

   Erano entrati in un altro dei loro momenti di stallo. In uno dei loro momenti di mutismo dove ognuno era per i fatti propri, anzi, era Sara ad essere persa in chissà quale riflessione. Damien aveva solo un chiodo fisso: capire se aveva almeno una chance con la sua ex.

   Era inutile continuare a far finta di niente: Sara non gli era indifferente. Non si trattava di amore, questo lo capiva perfettamente. Era diverso dal sentimento che nutriva per lei ai tempi del liceo. Quello di adesso era qualcos’altro, basato su una profonda attrazione fisica vero, ma non solo su quella.

   Stava bene con lei. Rideva, scherzava, era normale. Non si sentiva il calciatore, era semplicemente Damien. Forse era questo a buttarlo verso lei, ma non era sicuro. Non poteva basare i suoi sentimenti solo su sensazioni, doveva esserne certo. Aveva fatto soffrire Sara già una volta e conoscendo la ragazza, non gli avrebbe concesso una seconda possibilità tanto facilmente.

   Doveva indagare e capire se poteva osare, ma intanto doveva assolutamente uscire da quel mutismo che lo stava uccidendo.

       - Complimenti è squisito!

   Rompere il silenzio con un complimento era la cosa migliore, e poi era vero: quel risotto era davvero buono. Il sapore dei funghi si sposava divinamente con quello del vino bianco.

       - Dove hai imparato a cucinare così bene?

       - Se vivi da sola fai di necessità virtù. Ho imparato pian piano e poi a Catania ogni tanto mi capitava di cucinare e non ero così pessima!

   Forse era riuscito ad iniziare una nuova conversazione.

   Era tutto maledettamente complicato, Damien aveva paura di dire o fare qualcosa di sbagliato. Rimpiangeva gli anni passati quando parlavano senza timore, liberamente. Adesso era tutto diverso, più difficile.

       - Beata te! Io ancora oggi ho difficoltà a farmi un uovo sodo. Non so mai quando devo interrompere la cottura. Una volta figurati che ho dimenticato il pentolino sul fornello ed ho trovato l’uovo spiattellato in tutta la cucina…

       - Immagino il profumino!

       - Già! Per casa aleggiava una nuova fragranza : Eau de ové!

   Ed erano scoppiati a ridere entrambi. Il ghiaccio era rotto e Damien riuscì a tirare un sospiro di sollievo. D’ora in avanti, sarebbe stato molto più facile parlare con Sara.

   Tra una portata e l’altra continuarono la loro chiacchierata.

       - Sai che non facevo Danilo un tipo da felpa extralarge. Lo immaginavo più che altro uno da giacca e camicia anche fuori dallo studio!

       - Non ti seguo un’altra volta!

   Sara non sempre riusciva a seguire Damien nei suoi voli pindarici. Il ragazzo era capace l’attimo prima di rivangare il loro passato, l’attimo dopo raccontarle una sua avventura al limite del possibile. Questo era uno di quei momenti. Fino a due minuti prima stavano parlando del come si trovavano entrambi a vivere a Torino ed adesso eccolo lì a parlare di felpe extralarge e giacche. Perché i discorsi di Damien non seguivano mai un filo logico?    

       - Mi riferisco alla felpa. Non credevo che Danilo vestisse sportivo fuori dallo studio! Da come parlava l’altra sera sembrava tutto perfettino, camicia con il colletto perfettamente inamidato, occhialino rettangolo ed invece… 

       - La felpa! Adesso ho capito! Quella felpa non è di Danilo. È di un mio amico. L’ha dimenticata qui l’altra sera.

   Un campanello d’allarme suonò nella testa di Damien. Chi era questo amico che dimenticava la felpa in casa di Sara? Non aveva mai sentito parlare di questo fantomatico amico. Ma era davvero un amico o no?

       - Tutto bene?

   Il tocco di Sara sul suo braccio lo riportò alla realtà. Guardò la mano della ragazza poggiata ancora sul suo braccio e poi guardò il viso di lei che di rimando lo fissava preoccupata.

       - Sì, tutto bene!

       - Mi sembri teso.

   Teso? Non era teso era solo maledettamente agitato. Chi era questo amico?

       - Non preoccuparti, sto benissimo.

       Sto semplicemente morendo di curiosità!

   Ma questo lo tenne per sé. Si sforzò di sorridere e continuò a mangiare il suo spiedino di carne, ma stranamente la fame era passata.

   Doveva darsi una regolata. Non poteva comportarsi come un ragazzino, non poteva! Ne andava del suo onore: era considerato uno sciupa femmine non poteva certo farsi intimorire da questo… fantomatico amico!

       - Dovresti conoscere Andrea. Andreste d’accordo. Avete lo stesso hobby: prendermi in giro. Dio, siete odiosi quando vi ci mettete! 

   Andrea… e così l’amico aveva anche un nome… e gli piaceva stuzzicare Sara.

   No, non era affatto un buon segno. Il 90% delle volte, quando un ragazzo si prende gioco di una ragazza lo fa solo per una ragione: attirare la sua attenzione.

   Adesso quale ragazzo con un po’ di cervello attirerebbe l’attenzione di una semplice amica?

   Altra domanda da un milione di euro: quale ragazzo sano di mente vorrebbe Sara  come semplice amica?

   Non poteva fidarsi di questo Andrea. No! Doveva saperne di più!

       - Non è che lui ci prova e tu non te ne sei accorta?

   Pessima domanda. Damien sapeva di aver fatto la figura dell’idiota ma era stato più forte di lui. Doveva capire cosa c’era tra Sara ed il suo amico Andrea… amico… amico del piffero!

       - Andrea? Ma piantala. È da otto anni che ci conosciamo. Anche se, periodo ipotetico di terzo tipo, avesse provato in passato qualcosa nei confronti della sottoscritta dubito che dopo otto anni sia ancora possibile!

   Alt! Sara aveva insinuato che in un passato non tanto remoto, questo presunto amico poteva aver provato qualcosa per lei… allora aveva ragione per sospettare!

       - E perché no? Cosa gli impedisce di continuare a provare qualcosa per te?

   Aveva buttato a caso quelle parole. Doveva dimostrarsi disinteressato e soprattutto, Sara non doveva intuire nulla! E poi non era impossibile: dopo più di dieci anni lui provava ancora qualcosa per lei! Non sapeva di cosa si trattava ma un sentimento c’era!

       - Andrea mi vede solo come un’amica e per me è lo stesso. Mi è stato accanto in momenti davvero difficili comportandosi come un fratello. Non prova nulla per me, se non un profondo affetto fraterno!

   Per un attimo aveva visto ancora quell’ombra di tristezza attraversare il viso di Sara, ma era stato solo un attimo. Subito dopo il sorriso era tornato il solito sorriso solare. Damien si chiedeva quale potesse essere la causa di tanta sofferenza, era inutile negarlo: Sara stava soffrendo ancora anche se lo nascondeva abbastanza bene.

       - Io non credo all’amicizia tra un ragazzo ed una ragazza. Noi ne siamo la prova! Non credo che il tuo Andrea ti veda come la sorellina da proteggere.

       - Sei incredibile! Non cambierai mai!

   Ed era scoppiata a ridere.

   Non esisteva l’amicizia tra un ragazzo ed una ragazza e loro ne erano l’esempio lampante. Avevano provato ad essere amici ma con risultati davvero deludenti. La loro amicizia era durata solo due mesi il tempo di conoscersi meglio ed innamorarsi uno dell’altro!

       - Noi abbiamo provato ad essere amici… hai visto anche tu come è finita!

   Sara si era alzata ed aveva posato i piatti sporchi nel lavabo. Era tornata con della frutta di stagione che aveva messo a tavola.

       - Ma io non sono attratta da Andrea e lui non è attratto da me!

       - Non ne sarei tanto sicuro!

       - Pensala come vuoi. Per me Andrea è solo un amico!

       - Contenta tu. Poi non venire a piangere da me quando il tuo amico ti bacerà a tradimento!

   A quelle parole Sara quasi rischiò di tagliarsi la mano. Damien non mancò di notarlo. Allora era vero! Lui aveva tentato di baciarla, e lei? Come aveva reagito?

       - Ci ha già provato! Lo sapevo! Vedi che ho ragione io? Non esiste l’amicizia tra uomo e donna!

   Damien sentì il mondo crollargli sulle spalle. Allora non si era sbagliato! L’amico non era poi così amico dato che aveva tentato di baciarla… o l’aveva già baciata? Improvvisamente quella felpa gli andava stretta. Non vedeva l’ora di poterla togliere.

       - Sei impossibile! Adesso basta! Sembri un fidanzato geloso tanto sei assillante!

   Gli occhi di Sara, nel sentire le sue stesse parole, si illuminarono. Adesso capiva! Osservò il viso inespressivo di Damien ed un sorriso sadico si formò sulle sue labbra.

       - Tu sei geloso! Sei geloso di Andrea!

   Aveva puntato il dito contro il viso di Damien e questa volta fu il ragazzo a rischiare una ferita alla mano! Doveva mantenere il viso inespressivo e non far trapelare la sua agitazione. Era riuscito a trattenersi dal baciarla, poteva trattenersi anche dal manifestare la gelosia.

       - Sei libera di pensare ciò che vuoi. Ribadisco: il tuo Andrea ci prova!

   Il suo Andrea! Pronunciare quell’aggettivo possessivo era stato alquanto difficile. Damien si era sentito morire. Si era sentito derubato della persona più importante della adolescenza, defraudato dei suoi ricordi!

       - Magari!

   La risposta di Sara lo fece sentire peggio!

   Quello che seguì a quelle parole fu un’arancia cadere sul pavimento! Damien, dopo quella risposta, data tra l’altro con tono sconfortato, aveva perso la presa sul frutto facendolo finire, con il coltello ancora conficcato nella sua polpa – per Damien conficcato più che altro nella carne di Andrea – sul pavimento.

   A quella scena Sara iniziò a ridere senza ritegno.

       - Oddio, se vedessi la tua faccia! Damien sei buffissimo!

   Damien si era chinato sotto il tavolo per prendere l’arancia caduta. Nel farlo i suoi occhi finirono sulle gambe – nude ed accavallate – di Sara. Doveva alzarsi immediatamente, stava iniziando a sentirsi male. Le risate di Sara, poi, non erano d’aiuto! Ed il pensiero di Andrea che l’aveva baciata non lo faceva sentire meglio!

       - Finiscila!

   Era un grugnito più che un ordine ma non era riuscito a trattenere il suo disappunto. Odiava essere preso in giro! Ed odiava quell’Andrea che aveva baciato Sara!

