Storie di persone comuni

di DontMindMe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I giardinetti (prompt: oro finto) ***
Capitolo 2: *** Casa di bambola (prompt: cuore di bambino) ***



Capitolo 1
*** I giardinetti (prompt: oro finto) ***


I giardinetti


La si vedeva uscire due volte al giorno, Rosanna, con lentezza e convinzione, un passetto malfermo dopo l’altro.
Si manteneva in forma, nonostante i suoi ottantatré anni, e camminare le piaceva ancora tanto. Spiare la vita con la coda dell’occhio, mentre piano piano vi si immergeva; il sole sulla testa, la gente affannata intorno, veloce.
La sua casa era vuota da troppo tempo, ormai, e guardare da lontano, dalla finestra, nel silenzio più completo, rotto solo a volte dal canto di Giovannino, non faceva per lei. Lei la vita la voleva ancora sentire addosso, intorno.
Così si sistemava i capelli bianchi, mossi e corti, si metteva un bel vestito a fiori, le scarpe comode, l’oro finto, e andava ai giardinetti con un sacchetto di pane e semi ficcato nella borsa.
Dare da mangiare agli uccelli, però, non era il suo scopo principale. Rosanna si portava un segreto nel cuore.
Certo aveva sempre amato gli uccelli: Giovannino, il suo canarino di nove anni, era la sua compagnia, il suo figlio adottivo, colui che ora riempiva il vuoto della sua casa. E prima di lui ce n’erano stati altri, tanti altri da quando i suoi figli erano andati via di casa. Gianmarco, il più grande, le portava i nipoti ogni fine settimana, riempiendo la sua vita di voci. Poi anche i nipoti erano diventati grandi e avevano smesso di andare a trovarla, presi da tutt’altro. Lorenzo, il più piccolo, aveva preso la laurea ed era andato a lavorare in America, lo vedeva una volta ogni due anni, quando andava bene. La sua vita ormai era là, non poteva pretendere molto di più.
E poi c’era Vincenzo, l’uomo che le aveva cambiato tutto, il modo di vedere il mondo. Era stato un matrimonio normale, per quegli anni passati. Rosanna aveva rinunciato al suo sogno di fare l’infermiera e aveva messo su famiglia, diventando una mamma a tempo pieno, come tantissime altre donne del suo tempo.
Il matrimonio con Vincenzo era stato tranquillo, piacevole, pieno d’amore. Quell’uomo era sempre stato corretto nei suoi riguardi, rispettoso come pochi. Lei lo amava davvero, profondamente. Quando era morto di infarto, trent’anni prima, aveva lasciato un tale vuoto nel suo cuore che pensava non si sarebbe mai più ripresa dalla perdita. E così fu, per lunghi anni, ma il tempo era passato e aveva sanato le ferite, lasciandole solo i ricordi, quelli che la facevano ancora sorridere, anche se li aveva richiamati alla memoria centinaia di volte.
Di una cosa era sicura, però. Non avrebbe mai più amato in quel modo. Eppure… eppure ora si portava dentro questo segreto, come un’adolescente alla prima cotta.
Si sedeva su una panchina dei giardinetti e tirava fuori il suo sacchetto, cibando i piccioni, o i passerotti, creandosi intorno una cerchia di graziosi volatili che la facevano sorridere, sempre, ricordandole quanto perfetto fosse il lavoro del Signore, su qualunque creatura, e semplicemente attendeva. Attendeva il suo arrivo, ogni ora, ogni minuto.
