Blood's Ties - Legami di Sangue

di Ataraxia Diagrams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I - Take me Away. ***
Capitolo 2: *** II - Prisoner. ***
Capitolo 3: *** III - Just a Monster. ***
Capitolo 4: *** IV - You, Fucking Bastard. ***
Capitolo 5: *** V - What are you Waiting For? ***
Capitolo 6: *** VI - HELLcome, Emily. ***
Capitolo 7: *** VII - My Soul on Fire. ***
Capitolo 8: *** VIII - Get Dirty. ***
Capitolo 9: *** IX - You Take the Breath Right Out of Me. ***
Capitolo 10: *** X - Until the End. ***
Capitolo 11: *** XI - Reborn. ***



Capitolo 1
*** I - Take me Away. ***


Nome: Blood’s Ties – Legami di Sangue;
Categoria: Originale - Vampiri;
Genere: Azione, Urban Fantasy, Sentimentale, Erotico, Romantico, Guerra;
Ambientazione: Sconosciuta;
Periodo Storico: Ipotetico Futuro;
Rating: V-17;
Avvertimenti: Het, Lemon, Angst;
Note: E’ una fanfiction a sfondo sessuale, con scene esplicite, tematiche forti e mature. Dubito fortemente che qualche quindicenne innocente (?) si scandalizzerà e/o rovinerà l’adolescenza leggendo questa storia (evviva gli account maggiorenni falsi), ma non si sa mai, come Pilato, me ne lavo le mani. Ci prendiamo tutti le nostre responsabilità: ergo se pensate che certe scene possano darvi fastidio, chiudete la fan fiction e leggete qualcosa di più leggero.
I personaggi sono del tutto originali, inventati, e non prendono spunto da altri. Dimenticatevi Edward Cullen (i miei vampiri NON SONO GENTILI E NON BRILLANO) o sfigate passive come Bella. I miei personaggi (con tutto il rispetto per chi ama e segue Twilight, sto solo facendo dell’ironia) hanno carattere e soprattutto non sono “vegetariani”. Anzi.
Detto questo, vi auguro una buona lettura ^^

 
 
~~~
 

"La notte cala silente
il chiaror lunar che mai mente
è con la notte oscura
che la nostra morte è sicura.
 Guarda la pelle
guarda i canini
guarda le mani
guarda la bocca mossa dal sangue
ecco che il più debole stramazza...
è il vampiro che ora ti ammazza"

 
Avevo imparato quella stupida filastrocca a memoria...la mia vecchia insegnante mi aveva punita più volte perché mi rifiutavo di farmela entrare in testa...
Era a dir poco oscena...e sentirla uscire dalle labbra dei miei Fratelli Cacciatori era ancor più inquietante.
Non sapevano nemmeno di cosa stessero parlando poiché fin dai primi anni di coscienza insegnavano loro che i Vampiri li avrebbero mangiati in un boccone solo. Patetico. I vampiri non erano così rozzi da nascondersi sotto il letto e spuntare fuori la notte quando la mamma ti aveva già rimboccato le coperte. E altra cosa importante: non ti mangiavano in un secondo, bensì aspettavano che fossi tu a venire da loro. Perché con il loro sguardo ti seducevano fino a renderti schiavi della loro lussuria... poi, quando smettevi di essere il loro giocattolino sessuale, ti rimpiazzavano. Basta loro un morso. Ti prosciugano lentamente per il sadico divertimento di sentirti gridare. Ti ammazzano senza darti il tempo di dire Amen.  Sono questi i vampiri...inutile immaginarli come bestie incontrollabili. Io, Emily Vichbourg, ho avuto la mia buona dose di esperienze...al tempo ero solo una ragazzina, sedici anni appena compiuti e una vita abbastanza tranquilla. Lo Stato continuava a gestire subdolamente il Mondo Parallelo senza che i Comuni si dovessero preoccupare di nulla. Dopo duemila anni, la società era regredita moralmente allo stato medioevale...il Sabato si bruciavano le Streghe nella Piazza del Parlamento e la gente teneva addirittura corone di cipolla fuori dalle abitazioni. La tecnologia aveva fatto passi da gigante, ma eravamo regrediti come vegetali a livelli allucinanti. Persino la società si era divisa in Caste: i Nobili in cima alla piramide dei diritti. Avrebbero potuto anche conficcarti un paletto nel cuore (metodo che non avrebbe assolutamente ucciso un vampiro, tanto per precisare) accusandoti di essere un Figlio della Notte e tu, povero Minore servo dello Stato, non avresti potuto fare altro se non morire "in pace". La situazione ormai era tragica. Al ricordo delle mie mani sporche di sangue tremo ancora e la notte gli incubi vengono a farmi visita...posso vedere tutti i loro volti...le facce di chi ho ucciso credendo che con tale gesto sarei finita in un inesistente Paradiso. La notte i nostri Maestri di Caccia ci mettevano in mano una pistola con proiettili in argento, e ci spingevano a correre per il bosco seguendo gli ululati disperati e strazianti dei Licantropi. Ne uccisi a decine. Lo ricordo come fosse ieri...e quando tornavo trionfante a casa trascinandomi i loro cadaveri appresso, i miei genitori mi promettevano che il prossimo Sabato, avrei potuto dare anche io il mio contributo allo Stato, mettendo un ramoscello in mezzo alla pira per bruciare la vittima del giorno. Solitamente a fare certe carneficine eravamo noi Minori...Cacciatori insignificanti al servizio dello Stato. I Nobili non si sarebbero mai sporcati le mani con il sangue "sporco" di un Mannaro. A tutto questo, si alternavano delle feste inutili...ma ce ne era una...una in particolare che mi cambiò la vita. Non era propriamente una festa, bensì un evento speciale che si ripeteva ogni duemila anni. La notte calava per due mesi...allora i Porfirici (un soprannome scientifico dei vampiri) ne approfittavano per attaccare e chiunque trovavano in strada, era morto. Lo Stato fece un patto con queste bestie...una fanciulla vergine sarebbe stata scelta dal figlio del capo branco dei vampiri. La poveretta sarebbe stata portata nel loro "nido". Violentata e prosciugata di ogni goccia di sangue. Questo sacrificio sarebbe dovuto bastare come freno per tenerli lontani dai Comuni per i prossimi duemila anni. Naturalmente i vampiri infrangevano di continuo i patti ignorandoli alla grande, ma lo Stato era impotente di fronte alla loro forza distruttiva. Naturalmente le ragazze che venivano proposte per assumere il ruolo di Vergine, non erano mai figlie di Nobili bensì misere Minori. Proprio come me. Mi arrivò la lettera e ricordo lo stupore dei miei genitori mentre percorrevano con gli occhi quelle poche righe.
 

"Lo Stato si cura di annunciarVi che Vostra figlia Emily Vichbourg, di anni sedici, è sollecitata a presentarsi alla scadenza dei due mesi di Buio, nella Piazza del Parlamento così che il Principato dei Porfirici, possa scegliere la Vergine Sacrificale. Cordiali saluti"

 
Insomma tante belle parole per dirti che tua figlia poteva essere tanto sfigata da piacere ad un vampiro che l'avrebbe prima violentata con la sua combriccola di immortali, e poi dissanguata con gusto massacrandola. Wow.
Ma era così che funzionava il mondo...e nessuno poteva andare contro il volere dello Stato. O meglio, nessuno voleva. Nessuno tranne la sottoscritta.
 
~~~
 
Era scesa velocemente la sera. Stavo tornando a casa dal mio solito allenamento con Mira, la mia Magistra di Caccia. Avevo ogni parte del corpo indolenzita dagli esercizi che quella pazza continuava a farmi fare con tanta caparbietà. Ero seduta sull'autobus, ultimo posto a destra come sempre. Isolata dal resto della gente che continuava a fissarmi con insistenza...le "Aspiranti" Vergini incutevano sempre un po’ di paura negli abitanti e i loro sguardi parlavano per sé. La musica mi rimbombava pesantemente nella testa...avevo bisogno di distrarmi per non pensare a quella lettera...per non pensare che forse quella sarebbe stata l'ultima volta che avrei sentito un po’ di musica...prima delle grida dell'Inferno. Ero sicura che sarebbe stata quella la mia destinazione. Ero cresciuta abbastanza lontano dal gregge per capire che le Streghe al rogo non mi avrebbero di certo aperto le porte del Paradiso...fuori dal finestrino il mondo andava avanti, gli uomini ornavano dal lavoro, le donne preparavano la cena e i bambini se ne stavano imbambolati davanti alla TV a sentire le prediche dei funzionari dello Stato che dispensavano "amore" sollecitando la comunità ad uccidere più Impuri possibili. "Che schifo...il mondo sta veramente cadendo a pezzi" mi ritrovai a pensare mentre l'autobus percorreva lento le vie della cittadina. La scuola di Caccia era lontana da casa mia e per raggiungerla impiegavo almeno un'oretta sui mezzi pubblici (pubblici perché i Nobili non si azzardavano a mischiarsi con degli stupidi Minori). Così mancavano ancora trenta minuti prima di giungere a casa. Sentivo che fra poco sarei caduta vittima del sonno...ma qualcosa interruppe il filo dei miei pensieri e una sirena d'allarme così alta da superare la musica, risuonò per tutte le strade e i vicoli. Aprii di scatto gli occhi guardandomi attorno confusa. L'autobus si era svuotato e la gente correva gridando a destra e a manca rifugiandosi nelle case di altri. Persino il conducente era sparito implorando ad un cittadino di offrirgli riparo.
Ero sola. E la cosa non mi piaceva affatto.
-Dannazione! Il Coprifuoco comincia oggi!- realizzai in un attimo e prendendo lo zaino mi avviai di gran corsa verso la porta centrale dell'autobus. Ero quasi giunta ai posti centrali quando uno scossone mi fece scivolare violentemente a terra. Le ruote della fiancata destra del mezzo avevano ceduto, qualcuno o qualcosa le aveva forate e l'abitacolo pendeva vertiginosamente dal lato più basso. Nella caduta, ero rimasta con un piede incastrato sotto ad uno dei sedili e la caviglia cominciava a lanciare i primi allarmi di dolore. La sentivo pulsare e gonfiarsi mentre con fatica cercavo di liberarmi.
"Cazzo cazzo cazzo! E adesso? Oddio che faccio!?" ero nel panico, non riuscivo a pensare con lucidità...non avevo mai visto un vampiro, ma sapevo cosa erano in gradi di farti...stavo sudando freddo. Potevo sentire delle timide goccioline di sudore scendermi lungo le tempie bagnandomi la pelle troppo bianca. Me lo avevano sempre detto i miei che sembravo malata con quella carnagione troppo chiara...una carnagione piuttosto insolita in una famiglia di mulatti, non credete?
I capelli biondo chiaro mi si appiccicavano al volto mentre l'umidità sembrava farsi ancora più pesante e sui vetri cominciava a crearsi una leggera brina...
Tremai. Non per il freddo...per la paura. Perché solo un certo tipo di creature potevano far scendere il gelo al proprio passaggio...
-Vampiri- non so come avevo fatto a pronunciare quella parola poiché sentivo che la lingua mi si era paralizzata nella bocca impedendomi di spiccicare parola. Sentii il rumore dei vetri che andavano in pezzi e vidi un arcobaleno di riflessi accendersi nella zona anteriore dell'autobus. Qualunque cosa fosse, aveva rotto il vetro della porta ed era entrato annusando l'aria. In quel momento mi feci piccola sentendo che il pericolo si avvicinava a passo troppo svelto...mi spinsi contro destra cercando di rannicchiarmi il più possibile contro il sedile. La stoffa logora dei cuscini sembrava volermi respingere attutendo il peso del mio corpo. I suoi passi erano felpati e leggeri, come se stesse camminando in aria e l'equilibrio che manteneva nonostante il mezzo fosse in obliquo, era impressionante. Io non sarei riuscita a mettere un piede dopo l'altro senza cadere...e si era visto.
-Ah...ma che odore delizioso...- la voce era intensa ed estasiata, sapeva di miele e seta...era dolce ma le parole che accompagnava erano estremamente pericolose ed inquietanti.
-Dove sei, piccolina? Su, esci fuori...non ti farò del male...- mi strinsi ancora di più abbracciandomi le gambe e trattenendo a stento il dolore alla caviglia che si stava infiammando. "Vattene...vattene...ti prego vattene..." non potevo credere di essere finita in quella dannatissima situazione! Scannata viva da un vampiro...una morte che non mi aspettavo davvero.
Continuava a venirmi incontro e  quando passò sotto il cono di chiaror lunare che entrava timido da un finestrino rotto, rimasi basita di fronte alla sua figura. Era un ragazzo alto abbastanza da superarmi con la testa. I capelli erano colore del grano e rilucevano sotto la luna incorniciando il volto niveo e giovane. Aveva l'aria da ragazzino innocente...Il classico ragazzino innocente che si diverte a staccare le antenne alle formiche.
A rapirmi però furono i suoi occhi...erano di un grigio indescrivibile...più puro del metallo fuso e meno sporco del ghiaccio ai lati delle strade urbane. In quelle iridi vi erano racchiuse le sfumature e i colori di un cielo in tempesta e le sue nuvole...i suoi tuoni...mi avevano incatenata a lui.
Si avvicinò ancora con il suo passo aristocratico, ma improvvisamente sparì dalla mia visuale. Il mio cuore perse uno...due..tre e forse quattro battiti quando scomparve lasciando un raggelante senso di vuoto.
-Tana per Emy- sobbalzai gridando e mi ritrovai con la schiena pigiata contro il finestrino mentre sul suo volto perfetto si dipingeva un sorriso sadico che non mi rassicurava affatto.
-C...chi sei!?-
-Tipica domanda da copione di film horror...mi aspettavo qualcosa di meglio da te, Vichbourg...- il suo volto era maledettamente vicino al mio e potevo sentire il suo fiato...il suo fiato inesistente che nella mia immaginazione, mi sfiorava il volto madido di sudore. Non respirava...non ne aveva bisogno.
-I...io voglio solo...solo tornare a casa mia...dalla mia famiglia...- mormorai terrorizzata. Mi vergognavo del mio tono implorante e patetico...ma non era il momento per l'orgoglio.
-Oh...ma ci tornerai, piccolina...ci tornerai eccome...lascia che ti accompagni io- il ghigno sadico si trasformò in un sorriso pericoloso e letale che non preannunciava nulla di buono e gridai quando la sua mano, curata e affusolata, mi afferrò con forza il polso attirandomi bruscamente a sé. Le mie urla cessarono di colpo quando mi ritrovai lì, "al sicuro" contro il suo petto, stretta dalle sue braccia che corsero a tenermi la schiena e le gambe sollevandomi da terra.
Era così freddo...
-No! Dove...dove cazzo mi stai portando!?-
-Bèh...se te lo dicessi...che razza di rapimento sarebbe?-

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Capitolo 2
*** II - Prisoner. ***


Note dell’Autore: Ormai sono conosciuta come quella che non aggiorna mai. Mi dispiace farvi aspettare così a lungo, ma diciamo che sono come un'automobile: invece di andare a benzina, io vado ad ispirazione...e quando quella non c'è, pace non riesco a scrivere cose decenti.
Comunque ho letto i commenti dove mi pregate di aggiornare, quindi ho deciso di impegnarmi nonostante tutto ed ecco il nuovo capitolo pronto per voi! Non è lunghissimo, ma ho deciso di fare parecchi capitoli ma brevi, così riesco ad amministrarmi meglio il tempo per svolgere l'intera storia. Spero comunque che vi piaccia e di non aver deluso le vostre aspettative.
Ah, prima che me ne dimentichi, ringrazio:
merion; Ghen; _sefiri_; Lebron; tori:93; Little Sleeping Beauty; aras1796;  Kahoko; ciccina5; claudina cullen;
Grazie a tutti voi per i fantastici commenti^^
 
~~~ 
 
-Lasciami andare, ti prego!- gridavo come una bambina terrorizzata da un incubo, ma stavolta non c'era il lettone dei miei genitori pronto ad accogliermi. Stavolta potevo solo sperare che quel Porfirico non decidesse di prolungare troppo la mia agonia. Saltava con agilità da un tetto all'altro, spezzando l'aria pesante della notte,facendo vergognare le stelle con la propria lucentezza. Le sue braccia mi tenevano salda, come fossi una reliquia sacra. Improvvisamente atterrò su una piccola cupola d'una Chiesa dismessa, allentando la presa fino a liberarmi.
Non potevo crederci. Ero libera, o pensava che quello fosse il posto adatto dove consumare il suo abominio? Appena i miei piedi toccarono terra o meglio, le tegole imprecise e rotte, cominciai ad indietreggiare impaurita, senza spezzare il contatto visivo che mi teneva legata a lui in un indissolubile e arcano legame.
Indietreggiai ancora, finché la mia schiena non trovò come ostacolo il piedistallo in pietra che reggeva la grande croce Cristiana in ferro battuto.
Dietro di essa, il tetto era completamente crollato. In sintesi: fine dei giochi.
Caddi a terra, lasciandomi scivolare lungo il piedistallo gelido, fino a sedermi stremata sulle tegole. Odiavo quella situazione. Dio, non pensavo che morire mi sarebbe dispiaciuto così tanto!
-Cosa vuoi...da me?- mormorai con voce flebile, mentre tentavo di puntare lo sguardo altrove. Era di una bellezza raggelante, disarmante...ma era anche il mio carnefice. Un sorriso spudoratamente malizioso si aprì sulle sue labbra e il lungo brivido che mi percorreva la schiena, giunse a destinazione. Il vampiro si avvicinava senza fretta, sicuro di avermi in pugno, anche stavolta. I suoi passi erano regali e ordinati, le tegole sotto di lui non emettevano alcun suono evidenziando la grazia dei suoi movimenti. Quando mi fu davanti, si fermò senza togliersi quello stramaledetto sorriso dalla faccia. Lo vidi armeggiare con una fiala legata alla cintura.
Tremai, ormai non ero più in grado di comandare i miei movimenti. Tutto era dettato dal terrore. Una lacrima silenziosa scese a bagnarmi il volto, seguita da un'altra.
-Non uccidermi...-
Il Porfirico assunse un'aria indifferente, alzando poi le spalle in segno di noncuranza.
-Ucciderti?- ripeté mentre si abbassava sulle ginocchia, arrivano più o meno al mio livello. Mi portai le gambe al petto, circondandole con le braccia. Speravo davvero di sprofondare, che la cupola cedesse proprio sotto il mio peso spedendomi all'Inferno. Sarebbe stato meno spaventoso di farsi uccidere da quell'algido predatore.
>La mano libera si mosse verso di me, accarezzandomi con le dita fredde e affusolate la gamba, saggiandone il calore umano.
-Che gusto ci sarebbe ad ucciderti subito?-
Nella mia mente di fece spazio la disperata idea di rotolarmi di lato, ma inspiegabilmente egli aveva già interpretato il guizzo dei miei occhi. Il braccio corse velocemente in avanti, spingendo la mano ben curata contro la pietra, ad un soffio dalla mia testa. Ora non avevo davvero possibilità di fuggire, e il suo volto, di nuovo così pericolosamente vicino, mi fece sussultare. Era perfetto, più splendente della luna, spietato come un serpente. Mentre continuavo a tremare, il ragazzo bevve con un sorso veloce tutto il contenuto della fiala, senza però mandarlo giù. Non avevo idea di cosa stesse facendo, di cosa avesse in mente.
Ma le sue labbra crearono più confusione di quanta non ne avessi.
Sentii le sue mani sul mio viso, tenermi con forza. Gelide.
Sentii le sue labbra sulle mie, perverse e dolci come miele, morbide e peccaminose. Infuocate.
Sentii la sua lingua violarmi la bocca con spudoratezza, divorarmi con foga, stuzzicarmi come si fa con una preda. Sensuale.
Sentii quel liquido blu notte invadermi il palato e scendere denso per la gola, raggiungermi lo stomaco, arrivare fino alla testa. Rendendomi più innocua di quanto non fossi già.

 
 
 
-Ci sono altre disposizioni, Signore?- era una voce femminile, estremamente gentile, mi ricordava per qualche strano motivo la dolcezza delle fragole.
-Si. Questa sera non mi unirò a voi per la "cena"...fai portare i pasti in questa camera-
La mia mente vagava in un vortice oscuro, rapita da mille ricordi spezzati, che non riuscivo a rimettere insieme: Mancavano ancora troppe tessere in quel Puzzle.
La luce fioca di un candelabro gettava ombre terribile sulle pareti ricoperte da una preziosa carta da parati rossa. Tutto era rosso in quella stanza.
La moquette;
Le pareti;
Le lenzuola fresche e pulite sulle quali ero adagiata...
 Le mie mani.
Aprii gli occhi di colpo, mettendo faticosamente a fuoco tutto ciò che mi circondava. Era una camera elegante, ricca senza dubbio. I mobili erano in ebano pregiato, un lato della stanza era composto interamente da una grande vetrata che lasciava entrare il timido chiaror lunare affacciandosi su una magnifica costa scoscesa che si gettava a picco nel mare. Feci per alzarmi, ma la caviglia mi faceva ancora un gran male, così mi limitai a mettermi a sedere sul bordo del comodo letto.
Istintivamente mi guardai le mani, ma il rosso che vi avevo scorto un minuto prima, sembrava essere frutto della mia immaginazione. Mi guardai attorno con circospezione, studiando ogni angolo di quella camera a me sconosciuta. Un delizioso odore di cannella aleggiava nell'aria. Mi riportava alla mente memorie incomprensibili.
Vedevo nella mia mente ciò che quel profumo risvegliava in me: il vagito sommesso di un neonato.
Due iridi glaciali, fredde come la neve stessa e ancora quella spezia deliziosa.
Mi accorsi solo in quel momento di non essere sola.
Il vampiro che mi aveva rapita, stava poggiato contro la porta della stanza, le braccia conserte e un'espressione compiaciuta sul volto chiaro. Cominciavo ad odiare i suoi sorrisetti da aristocratico.
-Solo due domande: chi sei e che ci faccio qui-
-Ma come siamo scontati...-
Mi innervosii subito. Sinceramente non avevo alcuna voglia di scherzare. Il giovane cominciò ad avanzare verso di me annullando con poche falcate eleganti la distanza di sicurezza che mi divideva da lui. Si mise a sedere proprio accanto a me, sorridendo quando stizzita mi feci più in là per tenermi lontana da lui. Doveva trovare la mia paura davvero divertente...
-Sono Evan I, figlio di Antoin IV, Nobile di Primo Grado appartenente alla Dinastia Bouregard.- Rimasi basita di fronte a tutti quei titoli che il ragazzo si curava di pronunciare con estremo orgoglio.
Peccato che non avessi la minima idea di che cosa stesse dicendo.
Notò la mia espressione spaesata e decise di aiutarmi.
-In altre parole, sono il primo in linea di successione per il Trono- sobbalzai. Sentii le palpebre dischiudersi completamente e il cuore perdere qualche battito per poi recuperarlo con estrema fatica. Non potevo credere a ciò che avevo appena sentito. Lui non poteva essere...
-Mi...mi stai dicendo che...- non riuscivo a sputare fuori quelle parole dalla mia bocca. Erano come veleno, sulle mie labbra.
-Che sono io colui che sceglierà la Vergine Sacrificale e...se stai pensando di sedurmi perché io ti risparmi quel giorno...bèh, sei completamente fuori strada- rabbrividii al pensiero. Intrattenermi con quell'essere spregevole? Avrei preferito un'iniezione di cianuro!
-E' inutile che ci provi, Porfirico. Non pensavo a nulla di tutto questo...piuttosto sei tu che hai strane intenzioni- strano come il mio orgoglio e la lingua velenosa che mi caratterizzavano, stavano lentamente riaffiorando. Forse perché mi sentivo di poco più sicura, ora. In fondo, se quel vampiro avesse voluto nutrirsi di me, lo avrebbe già fatto da un bel pezzo.
Si avvicinò di poco, quel tanto che bastava per sfiorarmi l'orecchio con le sue labbra perfette e sensuali.
-Se non ti è ancora chiaro...- la mano mi accarezzò un ginocchio, risalendo lungo la coscia, il ventre, sfiorandomi il contorno del seno, bramando il collo delicato fino a posarsi sulla mia guancia. I brividi mi attraversarono veloci, come farfalle impazzite, seguendo la scia delle sue dita.
-...sei mia Prigioniera.-

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Capitolo 3
*** III - Just a Monster. ***


Note dell’Autore: Eccolo! Il nuovo capitolo prima di partire per la Provenza. Rileggendolo, devo ammettere che mi piace parecchio. Sarà che Evan mi è venuto fo**utamente figo anche quando fa il bastardo. Ringrazio tutti quelli che mi sostengono, e perdonatemi se ne dimentico qualcuno: Lebron; caludina cullen; Artemis Lover; chyo; Kahoko; FullmoonDarkangel.
 
~~~
 
Sentivo lo stomaco chiuso. Dei servi avevano portato in camera un delizioso carrello degno d'un Re, eppure tutte quelle pietanze mie erano sembrate insopportabili come sabbia nella bocca. Era il terrore, l'ansia?
-Non è di tuo gradimento?- la sua voce delicata tornò a riecheggiare nella camera, mentre con una smorfia allontanavo il piatto.
-Non ho fame- risposi secca, con tono acido, provocandogli soltanto una scrollata di spalle indifferenti. Quel ragazzino viziato era insopportabile.
Mi presi le gambe tra le braccia, poggiandomi alla spalliera del grande letto. Evan se ne stava pacato sulla poltrona, leggendo un vecchio libro, lanciandomi di tanto in tanto qualche sguardo di nascosto. Durante quelle occhiate, mi pareva che mi stesse studiando, tenendo sott'occhio come si fa con un animale in gabbia.
Il silenzio era interrotto dallo scoppiettare del camino in fondo alla stanza, dove un fuoco leggero riscaldava l'atmosfera. Avevo insistito a lungo perché lo accendesse, dato che stavo congelando. Con ogni probabilità la sua razza non era sensibile alle temperature esterne. Un tocco leggero giunse da dietro la porta, seguito dalla voce femminile che avevo udito appena svegliatami.
-Vieni pure...- rispose il giovane, senza staccare gli occhi dalle pagine consunte del libricino. Per istinto mi raggomitolai maggiormente, impaurita, sentendo i nervi a fior di pelle. Fece il suo ingresso una ragazza sui vent'anni dai lunghi capelli mori. Le ricadevano lisci attorno al volto cereo, incorniciano le labbra ramate e piene. I suoi occhi smeraldini si posarono sul suo Sovrano, balenando poi repentini su di me per lambirmi appena, tornando a fissare densi d'ammirazione Evan. Aveva il fisico simile ad un giunco, delicato ed esile, fasciato in un abitino talmente niveo da sfiorare quasi il candore della sua pelle.
-La cena, Signore-
Da dietro il libro, il ragazzo fece un sorrisetto divertito, continuando però a leggere.
-Quante volte devo ripeterti di non chiamarmi in quel modo, Selìn?- nel sentire il proprio nome, la ragazza sembrò sussultare, mentre le gote si coloravano di un grazioso tono rosato.
-Mi sono curata di sceglierla io stessa...-
-Sangue?- chiese senza troppo interesse, sfogliando con le dita affusolate un'altra pagina-
-B Negativo, Evan-
Alzò finalmente lo sguardo dal libro, chiudendolo con cura e lasciandolo cadere su di un comodino adiacente. Ad un cenno del suo capo, Selìn strattonò dentro quella che aveva tutta l'aria di essere una Comune. Piuttosto giovane, forse sulla quindicina, si guardava attorno spaventata, ma allo stesso tempo irrimediabilmente attratta dalla bellezza disarmante dei due Vampiri.
-Carina...puoi andare Selìn, grazie- e la giovane s'inchinò appena, chiudendosi alle spalle la porta, mentre la Comune giaceva a terra singhiozzante, gli occhi colmi di paura.
-Che intenzioni hai?- sibilai, riscuotendomi dal momentaneo shock in cui ero precipitata.
-Il fatto che tu non abbia fame, non implica che anche io non debba averne- mi rispose semplicemente, alzandosi dalla poltrona, camminando con lentezza esasperante verso la ragazza. A quelle parole un brivido mi fece scattare dal letto, ed in un attimo mi gettai di fronte a quella, aprendo le braccia a mo’ di scudo. Non sapevo bene che cosa speravo di risolvere, ma non potevo lasciargli fare una cosa simile. Evan, dal canto suo, mi sorrise divertito, lasciandosi fuggire una risatina di scherno.
-Sono affamato, Emy...e quando sono affamato tendo ad essere...come dire...piuttosto irascibile!- mi minacciò, piegandosi su di noi. Il capo castano della ragazzina era poggiato contro la mia schiena, la sentivo tremare in preda agli spasmi, afferrarsi a me con le piccola dite ossute e disperate. Gli fissai uno sguardo indignato in quegli occhi crudeli e tempestosi, serrando istintivamente i denti.
-Non ti lascerò scannare quest'innocente di fronte ai miei occhi!- gridai indignata, senza accennare a desistere.
-E allora perchè non esci a farti un giro per la Residenza?- mi schernì, facendo un altro passo avanti. Era troppo vicino ora, ma probabilmente a qualcosa gli servivo, ergo non mi avrebbe dovuta attaccare.
-Non scherzare, lurido bastar...- ma le parole mi si fermarono in gola quando, afferratami per il collo, mi sollevò a metà aria, mentre le mie dita si stringevano debolmente attorno alla sua mano.
Sentivo il respiro farsi rado, mentre i polmoni invocavano ossigeno che non riuscivo ad inspirare. Aprì la porta, scaraventandomi crudelmente sul pianerottolo. Caddi con un tonfo, accompagnando la caduta rovinosa con un grido straziato. Quando aprii gli occhi, il suo volto corrugato dal furore mi ammoniva dallo spiraglio della porta, mentre la richiudeva con forza.
-No! Evan apri questa porta!- gridai gettandomi addosso alla candida lastra di legno intarsiato. Vi battei i pugni, graffiandola come una belva.
-Apri questa cazzo di porta! Evan! Evan ti prego!- la mia voce era ridotta ad un grido senza vita, mentre alle mie urla si univano improvvisamente quelle strazianti e dilaniate della ragazza. Ed io non potevo fare nulla. Inutile. Impotente di fronte ad un massacro. Per la prima volta in vita mia, mi sentii debole, assolutamente incapace di evitare che accadesse un abominio simile. La giovane vittima smise di urlare dopo poco, forse durò qualche secondo appena, ma mi sembrò un lasso di tempo maledettamente interminabile. Poi un tonfo muto accompagnò il sospiro di quel mostro.
-...ti prego...- mormorai ancora, ora con un fil di voce, lambendo con le dita il legno della porta, inginocchiata stancamente a terra. Gli occhi mi bruciavano, sentivo le lacrime scendere lungo le gote, colarmi tra le labbra.
Sentii i passi di Selìn passarmi oltre, entrare nella stanza. Probabilmente quello che stava trascinando via era il cadavere, ma nonostante avessi gli occhi sbarrati, non riuscivo a vedere nulla. Ero semplicemente assorta in un modo di delirio e terrore. Quando la porta si riaprì, scattai indietro in preda al panico, strisciando con la schiena contro la ringhiera del pianerottolo. Evan mi fissava dall'alto della sua postura, gli occhi plumbei scintillavano d'eccitazione. Sembrava che le mie lacrime gli dessero un perverso appagamento, come se il suo animo buio sfociasse in un mare di sadismo capace di esaltarlo. Mi sentii afferrare per un braccio dalla sua gelida mancina, trascinandomi con forza e decisione all'interno di quella stanza. Il camino era spento e nell'aria aleggiava il terribile odore del fuoco spento e della morte. Mi gettò sul letto, come un oggetto di poco conto. I miei occhi balenarono sul suo volto. Era rilassato. Della rabbia vista poco fa, non v'era più neanche l'ombra, eppure la sua fredda indifferenza mi fece ancor più male. Ai lati della bocca sensuale, dei rivoli sinuosi di sangue scendevano sul mento. Li ripulì passandovi sopra l'indice, per poi assaporarlo con gusto. Una sensazione sconosciuta mi ribolliva nello stomaco.
Il modo in cui si leccava le dita; la camicia bianca macchiata di sangue che s'apriva sul petto niveo; i capelli scompigliati e la lingua che guizzava a ripulire i polpastrelli di quel perverso nutrimento.
Mi sembrava tutto stranamente eccitante. Provai disgusto per me stessa, perché nonostante avessi trovato immondo ciò che era appena accaduto, Evan in quelle condizioni sembrava esercitare su di me un'attrazione fatale, perversa, folle.
-La prossima volta che cercherai di proteggere una mia vittima, non sarò tanto clemente da sbatterti fuori. - Sibilò, e la sua voce di seta apparve dura e spigolosa, tanto autoritaria da spaventarmi. Rimasi in silenzio, mordendomi le labbra per la rabbia, serrando convulsamente i pugni attorno alla coperta rossa.
-Sei solamente un mostro...- gli sputai quelle parole con veleno, marcando eccessivamente l'ultima. Il suo sguardo s'irradiò per un attimo di una luce folle.
-Un mostro, dici?- si avvicinò velocemente, bloccandomi distesa al letto, serrandomi i polsi sopra il capo.
-Quanti Licantropi hai ucciso, eh Vichbourg? A quanti roghi di donne senza colpa hai contribuito con il tuo ramoscello infuocato?- la sua voce era bassa, inalterata. Mi sfiorava il volto calda, mentre il suo corpo aderiva al mio, infossandolo nel materasso.
Abbassai gli occhi indignata, mugolando un gemito sordo, fissando irritata quel sorriso che s'apriva sulle sue labbra fine. Sapeva di aver ragione, sapeva di avermi messa alle strette, e questo gli procurava un piacere indescrivibile.
-Dunque, prima di darmi del mostro, pensa bene che io lo faccio per pura necessità. Tu, al contrario, sei macchiata dell'ipocrisia del tuo popolo. Sei falsa Emy...lo sei fin nelle ossa- Ma prima che potessi ribattere, mi catturò il fiato con le sue labbra, dividendole con la punta della lingua, violando la mia bocca. Non riuscivo a ragionare né a divincolarmi. Ero vittima di quel bacio spietato, di quell'attacco a tradimento. Mi lasciai trasportare stupidamente, assecondando i movimenti fluidi della sua lingua, gemendo di piacere ogni volta che i suoi incisivi si stringevano sadicamente attorno al mio labbro inferiore. Quando si divise, il sorriso era ancor più vittorioso. Si alzò, lasciandomi respirare affannosamente sul letto. Il cuore mi batteva impazzito. Camminò per la stanza, dandomi le spalle, per poi gettarmi vicino una veste da notte di seta azzurrina. Poi, prima di uscire dalla porta, rimase a fissarmi con quei suoi occhi crudeli.
-Vedi, fosse per me ti avrei uccisa prima...ma tu, piccola, hai qualcosa che m'interessa particolarmente. Ma bada bene a non approfittare di questo...potrei fregarmene e straziarti come quella Comune-