       - Perché? È divertente vederti imbarazzato!

   L’aveva fregato. Adesso era lei a prendersi gioco di lui… e per di più lo faceva usando le sue stesse parole!

       - Mio caro, chi la fa l’aspetti!

 

   Il pranzo continuò senza altri momenti imbarazzati ed era pomeriggio inoltrato quando Damien decise di tornarsene a casa. Il discorso di Andrea era stato messo da parte e non era più stato toccato. Rimaneva però il dubbio: ci provava o no? Il bacio intanto era vero e questo non deponeva a favore dell’amico del piffero! Ma non era il momento per indagare. Doveva tornare in ospedale a riprendere la sua macchina e poi doveva passare dal centro sportivo per un controllo alla spalla.

   In ogni modo, Damien si compiacque del cambio di umore di Sara. Non più arrabbiata, delusa, scontrosa, ma serena e meno tesa rispetto all’ incontro della mattina.

       - Sei più rilassata, mi fa piacere!  

   Erano seduti sul divano e guardavano un programma musicale. Sara si stupì del cambiamento di tono nella voce di Damien, dal canzonatorio di pochi secondi prima adesso era passato ad… allegro? Più correttamente sereno.

       - Prego?!

       - Nel senso che quando sei uscita dall’ospedale eri arrabbiata e triste. Avevi gli occhi lucidi… mancava poco che iniziassi a piangere! 

   Era sorpresa. Damien aveva percepito il suo turbamento. Certo non era difficile da intuire, in pratica, all’uscita dell’ospedale lo aveva investito con tutta la sua rabbia e frustrazione, ma lui si era accorto delle lacrime che aveva trattenuto. Aveva letto la sua sofferenza ed aveva tentato di aiutarla!

       Oggi è stata una pessima giornata…

   Improvvisamente quelle sue parole pronunciate solo poche ore prima le sembrarono lontane mille anni.

   Non era più arrabbiata.

   Non si sentiva più disperata.

   Non voleva più spaccare il mondo.

   Non era più una giornata tanto pessima.

   Anzi, non era più una giornata pessima, al contrario…

   E tutto questo grazie alla compagnia di Damien.

       Mi spiace ma non posso lasciarti sola proprio adesso…

   E così aveva fatto. L’aveva scortata fino a casa restandole accanto nel suo modo particolare, ma non l’aveva lasciata da sola!

       - Hai ragione. È stata una giornata terribile. Te l’ho detto, ho rischiato di perdere un paziente e non l’ho presa tanto bene.

       - Immagino che non debba essere piacevole.   

       - Per nulla. Ti senti una fallita.

       - Ma non lo sei. Sei un medico e salvi la vita alle persone. Non sei divina, sei umana. È normale perdere un paziente. È brutto a dirsi, ma fa parte del gioco.

   Era parte del gioco, era vero. A volte però quel gioco era barato come nel caso del signor Amorosi. Stava per morire ma non perché era arrivata la sua ora. Stava per morire a causa della superficialità di altri.

       - Oggi è stato diverso. Stavo per perdere un paziente a causa della superficialità di altri colleghi.

       - Ma tu lo hai salvato. Il tuo paziente te ne sarà per sempre grato. Gli hai ridato la vita, non è una cosa da poco.

   Già. Ogni volta che salvava una vita in realtà la ridava. Era bello vedere la gratitudine sul volto del paziente e dei familiari. A volte c’era chi la veniva a trovare anche a distanza di tempo. Operava da solo due anni ma in quel periodo aveva visto tanti sorrisi. Lacrime di gioia ma anche di dolore.

   Quando perdeva un paziente si sentiva svuotata. Morta anche lei. Era terribile. Tornava a casa e si buttava sul letto. Non mangiava e non dormiva. Stava lì ed aspettava che il dolore andasse via.

       - Grazie.

   Dopo quelle parole, di slancio, abbracciò Damien.

   Un abbraccio delicato.

   Un abbraccio gentile.

   Un abbraccio carico di affetto.

   Si separarono con un leggero imbarazzo da parte di Sara. Fu Damien a parlare quando Sara era ancora vicina.

       - Immagino che se adesso ti baciassi rovinerei tutto.

   Sara si irrigidì provando a sfuggire alla presa di Damien ma non le fu possibile.

       - Scusa, non volevo imbarazzarti.

       - Damien io…

   Damien fece di no con la testa. Non era il momento adatto per le parole. Salutò Sara con un casto bacio sulla guancia, mise il giubbotto pesante ed uscì senza dire nulla.

   Sara rimase pietrificata sul divano, senza capire cosa era successo. Senza capire perché non era riuscita a parlare. Rimase semplicemente lì… confusa.

 

Ma che disastro, io mi maledico
ho scelto te - una donna - per amico,
ma il mio mestiere è vivere la vita
che sia di tutti i giorni o sconosciuta;
ti odio forte, debole compagna
che poche volte impara e troppo insegna.

 

   Ed anche questo capitolo è stato inserito. Damien ha fatto la sua mossa, adesso sta a Sara decidere cosa fare. Non ho molto da dire a riguardo, finalmente le acque si smuovono per i nostri due protagonisti.

   Nel prossimo capitolo spero di poter dare spazio anche all’altra coppia che per il momento è stata solo accennata: Andrea e Clara.

   Non so se ve ne siete accorta ma negli ultimi capitoli sto cercando di dare un’impronta leggermente più umoristica alla storia, spero solo di riuscirci e non risultare troppo forzata in alcune scene.

   Passo velocemente ai ringraziamenti!

 

RINGRAZIAMENTI:

 

- MORBIDINA: ciao! Sara è dotata di molta pazienza (la mia pazienza) se non ha urlato contro Damien in mezzo la strada è stato solo perché dotata oltre che di sangue freddo anche molta autostima. Questo tende a non farsi vedere mai in difficoltà dagli altri ecco perché quando ha incontrato Damien non ha iniziato ad urlargli contro: non voleva farsi vedere fragile, il fatto che poi, nonostante tutto, lui se ne sia accorto la destabilizza un po’. Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, alla prossima!

 

- _LAURA_: Buona sera. Ci becchiamo anche qui noi, domani (lunedì) arriva il tuo aggiornamento e sono curiosa cosa accadrà in Sala Grande, ma adesso è meglio tornare alla mia fanfic! Damien è dolce? Non saprei… io penso che è anche intraprendente visto il modo in cui ha lasciato Sara. La bacio o non la bacio? Meglio far decidere lei! Che ne pensi di questo suo atteggiamento? Sono curiosa di sapere se lo giustifichi o meno. A me personalmente avrebbe dato fastidio l’essere baciata così a tradimento. Ogni bacio nasce da una precisa situazione… poi quando ormai il rapporto è avviato, bhè lì diventa la sagra dei baci rubati, ma il primo bacio (per loro il primo dopo tanto tempo) non poteva certo nascere così, non credi? Ma poi la domanda sorge spontanea: ma questo bacio ci sarà o sono io a mandarti fuori pista?

 

- TARTIS: Buonasera vera Sara… sono felice che il capitolo scorso ti sia piaciuto. Povere ragazzine, sono entrate in fibrillazione atriale solo perché hanno parlato due secondi con Damien, ma la nostra Sara che è stata la sua fidanzata per diversi anni che dovrebbe dire? E poi scusa, come dovrebbe reagire adesso? Correre e fermare Damien e baciarlo sotto la pioggia oppure rimanere impalata come uno stoccafisso in mezzo al salone? Volevo precisare però che Sara non è così sadica, non lascia Damien per mezz’ora sotto la pioggia solo perché si vuole vendicare. Lei era a fare un bagno rilassante, mica poteva sapere che il giovanotto restava lì ad aspettare! È stato lui a volersi bagnare, la nostra Sara è semplicemente un’anima pia impietositasi davanti a quel pulcino bagnato! Per quel che riguarda l’altra fic mi sa che dovrai aspettare un po’ di più, sono davvero piena e le fic le aggiorno a rilento. Adesso ti saluto passo alle altre ragazze!

 

- NAFASA: finalino romantico? Allora ti è piaciuto il mio finale da thriller? Sara che farà adesso?

 

- HATORI: Taniuzza bedda come stai? Mi spiace non essere stata sufficientemente chiara nella prima parte ma è stato necessario. Se avessi utilizzato termini meno tecnici avrei rischiato di falsare la fanfic e non essere più realistica. Se non hai capito qualcosa, comunque, non farti problemi. Hai tutti i miei contatti, cercami ed io ti risponderò! Parlando di cani bastonati anche Sara ha avuto la tua stessa sensazione ed impietositasi lo ha fatto entrare in casa e dopo ha seppellito l’ascia di guerra (naturalmente Damien permettendo!). Parlando di prima mossa, e confermando – ancora una volta – le tue sensazioni, mi sa che questa è ancora più prima mossa, non credi? In un modo un po’ insolito ma le ha chiesto un bacio… e Sara? Ma chi lo sa… U.U io non dico nulla!

 

  Credo di aver finito. Vi do appuntamento con il prossimo capitolo.

   I versi che chiudono il capitolo sono tratti da “Una donna per amico” di Lucio Battisti, tratto dall’album omonimo dell’anno 1978.

   In basso ho aggiunto un link relativo a quella che, a mio modo di vedere, è l’attrice più adatta per dare il volto a Sara. Per chi non la conoscesse, credo davvero in pochi, è Nicole Grimaudo, un’attrice siciliana – catanese come me – gli altri attori/personaggi sono pronti e sono tutti italiani!

   Apro un piccolo sondaggio:

1.    Quale attrice avreste scelto voi per il personaggio di Sara?

2.    Quale altro personaggio volete scoprire? E quale volto gli dareste?

Sara Graci

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo XXII ***


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   Capitolo XXII

 

       - Sveglia!

   Un mugolio in risposta – forse un grugnito –e lo spostarsi verso sinistra, dal lato opposto rispetto all’origine della voce fastidiosa.

       - Svegliati pigrona!

   Stavolta la voce proveniva proprio dalla sua sinistra, si rigirò verso destra tenendo sempre gli occhi chiusi, non aveva la forza di aprirli.

       - Mi sto innervosendo, adesso cerca di svegliarti!

   Non era possibile! La voce proveniva nuovamente dalla sua destra.

   Perché quella mattina si erano trasferiti tutti nella sua stanza? C’era forse un “Congresso Internazionale sul come disturbare una povera ragazza bisognosa di dormire” proprio in camera sua? Possibile che solo lei non fosse al corrente dell’evento? Cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto ciò?

