Sinners di _KyRa_ (/viewuser.php?uid=79577)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dealing with the past ***
Capitolo 2: *** What hurts the most ***
Capitolo 3: *** Tightrope ***
Capitolo 4: *** The show must go on ***
Capitolo 5: *** Trying to escape ***
Capitolo 6: *** Self harm ***
Capitolo 7: *** Right or convenient ***
Capitolo 8: *** What you less expect ***
Capitolo 9: *** Falling down ***
Capitolo 10: *** Sinners ***
Capitolo 11: *** What about us? ***
Capitolo 12: *** One way or another/Epilogue ***
Capitolo 1 *** Dealing with the past ***
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
One
Dealing with the past
Osservava quella mano da
minuti interminabili, come fosse un qualche strano reperto
archeologico da studiare con attenzione. Le vene scure a ricoprire il
dorso pallido, le dita lunghe e sottili abbandonate sul materasso, a
qualche centimetro dal suo corpo ancora nudo. Di tanto in tanto,
sembravano muoversi impercettibilmente, come scosse da un sogno cui
lei non poteva prendere parte.
Il sonno, che ancora non
le permetteva di acquisire un diretto contatto con la realtà, le
impediva di opporre la propria forza contro il macigno che le gravava
sulle palpebre a mezz'asta e traballanti. La vista era offuscata ma
le bastava per capire, attraverso i raggi solari che oltrepassavano
le persiane, che una nuova giornata era giunta a bussare alla sua
vita. Il cinguettio che le aveva dato il buongiorno, al di là della
finestra, voleva incoraggiarla ad alzarsi dal letto, ma la tentazione
di rintanarsi nuovamente fra le braccia calde ed invitanti di Morfeo
era affascinante. Gettò un rapido sguardo all'orologio sul comodino
ed un grugnito poco femminile si levò nella stanza debolmente
illuminata.
Le sette in punto.
Sapeva che era ora di scacciare l'illusione ed immergersi nel mondo
del lavoro.
Con un sospiro che le
costò tempo e sforzo, cercò di combattere il Demone del Letargo e
poggiare i piedi intorpiditi sul freddo parquet. Il contatto fu quasi
violento e la portò a trasalire, rabbrividita, reprimendo
un'imprecazione che avrebbe espresso chiaramente il suo disappunto.
Raccattò alla velocità della luce gli indumenti sparsi sul
pavimento e si rifugiò in bagno, in punta di piedi, per evitare di
fare rumore.
Sospirò non appena i
suoi occhi vennero catturati dall'immagine che lo specchio rifletteva
di se stessa. Un viso sbattuto, capelli scuri spaventosamente
scompigliati ed una voglia di uscire di casa pari a zero. Ma non
furono i soli dettagli che fu in grado di cogliere e sapeva bene che
solamente una persona acuta avrebbe potuto comprenderlo. Le sue iridi
castane non lasciavano spazio all'immaginazione; nascondevano un
senso di incompletezza, di arrendevolezza, ma da tempo aveva deciso
di non farvi più caso o la sua vita non avrebbe mai preso la piega
che tutti si aspettavano da lei. Ed in un certo qual modo, l'aveva
fatto. Aveva un lavoro che amava, un fidanzato tremendamente
premuroso, una famiglia – anche se incompleta – che le voleva
bene e la sosteneva in ogni sua scelta. Apparentemente, poteva essere
la vita che tutti desideravano.
Si lavò i denti ed il
viso, mirando a raggiungere uno stadio di presentabilità al mondo
esterno degno di quel nome, seppur con qualche fatica, e
successivamente si vestì. Indossò una semplice tuta; non le sarebbe
servito altro, motivo per cui non perse nemmeno tempo a coprire la
pelle chiara di trucco o riempire i capelli di fermagli. Una volta
pronta, tornò nella sua camera da letto.
Da quando aveva comprato
casa, per non vivere più con i suoi genitori, la sua vita era
cambiata. Non se ne era andata perché non sopportasse più Kayla e
Gale; l'aveva fatto per acquisire l'indipendenza che a ventuno anni
aveva cominciato ad agognare. I suoi non avevano preso male quella
notizia; fino a quel momento, si erano aspettati una decisione
simile. Certo era che, tolta ulteriormente la presenza di suo
fratello Tom, avevano percepito un vuoto non indifferente, ancora una
volta. Il fattore positivo era la relativa vicinanza.
Non appena il suo
sguardo raggiunse nuovamente il letto sfatto, notò due occhi
osservarla assonnati.
“Stai andando?” le
domandò il ragazzo con la bocca ancora impastata, mentre con una
mano si sfregava un occhio; ormai, era divenuta una sorta di routine.
Ingie, con un piccolo
sorriso, gli si avvicinò fino a chinarsi per baciargli delicatamente
la tempia ancora calda.
“A dopo, Luke.”
rispose divertita, divincolandosi dalla sua presa che cercava di
trascinarla nuovamente sotto le coperte assieme a lui.
Ignorò il suo sguardo
deluso e corse fuori dalla stanza.
Nell'istante in cui si
ritrovò sola, in macchina, esitò prima di accendere il motore ed il
suo sguardo venne catturato dal vuoto che la circondava, ma che
sembrava fare così tanto rumore. Forse erano i suoi pensieri ad
emettere tutto quel chiasso che mai la lasciava in pace, se non in
sporadici momenti.
Luke. Ecco come
si chiamava il ragazzo che avrebbe dovuto renderla felice.
Con un gran sospiro,
poggiò la fronte al volante tornando a chiudere gli occhi, come
appesantiti questa volta dalla stanchezza psicologica. Era
tremendamente esausta di riportare alla luce del sole problemi,
pensieri, tensioni evidenti, nonostante cercasse di nasconderli alla
gente che la affiancava, eppure non poteva farne a meno. Ogni volta
che le si presentava l'occasione di riflettere, la sua mente sfiorava
luoghi che si era ripromessa persino di non menzionare più, per il
bene di Luke, ma soprattutto di se stessa.
E quei luoghi portavano
tutti il nome di Tom Kaulitz.
Tornare con Luke era
stata una decisione strana, che quasi non ricordava di aver preso.
Forse gli avvenimenti che si erano susseguiti, uno dietro l'altro,
l'avevano portata a sentire la necessità di colmare il vuoto che
aveva improvvisamente percepito attorno a lei. Non era felice; sapeva
che Luke non sarebbe mai stato in grado, per quanto si sforzasse, di
farla sorridere come desiderava. Eppure, stava bene con lui e nutriva
nei suoi riguardi molto affetto. Si era dimostrato comprensivo, aveva
perdonato i suoi errori, aveva accettato di ricominciare da capo ma
niente di tutto ciò aveva reso Ingie la persona diversa che era
invece diventata con il chitarrista. Pensare a lui ancora le
procurava un forte nodo alla gola che ogni volta cercava di scacciare
con decisione, ma aveva anche imparato a guardare avanti e cercare di
ricostruire la sua vita senza di lui. Quasi un anno era trascorso
dall'ultima volta che si erano visti, quel lontano e caldo giorno di
Luglio duemiladodici in cui si era presentato a casa sua trafelato,
prendendola alla sprovvista. Ed ora, primo Marzo duemilatredici,
Ingie ancora non abbandonava quelle immagini che violente si
insinuavano nel suo cervello, senza il minimo riguardo.
***
Luglio duemiladodici
I suoi occhi increduli
non si spostavano da quelle righe nere su carta bianca, che sembrava
volessero sradicarla dalla realtà e condurla verso una dimensione
parallela, fatta di sogni, felicità e spensieratezza. Lesse più e
più volte, non sicura di aver ben compreso ciò che stava accadendo.
Non è possibile,
continuava a ripetersi nella testa, troppo eccitata ed incredula per
poter rendersi conto di cosa quelle parole volessero veramente dire.
Ma nell'esatto istante in cui ricominciò a leggere per la quarta
volta, il campanello di casa la svegliò brutalmente dallo stato di
trans in cui era inevitabilmente caduta.
Sollevò lo sguardo
sulla porta davanti a lei ed aggrottò la fronte, chiedendosi se i
suoi genitori si fossero dimenticati qualcosa. Cercando di
accantonare l'entusiasmo ed acquisire nuovamente un atteggiamento più
posato, andò ad aprire.
L'ossigeno le mancò, il
pavimento sembrò tremare sotto i piedi, cosa che la portò a cercare
sostegno nella porta. Quegli occhi castani che aveva temuto di non
rivedere mai più erano davanti a lei, che la fissavano pieni di
sentimenti contrastanti. Amore, odio, impazienza, paura. Un milione
di domande le invasero la mente e non seppe nemmeno dire se fosse
giusto esternarle. Al momento, sapeva solo che le parole avevano
all'improvviso perso importanza o forse non riusciva semplicemente a
dar voce ai suoi pensieri così ingarbugliati fra loro. La voglia di
abbracciarlo faceva a botte con l'insicurezza e la paura di fare
qualcosa di sbagliato, così si limitò a boccheggiare, per niente
certa sul da farsi. Le era mancato disperatamente; dal suo sguardo,
al suo tocco delicato e la voglia di stringerlo e non lasciarlo
andare mai più era terrificante.
“Beh, visto che non ho
mai fatto una cosa simile prima d'ora, direi che questa è la
reazione che speravo di ottenere.” sorrise lievemente il
chitarrista, facendola sentire incredibilmente stupida. “Posso
entrare?”
Ingie si trovava ancora
immobile, nella stessa posizione, da quando i loro sguardi si erano
incrociati per la prima volta. Il suono della sua voce, così
profonda e mascolina, era stato per lei come uno schiaffo in pieno
viso e si disse che mai ne aveva sentite di più belle.
Come un automa, si fece
da parte per farlo passare, fino a richiudere la porta.
“Scusami, sono –”
balbettò, di nuovo di fronte al ragazzo. Si passava le mani fra i
capelli con fare impacciato ed i suoi occhi non riuscivano a
sostenere il suo sguardo per più di qualche secondo. Era
incredibilmente strano averlo nuovamente davanti a sé, in casa sua.
“Sono solo un po' sorpresa.” disse a fatica. Tom annuì
distrattamente, senza dire una parola. Il suo sguardo era tornato
serio e la scrutava con attenzione, come volesse scavarle nell'anima.
“Come hai trovato casa mia?”
Fu la prima domanda che
le venne spontaneo porre. Il ragazzo le aveva strappato anche
l'ultima briciola di raziocinio di cui disponeva.
“Amanda.” fu la
semplice risposta di Tom e ad Ingie parve tutto chiaro ed ovvio.
Tutte le informazioni che Amanda aveva preteso da lei non potevano
essere state fini a se stesse. “Comincio a sentirmi stupido.”
disse poi il ragazzo, portando le mani nelle tasche posteriori dei
suoi jeans, ma senza abbandonare mai la figura della mora, la quale
aveva sempre meno idea di come comportarsi.
“Vuoi qualcosa da
bere?” domandò a quel punto lei, dirigendosi nel frattempo in
cucina, per cercare di toglierli dall'impaccio. Sentì il chitarrista
seguirla e quasi percepì la schiena bruciare sotto i suoi occhi. “Ho
solo acqua.” aggiunse, aprendo il frigo.
“Va bene.” rispose
Tom, sedendosi al tavolo. Ingie nel frattempo aveva posato la lettera
ricevuta dalla compagnia di ballo sul bancone. Quando gli ebbe
riempito un bicchiere d'acqua, glielo porse, sedendoglisi poi di
fronte. “Grazie.” mormorò il ragazzo, prima di sorseggiare un
po' del liquido fresco, così violento contro il caldo afoso di
Luglio. Ingie si chiedeva quali fossero le sue intenzioni. Per aver
intrapreso un viaggio lungo tutte quelle ore, doveva essere stato
mosso da un desiderio molto forte ed incontenibile, poiché sapeva
che era molto difficile per lui mettere da parte l'orgoglio, se
ferito. Si torturava le mani, osservandolo senza pronunciare parola.
Improvvisamente si era dimenticata di come si svolgessero le loro
chiacchierate, le loro manifestazioni d'affetto, i loro momenti di
intimità. Si sentì per la prima volta estranea a quella persona,
intimidita da lui, forse perché sapeva di portare sulle spalle una
colpa non indifferente. Quando gli occhi del ragazzo tornarono a
scrutarla, sentì nuovamente il cuore mancare un battito. “Bill mi
ha detto che con i tuoi va tutto bene.”
Fu sorpresa da quella
frase. Non pensava potesse dare vita alla conversazione con qualcosa
di apparentemente carino nei suoi riguardi. Si sarebbe aspettata
durezza, freddezza ed indifferenza, ma sapeva bene che per Tom era
impossibile non mostrare al mondo la grandezza del suo cuore. Sapeva
che, prima di tutto, teneva alla sua felicità, cui si era dedicato
durante la sua intera permanenza in Germania.
“Sì.” annuì lei,
insicura. “Hanno saputo guardare oltre.”
Si maledì mentalmente
per quell'uscita involontariamente ambigua e pregò che Tom non la
prendesse come qualcosa contro di lui. Non era nella posizione giusta
per poter parlare a quella maniera.
“Beh, io te l'ho
sempre detto.” ribatté lui, per suo sollievo. “Sono i tuoi
genitori. È normale per loro guardare oltre.” Parlava con calma ed
Ingie non capiva se si trattasse di freddezza, serietà o quiete.
“Anche io l'ho fatto, d'altronde.”
Abbassò lo sguardo, non
più in grado di reggere il suo, e sorseggiò un po' d'acqua,
percependola gelida lungo la sua gola. Una parte di lei avrebbe
voluto gettare a terra quel bicchiere, fare di corsa il giro del
tavolo e ricordarsi com'era fare l'amore con lui; l'altra, quella più
razionale, sapeva che qualcosa stava per cambiare e che ciò avrebbe
portato ad una decisione sofferta, che avrebbe fatto male ad
entrambi. Il solo pensiero le procurava una dolorosissima morsa allo
stomaco, che sembrò divorarla dall'interno.
“Lo so.” soffiò la
ragazza, tornando ad osservarlo in viso. “E non sono nemmeno sicura
di meritarmelo.”
Quella frase nascondeva
molte più verità di quanto lui potesse pensare.
“Se ho fatto una
follia simile, forse vuol dire che un po' te lo meriti.” Il lieve
sorriso che si era formato sul volto del chitarrista la fece
solamente soffrire di più e chiedere perché tutto nella sua vita
accadesse in tempi sbagliati. “Il mio vero problema sei tu.”
Rabbrividì a quell'ultima ammissione, pronunciata di nuovo con la
serietà negli occhi. “Per quanto abbia cercato di odiarti... È
più forte di me, non ci riesco.” E per la prima volta desiderò
che ci riuscisse e che cominciasse a nutrire per lei tutto l'odio che
si era meritata e che avrebbe meritato di lì a pochi istanti. “Mi
manchi, Ingie. Stavolta sono io a mettermi completamente a nudo,
davanti a te.” Si aggrappò al tavolo poiché aveva paura di cadere
a terra, senza forze, e si chiese se fosse un bellissimo incubo.
“Io non – non so
cosa dire.” balbettò. Desiderò bruciare viva, piuttosto che
affrontare il suo sguardo. Ricominciò a torturarsi le mani, come
schizofrenica. “È tutto così inaspettato.” Si sfregò la fronte
in difficoltà. “Dio.” Strinse ancora le palpebre.
“Non volevo agitarti.”
commentò Tom, quasi in colpa, cosa che la portò a riaprire gli
occhi.
“Non sei tu. Siamo io
e la mia vita, che non andiamo mai per il verso giusto.” Lo sguardo
di Tom si fece perplesso ma non disse una parola, probabilmente per
lasciarle esprimere tutto ciò che provava. “Non posso credere di
dover veramente dire una cosa simile.” le tremò la voce, prima che
sollevasse nuovamente il capo per guardarlo attentamente nelle
pupille, mentre un dolore simile a coltellate nella schiena le
ricordava quanto ancora una volta fosse codarda. “Tom, io non posso
venire con te.”
La bomba era stata
scagliata; ora doveva solamente attendere i suoi effetti. Lo sguardo
perso, quasi scioccato, del ragazzo fu insopportabile da vedere. Per
un attimo non parlò, come alla ricerca delle giuste parole da
pronunciare, poi la scrutò con una luce malinconica ma soprattutto
incredula nelle iridi castane.
“Aspetta. Tu cosa
intendi? Perché, sai, io potrei interpretare questa frase in tanti
modi diversi. Non puoi venire con me in senso metaforico o fisico?
Io...”
Straparlava. Ingie pregò
di non vederlo più così. Sembrava per la prima volta spaventato da
ciò che avrebbe potuto rispondere, motivo per cui continuava a
gesticolare eccessivamente, accompagnando quel suo fiume di parole
quasi insensato.
“Non posso venire in
Germania con te.” mormorò a quel punto la mora. “Non – non
possiamo stare insieme.”
Pronunciare quelle
parole le era costato più del previsto. Fu come dover per la prima
volta affrontare disarmata una realtà che le stava stretta, che la
faceva soffrire nel cuore e nell'anima. Aveva aspettato fino a
quell'istante un passo da parte del chitarrista, poter finalmente
stare con lui e vivere la sua storia, come l'aveva desiderata.
Eppure, nel giro di pochi minuti, era giunta a casa una semplice
lettera. Una lettera che era stata in grado di mutare radicalmente
gli eventi, contro ogni pronostico. Una lettera che assieme alla
gioia, le aveva portato tanto dolore.
Tom si portò
improvvisamente una mano al viso.
“Oh Cristo.”
mormorò. “Oh Cristo.” ripeté come si fosse reso conto per la
prima volta di ciò che stava accadendo. Quando tornò a guardarla,
sembrò incredulo. “Tu mi stai dicendo di no. Cazzo, Ingie, mi stai
dicendo di no!” Aveva alzato la voce, alzandosi all'improvviso,
facendola sobbalzare. “Tredici ore d'aereo, tredici fottutissime
ore d'aereo.” continuava a ripetere come in una cantilena,
massaggiandosi le tempie mentre faceva avanti e indietro per la
cucina. Quando si voltò di nuovo verso di lei, quasi ebbe paura. “Ti
prego, dimmi che è uno scherzo. Dimmi che è tutto un dannatissimo
scherzo, Ingie.” Quei suoi occhi imploranti e distrutti furono
anche troppo. Decise che avrebbero parlato i fatti al suo posto, così
si alzò dalla sedia e recuperò dal bancone la lettera che ora
pareva infuocata. Quando tornò a sedersi, la poggiò sul tavolo, in
direzione del chitarrista, ed attese in silenzio. Tom, ora
accigliato, prese posto di nuovo di fronte a lei e la avvicinò a sé.
Ingie cercò di respirare regolarmente, senza mai perderlo d'occhio,
così che potesse catturare ogni minima sfumatura nel suo sguardo,
ogni minimo cambio d'espressione. Lo scrutò leggere attentamente per
qualche secondo, senza proferire nemmeno un fiato. “Ti hanno
presa.” mormorò il ragazzo all'improvviso, più a se stesso, come
volesse metabolizzare quella notizia a piccole dosi.
“Credevo non ti avrei
più visto.” parlò lei a fatica, cercando di sostenere il peso del
suo sguardo ormai vuoto. “E ho deciso di tentare, proprio come mi
avevi detto tu.” Tom ancora non disse nulla, troppo impegnato ad
osservare la lettera fra le sue mani. “Io, non so, mi sono detta
che forse avrei fatto bene a seguire il tuo consiglio. Che forse
avrei realizzato il mio sogno e quello di Tom.” Al suono di quel
nome, il chitarrista sollevò nuovamente lo sguardo su di lei,
stavolta triste. “Il contratto che dovrò firmare richiederà
completa disponibilità per le tournée. Non riusciremmo mai a
vederci, capisci?” Il cuore accelerò il battito. “Tu hai il tuo
lavoro, io sto per avere il mio. Nulla combacia, passeremmo il tempo
a litigare perché non riusciremmo ad incastrare i nostri impegni. E
siamo a tredici ore di distanza.” Scosse la testa, chiudendo gli
occhi. “Io non ce la posso fare, Tom.”
I secondi di silenzio
che susseguirono le fecero paura perché non poteva sapere cosa il
ragazzo avrebbe detto o fatto ed il suo sguardo così enigmatico
certamente non le suggeriva nulla.
“Stai scappando di
nuovo.” mormorò lui all'improvviso, gelandola nell'immediato.
Quell'affermazione valeva più di qualsiasi altra parola o
addirittura schiaffo. Forse uno schiaffo le avrebbe fatto meno male.
“Tu continui a scappare, Ingie. La tua vita è tutta una fuga ma
non è così che funzionano le cose. Non puoi, alla minima
difficoltà, arrenderti e fuggire mandando tutto a puttane come se
niente avesse valore. Non sono gli altri che ti rovinano la vita,
Ingie, sei tu.”
Copiose lacrime si erano
accumulate sugli occhi della mora, rendendo meno nitida la figura di
Tom, in quel momento così serio, così sincero.
Aveva ragione; sapeva
che tutto ciò che aveva appena finito di esternarle in maniera così
schietta e quasi sfrontata era la pura e semplice verità con la
quale lei ancora non riusciva a fare i conti. Scappare le era sempre
parsa la scelta più facile e veloce ma non aveva mai tenuto conto
del dolore che questo causava attorno a lei, alle persone che
facevano di tutto per aiutarla senza però ottenere risultati.
Tuttavia, era più forte di lei: la paura avrebbe sempre avuto la
meglio.
“Io sono fatta così,
Tom. Penso che tu non possa ridurre la tua vita a stare con una
persona come me.” soffiò con un lieve sorriso intriso di tristezza
e dolore, ma ciò non sembrò intenerire il ragazzo. Al contrario,
parve più livido di rabbia.
“Non ci provare,
Ingie. Con me non funzionano questi mezzucci per ribaltare i ruoli.
Ora non usare la scusa del 'sei troppo per me, non ti merito'. Decido
io come ridurre la mia vita. Decido io con chi stare o meno.
Mi sembra di averti capita sin dall'inizio con tutte le tue
stranezze, i tuoi problemi ed il tuo carattere così instabile. Ti ho
conosciuta abbastanza per poter dire che, sì, voglio stare con te,
anche se potresti essere la persona più sbagliata per me.”
Quelle parole la
colpirono nel cuore e per un attimo fu tentata di ritornare sui suoi
passi. Lo amava disperatamente e ciò che stava succedendo non andava
a suo favore, nonostante le apparenze. Quanto poteva essere dura
rinunciare a quella maniera all'amore? Quanto poteva essere meschino
ed insensibile?
“Tom, non mi rendere
le cose più difficili, ti prego.” fu tutto ciò che riuscì a dire
con estrema fatica, sotto il suo sguardo sempre più corrucciato.
“Io non ho esitato a
prendere un cazzo di aereo, Ingie.” La ragazza chiuse gli occhi
addolorata. Non riusciva a sostenere oltre i suoi occhi, così puri
rispetto a lei. “Ma vedo che con te queste stronzate non servono.”
Sobbalzò quando lo
sentì alzarsi dalla sedia con fare nervoso ed esitò prima di fare
altrettanto.
“Per me non sono
stronzate. Significa molto, invece.” la sua voce tremò, poiché
una lacrima salata le era sfuggita al controllo. Quella volta,
nemmeno provò a scacciarla; ormai, aveva visto tutto di lei, anche i
suoi lati più deboli.
“Non abbastanza,
evidentemente, dato che non stai esitando a mandarmi via.”
“Credi che per me sia
facile, Tom?!” Stavolta fu lei ad alzare la voce, risentita. Non
poteva sopportare che il chitarrista la considerasse così vuota. “Io
non so che razza di idea tu ti sia fatto di me e forse ne hai anche
il diritto, considerati i miei precedenti. Ma non puoi parlare come
se non mi stessi mangiando il fegato nel dirti queste cose!” Le
lacrime, ormai, non avevano più barriere. “Io sto cercando di
essere il più razionale possibile per te, per me, per tutti quanti!”
“Tu credi sempre di
agire per il bene di tutti! Credi sempre di sapere cosa sia giusto o
sbagliato, quando invece fai solo errori più grossi di te! Ormai ne
sei sommersa, Ingie!”
“Sarà ciò che mi
merito, allora!”
“Smettila di fare la
vittima! Puoi cambiarla, questa vita, se ti sta davvero così
stretta!”
“Fai sempre tutto
facile!”
“Quello che vedo è
che tu neanche ci provi perché forse non sei nemmeno così
interessata a farlo.”
Ingie per qualche attimo
non seppe cosa rispondere, scrutandolo quasi scioccata per quella sua
affermazione. Davvero stava mettendo in dubbio i suoi sentimenti?
Davvero stava mettendo in dubbio tutto ciò che avevano vissuto
insieme, le sue lacrime, le sue parole ed ogni cosa?
“Allora, apri bene le
orecchie, Tom, una volta per tutte.” Abbassò il tono ma mai in
vita sua era stata più seria. “Io mi sono innamorata di te.” A
quell'ammissione, credette di cadere a terra. Il cuore aveva smesso
di battere e non riuscì a contare i secondi di apnea che aveva
dovuto sopportare, davanti ai suoi occhi sgranati. Non riusciva a
credere di avergli confessato i suoi veri sentimenti senza
riflettere; aveva agito d'impulso come sempre, ma l'aveva ritenuto
necessario. Non poteva permettere che se ne andasse di nuovo,
ricordandola unicamente come una seconda Ria. “Li vedi, i miei
occhi? Prova a mettere ora in dubbio tutto quanto. Abbi il coraggio
di guardarmi in faccia e dimmi che sto mentendo e che non me ne frega
un cazzo di te.” Le sue mani tremavano così forte che quasi
credette di perderne la sensibilità. “Io non so cos'altro fare per
dimostrarti quanto io soffra nel mandarti via e quanto mi costi
starti lontana. E se non credi nemmeno a questo, mi arrendo.”
Nelle sue iridi non
leggeva più la rabbia che l'aveva assillato fino a quel momento; ora
vi era una sfumatura di malinconia, quasi di disperazione.
“Allora non mi mandare
via.” sussurrò come senza forze. “Non ti arrendere, senza prima
provarci.” La stava implorando, lo sapeva. Aveva accantonato ogni
singolo rimasuglio di orgoglio per aprirsi completamente a lei e
renderla partecipe delle sue emozioni; lei non lo stava ripagando con
la giusta moneta. “Potremmo trovare una soluzione.”
Ingie scosse quasi
impercettibilmente la testa. Di nuovo quel masso sul cuore.
“Non me la sento,
Tom.” Quasi fece fatica lei stessa ad udire tali parole; le aveva
pronunciate in un soffio, come intimorita. “Scusami.”
Sapeva benissimo che le
scuse non sarebbero servite a nulla; non l'avrebbero pulita
dell'immagine della menefreghista, egoista di cui si era macchiata
senza fatica. Ma una cosa, la sapeva e valeva più di ogni altra
pugnalata al cuore: Tom non l'avrebbe mai più perdonata. Le aveva
concesso un'ultima possibilità, ne era consapevole, e lei l'aveva
gettata nella pattumiera, assieme alla sua dignità.
Lo vide annuire appena,
a pugni stretti e con le tempie pulsanti.
“Bene.” concluse
apparentemente tranquillo ma con la delusione negli occhi. “A
questo punto, posso anche togliere le tende.”
“Tom...”
“No, Ingie. In questo
momento, l'unica cosa di cui ho bisogno è lasciare immediatamente
New York.” Ingie si sentiva un essere spregevole, la cattiveria
personificata. Tom era atterrato da meno di un paio d'ore dopo un
lungo ed estenuante viaggio. Il fatto che ripartisse senza nemmeno
riposare la rendeva ancora più mostruosa. Vederlo camminare in
direzione della porta di casa fu per lei straziante ma cercò di
combattere con le poche forze che le erano rimaste per lasciarlo
andare. Continuava a ripetersi che era per il bene di entrambi ma
cominciava a non credervi nemmeno più. L'idea di non rivederlo,
quella volta per sempre, era insopportabile, ma forse sarebbe stata
la soluzione migliore. “Una cosa però.” La prese nuovamente in
contropiede, voltandosi di nuovo nella sua direzione con una mano
sulla maniglia, pronto ad uscire. “Io avrei sopportato la distanza,
per te.” le disse, serio. “Perché io ti amo davvero.”
La casa, il mondo, tutto
le crollò addosso, schiacciandola e soffocandola. All'improvviso,
gli occhi di Tom erano divenuti due tizzoni cui lei non poteva
sottostare. Il pavimento sotto di lei sembrò tremare di nuovo ed una
voragine aprirsi sotto i suoi piedi, facendola precipitare in un
orrendo baratro.
Tom la amava.
Quella nuova
consapevolezza premeva nel suo cervello con violenza, mozzandole il
respiro. Ora tutto si era fatto più difficile; egoisticamente,
desiderò non averlo mai saputo. Come avrebbe fatto a vederlo uscire
da casa sua e dalla sua vita per sempre, sapendo che l'amore che
provava per lui non viaggiava a senso unico?
Doveva essere folle.
Il fiatone le impediva
di parlare ma era sicura che il suo sguardo racchiudesse molto più
di ciò che il chitarrista potesse semplicemente udire dalla sua voce
e pregò perché lo afferrasse nella sua interezza.
Una nuova lacrima le
sfuggì al controllo ma non mosse un muscolo, non ce la fece. L'unica
cosa cui riusciva a pensare era di non perdere quella determinazione
– giusta o sbagliata che fosse – che l'aveva accompagnata fino a
quell'istante.
Quasi riuscì ad
avvertire il rumore del suo cuore che si frantumava in tanti piccoli
pezzetti, nell'esatto momento in cui il ragazzo – dopo averla
osservata per un ultimo, breve minuto – uscì dall'appartamento,
chiudendosi la porta alle spalle.
***
Il suono di quel ti
amo era ancora impresso nella sua memoria, indelebile. Ricordava
di non avervi dormito per settimane, annullandosi completamente come
persona, e di avervi pianto fino allo sfinimento. Non lo aveva mai
più sentito dal quel giorno, era ovvio, ma la cosa che più era
stata dura da ingoiare fu che nemmeno Bill aveva più dato segni di
vita. Sapeva che era furioso con lei, era comprensibile. L'aveva
deluso per la seconda volta, nonostante le avesse dato la possibilità
di rimediare e la fiducia che non aveva meritato. L'unica persona che
ancora la teneva aggiornata sulla vita in Germania, ormai
saltuariamente, era Amanda. Lei era stata l'unica – forse perché
donna – a capire i suoi reali sentimenti e a sostenerla in quella
sua scelta così sofferta sin dal primo giorno.
Non sapeva dire se fosse
ancora innamorata del chitarrista. Forse no; ma certo era che ancora
rappresentava una fonte di grande emozione per lei, perché ciò che
avevano condiviso non poteva essere dimenticato. Era stato troppo
forte e travolgente.
Finalmente, mise in moto
la macchina e si immise in strada, in mezzo al turbinoso traffico
newyorchese che le faceva compagnia ogni mattina. Adorava la sua
città, per quanto caotica potesse essere; la folla, il brusio, i
clacson, se per qualcuno rappresentavano motivo di fastidio, per lei
erano quasi piacevoli.
Una ventina di minuti
più tardi, si trovava davanti alla sede della sua compagnia di
ballo, un edificio grigio apparentemente inospitale. Non appena fece
il suo ingresso, i suoi compagni la raggiunsero con un sorriso.