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Capitolo 4
*** IV - You, Fucking Bastard. ***


Note dell’Autore: Direi di cominciare al meglio questo quarto capitolo con due Blend appena fatti dei nostri protagonisti. Il primo è Gasp...ehm Evan. Il secondo naturalmente rappresenta Emy. Ne approfitto per ringraziarvi ancora tutti. Grazie a chi mi sostiene commentando, a chi inserisce la storia tra i preferiti, le seguite o quelle da ricordare, davvero per me significa molto perché ci tengo particolarmente a questa fiction. Altri due avvertimenti e vi lascio alla storia: questo nuovo capitolo sarà più spinto dei precedenti. Non vi anticipo nulla, ma fossi in voi preparerei i fazzoletti anti sbavo. Ho letto dai commenti che non vi è molto chiara la situazione "organizzativa" della storia, quindi prima di tutto chiedo venia per non essere stata abbastanza chiara, poi ve la spiego brevemente. Ci sono tre diverse caste principali:
.La Nobiltà. Ovvero l'aristocrazia. Sono alla cima della piramide perché possono praticamente tutto, come una sorta di podestà.
.I Minori. Emily è una Minore. Tutti i "non-nobili" sono dei Minori ma, a differenza dei Comuni -di cui parlerò sotto- sono a conoscenza dell'esistenza dei Vampiri, dei Licantropi e per così dire di tutta la parte "magica" della storia.
.I Comuni. La ragazza con cui Evan fa lo spuntino. E’ una comune, ovvero noi piccoli mortali. Sono umani, come sia i nobili che i Minori, ma non sono Cacciatori, né sanno nulla riguardo i Vampiri, il sacrificio della Vergine e cose simili. La differenza basilare, oltre alla conoscenza, è che non vivono negli stessi luoghi dei Minori e dei Nobili. Avrete infatti notato che Minori e Nobili vivono in una singola città di cui non ho specificato appositamente il nome. I Comuni non sanno nulla di questa città, non hanno libero accesso ad essa e non l'hanno neanche segnata sulle cartine , ma i vampiri li rapiscono per mangiare, dato che far scomparire un Comune fa meno notizia di far scomparire un Nobile od un Minore.
Spero di essere stata chiara. Buona lettura!

 

 ~~~

La chioma paglierina ricadeva morbida ai lati delle spalle, coprendomi il capo come la cortina d'un teatro. Dovevo nascondere le mie lacrime, nascondere i denti che mordevano con forma le labbra. Furiosa, delusa da me stessa, dalla mia debolezza. Dalla svolta tragica che la mia tranquilla esistenza aveva preso per colpa d'un apatico ragazzino viziato. Da quando aveva lasciato la stanza, ero rimasta in quella posizione, immobile con il capo tra le braccia, a guardare un punto fisso nel buio. Forse era passato un minuto, o forse una vita. Mi sentivo talmente sporca dei peccati che Evan stesso mi aveva elencato quando gli avevo dato del Mostro, da  provare una folle attrazione suicida nel fuoco del camino. Dopotutto, rimanere a compiangermi non sarebbe servito a farmi tornare a casa. O trovavo un modo di fuggire, o con ogni probabilità quell'essere immondo avrebbe continuato a torturarmi all'infinito. Stavo già elaborando un piano, quando la porta si aprì, facendomi sussultare. Mi sforzai di rimanere immobile, nascondendo maggiormente la testa tra le braccia che stringevano al petto le ginocchia. Avevo freddo, ma un freddo diverso da quello che il camino poteva sconfiggere.
-Il Padrone chiede di vederti- doveva essere Selìn a giudicare dalla voce melodiosa che s'era introdotta nella stanza buia, aleggiando con la delicatezza d'una ballerina. Non fiatai, rimanendo immobile. Gli incisivi affondavano nel labbro inferiore, mordendolo convulsamente, facendone uscire un macabro fiotto di sangue che m'inondava il palato. Non volevo più vedere la sua faccia, né sentire la sua voce. Volevo soltanto starmene da sola. Marcire velocemente.
La donna fece qualche passo verso di me, decisa a portare a termine gli ordini del suo amato Sovrano. Mi chiesi come potesse essere così maledettamente riverente nei confronti di Evan. Nei confronti di un mostro...
-Se non ti alzi da sola, sarò costretta a portarti da lui di peso-
-Non ho la benché minima intenzione di stare ai suoi ordini come fai tu- sputai quelle parole con rabbia, rivolgendole un'occhiata furiosa, velenosa. Eppure, quella donna sembrava del tutto immune alle mie lacrime, ai miei occhi rossi. Sembrava, al contrario, annoiata. Continuai a osservare quel volto perfetto, di porcellana. Non si scompose affatto, mantenendo immutata la sua algida bellezza. Improvvisamente la sua mano destra mi afferrò il mento, strattonandomi più vicina a sé, in ginocchio sul letto. Era evidentemente pi alta di me. Potevo vedere il modo in cui le sue narici rimanevano immobili, scosse da alcun respiro. Il suo petto soffice non era altro se non una curva ferma, vuota.
-Avete gli stessi occhi, le stesse labbra. Lo stesso caratteraccio- mormorò quasi più a sé stessa che a me, lasciandomi poi con lo stesso modo brusco con il quale mi aveva afferrata.
A quell'affermazione, scattai giù dal letto, inviperita. Le braccia erano tese e vibranti di rabbia lungo il corpo, i pugni stretti in una morsa convulsa contro i fianchi.
-Io e quel Porfirico non siamo affatto simili!- ma in risposta a quel grido strozzato, Selìn emise una risatina acuta, seriamente divertita. Non fosse stato che mi avrebbe fatta a pezzi prima ancora di riuscire a pensare a come attaccarla, l'avrei colpita tanto forte da toglierle dal viso quel maledetto ghigno di disprezzo.

 

-Certo che non lo siete. Non sai abbastanza su di lui da poterlo giudicare. Evan è un Dio. Tu...tu sei solamente una ragazzina debole e piagnucolosa. In merito a questo, o muovi le gambe da sola, o ti trascino per i tuoi preziosi capelli biondi fino a farti piangere come non hai mai fatto in vita tua- a quelle parole mi feci assolutamente di pietra. Incredibile come quel sorriso fosse ancora lì, fantastico ed etereo, mentre dalle stesse labbra accurate fuoriuscivano sentenze di morte. Mi riscossi, tenendomi con una mano la fronte, come rischiasse di esplodere in mille pezzi. Ero stressata, affamata e sporca. Non avevo neanche indossato la camicia da notte che Evan mia aveva dato, tenendomi addosso gli abiti ancora sporchi di terra, sudore ed il sangue incrostato che era colato dalle sue labbra, quando mi aveva incatenata a sé, baciandomi con foga, trasmettendomi il sapore terribile di quel sangue innocente.
-Prendi la vestaglia, Evan ha insistito perché ti facessi fare un bagno- mormorò dandomi poi le spalle per guidarmi verso la porta che dava sul corridoio. In breve fummo davanti una grande porta d'ebano dagli intarsi dorati. Aspettai che Selìn girasse i tacchi per aprirla, incerta, immergendomi in una nube di vapore profumato. L'odore dei saponi e delle candele profumate aleggiava nell'aria, rendendo quel bagno meravigliosamente rilassante e lussuoso. Le piastrelle nere rivestivano sia il pavimento che le pareti, risplendendo di una luce opaca, soffusa, data da alcuni lampadari a muro. Inspirai a pieni polmoni gli odori speziati delle piccole candele stanziate ad ogni angolo della stanza, riconoscendo anche qualche bastoncino di cannello ed incenso fissati sugli appositi supporti. Una parete era completamente invasa da un grande specchio appannato che dava sulla vasca da bagno. Questa si trovava scavata nel pavimento, circolare e abbastanza grande da poterci nuotare dentro. La superficie dell'acqua era colorata d'un colore pastello, tra il rosato dell'alba e quello antico del raso. Probabilmente chi aveva preparato il bagno vi aveva messo dentro qualche sapone particolare. Pensai per un attimo ad Evan, chiedendomi quando, secondo ciò che aveva detto Selìn, mi avrebbe voluta vedere. "Probabilmente dopo essermi data una bella ripulita" pensai, riuscendo persino a sorridere di fronte a quel miracolo. In mezzo a tutto il dolore e lo stress degli eventi appena accaduti, il bagno caldo era come una salvezza. Mi spogliai di fretta, facendo cadere a terra gli abiti malconci e sporchi, rimanendo nuda. Delle macchie di sangue mi si erano incrostate attorno alle piccole ferite che mi ero procurata, in particolare al piede rimasto incastrato nell'autobus, durante il rapimento. Senza contare che sul collo portavo ancora i segni scarlatti delle dita di Evan.

 

Quel bastardo.

 

Entrai nella vasca scendendo un paio di scalini, andandomi ad immergere con un gemito di piacere. L'acqua era perfettamente calda, non abbastanza da bruciare, ma adatta ad abbracciarmi in una morbida stretta di calore e sollievo. Decisi di rilassarmi un po’, poggiando la schiena contro la parete della vasca. Le mie dita si muovevano nell'acqua giocando con alcuni petali di rosa che vi galleggiavano sopra, portandomeli al naso per respirarne il dolce profumo. Chi avrebbe mai immaginato che dei Vampiri potessero essere così raffinati?
-Ci voleva...- e con un sospiro estasiato gettai all'indietro i lunghi fili d'oro bianco che componevano la mia chioma, riversandoli sul pavimento scuro, in pieno contrasto con le cromature platinate.
-Avevo dimenticato quanto fosse piacevole ascoltare i gemiti di una donna- quella voce mi colse di sorpresa, e quasi non affogai, sobbalzando nell'acqua. Miele e seta. Miele e seta componevano la sua voce. Sensuale, intrigante, intrisa di quella strafottenza tanto insopportabile quanto maledettamente lussuriosa.
-Ev...- stavo per urlare il suo nome con quanto più fiato avevo in corpo, quando sentii le sue mani delicate posarsi sulle mie spalle, massaggiandole con un ritmo lento, ipnotico. Mi rilassai immediatamente, mossa da una debolezza che non riconoscevo come mia. Mi fece muovere in avanti, portandosi a sedere dietro di me, facendomi accomodare tra le sue gambe. Perché non stavo gridando imbarazzata? Perché non mi disgustava sentire cioè che sentivo contro la schiena?
La testa era vuota, eppure pesante, come se da un momento all'altro avesse potuto cadermi...
-Evan...che diavolo...mi succede?- chiesi senza forza nella voce, portandomi le mani sul volto, a coprire le deliziose sfumature di rossa innocenza che mi coloravano le gote.
-Non voglio sentire altro se non i tuoi gemiti- e ancora quel suo ridacchiare basso, inebriante e divertito. Quella risata cristallina che odiavo ancor più dei suoi sguardi.
C'era qualcosa che non andava in me, lo sentivo. Qualcosa nell'aria. Un profumo che mi aveva stordita, drogata. Lanciai uno sguardo alle candele attorno alla vasca, chiedendomi se provenisse da queste il profumo muschiato che mi stava sciogliendo. Le mani del vampiro continuavano a scorrere sulla mia pelle, esperte e morbide come piume, lambendo i punti sui quali avevo accumulato più stress, massaggiandoli con cura.ù
Era tutto sbagliato, maledettamente sbagliato! Odiavo quello sporco Porfirico, lo dovevo odiare, non comportarmi come una tenera verginella sotto gli effetti di sostanze stupefacenti o afrodisiache che fossero. racimolai un po’ di autocontrollo, muovendomi bruscamente sul posto, voltandomi con tutto il corpo verso il giovane che, a dispetto di ogni mia previsione, non si lasciò sfuggire l'occasione, cingendomi i fianchi torniti con le mani affusolate. Mi solleticavano lussuriose la pelle, lambendola in superficie, pizzicandomi appena.
-Evan...non mi sento bene...ti prego...Evan lasciami...- quelle parole fuoriuscivano dalle mie labbra come appena sussurrate, mentre sentivo la testa farsi ancora più instabile. Mi sentii cadere in avanti, così poggiai i palmi delle mani sul suo petto, per sorreggermi. La sua pelle era fresca e profumata, sapeva di pulito. Un profumo talmente delicato ma intenso da sovrastare quello delle candele e dei petali di rosa.
-Vichbourg...non dovresti pronunciare il mio nome in questo modo assolutamente provocante. Pensavo fossi più...casta- a quelle parole, scossi piano la testa, sentendola di conseguenza ondeggiare pericolosamente. Il vapore che s'alzava dalla vasca ci sfiorava il volto, imperlando il viso perfetto del vampiro di tante piccole perle d'acqua lucenti.
-Non...non è come pensi...maledetto succhiasangue...- ma mi strinse maggiormente a sé, facendo sì che i nostri corpi aderissero pericolosamente in una morsa bollente. Sentivo la sua eccitazione, l'elettricità dei suoi occhi correre serpentina sulla mia pelle bagnata. Evan continuava a guardarmi, con quegli occhi magnetici, profondi come l'eternità stessa. Stava mettendo a dura prova la mia sanità mentale, il mio autocontrollo...perché in quel momento stavo letteralmente impazzendo, divisa in due parti tra la voglia di prenderlo a calci fino a fargliela pagare di tutta quella spudoratezza, ed il desiderio folle di sentirlo ancora più vicino, tanto da fondersi col mio corpo in una creatura unica e pulsante. Istinto? Carica sessuale? Non sapevo cosa diavolo fosse.
Era ciò che di più lontano c'è dall'amore, ma fin troppo oltre la pura attrazione fisica.
Era la voglia stessa di saggiare quella bellezza impossibile, scoprirne i segreti, provarne davvero l'esistenza.
-Non mentire, Emily. So cosa la tua anima brama a gran voce. So che vorresti fuggirmi, ma al tempo stesso vuoi che ti prenda qui, facendoti provare l'eccitazione del tutto nuova di assaporare il peccato nelle sue forme più conturbanti- ma si, ora si metteva anche a fare discorsi complicati quando io stavo regredendo all'istinto primordiale!? Eppure quel bastardo aveva dannatamente ragione.
-Non...scherzare, sei irritante...- provai a ribadire, ma le sue labbra mi catturarono con la velocità d'un felino e la precisione di un predatore, mozzandomi il fiato in gola e mandando a farsi benedire qualsiasi tentativo di tornare lucida. Premette le sue labbra sulle mie in un contatto inizialmente appena accennato, per poi mordermi il labbro inferiore, trovando le piccole ferite che mi ero provocata nella camera, mordendomi le labbra in un gesto disperato di auto castigazione.
La sua lingua accarezzò i piccoli tagli, e non fui abbastanza forte da resistergli, lasciando che essa s'intrufolasse nel mio palato, andando ad accarezzare la mia in quel contatto che si faceva sempre più profondo, spudorato. Mi stava divorando dall'interno, assaporando le mie labbra con foga, portandomi il capo all'indietro per potermi sovrastare meglio. Il mio cuore martellava ad un ritmo impossibile contro il suo petto, incontrando il silenzio della sua cassa toracica. Fece qualche passo, trascinandomi con sé all'altra sponda, dove stava la parete a specchio. Mi trovai piegata con la parte superiore del busto sul pavimento esterno alla vasca, mentre il corpo di Evan tornava a sovrastare il mio, facendo aderire il suo petto con la linea sinuosa della mia schiena. Stavo andando a fuoco, lo sentivo fin nello stomaco.
-Allora, mi odi ancora, piccola Cacciatrice?- lo sentii mormorare con tono divertito sopra di me, mentre le sue labbra scendevano a mordicchiarmi l'arco dell'orecchi destro, per poi far scivolare la punta della lingua poco più all'interno. Un brivido mi fece fremere, mentre qualcosa nel mio corpo sembrava crescere al ritmo delle sue carezze sul mio orecchio. Era uno stadio a me sconosciuto dell'eccitazione, del desiderio. Gemetti piano, coprendomi subito la bocca con entrambe le mani. Non doveva sentire. Quel bastardo non doveva assolutamente sentire!
-Certo che si!- risposi con un gridolino acuto, ma affatto convincente. In risposta, la mancina  del vampiro si allungò verso lo specchio, pulendolo dallo strato di patina sulfurea che ne offuscava la superficie. Rimasi a guardare il mio volto nel riflesso, in parte disgustata dai miei occhi così liquidi. Le gote erano scarlatte, il corpo liscio e lucente, mentre le mie labbra dischiuse respiravano a fatica.
"Guarda la pelle
guarda i canini
guarda le mani"

Quella filastrocca, per quanto la odiassi, mi tornò in mente proprio nel momento più opportuno! I miei occhi si posarono istintivamente sulla pelle chiara di Evan. Era tanto bianca da entrare in profondo contrasto con il resto del bagno nero, brillando della lucentezza che le gocce d'acqua creavano sul suo corpo. Dal contorno fino delle labbra, potei scorgere le piccole punte affilate dei suoi canini, lunghi, letali. Tremai al pensiero di averli incisi sul collo.
Le sue mani si spostarono sotto di me, accarezzandomi il disegno ondulato del seno in un gioco lento, perverso.
La verità è che avevo paura, e la paura portava all'eccitazione. Il terrore era un afrodisiaco naturale, e a questo s'aggiungeva la consapevolezza d'essere in trappola, soggiogata a qualcosa che non sapevo con certezza se volevo o meno. Approfittai di quell'unico solitario barlume di lucidità per emetter e un grido, mentre con forza, quanta più ne avevo in corpo, scivolavo da sotto Evan, correndo fuori dalla vasca. Se solo avesse voluto, il vampiro mi avrebbe raggiunta in poco tempo, prendendomi lì sul pavimento umido, soddisfacendo il suo egoistico desiderio, eppure lo vidi voltarsi con calma, sorridere sadicamente per poi sedersi nella vasca con esagerata calma.
Raccolsi in fretta e furia i miei vestiti, coprendo con il poco che avevo ogni centimetro del mio corpo. Dio, sarei voluta morire in quel momento, pur di non subire lo scherno che stava per arrivare. Era lì posato sulle labbra del giovane. Lo sentivo.
-Non avevo intenzione di prenderti, piccola Vichbourg. Sei una Vergine Sacrificale, quindi mi spiace, ma dovrai aspettare- a quelle parole sentii la rabbia montarmi pericolosa in corpo, mentre afferrata la vestaglia, la infilavo velocemente, spostandomi dal volto rosso i capelli bagnati.
-Bèh si dà il caso che a me non dispiaccia aspettare! Non ho la benché minima intenzione di assecondare i tuoi ormoni sfasati! Perché cazzo hai messo su una cosa del genere!- ero furiosa? No...semplicemente, se ne avessi avuto la forza, avrei mandato lui e i suoi amichetti a farsi fottere in un posto chiamato Inferno.
Evan allargò le braccia attorno al bordo della vasca, ghignando in una visione di perfetta e diabolica bellezza.
-Volevo avere una piccola soddisfazione personale...oltre alla conferma che mi vuoi. Che tu lo ammetta o meno, so che mi desideri, Vichbourg- non attesi altro, gettandomi in una corsa disperata verso la mia camera da letto. Quando mi trovai di fronte al letto, mi ci gettai sopra a denti stretti, stringendo nei pugni le lenzuola. Mi accorsi solo in quel momento di avere le lacrime agli occhi. Al solo pensiero dei miei gemiti, del mio volto così eccitato e lascivo, avevo voglia di gettarmi in un sonno eterno, sfuggendo l'imbarazzo mortale di quel peccato. Insomma, sapevo che stavo facendo uno sbaglio, eppure avevo concesso ad Evan di osservarmi spoglia, inspiegabilmente bollente e bramosa di chissà cosa.
Soffocai un urlo contro il cuscino, chiedendomi seriamente quando sarebbe finito quell'incubo. Quando qualcuno entrò nella stanza, neanche mi voltai, rimanendo con le palpebre socchiuse, nel tormento della mia mente.
-Domani vi sarà un ballo tra le più nobili casate Vampiriche. Il Signorino ha espressamente richiesto la vostra presenza come sua accompagnatrice. Vi lascio gli abiti qui. Passerò io stessa per aiutarvi a prepararvi. Vi consiglio di riposare quanto più potete. In questa terra non abbiamo giorno e notte, bensì soltanto Crepuscolo Civile, Crepuscolo Nautico, Crepuscolo Astronomico, Prima Luna e Notte. Il sole appare per pochi minuti necessari ad intercambiarsi con l'avvento del Crepuscolo. In merito, i vostri bioritmi potrebbero essere danneggiati se non vi nutrite e riposate a dovere. Buona notte Miss Vichbourg- non ascoltai molto, non mi chiesi nemmeno chi fosse. La voce era prettamente accademica, meno "umana" di quella di Selìn. Mi rintanai sotto le lenzuola, le lacrime che colavano lungo le gote. Volevo soltanto spegnere il cervello per un po’
Non pensare a quel calore che ancora m'invadeva il corpo. A quel sapore che sentivo sulla lingua, e a quel profumo che mi aveva stregato i sensi.

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Capitolo 5
*** V - What are you Waiting For? ***


Note dell’Autore: Ed eccomi, in ritardo cronico come sempre, col 5° capitolo. Yuppie! Come sempre, spero vi piaccia, e sono graditissimi i commenti. Adoro leggerli e sapere cosa ne pensate.Vi ringrazio sommariamente perché non ho tempo di trascrivere tutti i nick, ma vabbé, come sempre grazie davvero a tutti quanti! Godetevi questo capitolo!
 
~~~ 
 
Le mani attente di Aurora stringevano con forza i lacci del bustino, comprimendomi la vita in una morsa da strappare il fiato. Boccheggiai un mezzo insulto, stringendo poi i denti. Volevano forse farmi morire
-E' troppo stretto!- cercai di gridare, ma dalle mie labbra uscì solamente un gridolino strozzato. Dietro di me la ragazza rise di gusto, alterando i contorni gioviali del suo viso fanciullesco. Preferivo di gran lunga quella strana vampira dai capelli impetuosi e rossi, abbellita dalle vistose efelidi sulle gote, a Selìn. Almeno, era più "umana", sempre che un morto potesse essere
definito tale.
-Mi spiace, Miss, ma nella società Vampirica la magrezza è simbolo di estrema bellezza. La nostra razza presenta per natura una costituzione più esile della media umana, dunque devo attenermi alla moda- a quelle parole quasi le scoppiai a ridere in faccia. Moda? Possibile che delle bestie succhiasangue potessero essere attente a cose simili?
Aurora tirò gli ultimi nastri, ed un gemito mi crebbe nella gola, morendo però sul palato. Di fronte a me lo specchio mostrava una ragazza dall'aspetto fin troppo distante da ciò che ero solita vedere. I capelli biondi erano sciolti ai lati del volto, ondulati e boccolati ad accarezzarmi le spalle ed il viso. Un piccola molletta di strass teneva la frangia rigonfia di lato. La ragazza aveva fatto un ottimo lavoro anche con il trucco, facendomi sembrare più grande di quanto non sembrassi davvero. Cerone candido, una lunga linea scura sulle palpebre ed una viva spennellata scarlatta sulle labbra piene. La rossa spianò con le mani la gonna a tubino che mi stringeva i fianchi torniti, sorridendo poi soddisfatta.
-Ho trasformato il brutto anatroccolo in un cigno- gridò esaltata, battendosi le mani. Quelle parole mi forzarono ad un'espressione irritata. Brutto anatroccolo...facile dirlo quando si possiede una bellezza immortale. Mi avvicinai di qualche passo allo specchio intero, abbagliata dalla lucentezza della mia figura. Il tubino nero si stringeva poco sopra la vita, chiuso in quattro bottoni argentati, evidenziando le curve ondulate delle gambe e della vita. Sopra la camicetta di seta avorio, Aurora aveva appunto finito di allacciare lo stringi vita di pelle scura, lucido sotto la luce del tenue lampadario. In un qualche modo, sembravo una specie di Pin Up, di quelle che i militari Americani si attaccavano nelle camerate durante la guerra.
L'unico punto debole erano i tacchi. Troppo alti per una abituata a rincorrere l'autobus nelle comode scarpe da ginnastica. Mi passai istintivamente le dita tra i capelli, beandomi di quanto fossero lisci e morbidi al tatto. Ero davvero io la splendida giovane che vedevo riflessa nello specchio? Il corpo minuto di Aurora si frappose tra me e la mia immagine. La vampira mi sorrideva con espressione infantile, abbastanza da contagiarmi.
-Ci vediamo alla festa, anatroccolo- ed in un piccolo inchino fece dietro front, uscendo dalla camera.
Sospirai. Quella situazione mi stava evidentemente sfuggendo di mano. Dovevo scappare, non rimirarmi e fare amicizia con una porfirica! Che fine aveva fatto tutta la mia decisione? Quei bastardi mi avrebbero uccisa, quella era l'unica certezza che avevo. Avrei dovuto agire al più presto. Mi sedetti sul bordo del letto, ed il mio sguardo corse fuori dalla vetrata. Come sempre, la notte regnava sovrana, invadendo la terra dei vampiri con la sua nube di malinconia.
Da quel poco che avevo compreso, lì non v'era giorno, fatta eccezione per 5 minuti di timida luce. Dopo di essa, tutto tornava buio come prima, statico in quel mondo di tenebra.
La porta s'aprì d'improvviso, facendomi sobbalzare. Sull'uscio stava Evan, le braccia conserte sul petto esile. I capelli chiari erano sparsi ai lati del capo, in quella particolare capigliatura all'apparenza disordinata. I miei occhi scesero a lambire la camicia nivea che delineava alla perfezione il suo busto, rimanendo slacciata sotto il profilo delicato del collo. Il pizzo gli avvolgeva
le mani affusolate, ricordando l'abbigliamento perfetto d'un damerino alla corte del Re Sole. Sotto di essa, i pantaloni neri a sigaretta disegnavano le gambe snelle e la curva del polpaccio, per poi richiudersi stretti lungo la caviglia, a coprire parte delle eleganti scarpe laccate di nero. Mi ridestai da quella visione soltanto quando notai le sue labbra fine incrinarsi in un ghigno soddisfatto.
-Ti sei messa in tiro per me?- a quelle parole provai l'insano desiderio di sfilarmi una scarpa e lanciargliela contro, tanto per strappargli dal viso quel ghigno irritante. Alzai le spalle, spostandomi dagli occhi un ciuffo ribelle.
-E' stata Aurora...devo essere una specie di anoressica per partecipare al tuo stupido ballo- mormorai con un pizzico di veleno, alzandomi meccanicamente dal letto. Non avevo la benché minima voglia di partecipare a quel ballo, soprattutto se dovevo fare da escort ad Evan.
Certo, quella poteva essere un'occasione d'oro...la folla, il vampiro distratto a godersi la festa. Nessuno avrebbe fatto caso ad una ragazza come tante che sarebbe uscita per una boccata d'aria...senza più tornare. Non avevo idea di quanto quella terra distasse da casa mia dato che
durante l'arrivo ero stata drogata con uno strano liquido bluaceo. Eppure volevo provare: meglio perdersi che morire sbranata da quelle
creature. Dunque, avrei dovuto fare buon viso a cattivo gioco per qualche ora. Non era poi così difficile se paragonato alla caccia al Licantropo che ero costretta a fare nella mia patria. Il ragazzo fece qualche passo verso di me, prendendomi velocemente la mano destra tra le sue, grandi ed accoglienti. Il suo sguardo vagava su di me con avidità, cosa che non mi rassicurava affatto, senza contare il ghigno astuto che continuava ad avere sulle labbra. Era come se potessi avvertire, in base alle sue espressioni ed al barlume dei suoi occhi, che mi avrebbe morsa da un momento all'altro.
-Non mi piacciono le ragazze troppo magre...- mormorò, ed il suo viso si fece pericolosamente vicino al mio. Era come la sera in cui ero stata rapita. La scena dell'autobus sembrava ripetersi: Evan troppo vicino, le sue iridi d'infinito fissate sulle mie gote sempre più scarlatte, ed una frase da super cattivone dei film pronta nel palato.
Le sue mani sciolsero la presa dalla mia, scendendo sui miei fianchi, senza che fossi in grado di opporre la minima resistenza. Si fermarono lì, sulla dolce curva della vita, ad assaporare la
rotondità dei miei fianchi.
-Le maniglie dell'amore si chiamano così proprio perché servono a...- istintivamente le mie dita si posarono sulle sue labbra, ed il contatto tra i polpastrelli ed esse fu abbastanza particolare da stordirmi. Possibile che ogni parte del suo corpo fosse maledettamente sensuale anche al solo tocco? Le labbra fremettero sotto le mie dita, aprendosi in un sorriso divertito.
-Ti fermo, prima che tu possa dire una qualche oscenità- mormorai, abbastanza insicura della mia stessa voce, per poi sottrarmi alla sua presa. Gli scivolai di lato, muovendo lunghe falcate verso la porta. Se proprio dovevo essere torturata per tutta la sera, almeno preferivo cominciare da subito e togliermi il pensiero. Dietro di me il vampiro rise di gusto, per poi comparire in un attimo al mio fianco. Con delicatezza mi prese sotto braccio, per poi rivolgermi uno sguardo eloquente che quasi mi fece tremare di paura. Era affilato, all'apparenza scherzoso, ma nascondeva una lama di verità assolutamente terribile.
-Prova a scappare e non ricorderai neanche più cos'è la luce del giorno-
 
