As Your Shadow Crosses Mine di angelofcaffeine (/viewuser.php?uid=412516)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
NdT:
Salve a tutti, qui è therentgirl che parla! Ebbene
sì, dopo aver annunciato ad
alcuni che avrei tradotto questa fan fiction, eccomi qui! È
stata una delle
primissime Kurtbastian che abbia mai letto (non che legga moltissime
fan
fiction lo ammetto :p), oltre che la mia preferita in assoluto. Con
questa
angelofcaffeine penso si meriti di entrare nella rosa delle migliori
scrittrici
di questo meraviglioso fandom, e non mi sembrava giusto continuare a
rimandare
il momento della pubblicazione. Essendo ancora una WIP ed essendo di
molti meno
capitoli di DYR (sebbene siano più lunghi), avverto
già da ora che gli
aggiornamenti non saranno
settimanali! Come sempre, il betaggio è ad opera di @nameless colour, che è davvero
un tesoro e a cui farò una proposta
di matrimonio. (: Per il resto, non ho molto altro da dire, se non che
spero
che apprezzerete questa fan fiction quanto l’ho apprezzata
io! Buona lettura!
Titolo: As Your
Shadow Crosses Mine
Pairings: Kurt/Blaine (passata);
Kurt/Sebastian.
Rating/Avvertimenti:
Giallo (per il linguaggio)/Arancione (alcune parti future includono
discussion su
dub/non-con, come anche colpevolizzazione della vittima).
Note: Volevo solamente scrivere una
storia in cui Kurt e Sebastian diventano migliori amici. Basata su questo
prompt.
Spoilers: va A/U dopo la 3x10:
Yes/No
Disclaimer: Glee non mi appartiene
e
non ottengo profitto da questa storia. Il titolo è tratto
dalla canzone di
Rihanna “We Found Love”.
Link
all'originale
Era stato di
nuovo come con Rachel. Kurt non aveva altro modo di
spiegarlo. C’era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa che
non riusciva ad
impedirgli di diventare amico di qualcuno che disprezzava
incredibilmente.
Dannazione.
*
Era cominciato
tutto a tre giorni dall’inizio della sua nuova vita da
single. Era riuscito a malapena a scappare da Rachel e Mercedes, che
gli erano
state attaccate dalla rottura, ed aveva trovato un angolo relativamente
solitario al Lima Bean e cominciato a lavorare sui suoi compiti di
Matematica.
Naturalmente,
dato che sembrava vivere lì e con frequenza piuttosto
inquietante, l’ombra di Sebastian Smythe si era subito
stagliata sul suo
quaderno.
Sollevò
lo sguardo, disinteressato. “Posso aiutarti?”
domandò, lo
stomaco che si ribaltava alla vista di Sebastian, quel viscido e
bastardo
suricata, che incombeva su di lui.
Il giovane non
si preoccupò di rispondere, si limitò ad inarcare
un
sopracciglio alla vista di Kurt tutto solo.
“Dov’è il fidanzato carino?”
domandò.
“Non
c’è nessun fidanzato carino,”
replicò Kurt, sentendo
momentaneamente il cuore pesante e rimpiangendo d’aver
scaricato le sue
ragazze, che avrebbero capito se avesse sentito bisogno di chiudersi in
bagno e
piangere. (Era stato bravo comunque, fino a quel momento, ad astenersi
dal
piangere di fronte a chiunque non fosse suo padre.) “Quindi
non c’è ragione di
girarmi attorno e asfissiarmi con il tuo puzzo di squallore. Quindi per
favore,
sentiti libero andare via dal mio tavolo insieme alla tua sordida
nuvoletta.”
Sebastian
sorrise, gli angoli degli occhi s’incresparono a quel gesto.
“Non hai intenzione di fare pipì sul tavolo come
con Blaine, vero? Ho sempre
pensato che fossi uno str-”
“Sebastian,
vattene,” sbottò, improvvisamente più
brusco e aspro di
quanto fosse stato prima.
Il giovane fece
un veloce passo indietro, le sopracciglia inarcate,
dunque rispose: “Wow, okay. Ho capito, ho interrotto la tua
sindrome
premestruale. Ci vediamo in giro, Ladyboy.”
Osservando
Sebastian uscire nel parcheggio, tutto ciò cui Kurt
riuscì a
pensare fu, Ucciderò davvero
quell’idiota, un giorno. Lo farò, lo
farò e farò in modo che sembri un
incidente.
Dunque
tornò ai suoi compiti di Matematica, sforzandosi per
ritrovare la
concentrazione al meglio delle proprie capacità.
*
A una settimana
da quell’episodio, Kurt era tornato al suo angolino del
Lima Bean. Questa volta era scappato di casa con il portatile, dato che
Finn
aveva preso confidenza con le loro chiacchierate e aveva voglia di
parlare di
Rachel e di come stesse scaricando il suo stress per la NYADA sulla
loro
relazione, e Kurt… Kurt non riusciva a parlare di relazioni
in quel momento.
Così, aveva portato il suo computer e i suoi compiti al Lima
Bean e stava
provando a scrivere una relazione di storia.
La prima cosa
che aveva fatto era stata spegnere il cellulare. I suoi
amici erano un meraviglioso supporto, e aveva bisogno di ognuno di
loro, ma non
poteva occuparsi del fatto che volessero avere il pieno controllo su di
lui
quando era occupato a pensare alla scuola invece che al dramma del suo
ragazzo
(ex-ragazzo).
“Dunque,”
disse Sebastian, apparendo da uno spiffero d’aria,
perché era
un demone e i demoni avevano questo potere e Dio,
Kurt stava per ucciderlo, “Ho visto che la situazione
sentimentale di Blaine su Facebook è cambiata.”
Kurt
sbatté le palpebre in sua direzione, facendo del suo meglio
per
apparire disinteressato. “Aspetti che io arrivi al Lima Bean
per sbucare fuori?
È così che trascorri i tuoi pomeriggi adesso?
Fatti curare, Sebastian.”
Invece di
cogliere il messaggio (che non era affatto subdolo, era
praticamente un gigantesco cartello luminoso che diceva VATTENE
SEBASTIAN),
Sebastian si sedette al suo tavolo e sogghignò.
“Dimmi cos’è accaduto,
allora,”
disse. “Blaine non risponde alle mie telefonate. Avete
litigato per colpa mia?”
Kurt lo
osservò per qualche momento, cercando di ricordare se il suo
cappuccino ipocalorico fosse caldo abbastanza da ustionare
l’altro. Inspirò a
fondo. “No,” disse. “Non tutto gira
attorno a te, per quanto possa sembrarti
difficile crederlo.” Sebastian continuò a stare
lì seduto con quel fastidioso
sopracciglio inarcato, quella fastidiosa faccia da scoiattolo, dunque
Kurt
decise che parlare fosse meglio che stare in silenzio. “Ha
detto,” cominciò,
saggiando sulla lingua la ragione che gli aveva dato Blaine,
“Che gli piaceva
davvero avere un fidanzato, che lo amava, ma che era indifferente che
fossi io
o qualcun altro.”
“Dici
sul serio?” domandò Sebastian, inarcando
maggiormente il
sopracciglio.
Smise risoluto
di prestare attenzione alle sue stupide sopracciglia e,
invece, fissò lo sguardo sullo schermo del suo computer.
“Sul
serio,” rispose. “Quindi credo che fossi coinvolto.
Ha detto che ha
capito di amare le attenzioni, non perché fossi tu, ma
perché erano attenzioni.
Ha capito che era lo stesso con me.”
Deglutì,
rifiutandosi di mostrare le proprie emozioni, nonostante tutto
ciò che stava pensando fosse non
eri
speciale, non eri amato, sei stato usato. Sempre e solo usato.
“Huh,”
sospirò Sebastian alla fine, e Kurt volse nuovamente la sua
attenzione alla relazione. Scrisse alcune parole, senza curarsi che
avessero
senso, sperando solo che l’altro cogliesse. Aveva avuto quel
che voleva… aveva
rotto con Blaine, era confuso e ferito… non aveva bisogno di
girargli attorno
per osservarlo scrivere una relazione. “Deve essere uno
schifo per te.”
“Già,”
rispose. “Asciuga le lacrime e poi vattene. Sento il mio Q.I.
sprofondare ad ogni minuto trascorso nelle tue vicinanze, e ho davvero
bisogno
di finire questa relazione senza monosillabi.”
Sebastian rise a
quelle parole, ma lui si rifiutò di sollevare lo
sguardo.
“Per
quanto possa importarti,” disse il giovane, un certo
divertimento
nella sua voce. “Ti disprezzo precisamente perché
sei tu. Non perché tu sia
qualcuno da disprezzare.”
Kurt
provò a trattenersi per un secondo, ma non ce la fece;
scoppiò a
ridere e serrò gli occhi nel farlo.
Dovette
ammettere, quando Sebastian gli rivolse un sorrisetto prima di
alzarsi e lasciare la caffetteria, che quella fosse la prima volta che
avesse
riso sinceramente da quando era stato scaricato.
Bene. Era stato
così.
*
A un certo
punto, durante i due recenti incontri al Lima Bean, Sebastian
doveva aver rubato il suo numero di telefono, perché il
giorno dopo a scuola
ricevette un messaggio da SMYTHE.
Qualcuno
ha investito un gatto mentre andavo a scuola oggi. Ha strillato. Mi ha
ricordato te.
Kurt
aggrottò le sopracciglia per qualche momento, dunque
rispose: Sei un essere spregevole.
Tre ore dopo,
mentre Kurt sedeva nella sala del glee in attesa che Mr
Shuester giungesse al punto, lo schermo si illuminò a
mostrare una risposta.
Un
essere
spregevole con un magnifico fondoschiena, comunque.
Quando Kurt
rise, Finn e Rachel si chinarono avanti per guardare a lui
oltre Mercedes. Kurt scrollò le spalle.
*
Per Kurt Hummel,
la scuola era stata un Inferno in diverse forme durante
la sua adolescenza. Prima c’era stato il bullismo in generale
– granite che
rovinavano i suoi completi preferiti e lo facevano sentire miserabile,
gettato
sugli armadietti molte volte come passatempo dei giocatori di football
– e poi
c’era stato Karofsky, che aveva reso ogni angolo della scuola
una minaccia,
dato che poteva essere ovunque, e ora c’era Blaine.
Non che
l’altro stesse facendo qualcosa di proposito, ma solo il
fatto
che fosse troppo vicino era difficile. Qualche giorno era
più facile di altri
(qualche volta si era svegliato ribattendo a quell’inferno
con parole come, Sono Kurt Elizabeth Hummel e
posso fare
qualsiasi cosa), ma altri giorni avrebbe voluto dimenticare
tutto, poi
vedeva Blaine ridere o dirigersi in classe o solo esistere, e tutto gli
crollava addosso.
Era stato in una
di quelle brutte giornate (il terzo giorno dopo la
rottura che si era chiuso in un fetido cubicolo di un bagno, solo per
essere
solo mentre si convinceva a non piangere) che Sebastian si fece di
nuovo vivo.
Kurt aveva un
sacco di pazienza. Viveva con Finn, per l’amor di Dio,
certo che aveva un sacco di pazienza. Rachel Berry era una delle sue
migliori
amiche, e con lei c’era un bisogno quasi costante della
regola del “conta fino
a dieci”. Era un pacifista, non importava quante volte avesse
subito angherie.
Comunque, quando
stava attorno Sebastian Smythe, la nuvola di pazienza
sulla quale viveva si dissipava immediatamente.
“No,”
fu il suo unico saluto.
Sebastian si
sedette comunque di fronte a lui. “Ciao, Kurt,”
disse con
un finto tono allegro. “Mi piace il tuo maglione; penso che
la mia sorellina ne
abbia uno uguale.”
“La
tua sorellina ha ereditato i geni del buon gusto,” rispose,
rivolgendogli finalmente lo sguardo. “Come posso aiutarti nei
tuoi piani
diabolici, oggi, Smythe?”
Il giovane fece
un sorriso smagliante. “Stavo solo pensando che mi
mancava il suono di autocommiserazione, ed eccoti qua.”
“È
buffo,” rispose. “Stavo giusto pensando che mi
mancava l’aura di completa
mancanza di amor proprio. Grazie per avermi aiutato.”
“Prego,
Kurt Hummel,” rispose Sebastian, dunque tirò fuori
il suo
portatile e si sistemò di fronte a lui.
Kurt rimase a
guardarlo per qualche momento, gli occhi sgranati, dunque
domandò: “Cosa pensi di fare?”
L’altro
sollevò lo sguardo, dunque lo abbassò di nuovo al
portatile.
“Cosa pensi che stia facendo? Non è abbastanza
ovvio da comprendere per il tuo
cervellino ricolmo di estrogeni?”
“Sembra
che tu voglia stare al computer al mio tavolo,” gli fece
notare.
Il sorriso del
giovane si fece condiscendente. “Ben fatto, Kurt. La
prossima volta impareremo come si allacciano le scarpe.”
“Non
ti siederai accanto a me, Smythe,” rispose.
Sebastian
abbassò lo sguardo alla sedia, il volto gli si
illuminò di
falsa sorpresa, e Kurt (che davvero, di solito era un pacifista) ebbe
voglia di
dargli un pugno su quella stupida faccia. “Buffo, sembra che
io lo stia già
facendo, a dire il vero.”
Kurt
sollevò lo sguardo al soffitto e contò fino a
dieci. E poi contò
fino a venti, giusto per essere sicuro, prima di tornare a guardarlo e
affermare: “Non sei il benvenuto qui.”
“Ma
ero qui prima di te,” rispose l’altro.
“No
tu…” cominciò, più forte e
più aspro di quanto intendesse, dunque
inspirò a fondo. “No, non è vero. Sei
appena arrivato, io sono stato qui per
mezz’ora.”
Il giovane gli
rivolse un sorrisetto. “Intendevo al mondo. Sono due mesi
più grande di te.”
Kurt chiuse gli
occhi. Quando li riaprì, guardò deliberatamente
allo
schermo del portatile invece che alla sua faccia sorridente da
roditore. “Prima
di tutto, ciò è irrilevante. Seconda cosa, il
fatto che tu sappia quando sono
nato è inquietante al massimo.” Sebastian
ridacchiò. Si disse di mantenere la calma.
“E terzo, se devi studiare, devi stare in silenzio. Devo
scrivere un tema.”
Ed ecco come
Kurt finì con lo stare seduto di fronte a Sebastian Smythe
per un ora. In qualche modo, era riuscito a trattenersi dal dargli un
pugno per
tutto il tempo. Quando se ne andò, comunque, sedette in
macchina per cinque
minuti, sbattendo la testa contro lo sterzo.
*
Hai
vinto
le nazionali di cheerleading cantando Céline Dion in
Francese? Chi diavolo SEI?
Kurt
fissò il messaggio, dunque abbandonò il telefono
durante la sua
pulizia del viso. Quando tornò, il messaggio era ancora
lì, ed era ancora da
SMYTHE.
Sono
magnifico, rispose,
seguito da: Smettila di
perseguitarmi, stalker.
*
Di solito, Kurt
era il primo ad arrivare al Lima Bean e Sebastian lo
raggiungeva qualche minuto dopo. Non avevano giorni prestabiliti
– qualche
volta Sebastian non si faceva vivo e dovevano essere giorni in cui
preferiva
fare i compiti da solo – dato che non erano amici e quella
non era altro che
una routine fatta di coincidente. Occupavano un tavolo al Lima Bean
riempiendolo di roba, e Kurt aveva deciso che i commenti di Sebastian
erano un
test per la sua pazienza e sarebbe diventato più forte.
Si sedette
pesantemente di fronte all’altro studente, dunque
inspirò a
fondo e costantemente.
In seguito,
ritornando a quel momento, Kurt avrebbe realizzato che
quella era la prima volta che si fosse avvicinato a Sebastian che
viceversa. A
quel punto, comunque, le sue mani sembravano cercare qualcosa da fare,
così
lasciò la borsa sulla sedia e dunque si diresse, stordito,
verso il bancone.
Gli sarebbe
sopravvenuto anche, guardando indietro, che doveva aver
imparato l’ordine di Sebastian per osmosi. Piazzo le due
tazze di caffè sul
tavolino, dunque vi gettò in mezzo una busta bianca.
Finalmente,
Sebastian sollevò lo sguardo, quindi aggrottò le
sopracciglia verso una delle tazze. “Uh, grazie,”
disse, confuso. “A meno che
non siano entrambe per te…?”
Kurt si mise
nuovamente a sedere. Le mani gli prudevano ancora. “No,
è
tuo. Non dire niente.”
“Perché
no?” domandò l’altro. “Che
cos’è successo? Cos’è quella
busta?”
Si
sentì male. “Viene dalla NYADA.”
“NYADA?
Hai mandato il modulo d’iscrizione alla NYADA?”
domandò il
giovane, suonando onestamente interessato. “Oh,
Gesù. Non potrò andare a New
York allora.”
“Huh?”
domandò, chiedendosi se fosse in stato di shock.
“La
scelta è tra New York o Parigi, non ho ancora
deciso,” rispose
Sebastian. Ovvio che fosse sicuro riguardo il suo college dei sogni,
era
Sebastian. Non riuscì a raccogliere le energie per
desiderare gli dargli un
pugno, perché anche se lo stava osservando era ancora
totalmente immerso nel
pensiero di quella piccola lettera accartocciata e non ancora schiusa.
“Sei
entrato?”
Sentì
il respiro divenire tremulo. “Non lo so, non l’ho
ancora aperta.”
Il sopracciglio
di Sebastian scattò in su. “Perché
no?” domandò.
Kurt
scrollò le spalle, dunque tirò le maniche
estremamente lunghe del
suo maglione, dato che aveva bisogno di qualcosa da fare.
“Io… uh, nessun posto
mi sembrava adatto.”
Lo sguardo di
Sebastian era indifferente. “Quindi la trascinerai in giro
finché non ti sembrerà il luogo
adatto?” domandò. “Cristo, Kurt,
dirà la stessa
cosa, a prescindere da dove la aprirai.”
“Non
sono ancora pronto per saperlo,” disse Kurt, ben consapevole
di
quanto suonasse patetico. Non riusciva neanche a curarsene.
“Insomma, cosa
succede se non mi vogliono? E se invece mi volessero?”
“Wow,”
rispose Sebastian. “I miei compiti sono davvero
più interessanti
del tuo sclerare sul nulla. Cresci un po’, Hummel. Di
cos’hai paura, comunque?”
E poi, siccome
l’universo lo stava perseguitando, il giovane prese la
busta.
Kurt
allungò la mano e l’altro indietreggiò,
dunque si alzò in piedi.
“Sebastian,” sibilò, alzandosi a sua
volta.
Il giovane gli
rivolgeva un’espressione di sfida. Quando Kurt non fece
altro che guardarlo, strappò la busta con un sorrisetto,
dunque cominciò a
leggere la lettera.
Kurt si sentiva
male. Sentiva come se davvero potesse vomitare, e
l’avrebbe fatto puntando alle stupide scarpe di Sebastian se
fosse accaduto.
Ad ogni modo,
Sebastian tornò a volgergli lo sguardo.
“Congratulazioni,”
disse.
Si
sentì gelare sul posto. Era pur sempre Sebastian Smythe, le
congratulazioni potevano significare tutto e niente. “Cosa
dice?” domandò.
Sebastian
sollevò la lettera, sorridendo. “Sei uno dei
finalisti.”
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
NdT:
e trascorso un mese, eccoci giunti al secondo capitolo! Ho avuto un
feedback
abbastanza positivo per questa storia e, come sempre, mi sono divertita
ed
emozionata al tempo stesso a vedere le scene che avevo letto troppo
tempo fa
per ricordarle. Quantomeno a ricordare quanto sia perfetto questo
pairing e
quanto angelofcaffeine lo faccia adorare ancor di più con il
suo stile! Adoro
profondamente ognuno di voi, da quelli che hanno recensito a quelli che
si sono
limitati a mettere la fan fic tra le preferite/ricordate/seguite. Ne
vale la
pena, ve lo garantisco. E lo adora anche l’autrice che, cito
testualmente, ‘sta
leggendo anche lei, anche se non capisce nulla, perché
è la sua opera’. Se non
è un onore questo. :’)
E quindi ringraziamo come sempre @nameless
colour e la sua infinta pazienza, che ci permettono di avere
il capitolo
betato e grammaticalmente corretto. A questo punto vi lascio alla
lettura, ci
vediamo il mese prossimo!
Link
al capitolo
originale
Kurt non si
sentì nemmeno imbarazzato del fatto che la
sua prima reazione fosse stata stringere Sebastian in un veloce, e
subito dopo
veloce-imbarazzato, abbraccio. Si scostò immediatamente,
incapace di sentirsi
confuso, ma sapendo comunque che fosse il momento sbagliato per sentire
quelle
sensazioni, e ripeté: “Sono un
finalista.” Abbassò lo sguardo sulla lettera,
scorrendo
le parole brevemente per accertarsi che non fosse uno stratagemma di
Sebastian
per spezzargli il cuore, dunque esalò un tremolante ma
felice sospiro. “Sono un
finalista!”
“Sei un
finalista!” esclamò Sebastian di rimando, e la
sua espressione era aperta e felice,
tutto il sarcasmo era defluito via in quel momento.
Strinse la lettera
più forte, dunque disse, “Penso di
aver bisogno di sedermi.”
“Hey, ecco
qua, tigre,” mormorò Sebastian, aiutandolo
a sedersi come se ne avesse bisogno.
“Cerca
di non svenire.”
“Non ne ho
intenzione,” sbottò in risposta. “Oh,
mio
Dio. Devo chiamare mio padre. E Rachel. E tutti
quelli che ho incontrato nella mia vita.” Quando
l’altro rise, ad una
maniera spensierata e spontanea, Kurt gli rivolse un’altra
occhiata infastidita.
“Non chiamarmi tigre,
quanti anni
hai, quaranta?”
“Chiama tuo
padre,” gli ordinò il giovane. “Devo
finire i compiti. E potresti cercare di essere meno agitato?”
“Potresti
provare ad essere meno un-” cominciò, dunque
concluse la frase con una parolaccia. Per qualche strana ragione,
ciò fece
ridere Sebastian, così anche Kurt rise, perché
era un finalista della NYADA, e
stava condividendo quel momento con Sebastian Smythe tra tutte quelle
che
conosceva.
Fu in quel momento,
con Kurt incapace di smettere di
ridere e guardare gli occhi di Sebastian sgranarsi per il divertimento
che rise
e Burt rispose al telefono.
“Kurt?”
“Oh, mio
Dio,” rispose, cercando di placare il respiro.
“Scusa, non stavo pensando. Papà, oddio.
Io… io non riesco, non so come
dirtelo.”
“Sputa il
rospo e basta,” consigliò Sebastian
dall’altra parte del tavolo. Stava davvero sorridendo, come
se fosse davvero
per lui, e Kurt chiuse gli occhi per assaporare quel momento.
“Papà,”
cominciò di nuovo. “Tuo figlio, Kurt Hummel,
è
un finalista per la NYADA.”
Cominciò a
ridere di nuovo quando suo padre diede
praticamente di matto dall’altra parte del telefono, per poi
cercare di non
scoppiare a piangere durante il balbettante discorso da padre
orgoglioso che ne
seguì.
“No,
papà, non osare appendere striscioni. Non farlo!
Vado, sto prendendo il caffè con… una persona.
Vado. Sì, ti voglio bene anche
io.” Rise di nuovo mentre riattaccava, dunque
asciugò gli occhi per un momento.
Sebastian
sbuffò. “‘Un caffè con una
persona’… sei
così dolce.”
“Questo
è un caffè e penso
che tu sia una persona,” rispose Kurt calmo mentre cominciava
a scrivere un messaggio. “Potresti anche essere una mangusta
incredibilmente
alta.”
Ci fu una breve
pausa, dunque il telefono di Sebastian
squillò. “L’hai mandato a me,
genio.” Afferrò il cellulare e Kurt
riuscì a
sentirsi ravvivare mentre leggeva
il
suo sms: KURT HUMMEL È UN
FINALISTA PER
LA NYADA, ALLA FACCIA VOSTRA.
“L’ho
mandato a tutta la mia rubrica,” rispose, dunque
fece una pausa, realizzando che ciò includeva Blaine.
Sollevò lo sguardo al
sorrisetto di Sebastian, prima di decidere che non gli importava.
“Dunque,
questo doveva essere un caffè per i nervi, ma adesso
è per festeggiare.”
Sebastian
sollevò il suo bicchiere. “A New York,”
suggerì.
Kurt sentiva un
sorriso ancora incerto sulle labbra,
era come se fosse rilassato e teso al tempo stesso. “A New
York,” convenne. “O
Parigi. O dovunque il mondo ci porti.”
*
Gli incontri al Lima
Bean dovevano essere delle
coincidenze durante le quali aiutavano la caffetteria prendendo il
minor numero
di tavoli possibili. Non erano programmati. Se non avesse
più visto Sebastian,
gli sarebbe andata bene. Sarebbe stato strano, ma l’avrebbe
accettato.