“Lo so, sono in
ritardo.” borbottò, gettando a terra il proprio borsone. “Come
mai non siete già in sala?” domandò poi, sorpresa di averli
trovati perfettamente asciutti e intonsi.
“Roy aspettava che ci
fossimo tutti. Dice che deve comunicarci qualcosa di importante.”
rispose Ty dall'alto del suo metro e novanta.
Ingie si chiese cosa il
loro coreografo avesse per la mente così, senza fare ulteriori
domande, seguì i ragazzi in direzione della sala.
Doveva ammettere che non
era stato difficile divenire un gruppo ben amalgamato; volersi bene
era stato qualcosa di incredibilmente naturale, forse alimentato
dalla passione che li accomunava. Erano in sette e nessuno, fino ad
allora, aveva manifestato il minimo disappunto nei confronti
dell'altro. Certo, le discussioni prendevano luogo sporadicamente, ma
il tutto finiva in pochi istanti. Ingie sentiva di aver trovato un
posto sano, delle persone affidabili e di valore. Ty era il ragazzo
più grande; il classico bel tipo e consapevole di esserlo, in grado
di sterminare qualsiasi donzella con un solo sguardo. Adam era il
bizzarro del gruppo, con le sue movenze effeminate e la sua
omosessualità fieramente dichiarata. Keri, diciannovenne, era la più
piccola e veniva spontaneo proteggerla in ogni situazione. Page,
soprannominata 'Miss Hilton', era la classica germofobica
terrorizzata dal più piccolo e mostruoso granellino di
polvere che potesse incrociare il suo cammino e la passione, o meglio
ossessione, per tutto ciò che concernesse cure di bellezza era un
perfetto eufemismo. Sid era una dispensa vivente di ironia e
perversione che non esitava a mettere in pratica su qualsiasi essere
umano di sesso femminile. Infine, c'era Milo, un tenero ventenne che
qualunque ragazza avrebbe scelto come peluche da strapazzare.
L'affiatamento che si era creato fra loro era stupefacente e ciò si
poteva notare in particolar modo durante le loro esibizioni;
l'alchimia, il feeling erano particolari che il pubblico poteva
facilmente percepire nelle ossa ed Ingie si sentiva davvero fortunata
a far parte di quel nucleo.
Una volta entrati in
sala, scorsero Roy seduto sul parquet, con la schiena poggiata
all'enorme specchio che copriva l'intera parete, in attesa.
“Ciao, Roy, scusa.”
disse Ingie non appena i loro sguardi si incrociarono e lui, in
risposta, le sorrise tranquillo.
“Sedetevi, vi devo
parlare.” annunciò, di umore incredibilmente sereno. I ragazzi si
sedettero in cerchio, davanti a lui, curiosi di sapere cosa stesse
loro per comunicare. “Come sapete, ho spedito dei video con le
nostre coreografie fuori America. Qui siamo molto conosciuti ma
all'estero, per forza di cose, meno. Ieri ho ricevuto una mail dalla
Germania.” Ingie percepì i propri muscoli irrigidirsi, in una
spontanea reazione. “Non so se siate a conoscenza di un Talent
tedesco, DSDS, ma probabilmente no.” Le facce spaesate ed
interrogative gli suggerirono che nessuno sapesse di cosa stesse
parlando. Ingie, dal suo canto, aveva sentito un forte brivido lungo
la colonna vertebrale al suono di quel nome, poiché qualcosa le
diceva che non le era del tutto nuovo. Cercò di frugare nei cassetti
della memoria e capire da dove poterlo recuperare ma ancora nulla le
giunse in aiuto. “In poche parole, il sedici Marzo andrà in onda
il primo Live con tutti i concorrenti e le loro esibizioni. Vi
vorrebbero come corpo di ballo.” Il brusio che si levò in sala
fece sorridere Roy, il quale si prese un momento di pausa per
osservare le loro reazioni. Ingie fu, a primo impatto, piacevolmente
sorpresa e pensò che fosse una notizia molto positiva per la
compagnia, ma il nome di quel programma continuava a suggerirle
qualcosa di ignoto, che la rendeva un tantino agitata. “Io credo
che sia un buon inizio per farsi conoscere anche all'estero ma ho
voluto prima parlarvene per sapere che ne pensate. Tanto la decisione
finale è comunque mia.”
Quell'ultima
affermazione suscitò lievi risate, fino a che tutti non tornarono
seri, pronti a fare domande.
“Quindi come
funzionerebbe tutto quanto?” fu la prima, posta da Milo.
“Il Live si
svolgerà ogni sabato sera. Il contratto richiede disponibilità fino
al diciotto Maggio, quindi si tratterebbe di un soggiorno di quasi
tre mesi a Cologne. Vitto e alloggio pagati.” spiegò il
coreografo.
“Noi dovremmo ballare
durante le esibizioni dei concorrenti?” intervenne Page.
“Sì, a volte insieme,
a volte da solisti, altre a gruppo dimezzato. Insomma, è molto
libera come cosa.”
“Le coreografie, le
prepari sempre tu?” chiese a quel punto Sid.
“Certo.” annuì il
trentenne. “Allora, che ne dite?”
“Beh, io dico che è
una gran, bella idea.” sorrise Ty. “Più ci facciamo conoscere,
meglio è.”
“Quando dovremmo
partire?” si informò di nuovo Page.
“Considerando che il
primo Live si svolgerà il sedici e che ci occorre almeno una
settimana per preparare le coreografie, direi che massimo il sette
Marzo dobbiamo essere in Germania. Anche perché dobbiamo discutere
le varie cose, dare un'occhiata allo studio, capire come funziona
tutto quanto, dove siamo...” Ingie pensò immediatamente a Luke e
sperò con tutto il cuore che non si opponesse a tale decisione;
solitamente era d'accordo con ogni suo impegno con la compagnia ma
capitava, a volte, che reclamasse i suoi diritti di fidanzato,
come li definiva lui. “Bene, allora, oggi darò la conferma. Ora
iniziamo a lavorare.”
***
Aveva un disperato
bisogno di buttarsi sotto il getto caldo della doccia.
Quando scese dalla sua
macchina, si affrettò ad aprire la porta di casa; i muscoli
imploravano riposo, vista la mole di lavoro cui ultimamente li stava
sottoponendo. Era mezzogiorno e mezza e la fame reclamava – anche
lei, come Luke – i suoi diritti. Gettò le scarpe in corridoio,
senza curarsi di ordinarle in un angolo, ed entrò in cucina da dove
recuperò una brioche alla crema.
Se Roy mi vedesse,
farebbe diventare me una farcitura.
Addentò la brioche,
quasi con foga, e si incamminò nuovamente verso il corridoio, con le
guance gonfie. All'improvviso però, impuntò sui propri piedi, non
appena Luke le apparve di fronte, inaspettatamente.
“Lu...!” esclamò a
bocca piena, cercando al contempo di masticare ed ingoiare sotto lo
sguardo estremamente divertito del ragazzo.
“Fame?” le chiese
ironico, con un sopracciglio sollevato.
Ingie quasi si strozzò
per ingoiare le prove.
“No.” borbottò,
facendolo ridacchiare. Le si avvicinò, circondandole la vita con le
braccia, intenzionato a stringerla a sé con fare volutamente
sensuale. “Devo farmi una doccia, puzzo.” lo mise in guardia,
portandogli nel frattempo le mani al petto, con l'intento di
allontanarlo.
“Ho sopportato di
peggio.” sorrise lui, guadagnandosi un pugno sul braccio in
risposta, prima di riuscire a baciarla sulle labbra ancora dolci.
“Non sono andato via perché volevo pranzare con te.” le disse
poi con dolcezza, mentre la lasciava andare.
Ingie avrebbe dovuto
mettere in chiaro alcune cose riguardo quella sua insistente presenza
in casa sua; non che le dispiacesse passare del tempo insieme, ma
quando aveva acquistato quell'appartamento, l'aveva fatto per
appropriarsi dei suoi spazi vitali e non dover dipendere da nessuno.
Luke, come era ovvio, trascorreva molto tempo con lei e passava
spesso le notti nel suo letto, ma accadeva anche che pretendesse –
senza palesarlo – di mangiare insieme ad ogni ora, trasformando
quella sorta di compagnia nel principio di una spaventosa convivenza.
Il solo nome la faceva rabbrividire, contrariata. Aveva ventuno anni
e fra i suoi progetti di vita, non vi era nulla che potesse rimandare
a quel concetto così seccante.
“Io invece ho una
novità da darti, riguardante la compagnia. Faccio la doccia e poi te
ne parlo.” gli riferì camminando nel frattempo in direzione del
bagno.
“Sai, anche io mi devo
lavare.”
Ingie sorrise divertita.
“Vorrà dire che
aspetterai il tuo turno.” ribatté, vipera, per poi chiudergli la
porta in faccia.
Con un sospiro, estrasse
il cellulare dalla tasca dei jeans. Quell'enorme dubbio le stava
bruciando ogni neurone, uno ad uno, e finché non avesse scoperto se
il suo sospetto fosse fondato o meno, sapeva che non vi avrebbe
nemmeno dormito.
Amanda, come hai
detto che si chiama il nuovo programma cui Tom e Bill stanno
partecipando, in Germania?
Premette invio senza
pensare un attimo di più. Di lei si poteva fidare.
La doccia durò più del
previsto e si chiese se Luke l'avesse data per morta o si fosse
semplicemente rassegnato alle sue tempistiche. Avvolta
nell'accappatoio, diede un'occhiata al telefono – ancora privo di
risposta – ed uscì dal bagno.
Luke stava servendo a
tavola due piatti pieni di pasta.
“Mmh!” sorrise lei
con l'acquolina. “Ci voleva un bel piattone di pasta.” commentò
con soddisfazione, mentre percepiva il proprio stomaco brontolare
eccitato.
“Dopo una brioche alla
crema.” la prese in giro lui.
“Zitto, faccio tanto
movimento.” ribatté la mora fintamente offesa, per poi portarsi
alla bocca la prima forchettata.
“Buon appetito.”
fece Luke con sarcasmo, sedendosi a tavola, di fronte a lei. “Certo
che è sempre un piacere vederti mangiare.” ridacchiò inaugurando
anche lui il pranzetto con il primo, consistente boccone. Doveva
ammettere che se la cavasse egregiamente in cucina; spesso, al suo
ritorno, le faceva trovare ottimi pranzetti o cenette che suscitavano
in lei un delizioso languorino, pur nella loro semplicità. “Allora,
che mi dovevi dire?” le sorrise dopo qualche istante in cui
entrambi si erano immersi completamente nel cibo.
“Oh.” fece Ingie,
come illuminata, dopo essersi portata il tovagliolo alle labbra.
“Ricordi che da un po' di tempo Roy aveva spedito dei video
all'estero?” domandò ed attese il suo assenso con il capo. “Beh,
pare che abbia ricevuto una risposta dalla Germania.” Gli lanciò
un'occhiata per scorgere una sua reazione, visto e considerato che
anche per lui il discorso Germania era piuttosto delicato. “Ci
vorrebbero come corpo di ballo per un Talent a Cologne.” Fece una
pausa, scorgendo le sue sopracciglia inarcarsi con sorpresa. “E
dovremmo partire entro il sette Marzo, per una permanenza di circa
tre mesi. Vitto e alloggio pagati.”
Adesso urla, si
disse nella mente. Attendeva quasi con ansia il suo responso – che
a poco sarebbe servito, dato che Roy aveva già firmato le carte –
senza proferire parola.
“Beh...” esordì lui
dopo essersi schiarito la gola. “Complimenti.” le sorrise poi,
contro ogni previsione.
Ingie, dal suo canto,
aggrottò la fronte decisamente sbalordita da quella risposta.
“Non sei arrabbiato?”
le venne spontaneo domandare, sentendosi per un momento stupida.
“Perché dovrei
esserlo? È il tuo sogno.” ribatté lui con una scrollata di
spalle, come fosse la cosa più semplice del mondo e la mora si sentì
estremamente grata. “Non potrò stare a Cologne per tutti e tre i
mesi ma posso fare avanti e indietro un paio di volte.” Ingie annuì
appena. L'aveva immaginato fin da subito, lui avrebbe avuto problemi
con il lavoro, ma – conoscendolo – avrebbe in ogni caso trovato
il modo di raggiungerla il più spesso possibile. “Sono contento,
Ingie. Davvero. Ve lo meritate.” le sorrise poi, sollevandosi dalla
sedia per raggiungerla dall'altro lato del tavolo, dove le prese il
mento con le dita e le sfiorò le labbra con le sue. Lei gli portò
le braccia attorno al collo e si lasciò stringere per qualche
secondo, fino a che non tornarono a sedersi al loro posto.
Ingie cominciava a
percepire l'adrenalina nelle vene, quella vera, quella che provava
ogni qual volta le sue scarpe calpestassero un palco e le sue
orecchie si beassero degli applausi e delle urla del pubblico ad una
loro acrobazia. Il ballo era la sua vita; l'aveva sempre saputo ma
ultimamente stava realizzando quanto fosse indispensabile, quasi
vitale nella sua esistenza. E se vi era una sola persona che doveva
ringraziare al mondo per la piega che la sua vita aveva preso – dal
punto di vista lavorativo – quella era in Germania, lontana da lei,
sia fisicamente che mentalmente. Avrebbe tanto desiderato condividere
quelle belle notizie con Tom, così come avrebbe desiderato
trascorrere le sue giornate e le sue nottate con lui ed il solo
pensiero le impediva di sollevare lo sguardo su Luke; ancora una
volta si sentiva una traditrice. Eppure, stava facendo di tutto per
andare avanti e mantenere saldo quel rapporto perché teneva
particolarmente al biondo, nonostante non ne fosse innamorata come
una volta.
All'improvviso, il suo
cellulare segnalò l'avviso di un messaggio in arrivo ed il cuore le
fece un balzo in petto. Il pensiero che potesse essere Amanda la
agitò e non era sicura di voler leggere la risposta alla sua
domanda. Senza che Luke lo notasse, deglutì un paio di volte e con
mano tremante afferrò l'I-Phone che il chitarrista le aveva regalato
per Natale. Bruciava a contatto con la sua pelle.
Forza, si disse.
Aprì la cartella ed il mondo parve crollarle di nuovo addosso, come
in quella lontana giornata di Luglio. I suoi occhi lessero più e più
volte quella sigla, chiedendosi se fosse un incubo o meno.
DSDS
Quello era un dettaglio
che Luke non era costretto a sapere.
-------------------------------
Eccomi qua, come
promesso, con il sequel di Coming Home. Che dire, io spero di
ritrovare tutte le persone che avevano seguito la storia precedente e
di trovarne anche di nuove. Il primo capitolo, in quanto tale, ho
dovuto renderlo molto descrittivo, perché era necessario per
spiegare la situazione attuale e presentare i nuovi personaggi, i
quali avranno tutti dei ruoli – chi più chi meno – non
insignificanti. Spero comunque non sia stato noioso. Vi aspettavate
un cambiamento simile? Vi ho sorpreso o è andato tutto secondo le
vostre ipotesi? Spero che come inizio vi “intrighi” e che mi
facciate sapere che ne pensate; ormai sapete quanto io tenga a
conoscere i vostri pareri personali (:
Niente, detto questo, vi
lascio e spero che intraprendiate questo “nuovo percorso” assieme
a me (:
Un bacione a tutti.
Kyra.
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Capitolo 2 *** What hurts the most ***
aa
Two
What hurts the most
Chiudere la valigia era
stata un'impresa, così come fare una giusta selezione
d'abbigliamento che potesse soddisfare la sua permanenza a Cologne.
Le sembrava di aver
riavvolto il tempo fino alla sua fuga in Germania; tutto pareva così
strano e confuso, mentre l'agitazione era ciò che più le faceva
compagnia in quei giorni.
Non aveva ancora trovato
il coraggio di riferire a Luke la presenza di Tom nel programma e non
era nemmeno intenzionata a farlo; avrebbe dovuto giustificare una
miriade di informazioni che Amanda ancora le dava sul chitarrista e
non era di certo un'idea brillante. In quella settimana, aveva
dedicato ore a parlare con la fidanzata di David, a confidarle le
proprie paure, a chiederle consigli su come sarebbe stato meglio
comportarsi con i ragazzi ma non aveva saputo darle risposte certe.
Attraverso l'oblò,
osservò l'oceano che si estendeva suggestivo sotto di lei e ricordò
come si era sentita la prima volta che l'aveva fatto. Ricordava
l'incredulità, il dolore profondo che l'aveva tormentata dalla notte
dell'incidente. Sembrava trascorso un decennio, in cui la sua vita
aveva subito numerosi cambiamenti, alcuni insignificanti, altri
radicali. Non si sentiva più la ragazza indifesa che era atterrata a
Berlino tempo addietro, senza una meta, nel bel mezzo di una crisi di
identità. Forse non era maturata, ma aveva cercato di affrontare i
suoi problemi in modo diverso, per quanti errori continuasse a
commettere.
Luke, al suo fianco,
leggeva tranquillo una rivista sportiva mentre i suoi compagni di
ballo producevano un gran baccano, attorno. Nessuno di loro era al
corrente della sua esperienza tedesca, soprattutto della vicenda che
vedeva protagonista il famoso Tom Kaulitz che tutti conoscevano.
Aveva preferito non parlarne con nessuno per evitare imbarazzi,
domande inopportune e spiegazioni che non aveva né il tempo né la
voglia di concedere.
Improvvisamente, la mano
di Luke si strinse alla sua.
“Allora, sei agitata?”
le domandò con un piccolo sorriso che lei non esitò a ricambiare.
“Non eccessivamente.”
mentì. “Più che altro, emozionata.” aggiunse, tornando ad
osservare il blu marino al di là del vetro. “È un'esperienza
nuova per tutti.”
“E ve la caverete
benissimo.”
Ingie chiuse gli occhi
distendendo appena le labbra.
Era grata a Luke per la
sua vicinanza; l'aveva sempre sostenuta ed affiancata nei suoi
impegni e si stava rivelando un fidanzato tremendamente premuroso ed
incoraggiante. Era convinta che buona parte dell'intero mondo
femminile avrebbe ucciso per vantare di un ragazzo simile ed il fatto
che lei non riuscisse a ricambiare pienamente il suo amore la faceva
sentire ancora più indegna di tanto riguardo.
Tuttavia, il bene che
gli voleva era incommensurabile.
“Grazie.” mormorò,
prima di sfiorarlo con un bacio.
Il viaggio fu
interminabile ma, nonostante il sonno minacciasse di disconnetterla
dal mondo reale, non chiuse gli occhi nemmeno per un momento.
“Finalmente!”
esclamò Page alle sue spalle non appena l'aereo toccò il suolo
tedesco. “Ho bisogno di un bel bagno caldo.” cantilenò come suo
solito, facendole scuotere lievemente la testa, divertita.
Anche lei era
accompagnata dal suo fidanzato, un tipo gracile e particolarmente
timido di nome Anthony; era il classico ragazzo che nessuno avrebbe
mai immaginato accanto a lei, così viziata e perfezionista.
Nel giro di un'ora
raggiunsero l'hotel che li avrebbe ospitati fino al termine del
programma. Il lusso che li accolse li destabilizzò per un attimo ed
Ingie ringraziò il cielo di non dover pagare per quel comfort.
Purtroppo però, non poterono godere di quella visione ancora a
lungo, poiché vennero immediatamente accompagnati allo studio –
dove si sarebbero tenute le riprese – subito dopo aver posato le
valigie nelle stanze.
Non appena varcarono
l'ingresso, tutti rimasero a bocca aperta. Ingie si sentì quasi
spaesata da tanta grandezza; non aveva mai avuto occasione di ballare
in un spazio simile e soprattutto davanti ad un pubblico così vasto,
benché le sedie fossero vuote. Si voltò in direzione dei suoi
compagni, come per trovare un sostegno morale, e questi sorrisero
sinceramente emozionati. Luke era rimasto in albergo e le dispiacque
non averlo accanto in quel momento, per quanto stupido potesse
sembrare.
“Beh, abbiamo senza
dubbio spazio.” ridacchiò Roy, camminando per quel palco così
immenso. “Usciranno fuori delle belle cose.” sorrise poi,
sovrappensiero.
Il tecnico continuava a
mostrare loro – in un inglese ben masticato – ogni singolo angolo
di quello studio che sembrava non avere mai fine ed Ingie non poteva
fare a meno di percepire l'adrenalina nelle vene, come avesse dovuto
ballare quella sera stessa.
Mancavano nove giorni.
Nove giorni a l'avrebbe rivisto.
La paura si era
improvvisamente mescolata ad un'inaspettata eccitazione che le smorzò
per poco il fiato. Si chiedeva se fosse cambiato, se stesse bene; si
chiedeva cosa ne avesse fatto della sua vita. Ma soprattutto, si
chiedeva se fosse riuscito a dimenticarla. La parte più egoistica di
lei sperava di no, ma quella razionale spingeva verso tutt'altra
direzione.
“Da questa parte.”
Tedesco.
Udì quella voce lontana
che catturò per un momento la sua attenzione, così voltò il viso
verso l'ingresso dove scorse un altro tecnico, seguito da quattro
sagome alte e slanciate.
Temette di soffocare
all'improvviso.
Due occhi nocciola.
Due occhi nocciola che furono due lame conficcate nella schiena.
Tom e Bill avevano fatto
capolino nello studio, accompagnati da un uomo calvo ed uno un po'
più basso, che pareva di mezza età. Non si erano ancora accorti
della sua presenza, poiché non avevano fatto caso al gruppo di
ballerini che avevano preso a fissarli come cavie da laboratorio.
Mi sento male,
continuava a ripetersi nella testa. Era spaventata; non aveva creduto
possibile provare ancora sulla pelle tali sensazioni incontenibili.
Per mesi aveva convinto se stessa di aver voltato definitivamente
pagina. Era stata un'illusione; una splendida illusione in cui si era
crogiolata ed aveva trovato sollievo per un attimo. Lui era lì,
davanti a lei, più bello di come lo ricordasse, a sbatterle in
faccia una realtà che faceva male e che non voleva ammettere.
“Ah, eccovi.” fece
l'uomo con la compagnia, non appena vide i ragazzi. “Stavo giusto
mostrando lo studio ai nostri ballerini.”
Fu in quel preciso
istante in cui tutto attorno a loro parve sparire.
Tom la vide. I suoi
occhi si erano sgranati appena e la sua bocca si era lievemente
aperta in un'espressione incredula. Ingie non era riuscita a
distogliere il proprio sguardo da lui, che sembrava scioccato quanto
lei.
I rasta erano spariti ed
avevano lasciato il posto a lisci capelli scuri, legati in una coda,
tra cui spiccava ancora qualche piccolo dread, ed Ingie non
poté fare a meno di pensare a quanto fosse stupendo.
Bill, al suo fianco,
dopo un breve momento di esitazione aveva immediatamente gettato le
iridi castane sul fratello, come per assicurarsi che stesse bene.
“Oh mio Dio, non ci
posso credere!” esclamò all'improvviso Adam, battendo eccitato le
mani e prendendo a saltellare istericamente in direzione dei ragazzi,
con le sue tipiche movenze effeminate. “Per me è un grandissimo
piacere conoscervi!” strillò, stringendo la mano di Bill – che
ricambiò un sorriso sorpreso – e poi quella di Tom, che cercò di
fare lo stesso.
“Piacere nostro.”
rispose il vocalist in inglese.
Ingie conosceva la
passione smisurata di Adam per i Tokio Hotel e poteva perfettamente
comprendere quanto per lui fosse emozionante avere i propri idoli
davanti agli occhi.
L'uomo calvo si presentò
come Mateo, mentre quello di mezza età come Dieter. Dovevano essere
molto conosciuti in Germania, benché non avesse mai sentito
nominarli prima di allora.
“Questa è la nostra
giuria.” spiegò il tecnico, indicando Tom, Bill, Mateo e Dieter.
Al loro avvicinarsi,
Ingie credette di morire. Mateo e Dieter le strinsero la mano con un
gran sorriso, passando poi ai suoi compagni, ma quando arrivò il
turno di Bill, fece fatica a guardarlo.
Non un sorriso, non un
cenno di amicizia. Nulla.
La osservò negli occhi
terribilmente serio e le strinse la mano come non la conoscesse.
Combatté con tutte le sue forze contro il magone che minacciava di
smascherarla per l'ennesima volta e prese un bel respiro quando vide
Tom avvicinarsi.
“Piacere.” mormorò
lui freddamente, stringendole la mano.
Quella pelle calda,
quelle dita sottili ma forti.
Fu troppo per lei.
Quella finzione faceva ancora più male di un pugno in pieno viso. Si
sentiva così in colpa nei loro confronti che avrebbe tanto voluto
scavare una fossa proprio lì, dove sostava, e sparire per evitare i
loro sguardi pieni di rancore.
“Venite, vi faccio
vedere le vostre postazioni.” parlò il tecnico ai ragazzi in un
tedesco che solo Ingie comprese, fra i suoi compagni.
Quando si allontanarono
trasse un sospiro di sollievo, nonostante potesse comunque udirli
alle sue spalle.
“Dunque, per le
coreografie potremmo utilizzare anche questo spazio.” esordì Roy,
prendendo a camminare lungo la piattaforma e ad indicare tutto ciò
cui si riferisse, ma il cervello di Ingie aveva smesso di funzionare
nell'istante in cui il suo sguardo aveva incontrato quello del
chitarrista.
***
“Cosa cazzo fa qui?!”
Non appena ebbe occasione di varcare la soglia del suo camerino,
diede libero sfogo alla rabbia, all'incredulità, al dolore che
l'avevano afflitto fino a quell'istante. “Perché?! Perché la devo
trovare anche qui?!” continuò ad urlare fuori di sé, mentre Bill
chiudeva la porta alle sue spalle.
“Tom, calmati.” gli
intimò, sfiorandogli un braccio con una mano, dalla quale si
ritrasse come scottato.
“No, non posso
calmarmi, Bill!” continuò a gesticolare disperato. “Io non posso
continuare a vivere così, Cristo! Uno cerca di andare avanti, di
dimenticare ciò che è stato, di smettere di pensare alla persona
che gli ha fatto più male e questa si ripresenta come un cazzo di
incubo!”
Tirò un colpo violento
alla lampada sul tavolino che cadde a terra, frantumandosi in mille
pezzetti di vetro.
“Tom!” esclamò il
vocalist, afferrandolo per le spalle. “Calmati, ti prego!”
Faceva male, faceva
disperatamene male. Incrociare i suoi occhi dopo tutti quei mesi era
stato come gettarsi da un grattacielo senza paracadute. Quegli occhi
castani che l'avevano fatto innamorare e soffrire, quella bocca
morbida che aveva più volte baciato, quella pelle liscia che aveva
sfiorato e vezzeggiato. Tutto di lei gli provocava dolore; il suo più
grande desiderio era stato dimenticarla, gettarsela alle spalle come
un vecchio cappello consunto. Ed ora, il pensiero di dover
condividere nuovamente qualcosa con lei, per ben tre mesi, era
insopportabile ed ingiusto.
“Io non posso farlo,
Bill! Non posso!” Si prese la testa fra le mani, premendosi le
tempie fino a farsi male.
“Cosa? Tom, non puoi
tirarti indietro proprio ora!” Suo fratello corse in suo aiuto,
afferrandogli le mani e stringendole fra le sue. “Tom, ascoltami.”
Lo fissò negli occhi con una serietà che quasi gli fece paura. “Hai
superato la storia con Ria. Ce la farai anche con Ingie.”
“No, Bill, tutto
questo è assurdo!” urlò di nuovo il chitarrista, tirando un pugno
sul tavolo. Voleva farsi del male, voleva provare un dolore che
superasse quello causato da lei, perché gli sembrava così ingiusto,
così immeritato. Tutta quella frustrazione che lo tormentava non era
nemmeno all'altezza di Ingie. “È un incubo, un fottuto incubo.
Vive dall'altra parte del mondo e me la ritrovo di nuovo in
Germania.”
Rise nervosamente,
portandosi un pugno tremante alle labbra. Sentiva che sarebbe
impazzito o forse lo stava già facendo.
“Tom, siediti.” A
quella richiesta stanca da parte di Bill non rispose ma fece come gli
aveva chiesto, trovando posto sul divanetto dove avevano buttato le
loro giacche, appena arrivati. Il cantante lo affiancò. “Dimenticati
di Ingie per un momento.” mormorò e Tom lo fulminò con lo
sguardo. “Lo so, che è impensabile, ma fallo.” precisò l'ormai
biondo, dai capelli lunghi, senza allontanare la propria mano dalla
sua spalla. Con un sospiro esausto, Tom indietreggiò con la schiena,
fino a poggiare la testa sullo schienale del divano. Chiuse gli
occhi, cercando di depennare dalla sua memoria il nome della ragazza
ma sembrò impossibile. “Forse questo incontro ti farà bene. Il
fatto che tu sia tornato in Germania in quel modo non ti ha aiutato.
Forse vederla di nuovo, affrontare le tue debolezze ti aiuterà a
metterci una pietra sopra in modo definitivo. Ora ti parrà assurdo e
contorto, ma pensaci.”
Tom si prese qualche
attimo prima di rispondere.
“Mi sembra inutile.”
sussurrò fra i denti.
“Lo so.” annuì il
gemello, mantenendo vivo il loro contatto come per supportarlo e
dargli un aiuto nel sostenere quel peso enorme sul cuore. “Ma prova
a vederla come una sorta di possibilità piuttosto che come un brutto
scherzo del destino.”
Suo fratello, come
sempre, aveva ragione. Gli sarebbe piaciuto poter accantonare
l'istinto ed abbracciare tutta la razionalità di cui disponeva per
ovviare a quella situazione. Il suo coinvolgimento, ancora così
bruciante, rappresentava un ostacolo che pareva insormontabile.
L'amava ancora; quella era l'enorme, irrimediabile verità.
“Vorrei poter mettere
un'enorme croce sopra al suo viso.” ammise, quasi in imbarazzo,
senza sollevare le palpebre. Ormai, si trovava bene in quel buio. Il
non vedere, tante volte, leniva parzialmente una sofferenza.
“Ci riuscirai.” udì
la voce dolce di Bill entrargli nella mente, come un'ipnosi, e per la
prima volta desiderò sul serio perdere il contatto con la realtà,
solo per un minuto.
Lui, che viveva di
controllo.
***
Quando entrò in camera,
udì lo scroscio dell'acqua provenire dal bagno e dedusse che Luke si
stesse facendo una doccia. Anche lei aveva bisogno di lavarsi; non ne
aveva avuto occasione da quando era atterrata in Germania.
Lanciò la borsa in un
angolo della stanza e si gettò pesantemente sul letto matrimoniale,
rimbalzando un paio di volte prima di stabilizzarsi con lo sguardo
fisso al soffitto e la mente affollata di pensieri.
Era successo tutto
talmente in fretta che non aveva nemmeno fatto in tempo a rendersene
conto. Quelle forti sensazioni provate nel rivederlo l'avevano
turbata, ma un piccolo sollievo l'aveva fatta sorridere nel
realizzarsi pronta ad accettare quella sorta di sfida con se stessa.
Aveva imparato a vivere senza di lui, aveva imparato ad accantonare
il dolore, era cresciuta; ora doveva solamente dimostrarlo. E
nonostante l'indifferenza dei gemelli fosse ancora nitida nella sua
mente, cercò di scacciarla.
“Eccoti.” Non appena
si voltò, vide un Luke sorridente avvicinarlesi ancora bagnato e con
un asciugamano legato in vita. Le goccioline stanziavano sulle sue
spalle larghe, cosa che non la lasciò del tutto indifferente.