 

Il salone era immenso, si perdeva a vista d'occhio sotto i lampadari di cristallo e vetri colorati, immergendo l'intera sala in tinte scure ed intense. Dai muri scendevano sino a terra tende di edera e fiori di ogni tipo, lambendo il pavimento di marmo brillante, candido. Al centro un nutrito ed innumerabile gruppo di non morti chiacchierava tranquillamente, come si fa ad un party come tanti altri. Evan mi aveva lasciato il braccio, cingendomi la vita con il braccio sinistro, stringendomi al suo fianco come fossi una specie di bambina incapace di camminare da sola.
Nonostante i passi del mio accompagnatore fossero del tutto silenziosi, i vampiri sembrarono avvertire la sua presenza, ed in un attimo la folla si voltò a guardarci, scambiando lunghi sguardi d'ammirazione per Evan. Quando poi gli inchini si furono consumati, ecco che l'attenzione ricadde, mio malgrado, sulla sottoscritta. Avevano capito che ero Umana? Erano in grado di percepirlo davvero?
Sentivo i loro occhi addosso, famelici, spregiudicati, perversi, densi di un'oscurità che mi spaventava fin troppo. Istintivamente mi strinsi di più al fianco di Evan, come per cercare in lui la protezione che none ro in grado di assicurarmi con le mie sole forze. Non che mi fidassi di lui, semplicemente era l'unico, in mezzo a tanti succhiasangue, che sembrava essere interessato a me "da viva". Lo aveva detto lui stesso che gli servivo, dopotutto.
Avevo qualcosa che lo interessava, ma davvero non ci ero ancora arrivata. Mi guidò avanti, trascinandomi con sé, finché non ci ritrovammo completamente immersi al centro del nugolo di vampiri che non smetteva di fissarmi. Quando ci fermammo, notai che un uomo veniva verso di noi, facendosi strada tra la folla senza alcuna difficoltà. Immaginai che dovesse essere abbastanza importante nella loro società da permettersi di parlare con il "Figlio del Boss" senza troppi
appellativi medioevali. Aveva lunghi capelli albini, lisci e soffici, che scendevano ad accarezzargli la vita, contrastando con l'abito di pelle scura che indossava. Ad occhio e croce doveva essere più vecchio di Evan, almeno fisicamente, di qualche anno, non di più. La sua carnagione, se possibile, era ancor più pallida di quella del mio accompagnatore, mentre gli occhi presentavano la particolare colorazione rosata frutto dell'albinismo totale. Si piegò in un piccolo inchino, ed i capelli scesero a lambirgli le tempie, spostandosi ad ogni movimento del suo capo.
-Maestà, è un piacere rivederla dopo...quanti anni sono passati?- la sua voce era vellutata, ma terribilmente melliflua. Abbastanza da disgustarmi. Era il classico leccaculo. Lo si notava dalla sua ostinata riverenza forzata, dal modo in cui sputava il titolo di Evan con forza.
Attorno a lui un corteo di donne in abito rosso sospirava, estasiate dal suono che a me invece dava incredibilmente fastidio.
-Non li ricordo con precisione, Cain. Ma eravamo ancora dei bambini, l'ultima volta- immaginai che tra i due ci dovesse essere una specie di amicizia, o qualcosa di superficialmente simile.
Il vampiro albino stava per dire qualcosa, quando il suo sguardo fu improvvisamente catturato dalla mia presenza. Cadde il silenzio, mentre le sue iridi rossastre si spinsero ad assaporare ogni angolo del mio corpo, incuriosito. In confronto alle donne che partecipavano a quel ballo, io dovevo sembrare una specie di grassoccia ragazzina dall'aspetto fin troppo "generico".
-E la deliziosa rosa bianca che porti con te? E' maleducato da parte tua non presentare un'ospite così graziosa al tuo amato cugino- a quelle parole sussultai, mentre le mie gote pallide si coloravano
d'un intenso scarlatto.
La presa di Evan si fece più forte, quasi dolorosa.
-Emily Vichbourg. E' una Vergine Sacrificale- non so come, ma la fras pronunciata da Evan ebbe il potere di scatenare il caos nell'intera sala. Il mormorio si era fatto vivo di colpo, mentre la cerchia di vampiri si stringeva sempre di più accanto a noi. Evan spostò il braccio, cingendomi le spalle, schiacciandomi letteralmente contro il suo petto. Il profumo del muschio bianco rilasciato dalla sua pelle e dai suoi vestiti mi stordì in un attimo, facendomi precipitare verso l'oblio di quell'odore intenso e sensuale.
-Un'umana...e dal quel che sentiamo, il suo sangue serba un gusto particolare...- il ghigno di Cain si fece affilato, mentre gli occhi rosei saettarono verso Evan, in uno sguardo provocatorio.
-Sangue misto- pronunciò con estrema lentezza, ed il mormorare dei vampiri divenne insopportabile alle mie orecchie.
-Mi spiace Cain, ma per te ho allestito un banchetto. Emily non è nel Menù- ma bene, ora si parlava di me come di una pietanza. Perché non mettermi una mela in bocca e stendermi su
di un vassoio d'argento?
Per un attimo fui intimorita dai miei stessi pensieri. Non pensavo che Evan avesse strani poteri come la lettura del pensiero, ma ero certa che fosse dotato di un grande intuito. Basti pensare che aveva fatto crollare ogni mio tentativo di fuga soltanto scrutando l'esaltazione che avevo negli occhi. Dunque, se avesse "letto" anche quel sarcastico pensiero, probabilmente si sarebbe divertito seriamente a servirmi per gioco con un contorno di patate.
La delusione generale trapelò dalle labbra di ogni ospite, ma ciò non fece altro che intimorirmi di più. Con un movimento fluido, Evan mi staccò da sé, afferrandomi
però la mancina e portandosela sulla spalla. Non ne sapevo molto di quel genere di danze, ma intuii che doveva trattarsi di un qualche Valzer, o qualcosa di molto simile. Intuii che il giovane stava cercando di far cadere il discorso "sbraniamo Emily" per il resto della serata, e gliene fui seriamente grata. Un'orchestra da sopra un piccolo soppalco stava intonando una melodia particolare, lenta ma audace, come carica di energia elettrica. Vedendo che il Principe si era gettato nel fragore ritmico delle danze, anche gli altri vampiri si affrettarono a prender posto al centro della sala, compagne sotto braccio, pronti a seguire il discorrere lento della musica. Stupita, mi lasciavo guidare da Evan, assecondando come meglio potevo i suoi movimenti assolutamente leggiadri e aggraziati, in un  vortice di giri, strette e sguardi che mi stava mandando fuori da ogni razionalità. Non pensavo che i Porfirici potessero essere amanti della moda...della musica e della danza.
Era come se avessi preso un pugno nello stomaco per ogni minuto in cui avevo creduto che fossero soltanto bestie immonde prive di alcuna civiltà.
E quei pugni facevano un male assurdo al mio orgoglio.
Seguendo la musica, il ragazzo mi allontanò gentilmente, per poi attirarmi a sé con uno strattone privo di forza, ma denso di malizia. Sentii la mano destra del vampiro, leggera e fresca, circondarmi la vita, avvicinandomi pericolosamente al suo corpo. Il mio petto aderiva al suo, glabro e profumato, mentre con le labbra potevo saggiare appena l'incavo del collo. Per quanto fossi disgustata da lui e da tutta la sua razza, in un modo inspiegabile stare contro il suo petto mi provocava strane sensazioni, mai provate. Era l'eccitazione dello "sbagliato". Come quando da piccola rubavo di nascosto biscotti dalla dispensa...avrei giurato che quelli presi senza il consenso di mia madre, avessero un sapore estremamente migliore.
Così, mentre le nostre mani si fondevano in una stretta morbida e decisa, mentre i nostri corpi aderivano come calamite di poli opposti l'uno contro l'altro in un fervore crescente...bhè, a tutto riuscivo a pensare tranne che a fuggire. Come se in quel momento il mio cervello fosse completamente andato a farsi fottere. E sinceramente, non ero sicura del contrario.
-Ti senti a disagio, Emily?- la voce soffice di Evan ebbe l'effetto di trascinarmi fuori dalla bolla ovattata in cui ero finita. Mi resi conto con un misto di vergogna e irritazione che i miei occhi, durante il lungo peregrinare della mia mente, non si erano staccati di un millimetro dalle sue labbra. Come se celassero il mondo intero. Scossi la testa debolmente, abbassando lo sguardo.
-Oh no, sentirmi come una pecora in mezzo ad un branco di lupi affamati che non aspettano altro che farmi la pelle...sai, mi mette addosso una strana tranquillità- il sarcasmo mi punse la lingua. Se volevo essere velenosa, c'ero riuscita alla grande. Il ragazzo, in risposta, si concesse una risata divertita, aggraziata e silenziosa, per poi costringermi con la mano che mi stringeva la vita, ad alzare il mento, incontrando i suoi occhi. Quasi mi perdetti nel loro piombo denso e vivo.
-Ma c'è il cane da guardia che ti protegge- continuò, giocando sulla mia metafora. Mi lasciai andare ad un'alzata di spalle scoraggiata, prima di tornare all'attacco.
-Evan, di grazia, mi spieghi che differenza corre tra un lupo ed un cane con le zanne?- ok, stavo diventando seriamente cattiva, ma dopotutto era solo il mio modo di proteggermi. Non ero il tipo da chiudersi a riccio o cavolate simili che si sentono nello studio di un qualsiasi psicologo. Quando mi sentivo in pericolo, e specifico che in quei giorni avevo capelli e peli continuamente ritti, cercavo di tenere le distanze il più possibile. Non ero in grado e non volevo affrontare paure e minacce a viso aperto. Già, nella mia estrema codardia, preferivo centomila volte darmela a gambe.
Evan stava per rispondere, lo intuii dal fremere delle sue labbra fine, quando i suoi occhi si sgranarono come se qualcuno vi avesse puntato un faro contro.
-Ehi, tutto ben...-ma non feci in tempo a finire la frase, che mi ritrovai contro il pavimento. Sopra di me Evan cercava di proteggermi da chissà cosa con il suo stesso corpo. Avrei dovuto gridare? Era stato tutto talmente veloce che non avevo avuto nemmeno il tempo di sentirmi confusa. Semplicemente ero rimasta a terra, lo sguardo fisso davanti a me, dove prima vi erano gli occhi di Evan.
-Selìn! Selìn maledizione ho bisogno di te!- non avevo mai sentito la voce del Principe talmente scossa ed alta. Stava urlando, ed il tono solitamente pacato e setoso, si era ridotto ad un
suono rauco, quasi terrorizzante. La vampira fu immediatamente vicino a noi. Non la vidi, poiché dalla posizione in cui mi trovavo Evan non mi permetteva con il suo corpo di muovere un muscolo, ma ne percepii lo spostamento d'aria. Intanto, nella sala, si alzavano grida disumane, il rumore dei tavoli che venivano ribaltati trascinando a terra piatti e bicchieri in un fragore di cristallo.
-Porta Emy in camera sua e fa in modo che le tracce del suo odore non siano percepibili-
-Tornerò ad aiutarvi in un attimo, Signore-
-No, veglia sulla sua porta assieme ad Aurora- con quelle poche battute, che rimbombarono nella mia testa come parole vuote, Evan congedò la sua fedele succhiasangue, mentre sentivo le sue braccia circondarmi la schiena e prendermi sotto le ginocchia, per trascinarmi in salvo da qualcosa che riuscivo soltanto ad udire, ma non a vedere.
Corridoi e scale si proponevano davanti ai miei occhi ad una velocità tale che non riuscivo a atturarne i colori, mentre il corpo di Selìn si muoveva rapido, seguito poi da quello leggero e veloce di Aurora.
In un attimo, eravamo nella mia camera. La vampira mi gettò sul letto con fare sbrigativo, facendo per appostarsi dietro al porta.
-Aspettate! Che diavolo sta succedendo!?- avevo finalmente ritrovato un poco di lucidità nonostante la voce stentasse ad uscire come avrebbe dovuto.
La Porfirica dai capelli scuri non mi calcolò nemmeno, imboccando la grossa porta per poi richiuderla alle proprie spalle. Aurora al contrario mi guardava con il suo volto delicato e allegro, ora velato da un'ombra che non mi piaceva affatto. Insomma, se una come lei era preoccupata, allora io avrei dovuto tremare di paura?
-Aurora, ti prego, rispondimi- la stavo quasi supplicando.
-Un attentato. Sembra che ci sia una fazione tra i vampiri decisa ad eliminare il Signorino...e stasera hanno fatto la loro prima mossa- le parole di Aurora, scandite alla perfezione, ebbero l'effetto di farmi ghiacciare il sangue nelle vene. Dunque Evan si era fatto dei nemici tra il suo popolo?
-Non posso dirti altro, Emily, ma non preoccuparti: il palazzo è pieno zeppo di guardie fidate. Stiamo operando affinché tutto torni sicuro. Evan mi ha ordinato di farti rimanere nella stanza fino a che non sarà tutto finito. Ti prega inoltre di riposare e di non aspettarlo sveglia- stavo per ribattere che quella era la mia stanza, ergo che non avrei dormito con lui, ma compresi che la situazione era abbastanza complicata. Dunque non c'era alcun bisogno delle mie ripicche. Avrei voluto annuire, ma ero abbastanza scossa da non capire molto, così Aurora non attese oltre ed in un attimo si richiuse la porta dietro, mettendosi con ogni probabilità a proteggere il corridoio sul quale dava la mia camera, assieme a Selìn. Soltanto dopo qualche minuto fui in grado di connettere tutti i neuroni del mio cervello, benché lo stress di quei giorni ne avesse fatti fuori la gran parte.
Se volevo scappare, quella non era la notte propizia. Due vampire erano appostate dall'altra parte della porta, mentre al piano di sotto si stava scatenando l'Inferno. Anche se fossi riuscita a sgattaiolare fuori dalla camera, avrei rischiato di incontrare succhiasangue che non rispondevano alla lista delle milizie di Evan. Ergo sarei finita col collo squarciato senza troppi dubbi.
Mi sdraiai affondando il capo nel cuscino morbido. Quella sera avrei avuto qualche problema con gli incubi. Feci per rilassarmi, sentendo i muscoli del corpo allentarsi piano, mentre portavo le braccia sopra la testa in una posizione che spesso mi conciliava il sonno.
Chiusi poi gli occhi, cercando di non ascoltare le url che provenivano dal piano di sotto.
Non so per certo quanto dormii. Forse cinque minuti? Comunque non più di venti. Si trattò di un sonno leggero, spossato. Nonostante dormissi, se fosse caduto un ago a terra, sarei balzata immediatamente con il cuore a mille. E così fu, in un certo senso. Mi svegliai sentendo il rumore di qualcosa che si accasciava nel corridoio, e non mi piacque affatto. Ne seguì un'imprecazione silenziosa. Poi di nuovo un tonfo. Il cuore mi saltò in gola, mentre questa si faceva arida e fredda. Non riuscivo neanche a respirare.
Mi alzai piano dal letto, camminando in punta di piedi, felice di aver abbandonato le scarpe col tacco poco prima di addormentarmi. Per quanto fossi silenziosa, mi sembrava che i miei passi fossero fin troppo rumorosi, e quasi mi costrinsi a non respirare nemmeno. Quando fui contro la porta, rimasi con l'orecchio teso, in ascolto.
-A...Aurora? Selìn?- azzardai a domandare sottovoce.
Silenzio.
Per un attimo che mi sembrò durare in eterno, rimasi in attesa di una risposta. Questa non tardò ad arrivare, ma fu terribilmente diversa da ciò che mi aspettavo. Mi ricordava quando Curtis, il nostro cagnolino, si metteva a raschiare contro la porta della mia cameretta perché lo lasciassi entrare. Eppure quelle non erano unghiette da cane. Sembravano quasi artigli in grado di incidere il legno con un singolo graffio. A quel punto, se prima il cuore mi era arrivato in gola, ora rischiai definitivamente di vomitarlo. Istintivamente balzai indietro, a qualche passo dalla porta. Sentivo la testa pulsarmi in preda al panico, mentre attorno a me cercavo qualsiasi cosa che potesse essere lontanamente contundente. Già, come se un candelabro sarebbe bastato per ammazzare un vampiro. Quando le unghie smisero di raschiare, calò nuovamente il silenzio. Eppure stavolta era teso, palpabile e abbastanza denso da poterlo tagliare con un coltello. Il fiato mi era morto nei polmoni, mentre con le mani giunte sul petto, fissavo ad occhi sgranati la porta, in attesa. Quando la serratura
cedette, potei intravedere nella penombra il riflesso gelido dei lunghi fili di luce che componevano una chioma talmente candida da screditare i banchi di neve. Con gli abiti sporchi di sangue e gli occhi di lava viva, Cain mi sorrideva sull'uscio, passandosi la lingua sulle labbra come fosse davanti ad un piatto davvero delizioso...e non stentai a credere che fosse così.
"Sono realmente fottuta" riuscii a pensare soltanto, mentre il vampiro si richiudeva la porta alle spalle, avanzando verso di me. I suoi passi erano cauti, ma incredibilmente lunghi, tanto che con qualche falcata mi fu di fronte. Gli occhi, a metà tra il fuoco ed il rosato, mi stavano studiando dalla testa ai piedi, come se si stesse chiedendo da che parte cominciare a sbranarmi. La
mano delicata del ragazzo salì a posarsi sulla mia spalla sinistra, in un gesto che inizialmente non capii, per poi spingermi con forza. Incontrai con le gambe il bordo del letto, cadendo tra le coperte con un grido appena accennato. Non ero seriamente in grado di proferire parola. La mia mente era annullata completamente.
Cain mi fu sopra, tenendomi saldamente sotto il suo peso, mentre inerme giacevo sotto il suo corpo candido. Potevo sentire i lunghi capelli albini ricadermi addosso, sfiorarmi la pelle come in una carezza letale. Quando finalmente riuscii a svegliarmi dal black out della mia mente, strinsi i denti in una smorfia irata, stando bene attenta a scandire le parole.
-Se devi uccidermi fallo e basta!- ero allo stremo. Non potevo scappare e, cosa ancor peggiore, non ne avevo le forze. Era quel genere di situazioni per cui sei e sarai sempre troppo debole, sia fisicamente che psicologicamente. Le mie grida dovettero essere abbastanza divertenti da suscitare una risata scura nelle labbra perfette di Cain. Le sue dita mi stringevano le spalle, e la stretta si fece più forte, tanto che con un gemito sentii le unghie entrare nella pelle.
-Comprendo soltanto ora l'interesse morboso che mio cugino ha nei tuoi confronti. Sei....divertente.- Certo, ora dovevo anche sopportare certe stronzate prima di morire? Al diavolo.
-Fanculo, che aspetti a mordermi, maledetto succhiasangue!?- glielo gridai in faccia, resistendo alla tentazione di sputare su quel bel faccino da infame. La situazione era già compromessa, non avevo intenzione di prolungare fino all'estremo quella tortura.
Cain si lasciò andare all'ennesima risata. Stessa risata che cominciavo ad odiare con tutta me stessa. Il suo volto si fece più vicino, abbastanza da sfiorarmi con la sua pelle gelida. Ecco, stavo per morire. Fantastico...
-Ucciderti? Non ancora. Ho intenzione di soddisfare il mio sadismo, prima.- la cosa non mi suonava affatto bene. Conoscevo il limiti umani, ma non quelli di una creatura abominevole come un vampiro. Lasciandomi una spalla, la destra affusolata di Cain scese a lambire le pieghe della camicia, e con un solo gesto ne aprì i bottoni che schizzarono via come impazziti, ricadendo a terra e sul materasso. Il mio cuore ebbe un fremito, mentre con i polpastrelli freddi segnava il contorno delle clavicole. Con le unghie scese all'incavo del seno, lasciandomi un graffio scarlatto sulla pelle candida che mi fece stringere i denti. Se quel bastardo voleva sentirmi gridare, avrebbe dovuto fare di meglio di un semplice graffio. Il contatto con le sue labbra fredde sulla pelle che il reggiseno lasciava scoperta, fu più osceno di quanto immaginassi. Non so bene perché, a dire il vero, ma ero disgustata fin nelle ossa. Prese la pelle morbida del seno tra gli incisivi, lasciandovi un marchio rossastro, mentre sentivo la mano scendere lungo la gonna scura. Tremai, cercando di muovermi in un qualche modo. Era distratto? Potevo agire? Non diedi risposta a quelle domande, ed in un attimo sollevai le mani verso il suo volto, artigliando la pelle nivea degli zigomi. Cain gridò appena, più per la rabbia che per il dolore, e la stretta alla spalla si fece così potente da mozzarmi il fiato.
Impressi ancor di più le unghie nella sua pelle, trascinandole fino al mento. Se proprio dovevo morire, volevo lasciargli un ricordino. Con la mano libera, il vampiro mi afferrò per il collo, cominciando a stringere. Boccheggiai in cerca d'aria, sentendo i polmoni svuotarsi.
-Puttana...- ma la sorpresa maggiore fu vedere che i miei graffi non sortirono l'effetto desiderato, rimarginandosi in un attimo, come se la sua pelle non fosse mai stata toccata. Le mie dita si strinsero attorno al polso della mano che mi stava strangolando, facendo leva per liberarmi, ma invano. La stretta si faceva sempre più pesante. Con ogni probabilità, prima di morire asfissiata, mi avrebbe rotto l'osso del collo.
D'improvviso la mia vista si fece lieve, offuscata, come se un velo opaco vi fosse calato sopra. Vedevo soltanto i capelli bianchi di Cain, simili ad una macchia di luce, mentre tutto attorno a me si faceva denso e scuro come catrame. I polmoni bruciavano, aridi e secchi, mentre la vita volava via dal mio corpo, nella consapevolezza terribile che stavo morendo.

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Capitolo 6
*** VI - HELLcome, Emily. ***