Così
naturalmente, Kurt fu preso in contropiede da un
messaggio a un paio di giorni dall’apertura della lettera
della NYADA che
diceva solo:
Ci
vediamo al Lima Bean
questo pomeriggio? Qualcuno deve forzarmi a scrivere questo saggio o
trascorrerò
tutto il tempo su FB.
Sbatté le
palpebre, esitante mentre allungava la mano
libera verso il suo armadietto.
Dopo un momento, si
volse per poggiarvisi contro e
scrivere la risposta. Non sono il tuo
babysitter, rispose in ogni caso, dunque aggrottò
le sopracciglia. Devo studiare Matematica.
Sto lavorando
sulla teoria che la Matematica esiste solo per rendere la mia vita
più
difficile.
Fissò il
messaggio per qualche secondo prima di
mandarlo, quindi tornò a volgersi al suo armadietto.
“Chi era,
dolcezza?” domandò Mercedes, sopraggiungendo
al suo fianco. “Sembri tutto corrucciato. Ti verranno le
rughe, lo sai.”
Kurt si
sforzò di rilassare la propria espressione
facciale. “Nessuno di importante,” rispose.
“Hai visto la gonna di Rachel? Ero
sicuro di avergliela gettata via.”
“Ne ha
più di una,” rispose la ragazza.
“L’ho vista
nasconderle durante la tua grande purga del guardaroba del
2011.”
Kurt scosse il capo.
“Dovrebbe sapere meglio di…”
Il telefono
squillò di nuovo.
Fortunatamente
per te,
gestisco la matematica come un Imperatore Romano. Ci vediamo dopo. X (baci. NdT)
Fu quella
‘X’ alla fine, più di ogni altra cosa,
che
gli fece osservare il cellular, accigliato.
“Kurt?”
Sollevò lo
sguardo. “Oh, scusa, Mercedes. Stavo solo
programmando il pomeriggio.”
Mercedes sorrise,
dunque lanciò un’occhiata dall’altra
parte del corridoio. Kurt seguì il suo sguardo sino a
incontrare quello di Sam.
“Qualcosa di interessante?” domandò la
giovane.
“Prenderò
il caffè con qualcuno che odio,” rispose.
“Niente di più interessante del solito. Che
succede tra te e Sam?”
Cambiare discorso
funzionò: Mercedes abboccò all’amo e
trascorse il tragitto verso la loro classe parlando a bassa voce di
cosa stesse
accadendo tra lei e Sam. Kurt sapeva benissimo come muoversi,
così riuscì a
farle le giuste domande e fare i giusti commenti mentre lanciava
occasionalmente delle occhiate al suo cellulare.
*
In qualche modo,
nella confusione di Kurt che odiava
la Matematica e il desiderio di Sebastian di ‘sventrare la
sua relazione di
Storia’, si erano scambiati i compiti.
Di solito, Kurt era
contro il barare in qualsiasi modo
(gli piaceva vincere onestamente; aveva sempre avuto un problema col
senso di
colpa) ma sembrava che Sebastian stesse davvero
cercando di sventrare la sua relazione, a giudicare dal
contenuto.
“Ma non vuoi
essere promosso?” domandò Kurt, sconcertato,
mentre riscriveva un’altra riga
della relazione scritta a metà. “Stai cercando di
fallire di proposito?”
Sebastian
sollevò a stento lo sguardo dal compito di
Kurt. “Sono bravo con gli esami,” disse.
“Sono bravo coi fatti, e a capire le
cose. Odio le relazioni e odio la Storia. E odio la professoressa di
Storia.”
“Non ho
idea di cosa significhi la metà di tutto
ciò,”
rispose Kurt. “È come se l’avessi
scritto da ubriaco.” Dopo una pausa, sollevò
lo sguardo, inorridito. “Oddio, ma tu l’hai scritto
davvero da ubriaco.”
“Sono
occupato ad essere l’Imperatore Romano della
Matematica, va’
via,” rispose il
giovane.
Kurt tornò
a immergersi nella relazione, tra le frasi
messe insieme e a dipanarle, perché sembrava piuttosto ovvio
che Sebastian non
riuscisse a scrivere come si doveva, e tornò a concentrarsi
sulla Guerra
Civile. Durante tutto ciò, Sebastian aveva lasciato il
tavolo ed era tornato
con più caffè, e gli aveva fatto un cenno di
ringraziamento.
Quasi
un’ora dopo, Kurt si stiracchiò, cercando di
rilassare gli arti in tensione. Scrollò le spalle.
“Quando devi consegnare
questa roba?” domandò.
Sebastian aveva messo
il compito di Matematica di Kurt
da una parte (e completo, notò con un verso allegro) e stava
leggendo un altro
foglio, gli occhi sgranati per la concentrazione. “Uh,
Lunedì?” disse. “Sono
sicuro che sia per Lunedì.”
“Posso
finirlo domani?” domandò. “Trascorro
troppo
tempo qui dentro, devo assicurarmi che esista un modo là
fuori, ogni tanto.”
Lo sguardo di
Sebastian luccicò in sua direzione, le
labbra si piegarono in un sorrisetto. “Certo, va benissimo.
Ma dobbiamo fare
un’ultima cosa, prima.”
“Sì,
ecco come chiedi un favore, tu,” replicò,
asciutto.
Sebastian
roteò gli occhi, dunque spostò la sedia sino
a trovarsi al suo fianco, invece che di fronte. “Ti sto
facendo un favore,
genio,” disse. “Infatti, mi sento così
magnanimo che potrei bruciare tutto il
tuo guardaroba e comprarti dei vestiti da ragazzo.”
“Non
è colpa mia se non riesci ad apprezzare i capi
fashion,” rispose.
“Non fai
schifo in Matematica,” rispose il giovane,
cambiando subito argomento. “Non ti piace.
C’è una certa differenza.”
Kurt
sgranò gli occhi. “La odio. Forse più
di quanto
odi te. Tu che fai i miei compiti di matematica, dev’essere
un segno
dell’apocalissi.”
“A meno
che,” disse Sebastian lentamente, prendendo
poi l’ultimo test del suo libro di matematica. “Tu
non arrivi alla risposta
giusta.”
Kurt
scrollò le spalle. “Non è impossibile,
solo che è
troppo difficile.”
“Sì,
anche se sbagli,” rispose l’altro.
“Continui a
rendere tutto più complicato di quanto ce ne sia bisogno. Ti
dimostrerò come
uscire da questo schema.”
Un’ora
più tardi, erano ancora seduti al tavolo del
Lima Bean, Kurt era chino su un foglio nuovo, dimostrando come
completare
l’equazione che Sebastian aveva creato appositamente, e il
giovane sorrideva.
Tutto sommato, era
stata una strana giornata. Quando
lasciarono il Lima Bean, dopo essersi messi d’accordo per
incontrarsi
l’indomani e finire la relazione di Sebastian (e, Kurt
insistette, riscriverla
come se l’avesse scritta davvero lui), era pronto per cenare
e rannicchiarsi
sotto le coperte con un buon libro. O magari avrebbe chiamato Rachel, o
avrebbe
battuto Finn e Sam a Mario Kart. Qualunque cosa avesse scelto, sarebbe
stata
rilassante.
Era quasi giunto alla
sua macchina quando colse
Sebastian, di fronte alla sua macchina, la fronte corrugata.
“Tutto
bene?” urlò dall’altro lato del
parcheggio.
“Hai dimenticato come si entra in macchina? Lo so,
dev’essere difficile per te
imparare a vivere come un normale essere umano.”
Sebastian gli
lanciò un’occhiata. “Non
parte,” rispose
semplicemente, dunque sospirò. Kurt non poté
sentirlo, ma vide il petto e le
spalle contrarsi a quel gesto frustrante.
Sospirò a
sua volta, guardando desideroso lo sterzo
della sua macchina, poi si volse.
“Cos’ha?” domandò, avanzando
verso il
giovane.
“Uh, non
parte?” provò Sebastian. “È
praticamente
quello il problema.”
Kurt gli
lanciò un’occhiataccia.
“Cos’è successo,
genio? È partita e poi si è
spenta? Hai sentito un click dall’interno?”
Le sopracciglia
dell’altro s’inarcarono a quella
domanda, ma il giovane si riprese velocemente. “No, niente di
tutto ciò.”
“Fa’
vedere,” disse.
“Stavo per
chiamare -”
“Fammi
vedere così posso tornare a casa,” insistette,
sovrastandone la voce.
Scuotendo il capo, il
giovane tornò a sedersi in
macchina e girò la chiave. Non accadde nulla.
Kurt
sospirò di nuovo. Non era davvero dell’umore.
“Tieni questa,” disse, mettendogli tra le mani la
borsa a tracolla. “Oh,”
aggiunse, abbassando lo sguardo sulla propria giacca. “No,
tieni anche questa,”
disse anche, sfilandosi l’indumento. Sollevò le
maniche sino ai gomiti e girò
attorno al cofano.
“Non voglio
che qualcuno che non sia un professionista
metta le mani sulla mia macchina,” insistette Sebastian,
alzandosi in piedi e
gettando le sue cose sul sedile. Kurt gli lanciò
un’ultima occhiata glaciale,
dunque aprì il cofano.
“Non vuoi
che nessuno
tocchi la macchina, incluso te, giusto?” domandò,
una mano posta sul fianco. “Okay,
probabilmente si tratta della batteria. Fammi un favore,”
disse. “Le mie chiavi
sono nella tasca di fronte della borsa. Apri il bagagliaio e prendi la
cassetta
degli attrezzi.” Ascoltando il giovane frugare nella borsa
per trovare le
chiavi, lanciò un’occhiata alla batteria e
aggiunse, “Tocca qualcos’altro e ti
farò a pezzi come hai fatto con il tuo saggio di
storia.”
Quando il giovane
tornò con la cassetta degli
attrezzi, la sua espressione era incredula. “Hai una cassetta degli attrezzi,” disse.
“Sì,
lo so,” rispose Kurt, prendendo la cassetta dale sue
mani e rovistandovi alla ricerca di un cacciavite. Si chinò
in avanti e piantò
il cacciavite tra il connettore e la parte terminale della batteria,
dunque lo
ruotò saldamente. “Prova adesso.”
Sebastian
gioì quando il motore si azionò. Kurt prese
tutte le sue cose velocemente. “Grazie,” disse il
giovane, suonando sincere in
quel preciso istante. “Non sapevo ti intendessi di
macchine.”
“Oddio,
vorrei non saperne niente,” rispose. “Dovresti
anche far pulire o riparare i cavi. E imparare qualcosa sulle macchine.
Mio
padre è il proprietario della Hummel Tires and Lube, se hai
bisogno di qualcuno
che le dia un’occhiata.”
L’espressione
di Sebastian s’illuminò di divertimento
a quella notizia, e Kurt dovette trattenersi a stento dal sollevare gli
occhi
al cielo. “Davvero, grazie. Aggiungerò
‘rattoppa-motori’ alla brevissima lista
dei tuoi pregi, assieme a ‘abilità a scrivere
saggi’ e ‘davvero divertente da
far arrabbiare’.”
Kurt sorrise
vivacemente, la cassetta degli attrezzi
in una mano e la giacca d’alta moda nell’altra.
“Arrivederci, Sebastian,” disse
con tono allegro. “Spero che inciampi su un mattoncino
Lego.”
*
Cose di cui Kurt
Hummel non aveva tenuto conto il
giorno in cui aveva aiutato Sebastian con la sua macchina: 1) lavandosi
le
mani, quella sera, si era ricordato dell’impresa e si era
ritrovato, in qualche
modo, a completare la relazione di Sebastian, 2) in Matematica, il
giorno dopo,
trovò l’argomento molto più facile e
aveva sorriso per tutta la lezione, e 3)
Sebastian era andato davvero alla Hummel Tires and Lube.
Comunque, quando
giunse Sabato mattina, Kurt si
svegliò e trovò sei messaggi; quattro di questi
erano da parte di Rachel, che
gli chiedeva di organizzare presto un altro pigiama party
perché le mancavano
le ‘chiacchiere tra ragazze’ (Kurt le rispose: Quando butterai via quelle gonne, sai di quali parlo),
uno da parte
di Sam che gli chiedeva quando avrebbe visto di nuovo Mercedes (Kurt
rispose: Probabilmente Domenica, e non sei
autorizzato a unirti a noi – la prossima volta, almeno
aspetta che io sia sveglio
per parlarmi), e uno da SMYTHE.
Vengo
in officina alle
undici. Ci vediamo lì?
Il piano di Kurt,
all’inizio, era di chiamare Tina e
vedere se fosse disposta a uscire, ma non trascorreva un po’
di tempo con suo
padre da un po’. Invece, si cambiò con abiti
più sobri (rovinarli in officina
sarebbe stato troppo) e preparò il pranzo del padre da
portare con sé.
“Tutto
bene, figliolo?” domandò Burt quando si sedette
di fronte a lui.
“Ti ho
preparato il pranzo,” rispose, mostrandogli il
porta-pranzo. “È salutare. Quindi mangia e non
lamentarti.”
Burt rise, prima che
il suo sguardo diventasse più
serio. “Non vieni spesso, a meno che tu non desideri
qualcosa. Spara.”
Kurt tornò
a rilassarsi contro lo schienale, lanciando
un’occhiata all’orologio. Erano quasi le undici.
“Non c’è un motivo,” rispose,
sentendosi improvvisamente ridicolo. Quando giunse Sebastian e lo vide
seduto
lì, capì che Kurt aveva immediatamente cambiato
programma per incontrarlo ed
era… era strano. Era strano che fosse lì?
“Volevo solo uscire.”
“Uh
huh,” rispose Burt, fissandolo come se potesse
carpire la vera ragione dalla sua espressione.
E dunque, alle sue
spalle, sentì un: “Hey, Kurt.”
“Oddio, non
dirgli nulla,” sibilò Kurt al padre, la
cui espressione era sempre più divertita. “Non
pensarci nemmeno.” Dunque, disse
a Sebastian da sopra la sua spalla: “Vedo che hai deciso di
farle dare
un’occhiata, dopo tutto.”
“Beh,”
rispose l’altro, e lo sguardo di Kurt scivolò
sull’uomo alle sue spalle, “Il mio meccanico mi ha
detto che avrei dovuto
averne più cura. Sai com’è.”
“Lei
è il signor Hummel”?” domandò
l’uomo dietro
Sebastian a Burt, che annuì. “Bene, la macchina di
mio figlio non partiva un
paio di giorni fa…”
I due uomini si
indirizzarono verso la macchina,
parlando ad bassa voce, e Kurt scrutò velocemente il padre
di Sebastian. Era
alto e magro come il figlio, e il sorriso era davvero somigliante, ma
c’era
qualcosa di molto diverso in lui – come qualcosa di
più rispettabile, pensò.
Più formale.
Sebastian sedette sul
tavolo, quasi a confermare ciò
che stava pensando. Provò a non sospirare.
“Ti
dirò una cosa divertente,” disse Sebastian,
abbassando lo sguardo al suo cellulare. “Ricordi il tuo
medley in francese di
Celine Dion? L’ho inviato a mia madre.”
“Perché
hai pensato che fosse una cosa appropriata da
fare?” domandò, scegliendo le parole con cura.
L’altro gli
lanciò un’occhiata veloce e divertita.
“Perché è Francese e tu sembri una
bambina di nove anni. Ha un ottimo senso
dell’umorismo.”
“Non voglio
nemmeno sapere quale sia la tua concezione
di ‘ottimo senso
dell’umorismo’,” commentò. E
poi, dato che ci riusciva e non
lo faceva da secoli,
passò al
Francese. “Parli francese?”
“Ovvio. Ho
trascorso metà della mia vita a Parigi, da quando ho sette
anni. Mia madre
ancora vive lì,” rispose Sebastian,
senza perdere un colpo.
Kurt
s’illuminò. “Ho
sempre voluto andarci,” disse, provando il francese
oltre la sua lingua.
Gli ricordò sua madre, e quanto avesse insistito
perché parlassero solo
francese con Kurt, quand’era bambino. “I
parenti di mia madre sono francesi. Sei fortunato ad avere scelta tra
Parigi e
New York.”
“Dovresti
visitarla,” gli disse il giovane, dunque
sollevò il cellulare. “Ho mandato
a mia madre il tuo video di Celine Dion quando l’ho trovato.
Questa è stata la
sua risposta,” disse, tornando all’inglese.
Kurt prese il
cellulare, poi rise. La risposta della
madre di Sebastian era di una sola, semplice parola:
Sposalo.
“Oh, quindi
è una fan,” rispose. “Lei e tua sorella
hanno buon gusto. È
un tratto femminile nella
tua famiglia?”
Sebastian
sogghignò. “Sì,
solo alle donne, nella mia famiglia, piacciono gli abiti femminili.
Buffo
come funzioni. E visto che siamo in tema, oggi sembri un ragazzo. Mazel
tov.
[congratulazioni]”
Kurt
abbassò lo sguardo ai propri abiti per un
momento, dunque tornò a guardare il giovane.
“Manca della tua aura di
marchetta.”
Le labbra del giovane
si contrassero in un sorrisetto,
ma non demorse. “Chiaramente non hai incontrato mia
Madre.”
Kurt
sbatté le palpebre al suo indirizzo.
“Tu… avevi
appena insultato me.”
“Starà
sollevando una tempesta a Parigi mentre parliamo,”
rispose l’altro in
Francese.
“Vivrai con lei
a Parigi, se decidi di studiare lì?” domandò.
Sebastian scosse il
capo, ma sembrava affettuoso. “Preferirei
impiccarmi con le mie stesse
budella,” rispose ancora in Francese.
“Non posso pensare di studiare per
avere una vera carriera con lei che incombe sulla mia testa offrendomi
dell’alcol. Quella donna pensa troppo a divertirsi per
pensare al suo bene.”
Kurt si
chinò sino ad appoggiare il capo alla mano,
osservando l’altro che roteava il cellulare tra le dita.
“Studieresti in
Francese? E cosa?”
“Medicina,”
rispose. “E sì, se andrò a Parigi. Non ho ancora idea di
cosa voglia fare.”
Si mise seduto
più dritto. “Aspetta, medicina,
seriamente?” domandò. “Sai che significa
che dovrai occuparti delle persone
senza insultarle o ferirle.”
“Ho una
personalità brillante,” rispose il giovane.
“Solo tu mi dai sui nervi. Non è colpa mia se sei
sempre stridulo e
fastidioso.”
“A me
piacerebbe impiccarti con le tue stesse budella,” rispose
Kurt, traducendo il
commento che l’altro aveva fatto prima. “Penso che
mi aiuterebbe.
Psicologicamente.”
Sebastian sorrise in
modo paterno, dunque scosse il
capo. “Nulla potrebbe aiutarti psicologicamente,
angelo.”
Kurt si
lasciò sfuggire un sospiro. “Già, mi
sono
imbattuto proprio nell’unico modo,” ammise.
*
“Riesci a
fare lo spelling di dislessico?”
domandò Kurt, leggendo un altro dei compiti del
giovane. “Sebastian, devi smetterla di farmi leggere le cose
che scrivi da
ubriaco. È indecoroso.”
L’altro
sorrise. “Non
ero ubriaco, erano
solo le tre del mattino,” ammise. “Hai un disturbo
ossessivo compulsivo per la
grammatica?”
“Il fatto
è che quello che dici ha un senso ed è
davvero chiaro,” disse, fissando lo schermo. “E
rovini tutto ignorando quelle
piccole linee rosse a zig-zag. Sai che significano che hai sbagliato a
scrivere
una parola, giusto?”
“Ho
te,” rispose Sebastian. “Non sono più
abituato a
correggere i miei errori.”
Kurt lo
fissò, dunque scosse il capo. “Un giorno, non
sarò qui al Lima Bean e tu dovrai imparare a stare al mondo
da solo. E allora, cosa farai?”
“Non
accadrà mai,” ripose il giovane, senza nemmeno
impegnarsi per sembrare preoccupato. “Ti
piace troppo
stare in mia compagnia. Ti mancherei.”
Chiuse
il
portatile. “Non
è vero,” rispose.
Gli occhi di
Sebastian si fecero più grandi. “Sì,
invece,” disse. Dio, sembravano dei dodicenni. Kurt
inspirò a fondo; il
bisogno di prendere il giovane a pugni stave andando affievolendosi
(avevano
trascorso molti pomeriggi insieme per più di un mese,
Cristo), ma aveva ancora
voglia di sbattere la testa sul tavolo.
Nonostante sapesse
quanto suonasse ridicolo, rispose
ancora: “Non è vero,”
dunque tornò ad
aprire il portatile e cominciò a scrivere.
Aveva appena finito
di correggere una frase
particolarmente maciullata nella forma quando sentì un
fastidioso schiarirsi di
gola dal tavolo loro vicino.
Dopo una breve
esitazione, disse: “Ciao, Rachel. Come
posso aiutarti?”
Rachel sorrise, ma il
calore non si estese agli occhi.
“Ti ho visto prendere un caffè con uno studente
della Dalton, e ho pensato che
fosse strano perché hai lasciato la Dalton tempo fa e i
Warblers sono i nostri
avversari più temibili -”
“Oh,”
la interruppe Sebastian, divertito. “Sei quella
Rachel.”
Ci fu un bagliore
negli occhi della ragazza. “E cosa
sai di me? Kurt, non gli hai detto niente delle New Directions,
vero?”
Kurt
sollevò gli occhi al cielo. “Ovvio che no. E non
è che abbiamo chissà che segreto, Rachel,
calmati.”
“Chiedo
solo perché… ricordi cos’è
successo al secondo
anno,” rispose Rachel. “Scusa, non ci siamo
presentati bene,” proseguì,
lanciando a Kurt un’occhiataccia prima di tendere la mano.
“Sono Rachel Berry,
uno dei co-capitani delle New Directions.”
Sebastian le strinse
la mano. “Salve, Rachel Berry.
Sono Sebastian Smythe, capitano del glee club che vi
straccerà alle Regionali.”
Gli occhi della
giovane si accesero di rabbia. “Okay,
Rachel, penso che io e Sebastian dovremmo tornare al nostro lavoro.
Perché non
torni a…?”
S’interruppe
immediatamente quando vide il tavolo che
Rachel aveva lasciato, e chi vi era seduto. Per un momento,
incontrò lo sguardo
di Blaine, dunque distolse il proprio. Tina agitò la mano
educatamente al
fianco del giovane, e Mike gli sorrise.
Quando Kurt
tornò a guardarla, Rachel ebbe la decenza
di sentirsi in colpa. “Scusa, non volevo rendere le cose
imbarazzanti,” disse.
“Lo trovi imbarazzante?”
“No,”
rispose. “Va tutto bene.”
“È
un po’ imbarazzante,” ammise Sebastian, compiaciuto
e divertito, e Kurt non riuscì più a placare il
desiderio di prenderlo a pugni
in faccia.
Rachel
aggrottò le sopracciglia, ma tornò a guardare
Kurt. “Stavamo parlando di fare un numero di gruppo per il
tema di questa
settimana. Puoi unirti a noi se vuoi.” Gli rivolse
un’altra occhiataccia,
dunque tornò a osservare Sebastian.
“Kurt si
diverte in mia compagnia,” la rassicurò il
giovane. “Si diverte un mondo a fare i miei compiti. Non
è molto utile in altre aree.”
“Sarei
molto utile nel prenderti a pugni in faccia,”
replicò Kurt, pacato. “Va
tutto bene,
Rachel. Io e Sebastian eravamo occupati. Saluterò prima di
anare.”
Rachel
annuì, dunque gli strinse il braccio prima di
andarsene.
“È
stata deliziosa,” osservò Sebastian.
Kurt fissò
lo schermo del computer. “È una delle mie
migliori amiche,” rispose, correggendo un’altra
parola. “È pazza, ma è
una compagnia migliore della tua.”
Kurt non poteva farlo
con Blaine dall’altra parte del
locale. Non era giusto. Era stato
il
loro posto una volta, ma Kurt ne aveva praticamente ottenuto la
custodia; era
lì praticamente ogni giorno, ora. E aveva delle cose da
fare, compiti che non
aveva nemmeno guardato perché occupato ad aiutare Sebastian,
e all’improvviso
si sentì ridicolo a sedere di fronte a Sebastian
Smythe e aiutarlo coi compiti.
“Okay,”
disse Sebastian con voce bassa e pensosa. “Ce
ne andiamo?”
“Eravamo
qui da prima,” disse.
Poté
vedere con la coda dell’occhio il giovane che
aggrottava la fronte. “Kurt, sei sconvolto. Ce ne andiamo, ci
sono altre
caffetterie.”
Kurt
sollevò lo sguardo e contò da dieci prima per una
ragione completamente diversa dalla solita. “No, va
bene,” lo rassicurò. “È
passato più di un mese, sto- sto bene.” Non era
sicuro che fosse completamente
vero, perché c’era una parte di lui che
probabilmente non sarebbe mai stata
bene – la parte che continuava a ricordargli che non
meritasse altro che
l’essere usato
– ma non gli mancava
Blaine come prima. Era più il dolore rimasto per
ciò che era successo, il
desiderio di sapere se avrebbe mai riposto fiducia in qualcun altro.