Pinuccio lo conoscevano tutti, ai giardinetti. Aveva una cerchia di fedeli compagni in zona, e si avvicendavano ogni giorno per discutere di politica, di società, dei problemi del quartiere. Da quello che Rosanna aveva capito, tenendosi sempre un po’ in disparte, limitandosi a sorridere e salutare con il capo, Pinuccio era stato un insegnante e un militante del Partito Comunista, uomo di grossa cultura che affascinava ancora con le sue parole, dall’alto dei suoi ottantasei anni.
Ad ottantatré anni, a Rosanna batteva ancora il cuore per un altro essere umano, una benedizione che credeva non le sarebbe più spettata nella sua esistenza.
Per quanto Pinuccio avesse tentato di coinvolgerla nelle discussioni più volte, lei faceva fatica a tirare fuori la voce, abituata com’era al silenzio, alla solitudine, e restava lì ad ascoltare, ad annuire timidamente e a sfamare gli uccelli, fino a che un giorno Pinuccio, per una volta da solo, le si sedette di fianco sulla panchina, cautamente, con un piccolo gemito di dolore e un sospiro. Rosanna sorrise, aggiustandosi i capelli. Quella vita che ancora agognava sembrava essersi ripresentata alla sua porta per davvero, arrossì appena e si sentì giovane un’altra volta. Non poteva sapere che lui non avrebbe più lasciato il suo fianco, che sarebbe diventato il suo nuovo punto saldo, la sua nuova àncora.
C’erano stati tanti altri giorni come quello, lei aveva imparato a parlare di nuovo, come fosse la prima volta, e fra loro c’erano stati scambi di pura saggezza. Si trovava bene con lui, anche da vicino, e andare ai giardinetti aveva un nuovo significato, tutto speciale.
Non si sentiva più sola, e anche se probabilmente non avrebbero passato il resto della loro vita insieme come una coppia, era comunque bello avere un nuovo amico, dei nuovi amici che Pinuccio le aveva ufficialmente presentato.
Si scoprì a sorridere molto di più, anche a casa da sola. Iniziò a parlare a Giovannino, piena di entusiasmo, come se avesse dimenticato i suoi anni su una panchina ai giardinetti. Si era riaperta alla vita ancora una volta, come se rinascere, e rinascere, e rinascere ancora fosse possibile, sempre, finché un alito di vita smuove ancora il tuo corpo.
La vita ha sempre sorprese in serbo, che siano esse positive o negative, basta fare qualcosa per andare a cercarle, senza rinchiudersi in una gabbia volontariamente. Lei l’aveva fatto, timidamente, e questo l’aveva accompagnata verso quel giorno, quello in cui Pinuccio prendendole la mano le aveva proposto di passare insieme i loro ultimi anni, come compagni o come marito e moglie e lei gli aveva risposto che non aspettava altro che glielo chiedesse.
Il giorno che andarono a sposarsi al comune, comprarono Giuseppina, un canarino femmina, così che anche Giovannino non fosse più solo. Perché nessuno merita di essere solo.
Ogni giorno trascorso con Pinuccio fu un dono del cielo, per mano ai giardinetti a cibare gli uccelli. Ogni giorno trascorso con Pinuccio, Rosanna ringraziò il Signore per averle dato ancora la forza di camminare, e camminare fino a lui, di andargli incontro e conoscerlo. E ogni giorno trascorso con Pinuccio, Rosanna sperò di morire assieme a lui, così da non dover soffrire ancora una perdita troppo dolorosa.