Note dell’Autore: Bhè, ho deciso di tendere un po’ la situazione, nel precedente capitolo. Mi sembrava tutto troppo noioso e lineare...c’era bisogno di suspance –come diavolo si scrive?-, insomma volevo spaventarvi un pochino eheh.
Dunque, ecco anche questo capitolo, con i suoi intrighi, con i suoi protagonisti. Come al solito, leggete e commentate che mi fa piacere, e ringrazio tutti senza scrivere i nick perché sono un’incurabile pigra. Al prossimo!

 
~~~ 

Morire strangolati è un po’ come affogare. O almeno ci si avvicina. Sei lì a boccheggiare in cerca di ossigeno, mentre attorno a te non hai altro che aria pesante, o a seconda del caso, acqua. Non è importante quanto scalci, quanto cerchi di riaffiorare verso la superficie. Man mano il buio si condensa in un vortice nero, e tutto ciò che hai attorno vi finisce dentro, risucchiato. Dopo, è il tuo turno di affogare nel nulla. Quando riaprii gli occhi, quasi mi dimenticai di cosa si provava nel vedere a colori il mondo. La verità è che diamo per scontato piaceri come il vedere, il respirare, ed il sentire la morbidezza o la durezza delle cose sotto le dita. Sono cose a cui siamo abituati, ci sembrano talmente normali che finiamo per non dar loro il giusto peso. Ma quando avevo sfiorato di un millimetro la morte, avevo seriamente compreso il loro valore, ed ora le mie dita stringevano il lenzuolo fresco come fosse qualcosa di estremamente prezioso. Pian piano ripresi conoscenza, mentre le mie iridi chiare schizzavano come impazzite da un punto all’altro della camera. Dall’alone chiaro che la lampada creava nella penombra, al rosso sanguigno della tappezzeria. Mi toccai istintivamente le braccia, le gambe, il busto, come per controllare che ci fosse davvero tutto. Essere ancora viva era una consolazione più che sufficiente. Senza contare che mi era piuttosto insolita, dato che mi aspettavo di essere morta e stramorta. Feci per alzarmi, lentamente, per non sforzare troppo il mio corpo. La testa mi girava senza sosta, come l’avessero infilata in uno di quegli affari in ferro per shakerare i cocktail.
 -Bentornata, Emily- quella voce, quell’unica soffice voce, riuscì a riempire in un attimo il vuoto che sentivo attorno di me, con la stessa fluidità di un’onda che si riversa in una conca. Catturai il riflesso chiaro dei capelli di Evan, e sentii il cuore esplodere, forse per la felicità di essere ancora viva. Insomma, se fossi morta, dubito seriamente che quel dannato immortale mi avrebbe potuta seguire. Anche perché sopportarlo sulla terra era abbastanza seccante, figuriamoci ritrovarlo nell’aldilà. Senza ragionare, mi slanciai, trovandomi appesa al suo collo come fosse una specie di ancora, allacciandogli le braccia attorno alle spalle rigide. Non so perché lo feci, sicuramente me ne sarei pentita e vergognata, ma in quel momento era l’unico abbastanza vicino su cui riversare il mio terrore e le mie frustrazioni. Lo sentii fremere, forse sorpreso, per poi premermi con delicatezza la schiena con i palmi delle mani aperte, facendomi aderire maggiormente al suo corpo. Era freddo, ma il mio calore quasi febbricitante sarebbe bastato per entrambi.
-Ma che carina, sei felice di rivedermi…- non lo ascoltai nemmeno. Ero troppo scossa per stare dietro alle sue sbruffonate. Sentivo salirmi dallo stomaco un fiume di emozioni che rischiava di sommergermi. Troppe, tutte nello stesso momento, rischiavo il collasso come un computer sovraccaricato. Quando poi il vampiro mi sciolse da sé, con la stessa delicatezza con la quale mi aveva stretta, cercai di respirare a fondo, per riprendere il controllo di me stessa. Davanti a me, Evan mi fissava con un misto di pietà e di compassione che mi fece salire la nausea.
-Credo…credo di essermi persa qualche punto essenziale della storia…- mormorai, notando solo in quel momento che ero stata svestita ed abbigliata per la notte con una camicia di raso bianca che scendeva morbida fino ad un quarto delle cosce, stringendosi poi attorno ad essere con un elastico intorno alla veste. Lanciai istintivamente uno sguardo al vampiro, che in risposta alzò le mani, mettendo su un’espressione tanto falsa quanto adorabile, come a voler dire “non guardare me, io sono un bravo bambino”. Sicuro. Mi misi meglio a sedere sul morbido materasso, allontanandomi il più possibile da Evan che, sdraiato come il Principe che era, mi fissava come fossi un cupcake alla vaniglia. Perché doveva sempre divorarmi con gli occhi? E no, non intendo in senso positivo. Bensì che mi sentivo come un agnello di fronte al leone affamato.
-Sembra che tra i vampiri ci sia un gruppo di anarchici deciso a spodestare me e mio padre. Probabilmente vogliono un colpo di stato, e sbarazzarsi dell’erede al trono è il modo più semplice di attuarlo.- fece una pausa, come se la storia da raccontare fosse troppo lunga e necessitasse di tempo per ricordarla.
-Non so perché Cain ti abbia attaccata. Dubito avesse nulla a che fare con i sovversivi. Probabilmente è stato attratto solamente dal tuo sang...- alzai la mano destra, posando l’indice sulle sue labbra. Evan s’interruppe fissandomi incuriosito. Non era quello il tipo di risposta che volevo. Non m’interessava sapere perché quell’infame mi avesse quasi ammazzata.
-Evan...sei stato tu? Mi hai salvata tu da Cain?- la voce colò dalle mie labbra lentamente, fievole e appena udibile. Solo in quel momento gli occhi grigi del vampiro si riversarono nei miei, come se non mi avesse mai guardata davvero fino a quel momento. Le pupille scure erano dilatate, ed in esse si fondeva il piombo delle sue iridi. Un magma incandescente e brillante, denso di pagliuzze dorate, che sembrava voler uscire dalla gabbia di quegli occhi. Poi, le labbra di Evan si aprirono in un sorriso rilassato, quasi dolce. Un sorriso abbastanza potente da mandarmi in confusione.
Perché Evan era un Porfirico, ed io una Cacciatrice. Cosa poteva legarci?
Quale strana alchimia mi spingeva in quel momento a guardarlo come avrei guardato un umano? Cosa diavolo mi stava succedendo? La mancina del ragazzo finì sotto il mio mento, sollevandomi verso di sé, come se volesse ipnotizzarmi meglio con i suoi occhi.
-Se ti dico di si, mi dai un bacio?- resistetti dal dargli una testata...anche perché senza ombra di dubbio la mia testa si sarebbe aperta come un cocco, mentre lui si sarebbe al massimo scompigliato. Sbuffai appena, provocando al ragazzo una risata divertita, prima di allontanarmi da lui per infilarmi sotto le coperte dandogli le spalle. I miei capelli biondi si riversarono sul cuscino come una cascata d’oro, mentre un lato del mio volto sprofondava nella morbidezza della federa profumata. Erano successe troppe cose fino a quel momento...avevo bisogno di pensare, di prendere tutti i pensieri che mi vorticavano nella testa e metterli in ordine. Sentivo il cuore pompare sangue veloce, battere come impazzito, al ritmo con il pulsare delle mie tempie. Stavo per scoppiare. Non potevo resistere ancora...è strano da dire, ma avevo un bisogno estremo di sfogarmi. Volevo gridare, ferirmi la carne con le unghie, per rimuovere il disgustoso peccato che la lingua e le dita di Cain avevano lasciato sulla mia pelle dove erano passate. Gli occhi bruciavano, mentre agli angoli si condensavano le mie calde lacrime. Ero un essere umano, eppure lo avevo dimenticato. Avevo cercato di trattenermi, di agire come una Cacciatrice, per vedere tutta quella situazione con freddezza e calma. Ma stavo per implodere. Non avevo ancora metabolizzato nulla di ciò che era successo: il rapimento, le minacce, l’uccisione di quella Comune e la mia “quasi-morte”. Il mio corpo cominciò a tremare, mentre le lacrime ruzzolavano giù sulle gote senza che potessi fare nulla per fermarle. Non volevo piangere, ma ero in preda ad un pianto isterico. Il mio corpo aveva bisogno di liberarsi dalla tensione accumulata, ed io non potevo fare nulla per ostacolarlo. Mi afferrai con le mani le spalle, come a volerle fermare, mentre dalla mia gola fuggivano gemiti rauchi, sofferenti. Stavo impazzendo? Ero lì, raggomitolata come una bambina durante un temporale, quando le mani fredde di Evan si posarono su di me come farfalle, per poi stringermi a sé con la decisione di un terremoto. La mia schiena, scossa dai singulti, tremava sul suo petto, mentre con le braccia mi circondava il busto, trasmettendomi sulla pelle una piacevole sensazione di fresco.
-E’...è ok- cercai di mormorare, ma le lacrime non smettevano di scendere. In un attimo mi voltò, facendo aderire i nostri corpi come due magneti di carica opposta. Mi ritrovai a singhiozzare nel profumo del suo collo che mi sfiorava le labbra e le gote, mentre da parte mia non riuscivo a fare di meglio se non lasciarmi avvolgere dal suo corpo. Per quanto Evan fosse un nemico, un bastardo, un viziato ed un assassino...
In quel momento rappresentava l’unica scialuppa a cui potevo aggrapparmi. L’unica fortezza sicura dove riposare dopo la tempesta.
Evan era la Tempesta stessa, poiché ogni volta che mi avvolgeva, come un uragano, riusciva a scombussolare la mia vita, a farla vorticare assieme alle mie sicurezze, ai miei principi morali, per poi scaraventare il tutto da qualche parte, senza permettermi di recuperarlo mai completamente. Senza accorgermene, mi addormentai così, scivolando lentamente nel sonno tra le sue braccia.
Da tempo non mi sentivo così protetta.

 
“-Procedi- la voce riecheggiò nell’angusto spazio, seguita dal ticchettare ritmico dei tacchi della vampira sulle pietre del pavimento. La veste lunga, di un chiaro rosa pastello, grondava di sangue, macchiata a sprazzi come la tela di un futurista.Eppure, Selìn sembrava a suo agio in quelle macabre vesti. Di più di quanto non fosse stata la sera precedente, costretta a rincorrere i sovversivi in uno stretto tubino rosso fuoco. Senza contare che per affrontare i vampiri ribelli insieme ad Aurora, era stata costretta a ridurlo in brandelli per potersi muovere più liberamente. Già, se l’erano vista brutta. O almeno Aurora, di cui non erano rimaste altro che ceneri. Selìn invece era stata rintronata con un qualche oggetto contundente, il ché non le era andato ancora giù. Prese da uno spoglio tavolo quello che sembrava uno stilo. Evan assisteva in un angolo della stanza, seduto su uno scanno antico, le dita intrecciate sotto il mento. Seguiva con attenzione i movimenti della vampira, mentre questa percorreva la pelle di uno dei ribelli con lo stiletto, provocandogli un gemito rauco. Il vampiro doveva essere piuttosto giovane per soffrire un dolore così blando.
-Dunque, non vuoi dirci proprio nulla. E’ un peccato, Demir. Un vero peccato, se tieni a mente che anche io, come te, sono immortale...e che quindi posso starti a torturare per altri mille, diecimila anni- il tono corrosivo della donna scese sul malcapitato come acido puro, facendolo tremare.Se il compito di Selìn era quello di impaurirlo, allora presto o tardi lo avrebbe ucciso per il terrore.
-Dalle mie labbra non sentirete uscire nulla- rispose Demir, scuotendo il capo castano. Selìn si piegò sulle ginocchia con l’agilità di una gatta, alzandogli il mento per costringerlo a guardarla negli occhi smeraldini.
-Lascia che ti racconti una storia, Demir. I greci narrano che un giorno, un uomo di nome Prometeo, accusato di aver rubato il fuoco agli dei per darlo agli uomini, venne legato da Zeus su una rupe. Lì, un’aquila gli divorava il fegato, per poi ritirarsi la notte. Durante le ore di buio, il fegato di Prometeo ricresceva, per poi essere divorato nuovamente dall’aquila durante il giorno. Questo per l’eternità- la donna fece una pausa, spostandosi i lunghi capelli corvini che le ricadevano su parte del volto chiaro, portandoseli su una spalla in una cascata di petrolio.
-Bhè, sta a te decidere. Una piccola ed innocua verità, in cambio della vita- ed il tono della vampira sembrò così convincente che la vittima sembrò rifletterci appena un attimo, come se stesse prendendo davvero in considerazione l’idea di tradire il proprio “ideale”.In un attimo l’espressione del sovversivo mutò, tornando irriverente, presuntuosa e irrisoria, nonostante Selìn potesse leggervi con piacere il terrore che s’annidava dietro quella maschera di falso coraggio. Aveva paura, e a lei questo bastava. Il vampiro sputò ai piedi della donna, arrivando quasi a colpirne lo stivaletto scuro. Sul volto di essa, nulla sembrò cambiare.
-Se questa è la tua risposta, Demir...- lasciò le parole in sospeso, mentre si alzava da terra, per poi rivolgere uno sguardo ad Evan che, in risposta, annuì con il capo. Era il segnale che Selìn stava aspettando da quando aveva messo piede lì dentro.Era così ciecamente fedele verso il Principe, che subito Demir le aveva provocato un gran senso di nausea. Aveva voluto ammazzarlo dal preciso istante in cui i suoi occhi si erano posati su quel verme.
-Ora entrerò nella tua mente. Sbaraglierò ogni tua resistenza psichica e ne estrapolerò le risposte che tu, povero idiota, non mi hai voluto dare- a quelle parole, sul volto tumefatto del vampiro, ogni sembianza di coraggio calò, lasciando spazio ad una grande e palese paura.
-Tu…tu mi hai preso per il culo!?- le grida di Demir fuoriuscirono dalle sue labbra come impazzite.
-Potevi entrarmi nella testa...e me lo hai tenuto nascosto...- pian piano le urla si fecero deboli, quasi un sussurro a sé stesso, mentre ogni sua sicurezza crollava al suolo.
-Vostra...Vostra Maestà...vi prego! Vi dirò tutto ciò che volete! Vi scongiuro Maestà!-Evan sospirò, lanciando uno sguardo denso di disgusto al vampiro che lo stava implorando.
-Il motivo per cui la mia fedele Selìn non ti ha detto di poter entrare nella mente fin da subito, è perché io stesso gliel’ho ordinato. Volevo vedere se saresti stato fedele a me, il tuo sovrano, o saresti morto per difendere un infame traditore. Ed ora...mi stai pregando di lasciarti in vita. Sei più viscido di quanto pensassi- in un attimo Evan si alzò, lasciando che un pesante mantello di raso nero gli ondeggiasse attorno ai fianchi, dirigendosi verso la porta di ebano scuro.
-Selìn, prendi le informazioni che ci servono. Dopodiché...non trattenerti- la porta si richiuse con un tonfo sordo alle sue spalle, lasciando nella semioscurità delle fiaccole Selìn e Demir.La vampira risplendeva nella seta insanguinata, lasciando oscillare i capelli color del catrame sulla schiena. Le labbra carnose erano aperte in un sorriso più simile ad un ghigno. I denti, piccoli e bianchi, rifulgevano di luce lasciando cadere l’attenzione sui canini affilati. Sotto di lei, Demir aveva serrato la mascella, preparandosi a respingere, inutilmente, gli attacchi mentali di Selìn.
-Evan non è degno di diventare il Re del nostro popolo- mormorò la vittima, indietreggiando contro il muro nel momento stesso in cui la donna si fece avanti.
-E colui che vi ha ordinato di ucciderlo? Credi che lui sia degno di essere un Sovrano?- la ragazza lasciò colare con disprezzo quelle parole, ridendo poi con voce roca, pregustando il momento in cui tutte le ingiurie dette da Demir, sarebbero state vendicate nel sangue.
Fu però il turno del vampiro di ridere.
-Oh...ma Lui lo è già-„

 
Quando riaprii gli occhi, la luce calda e rossa del camino acceso mi ferì gli occhi, costringendomi a sbattere più volte le palpebre per abituarmi. Fuori era buio, come sempre, ma all’orizzonte si poteva scorgere una linea di chiara luce, segno che il sole era appena ridisceso, dopo essersi fermato nel cielo per pochi minuti. Quella terra era fin troppo strana per i miei gusti. Questa volta, invece di sentirmi appesantita e confusa come le altre volte in cui mi ero svegliata, mi sentivo al contrario rilassata e temprata, sia nel corpo che nello spirito. Il ché era senza dubbio un bene. Mi girai appena tra le coperte, notando che Evan non era con me e tantomeno all’interno della stanza. Una lama di gelo s’infiltrò nel mio corpo, come se attraverso una ferita l’Inverno stesso avesse soffiato un alito di freddo nelle mie carni. Sospirai, scendendo dal letto con un balzo agile che, fino a qualche ora prima, non sarei stata nemmeno in grado di immaginare. Era la prova tangibile che il mio corpo si era finalmente ristabilito del tutto e con esso le mie abilità da Cacciatrice. Fantastico, mi sarebbe servito tutto il mio bagaglio di esperienza con i Mannari per fuggire da quel posto. Mi diressi verso il camino, dentro il quale danzava ardente un fuocherello caldo ed avvolgente. Nonostante il fuoco acceso, in quella camera faceva maledettamente freddo, e stavolta non si trattava di una sensazione. Afferrata la coperta rossa dal materasso, me la portai sulle spalle, chiudendomi in qualcosa di molto simile ad un bozzolo, per poi allungare le mani verso la fiamma, lasciando che le dita si scongelassero poco a poco. Sentivo il calore infilarsi veloce tra le falangi come un serpente, sgusciando fin sui palmi, mentre qualche vampata mi lambiva il volto, colorandomi le gote di un grazioso rosato. Come d’abitudine però, il mio piccolo paradiso momentaneo fu interrotto dal ritmico rimbombare dei passi nel corridoio, con conseguente spalancamento della grossa porta d’ebano. Come una furia uscita fuori da chissà quale film fantasy, Evan era sulla porta, le braccia spalancate nell’atto di tenere le grosse ante, mentre i capelli smettevano lentamente di ondeggiare sul suo volto, in un turbinio di riflessi d’oro e rame. I suoi occhi metallici mi si marchiarono sulla pelle, rabbiosi, terribili. Ebbi paura. Paura di aver fatto qualcosa che non avrei dovuto, o soltanto di aver pensato di fuggire: cosa che non mi avrebbe mai perdonato.
-E...Evan?- mi azzardai a chiedere con fil di voce, timorosa di svegliarlo da quella specie di paralisi in cui sembrava essere finito sull’uscio della porta. I suoi movimenti furono talmente veloci che me ne accorsi soltanto quando avvertii il rumore del portone sbattere, e la sua presenza netta all’interno della camera. Sembrava impazzito: camminava avanti ed indietro portandosi le mani al mento, mormorando con rabbia e sputando parole troppo veloci per essere comprese. Rimasi a fissarlo impotente, senza capire davvero cosa stesse succedendo. Dovevo richiamare la sua attenzione e cercare di calmarlo, o darmela a gambe prima che per la furia potesse saltarmi addosso e farmi a pezzi? In ogni caso il mio corpo non si mosse, come se il cervello fosse incapace i dare ordini ai muscoli.
-Cos’è successo?- questa volta la mia voce fu appena sibilata, un sussurro nell’aria tesa che si era creata. Evan però parve udirmi fin troppo bene, tanto che il suo corpo si fermò di colpo. Il capo si voltò in uno scatto nella mia direzione, e ancora quegli occhi mi trafissero come aghi appuntiti in una bambolina vodoo. In un attimo, sentii il suo corpo gelido cadermi quasi addosso, piegandosi sopra la coperta, bloccandomi a terra con tutto il suo peso. Le dita affusolate e fredde mi afferrarono il cranio lateralmente, impedendomi di poter muovere il capo altrove. Sopra di me, Evan mi fissava in cerca di qualcosa, come se nei miei occhi avessi nascosto una verità che stava cercando disperatamente. E quel suo sguardo mi piegò come un filo d’erba. Era intenso, carico di un dolore che non avevo mai voluto vedervi. Carico di un’umanità che mi stava distruggendo dall’interno. Le labbra fine del vampiro si mossero appena, sussurrandomi sul volto in un alito fresco e vellutato.
-Cos’hai di speciale, Emily? Perché tutti sembrano volerti portare via... da me?-
Una stretta forte, dolorosa, dritta nel petto. Come se mi avessero afferrato il cuore con delle tenaglie.
-Perché tutti bramano il tuo corpo ed il tuo sangue, Emily?- ma non era una vera e propria domanda. Rimasi in silenzio, incapace quasi di respirare, poi la presa di Evan si fece debole, fino a sciogliersi dalla coperta, ed il capo biondo mi ricadde sul petto, dove sentivo il cuore perdere battiti, accelerare e poi fermarsi del tutto, per poi riprendere impazzito. Le mie braccia si sollevarono appena, andandosi a stringere con delicatezza attorno alla schiena del Vampiro, in quell’abbraccio che non mi sarei mai immaginata di dargli. Lo sentii sorridere piano contro il mio petto, nascondendo il volto tra i miei capelli dorati, come un bambino che si stringe alla madre dopo aver avuto un incubo. Il mio sguardo si perse tra le onde che le ciocche bionde dei suoi capelli creavano. In fondo, Evan non era mai stato un vero bambino. Era stato ed era ancora un Principe, e l’attentato di quella notte mi aveva chiarito quanto pericolosa fosse la sua nomina. Certe persone nascono per sorreggere sulle spalle il peso di certi ruoli che nessun altro potrebbe portare senza cedere. Evan era una di quelle persone, e la sua schiena era densa di ferite. Poggiai il capo sul suo, quasi cullandolo, lasciando che si addormentasse. Avrei vegliato su di lui per quella notte. Per quella sola ed unica notte, non mi sarei fatta domande sul perchè mi comportavo così dolcemente. Non mi sarei chiesta perché alle sue parole, prima, mie ro sentita mancare il terreno da sotto i piedi.
Avrei vegliato e basta, donandogli tutto il calore che il suo corpo poteva succhiarmi via.

 


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Capitolo 7
*** VII - My Soul on Fire. ***


Note dell'Autore: Che dire, ormai so che mi odiate perchè vi prometto di aggiornare in un mese e poi sparisco. Diciamo che alla fine ho sempre le solite scuse: depressione dilagante, scuola, poco tempo e voglia. Bhè, non ho il tempo materiale di rispondere ai commenti ora perchè devo fuggire al cinema, ma prometto che risponderò in un secondo momento -che figo c'è l'opzione rispondi al commento-. Scrivere questo capitolo è stato, almeno a mio avviso, molto divertente. No, divertnente non è il vocabolo adatto. Direi più che altro che mi ha fatto pensare, ma non voglio stressarvi con le mie paranoie fobico-compulsive, quindi vi lascio leggere in pace, aspettando come sempre i vostri graditissimi commenti.
PS. i più attenti avranno notato che è cambiato tutto il layout della storia. Si, sto facendo un pò di ordine perchè i codici facevano schifo. Bye.


~~~

Affogai di nuovo, quella notte. Oppure quel giorno. Oramai avevo perso la cognizione del tempo.
Affogai nella neve, e davanti ai miei occhi scese una fastidiosa cortina di bianco accecante. Mi ricordava i pavimenti lindi delle cliniche, o le pareti immacolate delle anonime scuole di caccia. Avevo imparato ad odiare la luce che, entrando dalla finestra dell’aula, si rifletteva su quel muro abbagliante, ferendomi gli occhi. Gli altri studenti sembravano non soffrirne. Vi erano immensamente dentro da amare quei colori clinici.
A me sembravano come un pugno dritto nell’occhio. Avevano bisogno di una piccola macchia, di un’imperfezione.
Caddi bocconi sullo strato morbido che si era creato sopra il terreno, avanzando piano, senza trovare a forza di alzarmi in piedi e proseguire. Non avevo la benché minima idea di dove andare. Volevo semplicemente morire in quel candore che mi aveva infettata.
Mi distesi, ormai incapace di usare il mio corpo infreddolito, trovandomi con la schiena contro il gelo della neve. Sopra di me una volta scura traboccava inchiostro così nero da coprire le stelle stesse.
-Emily...-
Sobbalzai, ed un vento di vita mi spirò in corpo. Soltanto più tardi compresi che non era vita né speranza: era paura.
Paura di un livello superiore. Paura solida, al suo stato più puro.
Era lì. Dovevo fuggire. Correre il più veloce possibile. Mettermi in salvo.
Con un colpo di reni tornai a quattro zampe, per poi sollevarmi ondeggiando pericolosamente, inciampando tra i banchi di neve, accelerando il passo flebile e scoordinato.
Mi gettai nella boscaglia, dove i pini scuri creavano una fitta muraglia. I polmoni bruciavano, avevano bisogno di aria, ma per quanto mi sforzassi di respirare con la bocca, sembrava quasi che le vie respiratorie fossero ostacolate da cumuli di neve. Inciampai in un ramo che spuntava fuori dal candido tappeto, cadendo rovinosamente a terra. Il ghiaccio mi entrò nella bocca, invadendomi il palato, come un getto gelido.
Rimasi stesa immobile, incapace di ragionare. Ero densa di paura, abbastanza da non sentire più il cuore, mentre il freddo esagerato di quel luogo mi anestetizzava il corpo.
Qualcuno mi prese per la vita, sollevandomi senza difficoltà. Vedevo appannato, ma intravidi abbastanza chiaramente la folta chioma color ebano, gli occhi neri come catrame.
Emisi un sospiro sollevato. Non avevo idea di chi fosse, ma essere uccisa da uno sconosciuto sarebbe stato meno doloroso di subire la rabbia di Evan.
No, forse non era proprio la rabbia a spaventarmi.
Temevo di doverlo guardare nuovamente in faccia. Mi vergognavo.
Ero divenuta così misera?
 
 
-Va meglio?-
Annuii appena, raccogliendo tra le dita la tazza di tè caldo che il ragazzo mi porgeva. 
I polpastrelli s’incollarono quasi alla porcellana, mentre la tazza bollente non sortiva alcun effetto di bruciore sulle mie mani congelate.
Dal bordo si alzava un fumo leggero, speziato, che mi accarezzava con dita di vapore il viso cianotico, di un pallore grigio cenere, malato. L’idea di correre nel pieno di una burrasca di neve non era stata il massimo. Sorseggiai piano dalla tazza, bagnandomi le labbra di quel piacevole bollore, prendendo a bere sorsi più grandi di volta in volta. Scendeva come una cascata di magma incandescente nel mio corpo, scorrendo tra organi e pensieri, tra anima e polmoni, per scaldarmi.
Mi guardai attorno. Una vecchia tenuta di caccia a giudicare dall’aspetto.
Di fronte a me, il ragazzo sorrideva appena, guardandomi con i suoi occhi bui, infiniti.
-Perché ridi?- azzardai quella domanda senza troppo coraggio, mormorandola appena sulla punta della lingua, come per paura che potesse davvero sentirmi.
Il giovane reclinò il capo di lato, socchiudendo le palpebre, assumendo un’aria quasi puerile che mi mise un insolito buon umore addosso.
-E’ divertente vedere come vi nutrite voi umani- sobbalzai sul posto, rischiando di far cadere a terra la tazza con il tè. Insomma, dovevo aspettarmelo, essendo ancora in una terra di vampiri, ma davvero per un attimo avevo sperato, inutilmente, di esserne uscita. Di fronte a me il porfirico sembrava al contrario calmo, oserei dire pacifico. Continuai a fissarlo, studiandolo, pronta a darmela a gambe se solo si fosse azzardato a sfiorarmi.
-Non essere spaventata. Mi sono già nutrito- e con questo? Anche se sazia mi sarei gettata con foga su una meringa per il solo gusto di assaporarla. Dubito che con loro fosse diverso.
-Posso sapere chi sei?- in risposta il ragazzo si passò una mano tra i capelli d’ebano, smuovendoli un poco. Qualche ciocca ondulata gli ricadde sul volto di perla, coprendo due occhi scuri come la pece. Impossibile leggervi attraverso.
-Daniel Lampoure, membro del corpo d’élite di sua Signoria Evan Bouregard I, Nobile di Primo Grado. Per servirti- simulò un inchino che doveva avere dell’ironico, forse per farmi rilassare, eppure sortì l’effetto contrario. Quel nome. Quel maledetto nome, mi si gettò addosso come una cascata d’acqua gelida in una fredda mattina di Ottobre Inoltrato: mi congelò all’istante.
Respirai piano, cercando di riprendere il controllo. Ero nei guai fino al collo.
-Ti ha mandato lui?- domanda ovvia, ma in quel momento il mio cervello non aveva intenzione di connettere.
Davanti a me Daniel annuì piano, rilassandosi sul posto a sedere, in una posizione di completo rilassamento che non avrei mai visto assumere da uno come Evan.
Troppo poco “signorile” per i Nobili di Primo Grado, no?
-Devi avere un’alta considerazione delle tue capacità, se ti sei spinta nel pieno della neve pur di andartene- concluse, con una risata cristallina.
Corrugai la fronte, prendendo un sorso di tè.
-O non potrebbe semplicemente essere che Evan è così terribile da costringermi alla fuga?- la risata di Daniel si fece più alta, più mascolina. In fondo, non era poi così inumano. Era quasi sopportabile.
-Evan? Non credo proprio...prima di essere la sua guardia del corpo, sono suo amico-
Evan aveva amici? Mi suonava abbastanza...strano.
-Non essere scettica. Evan è complesso. Ma non cattivo. Sai, nascere vampiri è diverso dal diventarlo per infezione-
Complesso. Quella parola mi echeggiò nella mente come se fosse la chiave di tutto. In fondo, non avevo mai seriamente pensato che Evan fosse malvagio. Forse i primi giorni, ma era il classico rapporto vittima-secondino.
-Cosa intendi?- volevo davvero comprendere la mentalità di quel vampiro?
Daniel sospirò, come se raccontare quella storia gli costasse fatica e tempo. Incrociò le gambe con eleganza, poggiando il capo sulla mano destra. I suoi occhi di tenebra mi colarono addosso liquidi come petrolio, ma caldi e rassicuranti. In quel ragazzo non riuscivo ad identificare un vero e proprio pericolo. Perlomeno, non ancora.
-Una volta mi trovai a parlare con una vittima d’infezione. Di solito noi Puri evitiamo di frequentarli. Abbiamo una gerarchia piuttosto...arcaica. In ogni caso, si trattava di una donna contagiata dal nostro morbo. A detta sua, il velo di malinconia disperata che le copriva gli occhi, era frutto della consapevolezza che i suoi figli sarebbero cresciuti, invecchiati, morti. Al contrario lei sarebbe rimasta giovane per l’eternità...-
-Eterna ma sola- mormorai, sentendo una fitta alla bocca dello stomaco. Forse era la sua voce, o più semplicemente il modo in cui mi stava raccontando quella storia, a stringermi il cuore in un pugno di gelida sofferenza.
-Già. Io al tempo non compresi. Sono nato immortale, sarei stato perfetto per tempi immemorabili. Perché quella donna si struggeva fino a quel punto? La risposta è molto semplice. Non essendo mai stato umano, non potevo comprendere cosa fosse un legame. Sapevo che i miei fratelli sarebbero vissuti in eterno con me. Che la mia dolce madre non avrebbe mai pianto come la donna che mi trovavo davanti. Cosa potevo saperne io del dolore?- Daniel fece una pausa, ed il suo sorriso mi aiutò a sciogliere un poco quel senso di disagio che sentivo vibrante nell’addome.
-Evan, come noi Puri, non è mai stato umano. Ma nel momento in cui si è legato ad un’anima mortale, ha compreso di colpo la gravità del suo essere. Evan, come quella madre, ha paura di perdere l’abbraccio caldo che lo ha risvegliato da una vita di gelida immortalità. Combattuto tra un’inaspettata umanità ed un naturale senso dell’istinto, il mio Signore agisce con la violenza della nostra razza per difendere quel piccolo, debole legame- concluse, alzandosi dalla sedia con agilità, fluendo elegante verso la porta.
Ero immobile sulla sedia, lo sguardo incapace di spostarsi altrove, come se qualcosa m’impedisse di ragionare a mente lucida. Era la parola legame, a spaventarmi? O l’idea che Evan fosse la vera vittima in quella storia, ed io la carnefice sadica che lo stava torturando con la mia sola presenza?
Sentii freddo, al mio interno. Un freddo inspiegabile e puro.
Lo avevo tradito. Lo avevo illuso che potesse contare su di me, stingendolo al mio petto quando era entrato in camera scosso e confuso. Per un attimo, per quella breve notte, avevo regalato ad Evan una speranza di vera vita, riprendendomela poi con crudeltà per inseguire il mio sciocco orgoglio.
Daniel aprì la porta di colpo, ed un alito di vento e neve invase la stanza, riportandomi al mondo.
-La porta è aperta. Il confine con la tua Terra umana, da questo punto, non è molto lontano. Puoi scegliere di scappare, così come hai fatto quando ti sei resa conto di non provare più alcun rancore nei suoi confronti.- scossi la testa a quelle parole, portandomi le mani sulle orecchie, volendo escludere la voce del vampiro dalla mia piccola campana di vetro.
-Lo sai anche tu, Emily. Hai paura di perdere la tua dignità, il tuo orgoglio di cacciatrice. Perché noi siamo i cattivi della situazione, e a te hanno insegnato ad essere la punta tagliente del bene. Non esiste soltanto nero e bianco. Esiste volontà e paura-
-Non è come dici...- cercai di interromperlo, premendo più forte le mani, quasi volessi spremermi la testa e farla esplodere, pur di non ascoltare la verità.
-E tu hai paura, Emily. Paura di cambiare idea. Paura di ciò che direbbe la tua comunità. Prendi coscienza di ciò che vuoi e decidi. Se supererai questo confine, ti assicuro che sarai sporca a vita della tua mancanza di coraggio. Avrai timore per il resto dei tuoi giorni, e lascerai che le cose vadano come sempre, che persone come i vostri Nobili spediscano al macello tante altre Emily Vichbourg. Una volta giunta al termine della tua esistenza, cosa ti sarà rimasto in mano? Sabbia. Ed in bocca l’amaro della scelta che stai per fare.- la stanza si fece silenziosa, soltanto il frusciare del vento e della neve che cominciava a depositarsi sul pavimento. Non mi mossi, fissando ancora il nulla di fronte ai miei occhi vitrei.
-E...se scegliessi di non andare? Cosa succederebbe allora?- mi azzardai a chiedere, timorosa della risposta. Daniel alzò le spalle, sorridendo appena.
-In quel caso, avresti un’esperienza pre-vita. Ovvero potresti assaggiare davvero il gusto della tua esistenza. Fino a divenire dipendente del battito accelerato del tuo cuore. Ricorderai quei momenti per il profumo che ti lasciano addosso, perché la vita è fuoco: brucia in fretta, se non la sai alimentare, e al tempo stesso hai paura di avvicinarti ad essa, perché a volte riscalda, altre volte ferisce. Quelle stesse ferite sono ustioni che rimangono impresse sulla pelle, ma la prossima volta saprai piegare la fiamma e comandarla, direzionarla a seconda del vento. Proteggerla dalla pioggia.
Ti basta avere il coraggio e la volontà di porgere le mani verso il fuoco, bruciarti un po’ le dita, per non morire del freddo che ti congelerà l’anima.-
Forse avrei dovuto ringraziare subito Daniel. Non lo conoscevo, ma lui conosceva me in un modo impressionante, come se avesse provato in prima persona la mia stessa storia. Voltai il capo nella sua direzione, sorridendo debolmente.
-Voglio bruciare. Voglio ardere fin nelle ossa, Daniel.-
 
 
Sapevo che una volta entrata nella camera, le mie responsabilità, quelle inerenti alla tentata fuga, mi sarebbero crollate addosso come macigni.
Accanto a me Daniel mi poggiò il palmo della mancina su una spalla, come per infondermi coraggio. Strinsi quella mano fredda, sorridendogli di rimando, prima che si allontanasse nel buio dei corridoi.
Passai i polpastrelli sul legno intagliato della porta, combattendo con forza il desiderio folle di fuggire ancora. Non ero più una bambina: dovevo assumermi le mie responsabilità.
Bussai, battendo debolmente il pugno sul portone per due volte, attendendo.
Quando il pannello d’ebano vibrò, aprendosi di colpo, la luce fioca dell’interno mi colò addosso come cera, illuminando parte dei miei vestiti ancora fradici di neve.
Evan mi fissava dall’alto della sua posizione facendomi sentire ancor più piccola di quanto non fossi veramente. Deglutii a fatica un grumo di saliva che mi scese per la gola come veleno. Amaro.
Gli occhi del vampiro mi intrappolarono, tenendomi ferma sul posto. Non erano limpidi.
Burrascosi, densi di una tempesta che sapevo si sarebbe riversata su di me.
Le labbra del giovane ebbero un fremito, come si stessero trattenendo dal gridarmi contro con tutto il fiato che aveva in corpo. Io al contrario, apparivo debole e misera, le labbra incastrate sotto gli incisivi nel tentativo di trattenere il nervoso e l’ansia, mentre dietro la schiena continuavo a torturarmi le mani.
Eppure, Evan non disse nulla. Non urlò, non mi colpì. Nulla di ciò che mi aspettavo.
Mi rilassai per un attimo, ma in quella frazione di secondo mi afferrò il polso destro, trascinandomi all’interno con uno strattone che mi sbalzò a terra. Rotolai sul pavimento, facendo appena in tempo a coprirmi il capo con le braccia. La porta si chiuse con un colpo sordo, e subito avvertii i passi repentini del porfirico che si dirigevano verso di me.
-Evan perdonami!- lo gridai con voce strozzata, raschiandomi la gola pur di gettarlo fuori dalle labbra.
Non si fermò, e quando mi fu addosso, continuai a gridarlo, tremando come mai avevo fatto in vita mia.
-Non voglio sentire le tue bugie!- mi sibilò direttamente nell’orecchio, facendomi rabbrividire da capo a piedi. La sua voce era densa di una rabbia che a stento riusciva a trattenere.
Lo ripetei ancora, ed ancora, come fosse un mantra. Le mani del ragazzo mi afferrarono le braccia, spostandole dal mio viso, bloccandole i lati del capo.
Vidi il suo volto assumere un’espressione quasi sorpresa, che stupì anche me.
Cos’era? Le lacrime che colavano sulle mie gote, a lasciarlo di stucco. Nei suoi occhi potevo vedere il riflesso del mio volto, contratto in una smorfia di sofferenza e dolore.
Eppure, non ero impaurita. Non più.
Mi vergognavo, mi sentivo un verme. Ma non temevo Evan, né ciò che avrebbe potuto farmi. Stavo abbracciando completamente il peso delle mie azioni, e questo mi rendeva sottilmente soddisfatta.
-Perdonami...- lo soffiai ad un centimetro dal suo volto, labbra tremanti, mentre le lacrime s’infiltravano tra di esse bagnandomi la lingua di quel sapore amaro.
Fu in quel momento, che sulla mia pelle si stampò una di quelle bruciature di cui parlava Daniel. Fu proprio lo sguardo di Evan, a ferirmi: sopra di me emise una smorfia, come se avesse davanti l’essere più rivoltante, meschino e patetico che avesse mai visto. Come potevo dargli torto.
Mi sentii di vomitare per il disgusto che provavo verso me stessa. Potevo leggere nei suoi occhi che mi stava disprezzando come mai aveva fatto.
Evan mi odiava, e la consapevolezza di averlo perso mi fece sprofondare in un abisso di rassegnazione.
-Sei qui per redimerti, vero? Bhè, Emily, sto per insegnarti una lezione che non dimenticherai facilmente: posso essere più viscido e degenerato di quanto tu possa solo immaginare-
Non feci in tempo ad assimilare quelle parole, che Evan mi soffocò con un bacio, premendo le sue labbra contro le mie. Fu un bacio amaro di lacrime, violento e crudele. Lo sentivo ogni volta che la lingua del vampiro cercava di introdursi nella mia bocca, afferrandomi con rabbia la mandibola per costringermi ad aprire le labbra.
Respiravo a fatica, cercando di respingerlo, tentando di spostarlo da me con la sola mano libera che avevo. Gli lanciai uno schiaffo che risuonò nella stanza come un cozzare sordo. Gli occhi di Evan tornarono a fissarmi con veemenza. Digrignò i denti, ed i canini affilati mi fecero dimenticare di tutto il coraggio accumulato poco prima.
-Evan...- cercai di mormorare, ma qualcosa in lui si era spezzato.
Un filo. Un legame che io stessa avevo mandato a puttane.
-Una parola ancora e ti uccido, umana- deglutii, sgranando gli occhi. Li sentivo bruciare per le lacrime, per la vergogna di sentirmi una traditrice.
L’avevo ferito, e tornare da lui era solo una parte della punizione che meritavo.
Socchiusi gli occhi, ed il pianto si distaccò dalle ciglia, colando in docili rivoli lungo le tempie.
Meritavo la sua crudeltà. Meritavo le sue torture.
Meritavo che Evan mi trasformasse nel contenitore del suo rancore.
Senza attendere oltre mi sollevò per la vita, gettandomi gattoni sul pavimento, sovrastandomi con il suo corpo ricolmo di rabbia. Mi morsi le labbra, non volendo piangere ancora, non volendo gridare. Dovevo metabolizzare il dolore che mi avrebbe inferto, perché così era giusto.
Le dita gelide del vampiro si spinsero lungo il mio volto, afferrando con violenza il mento, mentre la destra percorreva la coscia, sbottonando il jeans con foga, per poi calarlo fino alla piega creata dalle ginocchia. Strinsi le palpebre. Non volevo vedere. Non volevo sentire.
Cieca e sorda, avrei pagato il mio debito per quell’ inganno.
Il corpo di Evan spingeva sulla mia schiena, costringendomi a ciò che lui voleva, bloccando ogni via di fuga.
-Non ti faccio schifo, Emily? Non vorresti morire, piuttosto!?- gridò l’ultima frase ad un centimetro dal mio timpano, facendomi gemere appena.
No. Non era Evan a disgustarmi. Ero io stessa a darmi la nausea.
Percorse l’elice dell’orecchio con la punta della lingua, scendendo a mordermi il lobo fino a farmi gemere per il dolore.
Non poteva piacermi, tutto questo. Il sentire la sua furia scivolarmi sul corpo.
La mano s’introdusse nel limite dello slip, facendomi sussultare. Nessuno mai si era spinto fin li.
Mi accarezzò senza però alcuna delicatezza, sogghignando nel mio orecchio, passando con la punta delle dita sul monte di Venere, scendendo tra le grandi labbra.
D’istinto cercai di chiudere le gambe, nonostante mi fossi ripromessa di accettare la sua punizione. Non volevo tutto ciò. O almeno, volevo che mi perdonasse, volevo ingerire i miei sbagli. Ma non desideravo che Evan mi prendesse a quel modo, marchiando il mio corpo con il suo rancore.
Volevo...che fosse diverso.
Si premette contro di me con più forza, quasi volesse fondersi nel mio corpo.
Quando poi senza alcun convenevole immerse l’indice dentro di me, sentii il mio cuore disgregarsi in tante piccole parti, filtrando attraverso il maglione, posandosi in una chiazza scura di sangue.
Gridai, e le lacrime mi oscurarono la vista.
-Mi fai male...- gemetti, la voce ridotta ad un mormorio spezzato, senza vita.
A quella frase, il vampiro si fermò di colpo, prendendo distanza da me. Caddi bocconi, e le sue mani mi costrinsero a girarmi supina.
Mi guardava come si guarda un vaso rotto. Ed in fondo, io cos’ero?
Spezzata.
-Perchè? Perché non stai opponendo resistenza?- mi chiese, e nella sua voce scorsi il tremare incerto della paura. Temeva di avermi ferita davvero, e questo mi fece ancor più male.
Ancora una volta, le mie parole, le mie lacrime ed i miei occhi, lo avevo convinto che fosse lui il malvagio, l’uomo nero.
Eppure, non volevo.
Sorrisi mesta, trovando un po’ di voce.
-Perché mi sentirò pulita soltanto quando mi avrai sporcata del tuo risentimento- spostai da lui lo sguardo, incapace di sostenere ancora i suoi occhi sprezzanti.
Non odiarmi, avrei voluto gridare.
Non allontanarmi da te.
Evan serrò i denti e la sua gola emise un gorgoglio di rabbia, simile ad un ruggito basso.
Si alzò da me, scavalcando il mio corpo tremante, rimanendo a fissarmi per un secondo, prima di imboccare la porta, sputandomi addosso quelle parole.
-Non ne vali la pena, Emily-
Un’altra ustione.
 
