As Your Shadow Crosses Mine

di angelofcaffeine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


NdT: Salve a tutti, qui è therentgirl che parla! Ebbene sì, dopo aver annunciato ad alcuni che avrei tradotto questa fan fiction, eccomi qui! È stata una delle primissime Kurtbastian che abbia mai letto (non che legga moltissime fan fiction lo ammetto :p), oltre che la mia preferita in assoluto. Con questa angelofcaffeine penso si meriti di entrare nella rosa delle migliori scrittrici di questo meraviglioso fandom, e non mi sembrava giusto continuare a rimandare il momento della pubblicazione. Essendo ancora una WIP ed essendo di molti meno capitoli di DYR (sebbene siano più lunghi), avverto già da ora che gli aggiornamenti non saranno settimanali! Come sempre, il betaggio è ad opera di @nameless colour, che è davvero un tesoro e a cui farò una proposta di matrimonio. (: Per il resto, non ho molto altro da dire, se non che spero che apprezzerete questa fan fiction quanto l’ho apprezzata io! Buona lettura!

Titolo: As Your Shadow Crosses Mine
Pairings: Kurt/Blaine (passata); Kurt/Sebastian.
Rating/Avvertimenti: Giallo (per il linguaggio)/Arancione (alcune parti future includono discussion su dub/non-con, come anche colpevolizzazione della vittima).
Note: Volevo solamente scrivere una storia in cui Kurt e Sebastian diventano migliori amici. Basata su questo prompt.
Spoilers: va A/U dopo la 3x10: Yes/No
Disclaimer: Glee non mi appartiene e non ottengo profitto da questa storia. Il titolo è tratto dalla canzone di Rihanna “We Found Love”.
Link all'originale

 

CAPITOLO 1

Era stato di nuovo come con Rachel. Kurt non aveva altro modo di spiegarlo. C’era qualcosa di sbagliato in lui, qualcosa che non riusciva ad impedirgli di diventare amico di qualcuno che disprezzava incredibilmente.

Dannazione.

*

Era cominciato tutto a tre giorni dall’inizio della sua nuova vita da single. Era riuscito a malapena a scappare da Rachel e Mercedes, che gli erano state attaccate dalla rottura, ed aveva trovato un angolo relativamente solitario al Lima Bean e cominciato a lavorare sui suoi compiti di Matematica.

Naturalmente, dato che sembrava vivere lì e con frequenza piuttosto inquietante, l’ombra di Sebastian Smythe si era subito stagliata sul suo quaderno.

Sollevò lo sguardo, disinteressato. “Posso aiutarti?” domandò, lo stomaco che si ribaltava alla vista di Sebastian, quel viscido e bastardo suricata, che incombeva su di lui.

Il giovane non si preoccupò di rispondere, si limitò ad inarcare un sopracciglio alla vista di Kurt tutto solo. “Dov’è il fidanzato carino?” domandò.

“Non c’è nessun fidanzato carino,” replicò Kurt, sentendo momentaneamente il cuore pesante e rimpiangendo d’aver scaricato le sue ragazze, che avrebbero capito se avesse sentito bisogno di chiudersi in bagno e piangere. (Era stato bravo comunque, fino a quel momento, ad astenersi dal piangere di fronte a chiunque non fosse suo padre.) “Quindi non c’è ragione di girarmi attorno e asfissiarmi con il tuo puzzo di squallore. Quindi per favore, sentiti libero andare via dal mio tavolo insieme alla tua sordida nuvoletta.”

Sebastian sorrise, gli angoli degli occhi s’incresparono a quel gesto. “Non hai intenzione di fare pipì sul tavolo come con Blaine, vero? Ho sempre pensato che fossi uno str-”

“Sebastian, vattene,” sbottò, improvvisamente più brusco e aspro di quanto fosse stato prima.

Il giovane fece un veloce passo indietro, le sopracciglia inarcate, dunque rispose: “Wow, okay. Ho capito, ho interrotto la tua sindrome premestruale. Ci vediamo in giro, Ladyboy.”

Osservando Sebastian uscire nel parcheggio, tutto ciò cui Kurt riuscì a pensare fu, Ucciderò davvero quell’idiota, un giorno. Lo farò, lo farò e farò in modo che sembri un incidente.

Dunque tornò ai suoi compiti di Matematica, sforzandosi per ritrovare la concentrazione al meglio delle proprie capacità.

*

A una settimana da quell’episodio, Kurt era tornato al suo angolino del Lima Bean. Questa volta era scappato di casa con il portatile, dato che Finn aveva preso confidenza con le loro chiacchierate e aveva voglia di parlare di Rachel e di come stesse scaricando il suo stress per la NYADA sulla loro relazione, e Kurt… Kurt non riusciva a parlare di relazioni in quel momento. Così, aveva portato il suo computer e i suoi compiti al Lima Bean e stava provando a scrivere una relazione di storia.

La prima cosa che aveva fatto era stata spegnere il cellulare. I suoi amici erano un meraviglioso supporto, e aveva bisogno di ognuno di loro, ma non poteva occuparsi del fatto che volessero avere il pieno controllo su di lui quando era occupato a pensare alla scuola invece che al dramma del suo ragazzo (ex-ragazzo).

“Dunque,” disse Sebastian, apparendo da uno spiffero d’aria, perché era un demone e i demoni avevano questo potere e Dio, Kurt stava per ucciderlo, “Ho visto che la situazione sentimentale di Blaine su Facebook è cambiata.”

Kurt sbatté le palpebre in sua direzione, facendo del suo meglio per apparire disinteressato. “Aspetti che io arrivi al Lima Bean per sbucare fuori? È così che trascorri i tuoi pomeriggi adesso? Fatti curare, Sebastian.”

Invece di cogliere il messaggio (che non era affatto subdolo, era praticamente un gigantesco cartello luminoso che diceva VATTENE SEBASTIAN), Sebastian si sedette al suo tavolo e sogghignò. “Dimmi cos’è accaduto, allora,” disse. “Blaine non risponde alle mie telefonate. Avete litigato per colpa mia?”

Kurt lo osservò per qualche momento, cercando di ricordare se il suo cappuccino ipocalorico fosse caldo abbastanza da ustionare l’altro. Inspirò a fondo. “No,” disse. “Non tutto gira attorno a te, per quanto possa sembrarti difficile crederlo.” Sebastian continuò a stare lì seduto con quel fastidioso sopracciglio inarcato, quella fastidiosa faccia da scoiattolo, dunque Kurt decise che parlare fosse meglio che stare in silenzio. “Ha detto,” cominciò, saggiando sulla lingua la ragione che gli aveva dato Blaine, “Che gli piaceva davvero avere un fidanzato, che lo amava, ma che era indifferente che fossi io o qualcun altro.”

“Dici sul serio?” domandò Sebastian, inarcando maggiormente il sopracciglio.

Smise risoluto di prestare attenzione alle sue stupide sopracciglia e, invece, fissò lo sguardo sullo schermo del suo computer.

“Sul serio,” rispose. “Quindi credo che fossi coinvolto. Ha detto che ha capito di amare le attenzioni, non perché fossi tu, ma perché erano attenzioni. Ha capito che era lo stesso con me.”

Deglutì, rifiutandosi di mostrare le proprie emozioni, nonostante tutto ciò che stava pensando fosse non eri speciale, non eri amato, sei stato usato. Sempre e solo usato.

“Huh,” sospirò Sebastian alla fine, e Kurt volse nuovamente la sua attenzione alla relazione. Scrisse alcune parole, senza curarsi che avessero senso, sperando solo che l’altro cogliesse. Aveva avuto quel che voleva… aveva rotto con Blaine, era confuso e ferito… non aveva bisogno di girargli attorno per osservarlo scrivere una relazione. “Deve essere uno schifo per te.”

“Già,” rispose. “Asciuga le lacrime e poi vattene. Sento il mio Q.I. sprofondare ad ogni minuto trascorso nelle tue vicinanze, e ho davvero bisogno di finire questa relazione senza monosillabi.”

Sebastian rise a quelle parole, ma lui si rifiutò di sollevare lo sguardo.

“Per quanto possa importarti,” disse il giovane, un certo divertimento nella sua voce. “Ti disprezzo precisamente perché sei tu. Non perché tu sia qualcuno da disprezzare.”

Kurt provò a trattenersi per un secondo, ma non ce la fece; scoppiò a ridere e serrò gli occhi nel farlo.

Dovette ammettere, quando Sebastian gli rivolse un sorrisetto prima di alzarsi e lasciare la caffetteria, che quella fosse la prima volta che avesse riso sinceramente da quando era stato scaricato.

Bene. Era stato così.

*

A un certo punto, durante i due recenti incontri al Lima Bean, Sebastian doveva aver rubato il suo numero di telefono, perché il giorno dopo a scuola ricevette un messaggio da SMYTHE.

Qualcuno ha investito un gatto mentre andavo a scuola oggi. Ha strillato. Mi ha ricordato te.

Kurt aggrottò le sopracciglia per qualche momento, dunque rispose: Sei un essere spregevole.

Tre ore dopo, mentre Kurt sedeva nella sala del glee in attesa che Mr Shuester giungesse al punto, lo schermo si illuminò a mostrare una risposta.

Un essere spregevole con un magnifico fondoschiena, comunque.

Quando Kurt rise, Finn e Rachel si chinarono avanti per guardare a lui oltre Mercedes. Kurt scrollò le spalle.

*

Per Kurt Hummel, la scuola era stata un Inferno in diverse forme durante la sua adolescenza. Prima c’era stato il bullismo in generale – granite che rovinavano i suoi completi preferiti e lo facevano sentire miserabile, gettato sugli armadietti molte volte come passatempo dei giocatori di football – e poi c’era stato Karofsky, che aveva reso ogni angolo della scuola una minaccia, dato che poteva essere ovunque, e ora c’era Blaine.

Non che l’altro stesse facendo qualcosa di proposito, ma solo il fatto che fosse troppo vicino era difficile. Qualche giorno era più facile di altri (qualche volta si era svegliato ribattendo a quell’inferno con parole come, Sono Kurt Elizabeth Hummel e posso fare qualsiasi cosa), ma altri giorni avrebbe voluto dimenticare tutto, poi vedeva Blaine ridere o dirigersi in classe o solo esistere, e tutto gli crollava addosso.

Era stato in una di quelle brutte giornate (il terzo giorno dopo la rottura che si era chiuso in un fetido cubicolo di un bagno, solo per essere solo mentre si convinceva a non piangere) che Sebastian si fece di nuovo vivo.

Kurt aveva un sacco di pazienza. Viveva con Finn, per l’amor di Dio, certo che aveva un sacco di pazienza. Rachel Berry era una delle sue migliori amiche, e con lei c’era un bisogno quasi costante della regola del “conta fino a dieci”. Era un pacifista, non importava quante volte avesse subito angherie.

Comunque, quando stava attorno Sebastian Smythe, la nuvola di pazienza sulla quale viveva si dissipava immediatamente.

“No,” fu il suo unico saluto.

Sebastian si sedette comunque di fronte a lui. “Ciao, Kurt,” disse con un finto tono allegro. “Mi piace il tuo maglione; penso che la mia sorellina ne abbia uno uguale.”

“La tua sorellina ha ereditato i geni del buon gusto,” rispose, rivolgendogli finalmente lo sguardo. “Come posso aiutarti nei tuoi piani diabolici, oggi, Smythe?”

Il giovane fece un sorriso smagliante. “Stavo solo pensando che mi mancava il suono di autocommiserazione, ed eccoti qua.”

“È buffo,” rispose. “Stavo giusto pensando che mi mancava l’aura di completa mancanza di amor proprio. Grazie per avermi aiutato.”

“Prego, Kurt Hummel,” rispose Sebastian, dunque tirò fuori il suo portatile e si sistemò di fronte a lui.

Kurt rimase a guardarlo per qualche momento, gli occhi sgranati, dunque domandò: “Cosa pensi di fare?”

L’altro sollevò lo sguardo, dunque lo abbassò di nuovo al portatile. “Cosa pensi che stia facendo? Non è abbastanza ovvio da comprendere per il tuo cervellino ricolmo di estrogeni?”

“Sembra che tu voglia stare al computer al mio tavolo,” gli fece notare.

Il sorriso del giovane si fece condiscendente. “Ben fatto, Kurt. La prossima volta impareremo come si allacciano le scarpe.”

“Non ti siederai accanto a me, Smythe,” rispose.

Sebastian abbassò lo sguardo alla sedia, il volto gli si illuminò di falsa sorpresa, e Kurt (che davvero, di solito era un pacifista) ebbe voglia di dargli un pugno su quella stupida faccia. “Buffo, sembra che io lo stia già facendo, a dire il vero.”

Kurt sollevò lo sguardo al soffitto e contò fino a dieci. E poi contò fino a venti, giusto per essere sicuro, prima di tornare a guardarlo e affermare: “Non sei il benvenuto qui.”

“Ma ero qui prima di te,” rispose l’altro.

“No tu…” cominciò, più forte e più aspro di quanto intendesse, dunque inspirò a fondo. “No, non è vero. Sei appena arrivato, io sono stato qui per mezz’ora.”

Il giovane gli rivolse un sorrisetto. “Intendevo al mondo. Sono due mesi più grande di te.”

Kurt chiuse gli occhi. Quando li riaprì, guardò deliberatamente allo schermo del portatile invece che alla sua faccia sorridente da roditore. “Prima di tutto, ciò è irrilevante. Seconda cosa, il fatto che tu sappia quando sono nato è inquietante al massimo.” Sebastian ridacchiò. Si disse di mantenere la calma. “E terzo, se devi studiare, devi stare in silenzio. Devo scrivere un tema.”

Ed ecco come Kurt finì con lo stare seduto di fronte a Sebastian Smythe per un ora. In qualche modo, era riuscito a trattenersi dal dargli un pugno per tutto il tempo. Quando se ne andò, comunque, sedette in macchina per cinque minuti, sbattendo la testa contro lo sterzo.

*

Hai vinto le nazionali di cheerleading cantando Céline Dion in Francese? Chi diavolo SEI?

Kurt fissò il messaggio, dunque abbandonò il telefono durante la sua pulizia del viso. Quando tornò, il messaggio era ancora lì, ed era ancora da SMYTHE.

Sono magnifico, rispose, seguito da: Smettila di perseguitarmi, stalker.

*

Di solito, Kurt era il primo ad arrivare al Lima Bean e Sebastian lo raggiungeva qualche minuto dopo. Non avevano giorni prestabiliti – qualche volta Sebastian non si faceva vivo e dovevano essere giorni in cui preferiva fare i compiti da solo – dato che non erano amici e quella non era altro che una routine fatta di coincidente. Occupavano un tavolo al Lima Bean riempiendolo di roba, e Kurt aveva deciso che i commenti di Sebastian erano un test per la sua pazienza e sarebbe diventato più forte.

Si sedette pesantemente di fronte all’altro studente, dunque inspirò a fondo e costantemente.

In seguito, ritornando a quel momento, Kurt avrebbe realizzato che quella era la prima volta che si fosse avvicinato a Sebastian che viceversa. A quel punto, comunque, le sue mani sembravano cercare qualcosa da fare, così lasciò la borsa sulla sedia e dunque si diresse, stordito, verso il bancone.

Gli sarebbe sopravvenuto anche, guardando indietro, che doveva aver imparato l’ordine di Sebastian per osmosi. Piazzo le due tazze di caffè sul tavolino, dunque vi gettò in mezzo una busta bianca.

Finalmente, Sebastian sollevò lo sguardo, quindi aggrottò le sopracciglia verso una delle tazze. “Uh, grazie,” disse, confuso. “A meno che non siano entrambe per te…?”

Kurt si mise nuovamente a sedere. Le mani gli prudevano ancora. “No, è tuo. Non dire niente.”

“Perché no?” domandò l’altro. “Che cos’è successo? Cos’è quella busta?”

Si sentì male. “Viene dalla NYADA.”

“NYADA? Hai mandato il modulo d’iscrizione alla NYADA?” domandò il giovane, suonando onestamente interessato. “Oh, Gesù. Non potrò andare a New York allora.”

“Huh?” domandò, chiedendosi se fosse in stato di shock.

“La scelta è tra New York o Parigi, non ho ancora deciso,” rispose Sebastian. Ovvio che fosse sicuro riguardo il suo college dei sogni, era Sebastian. Non riuscì a raccogliere le energie per desiderare gli dargli un pugno, perché anche se lo stava osservando era ancora totalmente immerso nel pensiero di quella piccola lettera accartocciata e non ancora schiusa. “Sei entrato?”

Sentì il respiro divenire tremulo. “Non lo so, non l’ho ancora aperta.”

Il sopracciglio di Sebastian scattò in su. “Perché no?” domandò.

Kurt scrollò le spalle, dunque tirò le maniche estremamente lunghe del suo maglione, dato che aveva bisogno di qualcosa da fare. “Io… uh, nessun posto mi sembrava adatto.”

Lo sguardo di Sebastian era indifferente. “Quindi la trascinerai in giro finché non ti sembrerà il luogo adatto?” domandò. “Cristo, Kurt, dirà la stessa cosa, a prescindere da dove la aprirai.”

“Non sono ancora pronto per saperlo,” disse Kurt, ben consapevole di quanto suonasse patetico. Non riusciva neanche a curarsene. “Insomma, cosa succede se non mi vogliono? E se invece mi volessero?”

“Wow,” rispose Sebastian. “I miei compiti sono davvero più interessanti del tuo sclerare sul nulla. Cresci un po’, Hummel. Di cos’hai paura, comunque?”

E poi, siccome l’universo lo stava perseguitando, il giovane prese la busta.

Kurt allungò la mano e l’altro indietreggiò, dunque si alzò in piedi. “Sebastian,” sibilò, alzandosi a sua volta.

Il giovane gli rivolgeva un’espressione di sfida. Quando Kurt non fece altro che guardarlo, strappò la busta con un sorrisetto, dunque cominciò a leggere la lettera.

Kurt si sentiva male. Sentiva come se davvero potesse vomitare, e l’avrebbe fatto puntando alle stupide scarpe di Sebastian se fosse accaduto.

Ad ogni modo, Sebastian tornò a volgergli lo sguardo. “Congratulazioni,” disse.

Si sentì gelare sul posto. Era pur sempre Sebastian Smythe, le congratulazioni potevano significare tutto e niente. “Cosa dice?” domandò.

Sebastian sollevò la lettera, sorridendo. “Sei uno dei finalisti.”

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


NdT: e trascorso un mese, eccoci giunti al secondo capitolo! Ho avuto un feedback abbastanza positivo per questa storia e, come sempre, mi sono divertita ed emozionata al tempo stesso a vedere le scene che avevo letto troppo tempo fa per ricordarle. Quantomeno a ricordare quanto sia perfetto questo pairing e quanto angelofcaffeine lo faccia adorare ancor di più con il suo stile! Adoro profondamente ognuno di voi, da quelli che hanno recensito a quelli che si sono limitati a mettere la fan fic tra le preferite/ricordate/seguite. Ne vale la pena, ve lo garantisco. E lo adora anche l’autrice che, cito testualmente, ‘sta leggendo anche lei, anche se non capisce nulla, perché è la sua opera’. Se non è un onore questo. :’)
E quindi ringraziamo come sempre @nameless colour e la sua infinta pazienza, che ci permettono di avere il capitolo betato e grammaticalmente corretto. A questo punto vi lascio alla lettura, ci vediamo il mese prossimo!
Link al capitolo originale

CAPITOLO 2

Kurt non si sentì nemmeno imbarazzato del fatto che la sua prima reazione fosse stata stringere Sebastian in un veloce, e subito dopo veloce-imbarazzato, abbraccio. Si scostò immediatamente, incapace di sentirsi confuso, ma sapendo comunque che fosse il momento sbagliato per sentire quelle sensazioni, e ripeté: “Sono un finalista.” Abbassò lo sguardo sulla lettera, scorrendo le parole brevemente per accertarsi che non fosse uno stratagemma di Sebastian per spezzargli il cuore, dunque esalò un tremolante ma felice sospiro. “Sono un finalista!”

“Sei un finalista!” esclamò Sebastian di rimando, e la sua espressione era aperta e felice, tutto il sarcasmo era defluito via in quel momento.

Strinse la lettera più forte, dunque disse, “Penso di aver bisogno di sedermi.”

“Hey, ecco qua, tigre,” mormorò Sebastian, aiutandolo a sedersi come se ne avesse bisogno. “Cerca di non svenire.”

“Non ne ho intenzione,” sbottò in risposta. “Oh, mio Dio. Devo chiamare mio padre. E Rachel. E tutti quelli che ho incontrato nella mia vita.” Quando l’altro rise, ad una maniera spensierata e spontanea, Kurt gli rivolse un’altra occhiata infastidita. “Non chiamarmi tigre, quanti anni hai, quaranta?”

“Chiama tuo padre,” gli ordinò il giovane. “Devo finire i compiti. E potresti cercare di essere meno agitato?”

“Potresti provare ad essere meno un-” cominciò, dunque concluse la frase con una parolaccia. Per qualche strana ragione, ciò fece ridere Sebastian, così anche Kurt rise, perché era un finalista della NYADA, e stava condividendo quel momento con Sebastian Smythe tra tutte quelle che conosceva.

Fu in quel momento, con Kurt incapace di smettere di ridere e guardare gli occhi di Sebastian sgranarsi per il divertimento che rise e Burt rispose al telefono.

Kurt?”

“Oh, mio Dio,” rispose, cercando di placare il respiro. “Scusa, non stavo pensando. Papà, oddio. Io… io non riesco, non so come dirtelo.”

“Sputa il rospo e basta,” consigliò Sebastian dall’altra parte del tavolo. Stava davvero sorridendo, come se fosse davvero per lui, e Kurt chiuse gli occhi per assaporare quel momento.

“Papà,” cominciò di nuovo. “Tuo figlio, Kurt Hummel, è un finalista per la NYADA.”

Cominciò a ridere di nuovo quando suo padre diede praticamente di matto dall’altra parte del telefono, per poi cercare di non scoppiare a piangere durante il balbettante discorso da padre orgoglioso che ne seguì.

“No, papà, non osare appendere striscioni. Non farlo! Vado, sto prendendo il caffè con… una persona. Vado. Sì, ti voglio bene anche io.” Rise di nuovo mentre riattaccava, dunque asciugò gli occhi per un momento.

Sebastian sbuffò. “‘Un caffè con una persona’… sei così dolce.”

“Questo è un caffè e penso che tu sia una persona,” rispose Kurt calmo mentre cominciava a scrivere un messaggio. “Potresti anche essere una mangusta incredibilmente alta.”

Ci fu una breve pausa, dunque il telefono di Sebastian squillò. “L’hai mandato a me, genio.” Afferrò il cellulare e Kurt riuscì a sentirsi ravvivare mentre leggeva il suo sms: KURT HUMMEL È UN FINALISTA PER LA NYADA, ALLA FACCIA VOSTRA.

“L’ho mandato a tutta la mia rubrica,” rispose, dunque fece una pausa, realizzando che ciò includeva Blaine. Sollevò lo sguardo al sorrisetto di Sebastian, prima di decidere che non gli importava. “Dunque, questo doveva essere un caffè per i nervi, ma adesso è per festeggiare.”

Sebastian sollevò il suo bicchiere. “A New York,” suggerì.

Kurt sentiva un sorriso ancora incerto sulle labbra, era come se fosse rilassato e teso al tempo stesso. “A New York,” convenne. “O Parigi. O dovunque il mondo ci porti.”

*

Gli incontri al Lima Bean dovevano essere delle coincidenze durante le quali aiutavano la caffetteria prendendo il minor numero di tavoli possibili. Non erano programmati. Se non avesse più visto Sebastian, gli sarebbe andata bene. Sarebbe stato strano, ma l’avrebbe accettato.