   Mise la testa sotto il cuscino tenendo sempre gli occhi chiusi. Quelle voci, e sapeva di chi si trattava, erano insopportabili. Rimbombavano in testa ed erano amplificate al massimo! Voleva solo dormire ed invece niente, non le concedevano un attimo di pace! Un martello pneumatico piantato nelle sue orecchie sarebbe risultato essere molto meno fastidioso delle voci che quella mattina, dolcemente, le avevano dato il buongiorno!

   Improvvisamente il caldo confortante del piumone svanì ed un freddo pungente investì il suo corpo ancora rannicchiato sotto quello che era stato il suo rifugio rassicurante. Chiuse ancora di più gli occhi, facendo aumentare così la sua emicrania: odiava il mal di testa post-sbornia. Ancora di più odiava le Scimmie Urlatrici che avevano organizzato un concerto proprio dentro la sua testa!

   Generalmente non beveva molto ma quella volta ne aveva avuto bisogno. Doveva rilassarsi e spegnere, per un bel po’, il cervello!

 

*****

 

       - Immagino che se adesso ti baciassi rovinerei tutto.

   Otto parole che avevano avuto la capacità di mandarla in crisi. Aveva provato a rispondere ma senza successo. La lingua le si era ingarbugliata ed era riuscita solo a balbettare il nome del… come definirlo? Amico? Ex? Spasimante? Corteggiatore?

   Era confusa, non sapeva che ruolo Damien ricoprisse, adesso, nella sua vita e questo la faceva sentire impotente, lei che era sempre stata abituata a catalogare le persone con una proprietà… Andrea l’amico, Clara la confidente, Anna il rimpianto, sua madre il nemico, suo padre l’eroe ed adesso Damien… un grandissimo punto di domanda!

   E poi baciarlo? Il solo pensiero le provocò un brivido lungo la colonna vertebrale; che genere di brivido, però, non riusciva a capirlo.

   Aveva già baciato Damien – effettivamente aveva fatto anche altro, molto altro, con lui – e sapeva come baciava, non aveva bisogno di dimostrazioni. Lo conosceva, o meglio, conosceva il ragazzo appena uscito dall’adolescenza, il nuovo Damien – l’uomo Damien – per lei era un perfetto estraneo e questo, insieme ad altre buone ragioni, la bloccava. Non si trattava di paura, no, era qualcos’altro, ma non riusciva a capire cosa… forse buon senso! 

   Era stata rapita dai suoi pensieri e si era scissa in due, senza sapere cosa dire, cosa fare, come comportarsi. Era di fronte ad un bivio e non sapeva quale strada prendere.

   Appena aveva sentito quelle parole, una vocina nella sua testa le aveva urlato di saltargli addosso, baciarlo e dimenticare il resto. Anche lei aveva bisogno di amore. Anche lei aveva bisogno di lasciarsi andare; aveva creduto di poter provare, ma era stato solo un attimo. Giusto il tempo di pronunciare il suo nome e si era bloccata iniziando a balbettare.

   Stavolta nessuna vocina nella sua testa, solo un ricordo che le fece gelare il sangue nelle vene. No. Non poteva permettersi di lasciarsi andare. Sarebbe rimasta nuovamente scottata, ferita, umiliata. Avrebbe nuovamente raccolto i cocci del suo cuore infranto e non voleva farlo, non voleva più soffrire. Inoltre, era quasi arrivata alla realizzazione del suo sogno, non poteva permettersi delle distrazioni, di nessun tipo.

   Quando il flusso dei suoi pensieri si fu interrotto, si era ritrovata sola in casa seduta sul divano a guardare un punto fisso davanti a sé. Una guancia che bruciava per via di quel bacio delicato, caldo, che Damien le aveva depositato pochi minuti, secondi, istanti, prima.

   Aveva chiuso gli occhi e si era buttata a peso morto sul divano, sdraiandosi e rannicchiandosi in posizione fetale.

   Appena chiuso gli occhi aveva iniziato a piangere.

   Rabbia.

   Angoscia.

   Frustrazione.

   Iniziò a picchiare i pugni contro il divano ed ad ogni colpo si sentiva sempre peggio. Urlò contro il cuscino tutto il suo… malessere.

   Meno di due settimane prima aveva promesso ad Andrea di reagire. In macchina aveva creduto davvero di potercela fare. Si era detta che era arrivato il momento di voltare pagina e ricominciare; si era detta che il suo attimo doveva concludersi in quella mattina piovosa di fine novembre… ed adesso era lì a piangere e disperarsi perché si era resa conto che il suo passato l’avrebbe tormentata in eterno.

   Urlò ancora contro il cuscino, non voleva farsi sentire da nessuno… non voleva sentirsi. Era una sconfitta, l’ennesima di una vita.

 

   Solo dopo un po’ di tempo, neanche lei sapeva effettivamente quanto ne era passato, era riuscita a frenare la valanga di lacrime. Si era messa seduta sul divano abbracciandosi le ginocchia, sperando di scaldarsi. Aveva freddo nonostante l’ambiente fosse riscaldato. La televisione mandava in onda le immagini di un video di cui non conosceva la canzone, figurarsi il cantante. Si alzò per spegnerla e facendolo notò i piatti ancora sporchi del pranzo.

   Si rimboccò le maniche del maglione ed andò in cucina. Sistemò il vino bianco servitole per preparare il risotto al suo posto e fu allora che la vide: una bottiglia di vino rosso, chiusa, sigillata. Probabilmente risaliva all’ultima cena a cui avevano partecipato anche Danilo e… Damien.

   Guardò l’orologio e si accorse che erano quasi le otto, Clara sarebbe tornata presto. Un bicchiere non le avrebbe fatto male, magari la sua coinquilina le avrebbe fatto compagnia. Dopotutto era Clara quella super sofisticata che sapeva come e quanto bere!

   Guardò il suo cellulare e notò le chiamate della madre… nessuna di Damien.

   La chiamò tranquillizzandola e dicendole semplicemente che aveva dormito. Probabilmente era la verità, quando Damien aveva detto che andava via erano passate le cinque da poco. Non poteva aver pianto per più di tre ore!

   Dopo aver chiuso con sua madre aprì la bottiglia e si riempì il bicchiere di vino iniziando a sorseggiarlo lentamente.

   Aveva bisogno di scaldare la sua anima, sapeva che dal vino non avrebbe tratto giovamento ma non le interessava. Voleva spegnere il cervello! Avrebbe preso solo un bicchiere e poi avrebbe iniziato a lavare i piatti.

   Il primo sorso andò giù bruciandole la gola. Non amava particolarmente il vino, preferiva la birra o cocktail con un tasso d’alcool davvero basso, bassissimo, ma per quella sera avrebbe fatto un’eccezione e lo avrebbe bevuto.

   Avrebbe bevuto solo per dimenticare. Appena formulato quel pensiero ecco che le parole di Damien le tornarono in mente, facendole mandare giù anche il secondo sorso. Ancora bruciore ma stavolta meno intenso di prima, forse si stava abituando.

   Il cervello però… quello restava sempre accesso, ed allora era meglio andare giù con il terzo ed il quarto sorso. Il bicchiere presto si fu svuotato con grande dispiacere di Sara, mentre il suo cervello era rimasto attivo, forse più di prima.

   Chiuse gli occhi e poggiò la testa sul tavolo. Il fresco della superficie di legno le regalò un lieve benessere. Cercò di rilassarsi ma con scarsi risultati, la tensione e frustrazione erano ancora lì. Aprì gli occhi, la testa poggiata ancora sul tavolo. Davanti a lei stava la bottiglia di vino. Si riempì ancora un bicchiere, stavolta mandò giù tutto in un sorso. Il bruciore fu insopportabile tanto che iniziò a tossire violentemente.

   Riuscì a riprendersi dopo pochi minuti – e dopo varie imprecazioni rivolte contro se stessa e la sua inettitudine, non era capace neanche di ubriacarsi – aveva la gola in fiamme, forse per il vino o forse per la tosse. Provò ad alzarsi ma con scarsi risultati, perse l’equilibrio e finì nuovamente seduta.

   La testa girava vorticosamente.

   La luce le dava tremendamente fastidio.

   Il suo cervello, sfortunatamente, era ancora lucido, sveglio.

   Guardò la bottiglia.

   Guardò il bicchiere vuoto.

   Allungò il braccio fino alla bottiglia riempiendosi un altro bicchiere. Al diavolo tutto e tutti. Voleva dimenticare ed avrebbe bevuto fino a che non avrebbe ricordato neppure il suo nome. Non le importava di nulla. Neanche del rischio di ubriacarsi, voleva – doveva – necessariamente dimenticare! Guardò il bicchiere pieno di quel liquido rosso, chiuse gli occhi.

       - Alla mia salute!

   E giù in un unico sorso. Era il terzo bicchiere, lo poggiò sul tavolo in un gesto brusco. Poi fu il turno della sua testa, anche essa finì sul tavolo. Chiuse gli occhi, le orecchie le fischiavano. Iniziò a battere la fronte sulla superficie di legno.

       - Spegniti! Spegniti… maledizione basta!

   Gli occhi le si riempirono di lacrime che iniziarono a sgorgare senza che se ne rendesse conto. Piangeva ed intanto picchiava la testa sul tavolo, le lacrime presto furono accompagnate da risate isteriche.

   Non riusciva a crederci: si era ubriacata ed il giorno dopo sarebbe stata malissimo, ma il suo cervello era rimasto acceso. Cosa doveva fare per smettere di pensare?

   Provò con un quarto bicchiere, lo mandò giù con un unico sorso, sbrodolandosi come una bambina. Non le importava di nulla, non le importava del sapore acre che aveva in bocca, non le importava della gola che bruciava, non le importava delle orecchie che fischiavano. Non le importava di nulla, doveva solo dimenticare.

   Guardò la bottiglia e si rese conto che effettivamente mancavano più di quattro bicchieri, possibile che… guardò il bicchiere e lo trovò pieno per metà; si era versata un altro bicchiere, che aveva mandato giù senza indugi, la cosa assurda era che non si era accorta di averlo fatto. Quello forse era il quinto o il sesto bicchiere? Non le importava, aveva un unico scopo: dimenticare.

   Quando fu assalita dalla nausea, facendo forza sulle braccia e piegando il più possibile i gomiti, si alzò. Il capogiro che la colse fu così inaspettato che finì seduta sul pavimento.