 
Il vampiro si strinse il petto tra le dita, volendo intrappolare nel pugno il dolore che sentiva pulsante all'interno della carne. Non poteva dimenticare quella supplica, quegli occhi densi del suo pianto.
-Fa male...qualcosa qui dentro...- mormorò con una smorfia, affondando nella poltrona. Daniel lo guardò a lungo, emettendo un sorriso debole.
-E' il cuore, Evan. A volte impazzisce per le persone più assurde-
Strinse i denti, ora in una smorfia di disgusto.
-Ah...così anche io ho questa malformazione...chiamata cuore.-
-Non scherzare. Non siamo poi così diversi dagli umani. Soffriamo allo stesso modo. Amiamo-
Evan scosse il capo biondo, abbandonandolo sul palmo della mano.
-Non riesco a pensare lucidamente, ogni volta che quelle immagini mi ritornano alla mente. Non ero io...- il compagno rispose con un mugolio scettico, accavallando le gambe e stendendosi in quella sua caratteristica posizione trasandata.
-Si che eri tu. Semplicemente, esistono molte parti di noi che non apprezziamo, che ci impauriscono. Ma non per questo dobbiamo escludere dal nostro essere. Sono proprio quei lati oscuri che ti rendono completo. Umano.- Evan digrignò i denti sogghignando a quell’ultima parola.
Gli sembrava un concetto così lontano.
-Io la capisco, sai? Emily. E comprendo anche te. In fondo non siete poi così diversi. Provate entrambi qualcosa che non sapete spiegarvi, a cui sapete dare un nome, ma che non volete accettare. Tu perché ti senti un’idiota ad amare un buon piatto di sangue fresco. Lei perché si sente un’idiota ad amare una preda da selvaggina.-
-Ti prego, non sono dell’umore per queste stronzate- sputò il Principe, portandosi il polso destro sugli occhi, come se la poca luce delle candele gli desse fastidio.
-Piuttosto: sapevi che sarei impazzito a vederla tornare. Che l’avrei attaccata. Perché l’hai convinta a tornare? Non hai detto di “capirla”?- chiese, senza spostare il braccio, continuando a separarsi dal bagliore. Aveva bisogno di buio.
Dan alzò le spalle, come se la risposta fosse davvero ovvia.
-Aurora è morta per proteggerla. Se l’avessi lasciata andare, avrei insultato la sua memoria. L’avrei resa vana- e la sua voce risultò come un mormorio denso di dolore.
Evan rimase, interdetto. Rimosse il braccio, fissando l’amico negli occhi.
-Amavi Aurora fino a questo punto?-
Il compagno sorrise, scuotendo il capo, ed i capelli d’ebano ondeggiarono sui suoi occhi.
-Non fino a questo punto. Oltre ogni limite-

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Capitolo 8
*** VIII - Get Dirty. ***


Note dell'Autore: Capitemi, non potevo aggiornare durante le vacanze, ero troppo impegnata a mangiare pandoro e torroni vari. Non mi dilungo nell'introduzione perchè devo uscire e sono ancora in tuta, pantofole e vestaglia -mi faccio schifo da sola, lo so- ma ne approfitto per ringraziarvi tutti come sempre -non ho tempo per trascrivere i nomi, sorry- per l'appoggio, i commenti ed i consigli utilissimi! Spero di non aver deluso le vostre aspettative, e che commentiate in tanti -mi sento sola altrimenti, e avrete sulla coscienza a vita un cucciolo abbandonato di Blitzkrieg -ah, se ancora non è cambiato, vi avverto che non sono più KaedeNEVERMIND, bensì Blitzkrieg-.
Detto ciò, alla prossima!

~~~

Quando gli occhi scuri dell’uomo si posarono su di me, non tremai, né avvertii qualsiasi altra sensazione, il ché, lo ammetto, mi riempì di una sottile soddisfazione dettata a sua volta dall’incredulità. Per tutta la durata del tragitto, non avevo fatto altro che pensare a come avrei reagito. Pensavo davvero che mi sarei sentita terribilmente, eppure non accadde nulla di tutto ciò.
Davanti a me, v’era l’immagine sfuocata di un volto a me sconosciuto. Un volto segnato dalla vita, dallo scorrere degli anni, eppure immortalato nell’algida bellezza della sua eternità. Dunque, i vampiri non erano completamente immuni alla vecchiaia: semplicemente, un anno vampirico, corrispondeva a circa duecento anni mortali. Invecchiavano molto lentamente, così come la loro perfezione sfioriva in modo quasi impercettibile.
Si alzò dal suo scanno, coprendomi completamente con la sua forma imperiosa, slanciata. Ad occhio e croce, doveva avere almeno cinquanta anni...fisicamente parlando. La sua vera età, doveva essere una cifra impensabile per me.
Occhi scuri come cenere, screziati da piccoli riflessi metallici, brillavano sul volto emaciato, spigoloso ma estremamente virile ed attraente. Riconobbi in quei tratti i lineamenti di Evan, nonostante quelli del Principe fossero più dolci, come se l’acqua del mare li avesse levigati, così come fa con i ciottoli sulle spiagge. Dischiuse le labbra carnose, quasi cianotiche, e riuscii ad intravedere il riflesso dei suoi canini. Un pallido avvertimento di morte.
-Tu devi essere Emily- e mentre con voce calda pronunciava quelle parole, scese i pochi gradini che mi dividevano da lui, giungendomi a meno d’un passo di distanza. Era alto, abbastanza d potermi fissare senza problemi dalla sua posizione. Fui costretta ad alzare il capo, poiché dalla mia statura, riuscivo solamente a vedere i pettorali e l’incavo scavato del suo collo.
Attorno a me, guardie e servitù, si erano inchinati a terra, toccando i marmi del pavimento con la fronte, in una riverenza di mostruosa sottomissione. Persino Evan, al mio fianco, aveva fatto lo stesso.
Dal canto mio, non ero il tipo di persona che si gettava al suolo omaggiando i potenti, dunque rimasi immobile, la schiena dritta come un filo teso.
-Bene, Emily, che ne dici di un bell’inchino?- non compresi immediatamente perché al fine di quella frase, mi ritrovai piegata a terra, le mani sul ventre, a boccheggiare in cerca di ossigeno. Sopra di me, il vampiro sogghignava, osservando il pugno con il quale mi aveva colpito alla bocca dello stomaco.
Sentii Evan sussultare, ma non si mosse, stringendo i denti per quella che sul suo volto interpretai come rabbia.
-Sono Antoin IV, Nobile di Primo Grado, appartenente alla Dinastia Bouregard- sgranai gli occhi, a quelle parole.
-Ma puoi chiamarmi semplicemente Sua Maestà-

 
 
 
L’automobile sfrecciava veloce, riempiendo le strade di una grigia nube di polvere, mentre attraversavamo silenziosamente città e steppe innevate a me nuove. Eravamo a bordo di una Limousine a dir poco enorme, di quelle che si vedono passare di fronte ai ristoranti di lusso, o alle Premiere dei film. Almeno nei trasporti, i vampiri erano come noi umani.
Poggiavo il capo contro il finestrino scuro, lasciandomi cullare dal rombo cauto del motore, dai rari sobbalzi dell’auto, socchiudendo alle volte gli occhi, nella vana speranza che mi catturasse un sonno profondo, lungo. Al contrario, non ero mai stata così sveglia in vita mia.
A separarmi da Evan vi era nemmeno mezzo metro di sedile in pelle nera, eppure quei cinquanta centimetri erano densi di una pesantezza spossante e tesa, che sentivo a fior di pelle. Evitavamo di guardarci, e se per sbaglio l’uno sfiorava l’altro con gli occhi, subito c’intercettavamo, per sviarci a vicenda, tornando a fissare il nulla al di fuori dell’abitacolo. Una tortura.
Era passata circa una settimana dalla mia fuga, e dal successivo ritorno che, per la cronaca, aveva avuto dei riscontri assolutamente disastrosi. Una settimana in cui avevo sentito la calda e rassicurante presenza di Evan, farsi via via lontana, distante, quasi nulla. Lo intravedevo alle volte nei corridoi della residenza, ma non era più tornato in camera per dormire con me.
In quel letto, avevo sperato che mi avesse raggiunta, ogni notte, invano. Volevo parlargli, farmi perdonare.
Mi ero sentita...dannatamente sola.
Ora, ci aspettava un viaggio di circa tre ore per raggiungere Bouregard Masion. Tre ore di silenzio gelido.
Quando lo vidi con la coda dell’occhio muoversi impercettibilmente, sussultai, posando immediatamente lo sguardo su di lui. I nostri occhi s’incontrarono o meglio, si scontrarono.  Stavolta non fui capace di distogliere la vista, osservandolo in silenzio. Sul suo volto, non v’era alcuna espressione, si limitava a ricoprirmi del disprezzo che provava nei miei confronti. Rabbrividii, sentendo una morsa potente stringermi la gola. Per quanto sarebbe andata avanti quella storia?
-Cosa c’è?- lo mormorò tra i denti, spiazzandomi, ferendomi. La sua voce era come un’eco sordo, lontano, tagliente. Abbassai il capo, scuotendolo appena in un cenno di negazione. Cosa poteva esserci se non il suo muto disgusto?
-Io...-
-Se stai per scusarti, non sprecare il fiato. Non ho nulla da dirti- un altro colpo in pieno stomaco, ed il cuore mi balzò nel petto come un palloncino bucato, impazzito.
-Se non hai nulla da dire...allora ascoltami, almeno- replicai in un mormorio impercettibile. Mi stupii di quella frase, del modo in cui era uscita dalla mia bocca. Con quale coraggio?
Accanto a me Evan sembrò paralizzarsi per un secondo, ridendo poi di gusto.
-Sbrigati, la tua voce m’infastidisce-
Inspirai rumorosamente, sentendo i polmoni riempirsi di aria fresca. Avevo le mani incrociate sul grembo, e continuavo a torturarmi le dita come una ragazzina che deve confessare una cotta al diretto interessato.
-Hai tutto il diritto di odiarmi. Lo capisco, davvero. Ti ho tradito, cercando di fuggire. Solo...ero impaurita. Terrorizzata. Tutto il caos della festa, Cain...è troppo. Capisci? Questo è troppo per me, Evan. Non posso sopportare di essere rapita, barattata e violata in questo modo. Per quanto la tua razza sia superiore, io non sono un oggetto da tenere in vetrina e smerciare. Sono una persona, Evan...- le ultime parole mi costarono una certa fatica. Sentivo nella gola quel nodo che si scioglieva velocemente, lasciando andare un fiume di parole inespresse, mai dette, che mi vorticavano in testa ormai da una settimana. Non v’era più alcun freno a tenere la mia lingua. Ora che lui era di fronte ai miei occhi, reale e presente, dovevo dirgli quanto penosa fosse quella situazione, quanto non la sopportassi più.
-Non pretendere di espiare così facilmente le tue colpe- ribatté con calma il vampiro. Ora la sua voce non era ferma come prima, la sentivo incrinarsi leggermente, segno che non aveva ancora metabolizzato il peso delle mie azioni.
Inspirai ancora, alzando ora gli occhi marini su di lui. Captò il mio sguardo con il suo.
-Allora puniscimi, affinché possa rimediare almeno in parte alla tua rabbia- a quelle parole, il vampiro sembrò non credere a ciò che aveva appena udito. Sgranò gli occhi, per poi fissarmi scettico, come un animale che annusa circospetto la mano dell’uomo per decidere se fidarsi o meno.
-Questo è il mio orgoglio. Il mio fottuto orgoglio, Evan. L’ho appena mandato a puttane per chiederti perdono, e se non dovesse bastare, consegnerò anche la mia dignità, pregandoti in ginocchio. Ti è così difficile credermi?-
Discese un silenzio pesante, come le nubi che fuori dalla Limousine riempivano il cielo carico di nebbia. Ora si udiva distintamente il rumore degli pneumatici sull’asfalto, il fischiettare dell’autista, coperto da un separé che divideva il guidatore dai passeggeri, il battere impazzito del mio cuore ed i miei respiri brevi, veloci, impazienti.
Evan ridacchiò, scuotendo la testa divertito.
-Mi dissi che ti saresti sentita pulita, soltanto una volta che ti avessi sporcata del mio risentimento...- lasciò le parole in sospeso, annullando ogni distanza tra di noi. Ora lo sentivo al mio fianco, come un fuoco appiccato vicino ad un mucchio di paglia, mia stava bruciando. Eppure quelle ustioni ora mi facevano sentire bene. Erano le fiamme di cui mi aveva parlato Daniel.
Mosse il volto verso il mio profilo, andando a sussurrare nell’incavo del mio collo, risalendo lungo la giugulare per ridere piano nell’elice dell’orecchio.
-Allora, permettimi di macchiare queste piccole labbra innocenti, di contaminare questi occhi sinceri. Voglio sentirle vomitare oscenità, e vederti piangere petrolio-.
Fu semplice, cedere a quella piccola pazzia. Davvero troppo semplice. Come se avessimo già recitato assieme quel copione.
Labbra su labbra, ed ancora saliva, carne e pelle, in una miscela di benzina e fuoco pronti ad infuocare l’aria circostante. Pelle contro pelle, e solo il cotone e la seta profumata degli abiti impediva che ci scottassimo a vicenda.
Strano come entrambi fossimo conduttori di un calore talmente diverso.
Un cuore puro non si piega alla violenza, ma è maledettamente vittima della tentazione gentile, schiavo della dolce perdizione e delle sue forme conturbanti, dei suoi giochi e dei suoi profumi afrodisiaci.
Il corpo di Evan emanava una deliziosa fragranza di istinto, soffice come il Bergamotto, di zucchero. Era su di me, con il suo peso aggraziato, con il suo fresco tocco.
Per primi, i miei sensi si lasciarono andare.
La vista tremò, di fronte alla bellezza incorporea del suo volto, di fronte all’eccitazione violenta che quella visione creava sotto la mia pelle;
Il tatto, allungata la mancina sugli zigomi candidi, si ritirò imbarazzato, incapace però di astenersi completamente dal toccare ancora la carne passionale;
L’udito cedette a quelle parole melliflue, alla voce bassa, nella quale si addensava una seducente nota rauca;
L’olfatto aveva ormai concesso sé stesso a quegli aromi intriganti di carne ed erotismo;
Rimaneva soltanto il gusto. Fu l’ultimo ad arrendersi. Combatté per pochi attimi ancora, prima che in un’ondata di coraggio e desiderio, le mie labbra raggiungessero ancora le sue, saggiandone la morbidezza, lasciando che la punta della lingua ne sfiorasse i contorni fini, catturando il sapore dolciastro del suo palato.
Voi chiamatelo Amore, Passione, Affetto, Sesso...chiamatelo come volete. Per me non era un vocabolo. Era l’unione di profumi, sapori, sensazioni.
Quello che provavo per Evan, era il profumo intenso del Nerolo, la soffice carezza dell'Anice, la presa decisa e virile del Muschio Bianco, il sussurro dello Zenzero, la dolce malizia del Caramello.
E ancora, il sapore invernale della sua pelle immacolata, soffice e fresca come un alito di delizioso vento in una giornata d’Agosto a Manhattan. Era l’eccitazione che sentivo alla base dei capelli, sulle braccia esili, nello stomaco. Nasceva al mio interno come un nucleo di timore, e quando mi sfiorava con le labbra di pesco, raggiungeva la gola come un fiume di gemiti e sospiri.
Mi lasciai scivolare sul sedile, seguita dalle sue mani. Sfioravano i miei fianchi, mentre tra i denti prendeva le mie labbra, succhiandole piano, scendendo sul mento.
Quando mi privò della camicia nera, sentii per un momento freddo, ma subito le sue labbra si curarono di riscaldarmi, baciando con passione i miei fianchi, mordendoli perversamente, disegnando sulla mia pelle percorsi ed arabeschi di saliva ogni volta che con la punta della lingua mi lambiva. Con l’automobile che sfrecciava, gli incisivi del vampiro strinsero piano i miei capezzoli, sottraendomi un gemito acuto, di piacere.
Me ne stavo lì, sotto il suo corpo, sotto le sue braccia e sotto il suo profumo, a respirare dalla sua bocca, a vomitare razionalità sotto forma di lacrime.
-Sei bella da baciare-.
Ed il mio cuore esplose, insieme all’anima, alla mente e a tutto ciò che mi rendeva umana. Fu un’implosione che mi lasciò riempita di una sensazione sotterranea, segreta, da tenere al sicuro.
Socchiusi gli occhi, lasciandomi andare alle sue labbra, mentre mi sfilava i jeans, lasciandoli scorrere lungo le gambe. Le divaricò con gentilezza, prendendo a baciarmi la caviglia, percorrendo tutta la gamba. Arrivato all’interno coscia, i suoi baci si trasformarono in una scia bollente di lingua e carezze, fino al momento in cui rabbrividii dalla testa ai piedi, sentendo la sua bocca posarsi sul tessuto caldo ed umido dello slip. Il suo respiro sulla mia intimità, il fiato fresco della sua bocca. Lasciò scivolare via anche quella misera barriera di seta scura. Ero nuda di fronte ai suoi occhi golosi. Eppure non provavo che un’impercettibile senso di pudore, non vergogna. Era il modo in cui mi guardava, mi divorava con quegli occhi chiari. Mi faceva sentire...bellissima.
L’indice affusolato mi sfiorò piano all’esterno, bagnandosi dei miei umori, per poi distanziare le labbra, poggiando con delicatezza estrema la punta della lingua sul clitoride. Ebbi uno spasmo che mi costrinse ad irrigidire parte del corpo, ma subito Evan catturò la carne soffice sulla lingua, muovendola piano, senza alcuna fretta. Era la prima volta che qualcuno mi toccava a quel modo, che mi scopriva così...ed ero felice che fosse lui, e non altri.
Con precisione sfiorava i punti più sensibili della mia femminilità, facendomi, gemere, sospirare, inarcare la schiena. Era una sensazione meravigliosa, unica.
Volevo di più. Lo volevo dove nessuno era mai stato: nel mio corpo e nel mio cuore, nella mia testa e sulle mie labbra.
Un brivido più forte nacque dal fondo del mio stomaco, mentre lo sentivo salire a fior di pelle, elettrico come una scossa. Passò lungo la schiena, che inarcai in un gemito più forte, rauco, quasi doloroso per le corde vocali. Venni sulle sue labbra, in un battito cardiaco impazzito, in un tremore delle mani, in un battito d’ali leggero. Affondai il volto in quel piacere nuovo, ed Evan era accanto a me, mi guidava verso quelle sensazioni inesplorate.
Respiravo a fatica, spossata, quando aprii gli occhi lui era sopra di me, segno evidente che non si era trattato di un sogno.
Allungai le mani nella sua direzione, incapace di ragionare razionalmente.
-Ti voglio...-.
I suoi occhi balenarono di una luce inquietante, rammaricata. Evan abbassò lo sguardo a quelle parole, distaccandosi dal mio corpo, tornando a sedere.
Rimasi interdetta. Perché quella reazione?
Mi misi seduta anch’io, raccogliendo i miei abiti, vestendomi in fretta.
-Sei perdonata.-
Dovevo esserne felice? La mia testa era in confusione. Perchè quel cambio repentino? Cosa mia stavo perdendo?
Mi strinsi nella camicia, quasi volessi cercare lì delle risposte.
-Ah, Emily...- Mi voltai verso di lui, le labbra dischiuse, pronte a rispondere, o a dire qualcosa. Non si voltò, nè mi guardò. Semplicemente, si limitò a dire con tutta l'apatia possibile:
-...non pretendere di avere il mio cuore. Mai.-
Evan, guardava fuori dal finestrino. Io sentivo il calore nel mio petto lasciare il posto ad un freddo raccapricciante.


 
 

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Capitolo 9
*** IX - You Take the Breath Right Out of Me. ***


Note dell'Autore: Ho tardato di qualche giorno, lo so, ma non avevo nè il tempo, nè la salute adatti a scrivere. A dire il vero sono ancora malaticcia, ma tralasciamo. Questo è il capitolo "madre", ovvero quello delle rivelazioni sconvolgenti alla "Luke sono tuo padre". Ergo sentitevi in dovere di commentare con le vostre impressioni sullo svolgersi della storia. Essendoci poco con il cervello -che per inciso sta galleggiando in un ammasso disgustoso di muco e germi vari- non ho le forze di citare tutti coloro che hanno commentato, ma spero vi accontentiate di un GRAZIE generale. Davvero, mi piace legger ele vostre impressioni ad ogni capitolo, ed i vostri complimenti mi fanno sempre molto piacere. Vi lascio alla lettura, e commentate!

~~~ 

Quello era il castello più grande che avessi mai visto, e probabilmente anche l’unico. Si estendeva su almeno quattro piani visibili, senza tener conto di altri livelli sotterranei quali cucine, lavanderie, segrete, carceri ed intricati budelli che portavano alle catacombe. Giuro che non avevo idea di come fossi finita in queste ultime.
Avevo avuto la malaugurata idea di esplorare un po’ il luogo, per combattere la noia delle giornate. Evan ed io eravamo lì ormai da una settimana e, di conseguenza, era una settimana che non ci guardavamo negli occhi,  che non ci salutavamo nemmeno. Il massimo delle nostre conversazioni, in quei giorni, era stato scusarci a vicenda per esserci sfiorati mentre, camminando in direzioni opposte, le nostre spalle si erano scontrate appena.
La stanza dove mi trovavo ora, doveva essere una sorta di cripta dedicata ad un esponente molto importante della Famiglia Bouregard, data la ricchezza dei dettagli che nei mausolei degli altri erano del tutto assenti. La camera era circolare, dal soffitto molto basso, che quasi mi sfiorava i capelli. Alcuni candelabri erano posti in cerchio lungo la parete, e su di essi le fiammelle ardenti ballavano veloci, emanando un fastidioso profumo di incenso e spezie esotiche.
Al centro, un sarcofago di marmo rosso dalla forma rettangolare, sul quale stava sdraiata la statua raffigurante una donna. Il volto era contratto in una smorfia che a primo impatto mi sembrò di sofferenza, come stesse piangendo. Capii dopo qualche secondo che si trattava di qualcosa di diverso dal dolore: terrore. E le iridi miravano verso la porta d’ingresso, le braccia atte a proteggere il coperchio della tomba. Non amavo trovarmi in quelle situazioni, ma ero maledettamente curiosa.
Presi ad avvicinarmi lentamente, assaporando con una certa inquietudine il silenzio religioso delle catacombe. Ai piedi della statua, erano incise parole impolverate. La fuliggine aveva riempito gli spazi scuri del marmo, vi soffiai sopra, ed una nuvola grigiastra si andò a depositare sulle caviglie della donna.
-Regina Astrid Bouregard- lessi confusa, soffermandomi su quella parole, come quando si ha un déjà vu.  Avevo l’impressione di aver già sentito quelnome, in un tempo molto lontano. Indietreggiai, mentre nella mente si facevano vive immagini senza logica, che non mi appartenevano, spaziando le nubi della mia mente come un raggio di sole infame e doloroso.
Le immagini si fecero poi fluenti, non più confuse, come stessi assistendo ad un film proiettato direttamente nel mio cervello.
Tanti piccoli ceri brillavano come stelle, rischiarando la Cattedrale. Gotico e Romanico s'intrecciavano in altari lavorati, ampie finestre e volte a crociera, sovrastando le lunghe panche di mogano sulle quali sedevano i fedeli. Le candele colavano cera fusa sugli stoppini, disegnando gocce solide e bianche, mentre dalle fiammelle arancio stilava il fumo scuro, profumato d'incenso. Attorno a me, un coro solo, fatto di mille voci, innalzava preghiere antiche, in latino, battendosi il petto con il pugno in segno di colpa. L'organo emise un Sol scuro, tremante, introducendo il resto della melodia. Una schiera di voci bianche ondeggiava come le fiammelle stesse dei ceri, intonando il Gloria. Socchiusi gli occhi. Le voci così morbide, creavano un clima completamente rilassato, come quando ci si lascia galleggiare a filo d'acqua. Mi trasportava avanti e indietro, ciondolante, sulle note scure dell'organo.
Ci fu poi una stonatura, ma il coro proseguì.
Una ancora. Un'altra. In un attimo, il quieto cantare dei bambini si tramutò nello stridere agghiacciante di un gruppo di arpie mitologiche. Dalle labbra sottili e rosee dell'innocenza, provenivano grida spasmodiche, rapsodiche, incrinate. Stridevano e graffiavano, corrodevano all'interno. Mi portai i palmi sulle orecchie, stupita del fatto che attorno a me, nessuno provasse fastidio. Una schiera informe di sguardi si proiettava su di me, affatto tediata da quelle urla. Mi sorrisero, tutti insieme, ed il brillare inquietante dei loro canini mi trafisse alla bocca dello stomaco, piegandomi su me stessa.
-Basta...basta...-
Ma più imploravo, più le grida si facevano aspre. Crollai a terra, gridando io stessa, spingendomi in ginocchio verso l'altare. La pietra gelida del terreno mi graffiava la pelle sotto la gonna, facendomi sanguinare, ed una macabra scia rossa creava uno sfarzoso gioco di colori in contrasto con il bianco puro del pavimento.
Urlai così forte, così a lungo, che la gola stridette in un dolore bruciante, ma le voci non si fermavano. Le voci non cessavano. Una figura chiara al di sopra del mio corpo, s'inginocchiò su di me, ma non avevo la forza di alzare il volto ed affrontarlo. Riuscivo solo a sbattere la fronte contro il pavimento, cercando di rompermi la testa, per non sentire più quelle grida acute, snervanti.
Lascia che la tua Luce, dissipi le tue Tenebre, Emily...
Due grandi occhi di cristallo riempirono la mia visuale, dissipando qualsiasi immagine crudele. Mi fissavano, li sentivo addosso, come se fossero in grado di tranquillizzarmi. Quella voce, così morbida e soave, mi riempì i polmoni come un vento soffice. Le sue parole risuonarono nella mia mente come fossero di zucchero e cannella. Dolci e leggere. Come la poesia più bella che fosse mai stata scritta. Potevo vedere i suoi occhi, le sue mani protese verso di me, ma non il suo volto per interno, poiché completamente avvolto da un candore che non riuscivo a fissare senza sentire gli occhi bruciarmi.
La mia Luce, le mie Tenebre. Tutto questo mi stava uccidendo. Non capivo. Non ci riuscivo.
L’essenza avanzò una mano verso di me, ma non ne fui spaventata, e mi lasciai sfiorare le gote, in una carezza rilassante, calda ed avvolgente, che rischiarò ogni dubbio nel mio animo, facendo evaporare qualsiasi domanda confusa.
-Perché non riesco a vederti?- mormorai piano, il tono ridotto ad un sibilo sconnesso, del tutto calmo. Vidi i suoi occhi addolcirsi.
Perché io non sono la tua Luce. Vedi, Emily, i greci credevano che un tempo gli uomini fossero uniti nella carne con la loro anima gemella. Puniti per la loro tracotanza, gli dei li separarono. Così, l’uomo passa la vita in cerca di quella persona, quella parte di sé, in grado di completarlo. Così noi tutti abbiamo bisogno di una persona che sia la nostra Luce, che sia sempre pronta a rischiarare il nostro cammino. E la tua strada è ancora molto lunga e sepolta nel buio.
-E allora perché io non riesco a trovarla, la mia Luce?- chiesi, sentendo le ginocchia farsi molli. Caddi a terra, senza avvertire dolore. Ero pervasa da un sentore di benessere che mai avevo provato.
Gli occhi si socchiusero piano, comprensivi, mentre le mani mi avvolgevano le spalle come volessero proteggermi e cullarmi.
Non hai bisogno di cercarla, Emily. L’hai già inventata accanto a te.
A quelle parole, qualsiasi immagine, qualsiasi odore, tutto si dissolse in un vortice d’aria, abbandonando il mio corpo sul lastricato della catacomba. Soltanto una cosa era rimasta di quella visione: il calore che sentivo circondarmi il corpo.
Aprii gli occhi, mettendo a fuoco nella penombra. Di fronte a me tutto era come lo avevo visto pochi attimi prima, nulla sembrava essersi mosso di un millimetro. Voltai appena il capo, distinguendo quelle labbra sottili, morbide, impegnate nel suo tipico sorriso che tanto odiavo.  Le iridi marine mi fissavano mute, cercando le mie.
-Evan...- mormorai, riconoscendolo alle mie spalle. Le sue braccia mi avvolgevano come le cinture di sicurezza su una montagna russa. Con lui non v’era possibilità di cadere nel vuoto.
-Sei una maledetta stupida. Ho sentito l’odore della tua paura sin dal secondo piano. Si può sapere che diavolo gira in quella tua testa vuota!?- le parole gli tremavano in bocca, mentre la presa attorno al mio corpo si faceva più forte, di un dolore quasi rassicurante.
Evan non aveva scelto di essermi costantemente vicino, di intervenire sempre nei momenti in cui rischiavo la vita. Così come era successo con Cain, lo avevo semplicemente voluto accanto a me, e lui era comparso per salvarmi, come ci sia aspetta da un Cavaliere. Come dovrebbe fare la propria Luce.
Lo avevo...inventato accanto a me.
-Mi stai ascoltando, razza di idiota?- sorrisi al suo tentativo di essere serio e autoritario. Lo intravedevo nel tremore delle sue mani, nei suoi occhi.
-Tu eri...preoccupato per me?- azzardai, mostrando un sorriso malefico.
Rimase in silenzio, voltando lo sguardo altrove. No, non mi sarei arresa. Volevo delle fottute risposte, e le avrei avute.
-Pensavo non t’importasse nulla di me, o sbaglio?- continuai.
-E’ così-
-E allora perché sei qui?- l’aria sembrò bloccarsi di colpo, persino il battito del mio cuore, il mio respiro. Non smettevo di accarezzare con le pupille la linea decisa del suo profilo, mentre lui cercava di non incontrare il mio sguardo.
-Evan...per te è così difficile accettarlo?- mi sciolsi dal suo abbraccio, inginocchiandomi tra le sue gambe divaricate. Posai le dita flebili sul petto del vampiro, cercando i suoi occhi, inspirando il suo profumo intenso.
-Almeno guardami...- lo pregai in un singhiozzo, afferrandogli i lati del volto con i palmi, costringendolo a porgermi gli occhi. Le mie labbra lo cercarono, timide, sospirandovi sopra, avvicinandosi insicure.
Fu un bacio a fior di labbra, appena accennato, puro come i sentimenti di una bambina. Quell’attimo sembrò durare un tempo inafferrabile. Come se le mie labbra potessero assorbire il suo sapore, ogni suo fremito, ogni pensiero. Non ero mai riuscita a capire cosa passasse nella testa di Evan, ma quando mi baciava, il suo corpo sembrava descrivere ogni suo pensiero. Era l’unico modo che avevo per interpretarlo.
Quando mi allontanai, le sue labbra erano semi dischiuse, e le pupille scure mi fissavano dall’alto, incerte, languide.
-Cosa significa questo per te?- chiesi, aspettando una sua risposta. Mi sarebbe bastato un nulla, per arrendermi, od un tutto per renderlo parte integrante della mia vita. Ma avevo bisogno di una risposta, non potevo più accettare i suoi dolorosi silenzi.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, come volesse parlare, ma si frenò, indietreggiando, alzandosi da terra per darmi le spalle.
-Non saresti dovuta venire qui. Torna nella tua stanza, darò ordine di chiudere a chiave queste catacombe- la sua voce mi arrivò come una digressione lontana, mentre ripercorreva i corridoi al contrario, allontanandosi da me.
Rimasi ferma per qualche attimo, incredula, le ginocchia contro il gelo del pavimento. I capelli biondi mi ricadevano sul volto come una cortina d’ombra atta a nascondere quelle lacrime. Stupidissime lacrime.
Eppure non riuscivo a non piangere. Era una morsa al cuore, forte, che mi comprimeva il petto, mi soffocava. Mi morsi il labbro inferiore, stringendo le palpebre inutilmente.
Se la mia Luce era Evan, allora perché non faceva altro che farmi sprofondare nel buio?
 