Pensò che
avrebbe dovuto aspettarselo, comunque. La
prima persona che avesse mai amato gli aveva detto che lo ricambiava,
aveva
preso la sua verginità e poi detto oh,
non ti amo davvero. Era più che tenuto ad essere
più chiuso, per un po’.
“Sì,
non è vero,” rispose Sebastian, chiudendo il
portatile e riponendo le proprie cose. “Ce
ne andiamo.”
“Scusa,
quand’è che ho accettato di farmi comandare a
bacchetta da te?” domandò.
All’espressione esasperata dell’altro,
continuò:
“Non voglio fuggire. Non ho paura di stare nella stessa
stanza con lui –
andiamo a scuola insieme, ricordi? Non me l’aspettavo, tutto
qua.”
Sebastian scosse il
capo, dunque mise via il computer.
“Ad ogni modo, non concluderemo molto altro, oggi.”
Kurt lo
fissò per qualche attimo, dunque inspirò a
fondo. “Andrò a sedermi con loro,”
disse. “Posso farlo. Posso farlo,
sì.”
“Okay,”
rispose il
giovane. “Accomodati.”
Kurt si chiese se non
stesse facendo un errore mentre
raccoglieva le sue cose e si dirigeva all’altro tavolo. Aveva
l’opportunità di
sedere con Sebastian ancora un po’, battibeccando, lavorando
e a dire il vero
persino divertendosi, e invece
stava
sorridendo a Rachel mentre sedeva al suo fianco. Era
molto meno divertente, dopo tutto.
“Hey,
ragazzi,”
salutò. “Penso di
aver fatto abbastanza compiti per oggi. Cosa pensavate di
cantare?”
Rachel gli sorrise,
ma fu Blaine a rispondere. “Perché
eri seduto con Sebastian? Pensavo
che lo
odiassi.”
“’Odiare’
è una
parola grossa,” rispose senza pensare. “Uh. Direi
più che mi fa una ‘molta
antipatia’.”
Blaine
sembrò confuso, aggrottò le sopracciglia ad una
maniera che un tempo avrebbe trovato accattivante. “Allora
perché esci con
lui?”
“È
una bella domanda,” aggiunse Rachel. “È
in un glee
club rivale; sai che raramente va bene. Senza
offesa, Blaine.”
Kurt
scrollò le spalle, non era sicuro su come avrebbe
dovuto rispondere. Perché stava trascorrendo
così tanto tempo con Sebastian? Non erano più
incontri casuali, a quel punto;
non si preoccupava di andare al Lima se non era sicuro di doversi
incontrare
con Sebastian.
“Hey, di
cosa state parlando?” domandò Sebastian,
apparendo al suo fianco. Poggiò una tazza di
caffè di fronte a lui, lo
ringraziò con un cenno.
“Di
te,” rispose automaticamente, dunque strinse le
dita attorno alla tazza di cartone, calda. “Del
perché siamo qui.”
Sebastian
annuì. “Se non
fossimo qui,
Kurt dovrebbe fare i compiti di Matematica per una volta,”
spiegò, gli occhi
che brillavano mentre gli volgeva lo sguardo. Lui
roteò gli occhi.
“E
Sebastian
dovrebbe imparare a usare il correttore automatico,”
aggiunse. “Come una
persona normale.”
“La
normalità è sopravvalutata,” rispose
Sebastian. “Mi
pare di dover fare le congratulazione ad un’altra finalista
per la NYADA.”
L’espressione
di Rachel si illuminò. “Grazie,”
rispose.
Kurt si guardava le
mani strette attorno la tazza di
caffè mentre la conversazione tornava a fluire attorno a
lui, sollevando di
tanto in tanto lo sguardo per dire la propria. Più che
altro, era
super-consapevole del fatto che Sebastian fosse tra lui e Blaine, che
continuava a fare domande sui Warblers e sulla Dalton.
“Ai ragazzi
manchi, ovviamente,” commentò Sebastian,
rispondendo alle domande del giovane. “Dovresti
venire a
trovarci qualche volta.”
Kurt bevve un lungo
sorso di caffè, e appuntò lo
sguardo altrove.
“Mi
piacerebbe moltissimo,” disse Blaine, felicemente.
“Sei agitato per le Regionali?”
“Penso che
il discorso sulle Regionali non sia
esattamente appropriato,” lo interruppe Rachel.
Blaine
rise.
“Sebastian è un amico, Rachel, non
preoccuparti,” rispose. Kurt si chiese se
fossero ancora in contatto, e perché Sebastian non avesse
sentito il bisogno di
sbatterglielo in faccia. “Devo
andare,
comunque. Ci vediamo a scuola. È stato un
piacere rivederti, Sebastian.”
Kurt lo
salutò il più educatamente possibile.
Per un momento dopo
che Blaine ebbe lasciato il
tavolo, non riuscì a scostare lo sguardo dal suo
caffè. Respirò più a fondo che
poteva e lo strinse, dunque si rilassò. Non era
così male; poteva affrontarlo.
Poteva affrontare la qualunque.
Quando
sollevò nuovamente lo sguardo, si volse
automaticamente a Sebastian – che stava guardando oltre lui,
verso il
parcheggio, gli occhi quasi sgranati.
“Devo
andare anche io,” disse il giovane
distrattamente. “Ci vediamo domani,” aggiunse
rivolto a Kurt, senza incontrare
il suo sguardo, dunque si alzò e se ne andò.
“Okay,”
rispose Kurt, confuso, lo guardò raccogliere
la propria roba e andarsene.
Fu quando lo vide nel
parcheggio che realizzò che
stava seguendo Blaine.
Inizialmente
sentì sorgere la rabbia – che Kurt
pensava di aver messo da parte dopo i primi flirt di Sebastian
– seguito da una
sensazione sconosciuta, come un buco allo stomaco. Distolse gli occhi
dalla
vetrina e si impose la calma. Blaine non stava più con lui;
Sebastian poteva
fare quello che voleva con lui. Non era più affar suo, non
aveva diritto di
essere arrabbiato.
Eccetto…
Sebastian si era seduto insieme a lui quasi
ogni giorno per più di un mese. Non erano esattamente amici
– trascorrevano la
maggior parte del tempo a insultarsi – ma non contava niente?
Non c’era una
specie di codice per quelle situazioni?
Vada
a farsi fottere, pensò,
dunque fece una
smorfia a quella scelta di parole. Oddio, e se avevano fatto sesso a
casa di
Blaine, nello stesso letto in cui lui aveva perso la
verginità? Non era giusto.
Kurt
guardò fuori un’altra volta. Non riusciva a
vedere il volto di Sebastian da quell’angolazione, ma aveva
le braccia lungo i
fianchi, come se stesse spiegando qualcosa e sembrava… teso.
Blaine aveva le
braccia incrociate e la sua espressione era tesa, la fronte corrugata.
Bene. Sembrava che
non fosse interessato alle avances
dell’altro.
Kurt si disse che
aveva fatto bene, ma quella
sensazione allo stomaco, fastidiosa e sconosciuta, non era scomparsa.
*
Il
giorno dopo, Kurt era andato al
Lima bean perché Sebastian aveva un saggio e lui aveva
bisogno di aiuto in
matematica, di nuovo, e non aveva davvero diritto di essere arrabbiato.
Quando
arrivò, Sebastian gli aveva
già comprato il caffè.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
NdT:
devo chiedere a tutti coloro che seguono questa storia un immenso scusate il ritardo, come ho
già detto
per DYR non sono riuscita a ben organizzarmi tra la mia sessione
d’esami e la
maturità altrui. Ma rieccoci qui, al terzo capitolo,
procediamo piano ma alla
fine stiamo procedendo. Il vostro feedback è dolcissimo e
non mancherò di
riferire ad angelofcaffeine quello che scrivete su ogni capitolo,
nonostante
lei cerchi di seguire pur non capendo un’acca di italiano
(non è una cosa
dolcissima? ♥). Non manco di ringraziare anche coloro che
hanno inserito la
traduzione tra le preferite/ricordate/seguite, molte volte silenziosi
ma
altrettanto importanti.
Poco altro da aggiungere, se non che @nameless
colour sarà sempre una delle mie eroine personali
per aver betato il
capitolo.
Buona lettura!
Link
al terzo
capitolo
Le New
Directions vinsero alle Regionali.
Kurt
avrebbe dovuto concentrarsi sui suoi amici, ridere
all’entusiasmo di Rachel e
prestare attenzione al racconto al racconto di Mercedes
dell’intera serata,
invece si ritrovò ad aspettare un messaggio che sapeva
sarebbe arrivato.
Penso
che la tua voce suonasse come quella
di uno scoiattolo strafatto di elio, ma mazel tov (=congratulazioni.
NdT) per
l’inaspettata vittoria.
Kurt
sbuffò, attirando un’occhiata curiosa di Mercedes,
dunque rispose: La gelosia ti dona. Comprami
un caffè per
questa vittoria, Lunedì. Il caffè è la
bevanda dei campioni.
Ignorò
risolutamente qualsiasi altro messaggio che aveva ricevuto durante la
strada verso
casa, così decise di stringere la mano di Mercedes e
intonare con Puck e Sam
‘We Are the Champions’.
Era
stata una settimana perfetta. Kurt aveva incontrato quattro volte
Sebastian
dopo scuola – tre volte per fare i compiti e un’ora
a stare seduti a parlare
delle Regionali, durante la quale il giovane fu piuttosto insultante,
ma non
sembrava arrabbiato – e la scuola sembrava un posto migliore,
ora che non
sentiva più il bisogno di evitare Blaine come fosse la peste.
Non durò
molto.
Infatti,
l’ottimismo di Kurt venne buttato giù bruscamente
alle 2.48 di Domenica notte.
Si
svegliò sentendo la suoneria del cellulare – era
di quel tipo di suoneria che
sceglieva per le persone che non gli ispirassero una canzone
– e inizialmente
aveva osservato il cellulare prima di guardare lo schermo. Il nome
SMYTHE
lampeggiò di fronte a lui. Kurt rispose più che
altro per curiosità.
“Bastian?”
rispose, affondando nuovamente col viso nel cuscino. “Le tre
di notte. No.”
Ci fu
una lunga pausa dall’altro capo del telefono, tanto che si
domandò se il
giovane l’avesse chiamato per sbaglio. Dunque, con voce
appena distante,
Sebastian disse: “Posso chiederti un favore?”
Kurt si
era messo a sedere prima ancora di sapere di cosa avesse bisogno.
“Cos’è
successo?” domandò.
“Beh,”
rispose l’altro, suonando distante, appena senza fiato.
“Sto cercando di tenere
lontano mia sorella dal commettere un crimine. Il che sarebbe normale,
non
sarebbe... tecnicamente la prima
volta.”
“Cosa?”
domandò Kurt, troppo assonnato per capire. “Quale
crimine? Sei ubriaco?”
Sebastian esitò, il che
costituiva una risposta sufficiente. Riusciva a sentire il rumore delle
macchine
che passavano di sottofondo. “Sebastian, dove sei?”
Sebastian
sospirò. “Sono bloccato,” ammise.
“Vi ha la mezza idea di saltare in auto e
venirmi a prendere. Preferirei che, sai... che non lo facesse. Del
tutto.”
Kurt si
sfregò gli occhi. “Mi stai chiedendo di venirti a
prendere?” domandò, cercando
di mantenere viva la conversazione. “Dove sei? Riesci a
vedere un cartello da
qualche parte?”
Era
fuori dal letto e aveva infilato la giacca prima ancora di capire
completamente
cosa stesse facendo. Quando giunse alla porta d’ingresso,
guardò la casa al
buio e si chiese se dovesse avvisare qualcuno su dove stesse andando
– e
dunque, con un sospiro, decise che era meglio non far preoccupare
nessuno.
Continuò
a tenere il cellulare premuto contro l’orecchio mentre
guidava. Non era una
cosa che faceva spesso, era più che cosciente dei rischi
sulla sicurezza, ma
c’era qualcosa nell’idea di Sebastian ad aspettare
solo al buio che gli faceva
tenere la linea.
“Kurt,”
lo richiamò il giovane dopo molti minuti di silenzio.
“Io... c’è un’altra
ragione perché non voglio che Vi mi venga a
prendere,” ammise.
“Hm?”
rispose,
cercando di concentrarsi sulla guida.
Sebastian
respirò rumorosamente, e ciò giunse a Kurt come
un momento di silenzio statico.
“Non voglio che tu dia di matto.”
Aggrottò
la fronte. “Perché dovrei dare di matto? Non sono
abbastanza sveglio per farlo.”
“Potrei
essere un po’ ammaccato,”
ammise il
giovane.
Kurt si
mise diritto così velocemente che quasi lasciò
cadere il cellulare. Boccheggiò
silenziosamente per un momento, dunque respirò come in un
risucchio forzato.
“Perché... perché dovresti essere
ammaccato?”
La pausa
dall’altro lato fu troppo lunga. Cominciò a
guidare più velocemente.
“Io,”
cominciò Sebastian, poi esitò di nuovo.
“Sono stato trascinato in una rissa.”
Kurt si
morsicò il labbro, cercando dal lato della strada in cui
supponeva di doverlo
vedere, dunque tentò disperatamente di non andare troppo nel
panico. “Ti hanno
trascinato in una rissa,” ripeté.
“Sebastian, qua... qua non ci sono clubs,”
gli fece notare. “Dov’eri messo?”
“Scandals,”
ammise il giovane. “Mi sono ritrovato in una rissa con quello
che doveva
accompagnarmi a casa. Non... non è stata la mia idea
migliore.”
“Tu hai
solo cattive idee,” sbottò. “Tu sei la
tipica persona che ha solo cattive idée.
Dio mio, quanto sei messo male?”
Sebastian
soffocò una risata. Non suonava molto divertito.
“Sono una persona dalle idee
brillanti. Solo, non posso evitare alle persone di essere
stronze.”
Kurt
represse un insulto, insieme a una domanda, troppo spaventato per
farla.
Invece, continuò a guidare, gli occhi sgranati e le spalle
rigide.
Sebastian
non mentiva quando aveva detto di essere ammaccato.
Kurt era
fuori dalla macchina senza nemmeno darsi tempo di parcheggiare.
Riappese al
telefono e lo abbandonò nella tasca della giacca, dunque
prese il volto del
giovane tra le mani, sollevandolo perché potesse vederlo
alla luce del
lampione. Un livido scuro partiva dalla guancia, andando dallo zigomo
alla
mascella.
“Oh
Gesù,” soffiò Kurt, cercando di essere
delicato. “Ti sei scontrato con qualcuno
armato di mazza?”
Sebastian
lo fissò, gli occhi appena lucidi per l’ebbrezza,
dunque disse: “Lo sai che i
tuoi occhi sono... complicati?”
Kurt
sbatté le palpebre. “Oh, grandioso,”
commentò tra sé, dunque spinse il giovane verso
la macchina. “Entra. Non vomitare.”
Sebastian
barcollava giusto un po’ mentre camminava verso la macchina,
ma era abbastanza
da fargli capire quanto fosse ubriaco. Il sollievo per averlo trovato
non aveva
comunque allentato la stretta che sentiva al petto; entrò in
macchina e
cominciò a guidare soltanto per avere qualcosa da fare.
Con la
coda dell’occhio, vide Sebastian premere il cellulare contro
l’orecchio.
“Vi?”
domandò con voce assonnata. “Kurt è
qui. Sto bene. Torna a dormire.” Si fermò
per un momento, dunque aggiunse: “No, sto bene, sono solo
ubriaco. Sto bene. Torna a dormire,
Viola.”
Chiuse
velocemente, dunque chiuse gli occhi.
“Sebastian
e Viola?” domandò Kurt.
“Veramente?”
Le
labbra di Sebastian si curvarono appena in su. “Te
l’ho detto che Mamma ha un
ottimo senso dell’umorismo.”
Kurt
sbuffò. “Questo non è umorismo,
è solo cattiveria.”
“Mio
padre voleva chiamarmi come suo nonno,” spiegò il
giovane, gli occhi ancora
chiusi. Kurt si costrinse a fissare la strada piuttosto che il suo
volto. “Mamma
ha accettato alla condizione di poter dare al secondo figlio il nome
che
voleva. Fu così finché non vide La
dodicesima notte quando era incinta di sette mesi, e... il
resto è storia.”
“Che
cattiveria,” ripeté Kurt. “Mi dispiace
per la tua infanzia infelice.” Sebastian
schiuse un occhio, facendogli ricordare di dover tenere
gli occhi su quella cavolo di strada.
“Sarà divertente da
spiegare a mio padre, domani.”
Sebastian
sospirò e volse il capo per osservarlo direttamente.
“Potrei andarmene prima
che si alzi qualcuno,” disse, prima di sbadigliare. Kurt gli
lanciò
un’occhiata, osservando il modo in cui le ombre giocassero
sul suo volto (sul
suo livido, e il resto della sua pelle; sugli zigomi alti e sulla curva
della
mascella), dunque scostò lo sguardo.
“No,”
insistette. “Starai da me finché non
sarò pronto a riportarti a casa.”
E
finché non avrò saputo cos’è
successo
stanotte, aggiunse tra
sé
e sé.
Colse il
suo cenno di assenso. Gli lanciò un’ulteriore
occhiata, per poi trovarlo a
fissarlo seriamente. “Complicati,”
ripeté il giovane, pensieroso.
“I miei
occhi, giusto?” domandò, più che altro
per mantenerlo sveglio e parlare.
Sebastian
mugugnò in segno di assenso, per poi cominciare a
canticchiare. Gli parve che
fosse una prova sufficiente del fatto che fosse ancora cosciente,
dunque lasciò
che il resto del viaggio trascorresse in silenzio.
Quando
giunsero a casa, le palpebre del giovane si chiudevano sole e i suoi
movimenti
erano più goffi. Kurt lo portò su per le scale,
nella sua camera da letto,
mettendolo a tacere per tutta la strada, dunque gli fece bere un
bicchiere
d’acqua prima di farlo rannicchiare sotto le coperte.
Quando
Sebastian fu sotto le coperte, mostrando nient’altro che un
ventaglio di
capelli castani scombinati, sospirò, le mani sui fianchi.
Non ancora pronto a
dormire, andò a prendere qualche antidolorifico e altra
acqua per il risveglio,
dunque sollevò le coperte per togliergli le scarpe.
Sedette
qualche minuto, osservando il giovane sotto le coperte. Qualche minuto
più
tardi, si sdraiò a letto e gli diede le spalle.
Gli ci
volle parecchio tempo per addormentarsi.
*
Kurt si
svegliò al suono di uno schiarimento di gola.
Il primo
pensiero fu semplicemente no, ma
quando si spostò per localizzare quel suono si accorse
immediatamente di non essere
solo a letto.
Si
sedette velocemente, strofinandosi gli occhi, e aggrottò le
sopracciglia a
vedere i capelli castani che facevano capolino dalle coperte. Si
sfregò ancora
gli occhi, prima di sollevare lo sguardo su suo padre.
“Oh,”
disse, dunque inspirò profondamente.
“Buongiorno.”
Burt si
poggiò allo stipite della porta e inarcò le
sopracciglia. “C’è qualcosa che
devi dirmi, figliolo?”
Kurt volse
lo sguardo a Sebastian, che stava cominciando ad agitarsi, dunque
sospirò. Si
mise in piedi e si stiracchiò, prima di raggiungere il padre
in corridoio,
chiudendo la porta alle sue spalle. “Scusa,” disse,
dunque tossicchiò. “Scusa
se non te l’ho detto ieri notte. Non volevo svegliarti. Ha
chiamato alle tre,
era ubriaco e a piedi, dovevo andarlo a prendere.”
“Dovevi,
eh?” domandò Burt.
Kurt
sgranò gli occhi. “Papà, era ubriaco
e a piedi,”
sottolineò. “È anche
pieno di lividi – dice di aver avuto una rissa, ma
io...” serrò la mascella,
dunque si passò una mano sulla fronte. “Senti, lo
so che questa situazione non
è l’ideale.”
“Kurt,
c’è un ragazzo nel tuo letto, certo che non
è l’ideale -”
“Un
ragazzo a cui non sono interessato e che non è interessato a
me,” gli fece
presente. “È solo... un amico. Una
specie.”
“Qualcuno
della scuola?” domandò l’altro.
“Qualcuno del tuo glee club?”
Si passò
nuovamente la mano sulla fronte, desiderando di aver dormito un altro
paio di
ore come minimo. “No,” ammise.
“È Sebastian.”
Sulle
prime, il volto di Burt rimase inespressivo, poi lentamente
sembrò capire.
“Intendi dire quel ragazzo che è venuto in
officina con suo padre?” domandò.
“Il ragazzo che hai aspettato e con cui hai flirtato per
mezz’ora?”
“Cosa?”
domandò. “No, io non ci stavo flirtando.
E – comunque sì. Quel Sebastian.” Di
fronte all’espressione severa di Burt,
aggiunse: “Papà, ha chiamato perché non
sapeva come tornare a casa, non potevo
proprio lasciarlo lì.”
L’espressione
dell’uomo si addolcì un po’.
“No, capisco,” replicò. “Ma
avresti dovuto
svegliarmi, io sarei andato a
prenderlo. E avrebbe dovuto dormire sul divano.”
Non
aveva una risposta a quelle parole – perché non
l’aveva mandato a dormire sul divano? – dunque
aveva scrollato le spalle.
“Scusa,” rispose. “Posso tornare a
letto?”
Burt
mugugnò, ancora poco convinto. “Porta
aperta,” ordinò. “Finn e Sam sono in
casa
tutto il giorno, quindi non pensare nemmeno -”
“Papà,” insistette,
le guance che
andavano a fuoco. “Neanche mi piace.
Non siamo veri amici. Io non… non ho -”
“Va
bene, Kurt,” rispose Burt, cominciando a sorridere.
“In ogni caso, figliolo, ti
credo. Torna a dormire.” Si diresse verso le scale, e disse
da sopra la spalla.
“Porta aperta!”
Kurt
grugnì mentre tornava in camera (lasciando la porta aperta,
ovviamente), dunque
sorrise quando Sebastian ricambiò lo sguardo.
“Non sei
messo molto bene,” commentò Kurt, tornando sotto
le coperte. “Come ti senti?”
“Ugh,”
fu l’unica risposta del ragazzo, seguito da una smorfia.
“Gli
antidolorifici sono sul comodino accanto a te,” disse.
“Bevi l’acqua. Poi
dormi.”
Sebastian
fece come gli era stato detto, le mani che tremavano, poi chiuse gli
occhi e si
immerse completamente sotto le coperte.
Erano
faccia a faccia, ma gli occhi del giovane erano serrati. Kurt si
rannicchiò con
le ginocchia al petto e lo osservò rilassarsi lentamente, il
suo respiro farsi
più lieve.
Dormì a
tratti
per un paio di ore, svegliandosi ogni volta che Sebastian si muoveva
sotto le
coperte.
*
Tre ore
dopo che suo padre se ne fu andato, Kurt era sveglio e in ansia. Si era
fatto
una doccia e vestito (dando un’occhiata alla sagoma di
Sebastian sotto le
coperte ogni minuto), aveva recuperato per il giovane un paio di abiti
dalla
camera di Finn dopo avergli chiesto il permesso (e ricevendo qualche
domanda
imbarazzata e subito ignorata dal fratellastro), poi aveva mandato un
messaggio
a Viola dal telefono del fratello per rassicurarla del fatto che stesse
benissimo
Alla
fine, non riuscì a rimandare ancora il momento di
svegliarlo. Era mezzogiorno
passato e la sagoma sotto le coperte si era mossa appena dopo
l’ultima notte.
Si
sedette sul letto e lo scosse dolcemente per la spalla, cercando di
svegliarlo
senza essere troppo invasivo con la sua sbornia.
“Sebastian,” lo chiamò a bassa
voce. “Sebastian, devi svegliarti.” Il giovane
grugnì e si volse, il suo volto
apparve da sotto le coperte. Aprì un occhio abbastanza per
guardarlo. “A meno
che tu non voglia stare nel mio letto tutto il giorno.”
Aprì
anche l’altro occhio, l’occhiata divenne divertita.
“Mi stai offrendo – sei –
io sono... troppo sbronzo per vivere.” La sua testa scomparve
nuovamente sotto
le coperte. Kurt trattenne una risata. “Vattene
via.”
“No,
alzati,” insistette. “Ti preparerò il
pranzo, se ti alzi. Cosa mangi quando hai
un doposbornia?”
“Toast
alla francese,” disse la voce da sotto le coperte.
“O più alcolici.”
Kurt
diede qualche pacca da sopra le coperte. “Mai più
alcolici per te,” disse.
“Alzati e fatti una doccia. Ho qualche vestito per te qui.
Sono di mio
fratello, non preoccuparti.” Sebastian grugnì,
infelicemente. “E quando
scenderai giù, avrò una montagna di toast alla
francese per te.”
Il
giovane scostò le coperte, poi sbatté le palpebre
per qualche momento. “Dovrei
chiamare Vi,” disse, mettendosi a sedere.