   Iniziò a ridere ancora più forte ed a battere i pugni sul pavimento, la nausea sempre presente. Dopo pochi minuti si mise in ginocchio e provò ad alzarsi ancora; stavolta ci riuscì al primo tentativo. Allargando le braccia, cercando di equilibrare il suo baricentro, iniziò a camminare ridendo di tanto in tanto. Doveva andare in bagno a vomitare, ma alla fine optò per la sua camera da letto, voleva dormire.

   Arrivata in camera si buttò sul letto, tolse di slancio le scarpe senza preoccuparsi dove potessero finire e si mise sotto le coperte senza badare a niente e nessuno, nausea compresa. Si coprì con le coperte fin sopra la testa chiuse gli occhi lasciando che altre lacrime le bagnassero le guance… senza rendersene conto si addormentò.

 

*****

 

       - Lasciatemi in pace!

   Rannicchiandosi ancora di più su se stessa, Sara mise la testa sotto il cuscino premendo questo con forza sopra la testa.

       - Stai scherzando, vero? Adesso tu mi spieghi cosa è successo!

       - ‘Fanculo!

   A quella risposta, così lontana dallo stile di Sara, Clara non ci vide più. Prese il cuscino con forza e lo strappò dalle mani dell’amica.

       - Adesso Bella Addormentata tu ti alzi, ti rendi presentabile e poi mi racconti tutto! E quando dico tutto intendo proprio tutto! Muoviti!

       - Clara non rompere. Non sei mia madre e se adesso non ti dispiace io continuerei a dormire dato che oggi è il mio giorno libero!

   Così dicendo Sara si piegò per prendere le coperte e ricoprirsi con esse. Il suo gesto fu bloccato da una mano di Andrea che si fermò proprio sulla sua spalla!

       - Clara non è tua madre. Io non sono tuo padre. Però è stata proprio tua madre a chiamare Clara tremendamente preoccupata chiedendole che cosa ti fosse successo dato che ieri sera ti aveva sentita strana al telefono.

       - Sono viva e vegeta. Adesso se non vi dispiace tornerei a dormire!

       - Non credere di poterti sbarazzare così facilmente di me. Io non sono Andrea che basta una parola e si rimette al suo posto!

   Le urla di Clara non fecero altro che far aumentare il mal di testa di Sara che si portò un braccio a coprire gli occhi. Il concerto delle Scimmie Urlatrici era ancora in corso!

       - Senti Principessa Sul Pisello ti ricordo che io sono sempre qui!

   Andrea, piccato, aveva risposto bruscamente a Clara, spostando l’attenzione su di sé!

       - Ma fammi il piacere. Il tuo continuo giustificarla e proteggerla da tutto e da tutti, soprattutto da tutti, l’hanno resa quello che è: una donnetta pronta a piangersi addosso non appena la situazione si complica! Complimenti, ottimo risultato!

   Sara cercava di ignorare i due amici che adesso stavano litigando tra loro. Si massaggiava le tempie con movimenti circolari degli indici. Gli occhi chiusi cercando di non ferirsi con la luce.

   Sentiva le parole di Clara rimbombarle in testa come una cantilena.

       …una donnetta pronta a piangersi addosso… una donnetta pronta a piangersi addosso… una donnetta pronta a piangersi addosso…

   Era così che la vedeva la sua coinquilina? Così mal ridotta? La voce di Andrea ruppe quella nenia fastidiosa.

       - Certo! Invece il tuo aggredirla sempre e comunque la rendono più forte, non è così? Ma fammi il piacere!

       - Ma come ti permetti, io non l’aggredisco! Io cerco di smuoverla dall’apatia di cui spesso è preda. E tutto questo grazie anche ad un amico che non fa altro che giustificarla, anche quando ha torto marcio!

       - E chi ti dice che io la giustifichi sempre? Per spronare una persona non occorre aggredirla sempre e davanti ad altra gente!

   Clara ed Andrea avevano iniziato a litigare con il letto di Sara a dividerli.

   Lei, stanca di tutte quelle urla – e passando completamente inosservata – si era alzata lasciando i due da soli, nella sua stanza. Prima di uscire era riuscita a recuperare un cambio pulito. Con la testa che le pulsava terribilmente a causa dell’emicrania, si era diretta in bagno per farsi una doccia… sperava rigenerante! La casa era dotata di doppi servizi e per quella mattina aveva optato per l’altro bagno quello, appunto, con la doccia.

   Si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò ad essa. Le urla di Clara ed Andrea arrivavano nitide alle sue orecchie. Aprì i rubinetti dell’acqua e lasciò che questa scorresse attendendo quella calda!

   Si guardò allo specchio e per poco non cacciò un urlo quando vide le occhiaie che quella mattina avevano deciso di farle visita! Generalmente dopo una notte in ospedale aveva un’espressione più rilassata di quella che aveva quella mattina!

   I capelli erano per i fatti propri. Aspri e sparati in aria, elettrici.

   La pelle era secca, ruvida. Sembrava più vecchia di dieci anni.

   In bocca aveva un sapore orrendo, come di vomito. Si lavò i denti sperando di poter mandar via quel sapore, ma senza successo. Il disgusto era sempre lì, in bocca.

   Si sciacquò il viso ed a tentoni cercò l’asciugamano trovandola al suo posto.

   Quella mattina aveva bisogno di una doccia fredda che la svegliasse del tutto, altro che bagno rilassante. Aprì il box doccia e controllò la temperatura dell’acqua, tiepida, forse un tantino freddina, era quello di cui Sara aveva bisogno.

   Velocemente tolse i vestiti e si buttò, chiudendo gli occhi, sotto il getto – adesso freddo – della doccia. Trattenne il grido che le era nato in gola. L’acqua era congelata! I muscoli si erano contratti non appena erano stati raggiunti dall’acqua. L’orripilazione fu immediata. Sara respirò profondamente cercando di rilassare i muscoli. I capelli bagnati le ricadevano sul corpo.

   Chiuse l’acqua. I denti battevano a causa del freddo. Iniziò ad insaponare i capelli, il profumo di albicocca riempì il bagno.

   Non sentiva più discutere Andrea e Clara, le opzioni erano due: o si erano scannati reciprocamente ed adesso entrambi erano in fin di vita nella sua stanza, oppure si erano accorti della sua assenza ed avevano capito che non aveva senso continuare a sbraitarsi contro. In realtà esisteva una terza opzione: erano in altre faccende affaccendati… sperava che in tali faccende il suo letto non fosse contemplato!

   Finito di insaponare i capelli aprì nuovamente il rubinetto, stavolta regolandolo sull’acqua calda: al diavolo chi le aveva detto che una doccia fredda le avrebbe risolto il problema dell’emicrania! Certo avrebbe risolto con l’emicrania ma si sarebbe fatta venire una polmonite!

   Dopo essersi lavata uscì dalla doccia e si avvolse nell’accappatoio. Pulì lo specchio dal vapor acqueo che si era condensato e guardò il suo riflesso. Andava meglio anche se le occhiaie erano sempre lì, belle evidenti! Insieme alle occhiaie persistevano l’emicrania ed il sapore di vomito. Naturalmente il concerto delle Scimmie Urlatrici era sempre in corso! Almeno adesso aveva un aspetto molto più presentabile e la sua pelle non era più raggrinzita come quella di una vecchia ottantenne!

   Si asciugò in fretta ed altrettanto rapidamente si vestì. Spazzolò i capelli cercando di districare i nodi che si erano formati. Ad ogni colpo di spazzola una fitta più forte alla testa!

   Era assurdo. La sera prima aveva bevuto per spegnere il cervello ma questo era rimasto acceso tutta la notte appioppandogli ricordi del suo passato. Ricordi che aveva sepolto volontariamente. Altro che una notte priva di sogni, quella era stata una notte da incubo!

   Prese la schiuma per capelli che era sistemata vicino allo specchio ed iniziò a distribuirla su tutta la lunghezza dei capelli.

   Fortunatamente, ogni tanto, le idee di Clara erano sensate: era stata lei a proporre di arredare entrambi i bagni con tutto l’occorrente di cui necessitavano, avrebbero evitato così di correre da un bagno all’altro perdendo del tempo!

   Dal ripiano in basso prese una asciugamano e l’avvolse in testa a mo’ di turbante! I vestiti sporchi finirono nel cesto in vimini, con essi anche la sua brillante idea di bere per dimenticare! Aveva deciso: sarebbe diventata astemia, avrebbe bandito per sempre gli alcolici dalla sua vita!

   Uscita dal bagno si diresse in cucina. Entrata nella stanza fece un giro su se stessa pronta per uscire, peccato che la strada le era stata bloccata da Andrea.

   Perfetto! Era finita in trappola! Seduta sul marmo del piano cucina stava Clara, appoggiato allo stipite della porta della cucina, braccia conserte ed espressione scura sul viso, invece si trovava Andrea.

   Clara fu la prima a parlare!

       - Allora? Sto aspettando le tue spiegazioni!

       - Non ti devo spiegare niente! Non mi vedi? Sono in perfetta forma! Non ho nessun problema!

   Il tono di voce era aspro, ma non era arrabbiata, no! Era intontita dal mal di testa!

       - Come? Tu sei impazzita! Ieri sera ti sei ubriacata! Voglio sapere cosa ti passa per quella tua testa malata! Forza, sbrigati a parlare!

   La voce di Clara aumentava ad ogni sillaba. Era arrabbiata, sconvolta… preoccupata! Sara era sempre stata posata, tranquilla. Anche se triste o nervosa non diceva o faceva mai qualcosa di fuori dall’ordinario. Invece… la telefonata della signora Graci l’aveva destabilizzata.

       - Clara ha ragione! Sara ieri sera ti sei ubriacata ed una persona senza problemi non si ubriaca!

   Il tono di Andrea era basso. Cercava di controllare l’impulso di prendere Sara e darle due sberle per farla tornare in sé. Cosa era successo durante la sua assenza? La telefonata della signora Graci lo aveva fatto precipitare in un tunnel oscuro. Ultimamente aveva trascurato la sua sorellina, doveva rimediare. Era colpa sua se Sara si era riversata sull’alcool e non era andata da lui a cercare sostegno.

       - Ragazzi avete ragione! Ho fatto una stronzata e non succederà più! Adesso posso tornare in camera mia o mamma e papà non hanno ancora finito di rimproverare la bimba cattiva?

   Il cinismo di Sara fecero scattare Andrea che sferrò un pugno contro la porta della cucina. Il contraccolpo fu tale che la porta sbattè contro la parete, tanto da lasciare il segno.

       - Io… è meglio che vada di là. Clara cerca di farla ragionare tu altrimenti io… l’ammazzo con le mie stesse mani!