“Allora, com'è questo studio?” le domandò entusiasta e curioso.
“Sicuro che tu lo
voglia sapere?” ribatté lei con la malizia negli occhi, mentre si
alzava dal letto per avvicinarglisi suadente.
Il ragazzo sollevò un
sopracciglio, confuso.
“Perché?” chiese.
“Perché io avrei in
mente altro.” mormorò vicina al suo orecchio.
“Ingie.” ridacchiò
il biondo, portandole le mani alle braccia. “Questa tua audacia, a
volte, è destabilizzante.”
La mora sorrise,
sfiorandogli il collo con le labbra.
“Ti dispiace?”
soffiò posando poi un bacio leggero sulla sua pelle umida.
“Assolutamente no.”
Scoppiò a ridere, non
appena la afferrò come un sacco di patate per poi gettarla
nuovamente sul letto, dove la sovrastò con tutto il suo corpo.
Una distrazione, ecco di
cosa aveva bisogno.
***
La doccia l'aveva
finalmente rigenerata ed un lieve buonumore aveva preso il posto
dello stress.
Camminava lungo il
corridoio dell'hotel senza una meta; Luke si era addormentato come un
bambino, come avesse partecipato alla maratona del secolo. Sghignazzò
appena, a quel pensiero.
“Ingie.” Davanti a
lei, Ty aveva appena chiuso la porta della sua stanza con un
pacchetto di sigarette in mano. “Vieni giù a fumarti una
sigaretta?” le propose.
“Me la devi offrire.”
sorrise lei, per poi affiancarlo e scendere le scale. “Perché non
hai portato Jane?” gli domandò quindi, lungo il tragitto.
Jane era la sua
fidanzata storica con la quale – lo sapeva – non aveva un
rapporto stabile, bensì caratterizzato di alti e bassi cui nessuno
dei due riusciva a porre fine.
Il ragazzo scrollò le
spalle, affranto.
“Lo sai, con lei le
cose sono strane. Non ricordo un solo giorno di pace, in cinque
anni.” borbottò con la voglia di vivere di uno zombie. Sembrava
distrutto; l'amore smisurato che provava per quella ragazza era
invidiabile.
“Ma sono pur sempre
cinque anni.” sottolineò lei. Il pensiero che si potessero
lasciare la turbava.
“Sì, sarà che non
riusciamo a starci lontani perché siamo sadici e masochisti.”
ironizzò lui facendola ridacchiare appena.
Raggiunsero il giardino
sul retro e sorrisero non appena trovarono tutti i loro compagni –
eccetto Page, probabilmente occupata con Anthony, in camera sua.
“Ingie, la prossima
volta, richiederemo per te una stanza insonorizzata. Per quanto possa
essere eccitante sentire una donna fare sesso, vorrei togliermi dalla
testa l'immagine di te e Luke che ci date dentro.” esordì Sid, con
il suo solito tatto, mentre le scoccava un'occhiata che avrebbe messo
a disagio la perversione personificata.
Ormai era abituata a
quelle sue uscite – tutte a sfondo sessuale – perciò non si
scompose minimamente.
“Cambia repertorio,
Sid. Questa è vecchia.” lo prese in giro con un sorriso per poi
portarsi alla bocca la sigaretta gentilmente offertale da Ty. “Vai
ad ascoltare Page ed Anthony, credo sia il loro turno.” continuò a
scherzare mentre l'accendeva, suscitando qualche risata attorno a
lei.
“No, Anthony mi sa di
ragazzo troppo tranquillo. Non ci sarebbe gusto.” ribatté il moro
con un'alzata di spalle.
“Potrebbe essere il
tipo di Adam.” intervenne Keri con un mezzo sorriso mentre il
ragazzo in questione prendeva ad arrossire.
“Beh, poteva esserlo
prima di vedere i gemelli Kaulitz dal vivo.” esordì, dopo aver
buttato fuori dalle labbra del fumo. “Con loro andrei volentieri.”
Ingie tentò di non
strozzarsi con la propria saliva a quell'ammissione. Non sapeva se
ridere o incupirsi ma escluse entrambe le opzioni. Di certo, Adam non
poteva sapere quanto Tom e Bill Kaulitz fossero eterosessuali e se si
fosse cimentato in una sorta di impresa per sedurli, avrebbero
assistito allo spettacolo più divertente degli ultimi anni.
“Effettivamente sono
bellissimi ragazzi.” annuì Keri.
Ingie ignorò la lieve
fitta di fastidio, così inaspettata, allo stomaco e pensò
immediatamente a qualcosa di efficace per cambiare discorso.
Continuare a parlare dei gemelli non l'aiutava a dimenticare ciò che
era successo pochi istanti prima.
“Keri, che fine ha
fatto quel ragazzo con cui ti sentivi?” domandò, curiosa.
Voleva molto bene a Keri
– forse perché diciannovenne ed incredibilmente timida – e le
veniva spontaneo preoccuparsi per lei, quando necessario.
La biondina scrollò
lievemente le spalle, con le gote arrossate.
“Non è successo
nulla.” ammise impacciata. “Non riusciva a prendermi
mentalmente.”
Un'altra cosa che
apprezzava di quella ragazza era la sua serietà; non si comportava
come la maggior parte dell'universo femminile, che cedeva alla minima
moina di un bel tipo e vi si concedeva senza nemmeno riflettere. Lei
pretendeva di più e faceva bene. Per Keri, Ingie aveva sempre visto
un bravo ragazzo come Milo, il più piccolo, e non nascondeva di
tifare per quella coppia, vista anche la passione smisurata che lui –
ormai lo sapevano tutti – nutriva per lei. Sarebbero stati perfetti
l'uno per l'altra ma Keri sembrava nemmeno vederlo, se non come
amico.
All'improvviso, lo
scricchiolio prodotto da quelle che sembravano ruote su sassolini
catturò la loro attenzione, portandoli a cercarne con lo sguardo la
provenienza. Un'enorme macchina nera, dai vetri oscurati, aveva
appena trovato parcheggio riservato nel vialetto dell'albergo. Le
portiere si aprirono contemporaneamente e due figure scesero assieme.
Ditemi che non è
vero, fu tutto ciò cui riuscì a pensare Ingie mentre le mani
prendevano a tremare, minacciando di far cadere a terra la sigaretta
a metà. Lo strillo contenuto di Adam fu la conferma che i ragazzi
che si stavano avvicinando all'entrata dell'hotel erano Tom e Bill.
Entrambi sembrarono
accorgersi solo in quel momento della sua presenza e ciò li portò a
rallentare repentinamente l'andamento, come increduli.
“Anche voi qui?”
esclamò Adam entusiasta.
Ingie sperò con tutto
il cuore che si trovassero lì solo momentaneamente, ma un brutto
presentimento le suggeriva che la sua vita non poteva essere così
semplice.
“Sì, alloggiamo in
questo albergo.” rispose Bill con la sua solita gentilezza.
Avrebbe dovuto
immaginare che tutti i partecipanti al programma fossero sistemati
nello stesso hotel.
“Ma è fantastico!”
si lasciò sfuggire il moro, battendo nuovamente le mani. “Perché
non vi fumate una sigaretta con noi?”
Ingie fu terribilmente
tentata di lanciarsi contro Adam e farlo tacere ma scelse di
mantenere quel suo atteggiamento del tutto tranquillo e distaccato,
accompagnato dalla sigaretta quasi terminata.
“A dire il vero,
saremmo un po' stanchi.” rispose cordialmente Tom, nonostante
potesse facilmente scorgere i suoi muscoli contratti. Ormai, aveva
imparato a conoscerlo e sapeva quale aspetto assumesse quando si
sentiva a disagio.
“Ma dai, una sigaretta
sola.” intervenne Milo per la prima volta con un piccolo sorriso.
I due si scambiarono
un'occhiata veloce per poi arrendersi e recuperare i loro pacchetti
dalle tasche posteriori dei jeans.
La tensione fra lei ed i
gemelli si poteva tagliare con il coltello, ma i suoi compagni non
sembrarono accorgersi di nulla, il che era positivo; non era per
nulla intenzionata a dare spiegazioni.
“Georg e Gustav?” si
informò immediatamente Adam, da bravo fan della band.
“Verranno a trovarci
nei prossimi giorni. Ma non si fermeranno.” rispose Tom, dopo la
prima boccata di fumo.
Ingie ricordava
perfettamente quanto le piacesse osservare il chitarrista quando
fumava; si lasciava guidare da quei movimenti lenti, eleganti ma
mascolini al tempo stesso. Le labbra carnose che si chiudevano
attorno al filtro, mantenuto dalle dita lunghe e sottili. Si era
sempre sentita stupida per quella sua debolezza, ma non era mai
riuscita a farne a meno.
Non le sfuggirono i
rapidi sguardi che il moro, di tanto in tanto, le lanciava, come non
fosse in grado di staccarle gli occhi di dosso. Il problema era che
nemmeno lei vi riusciva.
“Ti piacciono le
nostre canzoni?” sorrise Bill ad Adam, il quale parve arrossire.
“Le adoro. Non ho mai
partecipato ad un vostro concerto solo perché sono di New York.”
rispose ancora emozionato.
Ingie non poté fare a
meno di sorridere appena, a tale visione. La tenerezza che a volte
esternava il ragazzo era coinvolgente.
“Hai buon gusto.”
commentò Tom con la solita furbizia negli occhi.
Perlomeno, era contenta
di leggervi ancora quella sfumatura spensierata.
“Avevo chiesto ad
Ingie di venire con me, qualche mese fa, ma non ha voluto.”
borbottò ancora Adam, gonfiando le guance con aria offesa.
La mora lo maledì
mentalmente ma si impegnò con ogni forza per non esternare la più
piccola emozione. Tom, al contrario, la osservò fintamente sorpreso.
“Come mai? Troppo
lontano?” le domandò con sarcasmo, facendola rabbrividire. “Hai
ragione, non tutti sono disposti a buttare tredici ore di volo.”
La frecciatina le era
arrivata forte e chiara; aveva sentito una piccola fitta all'altezza
del petto, mescolata a lieve irritazione. Sapeva che alludeva a ciò
che aveva fatto per lei quasi un anno prima ma che avesse parlato
davanti agli altri – inconsapevoli di tutto – l'aveva urtata.
“Siete tutti di New
York?” domandò Bill, come per porre subito fine all'impaccio che
si era inevitabilmente venuto a creare.
“Io sono di Los
Angeles ma mi sono trasferita a New York per la compagnia.” parlò
Keri, dopo aver buttato a terra la sigaretta consunta.
“Noi amiamo Los
Angeles.” sorrise il cantante. “Abbiamo una casa là e stiamo
pensando di trasferirci.”
Ingie aggrottò la
fronte, spostando ripetutamente lo sguardo da Tom a Bill, i quali le
avevano lanciato solo un'occhiata veloce, senza aggiungere altro.
Seriamente?
La mora continuava a
fissare il chitarrista, sperando in uno sguardo, in una sorta di
spiegazione non verbale e si sentì estremamente idiota. Non le
doveva più spiegazioni da tempo, ormai; era inutile ed ingiusto che
le pretendesse.
“Davvero?” sorrise
Ty. “Anche a me affascina Los Angeles. Potremmo andarci per le
vacanze, che ne dite?” chiese poi al gruppo, che si rivelò
particolarmente entusiasta. L'unica a non aver fatto trapelare alcuna
trepidazione era stata Ingie, ancora troppo disorientata per quella
notizia del tutto imprevista.
“Splendida idea.”
annuì Milo.
“Sentite, visto che è
un argomento che mi interessa molto, vorrei conoscere il parere di
due rockstar.” esordì all'improvviso Sid ed Ingie cominciò a
temere che ponesse qualche imbarazzante domanda a sfondo sessuale.
“Girano tante groupies nel vostro ambiente, vero?”
Per l'appunto.
Tom e Bill si scrutarono
un momento divertiti prima di rispondere.
“Quante ne vuoi.”
sorrise il moro.
“Dev'essere uno
spasso.” fece Sid, terribilmente compiaciuto. “Le portate anche
qui?” continuò ad indagare entusiasta ed Ingie cominciava a
percepire l'irritazione diffondersi dalle dita dei piedi alle punte
dei capelli.
“Oh no, è da qualche
anno che non ne vediamo una.” rispose Bill.
“Peccato.” mormorò
il ragazzo sinceramente deluso.
“Beh, sono facili da
trovare, anche se non si presentano come tali.”
La mora si voltò come
scioccata verso Tom, il quale continuava a fumare tranquillo senza
degnarla di ulteriori sguardi. Possibile che l'avesse appena
paragonata ad una groupie? Sentì le mani prudere fastidiosamente,
mentre l'improvviso desiderio di mettersi ad urlargli in faccia fu
una pericolosa tentazione.
“Oh, ma guardate chi
si è ripreso dalla maratona.” Quell'improvvisa esclamazione di Sid
le fece gelare il sangue. Accadde tutto al rallentatore; Ingie si
voltò verso l'ingresso dell'hotel, da dove stava uscendo un Luke
ancora assonnato, per poi voltarsi immediatamente in direzione del
chitarrista, che lo fissava come sotto shock. Bill, al suo fianco,
parve tranquillo, poiché ignaro di chi fosse. “Dicevo ad Ingie,
stanza insonorizzata la prossima volta.”
Ingie voleva correre a
nascondersi; tutto avrebbe voluto affrontare, ma non quello. Il
peggio giunse quando Luke, una volta adocchiato il chitarrista,
inchiodò sui propri piedi. Ci furono istanti in cui temette che i
due cominciassero a sferrare pugni e calci ma, al contrario,
continuavano a scrutarsi come stessero assistendo ad un film horror.
Una grande morsa allo
stomaco le impedì per un momento di respirare; lo sguardo del
chitarrista era quasi vuoto, incredulo, stremato. Si odiava per
essere la causa di tutto quel malessere e desiderò sparire seduta
stante. Quale idea avrebbe potuto farsi di lei, sapendola di nuovo
con Luke? Una cosa era certa: quella volta, non avrebbe avuto
scusanti.
Sussultò quando lo
sentì schiarirsi la voce.
“Noi andiamo ora.”
disse il chitarrista, cercando visibilmente di mantenere la calma,
dopo aver calpestato la sigaretta a terra come fosse stata la testa
di Ingie. Bill, che sembrava ancora spaesato, lo assecondò senza
fare domande. “Ci si vede.” aggiunse prima di dare le spalle a
tutti quanti.
“Ci conto!” esclamò
Adam, ancora su di giri. Quando i fratelli sparirono al di là del
vetro, Ingie sentì le pupille di Luke perforarle le ossa. Non riuscì
a sostenere quella sorta di sfida visiva, così gettò le proprie
sulle punte delle sue scarpe. “Sono assolutamente magnifici!
Organizziamo qualcosa con loro, in questi mesi!”
“Luke, saliamo, che
dici?” domandò Ingie al ragazzo, ignorando del tutto il suo
compagno di ballo, con voce incerta. Sapeva perfettamente che
avrebbero dovuto parlare. Il biondo si limitò ad annuire serio,
prima di darle le spalle e rientrare in hotel, senza nemmeno
accennare un saluto. “Buona notte.” mormorò quindi lei, per poi
seguirlo.
Osservava la sua schiena
con esitazione, senza proferire parola. Sentiva che si sarebbe
infuriato con lei, non appena ne avesse avuto occasione.
Rientrati in camera, si
susseguirono attimi di silenzio in cui lei si guardò bene dal
produrre il minimo fiato.
“Quando avevi
intenzione di dirmelo?” Sollevò lo sguardo sul ragazzo, con fare
colpevole. “Forse aspettavi che me ne accorgessi da solo,
assistendo alla prima diretta?” continuava a domandarle con gli
occhi austeri fissi nei suoi, rendendola ancora più incapace di
trovare una scusa plausibile.
“Mi dispiace.” fu
tutto ciò che riuscì a pronunciare, in un soffio. “Credevo ti
saresti arrabbiato.”
“Perché, adesso sono
felice?”
“Non volevo che mi
impedissi di accettare questo lavoro.”
“E secondo te io avrei
fatto una cosa simile? Hai un'alta considerazione di me, Ingie.” La
mora non seppe cos'altro aggiungere. “Possibile che non hai la
minima fiducia in me?”
“Io ho fiducia in te.”
ribatté lei prontamente. Non voleva che pensasse una cosa simile.
“Mi nascondi sempre
tutto! Come se avessi paura che io possa fare chissà cosa. Ti ho mai
messo le mani addosso? Ti ho mai impedito di vivere la tua vita?”
Ingie aveva smesso di guardarlo; aveva gettato lo sguardo verso il
basso, sulla destra, trovando particolarmente interessante un
granellino di polvere. “Io non so cos'altro devo fare per
dimostrarti quanto tu sia libera di dirmi tutto ciò che senti e fare
quello che vuoi. Cos'altro ti serve, Ingie?”
“Nulla, Luke.”
sospirò lei, tornando a posare lo sguardo sul suo viso contratto in
un'espressione addolorata e stanca. “Tu sei perfetto; sono io che
sbaglio in continuazione. Non so quale sia il mio problema.”
Continuava a scuotere la testa, senza controllare più le parole.
“Non so perché tendo a nascondere le cose; non lo faccio con
cattiveria.”
“Devi imparare a
fidarti delle persone. Tu poni sempre un muro fra te e gli altri,
anche con chi ti vorrebbe fare solo del bene. È come se rifiutassi
continuamente l'amore che la gente ti concede; come se ne avessi
paura.” Quelle parole la colpirono poiché estremamente veritiere.
Aveva rifiutato l'amore di Tom, dopo averlo agognato per mesi, perché
si era spaventata. Aveva avuto timore di dare il via ad una storia
che non era nemmeno convinta potesse andare a buon fine, così vi
aveva rinunciato sin dall'inizio, per proteggersi. Alzare muri
attorno a lei era ciò che faceva sempre, coprendosi gli occhi,
ignorando tutto ciò che di positivo il mondo aveva da offrirle.
“Smettila di vivere nel panico. Non tutti devono abbandonarti come
tuo fratello.”
Sgranò gli occhi,
percependo la prima lacrima scorrerle lenta lungo la gota, ma non le
permise di raggiungere il mento poiché la scacciò velocemente con
un dito. Quella sua instabilità, quella sua tendenza a celare verità
che avrebbero allontanato la gente al suo fianco, quelle sue
insicurezze e debolezze erano solamente il frutto di ciò che aveva
dovuto vivere più di un anno prima. E Luke, come sempre, l'aveva
capito.
“Scusa.” mormorò
senza guardarlo.
Non udì risposta, la
quale venne presto rimpiazzata dalle sue braccia che la strinsero
teneramente a lui.
“Voglio che tu ti
senta libera di dirmi tutto.” le sussurrò all'orecchio con tutta
la dolcezza di cui disponeva.
Ingie si strinse alla
sua maglia, chiudendo gli occhi, e si limitò ad annuire senza
parole. Sapeva che, probabilmente, un ragazzo come Luke non avrebbe
mai più incrociato la sua strada e ciò le faceva male perché lei
non lo meritava.
“Sei arrabbiato?”
gli domandò mogia, senza staccarsi dalla sua presa.
“No.” rispose lui.
“Ma lo sarò se verrò a sapere che il signor Kaulitz ha osato
posare un dito su di te.” sorrise successivamente.
“Tranquillo, è
impossibile.” lo rassicurò lei, sciogliendo l'abbraccio per
avvicinarsi al letto. “È furioso con me. Non mi sfiorerebbe più
nemmeno con il pensiero. E, se posso, ha ragione.” Luke sventolò
una mano, come se la cosa non lo riguardasse, e si sdraiò sul letto.
Sembrava distrutto. “Senti, esco ancora un attimo a prendere una
boccata d'aria. Non ho molto sonno. Sai, il fuso orario...” La
suaocchiata indagatrice ma al tempo stesso sarcastica la portò a
piegare appena la testa con sguardo severo. “Ora sei tu che devi
fidarti di me.” gli fece notare, puntigliosa.
Ciò parve
tranquillizzarlo, così aprì la porta e se la richiuse alle spalle.
Sospirò pesantemente.
Quella situazione aveva rasentato l'inverosimile e non poteva credere
di essere sempre lei l'artefice dei suoi stessi problemi.
Prese a salire le scale
che sapeva l'avrebbero condotta alla terrazza all'ultimo piano, che
aveva avuto modo di scorgere quel pomeriggio. Quando giunse a
destinazione, aprì il portone e poté respirare finalmente l'aria
tedesca serale. Aveva semplicemente bisogno di un po' di solitudine
per un momento. Staccare la spina le avrebbe fatto bene.
“Hai lasciato il tuo
fidanzato da solo?”
Sobbalzò violentemente
a quella domanda inaspettata. Si guardò attorno smarrita, fino a che
non notò Tom seduto a terra, a qualche passo da lei, con la schiena
poggiata al muro ed una sigaretta in bocca. Il suo cuore prese a
compiere capovolte che le smorzarono il respiro.
Lo osservò qualche
attimo senza sapere cosa dire.
“Tom...” mormorò. I
sensi di colpa stavano tornando a premere contro il suo stomaco,
facendola sentire nuovamente cattiva. Non avevano ancora avuto
occasione di parlare da soli, da quando si erano rivisti, ed ora che
si era presentata l'occasione, tutto sembrava incredibilmente
complicato ed imbarazzante. “Io e Luke...”
“Non lo voglio
sapere.” chiuse gli occhi il ragazzo, come fosse spaventato dalle
parole che avrebbe potuto proferire. “Ho già sopportato
abbastanza.” Aveva posato lo sguardo altrove, forse incapace di
guardarla ancora. “Mi domando solo come tu faccia. Credevo fosse
già incredibile che mi avessi spedito di nuovo in Germania senza
battere ciglio, ma che tu ti sia addirittura ripresa lui...
Questo è troppo persino per una mente diabolica come la mia.”
Parlava con freddezza,
con finto stupore, come se ormai la cosa non lo riguardasse più.
“Sai che mi dispiace
per ciò che è successo.”
“E tu sai che non mi
importa, perché non è la tua pena che voglio.”
“Non mi fai pena.
Forse, me ne faccio io.”
Tom sollevò lo sguardo
intenso sul suo, facendola sentire improvvisamente nuda.
“Perché prendi sempre
decisioni che non ti rendono felice?” le domandò sinceramente.
“Io sono felice.”
mentì lei in modo repentino. Il suo maledetto orgoglio le impediva
di aprirsi.
“Davvero, Ingie?”
chiese lui con lo scherno nelle pupille. “So com'è il tuo sguardo
quando lo sei. E lo vedevo quando stavi con noi, a Berlino.”
“Non tentare di
psicanalizzarmi, Tom.”
“Io non faccio un
cazzo, perché non mi riguardi più.” Si alzò, sovrastandola con
il suo metro e ottanta e le diede le spalle, intenzionato ad
andarsene. “Che tu ti accontenti di ripieghi è un tuo problema.”
le disse senza guardarla, quasi alla porta, buttando intanto la
sigaretta a terra.
Ingie fu attraversata da
una scossa di collera che la fece reagire.
“Luke non è un
ripiego. E, per quante ragioni tu possa avere, non hai alcun diritto
di darmi della groupie.” disse, quella volta con freddezza,
facendolo voltare nuovamente verso di lei, con sguardo interrogativo.
“Io non ti ho mai dato
della groupie.” si limitò a rispondere, poco interessato.
“Poco fa, l'hai fatto
invece.”
“Probabilmente, hai la
coscienza sporca, se ti sei sentita tirata in causa da quella frase.”
Ingie aggrottò la
fronte.
“Sai, Tom, non ti
facevo tanto meschino.”
Il ragazzo parve
scioccato, come folgorato da una luce troppo violenta, che gli fece
sgranare gli occhi, incredulo.
“Tu vieni a parlare di
meschinità a me?!” alzò la voce, avanzando pericolosamente, cosa
che portò invece la mora ad indietreggiare. “Tu, che salti da uno
all'altro senza un minimo di dignità?!”
Fu percossa da
un'incredibile e pericolosa voglia di schiaffeggiarlo, proprio come
la prima volta che l'aveva incontrato. Sentirsi dare della poco di
buono era anche troppo.
“Come puoi dire una
cosa del genere?!” urlò a quel punto, prendendo a spintonarlo
ripetutamente sul petto. “Tu hai conosciuto ogni lato di me! Mi hai
visto in ogni modo possibile, sei stata l'unica cazzo di persona a
capirmi e darmi forza! Come puoi, ora, parlarmi così, come se tutto
ciò che abbiamo vissuto assieme non avesse importanza, ma
soprattutto, come se non mi conoscessi più?!”
Percepiva i muscoli
doloranti, come se il suo stato d'animo volesse inquinarle anche il
corpo.
Sgranò gli occhi quando
lo vide ridere amaramente.
“Curioso che a dirmi
questo sia la persona che non si è fatta scrupoli a chiudermi la
porta in faccia, qualche mese fa.” commentò con triste sarcasmo
che le fece più male del previsto. “Hai ragione, Ingie. Non ti
conosco più. Questa non sei tu.” le parlò senza mai abbandonare i
suoi occhi, come per premurarsi che seguisse ogni sua singola parola.
“Questa non è la ragazza di cui mi sono innamorato. Quindi, sì,
tutto ciò non ha importanza, perché non la riavrò mai più
indietro e, ora come ora, nemmeno la rivorrei.”
Non una parola di più,
non uno sguardo di più. La abbandonò su quell'enorme terrazza,
assieme al rumore del proprio cuore che si frantumava in mille pezzi.
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Capitolo 3 *** Tightrope ***
aaaaaaaaaaa
Three
Tightrope
“Ingie, devi capire
che Tom è profondamente ferito.” Ingie chiuse gli occhi,
sprofondando con la testa nel cuscino del suo letto vuoto. Luke era
uscito a comprare i pacchetti di sigarette che mancavano e lei ne
aveva immediatamente approfittato per bearsi della voce di Amanda e
confidarle ciò che era successo con Tom, qualche sera prima. Aveva
esternato la più insignificante emozione che il suo cuore avesse
provato o continuasse a provare, senza tralasciare nulla. Aveva
bisogno di un appiglio psicologico, che i suoi genitori non avrebbero
potuto darle – poiché sostenitori della sua relazione con Luke –
così come i suoi compagni di ballo, che non avrebbero mai dovuto
conoscere la verità. “Lui parla in questo modo quando è
accecato dalla rabbia, ormai lo sai meglio di me.”
“Sì, ma non credevo
mi avrebbe fatto così male.” mormorò la mora, rigirandosi una
ciocca di capelli fra le dita.
La notte dopo
l'accaduto, non era riuscita a prendere sonno ed aveva trascorso
tutte quelle interminabili ore ad ascoltare il respiro pesante del
biondo, accanto a lei, ignaro del suo stato d'animo.
Aveva ripensato senza
sosta alle parole intrise di rancore del chitarrista e si era
ritrovata a soffrirne.
Tu vieni a parlare di
meschinità a me?! Tu, che salti da uno all'altro senza un minimo di
dignità?!
Erano scolpite nella sua
memoria, brucianti.
Questa non è la
ragazza di cui mi sono innamorato. Quindi, sì, tutto ciò non ha
importanza, perché non la riavrò mai più indietro e, ora come ora,
nemmeno la rivorrei.
Si era resa conto di
quanto fosse giustificato nel parlarle a quella maniera.
“Non sei senza
cuore, Ingie. È normale provare queste emozioni così contrastanti.
Avete vissuto tantissime cose assieme, eravate quasi divenuti una
sola persona; il vostro rapporto è sempre stato viscerale, fatto di
continuo contatto fisico ed intesa mentale. Saresti un essere privo
di vita, se non provassi questo dispiacere.”
“Il punto è che non
vorrei provarlo. Sto con Luke, la mia vita è cambiata ora. Dovrei
guardare avanti, fregandomene di tutto.”
“Non è così. Tu
puoi tranquillamente portare avanti la tua vita con Luke, senza per
forza dimenticare ciò che di bello hai vissuto con Tom.”
Sospirò di nuovo, portandosi una mano al viso, che sfregò con
nervoso. “Ascoltami. È normale sentirsi in colpa, soprattutto
nella tua situazione. Devi ammettere che tornare con Luke non abbia
dato di te un'immagine molto positiva. Per questo motivo devi
accettare tutto ciò che ne consegue. Lo sai, io sono sempre stata
sincera con te e non mi sono fatta problemi nel criticarti quando
necessario. Essendo di parte, è ovvio che vorrei rivederti con Tom,
ma capisco anche che tu voglia bene a Luke e la decisione è tua. Se
è lui la persona con cui vuoi stare, manda avanti la tua vita come
hai sempre fatto, cercando di scacciare tutti questi massi dallo
stomaco. Con il tempo, le cose passano, Ingie. Tom lo supererà.”
La mora tacque per
qualche secondo, riflettendo su quelle parole.
Sapeva che era sincera;
quando si era trattato di darle della codarda, non si era fatta
scrupoli. Eppure, l'aveva sempre sostenuta, anche nei suoi sbagli;
non le aveva mai voltato le spalle, poiché forse era l'unica vera
amica che aveva.
“Sai, a volte mi sento
estremamente egoista, perché da un lato vorrei che non lo facesse.”
confessò, quasi vergognandosi. “Vorrei che non stesse più male
per me ma, al tempo stesso, vorrei che non mi dimenticasse. È
assurdo, vero?”
“Purtroppo, noi
donne siamo fatte così. Quando lasciamo qualcuno, lo vorremmo sempre
e comunque per noi, nonostante pretendiamo di rifarci una vita con
un'altra persona. Siamo possessive e territoriali ma dobbiamo anche
capire cos'è veramente giusto. Non giungere ad un taglio netto
sarebbe doloroso per lui ed anche per te.” Non rispose,
semplicemente attese che proseguisse il discorso. “E poi, tu
l'hai lasciato andare quando ancora eri innamorata di lui. Non è
finita perché non andavate d'accordo o per dei problemi più grandi
di voi. L'hai allontanato contro il tuo volere, Ingie. È più
difficile dimenticarsi di qualcuno, in questo modo. Forse, se ti
avesse tradita, se ti avesse delusa o ti avesse fatto un qualsiasi
tipo di torto, sarebbe stato più facile, perché ve ne sareste fatti
entrambi una ragione. Voi invece avevate tutte le carte in regola per
essere la coppia perfetta.”
Lo sapeva eccome. Forse
era la spiegazione di tutte quelle sue paranoie e tutti quei dannati
sensi di colpa che non accennavano a lasciarla vivere. Lei e Tom,
insieme, avrebbero brillato ma nessuno avrebbe mai potuto assicurarle
un equilibrio duraturo, pur segnato dalla lontananza. Nella testa,
continuava a ripetersi che aveva preso la scelta migliore e ne era
convinta; le dispiaceva soltanto che il chitarrista non riuscisse ad
accettarlo. Ora voleva unicamente dedicarsi a Luke e alla sua
carriera, depennando definitivamente il moro dalle sue priorità o
addirittura dalla sua vita.
“Ad ogni modo, come
sta Lily?” decise di gettarsi a capofitto in un altro discorso per
non cadere in una sorta di depressione cronica che le avrebbe
annientato gli ultimi neuroni ancora funzionanti.