“Le ho
già mandato un messaggio,” lo
rassicurò. “Va’ a farti la doccia, ti
sentirai
meglio. Guarda, ho anche uno spazzolino nuovo per te e tutto il
resto.”
Alla
luce del giorno, il livido di Sebastian era più visibile che
mai. Copriva quasi
l’intera guancia. Il giovane stava per sfregarsi gli occhi ma
scostò la mano
velocemente, dunque poggiò le dita sul livido.
Qualcosa
lo fece rabbuiare. Kurt lo mandò in bagno, e
guardò la porta fino a quando non
sentì l’acqua correre.
Al piano
di sotto, Finn e Sam erano nel bel mezzo di una battaglia con due
filoni di
pane.
Kurt
scosse il capo. “Faccio i toast alla francese,”
annunciò. “I pancakes sono
negoziabili. Se volete mangiare qualcosa, allora non siete autorizzati
a
combattere con il cibo.”
“Aw,
andiamo,” disse Finn, guardando tristemente il pane.
“Fa schifo che tu sia un
cuoco così straordinario.”
Mentre i
due ragazzi mettevano via il pane nella dispensa, Kurt
cominciò a raccogliere
gli ingrediente. “Sì, è davvero una
sfortuna per voi,” commentò mentre
sparivano dietro l’angolo.
Si
distrasse cucinando, e alla fine Finn e Sam furono condotti nuovamente
in
cucina dall’odore di cibo.
“Dunque,”
esordì Sam, sedendo al tavolo e sembrando decisamente troppo
entusiasta. “Chi
era il ragazzo nel tuo letto?”
“C’era
un ragazzo nel tuo letto?” domandò Finn.
“È per questo che volevi prestati
degli abiti?”
Scrollò
le spalle. “I miei non gli entrerebbero,” ammise.
“E probabilmente se ne
lamenterebbe.”
“Aspetta,
cosa?” domandò Finn, aggrottando le sopracciglia.
“Hai un nuovo fidanzato? Come
mai non l’ho ancora visto? Pensavo che fossimo
fratelli!”
“Non ho
il fidanzato,” rispose Kurt. “Ho una fastidiosa
conoscenza che è rimasta a
piedi la notte scorsa. E che ora sta attraversando un dopo sbornia,
quindi
cercate di non essere troppo... voi.”
Finn
sembrò per un attimo ferito, e Sam rise. “Oh
è quel
ragazzo?” domandò il biondino.
Kurt
inarcò le sopracciglia, piazzandogli davanti una pila di
toast alla francese.
“Chi è quel
ragazzo?”
“Sai,”
rispose Sam, “Quello con cui prendi il caffè ogni
giorno e che ti manda
messaggi.”
Kurt gli
lanciò un’occhiata raggelante. “Smettila
di parlare con Mercedes del
sottoscritto. E sì, è la stessa persona, ma il
tuo tono di voce implica
qualcosa che non esiste.”
“Oh
aspetta, si tratta di quel Warbler?” domandò Finn,
gli occhi che scintillavano.
“Rachel mi ha detto che sei sempre con lui, e che
è molto carino.”
Sam, la
bocca piena di cibo, lanciò a Kurt un’occhiata
eloquente. “È molto
carino, Kurt?”
“Sì,
Kurt,” esordì una terza voce alle sue spalle.
“Lo è?”
Kurt
chiuse gli occhi per un attimo, dunque si volse a Sebastian con un
sorriso. “A
dire il vero, è un fastidioso stronzetto,” ripose.
“Ecco, toast alla francese.
Mangia.”
“Amico,”
esclamò Finn, mentre Sam sollevava i pollici a Kurt senza
molta discrezione (e
oh, Kurt aveva bisogno di lavargli il cervello con la candeggina),
“cos’è
successo alla tua faccia?”
Sebastian
prese un paio di toast. “Una rissa,” rispose,
fissando il cibo. “Ho bevuto
troppo. Sai com’è.” Cominciò
a mangiare, dunque, prima di volgersi a Kurt con
un veloce sorriso. “Grazie per il pranzo.”
“Ne
arriva altro tra poco,” rispose, sventolando la spatola in
faccia a Finn. “Non
terrorizzatelo. Non importa quanto sia stronzo, è anche un
ospite.”
“Non
volevo,” replicò Finn, suonando ferito.
“Stai qui, oggi? Come ti chiami?”
“Sebastian,”
rispose. “E tu sei?”
La bocca
di Finn era ovviamente piena di cibo quando rispose: “Sono
Finn, il fratello di
Kurt. E questo è Sam, vive con noi.”
“Ciao
Sebastian,” esordì Sam. “Stiamo andando
da Puck a giocare a Mario Kart per un
po’, se volete unirvi a noi.”
“No, amico,” rispose Finn con
veemenza.
“Non invitare Kurt, seriamente.” Il giovane in
questione lo fulminò con lo
sguardo, e Finn sollevò le mani. “Mi spiace, Kurt,
ma non giocherò mai più con
te. Ti diverti a vincere per tutto
il
tempo.”
Kurt
rise, portando loro altro cibo. “Tutto ciò che
devi fare per battere Finn è
avere un minimo di coordinazione mano-occhio. Ma non
preoccuparti,” rassicurò
il fratello. “Non sono interessato a intromettervi nei vostri
giochi.”
Sebastian
era incredibilmente tranquillo mentre mangiava, e Kurt si
ritrovò a mettergli
di fronte altri antidolorifici dopo l’ultima ondata di toast.
“Grazie,”
rispose il giovane. “Tu non mangi?”
Kurt
inarcò
un sopracciglio. “Avete idea di quante calorie avete appena
ingerito voi tre?
Mangerò un po’ di frutta, grazie.”
“Oddio,
sei serio?” grugnì Sebastian. “Ho
cambiato idea. Non parlare, mi fai venire mal
di testa. Potresti essere meno stereotipato, solo per un paio
d’ore?”
Sia Finn
che Sam sembrarono sorpresi; Finn sembrava sul punto di difenderlo, il
che era
alquanto ridicolo di per sé.
“Oh, per
favore,” sbottò Kurt. “Mi hai chiesto
aiuto nel bel mezzo della notte. Potrò
anche essere io quello che sta attento alle calorie, ma sappiamo
entrambi chi è
la damigella in difficoltà dei due.” Si
sciacquò le mani. “O uno scoiattolo
gigantesco in difficoltà.”
“Non
riesco a vivere,” rispose Sebastian. “Posso tornare
a letto e basta?”
Kurt lo
osservò – i suoi capelli arruffati e umidi, il
livido sul volto – e non poté
fare altro che addolcirsi mentre rispondeva, “Certo. Torniamo
pure sopra.”
Sam gli
aveva fatto nuovamente il pollice verso, e Finn sembrava sconcertato.
Mentre
Kurt conduceva Sebastian verso le scale, riuscì a sentire il
fratello chiedere,
“Uh, stanno andando a-? No, vero?”
Apparentemente,
Sebastian sembrò trovare la cosa divertente
perché ridacchiò per tutto il
percorso che conduceva alla camera da letto. Quando entrarono,
comunque, tutto
il divertimento sparì e si rannicchiò sotto le
coperte.
Kurt
scivolò sotto le coperte, al suo fianco, di fronte a lui.
Dopo qualche minuto,
il giovane si volse a imitare la sua posizione. “Mi stai
fissando,” gli fece
notare.
“Mi sto
chiedendo quando mi dirai cos’è accaduto la scorsa
notte,” rispose.
Sebastian
sbatté le palpebre. “Non ti devo una
spiegazione.”
Inspirò
profondamente. “Non devi,” convenne. “Ma
mi sono tirato su dal letto per venire
a prenderti nel cuore della notte, e sono preoccupato.” Si
lambì le labbra e
Sebastian abbassò lo sguardo per osservarle prima di
sollevarlo di nuovo
velocemente. “Se non vuoi parlarne... va bene. So che non
siamo esattamente amici.
Ma sono preoccupato.”
Il
giovane lo fissò per quella che parve
un’eternità, dunque chiese: “Come ti
senti?”
Kurt
aggrottò le sopracciglia. “Uh...”
“Rispondi
sinceramente, poi ne parleremo,” spiegò il giovane.
“Okay,”
rispose. “Ho i piedi gelidi, e probabilmente avrei dovuto
mangiare qualcosa
mentre eravamo al piano di sotto.”
Sebastian
sembrò divertito. “Non intendevo
questo,” rispose, e Kurt si portò le coperte
sotto il mente. “Come ti senti riguardo… Blaine? E
tutto ciò che è accaduto?”
Kurt
aprì la bocca, ma non venne fuori alcun suono.
Osservò la fantasia della
federa, la fronte corrugata, e provò a pensare a come
rispondere a una domanda
tanto brusca. Sebastian voleva ovviamente sentire qualcosa di vero
–
probabilmente qualcosa che lo facesse sentire emotivamente vulnerabile,
al fine
di sentirsi a suo agio a condividere cosa fosse successo la notte prima.
Giunto a
quella conclusione, Kurt si preparò ad essere onesto.
“Mi
sento usato,” disse. Era la prima
volta che lo ammetteva ad alta voce. Si lambì
nuovamente le labbra, osservando le lenzuola piuttosto
che Sebastian. “Non credo che mi manchi, non davvero, non...
sapendo cosa ha
pensato per tutto quel tempo. Ma
sì, mi sento usato.” Sollevò gli occhi
al cielo. “Il
mio primo bacio
e la mia verginità sono state prese da un ragazzo che era
solo interessato a me
perché ero lì.
È
qualcosa di decisamente banale.”
“Il tuo
primo bacio?” disse Sebastian, incoraggiandolo a parlarne
ancora.
“Beh,
avevo baciato Brittany prima, a dire il vero,”
balbettò Kurt, “Ma la prima
volta che un ragazzo mi ha baciato… è stato da
parte del bullo che mi
perseguitava a scuola – la cosa peggiore al mondo.
L’ho fronteggiato urlando a
riguardo e lui mi ha baciato. Ha minacciato di uccidermi se
l’avessi detto a
qualcuno.” Si arrischiò a lanciare
un’occhiata al giovane, i cui occhi erano
sgranati. “Va tutto bene, è tutto finito adesso. Ma
fa schifo
che... non lo so.” Scrollò le spalle. “Ho sempre
creduto che le persone dicessero ‘ti amo’ quando
intendevano realmente farlo. Ho
creduto che Blaine lo provasse davvero.
E... non era vero. E questo
lo sai.” Si sentì improvvisamente strano a
condividere quei pensieri con
Sebastian. “Fa schifo.”
Ci fu
qualche momento di silenzio, in cui Kurt si convinse di non essere
turbato e
sperò aldilà di qualsiasi cosa che Sebastian non
usasse quelle confessioni
contro di lui, poi il giovane si spostò. Sembrò
distendere le gambe, dunque si
schiarì la gola.
“Ho
perso il mio autista designato, la ragazza con cui ero andato al club,
perché
aveva attraccato con il suo ex,” spiegò il
giovane. “Così ho chiesto in girò se
ci fosse un altro autista designato che potesse riaccompagnarmi a
casa.”
Kurt
chiuse gli occhi. “In
futuro,” lo interruppe, “Se rimani a
piedi e la tua altra opzione è un estraneo,
chiamami e basta okay?”
Sebastian
gli lanciò una lunga occhiata, dunque proseguì
nel suo racconto. “C’era un uomo
che stava riaccompagnando a casa due persone. Li ha portati a casa, e
tutto
sembrava andare bene.” Kurt non spinse per avere dettagli
questa volta, lo osservò
solo mentre aggrottava le sopracciglia. “E quindi mi sono
accorto che non
stavamo andando nella giusta direzione, e quando gliel’ho
detto ha accostato.”
“Oddio,”
disse Kurt, incapace a trattenersi. “Sebastian,
ha...?”
“No,”
rispose il giovane. “No, ha
detto cose che preferisco non
ripetere, mi ha preso, e poi gli ho dato un pugno.”
Bene, pensò
Kurt, sperando che quel pugno gli avesse fatto
vedere le stele dal dolore.
“E poi
mi ha colpito in faccia con il gomito e io ho aperto la macchina e sono
caduto
fuori.” Sebastian inspirò a fondo. “Lui
se n’è andato, dunque ho chiamato Vi,
che era a casa di alcuni amici, e che stava per saltare in
un’auto qualunque
per venire a prendermi. Così le ho detto che avrei provato a
trovare qualcuno
che possedesse una macchina. E
conosci il resto.”
“Dio,
Sebastian,” disse Kurt, sentendosi
male. “Dovresti
dirlo alla -”
“Non
essere stupido,” sbottò l’altro.
“Cosa pensi che succederà? Non so nemmeno il
suo nome, e anche se non lo sapessi non farei nulla... sarebbe solo la
mia
parola contro la sua.”
Kurt
sgranò gli occhi. “Non importa, non puoi lasciare
che lui -”
“Gli ho
dato un pugno in faccia, non gli ho lasciato
fare nulla.”
Deglutì.
“Okay. Qualunque cosa tu
voglia, va bene. Solo...
sai come la penso.”
Il
giovane annuì. “Grazie. Per essere venuto a
prendermi.”
“Quando
vuoi,” rispose. “Dico davvero. Non entrare in
macchina di qualcuno che
non conosci. Non puoi fidarti di
loro.”
“Ma di
te sì,” disse Sebastian, e Kurt non era sicuro se
fosse una domanda o
un’affermazione. “TU ti fidi di me,
quindi?”
Non
sapeva cosa rispondere. Non era sicuro che fosse una domanda che
richiedesse
una risposta.
*
Alle
cinque del pomeriggio, dopo un altro paio d’ore trascorse a
dormire e parlare,
Kurt condusse Sebastian a casa. Una giovane con una gonna lunga sino ai
polpacci e un’alta coda di cavallo uscì di casa
nello stesso momento in cui
Sebastian scendeva dalla sua macchina, lo avvolse in un abbraccio prima
di
osservare il livido sul suo volto.
Kurt
avviò l’auto quando Viola abbracciò il
fratello una seconda volta. Volse lo
sguardo a entrambi abbastanza a lungo da vedere le labbra della giovane
mormorare un grazie.
*
“Dunque,”
disse Kurt un paio di giorni dopo, tamburellando sul tavolo che li
divideva,
“Parigi o New York?”
Sebastian
arricciò il naso per l’avversione. Il livido era
ancora molto visibile, un
marchio scuro sulla sua pelle, e lui si sentiva a disagio a guardarlo,
così
aveva abbassato lo sguardo alle sue mani.
“Non lo
so,” rispose il giovane. “Deluderò
qualcuno in un modo o nell’altro.”
“Hm?”
domandò, sollevando nuovamente lo sguardo. “Perché
mai?”
Sebastian
gli lanciò una lunga, piatta
occhiata. “Mia
madre vive a
Parigi, mio padre qui. Prova
a indovinare, genio.”
“Non
dovrebbero essere delusi,” gli fece notare.
“È della tua decisione e della tua
vita che si parla. Perché
dovrebbero intromettersi?”
Il
giovane sollevò gli occhi al cielo.
“Dovrò decidere di vivere lontano da qualcuno. Ho considerato Berlino, invece
– sai, un campo neutro – ma mia madre ha dato di
matto e non posso sopportare
di occuparmi anche di lei a questa maniera.” Al suo inarcare
le sopracciglia,
spiegò: “I suoi nonni sono morti in guerra. Non
sa quanto io e
Vi amiamo Berlino.”
Kurt
annuì. “Quindi, se scegli la Francia tuo padre ne
sarà deluso, se scegli
l’America tua madre ne sarà delusa. Non hai
considerato ancora l’Australia?”
Le
labbra di Sebastian si curvarono in un sorriso. “Ho
considerato altri posti, ma
Vi probabilmente mi seguirebbe ovunque io vada e il suo ragazzo
seguirebbe lei. Penso che sarebbero
felici sia a
New York che a Parigi.”
Kurt lo
fissò per qualche attimo, dunque scosse il capo.
“Perché devi sempre pensare a
qualcuno di loro? Dove preferiresti vivere tu?
Non deve seguirti e i tuoi genitori dovranno capirlo.”
Sebastian
schiuse le labbra per rispondere, ma furono interrotti da
un’improvvisa
apparizione al loro tavolo. “Ciao, Kurt!”
Kurt
chiuse gli occhi per un momento, dunque li riaprì per
sorridere a Rachel. “Ciao,
Rach. Ciao, Finn. Che ci fate qui?”
“Volevo
trascorrere un po’ di tempo con il mio migliore amico, e
giusto caso ho saputo
che eri già qui,”
disse Rachel,
prendendo una sedia per sedersi al suo fianco. “Finn,
siediti.”
Finn
sembrò imbarazzato quando si sedette con loro, e Kurt
sgranò gli occhi. Quindi
era decisamente un’idea della ragazza. “Rachel, ero
piuttosto occupato.”
“Non ha
senso,” rispose la giovane in tono allegro. “Stai
prendendo un caffè con un
amico. Siamo amici. E abbiamo il
caffè.” Sollevò il
bicchiere a mo’ di prova. “Dunque, di cosa stavate
parlando?”
Kurt le
lanciò la sua migliore espressione da che
diavolo stai facendo, ma non vacillò nemmeno un
po’.
“Di mia
sorella,” rispose Sebastian, piuttosto divertito.
“Di come parli di matrimonio
nonostante sia ancora un’adolescente, e di quanto sia una
cosa fastidiosamente
stupida.” Non era ciò di cui stavano parlando, ma
lo fece sorridere. “Voi che
ne pensate ragazzi?”
Kurt
volse il capo per nascondere la sua espressione. Forse non avrebbe
dovuto
raccontare al giovane del ‘fidanzamento’ di Finn e
Rachel, ma quel
momento era troppo perfetto per
poterselo perdere.
“Uh,”
rispose Finn, l’esitazione evidente nella voce.
“Insomma – se lei lo ama –”
“Ha
sedici anni,” rispose Sebastian. “Lei pensa
di amarlo, ma non è un’adulta. Il matrimonio
è una decisione da adulti.”
“Sedici
anni non sono così lontani dall’età
adulta,” disse Rachel, infastidita. “Può
fare da sola le sue scelte. Se entrambi lo vogliono, allora
è... è diverso.”
Gli
occhi di Sebastian brillavano di divertimento.
“Sicuro,” replicò, dunque scosse
il capo. “È un tipo super-religioso,”
spiegò, tornando a osservare Kurt. Capì
che la sua era parte di una vera e propria spiegazione, e non
più un semplice
modo di pungolare Finn e Rachel. “Pensa che sia normale
sposarsi appena
diplomata, ma penso che sia da matti.”
“E lo
è,” concordò Kurt, rischiando
un’occhiata all’amica – che lo stava
fissando. “Sono
fidanzati?”
“No,”
rispose il giovane. “Ma ne stanno
parlando. Lo
tratterrà sino
ai vent’anni per una vera e propria proposta, grazie a Dio.
Penso che lui la
sposerebbe domani se lei gli dicesse che è pronta. Folle
bastardo.”
Rachel
si schiarì la gola, e quando Kurt volse lo sguardo a lei
aveva un chiaro senso
di determinazione negli occhi. “Voler stare con una persona
che ami non è
‘follia’,” disse. “Francamente,
ciò dimostra il fatto che tu non sia mai stato
innamorato.”
“E spero
che le cose rimangano così,” rispose Sebastian,
sollevando la sua tazza come se
stesse proponendo un brindisi. “Non capisco perché
una persona voglia farsi
qualcosa del genere. Ma non è un ‘folle
bastardo’ perché è innamorato, ma
perché vuole sposare lei.”
Finn
aggrottò la fronte, sembrava perplesso. “Non
è carino dire qualcosa del genere
su tua sorella, amico,” gli fece notare.
Sebastian
sorrideva mentre scuoteva il capo. “Non
capisci. Lui
è religioso.”
Fece un gesto che inizialmente Kurt non capì, sollevando
entrambi gli indici
alle sue tempie e poi unendo le mani verso il basso e poi roteando le
dita come
se stesse dimostrando un’unione.
A
Rachel, comunque, sfuggì un suono sorpreso.
“Intendi dire –”
“Intendo
dire che ha davvero un cappello nero,” spiegò il
giovane. “E che vuole sposare Vi,
la cui idea di religiosità non si è
mai estesa più in là di periodi di
digiuno.”
“Uh
oh,”
disse la ragazza, mostrando vera e propria pietà. “Quindi
cosa
faranno?”
Sebastian
sospirò, abbassando lo sguardo alla sua tazza di
caffè. “Ho sentito dire che il
compromesso dovrebbe essere la chiave,” rispose.
“Vado a prendermi un altro
caffè.”
Quando
Sebastian si alzò e lasciò il tavolo, Kurt si
volse corrucciato al fratello e
alla sua miglior amica. “Che
cosa ci fate qui?”
La
ragazza incrociò le braccia. “Se hai
deciso di essere così
con lui, penso che dovremmo sapere se sia abbastanza
buono per te,” insistette.
Kurt
sbatté le palpebre. “Rachel, Sebastian e io non
siamo in nessun modo. Facciamo i
compiti insieme.”
“Uh,”
Finn li interruppe, l’espressione confusa (nonostante Kurt
pensasse che fosse
la sua condizione naturale). “Quali compiti?”
gesticolò indicando il tavolo, e
lui aprì la bocca, privo di parole per un paio di momenti.
Intendevano
fare i compiti. Kurt aveva portato con sé il portatile, e
aveva una relazione
da fare – ma non erano andati molto avanti, perché
Kurt era troppo nervoso per
il suo provino della NYADA (che era ancora lontano, ma abbastanza
vicino da
terrorizzarlo) che si era trasformato nell’argomento di
discussione riguardo il
college e, poi, sulla decisione di Sebastian.
“Non li
faccio,” cominciò, dunque si schiarì la
voce. “Ci siamo distratti. È solo caffè,”
disse. “La state ingigantendo
troppo questa storia.”
Rachel
incrociò le braccia. “Ti comporti da stupido se
non riesci a capire che questo
è più di un semplice caffè,”
lo informò.
Kurt si
massaggiò la fronte, esasperato. “Gli
piace Blaine,”
spiegò. “Sebastian
e io... penso che siamo amici in un modo piuttosto strano e tortuoso,
ma è
sempre stato attratto da Blaine.”
Ciò
sembrò fermare la ragazza. Sembrò sconvolta per
un momento, dunque la sua
espressione si raddolcì e divenne impietosita.
“Oh, Kurt,” disse, allungando
una mano a stringere la sua.
Stava
per rispondere che il fatto che al ragazzo piacesse Blaine non gli
importasse –
che non era geloso (un po’ ferito, stranamente, in un modo
che non capiva, ma
non voleva tornare con Blaine) – ma Sebastian era tornato al
tavolo.
Sebastian
spinse una tazza di caffè verso di lui, che sorrise a
mo’ di ringraziamento,
dunque chiese: “Dunque, avete finito di parlare di
me?” Alla sua espressione
sorpresa, spiegò: “Sei deliziosamente
trasparente.”
“Kurt ci
stava dicendo che tra voi si tratta solo di fare i compiti
insieme,” disse
Finn. “Il che è strano perché non avete
sul tavolo nessun compito.”
“Siamo
stati sviati,” aggiunse Kurt, osservando il suo
caffè e sperando che Rachel e
Finn li lasciassero alla loro precedente conversazione.
“Sebastian mi sta
aiutando con la Matematica.”
Il
sorriso di Sebastian sembrava quasi si potesse sentire
quando replicò, “Sì, è per
questo che siamo qui. Se ne
capissi un po’ di matematica, saresti un uomo libero. Oh, e
se solo avessi un
cervello.”
“Se solo
tu avessi un cuore,”
rispose Kurt.
“Okay,
amici di Dorothy,” li interruppe Rachel, gli occhi
scintillanti. “Penso che
potremmo parlare di musica. Sebastian, come hanno reagito i Warblers
alla
recente sconfitta alle Regionali?”
Finn,
apparentemente ignorando l’improvvisa tensione al tavolo,
domandò: “Chi è
Dorothy?”
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
NdT:
Buonasera a tutti e buona Domenica! Dopo poco più di un
mese, ecco l’aggiornamento.
Non ho molto altro da dire, se non che mi dispiace di fare aspettare
tanto per
gli aggiornamenti, ma d’altronde vale la pena di attendere
per una perla del
genere, giusto? (: Ringrazio ancora una volta per il feedback
dolcissimo e per
tutti coloro che mi hanno chiesto personalmente quando avrei
aggiornato. Siete
dei bellissimi. ♥ Mi intratterrei ancora a dirlo, ma
l’estate (ovvero questa
serata) mi chiama a sé. Buona lettura, al prossimo capitolo!
Link
al
quarto capitolo
Kurt era nel
parcheggio del McKinley con
Mercedes da un lato e Sugar dall’altro, quando vide una
macchina familiare.
“Oh,
no,” grugnì, fermandosi di colpo.
“Possiamo tornare indietro e nasconderci?”
“Cosa
c’è?” domandò Sugar,
un’espressione costernata
in volto.
Kurt si
limitò ad inarcare le
sopracciglia, fissando l’auto, fino a quando Mercedes disse:
“Sarà meglio che
cominci a spiegare, Tesoro.”