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Capitolo 2
*** Casa di bambola (prompt: cuore di bambino) ***


Casa di bambola


Mario da piccolo voleva fare il falegname. Non è un sogno comune, niente che ci si aspetti di veder nascere nel cuore di bambino di un qualsiasi essere umano, eppure lui voleva fare il falegname.
Costruire le cose era sempre stato il suo passatempo preferito, dalle pile di cubi, parecchio articolate, quando aveva poco più di dieci mesi, a intricati mobiletti di Lego. Si era fatto regalare un set di attrezzi giocattolo, scalciando e sbraitando per ore, e niente lo attirava più di quelle seghe di plastica, di quei cacciaviti di gomma, neanche i giocattoli più costosi e alla moda che riceveva ogni Natale.
A quindici anni era già perfettamente in grado di costruire mobiletti, anche alquanto complessi, che disegnava lui stesso, progettandoli fin nel più minimo particolare. Ma a quindici anni, sapeva già che i genitori non gli avrebbero permesso di perseguire una carriera così modesta, a parer loro, e che avrebbe dovuto fare l’Università, una che gli avrebbe permesso di fare carriera.
E così si ritrovò a fare, travolto dagli eventi, dimenticando in parte quel semplice sogno che si era portato dietro per una vita. Esame dopo esame, lavoro dopo lavoro, era diventato direttore di banca, tramutandosi rapidamente nell’orgoglio della famiglia, la storia che i genitori raccontavano con le lacrime agli occhi ad ogni festività al resto dei parenti.
Di tempo non gliene rimaneva tanto, e quello che aveva a disposizione lo impiegava per lo più per seguire la sua famiglia. I figli che crescevano a vista d’occhio, la moglie che aveva conosciuto fra le quattro mura della sede. Eppure ogni fine settimana trovava anche un paio d’ore per rinchiudersi nel garage alla ricerca della sua vecchia passione.
Si era costruito una funzionale scaffalatura di legno, così che ogni attrezzo fosse al suo giusto posto, ma non gli bastava. Lui voleva costruire altre cose.
Il compleanno della figlia Annalisa si avvicinava, i dieci anni sono una tappa importante, pensava. Avrebbe costruito una casa per le bambole, completa di ogni piccolo mobile, di ogni piccolo dettaglio.
Ci lavorò per mesi e mesi, finché non fu soddisfatto: aveva tre piani e un tetto spiovente, dipinta di rosa. Aveva cucito tutto, dal rivestimento in pelle dei divani alle tende e al copriletto, aveva persino fatto degli stampi per colare in gesso i servizi del bagno, saldato lampade e letti, inserito il vetro nella credenza, nelle finestre. Era perfetta e Mario ne era davvero soddisfatto. Lo considerò il suo capolavoro di una vita, più anche della piattaia che aveva costruito a tredici anni e che la madre aveva apprezzato tanto, seppur con in faccia la tipica espressione di imbarazzo che mostrava dinanzi l’esprimersi di quell’arte. Eppure la piattaia era rimasta nella sua cucina per decenni e ancora faceva bella mostra di sé in casa, così come la credenza che costruì qualche anno più tardi.
Era un talento, se lo riconosceva. Un falegname molto migliore di un banchiere.
Diede gli ultimi ritocchi al suo capolavoro, aggiungendo la carta da parati, e sistemò ogni mobiletto al suo posto. Aveva l’aspetto di una di quelle costose casette che aveva visto in Belgio, anni prima, e che ad Annalisa erano piaciute tanto. Forse l’avrebbe fatta felice, facendosi perdonare il poco tempo trascorso insieme. Forse aveva fatto la cosa giusta.
E poi il tredici di agosto arrivò, il giorno del compleanno. Impacchettò la casa con della carta a righe rosa e lilla, con un grosso fiocco in cima, e trasportò a fatica tutto al sesto piano, dove c’era il loro appartamento. Non vedeva l’ora di scorgere sorpresa sul viso di sua figlia.
Lasciò che aprisse quel regalo per primo, perché era teso eppure orgoglioso.
“E’ grande, cos’è?” gli disse la figlia strappando via con poca grazia la carta ed esponendo quel meraviglioso oggetto di fine artigianato. E Mario riconobbe quello sguardo, d’imbarazzo, che sua madre gli rivolgeva ogni volta. “Che bella papà, ma io non sono più una bambina!” aggiunse, aprendo gli altri regali, esaltandosi alla vista del cellulare che la madre le aveva comprato.
Mario sentì di nuovo cadere il suo mondo. Nessuno riconosceva e apprezzava il suo dono, nessuno credeva nella sua passione. La moglie gli accarezzò una spalla, come a consolarlo, o a compatirlo, e andò a tirare fuori la torta dal frigo.
Fu quel giorno che Mario decise di non toccare più un attrezzo, era frustrante, doloroso, e non aveva bisogno di sentirsi così inadatto. Avrebbe continuato a fare il banchiere, che forse era quello che gli riusciva meglio, in fondo in fondo. E così fece. Col trascorrere degli anni, anche quando ormai fu un pensionato, non rimise mano a quel qualcosa che per metà della sua vita l’aveva fatto sentire così bene.
Eppure non poteva sapere che la sua nipotina di quattro anni avrebbe ritrovato quella casa di bambole intonsa dopo decenni, ancora perfetta, ancora splendida, e avrebbe trascorso ore a giocarci, da sola, figlia unica, nella sua stanzetta. Non poteva saperlo prima, ma quando andando a trovarla la vide intenta a parlottare con la sua bambolina di fronte a quel capolavoro, una lacrima scese sul viso ormai anziano di Mario che le si sedette di fianco, per giocare con lei e raccontarle di come aveva costruito quella casa, tanti anni prima, per la sua mamma.
La bambina, Gaia, rimase affascinata a sentire la storia, tenendo abbracciato il nonno, che con gli occhi ancora lucidi le accarezzava i capelli neri a boccoli.
Forse alla fine qualcuno che l’apprezzava davvero era arrivato, aveva dovuto solo aspettare, e aspettare ancora.
Gaia gli diede la forza di rimettersi al lavoro, anche solo per svecchiare l’arredamento di casa di due anziani signori come lui e la moglie. Lavorando ancora nel suo garage, altra gente poté ammirare il suo operato e iniziarono commissioni di mobili di ogni tipo o insegne in legno per negozi, alle quali lui prestava una cura ancora maggiore, guardandole poi con un sorriso che gli veniva dal cuore quando le scorgeva affisse in città.
E imparò che ad arrendersi non ci si guadagna niente, che quando qualcosa ci viene dritto dal cuore, non bisogna abbandonarla, mai, per una vita intera, senza dimenticare com’era, senza dimenticare come ci faceva sentire. Perché le ricompense arrivano, prima o poi. Arrivano e ti fanno sentire bene come mai prima.

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