Un altro dispiacere con
cui era costretta a fare i conti era il fatto di non essere riuscita
ad assistere alla nascita della figlia di Amanda. Era venuta al mondo
proprio nel mese di Luglio, qualche giorno dopo il ritorno di Tom in
Germania, sconvolgendo positivamente la vita di tutti. Lo shock
iniziale di David alla prospettiva di un'intera esistenza al fianco
di una figlia femmina fu ben presto sostituito dalla felicità
personificata. Amanda le raccontava sempre di quanto fosse tenero ed
incredibilmente imbranato nel cambiare pannolini, spalmare cremine e
comprare scarpette della giusta misura. Eppure percepiva ogni singola
vibrazione di quella sua felicità, che un po' invidiava, e non
poteva desiderare di meglio.
“Oh, bene. È
incredibile come i bambini, appena nati, crescano velocemente. Mi
sembra ieri, che la stringevo al petto, sporca e raggrinzita.”
ridacchiò la bionda. “David è sempre più rincoglionito,
quindi direi che è tutto nella norma.” aggiunse poi,
divertendola.
“Quando avete
intenzione di venirmi a trovare? Ora che sono in Germania non avete
più scuse. Devo conoscere questo fagottino.” domandò quindi,
sinceramente nostalgica e curiosa di dare finalmente un viso a Lily.
“Io e David
pensavamo di venire per la prima diretta.”
“Davvero?”
“Sì, i ragazzi
dovrebbero farci avere i biglietti per la serata.”
“Finalmente una bella
notizia! Mi hai rallegrato la giornata.” Improvvisamente un pianto
– che ormai conosceva bene, seppur attraverso il telefono – si
levò nell'aria ad interrompere la loro conversazione. “Lily
chiama?” sorrise la mora.
“Ora della pappa.”
sospirò Amanda. “Ci sentiamo nei prossimi giorni. E, mi
raccomando, non pensare troppo.”
“Ci proverò. Saluta
David.”
Fu incredibile
l'improvvisa sensazione di solitudine, non appena riattaccò. In quel
periodo, aveva un disperato bisogno di conferme da parte di qualunque
persona conoscesse; si sentiva così insicura, debole, quasi
inappropriata.
“Ingie, sbrigati,
dobbiamo andare!”
Page, al di là della
porta, batteva il pugno sul legno, quasi volesse sfondarlo.
“Sì, arrivo! Evita di
distruggere la porta!”
***
Il sudore colava copioso
lungo le sue tempie, il respiro era spezzato da un battito cardiaco
che minacciava di sfondarle la cassa toracica. Forse avrebbe dovuto
diminuire il numero di sigarette giornaliere. O forse era
semplicemente ora che Roy concedesse loro un minuto di pausa.
“Roy, vuoi ucciderci?”
sospirò Sid, buttandosi a terra senza fiato.
“Alzati.” lo
rimproverò il coreografo. “Mai sedersi, lo sapete.”
“Sì, ma sono tre ore
di fila che proviamo e riproviamo senza sosta. Di questo passo,
domani sera, il pubblico assisterà alla nostra morte trionfale sul
palco.” replicò nuovamente il ragazzo, dopo essersi rimesso in
piedi con fatica. “Solo un minuto.” lo pregò di nuovo.
Roy sospirò, battendo
nervosamente un piede a terra, fino a che non si arrese.
“Bene. Un minuto
solo.” sbottò per poi allontanarsi dal gruppo.
“Non devi sempre
prendermi così alla lettera.” obiettò il ragazzo, guadagnandosi
un'occhiataccia da parte dell'uomo. “Un minuto sia.” ritrattò
quindi immediatamente.
Ingie si gettò
l'asciugamano sulle spalle, passandoselo sul collo bagnato. La
stanchezza che percepiva nelle ossa e nei muscoli era mescolata ad
incredibile adrenalina. Non vedeva l'ora di dare inizio allo
spettacolo e dedicarsi a ciò che amava nella vita, senza lasciarsi
andare a strani pensieri che le avrebbero solamente guastato l'umore.
Per prima cosa, aveva
provato a dimenticare ciò che avrebbe dovuto fare la sera del primo
Live. Come Roy aveva annunciato loro prima di partire, alcune
coreografie sarebbero state assegnate al gruppo dimezzato o
addirittura a solisti. Le soliste, quella volta, sarebbero state lei
e Page. La coreografia di Page era improntata su uno stile più
sbarazzino, quasi parodistico. Quella di Ingie, invece, concerneva
una sorta di storia, che avrebbe interpretato con il concorrente in
questione, impregnata di malinconia e sensualità al tempo stesso.
Nulla di strano, se non avesse dovuto sdraiarsi sul tavolo della
giuria con fare voluttuoso, a metà performance.
Da qualche giorno, era
arrivata a domandarsi se Roy leggesse nella sua mente e si divertisse
a tormentarla con incomprensibili mezzucci, pur non conoscendo nulla
dei suoi trascorsi.
“Dio.” Si voltò con
un piccolo sorriso in direzione di Milo, che si era appena seduto
accanto a lei, sventolandosi l'asciugamano davanti al viso, con
l'intento di farsi aria. “Mi verrà un infarto.” continuò a
borbottare il ragazzo, senza guardarla.
“Agitato per domani
sera?” gli domandò, scrutandolo attentamente.
“No.” scrollò le
spalle lui. “Ho l'adrenalina a mille.” aggiunse con la pura
eccitazione nello sguardo.
“Anche io.” annuì
distrattamente, osservando il resto del gruppo a qualche metro da
loro. Le venne spontaneo riflettere sulla smisurata fortuna che aveva
avuto nel trovare tanto affiatamento fra quelle persone, anche in
momenti di tensione e di agitazione come quelli. Tutti si davano man
forte perché riuscivano a comprendere lo stato d'animo altrui –
senza eccezioni – ed era qualcosa di terribilmente confortante.
Quando voltò lo sguardo in direzione di Milo, ancora al suo fianco,
notò con tenerezza che la mente del ragazzo si era persa
nell'osservare la figura elegante di Keri. La ragazza chiacchierava
con Page, gesticolando ampiamente, lasciandosi sfuggire una risata di
tanto in tanto, e Milo sembrava catturato da tale visione. “Perché
non le parli?” fu ciò che le venne spontaneo dire, senza mezze
misure. Sapeva che Milo avrebbe compreso.
Questo, nonostante
tutto, fece finta di cadere dalle nuvole, voltandosi nella sua
direzione con fare accigliato.
“Come?” domandò con
aria perplessa.
“Andiamo, lo sai a chi
mi riferisco. Ti piace da secoli, perché non fai qualcosa?”
Sorrise nel vedere la
sua pelle mutare rapidamente colore, sfumando in un rosso decisamente
troppo scuro per la sua normale carnagione. Distolse immediatamente
lo sguardo da lei, tornando a scrutare l'oggetto del suo desiderio.
“Perché farei un
casino.” ammise quasi senza voce, come si vergognasse di esternare
tali pensieri.
“E perché mai
dovresti farlo?” ribatté lei confusa, nonostante potesse vagamente
intuire a cosa si riferisse.
“Perché siamo un
gruppo, lavoriamo assieme ogni giorno, siamo una squadra affiatata e
se qualcosa dovesse andare storto...” Lasciò la frase in sospeso
ma Ingie comprese perfettamente ciò che stava, in modo impacciato,
cercando di spiegare. “Insomma, sai come funzionano queste cose.
Non me la sento, di rischiare così. Non voglio rovinare l'atmosfera
che si è creata.”
Milo era un ragazzo
davvero maturo, nonostante avesse solo vent'anni. Era in grado di
immergersi in discorsi del tutto razionali, senza lasciarsi
trasportare dall'entusiasmo tipico della sua giovinezza, anche se
questi gli facevano male.
“Può darsi, ma perché
bruciarsi un'occasione o vivere di rimpianti?”
Le parve improvvisamente
di parlare a se stessa. Fu come se proprio lei necessitasse di tali
consigli, come se stesse cercando di fare ordine nel cervello, in
qualche modo strano ed improbabile.
Alla fine, era ciò che
aveva fatto: rinunciare in partenza ad una prospettiva di vita, dando
per scontato che fosse quella sbagliata.
“Non saprei nemmeno
come fare con lei. Siamo amici, ci siamo sempre comportati come tali.
Sarebbe strano cambiare atteggiamento da un giorno all'altro.”
commentò il moro, pensieroso, senza staccare le pupille da Keri.
“Non si tratta di
cambiare improvvisamente atteggiamento ma di passare un po' di tempo
assieme, magari da soli, con la naturalezza di due amici. Se deve
nascere qualcosa, succederà.” scrollò le spalle lei, come fosse
la cosa più semplice del mondo.
Predichi bene e
razzoli male, ragazza.
Ignorò il proprio
cervello, prima di udire l'urlo di Roy, che annunciava che il minuto
a disposizione era ufficialmente terminato.
***
Aveva disperatamente
bisogno di una doccia. Ogni singolo poro della sua pelle reclamava di
essere ripulito delle goccioline di sudore che ancora vi stanziavano,
seppur asciutte. Inoltre, la stanchezza l'aveva presa in contropiede,
minacciando di farla addormentare lungo il tragitto verso la sua
camera. Si strofinò una palpebra, reprimendo uno sbadiglio, per poi
varcare la soglia dell'ascensore, che l'avrebbe condotta al suo
piano. Ancora pochi minuti ed il paradiso l'avrebbe accolta nel suo
abbraccio.
Non fece in tempo a
premere il pulsante che una figura alta e snella fece il proprio
ingresso in ascensore, precedendola in quel gesto. Trattenne il fiato
quando, sollevato lo sguardo, si rese conto che Bill si trovava a
nemmeno un passo da lei. Le ante dell'ascensore si chiudevano, mentre
lei continuava a scrutare, come spaesata, il vocalist.
Non riusciva ad emettere
un fiato; non aveva idea di quali parole avrebbe potuto usare in quel
preciso istante. Lui, d'altro canto, non le aveva rivolto nemmeno
un'occhiata. Continuava a fissare il vuoto davanti a sé, facendo
perfettamente finta di non conoscerla. Tutta quell'indifferenza fu
persino troppo da sopportare.
Quando le porte si
riaprirono al piano di Bill, il ragazzo uscì senza proferire parola
ed a quel punto i muscoli di Ingie si mossero da soli, seguendolo.
“Bill.” lo chiamò
speranzosa ma il biondo finse di non udirla, continuando a camminare,
probabilmente diretto alla sua stanza. “Bill, ti prego.” riprovò,
mentre sentiva la disperazione cominciare a pervaderle i sensi ed
ogni muscolo ancora funzionante.
Visto l'ennesimo
fallimento, decise di azzardare afferrandogli la mano. Lui si
ritrasse come scottato, per poi voltarsi nella sua direzione con
sguardo intriso di quello che sembrava addirittura odio.
“Che cosa vuoi?”
sbottò senza mezze misure.
Ingie boccheggiò per
qualche istante, alla ricerca di parole adatte. Il punto era che non
sapeva nemmeno cosa avrebbe potuto dirgli. Non vi era nulla che
potesse tirarla fuori dal fango in cui si stava affogando con le sue
stesse mani, giorno dopo giorno. Commetteva errori su errori e poi
non sapeva come rimediare.
Vedere Bill osservarla
con quegli occhi carichi di rabbia fu solo un'ulteriore pugnalata.
Rimpianse i momenti in cui avevano condiviso pura amicizia; rimpianse
la sua comprensione, spesso l'unica che riuscisse ad ottenere,
nonostante gli sbagli ripetuti. Rimpianse semplicemente Bill in ogni
sfumatura e colore, perché il suo sostegno era sempre stato per lei
di vitale importanza.
“Io non so davvero
quali parole usare, in questo momento.” mormorò appena, sentendosi
una fallita.
“Puoi evitare di
sprecare fiato, allora.”
Fece per voltarle
nuovamente le spalle ma Ingie lo fermò con un ennesimo richiamo
disperato.
“Ti prego, Bill. Io
sono mortificata.”
“Ti sembra che questo
possa cambiare qualcosa?”
“Mi fa male che tu
faccia finta di non conoscermi.”
Bill le si avvicinò
lentamente, quasi mettendole paura.
“Questo è il minimo
che dovresti aspettarti da me, Ingie.” sibilò quasi con un filo di
voce, come volesse rendere il più chiaro possibile il messaggio. Il
suo stomaco cominciava a darle fitte insopportabili, che le facevano
stringere i denti e tirare il viso. “Ti ho già dato una volta la
possibilità di rimediare e lo sai bene. L'hai buttata nel cesso,
commettendo lo stesso incredibile errore – se non più grande –
della prima volta. Hai tradito ancora la mia fiducia, ma soprattutto
hai fatto del male a mio fratello, dopo avermi promesso il contrario.
Come pensi che dovrei comportarmi con te?”
I suoi occhi nocciola
parvero divenire roventi sulla sua figura improvvisamente indifesa e
piccola. Sentì il bisogno di un appiglio fisico e morale perché
credeva di non poter reggere quella situazione da sola; sapeva di non
avere alcuna scusante.
“Tu hai ragione. Mi
sento ridicola ed infame; non meriterei mai più la tua fiducia e ne
sono consapevole. Mi sono comportata malissimo con te e tuo fratello
e non ho giustificazioni. Vorrei solo che mi perdonassi.”
Bill aggrottò la fronte
con espressione confusa.
“Fammi capire, a che
scopo dovrei perdonarti? Pensi di poter aggiustare le cose e tornare
ad essere amici?” Quella frase, nonostante fosse per lei immaginata
e scontata, fece più male del previsto. “Dovrei perdonarti per
aver umiliato mio fratello ed avergli spezzato il cuore? Dovrei
perdonarti per esserti ripresa Luke come una povera disperata in
cerca di attenzione? Devi crescere, Ingie, forse hai sottovalutato la
gravità della cosa. Sei ancora dannatamente piccola, bisognosa di
gente che ti circondi, e troppo cieca per capire ciò di cui hai
veramente bisogno. Vedere mio fratello in certe condizioni mi fa
venire voglia di radere al suolo questo hotel con le mie stesse
mani.” Rabbrividì al tono gelido con cui le stava parlando senza
battere ciglio. “Quindi, no, non ti perdono per averlo fatto
soffrire un'altra volta. Non ti perdono per essere la causa del suo
attuale malessere. Ed il solo fatto che tu abbia cercato un
riavvicinamento ti rende ancora più ridicola di quello che sei.”
Non ebbe la forza di
replicare. Tutto ciò che riuscì a fare fu aprire e richiudere la
bocca, incredula di tali parole ma soprattutto del fatto che fosse
stato proprio lui a pronunciarle.
Bill si era voltato di
nuovo, senza aggiungere altro, fino a rinchiudersi in camera,
lasciandola così sola con la sua vergogna.
Impiegò pochissimo
tempo a rientrare in ascensore e raggiungere il proprio piano.
L'umiliazione che la stava pervadendo non lasciava spazio
all'immaginazione e sembrava volerle strappare anche l'ultimo pezzo
di dignità intatta. Voleva solamente rifugiarsi a letto senza
nemmeno cenare.
“Hey.” le sorrise
Luke non appena la vide entrare in camera. Il ragazzo era vestito di
tutto punto; sembrava pronto ad uscire. “Hai l'aria distrutta.”
notò mentre le si avvicinava, per poi stamparle un bacio sulle
labbra.
“Sono stanchissima.”
mormorò lei, ancora scossa dall'incontro col vocalist, facendo per
dirigersi a letto.
“No!” esclamò
improvvisamente il biondo, agguantandole una mano. “Stasera ti
porto a cena fuori.” affermò con l'entusiasmo di un bambino negli
occhi, il che la fece sentire impotente. “Non accetto un rifiuto.
Ho trovato un ristorantino, non lontano, molto carino.”
Ingie sorrise intenerita
a quel bel pensiero. Sentiva le palpebre particolarmente pesanti ed i
muscoli appena indolenziti, vittime di una giornata di lavoro
devastante. Non era sicura di poter addirittura sostenere una cena
fuori.
“Rischierei di
addormentarmi con la testa sul tavolo.” provò.
Odiava dover reclinare
un invito da parte sua; ancor di più se proposto con un simile
entusiasmo.
“Torniamo presto.”
insistette lui, speranzoso. “Dai, è da un po' che non ceniamo in
un bel ristorante. Poi siamo a Cologne, una città nuova. Non sei
curiosa?”
Come poteva rifiutare di
nuovo, davanti a quegli occhi azzurri e languidi?
Con un gran sospiro,
decise di accontentarlo.
“D'accordo. Il tempo
di una doccia.” sorrise appena.
Il suo umore non era dei
migliori per poter affrontare una cenetta romantica ed un gatto
sarebbe stato sicuramente più di compagnia. Eppure, sapeva che Luke
sarebbe stato felice in ogni caso, purché fossero insieme.
Era incredibile come da
quando avevano ripreso la loro relazione, avesse imparato sempre più
cose di lui, come se gli anni antecedenti non avessero mai
significato nulla. Leggeva nella sfumatura delle sue iridi chiare
l'amore infinito che provava per lei e quanto lo rendesse felice
solamente un suo sguardo. Aveva imparato di lui che la cosa cui più
teneva era la sua serenità e riconosceva ogni suo singolo sforzo per
renderla per lo meno soddisfatta della sua vita. Gliene era molto
grata e si ritrovò a pregare per la prima volta un Dio sconosciuto
affinché potesse anche lei, un giorno, arrivare a ricambiare
completamente il suo amore, perché era ciò che quel fantastico
ragazzo meritava.
Terminati doccia e
preparativi, lo raggiunse, scovandolo intento a curiosare sul proprio
computer.
“Pronta.” annunciò,
cercando di mostrarsi il più gioiosa possibile.
Lui parve preso alla
sprovvista, ma si affrettò a spegnere il portatile e riporlo al suo
posto.
“Che gnocca.”
esclamò, facendola scoppiare a ridere.
“Non ho messo nulla di
speciale.” scrollò le spalle, dando un'occhiata ai jeans per cui
aveva optato, come fossero il primo straccio trovato nell'armadio.
“Infatti, per me, sei
sempre una gnocca.” sorrise lui con la malizia nello sguardo.
“Andiamo.”
Effettivamente, il
ristorante non era lontano dall'albergo e vi arrivarono a piedi in
pochi minuti. Non molto grande, godeva di un'atmosfera terribilmente
tranquilla e piacevole. Il tenue giallo dei muri e la conseguente
luce quasi soffusa conferivano una sorta di pace di cui aveva
bisogno.
“Mi piace.” sorrise
non appena si sedettero l'uno di fronte all'altra, ad un tavolo
appartato.
Poteva essere tutto
dannatamente perfetto; poteva dichiararsi la ragazza più felice e
fortunata della terra. Poteva camminare per le strade di qualsiasi
città a testa alta, al fianco di Luke. Eppure, la sua vita era
perennemente segnata da errori che andavano a guastare tale apparente
impeccabilità.
“Sono contento di
essere qui con te. Potrebbe essere una sorta di vacanza che ancora
non ci eravamo concessi.”
Nel pronunciare quelle
parole, Luke le aveva preso la mano, carezzandola con il pollice,
mentre i suoi occhi brillavano, pieni d'amore. Ingie sorrise appena,
quasi in imbarazzo.
“Anch'io.” si limitò
a rispondere. Il 'ti amo', con Luke, era sempre stato un argomento
tabù. Benché lui glielo ripetesse quasi ogni giorno, come per
ricordarle quanto tenesse a lei e soprattutto a loro due, Ingie
ancora non aveva trovato il coraggio o la convinzione adatta per
ricambiare. Il dolore che ciò le provocava era indescrivibile,
poiché continuava a renderla la ragazza meschina ed ingiusta che in
realtà non era. Avrebbe tanto desiderato distruggere quel muro,
quella corazza che si era creata, ma soprattutto, avrebbe voluto
provare per Luke ciò che fino a qualche mese prima aveva provato con
tanto ardore per Tom. Perché era così; il chitarrista era stato
l'unico ragazzo che avesse mai realmente amato, in tutta la sua vita.
“Sai, verrà Amanda con la bambina, domani sera.” esordì
all'improvviso la ragazza con entusiasmo.
Luke sorrise sorpreso.
Era al corrente del fatto che erano rimaste molto amiche e
soprattutto in contatto, benché Ingie avesse intelligentemente
tralasciato la parte in cui Amanda le dava informazioni sulla vita
dei ragazzi.
“Allora, la potrò
finalmente conoscere.” rispose lui, sinceramente incuriosito. Ingie
annuì energicamente, nell'esatto istante in cui giunsero al tavolo
le loro portate precedentemente ordinate. “Hai più avuto occasione
di incontrare Tom?” domandò all'improvviso Luke con espressione
vaga, senza guardarla, occupato nel servirsi.
Ingie sollevò lo
sguardo contrariato su di lui.
“Possiamo evitare di
parlarne almeno stasera?” commentò, ansiosa di sfociare nuovamente
in una lite.
“Era una domanda come
un'altra.” scrollò le spalle lui, ma evidentemente teso. “Quindi?”
insistette, questa volta guardandola in attesa di una risposta
probabilmente negativa.
“No.” tagliò corto
lei. “E comunque, ti ho detto di stare tranquillo.” aggiunse,
mentre si apprestava a tagliare la propria bistecca fumante. Il solo
profumo le stordiva i sensi.
“A volte è anche
compito dell'altro cercare di dare delle sicurezze.”
Ingie aggrottò la
fronte, tornando a scrutarlo senza comprendere. Che si fosse appena
riferito indirettamente a lei?
“Cosa intendi?”
domandò perplessa, mentre un campanellino d'allarme prendeva a
suonare nella sua testa. Qualcosa le diceva che quella conversazione
non avrebbe portato a qualcosa di positivo.
“Che, comunque, non ti
sei mai impegnata più di tanto per permettermi di stare tranquillo.”
mormorò lui, senza mai abbandonare quell'atteggiamento
apparentemente disinteressato e superficiale, come se non volesse
farle pesare eccessivamente quelle parole. “Non hai mai detto di
amarmi, per esempio.”
Il panico imperversò.
L'ultima conversazione che avrebbe voluto intraprendere con Luke era
proprio quella e cercò disperatamente una maniera per tirarsene
fuori.
“Luke, andiamo, non
avevamo chiarito la questione di Tom già l'altra sera?” ribatté
appena seccata, tralasciando con classe l'argomento 'amore'. “Ti ho
detto che lui non mi vorrebbe di nuovo. Questo, lo so con certezza.”
“Come fai ad esserne
certa? Magari lui ancora ti ama.”
Come poteva renderlo
partecipe del confronto che aveva tenuto con il chitarrista, in
terrazza? Avrebbe dovuto ancora una volta ammettere di nascondergli
verità piuttosto rilevanti e quindi gettarsi nuovamente nel discorso
della fiducia e della sincerità.
“Senti, anche se
fosse, non ti basta che io ti assicuri che non ti lascerei mai per
lui?” sospirò, sperando vivamente che quelle parole lo
convincessero, in qualche modo. “La mia vita è con te. Tom fa
parte del passato, perché dovrei voler tornare con lui?”
“Perché è colui che
ti ha fatto rinascere.” Quella risposta la prese talmente in
contropiede che quasi fece fatica a respirare. Aveva sentito una
fitta all'altezza del petto, che le aveva fatto contrarre il viso in
un'espressione di dolore. “Pensi che io non me ne renda conto?”
Ingie si era ammutolita; non aveva il coraggio di proferire parola,
poiché quelle considerazioni l'avevano toccata nel cuore, avevano
sfiorato una vena scoperta. “Per quanto io possa avere i miei
motivi per detestarlo, non posso non ricordarmi di questo.”
Quel ragazzo non poteva
essere reale. Sembrava troppo bello, troppo perfetto per essere
semplicemente umano. Se lo meritava davvero? No, lo sapeva. Non
meritava nemmeno un capello di Luke.
Era commossa da tali
parole, pronunciate con tanta sincerità nelle pupille puntate
attentamente nelle sue, senza nemmeno scomporsi.
Sbatté un paio di volte
le palpebre, con l'intento di disfare la vista fattasi
improvvisamente annebbiata dalle lacrime, e portò una mano al viso
del ragazzo, carezzandolo con delicatezza.
“Non potrei mai
chiedere di meglio, con te.”
***
Osservò distrattamente
la nuvola di fumo che aveva appena lasciato fuoriuscire dalle sue
labbra dischiuse e desiderò sentirsi così leggero, mentre
combatteva con il pesante macigno che aveva trovato luogo sicuro nel
suo stomaco, ormai da giorni. Chiuse gli occhi con un sospiro, mentre
le immagini della sera in terrazza tornavano a farsi nitide nel suo
cervello tormentato.
Mai nella vita si
sarebbe sognato di parlare a quella maniera ad Ingie, ripensando a
ciò che di bello e travolgente avevano vissuto assieme, ma
soprattutto all'amore che ancora provava per lei. Eppure, era stato
il suo cuore a parlare, o meglio, la sua rabbia, il suo risentimento,
il suo dolore. Ogni singola parola pronunciata, per quanto forte e
cattiva, era stata estremamente sincera e sentita.
Era così deluso da lei
che faceva fatica a riconoscerla in quella stessa ragazza di cui si
era innamorato, che aveva accolto nella sua vita, che aveva stretto a
sé durante la notte e stuzzicato durante il giorno.
Dov'era finita quella
Ingie indifesa, dolce ma reattiva che aveva sempre adorato? Dov'era
finita la complicità che li aveva sempre legati? Dov'era finito
l'amore che lei stessa aveva ammesso di provare per lui, mesi
addietro? Possibile che avesse già cancellato tutto dalla memoria?
Una cosa era certa; era
stanco. Non aveva la minima intenzione di riprovare da capo; non
aveva intenzione di farsi il sangue marcio per cercare di riaverla e
di combattere contro un ragazzo apparentemente perfetto. Lui non era
perfetto e non voleva nemmeno esserlo; forse rappresentava ciò che
di più sbagliato Ingie avrebbe potuto desiderare, ma per lo meno
aveva conservato la propria dignità ed aveva saputo amare in modo
sincero.
L'idea di dover guarire
nuovamente da quel dolore era terrificante e si chiedeva se potesse
riuscirvi come già aveva fatto, ma la paura a volte sembrava più
forte di lui ed intenzionata a divorarlo in un sol boccone.
“Non stai fumando un
po' troppo, in questi giorni?”
La voce di suo fratello
Bill lo fece sorridere appena, ringraziandolo mentalmente per il suo
sostegno.
“Diciamo che sono solo
un po' nervoso.” rispose ironico, per poi spegnerla nel posacenere
accanto a lui. Bill, una volta uscito sul balcone della sua stanza,
si sedette sulla sedia al di là del tavolino dove già sedeva Tom da
una buona mezzora. “Hai sentito Georg e Gustav?” gli domandò
poi, cercando di accantonare i brutti pensieri.
“Sì, arriveranno tra
poco.” annuì il vocalist continuando a scrutarlo, come volesse
assicurarsi che non stesse pensando al suicidio. “Amanda e David
arrivano domani pomeriggio.” Tom sentì una fitta di lieve felicità
trapassargli il petto. Aveva una tremenda voglia di tornare a
strapazzare Lily, come faceva in studio, i primi tempi. Era strano
come lui, mai realmente interessato ai bambini, fosse tanto attaccato
a quella creatura così piccola e dolce. “Sai che si sente ancora
con Ingie?”
“Sì.” borbottò
lui, gettando lo sguardo al panorama sottostante il balconcino.
“Immagino dovrò sopportarlo.” Si prese una piccola pausa, in cui
rifletté. “Bill, mi sento così furioso con lei.” ammise,
stringendo le dita attorno al bordo del tavolino in legno, che quasi
sembrava volesse piegarsi sotto la sua presa. “Così tanto da
essere cattivo.”
“La vendetta è una
cosa inutile e controproducente, Tom.”
“Non parlo di
vendetta; non meriterebbe nemmeno il mio tempo. Vorrei solamente che
riuscisse a capire cosa sia significato per me vederla sbattermi la
porta in faccia.” Chiuse gli occhi, stringendo il pugno. “Vorrei
che per un solo, minuscolo istante provasse ciò che ho provato io.”
***
Le loro dita intrecciate
sembravano incollate; la passeggiata che si erano concessi nelle
vicinanze, una volta abbandonato il ristorante, era stata quasi
tacita ma incredibilmente piacevole. Non avevano più nemmeno
sfiorato il discorso 'Tom', per sua gioia. Evidentemente, le parole
da lei pronunciate, avevano suscitato in lui il giusto effetto. Era
stata sincera nel farlo. Per la prima volta, si era sentita del tutto
pulita nei suoi riguardi e priva di maschere; e forse lui
l'aveva percepito forte e chiaro, tanto da tranquillizzarsi.
Non appena varcarono
l'ingresso del loro albergo, lungo il vialetto notarono un'automobile
scura, del tutto nuova, parcheggiata in un angolo. Le venne spontaneo
guardarsi attorno, fino a che le sue pupille non entrarono
bruscamente in contatto con due figure.
Il suo cuore prese a
battere all'impazzata, mentre una sorta di sollievo prendeva possesso
del suo corpo, scosso da fremiti. E fu nel momento in cui due occhi
nocciola si posarono sulla sua immagine che non riuscì a
trattenersi. Interrotta la presa della mano di Luke, corse in
direzione del ragazzo che pareva sorriderle, per poi gettargli le
braccia al collo, stringendolo come fosse stata l'ultima occasione.
“Gus.” mormorò al
suo orecchio, mentre percepiva le lacrime minacciare di smascherare
la sua nostalgia. Fu sollevata nel sentire le braccia del biondo
stringerla a loro volta, prive di rancore. “Mi sei mancato.”
ammise nuovamente.
“Anche tu, Ingie.”
lo sentì sorridere. Nel frattempo, allungò una mano verso la spalla
di Georg, il quale le fece una carezza sulla testa, con un sorriso
sincero. “Ci è mancata la tua follia.” aggiunse in un misto di
serenità e malinconia.
L'idea che non la
odiassero come Bill fu per lei di vitale importanza. L'aiutò a
comprendere quanto forte la loro amicizia fosse e quanto loro
avessero provato a prendere le distanze dall'intera vicenda che,
effettivamente, non li riguardava.
Alle sue spalle, udì i
passi di Luke farsi sempre più vicini. Decise quindi di allontanarsi
dal batterista per voltarsi nella sua direzione con un debole
sorriso, ancora guastato dalle lacrime che si affrettò ad asciugare.
“Loro sono Gustav e
Georg.” spiegò senza ulteriori aggiunte. Luke sapeva perfettamente
chi fossero, visti tutti i racconti cui lei si era permessa di
lasciarsi andare in sua compagnia. Tornò ad osservare i ragazzi e
fremette prima di parlare di nuovo. “Lui è Luke. Il – il mio
fidanzato.”
Poté perfettamente
scorgere lo sguardo quasi scioccato dei due ma fu loro grata per il
fatto che si comportarono come se tale notizia non li avesse scossi.
“Piacere di
conoscervi.” fece Luke con educazione, seppur senza particolari
feste, com'era ovvio che fosse.
“Come stai, Ingie?”
domandò a quel punto Georg, osservandola quasi perplesso.
Probabilmente, non si
aspettava quel suo cambio di vita, come molti altri.
“Bene.” sorrise
fintamente lei; non voleva dare nell'occhio, con Luke affianco. “Voi?
Quanto vi fermate?”