Così naturalmente, Kurt fu preso in contropiede da un messaggio a un paio di giorni dall’apertura della lettera della NYADA che diceva solo:

Ci vediamo al Lima Bean questo pomeriggio? Qualcuno deve forzarmi a scrivere questo saggio o trascorrerò tutto il tempo su FB.

Sbatté le palpebre, esitante mentre allungava la mano libera verso il suo armadietto.

Dopo un momento, si volse per poggiarvisi contro e scrivere la risposta. Non sono il tuo babysitter, rispose in ogni caso, dunque aggrottò le sopracciglia. Devo studiare Matematica. Sto lavorando sulla teoria che la Matematica esiste solo per rendere la mia vita più difficile.

Fissò il messaggio per qualche secondo prima di mandarlo, quindi tornò a volgersi al suo armadietto.

“Chi era, dolcezza?” domandò Mercedes, sopraggiungendo al suo fianco. “Sembri tutto corrucciato. Ti verranno le rughe, lo sai.”

Kurt si sforzò di rilassare la propria espressione facciale. “Nessuno di importante,” rispose. “Hai visto la gonna di Rachel? Ero sicuro di avergliela gettata via.”

“Ne ha più di una,” rispose la ragazza. “L’ho vista nasconderle durante la tua grande purga del guardaroba del 2011.”

Kurt scosse il capo. “Dovrebbe sapere meglio di…”

Il telefono squillò di nuovo.

Fortunatamente per te, gestisco la matematica come un Imperatore Romano. Ci vediamo dopo. X (baci. NdT)

Fu quella ‘X’ alla fine, più di ogni altra cosa, che gli fece osservare il cellular, accigliato.

“Kurt?”

Sollevò lo sguardo. “Oh, scusa, Mercedes. Stavo solo programmando il pomeriggio.”

Mercedes sorrise, dunque lanciò un’occhiata dall’altra parte del corridoio. Kurt seguì il suo sguardo sino a incontrare quello di Sam. “Qualcosa di interessante?” domandò la giovane.

“Prenderò il caffè con qualcuno che odio,” rispose. “Niente di più interessante del solito. Che succede tra te e Sam?”

Cambiare discorso funzionò: Mercedes abboccò all’amo e trascorse il tragitto verso la loro classe parlando a bassa voce di cosa stesse accadendo tra lei e Sam. Kurt sapeva benissimo come muoversi, così riuscì a farle le giuste domande e fare i giusti commenti mentre lanciava occasionalmente delle occhiate al suo cellulare.

*

In qualche modo, nella confusione di Kurt che odiava la Matematica e il desiderio di Sebastian di ‘sventrare la sua relazione di Storia’, si erano scambiati i compiti.

Di solito, Kurt era contro il barare in qualsiasi modo (gli piaceva vincere onestamente; aveva sempre avuto un problema col senso di colpa) ma sembrava che Sebastian stesse davvero cercando di sventrare la sua relazione, a giudicare dal contenuto.

“Ma non vuoi essere promosso?” domandò Kurt, sconcertato, mentre riscriveva un’altra riga della relazione scritta a metà. “Stai cercando di fallire di proposito?”

Sebastian sollevò a stento lo sguardo dal compito di Kurt. “Sono bravo con gli esami,” disse. “Sono bravo coi fatti, e a capire le cose. Odio le relazioni e odio la Storia. E odio la professoressa di Storia.”

“Non ho idea di cosa significhi la metà di tutto ciò,” rispose Kurt. “È come se l’avessi scritto da ubriaco.” Dopo una pausa, sollevò lo sguardo, inorridito. “Oddio, ma tu l’hai scritto davvero da ubriaco.”

“Sono occupato ad essere l’Imperatore Romano della Matematica,  va’ via,” rispose il giovane.

Kurt tornò a immergersi nella relazione, tra le frasi messe insieme e a dipanarle, perché sembrava piuttosto ovvio che Sebastian non riuscisse a scrivere come si doveva, e tornò a concentrarsi sulla Guerra Civile. Durante tutto ciò, Sebastian aveva lasciato il tavolo ed era tornato con più caffè, e gli aveva fatto un cenno di ringraziamento.

Quasi un’ora dopo, Kurt si stiracchiò, cercando di rilassare gli arti in tensione. Scrollò le spalle. “Quando devi consegnare questa roba?” domandò.

Sebastian aveva messo il compito di Matematica di Kurt da una parte (e completo, notò con un verso allegro) e stava leggendo un altro foglio, gli occhi sgranati per la concentrazione. “Uh, Lunedì?” disse. “Sono sicuro che sia per Lunedì.”

“Posso finirlo domani?” domandò. “Trascorro troppo tempo qui dentro, devo assicurarmi che esista un modo là fuori, ogni tanto.”

Lo sguardo di Sebastian luccicò in sua direzione, le labbra si piegarono in un sorrisetto. “Certo, va benissimo. Ma dobbiamo fare un’ultima cosa, prima.”

“Sì, ecco come chiedi un favore, tu,” replicò, asciutto.

Sebastian roteò gli occhi, dunque spostò la sedia sino a trovarsi al suo fianco, invece che di fronte. “Ti sto facendo un favore, genio,” disse. “Infatti, mi sento così magnanimo che potrei bruciare tutto il tuo guardaroba e comprarti dei vestiti da ragazzo.”

“Non è colpa mia se non riesci ad apprezzare i capi fashion,” rispose.

“Non fai schifo in Matematica,” rispose il giovane, cambiando subito argomento. “Non ti piace. C’è una certa differenza.”

Kurt sgranò gli occhi. “La odio. Forse più di quanto odi te. Tu che fai i miei compiti di matematica, dev’essere un segno dell’apocalissi.”

“A meno che,” disse Sebastian lentamente, prendendo poi l’ultimo test del suo libro di matematica. “Tu non arrivi alla risposta giusta.”

Kurt scrollò le spalle. “Non è impossibile, solo che è troppo difficile.”

“Sì, anche se sbagli,” rispose l’altro. “Continui a rendere tutto più complicato di quanto ce ne sia bisogno. Ti dimostrerò come uscire da questo schema.”

Un’ora più tardi, erano ancora seduti al tavolo del Lima Bean, Kurt era chino su un foglio nuovo, dimostrando come completare l’equazione che Sebastian aveva creato appositamente, e il giovane sorrideva.

Tutto sommato, era stata una strana giornata. Quando lasciarono il Lima Bean, dopo essersi messi d’accordo per incontrarsi l’indomani e finire la relazione di Sebastian (e, Kurt insistette, riscriverla come se l’avesse scritta davvero lui), era pronto per cenare e rannicchiarsi sotto le coperte con un buon libro. O magari avrebbe chiamato Rachel, o avrebbe battuto Finn e Sam a Mario Kart. Qualunque cosa avesse scelto, sarebbe stata rilassante.

Era quasi giunto alla sua macchina quando colse Sebastian, di fronte alla sua macchina, la fronte corrugata.

“Tutto bene?” urlò dall’altro lato del parcheggio. “Hai dimenticato come si entra in macchina? Lo so, dev’essere difficile per te imparare a vivere come un normale essere umano.”

Sebastian gli lanciò un’occhiata. “Non parte,” rispose semplicemente, dunque sospirò. Kurt non poté sentirlo, ma vide il petto e le spalle contrarsi a quel gesto frustrante.

Sospirò a sua volta, guardando desideroso lo sterzo della sua macchina, poi si volse. “Cos’ha?” domandò, avanzando verso il giovane.

“Uh, non parte?” provò Sebastian. “È praticamente quello il problema.”

Kurt gli lanciò un’occhiataccia. “Cos’è successo, genio? È partita e poi si è spenta? Hai sentito un click dall’interno?”

Le sopracciglia dell’altro s’inarcarono a quella domanda, ma il giovane si riprese velocemente. “No, niente di tutto ciò.”

“Fa’ vedere,” disse.

“Stavo per chiamare -”

“Fammi vedere così posso tornare a casa,” insistette, sovrastandone la voce.

Scuotendo il capo, il giovane tornò a sedersi in macchina e girò la chiave. Non accadde nulla.

Kurt sospirò di nuovo. Non era davvero dell’umore. “Tieni questa,” disse, mettendogli tra le mani la borsa a tracolla. “Oh,” aggiunse, abbassando lo sguardo sulla propria giacca. “No, tieni anche questa,” disse anche, sfilandosi l’indumento. Sollevò le maniche sino ai gomiti e girò attorno al cofano.

“Non voglio che qualcuno che non sia un professionista metta le mani sulla mia macchina,” insistette Sebastian, alzandosi in piedi e gettando le sue cose sul sedile. Kurt gli lanciò un’ultima occhiata glaciale, dunque aprì il cofano.

“Non vuoi che nessuno tocchi la macchina, incluso te, giusto?” domandò, una mano posta sul fianco. “Okay, probabilmente si tratta della batteria. Fammi un favore,” disse. “Le mie chiavi sono nella tasca di fronte della borsa. Apri il bagagliaio e prendi la cassetta degli attrezzi.” Ascoltando il giovane frugare nella borsa per trovare le chiavi, lanciò un’occhiata alla batteria e aggiunse, “Tocca qualcos’altro e ti farò a pezzi come hai fatto con il tuo saggio di storia.”

Quando il giovane tornò con la cassetta degli attrezzi, la sua espressione era incredula. “Hai una cassetta degli attrezzi,” disse.

“Sì, lo so,” rispose Kurt, prendendo la cassetta dale sue mani e rovistandovi alla ricerca di un cacciavite. Si chinò in avanti e piantò il cacciavite tra il connettore e la parte terminale della batteria, dunque lo ruotò saldamente. “Prova adesso.”

Sebastian gioì quando il motore si azionò. Kurt prese tutte le sue cose velocemente. “Grazie,” disse il giovane, suonando sincere in quel preciso istante. “Non sapevo ti intendessi di macchine.”

“Oddio, vorrei non saperne niente,” rispose. “Dovresti anche far pulire o riparare i cavi. E imparare qualcosa sulle macchine. Mio padre è il proprietario della Hummel Tires and Lube, se hai bisogno di qualcuno che le dia un’occhiata.”

L’espressione di Sebastian s’illuminò di divertimento a quella notizia, e Kurt dovette trattenersi a stento dal sollevare gli occhi al cielo. “Davvero, grazie. Aggiungerò ‘rattoppa-motori’ alla brevissima lista dei tuoi pregi, assieme a ‘abilità a scrivere saggi’ e ‘davvero divertente da far arrabbiare’.”

Kurt sorrise vivacemente, la cassetta degli attrezzi in una mano e la giacca d’alta moda nell’altra. “Arrivederci, Sebastian,” disse con tono allegro. “Spero che inciampi su un mattoncino Lego.”

*

Cose di cui Kurt Hummel non aveva tenuto conto il giorno in cui aveva aiutato Sebastian con la sua macchina: 1) lavandosi le mani, quella sera, si era ricordato dell’impresa e si era ritrovato, in qualche modo, a completare la relazione di Sebastian, 2) in Matematica, il giorno dopo, trovò l’argomento molto più facile e aveva sorriso per tutta la lezione, e 3) Sebastian era andato davvero alla Hummel Tires and Lube.

Comunque, quando giunse Sabato mattina, Kurt si svegliò e trovò sei messaggi; quattro di questi erano da parte di Rachel, che gli chiedeva di organizzare presto un altro pigiama party perché le mancavano le ‘chiacchiere tra ragazze’ (Kurt le rispose: Quando butterai via quelle gonne, sai di quali parlo), uno da parte di Sam che gli chiedeva quando avrebbe visto di nuovo Mercedes (Kurt rispose: Probabilmente Domenica, e non sei autorizzato a unirti a noi – la prossima volta, almeno aspetta che io sia sveglio per parlarmi), e uno da SMYTHE.

Vengo in officina alle undici. Ci vediamo lì?

Il piano di Kurt, all’inizio, era di chiamare Tina e vedere se fosse disposta a uscire, ma non trascorreva un po’ di tempo con suo padre da un po’. Invece, si cambiò con abiti più sobri (rovinarli in officina sarebbe stato troppo) e preparò il pranzo del padre da portare con sé.

“Tutto bene, figliolo?” domandò Burt quando si sedette di fronte a lui.

“Ti ho preparato il pranzo,” rispose, mostrandogli il porta-pranzo. “È salutare. Quindi mangia e non lamentarti.”

Burt rise, prima che il suo sguardo diventasse più serio. “Non vieni spesso, a meno che tu non desideri qualcosa. Spara.”

Kurt tornò a rilassarsi contro lo schienale, lanciando un’occhiata all’orologio. Erano quasi le undici. “Non c’è un motivo,” rispose, sentendosi improvvisamente ridicolo. Quando giunse Sebastian e lo vide seduto lì, capì che Kurt aveva immediatamente cambiato programma per incontrarlo ed era… era strano. Era strano che fosse lì? “Volevo solo uscire.”

“Uh huh,” rispose Burt, fissandolo come se potesse carpire la vera ragione dalla sua espressione.

E dunque, alle sue spalle, sentì un: “Hey, Kurt.”

“Oddio, non dirgli nulla,” sibilò Kurt al padre, la cui espressione era sempre più divertita. “Non pensarci nemmeno.” Dunque, disse a Sebastian da sopra la sua spalla: “Vedo che hai deciso di farle dare un’occhiata, dopo tutto.”

“Beh,” rispose l’altro, e lo sguardo di Kurt scivolò sull’uomo alle sue spalle, “Il mio meccanico mi ha detto che avrei dovuto averne più cura. Sai com’è.”

“Lei è il signor Hummel”?” domandò l’uomo dietro Sebastian a Burt, che annuì. “Bene, la macchina di mio figlio non partiva un paio di giorni fa…”

I due uomini si indirizzarono verso la macchina, parlando ad bassa voce, e Kurt scrutò velocemente il padre di Sebastian. Era alto e magro come il figlio, e il sorriso era davvero somigliante, ma c’era qualcosa di molto diverso in lui – come qualcosa di più rispettabile, pensò. Più formale.

Sebastian sedette sul tavolo, quasi a confermare ciò che stava pensando. Provò a non sospirare.

“Ti dirò una cosa divertente,” disse Sebastian, abbassando lo sguardo al suo cellulare. “Ricordi il tuo medley in francese di Celine Dion? L’ho inviato a mia madre.”

“Perché hai pensato che fosse una cosa appropriata da fare?” domandò, scegliendo le parole con cura.

L’altro gli lanciò un’occhiata veloce e divertita. “Perché è Francese e tu sembri una bambina di nove anni. Ha un ottimo senso dell’umorismo.”

“Non voglio nemmeno sapere quale sia la tua concezione di ‘ottimo senso dell’umorismo’,” commentò. E poi, dato che ci riusciva e non lo faceva da secoli, passò al Francese. “Parli francese?

Ovvio. Ho trascorso metà della mia vita a Parigi, da quando ho sette anni. Mia madre ancora vive lì,” rispose Sebastian, senza perdere un colpo.

Kurt s’illuminò. “Ho sempre voluto andarci,” disse, provando il francese oltre la sua lingua. Gli ricordò sua madre, e quanto avesse insistito perché parlassero solo francese con Kurt, quand’era bambino. “I parenti di mia madre sono francesi. Sei fortunato ad avere scelta tra Parigi e New York.”

Dovresti visitarla,” gli disse il giovane, dunque sollevò il cellulare. “Ho mandato a mia madre il tuo video di Celine Dion quando l’ho trovato. Questa è stata la sua risposta,” disse, tornando all’inglese.

Kurt prese il cellulare, poi rise. La risposta della madre di Sebastian era di una sola, semplice parola:

Sposalo.

“Oh, quindi è una fan,” rispose. “Lei e tua sorella hanno buon gusto. È un tratto femminile nella tua famiglia?”

Sebastian sogghignò. “Sì, solo alle donne, nella mia famiglia, piacciono gli abiti femminili. Buffo come funzioni. E visto che siamo in tema, oggi sembri un ragazzo. Mazel tov. [congratulazioni]”

Kurt abbassò lo sguardo ai propri abiti per un momento, dunque tornò a guardare il giovane. “Manca della tua aura di marchetta.”

Le labbra del giovane si contrassero in un sorrisetto, ma non demorse. “Chiaramente non hai incontrato mia Madre.”

Kurt sbatté le palpebre al suo indirizzo. “Tu… avevi appena insultato me.”

Starà sollevando una tempesta a Parigi mentre parliamo,” rispose l’altro in Francese.

Vivrai con lei a Parigi, se decidi di studiare lì?” domandò.

Sebastian scosse il capo, ma sembrava affettuoso. “Preferirei impiccarmi con le mie stesse budella,” rispose ancora in Francese. “Non posso pensare di studiare per avere una vera carriera con lei che incombe sulla mia testa offrendomi dell’alcol. Quella donna pensa troppo a divertirsi per pensare al suo bene.”

Kurt si chinò sino ad appoggiare il capo alla mano, osservando l’altro che roteava il cellulare tra le dita. “Studieresti in Francese? E cosa?”

“Medicina,” rispose. “E sì, se andrò a Parigi. Non ho ancora idea di cosa voglia fare.”

Si mise seduto più dritto. “Aspetta, medicina, seriamente?” domandò. “Sai che significa che dovrai occuparti delle persone senza insultarle o ferirle.”

“Ho una personalità brillante,” rispose il giovane. “Solo tu mi dai sui nervi. Non è colpa mia se sei sempre stridulo e fastidioso.”

A me piacerebbe impiccarti con le tue stesse budella,” rispose Kurt, traducendo il commento che l’altro aveva fatto prima. “Penso che mi aiuterebbe. Psicologicamente.”

Sebastian sorrise in modo paterno, dunque scosse il capo. “Nulla potrebbe aiutarti psicologicamente, angelo.”

Kurt si lasciò sfuggire un sospiro. “Già, mi sono imbattuto proprio nell’unico modo,” ammise.

*

“Riesci a fare lo spelling di dislessico?” domandò Kurt, leggendo un altro dei compiti del giovane. “Sebastian, devi smetterla di farmi leggere le cose che scrivi da ubriaco. È indecoroso.”

L’altro sorrise. “Non ero ubriaco, erano solo le tre del mattino,” ammise. “Hai un disturbo ossessivo compulsivo per la grammatica?”

“Il fatto è che quello che dici ha un senso ed è davvero chiaro,” disse, fissando lo schermo. “E rovini tutto ignorando quelle piccole linee rosse a zig-zag. Sai che significano che hai sbagliato a scrivere una parola, giusto?”

“Ho te,” rispose Sebastian. “Non sono più abituato a correggere i miei errori.”

Kurt lo fissò, dunque scosse il capo. “Un giorno, non sarò qui al Lima Bean e tu dovrai imparare a stare al mondo da solo. E allora, cosa farai?”

“Non accadrà mai,” ripose il giovane, senza nemmeno impegnarsi per sembrare preoccupato. “Ti piace troppo stare in mia compagnia. Ti mancherei.”

Chiuse il portatile. “Non è vero,” rispose.

Gli occhi di Sebastian si fecero più grandi. “Sì, invece,” disse. Dio, sembravano dei dodicenni. Kurt inspirò a fondo; il bisogno di prendere il giovane a pugni stave andando affievolendosi (avevano trascorso molti pomeriggi insieme per più di un mese, Cristo), ma aveva ancora voglia di sbattere la testa sul tavolo.

Nonostante sapesse quanto suonasse ridicolo, rispose ancora: “Non è vero,” dunque tornò ad aprire il portatile e cominciò a scrivere.

Aveva appena finito di correggere una frase particolarmente maciullata nella forma quando sentì un fastidioso schiarirsi di gola dal tavolo loro vicino.

Dopo una breve esitazione, disse: “Ciao, Rachel. Come posso aiutarti?”

Rachel sorrise, ma il calore non si estese agli occhi. “Ti ho visto prendere un caffè con uno studente della Dalton, e ho pensato che fosse strano perché hai lasciato la Dalton tempo fa e i Warblers sono i nostri avversari più temibili -”

“Oh,” la interruppe Sebastian, divertito. “Sei quella Rachel.”

Ci fu un bagliore negli occhi della ragazza. “E cosa sai di me? Kurt, non gli hai detto niente delle New Directions, vero?”

Kurt sollevò gli occhi al cielo. “Ovvio che no. E non è che abbiamo chissà che segreto, Rachel, calmati.”

“Chiedo solo perché… ricordi cos’è successo al secondo anno,” rispose Rachel. “Scusa, non ci siamo presentati bene,” proseguì, lanciando a Kurt un’occhiataccia prima di tendere la mano. “Sono Rachel Berry, uno dei co-capitani delle New Directions.”

Sebastian le strinse la mano. “Salve, Rachel Berry. Sono Sebastian Smythe, capitano del glee club che vi straccerà alle Regionali.”

Gli occhi della giovane si accesero di rabbia. “Okay, Rachel, penso che io e Sebastian dovremmo tornare al nostro lavoro. Perché non torni a…?”

S’interruppe immediatamente quando vide il tavolo che Rachel aveva lasciato, e chi vi era seduto. Per un momento, incontrò lo sguardo di Blaine, dunque distolse il proprio. Tina agitò la mano educatamente al fianco del giovane, e Mike gli sorrise.

Quando Kurt tornò a guardarla, Rachel ebbe la decenza di sentirsi in colpa. “Scusa, non volevo rendere le cose imbarazzanti,” disse. “Lo trovi imbarazzante?”

“No,” rispose. “Va tutto bene.”

“È un po’ imbarazzante,” ammise Sebastian, compiaciuto e divertito, e Kurt non riuscì più a placare il desiderio di prenderlo a pugni in faccia.

Rachel aggrottò le sopracciglia, ma tornò a guardare Kurt. “Stavamo parlando di fare un numero di gruppo per il tema di questa settimana. Puoi unirti a noi se vuoi.” Gli rivolse un’altra occhiataccia, dunque tornò a osservare Sebastian.

“Kurt si diverte in mia compagnia,” la rassicurò il giovane. “Si diverte un mondo a fare i miei compiti. Non è molto utile in altre aree.”

“Sarei molto utile nel prenderti a pugni in faccia,” replicò Kurt, pacato. “Va tutto bene, Rachel. Io e Sebastian eravamo occupati. Saluterò prima di anare.”

Rachel annuì, dunque gli strinse il braccio prima di andarsene.

“È stata deliziosa,” osservò Sebastian.

Kurt fissò lo schermo del computer. “È una delle mie migliori amiche,” rispose, correggendo un’altra parola. “È pazza, ma è una compagnia migliore della tua.”

Kurt non poteva farlo con Blaine dall’altra parte del locale. Non era giusto. Era stato il loro posto una volta, ma Kurt ne aveva praticamente ottenuto la custodia; era lì praticamente ogni giorno, ora. E aveva delle cose da fare, compiti che non aveva nemmeno guardato perché occupato ad aiutare Sebastian, e all’improvviso si sentì ridicolo a sedere di fronte a Sebastian Smythe e aiutarlo coi compiti.  

“Okay,” disse Sebastian con voce bassa e pensosa. “Ce ne andiamo?”

“Eravamo qui da prima,” disse.

Poté vedere con la coda dell’occhio il giovane che aggrottava la fronte. “Kurt, sei sconvolto. Ce ne andiamo, ci sono altre caffetterie.”

Kurt sollevò lo sguardo e contò da dieci prima per una ragione completamente diversa dalla solita. “No, va bene,” lo rassicurò. “È passato più di un mese, sto- sto bene.” Non era sicuro che fosse completamente vero, perché c’era una parte di lui che probabilmente non sarebbe mai stata bene – la parte che continuava a ricordargli che non meritasse altro che l’essere usato – ma non gli mancava Blaine come prima. Era più il dolore rimasto per ciò che era successo, il desiderio di sapere se avrebbe mai riposto fiducia in qualcun altro.