 
-E’ impossibile, avevo messo sotto chiave quella stanza prima del vostro arrivo...- la voce scura di Antoin era tesa, incredula, fastidiosa alle orecchie. Il Porfirico stava seduto dietro una scrivania di mogano, i gomiti poggiati contro il ripiano scuro, le mani a sostenere il capo appesantito da tutti quei pensieri. Suo figlio attendeva diritto dalla parte opposta, le mani dietro la schiena.
-Eppure sembra che sia riuscita ad entrarvi senza difficoltà...come se qualcuno l’avesse aperta- lo anticipò Evan, inclinando il capo chiaro verso destra.
-Che sia stata Lei a volere la ragazza lì?-
-Non comprendo come una lapide possa aver attirato Emily e dischiuso la porta, Padre- Antoin a quelle parole scosse la testa più e più volte, alzandosi dal proprio posto, prendendo a girare per l’ufficio con sguardo cupo.
-Non una lapide. Credo che Astrid sia rimasta collegata ad Emily attraverso un legame che mi è difficile comprendere. Come se avesse una qualche influenza sulla mente della ragazza, in modo da comunicare con essa. Astrid voleva che Emily la trovasse- concluse il Re, tornando a sedersi, massaggiandosi le tempie.
-Tienila sott’occhio, Evan. Fai in modo che non vi ricapiti più. Ora vai.-
-Sarà fatto, Padre.- e mentre il giovane si voltava per andarsene, la voce di Antoin lo raggiunse nuovamente, senza però pretendere che egli si voltasse. Era un ammonimento che sarebbe dovuto rimanere lì, nell’aria.
-Non dimenticare qual è il tuo ed il suo ruolo in tutta questa storia. Trattala per ciò che è: una vittima. Nulla di più.-
 
 
Avevo fatto di tutto per evitarlo. Schivare la sua presenza era divenuta quasi un’ossessione. Mi stavo facendo più male del dovuto, ne ero assolutamente cosciente, ma non potevo farne a meno. Vederlo, affrontare i suoi occhi dopo l’umiliazione subita, sarebbe stato insopportabile per me. Gli avevo praticamente messo su un vassoio d’argento il mio cuore, i miei sentimenti.
Avevo ammesso di...
No, non dovevo neanche pensare a quella maledetta parola.
Ed un’altra settimana era trascorsa con la sua lentezza. Ero rimasta chiusa nella mia camera a fissare il soffitto, e solo di notte, o almeno quando tutti tornavano nelle loro stanze, quando ero certa che Evan avesse finito di discutere di chissà cosa con suo padre, uscivo da quelle quattro mura. In fondo al corridoio del terzo piano avevo trovato per puro caso un’immensa libreria che per numero e dimensione dei suoi tomi, sembrava in grado di raccogliere tutto il sapere del mondo. Un ottimo rimedio al martellare incessante dei miei pensieri.
La camicia da notte colore dell’ambra arrivava a sfiorarmi i polpacci esili, mentre il freddo sottile dei corridoi s’infiltrava sotto la svasatura della veste, accarezzandomi le cosce. Premetti le mani sulla grossa porta laccata di bianco, dischiudendola piano, senza che questa emettesse alcun rumore.
All’interno, il chiarore della luna piena penetrava dalle piccole finestre di vetro colorato, rischiarando il blu scuro della notte. Il mio tavolo era lì, sotto il cono di luce proiettato dalla finestra. V’era odore di pagine antiche, ingiallite, ed inchiostro. Inspirai a pieni polmoni, muovendomi sulle punte dei piedi scalzi verso il tavolo di legno. Mentre avanzavo, mi bloccai di colpo, sentendo il cuore balzarmi impazzito nella gola.
Evan era posato contro una delle finestre, guardava fuori, immerso nel candore quasi opalescente di una camicia bianca perfettamente stirata.
Sentendomi, si volò nella mia direzione, dischiudendo le labbra. Non ero l’unica a non aspettarsi la presenza dell’altro.
Esitai soltanto per un momento, prima di ruotare sulle punte, decisa ad allontanarmi e tornare nella mia camera. Soltanto la sua vista era un dolore intenso, al centro di un mare tempestoso di rabbia.
-Emily, aspetta...- no, non volevo ascoltarlo. Basta scuse, basta illusioni.
-Fermati...-
-Hai finito di giocare, Evan, lasciami in pace- sentenziai con tono fermo, accelerando il passo, aumentando la distanza delle falcate. Servì a poco, considerata la sua mano stretta attorno al mio polso, la quale mi strattonò con forza, costringendomi prima a fermarmi, poi a voltarmi.
Aveva i capelli disordinati, sparsi sulla fronte come fosse appena uscito da una burrasca. Gli occhi erano contornati da pesanti occhiaie violacee che sulla pelle chiara risaltavano come i segni palesi della sua stanchezza. Non doveva passare delle buone nottate, ipotizzai.
-E’ una settimana che cerco di parlarti, puoi starmi a sentire per cinque minuti?- pronunciò la frase come un ordine, più che una domanda. Scossi il capo, ed i capelli sciolti ondeggiarono sulle mie spalle, solleticandomi la pelle.
-Che strano: quando ti chiedo una risposta, stai zitto. Quando dovresti stare zitto, vuoi parlare.- scherzai, imprimendo nella mia voce una nota di tagliente sarcasmo, cercando di andarmene. La sua mano mi teneva ancora il polso, segno che non mi avrebbe lasciata andare senza prima avermi riempita nuovamente di stronzate come solo lui sapeva fare.
-Sai una cosa? Non me ne frega più nulla. Non me ne frega di te, dei tuoi complessi, della tua mente malata e dei tuoi ormoni impazziti! Sono stanca di essere alla tua mercé, di essere usata come fossi la più bassa forma di puttana esistente al mondo. Non sei nessuno, Evan- perché mi tremava la voce?
Dovevo essere decisa, eppure, gli occhi bruciavano, e lacrime traditrici erano pronte a scendere, lì accumulate ai lati dei miei occhi. Cercai di trattenermi, ma il suo sguardo mi trafisse, dandomi la spinta di concludere.
-Non sei nessuno per portarmi via il respiro a questo modo...-. Vidi i suoi occhi farsi languidi, le sue labbra tremare. Mi afferrò il volto tra le mani grandi, baciandomi con la foga struggente di chi rischia d’impazzire, stroncandomi il pianto direttamente nella gola. Le sue labbra erano sulle mie, desiderate, promesse, certe. Mi baciavano avide, succhiandomi via qualsiasi pensiero, mandandomi in confusione, svuotandomi di tutto.
Le nostre lingue si cercavano nostalgiche, giocando assieme, stuzzicandosi a vicenda e tornando a sfiorarsi. Mi mordeva le labbra con desiderio, respirandomi nella bocca, assorbendo i miei gemiti. Le sue mani su di me, in un modo così estatico che mi era difficile immaginare di aver vissuto senza. Cominciammo a camminare insieme, come fanno gli amanti quando vorrebbero raggiungere il letto, ma non sono in grado di smettere di baciarsi. Mi spinse delicatamente contro il bordo del tavolo, chiudendomi ogni via di uscita con le braccia, continuando ad esplorare la mia bocca con ardore. Il mio petto batteva impazzito contro il suo, pelle contro pelle, separati soltanto da abiti inutili. Mi fece sedere sul bordo, prendendo a sollevare i bordi della veste con i palmi, accarezzandomi le gambe lentamente. Le sue mani si chiusero sui miei glutei con forza, come volesse farmi intendere che fossi un suo esclusivo possedimento. Ed in fondo, gli appartenevo.
Fece un grande sforzo per staccarsi dalle mie labbra, rimanendo immobile a fissarmi. Respiravamo a fatica, quasi avessimo corso per miglia senza mai fermarci.
La nostra era stata una corsa, una gara a chi si aggiudicava prima il cuore dell’altro. Ma avevamo vinto entrambi.
-Era bello vederti sospesa tra cielo e terra, tra piacere e dolore. Era bello averti sulle dita, attento a non farti cadere. Era bello sapere che pensarti fosse un gesto naturale, come fumare, come morire, come ballare. Era bello non sapere di amarti- mi sussurrò sulle labbra, affondando piano nelle mie labbra con la lingua, per risucchiarmi via ancora un po’ d’energia.
Quelle parole che stavo aspettando, erano cadute come petali sulle acque scure del mio animo, tingendole di passione.
-Evan...- ma un rumore distorto ci raggiunse. Un applauso.
Ci voltammo entrambi, nella penombra sicura della biblioteca, incrociando la figura di Antoin ed alcune guardie, che sulla porta ci fissava ridendo e battendo le mani.
-Ma complimenti. Un ottimo lieto fine, direi- le braccia del ragazzo si strinsero protettive attorno al mio corpo, soffocandomi contro il suo petto.
Quella era la fine, lo sapevo.
-Sapevo che avresti fatto un passo falso, figlio mio. Eppure ho deciso di darti fiducia. Fiducia che tu hai miseramente tradito-
I passi del Re si fecero più vicini, fino a raggiungerci. Stava a braccia incrociate sul petto, lo sguardo altero e sprezzante.
-Ho fatto del mio meglio per tenervi su due livelli differenti. Ma questo mi conferma che avrei dovuto dirvi la verità sin da subito. Ammetto di aver sbagliato per primo, dunque lasciate che trovi rimedio alla mia leggerezza-
Sopra di me, Evan mostrava uno sguardo confuso, segno che ne sapeva quanto me su quella storia. Non smise di stringermi, voltandosi però in modo tale da poter osservare suo padre.
Il vampiro prese a camminare avanti e indietro a passi lenti, tra le proprie guardie.
-Il mio matrimonio con la Regina Astrid fu, come gran parte delle unioni aristocratiche, un matrimonio di convenienza. Io ero destinato al trono, mentre la sua famiglia aveva servito per millenni la casata Bouregard con fedeltà. Generammo Evan, designandolo così come primo erede in linea di successione al trono. Avvenne però un fatto...imperdonabile. Che mi spinse ad agire in modo drastico. Astrid arrivò ad innamorarsi di un ambasciatore umano, generando con esso un ibrido- pronunciò l’ultima parola come fosse acida sulla lingua, sporca. Ascoltavamo le sue parole avidi, senza fiatare, quasi senza respirare.
-Astrid...è la donna di cui ho visto la tomba...- ragionai a voce alta, confusa, tornando a posare lo sguardo sui lineamenti duri del Re, che ora mi fissava sorridendo.
-Com’è morta?- chiesi brusca, riducendo gli occhi a due fessure. Sebbene sapessi già cosa mi avrebbe risposto.
-Un incendio. Mia madre è morta in un incendio divampato accidentalmente nella casa dei suoi genitori- la voce di Evan risuonò colma di una convinzione che ormai non sentiva più propria. Era come se volesse auto convincersi che fosse davvero andata così. Mi morsi le labbra, straziata da quella consapevolezza, stringendo a mia volta le mani attorno alla sua vita.
Di lì a pochi attimi sarebbe stato il caos, lo sentivo.
-Evan...- mormorai contro il suo petto.
-E’ stato un incendio!- continuò. Spostando rapidamente lo sguardo prima su Antoin, poi su di me.
Rimase in silenzio per qualche secondo, incerto, riversando poi sulla figura del padre tutta la sua incredulità
-Tu...tu l’hai uccisa!?- sputò quella sentenza come fosse una bestemmia, gridando furente. Sentii le sue dita stringermi la pelle dolorosamente, involontariamente. Di lì, la situazione non poteva far altro che peggiorare.
-Cercai anche quell’umano, ma egli fuggì con il figlio, l’ibrido, affidandolo ad una famiglia umana, prima di far perdere le proprie tracce-
Mentre Antoin continuava a parlare, Evan mi tremava contro. Stava cercando di trattenersi dal gettarmi a terra e scagliarsi contro suo padre.
-Cosa c’entra questa storia con me?- mormorai, la voce spezzata dalla pena che stavo provando per il ragazzo. I suoi sforzi di mantenere la calma, li sentivo come miei. Soffrivo come lui soffriva. Odiavo come lui odiava.
Le labbra strette del Re si aprirono in un ghigno macabro, esaltato, prima di sputare fuori una risposta che non avrei mai voluto ascoltare.
-L’ibrido sei tu, Emily. E questo vi rende...fratello e sorella-

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Capitolo 10
*** X - Until the End. ***


Note dell’Autore: Sono una merdina, lo ammetto. Questa volta devo seriamente chiedere scusa in ginocchio, perchè oltre ad aver infranto la promessa di aggiornare in un mese, ho infranto quella di aggiornare entro la scorsa settimana, o due settimane fa, peggio ancora. Non ho scusanti, e mi spiace. Semplicemente, oltre al dovermi fare il mazzo per l'incontro finale con la scuola -se mi dice bene ne esco con i debiti, odio la fisica- questo capitolo è stato estremamente complesso. Non so se leggendolo traspare che ci ho sudato sopra anche l'anima. Seriamente, per finirlo mi sono consumata il fegato e tutto quello che c'è attorno. Mille rivelazioni, mille sensazioni, mille suspence. Dio, se non sono esplosa è perchè l'autocombustione non è ancora stata accertata come fenomeno.
Comunque, tra le piccole note, vi ricordo che quando Emily parla di sua madre che la portava al lago da piccola, all'inizio del capitolo, si tratta della madre adottiva, non di Astrid. Lo so che è idiota come appunto, ma non si sa mai. Per il resto, io spero con tutta me stessa di riuscire ad aggiornare in tempo, ma quando avrete finito di leggere questo capitolo, capirete da voi quanto più complesso potrà essere il prossimo. Spero seriamente di non implodere. Se non ce la faccio entro un mese, non me ne vogliate male. Sono una ragazza con scuola, fidanzata, amici, GDR, altre Fan Fiction -che ho bellamente abbandonato per concludere questa- e mille altri progetti in testa. Se avessi tempo materiale giuro che scriverei ogni attimo, ma specialmente in questi ultimi tempi non ce la posso fare. Magari appena finita scuola sarò più disponibile -escludendo una settimana sabbatica che mi prenderò per recuperare il sonno perduto dell'anno scolastico- anche perchè vorrei concludere la storia prima del 13 Luglio, dato che partirò per l'Inghilterra e starò via una ventina di giorni -e sinceramente andarmene in Inghilterra per poi stare attaccata al computer a scrivere, non rientra tra i miei progetti estivi-. Comunque, non so se vi ho già preannunciato che finita questa Fiction, ci sarà un seguito. Eheh, rivelazione. Pensavo appunto di sfruttare i tempi morti di quei 20 giorni a Londra per buttare giù un abbozzo, una scaletta, del seguito, senza però mettermi a scrivere seriamente perchè finirei per sprecare tempo utile al divertimento. Per ora è tutto sul forse, nulla di certo, dipende da come mi viene il finale. Bha, vedremo. Ora vi lascio leggere, e come sempre grazie a tutte voi anime pie e pazienti che mi sopportate. Vi amo *A*
  
    ~~~
  

Quando ero piccola mia madre mi portava al lago d’estate, con il sole chiaro del primo pomeriggio, il letto soffice e viscoso delle alghe sotto i piedi, l’acqua fresca. C’immergevamo e ridevamo insieme, andando a toccare con i palmi delle mani il fondo. Quando ciò accadeva, mi piaceva andare in apnea ed aprire gli occhi, vederla sorridermi, le dita sul naso a tappare le narici. Parlava, e dalla sua bocca uscivano piccole bolle d’aria, simili a meduse, che raggiungevano gorgogliando la superficie. Il rumore delle sue parole giungeva lontano, ovattato, lento, come una melodia ascoltata in modo distratto. Così, allo stesso modo, la situazione era crollata in un oceano scuro, di petrolio, mentre quella frase, pronunciata con estremo piacere dalle labbra di Antoin, mi raggiunse come un sibilo incomprensibile, smorzato, lontano. Sentii le mani di Evan farsi deboli attorno al mio corpo, mentre le braccia gli ricadevano lungo il corpo pesantemente, come fossero prive di alcuna sensibilità.
Non riuscivo ad avvertire alcun rumore, se non quello del mio respiro, fattosi lieve e fino. A giudicare dal modo in cui mi dolevano le palpebre, i miei occhi dovevano essere spalancati, sebbene non avvertissi alcuna espressione sul mio volto.
Ero pietrificata. Di paura. Di dolore. Di rabbia.
Non so cosa mi accadde in quell’attimo. Sentii soltanto la voglia sfrenata di distruggere qualsiasi cosa trovassi sulla mia strada. Ero furente, ma ancor peggio di questo, sentivo il cuore piegarsi su sé stesso come un foglio accartocciato. In un battito di ciglia, il mio corpo si mosse senza che potessi neanche accorgermene, e mi ritrovai a divorare la distanza che ci divideva dal Re a passi veloci, rumorosi.
-Lurido bastardo figlio di puttana!- mi sentii gridare, prima di scagliarmi come una furia verso l’uomo. Non so cosa volessi fare, semplicemente sentivo il bisogno di prendere quella testa scellerata tra le mani e sbatterla contro il terreno fino a vederla esplodere.
Non mi ero mai sentita così...umana.
Cozzai contro le guardie, che si frapposero tra me ed il vampiro, bloccandomi con forza a terra, immobilizzandomi mentre spasmodica tentavo di liberarmi, gridando con voce rauca insulti che neanche pensavo di conoscere. La risata di Antoin non fece altro che fomentarmi maggiormente, ma la potenza delle sue guardie era un ostacolo per me insormontabile.
-Sei un mostro! Ti ammazzo, giuro che ti ammazzo!- in risposta alle mie minacce, il Re si avvicinò a passo sicuro, sormontandomi con la sua altezza, guardandomi sprezzante dall’alto della sua posizione.
-Fallo! Che aspetti? Ovvio che non puoi. Sei solo una sporca mezzosangue, debole e selvaggia. Un abominio della natura come te deve essere debellato, e tu hai vissuto anche troppo- sentenziò, voltandosi poi d’improvviso, ed il mantello scuro dell’abito gli roteò attorno alle gambe disegnando un’ampia circonferenza.
-Portatela nelle segrete. Domani avverrà il Sacrificio della Vergine- alle sue parole, mi sentii sprofondare nel buio, come non avevo mai fatto. Ripresi a scalciare, mentre le guardie mi sollevavano di forza, cominciando a trascinarmi via, affatto ostacolati dalla mia resistenza.
-Evan! Evan fa qualcosa!- ma il fiato mi morì in gola quando, voltandomi nella sua direzione, scorsi sul suo volto marmoreo qualcosa che non pensavo avrei mai intravisto.
Una timida goccia di rugiada fresca scendeva dall’occhio sinistro, lasciando quel pallido cielo azzurro delle iridi per disegnare sulla pelle un solco di sofferenza.
Dolore composto, silenzioso, arreso.
 

Semplicemente, senza che un solo angolo del suo volto si muovesse, e assolutamente in silenzio, iniziò a piangere, in quel modo che è un modo bellissimo, un segreto di pochi, piangono solo con gli occhi, come bicchieri pieni fino all'orlo di tristezza, e impassibili mentre quella goccia di troppo alla fine li vince e scivola giù dai bordi, seguita poi da mille altre, e immobili se ne stanno lì mentre gli cola addosso la loro minuta disfatta.
[cit. Alessandro Baricco]

 
 
Mi avevano trascinata per le braccia, lungo quello che sembrava un corridoio senza fine, culminante in un'esplosione di buio monotono, piatto. Non avevo le forze di camminare, così cercavo di mettere qualche passo a terra, lasciandomi poi tirar via. Nel silenzio del cunicolo, l'unico rumore in grado di tenermi sveglia, era quello provocato dalla marcia ritmica delle guardie. Alle volte, durante quel viaggio, avevo opposto una blanda resistenza, soltanto per avvertire il dolore delle dita strette attorno agli avambracci. Quel minimo male, mi dava la conferma che ero ancora viva.
Mi gettarono in una stanza senza forma, che puzzava di umido e vecchio. Le pareti erano di un mattonato scuro, annerito dal sudiciume.
Caddi a terra in un tonfo sordo, ammortizzando la caduta con le mani come meglio potevo. La pietra era gelida sotto i polpastrelli, a tratti bagnata. Mi portai le mani all'addome. Inspirai con la bocca, e l'aria fredda mi passò tra le fessure dei denti stretti come una lama. Strisciai contro il muro, tentando di sopprimere almeno mentalmente il dolore che provavo. Arrivata a quel punto, ero spacciata.
Mi portai le gambe al petto, stesa sul fianco, raggomitolata in posizione fetale. Quella era la mia estrema dimostrazione di fragilità. Come da piccola, quando impaurita dal buio, rimanevo pietrificata nel letto di mia madre, a fissare le pareti con quanto più disgusto avessi in corpo. Per me stessa, per la mia fragilità, per la sottomissione. Avevo imparato a memoria la fantasia impegnata dei dipinti su muro, ripercorrendoli uno per uno con gli occhi, volendo anestetizzare il corpo e l'anima da quell'umiliazione.
Immaginai di essere nella mia abitazione. Un posto non troppo in vista, modesto. Mi vidi scendere nella vasca da bagno, pulirmi di dosso lo sporco che mi avevano appena sputato addosso. Ero infetta della crudeltà degli uomini, e a distanza di anni, non me ne ero ancora lavata via le croste. Ne ero impregnata.
Volevo uscire da quel posto, con, o senza il corpo attaccato alla testa. L'unico dispiacere? Non aver mandato a puttane la maledetta città in cui vivevo e tutta la feccia abominevole che la componeva.
Stavo andando a fondo, lo sentivo, ne ero dannatamente cosciente. E cosa peggiore, non potevo far nulla per impedirlo.
Le lacrime di Evan, uno spettacolo raro, di cui lo credevo incapace, mi avevano stretto il cuore, uccidendomi sul momento. Era rimasto a fissarmi fino a che, fuori dalla porta, non era sparito della mia visuale, ed io dalla sua. I suoi occhi vuoti, soltanto liquidi di sofferenza. In un certo senso, mi scaldava l’animo pensare che quelle lacrime, almeno in parte, fossero anche per me, e non solamente per l’omicidio di sua madre. Era un pensiero egoista, certo, ma in quel momento era l’unica speranza che mi tratteneva dall’impazzire.
Non potevo essere debole. Ero stanca. Stanca di essere una semplice umana. Stanca di non potere niente di niente di fronte a dei mostri. Stanca di vedere Evan prendere sul proprio corpo le ferite che io non potevo sopportare.
Io ed Evan eravamo fratelli. Condividevamo parte dello stesso sangue. Io ed Evan non potevamo amarci. Ed anche se non fossimo stati consanguinei, ora stavo morendo. In qualsiasi modo cercassi di vedere la situazione, rimaneva di fondo che non potevamo stare insieme, per un motivo o per l’altro.
L’indomani sarei andata sorridente incontro alla morte, pronta a perdere tutto ciò che mi ero guadagnata con sacrificio e sudore.
Ad un passo dalla fine, il mio pensiero più dolce era rivolto a quell’amore tormentato, proibito, incestuoso. Tutto il mio cuore era denso di lui, e con quel pensiero nella mente, anche la prospettiva di morire non mi sembrava poi così dolorosa in confronto all’idea di non aver mai osato innamorarmi di Evan.
 
 
 
Nel mio sogno, ero immersa in una vasca, sotto lo strato immobile d’acqua. Trattenevo il fiato, ed alcune bolle salivano sino alla superficie. Stavo dormendo sotto l’acqua, distesa sul fondo della vasca da bagno. Come al lago, tutto attorno a me era incolore, inodore ed atono. Ero sorda. Meravigliosamente sorda. Feci per alzarmi, così da sollevare il corpo dal fondo della vasca, ma improvvisamente sentii qualcosa afferrarmi le caviglia, iniziando a strattonarmi in quello che ora si era tramutato in un abisso scuro, dal fondale denso di alghe. Il mio intero corpo ebbe un fremito violento, avvertendo il pericolo, ed iniziai a nuotare verso la superficie, mentre qualcosa continuava a strascinarmi con sé nel buio più assoluto delle profondità. Di fronte ai miei occhi, lo specchio d’acqua più chiaro e brillante della superficie si faceva sempre più lontano, irraggiungibile. Aprii le labbra per gridare, ma non ne uscì altro che un flebile suono ovattato dalla pressione ed alcune bolle d’aria. I miei polmoni si svuotarono di colpo, lasciandomi ad annaspare nel buio, le tenebre più totali. Paura. Non provavo altro che paura. Un terrore folle. Solo allora compresi.
Lascia che la tua Luce, dissipi le tue Tenebre, Emily...
La frase che avevo sentito nella mia mente la prima volta che avevo incontrato Astrid. Aveva detto che l’avevo inventata accanto a me, quella Luce. Che non avrei mai avuto bisogno di cercarla, perché nel momento in cui ne avessi avuto bisogno, ci sarebbe sempre stata. Ora, per uscire da quell’incubo, avevo semplicemente bisogno di chiamarla.
Non appena realizzai quel pensiero, vidi una mano candida e delicata immergersi nell’acqua, in mia direzione. La carne era avvolta da un’iridescenza calda e timida, ma abbastanza potente da illuminare il buio opprimente che avevo attorno. Allungai la mano destra, cercandola, trovandola e sfiorandola.
Emily...
Era la voce di Evan, quella. L’avrei riconosciuta in qualsiasi abisso fossi finita. Il cuore mi si riempì di un conforto immenso, mentre sentivo le sue dita avvolgermi il polso con forza, cominciando a risollevarmi verso la superficie. Mi lasciai trascinare, stanca.
Il tocco leggero di una mano sulla spalla destra, mi riportò alla realtà, e mi vidi riemergere di soprassalto dall’acqua, prendendo un grosso respiro d’ossigeno che mi bruciò i polmoni, ricordandomi quanto crudele fosse il presente.
Scartai di lato, impaurita, come una belva ferita, trattenendo il respiro. La stanza era completamente buia, abbastanza da non lasciarmi distinguere nessuna presenza all’interno, non fosse stato per quello sguardo che mi sentivo addosso.
-Chi sei!?- sussurrai impaurita, stringendomi  le gambe al petto, sentendo la presenza avvicinarsi piano. Lo sentii sogghignare nel buio, per poi mormorare in un sussurro.
-Un amico- non realizzai immediatamente, ma la sua voce mi fu inconfondibile. Avvertii il volto rilassarsi in un sorriso ampio, di puro sollievo, prima di slanciarmi verso la figura in ombra, avvolgendo il corpo freddo con le braccia, cercando conforto nell’incavo del collo. I capelli castani, da come ricordavo, mi accarezzarono il volto, mentre le braccia possenti di Daniel ricambiavano il gesto.
-Dan...- mormorai appena, ma l’indice del vampiro si andò a posare dolcemente sulle mie labbra, fermandole.
-Shhh. Ho fatto una gran fatica per entrare qui dentro, non mandare tutto all’aria, piccola- sussurrò con fil di voce, prima di portare le braccia attorno alla mia schiena e sotto le ginocchia, sollevandomi poi da terra in una mossa agile. Posai il capo contro il suo petto, respirando il profumo rassicurante della sua pelle.
-Mi porterai via di qui, vero?- chiesi, sentendo le lacrime minacciarmi gli occhi. Ero felice, ma al tempo stesso nervosa, stressata, stanca.
-Ho votato la mia vita al servizio di Evan. Come sua personale guardia ho il dovere di proteggere ciò che gli appartiene. Come suo amico, ho il piacere di proteggere colei che ama- sentii le sue labbra scoccarmi un bacio sul capo biondo. Privo di qualsiasi malizia, soltanto denso di un’affezione che non avrei mai immaginato, ma della quale ero assolutamente felice. Ci voltammo verso la porta d’ingresso, e solo in quel momento mi accorsi che nel buio, due figure scure ai lati del portone blindato, si erano mosse venendoci incontro.
-Come siete entrati?- chiesi, in cerca dei lineamenti delle due figure. La voce rigida e melodica di Selìn mi raggiunse immediatamente.
-Credo che Antoin avesse sottovalutato “gli stupidi amici di mio figlio”- replicò la vampira, accompagnando quelle parole con uno schiocco stizzito della lingua contro il palato. Sorrisi debolmente, a quella reazione. Selìn non era esattamente la ragazza più amabile di questo mondo, ma non era nemmeno un mostro, ed il Sovrano aveva fatto un grave errore sminuendo le sue capacità.
-Aspettiamo un vostro ordine, Signore- mormorò una di queste. Daniel non emise alcun suono, semplicemente lo sentii muovere il capo in un gesto che soltanto gli altri due vampiri, con la vista più sviluppata rispetto quella umana, poterono distinguere.
In quel momento, un calcio possente da parte di uno dei due, divelse la porta, ed un fascio di debole luce c’invase, rischiarando le ombre in movimento di alcune guardie reali che sorprese s’apprestavano a venirci incontro ad armi sguainate, pronte a fermarci. I sottoposti di Daniel si mossero velocemente di fronte a noi, proteggendoci e aprendoci la strada corpo su corpo, prima che Dan si lanciasse in una corsa sfrenata ed inumana, portandomi fuori da quell’inferno.
 