“Purtroppo solo un
paio di giorni. Veniamo, domani sera, alla prima diretta e dopodomani
ripartiamo.” le rispose Gustav con la sua solita dolcezza. Ingie ne
fu tremendamente delusa. Avrebbe tanto desiderato la loro vicinanza,
benché fosse complicato, in presenza dei gemelli. “Ci sei
riuscita.” le disse poi con un lieve sorriso in volto. La mora
batté più volte le ciglia, non riuscendo a capire a cosa si
riferisse. “A realizzare il tuo sogno.” le chiarì quindi.
Ingie si rilassò a sua
volta in un sorriso sincero. Sapeva che si riferiva alla sua entrata
nella compagnia, non a DSDS. Non aveva mai avuto occasione di
complimentarsi veramente con lei, date le circostanze, e fu felice di
scorgere fra i suoi lineamenti pura soddisfazione.
Si limitò ad annuire,
cercando di mostrargli tutta la propria gratitudine.
“Non hai portato Isa,
Georg?” domandò poi, decisamente curiosa di sapere come stesse la
ragazza con cui ricordava di aver passato un paio di momenti molto
piacevoli.
Le improvvise
espressioni enigmatiche dei due le fecero raggelare il sangue,
pregando di non aver commesso qualche imbarazzante errore.
“Ci siamo lasciati.”
rispose il rosso con un mezzo sospiro.
Ingie si sentì
trafiggere da una lama. Come poteva essere possibile?
“Mio Dio, mi dispiace.
Non immaginavo.” mormorò, portandosi le mani alla bocca.
Georg, dal suo canto, ne
sventolò una stirando appena le labbra, come la cosa non avesse
peso.
“Tranquilla, non
potevi saperlo.”
“Hey, Hobbit!”
Ingie sobbalzò nell'istante in cui la voce di Tom le perforò un
orecchio. Lo vide uscire in giardino, seguito da suo fratello, per
poi cambiare espressione alla sua presenza, soprattutto a quella di
Luke. Dopo una rapida occhiata zelante, tornò ad osservare i ragazzi
con apparente indifferenza. “Ti lascio una settimana e già
ingrassi?” lo prese in giro, battendogli un paio di volte la mano
sugli addominali.
Ingie e Bill si
scambiarono uno sguardo teso, fino a che il cantante non spezzò il
contatto.
“Venite su, in
camera?” domandò ai ragazzi, con l'evidente intenzione di
abbandonare Ingie e Luke.
I due annuirono e, dopo
aver accennato un saluto alla mora, seguirono il vocalist.
“Io rimango a fumare
una sigaretta e arrivo.” annunciò il chitarrista, mentre estraeva
un pacchetto dalla tasca posteriore dei jeans.
Ingie afferrò la mano
di Luke, con l'intento di rientrare anche lei, ma lo sentì opporsi
lievemente. Si voltò verso di lui con la fronte corrugata.
“Anche io mi fumo una
sigaretta.” sussurrò lui, senza farsi sentire da Tom, alle loro
spalle.
Un brivido di pura
agitazione le attraversò lo stomaco e pregò che stesse scherzando.
“Luke.” lo ammonì
con sguardo severo e preoccupato.
Che avesse intenzione di
affrontare Tom nonostante i loro discorsi? Non poteva sapere come
entrambi avrebbero reagito alla minima provocazione. L'unica cosa di
cui era a conoscenza era la rilevante reattività di entrambi e ciò
non era per nulla incoraggiante.
“Hai detto che ti fidi
di me.” le sorrise appena.
Stava giocando sporco ma
non poteva piazzare una scenata proprio davanti al chitarrista.
“Vedi di fumarla in
fretta.” lo avvertì allora, in evidente riferimento a qualsiasi
dannata e folle idea avesse nei confronti di Tom.
Quando gli diede le
spalle, si scambiò un lungo e profondo sguardo con il moro, prima di
rientrare.
***
Vederle sfiorare la mano
del ragazzo, aveva provocato in lui una fitta di gelosia talmente
travolgente, che quasi temette di sfoderare un pugno da Guinnes
proprio in faccia al biondino. Non poteva pensare al fatto che gli
stessi lembi di pelle che aveva sfiorato con le proprie mani, ora
fossero di proprietà di quel damerino. Nel momento in cui vide Ingie
rientrare senza di lui, un sorriso furbo dilagò sul suo viso, poiché
immaginasse che il fatidico momento del confronto con il famoso Luke
stesse per avvenire.
“Dai, sgancia la
bomba.” commentò sardonico, senza nemmeno guardarlo. “Fremi
dalla voglia di farti una bella chiacchierata.” continuò, dopo
l'ennesima boccata di fumo.
“Non ti conviene
scherzare.” ribatté quasi minaccioso il biondo, cosa che portò
Tom a voltarsi finalmente verso di lui con un sopracciglio alzato e
l'espressione di chi la sapeva lunga.
“Dovrei spaventarmi?”
domandò retoricamente; il sarcasmo sempre più pungente.
“Ho visto come guardi
ancora Ingie, non sono cretino.”
“Se non sei cretino,
allora, immaginerai anche che non ho alcuna intenzione di sfiorarla
nemmeno con un dito.”
“Non so, con qualcuno
non è mai abbastanza chiaro.”
Tom si lasciò andare ad
un finto ghigno.
“D'accordo, mettiamola
così... Ingie non è più affar mio. C'è chi ama farsi prendere in
giro. Io no. Ha scelto questa vita? Buon per lei, io me ne tengo
fuori. Evidentemente, la minestra riscaldata non fa schifo a tutti.”
Quella sua ultima provocazione, fece scattare Luke verso di lui, ma
lo vide immobilizzarsi all'improvviso, come avesse udito una voce
nella sua testa che lo pregava di fermarsi. “Poi, mi spieghi perché
sei venuto a parlare con me? Ingie non ti da abbastanza sicurezze?”
gli domandò quindi, sinceramente curioso. “Beh, è comprensibile.
Come è passata da te a me, per poi passare nuovamente a te, non mi
sorprenderei se domani la trovassi a letto con Sid.” La cattiveria
ed il risentimento con cui aveva fatto quel commento quasi lo
sorpresero. Possibile che la vicenda con Ingie l'avesse segnato in
modo così netto? “Fossi in te, dormirei su sette cuscini.”
decise di tagliare corto, schiacciando la sigaretta consunta sotto la
suola della sua scarpa. “Almeno, per quanto riguarda me.”
Con le mani in tasca,
come fosse la persona più tranquilla al mondo, gli diede le spalle
fino a rientrare in hotel, mentre la verità bruciava dolorosa nel
suo cuore.
_____________________________
Bene, l'introduzione
alla nuova storia termina con questo terzo capitolo. Dal prossimo
partirà la trama vera e propria, che spero vi sorprenderà di volta
in volta. Mi scuso per il ritardo enorme ma ho avuto dei giorni
tremendi che non mi permettevano di conciliare i tempi. Per il
prossimo cercherò di far passare meno! Un bacio e fatemi sapere!
|
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Capitolo 4 *** The show must go on ***
aaaaaaaaaaa
Four
The show must go on
Agli applausi, ormai,
era abituata. Con tutti gli spettacoli cui aveva preso parte con la
compagnia, poteva dire di essersi fatta le ossa. Eppure, le urla
intrise di eccitazione e quasi disperazione erano per lei una novità.
Quasi non credeva possibile che tutto quel fiato potesse fuoriuscire
dai polmoni di semplici esseri umani e si chiese quanto fosse
salutare. Era ovvio che tutte quelle ragazze strillassero per i
celebri e richiesti gemelli Kaulitz, in trepidazione per il loro
arrivo. Il frastuono andava semplicemente ad alimentare l'adrenalina
che già l'aveva consumata fino a quella sera.
Nonostante ancora una
buona mezzora li separava dall'inizio della diretta, tutti si
trovavano nel backstage, impegnati con i preparativi. La sala
del trucco era affollatissima; ballerini, giuria e conduttori
condividevano quello spazio, ognuno affidato ad un makeup artist
differente. Luke era già andato a prendere postazione in mezzo al
pubblico, nell'immenso studio, ed era stato un bene, poiché la
tensione che provava ad avere il chitarrista seduto ad un metro e
mezzo da lei si era rivelata ancora una volta insostenibile.
Tom teneva gli occhi
chiusi, mentre una delle tante truccatrici sfiorava la sua pelle
morbida con un pennello intriso di fondotinta. Quasi le parve
un'ingiustizia nei confronti di quel viso così curato. Ricordava gli
attimi in cui vi si era soffermata, a letto con lui, sfiorandone ogni
singolo poro con meticolosità. Aveva sempre trovato incredibile tale
perfezione sul volto di un uomo.
Bill gli sedeva
affianco, impegnato con i capelli. L'espressione seria e lo sguardo
attento, fisso sul suo riflesso, facevano di lui il personaggio che
ormai tutti conoscevano. Era strano osservarlo in tali fattezze,
poiché rammentava il carattere così giocoso ed alle volte infantile
che assumeva allo studio di registrazione, nella vita di tutti i
giorni. Curioso come una telecamera potesse mutare in modo quasi
irriconoscibile l'animo umano; eppure, aveva sempre apprezzato anche
quel lato di loro, poiché parte della professione di cui andavano
fieri.
Tornò ad osservare se
stessa allo specchio. Un uomo sulla trentina stava lavorando da
qualche minuto ad un'acconciatura particolarmente soddisfacente. In
effetti, non era male farsi coccolare a quel modo. Nel frattempo, si
chiedeva se Amanda fosse già in studio con David e la piccola Lily;
non vedeva l'ora di riabbracciarla. Appena arrivata a Cologne, le
aveva telefonato, ma non avevano avuto occasione di incontrarsi,
viste le numerose prove cui Roy li aveva sottoposti per tutto il
pomeriggio.
“Finito.” annunciò
l'uomo, posando nel frattempo spazzola e lacca sul tavolo di fronte a
loro.
“Grazie mille.”
sorrise Ingie per poi alzarsi dalla sedia e recuperare il pacchetto
di sigarette. “Adam, vieni a fumare?” domandò quindi al moro,
seduto su una poltrona, intento a sfogliare distrattamente un
giornale.
Non le sfuggì la
velocissima occhiata che il chitarrista le aveva lanciato attraverso
lo specchio.
Adam, dal suo canto,
annuì e si alzò, per poi seguirla sulla terrazza.
“Dio, non riesco a
smettere di fissare i gemelli.” borbottò il ballerino, con la
sigaretta fra le labbra, mentre cercava di accenderla. “Madre
Natura ha deciso di farmi del male.” Ingie scoppiò a ridere,
espirando di conseguenza la prima boccata di fumo. “Dai, cazzo, non
si può essere così perfetti.” continuò a lamentarsi, come
realmente scioccato.
“Sarai al corrente del
fatto che siano del tutto eterosessuali.” lo mise in guardia,
sarcastica.
“Conosco un sacco di
gente che si è convertita.” ribatté lui, scrollando le spalle con
noncuranza.
“Se ci riesci con
loro, meriti l'Oscar per le cose impossibili.”
Adam non sembrò
convinto.
“Tu non li trovi
dannatamente sexy?” Quella domanda la prese in contropiede e
impiegò tutte le forze di cui disponeva per non scomporsi
minimamente. “Accantona Luke per un attimo, gli occhi sono fatti
per guardare. Non è mica un tradimento ammettere di trovare sexy
qualcuno.”
Ingie si lasciò
sfuggire una piccolissima risata; se solo Adam fosse stato a
conoscenza dei loro trascorsi.
“Sono oggettivamente
belli.” ammise con diplomazia ma il ragazzo non parve soddisfatto,
motivo per il quale sbuffò sonoramente, sollevando gli occhi al
cielo.
“Odio la gente
impegnata. Tutta riservata e casta.” commentò, gettando lo sguardo
altrove.
“Cosa dovrei dire? Che
me li farei sul tavolo, davanti a tutti?” ridacchiò la mora,
decisamente divertita da quella conversazione.
“Per esempio.” annuì
lui, portandola a schioccare la lingua contro il palato, con
l'intento di tagliar corto.
Si presero qualche
minuto di silenzio, in cui entrambi fumavano senza proferire un
fiato, troppo intenti ad osservare la città di fronte ai loro volti.
Tutto pareva così calmo, così rilassante. Per un momento, desiderò
trascorrere l'intera serata lì, a contatto con la fresca brezza
tedesca che le faceva accapponare appena la pelle scoperta delle
gambe. Indossava una sorta di tubino che cadeva morbido sulle sue
curve, fino a metà coscia. Ai piedi dei sandali col tacco. Le faceva
strano tale vestiario; non aveva mai ballato un genere che non fosse
prettamente hip hop, nonostante Roy avesse introdotto delle
contaminazioni nella coreografia. Doveva essere pronta a fare tutto,
da brava professionista. Quella sera, si sarebbe esibita tre volte:
una volta da solista e due in gruppo; non vedeva l'ora di cominciare.
“Non hai mai avuto
esperienze con ragazze?” gli domandò all'improvviso poiché solo
in quel momento si rese conto di non averlo mai realmente fatto.
Ciò sembrò stupirlo,
portandolo a voltarsi nella sua direzione con sguardo malizioso.
“Stai cercando di
rimorchiarmi?” la stuzzicò.
“Mi hai scoperto.”
sospirò lei, reggendo il gioco.
Adam ridacchiò appena
ed aspirò un altro po' di nicotina, mentre con lo sguardo tornava a
carezzare il paesaggio semibuio.
“Sono andato a letto
con una ragazza, un po' di tempo fa.” ammise quindi. Ingie era
allibita. “Non so, forse volevo provare qualcosa di diverso. Forse
volevo vedere se anche una donna potesse soddisfarmi in quel senso.
Ho avuto semplicemente conferma della mia omosessualità.” concluse
con una semplice scrollata di spalle, come si fosse lasciato andare
ad una breve storiella per bambini. “Voi ragazze siete sempre
curiose di sapere se noi gay possiamo fare sesso anche con voi.”
ridacchiò successivamente. “Certo che possiamo, non siamo alieni.
Semplicemente, non ci soddisfa quanto andare a letto con un uomo.”
Ingie sorrise, gettando
le pupille sulle proprie scarpe con disinvoltura.
“Beh, io ti preferisco
così. Non riesco ad immaginarti fare sesso con una ragazza.”
commentò divertita.
“Sì, anche io mi
preferisco così.” concordò il ragazzo con una lieve risata, prima
che un tecnico non li raggiunse in balcone per annunciare loro, in un
inglese insicuro, che la diretta stava per avere inizio. “Andiamo a
spaccare i culi.” esclamò quindi Adam, prima di rientrare con
Ingie al seguito.
Tom e Bill erano
spariti; probabilmente erano già pronti ad entrare in studio. Lei,
dal suo canto, sarebbe entrata solamente alla seconda esibizione.
Osservò distrattamente
Ty, Milo e Sid scaldarsi piuttosto tesi, per poi correre fuori dal
camerino non appena si sentirono chiamare. Fu lieta di constatare che
quella stanza era provvista di uno schermo, che avrebbe permesso a
chi ancora non si esibiva di godersi la diretta.
“Quanta gente.”
commentò colpita Page, seduta accanto a lei, mentre insieme
assistevano all'inizio della serata, che si prospettava piuttosto
coinvolgente, oltre che chiassosa. “Innocua, oltretutto.
Spero che Anthony non faccia il cafone.”
Ingie e Keri scoppiarono
a ridere.
“Non è il tipo da
fare una piazzata in uno studio televisivo.” commentò Adam. “Al
massimo, me lo potrei aspettare da Luke.”
“L'ho addestrato a
dovere.” scherzò la mora, tornando poi a concentrarsi sullo
schermo, dove i gemelli Kaulitz facevano il loro nobile
ingresso, salutando calorosamente il pubblico.
Aveva sentito un brivido
lungo la colonna vertebrale. Tom le faceva sempre un certo effetto.
“Dio, quanto sesso.”
mormorò il ragazzo, affianco, suscitando altre risate attorno a lui.
“Poi, il sesso con i gemelli mi ha sempre affascinato.” continuò,
come fosse solo.
“Abbiamo capito,
Adam.” rise Keri. “Hai reso fantasticamente l'idea.”
“Nessuno ti vieta di
unirti a noi.” le comunicò quindi il ballerino, con malizia.
“Zitti!” si lamentò
Page, cercando di udire ciò che i conduttori dicevano. Fecero appena
in tempo ad assistere alla presentazione del primo concorrente con la
conseguente entrata in scena dei loro compagni, per i quali presero a
fare il tifo, sebbene non potessero sentirle. “Fantastici.”
“Devo cominciare a
scaldarmi.” parlò Ingie, alzandosi dalla sedia per fare un po' di
stretching, ma senza mai perdere d'occhio il televisore.
Il suo cuore batteva
all'impazzata e non sapeva se fosse più nervosa per l'esibizione in
sé o per il fatto che Tom la vedesse per la prima volta in scena.
Certo, l'aveva già osservata ballare, ma mai in un simile contesto.
In più, continuava a pensare al momento in cui avrebbe dovuto
sdraiarsi su quel dannato tavolo, proprio sotto i suoi occhi, e non
riusciva a fare a meno di continuare a maledire Roy con tutte le sue
forze.
Intanto, Mateo era stato
il primo chiamato ad esprimere un proprio parere su quell'esibizione
d'apertura.
“Io trovo molto
fascinoso Mateo, invece.” esordì Page, sotto gli sguardi allibiti
dei suoi compagni.
“Non per rovinarti la
festa, ma sei fidanzata.” obiettò Adam, senza guardarla.
“Guardare e apprezzare
non è considerabile un tradimento.” precisò la bionda,
puntigliosa.
“Ingie, ora non mi
dirai che a te piace Dieter, vero? Perché me ne vado.” continuò
il ragazzo, mentre Ingie, alle sue spalle, ridacchiava, allungando i
muscoli della schiena.
“Fortunatamente i miei
standard non sono ancora così bassi.” rispose. “Con tutto
rispetto per Dieter.” aggiunse poi con una piccola risata, prima di
ammutolirsi davanti all'immagine di Tom che iniziava a parlare, sotto
le urla delle ragazze in studio.
“Mi è piaciuta la
tua esibizione. Credo tu sia migliorato molto dalle audizioni...”
Non aveva mai avuto
nemmeno lei modo di osservarlo in un contesto simile. Gli era sempre
stata accanto nella quotidianità ed aveva assistito solamente ad un
loro concerto, ma mai sarebbe stata in grado di associarlo ad una
giuria. Così serio, ma ironico al tempo stesso; così attento e
meticoloso nell'esprimere un giudizio tecnico. Pareva un'altra
persona.
Era talmente immersa in
quei pensieri pericolosi, che non si era accorta che un uomo era
arrivato per chiederle di seguirlo, mentre Ty, Sid e Milo erano
rientrati in camerino. Si affrettò quindi ad uscire dalla stanza,
sotto gli auguri dei suoi compagni.
Giunse nel backstage,
dove trovò il secondo cantante ad attendere particolarmente nervoso,
con il microfono in mano e lo sguardo fisso sulle scarpe.
L'adrenalina le riempiva
le vene, aumentando di secondo in secondo, e le ricordava quanto
amasse ballare.
Sfiorò con le dita il
tatuaggio sul cuore e con il pensiero l'immagine di suo fratello Tom.
Andiamo a ballare
insieme, fratellone.
Fu in quel preciso
istante che la sua mente si azzerò del tutto e quando si trovò sul
palco, con le luci abbassate, quasi si chiese come vi fosse salita.
La musica partì.
Leggerezza, felicità,
completezza. Era ciò che di più bello quella magia le trasmetteva
ed i sentimenti più travolgenti di cui riusciva ad appropriarsi,
solamente muovendo un braccio. Era nata per quello, era nata per
lasciarsi andare ad ogni nota, per bearsi dell'attenzione del
pubblico, ma soprattutto per estraniarsi dal mondo reale, anche solo
per un attimo.
Girava attorno al
concorrente, interagiva con lui, lo provocava, si allontanava
nuovamente. La tensione era svanita, l'adrenalina era sempre più
violenta, il battito cardiaco quasi non si faceva più sentire.
E, intanto, era giunto
il momento.
Senza mai smettere di
muoversi sinuosamente, sotto il ritmo di quella musica travolgente,
si avvicinò con fare sensuale al tavolo della giuria, dove gli
sguardi maschili non la perdevano d'occhio, come timorosi di qualcosa
di inaspettato.
Con estrema leggerezza,
vi si distese.
Il cuore sembrò tornare
a reclamare la propria presenza, non appena il suo sguardo entrò in
contatto con quello infuocato di Tom. Quello sguardo così simile a
quelli sfoderati durante i loro momenti di intimità, che si sentì
mancare il fiato. Quello sguardo che le aveva sempre voluto dire 'ti
voglio'. Quello sguardo che l'aveva sempre fatta sentire donna.
Per un attimo, ebbe come l'impressione che volesse agguantarla e
possederla lì, davanti a tutti, fino a che non lo vide interrompere
il contatto visivo, per instaurarlo con il cantante.
Era vero, l'amore per
Tom era forse svanito, ma le emozioni che avevano provato assieme
erano ancora vive nella sua memoria; e sapeva che era lo stesso per
lui.
Chiuse gli occhi e
continuò a muoversi con eleganza, sotto le pupille affamate di Mateo
e l'espressione indifferente di Bill, fino a che non si rialzò e
raggiunse con pochi passi il concorrente.
Silenzio.
Un boato di applausi si
levò all'interno dello studio e, non appena la luce si riaccese, la
mora corse di nuovo in direzione del backstage, dove prese fiato.
La prima esibizione era
andata.
Chiuse gli occhi e si
fece forza per scacciare dalla mente l'immagine di quelle iridi
castane, così profonde, così espressive e meravigliose. Forse, per
un attimo, avevano nuovamente condiviso qualcosa di solamente loro.
***
Non seppe dire quante
volte aveva deglutito.
L'aveva provocato con lo
sguardo, lo sapeva. Gli si era sdraiata davanti, seminuda, quasi
sfacciata; così tanto, che l'aveva odiata ancora di più. Come un
flash, gli era tornato alla mente ogni singolo ricordo delle loro
nottate, portandolo ad agitarsi appena sulla sedia. Ricordava quella
dannata attrazione fisica con la quale avevano lottato entrambi per
mesi, prima di cedere alla tentazione. Ricordava quanta fatica
costava loro stare lontani per più di un'ora, come uno la droga
dell'altra. E tutta quell'attrazione, oltre all'amore, era ancora lì,
bruciante. A dire il vero, non era mai realmente svanita. Gli
mancavano la consistenza e l'odore della sua pelle liscia che adorava
carezzare; gli mancavano i suoi occhi scuri puntati con desiderio
sulla sua figura, perché lo facevano sentire importante. Gli mancava
anche solamente litigare con lei, per poi finire il tutto rotolandosi
fra le lenzuola. Il loro rapporto era sempre stato così perfetto,
nella sua imperfezione. Era quel tipo di relazione che qualsiasi uomo
avrebbe desiderato, fatta di ironia, passione, amore e tanto
divertimento. La noia era un'estranea, così come l'angoscia e la
tristezza. Con lei si era sempre sentito completo e più vi
rifletteva, più lo stomaco si accartocciava in una morsa
insopportabile. Erano proprio quelli i motivi per cui era furioso con
lei; la odiava per aver mandato all'aria ciò che di perfetto stavano
vivendo assieme. Aveva mandato all'aria la sua possibilità di essere
felice con lei, perché sapeva che ne sarebbero stati in grado. Ora
sentiva solo una maledetta voglia di vederla soffrire, proprio come
stava facendo lui; voleva ricambiarle il favore, in qualche modo,
come non avesse potuto sopportare di vivere un sentimento simile
senza di lei.
Camminava lungo il
corridoio, in direzione della stanza dove sapeva si sarebbe tenuto il
piccolissimo festeggiamento con l'intera produzione, in onore della
prima serata di DSDS. Questa si era rivelata un grande successo e,
nonostante non si sentisse dell'esatto umore per festeggiare, poteva
definirsi piuttosto soddisfatto. Bill, al suo fianco, ripeteva da ore
di essere affamato ed aveva colto quell'occasione al volo per
riempirsi lo stomaco.
Al loro ingresso,
trovarono tutti coloro che lavoravano al programma con bicchieri di
spumante in mano o salatini di ogni tipo, i quali non impiegarono
molto tempo a catturare l'attenzione del vocalist.
“Eccovi!” esclamò
quello che ricordò si chiamasse Adam, saltellando nella loro
direzione con eccessivo entusiasmo. “Siete stati fantastici.” si
complimentò il ragazzo e Tom non poté fare a meno di sorridere,
quasi in imbarazzo.
“Diciamo che non
eravamo esattamente i protagonisti della serata.” rispose con
sincerità, in un inglese comprensibile, accettando di buon grado il
bicchiere che il ballerino stava gentilmente offrendo a lui e suo
fratello.
Spostò momentaneamente
lo sguardo alle spalle di Adam, dove trovò Ingie intenta a ridere
spensieratamente con Sid e Ty. Un bicchiere di spumante in mano. Non
poté fare a meno di pensare che fosse bellissima, ma scacciò quel
pensiero, tornando a concentrarsi sul moro davanti a lui.
“Che ne dite se una di
queste sere organizziamo un'uscita tutti assieme?” parlò
quest'ultimo, senza abbandonare l'entusiasmo.
L'ultima cosa che Tom
voleva fare era passare del tempo supplementare con Ingie ma,
pensandoci bene, comportarsi come non gli importasse più nulla di
averla affianco era la soluzione più ovvia ai suoi problemi.
“Credo non sia...”
cominciò Bill, pensando di venirgli in aiuto, ma lui lo interruppe
immediatamente.
“... Male, come idea.
Assolutamente sì.” acconsentì.
Ignorò l'occhiata
interrogativa di Bill, probabilmente curioso di sapere cosa avesse in
mente. A dire il vero, non lo sapeva nemmeno lui. Forse voleva
semplicemente dimostrare ad Ingie che poteva vivere benissimo, anche
senza di lei; ma soprattutto, che la sua vicinanza non gli faceva
alcun effetto.
“Perfetto!” esclamò
Adam, visibilmente soddisfatto.
“Hey, volete un
salatino?”
Quella che doveva essere
Keri si era avvicinata ai tre con un vassoio in mano.
“Oh, sì, grazie!
Muoio di fame!” rispose immediatamente Bill, per poi fiondarsi sul
cibo, senza mezze misure. “Oh, sì.” sospirò, masticando il
primo boccone con aria sognante.
La ragazza ed Adam
ridacchiarono, piuttosto divertiti.
“Scusatelo, il cibo è
la sua unica consolazione.” fece Tom, ironico, guadagnandosi un bel
calcio allo stinco da parte del biondo.
“Adam, hai una
sigaretta?” domandò all'improvviso Keri al ballerino, ma questo
scosse la testa, intento a masticare. “Ho bisogno di fumare.”
“Io ce l'ho.” disse
quindi il chitarrista, estraendo nel frattempo il pacchetto dalla
tasca dei jeans. “Anche io ne fumo una, ti faccio compagnia. Bill,
tu fumi?” chiese poi a suo fratello, le cui guance sembravano sul
punto di esplodere, piene di cibo.
“No, io sto qui a
mangiare.” rispose, a bocca piena.
Tom scosse la testa
divertito e poi si avviò verso il balconcino, seguito dalla
ballerina. Passando affianco ad Ingie, lo sguardo che si scambiarono
fu destabilizzante, ma decise di ignorarlo.
Una volta fuori,
entrambi si accesero una sigaretta e presero a fumare in
tranquillità.
“Grazie.” sorrise la
ragazza, dopo il primo tiro.
“Figurati.” rispose
Tom, gentilmente. “Ho visto che fumate tutti nel gruppo. Il vostro
coreografo ve lo permette?” domandò curioso con un pizzico di
sarcasmo.
“Diciamo che si è
rassegnato.” commentò Keri, dopo aver liberato una nuvola di fumo
grigiastro. “Forse è l'unico vizio che possiamo concederci.”
“Ne so qualcosa.”
annuì lui, per poi guardare la strada, a qualche metro da loro.
“Siete tutti molto bravi.” si complimentò poi, tornando a
scrutarla.
“Grazie.” ripeté
lei. “Io invece non ho mai avuto occasione di ascoltare le vostre
canzoni. Ne conosco solo una e devo dire che mi è piaciuta molto.”
“Sì, beh, in America
siamo un po' meno conosciuti. È per quello che io e mio fratello
stiamo pensando di trasferirci a Los Angeles, almeno per un po'.”
“Non dev'essere facile
la vita da rockstar.”
“Oh, ha tanti lati
positivi. Poi, però, arrivano i paparazzi e ti rovinano la festa.”
“Non è stressante
anche il solo pensiero di non deludere le aspettative del proprio
pubblico?”
“Terribilmente
stressante. Ma se ci facessimo tutti destabilizzare da questo, non
combineremmo più nulla. Bisogna anche osare nella vita.”
“Completamente
d'accordo.” Si presero qualche attimo di silenzio, in cui Tom gettò
una rapida occhiata all'interno della sala, constatando che Ingie era
ancora intenta a chiacchierare animatamente con i suoi compagni.
Sembrava serena, estremamente pacifica e rilassata. Avrebbe pagato
oro per poter dire lo stesso di sé. All'improvviso, la figura di
Luke fece la propria entrata trionfale. Il bicchiere che ancora
teneva in mano, sembrò sul punto di rompersi per l'incredibile forza
con cui lo stava stritolando, come fosse la testa del biondino. E
quando lo vide posare un bacio sulle labbra di Ingie, fu costretto a
guardare altrove. “Adam vi sta stressando la vita.” ridacchiò ad
un tratto la ragazza.
Tom, dal suo canto,
sorrise, fingendosi tranquillo.
“No, è simpatico.”
rispose. “Un tipo bizzarro.”
“Sta cercando di farvi
diventare gay.” aggiunse lei con un sogghigno.
Il chitarrista per poco
non si strozzò con il fumo.
“Beh, spero abbia
capito che è un'impresa impossibile.” esclamò sulla difensiva.
“Sto benissimo nella mia eterosessualità, al momento.” fece con
ironia. Keri ridacchiò appena, per poi posare lo sguardo sul diretto
interessato, il quale era ancora immerso in una curiosa conversazione
con Bill, che sembrava assecondarlo. Quando Tom terminò la
sigaretta, la gettò nel posacenere sul tavolino che lo affiancava.
“Rientro.” le sorrise quindi.
“Anche io.” annuì
lei, seguendolo.
***
Non li aveva persi
d'occhio un solo istante.
Non le dava fastidio.
Assolutamente. D'altronde non vi era nulla di male, in ciò che aveva
visto; eppure, si era preoccupata di tenere sotto controllo la
situazione, senza farsi notare da Luke.
Quando Keri le si
avvicinò, le sorrise.
“Che mi sono persa?”
domandò la ragazza, portandosi una ciocca di capelli dietro
l'orecchio.
“Nulla, a parte Adam
che cerca di violentare Bill Kaulitz.” rispose Page.
“Oh, quello, lo
sapevo. Ne ho parlato con Tom fino ad ora.” Ingie scoccò
un'occhiata veloce a Luke e notò che aveva cambiato espressione,
indurendo la mascella. “Sono simpatici.”
“Sì, hanno uno
spiccato senso dell'umorismo.” fece il biondino con quello che solo
Ingie registrò come cupo sarcasmo.
“Io vado un momento in
bagno.” decise di congedarsi, per non dover entrare in qualche
strano e scomodo discorso riguardante i gemelli.