   Così dicendo Andrea era andato via lasciando le due ragazze sole nella cucina. Clara scese dal ripiano in marmo e diede a Sara il telefono.

       - Chiama a tua madre e tranquillizzala. Inventati qualcosa, qualsiasi cosa, non mi interessa! Io vado di là a vedere come sta Andrea.

   E lasciò Sara sola in cucina con il telefono in mano.

 

Avere nel cuore
una voglia d'amare
avere nella gola una voglia
di gridare
e chiudersi dentro
prigionieri di un mondo
che ci lascia soltanto sognare
solo sognare.

 

  Buonasera gente. Ecco qui il XXIIesimo capitolo. Il numero delle recensioni è precipitato improvvisamente ma non per questo mi do per vinta. Continuerò a scrivere e pubblicare anche se le recensioni dovessero sparire del tutto! In questo capitolo abbiamo visto un colpo di testa di Sara che è davvero poco da lei ma si sa, la disperazione, la solitudine, la tristezza il più delle volte ci portano a compiere azioni davvero discutibili come quella di ubriacarsi.

 

RINGRAZIAMENTI:

 

- _LAURA_ : tesoro ciao! Come va? Spero bene! Come hai potuto notare il bacio tanto desiderato non c’è stato anche se c’è quella vocina nella testa di Sara che le consiglia di lasciarsi andare! Come puoi vedere il caratterino di Sara mostra anche delle crepe che la portano a compiere un gesto fuori da ogni logica, come quello di ubriacarsi e per lei che è un medico… non so se ci saranno ripercussioni! Damien… lui neanche immagina cosa ha scatenato in Sara con quella sua innocentissima domanda! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio alla prossima!

- HATORI: Tania ciao! Niente bacio… ti dico solo che se Damien fosse stato un po’ più sfrontato credo che il prossimo capitolo iniziava con una scena direttamente dall’ospedale, magari direttamente dal reparto di terapia intensiva! Ma poi scusa a te chi lo dice che Sara lo voleva il bacio di Damien? Damien è geloso marcio ma non lo ammetterà mai. È geloso però non perché prova qualcosa di forte per Sara – lui stesso ammette di essere attratto da lei ma non si tratta di amore – è geloso perché per lui Sara rappresenta la parte importante del suo passato e si sente messo da parte sapendo che c’è qualcun altro nella vita di lei anche se sa benissimo che Sara in tutti quegli anni non è rimasta certo da sola! Damien ha fatto molto male a Sara ma non solo lui! Tania se non capisci determinati termini puoi anche scrivermi o cercarmi su msn e chiedermi spiegazioni non ci sono problemi lo sai! Sarò felice di spiegarti tutto quello che vuoi!

- TARTIS: figurati, io ho poco tempo anche per respirare… mia cara vedrai cosa accadrà nei prossimi capitoli tra semiscenate e tutto il resto… fuochi d’artificio! E poi noi ragazze lo sgamiamo al volo un ragazzo geloso… e Damien e Sara sono stati una coppia… in questo capitolo mi sono data alla pazza gioia nel descrivere Sara brilla ma sai è stato più forte di me, io non mi sono mai ubriacata e quello che ho scritto è solo frutto della mia fantasia… perversa… Damien se ne è andato altrimenti le saltava addosso e conoscendo Sara sarebbe finito in ospedale con qualche costa rotta! Fidati… neanche Damien sa effettivamente cosa vuole e per questo sta calmo calmino, ha paura di perderla ancora una volta. Sara non vuole rotture di scatole… ma forse non è proprio così… niente incontro-scontro Damien vs Andrea dovrai ancora aspettare ma non temere… adesso ti lascio ti mando un bacio enorme!

- JES POTTER: mi spiace averti fatto aspettare tanto ma purtroppo il mio pc è stato fuori uso per oltre un mese e non ho potuto aggiornare prima di oggi. Per quel che riguarda la storia, mi spiace ma con Andrea c’è stato già tanto, troppo direi. Damien… lui ancora deve ingranare la marcia e fare capire cosa vuole effettivamente, al momento il ragazzo è abbastanza confuso, probabilmente lo è più di Sara! Damien non è molto montato ma un po’ spaccone lo è,  non ti credere, e  poi Sara lo conosce da tanto tempo, proprio da quando lui era un perfetto sconosciuto. Probabilmente è per questo che il nostro calciatore non ha motivo di fare lo sbruffone con Sara! Quello che ha fatto soffrire Sara ai tempi dell’università è un altro ex fidanzato, ti tolgo tutti i dubbi: Sara ha avuto due storie importanti, una con Damien al liceo (e Damien ha fatto di tutto per farsi mollare!) e l’altro è stato il Verme (che l’ha mollata per andare a studiare negli USA), la nostra amica non è molto fortunata in amore! Quella della sera di gala dici? Quella ancora non so di preciso che ruolo ha nella storia, se è stata una comparsata veloce o meno… per quel che riguarda la tua recensione,  non preoccuparti se è lunga a me piace dialogare con voi che avete la bontà di dedicarmi cinque minuti per scrivermi!

   Il prossimo aggiornamento sarà a data da destinarsi. I versi che chiudono la canzone sono tratti dalla canzone di Lucio Battisti “Prigioniero del mondo” dell’album “Lucio Battisti” del 1969!

 

Questo è invece il mio Andrea Amato!

Andrea Amato

 

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIII ***


Nuova pagina 1

Capitolo XXIII

 

       - Sì mamma, te l’ho detto: avevo mal di testa e mi sono addormentata sul divano. Appena mi sono svegliata ti ho chiamato, per questo avevo la voce intontita… no! Dopo cena sono andata a letto e mi sono addormentata senza neanche chiamarti. Non occorreva chiamare Clara ed Andrea, li hai fatti preoccupare inutilmente!

   Era al telefono con la madre da almeno venti minuti e per l’ennesima volta le stava propinando quella scusa assurda, si chiedeva se effettivamente sua madre le avesse creduto; probabilmente sì dato che, come la figlia, anche la signora Graci soffriva spesso di attacchi cefalgici. 

       - Ok! Non preoccuparti. No, oggi ho la giornata libera. Penso che starò a casa per riposare. Ultimamente ho lavorato parecchio… va bene, sì, un bacio a te e papà! Ciao… a dopo!

   Aveva chiuso, finalmente era riuscita a convincere la madre a mettere fine a quella telefonata.

   Aprì lo sportello e prese un biscotto dal barattolo dove erano conservati: sperava che il mettere qualcosa nello stomaco le facesse passare la nausea che aveva dalla sera prima. Era terribile avere il mal di testa e la nausea e tutto per una sbornia… che poi non le era servita a niente, se non a farla litigare con i suoi amici.

   Di Clara ed Andrea non c’era traccia e così ne approfittò per tornare in camera e cercare di capire cosa, effettivamente, le fosse passato per la testa.

   Ubriacarsi! Era assurdo, aveva avuto una pessima idea e non esistevano giustificazioni per un atto simile! Era da immaturi, i suoi amici avevano ragione a seccarsi tanto. Aveva commesso un’idiozia!

   Passando davanti la camera di Clara fu tentata dall’entrare e chiedere scusa ma sapeva che il suo orgoglio non le avrebbe mai permesso di fare una cosa simile, se avesse messo piede in quella stanza sarebbero finiti a litigare ancora ed era meglio evitare, almeno per il momento.

 

       - La tua presunzione è tale da non farti ammettere di sbagliare, anche quando hai torto marcio!

       - Grazie! Tu sì che sai come farmi sentire importante!

       - Non negarlo! Lo sai anche tu, hai lo stesso carattere di tuo padre!

       - Ora non tirare in ballo mio padre…

       - Vedi? Sei saltata su come una molla, non vuoi sentirti dire che hai difetti!

       - Scusa, se sono così pessima e presuntuosa, perché stai con me? Mollami!

       - Hai tante altre qualità…

       - Certo… e tu sai girare le frittate a tuo piacere!    

       - Sai che ti amo?

       - Anch’io… ma questo non toglie il fatto che sei insopportabile!

 

   Odiava quella situazione. Era orgogliosa e presuntuosa. Forse doveva fare lei il primo passo. Forse, ma non in quel momento; non quella mattina: stava troppo male!

 

  Erano quasi le undici quando sentì bussare. Erano trascorse quasi tre ore da quando Andrea e Clara erano piombati nella sua stanza svegliandola in quella maniera poco ortodossa, fortunatamente non le avevano scaraventato addosso un secchio con acqua fredda altrimenti oltre il mal di testa e la nausea si ritrovava anche con la febbre!

       - Avanti.

   Sapeva di chi si trattava, sapeva anche che adesso tirarsi indietro era praticamente impossibile e dare una spiegazione era il minimo da fare.

       - Come va?

   Clara era stata la prima ad entrare, Andrea era subito dietro di lei, la ragazza le aveva rivolto un sorriso tirato ed aveva tentato di mantenere un tono di voce normale, ma le era riuscito difficile dato che alle orecchie di Sara quella domanda le era sembrata forzata!

       - Meglio grazie.

   Anche Sara non era stata naturale come voleva ma non poteva certo fare finta che non fosse accaduto nulla. La lite-non-lite che quella mattina aveva avuto con Andrea era stata furibonda, la prima da quando si trovavano a Torino.

       - Siete ridicole, piantatela con questi convenevoli del tutto inutili!

   Andrea aveva perso il controllo, non era riuscito a trattenersi davanti a quelle stupide frasi senza senso. Era da ipocriti chiedere a Sara come stesse, e lei era stata altrettanto falsa nel dire che stava meglio.

   Si era ubriacata da sola, in casa, e se lo aveva fatto voleva dire che aveva un problema. Se si fosse ubriacata in comitiva non avrebbe fatto tutte quelle storie, poteva capire che in compagnia si esagerasse e qualche bicchiere di troppo era accettabile, ma da soli… da soli voleva dire essere deboli e Sara non era una debole, non poteva cedere adesso che tutto si stava sistemando… era colpa sua. Si era convinto che tutto si stesse sistemando, ma non era vero, si era sbagliato. Per Sara non si stava sistemando un bel niente!

       - Mi spieghi perché ogni volta devi avere sempre da ridere su ciò che dico o faccio?

   Clara era partita! Si era girata verso Andrea e lo guardava con sguardo di sfida. Le mani ai fianchi ed il piede a picchiare a terra.

       - Perché quello che fai e dici è tremendamente sbagliato! Ecco perché!

   Ed Andrea non era riuscito a trattenersi dal risponderle, non aveva voluto trattenersi. Battibbeccando con Clara avrebbe scaricato parte – l’ennesima – della sua frustrazione. La voce di Sara lo strappò dal suo confronto con la rossa.