“È
Sebastian,”
spiegò lui. “E Sebastian qui non può
che portare cattive notizie.”
La sua prima ipotesi
era stata che
Sebastian fosse lì per lui (per terrorizzarlo, senza
dubbio), ma quando lo
vide, capì di essersi sbagliato. Sebastian era a un paio di
metri dalla sua
macchina, il capo chino mentre discuteva con Blaine.
Ciò lo
ferì più di quanto si aspettasse.
“Um,”
disse, cercando di scostare lo
sguardo dai due. “Scusate, ignoratemi. Di cosa stavamo
parlando?”
“Dolcezza?”
lo richiamò Mercedes,
chiaramente costernata. “Sebastian – è
quel ragazzo dei Warblers, vero?”
A quel punto
riuscì a scostare lo sguardo,
la mascella serrata per un momento. “Sì,
è qui per Blaine. Momento di panico
superato. Stavamo parlando di maglioni.”
“Amico,”
lo interruppe un’altra voce e,
Cristo, Kurt non voleva avere nulla a che fare con Puck
in quel momento. “Che ci fa quel Gargler[1] qui? Cerca di
reclutare
Anderson?” Puck sgranò gli occhi. “O
magari stanno cercando di rubare la nostra
scaletta per essere certi che perderemo alle Nazionali.”
“Sei libero
di crederci o no, Puck, ma non
tutto gira attorno alle Nazionali,” rispose. “Non
preoccuparti di lui, è tutto
a posto. Stavamo parlando di maglioni, Puck, potrebbe non essere quel
tipo di
conversazione cui vuoi partecipare.”
Mercedes
sbuffò. “Non credo stiamo
parlando ancora di maglioni. Oh, guardate.”
Sebastian aveva
voltato le spalle a
Blaine, la cui postura era difensiva e le sopracciglia erano
aggrottate, e
stava camminando verso di loro, la mano sollevata a mo’ di
saluto.
Bene. Forse era
lì per lui dopo tutto, e
aveva flirtato con Blaine per occupare il tempo mentre aspettava. Kurt
attese
che quella sensazione spiacevole sparisse, ma non fece altro che
rafforzarla.
“Kurt,”
lo salutò il giovane, sorridendo
amichevole. “Sai di essere un orribile stereotipo di
omosessuale.”
Sbatté le
palpebre. “Immagino che queste
parole vadano a parare da qualche parte,” replicò.
“Beh,”
continuò Sebastian, “Mi è stato
ordinato dalla mia futura matrigna che ho bisogno di un nuovo completo
elegante. Apparentemente si tratta di una di quelle occasioni in cui ho
bisogno di un nuovo abito. E
immagino
che tu, essendo te stesso, capisca il concetto, mentre io no.”
Le labbra di Kurt si
piegarono all’insù,
non poté evitare di sorridere. “Capisco cosa vuole
dire. È una grande
occasione?”
Sebastian
scrollò le spalle. “Quindi dovrò
andare al centro commerciale quando preferirei…”
si leccò le labbra, passando
al francese, dunque concluse: “impiccarmi
con le mie stesse budella.”
“Sei
così eloquente,” disse lui, ancora
sorridente. “Mi stai chiedendo di darti una mano?”
“Ti sto
offrendo l’opportunità di scegliere
i vestiti per me. Pensavo che saresti stato eccitato.” Gli
occhi del giovane
erano accesi di divertimento.
Kurt
sospirò. “Mi comprerai una sciarpa,”
disse.
Il sorriso di
Sebastian si allargò. “Certo
che lo farò,” replicò, dunque
osservò Mercedes, Sugar e Puck, ancora al suo
fianco. “Sono sicuro che non ti dispiacerà che io
ti liberi da questa
compagnia.”
“Continua
così e saranno una sciarpa e dei
pantaloni, Smythe,” lo avvertì. Sebastian
salutò i suoi amici con un gesto
mentre loro se ne andavano, e lui lo guardò con la coda
dell’occhio per
decidere quale completo gli sarebbe stato meglio.
*
Dopo un’ora
di lamentele, Sebastian
finalmente sembrò accettare di non essere altro che un
appendiabiti ambulante
per Kurt. Quest’ultimo, comunque, aveva deciso che non
c’era ragione di non
trasformare la loro emergenza in divertimento.
Fortunatamente per
lui, Sebastian era
sorprendentemente allenato nel seguirlo e nel tenere buste e abiti.
Cominciò a
brontolare quando Kurt gli fece provare ‘tutti gli abiti che
c’erano al mondo’,
ma fondamentalmente aveva fatto ciò che gli era stato
chiesto, uscendo fuori
dai camerini e ruotando su se stesso per dare all’altro una
buona visuale.
Comprò tre
potenziali completi per la
festa dei genitori. Kurt comprò un paio di favolosi stivali
alti al ginocchio, con
un’incredibile numero di fibbie, due maglioni che,
sì, tecnicamente erano nel
settore donna (e ovviamente Sebastian aveva sentito il bisogno di
farglielo
notare), un cappello che gli era stato portato da Sebastian mentre
stava
provando quei due maglioni (chi lo sapeva che avesse occhio per i
cappelli?) –
e, sì, gli era stata comprata una meravigliosa sciarpa verde.
“Sono
pronto a morire,” annunciò Sebastian
dopo un paio d’ore. “Ecco cosa significa essere
etero e avere una ragazza.”
“O essere
gay e avere un fidanzato davvero
favoloso,”
replicò, osservando il
giovane ricadere sulla panchina con tutte le buste.
Sorseggiò allegramente il
suo frullato. “Andiamo, ho fatto il mio lavoro.”
L’altro
sospirò, prendendo il suo frullato
dalle mani di Kurt, dunque annuì. “Sì,
l’hai fatto. E hai avuto la tua sciarpa.
Entrambi abbiamo concluso il nostro affare.”
Kurt esitò
a quelle parole, dunque scostò
lo sguardo. “Sicuro,” replicò alla fine,
insicuro sul perché si sentisse così
stranamente ferito. “Grazie. Dovremmo, uh, dividere quello
che abbiamo
comprato.”
Sebastian
sollevò lo sguardo su di lui con
espressione curiosa, dunque le sue labbra si stirarono in un sorriso.
“Oh no,
non te ne andrai così facilmente,” disse.
“Devi tornare con me e aiutarmi a
scegliere quale completo indossare. Hai detto che dipendeva dalle
scarpe e dalla
gradazione di grigio della mia cravatta preferita.”
“Sì,
beh non è così che dovresti chiedere
favori,” gli fece notare, lanciandogli un’occhiata
infuocata, sebbene il suo
umore si fosse improvvisamente risollevato, fiorendo in qualcosa di
ottimistico.
L’altro
sollevò il braccio ora libero.
“Chiaramente, ho bisogno del tuo fiammeggiante, stereotipato,
decisamente
fastidioso senso del fashion per vestirmi.”
“Chiaramente,”
concordò, reprimendo un
sorriso. “Va bene, non ti biasimo per aver ammesso il tuo
scarso senso nello
stile. Ti aiuterò.”
Così Kurt
si ritrovò a mandare a Finn un
messaggio per dirgli che sarebbe mancato un altro paio di ore, prima di
seguire
Sebastian verso casa sua. Il viaggio gli concesse un po’ di
tempo da solo,
durante i quali si ritrovò a canticchiare per un paio di
minuti, prima di
riconoscere che il motivo era ‘Here Comes the Sun’.
Quando si
fermò al semaforo, controllò il
cellulare. Finn aveva risposto al suo messaggio con: Se
non lo frequenti, perché continui a uscire con lui? :S
Mentre inarcava un
sopracciglio, ricevette
un altro sms. Era di SMYTHE, e
diceva: Vi mi ha mandato un messaggio per
dirmi che saremo solo io e lei stasera. Vuoi rimanere a cena? Giuro di
non
avvelenare il tuo cibo INTENZIONALMENTE.
Kurt
giocherellò con il cellulare per
qualche momento, la fronte corrugata, poi il semaforo divenne verde.
Quando si
fermò un’altra volta, mandò
velocemente un messaggio a Finn: Ceno da
Sebastian. Di’ a Papà che tornerò prima
del coprifuoco.
Ricevette quasi
immediatamente una
risposta da Sam, che era poi un’emoticon che faceva
l’occhiolino e sette punti
esclamativi.
“I miei
amici sono completamente pazzi,”
informò Sebastian una volta sceso dall’auto. Aveva
pensato di aiutarlo a
prendere le buste, ma la vista di lui con le mani piene era troppo
divertente
per perdersela. “Rimarrò a cena, solo se non ci
sono problemi.”
“Vi sta
cucinando,” rispose l’altro, e
Kurt finalmente si sentì abbastanza in colpa da prendere un
paio di buste.
“Questo potrebbe essere un problema.”
Sbuffò.
“Mi ispiri così tanta sicurezza,
Sebastian.”
“E tu mi
dai la nausea,” rispose Sebastian
senza perdere l’occasione. Kurt provò a trattenere
una risata, ma incontrò lo
sguardo dell’altro all’ultimo momento, e gli
sfuggì. “Sei di buonumore,” gli
fece notare il giovane mentre chiudeva l’auto.
“Ah, hai
appena scoperto cosa provoca una
buona sessione di shopping al Signor Kurt Hummel,”
replicò, aspettando
pazientemente che l’altro aprisse la porta.
“Sei
tornato!” esclamò una voce femminile,
eccitata e stranamente roca. “Sebastian, ho bisogno che tu
dica due parole a –
oh, ciao, Kurt.”
Viola Smythe era
apparsa a velocità
sorprendente in corridoio, i capelli che sfuggivano dalla sua treccia.
Ci volle
un momento per capire la fonte della sua voce roca: aveva gli occhi
umidi.
Sebastian
lasciò cadere le buste sulla
soglia ed entrò in casa, le spalle rigide. “Dire
due parole a… chi,
esattamente?”
Viola si
sfregò il volto e rise. “Um,
nostra madre?” suggerì. “O magari a
quell’idiota del mio ragazzo. Che ti
saluta, a proposito. E dice che ‘dovresti rispondere alle sue
mail, faccia di
culo’.”
“Non credo
che Yitzie mi abbia chiamato
‘faccia di culo’,” commentò
Sebastian, in piedi di fronte alla sorella e con le
mani poggiate sulle sue spalle.
Viola
vacillò, e ci volle un momento per
Kurt per capire che era dovuto alle risate, piuttosto che alle lacrime.
“L’ho
un po’ modificato,” ammise, scostando le mani dal
volto e sorridendo. “Ma immagino
che tutti ti chiamino ‘faccia di culo’. Stavo
pensando di preparare del pesce
in casseruola.” Girò su se stessa, dunque,
volgendosi a Kurt. “Ti piace?”
Kurt
sbatté le palpebre. “Um,”
riuscì a
dire. “Sì, va bene.”
“Oh,”
rispose la giovane, asciugandosi il
volto come se avesse appena capito perché lui fosse a
disagio. “Non
preoccuparti. Piango sempre quando chiudo al telefono con Yitzie.
Memoria
muscolare. Mi manca appena quello stronzo, oh Dio, non la smetteva di
parlare
di lavoro a maglia, lo accoltellerò direttamente in faccia
la prossima volta
che lo vedo. Quale adolescente vorrebbe parlare di lavoro
a maglia?”
“Hai
davvero trovato il ragazzo più noioso
di tutta Parigi, Vi,” convenne Sebastian. Poi, piano, come se
Kurt non dovesse
sentirlo: “Tutto bene?”
Viola gli sorrise. I
suoi occhi
scintillavano. “Sono emotivamente instabile, secondo
Yitzie,” rispose.
“Bastardo,”
commentò l’altro. “Un bastardo
onesto, ma pur sempre un bastardo.”
Viola
arricciò il naso. “Dio, sono
innamorata di lui in maniera frustrante,” disse, suonando
disgustata. “Hai
fatto la cosa giusta evitando questa roba. Dovrei ascoltarti
più spesso.”
Sebastian
tornò indietro a prendere le
buste che aveva lasciato cadere, scuotendo il capo con un sorriso.
“Giusto,
sono decisamente una fonte di saggezza su questo argomento.”
“Metti un
cravatta alla porta della tua
camera se devo stare lontana!” esclamò dietro di
loro, e Kurt si volse solo per
vederla esibire un’espressione divertita.
La camera di
Sebastian… non era come Kurt
se l’aspettava.
Orgoglioso del suo
essere ordinato,
trascorse qualche momento a osservare la pila di fotografie sul
pavimento prima
di entrare. Almeno non era quella specie di lavanderia che sembrava
stesse
cercando di inghiottire la camera di Finn. Ma le fotografie erano
comunque
inaspettate.
Mentre Sebastian si
spostava nell’angolo
per provare uno dei completi (ovviamente non si vergognava di nulla),
Kurt si
volse per dargli un po’ di privacy e finì per
osservare le fotografie sul
pavimento. “Hanno un ordine particolare?”
domandò.
“Hm?”
Sebastian stette zitto un momento,
poi disse: “Oh, in realtà no. Stavo solo cercando
una cosa. Guarda pure.”
In cima alla pila di
fotografie ce n’era
una di Viola. Al piano di sotto l’aveva vista in disordine e
commossa, e Kurt
era rimasto troppo di sasso per osservarla bene. Guardò la
fotografia invece,
cercando di capire quali tratti condividesse con Sebastian
(l’altezza, gli
zigomi alti, qualcosa attorno alle labbra, il colore e il tipo di
capelli) e
cosa fosse diverso (gli occhi, interamente).
La giovane guardava oltre la macchina fotografica, sorridendo tanto da
far
apparire delle fossette. Ricambiò il suo sorriso, dunque
prese un’altra foto.
Questa era di Viola e
un ragazzo più o
meno della stessa altezza, lo sguardo dolce mentre guardava verso di
lei. Viola
rideva, mostrando ancora una volta le fossette. “È
il suo ragazzo?” domandò,
sollevando la foto senza guardare oltre la propria spalla.
“Sì,”
rispose Sebastian. “Quello è Yitzie.
Questa è la cravatta.” Kurt si volse allora,
ancora in ginocchio sul tappeto.
“Va bene?”
Aggrottò
la fronte, pensoso. “Sì,” ammise,
“ma in realtà penso che la camicia color carbone
ci stia meglio. Provala con la
cravatta.”
Si volse nuovamente
alle foto e ne prese
una a caso. Era in bianco e nero, ma in realtà
più nei toni di grigio, mostrava
una donna alta che fumava una sigaretta.
“È
bellissima,” si ritrovò a dire ad alta
voce, perché era la verità.
“È
mia madre,” spiegò Sebastian, suonava
un po’ esasperato. “E senza dubbio Vi
sarà così tra vent’anni
circa.”
Kurt si volse verso
di lui, la cravatta
andava perfettamente con quella camicia. “Questa va
bene,” disse, sfiorando la
cravatta con la mano libera. “Indossa questa.”
Sebastian
annuì, come se in qualche modo
l’avesse addomesticato durante il loro pomeriggio di
shopping, e tornò
nell’angolo per cambiarsi. Lui si volse nuovamente alla
fotografia di sua
madre.
“Somiglia
moltissimo a tua sorella,”
commentò, tornando a guardare la prima fotografia di Viola,
che sorrideva a
qualcosa che stava dietro la macchina fotografica. “Ma
somiglia anche a te. Hai
i suoi zigomi.”
“Più
che altro ho il suo senso
dell’umorismo,” rispose l’altro.
“E la sua impazienza.”
Sbuffò a
quelle parole. “Speriamo tu non
abbia la sua dipendenza da nicotina,” replicò, una
lieve inclinazione di
disapprovazione nella sua voce.
“Hey,”
esclamò Sebastian, “può scegliere
di uccidersi come vuole. È una donna adulta.”
Il giovane
avanzò nuovamente allora, e
Kurt si volse per lanciargli un’occhiata colma di
rimprovero… ma c’era qualcosa
nel suo sorriso, qualcosa di onesto, che lo rendeva incapace di
reprimere lui
stesso un sorriso. Si sentiva stranamente leggero, in ginocchio
sull’ultima
traccia di sole che si stagliava sul tappeto di Sebastian e
condividendo un
sorriso, e tutto ciò che riuscì a pensare fu wow, questa è una novità.
*
Cenare con Viola
era… interessante.
Si era data una
sistemata in loro assenza
(durante la quale Kurt e Sebastian si erano allontanati
dall’argomento abiti e
avevano finito per tornare sulla sempre-importante conversazione di New
York
contro Parigi). Si era tolta la divisa scolastica per indossare un
abito
marrone con una sottoveste rosa, e i suoi capelli erano legati in una
crocchia
piuttosto che in una treccia disordinata.
“Le donne
della tua famiglia hanno davvero
il gene del buongusto,” disse allegramente Kurt mentre
sedevano a tavola.
Sebastian si
chinò verso di lui, parlando
abbastanza piano da mascherarlo quasi
da Viola, quando rispose: “Ma gli uomini hanno acquisito
tutte le capacità
culinarie. Prendilo come avvertimento.”
“Prenderò
bene il potenziale
avvelenamento da cibo,”
replicò, e Viola colpì Sebastian sulla nuca con
uno strofinaccio. “Sono sicuro
che sarà ottimo.”
Viola
sbuffò allora, e cominciò a servire
il cibo. “È così beneducato,
‘Bastian, dove l’hai trovato uno
così?”
“Ci provava
con il mio ragazzo,” replicò
Kurt. “Ecco come ci siamo trovati.”
Viola
sembrò esasperata, ma c’era qualcosa
di divertito nella sua voce mentre diceva, “Certo che
l’ha fatto. Sai cosa mi
ha detto la prima volta che ha incontrato Yitzie?”
“Qualcosa
di assolutamente inappropriato,
ci scommetto,” suggerì.
La giovane
sollevò gli occhi al cielo. “Davvero,
Vi? Lo sai che non farà sesso fino
a quando non si sposerà, e anche allora sarà
attraverso un buco nelle lenzuola?”
“È
assolutamente vero,” insistette
Sebastian. “Ho grandi risorse a riguardo.”
“Hai il
cervello grande quanto una palla
da golf, ecco cosa,” sbottò la ragazza, e fu in
quel momento che Kurt capì che
gli sarebbe piaciuta.
Il resto della cena
trascorse tra le
risate, e Viola raccontava tutte le peggiori storie su Sebastian che le
venivano sul momento. Molte di quelle includevano ciò che
Viola spiegava come
‘la sfortunata carenza di un filtro tra il cervello e la
bocca’ di Sebastian, e
in mezzo a queste storie Kurt imparò tre cose: 1) Yitzie era
figlio di un
rabbino ortodosso, e la sua famiglia la disprezzava più che
altro per Sebastian
(sembrava essere stranamente divertita a causa di questa cosa), 2)
Sebastian in
realtà aveva quel famoso filtro, ma trovava molto
più divertente vedere le
persone si agitarsi, perché l’imbarazzo era per
lui un’emozione sconosciuta, e
3) che la madre, se non altro, incoraggiava
quell’atteggiamento.
Ore dopo, guardando
indietro alla cena con
i giovani Smythe, Kurt avrebbe pensato che l’intera serata
era stata piuttosto
surreale. Avrebbe pensato che stava trascorrendo troppi bei momenti con
Sebastian Smythe per essere vero, che gli mancava qualcosa –
ma al momento, si
crogiolava in quello strano sentimento che lo faceva sentire leggere,
nel
sorriso che non smetteva di apparire sulle sue labbra, e nello sguardo
che si
era scambiato con il giovane mentre Viola si lanciava in un ennesimo
racconto
iperbolico.
Quando Burt
cominciò a mandare messaggi (‘dove
sEI COME FACCIO A TOGLIERE IL CAPS LOCK
TORNA A CASA’), si sentiva rilassato e divertito,
ma anche pronto a tornare
a casa e dormire. Era stata una lunga giornata e la sorella di
Sebastian era
così energica che era persino stanco di stare a sentirla.
Lo
abbracciò a mo’ di saluto, sulla porta,
e gli ordinò di tornare presto, dunque gli scrisse il suo
numero sul cellulare
(salvandolo, Kurt inserì VIOLA
FREAKING[2]
SMYTHE) e lo
minacciò di perseguitarlo se non
l’avesse rivisto presto. Divertito, nonostante fosse un
po’ perplesso, si
permise di farsi accompagnare fuori di casa da Sebastian.
Mise le buste sul
sedile posteriore della
macchina prima di volgersi al giovane. “È
stato… decisamente interessante.
Grazie per oggi.”
“Ho a che
fare con lei ogni giorno,”
rispose l’altro, tornando verso casa. “Dovresti
avere pietà.”
“Lei ha a
che fare con te,”
rispose. “Non provo dispiacere per
nessuno, se non per i tuoi genitori.”
Sebastian sorrise
maggiormente allora. “Ti
andrebbe di-”
Il telefono di Kurt
scelse proprio in quel
momento di informarlo che c’era una chiamata in arrivo.
Era solito associare
delle canzoni a
diversi contatti, così gli ci volle qualche momento per
capire che non aveva
pensato a cambiare Teenage Dream a Blaine, così il telefono
attaccò: “You think
I’m pretty, without any makeup on
– you think I’m funny, when I tell the punch-line
wrong-”
Ciò
causò un’inarcata di sopracciglio
divertita da parte di Sebastian, e Kurt si immobilizzò per
l’orrore quando si
rese conto di chi stesse chiamando.
Distolse lo sguardo
dall’altro e si volse
alla macchina mentre rispondeva. “Blaine?” disse.
“Hey,
Kurt,” rispose Blaine, suonava esitante tanto
quanto lui. “Possiamo parlare di una
cosa?”
“Um,”
disse, perché si sentiva davvero
eloquente, dunque disse: “Dammi solo un secondo.”
Si volse a Sebastian.
“Grazie. Ti mando un messaggio dopo, okay? E non farmi
perseguitare da Viola.”
“Lo
terrò in mente,” replicò Sebastian,
un’espressione indecifrabile in volto. “Ci vediamo,
Kurt.”
“Ci
vediamo,” rispose, dunque si sedette
in macchina. “Okay, Blaine. Di cosa mi volevi
parlare?”
“Sei
con Sebastian?” domandò il giovane.
“Posso
chiamarti quando sei solo.”
“No, se
n’è andato,” disse ancora,
battendo la mano libera sul volante. “Sono solo. Di che si
tratta?”
Blaine
inspirò a fondo; Kurt poteva
sentirlo attraverso la cornetta. Fu colpito, improvvisamente, dalla
preoccupazione – Blaine era stato suo amico prima, e il suo
miglior amico come
suo ragazzo, dopo tutto – che qualcosa non
andasse. “Si tratta di lui.”
Corrugò la
fronte. “Di chi? Blaine, tutto
bene?”
“No,
sì, sto bene,” replicò il
giovane. “È
un po’ difficile scegliere le parole, ecco tutto. Um.
Sebastian e io abbiamo
parlato un po’, da quando abbiamo rotto, e volevo chiederti
alcune cose. Su di
lui. E cosa ha, uh, detto di me.” Kurt
sentì come se l’intestino gli fosse
uscito dallo stomaco. Fissò dritto di fronte a sé
con gli occhi sgranati, la
leggerezza di poco prima era sparita. “Kurt?
Sei ancora lì?”
“Sì,”
rispose, dunque deglutì.
Blaine stava provando
a chiedergli il permesso.
Ciò che lo
colpì stranamente fu, mentre
stava seduto lì, che la cosa era sia stranamente sensibile
da parte di Blaine e
al contempo davvero, davvero orribile. Non gli importava che
l’altro andasse
avanti, erano stati separati abbastanza perché se lo
aspettasse, ma non aveva
bisogno di saperlo.
Perché avrebbe
dovuto saperlo?
“Io,
ecco… mentre mi parlava stamattina ho capito che
avrei… avrei dovuto.
Parlartene. Perché ha ragione. Non è giusto che
io-”
“Blaine,”
disse, sentendosi improvvisamente
più aspro di quanto non fosse stato un attimo prima.
“Grazie. Davvero. Ma non
devi farlo, non mi… non mi importa. Um. Ma…
grazie?”
La pausa fu breve, ma
ci fu decisamente,
prima che il giovane rispondesse: “Volevo
dirtelo comunque.”
“No,”
insistette. Blaine era per i fatti
suoi e poteva frequentare chi voleva, anche se quella persona era una
specie di
strano amico per lui, ma ciò non significava che lui volesse
parlarne. Avrebbe
fatto del suo meglio per ignorarlo risolutamente. “Non voglio
che tu lo faccia.
Ma grazie.”
Chiuse la telefonata,
e lasciò cadere il
cellulare sul sedile accanto al proprio.
Aveva senso,
realizzò mentre continuava a
guardare fisso di fronte a sé. Aveva perfettamente senso che
Blaine ci avrebbe
provato con Sebastian – perché non avrebbe dovuto?
Sebastian era una specie di
stronzo, ma era anche divertente, intelligente e – sotto
sotto, ad una maniera
tutta sua – affettuoso. E Kurt era… Kurt. Niente
di speciale.