Pensò che avrebbe dovuto aspettarselo, comunque. La prima persona che avesse mai amato gli aveva detto che lo ricambiava, aveva preso la sua verginità e poi detto oh, non ti amo davvero. Era più che tenuto ad essere più chiuso, per un po’.

“Sì, non è vero,” rispose Sebastian, chiudendo il portatile e riponendo le proprie cose. “Ce ne andiamo.”

“Scusa, quand’è che ho accettato di farmi comandare a bacchetta da te?” domandò. All’espressione esasperata dell’altro, continuò: “Non voglio fuggire. Non ho paura di stare nella stessa stanza con lui – andiamo a scuola insieme, ricordi? Non me l’aspettavo, tutto qua.”

Sebastian scosse il capo, dunque mise via il computer. “Ad ogni modo, non concluderemo molto altro, oggi.”

Kurt lo fissò per qualche attimo, dunque inspirò a fondo. “Andrò a sedermi con loro,” disse. “Posso farlo. Posso farlo, sì.”

“Okay,” rispose il giovane. “Accomodati.”

Kurt si chiese se non stesse facendo un errore mentre raccoglieva le sue cose e si dirigeva all’altro tavolo. Aveva l’opportunità di sedere con Sebastian ancora un po’, battibeccando, lavorando e a dire il vero persino divertendosi, e invece stava sorridendo a Rachel mentre sedeva al suo fianco. Era molto meno divertente, dopo tutto.

“Hey, ragazzi,” salutò. “Penso di aver fatto abbastanza compiti per oggi. Cosa pensavate di cantare?”

Rachel gli sorrise, ma fu Blaine a rispondere. “Perché eri seduto con Sebastian? Pensavo che lo odiassi.”

“’Odiare’ è una parola grossa,” rispose senza pensare. “Uh. Direi più che mi fa una ‘molta antipatia’.”

Blaine sembrò confuso, aggrottò le sopracciglia ad una maniera che un tempo avrebbe trovato accattivante. “Allora perché esci con lui?”

“È una bella domanda,” aggiunse Rachel. “È in un glee club rivale; sai che raramente va bene. Senza offesa, Blaine.”

Kurt scrollò le spalle, non era sicuro su come avrebbe dovuto rispondere. Perché stava trascorrendo così tanto tempo con Sebastian? Non erano più incontri casuali, a quel punto; non si preoccupava di andare al Lima se non era sicuro di doversi incontrare con Sebastian. 

“Hey, di cosa state parlando?” domandò Sebastian, apparendo al suo fianco. Poggiò una tazza di caffè di fronte a lui, lo ringraziò con un cenno.

“Di te,” rispose automaticamente, dunque strinse le dita attorno alla tazza di cartone, calda. “Del perché siamo qui.”

Sebastian annuì. “Se non fossimo qui, Kurt dovrebbe fare i compiti di Matematica per una volta,” spiegò, gli occhi che brillavano mentre gli volgeva lo sguardo. Lui roteò gli occhi.

“E Sebastian dovrebbe imparare a usare il correttore automatico,” aggiunse. “Come una persona normale.”

“La normalità è sopravvalutata,” rispose Sebastian. “Mi pare di dover fare le congratulazione ad un’altra finalista per la NYADA.”

L’espressione di Rachel si illuminò. “Grazie,” rispose.

Kurt si guardava le mani strette attorno la tazza di caffè mentre la conversazione tornava a fluire attorno a lui, sollevando di tanto in tanto lo sguardo per dire la propria. Più che altro, era super-consapevole del fatto che Sebastian fosse tra lui e Blaine, che continuava a fare domande sui Warblers e sulla Dalton.

“Ai ragazzi manchi, ovviamente,” commentò Sebastian, rispondendo alle domande del giovane. “Dovresti venire a trovarci qualche volta.”

Kurt bevve un lungo sorso di caffè, e appuntò lo sguardo altrove.

“Mi piacerebbe moltissimo,” disse Blaine, felicemente. “Sei agitato per le Regionali?”

“Penso che il discorso sulle Regionali non sia esattamente appropriato,” lo interruppe Rachel.

Blaine rise. “Sebastian è un amico, Rachel, non preoccuparti,” rispose. Kurt si chiese se fossero ancora in contatto, e perché Sebastian non avesse sentito il bisogno di sbatterglielo in faccia. “Devo andare, comunque. Ci vediamo a scuola. È stato un piacere rivederti, Sebastian.”

Kurt lo salutò il più educatamente possibile.

Per un momento dopo che Blaine ebbe lasciato il tavolo, non riuscì a scostare lo sguardo dal suo caffè. Respirò più a fondo che poteva e lo strinse, dunque si rilassò. Non era così male; poteva affrontarlo. Poteva affrontare la qualunque.

Quando sollevò nuovamente lo sguardo, si volse automaticamente a Sebastian – che stava guardando oltre lui, verso il parcheggio, gli occhi quasi sgranati.

“Devo andare anche io,” disse il giovane distrattamente. “Ci vediamo domani,” aggiunse rivolto a Kurt, senza incontrare il suo sguardo, dunque si alzò e se ne andò.

“Okay,” rispose Kurt, confuso, lo guardò raccogliere la propria roba e andarsene.

Fu quando lo vide nel parcheggio che realizzò che stava seguendo Blaine.

Inizialmente sentì sorgere la rabbia – che Kurt pensava di aver messo da parte dopo i primi flirt di Sebastian – seguito da una sensazione sconosciuta, come un buco allo stomaco. Distolse gli occhi dalla vetrina e si impose la calma. Blaine non stava più con lui; Sebastian poteva fare quello che voleva con lui. Non era più affar suo, non aveva diritto di essere arrabbiato.

Eccetto… Sebastian si era seduto insieme a lui quasi ogni giorno per più di un mese. Non erano esattamente amici – trascorrevano la maggior parte del tempo a insultarsi – ma non contava niente? Non c’era una specie di codice per quelle situazioni?

Vada a farsi fottere, pensò, dunque fece una smorfia a quella scelta di parole. Oddio, e se avevano fatto sesso a casa di Blaine, nello stesso letto in cui lui aveva perso la verginità? Non era giusto.

Kurt guardò fuori un’altra volta. Non riusciva a vedere il volto di Sebastian da quell’angolazione, ma aveva le braccia lungo i fianchi, come se stesse spiegando qualcosa e sembrava… teso. Blaine aveva le braccia incrociate e la sua espressione era tesa, la fronte corrugata.

Bene. Sembrava che non fosse interessato alle avances dell’altro.

Kurt si disse che aveva fatto bene, ma quella sensazione allo stomaco, fastidiosa e sconosciuta, non era scomparsa.

*

Il giorno dopo, Kurt era andato al Lima bean perché Sebastian aveva un saggio e lui aveva bisogno di aiuto in matematica, di nuovo, e non aveva davvero diritto di essere arrabbiato.

Quando arrivò, Sebastian gli aveva già comprato il caffè.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


NdT: devo chiedere a tutti coloro che seguono questa storia un immenso scusate il ritardo, come ho già detto per DYR non sono riuscita a ben organizzarmi tra la mia sessione d’esami e la maturità altrui. Ma rieccoci qui, al terzo capitolo, procediamo piano ma alla fine stiamo procedendo. Il vostro feedback è dolcissimo e non mancherò di riferire ad angelofcaffeine quello che scrivete su ogni capitolo, nonostante lei cerchi di seguire pur non capendo un’acca di italiano (non è una cosa dolcissima? ♥). Non manco di ringraziare anche coloro che hanno inserito la traduzione tra le preferite/ricordate/seguite, molte volte silenziosi ma altrettanto importanti.
Poco altro da aggiungere, se non che @nameless colour sarà sempre una delle mie eroine personali per aver betato il capitolo.
Buona lettura!
Link al terzo capitolo

CAPITOLO 3

Le New Directions vinsero alle Regionali.

Kurt avrebbe dovuto concentrarsi sui suoi amici, ridere all’entusiasmo di Rachel e prestare attenzione al racconto al racconto di Mercedes dell’intera serata, invece si ritrovò ad aspettare un messaggio che sapeva sarebbe arrivato.

Penso che la tua voce suonasse come quella di uno scoiattolo strafatto di elio, ma mazel tov (=congratulazioni. NdT) per l’inaspettata vittoria.

Kurt sbuffò, attirando un’occhiata curiosa di Mercedes, dunque rispose: La gelosia ti dona. Comprami un caffè per questa vittoria, Lunedì. Il caffè è la bevanda dei campioni.

Ignorò risolutamente qualsiasi altro messaggio che aveva ricevuto durante la strada verso casa, così decise di stringere la mano di Mercedes e intonare con Puck e Sam ‘We Are the Champions’.

Era stata una settimana perfetta. Kurt aveva incontrato quattro volte Sebastian dopo scuola – tre volte per fare i compiti e un’ora a stare seduti a parlare delle Regionali, durante la quale il giovane fu piuttosto insultante, ma non sembrava arrabbiato – e la scuola sembrava un posto migliore, ora che non sentiva più il bisogno di evitare Blaine come fosse la peste.

Non durò molto.

Infatti, l’ottimismo di Kurt venne buttato giù bruscamente alle 2.48 di Domenica notte.

Si svegliò sentendo la suoneria del cellulare – era di quel tipo di suoneria che sceglieva per le persone che non gli ispirassero una canzone – e inizialmente aveva osservato il cellulare prima di guardare lo schermo. Il nome SMYTHE lampeggiò di fronte a lui. Kurt rispose più che altro per curiosità.

“Bastian?” rispose, affondando nuovamente col viso nel cuscino. “Le tre di notte. No.

Ci fu una lunga pausa dall’altro capo del telefono, tanto che si domandò se il giovane l’avesse chiamato per sbaglio. Dunque, con voce appena distante, Sebastian disse: “Posso chiederti un favore?”

Kurt si era messo a sedere prima ancora di sapere di cosa avesse bisogno. “Cos’è successo?” domandò.

“Beh,” rispose l’altro, suonando distante, appena senza fiato. “Sto cercando di tenere lontano mia sorella dal commettere un crimine. Il che sarebbe normale, non sarebbe... tecnicamente la prima volta.”

“Cosa?” domandò Kurt, troppo assonnato per capire. “Quale crimine? Sei ubriaco?” Sebastian esitò, il che costituiva una risposta sufficiente. Riusciva a sentire il rumore delle macchine che passavano di sottofondo. “Sebastian, dove sei?”

Sebastian sospirò. “Sono bloccato,” ammise. “Vi ha la mezza idea di saltare in auto e venirmi a prendere. Preferirei che, sai... che non lo facesse. Del tutto.”

Kurt si sfregò gli occhi. “Mi stai chiedendo di venirti a prendere?” domandò, cercando di mantenere viva la conversazione. “Dove sei? Riesci a vedere un cartello da qualche parte?”

Era fuori dal letto e aveva infilato la giacca prima ancora di capire completamente cosa stesse facendo. Quando giunse alla porta d’ingresso, guardò la casa al buio e si chiese se dovesse avvisare qualcuno su dove stesse andando – e dunque, con un sospiro, decise che era meglio non far preoccupare nessuno.

Continuò a tenere il cellulare premuto contro l’orecchio mentre guidava. Non era una cosa che faceva spesso, era più che cosciente dei rischi sulla sicurezza, ma c’era qualcosa nell’idea di Sebastian ad aspettare solo al buio che gli faceva tenere la linea.

“Kurt,” lo richiamò il giovane dopo molti minuti di silenzio. “Io... c’è un’altra ragione perché non voglio che Vi mi venga a prendere,” ammise.

“Hm?” rispose, cercando di concentrarsi sulla guida.

Sebastian respirò rumorosamente, e ciò giunse a Kurt come un momento di silenzio statico. “Non voglio che tu dia di matto.”

Aggrottò la fronte. “Perché dovrei dare di matto? Non sono abbastanza sveglio per farlo.”

“Potrei essere un po’ ammaccato,” ammise il giovane.

Kurt si mise diritto così velocemente che quasi lasciò cadere il cellulare. Boccheggiò silenziosamente per un momento, dunque respirò come in un risucchio forzato. “Perché... perché dovresti essere ammaccato?”

La pausa dall’altro lato fu troppo lunga. Cominciò a guidare più velocemente.

“Io,” cominciò Sebastian, poi esitò di nuovo. “Sono stato trascinato in una rissa.”

Kurt si morsicò il labbro, cercando dal lato della strada in cui supponeva di doverlo vedere, dunque tentò disperatamente di non andare troppo nel panico. “Ti hanno trascinato in una rissa,” ripeté. “Sebastian, qua... qua non ci sono clubs,” gli fece notare. “Dov’eri messo?”

“Scandals,” ammise il giovane. “Mi sono ritrovato in una rissa con quello che doveva accompagnarmi a casa. Non... non è stata la mia idea migliore.”

“Tu hai solo cattive idee,” sbottò. “Tu sei la tipica persona che ha solo cattive idée. Dio mio, quanto sei messo male?”

Sebastian soffocò una risata. Non suonava molto divertito. “Sono una persona dalle idee brillanti. Solo, non posso evitare alle persone di essere stronze.”

Kurt represse un insulto, insieme a una domanda, troppo spaventato per farla. Invece, continuò a guidare, gli occhi sgranati e le spalle rigide.

Sebastian non mentiva quando aveva detto di essere ammaccato.

Kurt era fuori dalla macchina senza nemmeno darsi tempo di parcheggiare. Riappese al telefono e lo abbandonò nella tasca della giacca, dunque prese il volto del giovane tra le mani, sollevandolo perché potesse vederlo alla luce del lampione. Un livido scuro partiva dalla guancia, andando dallo zigomo alla mascella.

“Oh Gesù,” soffiò Kurt, cercando di essere delicato. “Ti sei scontrato con qualcuno armato di mazza?”

Sebastian lo fissò, gli occhi appena lucidi per l’ebbrezza, dunque disse: “Lo sai che i tuoi occhi sono... complicati?”

Kurt sbatté le palpebre. “Oh, grandioso,” commentò tra sé, dunque spinse il giovane verso la macchina. “Entra. Non vomitare.”

Sebastian barcollava giusto un po’ mentre camminava verso la macchina, ma era abbastanza da fargli capire quanto fosse ubriaco. Il sollievo per averlo trovato non aveva comunque allentato la stretta che sentiva al petto; entrò in macchina e cominciò a guidare soltanto per avere qualcosa da fare.

Con la coda dell’occhio, vide Sebastian premere il cellulare contro l’orecchio.

“Vi?” domandò con voce assonnata. “Kurt è qui. Sto bene. Torna a dormire.” Si fermò per un momento, dunque aggiunse: “No, sto bene, sono solo ubriaco. Sto bene. Torna a dormire, Viola.”

Chiuse velocemente, dunque chiuse gli occhi.

“Sebastian e Viola?” domandò Kurt. “Veramente?”

Le labbra di Sebastian si curvarono appena in su. “Te l’ho detto che Mamma ha un ottimo senso dell’umorismo.”

Kurt sbuffò. “Questo non è umorismo, è solo cattiveria.”

“Mio padre voleva chiamarmi come suo nonno,” spiegò il giovane, gli occhi ancora chiusi. Kurt si costrinse a fissare la strada piuttosto che il suo volto. “Mamma ha accettato alla condizione di poter dare al secondo figlio il nome che voleva. Fu così finché non vide La dodicesima notte quando era incinta di sette mesi, e... il resto è storia.”

“Che cattiveria,” ripeté Kurt. “Mi dispiace per la tua infanzia infelice.” Sebastian schiuse un occhio, facendogli ricordare di dover tenere gli occhi su quella cavolo di strada. “Sarà divertente da spiegare a mio padre, domani.”

Sebastian sospirò e volse il capo per osservarlo direttamente. “Potrei andarmene prima che si alzi qualcuno,” disse, prima di sbadigliare. Kurt gli lanciò un’occhiata, osservando il modo in cui le ombre giocassero sul suo volto (sul suo livido, e il resto della sua pelle; sugli zigomi alti e sulla curva della mascella), dunque scostò lo sguardo.

“No,” insistette. “Starai da me finché non sarò pronto a riportarti a casa.”

E finché non avrò saputo cos’è successo stanotte, aggiunse tra sé e sé.

Colse il suo cenno di assenso. Gli lanciò un’ulteriore occhiata, per poi trovarlo a fissarlo seriamente. “Complicati,” ripeté il giovane, pensieroso.

“I miei occhi, giusto?” domandò, più che altro per mantenerlo sveglio e parlare.

Sebastian mugugnò in segno di assenso, per poi cominciare a canticchiare. Gli parve che fosse una prova sufficiente del fatto che fosse ancora cosciente, dunque lasciò che il resto del viaggio trascorresse in silenzio.

Quando giunsero a casa, le palpebre del giovane si chiudevano sole e i suoi movimenti erano più goffi. Kurt lo portò su per le scale, nella sua camera da letto, mettendolo a tacere per tutta la strada, dunque gli fece bere un bicchiere d’acqua prima di farlo rannicchiare sotto le coperte.

Quando Sebastian fu sotto le coperte, mostrando nient’altro che un ventaglio di capelli castani scombinati, sospirò, le mani sui fianchi. Non ancora pronto a dormire, andò a prendere qualche antidolorifico e altra acqua per il risveglio, dunque sollevò le coperte per togliergli le scarpe.

Sedette qualche minuto, osservando il giovane sotto le coperte. Qualche minuto più tardi, si sdraiò a letto e gli diede le spalle.

Gli ci volle parecchio tempo per addormentarsi.

*

Kurt si svegliò al suono di uno schiarimento di gola.

Il primo pensiero fu semplicemente no, ma quando si spostò per localizzare quel suono si accorse immediatamente di non essere solo a letto.

Si sedette velocemente, strofinandosi gli occhi, e aggrottò le sopracciglia a vedere i capelli castani che facevano capolino dalle coperte. Si sfregò ancora gli occhi, prima di sollevare lo sguardo su suo padre.

“Oh,” disse, dunque inspirò profondamente. “Buongiorno.”

Burt si poggiò allo stipite della porta e inarcò le sopracciglia. “C’è qualcosa che devi dirmi, figliolo?”

Kurt volse lo sguardo a Sebastian, che stava cominciando ad agitarsi, dunque sospirò. Si mise in piedi e si stiracchiò, prima di raggiungere il padre in corridoio, chiudendo la porta alle sue spalle. “Scusa,” disse, dunque tossicchiò. “Scusa se non te l’ho detto ieri notte. Non volevo svegliarti. Ha chiamato alle tre, era ubriaco e a piedi, dovevo andarlo a prendere.”

“Dovevi, eh?” domandò Burt.

Kurt sgranò gli occhi. “Papà, era ubriaco e a piedi,” sottolineò. “È anche pieno di lividi – dice di aver avuto una rissa, ma io...” serrò la mascella, dunque si passò una mano sulla fronte. “Senti, lo so che questa situazione non è l’ideale.”

“Kurt, c’è un ragazzo nel tuo letto, certo che non è l’ideale -

“Un ragazzo a cui non sono interessato e che non è interessato a me,” gli fece presente. “È solo... un amico. Una specie.”

“Qualcuno della scuola?” domandò l’altro. “Qualcuno del tuo glee club?”

Si passò nuovamente la mano sulla fronte, desiderando di aver dormito un altro paio di ore come minimo. “No,” ammise. “È Sebastian.”  

Sulle prime, il volto di Burt rimase inespressivo, poi lentamente sembrò capire. “Intendi dire quel ragazzo che è venuto in officina con suo padre?” domandò. “Il ragazzo che hai aspettato e con cui hai flirtato per mezz’ora?”

“Cosa?” domandò. “No, io non ci stavo flirtando. E – comunque sì. Quel Sebastian.” Di fronte all’espressione severa di Burt, aggiunse: “Papà, ha chiamato perché non sapeva come tornare a casa, non potevo proprio lasciarlo lì.”

L’espressione dell’uomo si addolcì un po’. “No, capisco,” replicò. “Ma avresti dovuto svegliarmi, io sarei andato a prenderlo. E avrebbe dovuto dormire sul divano.”

Non aveva una risposta a quelle parole – perché non l’aveva mandato a dormire sul divano? – dunque aveva scrollato le spalle. “Scusa,” rispose. “Posso tornare a letto?”

Burt mugugnò, ancora poco convinto. “Porta aperta,” ordinò. “Finn e Sam sono in casa tutto il giorno, quindi non pensare nemmeno -”

Papà,” insistette, le guance che andavano a fuoco. “Neanche mi piace. Non siamo veri amici. Io non… non ho -”

“Va bene, Kurt,” rispose Burt, cominciando a sorridere. “In ogni caso, figliolo, ti credo. Torna a dormire.” Si diresse verso le scale, e disse da sopra la spalla. “Porta aperta!”

Kurt grugnì mentre tornava in camera (lasciando la porta aperta, ovviamente), dunque sorrise quando Sebastian ricambiò lo sguardo.

“Non sei messo molto bene,” commentò Kurt, tornando sotto le coperte. “Come ti senti?”

“Ugh,” fu l’unica risposta del ragazzo, seguito da una smorfia.

“Gli antidolorifici sono sul comodino accanto a te,” disse. “Bevi l’acqua. Poi dormi.”

Sebastian fece come gli era stato detto, le mani che tremavano, poi chiuse gli occhi e si immerse completamente sotto le coperte.

Erano faccia a faccia, ma gli occhi del giovane erano serrati. Kurt si rannicchiò con le ginocchia al petto e lo osservò rilassarsi lentamente, il suo respiro farsi più lieve.

Dormì a tratti per un paio di ore, svegliandosi ogni volta che Sebastian si muoveva sotto le coperte.

*

Tre ore dopo che suo padre se ne fu andato, Kurt era sveglio e in ansia. Si era fatto una doccia e vestito (dando un’occhiata alla sagoma di Sebastian sotto le coperte ogni minuto), aveva recuperato per il giovane un paio di abiti dalla camera di Finn dopo avergli chiesto il permesso (e ricevendo qualche domanda imbarazzata e subito ignorata dal fratellastro), poi aveva mandato un messaggio a Viola dal telefono del fratello per rassicurarla del fatto che stesse benissimo

Alla fine, non riuscì a rimandare ancora il momento di svegliarlo. Era mezzogiorno passato e la sagoma sotto le coperte si era mossa appena dopo l’ultima notte.

Si sedette sul letto e lo scosse dolcemente per la spalla, cercando di svegliarlo senza essere troppo invasivo con la sua sbornia. “Sebastian,” lo chiamò a bassa voce. “Sebastian, devi svegliarti.” Il giovane grugnì e si volse, il suo volto apparve da sotto le coperte. Aprì un occhio abbastanza per guardarlo. “A meno che tu non voglia stare nel mio letto tutto il giorno.”

Aprì anche l’altro occhio, l’occhiata divenne divertita. “Mi stai offrendo – sei – io sono... troppo sbronzo per vivere.” La sua testa scomparve nuovamente sotto le coperte. Kurt trattenne una risata. “Vattene via.”

“No, alzati,” insistette. “Ti preparerò il pranzo, se ti alzi. Cosa mangi quando hai un doposbornia?”

“Toast alla francese,” disse la voce da sotto le coperte. “O più alcolici.”

Kurt diede qualche pacca da sopra le coperte. “Mai più alcolici per te,” disse. “Alzati e fatti una doccia. Ho qualche vestito per te qui. Sono di mio fratello, non preoccuparti.” Sebastian grugnì, infelicemente. “E quando scenderai giù, avrò una montagna di toast alla francese per te.”

Il giovane scostò le coperte, poi sbatté le palpebre per qualche momento. “Dovrei chiamare Vi,” disse, mettendosi a sedere.