Sotto lo sguardo
enigmatico di Luke, si affrettò ad uscire dalla sala, per poi
percorrere il lungo corridoio, fino a raggiungere il bagno. Si
aggrappò al lavandino e sbuffò sonoramente; quella situazione stava
divenendo sempre più pesante da reggere ed avrebbe tanto voluto
godersi quel nuovo lavoro in pace e priva di preoccupazioni.
Ad un tratto, udì il
rumore di uno sciacquone, accanto a lei, e quando la porta si aprì,
per poco non le venne un infarto. Quando era uscito Tom? Che fosse
quella la causa dello sguardo di Luke?
Maledette me e la mia
dannata distrazione.
Si scambiarono una lunga
occhiata attraverso lo specchio, sorpresi entrambi di trovarsi lì,
poi Tom la affiancò come nulla fosse per lavarsi le mani.
“Ho avuto
un'interessante conversazione con il tuo nuovo fidanzato. O vecchio,
dipende dai punti di vista.” esordì improvvisamente il
chitarrista, con scherno, senza guardarla. Ingie decise di ignorare
quella provocazione e rimase in silenzio, attendendo che proseguisse
il discorso. “Penso tu ti debba impegnare un po' di più per farlo
dormire tranquillo.”
“Queste non sono cose
che ti riguardano.” rispose lei con insolita freddezza.
“Sì, se mi tirate in
mezzo.” precisò lui come la cosa non lo toccasse minimamente.
“Capisco che per lui sia difficile credere che tu sia una ragazza
fedele, ma gradirei non essere coinvolto nelle vostre faccende da
coppietta in crisi. Quindi faresti bene ad essere un tantino più
convincente con lui.” concluse, una volta finito di asciugarsi le
mani con un pezzo di Scottex.
Ingie si era sentita
percorrere da una scossa di indignazione, che cercò di non sfogare
in una scarica di pugni contro il ragazzo.
“Primo, non devi
permetterti di fare certe insinuazioni sul mio conto. Secondo, non
siamo in crisi. Terzo, gestisco benissimo da sola la mia relazione,
senza che tu mi dica come comportarmi.” ribatté a tono, piuttosto
infervorata. “Senti, so che sei ferito, ma questo non deve farti
diventare la persona che non sei.”
“Che persona sono io?”
Le si avvicinò pericolosamente ed il cuore prese a battere
all'impazzata, forse spaventata da ciò che avrebbe potuto fare. “Che
persona hai conosciuto tu?” le domandò ancora con sguardo talmente
penetrante che si sentì quasi nuda sotto i suoi occhi. “La gente
può rivelarsi una delusione, no? Potresti aver conosciuto la parte
finta di Tom Kaulitz, non credi?”
Sapeva che quelle parole
erano piene di riferimenti a lei e a ciò che aveva fatto.
“No.” mormorò la
ragazza, percependo un lieve magone farsi strada nella sua gola. “Ho
conosciuto la parte migliore di lui.”
La dolcezza con cui
aveva parlato aveva destabilizzato entrambi. Vi era una nota
malinconica, che non aveva potuto controllare ed evitare. Si sentiva
ancora legata a lui, in qualche modo strano e rovinoso.
“Beh, te la sei
lasciata sfuggire come niente, allora.”
Quel poco più di un
sussurro le aveva fatto male, perché una parte di lei non aveva
potuto fare a meno di scorgervi un pizzico di cruda verità.
“Non farti divorare
dal rancore. Non lo meriti.” le venne spontaneo dire, provocando in
lui un ghigno malinconico.
“Forse ti dai troppa
importanza, Ingie.” rispose. “Io non porto nessun rancore. Puoi
fare quello che ti pare; non sei più cosa che mi riguarda. E mi
sembra di aver già messo in chiaro che fra le mie priorità ed i
miei bisogni, tu non ci sei più.” Le diede le spalle,
incamminandosi in direzione dell'uscita, ma prima di aprire la porta
si fermò, continuando ad ignorarla con lo sguardo. “Forse quella
che non riesce a voltare realmente pagina sei tu.”
Ricevuta l'ennesima
pugnalata, si trovò di nuovo sola.
***
Era tornata in sala con
aria apparentemente tranquilla; non voleva di certo dare nell'occhio,
né con Luke, né – soprattutto – con Tom. Il suo orgoglio,
ancora una volta, aveva reclamato i propri diritti, portandola a
comportarsi come non fosse mai successo nulla. L'occhiata che si
scambiò con il chitarrista fu rapida e disinteressata, fino a che
non raggiunse nuovamente il suo ragazzo, intento a chiacchierare con
i suoi compagni di ballo.
“Ingie, abbiamo deciso
di andare a ballare, domani sera.” annunciò Ty, non appena la
vide.
“E abbiamo invitato
anche i gemelli.” cinguettò Adam, ancora fomentato dalla semplice
idea. La mora cercò di non emettere un urlo che avrebbe sventrato
gli interi studi ed il suo sguardo volò immediatamente su Luke, il
quale parve invece non battere ciglio. “In discoteca possono
accadere cose interessanti.” aggiunse con la malizia che bruciava
negli occhi, pensando a chissà quale inquietante scena a luci rosse
con i Kaulitz.
A quell'ultima frase,
Luke si voltò a scrutarla per pochi secondi, come per ricordarle di
comportarsi bene e non cadere in qualche stupida trappola con il
chitarrista; cosa che ricambiò con un piccolo sorriso rassicurante.
“Signorina Cook?”
Quella voce femminile, a
qualche metro dalle sue spalle, la fece trasalire, poiché impiegò
pochissimi istanti per darle un'identità.
Senza nemmeno
riflettere, si voltò e spiccò una breve corsa fino a gettarsi fra
le braccia di Amanda, che ricambiò la stretta con immenso affetto.
Percepiva un violento
nodo alla gola, che le impediva di proferire una sola parola, quindi
si lasciò semplicemente andare a quell'abbraccio che le era mancato
da quasi un anno.
“Fate largo, arriva il
mammo.”
Sciolse la stretta con
un sorriso, non appena vide David avvicinarsi con un piccolo
fagottino dormiente fra le braccia.
“Oh mio Dio.”
mormorò la ragazza prima di posare una lieve carezza sulla testolina
interamente coperta di infiniti capelli scurissimi. “Ciao, Lily.”
sussurrò rapita da tanta perfezione, per poi sorridere appena al
manager, i cui occhi blu brillavano di una serenità del tutto nuova.
“È stupenda.” commentò ancora scossa da quelle emozioni
sconosciute.
Per una frazione di
secondo, aveva desiderato essere mamma seduta stante.
“Sei stata bravissima.
Non ti avevo mai visto ballare.” si era avvicinata nuovamente
Amanda, mentre David si incamminava verso i gemelli, senza
abbandonare sua figlia.
“Grazie.” sorrise la
mora, fino a che la bionda non si schiarì la voce per poi abbassarla
di un tono.
“Com'è la
situazione?”
Ingie scrollò le
spalle.
“Come al solito. Poi
ti spiego.” sussurrò, giusto in tempo per l'arrivo di Luke. “Ti
presento Luke. Luke, Amanda.” disse quindi, come nulla fosse.
“Piacere.” sorrise
Amanda, stringendogli la mano.
“Finalmente ti
conosco.” ricambiò il biondo. “Ingie mi parla sempre di te.”
“Beh, spero mi abbia
fatto una buona pubblicità!” ridacchiò lei.
“Impeccabile.”
confermò Luke.
Ingie si sentiva a
disagio. Quella nuova situazione era del tutto strana, quasi assurda
e sbagliata. Ricordava i momenti trascorsi assieme a lei, quando era
ancora coinvolta da Tom, allo studio di registrazione. Ora invece le
presentava il suo nuovo fidanzato, con la figura del chitarrista a
pochi metri.
“Quanto vi fermate?”
le domandò Ingie, di nuovo sola con lei.
“Solo un paio di
giorni.” rispose la bionda, suscitando in lei una sensazione di
vuoto, di delusione. “Abbiamo tante cose da fare a casa e, anche se
non sembra, Lily ci tiene molto impegnati.” spiegò.
“Ma tornerete?”
indagò immediatamente Ingie con la speranza negli occhi.
“Ma certo.” annuì
Amanda, sorridente. All'improvviso, Ingie fu catturata da un'immagine
che oltre a colpirla profondamente, desiderò di non aver mai visto.
Tom stringeva fra le braccia la piccola Lily, camminando per la
stanza mentre la cullava delicatamente. Le sue pupille non riuscivano
ad abbandonare quella scena, che la fece quasi commuovere. Non aveva
mai avuto occasione di osservare il ragazzo in quelle vesti così
dolci ed inaspettate. Non aveva mai manifestato particolare amore per
i bambini e di certo non immaginava che potesse essere così bravo e
tenero con uno di loro. Pareva un'altra persona; il suo volto era
disteso in un lieve sorriso, mentre i suoi occhi non si stancavano di
scrutare la bambina, ancora beatamente addormentata. “Tom la ama
alla follia.” udì improvvisamente. Si voltò come colta in
flagrante verso Amanda e non fiatò. La bionda aveva tutta l'aria di
chi aveva perfettamente compreso cosa il suo cervello stesse
formulando in quel preciso istante. “Fa strano, eh?”
Ingie tornò a carezzare
con lo sguardo il moro, che pareva ignaro delle loro attenzioni, e si
sentì scaldare nuovamente il cuore. Faceva molto strano.
“Ha un'aria così
diversa. Sembra quasi un padre.” ammise a voce bassa, come si
vergognasse anche solamente di pensare qualcosa di simile. “Non
l'ho mai visto così.”
“Nemmeno noi. È stato
una sorpresa per tutti.” confermò Amanda. “Spesso, è proprio la
gente che meno ti aspetti a colpirti.”
“Mi – fa piacere
vederlo così.”
“Ti fa semplicemente
piacere o ti emoziona?”
Ingie tornò a scrutarla
quasi scioccata.
“No, Amanda, non
cominciare a mettermi in testa queste cose. Io non lo amo più, lo
sai.” reagì d'istinto con l'agitazione che la scuoteva appena.
“Perché ti animi?
Poi, se sei convinta di non amarlo, potrei dirti qualsiasi cosa; tu
non la ascolteresti, no?”
“Ed è così,
infatti.” sbottò Ingie, sotto lo sguardo enigmatico dell'amica.
“Senti, non ne parliamo più. Dove sono Georg e Gustav, piuttosto?”
“Sono tornati in
albergo. Erano stanchissimi.”
Ingie ne fu
tremendamente amareggiata. Anche i ragazzi sarebbero ripartiti a
breve e non aveva ancora avuto occasione di trascorrere un po' di
tempo con loro, chiacchierando come una volta. Quell'atmosfera così
familiare le mancava dannatamente ed avrebbe pagato oro per riaverla,
ma sapeva anche che non era un sogno realizzabile, poiché avrebbe
sempre dovuto associare la loro presenza a quella dei gemelli, i
quali ormai l'avevano cancellata dalla loro vita.
***
Avevano fatto ritorno
all'hotel molto tardi. Ingie si sentiva devastata dal sonno ed ogni
suo singolo muscolo reclamava un morbido materasso, accompagnato da
un altrettanto morbido cuscino. Inoltre, i piedi le facevano molto
male e non vedeva l'ora di sbarazzarsi delle scarpe. Gettò la borsa
sulla sedia accanto al letto e si lasciò cadere tra le lenzuola per
poi chiudere gli occhi. Si sarebbe addormentata a quel modo, se Luke
non l'avesse sovrastata con il suo corpo.
“Ho sonno.” borbottò
lei.
“Domani mattina
parto.” parlò lui, ignorando la sua lamentela, cosa che le fece
riaprire gli occhi con sorpresa.
“Come?” domandò
perplessa.
“Te l'avevo detto, che
avrei fatto avanti e indietro per il lavoro.” si giustificò lui,
giocherellando con i suoi capelli corvini.
“Sì, ma non pensavo
che saresti tornato a New York già domani. Così, senza preavviso.”
“Volevo farti godere
la prima diretta, senza pensieri.”
Ingie restò qualche
attimo in silenzio. Non sapeva il motivo, ma l'idea che Luke potesse
lasciarla sola a Cologne le provocava una strana apprensione alla
bocca dello stomaco. Come se non bastasse, la sua mente volò
immediatamente sull'immagine di Tom; non era un buon momento per
venire abbandonata da Luke, nonostante si sentisse perfettamente
immune dalla presenza del chitarrista. O almeno, era ciò di cui
provava a convincersi giorno dopo giorno, con qualche apparente
risultato.
“Non partire.”
mugolò, con tono infantile. “Seriamente.” aggiunse.
“Perché ti
preoccupi?” le sorrise lui, carezzandole il naso con il proprio. “E
poi, sai bene che non posso. È il lavoro, non è un capriccio.”
“Lo so.” sospirò
lei. “Ma non mi piace che mi lasci sola.”
“Torno la prossima
settimana, devi stare tranquilla.” Non rispose; abbassò
semplicemente lo sguardo sul suo mento. “Piuttosto, io dovrei
preoccuparmi a lasciarti qui da sola.”
Ingie sbuffò
sonoramente.
“Non ricominciare.”
esclamò seccata.
“Non ricomincio.” si
arrese lui, prendendo poi a baciarle con dolcezza il collo.
Con un leggero sospiro,
si lasciò andare a quelle attenzioni.
Avrebbe dovuto evitare
il più possibile ogni contatto con il chitarrista, fino a che Luke
non avesse fatto ritorno.
Sollevò le braccia,
lasciandosi sfilare la maglia.
Si sentiva così
dannatamente stupida, che desiderava prendersi a schiaffi. Non solo
il suo fidanzato non si fidava più di lei, ma persino lei aveva
cominciato a dubitare della propria forza di volontà. Quella stessa
forza che l'aveva sempre abbandonata, di fronte a Tom, sin dai tempi
dello studio.
Luke la prese quasi con
irruenza, come volesse colmare il vuoto che avrebbe provato in quella
settimana, ed Ingie chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dalla
passione.
Solamente una
settimana.
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Capitolo 5 *** Trying to escape ***
ciao
Five
Trying to escape
Quegli occhioni azzurri,
puntati su di lei da qualche minuto, le facevano sciogliere il cuore.
Lily era la bambina più
innocua che avesse mai avuto occasione di conoscere. Giaceva fra le
sue braccia e la osservava in silenzio, rapita, come volesse studiare
il comportamento adulto.
Amanda sedeva affianco a
lei. Si erano prese entrambe la mattinata libera, lontane da tutti,
per sedere sulle sponde del Reno, che scorreva tranquillo vicino. Il
sole, seppur delicatamente, splendeva sopra di loro affievolendo il
freddo tedesco.
Luke era partito proprio
quella mattina, molto presto, raccomandandole ancora una volta con un
semplice sguardo di comportarsi bene. Dal suo canto, Ingie si era
sentita un po' sottovalutata. Era vero che il chitarrista era capace,
il più delle volte, di renderla inerme, ma che il biondo non
riponesse la minima fiducia in lei era quasi offensivo.
Eppure, la sua parte più
razionale le diceva che quell'atteggiamento era normale, considerati
i suoi precedenti. Molto probabilmente, anche lei si sarebbe
comportata alla stessa maniera, nei suoi panni.
“Ti piacerebbe
diventare mamma?” le domandò all'improvviso l'amica, facendola
quasi sobbalzare.
L'aveva presa
tremendamente in contropiede. Era un argomento di cui non adorava
parlare, che la metteva sempre un po' in imbarazzo.
Gettò nuovamente lo
sguardo su Lily e sorrise appena.
“Beh, penso sia il
sogno di ogni donna.” mormorò, quasi vergognandosene.
“Ti ci vedo, sai?”
le sorrise la bionda. “L'istinto materno, a quanto ho capito, non
ti manca.” Ingie continuava a scrutare la bimba. “Faresti un
figlio con Luke?”
Per poco la mora non si
strozzò con la sua stessa saliva. Avrebbe dovuto prevederlo.
Si prese qualche attimo,
in cui cominciò a muoversi nervosamente sul posto, riflettendo su
quella dannata domanda.
“Al momento, non penso
ad avere figli. Ho ventun anni.” tagliò corto, senza guardarla.
“Sì ma saprai se vedi
Luke come l'uomo della tua vita o no. Una ragazza dovrebbe sentirlo.”
insistette Amanda.
Ingie sospirò con
nervosismo per poi voltarsi finalmente nella sua direzione.
“Dove vuoi arrivare?”
le chiese, diretta.
Sapeva che l'amica –
com'era prevedibile – non faceva mistero del suo desiderio di
rivederla con Tom.
“Al fatto che Luke non
ti rende felice, Ingie.” sbottò la bionda, come non potendo
trattenere oltre quel pensiero.
“Come fai a saperlo?
Non puoi entrare nel mio cervello.” si difese immediatamente la
mora.
“No ma posso
ricordarmi com'eri con Tom.” ribatté di nuovo Amanda, estremamente
seria. “Quelle stesse risate, quello stesso sguardo spensierato,
non li vedo più.”
“Mi vedi da appena un
giorno e mezzo.” precisò Ingie.
“Sai cosa intendo. Mi
basta mezzo secondo per leggerti in faccia. È così palese.”
“Io sto bene con
Luke.”
“Stai bene ma non lo
ami.”
“Non puoi saperlo!”
“Non hai fatto nulla
fino ad ora per negarlo.”
La mora sospirò colta
in flagrante. Aveva perfettamente ragione, ma come poteva solo
lontanamente ammetterlo?
“Senti, con Luke sto
bene, mi diverto, c'è intesa mentale.” mormorò. “Al momento,
non ho bisogno di altro.”
“Ma poi, in futuro?
Stare semplicemente bene con lui ti basterà ancora? Arriverai anche
tu a farti una famiglia, Ingie, e non puoi farlo con una persona che
non ami.”
“Non capisco perché
torni sempre a parlare di famiglia. Sono giovane e ho tempo per
questo.”
“Mi serve solo per
farti capire che tu e Luke non siete destinati a stare insieme. Ed è
inutile che io ti dica che tu e Tom eravate perfetti, l'uno per
l'altra.”
“Io e Tom siamo cosa
passata.”
“Perché l'hai voluto
tu.”
“Amanda, non voglio
tornare con Tom e lui non vuole tornare con me, quindi questa
conversazione mi sembra abbastanza inutile. Ognuno andrà per la
propria strada, come stiamo già facendo. Bisogna saper voltare
pagina nella vita.”
“Sì, ma solo quando
ne vale veramente la pena, non se questo ci precluderà la felicità.”
“Non posso sapere se
sarei stata felice con Tom.”
“Ma sai già che lo
sei stata.”
Ingie non trovò più il
coraggio di ribattere.
Era vero, con Tom aveva
sfiorato quella bellissima sensazione chiamata felicità,
anche se per un brevissimo istante. Con Luke non le era mai capitato
perché non lo amava, nonostante l'immenso bene che provasse nei suoi
riguardi.
“Ad ogni modo, ora
devo solo concentrarmi sulla mia carriera. Ho tempo per queste cose.”
insistette poi, con l'intento di concludere una volta per tutte quel
discorso. Amanda sembrò recepire il messaggio, poiché non rispose,
limitandosi ad un gran sospiro avvilito. “Stasera vieni a ballare,
vero?” le domandò successivamente.
“Sì, Lily sta con il
papà, stavolta.” sorrise la bionda, osservando amorevolmente sua
figlia. “Si è categoricamente rifiutato di venire. Non è mai
stato un amante delle discoteche.”
“Lo so.” ridacchiò
Ingie. “Meglio se torniamo all'albergo. Oggi pomeriggio ho le prove
e non posso mangiare tardi.”
“D'accordo.”
Fecero ritorno all'hotel
quasi a mezzogiorno e lo stomaco di Ingie era da qualche ora
disturbato da un continuo languorino, che reclamava cibo a volontà.
Non godere della
presenza di Luke accanto a lei era del tutto insolito; per quanto si
fosse imposta e avesse da subito messo in chiaro di non avere fretta
con la loro relazione – quindi di mantenere una propria
indipendenza –, sin dall'inizio il ragazzo si era stabilito a casa
sua. Ciò l'aveva inizialmente spaventata, ma poi era divenuta anche
per lei un'abitudine. Quell'abitudine, ora, per la prima volta veniva
interrotta e quasi dovette sforzarsi di ricordare com'era la sua vita
in solitudine.
Non appena varcò la
soglia del giardino, assieme ad Amanda e Lily, la sua attenzione fu
catturata dalla figura di Gustav, seduto sulla poltrona in vimini,
intento a fumare silenziosamente una sigaretta.
“Io vado in camera.”
le disse l'amica, come leggendo nella sua mente la volontà di
fermarsi a parlare con il ragazzo.
Ingie, dal suo canto, si
limitò ad annuire, fino a che non si avvicinò al biondo con un
lieve sorriso.
“Hey.” fece.
“Hey.” ricambiò lui
allo stesso modo.
Si fece un po' da parte
per permetterle di sedersi.
“Da quando fumi?”
gli domandò accigliata, una volta soli.
“Da sempre.”
ridacchiò lui. “Ma non lo faccio spesso. Ogni tanto mi rilassa.”
Ingie non rispose; semplicemente estrasse il proprio pacchetto dalla
borsa e se ne accese una anche lei. “Come stai?” le chiese
all'improvviso.
Ingie espirò il fumo.
“Come sto in generale
o stamattina?” lo stuzzicò, senza guardarlo. “Sai, tutti vi
state divertendo a psicanalizzarmi da quando mi sono rimessa con
Luke.”
“Beh, non dirmi che
questo ti ha colto impreparata.” ribatté lui con dolcezza.
Ingie si voltò verso il
suo viso con un sopracciglio inarcato ed un'espressione sardonica.
“Non ti ci metterai
anche tu?” ribatté con tono polemico.
“No, sai che non mi
immischio in queste cose.” scrollò le spalle lui, tornando ad
osservare il vuoto di fronte a sé.
“Ecco perché ti
adoro.” sospirò Ingie, facendo la medesima cosa. “Ad ogni modo,
stamattina sto bene.” concluse, suscitando in lui una piccola
risata. “Georg dov'è?” domandò poi, curiosa.
“Secondo te dove può
essere?” fece lui ironico, portandola a sgranare gli occhi.
“Sta ancora dormendo?”
esclamò esterrefatta. “Dio mio.”
“Si starà preparando
psicologicamente per stasera, dato che domani mattina dobbiamo
ripartire.”
Ingie si incupì.
“Non è giusto che ve
ne andiate così presto.” mormorò.
“Torniamo per la
prossima diretta.” La mora annuì distrattamente, per niente
soddisfatta. “Senti, io però una domanda, te la devo fare.”
parlò di nuovo Gustav dopo qualche attimo di silenzio, cosa che la
portò a sospirare decisamente seccata, con gli occhi al cielo.
“Perché proprio Luke?”
Si strinse nelle spalle.
Per la prima volta si ritrovò in difficoltà, davanti a quegli occhi
scuri, posati attentamente sulla sua figura in attesa di una risposta
plausibile che non era sicura di riuscire a dare.
Perché proprio Luke?
Perché si conoscevano da quando erano piccoli? Perché sapeva già
cosa volesse dire stare con lui? Perché gli voleva un gran bene? O
per semplici sensi di colpa? Non lo sapeva nemmeno lei.
“Gus, conosco Luke da
quando portavo il pannolino. Siamo cresciuti insieme ed abbiamo
vissuto tante cose. Il bene che gli voglio è troppo forte.”
spiegò, gesticolando appena, come in difficoltà.
“Sembra che parli di
un amico di infanzia.” ribatté con sarcasmo il ragazzo, portandola
a sbuffare sonoramente. “Ad ogni modo, non sono io a doverti dire
cosa fare. Se questo ti fa star bene e se sei disposta a lasciar
andare Tom per sempre, fallo.”
“Gustav, Tom è già
uscito da un po' dalla mia vita.”
“Quindi ti andrebbe
bene se trovasse l'amore in un'altra ragazza e ti dimenticasse,
giusto?”
Quella frase l'aveva
portata a fremere all'improvviso e tremare incontrollatamente.
Vi aveva pensato:
lasciare andare Tom e farsi una nuova vita con Luke portava anche a
quello. Non poteva trascorrere il resto della propria esistenza con
un piede in due scarpe. Vedere Tom comportarsi con un'altra nello
stesso modo in cui si comportava con lei le avrebbe fatto male, lo
sapeva. Eppure avrebbe dovuto accettare anche quello, poiché l'aveva
voluto lei con le sue scelte.
“La vita prosegue.”
tagliò corto, senza troppe parole. Erano terribilmente inutili e
Gustav l'avrebbe immediatamente smascherata o forse l'aveva già
fatto. “Tu e Georg, piuttosto, perché mi parlate? Bill era quasi
schifato dal respirare la mia stessa aria ed è comprensibile.”
Gustav scrollò le
spalle e guardò altrove.
“Noi e i gemelli siamo
come fratelli e ci vogliamo davvero bene, quindi ci sosterremo per la
vita. Ma abbiamo avuto occasione di conoscere anche te ed
affezionarci. In fin dei conti, si trattava di una questione che non
ci riguardava direttamente e non ci sembrava giusto fare delle
scelte. Anche un tuo famigliare può commettere grandi errori ma non
penso riusciresti a voltargli le spalle. Abbiamo deciso di tenerci
fuori da questa storia, nonostante abbiamo le nostre idee a riguardo.
Tom e Bill l'hanno capito, sai?” Ingie annuì pensierosa. “E non
pensare che a Bill piaccia questa situazione. È arrabbiato a morte
con te ed è deluso semplicemente perché ti voleva e ti vuole un
gran bene. Ormai ti vedeva già con vestito bianco e pancione. Eri la
donna di Tom, punto. Per lui era così. Per questo devi capire la sua
reazione.”
Ingie aveva sentito un
brivido di nostalgia percorrerle la schiena ed un lieve sorriso si
era instaurato sul suo volto. Forse anche lei a volte vi aveva
fantasticato, con intimo imbarazzo. Aveva immaginato come potesse
essere una vita passata al loro fianco, a giocare con ipotetici figli
e cani. Ma doveva ammetterlo: l'idea le era sempre piaciuta.
“Sì, lo capisco
perfettamente.” concluse, gettando la sigaretta a terra, per poi
calpestarla con la scarpa. “Tu che mi dici? Hai trovato l'amore
della tua vita?” sorrise quindi, cambiando discorso.
Aveva capito che
continuare a parlare di Tom non le faceva bene. Era ancora troppo
vulnerabile a riguardo e l'assenza di Luke non le dava alcun aiuto.
“Sto ancora cercando.”
sospirò lui con un piccolo sorriso quasi arreso.
“Potrei lasciare Luke
per te.” scherzò quindi la mora, sfarfallando languidamente le
ciglia, cosa che lo fece scoppiare a ridere.
“Ne sono lusingato.”
***
Sedevano nella sala
lounge da quasi un'ora. Si erano presi un po' di tempo per rilassarsi
e chiacchierare del più e del meno, senza troppi pensieri per la
testa. Le braccia larghe sullo schienale del divano e la posizione
scomposta andavano ad enfatizzare quell'atteso senso di benessere e
tranquillità che, per quanto effimeri, l'avevano aiutato a staccare
la spina dal mondo 'Ingie'. Bill, al suo fianco, leggeva un giornale
di gossip, apparentemente assorto, e non proferiva parola.
Non appena vide Amanda
entrare in hotel con Lily in braccio, un enorme sorriso prese il
proprio posto sul suo volto.
“Momento dello zio
Tom!” esclamò il moro, portando nel frattempo le braccia in
avanti, con l'intento di afferrare la piccola, che lo scrutava
incuriosita.
“Dai, Tom, deve
mangiare.” obiettò Amanda, camminando nella sua direzione.
“Oggi non l'ho ancora
vista.” si impuntò il ragazzo, per poi prendere Lily fra le
braccia con estrema delicatezza. “Allora, come stiamo oggi?” le
domandò come potesse comprendere. “Lo so, hai ragione. Tua madre è
davvero noiosa.” disse con sarcasmo, ricevendo in risposta uno
schiaffetto in testa da parte della bionda.
“Mi domando davvero
come possa crescere questa bambina a contatto con te.” mormorò
fintamente preoccupata.
“Diventerà simpatica
come il sottoscritto.” si pavoneggiò il chitarrista.
“Già e la cosa mi
preoccupa.”
“Prega che non prenda
anche la sua perversione.” commentò Bill, senza staccare gli occhi
dalle pagine della rivista.
Improvvisamente, un
brivido percorse la schiena del moro non appena vide Ingie assieme a
Gustav fare la loro entrata in hotel. Quasi si sentì mancare il
respiro quando i loro sguardi si incrociarono e giurò di aver
percepito ogni singolo cambio di espressione – anche il più
insignificante – sul viso della ragazza.
Tom, dal suo canto, fece
finta di nulla e tornò a posare lo sguardo indifferente su Lily, che
continuava a scrutarlo fra le braccia.
“Hey, venite qua voi
due. Prendiamoci un caffè.” esclamò Amanda che nel frattempo
aveva trovato posto sul divano, accanto a lui. L'avrebbe volentieri
uccisa se non avesse avuto sua figlia in braccio.
“Oh no, io vado su a
fare una doccia.” prese a scuotere la testa Ingie e non appena si
voltò per imboccare le scale, Gustav la afferrò per la mano.
“Io invece dico che un
caffè è quello che ci vuole.” parlò il biondo, trascinandola
verso di loro contro la sua volontà. Doveva segnarsi di uccidere
anche Gustav non appena ne avesse avuto occasione.
Sapeva che tutti lo
stavano facendo apposta. Tutti volevano vederli di nuovo insieme e
non capiva il dannato motivo. L'aveva fatto soffrire, si era
comportata da estrema immatura con lui; perché avrebbe dovuto
perdonarla? Perché ancora speravano per lui in una vita assieme a
lei?
La osservò sederglisi
di fronte con lo sguardo puntato su Lily per non incrociare il suo e
non poté fare a meno di pensare che al mattino, struccata e vestita
con una semplice tuta, fosse particolarmente bella. L'aveva sempre
pensato. Ricordava quando si svegliavano assieme, uno accanto
all'altra, e lui non perdeva tempo a stuzzicarla sull'aspetto
sbattuto, mentre intimamente desiderava farle sapere quanto gli
piacesse.
Chiesero tutti e cinque
un caffè ed attesero che li portassero.
“L'hobbit è
morto?” decise allora di parlare. Era inutile votarsi a mutismo
davanti a lei.
“Credo sia in fase di
decomposizione.” rispose Gustav con una tale serietà da portarli a
ridacchiare.
“Tra poco vado a
sfondare la porta della sua stanza.” commentò Bill, una volta
riposto il giornale sul tavolino di fronte al divano. “Anche perché
ho lasciato la lacca da lui e rischio una crisi nervosa se non la
riprendo.”
“Tu, Ingie, anche se
Luke non c'è, vieni a ballare, vero?” domandò improvvisamente il
batterista, come avesse voluto a tutti i costi catturare la sua
attenzione.
A quanto pareva, Santo
Luke era ripartito e per quanto la cosa non avesse dovuto scomporlo
minimamente, non poté fare a meno di provare una piccolissima
soddisfazione. Nonostante non avesse la minima intenzione di tornare
con Ingie, poiché troppo spaventato da un'ulteriore delusione, non
dover assistere per tutta la sera ad uno scambio di moine e tenerezze
fra i due lo faceva sentire un po' meglio.
“Sì, non dipendo
certo da lui.” ribatté lei quasi infastidita da tale insinuazione.