Sebastian era speciale, capì, stringendo e
poi rilassando le mani sullo sterzo.
Ecco qual era la differenza tra loro. Ecco perché gli
piaceva trascorrere il
tempo con lui.
Sussultò
quando il telefono vibrò, e
inspirò a fondo (ripromettendosi di cancellare
immediatamente il messaggio se
fosse stato di Blaine) prima di prenderlo tra le mani.
Non era di Blaine.
Era da parte di SMYTHE. Sei ancora seduto qua fuori… tutto bene?
Blaine ha fatto lo stronzo?
Mentre stava
considerando come rispondere,
arrivò un secondo messaggio da VIOLA
FREAKING SMYTHE: Sono armata di gelato e film. Torni dentro? Xxxxx
Erano entrambi dentro
e lo stavano
osservando, capì, con un’improvvisa ondata di
imbarazzo. Scosse il capo, dunque
rispose a Viola: Grazie, ma sto bene.
Devo tornare a casa. Chiedendosi se fosse stato troppo brusco
con qualcuno
che gli aveva preparato la cena, l’aveva accolto e poi
offerto conforto,
aggiunse: P.S. la tua suoneria = Son of a
Preacher Man. X
Uscì dal
vialetto dunque, senza lanciare
un’occhiata alla casa.
Sarebbe stato
più facile se fosse stato
qualcun altro, pensò mentre tornava a casa. Non era
angosciato all’idea che
Blaine fosse andato avanti, non per davvero. Una parte di lui si
chiedeva se
tutto sarebbe stato più facile se entrambi avessero voltato
pagina, se magari
fossero tornati ad essere comunque amici. Ma perché
Sebastian? Perché la
persona che aveva immediatamente provato a dividere, aveva irritato
Kurt oltre
ogni limite aveva, lentamente, cominciato a diventare importante?
Pensò al
sorriso di Sebastian mentre gli
porgeva la lettera della NYADA. Il pensiero del suo aiuto in
Matematica, di
tutti i caffè, tutte le insultanti osservazioni che da
offensive erano
diventate divertenti, a come fosse ovvio che gli mancasse la madre. Il
pensiero
delle sue molteplici espressioni e di come stesse lentamente imparando
a
leggerle, di come lentamente stesse imparando a volerle
leggere, e desiderò che non lo facesse nessun altro a parte
lui.
Ma poi ci
ripensò – a tutti quei momenti,
quelle espressioni e quelle qualità – e sapeva
perché fosse lui. Capiva perché
Blaine avesse scelto Sebastian. Aveva senso, e Sebastian chiaramente lo
voleva,
così avrebbe reso entrambi felici.
E lui,
beh… Lui avrebbe imparato ad essere
felice per loro.
*
“Ho un
problema,” cominciò Sebastian
mentre si sedeva di fronte a lui.
Kurt spinse una tazza
di caffè in sua
direzione, senza sollevare lo sguardo dai suoi compiti. “Hai
molti problemi,”
replicò senza troppa convinzione. “A cominciare
dal modo in cui ti vesti.”
“Molto
divertente,” rispose il giovane,
dunque gli porse un foglio. “Questo
è
il mio problema.”
Catturò la
sua attenzione. Osservò il
foglio, dunque chiese: “La poesia è il tuo
problema?”
“La mamma
scrive questa roba come se
avesse senso,” disse. “Scrive più roba
di questa che mail.
Perché non riesco a capire nemmeno una parola?”
Kurt
sollevò il capo, le labbra
arricciate. “La poesia richiede l’uso di qualcosa
che ti manca, Sebastian,”
spiegò. “Un cuore.”
“Ouch,
ritira gli artigli,” replicò il
giovane, abbagliandolo con un sorriso. “Mi aiuterai o
no?”
Sollevò
gli occhi al cielo, mettendo da
parte i compiti. “Hai davvero bisogno di imparare a chiedere
aiuto senza
suonare come… beh, come te.”
Dunque
abbassò lo sguardo sul foglio e si illuminò
immediatamente. “Oh, è Robert Browning!”
Sebastian rise della
sua reazione. “Me lo
sentivo che lo avresti apprezzato.”
“Sta’
zitto,” rispose, brandendo il poema
verso di lui a mo’ di arma. “Sono un romantico. E
questo è un fantastico poema.
È per una relazione? Perché non l’hai
googlato?”
Il giovane
scrollò le spalle. “Volevo
sapere cosa ne pensassi.”
Gli rivolse
un’occhiata indifferente, e
dunque stese il foglio sul tavolo e cominciò a leggere. Dopo
un momento, le sue
labbra si arricciarono in un sorriso, dunque recitò:
“‘For me, I touched a
thought, I know, has tantalised me many times – like turns of
thread the
spiders throw, mocking across our path – for rhymes to catch
and let go.’[3] Come puoi non
amarlo?”
“Non riesco
a capire se sia felice o
triste,” ammise lui.
Kurt, la cui
immediata reazione era stata di
godersi tutta la bellezza della poesia, lesse di nuovo e il suo sguardo
fu
catturato da una strofa.
No.
I yearn upward,
touch you close,
Then stand away. I kiss your cheek,
Catch your soul’s warmth, - I pluck the rose
And I love it more than tongue can speak -
Then the good minute goes.
“Penso che
sia entrambe le cose,” rispose.
“L’amore è magnifico, ma non dura per
sempre. Non necessariamente. E ognuno di
questi splendidi attimi svanirà, perché
è così che funziona con il tempo. Non
puoi cristallizzare un momento per sempre, sai?”
sollevò lo sguardo su di lui,
che lo stava osservando pensieroso, e i suoi pensieri tornarono su
Sebastian e
Blaine. Then stand away, I kiss your
cheek, then the good minute goes. “Um. Penso sia
anche sulla
comunicazione.”
“Comunicazione?”
ripeté Sebastian,
abbassando lo sguardo sul foglio.
“Sì,”
rispose. “Ascolta. ‘I wonder, do you
feel to-day as I have felt since, hand in hand, we sat down on the
grass to
stray’ – e qui, ‘for me, I touched a
thought, I know’: sta provando a
comunicare con questa persona, ma ogni volta che pensa siano insieme,
davvero
insieme in quel momento: ‘Just when I seemed about to learn
– where is the
thread now? Off again.’”
Quando
sollevò lo sguardo, Sebastian aveva
uno sguardo che non sapeva come decifrare. “Sei
bravo,” disse l’altro.
Kurt
scrollò le spalle. “Potrei sbagliarmi
del tutto, Browning potrebbe aver voluto dire chissà
cosa,” spiegò, “ma non
importa. È poesia. È così che mi
parla.”
Sebastian
mugugnò, dunque abbassò lo
sguardo sul tavolo. “Preferisco i fatti,” ammise.
“Allora non
dovresti essere un cantante,”
disse. “Cuore,
Sebastian.”
Il giovane
sollevò nuovamente lo sguardo
su di lui, e inarcò un sopracciglio. “La musica
è fondamentalmente riguardo la matematica.”
“Forse,”
rispose. “Ciò non significa che
tu possa trattarla oggettivamente. È soggettiva. Riguarda i
sentimenti.”
“E i
sentimenti sono chimica,” rispose
Sebastian, chinandosi appena sul tavolo. “Non dico che
l’arte non sia
meravigliosa, ma che tutto alla fine arrivi ai fatti.”
Kurt sorrise.
“Ti sbagli.” Sogghignò,
dunque, incapace di reprimersi. “Allora credo che tu non sia
in grado di
aiutare me.”
“Cosa ti
serve?” domandò l’altro, prendendo
la tazza di caffè tra le mani. Lo sguardo di Kurt era fisso
proprio lì,
concentrato sul modo in cui le dita si intrecciavano insieme, e dovette
sforzarsi per sollevare lo sguardo e concentrarsi.
“Mr
Schuester ci ha dato un compito al
glee club, e ho un’idea ma non sono sicura su come
svilupparla.” All’occhiata
dell’altro, continuò: “Ci sono stati un
paio di problemi, come sempre. Ha detto
che abbiamo bisogno di apprezzare le nostre amicizie per quello che
sono,
quindi dobbiamo cantare delle canzoni su quanti ci amiamo
l’un l’altro,
essenzialmente.”
Sebastian
annuì. “Sembra adeguatamente
dozzinale,” osservò.
“È
Mr Schue,” rispose lui. “Così stavo
pensando ai miei amici. E… beh, molte delle mie amicizie non
sono iniziate a
quella maniera. Mercedes e io ci urlammo contro, tipo, per
un’ora quando ci
siamo incontrati alle scuole medie. Odiavo
Rachel. Finn e Puck mi gettavano nei cassonetti prima di
scuola.”
“E poi ci
sono io,” aggiunse l’altro,
sorridente.
“E poi ci
sei tu,” convenne. “Tutto ciò
che mi è venuto in mente è stato il verso
‘we found love in a hopeless place’,
ma l’abbiamo cantata in gruppo quando Mr Schue ha chiesto a
Miss Pillsbury di
sposarla.”
Le sopracciglia del
giovane scattarono in
su, sembrò divertito. “Okay, strana scelta per
chiedere di sposarti.”
“Quindi
pensavo di fare un mash-up,”
spiegò lui. “Solo che non so con cosa
mischiarla.”
Sebastian si
umettò il labbro,
un’espressione pensierosa sui lineamenti. Dopo un momento,
disse: “Canta il
primo verso.”
Si guardò
attorno nel locale. “Qui?”
“Fallo,”
gli ordinò lui. “A nessuno
importerà. Credimi.”
Si
mordicchiò l’interno della guancia,
dunque cominciò: “Yellow
diamonds in the
light, and we’re standing side-by-side, as your shadow
crosses mine; what it
takes come alive.” Sebastian cominciò a
canticchiare un’altra melodia,
ondeggiando avanti e indietro alle sue parole. “It’s
the way I’m feeling, I just can’t deny –
but I’ve got to let it go.”
“I
don’t care if Monday’s blue,”[4] cominciò
il giovane, riprendendo da dove
Kurt aveva smesso.
“Non sei
serio,” disse, sentendosi
illuminare al suggerimento.
Sebastian sorrise.
E dato che la vita di
Kurt era fatta di
strani, vagamente imbarazzanti momenti, si ritrovò a
trascorrere venti minuti
armonizzando con Sebastian al Lima Bean e ignorando le occhiate che
riceveva.
*
“Ci sto per
una maratona di Twilight,”
convenne Kurt, “ma solo se trascorriamo la maggior parte del
tempo a mangiare
schifezze e a criticare i personaggi per le loro pessime, pessime
decisioni.”
“Come
non scegliere il lupo mannaro carino?”
domandò Mercedes, una traccia di
divertimento nella sua voce.
Kurt
infilò il telefono tra la guancia e
la spalla mentre cominciava a mangiare verdure. “Come
scegliere per il ragazzo
che va davvero bene per
lei,”
replicò. “Quello che non rovina la sua macchina
per evitare che veda i suoi
amici? Quello che la ama come persona invece che come una preda il cui
sangue
odora da paura e, okay, quello con degli addominali davvero
favolosi.”
“Ci
sto per i commenti durante il film,” disse la
ragazza. “Ma più che
altro, vorrei trascorrere un po’
di tempo con te. Sei sempre con quel ragazzo.”
Sospirò.
“Mercedes, ne abbiamo già
parlato. Non trascorro più tempo con quel
ragazzo che con chiunque altro.”
“Con
qualunque altro ragazzo davvero carino che ti porti a fare shopping,”
concluse Mercedes.
“Qualunque
altro ragazzo non interessato
che ha bisogno di un po’ d’aiuto con degli abiti.
Davvero, Mercedes, basta
così.”
Improvvisamente, ci
fu trambusto alla sua
sinistra. Chiuse gli occhi, dunque lanciò a Sam
un’occhiata davvero raggelante.
“Stiamo parlando di Sebastian?”
domandò Sam, sorridendogli come se non si fosse
assolutamente intromesso in una
conversazione privata.
“Sam,”
rispose Kurt nel suo tono di voce
più paziente (che solitamente riservava alle persone al di
sotto dei sei anni,
oltre Finn), “non ora. Sono al telefono.”
“Vedi,
persino lui sa che stai parlando di quel ragazzo.”
“Non
è vero… state cominciando a darmi sui
nervi. Posso affrontare solo uno di voi per volta,” si
lamentò, spostandosi per
afferrare meglio il telefilm. “Sam, sto cercando di
organizzare un pigiama
party con Mercedes.” Ondeggiò lentamente, dunque
tornò alle sue verdure.
“Allora. Tu, io, Rachel e la saga di Twilight?”
“Sembra
perfetto,” convenne Mercedes.
“E senza
parlare di ragazzi,”
ordinò.
Ci fu un suono alle
sue spalle. Kurt contò
da dieci, dunque si volse con la fronte corrugata verso Sam.
“Andiamo, non è
giusto,” si lamentò il biondino.
“Sarò già qui a casa. Perché
non posso venire?”
Inarcò le
sopracciglia. “Non abbiamo
deciso dove dobbiamo dormire, Sam,” spiegò.
“Ed è un pigiama party per
ragazze.”
“Facciamo
un pigiama party tra ragazze?”
domandò Finn, apparendo in cucina da dietro
l’angolo. “Fico. Possiamo
accamparci sul pavimento del soggiorno con tutte le nostre
coperte?”
“È
davvero una bellissima idea,” disse la voce di
Mercedes dal telefono.
“No,”
insistette Kurt. “Non farò un
pigiama party con due coppie. Potete tirarmi fuori se andrà
così.”
“Potresti
invitare Tina,” suggerì la ragazza.
“O
Brittany.”
“Tina
inviterebbe Mike, Brittany
inviterebbe Santana, non ci sto.” Volse la schiena ai
ragazzi, che stavano
discutendo sul poter giocare o no ai videogames ad un
‘pigiama party tra
ragazze’. Cominciava a fargli male la testa, ma aveva capito
che gli amici
erano davvero interessati all’idea. “Okay. Magari
invito qualcuno di single,”
suggerì. “Ma non trascorrerete tutta la serata a
fare le coppiette. E niente
videogames.”
Mercedes
squittì felice all’altro capo del
telefono, e Finn e Sam si diedero il cinque.
C’era molto
potenziale per creare un
disastro, capì. Quand’è che la sua vita
si era trasformata in un infinito mal
di testa?
*
L’entrata
di Sebastian nell’aula di canto suscitò
diverse reazioni.
Sam gridò,
dunque sollevò la mano a mo’ di
saluto (Kurt non era sicuro se gli piacesse davvero Sebastian o volesse
soltanto metterlo in imbarazzo); l’espressione di Rachel
mutò immediatamente in
pura disapprovazione; Mercedes gli lanciò
un’occhiata sbigottita; e Brittany
disse, “Kurt, questo è l’outfit che hai
indossato quand’eri triste. È venuto a
portarti via? Sei di nuovo triste?”
Kurt, in piedi di
fronte alla New
Direction con le mani sui fianchi, si addolcì un
po’ all’espressione devastata
di Brittany. “No, Brittany, non sono triste,”
spiegò. “Sebastian è della
Dalton. È la scuola a cui andavo, ricordi?”
“La scuola
per gay, B,” spiegò Santana.
Chiuse gli occhi per
un secondo, quindi si
volse a Santana, accigliato. “Santana, non è una
scuola per gay.”
“Lo dici
tu, ma il Warbler Untuoso è
decisamente dalla tua parte della carreggiata.” Alla mancanza
di risposta, il
volto dell’ispanica si aprì in un sorrisetto.
“Ti sei preso un nuovo boy-toy,
Hummel?”
“Kurt bacia
molto bene,” sussurrò Brittany
gentilmente. Kurt seppellì il volto tra le mani.
Rachel si
chinò in avanti, gli occhi
sgranati. “Mr Schuester, è appropriato avere un
Warbler al nostro allenamento?”
Mr Schuester
scrollò le spalle. “La
competizione è finita, Rachel, non c’è
motivo per cui non possa stare qui. Ma,
uh, perché sei qui?”
“Beh, avevo
l’impressione che fosse
un’aula di canto. Sono qui per cantare,”
chiarì Sebastian.
Kurt si volse
nuovamente alla classe,
cercando di riprendere in mano la situazione. “Sebastian
è qui per aiutarmi con
la canzone del compito di questa settimana,”
spiegò. La stanza sembrò tornare
silenziosa allora, e lui inspirò a fondo. “Molte
delle persone in questa stanza
non… andavano esattamente d’accorso. Siamo di ceti
diversi,” cominciò,
lanciando un’occhiata a Puck, che annuì
d’accordo, e poi a Quinn. “O
semplicemente non andavamo d’accordo.”
Guardò verso Rachel allora, che rispose
con un sorriso. Dopo un attimo, si volse verso Sebastian, le cui
braccia erano
incrociate, ma la cui espressione era sincera. “Ma siamo
cresciuti. Abbiamo
costruito dei ponti, a volte abbiamo dovuto bruciarli e riscostruirli,
ma
l’abbiamo fatto. E penso che siamo andati lontani, tutti noi.
Anche se per metà
del tempo non riesco a sopportare nessuno di voi.”
Ci fu un breve
momento di risate, e si
sentì rilassato. “Il mio gatto costruisce ponti di
carte nel mio seminterrato,”
li informò Brittany.
“Allora
siamo caduti,” continuò lui,
trovando lo sguardo di Blaine. “Abbiamo fatto errori, e
qualche volta abbiamo
imparato da essi.” Guardò Mike. “Abbiamo
scoperto chi siamo imparando dagli
altri.” Il sorriso di Mike lo spinse ad andare avanti, verso
Finn. “Siamo
passati dal lanciarci nei cassonetti al chiamarci a vicenda fratelli.
Quello
che voglio dire,” disse, scuotendo il capo dato che
cominciava a straparlare.
“Quello che voglio dirvi è grazie. Questo mash-up
è per voi tutti.”
Guardò
Sebastian allora, che annuì, e si
sentì immediatamente coi piedi piantati per terra.
La musica
cominciò, un ritmo veloce, che mescolava
due melodie.
Inspirò a
fondo. “Yellow diamonds in the light,”
cominciò a cantare, senza
distogliere lo sguardo da Sebastian, poggiato appena sul pianoforte,
“and now we’re standing
side-bye-side, as
your shadow crosses mine.” Distolse lo sguardo,
puntandolo sul resto della
classe. “What it takes to come
alive.
It’s the way I’m feeling, I just can’t
deny.”
Il ritmo
velocizzò, una melodia si unì
all’altra, Kurt si rilassò e tornò a
guardare Sebastian.
Sorridendo, il
giovane si allontanò dal
piano. “I don’t care if
Monday’s blue,”
cantò. “Tuesday’s
grey and Wednesday,
too. Oh, Thursday, I don’t care about you –
it’s Friday, I’m in love.”
Kurt
inspirò nella breve pausa, e aggiunse:
“We found love in a-”
“Monday,
you can fall apart,” lo interruppe Sebastian, e lui
chiuse gli occhi. “Tuesday,
Wednesday, break my heart. Oh,
Thursday, don’t even start. It’s Friday,
I’m in love.”
“We
found love in a-”
“Saturday,
wait,” cantarono, finalmente insieme, la voce di
Kurt insieme a quella di
Sebastian. Si ritrovò a sorridere, gli occhi ancora chiusi.
“Sunday always comes too late, but
Friday –
never hesitate.”
Fece un passo
indietro mentre Sebastian
raggiungeva il centro della stanza, e lo guardò
attentamente. “Shine a light through
an open door,”
cantò il giovane, tornando indietro alla prima canzone.
“Love and life I will divide. Turn
away ‘cause I need you more.” I
loro sguardi si incontrarono, il respiro di Kurt si disperse da qualche
parte
durante la melodia. “Feel the
heartbeat
in my mind. It’s the way I’m feeling, I just
can’t deny, but I’ve got to let it
go.”
Era così
distratto dall’espressione di
Sebastian che quasi perse la sua battuta.
“I
don’t care if Monday’s black,”
se la cavò, cercando di tornare concentrato.
“Tuesday, Wednesday, heart attack.
Oh
Thursday, never looking back – it’s Friday,
I’m in love.”
“We
found love in a-” intervenne l’altro.
“Monday,
you can hold your head,” continuò Kurt,
osservando Sebastian piuttosto che il
pubblico. “Tuesday, Wednesday, stay
in
bed; oh Thursday, watch the walls instead. It’s Friday,
I’m in love.”
“We
found love in a-”
“Saturday,
wait,” cantarono insieme di nuovo, armonizzando.
Era tornato il sorriso
sulle sue labbra. “Sunday always
comes too
late, but Friday – never hesitate.”
Sebastian si
chinò dietro di lui, allora,
e dovette trattenersi dal volgersi per seguirlo. “Dressed up to the eyes, it’s such a
wonderful surprise,” cantò il
giovane, piazzando le mani sulle sue spalle e poggiandovisi per
incontrare il
suo sguardo. “To see your shoes, and
your
spirits rise,” continuò, chinandosi
scherzosamente dall’altro lato.
“We
found love,” aggiunse Kurt.
“Throwing
out your frown and just smile on the town,”
continuò Sebastian, le mani che
scivolavano dalle sue spalle mentre avanzava per stare al suo fianco,
“slick as a shriek spinning round
and round.”
“We
found love,” cantò allora, una strana
emozione che lo invadeva.
“Always
take a big bite, it’s such a gorgeous sight,”
Sebastian sorrise, senza vacillare,
“to see you eat in the middle of the
night.”
Kurt dimenticò il suo ‘we found love’,
questa volta, troppo occupato a cercare
di ricordare come si respirasse. “I
can
never get enough, enough of this stuff, it’s Friday,
I’m in love.”
Un’altra
breve pausa, la musica si sollevò
nuovamente, e Kurt e Sebastian sorridevano entrambi mentre si
lanciavano a
ripetere, “We found love in a
hopeless
place; we found love in a hopeless place.”
La canzone
continuò a quella maniera a
lungo, le stesse parole che si ripetevano, ma cantate appena
diversamente, le
voci che danzavano e si univano l’un l’altra.
Kurt si sentiva senza
fiato quando la
musica sfumò, e gli ci volle qualche momento per
concentrarsi nuovamente e
scostare lo sguardo da Sebastian per volgerlo al resto della classe.
A stento riconobbe
l’applauso quando
arrivò, perché era troppo attento a Sebastian, in
piedi al suo fianco, che lo
osservava con sguardo pacato, contemplativo.
______________________________
[1] Non è un errore non
voluto, si tratta solo di Puck che
sbaglia intenzionalmente il nome del glee club di cui fa parte
Sebastian.
[2] Non trovavo una traduzione italiana
che calzasse bene
come volevo e, d’altronde, mi sembra che chiunque conosca un
po’ di lessico inglese
sappia il significato. In definitiva l’ho lasciato in inglese
perché mi
sembrava più ‘adatto’.
[3] Il testo è tratto da
‘Two in the Campagna’ di Robert
Browning. Avrei voluto inserire il testo in italiano ma a) non ho
trovato una
traduzione soddisfacente che potesse essere inserita nel testo; b) sono
venuta
a sapere che si preferisce analizzare in lingua originale
perché in traduzione ‘perde
di significato’. Accludo la traduzione,
comunque, così che possiate vederla con i vostri occhi!
[4] La canzone è
‘Friday, I’m in love’ dei Cure.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
NdT:
… Forse è passato un bel po’ di tempo,
vero? Lo so, e non intendevo, ma per
qualche motivo ogni volta penso di aver aggiornato (infatti vi stavo
per
postare il capitolo che ho appena finito di tradurre… che
non è questo, per la
cronaca) e poi invece mi ritrovo a vedere che l’ultimo
aggiornamento è stato ad
Agosto. Traduttrice incosciente. Poco da dire anche questa volta, vado
lentamente per la lunghezza dei capitoli, ma cerco di portarmi avanti
piano
piano, così magari vi potrete trovare più
aggiornamenti entro le vacanze di
Natale (con questi ritmi…). Tutto qui, spero il capitolo vi
piaccia, alla
prossima! :)
Link
al
capitolo originale
Kurt non intendeva
invitare Sebastian al pigiama party.
Gli era passato per
la testa solo per un attimo quando aveva
pensato a qualcuno di single da invitare, ma più che altro
si era chiesto se
fosse o no strano invitare Viola da sola. Comunque, Kurt non aveva
preso
seriamente in considerazione l’idea di invitare Sebastian,
perché i suoi amici
erano strani e presuntuosi, e tutto sarebbe potuto diventare strano
molto
facilmente.
Avrebbe dovuto
accettare molto prima che l’organizzazione di
quella serata non era più sua, comunque.
“È
quasi un peccato che non gareggeremo insieme,” disse
Sebastian
mentre Kurt lo conduceva verso la sua macchina.
Non stava prestando
troppa attenzione alla conversazione, a causa
del piccolo gruppo di amici che li stavano seguendo, abbastanza
indietro da
dare loro privacy, ma abbastanza vicini da essere ovvi nelle loro
intenzioni.
“Ho
recentemente appreso che lavorare con te è leggermente meno
frustrante che lavorare contro di te,” ammise, guardandosi le
spalle. “I miei
amici sono strani.”