 
Daniel mi gettò, letteralmente, sui sedili posteriori della stessa auto scura che ci aveva portati al castello, richiudendo lo sportello velocemente, fiondandosi alla guida. Alle nostre spalle voci confuse, grida, ordini di tornare in dietro. Tutto in nome del Re. Mi misi a sedere meglio, mentre Dan premeva sull’acceleratore, facendoci schizzare via tra i banchi di neve, seguiti dalle guardie che ben presto smisero di correrci dietro affannati. Mi stava scoppiando la testa, quasi non credevo a ciò che era successo.
Ero salva? Lo ero davvero? Insomma, credevo seriamente di essere finita in una di quelle situazioni dalle quali non si esce. Dove o muori...o muori. Un contatto fresco e vellutato si posò sulla mia mano sinistra, facendomi voltare di scatto. I miei sensi erano all’erta, svegli e al tempo stesso impauriti.
Evan mi sorrideva mesto, trasudando una stanchezza millenaria. Mi morì il fiato in gola, cercando di pronunciare il suo nome, ma non ne ebbi neanche bisogno, poiché le sue braccia mi circondarono senza esitazione, premendomi il petto contro il suo, lasciando che il mio capo si andasse a riposare sul cuore. Non m’importava che non fosse in grado di battere. Che non pompasse sangue. Che non fosse vivo. Evan, e tutta la sua razza, erano il miracolo dell’umanità. La vita sulla morte. O meglio: la vita e la morte fuse in un corpo invincibile. Mi lasciai cullare dall’andatura dell’automobile, mentre le sue dita delicate si andavano ad intrecciare ai miei capelli, giocando con essi, accarezzandomi poi le spalle e la schiena, posandomi sul capo piccoli baci.
-Siete uno spettacolo disgustosamente tenero- mormorò ironico Daniel, dal posto di guida, strappandoci un sorriso. Accanto a lui, Selìn gli lanciò una gomitata nelle costole, ricordandogli con un ordine deciso di concentrarsi sulla guida.
-Non riesco ancora a capire che diavolo sia successo...- mormorai in un soffio debole, al tempo stesso incredulo, socchiudendo gli occhi. Il capo di Evan si abbandonò contro il mio, delicatamente, per poi iniziare a parlarmi piano nell’orecchio.
-Antoin ti stava cercando da quando tuo padre ti portò in salvo, ma cercarti tra tutti i Minori era pressoché impossibile. Ha passato gli ultimi diciassette anni a raccogliere informazioni sul tuo conto, ed una volta scoperto chi fossi, ha sfruttato l’evento della Vergine per attirarti a sé. Io non ne sapevo nulla. Mi ha sempre tenuto all’oscuro delle sue manovre, utilizzandomi come una semplice pedina- si arrestò, sospirando pesantemente. Potevo percepire la sua rabbia, il rancore improvviso che si era scatenato nel suo animo. Anche l’essere più cinico della terra, non avrebbe preso benissimo la notizia.
-Ok, ma non comprendo cos’abbia di così importante da portarlo a cercarmi. Sono un ibrido, ma dubito che si sarebbe spinto a tanto pur di eliminarmi. Organizzare tutto questo teatrino, intendo, per una semplice mezzosangue? Guardami, sono un agnellino in confronto ad un qualsiasi vampiro. Non aveva bisogno di un simile piano per sbarazzarsi di me-
-Anche io pensavo volesse soltanto eliminarti, ma nella sua testa c’era qualcosa di ben più complesso. Un ibrido, Emily, è l’unione di due diverse razze. Come tale, ne eredita in parti uguali difetti e abilità. E’ questo ciò che Antoin voleva: la capacità di mostrarsi alla luce del sole lo avrebbe reso più potente, in grado di uscire dai confini della nostra terra in qualsiasi momento lo desiderasse. Così come la possibilità di nutrirsi anche di cibo umano, e di poter prolungare l’astinenza dal sangue. Sono aspetti che lo avrebbero trasformato in un vampiro più potente di chiunque altro. Per appropriarsi di queste capacità, avrebbe dovuto bere il tuo sangue fino all’ultima goccia. Ed è proprio ciò che aveva intenzione di fare nel giorno del sacrificio-
-Questo non ha alcun senso! Perché fino ad ora ho vissuto come un’umana? Perché non ho nessuno dei poteri di cui mi parli?-
Evan prese un grosso respiro, seppur scenografico, ed il suo petto si mosse contro il mio.
-Quei poteri non si manifestano dal primo giorno di vita. E’ come avere un sensore di pericolo impiantato nel corpo. Nel momento in cui l’Ibrido si trova in una situazione di massimo pericolo, la sua natura di mezzo Vampiro si manifesta. Quando ciò avviene, però, può scegliere di continuare a vivere come un Umano, o di divenire un Dampyr con i poteri e le abilità che ne derivano, appunto. Quando si sceglie di essere Dampyr, inoltre, il sangue muta. Entrano in circolo delle particolari tossine assolutamente mortali per i Vampiri. Ecco perché Antoin aveva bisogno di bere il tuo sangue prima che ti trovassi a dover scegliere tra le due razze.-
Assimilai quella cascata di parole in silenzio, senza che il mio volto riuscisse ad assumere un’espressione definita. Non perché fossi indifferente o superiore a tutto ciò, sia chiaro. Semplicemente, non avevo parole. Immaginate di avere la vostra bella vita nel pieno della sua normalità. Un giorno venite rapiti e segregati da quelli che potrebbero essere degli ottimi predatori. Mi correggo: lo sono. Nel giro di un mese e mezzo venite a scoprire che il vostro rapitore, per il quale avete avuto l’ottima idea di innamorarvi, è il vostro fratellastro, che la famiglia che avete lasciato nella vostra città è solamente un nucleo adottivo, mentre vostra madre era una Regina adultera e vostro padre –quello vero- potrebbe essere da qualche parte, ancora vivo, ma vi ha abbandonati e non ha mai fatto nulla per cercarvi. Come non fosse abbastanza, avete un Re con crisi maniacali di grandezza che vuole usarvi come portata principale per acquisire i vostri poteri. Poteri del quale fino a pochi giorni fa non sapevate assolutamente nulla.
Ora, state scappando in una macchina piena di quei simpatici predatori verso non so dove e con ogni probabilità, avete mezzo esercito reale alle costole con la chiara intenzione di prendervi, mettervi su un vassoio e spedirvi direttamente nelle fauci del suddetto Regnante.
Mi concedete un...
-Merda- riuscii soltanto a proferire, stringendo i denti. Se essere rinchiusa in una cella per essere sbranata il giorno successivo mi era sembrata una situazione senza via d’uscita, l’evoluzione di quella stessa situazione era assolutamente impossibile.
Le mani di Evan mi presero con delicatezza ai lati del volto, costringendomi ad alzare lo sguardo verso il suo viso. Era pallido, più del normale, segno che non faceva un pasto completo da un po’. Mi sorrise dolcemente, ed i suoi occhi chiari brillarono nel buio al di fuori della vettura, concedendomi una sensazione di calore direttamente al cuore.
-Vorrei poterti dire che andrà tutto bene. Che ne usciremo vivi ed insieme. Ma ora come ora, non ho alcuna certezza. Stiamo tornando alla mia residenza. Lì spiegherò al mio corpo scelto la situazione, ma non sono sicuro che vorranno essermi fedeli. Io sono solo l’ereditario principale del trono, ma  Antoin è il Re, e farà di tutto per eliminarci dalla faccia della terra-
-Io posso dartela una certezza- c’interruppe Daniel, voltando appena il capo verso di noi, tornando poi a fissare attentamente la strada che divoravamo con la macchina.
-Se devo morire, voglio farlo al tuo fianco- la serietà con la quale Dan pronunciò quelle parole, colpì entrambi, lasciandoci spiazzati, mentre sul volto di Evan si dipingeva un sorriso denso di gratitudine. Non avevo mai visto, né immaginato, un legame d’amicizia ed onore tanto forte.
-Sono una guardia d’Elite del Principe Evan, e come tale, la mia vita è votata al vostro servizio- aggiunse Selìn senza voltarsi, con quella professionalità caratteristica della sua persona. Eppure, per quanto volesse mostrarsi forte e decisa, sapevo che non lo avrebbe tradito per le stesse ragioni di Daniel.
La risata del vampiro aiutò a rendere l’aria meno tesa, mentre la compagna gli indirizzava un’occhiataccia terribile.
-Tante parole per dire che ti vuole un gran bene. La nostra piccola Selìn allora non è insensibile come sembra-
-Si tratta di onore- tagliò corto la vampira, portando le mani ai lunghi capelli di petrolio, legandoli in una coda alta. Accanto a lei, Daniel continuava a sogghignare.
 
 
Arrivammo all’entrata principale della residenza in una frenata rumorosa che alzò un cumulo di polvere pesante. Selìn aprì lo sportello, spazzando via con il dorso della mano diafana la nube di pulviscolo suscitata dagli pneumatici.
-Il solito ragazzino- esordì in un mormorio irritato, avviandosi verso l’entrata.
-Donne e motori, andranno mai d’accordo?- scherzò Daniel, aprendoci la portiera. La mano di Evan si strinse attorno alla mia, guidandomi alla Residenza. A giudicare dal numero di guardie e servitù che si era accalcato nel salone principale, la notizia del nostro tradimento si era sparsa in fretta. Avevamo mille e più occhi puntati contro, mentre il Vampiro stava ritto accanto a me. Voleva sembrare deciso, ma dal tremore appena percepibile della sua mano, compresi che era nervoso.
Iniziò a parlare, spiegando la situazione come aveva fatto con me durante il tragitto, evidenziando i piani di suo padre. In fondo, il suo desiderio di potere non avrebbe portato ad altro che ad una vera e propria dittatura, ed Evan poteva giocare su questo le sue carte migliori.
-Ora, avete due possibilità, ed io non ve ne vorrò male qualsiasi scelta prenderete. Potete rinnovare il rispetto reciproco che ci ha legati durante questi anni, e seguirmi in quella che sarà una vera e propria lotta di successione. Non vi prometto la vittoria, ma avrete combattuto per essere liberi, per un sovrano giusto che pensa al proprio popolo, e non alla propria ingordigia di potere. In alternativa, siete liberi di votare fedeltà ad Antoin, il vostro Re, così da realizzare la sua dittatura. Se quest’ultima sarà la vostra scelta, allora vi chiedo di attaccarmi ora, seduta stante. Preferisco morire per mano di guerrieri, che per le mani sporche di omicidio di Antoin. Uccise sua moglie, vi mentì, e continua tutt’ora. Qual è allora la vostra scelta?-
Mi irrigidii al suo fianco, stringendogli più forte la mano, mordendomi il labbro inferiore. Eravamo ad un passo dalla fine, o ad un passo dall’inizio di una guerra. In qualsiasi modo fosse andata, non v’era certezza che saremo sopravvissuti. Eppure, preferivo combattere per lui, sebbene mi avrebbe portato alla morte, invece di vederlo soccombere davanti ai miei occhi senza aver potuto far nulla per proteggerlo. Ero stanca di essere trattata come una porcellana da tenere con cura. Ero stata addestrata per essere una Cacciatrice, ed il poco che avrei potuto fare, l’avrei fatto con tutta la passione che avevo in corpo.
Il Vampiro mi lasciò la mano, per prendermi ancora il volto con le sue grandi mani. Si avvicinò, e le nostre labbra si sfiorarono appena in un bacio pulito. A seconda del responso delle sue guardie, quel bacio sarebbe stato un arrivederci, od un addio.
Mosse un passo avanti, lasciandomi agitata tra le braccia di Daniel, che veloci si strinsero attorno alle mie spalle, mentre il palmo destro si andava a posare come un velo gelido di fronte ai miei occhi.
-Evan...- mormorai appena, mentre sentivo le lacrime salirmi agli occhi, bruciare di rabbia. Non poteva finire così. Non doveva.
Il silenzio scese come uno spettro sull’intera sala, rendendo quell’attimo ancor più teso. Il Principe, il loro Principe, si stava mostrando per l’ennesima volta più coraggioso del loro stesso Re. Stava affidando la propria vita ai suoi sudditi.
Allora, un rumore impercettibile attraversò tutti i Vampiri presenti, e temetti il peggio.
Un passo in avanti generale, marziale, ed il pavimento vibrò all’unisono.
Era la fine?
Il tempo si fermò di colpo, nella mia mente, ed insieme ad esso ogni suono, colore, percezione e profumo. Una vita mi passò davanti agli occhi, mentre vedevo nella mia mente il corpo di Evan straziato da mille colpi, ed io impotente. Afferrai la mano di Daniel, spostandola in un gemito sordo. Il mio cuore rischiò il collasso, in quel singolo istante.
Una schiera di Vampiri, stava in ordine militare di fronte ad Evan, piegati in un inchino profondo, di pura fedeltà. Non pronunciarono alcuna parola, ma si limitarono ad abbassare il capo con rispetto, per poi rialzarsi all’unisono, come fossero manovrati da un abile marionettista.
Vidi un Vampiro distaccarsi dalla folla ordinata, il pugno al petto, l’espressione fiera ed aggressiva. Fece un passo avanti, fissando il suo Principe.
-Aspettiamo ordini, Vostra Maestà-

 
 
 
 

 
 

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Capitolo 11
*** XI - Reborn. ***