“La dipendenza è
spesso inconsapevole.” sputò il moro con apparente calma. Non
riusciva a trattenersi dal parlarle a quella maniera.
“Sì, anche la
stronzaggine.” ribatté lei con incredibile prontezza, cosa che lo
portò a stringere i pugni.
“Curioso che sia
proprio tu a dirlo.” intervenne Bill con estremo cinismo.
I caffè arrivarono
appena in tempo per porre fine a quel botta e risposta che si
apprestava a cadere nell'imbarazzo e nel ridicolo.
Amanda si schiarì la
voce, come in difficoltà.
“Comunque, Ingie, i
tuoi genitori verranno a Cologne?” domandò, trovato il primo
appiglio per cambiare discorso.
La mora scrollò le
spalle, mentre muoveva il cucchiaino all'interno della tazzina
contenente il liquido fumante.
“Credo verranno più
in là. Forse per l'ultima serata, così torniamo tutti insieme in
America.” rispose con un lieve sorriso.
Tom non aveva mai
conosciuto i genitori di Ingie. Li aveva sempre solamente immaginati,
attraverso le descrizioni della ragazza. Ricordava quante paure
avesse affrontato, prima di ripresentarsi a casa loro. Ora gli pareva
di trovarsi in una realtà parallela, dove Ingie nominava la sua
famiglia – seppur incompleta – senza battere ciglio e priva di
paura negli occhi. Doveva ammettere che la curiosità di vederli era
forte; voleva scoprire a chi più somigliasse, voleva conoscere anche
solamente da lontano chi l'aveva messa al mondo e si odiava per non
riuscire a cancellare quel residuo di affetto incondizionato che
ancora nutriva per lei.
“Voi, invece, quando
avete intenzione di trasferirvi a Los Angeles?” chiese di nuovo la
bionda, questa volta a lui e suo fratello.
“Pensavamo a fine
programma.” rispose il vocalist. “Abbiamo un po' di cose di cui
occuparci, però.”
“Un bel cambio di
vita.” commentò Ingie, senza guardarli, come se nulla fosse.
“Solitamente non mi
faccio spaventare dai cambi di vita.” ribatté il chitarrista,
alludendo alla loro ultima discussione a casa della mora, quando
aveva preso quel dannato aereo per raggiungerla. “A volte, basta
davvero poco. Basta volerlo.”
“Ma un pizzico di
razionalità in più non guasta, ogni tanto. Non sempre si può fare
tutto ciò che si vuole.”
“Fortunatamente ho una
filosofia di vita diversa.” Il silenzio cadde all'interno della
sala lounge e nessuno si era più permesso di proferire parola. La
tensione si tagliava con il coltello e Tom desiderava tanto togliere
le tende poiché sedere in mezzo a loro non era più piacevole come
ricordava. Lily si era nel frattempo addormentata fra le sue braccia
e provò un profondo senso di invidia. Desiderava essere quella
bambina, non capire come funzionasse il mondo e non dover affrontare
ogni singola rogna che questo gli proponeva. “Luke come la pensa a
riguardo?”
Gli venne
improvvisamente spontaneo provocarla.
Aveva trattenuto quella
tentazione fino all'ultimo ma il discorso Luke fremeva sulla
sua lingua, pronto a venir fuori senza freni.
Aveva perfettamente
notato il cambio di espressione sul volto di Ingie; occhi quasi
indignati, quasi schifati da tale domanda.
“Fortunatamente lui è
un ragazzo molto razionale.” sputò lei, per poi poggiare con
stizza la tazzina vuota sul tavolino ed alzarsi dal divano. “Ora
vado su. Ci vediamo stasera.” aveva aggiunto, scrutando Amanda e
Gustav, prima di sparire senza dire altro.
Tom tornò ad osservare
Lily silenzioso e pensieroso.
La detestava. Aveva
avuto il coraggio di spiattellargli in faccia quanto Luke fosse
migliore di lui, nonostante fosse proprio lei in torto. Purtroppo
conosceva bene Ingie e sapeva quanto fosse difficile per lei cedere
di fronte ad una provocazione, seppur non si trovasse nella posizione
per reagire a tono. Era più forte di lei e ciò la portava a scavare
una fossa sempre più grossa sotto i suoi piedi, sommergendosi di
ulteriori errori, sempre più idioti, che non facevano altro che
allontanare la gente. Lo stava facendo di nuovo: stava risollevando
quello stesso muro che con fatica era riuscito a distruggere.
***
I muscoli erano
piacevolmente indolenziti e la doccia rigenerante cui si era dedicata
subito dopo il ritorno dallo studio – dove Roy li aveva fatti
lavorare come macchine – era stata rigenerante. Aveva nel frattempo
accantonato qualsiasi pensiero riguardante il chitarrista ed aveva
provato a cancellare ogni singolo residuo di nervoso che si era
portata dietro dall'imbarazzante ed insensata conversazione che
avevano tenuto quella mattina.
Si era sentita
terribilmente stronza e priva di qualsiasi diritto nel rispondergli a
quella maniera, ma lui aveva anche sfiorato un nervo scoperto e, se
la conosceva bene, avrebbe dovuto prevederne la reazione.
Improvvisamente, udì
bussare alla porta.
Stringendosi
l'asciugamano attorno al corpo, andò ad aprire appena, affacciandosi
con la testa.
“Hey.” sorrise non
appena vide che si trattava di Keri e si fece immediatamente da parte
per farla passare.
“Scusa, volevo un po'
di compagnia nella preparazione.” fece lei. Aveva portato con sé
un vestito nero e delle decoltè del medesimo colore. “Ho bisogno
di un parere femminile.”
“Certo.” annuì
Ingie.
“Che ne dici?” le
domandò a quel punto, mostrandole l'abbinamento che si ritrovò
sinceramente ad apprezzare.
“Mi piace.” annuì
con vigore. “Molto elegante.”
“Bene.” sorrise
soddisfatta Keri, prima di poggiare il tutto sul letto matrimoniale.
“Tu invece cosa metti?” Ingie si diresse all'armadio, da dove
recuperò un vestito bianco, aderente e piuttosto corto. Ad
accompagnare la scelta, delle scarpe col tacco – sul grigio scuro –
che le fasciavano il piede fino alla caviglia, lasciando però
scoperto qualche lembo di pelle. “Wow!” esclamò la bionda,
colpita. “Sexy!” ridacchiò.
“Non pensi sia
troppo?” domandò a quel punto lei, sentendo i primi dubbi venire a
galla.
“Assolutamente no.”
confermò convinta l'amica.
“D'accordo.” si
arrese, riponendo il tutto nell'armadio.
“A dire il vero, ti
volevo anche parlare.”
Quell'uscita la prese un
po' alla sprovvista e non poté fare a meno di preoccuparsi appena.
“Nulla di grave?” si
informò immediatamente.
“No, no.” gesticolò
la bionda. “Volevo solo qualcuno con cui condividere alcuni
pensieri improvvisi che mi hanno fatto un po' preoccupare.” Ingie
aggrottò la fronte e si andò a sedere al suo fianco, a bordo del
letto. Keri si schiarì la voce. “Non so, sono pensieri strani e
del tutto inaspettati, prendili con le pinze.” borbottò la
biondina. “Sono confusa.” sospirò, prendendo una piccola pausa.
“Da qualche giorno ho strani pensieri riguardo una persona. Un
ragazzo.”
Milo, pensò
Ingie, esultando mentalmente. È fatta.
“Strani pensieri, di
che genere?” indagò, facendo finta di nulla.
Aveva sempre desiderato
che Milo riuscisse a conquistare la ragazza che ormai da tempo
desiderava solo per sé e forse qualcosa di positivo cominciava a
girare nel verso giusto. Probabilmente aveva cominciato a seguire
qualche consiglio che si era apprestata a dargli.
“Non so se il mio è
interesse o meno. È una situazione complicata. Lo guardo, ci parlo e
mi trovo bene; mi sembra una persona molto matura, intelligente. Però
sei anche al corrente delle mie esperienze con i ragazzi. Diciamo che
non è sempre stato tutto rosa e fiori e dire che ho perso fiducia
nel genere maschile è un eufemismo.”
Ingie quasi non credeva
possibile che una ragazza così giovane potesse già parlare come se
la sua vita fosse in procinto di finire.
“Keri, non parlare
così. Alla fine, hai avuto poca esperienza, sei giovane e il mondo è
grande. Hai appena cominciato a vivere e a conoscere gente nuova. Non
chiuderti a guscio. E poi, qual è il problema? Passa un po' più di
tempo con questo ragazzo e capisci se ti interessa davvero. Perché
questa paura?” parlò seriamente curiosa.
“Perché, numero uno,
non credo potrebbe ricambiare. Numero due, nel caso remoto lo
facesse, sarebbe troppo complicato ed imbarazzante.”
Ingie aggrottò
nuovamente la fronte.
“Perché
imbarazzante?” domandò confusa.
“Diciamo che facciamo
parte dello stesso ambiente.”
La mora udì i cori
dell'alleluia liberarsi senza timore nel suo cervello. Finalmente
Keri aveva aperto gli occhi e si era resa conto che il ragazzo che
avrebbe potuto cambiarle la vita era accanto a lei ogni giorno ed era
anche la persona più dolce che avesse mai avuto occasione di
conoscere.
“No.” disse
scuotendo la testa ad occhi chiusi e gesticolando eccessivamente.
“No, no, no. Ascoltami bene; togliti tutti questi assurdi pensieri
dalla testa. Hai diciannove anni, hai diritto a vivere e
sperimentare. Buttati, se ti senti di farlo, senza troppe domande e
paranoie inutili. Fregatene di ciò che potrebbe succedere per il
fatto che siete a stretto contatto anche nel lavoro e di ciò che gli
altri potrebbero pensare. Qui si sta parlando del tuo benessere.”
Si sentiva tanto
psicologa in quel preciso istante e le sembrò un tremendo paradosso,
visto e considerato il suo talento nel complicarsi la vita con le sue
stesse mani. Però doveva ammettere che quando non si trattava di se
stessa, era brava a dare consigli.
“Sì, beh, te l'ho
detto, non è una cosa sicura. Non so ancora se mi piace sul serio
questa persona. Forse ho voglia di conoscerla meglio, tutto qua.”
spiegò con difficoltà la biondina.
“E tu fallo, allora.”
scrollò le spalle Ingie. “Si vive una volta sola.”
Keri sorrise con un
nuova luce negli occhi.
***
I denti battevano uno
contro l'altro; il freddo tedesco serale era qualcosa che aveva
rimosso dalla memoria, soprattutto se questo andava a pungerla
fastidiosamente sulle gambe scoperte. Si strinse nel cappotto nero
che le avvolgeva relativamente il corpo e si affrettò ad accelerare
il passo, alle spalle dei suoi compagni che si apprestavano a fare il
proprio ingresso nell'enorme discoteca. Erano riusciti a prenotare un
posto nel privé e personalmente non vedeva l'ora di buttarsi in
pista e sfogare tutto ciò che di negativo le assillava la mente.
Ad un tratto, come
illuminata da un pensiero martellante, si gettò in avanti, afferrò
Milo dal colletto della camicia – il quale rischiò di cadere,
sbilanciato da quell'inaspettato strattone – e lo sbatté
delicatamente con la schiena contro il muro, a qualche metro
dall'ingresso.
“Sei posseduta?!”
esclamò il ragazzo del tutto spaesato, mentre i suoi occhi la
fissavano sgranati.
“Ti devo parlare.”
ribatté lei, facendo un gesto non curante con la mano.
“E non potevi
chiedermelo gentilmente?” sollevò un sopracciglio il moro ma la
ragazza lo ignorò.
“Ho parlato con Keri
poco fa.” esordì assicurandosi in tal modo di ottenere la sua
attenzione. Milo, infatti, si era improvvisamente ammutolito. “Mi
ha detto di essere interessata ad una persona; non ha specificato
chi, ma sono praticamente sicura si tratti di te.” parlò ad una
velocità inaudita, troppo eccitata da tale notizia.
Milo aveva
un'espressione del tutto ambigua sul volto, combattuta fra
l'eccitazione e lo scetticismo.
“Come fai ad esserne
sicura?” domandò sospettoso.
“Ha detto che fa parte
del suo stesso ambiente.” sorrise lei.
Milo, per tutta
risposta, sollevò gli occhi al cielo notturno e scrollò le spalle.
“Potrebbe essere Sid.
O Ty.” ribatté quasi come se la cosa non lo toccasse.
“Mi ha detto che è
maturo. Sid ti sembra così maturo?” fece lei con espressione
sardonica. “E Ty è fidanzato, sono molto amici, non si
permetterebbe mai di fare un torto a Jane.”
“E che mi dici di
Adam?”
“Cristo, Milo, adesso
non mi prendere in giro.”
Milo sospirò e guardò
altrove come pensieroso.
“Non so, io non ho
notato nulla da parte sua. Mi sembra troppo strano.” mormorò senza
guardarla, cosa che la portò a mugugnare contrariata ed agitarsi sul
posto, sbattendo un paio di volte il tacco sull'asfalto.
“Ti piace da una vita
e stai lì a rimuginare.” commentò seccata. “Sei troppo
angelico, per la miseria.” sbuffò successivamente facendolo
scoppiare a ridere. “Prova a interagire almeno, no?” insistette.
“D'accordo.” si
arrese lui con un mezzo sorriso. “Agli ordini.” Ingie, del tutto
soddisfatta, lo incitò a seguirla all'interno del locale.
Raggiungere la loro postazione, facendosi largo tra la folla in
fermento e le luci accecanti, non fu una passeggiata ma, una volta
giunti a destinazione, si lasciarono cadere su uno dei divani con un
sospiro compiaciuto. “Beh, direi non male.” commentò il ragazzo
con espressione soddisfatta, mentre si guardava attorno.
Ingie intanto si era
scambiata uno sguardo frettoloso con il chitarrista, seduto di fronte
a lei, affianco a Gustav e Georg. Bill sedeva sul divano accanto,
vicino ad Adam che cercava disperatamente un approccio con lui
attraverso una raffica di parole, senza ottenere però molto
successo.
“Hai fatto la muffa
nel letto, oggi?” domandò la mora al bassista, con un sorriso
divertito, cercando di sovrastare il forte suono della musica a tutto
volume.
“Mi sono rigenerato e
caricato per stasera.” rispose lui con la stessa espressione.
“Allora voglio vederti
ballare.” ribatté lei furbescamente. “Ti metterò alla prova.”
Proprio in quell'istante, una ragazza si fece spazio fra di loro con
un vassoio pieno di alcolici che posò sul tavolino, in mezzo ai
divani.
“Beh, direi di non
perdere tempo e darci dentro.” annunciò immediatamente Sid, per
poi fiondarsi sulla prima bottiglia di Vodka, che aprì con qualche
difficoltà e versò successivamente nei bicchieri. Questa venne poi
mischiata al Malibù. “Cheers!” esclamò quindi sollevando
il bicchiere in aria, contro il quale tutti scontrarono il proprio.
Ingie chiuse gli occhi
nel percepire l'alcol farsi strada lungo la sua gola. Erano secoli
forse che non toccava una goccia di alcolici; non che questo la
tormentasse, non era una fanatica, ma a volte festeggiare poteva
rivelarsi utile soprattutto per il suo umore. Forse da quando si era
rimessa con Luke, era stata proprio la spensieratezza a venire a
mancare e, anche se pareva brutto solo pensarlo, sentiva il bisogno
di rimediare. Aveva ventun anni, la sua vita era appena cominciata;
se non l'avesse fatto ora, quando avrebbe potuto?
Improvvisamente, si
sentì afferrare per il polso fino a che non si ritrovò in piedi, di
fronte ad Amanda, che la trascinava in direzione della folla.
Decisamente divertita, fece in tempo a voltarsi verso Milo e fargli
segno con lo sguardo di buttarsi con Keri e non riflettere oltre. Era
convinta fosse arrivato il loro momento.
Non seppe dire con
esattezza quanto rise e quanto tempo era passato dall'ultima volta
che l'aveva fatto: si stava divertendo; stava ritrovando quel suo
lato gioioso che aveva accantonato per un motivo a lei sconosciuto.
Forse stava ritrovando se stessa.
Amanda, davanti a lei,
ballava come non esistesse un domani; non aveva mai avuto occasione
di osservarla in quelle vesti, poiché l'ultima volta che avevano
messo piede in una discoteca insieme, l'amica era in piena
gravidanza.
Quando tornarono nel
privé, sentì il cuore fare una completa capriola nel petto. La sua
fronte si corrugò ed immediatamente cercò con lo sguardo Milo, il
quale sedeva affianco a Ty, facendo chiaramente finta di ascoltarlo,
troppo occupato a non perdere d'occhio Keri, intenta nel frattempo a
chiacchierare con Tom. Spostò più volte gli occhi da Keri a Milo ed
a quest'ultimo non faceva altro che chiedere con lo sguardo il perché
non fosse lui ad intrattenersi con la bionda, al posto del
chitarrista. Il moro, per tutta risposta, si era limitato a scrollare
le spalle e scuotere negativamente la testa, come non fosse in grado
di fare nulla.
Ingie continuava a
domandarsi il motivo per cui Keri non passasse del tempo con lui,
vista la conversazione che avevano tenuto in camera sua qualche ora
prima. Sembrava così convinta di fare qualche passo avanti con quel
misterioso ragazzo.
Sgranò improvvisamente
gli occhi mentre l'aria sembrò mancarle.
Da qualche giorno ho
strani pensieri riguardo una persona. Un ragazzo.
Ma certo.
Lo guardo, ci parlo e
mi trovo bene; mi sembra una persona molto matura, intelligente.
Quanto poteva essere
idiota?
Diciamo che facciamo
parte dello stesso ambiente.
Come sempre, si era
sbagliata. Aveva dato per scontato un qualcosa di molto più grande e
complicato. E si era chiaramente data la zappa sui piedi, incitando a
portare avanti una conoscenza che, a lungo andare, le avrebbe fatto
solamente male.
Quel dannato ragazzo era
Tom.
Uno sgradevole senso di
nausea le attanagliò lo stomaco, facendola quasi piegare su se
stessa.
Avrebbe dovuto
immaginarlo; perché era stata così ingenua? Era stata così
frettolosa nel pensare si potesse trattare di Milo che aveva voglia
di riempirsi il viso di schiaffi. Ancora di più se ripensava
all'incoraggiamento che le aveva offerto, spingendola ad ottenere ciò
che desiderava. Facendolo, aveva remato inconsapevolmente contro Milo
e contro se stessa.
Era una dannata
ipocrita. Lei non aveva alcun diritto di sentire dolore; non aveva
alcun diritto di star male al solo pensiero di vederli insieme, non
aveva alcun diritto di pretendere che Tom non si rifacesse una vita
senza di lei. Ma, più di ogni altra cosa, era un'ipocrita
nell'affermare con decisione davanti al mondo che il chitarrista
rappresentasse per lei solamente una figura del passato. Tom era
ancora lì, nel suo cuore ed era inutile sperare di spazzarlo via per
sempre.
Chiuse gli occhi ed
afferrò un bicchiere di Vodka dal tavolino, che trangugiò in un
solo sorso, sentendola bruciare lungo la gola.
Non stavano facendo
nulla di male; stavano solamente parlando come la sera prima. Tutto
poteva sembrare innocente se non avesse conosciuto le reali
intenzioni di Keri.
Riempì un secondo
bicchiere. Buttò giù anche quello.
“Georg!” urlò
all'improvviso. “Andiamo a ballare!” esclamò non ammettendo
repliche.
Il batterista,
decisamente colpito da quel suo tono, si alzò dal divanetto e la
seguì, fino che non si trovarono nuovamente schiacciati dalla folla
e dall'afa che ne derivava. Prese a muoversi cercando di non pensare,
ad occhi chiusi. Le pizzicavano, sentiva il nervoso rimontare e
cercare di sfogarsi in un pianto isterico ma lo represse. Quel pianto
che voleva sfogare un accumulo di avvenimenti che le avevano reso
spiacevole l'esistenza. Non sentiva il bisogno di piangere a causa di
Keri; sentiva il bisogno di piangere per il fatto di aver scelto una
vita che le stava stretta ed aver rinunciato a quella che forse le
avrebbe permesso di sorridere. Ed ora non aveva nemmeno più il
diritto di impedire al chitarrista di conoscere nuova gente, mettendo
in conto anche il fatto che avrebbe potuto dimenticarla come fosse
stata una seconda Ria da gettare nella spazzatura, da guardare in un
futuro come colei che si era presa gioco dei suoi sentimenti, come
l'errore che aveva commesso quando era innamorato.
L'alcol cominciava a
fare il suo effetto nel sangue. Quella volta, lo desiderava. Voleva
che la sua mente si annebbiasse, voleva impedirsi di osservarli
conoscersi e scoprire nuovi lati di loro che li avrebbe portati ad
interessarsi a vicenda; voleva cancellare la paura e la tensione che
la tormentavano, nella speranza egoistica di un fiasco da parte di
Keri. Come se non bastasse, si sentiva in colpa nei confronti di Milo
ed avrebbe voluto scavare una fossa sotto i propri piedi,
rifugiarvisi per uscirne più.
Il bassista, davanti a
lei, sembrava sdoppiarsi ed osservarla con la preoccupazione nello
sguardo.
“Ingie, ti senti
bene?” le aveva poggiato una mano sulla spalla.
La mora non rispose,
continuò a muoversi senza sosta davanti a lui.
No, non si sentiva bene,
si sentiva uno schifo e l'alcol non la stava aiutando. Si chiese come
potesse apparire agli occhi degli altri, vista l'improvvisa domanda
del ragazzo.
“Voglio uscire.”
mormorò poi. “Ho bisogno di fumare.”
Non aspettò nemmeno il
rosso; prese a spingersi tra la folla, cercando quasi con
disperazione l'uscita. Le mancava l'aria e quando la ritrovò al di
fuori della discoteca, tirò un sospiro di sollievo. Barcollante,
cercò in giro qualcuno che potesse offrirle immediatamente una
sigaretta.
“Ingie!” sentì la
voce di Georg alle sue spalle, che l'aveva raggiunta con fatica. “Sei
sudata e praticamente nuda, ti conviene tornare dentro.” la avvertì
ma lei continuava a guardarsi in giro, attendendo l'arrivo di
qualcuno che potesse soddisfare la sua richiesta.
“Devo fumare e ho
lasciato le sigarette dentro.” borbottò per poi sentirsi
trattenere dal rosso con una mano.
“Barcolli
pericolosamente.” commentò lui per poi afferrare il pacchetto di
sigarette dalla tasca dei propri jeans ed offrirglielo. Lei lo
afferrò senza nemmeno ringraziare e se ne accese immediatamente una.
“Sei sicura di stare bene?” insistette lui, una volta riposto il
pacchetto in tasca.
“Ho l'aria di una che
sta male?” ribatté lei scettica. “Sto benissimo, perché dovrei
stare male?” continuò per poi sputare il fumo altrove. “Questo è
uno di quei periodi in cui dici, cazzo, che vita fantastica che mi
ritrovo.” Non aveva nemmeno più il controllo delle parole e non si
preoccupava di frenarle. “Ho tutto, perché dovrei lamentarmi? Ho
un cazzo di fidanzato che mi ama, un lavoro fisso che tanti sognano,
un fratello che mi guarda da chissà dove. Va tutto a meraviglia.”
Gli occhi le si erano
riempiti di lacrime e ciò la portava a faticare maggiormente nel
mettere a fuoco la strada davanti a lei.
“Stai delirando.”
disse il ragazzo ma senza fare nulla per porre fine al suo fiume di
parole o riportarla dentro. Probabilmente sapeva che con lei era
tutto inutile. “E sei sarcastica; le due cose non vanno bene di
pari passo.”
“Chi ti dice che sono
sarcastica? Magari mi piace sul serio la mia attuale vita.” ribatté
lei senza nemmeno credervi.
“Certo.” sorrise il
rosso con l'ironia bruciante negli occhi. “Ti conviene rientrare.”
aggiunse poi, stringendosi nelle spalle non appena un soffio d'aria
più gelido dei precedenti ricordò ad entrambi di trovarsi nella
Germania notturna.
“No.” fu la sua
risposta secca che non ammetteva repliche. Georg sospirò
pazientemente.
“Non fare la
testarda.”
“Come chiedere a Bill
di gettare i suoi vestiti da un aereo.” Ingie sollevò
immediatamente lo sguardo annebbiato, ora privo di lacrime, sulla
figura imponente del chitarrista che si avvicinava ai due con le mani
in tasca ed atteggiamento del tutto tranquillo. “Impossibile.”
concluse osservandola con scherno.
La mora ignorò quella
deliberata provocazione, così come l'istinto di mettergli le mani
addosso, e continuò a fumare come se nulla fosse, solamente presa da
qualche sporadico barcollio.
“Beh, io torno dentro
perché sto congelando. Occupatene tu.” disse a quel punto Georg
per poi rientrare nel locale e lasciarli nuovamente soli, come non
succedeva da giorni.
Ingie non fiatò e
sembrò aver trovato in quella sigaretta quasi consunta una sorta di
appiglio psicologico.
Dove aveva lasciato
Keri? Perché era arrivato a farle soltanto aumentare a livelli
esponenziali il nervoso? Inoltre, il suo cervello stava sempre meno
ricreando un contatto con la realtà, cosa che cominciava a mancarle.
Senza guardarlo, si
voltò, cercando un dannato muretto dove potersi sedere ma tutto ciò
che ne uscì fu un imbarazzante traballamento, simile ad un passo di
danza molto impacciato, che la fece quasi rovinare a terra, se non
avesse fatto in tempo ad aggrapparsi goffamente ai rami di un
cespuglio affianco a lei.
“Che agilità.” la
prese in giro il moro.
“Sta' zitto.”
borbottò lei per poi acquisire una postura più sicura, a qualche
passo da lui. “Parli proprio tu.” fece con sarcasmo. Ormai
nemmeno le sue parole suonavano chiare. Gettò la sigaretta terminata
a terra e la schiacciò con il plateau della scarpa, rischiando
ancora una volta di cadere. La lieve risata da parte del chitarrista
le fece raggelare il sangue. “Perché non torni dentro?” gli
chiese con stizza.
“Perché ammetto di
trovare questo spettacolino divertente.” rispose lui con un sorriso
tremendamente irritante sulle labbra. Si stava prendendo gioco di lei
solamente perché era deviata dall'alcol che aveva ingerito. Sapeva
che avrebbe potuto stuzzicarla quanto voleva e non avrebbe ottenuto
alcuna reazione rilevante. “Possibile che a ventun anni non sei
ancora in grado di controllare un po' d'alcol? Bevi sempre come una
spugna?”
Lo ignorò.
Avrebbe tanto voluto
sapere come avesse concluso la conversazione con Keri. Era il
pensiero martellante che continuava ad inquinarle fastidiosamente il
cervello.
Nel frattempo la vista
si faceva sempre più labile e non solo doveva sopportare un
chitarrista, ma addirittura tre. Senza contare la nausea che non le
dava tregua, ma avrebbe preferito mangiarsi la scarpa piuttosto che
rimettere davanti a lui. Sperava di non cedere.
“Voglio un'altra
sigaretta.” borbottò, riprendendo quindi a camminare barcollante.
Non sapeva nemmeno lei
dove stesse andando, voleva solamente una dannata sigaretta.
“Perché ti ostini ad
andare in giro se non ti reggi nemmeno in piedi?” le domandò il
ragazzo con tono divertito.
“Lasciami stare.”
fece un gesto svogliato con il braccio, mentre camminava goffamente,
dandogli le spalle. Ma all'improvviso fu illuminata da un pensiero.
Si voltò di nuovo nella sua direzione, per poi fare altri tre
passetti pericolosi verso la sua sinistra per non cadere, e prese ad
avvicinarglisi mentre il mondo ruotava violentemente attorno a lei.
“Tu ce le hai.” affermò con decisione continuando a ridurre la
distanza fra loro.
“Cosa?” fece finta
di niente il moro.
“Le sigarette.”
“No.” ridacchiò
Tom, prendendo a fare qualche passo indietro.
“Sì.” si impuntò
lei.
“Chi ti dice che ce le
ho?”
“Le porti sempre in
tasca.” Entrambi si osservarono per qualche istante senza proferire
parola. Avevano imparato a conoscersi da ogni punto di vista, quando
si poteva dire stessero insieme. Avevano imparato a conoscere ogni
loro singola abitudine, anche la più stupida, come quella menzionata
dalla ragazza senza alcun indugio. Questa sbuffò seccata e fece un
gesto svogliato non la mano. “Whatever.” borbottò
arrendendosi.
“Ingie Cook abbandona
il ring.” fece sorpreso il ragazzo. “Sei veramente ubriaca.”
Ingie aggrottò la fronte chiudendo gli occhi e mugugnò qualcosa di
incomprensibile persino a se stessa, portandosi le mani alle tempie.
Il mal di testa era insopportabile, così come la nausea ed i
giramenti. “Vedi di non vomitarmi sulle scarpe.”
“Sono tentata.”
ribatté lei a tono.
“Come se ne avessi il
diritto.”
Ingie, per quanto poté,
si rese conto di quanto fosse vera quella frase.
Voleva andarsene da lì.
“Me ne torno a
ballare.” tagliò corto, riprendendo a camminare in direzione della
discoteca.
Non vedeva l'ora che
quella serata terminasse.
“Se ti vedesse Luke,
non sarebbe molto orgoglioso di te.”
Ingie si impuntò sui
propri piedi mentre il sangue ribolliva nelle vene. Si voltò di
nuovo verso Tom e questa volta camminò decisa verso di lui, fino a
ritrovarselo ad un palmo dal naso.
“Tu – la devi
smettere – di tirare in mezzo Luke.” parlò lentamente,
puntandogli ripetutamente un dito contro il petto. “Ti ho già
detto che non è cosa che ti riguarda.”
Con un sorrisetto
irrisorio, il chitarrista sollevò le mani al cielo con fare
innocente.
“Come ti pare.”
commentò apparentemente tranquillo. Ingie con difficoltà riprese a
barcollare verso la discoteca, dandogli di nuovo le spalle. “Allora
anche la mia vita non è cosa che ti riguarda.”
Percepì il cuore
fermarsi per un istante, ma si fece forza e rientrò.
***
Gli occhi e la gola
bruciavano insopportabili ed anche la schiena cominciava a reclamare
una postura più adeguata. Amanda, alle sue spalle, le reggeva la
fronte mentre lei rimetteva tutto ciò che aveva bevuto. Si sentiva
sempre più idiota e non riusciva a sopportare il fatto che avesse
ingerito tutto quell'alcol per colpa della sua confusione.
“Poi mi spiegherai
perché combini queste cose.” disse all'improvviso la bionda,
continuando a sostenerla. “Per caso, è successo qualcosa?”
Ingie strizzò gli occhi
ed affrontò l'ennesimo conato. Le lacrime scorrevano lungo le sue
guance, incontrollabili e si sentiva sempre più piccola e
miserabile.
La verità era che aveva
paura; aveva paura che Tom potesse innamorarsi di Keri e dimenticarla
per sempre. Sì, era una schifosa egoista perché non solo pretendeva
di rifarsi una vita con Luke, ma pretendeva anche che il chitarrista,
in qualche modo, la ritenesse importante. Perché non sopportava
l'idea di vederlo con un'altra? D'altronde, lei l'aveva fatto.
“Non è successo
nulla.” borbottò sollevandosi finalmente in piedi con qualche
difficoltà, poiché la testa ora doleva indescrivibilmente. Aveva
ripreso lucidità da un'oretta ed aveva avuto modo di riflettere più
razionalmente su ciò che era successo con Tom fuori della discoteca.