“Probabilmente
penseranno che io stia provando a sedurti per farti
trasferire di nuovo alla Dalton,” replicò
Sebastian, accennando loro con un
braccio.
Si fermarono vicino
la macchina del giovane, e Kurt sollevò lo
sguardo con un sorrisetto. “Non è
così?”
Sebastian
scrollò le spalle. “La nostra stagione agonistica
è
finita. Non ci servi più.”
“Accidenti,
e mi mancava l’uniforme,” replicò con un
sospiro.
“Allora credo che… Oddio.”
Colse con la coda
dell’occhio una figura che saltellava verso di
loro, agitando il braccio eccitato. “Hey, ragazzi!”
“Fingi di
non vederlo,” suggerì. “Rimani immobile
e se ne andrà.”
“Non ti
piacciono davvero i tuoi amici, eh?” domandò
Sebastian con
espressione divertita. “Ciao. Ci siamo incontrati prima,
vero?”
Sam sorrise.
“Sì, avevi un sacco di lividi in faccia quella
volta,” rispose, facendo trasalire Kurt. Sembrò
non farci caso. “Non voglio
trattenervi a lungo, voglio solo farti una domanda.”
Kurt strinse le
labbra per non sbottargli in faccia e dirgli di
andarsene. Sentiva che non sarebbe andata a finire bene.
“Okay,”
rispose Sebastian, appena esitante.
Il sorriso di Sam
s’ingigantì. “Sabato prossimo facciamo
un
pigiama party. Vuoi venire?”
Un giorno, Kurt
avrebbe fatto una strage. Sam sarebbe stato il
primo della sua lista di vittime. “È un pigiama
party e una maratona di
Twilight,” spiegò. “Avrebbe dovuto
essere una serata tra ragazze, ma sembra che
Finn e Sam non possano resistere ai lupi mannari senza
maglietta.”
Sebastian lo stava
guardando curiosamente, gli occhi sgranati come
se stesse cercando di capire qualcosa. “Non mi davi
l’idea di essere un fan di
Twilight.”
“Mi piace
lamentarmi delle loro pessime decisioni e lanciare
popcorn allo schermo quando il copione è particolarmente
stupido,” ammise. “Poi
discutiamo su quanto Bella sia idiota per aver scelto Edward.
È una
tradizione.”
Le labbra
dell’altro si erano stirate in un sorriso a metà
della
spiegazione. “Certo, sicuro, ci sarò,”
rispose, e Sam rivolse a Kurt
un’occhiata penetrante (di cui non capiva il significato).
“Se è una serata tra
ragazze, posso portare Vi?”
“Certo,”
rispose Kurt. “Stavo pensando di invitarla, comunque. Lo
sapevi che continua a inviarmi messaggi minacciosi?”
“Vi lascio
soli allora, ragazzi,” li interruppe Sam a voce un
po’
troppo alta. Rivolse un sorrisetto trionfante a Kurt, che
sollevò gli occhi al
cielo, poi tornò indietro dai suoi amici. Lo stavano ancora
aspettando.
Sebastian gli strinse
la spalla, ritornando così alla
conversazione. “Devo tornare a casa, stiamo facendo un regalo
di matrimonio per
papà e Jen,” spiegò.
“Caffè, domani?”
“Ottima
idea,” rispose Kurt, e fu solo quando la mano di Sebastian
scivolò lungo il suo braccio che realizzò che non
l’aveva lasciato andare per
primo. “Avverti Viola della cosa di Twilight durante il
pigiama party, prima
che accetti,” suggerì. “A
domani.”
Tornò dai
suoi amici mentre il giovane saliva in macchina, e si
permise di tornare ad un’espressione indifferente.
“Quanto
puoi essere idiota?” esclamò Rachel, il tono di
voce più
rude di quanto Kurt si aspettasse.
Sbatté le
palpebre. “Uh.” Esitò, incerto su cosa
avrebbe dovuto
rispondere. “Vuoi data la risposta in pollici?”
“È…
sei mica… non riesco a parlargli,” concluse la
ragazza,
volgendosi. “Qualcun altro glielo spieghi in parole
povere.”
Kurt fissò
la ragazza, impressionato dalle sue doti recitative,
dunque volse lo sguardo al resto del gruppo.
“Okay,” disse lentamente. “Che
cosa ho fatto di male?”
Puck, che era una
delle persone che, sorprendentemente, l’aveva
seguito fuori dall’aula di canto, sollevò la mano.
“Quindi, non ti stai
facendo il Gargler?” Kurt
aprì la bocca, pronto a difendersi, ma Puck
continuò: “Perché loro sembrano non
capirlo, ma io ero sicuro che tu ci fossi dentro fino al collo. Da
quando avete
cominciato a farvi gli occhi dolci l’un l’altro e a
cantare di amore e roba del
genere.”
“No,
aspetta. Cosa? Avete capito male,” replicò,
improvvisamente
agitato.
“Come vuoi,
amico,” disse Puck. “La cosa ha smesso di essere
interessante quando si è capito che siete degli idioti. Ci
vediamo dopo,
perdenti.”
Kurt
osservò il giovane andarsene, la fronte corrugata.
“Siete
assolutamente ridicoli,” aggiunse poi. “Non
è vietato duettare senza dare
quell’impressione. Solo perché siamo entrambi gay
-”
“Oh, non
metterla su questo piano,” insistette Rachel. “Non
c’entra il fatto che siate entrambi gay. Non eri nella stessa
stanza con noi?”
Kurt sentì
il panico cominciare a salire. Il problema era che gli
altri non sapevano – non
avevano
sentito Sebastian parlare a Blaine, non sapevano a chi fosse realmente
interessato. E non sapevano che stava cercando di non curarsene,
perché essere
amico di Sebastian – o qualunque cosa fossero – era
importante per lui.
“Non
capite,” finì col dire, cercando di mantenere un
tono di voce
calmo. “Non è come dite voi.”
“Tesoro,
cosa è successo a
te?” domandò Mercedes, e quando volse lo
sguardo su di lei, sembrava
onestamente preoccupata. “Perché non riesci a
capire cosa sta succedendo?”
Non aveva la forza di
discutere. Non sapevano nulla perché non
erano stati lì tutto il tempo, e non avevano visto Sebastian
interagire con
Blaine. Era stato grato del fatto che nell’aula di canto
Sebastian non
sembrasse interessato nell’avvicinare l’altro, ma
ora quasi desiderava che lo avesse fatto,
così che tutti
capissero cosa aveva fatto.
Si volse e
abbandonò il gruppo, ignorando il richiamo afflitto di
Rachel. Quando fu al sicuro nella sua macchina, cominciò a
chiedersi perché i
suoi amici non riuscissero a capirlo.
Non capire Sebastian era naturale, perché non conoscevano il
contesto, ma sicuramente
avrebbero dovuto capire meglio lui, giusto?
Quando
controllò il cellulare, dopo aver guidato a lungo per la
città, vide che aveva ricevuto un messaggio di Viola che
diceva solamente: La maratona di Twilight va
benissimo, roba
figa. Xxxx
*
A due ore
dall’inizio del pigiama party, Kurt aveva cominciato ad
accettare il fatto che non fosse un disastro. Viola e Sebastian erano
stati gli
ultimi a presentarsi, uno con le borse di entrambi tra le mani, mentre
l’altra
teneva tra le mani una torta con il disegno di un cuore fatto con
scaglie di
cioccolato bianco (“è per festeggiarti!”
aveva spiegato quando aveva chiesto a
cosa fosse dovuta), che aveva immediatamente suscitato la loro
popolarità tra i
suoi amici. Viola si beò di quelle attenzioni, e mantenne
gli occhi di tutti
puntati su di sé a una maniera che gli ricordò
Rachel.
Mentre la ragazza
attirava l’attenzione altrui, Kurt sedette sulle
coperte che fungevano da accampamento, accanto a Sebastian, e si
rifiutò di
prendere in considerazione il conto delle calorie. Sarebbe stato sotto
un
regime di insalata per giorni per rimediare, ma il cibo spazzatura era
una
tentazione troppo grande.
A un certo punto,
mentre cercava di distrarsi dal conto delle
calorie, lo sguardo scivolò sulla camicia di Sebastian,
appena aperta sotto un
gilet. “Oh,” disse, sorpreso, allungando la mano a
sfiorare il colletto.
“Questa l’ho scelta io.”
Si sentiva
stranamente compiaciuto, perché Sebastian chiaramente
credeva abbastanza nel suo senso della moda da voler indossare una
camicia che
aveva scelto, a dispetto di ciò che diceva di solito a
riguardo. Il giovane
inarcò un sopracciglio. “Beh, sei riuscito a
evitare di vestirmi in maniera
ridicola, come fai tu.”
Dietro di loro,
qualcuno si schiarì la gola rumorosamente. Kurt volse
il capo, le dita che scivolavano via dal colletto dell’altro,
e Rachel li stava
fissando, il mento poggiato alla mano e un ghignetto malcelato. Le
lanciò
un’occhiata da sta’ zitta,
lei rise e
lo avvolse in un abbraccio.
Quando misero su
Twilight, rannicchiato sul pavimento su una pila
di coperte e cuscini, cominciò a rilassarsi. Sebastian si
era spostato per
poggiare un braccio sul divano, alle sue spalle, e stava quietamente
lamentandosi della recitazione e della storia nel suo orecchio. Rachel
era finita
con la testa sulla sua coscia, e gli lanciava occasionalmente qualche
occhiata
quando si metteva a ridere.
Quando venne
‘rivelata’ la storia del vampiro, cominciarono a
lanciare popcorn. Poteva essere colpa sua come non esserlo. La porzione
di
pavimento sotto la televisione fu presto occupata da una pila di
popcorn, e
alla fine del primo film tutte le ciotole erano vuote.
“Ancora
popcorn,” insistette Rachel, sollevando la ciotola di
plastica, colpendolo quasi in viso.
“Ancora
popcorn,” convenne Mercedes, porgendogli l’altra
ciotola.
Sebastian ridacchiò quando Kurt si scostò.
“Se la
smetteste di lanciarli allo schermo potreste anche
mangiarli,” fece notare loro Sam. Sembrava l’unico
che si stesse godendo
davvero i film, giaceva con il mento poggiato alle mani.
“Galateo dei film,
ragazzi, seriamente.”
Kurt ricadde col capo
contro il divano. “Finn,” suggerì.
“Va’ a
fare i popcorn.”
“Eh no,
amico,” replicò l’altro. “Non
lo farò. Non lo farò
affatto.”
“Non riesco
a credere che ne guarderemo altri due,” disse
Sebastian. “È questo che fai per divertirti?”
Kurt gli
lanciò un’occhiataccia. “Anche se non
fosse divertente,
sapere che la cosa è una tortura per te è
abbastanza,” commentò. “Okay, su
Rachel, vado a fare altri popcorn.”
Rachel
grugnì infelicemente quando la depositò sul
pavimento,
dunque si raggomitolò contro Finn.
“Ti aiuto
io,” si propose Viola. “Devo comunque mettermi in
pigiama.”
Kurt aiutò
Viola ad alzarsi, lei gli strinse la mano quando furono
entrambi in piedi, con l’ovvia intenzione di non lasciarla
andare. “Da questa
parte,” disse, guidandola verso la cucina.
Tutto sembrava
differente alla luce della cucina. Gli occhi di
Viola brillavano di gioia. “Ho buone notizie,”
annunciò quando furono soli.
Kurt
sgranò gli occhi. “Qualche gossip,
vero?” disse.
Viola rise, dunque lo
afferrò per le braccia. “Come regalo di
nozze, Papà e Jen hanno pagato a Yitzie il viaggio per stare
qui durante il
matrimonio!” spiegò, sembrava così
felice che non poté che ricambiare il
sorriso. “E la sua famiglia ha detto di sì, anche
se perderà qualcosa come
quattro giorni di scuola, ed è magnifico perché
loro mi odiano.”
“Come si
può odiarti?” domandò. “Sei
così emotiva. Sono davvero
felice per te, Viola.”
“Sii solo
felice del fatto di non essere stato con me quando ce
l’hanno detto,” rispose Viola, sorridendo ancora.
“Sebastian avrebbe voluto
essere felice, ma era troppo occupato a calmarmi. Gli ho graffiato il
braccio.”
Kurt si volse a
prendere i popcorn ormai pronti, l’umore sollevato
dalla felicità della ragazza. Era una persona dalle emozioni
estreme,
riconobbe, ma essere trascinati da lei era divertente. Soprattutto in
quel
momento, quando era praticamente raggiante di felicità.
“Quand’è il
matrimonio?” domandò una volta che ebbe regolato
il microonde.
“A due
settimane da domani,” rispose Viola, poggiandosi al
bancone. “I matrimoni di domenica mi fanno soffocare, ma
almeno non andremo a
scuola per due giorni. Con il permesso, anche se avremmo dovuto farlo
comunque
perché Papà e Jen andranno a Miami senza di noi,
che bastardi.”
“Vi
lasciano da soli?” domandò, cercando di non
apparire troppo
terrorizzato al pensiero di tutti i guai che i due fratelli avrebbero
potuto
combinare da soli.
Viola scosse il capo.
“Lo farebbero, ma non possono fare
altrimenti. Sebastian sarebbe bloccato a casa.” Alla sua
occhiata
interrogativa, spiegò: “Yitzie e io non possiamo
stare in un luogo chiuso da
soli fino a quando non saremo sposati.” Si fermò,
poi aggiunse: “E ovviamente
la cosa fa schifo, ma non risolve il problema. Quindi mio zio
verrà a stare con
noi.”
Kurt
l’osservò per un momento, curioso, poi
tornò ai popcorn.
“Penso che sia davvero… impressionante. Che tu
faccia funzionare la vostra
storia nonostante siate così diversi e tanto
distanti.”
La ragazza
esitò per un momento, ma quando Kurt guardò in
sua
direzione, sembrava solo pensierosa. “È come se
fossimo arrivati al punto in
cui non possiamo fare a meno di
farlo
funzionare,” ammise. “Insomma, è
spaventoso per la metà del tempo, ma penso
debba essere così. Sposerò un pazzo religioso e
avremo bambini che si
chiameranno Yechezkel o roba del
genere, e andrò davvero in sinagoga più di una
volta l’anno.” Al suo sorriso
divertito, aggiunse: “Sono cose spaventose, Hummel. Dovresti
sembrare
accuratamente terrorizzato.”
Scosse il capo.
“Quindi sarai tu a cambiare?” domandò.
Voleva
suonare sbrigativo, ma venne fuori quasi a mo’ di sfida.
“Non volevo dire -”
“No, va
bene,” rispose lei. “Cambieremo entrambi. Parlando
di
stile di vita, probabilmente sarò quella che
cambierà maggiormente. Ma quando
si tratta di ideologie, lui ha fatto il grosso del lavoro.”
Il suo sguardo
doveva essere interrogativo abbastanza, perché aggiunse:
“Non potevo davvero
frequentare un omofobo, no?”
“Giusto,”
convenne lui.
“Sebastian
è tutto il mio mondo,” spiegò Viola.
“Se avessi pensato
che Yitzie potesse ferirlo, anche solo con dei pregiudizi, avrei scelto
sempre
Sebastian.” Kurt si sentì addolcire a quelle
parole, le offrì un sorriso. “Se
non posso credergli riguardo Sebastian, allora non
c’è modo di stare insieme.”
Lo faceva suonare sia
facile che profondo, e Kurt si risollevò.
“Come sai di poterti fidare di lui?”
domandò, prima di pensarci meglio.
L’espressione
di Viola era pacifica. “Perché mi ama,”
disse.
Kurt
inspirò a fondo mentre preparava l’ultima ciotola
di popcorn.
Il silenzio divenne troppo lungo. “Come fai a -”
cominciò, dunque si riscosse.
“Sebastian ti ha raccontato di cosa è accaduto con
il mio ex?” domandò invece,
sperando che centrasse il punto.
“Sì,”
rispose la giovane. “Spero non ti dispiaccia. Non abbiamo
segreti sulle cose importanti.”
“Quindi sai
anche che… insomma, pensavo anch’io che fosse
così
facile ma…” deglutì, insicuro su cosa
stesse cercando di dire. “Non dico che
Yitzie sia così, ovviamente, ma come fai a credere che non
lo sia?”
Viola rimase in
silenzio, e quando Kurt riuscì a guardarla,
sembrava che fosse dispiaciuta per lui. La fronte corrugata, distolse
lo
sguardo. “Lo faccio e basta,” spiegò
lei. “Non ho alcuna prova,
ma è come se fosse quello il punto. Ha campo libero per
spezzarmi il cuore. Ecco perché donarlo a lui è
così magnifico.”
*
Quando Eclipse
finì, Mercedes, Finn e Viola si erano addormentati
e c’era un sottile strato di popcorn sulle coperte.
Kurt, il mento
poggiato alle ginocchia e stretto in una coperta,
sbatté le palpebre assonnato verso lo schermo.
“Lei è completamente idiota,”
affermò.
“Potresti
essere un po’ meno Team Jacob?” domandò
Rachel, la sua
voce proveniva da sotto una pila di coperte e cuscini sotto la quale si
era
sepolta mezz’ora prima, lamentandosi del fatto che avesse
mangiato troppo.
Scosse il capo.
“No – uh,”
rispose, interrotto a metà da uno sbadiglio.
“Kurt non
ha tutti i torti,” rispose Sam, ancora fin troppo
sveglio. “Chiunque sia stato innamorato sa che il tipo di
relazione tra Bella e
Edward non è sano. Si tratta di intensità e
infatuazione.”
“Concordo,”
commentò Sebastian alla sinistra di Kurt. Questi
sollevò il capo per guardarlo assonnato. “Che
c’è?”
Sospiro, e finalmente
trovò abbastanza energia motoria da
sdraiarsi. “Non puoi saperlo; non sei mai stato
innamorato,” gli fece notare,
cercando un cuscino da infilarsi sotto la testa.
Quando ne
trovò uno, Sebastian si sdraiò al suo fianco,
osservandolo curiosamente. “Non è vero,”
disse semplicemente.
Aggrottò
la fronte, sforzandosi di tenere gli occhi aperti. “Beh
era vero lo scorso mese, quando stavamo parlando di Parigi.”
Sebastian si volse
sino a giacere sulla schiena, lo sguardo volto
al soffitto. “Non sono nemmeno sicuro che fosse vero
allora,” ammise.
La parte sonnacchiosa
del suo cervello sembrò riaccendersi a
quelle parole, si sollevò sul gomito. “Pensavo che
avessi venduto la tua anima
per degli stivali cromati d’acciaio anni fa,” disse.
C’era buio,
ora, con le sole luci dei lampioni per strada. Il
volto di Sebastian era avvolto da un gioco di ombre, ma Kurt
riuscì comunque a
vedere le sue labbra stirarsi in un piccolo sorriso.
“L’avevo solo data in
pegno,” spiegò. “L’ho avuta
indietro per molto più di quanto meritasse in ogni
caso.”
Kurt si sentiva un
po’ male, e attribuì la colpa al cibo
spazzatura. Si volse in maniera tale che non fosse proprio di fronte al
giovane, e si concentrò sul debole sospiro di Rachel
piuttosto che sul battito
del proprio cuore. “Perché sei ancora
single?” sussurrò, chiedendosi se Blaine
potesse resistere a quell’opportunità.
Sebastian rimase in
silenzio per un lungo momento, prima di dire:
“È… emotivamente occupato,”
rispose, dunque volse il capo per osservarlo.
Kurt vide il
luccichio dello sguardo nella luce fioca che
proveniva dalla finestra, e rispose: “Dev’essere un
idiota.”
Il sorriso
dell’altro si allargò, ma in qualche modo sembrava
triste. “Il più grande idiota che abbia mai
incontrato,” affermò, quasi fosse
un’accusa.
Viola si
svegliò più o meno quando il fratello si
addormentò. Kurt
era esausto, ma non riusciva a trovare una posizione abbastanza comoda,
cosa
che attribuì ancora una volta al cibo spazzatura e non alla
fastidiosa
sensazione che aveva in petto.
Scostò gli
occhi dal volto di Sebastian quando Viola sbadiglio, e
si volse abbastanza in tempo da vedere una mano sollevarsi prima di
ricadere
sulle coperte. “Tutto bene, Vi?” domandò
a bassa voce.
“Mm,”
mugugnò in risposta. “C’è
cibo?”
Sorrise, cercando di
ignorare quella sensazione fastidiosa. “No,
tesoro,” disse. “Sebastian mi ha detto di non farti
mangiare dopo la
mezzanotte, o di lasciarti avere contatto con
l’acqua.”
Viola
sbuffò. “Bastardo,” disse, poi
tornò silenziosa.
Non gli piaceva il
silenzio – rendeva troppo difficile ignorare i
suoi stessi pensieri – ma non voleva tenerla sveglia, quindi
rimase a sua volta
in silenzio. Alla fine, si mise di fianco, e guardò il dolce
su-e-giù del petto
di Sebastian mentre si imponeva di dormire e basta.
Aveva pensato, prima,
sedendo nella sua macchina nel tentativo di
non piangere, che sarebbe stato meglio se Blaine avesse voluto qualcun
altro
che non fosse Sebastian. Ma realizzò, mentre cercava di
convincersi a dormire
(invece di pensare troppo, che era poi quello che finiva per fare
comunque) che
non era lo stesso dall’altra parte. Sarebbe stato tremendo
anche se Sebastian
fosse stato innamorato di qualcuno che Kurt non aveva mai incontrato.
Lo capì
ancor più chiaramente nelle scene che vide nella sua
stessa mente. Che cosa stava succedendo? Non era quello che si
aspettava di
provare.
Si volse verso il
soffitto, e le mani di Viola stavano disegnando
qualcosa per aria. Chiuse gli occhi. Sarebbe stato meglio se Blaine
avesse
voluto chiunque altro eccetto Sebastian, ma non viceversa, significava
che non
c’entrava per nulla Blaine?
Gli rimase il respiro
bloccato in gola, e voleva solo lasciar
perdere quell’idea, ma ora che ci aveva pensato non
c’era modo di reprimerla.
Se non c’entrava Blaine – se quella fastidiosa
stretta al petto all’idea che
Sebastian fosse innamorato non era
correlata al suo ex – allora si trattava solo di Sebastian.
Oddio, voleva forse
dire che…?
Pensò a
tutte le volte che si erano visti per un caffè, le volte
in cui Sebastian lo aveva aiutato con la matematica e lui aveva letto
le sue
relazioni, quella in cui si era messo in macchina per cercarlo nel bel
mezzo
della notte, quando si erano messi insieme nello stesso letto, erano
andati a
fare shopping, avevano letto una poesia e cantato…
E, Dio, Kurt
pensò anche a Sebastian e Blaine che parlavano, a
come si fosse sentito stranamente ferito – per Blaine che lo
chiamava per
parlare di Sebastian e lui che gli chiudeva il telefono in faccia
perché non
poteva sopportare che gli si chiedesse il permesso.
E sul fatto che tutto
ciò non aveva a che fare con Blaine.
Oddio, era davvero
stupido. Era davvero abbastanza stupido da
provare qualcosa per Sebastian Smythe.
Che problemi aveva? Quand’era accaduto tutto ciò?
Tra i
caffè, i compiti e lo shopping, rispose il suo cervello. Era
accaduto lentamente, più come scendere lentamente una scala
piuttosto che
cadervi dalla cima, un passo attento alla volta, fino a quando ogni
passo
superficiale aveva eguagliato qualcosa di profondo. Non se
n’era accorto perché
non c’era stato un momento, ma piuttosto un accumulo di
piccole cose, di quel
tipo che causavano il cambiamento di una specie.
Kurt pensò
Sono innamorato,
seguito immediatamente da un Sto per
vomitare.
*
Il resto della notte
trascorse in una sorta di panico silenzioso.
Non aveva vomitato, alla fine, ma aveva trascorso quasi
un’ora in bagno a
cercare di convincersi che tutto fosse a posto. Non era cambiato nulla,
aveva
provato a dirsi. Nessuno avrebbe dovuto saperlo.
Se l’unico cambiamento era nella sua testa, allora non era
davvero qualcosa. Nulla era
diverso, si disse.
A un certo punto,
tornato sulla pila di coperte, Kurt doveva
essersi addormentato. Non ricordava di essersi sentito stanco quando le
parole Sono innamorato gli
danzarono tra le
sinapsi, ma si svegliò con la luce del giorno che filtrava
dalle finestre e
Viola accoccolata contro la sua schiena.
Apparentemente si era
anche spostato a un certo punto, perché si
svegliò dal lato opposto dell’accampamento di
coperte rispetto Sebastian.
Si
stiracchiò, allungando le dita a sfiorare la base del
divano,
dunque sospirò. “Qualcun altro è
sveglio?” domandò.
“No,” rispose Rachel,
per poi colpirlo sulla coscia con il cuscino. “Nessuno
è sveglio. Dormi.”
Kurt si mise a
sedere, sorridendole con affetto. “Siete tutti
terribili,” dichiarò, continuando poi con un:
“Vado a preparare i pancakes.”