       - Veramente se qualcuno ha sbagliato quella sono io.

   La sua voce era uscita piatta e priva di inflessioni, come se era ovvio che quei due stessero discorrendo in quella maniera solo per non affrontare il problema reale: lei si era ubriacata.

       - Lo sappiamo! Aspettiamo solo di capire perché tu sia stata così…

       - Stupidamente irrazionale…  

Andrea non voleva rendere le cose semplici e Clara gli dava man forte! Era incredibile come quei due riuscissero a mettere da parte le proprie divergenze quando si trattava di mettere lei con le spalle al muro. Ma Sara non si sarebbe data per vinta, dopotutto il suo motto era: “corvo rosso non avrai il mio scalpo” come recitava Robert Redford!

       - Avevo voglia di spegnere il cervello per un po’…

   Dopotutto era la verità…

       - Se tu me lo avessi chiesto te lo avrei spento io il cervello…

       - Andrea calmati…

   La voce di Clara aveva impedito al ragazzo di finire la frase. Forse si era sbagliata, poteva ancora sperare nel supporto della sua coinquilina… forse Clara non si era coalizzata contro di lei, forse…

       - Calmarmi? Scherzi?! Hai dimenticato la voce disperata di sua madre? Hai dimenticato cosa abbiamo trovato quando siamo entrati in casa? Come era ridotta lei?

       - No, non ho dimenticato, ma arrabbiarsi adesso non serve a nulla. Aspettiamo di sapere per quale assurdo motivo si sia comportata così, poi potremo anche pestarla a sangue.

   Come volevasi dimostrare! Le era sembrato strano che Clara fosse dalla sua parte!

       - Grazie Clara, è sempre un piacere sapere di poter contare sul tuo aiuto!

   La rossa neanche le rispose, la fissò negli occhi attendendo l’inizio del suo racconto.

 

       - … e questo è tutto. Ho perso il controllo e neanche mi sono resa conto di essermi ubriacata… forse volevo farlo, forse no. So solo che stamattina ho un terribile mal di testa… e mi spiace se vi ho fatto preoccupare.

   Alla fine aveva raccontato cosa era successo il pomeriggio prima con Damien, partendo dalla storia del signor Amorosi, passando per l’avventura alla fermata del tram, il sit-in sotto la finestra di casa fino al pranzo e richiesta di bacio annessa.

   Aveva raccontato tutto senza fermarsi neanche un momento e poi era stata irremovibile su questo punto: avrebbe raccontato tutto a patto  che non fosse interrotta con domande di nessun genere. Adesso attendeva il verdetto.

       - Ok… pestiamola a sangue!

   Clara era sbottata con la sua risposta. Andrea invece era rimasto in silenzio osservandola. Poi la rossa aveva ripreso a parlare senza darle il tempo di assimilare quelle parole!

       - Fammi capire… hai passato una giornata da schifo migliorata solo grazie all’intervento di quel… Dio Santo non trovo le parole per descriverlo… grazie a lui ti sei sentita meglio… il suddetto lui ti ha chiesto un bacio e tu che fai? Ti ubriachi? Ma dico sei rincoglionita?

   Clara era davvero fuori di sé. Gesticolava febbrilmente e la sua voce aumentava di intensità ogni secondo di più. Aveva iniziato a girare in tondo per la stanza e farneticava sul come il mondo fosse crudele e su come Dio desse il pane a chi non aveva i denti. Su come fosse stato un errore chiudere i manicomi, sulla necessità di fare internare quanto prima Sara e su come ubriacarsi fosse stata la soluzione più idiota a tutti i suoi problemi… almeno avesse fatto sesso! Perché certe sventure non capitavano mai a lei!

       - Clara ascoltami…

       - No Sara! Ascoltami tu! Basta! Giuro che questa è l’ultima volta che affrontiamo questo discorso, poi potrai cercarti un altro appartamento e non perché non ti voglio ma solo perché sono stanca, stanca di tutto! Di vederti così, buttare via la tua vita, i tuoi sogni i tuoi progetti. Stanca di non vederti felice, serena, allegra. È da sei anni che dividiamo l’appartamento, da quando sei qui a Torino, ed in tutto questo tempo io non ti ho mai vista viva, vera. Non ho conosciuto Lorenzo né il vostro grande amore… non ho mai parlato prima se non l’altra sera al pub, sono sempre stata in silenzio ma adesso no! Lui è partito. Se ne è andato da sette anni… sette anni… è sparito senza una lettera, un messaggio niente! E tu cosa hai fatto? Sei morta dietro lui! Mi fai pena! È questo il grande amore della tua vita? Meglio dimenticarlo allora!

   Dopo quelle parole, maledettamente e dolorosamente vere, Clara era uscita dalla stanza sbattendo la porta. Sara era rimasta con il capo chino a guardarsi le mani pallide.

       - Clara ha esagerato ma non ha torto, non su tutto almeno.

   Adesso anche Andrea l’aveva lasciata sola.

 

   Era rimasta tutto il resto della mattina in casa, chiusa nella sua stanza a riflettere sulle parole di Clara. L’amica non aveva torto. Per nulla. Effettivamente si era rinchiusa in un  mondo tutto suo dove difficilmente permetteva a qualcuno di entrare e la dimostrazione era data dalla scarsità di rapporti veri, sinceri, avuti negli ultimi sette anni… Andrea e Clara a parte.

   Chiuse gli occhi e decise di uscire da quella stanza che la stava soffocando.

   Quando fu fuori l’ultima persona che si sarebbe aspettata di ritrovare era proprio quella che mangiava tranquillamente seduto sul divano.

       - Non sei andato via…

   Andrea, sulle gambe piegate, teneva un piatto e tra le mani un panino che era stato consumato per metà.

       - Volevo sapere come stavi.  

   Le aveva risposto girandosi ed osservandola. Aspettando una risposta e per capire se, effettivamente, Sara stava meglio.

       - Mi sento una stupida.

       - Quello lo sei sempre stata… per fortuna stai tornando in te…

       - Sempre gentile…

   Così dicendo aveva preso il panino dalle mani di Andrea ed aveva iniziato a mangiarlo, sedendosi accanto al ragazzo.

       - Quello era mio. È da ieri a pranzo che non tocco nulla.

       - Se è per questo anche io!

   Così dicendo continuò a mordere ciò che restava del panino.

   Andrea si era alzato dirigendosi in cucina iniziando ad armeggiare per preparare altri due panini: uno per sé… e l’altro pure. Che Sara si arrangiasse, così imparava a farlo preoccupare!

       - Clara?!

   Sara aveva raggiunto l’amico in cucina e stava per prendere uno dei panini già pronti quando Andrea le schiaffeggiò la mano incriminata, come una madre avrebbe fatto con il figlio pronto a mettere le dita dentro il barattolo con la marmellata!

       - Questi sono miei… non ti azzardare a toccarli!

   Sara massaggiandosi la mano si portò accanto Andrea ed iniziò a preparare un panino anche per sé.

       - Clara è allo studio. Puoi raggiungerla lì…

   Sara aveva continuato a preparare il panino, a fare e disfare il panino, ascoltando il silenzio che si era creato tra lei ed Andrea… un Andrea concentrato sul fagocitare il suo pranzo. Stanca di quel silenzio, alla fine era esplosa.

       - Per quanto ancora andrai avanti così?

   Andrea aveva messo il panino sul piano cottura della cucina e poi si era rivolto a Sara.

       - Non ti seguo.

   O meglio, preferiva che Sara buttasse fuori ciò che la tormentava.

       - Aspetto la mia condanna.

       - Assolta perché il fatto non sussiste.

   Ed aveva ripreso a mangiare. Sara aveva alzato gli occhi al cielo. Odiava quei giochetti.

       - Andrè stamattina eri pronto a mettermi alla forca ed adesso mi assolvi? Come giudice sei poco credibile!

       - Sara… hai sbagliato questo è certo, ma non sei la sola.

   Sara aveva chiuso gli occhi e stretto le mani attorno il bordo del piano cottura.

       - No! Non ci provare nemmeno. Stai zitto!

   Andrea aveva sorriso mestamente all’amica ed aveva scosso il capo come a dire che invece aveva ragione lui.

       - Ancora con questa storia? Andrea ti prego, finiscila. Non puoi incolparti per tutto ciò che mi capita. Sono stata io, da sola, ad ubriacarmi come una deficiente. Tu non hai nessuna colpa!

       - Se ti fossi stato accanto…

   Sara lo aveva interrotto ed alzando il tono di voce aveva ripreso a parlare.

       - Se ieri sera fossi stato qui ci saremmo ubriacati insieme. Ho sbagliato. Ha ragione Clara, sono una stupida. Un bacio, ti rendi conto? Mi ha chiesto un bacio ed io sono entrata nel panico più totale. E se mi avesse baciata senza dirmi nulla? Mi sarei suicidata, non trovo nessun’altra soluzione!

   Adesso Sara girava per la cucina e gesticolava animatamente. Era scoppiata, non era riuscita a trattenersi ed era esplosa e da sola stava analizzando la sua situazione.

       - Per sette anni della mia vita sono rimasta rinchiusa in una sorta di bozzolo… lontana da tutto, da tutti. Ho rinunciato a tutti i miei sogni ed anche a vivere. Io… ho sperato, spero ancora, che Lorenzo possa tornare da me.

       - Sara ascolta…

       - Lo so, è sbagliato! Sono passati sette anni e di lui non ho più notizie. Sicuramente si sarà rifatto una vita ed adesso ha una famiglia tutta sua ed io… devo farmi forza ed andare avanti ma non ci riesco. Lo penso, lo sogno, mi manca. E mi sento in colpa verso voi, verso me stessa. Io… sono solo una stupida che non riesce a lasciarsi il passato alle spalle.

   Lo aveva detto. Aveva detto chiaramente che ancora amava Lorenzo… forse non era stata tanto chiara sotto quel punto di vista, ma aveva detto di pensarlo e volerlo… ed aveva detto che non riusciva ad andare avanti senza di lui. Se questo non era essere innamorata…

   La sua era stata una confessione importante, dopotutto quando si ha un problema il primo passo per superarlo è ammetterne l’esistenza!