“Le ho già mandato un messaggio,” lo rassicurò. “Va’ a farti la doccia, ti sentirai meglio. Guarda, ho anche uno spazzolino nuovo per te e tutto il resto.”

Alla luce del giorno, il livido di Sebastian era più visibile che mai. Copriva quasi l’intera guancia. Il giovane stava per sfregarsi gli occhi ma scostò la mano velocemente, dunque poggiò le dita sul livido.

Qualcosa lo fece rabbuiare. Kurt lo mandò in bagno, e guardò la porta fino a quando non sentì l’acqua correre.

Al piano di sotto, Finn e Sam erano nel bel mezzo di una battaglia con due filoni di pane.

Kurt scosse il capo. “Faccio i toast alla francese,” annunciò. “I pancakes sono negoziabili. Se volete mangiare qualcosa, allora non siete autorizzati a combattere con il cibo.”

“Aw, andiamo,” disse Finn, guardando tristemente il pane. “Fa schifo che tu sia un cuoco così straordinario.”

Mentre i due ragazzi mettevano via il pane nella dispensa, Kurt cominciò a raccogliere gli ingrediente. “Sì, è davvero una sfortuna per voi,” commentò mentre sparivano dietro l’angolo.

Si distrasse cucinando, e alla fine Finn e Sam furono condotti nuovamente in cucina dall’odore di cibo.

“Dunque,” esordì Sam, sedendo al tavolo e sembrando decisamente troppo entusiasta. “Chi era il ragazzo nel tuo letto?”

“C’era un ragazzo nel tuo letto?” domandò Finn. “È per questo che volevi prestati degli abiti?”

Scrollò le spalle. “I miei non gli entrerebbero,” ammise. “E probabilmente se ne lamenterebbe.”

“Aspetta, cosa?” domandò Finn, aggrottando le sopracciglia. “Hai un nuovo fidanzato? Come mai non l’ho ancora visto? Pensavo che fossimo fratelli!”

“Non ho il fidanzato,” rispose Kurt. “Ho una fastidiosa conoscenza che è rimasta a piedi la notte scorsa. E che ora sta attraversando un dopo sbornia, quindi cercate di non essere troppo... voi.”

Finn sembrò per un attimo ferito, e Sam rise. “Oh è quel ragazzo?” domandò il biondino.

Kurt inarcò le sopracciglia, piazzandogli davanti una pila di toast alla francese. “Chi è quel ragazzo?”

“Sai,” rispose Sam, “Quello con cui prendi il caffè ogni giorno e che ti manda messaggi.”

Kurt gli lanciò un’occhiata raggelante. “Smettila di parlare con Mercedes del sottoscritto. E sì, è la stessa persona, ma il tuo tono di voce implica qualcosa che non esiste.”

“Oh aspetta, si tratta di quel Warbler?” domandò Finn, gli occhi che scintillavano. “Rachel mi ha detto che sei sempre con lui, e che è molto carino.”

Sam, la bocca piena di cibo, lanciò a Kurt un’occhiata eloquente. “È molto carino, Kurt?”

“Sì, Kurt,” esordì una terza voce alle sue spalle. “Lo è?”

Kurt chiuse gli occhi per un attimo, dunque si volse a Sebastian con un sorriso. “A dire il vero, è un fastidioso stronzetto,” ripose. “Ecco, toast alla francese. Mangia.”

“Amico,” esclamò Finn, mentre Sam sollevava i pollici a Kurt senza molta discrezione (e oh, Kurt aveva bisogno di lavargli il cervello con la candeggina), “cos’è successo alla tua faccia?”

Sebastian prese un paio di toast. “Una rissa,” rispose, fissando il cibo. “Ho bevuto troppo. Sai com’è.” Cominciò a mangiare, dunque, prima di volgersi a Kurt con un veloce sorriso. “Grazie per il pranzo.”

“Ne arriva altro tra poco,” rispose, sventolando la spatola in faccia a Finn. “Non terrorizzatelo. Non importa quanto sia stronzo, è anche un ospite.”

“Non volevo,” replicò Finn, suonando ferito. “Stai qui, oggi? Come ti chiami?”

“Sebastian,” rispose. “E tu sei?”

La bocca di Finn era ovviamente piena di cibo quando rispose: “Sono Finn, il fratello di Kurt. E questo è Sam, vive con noi.”

“Ciao Sebastian,” esordì Sam. “Stiamo andando da Puck a giocare a Mario Kart per un po’, se volete unirvi a noi.”

No, amico,” rispose Finn con veemenza. “Non invitare Kurt, seriamente.” Il giovane in questione lo fulminò con lo sguardo, e Finn sollevò le mani. “Mi spiace, Kurt, ma non giocherò mai più con te. Ti diverti a vincere per tutto il tempo.”

Kurt rise, portando loro altro cibo. “Tutto ciò che devi fare per battere Finn è avere un minimo di coordinazione mano-occhio. Ma non preoccuparti,” rassicurò il fratello. “Non sono interessato a intromettervi nei vostri giochi.”

Sebastian era incredibilmente tranquillo mentre mangiava, e Kurt si ritrovò a mettergli di fronte altri antidolorifici dopo l’ultima ondata di toast.

“Grazie,” rispose il giovane. “Tu non mangi?”

Kurt inarcò un sopracciglio. “Avete idea di quante calorie avete appena ingerito voi tre? Mangerò un po’ di frutta, grazie.”

“Oddio, sei serio?” grugnì Sebastian. “Ho cambiato idea. Non parlare, mi fai venire mal di testa. Potresti essere meno stereotipato, solo per un paio d’ore?”

Sia Finn che Sam sembrarono sorpresi; Finn sembrava sul punto di difenderlo, il che era alquanto ridicolo di per sé.

“Oh, per favore,” sbottò Kurt. “Mi hai chiesto aiuto nel bel mezzo della notte. Potrò anche essere io quello che sta attento alle calorie, ma sappiamo entrambi chi è la damigella in difficoltà dei due.” Si sciacquò le mani. “O uno scoiattolo gigantesco in difficoltà.”

“Non riesco a vivere,” rispose Sebastian. “Posso tornare a letto e basta?”

Kurt lo osservò – i suoi capelli arruffati e umidi, il livido sul volto – e non poté fare altro che addolcirsi mentre rispondeva, “Certo. Torniamo pure sopra.”

Sam gli aveva fatto nuovamente il pollice verso, e Finn sembrava sconcertato. Mentre Kurt conduceva Sebastian verso le scale, riuscì a sentire il fratello chiedere, “Uh, stanno andando a-? No, vero?”

Apparentemente, Sebastian sembrò trovare la cosa divertente perché ridacchiò per tutto il percorso che conduceva alla camera da letto. Quando entrarono, comunque, tutto il divertimento sparì e si rannicchiò sotto le coperte.

Kurt scivolò sotto le coperte, al suo fianco, di fronte a lui. Dopo qualche minuto, il giovane si volse a imitare la sua posizione. “Mi stai fissando,” gli fece notare.

“Mi sto chiedendo quando mi dirai cos’è accaduto la scorsa notte,” rispose.

Sebastian sbatté le palpebre. “Non ti devo una spiegazione.”

Inspirò profondamente. “Non devi,” convenne. “Ma mi sono tirato su dal letto per venire a prenderti nel cuore della notte, e sono preoccupato.” Si lambì le labbra e Sebastian abbassò lo sguardo per osservarle prima di sollevarlo di nuovo velocemente. “Se non vuoi parlarne... va bene. So che non siamo esattamente amici. Ma sono preoccupato.”

Il giovane lo fissò per quella che parve un’eternità, dunque chiese: “Come ti senti?”

Kurt aggrottò le sopracciglia. “Uh...”

“Rispondi sinceramente, poi ne parleremo,” spiegò il giovane.

“Okay,” rispose. “Ho i piedi gelidi, e probabilmente avrei dovuto mangiare qualcosa mentre eravamo al piano di sotto.”

Sebastian sembrò divertito. “Non intendevo questo,” rispose, e Kurt si portò le coperte sotto il mente. “Come ti senti riguardo… Blaine? E tutto ciò che è accaduto?”

Kurt aprì la bocca, ma non venne fuori alcun suono. Osservò la fantasia della federa, la fronte corrugata, e provò a pensare a come rispondere a una domanda tanto brusca. Sebastian voleva ovviamente sentire qualcosa di vero – probabilmente qualcosa che lo facesse sentire emotivamente vulnerabile, al fine di sentirsi a suo agio a condividere cosa fosse successo la notte prima.

Giunto a quella conclusione, Kurt si preparò ad essere onesto.

“Mi sento usato,” disse. Era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce. Si lambì nuovamente le labbra, osservando le lenzuola piuttosto che Sebastian. “Non credo che mi manchi, non davvero, non... sapendo cosa ha pensato per tutto quel tempo. Ma sì, mi sento usato.” Sollevò gli occhi al cielo. “Il mio primo bacio e la mia verginità sono state prese da un ragazzo che era solo interessato a me perché ero . È qualcosa di decisamente banale.”

“Il tuo primo bacio?” disse Sebastian, incoraggiandolo a parlarne ancora.

“Beh, avevo baciato Brittany prima, a dire il vero,” balbettò Kurt, “Ma la prima volta che un ragazzo mi ha baciato… è stato da parte del bullo che mi perseguitava a scuola – la cosa peggiore al mondo. L’ho fronteggiato urlando a riguardo e lui mi ha baciato. Ha minacciato di uccidermi se l’avessi detto a qualcuno.” Si arrischiò a lanciare un’occhiata al giovane, i cui occhi erano sgranati. “Va tutto bene, è tutto finito adesso. Ma fa schifo che... non lo so.” Scrollò le spalle. “Ho sempre creduto che le persone dicessero ‘ti amo’ quando intendevano realmente farlo. Ho creduto che Blaine lo provasse davvero. E... non era vero. E questo lo sai.” Si sentì improvvisamente strano a condividere quei pensieri con Sebastian. “Fa schifo.”

Ci fu qualche momento di silenzio, in cui Kurt si convinse di non essere turbato e sperò aldilà di qualsiasi cosa che Sebastian non usasse quelle confessioni contro di lui, poi il giovane si spostò. Sembrò distendere le gambe, dunque si schiarì la gola.

“Ho perso il mio autista designato, la ragazza con cui ero andato al club, perché aveva attraccato con il suo ex,” spiegò il giovane. “Così ho chiesto in girò se ci fosse un altro autista designato che potesse riaccompagnarmi a casa.”

Kurt chiuse gli occhi. “In futuro,” lo interruppe, “Se rimani a piedi e la tua altra opzione è un estraneo, chiamami e basta okay?”

Sebastian gli lanciò una lunga occhiata, dunque proseguì nel suo racconto. “C’era un uomo che stava riaccompagnando a casa due persone. Li ha portati a casa, e tutto sembrava andare bene.” Kurt non spinse per avere dettagli questa volta, lo osservò solo mentre aggrottava le sopracciglia. “E quindi mi sono accorto che non stavamo andando nella giusta direzione, e quando gliel’ho detto ha accostato.”

“Oddio,” disse Kurt, incapace a trattenersi. “Sebastian, ha...?”

“No,” rispose il giovane. “No, ha detto cose che preferisco non ripetere, mi ha preso, e poi gli ho dato un pugno.”

Bene, pensò Kurt, sperando che quel pugno gli avesse fatto vedere le stele dal dolore.

“E poi mi ha colpito in faccia con il gomito e io ho aperto la macchina e sono caduto fuori.” Sebastian inspirò a fondo. “Lui se n’è andato, dunque ho chiamato Vi, che era a casa di alcuni amici, e che stava per saltare in un’auto qualunque per venire a prendermi. Così le ho detto che avrei provato a trovare qualcuno che possedesse una macchina. E conosci il resto.”

“Dio, Sebastian,” disse Kurt, sentendosi male. “Dovresti dirlo alla -”

“Non essere stupido,” sbottò l’altro. “Cosa pensi che succederà? Non so nemmeno il suo nome, e anche se non lo sapessi non farei nulla... sarebbe solo la mia parola contro la sua.”

Kurt sgranò gli occhi. “Non importa, non puoi lasciare che lui -”

“Gli ho dato un pugno in faccia, non gli ho lasciato fare nulla.”

Deglutì. “Okay. Qualunque cosa tu voglia, va bene. Solo... sai come la penso.”

Il giovane annuì. “Grazie. Per essere venuto a prendermi.”

“Quando vuoi,” rispose. “Dico davvero. Non entrare in macchina di qualcuno che non conosci. Non puoi fidarti di loro.”

“Ma di te sì,” disse Sebastian, e Kurt non era sicuro se fosse una domanda o un’affermazione. “TU ti fidi di me, quindi?”

Non sapeva cosa rispondere. Non era sicuro che fosse una domanda che richiedesse una risposta.

*

Alle cinque del pomeriggio, dopo un altro paio d’ore trascorse a dormire e parlare, Kurt condusse Sebastian a casa. Una giovane con una gonna lunga sino ai polpacci e un’alta coda di cavallo uscì di casa nello stesso momento in cui Sebastian scendeva dalla sua macchina, lo avvolse in un abbraccio prima di osservare il livido sul suo volto.

Kurt avviò l’auto quando Viola abbracciò il fratello una seconda volta. Volse lo sguardo a entrambi abbastanza a lungo da vedere le labbra della giovane mormorare un grazie.

*

“Dunque,” disse Kurt un paio di giorni dopo, tamburellando sul tavolo che li divideva, “Parigi o New York?”

Sebastian arricciò il naso per l’avversione. Il livido era ancora molto visibile, un marchio scuro sulla sua pelle, e lui si sentiva a disagio a guardarlo, così aveva abbassato lo sguardo alle sue mani.

“Non lo so,” rispose il giovane. “Deluderò qualcuno in un modo o nell’altro.”

“Hm?” domandò, sollevando nuovamente lo sguardo. “Perché mai?”

Sebastian gli lanciò una lunga, piatta occhiata. “Mia madre vive a Parigi, mio padre qui. Prova a indovinare, genio.”

“Non dovrebbero essere delusi,” gli fece notare. “È della tua decisione e della tua vita che si parla. Perché dovrebbero intromettersi?”

Il giovane sollevò gli occhi al cielo. “Dovrò decidere di vivere lontano da qualcuno. Ho considerato Berlino, invece – sai, un campo neutro – ma mia madre ha dato di matto e non posso sopportare di occuparmi anche di lei a questa maniera.” Al suo inarcare le sopracciglia, spiegò: “I suoi nonni sono morti in guerra. Non sa quanto io e Vi amiamo Berlino.”

Kurt annuì. “Quindi, se scegli la Francia tuo padre ne sarà deluso, se scegli l’America tua madre ne sarà delusa. Non hai considerato ancora l’Australia?”

Le labbra di Sebastian si curvarono in un sorriso. “Ho considerato altri posti, ma Vi probabilmente mi seguirebbe ovunque io vada e il suo ragazzo seguirebbe lei. Penso che sarebbero felici sia a New York che a Parigi.”

Kurt lo fissò per qualche attimo, dunque scosse il capo. “Perché devi sempre pensare a qualcuno di loro? Dove preferiresti vivere tu? Non deve seguirti e i tuoi genitori dovranno capirlo.”

Sebastian schiuse le labbra per rispondere, ma furono interrotti da un’improvvisa apparizione al loro tavolo. “Ciao, Kurt!”

Kurt chiuse gli occhi per un momento, dunque li riaprì per sorridere a Rachel. “Ciao, Rach. Ciao, Finn. Che ci fate qui?”

“Volevo trascorrere un po’ di tempo con il mio migliore amico, e giusto caso ho saputo che eri già qui,” disse Rachel, prendendo una sedia per sedersi al suo fianco. “Finn, siediti.”

Finn sembrò imbarazzato quando si sedette con loro, e Kurt sgranò gli occhi. Quindi era decisamente un’idea della ragazza. “Rachel, ero piuttosto occupato.”

“Non ha senso,” rispose la giovane in tono allegro. “Stai prendendo un caffè con un amico. Siamo amici. E abbiamo il caffè.” Sollevò il bicchiere a mo’ di prova. “Dunque, di cosa stavate parlando?”

Kurt le lanciò la sua migliore espressione da che diavolo stai facendo, ma non vacillò nemmeno un po’.

“Di mia sorella,” rispose Sebastian, piuttosto divertito. “Di come parli di matrimonio nonostante sia ancora un’adolescente, e di quanto sia una cosa fastidiosamente stupida.” Non era ciò di cui stavano parlando, ma lo fece sorridere. “Voi che ne pensate ragazzi?”

Kurt volse il capo per nascondere la sua espressione. Forse non avrebbe dovuto raccontare al giovane del ‘fidanzamento’ di Finn e Rachel, ma  quel momento era troppo perfetto per poterselo perdere.

“Uh,” rispose Finn, l’esitazione evidente nella voce. “Insomma – se lei lo ama –”

“Ha sedici anni,” rispose Sebastian. “Lei pensa di amarlo, ma non è un’adulta. Il matrimonio è una decisione da adulti.”

“Sedici anni non sono così lontani dall’età adulta,” disse Rachel, infastidita. “Può fare da sola le sue scelte. Se entrambi lo vogliono, allora è... è diverso.”

Gli occhi di Sebastian brillavano di divertimento. “Sicuro,” replicò, dunque scosse il capo. “È un tipo super-religioso,” spiegò, tornando a osservare Kurt. Capì che la sua era parte di una vera e propria spiegazione, e non più un semplice modo di pungolare Finn e Rachel. “Pensa che sia normale sposarsi appena diplomata, ma penso che sia da matti.”

“E lo è,” concordò Kurt, rischiando un’occhiata all’amica – che lo stava fissando. “Sono fidanzati?”

“No,” rispose il giovane. “Ma ne stanno parlando. Lo tratterrà sino ai vent’anni per una vera e propria proposta, grazie a Dio. Penso che lui la sposerebbe domani se lei gli dicesse che è pronta. Folle bastardo.”

Rachel si schiarì la gola, e quando Kurt volse lo sguardo a lei aveva un chiaro senso di determinazione negli occhi. “Voler stare con una persona che ami non è ‘follia’,” disse. “Francamente, ciò dimostra il fatto che tu non sia mai stato innamorato.”

“E spero che le cose rimangano così,” rispose Sebastian, sollevando la sua tazza come se stesse proponendo un brindisi. “Non capisco perché una persona voglia farsi qualcosa del genere. Ma non è un ‘folle bastardo’ perché è innamorato, ma perché vuole sposare lei.”

Finn aggrottò la fronte, sembrava perplesso. “Non è carino dire qualcosa del genere su tua sorella, amico,” gli fece notare.

Sebastian sorrideva mentre scuoteva il capo. “Non capisci. Lui è religioso.” Fece un gesto che inizialmente Kurt non capì, sollevando entrambi gli indici alle sue tempie e poi unendo le mani verso il basso e poi roteando le dita come se stesse dimostrando un’unione.

A Rachel, comunque, sfuggì un suono sorpreso. “Intendi dire –”

“Intendo dire che ha davvero un cappello nero,” spiegò il giovane. “E che vuole sposare Vi, la cui idea di religiosità non si è mai estesa più in là di periodi di digiuno.”

“Uh oh,” disse la ragazza, mostrando vera e propria pietà. “Quindi cosa faranno?”

Sebastian sospirò, abbassando lo sguardo alla sua tazza di caffè. “Ho sentito dire che il compromesso dovrebbe essere la chiave,” rispose. “Vado a prendermi un altro caffè.”

Quando Sebastian si alzò e lasciò il tavolo, Kurt si volse corrucciato al fratello e alla sua miglior amica. “Che cosa ci fate qui?”

La ragazza incrociò le braccia. “Se hai deciso di essere così con lui, penso che dovremmo sapere se sia abbastanza buono per te,” insistette.

Kurt sbatté le palpebre. “Rachel, Sebastian e io non siamo in nessun modo. Facciamo i compiti insieme.”

“Uh,” Finn li interruppe, l’espressione confusa (nonostante Kurt pensasse che fosse la sua condizione naturale). “Quali compiti?” gesticolò indicando il tavolo, e lui aprì la bocca, privo di parole per un paio di momenti.

Intendevano fare i compiti. Kurt aveva portato con sé il portatile, e aveva una relazione da fare – ma non erano andati molto avanti, perché Kurt era troppo nervoso per il suo provino della NYADA (che era ancora lontano, ma abbastanza vicino da terrorizzarlo) che si era trasformato nell’argomento di discussione riguardo il college e, poi, sulla decisione di Sebastian.

“Non li faccio,” cominciò, dunque si schiarì la voce. “Ci siamo distratti. È solo caffè,” disse. “La state ingigantendo troppo questa storia.”

Rachel incrociò le braccia. “Ti comporti da stupido se non riesci a capire che questo è più di un semplice caffè,” lo informò.

Kurt si massaggiò la fronte, esasperato. “Gli piace Blaine,” spiegò. “Sebastian e io... penso che siamo amici in un modo piuttosto strano e tortuoso, ma è sempre stato attratto da Blaine.”

Ciò sembrò fermare la ragazza. Sembrò sconvolta per un momento, dunque la sua espressione si raddolcì e divenne impietosita. “Oh, Kurt,” disse, allungando una mano a stringere la sua.

Stava per rispondere che il fatto che al ragazzo piacesse Blaine non gli importasse – che non era geloso (un po’ ferito, stranamente, in un modo che non capiva, ma non voleva tornare con Blaine) – ma Sebastian era tornato al tavolo.

Sebastian spinse una tazza di caffè verso di lui, che sorrise a mo’ di ringraziamento, dunque chiese: “Dunque, avete finito di parlare di me?” Alla sua espressione sorpresa, spiegò: “Sei deliziosamente trasparente.”

“Kurt ci stava dicendo che tra voi si tratta solo di fare i compiti insieme,” disse Finn. “Il che è strano perché non avete sul tavolo nessun compito.”

“Siamo stati sviati,” aggiunse Kurt, osservando il suo caffè e sperando che Rachel e Finn li lasciassero alla loro precedente conversazione. “Sebastian mi sta aiutando con la Matematica.”

Il sorriso di Sebastian sembrava quasi si potesse sentire quando replicò, “Sì, è per questo che siamo qui. Se ne capissi un po’ di matematica, saresti un uomo libero. Oh, e se solo avessi un cervello.”

“Se solo tu avessi un cuore,” rispose Kurt.

“Okay, amici di Dorothy,” li interruppe Rachel, gli occhi scintillanti. “Penso che potremmo parlare di musica. Sebastian, come hanno reagito i Warblers alla recente sconfitta alle Regionali?”

Finn, apparentemente ignorando l’improvvisa tensione al tavolo, domandò: “Chi è Dorothy?”

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


NdT: Buonasera a tutti e buona Domenica! Dopo poco più di un mese, ecco l’aggiornamento. Non ho molto altro da dire, se non che mi dispiace di fare aspettare tanto per gli aggiornamenti, ma d’altronde vale la pena di attendere per una perla del genere, giusto? (: Ringrazio ancora una volta per il feedback dolcissimo e per tutti coloro che mi hanno chiesto personalmente quando avrei aggiornato. Siete dei bellissimi. ♥ Mi intratterrei ancora a dirlo, ma l’estate (ovvero questa serata) mi chiama a sé. Buona lettura, al prossimo capitolo!
Link al quarto capitolo

CAPITOLO 4

Kurt era nel parcheggio del McKinley con Mercedes da un lato e Sugar dall’altro, quando vide una macchina familiare.

“Oh, no,” grugnì, fermandosi di colpo. “Possiamo tornare indietro e nasconderci?”

“Cosa c’è?” domandò Sugar, un’espressione costernata in volto.