Molti dei suoi amici
si sollevarono a quelle parole, dirigendosi
in cucina per aspettare i pancakes. Sam, che era apparentemente sveglio
almeno
quanto lui, lo seguì per aiutarlo (o, se si viveva nella
realtà di Kurt, per ostacolarlo)
a preparare la colazione.
“Sei
sparito a lungo ieri notte,” disse, come per iniziare un
discorso.
Lo guardò con la coda dell’occhio, dunque
scrollò le spalle. “Non molto dopo il
discorso di Sebastian su -”
“Sam,”
lo interruppe. “Lascia perdere.”
“Volevo
solo dire, se c’è qualcosa -”
“Sam,” disse di nuovo,
cominciando a sentire lo stesso panico della sera prima risalire nel
suo petto.
“Per favore, lascia perdere.”
Il giovane
sollevò le mani. “Va bene, amico, stavo solo
dicendo la
mia.”
Kurt
inspirò a fondo mentre si concentrava sulla preparazione di
una colazione per sette persone.
La sua rinnovata
consapevolezza sui propri sentimenti non lo
abbandonò, e gli fece notare
delle
cose. Gli fece notare il modo in cui aveva sorriso specificamente a
Sebastian,
automaticamente, quando aveva messo il cibo a tavola, e come Rachel
aveva
roteato gli occhi in direzione di Mercedes. Dopo quello,
provò a non guardare
più il giovane, preoccupato per come ovvio dovesse essere
stato ovvio persino
quando non sapeva perché lo fosse – ma comunque
abbastanza perché i suoi amici
ne parlassero a riguardo. Dio, era così imbarazzante.
Probabilmente
più importante degli sguardi tra Mercedes e Rachel
per il suo comportamento era la reazione di Viola. Quando
finì di preparare i
pancakes e andò a sedersi per mangiare, Viola si
alzò immediatamente per
liberare il posto accanto a Sebastian con un commento riguardo il
doversi
vestire, poi lanciò al fratello un’occhiata
divertita e un’inarcata di
sopracciglia. Kurt scostò lo sguardo mentre sedeva a tavola,
desiderando che
così potesse essere meno divertente per Viola.
Probabilmente lo trovava uno spasso. La tranquilla, sicura Viola, che
aveva
tutto ciò che voleva, se la rideva mentre lui ammattiva
senza nemmeno saperlo.
“Tutto
bene?” domandò poi Sebastian, poggiandosi al
tavolo con il
gomito e reclinando il capo per guardarlo negli occhi. “Sei
silenzioso.”
Sorrise meglio che
poté, chiedendosi se Sebastian lo avesse notato
a sua volta. Sarebbe stata solo una fortuna se il ragazzo avesse capito
i suoi
sentimenti prima di quanto li avesse capiti lui. “Tutto
bene,” rispose. “Non ho
dormito molto bene.”
“Hai avuto
incubi sui vampiri?” domandò l’altro.
Gli rivolse una lunga
occhiata. “Ovviamente, non mi spaventa nulla
che brilli,” affermò. “E sì,
prima che tu lo dica, questo include il mio gusto
nel vestire e la tua brillante
personalità.”
Sebastian rise a
quelle parole, e lui riuscì a rilassarsi appena.
Aver capito i suoi sentimenti non aveva cambiato nulla, si
ricordò. Erano
ancora Kurt e Sebastian, una sottospecie di amici, anche se riuscivano
a stento
a sopportarsi.
Molto dopo, quando i
suoi amici se ne furono andati e il salotto
fu sistemato, Kurt lasciò Sam e Finn a giocare ai videogames
e si chiuse in
bagno. E se avesse pianto, beh, nessun altro sarebbe stato
lì a vederlo.
*
Due giorni dopo,
quando Mr Schuester li lasciò dopo l’ultima
canzone d’amore strappalacrime (nauseante) di Rachel, Kurt
ricevette un
messaggio da SMYTHE: Sono
fuori, all’ingresso. Devo chiederti una
cosa. Ci vediamo tra 5 minuti? X
Devo
andare al mio
armadietto, rispose. Ci vediamo lì tra poco.
Quinn lo
accompagnò all’armadietto per discutere di un
potenziale
duetto per il compito della settimana. Kurt, che non era mai stato
particolarmente vicino a Quinn, era confuso ma perlopiù
felice di essere
graziato della sua presenza. Comunque, quando lo prese sottobraccio
mentre
camminavano per i corridoi, non riuscì a trattenersi dal
domandarle: “Quinn,
cosa vuoi dirmi davvero?”
La giovane lo
guardò, un’espressione indecifrabile.
“Che vuoi
dire?” domandò.
Si fermò,
volgendosi per fronteggiarla. “Mi piaci, Quinn,”
spiegò.
“Sono felice di cantare con te. Ma ho come
l’impressione che non si tratti solo
di una canzone.”
Un’ombra
passò sui tratti ingiustamente perfetti della giovane,
poi sospirò. “Mi sembravi
giù,” disse infine.
Kurt
sbatté le palpebre. “Oh,” disse.
“Mi spiace, non volevo farla
suonare come un’accusa-”
“No, Kurt,
davvero, va tutto bene,” rispose Quinn. “Ho
trascorso
così tanto tempo della mia vita abbattuta per i ragazzi.
Solo…” agitò la mano,
come se ci fosse qualcosa che non riusciva ad articolare bene, infine
lo guardò
negli occhi. “Penso solo che non dovresti fare
così. Se hai qualche problema,
affrontalo e… torna ad essere te stesso.” Lo
colpì leggermente al braccio con
il proprio, e aggiunse: “Favoloso.”
Kurt sorrise, poi la
prese di nuovo sottobraccio. “Non sono
giù,”
rispose. “È che ho avuto molto a cui pensare
ultimamente. Non mi sto
crogiolando né nulla del genere.”
“Bene,”
rispose la giovane. “Allora sarai libero di trascorrere un
po’ di tempo con me.”
Mentre uscivano
dall’edificio si scambiarono un sorriso, che sparì
rapidamente quando vide Sebastian. Era poggiato contro il muro, appena
colpito
dalla brezza, aveva un’espressione pensierosa sul viso,
osservava Blaine mentre
parlavano.
Si fermò,
dunque sfilò il braccio da sotto quello di Quinn.
“Va’
avanti,” disse senza guardarlo. “Credo…
di aver dimenticato qualcosa.”
Quinn
sospirò. “Certo,” disse, dunque si
avvicinò a baciarlo sulla
guancia. “I ragazzi non sono un così grande
problema,” lo informò prima di
andare via.
Era
d’accordo con lei, ovviamente. Ma non era abbastanza da
riuscire a farlo avanzare in quel momento.
Aveva due scelte,
riconobbe. Avrebbe potuto raggiungere Sebastian
e Blaine e fingere che non gli importasse; che era probabilmente la
scelta
migliore per preservare la propria dignità. Oppure, sarebbe
potuto tornare
indietro prima che uno di loro lo notasse, mandare un messaggio a
Sebastian
dicendo che doveva andare da qualche parte, e lasciarli così
a discutere.
Quest’ultima
era sicuramente la scelta più cortese,
realizzò. Sebastian probabilmente voleva chiedergli di
uscire, quindi non avrebbe dovuto interromperli, giusto? Avrebbe rotto
qualche
regole del codice dell’amicizia interrompendo un amico che
parlava con qualcuno
che gli interessava?
Kurt, comunque, non
aveva preso quella decisione. Fu colto di
sorpresa da un saluto, “Hey, fatina” e il lampo di
una granita blu che lo
colpiva.
Ci voleva sempre un
attimo per tornare a se stesso dopo la botta
di freddo dopo esser stati presi a
colpi di granita. Dopo un attimo tossì e sollevò
le mani per rimuovere il
ghiaccio e lo sciroppo dagli occhi.
“Kurt!” urlò una voce
familiare, poi sentì Finn al suo fianco.
“Dannazione, ti hanno preso.”
“Mm
hm,” rispose, dunque inspirò a fondo.
“Bagno?”
“Sebastian…
Sebastian, no!”
stava urlando Blaine. Non osò aprire gli occhi ancora, me si
volse in direzione
della voce. “Peggiorerai le cose -”
“Sebastian
Smythe,” urlò lui. “Torna qui immediatamente.”
Con sua sorpresa,
Sebastian sembrò eseguire gli ordini. In pochi
secondi fu circondato da tre ragazzi. “Bagno,”
sembrò ricordarsi Finn,
prendendolo per la spalla. “Hai un cambio
d’abito?”
“Mm
hm,” rispose, cominciava a tremare per il freddo ora che la
momentanea distrazione di tenere Sebastian fuori dai guai era finita.
“Nel mio
armadietto. Blaine, ricordi la combinazione?”
“Certo,”
rispose Blaine. “Ci vediamo in bagno.”
La sua stessa vita lo
stava prendendo in giro, ne era sicuro. I
tre ragazzi che lo condussero nuovamente dentro la scuola erano tre
persone per
le quali Kurt, a un certo punto, aveva provato dei sentimenti.
Quando si
ritrovò in bagno, fu certo che la camicia non fosse
salvabile. “Dannazione,” soffiò, e
decise su concentrarsi sulla propria faccia
e i capelli per il momento.
Sebastian prese delle
salviettine di carta dal dispenser e gliele
porse, riuscendo ad apparire sia costernato che divertito.
“Sembri un puffo,”
disse.
Gli lanciò
un’occhiataccia. “E tu sembri un
suricata,” gli fece
notare. “Almeno la mia puffaggine verrà lavata via
con il colorante blu.”
“Buffo,”
replicò l’altro. “Sembrerai ancora un
vampiro. Sei mai
uscito alla luce del sole?”
“Basta con
i vampiri, Sebastian,” disse, chinandosi sul lavandino
per sciacquare i capelli dalla sostanza blu e appiccicosa.
“Bisogno di
aiuto?” domandò il giovane.
Finn
sbuffò. “Non gli andrei vicino mentre si fa i
capelli,”
disse.
“Ti ho
lanciato un asciugacapelli una sola volta, una,”
rispose Kurt. Si sollevò e scrutò
nello specchio. “Salviette,” ordinò.
Asciugò
l’acqua dai capelli con le salviette, poi sospirò
al
proprio riflesso. “Sembro davvero un puffo,”
ammise. “Questa è l’ultima volta
che mi vesto di bianco per andare a scuola L’ultima.”
Sebastian si
schiarì la gola, e Kurt lo osservò attraverso il
riflesso
con le sopracciglia inarcate. “A proposito di abiti
bianchi,” disse. “Ho un
più-uno per il matrimonio di mio padre. Mi chiedevo se ti
andasse di venire con
me.”
Sbatté le
palpebre. “Io, uh -”
Blaine
entrò in bagno in una specie di moto vorticoso.
“Pensi che
questa camicia vada bene?” domandò, la fronte
corrugata nell’osservare il capo
di vestiario.
Scrollò le
spalle. “Probabilmente no,” ammise, cercando di
prestare attenzione al fatto che fosse una delle sue camicie preferite
invece
che alla proposta di Sebastian. “Non mi lanciavano una
granita da un po’; avrei
dovuto aspettarmelo. Potreste girarvi un minuto?”
Quando tutti e tre si
furono voltati, Kurt si permise di pensare a
ciò che era accaduto negli ultimi cinque minuti.
Sbottonò velocemente la giacca
e la camicia bianca, poi utilizzò altre salviette per
rimuovere i residui di
granita che aveva sul petto. “Oh, è
disgustoso,” disse ad alta voce.
“È
fico che tuo padre si sposi,” commentò Finn,
mentre Kurt si
cambiava la camicia e il maglione. “Kurt ha pianificato tutto
quello dei nostri
genitori lo scorso anno. Ha un mucchio di riviste sul matrimonio,
è stato
fichissimo.”
Finn era
l’unica persona al mondo che potesse passare dal
lanciargli palloncini pieni di pipì perché era
gay al chiamare la sua collezione
di riviste di matrimonio ‘fichissime’.
Sollevò gli occhi al cielo. “Potete
girarvi adesso,” disse agli altri, chinandosi verso il
proprio riflesso per
controllare eventuali rimanenze di colorante.
“Hai un
mucchio di riviste di matrimonio,” disse Sebastian in tono
neutro, un’espressione divertita.
Kurt
l’osservò nuovamente attraverso lo specchio.
“Ho un mucchio
di riviste di matrimonio sotto il mio letto,” lo
informò. “Tu hai pile di
fotografie, e intendo pile, quindi
non giudicarmi.”
Finn, come sempre,
sembrava confuso. “Come fai a sapere cosa
c’è
sotto il suo letto?”
Sebastian rise.
“Vabbè. Non tutti abbiamo le tue capacità
organizzative.”
Kurt
incontrò lo sguardo di Finn. “Lui dice
così,” spiegò. “Ma in
realtà mi accusa di avere un disturbo ossessivo
compulsivo.”
Blaine rise allora, e
Kurt (che aveva ignorato la sua
presenza risolutamente, tanto da non concentrarsi
su di lui) prese un bel respiro.
“Andiamo,”
si offrì Sebastian, aprendo la porta del bagno.
“Lima
Bean?”
Kurt, ancora
appiccicoso, imbarazzato e un po’ ferito, scrollò
le
spalle. “Non penso sia una buona idea,” disse,
lanciando un’occhiata al giovane
così che capisse che non stava parlando solo del
caffè. “Perché non ti porti
Blaine?”
Sebastian
sembrò confuso quando se lo lasciò alle spalle.
Finn lo
inseguì, quindi guardò indietro verso Sebastian e
Blaine con un cipiglio
confuso. “Cos’è successo?”
Kurt continuo ad
inspirare ed espirare. Non importava,
ultimamente, che Kurt fosse innamorato di Sebastian. L’unico
che si stava
facendo male era lui, dopotutto. Ma gli importava
del fatto che il giovane fosse felice, e se ciò fosse
avvenuto con Blaine,
allora lui non si sarebbe messo in mezzo. Non quella volta. E
certamente non
avrebbe permesso a Sebastian ad essere un idiota che non chiedeva
ciò che voleva.
“Ho
lasciato perdere,” disse a Finn, sforzandosi di sorridere.
*
Quando
tornò a casa, il telefono s’illuminò
con un altro
messaggio.
Quindi
la risposta per il
matrimonio era un no?
Si passò
il cellulare tra le mani per qualche secondo, cercando di
pensare a come rispondere. Dopo qualche minuto, rilassò le
spalle e piazzò il
telefono sulla prima superficie libera.
Finì per
giocare ai videogames con Finn e Sam per almeno tre ore.
Sebastian non
mandò altri messaggi quella sera.
*
Fu solo a causa della
mancanza di messaggi da parte di Sebastian
il giorno dopo che si accorse di quanto spesso comunicassero. Non
riceveva sempre il messaggio di
‘buongiorno’, ma
cominciavano solitamente dopo la seconda ora. Naturalmente, quando la
seconda
ora finì senza una risposta al suo messaggio (Non
penso che la Matematica mi odi come al solito – come va?)
cominciò a preoccuparsi del fatto che non stessero parlando.
Era stato sgarbato a
evitare il suo messaggio la sera prima. Lo
sapeva, ma pensava che Sebastian non avesse bisogno di lui
a incoraggiarlo per chiedere a Blaine di accompagnarlo al
matrimonio. E poi non aveva voluto esattamente dire
‘no’ all’invito; voleva
solo che Sebastian capisse che aveva
un’opportunità che avrebbe dovuto
cogliere.
Ma forse avrebbe
dovuto rispondere comunque. Forse avrebbe dovuto
rispondergli con qualcosa che riguardasse altro, per fargli capire che
gli
andava bene.
Gesù. Il
suo rapporto con il giovane non doveva essere meno
complicato? Facevano i compiti insieme, a volte discutevano di altro,
si
punzecchiavano senza sosta, e non avevano litigi. Perché
aveva dovuto rovinare
tutto innamorandosi?
Mordicchiò
il labbro mentre si allontanava dal proprio armadietto,
osservando il cellulare. Finì per mandare un messaggio a VIOLA FREAKING SMYTHE invece,
chiedendole: Ho fatto arrabbiare Sebastian?
Non mi risponde.
Un minuto, ricevette
la risposta: Penso che abbia una Sindrome
Pre-Mestruale. È stato silenzioso per
tutta la cena ieri. Hai fatto qualcosa per farlo arrabbiare? Xxxxxxxx?
Si ritrovò
a sorridere alla sfilza di baci seguiti dal punto di
domanda, e improvvisamente non fu più solo.
“Hey,”
lo salutò Blaine mentre si metteva la borsa in spalla.
“Posso parlarti?”
“È
quello che sembra tu stia facendo,” rispose Kurt. Gli
lanciò
una lunga occhiata, dunque domandò: “Come posso
aiutarti, Blaine?”
Blaine non aveva
lezione di Storia, ma sembrava camminare nella
sua stessa direzione comunque. Gli lanciò un’altra
occhiata, cercando di capire
di cosa si trattasse.
“Quindi,”
disse il giovane dopo qualche momento di silenzio. “Io e
Sebastian ci siamo presi un caffè insieme ieri.”
Sbatté le
palpebre in sua direzione, dunque distolse lo sguardo.
“Uh, carino,” disse, cercando di non suonare ovvio.
“Per te.”
“No,”
rispose Blaine, e quando lo guardò vide un solco tra le
sopracciglia. “No, noi, uh -”
Si stavano
avvicinando alla classe. “Blaine?” lo
richiamò,
fermandosi fuori dalla porta e aggrappandosi al manico della borsa.
“Dobbiamo
proprio farlo?”
“Kurt,”
cominciò l’altro, aggrottando maggiormente le
sopracciglia.
“No,”
rispose in un sospiro. “Guarda, non voglio
davvero… sentire
nulla a riguardo. Va bene,” lo rassicurò,
sforzandosi di sorrise. “Insomma, ho
capito. Quindi, vado in classe adesso e tu ti volgerai e andrai
nell’altra
direzione, e possiamo semplicemente cancellare tutto come se non ne
avessimo
mai parlato.”
Entrò in
classe, tenendo caparbiamente il mento sollevato e le
spalle rigide. Si sedette accanto a Tina, e guardò fuori
giusto in tempo per
vedere Blaine carezzarsi la nuca e andarsene.
Rimase immobile.
Prese nuovamente il cellulare, dunque scrisse a
Viola: Non sono sicuro di averlo fatto
arrabbiare. Di solito manda messaggi, poi si fermò
con il dito sulla
tastiera. Magari Sebastian non mandava più messaggi per
Blaine? Magari
Sebastian e Blaine stavano per annunciare la loro relazione
ufficialmente, e
per chissà quale ragione la cosa aveva precedenza sulla sua
amicizia con Kurt?
Dio, sperava non
fosse il caso.
*
Kurt stava andando in
mensa per il pranzo quando fu velocemente
spinto in una classe vuota.
“Hey!”
esclamò, scostandosi quelle mani di dosso. “Che
cosa stai…
Blaine?”
Il giovane in
questione chiuse la porta alle loro spalle, dunque
lasciò andare un lungo sospiro. “Ora tu mi starai
ad ascoltare,” disse,
indicandolo.
La sua immediata
reazione fu di cercare una via di fuga. Non gli
piaceva essere in trappola, lo faceva andare nel panico – ma
dopo un paio di
battiti troppo veloci del suo cuore, capì che non doveva
temere Blaine. Non importava cosa
sarebbe
accaduto, quanto fregato e usato si fosse sentito, era solo Blaine.
“Okay,”
sospiro. “Cos’è tanto importante da
dovermi chiudere in
una classe vuota per parlarmene?”
Blaine
sembrò afflitto, si sfregò il volto stancamente.
“Sebastian
e io ci siamo presi un caffè ieri, e abbiamo avuto una lunga
conversazione su
qualcosa di importante.”
“Blaine,”
si lamentò, cominciando a sentire un brivido di
fastidio. “Sono davvero… vabbè, felice
per te, o qualcosa del genere. Ma non
voglio parlarne.”
“Perché
sei arrabbiato?”
domandò l’altro, sorpreso.
Si sentì
colto sul fatto a quelle parole, il respiro si fermò in
gola per un paio di secondi. “Non sono arrabbiato,”
disse infine, cercando di
trovare altre parole oltre perché
sono
innamorato di lui e sono geloso, e ti odio per essere la persona che
vuole.
“Solo, sono amico di Sebastian adesso. Quindi
l’idea di te e lui è… strana per
me.”
Il giovane scosse il
capo. “Kurt, di cosa stai parlando? Io e
Sebastian?”
“Vi
frequentate,” spiegò, e poi sentì come
se si fosse
spettacolarmente perso qualcosa. “Non è questo che
stai cercando di dirmi?
Riguardo l’uscita per il caffè?”
“Cosa?”
domandò Blaine, ancora una volta scuotendo il capo.
“No,
Kurt… Dio, no, non era un appuntamento. Stavamo parlando di te.”
“Voi
stavate… cosa?” domandò,
improvvisamente sbilanciato. “Perché
stavate parlando di me?”
Il ragazzo si sedette
su uno dei tavoli e incrociò le gambe.
“Perché sono un idiota, e Sebastian sente il
bisogno di ricordarmelo ogni volta
che mi vede,” spiegò amaramente.
“Pensavi che avessimo avuto un appuntamento?
Per questo cercavi di liberarti di me?”
Schiuse le labbra, ma
non ne venne fuori qualcosa a lungo. “Io -”
cominciò, cercando di riconnettere i fatti in modo che tutto
avesse senso.
“Sono così confuso,” ammise, dunque si
sedette sul banco opposto. “Non siete interessati
l’un l’altro?”
“Kurt,”
rise l’altro. “Da dove ti è venuta
quest’idea?”
Tutto era fuori
controllo. Corrugò ancor di più la fronte.
“Non è
mai stato un segreto che ti volesse,” gli ricordò.
“È
stato secoli fa,” gli fece notare Blaine.
“È tuo amico ora.
Pensavo quasi che voi… comunque,” disse.
“Penso di essermi sbagliato anche io.”
“Di cosa
volevi parlarmi?” domandò, stringendosi le labbra
attorno.
Blaine
esitò per un momento, dunque disse: “Mi sbagliavo.
Quello
che ti ho detto era – non era esattamente falso, ma sono
stato… sono stato
insensibile e offensivo, e la parte peggiore è stata che
Sebastian ha dovuto
praticamente urlarmi contro per
farmi
capire quanto ciò ti abbia fatto male. E come tutto
ciò debba essere stato per
te.”
Kurt strinse le
labbra, fissando il pavimento. “Blaine, va tutto
bene. Non devi.”
“No
invece,” insistette l’altro. “Mi spiace
di averti detto che
non sei speciale, Kurt. Ciò che è successo
è colpa mia, non tua e – Dio, detta
così è ancora peggio, ma non ha nulla a che
vedere con te. Non in senso
cattivo, perché si tratta di te,
ma
perché si tratta di me.
Ho mandato
tutto all’aria. Ma non perché tu non sia
speciale.” Blaine sollevò di nuovo lo
sguardo su di lui, aperto e onesto come un tempo. “Sei
speciale. Io e te non
eravamo giusti l’uno per l’altro, ma non
perché tu non sia speciale, Kurt.”
Deglutì,
Kurt, cercando di trattenersi dal diventare troppo
emotivo. “E cosa della discussione con Sebastian ti ha fatto
desiderare di
dirmelo? Perché ti ha urlato contro?”
“Lui…”
Blaine scrollò le spalle, vagamente imbarazzato.
“Crede che
ti abbia causato problemi di fiducia.”
Sentì la
mandibola staccarglisi dal volto, poi si sentì arrossire.
La conversazione riguardo la fiducia era stata con Viola,
non con Sebastian. Ma loro non avevano segreti, ricordò; una
conversazione con Viola era buona quanto una con Sebastian, a meno che
non le
avesse specificamente chiesto di non dire nulla. Inspirò a
fondo per qualche
momento, cercando di spazzare via dalla mente tutte le cose
imbarazzanti che
aveva detto a Viola.
“Beh,”
disse, torcendosi le mani, “è difficile immaginare
di poter
credere di nuovo a qualcuno che mi dirà di essere innamorato
di me. È vero. Ma
non è colpa tua; magari avrei dovuto essere io scettico sin
da subito. Insomma,
solo perché qualcuno dice di amarmi, non significa per forza
qualcosa.”
Quando
sollevò lo sguardo a Blaine, questi aveva gli occhi chiusi,
afflitto. “Oddio, Kurt. No.”
“Non…
non ci sto male,” insistette, cominciando a sentirsi offeso.
“È così che va la vita, Blaine. Le
persone si sbagliano, o non capiscono i
propri sentimenti, o vogliono davvero qualcosa da te. E non
è sempre possibile…
dirlo.”
“Kurt,”
disse Blaine. Ci fu un lungo momento in cui si sentirono
solo i loro respiri, e di nuovo si sentì privo di
equilibrio, tremante. “Mi
dispiace così tanto.”
Kurt
mordicchiò il labbro, cercando di pensare a qualcosa da
dire.
“Anche a me,” disse infine, dunque si
sollevò dal banco e uscì fuori dalla
classe.
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