 

Ancora un giorno di te
Per dirti che mi salderò la tua pelle sull’ anima
E questo vuoto che c’è lo riempirò
Le nostre cose più belle non le perderò
Quando ti penso mi manca il tuo sorriso
Ed il buon senso va in cenere
Poi ti disegno faccio a memoria il viso
Ma non somiglia a te   

 

  

   Buon pomeriggio! Ancora un’emorragia di recensioni ma non mi arrendo! La mia fic va avanti nonostante tutto e tutti… soprattutto tutti! Questo capitolo è un po’ vuoto ma mi serviva per quelli a venire e per spiegare un po’ meglio il perché Sara non si sia buttata tra le braccia di Damien come era giusto che fosse… dato che ho poco tempo e dato che non voglio togliere altro tempo all’aggiornamento passo direttamente ai ringraziamenti!

 

RINGRAZIAMENTI:

 

- WINNIE POOHINA: Benvenuta tra le lettrici. Sono lieta di sapere che la fic ti sia piaciuta e ti ringrazio per la recensione anche se piccola. Ogni parola, anche se negativa, per me è un input al mio personale miglioramento! Spero di non averti fatto aspettare tanto e spero, ancora di più, di poter leggere un tuo nuovo commento! Alla prossima!

 

- TARTIS: Sara tu che sei una Sara vera e comprendi meglio le tue omonime che mi dici del colpo di testa della nostra Dottoressina? Mi sa tanto che tu ti metterei con Clara per pestarla a sangue, vero? Guarda però che l’ironia di Sara è la mia ironia e mi sa che, visto che io sono una Sara mancata (magari un giorno vi annoierò con questa storia!) avrò, senza volerlo, ereditato questa qualità! Guarda io credo che anche Clara abbia bisogno di essere in altre faccende affaccendata, e Sara più di tutti! Ma vedremo se si scongela un pochino la nostra protagonista! Anche a te, con quasi un mese di ritardo, buon anno! Alla prossima!

 

- HATORI: Tanya ciao come stai zuccherino? Altro che turbata Sara è stata completamente sconvolta da Damien e mi auguro anch’io che accada qualcosa quanto prima anche perché adesso sono curiosa di sapere cosa mi dirai dopo questo capitolo e questa scottante ammissione da parte della nostra Sara! Andrea è davvero carino, mi chiedo se però non ti deluderà Damien! Adesso ti saluto e torno ai miei libri, spero che la tua scuola di grafica proceda per il meglio! Un bacio!

 

   I versi riportati alla fine del capitolo sono tratti dalla canzone “Ancora un giorno di te” di Nek parte dell’album “Nella stanza 26” dell’anno 2006! Credo di aver detto tutto al prossimo aggiornamento! Un bacio!

   Questa che segue è Clara Nobili. Il volto è dell’attrice Camilla Filippi.

 

    

Clara Nobili

 

  

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Capitolo 25
*** Capitolo XXIV ***


Nuova pagina 1

Capitolo XXIV 

 

   Aveva ammesso di avere un problema… un grosso problema. Era già un passo avanti, il primo.

   Il secondo passo era quello di allargare i propri orizzonti come aveva fatto sedici anni prima… conoscendo Damien…

   Damien… poteva essere di nuovo lui la soluzione a tutti i suoi problemi? Visto il modo in cui si erano lasciati non lo credeva proprio. Non poteva essere il suo ex-ex ragazzo a risollevare, nuovamente, le sorti della sua vita… piatta.

   Ed adesso era lì, davanti l’impianto dove solitamente si allenava la squadra di Damien. Era stata davvero una buona idea arrivare sino a lì semplicemente per scusarsi del suo comportamento?

   Ma poi cosa c’era che non andava nel suo modo di rapportarsi con il ragazzo? Nulla. Lei si comportava normalmente, come aveva sempre fatto. Era stato Damien e mettere tutto sottosopra, ancora, come sedici anni prima.

       - Ehi scusa…

   Si era girata quando aveva sentito una voce rivolta in sua direzione. Nella luce del tramonto riconobbe uno dei giocatori che un paio di settimane prima erano venuti in ospedale con Damien.

       - Ciao!

   Il calciatore si era avvicinato con il  borsone sulla spalla.

       - Se cerchi Damien è andato via prima, non stava molto bene, credo si tratti di un attacco influenzale.

       - Capisco! Sapresti dirmi dove abita?

   Ma era stata davvero lei a parlare? Perché voleva andare a casa del ragazzo? Poteva benissimo chiamargli ed invece… infondo se non lo aveva trovato al campo quello era un segno del cielo, voleva dire che non era il caso che si incontrassero, perché lei doveva sempre fare di testa sua?

 

   Ed eccola lì, davanti il cancello del residence in cui abitava Damien Mc Glass. Ma che c’era venuta a fare lì? Era un’inutile perdita di tempo, perché non se ne tornava a casa e si metteva a leggere un buon libro invece di andarsi a mettere in situazioni imbarazzanti?

   Il cancello del residence si aprì e ne uscì una utilitaria grigia, Sara per un attimo pensò che si trattasse di Damien ma si sbagliò. Approfittando del cancello aperto entrò.

   Il lungo viale alberato si apriva su quattro villette per lato, ognuna con un cancello chiuso su cui spiccava il nome.

   Si fermò sul quarto cancello, l’ultimo a destra. Damien Mc Glass.

   Inspirando a pieni polmoni pigiò il dito sul campanello ed attese che Damien rispondesse.

       - Chi è?

       - Sara.

   Il click metallico del cancello che si apriva fece aumentare il battito del suo cuore.

   Entrò e si richiuse il cancello alle spalle. Percorse i pochi metri che la separavano dall’ingresso, senza alzare gli occhi da terra. Quando si ritrovò davanti un paio di piedi scalzi si rese conto che era arrivata.

       - Ciao…

       - Ciao, che bella sorpresa!

   La voce allegra di Damien, allegra come lo era sempre stata, la fece sentire un po’ meno insicura.

       - Sicuro di non disturbare?

       - Assolutamente, come hai fatto a trovarmi?

   Il ragazzo si era fatto da parte invitandola ad entrare. Appena fu dentro ciò che la colpì piacevolmente fu il calore dell’appartamento.

       - Ero andata al campo ma ho incontrato un tuo compagno di squadra che mi ha detto che stavi poco bene e che avevi finito prima… ne ho approfittato ed ho chiesto dove abitavi… ed ho pensato di passare a farti un saluto veloce.

       - Hai fatto benissimo, ma non restiamo all’ingresso! Dammi la borsa ed il cappotto!

   Altra cosa che l’aveva colpita era l’ordine che regnava.

       - Sicuro che questa sia casa tua? È tutto così in ordine!

   Quella domanda le era sfuggita senza neanche rendersene conto! Ricordava perfettamente che nel passato, quando stavano insieme, il caos regnava sovrano nella camera di Damien e si chiedeva come fosse possibile che, adesso, tutto fosse così ordinato!

       - Non è merito mio. È la donna delle pulizie che è andata via giusto un paio di ore fa… ancora non ho avuto il tempo di mettere disordine!

   Sorrise divertita per quella risposta.

   Il parquet di legno era lucido e senza graffi. Adorava il parquet, da sempre aveva sognato di averlo in casa. Spostò l’attenzione poi sul camino acceso e sui divani bianchi.

       - Questa stanza è stupenda!

       - Sono felice che ti piaccia! L’ho arredata da solo a gusto personale!

       - Hai davvero gusto, non c’è che dire!

       - Ho sempre avuto gusto…

   Lo aveva detto guardandola negli occhi senza timore e senza vergogna e lei aveva capito che si riferiva alla loro storia passata.

   Sara si ritrovò a dover abbassare lo sguardo, non riusciva a guardare negli occhi scuri di lui, si sentiva in colpa… per essere lì senza effettivamente sapere cosa la conduceva.

       - Mi daresti un bicchiere d’acqua, ho la gola secca.

       - Sono un pessimo padrone di casa, ancora non ti ho offerto nulla…

       - Non è vero! Sono io che sono una pessima ospite che chiede senza aspettare che le sia offerto…

   Damien sparì in cucina e tornò dopo alcuni minuti con un vassoio ricolmo di acqua, succhi di frutta, aperitivi e bibite varie.

       - Mi spiegheresti cosa dovresti fare con tutta questa roba?

       - È per te no?

   Sara sorrise divertita.

       - Io avevo chiesto solo un po’ d’acqua!

       - Lo so, ma io sono un buon padrone di casa e ti porto tutto ciò che ho! Anzi, se aspetti due secondi ti porto anche qualcosa di solido!

       - Non occorre…

       - Tu siedi e non fare storie, torno subito!

   Non aveva avuto il tempo di ribattere perché Damien era sparito in quella che presumeva fosse la cucina, cosa assurda, l’aveva lasciata lì con il vassoio in mano!

   Si stava avvicinando al tavolino dabbasso posto davanti ai divani quando una palla di pelo bianca le finì in mezzo ai piedi… e fu l’inizio della fine!

   Un fragore di bottiglie rotte sovrastò l’urlo di Sara e l’abbaiare del cane. Damien arrivò subito con ancora il pacco di biscotti in mano e quando vide Sara, immobile e terrorizzata, alla vista del piccolo barboncino bianco che le abbaiava insistentemente non si trattenne più dal ridere.

       - Non c’è nulla da ridere. Toglimi ‘sto coso dai piedi… Damien… vuole azzannarmi!

       - Yari, sit up!

   Ma nulla, il cane continuava ad abbaiare insistentemente verso Sara che adesso teneva le mani sulla spalliera del divano, reggendosi ad esse perché temeva di non reggersi in piedi.

   Damien si avvicinò alla scenetta e poi si rivolse all’animale con fare più autoritario di pochi secondi prima.

       - Sit up! Yari!

   E come per magia l’abbaiare cessò!

       - Portalo via!

       - Sara è un barboncino, non ti mangerà mica!

   La presa al divano aumentò e Damien comprese che era inutile imporre a Sara un dialogo con Yari.

       - Andiamo Yari, alla signorina non piaci… su!

   E sparì da un’altra porta con il cane che gironzolava tra le gambe ignorando del tutto Sara.

   Rimasta sola nel salone guardò il macello che aveva combinato e si piegò per raccogliere il vassoio e mettere lì il salvabile, in pratica solo la bottiglia di acqua. Per il resto era un disastro. Cocci di vetro ovunque e le fragranze delle diverse bibite si mescolavano tra loro, senza contare i diversi liquidi… iniziò a raccogliere i cocci più grandi quando la voce di Damien la bloccò.

       - Che stai facendo?

   Senza neanche alzarsi da terra gli rispose.

       - Mi sembra chiaro, cerco di ovviare al macello che ho combinato…

   I piedi nudi di Damien entrarono nella sua visuale e solo allora alzò gli occhi da terra.