Kurt si limitò ad inarcare le sopracciglia, fissando l’auto, fino a quando Mercedes disse: “Sarà meglio che cominci a spiegare, Tesoro.”

“È Sebastian,” spiegò lui. “E Sebastian qui non può che portare cattive notizie.”

La sua prima ipotesi era stata che Sebastian fosse lì per lui (per terrorizzarlo, senza dubbio), ma quando lo vide, capì di essersi sbagliato. Sebastian era a un paio di metri dalla sua macchina, il capo chino mentre discuteva con Blaine.

Ciò lo ferì più di quanto si aspettasse.

“Um,” disse, cercando di scostare lo sguardo dai due. “Scusate, ignoratemi. Di cosa stavamo parlando?”

“Dolcezza?” lo richiamò Mercedes, chiaramente costernata. “Sebastian – è quel ragazzo dei Warblers, vero?”

A quel punto riuscì a scostare lo sguardo, la mascella serrata per un momento. “Sì, è qui per Blaine. Momento di panico superato. Stavamo parlando di maglioni.”

“Amico,” lo interruppe un’altra voce e, Cristo, Kurt non voleva avere nulla a che fare con Puck in quel momento. “Che ci fa quel Gargler[1] qui? Cerca di reclutare Anderson?” Puck sgranò gli occhi. “O magari stanno cercando di rubare la nostra scaletta per essere certi che perderemo alle Nazionali.”

“Sei libero di crederci o no, Puck, ma non tutto gira attorno alle Nazionali,” rispose. “Non preoccuparti di lui, è tutto a posto. Stavamo parlando di maglioni, Puck, potrebbe non essere quel tipo di conversazione cui vuoi partecipare.”

Mercedes sbuffò. “Non credo stiamo parlando ancora di maglioni. Oh, guardate.”

Sebastian aveva voltato le spalle a Blaine, la cui postura era difensiva e le sopracciglia erano aggrottate, e stava camminando verso di loro, la mano sollevata a mo’ di saluto.

Bene. Forse era lì per lui dopo tutto, e aveva flirtato con Blaine per occupare il tempo mentre aspettava. Kurt attese che quella sensazione spiacevole sparisse, ma non fece altro che rafforzarla.

“Kurt,” lo salutò il giovane, sorridendo amichevole. “Sai di essere un orribile stereotipo di omosessuale.”

Sbatté le palpebre. “Immagino che queste parole vadano a parare da qualche parte,” replicò.

“Beh,” continuò Sebastian, “Mi è stato ordinato dalla mia futura matrigna che ho bisogno di un nuovo completo elegante. Apparentemente si tratta di una di quelle occasioni in cui ho bisogno di un nuovo abito. E immagino che tu, essendo te stesso, capisca il concetto, mentre io no.”

Le labbra di Kurt si piegarono all’insù, non poté evitare di sorridere. “Capisco cosa vuole dire. È una grande occasione?”

Sebastian scrollò le spalle. “Quindi dovrò andare al centro commerciale quando preferirei…” si leccò le labbra, passando al francese, dunque concluse: “impiccarmi con le mie stesse budella.”

“Sei così eloquente,” disse lui, ancora sorridente. “Mi stai chiedendo di darti una mano?”

“Ti sto offrendo l’opportunità di scegliere i vestiti per me. Pensavo che saresti stato eccitato.” Gli occhi del giovane erano accesi di divertimento.

Kurt sospirò. “Mi comprerai una sciarpa,” disse.

Il sorriso di Sebastian si allargò. “Certo che lo farò,” replicò, dunque osservò Mercedes, Sugar e Puck, ancora al suo fianco. “Sono sicuro che non ti dispiacerà che io ti liberi da questa compagnia.”

“Continua così e saranno una sciarpa e dei pantaloni, Smythe,” lo avvertì. Sebastian salutò i suoi amici con un gesto mentre loro se ne andavano, e lui lo guardò con la coda dell’occhio per decidere quale completo gli sarebbe stato meglio.

*

Dopo un’ora di lamentele, Sebastian finalmente sembrò accettare di non essere altro che un appendiabiti ambulante per Kurt. Quest’ultimo, comunque, aveva deciso che non c’era ragione di non trasformare la loro emergenza in divertimento.

Fortunatamente per lui, Sebastian era sorprendentemente allenato nel seguirlo e nel tenere buste e abiti. Cominciò a brontolare quando Kurt gli fece provare ‘tutti gli abiti che c’erano al mondo’, ma fondamentalmente aveva fatto ciò che gli era stato chiesto, uscendo fuori dai camerini e ruotando su se stesso per dare all’altro una buona visuale.

Comprò tre potenziali completi per la festa dei genitori. Kurt comprò un paio di favolosi stivali alti al ginocchio, con un’incredibile numero di fibbie, due maglioni che, sì, tecnicamente erano nel settore donna (e ovviamente Sebastian aveva sentito il bisogno di farglielo notare), un cappello che gli era stato portato da Sebastian mentre stava provando quei due maglioni (chi lo sapeva che avesse occhio per i cappelli?) – e, sì, gli era stata comprata una meravigliosa sciarpa verde.

“Sono pronto a morire,” annunciò Sebastian dopo un paio d’ore. “Ecco cosa significa essere etero e avere una ragazza.”

“O essere gay e avere un fidanzato davvero favoloso,” replicò, osservando il giovane ricadere sulla panchina con tutte le buste. Sorseggiò allegramente il suo frullato. “Andiamo, ho fatto il mio lavoro.”

L’altro sospirò, prendendo il suo frullato dalle mani di Kurt, dunque annuì. “Sì, l’hai fatto. E hai avuto la tua sciarpa. Entrambi abbiamo concluso il nostro affare.”

Kurt esitò a quelle parole, dunque scostò lo sguardo. “Sicuro,” replicò alla fine, insicuro sul perché si sentisse così stranamente ferito. “Grazie. Dovremmo, uh, dividere quello che abbiamo comprato.”

Sebastian sollevò lo sguardo su di lui con espressione curiosa, dunque le sue labbra si stirarono in un sorriso. “Oh no, non te ne andrai così facilmente,” disse. “Devi tornare con me e aiutarmi a scegliere quale completo indossare. Hai detto che dipendeva dalle scarpe e dalla gradazione di grigio della mia cravatta preferita.”

“Sì, beh non è così che dovresti chiedere favori,” gli fece notare, lanciandogli un’occhiata infuocata, sebbene il suo umore si fosse improvvisamente risollevato, fiorendo in qualcosa di ottimistico.

L’altro sollevò il braccio ora libero. “Chiaramente, ho bisogno del tuo fiammeggiante, stereotipato, decisamente fastidioso senso del fashion per vestirmi.”

“Chiaramente,” concordò, reprimendo un sorriso. “Va bene, non ti biasimo per aver ammesso il tuo scarso senso nello stile. Ti aiuterò.”

Così Kurt si ritrovò a mandare a Finn un messaggio per dirgli che sarebbe mancato un altro paio di ore, prima di seguire Sebastian verso casa sua. Il viaggio gli concesse un po’ di tempo da solo, durante i quali si ritrovò a canticchiare per un paio di minuti, prima di riconoscere che il motivo era ‘Here Comes the Sun’.

Quando si fermò al semaforo, controllò il cellulare. Finn aveva risposto al suo messaggio con: Se non lo frequenti, perché continui a uscire con lui? :S

Mentre inarcava un sopracciglio, ricevette un altro sms. Era di SMYTHE, e diceva: Vi mi ha mandato un messaggio per dirmi che saremo solo io e lei stasera. Vuoi rimanere a cena? Giuro di non avvelenare il tuo cibo INTENZIONALMENTE.

Kurt giocherellò con il cellulare per qualche momento, la fronte corrugata, poi il semaforo divenne verde.

Quando si fermò un’altra volta, mandò velocemente un messaggio a Finn: Ceno da Sebastian. Di’ a Papà che tornerò prima del coprifuoco.

Ricevette quasi immediatamente una risposta da Sam, che era poi un’emoticon che faceva l’occhiolino e sette punti esclamativi.

“I miei amici sono completamente pazzi,” informò Sebastian una volta sceso dall’auto. Aveva pensato di aiutarlo a prendere le buste, ma la vista di lui con le mani piene era troppo divertente per perdersela. “Rimarrò a cena, solo se non ci sono problemi.”

“Vi sta cucinando,” rispose l’altro, e Kurt finalmente si sentì abbastanza in colpa da prendere un paio di buste. “Questo potrebbe essere un problema.”

Sbuffò. “Mi ispiri così tanta sicurezza, Sebastian.”

“E tu mi dai la nausea,” rispose Sebastian senza perdere l’occasione. Kurt provò a trattenere una risata, ma incontrò lo sguardo dell’altro all’ultimo momento, e gli sfuggì. “Sei di buonumore,” gli fece notare il giovane mentre chiudeva l’auto.

“Ah, hai appena scoperto cosa provoca una buona sessione di shopping al Signor Kurt Hummel,” replicò, aspettando pazientemente che l’altro aprisse la porta.

“Sei tornato!” esclamò una voce femminile, eccitata e stranamente roca. “Sebastian, ho bisogno che tu dica due parole a – oh, ciao, Kurt.”

Viola Smythe era apparsa a velocità sorprendente in corridoio, i capelli che sfuggivano dalla sua treccia. Ci volle un momento per capire la fonte della sua voce roca: aveva gli occhi umidi.

Sebastian lasciò cadere le buste sulla soglia ed entrò in casa, le spalle rigide. “Dire due parole a… chi, esattamente?”

Viola si sfregò il volto e rise. “Um, nostra madre?” suggerì. “O magari a quell’idiota del mio ragazzo. Che ti saluta, a proposito. E dice che ‘dovresti rispondere alle sue mail, faccia di culo’.”

“Non credo che Yitzie mi abbia chiamato ‘faccia di culo’,” commentò Sebastian, in piedi di fronte alla sorella e con le mani poggiate sulle sue spalle.

Viola vacillò, e ci volle un momento per Kurt per capire che era dovuto alle risate, piuttosto che alle lacrime. “L’ho un po’ modificato,” ammise, scostando le mani dal volto e sorridendo. “Ma immagino che tutti ti chiamino ‘faccia di culo’. Stavo pensando di preparare del pesce in casseruola.” Girò su se stessa, dunque, volgendosi a Kurt. “Ti piace?”

Kurt sbatté le palpebre. “Um,” riuscì a dire. “Sì, va bene.”

“Oh,” rispose la giovane, asciugandosi il volto come se avesse appena capito perché lui fosse a disagio. “Non preoccuparti. Piango sempre quando chiudo al telefono con Yitzie. Memoria muscolare. Mi manca appena quello stronzo, oh Dio, non la smetteva di parlare di lavoro a maglia, lo accoltellerò direttamente in faccia la prossima volta che lo vedo. Quale adolescente vorrebbe parlare di lavoro a maglia?”

“Hai davvero trovato il ragazzo più noioso di tutta Parigi, Vi,” convenne Sebastian. Poi, piano, come se Kurt non dovesse sentirlo: “Tutto bene?”

Viola gli sorrise. I suoi occhi scintillavano. “Sono emotivamente instabile, secondo Yitzie,” rispose.

“Bastardo,” commentò l’altro. “Un bastardo onesto, ma pur sempre un bastardo.”

Viola arricciò il naso. “Dio, sono innamorata di lui in maniera frustrante,” disse, suonando disgustata. “Hai fatto la cosa giusta evitando questa roba. Dovrei ascoltarti più spesso.”

Sebastian tornò indietro a prendere le buste che aveva lasciato cadere, scuotendo il capo con un sorriso. “Giusto, sono decisamente una fonte di saggezza su questo argomento.”

“Metti un cravatta alla porta della tua camera se devo stare lontana!” esclamò dietro di loro, e Kurt si volse solo per vederla esibire un’espressione divertita.

La camera di Sebastian… non era come Kurt se l’aspettava.

Orgoglioso del suo essere ordinato, trascorse qualche momento a osservare la pila di fotografie sul pavimento prima di entrare. Almeno non era quella specie di lavanderia che sembrava stesse cercando di inghiottire la camera di Finn. Ma le fotografie erano comunque inaspettate.

Mentre Sebastian si spostava nell’angolo per provare uno dei completi (ovviamente non si vergognava di nulla), Kurt si volse per dargli un po’ di privacy e finì per osservare le fotografie sul pavimento. “Hanno un ordine particolare?” domandò.

“Hm?” Sebastian stette zitto un momento, poi disse: “Oh, in realtà no. Stavo solo cercando una cosa. Guarda pure.”

In cima alla pila di fotografie ce n’era una di Viola. Al piano di sotto l’aveva vista in disordine e commossa, e Kurt era rimasto troppo di sasso per osservarla bene. Guardò la fotografia invece, cercando di capire quali tratti condividesse con Sebastian (l’altezza, gli zigomi alti, qualcosa attorno alle labbra, il colore e il tipo di capelli) e cosa fosse diverso (gli occhi, interamente). La giovane guardava oltre la macchina fotografica, sorridendo tanto da far apparire delle fossette. Ricambiò il suo sorriso, dunque prese un’altra foto.

Questa era di Viola e un ragazzo più o meno della stessa altezza, lo sguardo dolce mentre guardava verso di lei. Viola rideva, mostrando ancora una volta le fossette. “È il suo ragazzo?” domandò, sollevando la foto senza guardare oltre la propria spalla.

“Sì,” rispose Sebastian. “Quello è Yitzie. Questa è la cravatta.” Kurt si volse allora, ancora in ginocchio sul tappeto. “Va bene?”

Aggrottò la fronte, pensoso. “Sì,” ammise, “ma in realtà penso che la camicia color carbone ci stia meglio. Provala con la cravatta.”

Si volse nuovamente alle foto e ne prese una a caso. Era in bianco e nero, ma in realtà più nei toni di grigio, mostrava una donna alta che fumava una sigaretta.

“È bellissima,” si ritrovò a dire ad alta voce, perché era la verità.

“È mia madre,” spiegò Sebastian, suonava un po’ esasperato. “E senza dubbio Vi sarà così tra vent’anni circa.”

Kurt si volse verso di lui, la cravatta andava perfettamente con quella camicia. “Questa va bene,” disse, sfiorando la cravatta con la mano libera. “Indossa questa.”

Sebastian annuì, come se in qualche modo l’avesse addomesticato durante il loro pomeriggio di shopping, e tornò nell’angolo per cambiarsi. Lui si volse nuovamente alla fotografia di sua madre.

“Somiglia moltissimo a tua sorella,” commentò, tornando a guardare la prima fotografia di Viola, che sorrideva a qualcosa che stava dietro la macchina fotografica. “Ma somiglia anche a te. Hai i suoi zigomi.”

“Più che altro ho il suo senso dell’umorismo,” rispose l’altro. “E la sua impazienza.”

Sbuffò a quelle parole. “Speriamo tu non abbia la sua dipendenza da nicotina,” replicò, una lieve inclinazione di disapprovazione nella sua voce.

“Hey,” esclamò Sebastian, “può scegliere di uccidersi come vuole. È una donna adulta.”

Il giovane avanzò nuovamente allora, e Kurt si volse per lanciargli un’occhiata colma di rimprovero… ma c’era qualcosa nel suo sorriso, qualcosa di onesto, che lo rendeva incapace di reprimere lui stesso un sorriso. Si sentiva stranamente leggero, in ginocchio sull’ultima traccia di sole che si stagliava sul tappeto di Sebastian e condividendo un sorriso, e tutto ciò che riuscì a pensare fu wow, questa è una novità.

*

Cenare con Viola era… interessante.

Si era data una sistemata in loro assenza (durante la quale Kurt e Sebastian si erano allontanati dall’argomento abiti e avevano finito per tornare sulla sempre-importante conversazione di New York contro Parigi). Si era tolta la divisa scolastica per indossare un abito marrone con una sottoveste rosa, e i suoi capelli erano legati in una crocchia piuttosto che in una treccia disordinata.

“Le donne della tua famiglia hanno davvero il gene del buongusto,” disse allegramente Kurt mentre sedevano a tavola.

Sebastian si chinò verso di lui, parlando abbastanza piano da mascherarlo quasi da Viola, quando rispose: “Ma gli uomini hanno acquisito tutte le capacità culinarie. Prendilo come avvertimento.”

“Prenderò bene  il potenziale avvelenamento da cibo,” replicò, e Viola colpì Sebastian sulla nuca con uno strofinaccio. “Sono sicuro che sarà ottimo.”

Viola sbuffò allora, e cominciò a servire il cibo. “È così beneducato, ‘Bastian, dove l’hai trovato uno così?”

“Ci provava con il mio ragazzo,” replicò Kurt. “Ecco come ci siamo trovati.”

Viola sembrò esasperata, ma c’era qualcosa di divertito nella sua voce mentre diceva, “Certo che l’ha fatto. Sai cosa mi ha detto la prima volta che ha incontrato Yitzie?”

“Qualcosa di assolutamente inappropriato, ci scommetto,” suggerì.

La giovane sollevò gli occhi al cielo. “Davvero, Vi? Lo sai che non farà sesso fino a quando non si sposerà, e anche allora sarà attraverso un buco nelle lenzuola?”

“È assolutamente vero,” insistette Sebastian. “Ho grandi risorse a riguardo.”

“Hai il cervello grande quanto una palla da golf, ecco cosa,” sbottò la ragazza, e fu in quel momento che Kurt capì che gli sarebbe piaciuta. 

Il resto della cena trascorse tra le risate, e Viola raccontava tutte le peggiori storie su Sebastian che le venivano sul momento. Molte di quelle includevano ciò che Viola spiegava come ‘la sfortunata carenza di un filtro tra il cervello e la bocca’ di Sebastian, e in mezzo a queste storie Kurt imparò tre cose: 1) Yitzie era figlio di un rabbino ortodosso, e la sua famiglia la disprezzava più che altro per Sebastian (sembrava essere stranamente divertita a causa di questa cosa), 2) Sebastian in realtà aveva quel famoso filtro, ma trovava molto più divertente vedere le persone si agitarsi, perché l’imbarazzo era per lui un’emozione sconosciuta, e 3) che la madre, se non altro, incoraggiava quell’atteggiamento.

Ore dopo, guardando indietro alla cena con i giovani Smythe, Kurt avrebbe pensato che l’intera serata era stata piuttosto surreale. Avrebbe pensato che stava trascorrendo troppi bei momenti con Sebastian Smythe per essere vero, che gli mancava qualcosa – ma al momento, si crogiolava in quello strano sentimento che lo faceva sentire leggere, nel sorriso che non smetteva di apparire sulle sue labbra, e nello sguardo che si era scambiato con il giovane mentre Viola si lanciava in un ennesimo racconto iperbolico.

Quando Burt cominciò a mandare messaggi (‘dove sEI COME FACCIO A TOGLIERE IL CAPS LOCK TORNA A CASA’), si sentiva rilassato e divertito, ma anche pronto a tornare a casa e dormire. Era stata una lunga giornata e la sorella di Sebastian era così energica che era persino stanco di stare a sentirla.

Lo abbracciò a mo’ di saluto, sulla porta, e gli ordinò di tornare presto, dunque gli scrisse il suo numero sul cellulare (salvandolo, Kurt inserì VIOLA FREAKING[2] SMYTHE) e lo minacciò di perseguitarlo se non l’avesse rivisto presto. Divertito, nonostante fosse un po’ perplesso, si permise di farsi accompagnare fuori di casa da Sebastian.

Mise le buste sul sedile posteriore della macchina prima di volgersi al giovane. “È stato… decisamente interessante. Grazie per oggi.”

“Ho a che fare con lei ogni giorno,” rispose l’altro, tornando verso casa. “Dovresti avere pietà.”

“Lei ha a che fare con te,” rispose. “Non provo dispiacere per nessuno, se non per i tuoi genitori.”

Sebastian sorrise maggiormente allora. “Ti andrebbe di-”

Il telefono di Kurt scelse proprio in quel momento di informarlo che c’era una chiamata in arrivo.

Era solito associare delle canzoni a diversi contatti, così gli ci volle qualche momento per capire che non aveva pensato a cambiare Teenage Dream a Blaine, così il telefono attaccò: “You think I’m pretty, without any makeup on – you think I’m funny, when I tell the punch-line wrong-

Ciò causò un’inarcata di sopracciglio divertita da parte di Sebastian, e Kurt si immobilizzò per l’orrore quando si rese conto di chi stesse chiamando.

Distolse lo sguardo dall’altro e si volse alla macchina mentre rispondeva. “Blaine?” disse.

Hey, Kurt,” rispose Blaine, suonava esitante tanto quanto lui. “Possiamo parlare di una cosa?”

“Um,” disse, perché si sentiva davvero eloquente, dunque disse: “Dammi solo un secondo.” Si volse a Sebastian. “Grazie. Ti mando un messaggio dopo, okay? E non farmi perseguitare da Viola.”

“Lo terrò in mente,” replicò Sebastian, un’espressione indecifrabile in volto. “Ci vediamo, Kurt.”

“Ci vediamo,” rispose, dunque si sedette in macchina. “Okay, Blaine. Di cosa mi volevi parlare?”

Sei con Sebastian?” domandò il giovane. “Posso chiamarti quando sei solo.

“No, se n’è andato,” disse ancora, battendo la mano libera sul volante. “Sono solo. Di che si tratta?”

Blaine inspirò a fondo; Kurt poteva sentirlo attraverso la cornetta. Fu colpito, improvvisamente, dalla preoccupazione – Blaine era stato suo amico prima, e il suo miglior amico come suo ragazzo, dopo tutto – che qualcosa non andasse. “Si tratta di lui.”

Corrugò la fronte. “Di chi? Blaine, tutto bene?”

No, sì, sto bene,” replicò il giovane. “È un po’ difficile scegliere le parole, ecco tutto. Um. Sebastian e io abbiamo parlato un po’, da quando abbiamo rotto, e volevo chiederti alcune cose. Su di lui. E cosa ha, uh, detto di me.” Kurt sentì come se l’intestino gli fosse uscito dallo stomaco. Fissò dritto di fronte a sé con gli occhi sgranati, la leggerezza di poco prima era sparita. “Kurt? Sei ancora lì?”

“Sì,” rispose, dunque deglutì.

Blaine stava provando a chiedergli il permesso.

Ciò che lo colpì stranamente fu, mentre stava seduto lì, che la cosa era sia stranamente sensibile da parte di Blaine e al contempo davvero, davvero orribile. Non gli importava che l’altro andasse avanti, erano stati separati abbastanza perché se lo aspettasse, ma non aveva bisogno di saperlo. Perché avrebbe dovuto saperlo?

Io, ecco… mentre mi parlava stamattina ho capito che avrei… avrei dovuto. Parlartene. Perché ha ragione. Non è giusto che io-

“Blaine,” disse, sentendosi improvvisamente più aspro di quanto non fosse stato un attimo prima. “Grazie. Davvero. Ma non devi farlo, non mi… non mi importa. Um. Ma… grazie?”

La pausa fu breve, ma ci fu decisamente, prima che il giovane rispondesse: “Volevo dirtelo comunque.”

“No,” insistette. Blaine era per i fatti suoi e poteva frequentare chi voleva, anche se quella persona era una specie di strano amico per lui, ma ciò non significava che lui volesse parlarne. Avrebbe fatto del suo meglio per ignorarlo risolutamente. “Non voglio che tu lo faccia. Ma grazie.”

Chiuse la telefonata, e lasciò cadere il cellulare sul sedile accanto al proprio.

Aveva senso, realizzò mentre continuava a guardare fisso di fronte a sé. Aveva perfettamente senso che Blaine ci avrebbe provato con Sebastian – perché non avrebbe dovuto? Sebastian era una specie di stronzo, ma era anche divertente, intelligente e – sotto sotto, ad una maniera tutta sua – affettuoso. E Kurt era… Kurt. Niente di speciale.