Note dell’Autore: Ma che sono passati quasi due anni dall'ultimo capitolo, vogliamo parlarne? No seriamente, lo so, stavolta ho esagerato. Sarò chiara. Non avevo voglia. Non avevo idee. Non avevo il tempo. O forse un pochino lo avevo...ma era tutto il resto a mancare. Negli ultimi anni per me scrivere è divenuto un'agonia. Non riuscivo più a farlo con la stessa passione, ecco il motivo per cui ci ho messo due anni. Ora credo di aver raggiunto una maturità diversa che mi ha portata a continuare questa storia. Ero tentata di cancellarla. Odio lasciare le cose incomplete: o le finisco una volta per tutte, o le cancello direttamente. Dunque, ecco il penultimo capitolo. Il prossimo -non chiedetemi quando arriverà, perché dato quanto ci ho messo stavolta, ho paura che possano passare altri dieci anni- sarà quello conclusivo. Se quando metterò la parola FINE a questa storia sarò ancora ispirata, scriverò il seguito, che ho già in testa. Ma è tutto da vedere. Non fatevi false speranze, non sono in grado di aggiornare in un mese né di mantenere la parola data, quando si tratta di fanfiction. Non mi resta altro da dire, se non scusarmi ancora per tutto questo tempo, e augurarvi una buona lettura. Ci tengo che commentiate...vorrei sapere cosa ne pensate.


~~~


Ora, vorrei soltanto avere più tempo per decidere. Ora, vorrei semplicemente che tutto si fermasse un istante. Attorno a me, il vento smetterebbe di soffiare, rimanendo ad aleggiare statico nell’aria, come un presagio. Le grida si fermerebbero nel palato dei guerrieri. Il sangue rimarrebbe a gocciolare tra cielo e terra, senza fare rumore.
Allora potrei sedermi, stanca. Sedermi e pensare. Ad un’altra soluzione. Ad un modo per uscirne. Avendo più tempo per decidere, forse non saremmo giunti a questo, Evan. Avendo più tempo per ragionare, forse potrei crogiolarmi nell’idea di poter vedere ancora una volta il tuo sorriso.
Solo che non ho più tempo. Mi dispiace, avrei voluto che le cose fossero andate in modo diverso. Avrei voluto davvero avere il coraggio di sacrificare tutto per te. Ma non ho più nulla, se non me stessa. Tutto scorre veloce. Panta Rei. Come un fiume. Tutto scorre, ed io passo. Come i minuti, come le stagioni, come i pensieri. Come la vita. Le cose mortali, tendono a scivolare via dalle mani con una facilità tremenda. Forse, però, il sacrificio è soltanto lo slancio di coraggio ultimo dei vigliacchi. Per tutta la mia vita, ancora agli albori, non ho fatto altro che fuggire. Sono fuggita anche da te.
Morire per qualcuno che si ama, non è coraggio. E’ semplicemente il prezzo che paghiamo per i nostri attimi di felicità più pura.

Non avrei mai pensato di partecipare ad una guerra di successione. A dire il vero, non avrei mai pensato di essere un ibrido, né di essere rapita e finire in quell’assurdo intrigo di potere. Negli ultimi tempi, comunque, mi ero dovuta ricredere su molte cose. Al momento, qualsiasi prospettiva impensabile, non era più tale. Il grande salone della Residenza Ausiliare di Evan, si era trasformato in un brulicare silenzioso di vampiri. “Silenzioso”, non era esattamente ciò che mi sarei aspettata durante i preparativi per una guerra. I Vampiri erano molto simili a noi esseri umani, superficialmente, ma c’erano un paio di cosette nelle quali ci distinguevamo fin troppo, tanto da sembrare due creature completamente opposte. Vorrei parlare di razza, ma il Re aveva calcato la mano su quell’argomento, e sul fatto che appartenessi ad una razza ibrida, abbastanza da darmi la nausea. Non sopportavo il razzismo. O meglio: un tempo lo ero stata. Amare un vampiro ti porta a rivedere le tue priorità in merito. Comunque, non lo sopportavo nel momento in cui non fosse giustificato. Insomma, non era colpa mia se ero nata in parte Umana, ed in parte Porfirica. Non era neanche colpa mia se Antoin non era riuscito a dare un freno alle passioni di sua moglie, o a non rendersi abbastanza sopportabile da piacerle.
Nel caos più totale, i Vampiri sembravano mantenere perfettamente il controllo. Forse erano spaventati. Nel caso, non lo davano affatto a vedere. Evitare scene di isteria collettiva, con succhiasangue che andavano gridando in giro “moriremo tutti”, mi andava bene...ma quel silenzio e quella calma piatta, mi inquietavano. Io stavo per avere un attacco di panico, e stare in mezzo a gente del tutto indifferente a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco, non mi aiutava affatto, anzi. Mentre Evan discuteva con i suoi seguaci le dinamiche dello scontro, avevo avuto il tempo per farmi una doccia, ripulendo dalla mia pelle l’umidità e lo sporco di quella che era stata la mia cella, prima che Daniel mi tirasse fuori.
Scesi nel Salone, ora adibito a quartier generale ed armeria, dopo aver indossato un maglione grigio a collo alto ed un cardigan azzurro, sopra dei jeans comodi. Erano abiti che mi venivano puntualmente prestati da Selìn, dal momento che non ne avevo di miei. Mi dispiaceva da morire, sformarglieli. A dire il vero, no. Non me ne fregava niente. Fortunata succhiasangue perfetta!
Quando giunsi al centro della sala, attraversandola a passo svelto, gli occhi dei vampiri si posavano sistematicamente su di me, curiosi. Ehi gente, sono un’ibrida! Il fottuto errore delle natura. Guardatemi! In un angolo della sala, attorno ad una grossa scrivania, stavano Evan e Daniel, Selìn, e altri due vampiri. Quando mi vide, il primo sorrise, alzandosi con un cenno di scuse del capo, venendomi incontro. Le sue mani si strinsero dolcemente attorno alle mie spalle, attirandomi a sé. Mi sfiorò una guancia con le labbra fresche, inspirando il profumo dei capelli appena lavati. Alcune ciocche chiare, ancora umide, ricadevano sul mio volto come spighe di grano sottili e dritte.
-Hai bisogno di qualcosa?- chiese, distaccandosi appena, ma le sue mani rimasero lì, contro gli abiti che dividevano la nostra carne, crudelmente. I suoi occhi incontrarono i miei, in un turbinio di acqua e ghiaccio, quali erano le nostre iridi. Scossi la testa, abbassando lo sguardo sul suo corpo.
Aveva indosso pantaloni di pelle neri, abbastanza stretti da fasciargli i muscoli delle gambe ed i polpacci, in una curva sinuosa. Il petto, era coperto da un collo alto nero, sul quale brillava una pettorina di metallo scuro, come il petrolio. Era formata da grandi scaglie, sovrapposte le une alle altre, che gli proteggevano il busto, scendendo in una cintola al centro del bacino, fino a metà coscia. Dovevo aspettarmi che i vampiri fossero amanti delle tradizioni, ed indossassero armature.
Era assurdo...
Mi prese il mento gentilmente, costringendomi ad alzare lo sguardo. Incontrai nuovamente i suoi occhi, ma non v’era più alcuna maschera che ne opacizzasse i pensieri. Potevo leggervi, per la prima volta in modo tanto chiaro, una sottile paura. Non era codardia. Semplicemente, il terrore che si ha quando c’è la possibilità di perdere tutto. Tutto ciò che ci appartiene. Che amiamo. Era un sentimento fin troppo familiare, dal momento che nei miei occhi si rifletteva lo stesso timore.
-Antoin è già in movimento con le sue truppe, per raggiungerci e spazzarci via. Tra poco farò disporre una macchina ed una scorta che ti riporteranno a casa. Tra gli umani. Lì sarai al sicuro- rimasi a guardarlo per un momento, assimilando quelle parole, sentendo la rabbia montare poco a poco nello stomaco. Lo scansai bruscamente, mettendo tra di noi un passo.
-Pretendi che me ne stia buona a pensare a te e al tuo popolo che venite massacrati!? E’ fuori discussione, Evan!- alle mie affermazioni, si portò le mani, coperte dai pesanti guanti neri dalle guaine di metallo, alle tempie, massaggiandole con fare stanco.
-Non posso concentrarmi sulla battaglia se so che potresti essere in pericolo- cercò di spiegare, con fare lento, come si spiegano le cose ad un bambino, per l’ennesima volta. Ero insopportabile, lo sapevo perfettamente. Ma non potevo lasciarlo a morire da solo. Era la nostra responsabilità, quella. Avevamo stravolto i piani di suo padre, ed ora dovevamo affrontarlo. Semplice. Annullai del tutto la distanza, afferrandolo per il collo della maglia. Fu costretto ad abbassarsi con il busto, per potermi guardare meglio negli occhi, mentre gli sibilavo ad un centimetro dal volto.
-Se Antoin vi sconfiggerà, verrà a cercarmi tra gli Umani. E prima di trovarmi, farà una strage di innocenti. Una volta che mi avrà presa, porterà a termine il suo intrigo. Allora, se dovessimo perdere, preferisco morire, così che non mi abbia mai- le sue dita si strinsero gentilmente attorno alle mie mani, e lentamente lasciai la presa sul tessuto. Le prese tra le sue, portandosele alle labbra. Aveva socchiuso gli occhi, e appariva stanco. Mi sentivo in colpa dal momento che ero la causa principale di tutti i suoi problemi, ma proprio per questo non lo avrei lasciato a sbrigare il lavoro sporco da solo.
-Emily...tu non hai minimamente idea di cosa vuoi affrontare. Non è una caccia ai Mannari, questa. Antoin non morirà con una pallottola d'argento- tornò a guardarmi. Mi stava pregando, con lo sguardo, di lasciar perdere. Sembrava un bambino che prega la madre di non lasciarlo a scuola per rimanere con lei. Ed era strano, vederlo tanto umano. Non mi arresi, comunque. Gli presi gentilmente il volto nei palmi.
-Sono un'Umana. Ma non abbastanza. Così come non sono completamente un Vampiro. Voi siete il mio popolo, tanto quanto gli umani. Non vi lascerò morire per me- il mio tono non ammetteva repliche, e fui soddisfatta della decisione che riuscii ad imprimere alla mia voce. Evan mi fissò per qualche attimo, pensieroso, per poi sospirare.
-So già che mi pentirò di questa scelta. Ma dal momento che sei la persona più testarda e sconsiderata che abbia mai conosciuto, ti permetterò di seguirmi. Ad un patto- fu il mio turno di studiare i suoi occhi chiari. Calò il silenzio, interrotto solamente dallo sferragliare lontano di qualche arma.
-Sarebbe?-
-Ti unirai al corpo medico. Aiuterai i feriti, e farai qualsiasi cosa ti venga ordinata, per la tua sicurezza. Chiaro?- era il massimo che avrei potuto ottenere, lo sapevamo entrambi. Non mi aspettavo che Evan mi mettesse in mano una spada più grande di me mandandomi al massacro, ovviamente, ma almeno potevo essere presente e dare il mio contributo. Annuii, infine, con un sorriso.
-In poche parole, se mi dicono di scappare, chiedo quanto veloce e quanto lontano- dissi con una scrollata di spalle. Evan sembrò soddisfatto. Le sue mani si intrecciarono tra i miei capelli, attirandomi a sé. Mi alzai sulle punte dei piedi, incontrando la fresca carezza delle sue labbra sulle mie, mentre i miei abiti morbidi entravano crudelmente in contatto con le protezioni solide di quella che era la sua corazza.
Il fischiettare allegro di Daniel ci interruppe, e quando ci dividemmo, questo giocherellava con una lettera che porse ad Evan.
-E' il sigillo dei Bouregard- mormorò cupo. La ceralacca rossa chiudeva i lembi della busta, e al centro vi era stato impresso l'emblema della Famiglia, ovvero una corona fatta di spine e rami secchi, inquietanti. La corona doveva rappresentare il potere reggente della famiglia, ma quelle spine sembravano vive nel rosso acceso della cera. Insanguinate. Evan intercettò il mio sguardo, ma non sorrise. Era teso, ed i suoi occhi lasciavano trasparire la sua agitazione più di quanto probabilmente non desiderasse fare.
-I Bouregard discendono da un'antica cricca di mercanti che durante l'anno mille si arricchì grazie al commercio, arrivando a finanziare crociate e guerre di successione tra gli umani. Océan Bouregard è considerata la nostra capostipite, la prima vampira ad istituire la Casata. Quando conquistò il trono, dopo un'interminabile scontro con la Casa dei Morgenster, cambiò il simbolo della Famiglia, una moneta d'oro con inciso un giglio, in questa corona di rovi. Per ricordare ai suoi successori, ai Bouregard che avrebbero dominato sulle nostre terre, che il prezzo del potere non è l'oro, ma dolore e sacrificio-
Lo spaccò, estraendo un foglio di carta delicata, color avorio, vergata con inchiostro nero. I suoi occhi scorsero rapidi, poi l'appallottolò con rabbia, scagliandola lontano.
Daniel lo afferrò gentilmente per il braccio, prima che Evan potesse andarsene.
-Cosa dice?-
-Antoin ci ha dichiarati nemici del Regno e traditori. Ha inoltre revocato la mia futura reggenza, eliminandomi dalla linea d'eredità-
Allora Selìn si fece avanti. Il suo corpo snello era fasciato in abiti scuri, aderenti, e sopra indossava la stessa pettorina di scaglie nere che scendeva fin tra le cosce. S'inchinò profondamente, sfoderando la spada, che tenne orizzontalmente tra le mani, porgendola di fronte al vampiro.
-Giuro allora fedeltà ad Evan, primo del suo nome, Rinnegato erede della Dinastia Bouregard. Questa è la spada della nobile Casata Morvant, difensori dei confini della Notte. Con essa, tutti i Morvant si piegano al tuo volere come Alfieri- a quelle parole, altri vennero avanti, ponendosi dietro Selìn, ed inchinandosi a loro volta, sfoderando le lame. Avevano tutti capelli corvini, lunghi e morbidi come seta, che raccoglievano in code basse. Immaginai che fossero cugini e parenti di Selìn, e che lei ne fosse la portavoce. Daniel fece lo stesso, parlando per la Casa Lampoure. E ancora altri vennero avanti, prestando a loro volta giuramento.
Graveheart, Nestor, Wolfcraig, Hyde, Valentine e ancora altri nomi che dimenticai dopo poco. Alla fine, l'intera sala era gremita di vampiri che porgevano le loro spade in segno di sottomissione alla nuova Corona. Evan abbassò lo sguardo su di me, sorridendo.
-Possiamo partire-

Marien Graveheart era sporca di sangue fino ai gomiti, e continuava a spingere le dita contro l'addome del ragazzo, per cercare di arrestare l'emorragia. Io avevo lo stomaco sotto sopra, ma era da un'ora che continuavamo a trasportare cadaveri decapitati e tagliare arti. Ormai non riuscivo neanche più ad essere spaventata.
La ferita continuava a dilatarsi, come se un acido mangiasse velocemente la carne dove la freccia l'aveva colpito. Spostai lo sguardo sulla donna, mentre mi urlava di tenergli il capo. Mi mossi alle spalle del vampiro, prendendo la testa e portandomela sulle ginocchia. I capelli rossi erano sporchi di sangue e terra, mentre le sue iridi ebano mi fissavano tremanti, spaventate. Rimasi a guardare quello sguardo di paura, sentendomi morire. Ora che stava morendo tra le mie braccia, non riuscivo a credere che avessi reputato quella gente, la mia gente...inumana. Avevano il nostro stesso terrore negli occhi. Perdevano sangue come noi. Soffrivano, come noi. E morivano come noi.
-Che diavolo gli succede!?- gridai a Marien. La ferita era diventata un buco grosso quando un pugno, ed ora le dita della vampira del corpo Medico cercavano di spingere dentro gli organi che minacciavano di uscire.
-Un veleno a base acida che non permette la normale rigenerazione dei tessuti, e li consuma velocemente- in altre parole, non potevamo fare nulla. Il ragazzo mi guardò, ed io gli accarezzai le gote, delicatamente. Dalle sue labbra gorgogliò fuori del sangue che gli soffocò il respiro e prese a colare lungo il mento.
La donna si rivolse a me, porgendomi una lama. La presi dalla parte del manico. Era un pugnale comune, dalle forme essenziali. Aveva bisogno di una bella affilata, ma ero pronta a scommettere che fosse ancora in grado di servire allo scopo.
-Che cosa...?- ma la donna del corpo medico non mi lasciò concludere. Guardai il baluginare della lama, senza capire. Gli occhi del ferito mi raggiunsero. Sembrò vedere il pugnale, e a quel punto la paura divenne terrore. Si agitò, e Marien fu prontamente su di lui, tenendolo fermo.
-Che aspetti?- la sentii gridare, ma io continuavo a non capire.
-Uccidilo! E' inutile prolungare le sue sofferenze. Non possiamo fare più nulla per lui- quelle parole mi investirono con violenza, lasciandomi per un attimo senza fiato. Sapevo come uccidere un vampiro. Ce lo avevano insegnato. Ma non era facile come con i Licantropi. Loro erano vivi, caldi, pulsanti, bestiali. I vampiri erano corpi morti...donar loro una morte ancor più profonda, era un altro conto.
-Io...non posso...- quelle parole uscirono come un fremito senza senso, e Marien sembrò perdere la pazienza.
-I Guaritori sono tutti impegnati! Serve che qualcuno lo tenga fermo, e tu non sei abbastanza forte. Quindi sta a te ucciderlo. Ora!- le sue grida mi riscossero dallo shock. Il vampiro aveva preso a gridare, ma dalla sua bocca sanguinante uscivano soltanto fiotti scuri e gemiti disarticolati. Strinsi la presa attorno all'elsa, ma le mie mani stavano tremando. La mia testa era annebbiata. Le grida, il cozzare delle armi, i morti, l'aria satura di morte.
-Voglio...- il gorgoglio che provenne dalle labbra del combattente si perse in altro sangue.
-Voglio...vivere- concluse, e quell'unica frase mi strinse il cuore. Vivere. Tutti lo volevamo. Ma la violenza ci aveva sopraffatti. Gli orrori della guerra. Ora sembrava tutto più chiaro. Noi Minori ci credevamo così forti, quando riportavamo a casa le carcasse dei Licantropi. Ma non avevamo mai affrontato una guerra. Non sapevamo niente, di quello che invece ci vantavamo di conoscere.
-Fallo!-
Alzai la lama sul suo petto. Poi, la calai. Il metallo si fece largo nella carne, tagliente, aprendo sul suo petto un triste sorriso sanguinolento. Il ragazzo sputò fuori altro sangue, cercando di gridare aiuto. Intanto la ferita che lo stava conducendo alla morte, continuava a consumare tutto ciò che trovava, tessuti, ossa, muscoli. Con il coltello conficcato nel suo petto, spinsi, aprendo un taglio verso il suo cuore. Gettai via l'arma. Le mie dita si affacciarono sulla ferita. Trattenni il respiro, quando immersi la destra nel suo petto. Il suo cuore era fermo, ma in esso si concentrava la vita sulla quale noi umani ci interrogavamo. Lo estrassi con forza. A quel punto, Marien me lo rubò dalle mani, e stringendolo nel pungo, cancellò ogni residuo di vita dal corpo del vampiro. In silenzio, egli sembrò quasi addormentarsi.
-Ora sai...che la morte non è divertente come credevi- non sentii neanche quelle parole. Una fitta alla bocca dello stomaco mi gettò da parte, e vomitai tutto quello che avevo nello stomaco. Le mie mani erano lorde di sangue, così come i miei vestiti. Quello poteva essere Evan. Poteva essere Daniel. Il solo pensiero minacciò per un secondo di farmi perdere i sensi. Mi pulii la bocca con il dorso della mano, disegnando le mie labbra con il rosso del sangue.

Ora vorrei solo svegliarmi. Un sobbalzo, ed i miei occhi si aprirebbero alla sera cittadina. Tra i sedili dell'autobus, dove mi sono addormentata. Mi accorgerei di aver saltato la fermata, e allora imprecherei tra i denti, mettendomi lo zaino in spalla e mandando un messaggio a mia madre, per dirle di cenare senza di me. Una madre ed un padre che mi aspettano a casa. Scenderei e comincerei a tornare a piedi, con il fresco che mi accarezza la pelle. Continuerei a vivere la mia normalissima vita, ripensando a quel sogno. Così assurdo. Così sciocco. E di tutte quelle immagini, perderei ben presto la memoria. Come quando si sogna, e si perdono pezzi di storia. Ci si trova in luoghi sconosciuti senza sapere come vi si è giunti. Perderei tutto. Ma quel ragazzo...Evan. No, lui no.
Rimarrebbe un punto interrogativo nella mia testa. Lo strano personaggio di un sogno che mai avrei raccontato.
Se mi svegliassi ora, sarebbe tutto finito. La guerra, le grida, tutto. Ma forse non è ciò che voglio. Forse voglio vivere. O meglio: forse voglio vivere...di nuovo.

-E' finita- la voce di Daniel giunse ovattata, distante. I suoi occhi mi cercavano, ma io sembravo cieca. Vedevo davanti a me soltanto uno stuolo sterminato di cadaveri. Quali fossero i nostri morti, e quali i nemici, non era chiaro. Strinse il pugno attorno alla spada. Poi, la lasciò cadere a terra. L'erba era fradicia di umidità e sangue.
-E' veramente finita- il cielo era ancora scuro, e lo sarebbe stato per sempre, dal momento che la terra dei Porfirici non conosceva l'abbraccio della luce del giorno. Questo rendeva il rosso vivido meno visibile. Non volevo vedere. Desideravo che i miei occhi fossero ciechi. Che le mie orecchie smettessero di ascoltare, per non dover sentire quelle parole.
Noi sopravvissuti eravamo tutti in fila. Spalla a spalla, e guardavamo l'orizzonte nebuloso. Selìn tossì, cercando di coprirsi la bocca, ma ai lati della sua bocca colò una goccia cremisi. La sentii perdere l'equilibrio, e Dan fu abbastanza pronto da sorreggerla, stringendosela al petto.
-Non ora. Non è da te cadere in ginocchio- lei sorrise, cercando di reggersi inutilmente sulle proprie gambe. Un uomo si avvicinò, i suoi abiti pregni di sangue e terra. Era uno dei soldati di Antoin. Alzò la spada, puntandola alla gola di Daniel, intimandogli di lasciarla. Riluttante, lasciò la presa attorno alle spalle della ragazza, ed ella cadde a terra, senza un rumore. Si accasciò al suolo, attutendo la caduta con le mani, continuando a tossire sangue sull'erba.
-Avanti, rialzati- fu Daniel a parlare, stavolta. Il suo tono voleva essere duro, ma colsi quella nota di disperazione.
-Rialzati. Ti prego- lo disse tra i denti, in un grido scuro. La vampira serrò con forza i pugni, ed in un gemito tentò di rimettersi in piedi. L'uomo di Antoin le puntò la suola dello stivale sulla spalla destra, e con una spinta la fece rotolare sulla schiena. Daniel trattenne un ruggito tra i denti. Abbassai lo sguardo sulle mie mani, serrate sul ventre.
-Una Morvant che non riesce neanche a rialzarsi...è uno spettacolo raro questo- la guardia scoppiò in una risata stridente, fastidiosa, che fece tremare Daniel di rabbia. Sembrava che un filo sottile lo stesse trattenendo dall'impazzire completamente. Un ultimo filo di buonsenso.
Quando l'uomo del Re si voltò a guardarmi, abbassai lo sguardo. Fece per afferrarmi, ma Daniel si frappose fra di noi. In un attimo, l'uomo lo mise a terra, calciandolo sui fianchi, mozzandogli il respiro.
-Fetidi traditori...- sputò a terra. Poi, le sue dita si strinsero sui miei capelli, strattonandomi fuori dalla fila. Trattenni un grido di dolore, prima di finire con le ginocchia nel fango. Il soldato si fermò, afferrandomi per il fianco. La stretta violenta che mi aspettavo giunse. Mi rimise in piedi, trascinandomi per un polso. Cercai di dimenarmi, ma la sua stretta era troppo serrata. Ebbi il tempo di incontrare lo sguardo di Daniel. Era riuscito a tornare in piedi, mentre altri dei suoi compagni avevano fatto altrettanto con una stanca Selìn. Mosse un passo nella nostra direzione, ma altre guardie di Antoin lo circondarono, afferrandolo per le braccia, tenendolo fermo. I suoi occhi erano pozzi scuri di dolore e fallimento. Le sue labbra tremarono, mormorando un "perdonami". Questo un momento prima che un colpo alla nuca lo rendesse innocuo.
Venni scaraventata in avanti, e rotolai per qualche metro. Quando mi fermai, qualcuno mi fece voltare con la schiena al suolo. Mani e braccia mi costrinsero a tornare in piedi.
Era davvero finita.
Gli occhi cinerei di Antoin furono su di me. Sembravano più scuri di come li ricordavo. Duri come punte d'acciaio. Spietati e furiosi. Un'ira trattenuta, composta. Una rabbia silenziosa, quasi educata, che poteva sfociare solo in crudeltà sottile, affilata. Sorrise, ed i suoi canini si mostrarono al di sotto delle labbra.
-Emily- pronunciò il mio nome come se fosse una bestemmia oscena. Scossi il capo, spostando le ciocche di capelli sudici che mi ricadevano sul volto. Portava una corazza simile a quella dei soldati di Evan, ma la sua era linda e splendente. Non v'era alcuna traccia di sangue, di terra. Era il tipo di Re che guardava i suoi uomini morire dall'alto di uno trono.
-Dov'è Evan?- chiesi secca. I nostri sguardi si incrociarono per un attimo, senza che nessuno abbassasse gli occhi per primo. Poi, il Sovrano scoppiò in una risata fragorosa, divertita, letale.
-Mi aspettavo questa domanda. Il tuo dolce Principe...- mosse un passo avanti, superandomi, per rivolgersi alla schiera di sconfitti. Il suo volto trasudava una soddisfazione irritante.
-Il vostro amato "Liberatore"; colui che avete giurato di servire con tanta fedeltà, tanto da ribellarvi al vostro Re....portatelo qui!- gridò quell'ordine, e dalle file di uomini che si schieravano alle spalle del Sovrano, intravidi il guizzo chiaro degli occhi di Evan. Lo tenevano per le braccia. La sua corazza era lorda di sangue, abbozzata dove l'acciaio aveva cercato di farsi strada fin nella carne. Un lungo taglio scuro gli attraversava il volto. I capelli biondi si erano impastati di sangue e fango, a coprire l'occhio sinistro. Lo teneva chiuso, ed immaginai fosse per quello squarcio sul viso.
-Poveri idioti. Credevate davvero che vi avrebbe condotto alla vittoria? Che avrebbe ripagato la vostra fiducia!?- scoppiò in un'altra risata. Strinsi i denti. Non poteva dire davvero. Evan non era sconfitto. Noi non avevamo perso. Nessuno di noi era ancora perduto. Potevamo combattere. Potevamo...sperare. La nostra unica arma ora era la speranza. E se Evan era caduto, allora non avevamo neanche più quella. Mi voltai di scatto. Una rabbia cieca e disumana mi pulsava nel petto. Fronteggiai Antoin, sputandogli in faccia tutto il mio odio.
-Stronzate! Evan non ci ha illusi! E' un uomo d'onore, mentre tu non sai neanche cosa voglia dire!- quando finii, la gola mi bruciava, tanto avevo gridato. Sentivo gli occhi farsi umidi. Lacrime di disperazione. Non volevo arrendermi. No, mai.
La mancina del Re fu repentina. Mi afferrò per il collo, avvicinando il suo volto al mio. Il suo viso era pulito, la pelle lucente. Mentre il mio era una maschera di fuliggine e sangue.
-Onore? Come può una bastardina come te parlarmi di onore? Sei soltanto il frutto di un errore, e come tale, ti cancellerò dalla faccia di questa terra. Darò il suo corpo in pasto ai miei cani, e berrò il sangue della tua gente dal tuo cranio- il ringhio dell'uomo mi arrivò sulla faccia. Poi, in uno strattone, mi gettò contro la guardia.
-Tutti assisteranno, mentre mi nutrirò di te. Tutti assisteranno alla mia nuova natura- si voltò verso suo figlio, che gli giaceva alle spalle, in ginocchio. Respirava a fatica, stancamente.
-E tu, traditore del tuo stesso sangue...avrai il posto d'onore- i suoi occhi brillavano di una follia spaventosa. Il soldato mi afferrò alle spalle, cingendomi con le sue braccia, così che non potessi muoverle. Iniziai a scalciare, ma questo mi strinse più forte, spezzandomi quasi il fiato, sollevandomi da terra. I miei piedi colpivano l'aria, mentre cercavo di liberarmi.
-Non riuscirai ad avere da me ciò che desideri, Antoin! Quando ti avvicinerai a me, il senso di pericolo farà risvegliare quella parte di me che tanto disprezzi e brami!- gridai. La mia voce grattava le pareti della mia gola, dolorosamente. Avevo passato ore intere a gridare affinché nel rumore della battaglia, il corpo medico mi sentisse. Non che poi ci fosse molto da dire. "Deceduto". "Ferito". Queste erano le parole che più spesso si ripetevano. Il Re ignorò le mie parole, sorridendo.
-Procedi con l'iniezione- comandò ad un'altra delle sue guardie. Solo quando questa, giungendomi davanti, estrasse una siringa da un astuccio di velluto, compresi.
Presi a muovermi con foga, come un topo tra le fauci del serpente. I miei calci colpirono più volte le gambe dell'uomo che mi sosteneva, ma senza sortire alcun effetto. L'altro mi afferrò i capelli, tirando con forza, ed in un gemito strozzato fui costretta a piegare il capo lateralmente. Il mio collo era scoperto, sporco di fuliggine e terra. Vi fece calare l'ago senza esitazione, tenendomi il capo immobile. Quando il liquido si prosciugò dalla piccola fiala, estrasse l'ago, lasciandomi andare. Caddi a terra, cercando di rimanere sulle mie gambe, ma queste si fecero molli. Mi ritrovai con il viso tra i fili umidi d'erba, mentre il mio intero corpo perdeva gradualmente sensibilità, così come la mia mente si fece silenziosa, incapace di ragionare. Ogni parte di me sembrava anestetizzata, prossima alla morte. Una pace ed una tranquillità inquietanti avevano preso possesso di me, ed ora non sarei più stata in grado di temere nulla, di sentirmi in pericolo. Ero troppo confusa anche solo per pronunciare mentalmente quella parola.
-No...- udii la voce di Evan come un gemito lontano, ovattato. Ed era tremante, forse di paura, forse di rabbia. O forse le lacrime stavano nuovamente scivolando via dai suoi occhi color dell'infinito, mescolandosi al sangue che gli ricopriva la faccia. Non guardai. Non avevo neanche le forze di tenere le palpebre aperte.
-...io non sono morto, padre. E finché anche il mio corpo non sarà lauto pasto per i tuoi mastini, tu non mi avrai sconfitto- a quel punto, tutto stava sbiadendo. Voci, suoni, odori. Ma potevo ancora udire le sue parole di speranza. In fondo, Evan non si sarebbe davvero mai arreso. E questa poteva essere la nostra benedizione, e al tempo stesso la sua condanna. Antoin si voltò a fronteggiarlo. Il suo furore era sul punto di esplodere.
-Sono stanco della tua inettitudine. Stanco dei tuoi tradimenti! Sei come tua madre: una sporca vipera che non ha fatto altro che tramare contro la sua stessa famiglia- quelle parole colpirono Evan come uno schiaffo in pieno volto, e sebbene il suo viso fosse ridotto ad una maschera di sangue, potei vederlo digrignare i denti, emettendo un ringhio gutturale.
-Tu l'hai uccisa! E ora ci stai gettando tutti nel tuo inferno di follia!- in quel grido sprezzante, le sue braccia scattarono, scansando brutalmente le guardie che lo tenevano. Tentò di rialzarsi sulle proprie gambe, in cerca di una spada, ma ricadde sulle ginocchia, tenendosi il ventre in un sibilo di dolore. L'intero esercito di Antoin rise, mentre il Principe veniva nuovamente immobilizzato. Suo padre si portò le mani alle tempie, come a voler sedare un eccesso di collera improvviso, poi si rivolse ai suoi uomini.
-Ne ho abbastanza: procediamo- a quell'ordine, Evan gridò con quanto più fiato avesse in corpo, ma le guardie del Re lo costrinsero a terra. Avevo ancora la testa appannata, quando mi trascinarono su quella che doveva essere una roccia. Volevo aprire gli occhi, ma questi non facevano altro che richiudersi pesantemente. Mi immobilizzarono le braccia sopra il capo, ma nelle condizioni in cui il mio corpo e la mia volontà versavano, quelle precauzioni erano del tutto inutili.
-Evan...- riuscii soltanto a mormorare. Volevo sentire la sua voce, perché sapevo che ora non avrebbe più potuto fare nulla. Volevo sentirla almeno un'ultima volta. Anche la morte sarebbe stata accettabile se avessi immaginato Evan al posto di Antoin. Percepii la mano di quest'ultimo afferrarmi il volto, costringendomi a sollevare il mento. Il mio collo era scoperto, a portata delle sue labbra. Lo sentii avvicinarsi. Non riuscivo neanche a tremare, a scalciare. Potevo soltanto cercarlo nel buio della mia mente.
-Evan...-

I miei occhi sembrano essere stati ciechi così a lungo, quando percepiscono quel bagliore improvviso, lontano ma terribilmente luminoso. E' un attimo. Come il flash di una macchina fotografica. Poi sparisce, e al suo posto c'è come un ronzio. Poi una voce. Nulla, alla mia vista, ha corpo. Siamo voci che fluttuano nel buio.
-Evan...- dico ancora, ed il frusciare di vesti si avvicina, simile al gorgogliare di una fonte d'acqua. Non c'è paura. Non c'è nulla in me, se non una sensazione di pace straordinaria. Nel buio una sagoma prende forma, lentamente, aprendosi alla mia vista. Ha capelli così chiari che sembrano fili di luce pura, e ricadono attorno al suo volto a forma di cuore. L'incarnato è così pallido che non riesco a capire dove la sua fronte candida lasci il posto all'attaccatura della chioma. Poi i suoi occhi. Sono del blu profondo del mare.
-Astrid...- dico. Non l'ho mai vista, eppure so che è lei. Una parte di me, non so bene quale, lo ha sempre saputo. Forse è un ricordo lontano, che credevo di aver dimenticato.
Il suo sorriso è come un'onda che mi attraversa, portando via anche gli ultimi residui di terrore. Mi porto le mani al capo, coprendomi gli occhi. Non è il momento per sognare. Voglio svegliarmi, ma non riesco a lasciare questa realtà illusoria.
-Non cercare di andar via, Emily. Non prima di aver ascoltato ciò che ho da dire- la sua voce è delicata, melodiosa. Tutto, in lei, sembra estremamente perfetto, irreale.
-No...non ho tempo per questo...Evan...- le sue mani sono una carezza fresca sul mio volto. Le dita della donna scivolano tra i miei capelli, accarezzandomi le orecchie, ed io voglio soltanto che la smetta di tormentare la mia mente. Voglio che tutto questo finisca. Quando alzo lo sguardo sui suoi occhi, questi tremano nel sentire il nome di suo figlio. Poi sorride, con un trasporto ed una dolcezza che mi stringe il cuore, e quasi lo sento frantumarsi in mille pezzi.
-Evan sta morendo. Lo so. Quindi ascoltami. Ti prego-
-Mi hai abbandonata una volta. Cosa vuoi ora?- le mie parole sembrano ferirla, ma la presa sul mio viso non cede, ed ora mi sta stringendo al suo petto, che è immobile. Vorrei non farlo. Vorrei non sentirmi così bene, tra le braccia di una donna che è mia madre, ma che non ha mai fatto nulla per riavermi. Vorrei non aver mai saputo di lei. Vorrei non conoscere il suo nome.
-Voglio che tu ti svegli, Emily- ho bisogno di qualche secondo per riuscire a rispondere. La sua pelle profuma di spezie e pioggia.
-Non posso farlo, se continui a tenermi qui- stringo i denti, e senza controllo inizio a piangere di rabbia. Sono un vaso riempito fino all'orlo di frustrazione. Perché non posso fare assolutamente nulla. Lasciami andare. Lasciami morire.
-Non come un'umana, Emily. Devi svegliarti, per ciò che sei-
-Mi hanno sedata. Non posso- mi scosta da sé, gentilmente, e le sue mani mi stringono delicatamente le spalle. I suoi occhi sono rapide ombrose nei miei. Gentili, ma densi di una disperazione che mi fa male.
-Sei convinta di non poterlo fare. Come un figlio lotta nel ventre di sua madre per venire alla luce. Non c'è nulla che possa fermarlo. Nessuna droga può arginare la tua disperazione. Io ti ho cercata. Quando sei nata, sapevo che ti avrebbero portata via da me. Ho lasciato in te quanto potevo, affinché un giorno potessi vedermi come ora mi vedi. Affinché potessi sentirmi. Sono sempre stata qui, Emily. In silenzio. Ma ora è giunto il momento che tu ascolti la mia voce. Per te stessa, e per Evan- con la destra mi accarezza il volto, reclinandolo piano. Il suo respiro sa di miele, ed è sulle mie clavicole. Sale piano fino al collo.
-Svegliati, Emily. Svegliati e rinasci come mia figlia- poi, i suoi denti calano nella mia carne.

Venni alla luce in un grido terribile, rauco e straziante. Venni alla luce nel buio della notte. Le mani artigliate alla pelle scavavano a fondo con le unghie. Il caos scese sul campo con la potenza di un tuono. C'era sangue e rabbia, nei miei occhi, ed il mio cuore batteva come mai aveva fatto prima d'ora. Antoin ricadde a terra in un grido scuro, tenendosi il volto sanguinante. Le mie dita avevano scavato nelle sue orbite con una disperazione tale da deturpargli il resto del volto. Una fame nera si agitava nel mio ventre. Un mostro incontrollabile che era emerso da abissi sconosciuti, reclamando sacrifici. Due uomini mi furono addosso. Con un balzo agile saltai al collo del primo. Gli afferrai il capo tra i palmi, torcendolo di colpo. Il suo collo emise un rumore sinistro, afflosciandosi di colpo come una marionetta a cui fossero stati tagliati i fili. Volevo nutrirmi di morte, era tutto ciò che il mio cervello era in grado di pensare. La confusione sembrò cedere per un attimo in un silenzio di sconcerto. Poi, le voci eruppero come lava, inondando la vallata. C'erano grida di speranza, di guerra, di dolore. Respirare il fetore del sangue, dei corpi straziati e bruciati, era un richiamo delizioso per la bestia senza controllo. Sapevo di non poterla placare, ora che aveva preso possesso del mio corpo, ma ero così tremendamente incazzata da non volerci neanche provare. Non eravamo due entità distinte. Dove finiva la mia razionalità, iniziava la sua collera. Volevo vederla impazzire, uccidere, esplodere. Volevo che seminasse il caos più puro. Il secondo uomo di Antoin indietreggiò. Potevo sentire la sua paura, adesso. Ma non faceva altro che alimentare la mia fame. Lo afferrai per il collo con la mancina, e la destra affondò nel suo ventre con una forza tale da aprirsi un varco nella sua carne. Premetti ancora, e le mie dita lo trapassarono da parte a parte. Quando sfilai il braccio, era zuppo di sangue. Me lo portai alla bocca, leccandolo con avidità.
-Idioti! Uccidete quel mostro!- la voce di Antoin mi raggiunse, mentre i suoi uomini cercavano di organizzarsi per avvicinarsi a me. Che venissero pure. Quel mostro, non stava aspettando altro.
-Emily!- era Daniel quello che ora mi stava venendo incontro. Alle sue spalle, le file di Evan si erano ribellate, e la guerra era tornata al principio. Una parte di me fremette, vedendolo arrivare, ma non riuscii a fermarmi. Lo scaraventai lontano con una gomitata nell'addome, mandandolo a rotolare a terra. Subito, la bestia ruggì, eccitata dalla sua paura, dal suo sconcerto. Lo intrappolai sotto il mio peso, pronta a calare con le fauci sul suo volto. Qualcuno mi afferrò alla radice dei capelli, spostandomi con forza. Selìn mi affrontava. Non c'era paura nel suo cuore, non ne percepivo l'odore. Non temeva ciò che aveva davanti gli occhi, ma temeva di dovermi uccidere. Non volevo che tutto ciò accadesse, ma ormai non avevo più controllo. Di fronte ai miei occhi, agli occhi dell'animale che ero diventata, c'erano soltanto prede e vittime.
-Emily, fermati!- era la sua voce. Era debole. Abbattuta. Tremante. Ma era la voce di Evan. Era ancora vivo. Mi voltai nella sua direzione, in un latrato spaventoso, digrignando i lunghi canini. In un attimo, stavo correndo contro di lui. A quel punto, non sembravo neanche più un essere umano. Correvo a quattro zampe, artigliando con le unghie ciuffi di erba, saltando cadaveri. Quando balzai per gettarmi su di lui, fu abbastanza pronto da scartare di lato, mandandomi con la faccia nella polvere. Mi risollevai agilmente, scuotendo i capelli biondi dall'erba. Aveva un occhio sanguinante, dove una lama doveva averlo colpito, ed i suoi movimenti erano più lenti, più stanchi. Mi sollevai sulle gambe, gettandomi su di lui.
Le nostre mani si unirono sopra le nostre teste, mentre ci spingevamo a vicenda, cercando di far retrocedere l'altro. Gli ringhiai sul viso, mordendo l'aria. Poi, senza darmi il tempo di capire, abbassò improvvisamente le braccia, trascinandomi verso il suo petto, come in un abbraccio. La ginocchiata che seguì mi spezzò il respiro, e lentamente caddi a terra, tenendomi il ventre, gorgogliando come una belva ferita.
-Tenetela!- a quell'ordine Selìn richiamò altri Morvant. Mi immobilizzarono contro il terreno. Più cercavo di liberarmi, più altre braccia si aggiungevano a tenermi gli arti. La destra di Evan si chiuse sul mio collo come una serra, e dalle mie fauci uscì soltanto un sospiro strozzato. Le sue labbra si dischiusero sul mio collo, in prossimità della giugulare. I suoi denti mi lacerarono la carne con precisione. Il sangue che ne uscì aveva un odore forte, selvaggio, ed era di un rosso così scuro da sembrare nero. Cercai di agitare il capo, ma qualcuno mi aveva immobilizzato con le mani ai lati del volto. Bevve dal mio corpo, e quando ebbe finito, le sue labbra scintillavano rosse di sangue. I suoi occhi scrutarono nel mio animo in tempesta.
-Da ora, io sono il tuo Creatore. Mi apparterrai per i secoli a venire. Soltanto il mio sangue potrà placare la tua rabbia. Soltanto la mia voce potrà lenire il tuo dolore. Soltanto i miei ordini potranno piegare la tua volontà- recitò quelle parole con voce grave, come un rito. Strattonai il braccio destro, e due vampiri vennero sbalzati via, ma prima che potessi riassumere il controllo, altri tre giunsero a bloccarmi nuovamente. Evan avvicinò il proprio polso alla bocca, incidendovi un taglio netto, scuro. Poi, me lo premette contro le labbra. Le serrai di colpo, gridando, agitandomi. Il mostro non voleva padroni. Non voleva essere legato ancora. Aveva assaggiato la libertà ed ora ne era ebbro.
-Ed ora, Emily, io ti ordino di bere il mio sangue- a quelle parole, non potei far altro che dischiudere la bocca. Non volevo, ma una forza insormontabile mi costringeva a farlo. La sua pelle scivolò nel mio palato, ed i miei canini si posarono tra le labbra della ferita. Iniziai a succhiare con avidità, affamata. Ad ogni sorso di quel dolce nettare, una parte di quella follia che mi aveva posseduta, sembrava scivolare via, trasportata da correnti troppo forti. Ben presto, non ci fu più bisogno di tenermi ferma. Avevo socchiuso gli occhi, e lasciavo che la mia bestia si nutrisse in silenzio, ritrovando la sua pace.

Era assurdo anche solo pensare a come le sorti di quella guerra si fossero ribaltate. Gran parte dell'esercito di Antoin si era dato alla fuga, terrorizzato dal mostro che la mia anima aveva partorito e dalla decisione con la quale gli sconfitti si erano sollevati di nuovo, imbracciando le armi.
Con il loro Re cieco e spaventato, i suoi uomini erano caduti nel panico, e chi non era riuscito a scappare, si era schierato con Evan, pregando il perdono. Quando tutto era finito, il campo era una distesa di corpi e fumo. Uno spettacolo inguardabile, che aveva sancito il sacrificio di quella guerra fratricida.
Mi strinsi le braccia attorno al corpo. Faceva freddo, quella notte. C'era silenzio, ma per una volta non lo trovai rilassante. La piazza era immobile. Centinaia di figli della notte assistevano con l'immobilità delle statue, mentre Evan si portava in mezzo alla folla. Era passata appena una settimana, da quel giorno. Alzai lo sguardo nella sua direzione. I capelli biondi erano puliti, lisci, e ricadevano ad incorniciare il suo volto. Dove una lama aveva scavato via l'orbita, facendogli perdere l'occhio sinistro, una benda scura nascondeva il vuoto lasciato al suo posto. Era di tessuto nero, ed una rosa blu notte era stata ricamata al centro di essa. Alle sue spalle, si ergeva un'enorme pira dalla quale spuntava il lungo palo al quale era stato legato Antoin. Quando lo avevano portato lassù, aveva cercato di ribellarsi, ma a nulla era valso. Ora, della sua regalità, sembrava essergli rimasto soltanto lo sguardo denso di folle orgoglio. Nulla di più.
Non ci fu bisogno di alcun discorso. Semplicemente, il nuovo Re si avvicinò alla pira. Lo sguardo salì a suo padre, ma in esso non scorsi un minimo di pietà. C'era rabbia, in lui. Una follia cieca che a stento riusciva a contenere. Ma nessuna pietà, neanche una briciola. Allora, seppi che quella guerra lo aveva cambiato più di quanto i suoi sorrisi volessero dare a vedere.
Quando accese la pira, questa iniziò ad avvampare velocemente, e ben presto la voce di Antoin invase la piazza, innalzandosi disperata al cielo.
Le fiamme lo avvolsero velocemente, ma la morte non gli concesse il piacere della rapidità. Continuò a gridare a lungo, e quando la sua voce si fece rauca, debole, il popolo iniziò a diradarsi, tornando alle proprie abitazioni. Quando anche l'ultimo se ne fu andato, era passata un'ora. Le guardie scelte di Evan si erano allontanate, rimanendo vigili.
Lo raggiunsi con passo calmo. L'aria era satura di fumo. Evan era rimasto immobile per tutto il tempo, senza distogliere lo sguardo dalla pira neanche per un momento. Senza neanche battere le palpebre, temevo. Le sue spalle si stagliavano contro il rosso danzante del fuoco che continuava a bruciare la legna, ed il silenzio era tornato, accompagnato dal solo scoppiettare delle fiamme. Stava in posizione eretta, autorevole. Ma i miei occhi non si accontentavano di vedere ciò che a tutti voleva mostrare. Era stanco. Una stanchezza terribile dell'animo. Potevo sentirlo. Perché ora eravamo legati. Per l'eternità. Nel tempo che impiegai a raggiungerlo, cercai parole da pronunciare, ma non ne trovai. Evan aveva perso sua madre per colpa di quello che era suo padre. E aveva quasi perso la sua stessa vita per conto di chi anni prima gliel'aveva donata. Ed ora, gli stava restituendo il favore, donando il corpo alle fiamme. No, non c'erano parole che potessi pronunciare. Così, lentamente, in silenzio, feci scivolare le mie mani sotto le sue braccia, da dietro, abbracciandolo delicatamente. Le sue mani si strinsero sulle mie, ed io abbandonai il capo contro la sua schiena.
-Andiamo a casa- disse semplicemente, voltandosi. Mi prese il viso tra le mani, accostando la fronte alla mia. L'unico occhio che gli era rimasto, era lucido. Forse per il fumo sprigionato dalla pira, forse per il dolore.





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