       - Sei scalzo, non ti conviene avvicinare, potresti tagliarti… e poi scusa, sbaglio o stai poco bene? Ti sembra il caso di girare per casa a piedi nudi? Fila a coprirti!

   Sara rideva mentre con il dito indicava a Damien una porta, non ricordava più se quella della cucina o l’altra dove era sparito con la belva, ed aspettava che il ragazzo seguisse il suo suggerimento ma lui sembrava non prestarle molta attenzione.

       - Sara molla tutto, sei mia ospite!

   Solo allora lei si alzò da terra e mise le mani sui fianchi atteggiandosi a mamma autoritaria…

       - Sarò pure tua ospite ma questo non vuol dire che io possa rimanere con le mani in mano senza fare niente!

       - Sì che puoi!

       - Assolutamente! Ed adesso vai a coprire i piedi, muoviti!

   Scotendo la testa Damien dovette fare come gli era stato ordinato.

   Dopo alcuni minuti, o forse secondi non sapeva dirlo, richiamò il ragazzo.

       - Damien, dove posso trovare uno straccio per il pavimento!

   Aveva urlato quelle parole sperando che la sentisse, effettivamente non sapeva quanto grande fosse la casa.

       - Ma che urli a fare?

       - Già di ritorno?

       - Sì perché ti dà fastidio?

       - Assolutamente! Ti chiedevo uno straccio per il pavimento!

   Damien si era accovacciato accanto a Sara ed aveva iniziato anche lui a raccogliere i cocci facendo attenzione a non tagliarsi. Ma Sara non la pensava così.

       - Ti ho detto di lasciar perdere. Ci penso io qui!

       - Ed io ti ripeto che essendo tu mia ospite non devi fare nulla. Ok?

   Stavolta fu il turno di Sara di dissentire.

       - Damien facciamo così! Piantiamola con tutti questi complimenti e mettiamoci a lavorare… tra un po’ il tuo parquet sarà irrecuperabile se non facciamo qualcosa!

       - Va bene, però dopo ti metterai sul divano e ti farai servire e riverire… e non si accettano no come risposta!

   Nei minuti successivi nessuno fiato troppo perché erano impegnati a raccogliere i cocci ed a pensare a quella situazione assurda, erano lì che mettevano in ordine in casa, ma nella loro mente? Quando avrebbero messo ordine?

 

       - Bene ed adesso che tutto splende, ti pregherei di accomodarti sul divano… se mia madre sapesse che ti ho fatto sgobbare mi ucciderebbe!

       - Ti giuro che da me non saprà mai nulla! Parola di Giovane Marmotta!

   Damien sollevò un sopracciglio ma non replicò, sparì in quella che Sara aveva scoperto essere la cucina e tornò con un vassoio meno pieno di prima, ma comunque ben fornito.

       - Purtroppo io non sono una perfetta donnina di casa quindi dovrai accontentarti di quello che compro…

       - Tranquillo, sopravvivrò!

   Ma l’attenzione di Sara era concentrata su una foto posta proprio sopra un mobile accanto al divano dove era seduta. Ritraeva Damien ed un ragazzo di poco più di vent’anni. Senza neanche accorgersene, prese la fotografia in mano e la osservò. Si concentrò prima su Damien poi sull’altro.

       - Ti piaccio?

   La voce di Damien, improvvisamente vicina, la fece sussultare. Guardò lui e poi la foto e sorrise: il solito vanesio.

       - Preferisco l’altro… chi è?

       - Pedofila… è Michael!

   Sara spostò la sua attenzione nuovamente alla fotografia e solo allora riconobbe i tratti da bambino di Michael nel viso da ragazzo… e senza mai staccare gli occhi dalla foto riprese a parlare.

       - Cavolo se si è fatto carino!

       - Potrei essere geloso!

       - E perché?

   Si girò di nuovo verso Damien e lo ritrovò ancora più vicino.

       - Perché ti voglio solo per me…

   E con quelle parole avvicinò il suo viso a quello di Sara e sfiorò delicatamente le labbra di lei.

   Non fu un bacio vero, non l’avrebbe fatto, sapeva di non dover imporre nulla a Sara se lei avesse voluto il bacio sarebbe stato spontaneo, come era stato la prima volta che si erano baciati, sedici anni prima…

       - Damien io…

       - Lo so, non dire altro…

   Sara chinò il capo e si guardò le mani. Lo sapeva, non doveva andare, avrebbe complicato tutto, ulteriormente. Dove andarsene di lì prima che la situazione peggiorasse.

       - Io… è meglio che vada!

   Si era alzata e con una certa fretta si era diretta verso il guardaroba all’ingresso dove erano state lasciate le sue cose.

   Damien chiuse gli occhi e poggiò la testa sul divano, quando li riaprì si alzò di scatto e raggiunse Sara che già aveva preso in mano il cappotto.

   Al diavolo tutto! Lui… lei… il temporeggiare!

   Non era servito a nulla, solo a mettere più confusione tra loro, tanto valeva essere onesti.

   Fermò Sara, afferrò il suo polso e la costrinse a girarsi.

       - Non scappare ancora!

   Non ottenne risposta e per questo riprese a parlare.

       - Sara guardami!

   Prese con entrambe le mani il viso di Sara tra le proprie e la costrinse a guardarlo negli occhi.

       - Cosa c’è che non va?

       - Damien è sbagliato!

       - Perché?

   Lei chiuse gli occhi cercando di trattenere le lacrime di frustrazione, perché era sbagliato? Non lo sapeva ma non poteva… anche se voleva…

       - Io non so cosa provo per te…

       - Neanch’io Sara… so solo che da quando ti ho rivista non ho capito più niente… non andartene, resta con me…

   Così dicendo si chinò sul viso di lei e stavolta non si limitò a sfiorare le labbra, no. La baciò di un bacio vero ma non disperato. No, non era disperato. Era bisogno, c’era il bisogno di averla, sentirla… averla…

   Sara rispose inizialmente timidamente per poi, lentamente, lasciarsi coinvolgere sempre più. Allacciò le braccia dietro il collo di lui e si impose di spegnere il cervello e non pensare… non sapeva se Damien poteva essere un nuovo inizio, non voleva saperlo, almeno in quel momento, non voleva altro che lasciarsi andare. 

 

Almeno resta qui per questa sera
ma no che non ci provo stai sicura.
Può darsi già mi senta troppo solo
perché conosco quel sorriso
di chi ha già deciso.
Quel sorriso già una volta
mi ha aperto il paradiso.

 

 

   Chi non muore si rivede! E sì, lo so! Sono imperdonabile ma vi prego, non uccidetemi, ho troppi impegni e tante fic a cui dare seguito, cerco aggiornare ma non sempre è possibile.

   In questo capitolo finalmente qualcosa di smuove anche se ho la sensazione di aver precipitato un po’ troppo in fretta gli avvenimenti, comunque, dopo XXIII dovevo pur farli concludere… o no?

   Passo rapidamente ai ringraziamenti… ho davvero il tempo contato!

 

RINGRAZIAMENTI:

 

- WINNIE POOHINA: ciao! Ti confesserò che sono felicissima per il tuo attaccamento alla mia storia, mi fa sentire orgogliosa, orgogliosissima! Non sai che piacere leggere queste recensioni che mi riempiono di gioia, il mio lavoro piace! Il bacio c’è stato, alleluia, ma finirà così? Sara si lascerà andare? Questo non lo dico, mantengono il silenzio… abbi pazienza… anche perché c’è il ricordo che incombe!

 

- THE RESSURECTION: in due giorni hai letto il mio mattone? Caspita, ti faccio i miei complimenti, tu si che sei coraggiosa! Benvenuta! Sara è sì fragile, ma guarda, presto tirerà fuori gli artigli, altro che unghie… Damien è tanto dolce ma anche imprevedibile come ha dimostrato in questo capitolo, rispettiamola ma poi l’assale alle spalle! Anche lui poverino è preda dell’ormone! Clara ed Andrea… oh per loro mi sono ispirata ad una coppia di amici miei che dicono di essere amici, tempo un paio di mesi e si fidanzeranno anche loro! Lorenzo… vedo che ha davvero un bel gruppo di sostenitrici… comunque tranquilla, anche se non dovessi ricevere recensioni, continuerei ad aggiornare. Odio lasciare le storie a metà! Alla prossima e grazie per la tua attenzione!

 

- SHINAILA: mi sa che non posso spoileare con te, leggi leggi e vedrai che ci saranno sorprese… grazie per i complimenti, alla prossima!

 

- TARTIS: ma dimmi cara Sara, la pesteresti a sangue anche adesso che lo ha baciato anche se presa alla sprovvista? Mi sa che hai cambiato idea… Clara è una grande, lo penso davvero. Lei è una che dice pane al pane e vino al vino, non si nasconde dietro a giri di parole e preferisce essere sincera piuttosto che nascondere un possibile dolore all’amica, un po’ come me… e cavolo se per questo non ho litigato con la gente, ma comunque… Lorenzo, il verme… oddio ancora non so cosa accadrà (sono bugiarda, io lo so e come…)… io sono una Sara mancata per il semplice fatto che mia madre voleva chiamarmi così ma è stato mio padre ad andare all’anagrafe e registrarmi con il mio attuale nome… Carmela… prima o poi chiederò a mio padre i danni morali per avermi dato un nome simile! Comunque a me personalmente piace più Sara che Silvia quindi fai i complimenti alla sorella vincitrice, per il ritardo non preoccuparti, io ormai aggiorno con tempi più che biblici! Un bacio alla prossima!

 

- HATORI: Taniuzza bedda! Immagino, spero, che approfitterai della settimana di Pasqua per rimetterti a scrivere, vero? io voglio leggere qualcosa di tuo e presto, magari fammi qualche regalino di compleanno… passiamo a Sara va! La sua confessione ti ha sconvolta? Immagina il seguito allora, non ti dico niente… ma sappi che la fine è ancora lontana… molto lontana, diciamo che qui stiamo concludendo la prima parte della storia… Lorenzo è un grande amore ed una grande dannazione, anche se assente, ha condizionato le scelte di Sara e tutta la sua vita… vedremo cosa accadrà! Comunque tranquilla, si riprenderà non tanto presto ma si riprenderà e soprattutto avrà anche delle belle rivincite dalla vita. Adesso ti saluto e ti mando un grosso bacio.

 

   La canzone che chiude il capitolo è “La mia storia tra le dita” di Gianluca Grignani, fa parte dell’album Destinazione Paradiso dell’anno 1995.

    Quello che segue è Damien Mc Glass, l'attore per chi non lo riconoscesse è Luca Argentero.

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