Sebastian era speciale, capì, stringendo e poi rilassando le mani sullo sterzo. Ecco qual era la differenza tra loro. Ecco perché gli piaceva trascorrere il tempo con lui.

Sussultò quando il telefono vibrò, e inspirò a fondo (ripromettendosi di cancellare immediatamente il messaggio se fosse stato di Blaine) prima di prenderlo tra le mani.

Non era di Blaine. Era da parte di SMYTHE. Sei ancora seduto qua fuori… tutto bene? Blaine ha fatto lo stronzo?

Mentre stava considerando come rispondere, arrivò un secondo messaggio da VIOLA FREAKING SMYTHE: Sono armata di gelato e film. Torni dentro? Xxxxx

Erano entrambi dentro e lo stavano osservando, capì, con un’improvvisa ondata di imbarazzo. Scosse il capo, dunque rispose a Viola: Grazie, ma sto bene. Devo tornare a casa. Chiedendosi se fosse stato troppo brusco con qualcuno che gli aveva preparato la cena, l’aveva accolto e poi offerto conforto, aggiunse: P.S. la tua suoneria = Son of a Preacher Man. X

Uscì dal vialetto dunque, senza lanciare un’occhiata alla casa.

Sarebbe stato più facile se fosse stato qualcun altro, pensò mentre tornava a casa. Non era angosciato all’idea che Blaine fosse andato avanti, non per davvero. Una parte di lui si chiedeva se tutto sarebbe stato più facile se entrambi avessero voltato pagina, se magari fossero tornati ad essere comunque amici. Ma perché Sebastian? Perché la persona che aveva immediatamente provato a dividere, aveva irritato Kurt oltre ogni limite aveva, lentamente, cominciato a diventare importante?

Pensò al sorriso di Sebastian mentre gli porgeva la lettera della NYADA. Il pensiero del suo aiuto in Matematica, di tutti i caffè, tutte le insultanti osservazioni che da offensive erano diventate divertenti, a come fosse ovvio che gli mancasse la madre. Il pensiero delle sue molteplici espressioni e di come stesse lentamente imparando a leggerle, di come lentamente stesse imparando a volerle leggere, e desiderò che non lo facesse nessun altro a parte lui.

Ma poi ci ripensò – a tutti quei momenti, quelle espressioni e quelle qualità – e sapeva perché fosse lui. Capiva perché Blaine avesse scelto Sebastian. Aveva senso, e Sebastian chiaramente lo voleva, così avrebbe reso entrambi felici.

E lui, beh… Lui avrebbe imparato ad essere felice per loro.

*

“Ho un problema,” cominciò Sebastian mentre si sedeva di fronte a lui.

Kurt spinse una tazza di caffè in sua direzione, senza sollevare lo sguardo dai suoi compiti. “Hai molti problemi,” replicò senza troppa convinzione. “A cominciare dal modo in cui ti vesti.”

“Molto divertente,” rispose il giovane, dunque gli porse un foglio. “Questo è il mio problema.”

Catturò la sua attenzione. Osservò il foglio, dunque chiese: “La poesia è il tuo problema?”

“La mamma scrive questa roba come se avesse senso,” disse. “Scrive più roba di questa che mail. Perché non riesco a capire nemmeno una parola?”

Kurt sollevò il capo, le labbra arricciate. “La poesia richiede l’uso di qualcosa che ti manca, Sebastian,” spiegò. “Un cuore.”

“Ouch, ritira gli artigli,” replicò il giovane, abbagliandolo con un sorriso. “Mi aiuterai o no?”

Sollevò gli occhi al cielo, mettendo da parte i compiti. “Hai davvero bisogno di imparare a chiedere aiuto senza suonare come… beh, come te.” Dunque abbassò lo sguardo sul foglio e si illuminò immediatamente. “Oh, è Robert Browning!”

Sebastian rise della sua reazione. “Me lo sentivo che lo avresti apprezzato.”

“Sta’ zitto,” rispose, brandendo il poema verso di lui a mo’ di arma. “Sono un romantico. E questo è un fantastico poema. È per una relazione? Perché non l’hai googlato?”

Il giovane scrollò le spalle. “Volevo sapere cosa ne pensassi.”

Gli rivolse un’occhiata indifferente, e dunque stese il foglio sul tavolo e cominciò a leggere. Dopo un momento, le sue labbra si arricciarono in un sorriso, dunque recitò: “‘For me, I touched a thought, I know, has tantalised me many times – like turns of thread the spiders throw, mocking across our path – for rhymes to catch and let go.’[3] Come puoi non amarlo?”

“Non riesco a capire se sia felice o triste,” ammise lui.

Kurt, la cui immediata reazione era stata di godersi tutta la bellezza della poesia, lesse di nuovo e il suo sguardo fu catturato da una strofa.

No. I yearn upward, touch you close,
Then stand away. I kiss your cheek,
Catch your soul’s warmth, - I pluck the rose
And I love it more than tongue can speak -
Then the good minute goes.

“Penso che sia entrambe le cose,” rispose. “L’amore è magnifico, ma non dura per sempre. Non necessariamente. E ognuno di questi splendidi attimi svanirà, perché è così che funziona con il tempo. Non puoi cristallizzare un momento per sempre, sai?” sollevò lo sguardo su di lui, che lo stava osservando pensieroso, e i suoi pensieri tornarono su Sebastian e Blaine. Then stand away, I kiss your cheek, then the good minute goes. “Um. Penso sia anche sulla comunicazione.”

“Comunicazione?” ripeté Sebastian, abbassando lo sguardo sul foglio.

“Sì,” rispose. “Ascolta. ‘I wonder, do you feel to-day as I have felt since, hand in hand, we sat down on the grass to stray’ – e qui, ‘for me, I touched a thought, I know’: sta provando a comunicare con questa persona, ma ogni volta che pensa siano insieme, davvero insieme in quel momento: ‘Just when I seemed about to learn – where is the thread now? Off again.’”

Quando sollevò lo sguardo, Sebastian aveva uno sguardo che non sapeva come decifrare. “Sei bravo,” disse l’altro.

Kurt scrollò le spalle. “Potrei sbagliarmi del tutto, Browning potrebbe aver voluto dire chissà cosa,” spiegò, “ma non importa. È poesia. È così che mi parla.”

Sebastian mugugnò, dunque abbassò lo sguardo sul tavolo. “Preferisco i fatti,” ammise.

“Allora non dovresti essere un cantante,” disse. “Cuore, Sebastian.”

Il giovane sollevò nuovamente lo sguardo su di lui, e inarcò un sopracciglio. “La musica è fondamentalmente riguardo la matematica.”

“Forse,” rispose. “Ciò non significa che tu possa trattarla oggettivamente. È soggettiva. Riguarda i sentimenti.”

“E i sentimenti sono chimica,” rispose Sebastian, chinandosi appena sul tavolo. “Non dico che l’arte non sia meravigliosa, ma che tutto alla fine arrivi ai fatti.”

Kurt sorrise. “Ti sbagli.” Sogghignò, dunque, incapace di reprimersi. “Allora credo che tu non sia in grado di aiutare me.”

“Cosa ti serve?” domandò l’altro, prendendo la tazza di caffè tra le mani. Lo sguardo di Kurt era fisso proprio lì, concentrato sul modo in cui le dita si intrecciavano insieme, e dovette sforzarsi per sollevare lo sguardo e concentrarsi.

“Mr Schuester ci ha dato un compito al glee club, e ho un’idea ma non sono sicura su come svilupparla.” All’occhiata dell’altro, continuò: “Ci sono stati un paio di problemi, come sempre. Ha detto che abbiamo bisogno di apprezzare le nostre amicizie per quello che sono, quindi dobbiamo cantare delle canzoni su quanti ci amiamo l’un l’altro, essenzialmente.”

Sebastian annuì. “Sembra adeguatamente dozzinale,” osservò.

“È Mr Schue,” rispose lui. “Così stavo pensando ai miei amici. E… beh, molte delle mie amicizie non sono iniziate a quella maniera. Mercedes e io ci urlammo contro, tipo, per un’ora quando ci siamo incontrati alle scuole medie. Odiavo Rachel. Finn e Puck mi gettavano nei cassonetti prima di scuola.”

“E poi ci sono io,” aggiunse l’altro, sorridente.

“E poi ci sei tu,” convenne. “Tutto ciò che mi è venuto in mente è stato il verso ‘we found love in a hopeless place’, ma l’abbiamo cantata in gruppo quando Mr Schue ha chiesto a Miss Pillsbury di sposarla.”

Le sopracciglia del giovane scattarono in su, sembrò divertito. “Okay, strana scelta per chiedere di sposarti.”

“Quindi pensavo di fare un mash-up,” spiegò lui. “Solo che non so con cosa mischiarla.”

Sebastian si umettò il labbro, un’espressione pensierosa sui lineamenti. Dopo un momento, disse: “Canta il primo verso.”

Si guardò attorno nel locale. “Qui?”

“Fallo,” gli ordinò lui. “A nessuno importerà. Credimi.”

Si mordicchiò l’interno della guancia, dunque cominciò: “Yellow diamonds in the light, and we’re standing side-by-side, as your shadow crosses mine; what it takes come alive.” Sebastian cominciò a canticchiare un’altra melodia, ondeggiando avanti e indietro alle sue parole. “It’s the way I’m feeling, I just can’t deny – but I’ve got to let it go.”

I don’t care if Monday’s blue,”[4] cominciò il giovane, riprendendo da dove Kurt aveva smesso.

“Non sei serio,” disse, sentendosi illuminare al suggerimento.

Sebastian sorrise.

E dato che la vita di Kurt era fatta di strani, vagamente imbarazzanti momenti, si ritrovò a trascorrere venti minuti armonizzando con Sebastian al Lima Bean e ignorando le occhiate che riceveva.

*

“Ci sto per una maratona di Twilight,” convenne Kurt, “ma solo se trascorriamo la maggior parte del tempo a mangiare schifezze e a criticare i personaggi per le loro pessime, pessime decisioni.”

Come non scegliere il lupo mannaro carino?” domandò Mercedes, una traccia di divertimento nella sua voce.

Kurt infilò il telefono tra la guancia e la spalla mentre cominciava a mangiare verdure. “Come scegliere per il ragazzo che va davvero bene per lei,” replicò. “Quello che non rovina la sua macchina per evitare che veda i suoi amici? Quello che la ama come persona invece che come una preda il cui sangue odora da paura e, okay, quello con degli addominali davvero favolosi.”

Ci sto per i commenti durante il film,” disse la ragazza. “Ma più che altro, vorrei trascorrere un po’ di tempo con te. Sei sempre con quel ragazzo.

Sospirò. “Mercedes, ne abbiamo già parlato. Non trascorro più tempo con quel ragazzo che con chiunque altro.”

Con qualunque altro ragazzo davvero carino che ti porti a fare shopping,” concluse Mercedes.

“Qualunque altro ragazzo non interessato che ha bisogno di un po’ d’aiuto con degli abiti. Davvero, Mercedes, basta così.”

Improvvisamente, ci fu trambusto alla sua sinistra. Chiuse gli occhi, dunque lanciò a Sam un’occhiata davvero raggelante. “Stiamo parlando di Sebastian?” domandò Sam, sorridendogli come se non si fosse assolutamente intromesso in una conversazione privata.

“Sam,” rispose Kurt nel suo tono di voce più paziente (che solitamente riservava alle persone al di sotto dei sei anni, oltre Finn), “non ora. Sono al telefono.”

Vedi, persino lui sa che stai parlando di quel ragazzo.

“Non è vero… state cominciando a darmi sui nervi. Posso affrontare solo uno di voi per volta,” si lamentò, spostandosi per afferrare meglio il telefilm. “Sam, sto cercando di organizzare un pigiama party con Mercedes.” Ondeggiò lentamente, dunque tornò alle sue verdure. “Allora. Tu, io, Rachel e la saga di Twilight?”

Sembra perfetto,” convenne Mercedes.

“E senza parlare di ragazzi,” ordinò.

Ci fu un suono alle sue spalle. Kurt contò da dieci, dunque si volse con la fronte corrugata verso Sam. “Andiamo, non è giusto,” si lamentò il biondino. “Sarò già qui a casa. Perché non posso venire?”

Inarcò le sopracciglia. “Non abbiamo deciso dove dobbiamo dormire, Sam,” spiegò. “Ed è un pigiama party per ragazze.”

“Facciamo un pigiama party tra ragazze?” domandò Finn, apparendo in cucina da dietro l’angolo. “Fico. Possiamo accamparci sul pavimento del soggiorno con tutte le nostre coperte?”

È davvero una bellissima idea,” disse la voce di Mercedes dal telefono.

“No,” insistette Kurt. “Non farò un pigiama party con due coppie. Potete tirarmi fuori se andrà così.”

Potresti invitare Tina,” suggerì la ragazza. “O Brittany.”

“Tina inviterebbe Mike, Brittany inviterebbe Santana, non ci sto.” Volse la schiena ai ragazzi, che stavano discutendo sul poter giocare o no ai videogames ad un ‘pigiama party tra ragazze’. Cominciava a fargli male la testa, ma aveva capito che gli amici erano davvero interessati all’idea. “Okay. Magari invito qualcuno di single,” suggerì. “Ma non trascorrerete tutta la serata a fare le coppiette. E niente videogames.”

Mercedes squittì felice all’altro capo del telefono, e Finn e Sam si diedero il cinque.

C’era molto potenziale per creare un disastro, capì. Quand’è che la sua vita si era trasformata in un infinito mal di testa?

*

L’entrata di Sebastian nell’aula di canto suscitò diverse reazioni.

Sam gridò, dunque sollevò la mano a mo’ di saluto (Kurt non era sicuro se gli piacesse davvero Sebastian o volesse soltanto metterlo in imbarazzo); l’espressione di Rachel mutò immediatamente in pura disapprovazione; Mercedes gli lanciò un’occhiata sbigottita; e Brittany disse, “Kurt, questo è l’outfit che hai indossato quand’eri triste. È venuto a portarti via? Sei di nuovo triste?”

Kurt, in piedi di fronte alla New Direction con le mani sui fianchi, si addolcì un po’ all’espressione devastata di Brittany. “No, Brittany, non sono triste,” spiegò. “Sebastian è della Dalton. È la scuola a cui andavo, ricordi?”

“La scuola per gay, B,” spiegò Santana.

Chiuse gli occhi per un secondo, quindi si volse a Santana, accigliato. “Santana, non è una scuola per gay.”

“Lo dici tu, ma il Warbler Untuoso è decisamente dalla tua parte della carreggiata.” Alla mancanza di risposta, il volto dell’ispanica si aprì in un sorrisetto. “Ti sei preso un nuovo boy-toy, Hummel?”

“Kurt bacia molto bene,” sussurrò Brittany gentilmente. Kurt seppellì il volto tra le mani.

Rachel si chinò in avanti, gli occhi sgranati. “Mr Schuester, è appropriato avere un Warbler al nostro allenamento?”

Mr Schuester scrollò le spalle. “La competizione è finita, Rachel, non c’è motivo per cui non possa stare qui. Ma, uh, perché sei qui?”

“Beh, avevo l’impressione che fosse un’aula di canto. Sono qui per cantare,” chiarì Sebastian.

Kurt si volse nuovamente alla classe, cercando di riprendere in mano la situazione. “Sebastian è qui per aiutarmi con la canzone del compito di questa settimana,” spiegò. La stanza sembrò tornare silenziosa allora, e lui inspirò a fondo. “Molte delle persone in questa stanza non… andavano esattamente d’accorso. Siamo di ceti diversi,” cominciò, lanciando un’occhiata a Puck, che annuì d’accordo, e poi a Quinn. “O semplicemente non andavamo d’accordo.” Guardò verso Rachel allora, che rispose con un sorriso. Dopo un attimo, si volse verso Sebastian, le cui braccia erano incrociate, ma la cui espressione era sincera. “Ma siamo cresciuti. Abbiamo costruito dei ponti, a volte abbiamo dovuto bruciarli e riscostruirli, ma l’abbiamo fatto. E penso che siamo andati lontani, tutti noi. Anche se per metà del tempo non riesco a sopportare nessuno di voi.”

Ci fu un breve momento di risate, e si sentì rilassato. “Il mio gatto costruisce ponti di carte nel mio seminterrato,” li informò Brittany.

“Allora siamo caduti,” continuò lui, trovando lo sguardo di Blaine. “Abbiamo fatto errori, e qualche volta abbiamo imparato da essi.” Guardò Mike. “Abbiamo scoperto chi siamo imparando dagli altri.” Il sorriso di Mike lo spinse ad andare avanti, verso Finn. “Siamo passati dal lanciarci nei cassonetti al chiamarci a vicenda fratelli. Quello che voglio dire,” disse, scuotendo il capo dato che cominciava a straparlare. “Quello che voglio dirvi è grazie. Questo mash-up è per voi tutti.”

Guardò Sebastian allora, che annuì, e si sentì immediatamente coi piedi piantati per terra.

La musica cominciò, un ritmo veloce, che mescolava due melodie.

Inspirò a fondo. “Yellow diamonds in the light,” cominciò a cantare, senza distogliere lo sguardo da Sebastian, poggiato appena sul pianoforte, “and now we’re standing side-bye-side, as your shadow crosses mine.” Distolse lo sguardo, puntandolo sul resto della classe. “What it takes to come alive. It’s the way I’m feeling, I just can’t deny.”

Il ritmo velocizzò, una melodia si unì all’altra, Kurt si rilassò e tornò a guardare Sebastian.

Sorridendo, il giovane si allontanò dal piano. “I don’t care if Monday’s blue,” cantò. “Tuesday’s grey and Wednesday, too. Oh, Thursday, I don’t care about you – it’s Friday, I’m in love.”

Kurt inspirò nella breve pausa, e aggiunse: “We found love in a-

Monday, you can fall apart,” lo interruppe Sebastian, e lui chiuse gli occhi. “Tuesday, Wednesday, break my heart. Oh, Thursday, don’t even start. It’s Friday, I’m in love.”

We found love in a-

Saturday, wait,” cantarono, finalmente insieme, la voce di Kurt insieme a quella di Sebastian. Si ritrovò a sorridere, gli occhi ancora chiusi. “Sunday always comes too late, but Friday – never hesitate.”

Fece un passo indietro mentre Sebastian raggiungeva il centro della stanza, e lo guardò attentamente. “Shine a light through an open door,” cantò il giovane, tornando indietro alla prima canzone. “Love and life I will divide. Turn away ‘cause I need you more.” I loro sguardi si incontrarono, il respiro di Kurt si disperse da qualche parte durante la melodia. “Feel the heartbeat in my mind. It’s the way I’m feeling, I just can’t deny, but I’ve got to let it go.”

Era così distratto dall’espressione di Sebastian che quasi perse la sua battuta.

I don’t care if Monday’s black,” se la cavò, cercando di tornare concentrato. “Tuesday, Wednesday, heart attack. Oh Thursday, never looking back – it’s Friday, I’m in love.”

We found love in a-” intervenne l’altro.

Monday, you can hold your head,” continuò Kurt, osservando Sebastian piuttosto che il pubblico. “Tuesday, Wednesday, stay in bed; oh Thursday, watch the walls instead. It’s Friday, I’m in love.”

We found love in a-

Saturday, wait,” cantarono insieme di nuovo, armonizzando. Era tornato il sorriso sulle sue labbra. “Sunday always comes too late, but Friday – never hesitate.

Sebastian si chinò dietro di lui, allora, e dovette trattenersi dal volgersi per seguirlo. “Dressed up to the eyes, it’s such a wonderful surprise,” cantò il giovane, piazzando le mani sulle sue spalle e poggiandovisi per incontrare il suo sguardo. “To see your shoes, and your spirits rise,” continuò, chinandosi scherzosamente dall’altro lato.

We found love,” aggiunse Kurt.

Throwing out your frown and just smile on the town,” continuò Sebastian, le mani che scivolavano dalle sue spalle mentre avanzava per stare al suo fianco, “slick as a shriek spinning round and round.”

We found love,” cantò allora, una strana emozione che lo invadeva.

Always take a big bite, it’s such a gorgeous sight,” Sebastian sorrise, senza vacillare, “to see you eat in the middle of the night.” Kurt dimenticò il suo ‘we found love’, questa volta, troppo occupato a cercare di ricordare come si respirasse. “I can never get enough, enough of this stuff, it’s Friday, I’m in love.”

Un’altra breve pausa, la musica si sollevò nuovamente, e Kurt e Sebastian sorridevano entrambi mentre si lanciavano a ripetere, “We found love in a hopeless place; we found love in a hopeless place.”

La canzone continuò a quella maniera a lungo, le stesse parole che si ripetevano, ma cantate appena diversamente, le voci che danzavano e si univano l’un l’altra.

Kurt si sentiva senza fiato quando la musica sfumò, e gli ci volle qualche momento per concentrarsi nuovamente e scostare lo sguardo da Sebastian per volgerlo al resto della classe.

A stento riconobbe l’applauso quando arrivò, perché era troppo attento a Sebastian, in piedi al suo fianco, che lo osservava con sguardo pacato, contemplativo.

 

______________________________

 

[1] Non è un errore non voluto, si tratta solo di Puck che sbaglia intenzionalmente il nome del glee club di cui fa parte Sebastian.

[2] Non trovavo una traduzione italiana che calzasse bene come volevo e, d’altronde, mi sembra che chiunque conosca un po’ di lessico inglese sappia il significato. In definitiva l’ho lasciato in inglese perché mi sembrava più ‘adatto’.

[3] Il testo è tratto da ‘Two in the Campagna’ di Robert Browning. Avrei voluto inserire il testo in italiano ma a) non ho trovato una traduzione soddisfacente che potesse essere inserita nel testo; b) sono venuta a sapere che si preferisce analizzare in lingua originale perché in traduzione ‘perde di significato’. Accludo la traduzione, comunque, così che possiate vederla con i vostri occhi!

[4] La canzone è ‘Friday, I’m in love’ dei Cure.  

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


NdT: … Forse è passato un bel po’ di tempo, vero? Lo so, e non intendevo, ma per qualche motivo ogni volta penso di aver aggiornato (infatti vi stavo per postare il capitolo che ho appena finito di tradurre… che non è questo, per la cronaca) e poi invece mi ritrovo a vedere che l’ultimo aggiornamento è stato ad Agosto. Traduttrice incosciente. Poco da dire anche questa volta, vado lentamente per la lunghezza dei capitoli, ma cerco di portarmi avanti piano piano, così magari vi potrete trovare più aggiornamenti entro le vacanze di Natale (con questi ritmi…). Tutto qui, spero il capitolo vi piaccia, alla prossima! :)

Link al capitolo originale

CAPITOLO 5

Kurt non intendeva invitare Sebastian al pigiama party.

Gli era passato per la testa solo per un attimo quando aveva pensato a qualcuno di single da invitare, ma più che altro si era chiesto se fosse o no strano invitare Viola da sola. Comunque, Kurt non aveva preso seriamente in considerazione l’idea di invitare Sebastian, perché i suoi amici erano strani e presuntuosi, e tutto sarebbe potuto diventare strano molto facilmente.

Avrebbe dovuto accettare molto prima che l’organizzazione di quella serata non era più sua, comunque.

“È quasi un peccato che non gareggeremo insieme,” disse Sebastian mentre Kurt lo conduceva verso la sua macchina.

Non stava prestando troppa attenzione alla conversazione, a causa del piccolo gruppo di amici che li stavano seguendo, abbastanza indietro da dare loro privacy, ma abbastanza vicini da essere ovvi nelle loro intenzioni.

“Ho recentemente appreso che lavorare con te è leggermente meno frustrante che lavorare contro di te,” ammise, guardandosi le spalle. “I miei amici sono strani.”

“Probabilmente penseranno che io stia provando a sedurti per farti trasferire di nuovo alla Dalton,” replicò Sebastian, accennando loro con un braccio.

Si fermarono vicino la macchina del giovane, e Kurt sollevò lo sguardo con un sorrisetto. “Non è così?”

Sebastian scrollò le spalle. “La nostra stagione agonistica è finita. Non ci servi più.”

“Accidenti, e mi mancava l’uniforme,” replicò con un sospiro. “Allora credo che… Oddio.”

Colse con la coda dell’occhio una figura che saltellava verso di loro, agitando il braccio eccitato. “Hey, ragazzi!”

“Fingi di non vederlo,” suggerì. “Rimani immobile e se ne andrà.”

“Non ti piacciono davvero i tuoi amici, eh?” domandò Sebastian con espressione divertita. “Ciao. Ci siamo incontrati prima, vero?”

Sam sorrise. “Sì, avevi un sacco di lividi in faccia quella volta,” rispose, facendo trasalire Kurt. Sembrò non farci caso. “Non voglio trattenervi a lungo, voglio solo farti una domanda.”

Kurt strinse le labbra per non sbottargli in faccia e dirgli di andarsene. Sentiva che non sarebbe andata a finire bene.

“Okay,” rispose Sebastian, appena esitante.

Il sorriso di Sam s’ingigantì. “Sabato prossimo facciamo un pigiama party. Vuoi venire?”

Un giorno, Kurt avrebbe fatto una strage. Sam sarebbe stato il primo della sua lista di vittime. “È un pigiama party e una maratona di Twilight,” spiegò. “Avrebbe dovuto essere una serata tra ragazze, ma sembra che Finn e Sam non possano resistere ai lupi mannari senza maglietta.”

Sebastian lo stava guardando curiosamente, gli occhi sgranati come se stesse cercando di capire qualcosa. “Non mi davi l’idea di essere un fan di Twilight.”

“Mi piace lamentarmi delle loro pessime decisioni e lanciare popcorn allo schermo quando il copione è particolarmente stupido,” ammise. “Poi discutiamo su quanto Bella sia idiota per aver scelto Edward. È una tradizione.”

Le labbra dell’altro si erano stirate in un sorriso a metà della spiegazione. “Certo, sicuro, ci sarò,” rispose, e Sam rivolse a Kurt un’occhiata penetrante (di cui non capiva il significato). “Se è una serata tra ragazze, posso portare Vi?”

“Certo,” rispose Kurt. “Stavo pensando di invitarla, comunque. Lo sapevi che continua a inviarmi messaggi minacciosi?”

“Vi lascio soli allora, ragazzi,” li interruppe Sam a voce un po’ troppo alta. Rivolse un sorrisetto trionfante a Kurt, che sollevò gli occhi al cielo, poi tornò indietro dai suoi amici. Lo stavano ancora aspettando.

Sebastian gli strinse la spalla, ritornando così alla conversazione. “Devo tornare a casa, stiamo facendo un regalo di matrimonio per papà e Jen,” spiegò. “Caffè, domani?”

“Ottima idea,” rispose Kurt, e fu solo quando la mano di Sebastian scivolò lungo il suo braccio che realizzò che non l’aveva lasciato andare per primo. “Avverti Viola della cosa di Twilight durante il pigiama party, prima che accetti,” suggerì. “A domani.”

Tornò dai suoi amici mentre il giovane saliva in macchina, e si permise di tornare ad un’espressione indifferente.

“Quanto puoi essere idiota?” esclamò Rachel, il tono di voce più rude di quanto Kurt si aspettasse.

Sbatté le palpebre. “Uh.” Esitò, incerto su cosa avrebbe dovuto rispondere. “Vuoi data la risposta in pollici?”

“È… sei mica… non riesco a parlargli,” concluse la ragazza, volgendosi. “Qualcun altro glielo spieghi in parole povere.”

Kurt fissò la ragazza, impressionato dalle sue doti recitative, dunque volse lo sguardo al resto del gruppo. “Okay,” disse lentamente. “Che cosa ho fatto di male?”

Puck, che era una delle persone che, sorprendentemente, l’aveva seguito fuori dall’aula di canto, sollevò la mano. “Quindi, non ti stai facendo il Gargler?” Kurt aprì la bocca, pronto a difendersi, ma Puck continuò: “Perché loro sembrano non capirlo, ma io ero sicuro che tu ci fossi dentro fino al collo. Da quando avete cominciato a farvi gli occhi dolci l’un l’altro e a cantare di amore e roba del genere.”

“No, aspetta. Cosa? Avete capito male,” replicò, improvvisamente agitato.

“Come vuoi, amico,” disse Puck. “La cosa ha smesso di essere interessante quando si è capito che siete degli idioti. Ci vediamo dopo, perdenti.”

Kurt osservò il giovane andarsene, la fronte corrugata. “Siete assolutamente ridicoli,” aggiunse poi. “Non è vietato duettare senza dare quell’impressione. Solo perché siamo entrambi gay -”

“Oh, non metterla su questo piano,” insistette Rachel. “Non c’entra il fatto che siate entrambi gay. Non eri nella stessa stanza con noi?”

Kurt sentì il panico cominciare a salire. Il problema era che gli altri non sapevano – non avevano sentito Sebastian parlare a Blaine, non sapevano a chi fosse realmente interessato. E non sapevano che stava cercando di non curarsene, perché essere amico di Sebastian – o qualunque cosa fossero – era importante per lui.

“Non capite,” finì col dire, cercando di mantenere un tono di voce calmo. “Non è come dite voi.”

“Tesoro, cosa è successo a te?” domandò Mercedes, e quando volse lo sguardo su di lei, sembrava onestamente preoccupata. “Perché non riesci a capire cosa sta succedendo?”

Non aveva la forza di discutere. Non sapevano nulla perché non erano stati lì tutto il tempo, e non avevano visto Sebastian interagire con Blaine. Era stato grato del fatto che nell’aula di canto Sebastian non sembrasse interessato nell’avvicinare l’altro, ma ora quasi desiderava che lo avesse fatto, così che tutti capissero cosa aveva fatto.

Si volse e abbandonò il gruppo, ignorando il richiamo afflitto di Rachel. Quando fu al sicuro nella sua macchina, cominciò a chiedersi perché i suoi amici non riuscissero a capirlo. Non capire Sebastian era naturale, perché non conoscevano il contesto, ma sicuramente avrebbero dovuto capire meglio lui, giusto?

Quando controllò il cellulare, dopo aver guidato a lungo per la città, vide che aveva ricevuto un messaggio di Viola che diceva solamente: La maratona di Twilight va benissimo, roba figa. Xxxx

*

A due ore dall’inizio del pigiama party, Kurt aveva cominciato ad accettare il fatto che non fosse un disastro. Viola e Sebastian erano stati gli ultimi a presentarsi, uno con le borse di entrambi tra le mani, mentre l’altra teneva tra le mani una torta con il disegno di un cuore fatto con scaglie di cioccolato bianco (“è per festeggiarti!” aveva spiegato quando aveva chiesto a cosa fosse dovuta), che aveva immediatamente suscitato la loro popolarità tra i suoi amici. Viola si beò di quelle attenzioni, e mantenne gli occhi di tutti puntati su di sé a una maniera che gli ricordò Rachel.

Mentre la ragazza attirava l’attenzione altrui, Kurt sedette sulle coperte che fungevano da accampamento, accanto a Sebastian, e si rifiutò di prendere in considerazione il conto delle calorie. Sarebbe stato sotto un regime di insalata per giorni per rimediare, ma il cibo spazzatura era una tentazione troppo grande.

A un certo punto, mentre cercava di distrarsi dal conto delle calorie, lo sguardo scivolò sulla camicia di Sebastian, appena aperta sotto un gilet. “Oh,” disse, sorpreso, allungando la mano a sfiorare il colletto. “Questa l’ho scelta io.”

Si sentiva stranamente compiaciuto, perché Sebastian chiaramente credeva abbastanza nel suo senso della moda da voler indossare una camicia che aveva scelto, a dispetto di ciò che diceva di solito a riguardo. Il giovane inarcò un sopracciglio. “Beh, sei riuscito a evitare di vestirmi in maniera ridicola, come fai tu.”

Dietro di loro, qualcuno si schiarì la gola rumorosamente. Kurt volse il capo, le dita che scivolavano via dal colletto dell’altro, e Rachel li stava fissando, il mento poggiato alla mano e un ghignetto malcelato. Le lanciò un’occhiata da sta’ zitta, lei rise e lo avvolse in un abbraccio.

Quando misero su Twilight, rannicchiato sul pavimento su una pila di coperte e cuscini, cominciò a rilassarsi. Sebastian si era spostato per poggiare un braccio sul divano, alle sue spalle, e stava quietamente lamentandosi della recitazione e della storia nel suo orecchio. Rachel era finita con la testa sulla sua coscia, e gli lanciava occasionalmente qualche occhiata quando si metteva a ridere.

Quando venne ‘rivelata’ la storia del vampiro, cominciarono a lanciare popcorn. Poteva essere colpa sua come non esserlo. La porzione di pavimento sotto la televisione fu presto occupata da una pila di popcorn, e alla fine del primo film tutte le ciotole erano vuote.

“Ancora popcorn,” insistette Rachel, sollevando la ciotola di plastica, colpendolo quasi in viso.

“Ancora popcorn,” convenne Mercedes, porgendogli l’altra ciotola. Sebastian ridacchiò quando Kurt si scostò.

“Se la smetteste di lanciarli allo schermo potreste anche mangiarli,” fece notare loro Sam. Sembrava l’unico che si stesse godendo davvero i film, giaceva con il mento poggiato alle mani. “Galateo dei film, ragazzi, seriamente.”

Kurt ricadde col capo contro il divano. “Finn,” suggerì. “Va’ a fare i popcorn.”

“Eh no, amico,” replicò l’altro. “Non lo farò. Non lo farò affatto.”

“Non riesco a credere che ne guarderemo altri due,” disse Sebastian. “È questo che fai per divertirti?”

Kurt gli lanciò un’occhiataccia. “Anche se non fosse divertente, sapere che la cosa è una tortura per te è abbastanza,” commentò. “Okay, su Rachel, vado a fare altri popcorn.”

Rachel grugnì infelicemente quando la depositò sul pavimento, dunque si raggomitolò contro Finn. 

“Ti aiuto io,” si propose Viola. “Devo comunque mettermi in pigiama.”

Kurt aiutò Viola ad alzarsi, lei gli strinse la mano quando furono entrambi in piedi, con l’ovvia intenzione di non lasciarla andare. “Da questa parte,” disse, guidandola verso la cucina.

Tutto sembrava differente alla luce della cucina. Gli occhi di Viola brillavano di gioia. “Ho buone notizie,” annunciò quando furono soli.

Kurt sgranò gli occhi. “Qualche gossip, vero?” disse.

Viola rise, dunque lo afferrò per le braccia. “Come regalo di nozze, Papà e Jen hanno pagato a Yitzie il viaggio per stare qui durante il matrimonio!” spiegò, sembrava così felice che non poté che ricambiare il sorriso. “E la sua famiglia ha detto di sì, anche se perderà qualcosa come quattro giorni di scuola, ed è magnifico perché loro mi odiano.”

“Come si può odiarti?” domandò. “Sei così emotiva. Sono davvero felice per te, Viola.”

“Sii solo felice del fatto di non essere stato con me quando ce l’hanno detto,” rispose Viola, sorridendo ancora. “Sebastian avrebbe voluto essere felice, ma era troppo occupato a calmarmi. Gli ho graffiato il braccio.”

Kurt si volse a prendere i popcorn ormai pronti, l’umore sollevato dalla felicità della ragazza. Era una persona dalle emozioni estreme, riconobbe, ma essere trascinati da lei era divertente. Soprattutto in quel momento, quando era praticamente raggiante di felicità. “Quand’è il matrimonio?” domandò una volta che ebbe regolato il microonde.

“A due settimane da domani,” rispose Viola, poggiandosi al bancone. “I matrimoni di domenica mi fanno soffocare, ma almeno non andremo a scuola per due giorni. Con il permesso, anche se avremmo dovuto farlo comunque perché Papà e Jen andranno a Miami senza di noi, che bastardi.”

“Vi lasciano da soli?” domandò, cercando di non apparire troppo terrorizzato al pensiero di tutti i guai che i due fratelli avrebbero potuto combinare da soli.

Viola scosse il capo. “Lo farebbero, ma non possono fare altrimenti. Sebastian sarebbe bloccato a casa.” Alla sua occhiata interrogativa, spiegò: “Yitzie e io non possiamo stare in un luogo chiuso da soli fino a quando non saremo sposati.” Si fermò, poi aggiunse: “E ovviamente la cosa fa schifo, ma non risolve il problema. Quindi mio zio verrà a stare con noi.”

Kurt l’osservò per un momento, curioso, poi tornò ai popcorn. “Penso che sia davvero… impressionante. Che tu faccia funzionare la vostra storia nonostante siate così diversi e tanto distanti.”

La ragazza esitò per un momento, ma quando Kurt guardò in sua direzione, sembrava solo pensierosa. “È come se fossimo arrivati al punto in cui non possiamo fare a meno di farlo funzionare,” ammise. “Insomma, è spaventoso per la metà del tempo, ma penso debba essere così. Sposerò un pazzo religioso e avremo bambini che si chiameranno Yechezkel o roba del genere, e andrò davvero in sinagoga più di una volta l’anno.” Al suo sorriso divertito, aggiunse: “Sono cose spaventose, Hummel. Dovresti sembrare accuratamente terrorizzato.”

Scosse il capo. “Quindi sarai tu a cambiare?” domandò. Voleva suonare sbrigativo, ma venne fuori quasi a mo’ di sfida. “Non volevo dire -”

“No, va bene,” rispose lei. “Cambieremo entrambi. Parlando di stile di vita, probabilmente sarò quella che cambierà maggiormente. Ma quando si tratta di ideologie, lui ha fatto il grosso del lavoro.” Il suo sguardo doveva essere interrogativo abbastanza, perché aggiunse: “Non potevo davvero frequentare un omofobo, no?”

“Giusto,” convenne lui.

“Sebastian è tutto il mio mondo,” spiegò Viola. “Se avessi pensato che Yitzie potesse ferirlo, anche solo con dei pregiudizi, avrei scelto sempre Sebastian.” Kurt si sentì addolcire a quelle parole, le offrì un sorriso. “Se non posso credergli riguardo Sebastian, allora non c’è modo di stare insieme.”

Lo faceva suonare sia facile che profondo, e Kurt si risollevò. “Come sai di poterti fidare di lui?” domandò, prima di pensarci meglio.

L’espressione di Viola era pacifica. “Perché mi ama,” disse.

Kurt inspirò a fondo mentre preparava l’ultima ciotola di popcorn. Il silenzio divenne troppo lungo. “Come fai a -” cominciò, dunque si riscosse. “Sebastian ti ha raccontato di cosa è accaduto con il mio ex?” domandò invece, sperando che centrasse il punto.

“Sì,” rispose la giovane. “Spero non ti dispiaccia. Non abbiamo segreti sulle cose importanti.”

“Quindi sai anche che… insomma, pensavo anch’io che fosse così facile ma…” deglutì, insicuro su cosa stesse cercando di dire. “Non dico che Yitzie sia così, ovviamente, ma come fai a credere che non lo sia?”

Viola rimase in silenzio, e quando Kurt riuscì a guardarla, sembrava che fosse dispiaciuta per lui. La fronte corrugata, distolse lo sguardo. “Lo faccio e basta,” spiegò lei. “Non ho alcuna prova, ma è come se fosse quello il punto. Ha campo libero per spezzarmi il cuore. Ecco perché donarlo a lui è così magnifico.”

*

Quando Eclipse finì, Mercedes, Finn e Viola si erano addormentati e c’era un sottile strato di popcorn sulle coperte.

Kurt, il mento poggiato alle ginocchia e stretto in una coperta, sbatté le palpebre assonnato verso lo schermo. “Lei è completamente idiota,” affermò.

“Potresti essere un po’ meno Team Jacob?” domandò Rachel, la sua voce proveniva da sotto una pila di coperte e cuscini sotto la quale si era sepolta mezz’ora prima, lamentandosi del fatto che avesse mangiato troppo.

Scosse il capo. “No – uh,” rispose, interrotto a metà da uno sbadiglio.

“Kurt non ha tutti i torti,” rispose Sam, ancora fin troppo sveglio. “Chiunque sia stato innamorato sa che il tipo di relazione tra Bella e Edward non è sano. Si tratta di intensità e infatuazione.”

“Concordo,” commentò Sebastian alla sinistra di Kurt. Questi sollevò il capo per guardarlo assonnato. “Che c’è?”

Sospiro, e finalmente trovò abbastanza energia motoria da sdraiarsi. “Non puoi saperlo; non sei mai stato innamorato,” gli fece notare, cercando un cuscino da infilarsi sotto la testa.

Quando ne trovò uno, Sebastian si sdraiò al suo fianco, osservandolo curiosamente. “Non è vero,” disse semplicemente.

Aggrottò la fronte, sforzandosi di tenere gli occhi aperti. “Beh era vero lo scorso mese, quando stavamo parlando di Parigi.”

Sebastian si volse sino a giacere sulla schiena, lo sguardo volto al soffitto. “Non sono nemmeno sicuro che fosse vero allora,” ammise.

La parte sonnacchiosa del suo cervello sembrò riaccendersi a quelle parole, si sollevò sul gomito. “Pensavo che avessi venduto la tua anima per degli stivali cromati d’acciaio anni fa,” disse.

C’era buio, ora, con le sole luci dei lampioni per strada. Il volto di Sebastian era avvolto da un gioco di ombre, ma Kurt riuscì comunque a vedere le sue labbra stirarsi in un piccolo sorriso. “L’avevo solo data in pegno,” spiegò. “L’ho avuta indietro per molto più di quanto meritasse in ogni caso.”

Kurt si sentiva un po’ male, e attribuì la colpa al cibo spazzatura. Si volse in maniera tale che non fosse proprio di fronte al giovane, e si concentrò sul debole sospiro di Rachel piuttosto che sul battito del proprio cuore. “Perché sei ancora single?” sussurrò, chiedendosi se Blaine potesse resistere a quell’opportunità.

Sebastian rimase in silenzio per un lungo momento, prima di dire: “È… emotivamente occupato,” rispose, dunque volse il capo per osservarlo.

Kurt vide il luccichio dello sguardo nella luce fioca che proveniva dalla finestra, e rispose: “Dev’essere un idiota.”

Il sorriso dell’altro si allargò, ma in qualche modo sembrava triste. “Il più grande idiota che abbia mai incontrato,” affermò, quasi fosse un’accusa.

Viola si svegliò più o meno quando il fratello si addormentò. Kurt era esausto, ma non riusciva a trovare una posizione abbastanza comoda, cosa che attribuì ancora una volta al cibo spazzatura e non alla fastidiosa sensazione che aveva in petto.

Scostò gli occhi dal volto di Sebastian quando Viola sbadiglio, e si volse abbastanza in tempo da vedere una mano sollevarsi prima di ricadere sulle coperte. “Tutto bene, Vi?” domandò a bassa voce.

“Mm,” mugugnò in risposta. “C’è cibo?”

Sorrise, cercando di ignorare quella sensazione fastidiosa. “No, tesoro,” disse. “Sebastian mi ha detto di non farti mangiare dopo la mezzanotte, o di lasciarti avere contatto con l’acqua.”

Viola sbuffò. “Bastardo,” disse, poi tornò silenziosa.

Non gli piaceva il silenzio – rendeva troppo difficile ignorare i suoi stessi pensieri – ma non voleva tenerla sveglia, quindi rimase a sua volta in silenzio. Alla fine, si mise di fianco, e guardò il dolce su-e-giù del petto di Sebastian mentre si imponeva di dormire e basta.

Aveva pensato, prima, sedendo nella sua macchina nel tentativo di non piangere, che sarebbe stato meglio se Blaine avesse voluto qualcun altro che non fosse Sebastian. Ma realizzò, mentre cercava di convincersi a dormire (invece di pensare troppo, che era poi quello che finiva per fare comunque) che non era lo stesso dall’altra parte. Sarebbe stato tremendo anche se Sebastian fosse stato innamorato di qualcuno che Kurt non aveva mai incontrato.

Lo capì ancor più chiaramente nelle scene che vide nella sua stessa mente. Che cosa stava succedendo? Non era quello che si aspettava di provare.

Si volse verso il soffitto, e le mani di Viola stavano disegnando qualcosa per aria. Chiuse gli occhi. Sarebbe stato meglio se Blaine avesse voluto chiunque altro eccetto Sebastian, ma non viceversa, significava che non c’entrava per nulla Blaine?

Gli rimase il respiro bloccato in gola, e voleva solo lasciar perdere quell’idea, ma ora che ci aveva pensato non c’era modo di reprimerla. Se non c’entrava Blaine – se quella fastidiosa stretta al petto all’idea che Sebastian fosse innamorato non era correlata al suo ex – allora si trattava solo di Sebastian.

Oddio, voleva forse dire che…?

Pensò a tutte le volte che si erano visti per un caffè, le volte in cui Sebastian lo aveva aiutato con la matematica e lui aveva letto le sue relazioni, quella in cui si era messo in macchina per cercarlo nel bel mezzo della notte, quando si erano messi insieme nello stesso letto, erano andati a fare shopping, avevano letto una poesia e cantato…

E, Dio, Kurt pensò anche a Sebastian e Blaine che parlavano, a come si fosse sentito stranamente ferito – per Blaine che lo chiamava per parlare di Sebastian e lui che gli chiudeva il telefono in faccia perché non poteva sopportare che gli si chiedesse il permesso.

E sul fatto che tutto ciò non aveva a che fare con Blaine.

Oddio, era davvero stupido. Era davvero abbastanza stupido da provare qualcosa per Sebastian Smythe. Che problemi aveva? Quand’era accaduto tutto ciò?

Tra i caffè, i compiti e lo shopping, rispose il suo cervello. Era accaduto lentamente, più come scendere lentamente una scala piuttosto che cadervi dalla cima, un passo attento alla volta, fino a quando ogni passo superficiale aveva eguagliato qualcosa di profondo. Non se n’era accorto perché non c’era stato un momento, ma piuttosto un accumulo di piccole cose, di quel tipo che causavano il cambiamento di una specie.

Kurt pensò Sono innamorato, seguito immediatamente da un Sto per vomitare.

*

Il resto della notte trascorse in una sorta di panico silenzioso. Non aveva vomitato, alla fine, ma aveva trascorso quasi un’ora in bagno a cercare di convincersi che tutto fosse a posto. Non era cambiato nulla, aveva provato a dirsi. Nessuno avrebbe dovuto saperlo. Se l’unico cambiamento era nella sua testa, allora non era davvero qualcosa. Nulla era diverso, si disse.

A un certo punto, tornato sulla pila di coperte, Kurt doveva essersi addormentato. Non ricordava di essersi sentito stanco quando le parole Sono innamorato gli danzarono tra le sinapsi, ma si svegliò con la luce del giorno che filtrava dalle finestre e Viola accoccolata contro la sua schiena.

Apparentemente si era anche spostato a un certo punto, perché si svegliò dal lato opposto dell’accampamento di coperte rispetto Sebastian.

Si stiracchiò, allungando le dita a sfiorare la base del divano, dunque sospirò. “Qualcun altro è sveglio?” domandò.

No,” rispose Rachel, per poi colpirlo sulla coscia con il cuscino. “Nessuno è sveglio. Dormi.”

Kurt si mise a sedere, sorridendole con affetto. “Siete tutti terribili,” dichiarò, continuando poi con un: “Vado a preparare i pancakes.”

Molti dei suoi amici si sollevarono a quelle parole, dirigendosi in cucina per aspettare i pancakes. Sam, che era apparentemente sveglio almeno quanto lui, lo seguì per aiutarlo (o, se si viveva nella realtà di Kurt, per ostacolarlo) a preparare la colazione.

“Sei sparito a lungo ieri notte,” disse, come per iniziare un discorso. Lo guardò con la coda dell’occhio, dunque scrollò le spalle. “Non molto dopo il discorso di Sebastian su -”

“Sam,” lo interruppe. “Lascia perdere.”

“Volevo solo dire, se c’è qualcosa -”

Sam,” disse di nuovo, cominciando a sentire lo stesso panico della sera prima risalire nel suo petto. “Per favore, lascia perdere.”

Il giovane sollevò le mani. “Va bene, amico, stavo solo dicendo la mia.”

Kurt inspirò a fondo mentre si concentrava sulla preparazione di una colazione per sette persone.

La sua rinnovata consapevolezza sui propri sentimenti non lo abbandonò, e gli fece notare delle cose. Gli fece notare il modo in cui aveva sorriso specificamente a Sebastian, automaticamente, quando aveva messo il cibo a tavola, e come Rachel aveva roteato gli occhi in direzione di Mercedes. Dopo quello, provò a non guardare più il giovane, preoccupato per come ovvio dovesse essere stato ovvio persino quando non sapeva perché lo fosse – ma comunque abbastanza perché i suoi amici ne parlassero a riguardo. Dio, era così imbarazzante.

Probabilmente più importante degli sguardi tra Mercedes e Rachel per il suo comportamento era la reazione di Viola. Quando finì di preparare i pancakes e andò a sedersi per mangiare, Viola si alzò immediatamente per liberare il posto accanto a Sebastian con un commento riguardo il doversi vestire, poi lanciò al fratello un’occhiata divertita e un’inarcata di sopracciglia. Kurt scostò lo sguardo mentre sedeva a tavola, desiderando che così potesse essere meno divertente per Viola. Probabilmente lo trovava uno spasso. La tranquilla, sicura Viola, che aveva tutto ciò che voleva, se la rideva mentre lui ammattiva senza nemmeno saperlo.

“Tutto bene?” domandò poi Sebastian, poggiandosi al tavolo con il gomito e reclinando il capo per guardarlo negli occhi. “Sei silenzioso.”

Sorrise meglio che poté, chiedendosi se Sebastian lo avesse notato a sua volta. Sarebbe stata solo una fortuna se il ragazzo avesse capito i suoi sentimenti prima di quanto li avesse capiti lui. “Tutto bene,” rispose. “Non ho dormito molto bene.”

“Hai avuto incubi sui vampiri?” domandò l’altro.

Gli rivolse una lunga occhiata. “Ovviamente, non mi spaventa nulla che brilli,” affermò. “E sì, prima che tu lo dica, questo include il mio gusto nel vestire e la tua brillante personalità.”

Sebastian rise a quelle parole, e lui riuscì a rilassarsi appena. Aver capito i suoi sentimenti non aveva cambiato nulla, si ricordò. Erano ancora Kurt e Sebastian, una sottospecie di amici, anche se riuscivano a stento a sopportarsi.

Molto dopo, quando i suoi amici se ne furono andati e il salotto fu sistemato, Kurt lasciò Sam e Finn a giocare ai videogames e si chiuse in bagno. E se avesse pianto, beh, nessun altro sarebbe stato lì a vederlo.

*

Due giorni dopo, quando Mr Schuester li lasciò dopo l’ultima canzone d’amore strappalacrime (nauseante) di Rachel, Kurt ricevette un messaggio da SMYTHE: Sono fuori, all’ingresso. Devo chiederti una cosa. Ci vediamo tra 5 minuti? X

Devo andare al mio armadietto, rispose. Ci vediamo lì tra poco.

Quinn lo accompagnò all’armadietto per discutere di un potenziale duetto per il compito della settimana. Kurt, che non era mai stato particolarmente vicino a Quinn, era confuso ma perlopiù felice di essere graziato della sua presenza. Comunque, quando lo prese sottobraccio mentre camminavano per i corridoi, non riuscì a trattenersi dal domandarle: “Quinn, cosa vuoi dirmi davvero?”

La giovane lo guardò, un’espressione indecifrabile. “Che vuoi dire?” domandò.

Si fermò, volgendosi per fronteggiarla. “Mi piaci, Quinn,” spiegò. “Sono felice di cantare con te. Ma ho come l’impressione che non si tratti solo di una canzone.”

Un’ombra passò sui tratti ingiustamente perfetti della giovane, poi sospirò. “Mi sembravi giù,” disse infine.

Kurt sbatté le palpebre. “Oh,” disse. “Mi spiace, non volevo farla suonare come un’accusa-”

“No, Kurt, davvero, va tutto bene,” rispose Quinn. “Ho trascorso così tanto tempo della mia vita abbattuta per i ragazzi. Solo…” agitò la mano, come se ci fosse qualcosa che non riusciva ad articolare bene, infine lo guardò negli occhi. “Penso solo che non dovresti fare così. Se hai qualche problema, affrontalo e… torna ad essere te stesso.” Lo colpì leggermente al braccio con il proprio, e aggiunse: “Favoloso.”

Kurt sorrise, poi la prese di nuovo sottobraccio. “Non sono giù,” rispose. “È che ho avuto molto a cui pensare ultimamente. Non mi sto crogiolando né nulla del genere.”

“Bene,” rispose la giovane. “Allora sarai libero di trascorrere un po’ di tempo con me.”

Mentre uscivano dall’edificio si scambiarono un sorriso, che sparì rapidamente quando vide Sebastian. Era poggiato contro il muro, appena colpito dalla brezza, aveva un’espressione pensierosa sul viso, osservava Blaine mentre parlavano.

Si fermò, dunque sfilò il braccio da sotto quello di Quinn. “Va’ avanti,” disse senza guardarlo. “Credo… di aver dimenticato qualcosa.”

Quinn sospirò. “Certo,” disse, dunque si avvicinò a baciarlo sulla guancia. “I ragazzi non sono un così grande problema,” lo informò prima di andare via.

Era d’accordo con lei, ovviamente. Ma non era abbastanza da riuscire a farlo avanzare in quel momento.

Aveva due scelte, riconobbe. Avrebbe potuto raggiungere Sebastian e Blaine e fingere che non gli importasse; che era probabilmente la scelta migliore per preservare la propria dignità. Oppure, sarebbe potuto tornare indietro prima che uno di loro lo notasse, mandare un messaggio a Sebastian dicendo che doveva andare da qualche parte, e lasciarli così a discutere.

Quest’ultima era sicuramente la scelta più cortese, realizzò. Sebastian probabilmente voleva chiedergli di uscire, quindi non avrebbe dovuto interromperli, giusto? Avrebbe rotto qualche regole del codice dell’amicizia interrompendo un amico che parlava con qualcuno che gli interessava?

Kurt, comunque, non aveva preso quella decisione. Fu colto di sorpresa da un saluto, “Hey, fatina” e il lampo di una granita blu che lo colpiva.

Ci voleva sempre un attimo per tornare a se stesso dopo la botta di freddo dopo esser stati presi a colpi di granita. Dopo un attimo tossì e sollevò le mani per rimuovere il ghiaccio e lo sciroppo dagli occhi.

Kurt!” urlò una voce familiare, poi sentì Finn al suo fianco. “Dannazione, ti hanno preso.”

“Mm hm,” rispose, dunque inspirò a fondo. “Bagno?”

“Sebastian… Sebastian, no!” stava urlando Blaine. Non osò aprire gli occhi ancora, me si volse in direzione della voce. “Peggiorerai le cose -”

“Sebastian Smythe,” urlò lui. “Torna qui immediatamente.”

Con sua sorpresa, Sebastian sembrò eseguire gli ordini. In pochi secondi fu circondato da tre ragazzi. “Bagno,” sembrò ricordarsi Finn, prendendolo per la spalla. “Hai un cambio d’abito?”

“Mm hm,” rispose, cominciava a tremare per il freddo ora che la momentanea distrazione di tenere Sebastian fuori dai guai era finita. “Nel mio armadietto. Blaine, ricordi la combinazione?”

“Certo,” rispose Blaine. “Ci vediamo in bagno.”

La sua stessa vita lo stava prendendo in giro, ne era sicuro. I tre ragazzi che lo condussero nuovamente dentro la scuola erano tre persone per le quali Kurt, a un certo punto, aveva provato dei sentimenti.

Quando si ritrovò in bagno, fu certo che la camicia non fosse salvabile. “Dannazione,” soffiò, e decise su concentrarsi sulla propria faccia e i capelli per il momento.

Sebastian prese delle salviettine di carta dal dispenser e gliele porse, riuscendo ad apparire sia costernato che divertito. “Sembri un puffo,” disse.

Gli lanciò un’occhiataccia. “E tu sembri un suricata,” gli fece notare. “Almeno la mia puffaggine verrà lavata via con il colorante blu.”

“Buffo,” replicò l’altro. “Sembrerai ancora un vampiro. Sei mai uscito alla luce del sole?”

“Basta con i vampiri, Sebastian,” disse, chinandosi sul lavandino per sciacquare i capelli dalla sostanza blu e appiccicosa.

“Bisogno di aiuto?” domandò il giovane.

Finn sbuffò. “Non gli andrei vicino mentre si fa i capelli,” disse.

“Ti ho lanciato un asciugacapelli una sola volta, una,” rispose Kurt. Si sollevò e scrutò nello specchio. “Salviette,” ordinò.

Asciugò l’acqua dai capelli con le salviette, poi sospirò al proprio riflesso. “Sembro davvero un puffo,” ammise. “Questa è l’ultima volta che mi vesto di bianco per andare a scuola L’ultima.”

Sebastian si schiarì la gola, e Kurt lo osservò attraverso il riflesso con le sopracciglia inarcate. “A proposito di abiti bianchi,” disse. “Ho un più-uno per il matrimonio di mio padre. Mi chiedevo se ti andasse di venire con me.”

Sbatté le palpebre. “Io, uh -”

Blaine entrò in bagno in una specie di moto vorticoso. “Pensi che questa camicia vada bene?” domandò, la fronte corrugata nell’osservare il capo di vestiario.

Scrollò le spalle. “Probabilmente no,” ammise, cercando di prestare attenzione al fatto che fosse una delle sue camicie preferite invece che alla proposta di Sebastian. “Non mi lanciavano una granita da un po’; avrei dovuto aspettarmelo. Potreste girarvi un minuto?”

Quando tutti e tre si furono voltati, Kurt si permise di pensare a ciò che era accaduto negli ultimi cinque minuti. Sbottonò velocemente la giacca e la camicia bianca, poi utilizzò altre salviette per rimuovere i residui di granita che aveva sul petto. “Oh, è disgustoso,” disse ad alta voce.

“È fico che tuo padre si sposi,” commentò Finn, mentre Kurt si cambiava la camicia e il maglione. “Kurt ha pianificato tutto quello dei nostri genitori lo scorso anno. Ha un mucchio di riviste sul matrimonio, è stato fichissimo.”

Finn era l’unica persona al mondo che potesse passare dal lanciargli palloncini pieni di pipì perché era gay al chiamare la sua collezione di riviste di matrimonio ‘fichissime’. Sollevò gli occhi al cielo. “Potete girarvi adesso,” disse agli altri, chinandosi verso il proprio riflesso per controllare eventuali rimanenze di colorante.

“Hai un mucchio di riviste di matrimonio,” disse Sebastian in tono neutro, un’espressione divertita.

Kurt l’osservò nuovamente attraverso lo specchio. “Ho un mucchio di riviste di matrimonio sotto il mio letto,” lo informò. “Tu hai pile di fotografie, e intendo pile, quindi non giudicarmi.”

Finn, come sempre, sembrava confuso. “Come fai a sapere cosa c’è sotto il suo letto?”

Sebastian rise. “Vabbè. Non tutti abbiamo le tue capacità organizzative.”

Kurt incontrò lo sguardo di Finn. “Lui dice così,” spiegò. “Ma in realtà mi accusa di avere un disturbo ossessivo compulsivo.”

Blaine rise allora, e Kurt (che aveva ignorato la sua presenza risolutamente, tanto da non concentrarsi su di lui) prese un bel respiro.

“Andiamo,” si offrì Sebastian, aprendo la porta del bagno. “Lima Bean?”

Kurt, ancora appiccicoso, imbarazzato e un po’ ferito, scrollò le spalle. “Non penso sia una buona idea,” disse, lanciando un’occhiata al giovane così che capisse che non stava parlando solo del caffè. “Perché non ti porti Blaine?”

Sebastian sembrò confuso quando se lo lasciò alle spalle. Finn lo inseguì, quindi guardò indietro verso Sebastian e Blaine con un cipiglio confuso. “Cos’è successo?”

Kurt continuo ad inspirare ed espirare. Non importava, ultimamente, che Kurt fosse innamorato di Sebastian. L’unico che si stava facendo male era lui, dopotutto. Ma gli importava del fatto che il giovane fosse felice, e se ciò fosse avvenuto con Blaine, allora lui non si sarebbe messo in mezzo. Non quella volta. E certamente non avrebbe permesso a Sebastian ad essere un idiota che non chiedeva ciò che voleva.

“Ho lasciato perdere,” disse a Finn, sforzandosi di sorridere.

*

Quando tornò a casa, il telefono s’illuminò con un altro messaggio.

Quindi la risposta per il matrimonio era un no?

Si passò il cellulare tra le mani per qualche secondo, cercando di pensare a come rispondere. Dopo qualche minuto, rilassò le spalle e piazzò il telefono sulla prima superficie libera.

Finì per giocare ai videogames con Finn e Sam per almeno tre ore.

Sebastian non mandò altri messaggi quella sera.

*

Fu solo a causa della mancanza di messaggi da parte di Sebastian il giorno dopo che si accorse di quanto spesso comunicassero. Non riceveva sempre il messaggio di ‘buongiorno’, ma cominciavano solitamente dopo la seconda ora. Naturalmente, quando la seconda ora finì senza una risposta al suo messaggio (Non penso che la Matematica mi odi come al solito – come va?) cominciò a preoccuparsi del fatto che non stessero parlando.

Era stato sgarbato a evitare il suo messaggio la sera prima. Lo sapeva, ma pensava che Sebastian non avesse bisogno di lui a incoraggiarlo per chiedere a Blaine di accompagnarlo al matrimonio. E poi non aveva voluto esattamente dire ‘no’ all’invito; voleva solo che Sebastian capisse che aveva un’opportunità che avrebbe dovuto cogliere.

Ma forse avrebbe dovuto rispondere comunque. Forse avrebbe dovuto rispondergli con qualcosa che riguardasse altro, per fargli capire che gli andava bene.

Gesù. Il suo rapporto con il giovane non doveva essere meno complicato? Facevano i compiti insieme, a volte discutevano di altro, si punzecchiavano senza sosta, e non avevano litigi. Perché aveva dovuto rovinare tutto innamorandosi?

Mordicchiò il labbro mentre si allontanava dal proprio armadietto, osservando il cellulare. Finì per mandare un messaggio a VIOLA FREAKING SMYTHE invece, chiedendole: Ho fatto arrabbiare Sebastian? Non mi risponde.

Un minuto, ricevette la risposta: Penso che abbia una Sindrome Pre-Mestruale. È stato silenzioso per tutta la cena ieri. Hai fatto qualcosa per farlo arrabbiare? Xxxxxxxx?

Si ritrovò a sorridere alla sfilza di baci seguiti dal punto di domanda, e improvvisamente non fu più solo.

“Hey,” lo salutò Blaine mentre si metteva la borsa in spalla. “Posso parlarti?”

“È quello che sembra tu stia facendo,” rispose Kurt. Gli lanciò una lunga occhiata, dunque domandò: “Come posso aiutarti, Blaine?”

Blaine non aveva lezione di Storia, ma sembrava camminare nella sua stessa direzione comunque. Gli lanciò un’altra occhiata, cercando di capire di cosa si trattasse.

“Quindi,” disse il giovane dopo qualche momento di silenzio. “Io e Sebastian ci siamo presi un caffè insieme ieri.”

Sbatté le palpebre in sua direzione, dunque distolse lo sguardo. “Uh, carino,” disse, cercando di non suonare ovvio. “Per te.”

“No,” rispose Blaine, e quando lo guardò vide un solco tra le sopracciglia. “No, noi, uh -”

Si stavano avvicinando alla classe. “Blaine?” lo richiamò, fermandosi fuori dalla porta e aggrappandosi al manico della borsa. “Dobbiamo proprio farlo?”

“Kurt,” cominciò l’altro, aggrottando maggiormente le sopracciglia.

“No,” rispose in un sospiro. “Guarda, non voglio davvero… sentire nulla a riguardo. Va bene,” lo rassicurò, sforzandosi di sorrise. “Insomma, ho capito. Quindi, vado in classe adesso e tu ti volgerai e andrai nell’altra direzione, e possiamo semplicemente cancellare tutto come se non ne avessimo mai parlato.”

Entrò in classe, tenendo caparbiamente il mento sollevato e le spalle rigide. Si sedette accanto a Tina, e guardò fuori giusto in tempo per vedere Blaine carezzarsi la nuca e andarsene.

Rimase immobile. Prese nuovamente il cellulare, dunque scrisse a Viola: Non sono sicuro di averlo fatto arrabbiare. Di solito manda messaggi, poi si fermò con il dito sulla tastiera. Magari Sebastian non mandava più messaggi per Blaine? Magari Sebastian e Blaine stavano per annunciare la loro relazione ufficialmente, e per chissà quale ragione la cosa aveva precedenza sulla sua amicizia con Kurt?

Dio, sperava non fosse il caso.

*

Kurt stava andando in mensa per il pranzo quando fu velocemente spinto in una classe vuota.

“Hey!” esclamò, scostandosi quelle mani di dosso. “Che cosa stai… Blaine?”

Il giovane in questione chiuse la porta alle loro spalle, dunque lasciò andare un lungo sospiro. “Ora tu mi starai ad ascoltare,” disse, indicandolo.

La sua immediata reazione fu di cercare una via di fuga. Non gli piaceva essere in trappola, lo faceva andare nel panico – ma dopo un paio di battiti troppo veloci del suo cuore, capì che non doveva temere Blaine. Non importava cosa sarebbe accaduto, quanto fregato e usato si fosse sentito, era solo Blaine.

“Okay,” sospiro. “Cos’è tanto importante da dovermi chiudere in una classe vuota per parlarmene?”

Blaine sembrò afflitto, si sfregò il volto stancamente. “Sebastian e io ci siamo presi un caffè ieri, e abbiamo avuto una lunga conversazione su qualcosa di importante.”

“Blaine,” si lamentò, cominciando a sentire un brivido di fastidio. “Sono davvero… vabbè, felice per te, o qualcosa del genere. Ma non voglio parlarne.”

“Perché sei arrabbiato?” domandò l’altro, sorpreso.

Si sentì colto sul fatto a quelle parole, il respiro si fermò in gola per un paio di secondi. “Non sono arrabbiato,” disse infine, cercando di trovare altre parole oltre perché sono innamorato di lui e sono geloso, e ti odio per essere la persona che vuole. “Solo, sono amico di Sebastian adesso. Quindi l’idea di te e lui è… strana per me.”

Il giovane scosse il capo. “Kurt, di cosa stai parlando? Io e Sebastian?”

“Vi frequentate,” spiegò, e poi sentì come se si fosse spettacolarmente perso qualcosa. “Non è questo che stai cercando di dirmi? Riguardo l’uscita per il caffè?”

“Cosa?” domandò Blaine, ancora una volta scuotendo il capo. “No, Kurt… Dio, no, non era un appuntamento. Stavamo parlando di te.”

“Voi stavate… cosa?” domandò, improvvisamente sbilanciato. “Perché stavate parlando di me?”

Il ragazzo si sedette su uno dei tavoli e incrociò le gambe. “Perché sono un idiota, e Sebastian sente il bisogno di ricordarmelo ogni volta che mi vede,” spiegò amaramente. “Pensavi che avessimo avuto un appuntamento? Per questo cercavi di liberarti di me?”

Schiuse le labbra, ma non ne venne fuori qualcosa a lungo. “Io -” cominciò, cercando di riconnettere i fatti in modo che tutto avesse senso. “Sono così confuso,” ammise, dunque si sedette sul banco opposto. “Non siete interessati l’un l’altro?”

“Kurt,” rise l’altro. “Da dove ti è venuta quest’idea?”

Tutto era fuori controllo. Corrugò ancor di più la fronte. “Non è mai stato un segreto che ti volesse,” gli ricordò.

“È stato secoli fa,” gli fece notare Blaine. “È tuo amico ora. Pensavo quasi che voi… comunque,” disse. “Penso di essermi sbagliato anche io.”

“Di cosa volevi parlarmi?” domandò, stringendosi le labbra attorno.

Blaine esitò per un momento, dunque disse: “Mi sbagliavo. Quello che ti ho detto era – non era esattamente falso, ma sono stato… sono stato insensibile e offensivo, e la parte peggiore è stata che Sebastian ha dovuto praticamente urlarmi contro per farmi capire quanto ciò ti abbia fatto male. E come tutto ciò debba essere stato per te.”

Kurt strinse le labbra, fissando il pavimento. “Blaine, va tutto bene. Non devi.”

“No invece,” insistette l’altro. “Mi spiace di averti detto che non sei speciale, Kurt. Ciò che è successo è colpa mia, non tua e – Dio, detta così è ancora peggio, ma non ha nulla a che vedere con te. Non in senso cattivo, perché si tratta di te, ma perché si tratta di me. Ho mandato tutto all’aria. Ma non perché tu non sia speciale.” Blaine sollevò di nuovo lo sguardo su di lui, aperto e onesto come un tempo. “Sei speciale. Io e te non eravamo giusti l’uno per l’altro, ma non perché tu non sia speciale, Kurt.”

Deglutì, Kurt, cercando di trattenersi dal diventare troppo emotivo. “E cosa della discussione con Sebastian ti ha fatto desiderare di dirmelo? Perché ti ha urlato contro?”

“Lui…” Blaine scrollò le spalle, vagamente imbarazzato. “Crede che ti abbia causato problemi di fiducia.”

Sentì la mandibola staccarglisi dal volto, poi si sentì arrossire. La conversazione riguardo la fiducia era stata con Viola, non con Sebastian. Ma loro non avevano segreti, ricordò; una conversazione con Viola era buona quanto una con Sebastian, a meno che non le avesse specificamente chiesto di non dire nulla. Inspirò a fondo per qualche momento, cercando di spazzare via dalla mente tutte le cose imbarazzanti che aveva detto a Viola.

“Beh,” disse, torcendosi le mani, “è difficile immaginare di poter credere di nuovo a qualcuno che mi dirà di essere innamorato di me. È vero. Ma non è colpa tua; magari avrei dovuto essere io scettico sin da subito. Insomma, solo perché qualcuno dice di amarmi, non significa per forza qualcosa.”

Quando sollevò lo sguardo a Blaine, questi aveva gli occhi chiusi, afflitto. “Oddio, Kurt. No.”

“Non… non ci sto male,” insistette, cominciando a sentirsi offeso. “È così che va la vita, Blaine. Le persone si sbagliano, o non capiscono i propri sentimenti, o vogliono davvero qualcosa da te. E non è sempre possibile… dirlo.”

“Kurt,” disse Blaine. Ci fu un lungo momento in cui si sentirono solo i loro respiri, e di nuovo si sentì privo di equilibrio, tremante. “Mi dispiace così tanto.”

Kurt mordicchiò il labbro, cercando di pensare a qualcosa da dire. “Anche a me,” disse infine, dunque si sollevò dal banco e uscì fuori dalla classe. 

 

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