Si era comportato con lei come i primi tempi della loro conoscenza.
Non le aveva più parlato con freddezza ed odio represso ma con
ironia e sarcasmo e forse era la cosa peggiore che potesse desiderare
perché voleva dire, forse, che stava lentamente smettendo di provare
dei sentimenti per lei. O che l'avesse fatto solamente perché era
ubriaca? “Voglio andare a letto.”
Continuava a piangere e
non appena si gettò sul materasso, si rannicchiò su di un lato,
stringendo con forza il cuscino fra le braccia, dove nascose il viso
arrossato.
Sentì Amanda sedersi
affianco a lei.
“Si può sapere perché
piangi adesso?” le domandò ma Ingie non trovò il coraggio di
rispondere poiché il magone le spezzava la voce. “C'entra per caso
Tom?”
“No.” si affrettò a
chiarire.
“Allora c'entra.”
concluse la bionda, cosa che la fece innervosire ancora di più.
Eppure non si mosse di un muscolo né replicò. Continuò a sfogare
silenziosamente tutti quei suoi sentimenti contrastanti. “Io te
l'ho detto, Ingie. Smettila di ignorare ciò che ti dice il cuore
perché lo rimpiangerai.”
Ma lei, di rimpianti, ne
aveva già troppi.
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Capitolo 6 *** Self harm ***
aaaaaa
Six
Self harm
Oh Cristo fu il
primo pensiero che le attraversò la mente quella mattina.
Si rigirò fra le
lenzuola, portandosi le mani alla testa tremendamente pesante e
dolorante. Qualcuno aveva deciso di sfondare la porta della sua
stanza a pugni e tutto quel frastuono stava divenendo di gran lunga
insopportabile. La sola idea di alzarsi dal letto ed andare ad aprire
le faceva venire voglia di piangere ed urlare ma, raccolta tutta la
poca forza di volontà di cui disponeva, si fece coraggio ed uscì da
quel rifugio caldo ed accogliente. Sbandò prima di raggiungere la
dannata porta.
“Finalmente,
cominciavo a preoccuparmi.”
Amanda, davanti a lei,
aveva uno sguardo severo ed inquieto al tempo stesso.
“Cazzo, scendi tu dal
letto in queste condizioni.” borbottò la mora per poi darle le
spalle e tornare a gettarsi sul materasso.
“Non te l'ho detto io,
di ridurti così.” ribatté la bionda mentre richiudeva la porta.
“Non voglio la
paternale.” la avvertì immediatamente Ingie mentre si portava la
mano sugli occhi. “Mi sento già abbastanza male.”
“Non è compito mio.”
disse Amanda. “Ero venuta per vedere come stavi e per salutarti.”
Un campanello d'allarme
prese a suonare nel cervello della mora, cosa che la portò a
riaprire immediatamente gli occhi.
“Partite ora?”
domandò delusa. La bionda annuì appena. “Allora devo venire a
salutare tutti.” mormorò tornando ad alzarsi con estrema lentezza.
Indossò velocemente dei
pantaloncini ed una maglietta, incalzò le scarpe da ginnastica e
seguì l'amica fuori dalla sua stanza ancora in penombra. Il contatto
improvviso con la luce fu destabilizzante e quasi doloroso e solo in
quel momento le venne in mente di chiedersi quanto diamine avesse
bevuto quella notte.
“Almeno ti ricordi
cos'è successo?” le domandò all'improvviso Amanda mentre le
camminava affianco.
“Sì, non sono messa
così male.” borbottò Ingie in risposta.
Ricordava anche la
sottospecie di conversazione che aveva tenuto con Tom. Così come
l'immagine del ragazzo che chiacchierava animatamente con Keri,
motivo per cui non aveva fatto altro che piangere fino ad
addormentarsi stravolta. Il solo pensiero le faceva venire voglia di
gettarsi in un bidone della spazzatura dalla vergogna. Forse l'alcol
aveva enfatizzato il tutto, rendendo tragica una situazione che di
tragico, effettivamente, non aveva nulla. Eppure si sentiva ancora
frastornata, ancora triste e delusa. Inoltre, aveva un disperato
bisogno di parlare con Milo e sapere come stesse.
Quando raggiunsero il
patio dell'hotel, trovò David, Lily, Gustav, Georg, Bill e Tom. Con
quest'ultimo si scambiò solo una veloce occhiata che andò poi a
gettare immediatamente su Lily.
“Ciao, piccina.”
sorrise, andando a carezzarle il piccolo volto incredibilmente
liscio. “Piacere di averti conosciuta.” Successivamente salutò
David prima che questo uscisse dall'hotel, pronto per sistemare la
figlia sul seggiolino della macchina, e si voltò verso Georg e
Gustav. “Grazie per tutto e scusate gli inconvenienti.” disse
quasi in difficoltà.
“Figurati. Mi sono
divertito a vederti vaneggiare.” rispose il bassista con tono
ironico, cosa che la portò a tirargli un piccolo schiaffetto sul
braccio.
Salutò entrambi con dei
baci sulle guance e li guardò andarsene. Quando giunse il momento di
Amanda, la abbracciò forte.
“Grazie.” mormorò
sincera.
“Figurati. Vedi di non
combinare altri casini nel frattempo.” si raccomandò la bionda
prima di sciogliere quella presa. “Tanto ci sentiamo.” aggiunse
poi, prima di darle le spalle.
Fece un cenno di saluto
ai gemelli e raggiunse David e Lily all'auto.
Ingie sospirò
mestamente, osservandoli partire, e quella spiacevole sensazione di
solitudine tornò a farsi viva nel suo stomaco. Si sentiva davvero
fortunata ad avere un'amica come Amanda che la potesse capire,
sostenere e rimproverare quando necessario. Per assurdo, la Germania
aveva portato nella sua vita un sacco di belle novità; alcune si
erano rivelate momentanee, altre importanti e durature. Amanda era
una di quelle importanti novità.
Improvvisamente, il
suono di un messaggio in arrivo la riportò con la mente alla realtà.
Recuperò il cellulare dalla tasca – quel dannato cellulare che le
aveva regalato il chitarrista per Natale – ed aprì la casella.
Luke.
Come va senza di me?
Stai facendo festa? ;)
Ti amo.
Le venne spontaneo
sospirare appena.
Aveva ragione Tom; se
solo avesse saputo come si era ridotta la sera prima, non sarebbe
stato molto orgoglioso di lei.
***
Tom ricordava la sera in
cui Ingie aveva bevuto qualche bicchiere di troppo, circa un anno
prima. Ricordava anche il terrore negli occhi della mora, non appena
i fotografi avevano scattato foto di loro due all'uscita del locale.
Per quanto recitasse la parte della ragazza dura, strafottente e
menefreghista, Ingie era incredibilmente debole. La facilità con cui
affogasse le sue frustrazioni nell'alcol era però destabilizzante;
nemmeno lui, che conduceva una vita da rockstar impegnata e
stressata, decideva di lasciarsi andare a quella maniera, come non
esistesse un domani. Ingie era instabile, fragile ed insicura, cosa
che la portava a compiere l'azione sbagliata al momento sbagliato; e
quando se ne rendeva conto era sempre troppo tardi. Si chiedeva il
motivo; si chiedeva perché una ragazza intelligente – doveva
ammetterlo – come lei si sminuisse con le sue stesse mani. E ciò
andava al di là della rabbia che provava nei suoi confronti.
“Buongiorno.”
La voce che riconobbe
come quella di Keri gli ricordò di trovarsi in giardino, sul retro
dell'hotel, intento a fumare una sigaretta con la testa immersa in un
vortice di pensieri che a lungo andare lo avrebbero fatto diventare
pazzo. E più si riprometteva di smettere di preoccuparsi per la
mora, più questo accadeva.
“Hey.” le sorrise,
vedendola avvicinarsi a lui in una semplice tuta.
Aveva sempre ritenuto
che Keri fosse una ragazza molto carina ma non vi aveva mai
fantasticato in qualche modo esplicito o animalesco, tipico di un
ragazzo della sua età. Si trovava bene a parlare con lei ma riteneva
che per alcune cose fosse ancora piccola; aveva diciannove anni ma
un'innocenza che a volte lo inteneriva. Quella stessa innocenza che
in Ingie mancava e che l'aveva portato a desiderarla sin da subito.
“Me ne offri una?”
gli domandò la ragazza, riferendosi alla sigaretta.
Lui, gentilmente, le
porse il pacchetto.
“Ti sei ripresa dalla
serata?” chiese lui, mentre la osservava fumare elegantemente.
Questa scrollò appena le spalle.
“Sicuramente sto
meglio di Ingie.” ridacchiò. “Poverina, stanotte stava davvero
male.”
Tom fece un sorriso di
circostanza. Aveva capito che la mora non aveva mai fatto parola con
nessuno della relazione che avevano avuto fino a qualche tempo prima
e, per quanto potesse provare rabbia nei suoi confronti, non era il
tipo di persona che andava a seminare discordia fra la gente.
“Sì, beh, ho visto
che sta meglio.” fece finta di nulla, guardando distrattamente
davanti a sé mentre si riempiva i polmoni di nicotina.
“Tu ti sei divertito?”
la percepì voltarsi verso di lui.
“Sì.” buttò lì.
“Era da un po' che non mi svagavo.” aggiunse continuando ad
osservare il verde attorno a loro.
“Lavorate sempre? Mai
un momento di stacco?”
“Praticamente no.
Abbiamo un manager molto esigente ma ha più che ragione. Dobbiamo
mantenere la band costantemente attiva in questo ambiente o tutto va
a puttane, scusa il francesismo.”
Sentì la bionda
ridacchiare.
“Io mi divertirei.”
commentò interessata e Tom non poté fare a meno di sorridere.
“Me lo dicono tutti
quelli al di fuori di questo mondo. Lo vedono come semplice
divertimento e gioco ma alle volte può divenire stressante. Per
questo, quando possiamo, ci prendiamo delle pause. Per non
impazzire.” Keri rimase in silenzio, forse per riflettere su ciò
che le aveva appena detto. “Voi invece? Sempre a ballare?” le
domandò quindi, voltandosi verso di lei.
“Oh sì. Roy non sa
nemmeno cosa sia una pausa.” rispose lei con sguardo arreso. “Ma
amiamo ciò che facciamo e penso sia un bene.” Fece cadere un po'
di cenere con un colpetto d'indice alla sigaretta. “A proposito, mi
ha detto la receptionist che a pochi metri da qui c'è una creperia
fantastica. Se vuoi prenderti una pausa ed affogare la faccia nel
cioccolato, sappi che sono disponibile.”
Tom fu scosso da qualche
risata. Aveva come l'impressione che Keri cercasse un altro tipo di
approccio con lui e, per quanto i suoi metodi fossero fuori dal
comune, la cosa lo divertiva.
“Va bene.” sorrise.
***
“Io sono mortificata.”
Faceva avanti e indietro per quella stanza, torturandosi i capelli
con le mani – che persistevano col passarvi in mezzo –, e
continuava a dar voce ai suoi pensieri in maniera confusa e
frettolosa. “Sul serio, non credevo possibile una cosa simile. Non
so perché non vi ho nemmeno pensato.”
“Ingie, calmati.”
sorrise lievemente Milo, cercando di fermarla. “Non devi fartene
una colpa. Tu non c'entri nulla. Anzi, sei stata carina a venire
subito da me ed invogliarmi a fare qualcosa; ho capito che ci tieni.
Non potevi saperlo.”
Ingie sbuffò gettandosi
a sedere sul suo letto matrimoniale ancora sfatto.
“Smettila di trattarmi
bene. Mi merito un sentito vaffanculo, dal cuore.” borbottò,
cosa che portò il ragazzo a scoppiare a ridere.
“Ora stai esagerando.”
esclamò divertito. “Succede. Non è la prima delusione amorosa per
me.”
“Eppure, secondo me,
non ti devi arrendere.” batté un piede a terra lei, come per
sottolineare la necessità di perseveranza da parte del ragazzo.
“Cerca di distoglierla da Tom. Fai qualcosa.”
D'accordo. Forse
un'intimissima parte di lei lo stava facendo anche per se stessa e
ciò la faceva sentire un po' egoista. Ma era più forte di lei; vi
aveva riflettuto con tutta la razionalità di cui disponeva, si era
violentata psicologicamente per portarsi a capire che era
giusto che lui la dimenticasse. E bene, non aveva funzionato. Aveva
voglia di sputare sulla sua immagine riflessa allo specchio per
quanto sentiva sbagliato tutto ciò. Perché non riusciva
semplicemente ad ignorare la cosa? Perché non riusciva a farci i
conti? D'altronde, Tom aveva dovuto accettare la sua relazione con
Luke.
No, lei era egoista. Non
sopportava l'idea che si innamorasse di qualcuno che non fosse lei.
Dio, mi prenderei a
schiaffi da sola.
“Dai, diverrebbe
inutile ed imbarazzante.” si oppose – ovviamente – Milo. “Devo
semplicemente lasciar scorrere le cose, così come vengono. Nel caso
dovesse succedere qualcosa fra loro due, cercherò di accettarlo e
passarci sopra. Keri non è l'unica ragazza al mondo, per quanto mi
possa piacere.”
La mandibola di Ingie
raggiunse quasi il pavimento. Quel ragazzo era più piccolo di lei e
l'aveva decisamente battuta in fatto di maturità.
Prendi esempio,
si disse incredula.
“Però non gettare
definitivamente l'ascia di guerra. Non si sa mai, nella vita.”
mormorò ancora, contro ogni buon proposito.
Ora stai seriamente
facendo la bambina.
***
“One, two, three,
four... Oh, andiamo.”
Roy sbuffò per
l'ennesima volta quel pomeriggio.
Ingie lanciò
un'occhiata interrogativa a Sid, il quale aveva di nuovo dimenticato
i passi successivi al dannato quattro. Il coreografo aveva
assegnato loro un passo a due, sullo stile latino-americano con
contaminazione hip-hop, che Ingie si era ritrovata in poco tempo ad
amare. Eppure, quel giorno, il suo compagno pareva altrove con la
testa.
“Lo so, lo so.”
borbottò il ragazzo, tornando in posizione iniziale.
“Continui a ripetere
che lo sai da ore e non ho ancora visto un miglioramento.” ribatté
Roy, visibilmente irritato.
“Sono stanco. Capita a
tutti di essere stanchi. Non facciamo altro che ballare ogni giorno.”
“Sei tu che hai scelto
di ballare per mestiere. Se ti pesa, non sei obbligato a proseguire.”
Ingie osservò Sid
tacere a quell'ennesimo richiamo, come resosi conto solo in
quell'istante di quanto avesse ragione, fino a che non si voltò
nuovamente verso di lei.
“Scusa.” le mormorò,
per poi riprenderle la mano, pronto a ripartire.
“Five, six, seven,
eight...” Ripresero a muoversi sotto la voce di Roy,
guardandosi attentamente negli occhi, come per darsi sostegno e
fiducia. Sid aveva uno sguardo strano, perso; sentiva che qualcosa
non andava. In effetti, non passò molto tempo prima che il ragazzo
inciampasse nuovamente sui propri piedi. L'ennesimo sospiro del
coreografo non lasciò presagire nulla di buono. “D'accordo, fate
una pausa. Proviamo con Page, Ty e Adam. Quando voi riprendete voglio
vedere questa dannata coreografia eseguita, chiaro?”
Ingie e Sid annuirono
come automi.
“Andiamo fuori a
prendere una boccata d'aria.” gli propose mentre apriva le porte
dello studio, seguita dal moro. “Che succede, Sid?” domandò a
quel punto, mentre camminavano in direzione del giardino sul retro.
“Nulla.” tagliò
corto lui. Era evidente che non si sentisse dell'esatto umore per
tenere una conversazione.
“Ti vedo stranamente
spaesato, oggi. Non è da te.” insistette lei, una volta sedutisi
finalmente sui gradini che davano sul cortile.
“Sono solo stanco.
L'ho detto.”
“Siamo tutti stanchi,
Sid. Tu hai qualcosa nella testa e non negarlo. Non riesci a
concentrarti, non riesci a concludere due otto. Tu, che hai sempre
avuto una memoria di ferro e hai sempre appreso tutto prima degli
altri.”
“Senti, capita a tutti
di avere giornate no.”
“Ma se tu parlassi con
qualcuno di cosa ti passa per la testa, forse ti potrebbe aiutare.”
“Non ho bisogno di un
cazzo di nessuno e io sto benissimo, chiaro?!”
Ingie lo scrutò quasi
scioccata. Mai Sid aveva avuto una simile reazione con uno di loro;
mai aveva alzato la voce a quel modo. Era chiaro che il misterioso
problema che lui si ostinava a celare fosse molto più rilevante di
quanto avesse pensato.
Erano tutti stressati;
il loro era un tipo di lavoro che non lasciava respiro, che
distruggeva fisicamente e a volte psicologicamente. Ma, in un modo o
nell'altro, avevano sempre trovato il modo di darsi man forte a
vicenda, rendendo il tutto più leggero e sostenibile. Sid, ora,
stava rifiutando quella mano che gli tendeva.
“Sid, io non voglio
farmi gli affari tuoi per divertimento, sto solo cercando di
aiutarti.” mormorò la ragazza, tentando di parlare nel modo più
dolce possibile.
“E io ti ho appena
detto che non ho bisogno dell'aiuto di nessuno. Ora, per favore,
finiamola qua.” concluse lui in modo secco e deciso.
Non capiva perché si
comportasse a quella maniera tanto scontrosa. Non era decisamente da
lui, che trascorreva il suo tempo a partorire battute maliziose, di
ogni tipo, per chiunque.
A quel punto, decise di
non continuare a fare la parte della testarda e lo lasciò in pace,
dedicandosi quindi al suo cellulare. Quando non sapeva che dire o
fare, si rifugiava nel regalo del chitarrista, come avesse potuto in
qualche modo ristabilire un contatto che mancava. Scorreva
distrattamente i messaggi o la rubrica, nonostante conoscesse tutto a
memoria, come per ricordarsi delle persone cui voleva bene. Ad un
tratto però la sua attenzione fu catturata da un nome in particolare
che brillava a chiare lettere nella sua rubrica: Simone. Le
mani presero a tremare al solo pensiero di non sentirla da quella che
le pareva un'eternità. Sentiva la mancanza della sua voce, delle sue
parole dolci – rivolte esclusivamente a lei – che la facevano
sentire in qualche modo importante ed amata, proprio come una figlia.
Ora come ora, non sapeva nemmeno quale opinione si fosse fatta di lei
e soprattutto se Tom le avesse raccontato tutto. Sperare il contrario
era inutile, poiché era quasi certa che l'avesse fatto. D'altronde
era suo figlio, cosa poteva pretendere?
“Io vedo te strana in
questo periodo, invece.” esordì improvvisamente Sid, prendendola
in contropiede. Lo sapeva che, prima o poi, qualcuno se ne sarebbe
accorto e le avrebbe fatto la fatidica domanda. Eppure, per quanto
poteva, aveva la ferma intenzione di sviare con destrezza ogni
singola insinuazione. “Le cose con Luke vanno bene?” le domandò
a quel punto con nuova gentilezza.
Quel pomeriggio, pareva
nascondere una doppia personalità che, doveva ammettere, la stava
confondendo.
“Sì, tutto
benissimo.” scrollò le spalle come nulla fosse. “Perché?”
chiese poi, pentendosene immediatamente dopo. Cercare una spiegazione
voleva dire sommergersi di fango con le proprie mani e mettersi nella
scomoda posizione di dover rispondere di conseguenza ad ulteriori
domande.
“Non so, siete strani.
Mi è sembrato di avvertire un po' di tensione. Magari mi sbaglio.
Anche con i gemelli mi è sembrato di avvertire la stessa cosa.”
Bingo. Avrebbe dovuto immaginare che quell'argomento sarebbe
saltato fuori. Ma Ingie non aveva la minima intenzione di rivelare
che conosceva molto bene i gemelli, da molto prima dei suoi compagni
di ballo. Aveva finto fino a quell'istante di averli conosciuti per
la prima volta assieme a loro ed avrebbe portato avanti quella messa
in scena per tutelarsi. “Il che è strano perché mi sembrano
persone molto alla mano e piacevoli.”
“Lo sono.” si
affrettò ad annuire la ragazza. “Infatti non ho niente con loro.
Figurati, nemmeno li conosco, come potrei?” si destreggiò quasi
sorprendendosi. “E inoltre con Luke va seriamente tutto bene,
davvero. Magari è solo un momento in cui entrambi abbiamo la testa
occupata. Può succedere, ma nulla di serio.”
Per la prima volta nella
vita, si ritrovò ad amare il richiamo severo di Roy che ordinava
loro di rimettersi al lavoro, poiché la loro pausa era terminata già
da un bel pezzo.
***
Gli sembrava di non
sfiorare la sua chitarra acustica da una vita. Non appena l'aveva
ripresa in mano ed aveva udito il primo suono riempire l'aria, aveva
sorriso, come ripresosi da una lunga astinenza. Era incredibile come
quello strumento – per lui così prezioso – potesse rappresentare
una sorta di terapia. Non appena le sue dita ne carezzavano le corde
tese, subito si sentiva meglio. Chiudeva gli occhi e si lasciava
trasportare dall'istinto, dalla melodia che la sua testa creava
d'impatto, dimenticando per un momento tutti i problemi che aveva, se
così potevano definirsi. Si rendeva conto, alle volte, di quanto
ipocriti si potesse essere, spacciando per tragedia ciò che una
persona realmente sofferente riteneva correttamente futile, eppure
non riusciva a fare a meno di patire ugualmente. La semplice
razionalità nella vita era del tutto inconsistente senza un pizzico
di istinto, se ne rendeva conto, nonostante avrebbe pagato oro per
accantonare del tutto quest'ultimo e non provare più tristezza.
“Oggi sei
malinconico?” gli domandò all'improvviso Bill, appena uscito dal
bagno con un asciugamano in vita. Tom infatti si era rifugiato in
camera di suo fratello forse per avere quella compagnia di cui
sentiva il bisogno. “Suoni e non si può dire che siano note
felici, per quanto belle.”
Tom sorrise appena e
posò la chitarra ai suoi piedi.
“No, non sono
malinconico. Mi andava di strimpellare un po'.” rispose con
leggerezza. Odiava far preoccupare Bill ed inoltre non vi era nulla
di nuovo quel giorno, per quanto riguardasse il suo umore.
“Adoro sentirti
suonare, lo sai.” disse il vocalist, frizionando i capelli biondi
con un panno. “Mi ricorda il periodo in cui ancora non eravamo
famosi e tu salivi sul letto con la chitarra in mano e davi il meglio
di te, fingendo di dominare un palco.”
“Sì, con te a cantare
affianco a me e la mamma a fare da pubblico.” ridacchiò a quel
punto il moro, pervaso dai ricordi. Rammentava quanto caos sua madre
riuscisse a fare, di fronte a loro, con l'intento di simulare un
intero pubblico. Doveva ammettere di trovarla decisamente comica, ma
entrambi gliene erano grati, poiché li aveva sempre sostenuti e mai
aveva cercato di distruggere il loro sogno con troppa razionalità.
“Mi piacerebbe, a volte, tornare a quel periodo.” mormorò quindi
nostalgico con un piccolo sorriso fisso sulle labbra.
“A chi lo dici.”
confermò Bill, prendendo a vestirsi. “È bella quella sensazione
di speranza, di sogno. Anche un po' di ingenuità.”
“Già.” Si prese un
momento di riflessione, osservandolo distrattamente indossare i
jeans. “Credo di piacere a Keri.” ridacchiò all'improvviso, come
risvegliatosi inaspettatamente dal trans.
“Sì?” sorrise Bill,
voltandosi verso di lui con la sorpresa negli occhi, mentre si
infilava una maglietta a mezze maniche. “Da cosa l'hai intuito?”
“Da come mi cerca,
come mi parla. Mi ha anche lanciato un mezzo invito fuori che credo
voglia che colga al volo.”
“Dai, vai.” lo
incoraggiò Bill, indossando le scarpe. “Lei mi sembra simpatica.”
“Sì, lo è, ma al
momento non voglio complicazioni e non voglio illuderla.”
“Non devi per forza
uscire con lei per farci qualcosa. Puoi andarci a prendere una birra,
da amici. Ti fa bene un po' di nuova conoscenza.”
“A me sì ma a lei no,
se si aspetta qualcosa da me.”
“Tu non metterla nella
condizione di illudersi. Falle capire da subito che le tue intenzioni
sono più che innocenti.” Prese una pausa. “Poi, chissà, magari
scopri che ti piace.”
“No.” sorrise Tom,
abbassando lo sguardo. “È troppo piccola.”
“Ha diciannove anni.
Cinque anni di differenza non sono poi un abisso.”
“Non intendo
anagraficamente. Si vede che forse è ancora un po' immatura.” si
spiegò meglio. “Sai, io sono stato abituato a Ria e... Ad Ingie;
voglio dire, per quanto le cose siano andate male, loro sono più
donne, in un certo senso.”
Il vocalist parve
riflettervi per un attimo, per poi scrollare le spalle.
“Magari si scopre che
non è la donna a fare per te.” commentò.
“Grazie.” ridacchiò
il chitarrista.
“Capisci che intendo.”
sorrise di nuovo Bill. “Secondo me, quello di cui hai bisogno in
questo momento è semplice spensieratezza. Cosa che Keri potrebbe
essere in grado di darti. Che ti importa se non è abbastanza matura?
Non la devi sposare. Passaci del tempo assieme, facci due risate, non
è un delitto.” Tom non rispose. “E magari è la volta buona che
vedo quel muso sparire dalla tua faccia.” Il chitarrista stirò le
labbra in un sorriso. “Almeno tu hai una corteggiatrice. Il massimo
cui posso aspirare io è Adam!”
Tom scoppiò a ridere,
portandosi le mani al viso.
“Non credere, ci prova
anche con me, se ti consola.” commentò divertito. “Magari il
segreto per risolvere i miei problemi è diventare gay.” scherzò
successivamente.
“Per quanto io ti
possa voler bene in ogni caso, vorrei diventare zio, quindi, se devi
prendere una decisione simile, fallo il più in là possibile.”
Entrambi si ritrovarono
a ridere con naturalezza, come forse non succedeva da un po'.
Trascorreva talmente tanto tempo a crucciarsi per Ingie che quasi
sentiva di aver trascurato suo fratello, seppur involontariamente, ed
odiava tutto ciò. Suo fratello era la sua vita e mai nessuno avrebbe
dovuto allontanarli, soprattutto una ragazza.
Come spinto da una forza
ignota, gli si avvicinò, per poi stringerlo fra le proprie braccia a
sua insaputa. Dapprima rigido per la sorpresa, lo sentì ricambiare
quell'abbraccio – forse un po' impacciato – che gli era
dannatamente mancato e di cui aveva sentito il bisogno.
“Ti voglio bene,
Bibi.”
***
Le labbra vagavano sulla
pelle del suo collo, in grado di farla accapponare. Tirò indietro la
testa ad occhi chiusi, lasciandogli ampio accesso alla gola già
piena dei suoi baci. Insinuò le dita fra i suoi capelli morbidi,
lasciandosi scappare un lieve gemito che la prese quasi in
contropiede. Le mani grandi del ragazzo la vezzeggiavano ovunque
potesse immaginare di avere epidermide. Con le proprie lo spinse sul
petto, facendolo capitolare affianco a lei, su quel letto enorme; e
non appena gli si sedette a cavalcioni, il cuore quasi le schizzò
fuori dal petto. Tom, sotto di lei, le sorrideva carezzandole una
coscia nuda.
Un urlo incontrollabile
si liberò dalle sue labbra.
“Dio.” esclamò,
sollevandosi a sedere fra le lenzuola.
Si portò le mani al
viso madido di sudore; poteva percepire quelle stesse gocce scorrere
lungo la sua schiena. Si scrollò immediatamente le coperte di dosso
e si sollevò in piedi – non senza qualche sbandamento, dovuto ai
giramenti di testa – e si rifugiò in bagno, dove si sciacquò
ripetutamente il volto.
Doveva immaginare che,
prima o dopo, quel tipo di sogni le avrebbero fatto visita.
Osservò il suo riflesso
con un leggero fiatone e poté scorgere il proprio sguardo quasi
spaurito. Per quanto il protagonista di quel sogno fosse già da solo
motivo di batticuore, ciò che l'aveva più spaventata era il
tradimento. Nel suo sogno aveva tradito Luke e ringraziò il cielo
che non fosse realtà.
La cosa non le piaceva.
Ora aveva persino paura di tornare a dormire e rischiare di
ricominciare.
Dopo essersi asciugata,
tornò in camera dove indossò dei pantaloni di una tuta ed una
felpa; agguantò il pacchetto di sigarette sul comodino e si affrettò
ad uscire dalla stanza. Il corridoio era silenzioso in modo quasi
inquietante; d'altronde erano le tre di notte e nessuno poteva
girovagare ancora per l'hotel come stava facendo lei, come un
fantasma.
Sapeva perfettamente
dove andare e stavolta sperava di non incrociare di nuovo il
chitarrista o avrebbe potuto dirsi perseguitata dalla sfortuna e dal
terribile tempismo.
Salì le scale fino a
giungere all'enorme terrazza sul tetto dell'albergo. Dapprima si
affacciò con la testa, per assicurarsi che non vi fosse l'ombra di
chitarristi, e poi – più tranquilla – andò a sedersi a terra,
poggiando la schiena al muro. Quando si accese la sigaretta, tirò un
sospiro di sollievo, per poi sollevare lo sguardo al cielo stellato.
Era raro godere di tale visione in Germania e ne approfittò lieta.
Poco distante, poteva perfettamente udire il frastuono prodotto dalla
discoteca dove si erano recati sere addietro. Riconobbe addirittura
la canzone e le venne spontaneo pensare che si trattasse di uno
spiacevole scherzo del destino.
If our love is
tragedy why are you my remedy? If our love's insanity why are you my
clarity?
Si portò una mano alla
fronte, con il gomito poggiato al ginocchio, piegato davanti a sé.
Anche una dannata canzone la poneva bruscamente di fronte alla realtà
dei fatti. Quelle parole sembravano scritte appositamente per lei e
Tom e cominciava ad odiare anche solamente l'ossigeno che respirava.
Espirò il fumo verso
l'alto, lasciando che l'aria quasi gelida le carezzasse le gote. Ma
lei non sentiva freddo, era troppo nervosa.
La sua vita era un
immenso punto interrogativo. Sembrava tagliasse un traguardo ma poi
si rivelava fasullo e doveva ripetere la stessa operazione infinite
volte. Non era ancora riuscita a trovare quell'equilibrio di cui
aveva bisogno, che la facesse sentire a casa e le assicurasse
stabilità almeno per un periodo che superasse il giorno e mezzo. Si
sentiva un'incapace, una persona che faticava a stare al mondo e se
ne vergognava. Probabilmente, se avesse avuto ancora suo fratello con
sé tutto sarebbe stato molto diverso. Non a caso, gli errori più
irrimediabili, aveva cominciato a commetterli dalla sua morte. Aveva
perso un punto di riferimento, un sostegno, colui che le dava
stabilità e la teneva ancorata con i piedi a terra. Grazie a lui,
riusciva a non sbagliare, almeno non in modo eclatante come stava
invece facendo da circa un anno a quella parte. Le mancava la sua
presenza, rivoleva quell'equilibrio.
“Sei tu.” Sobbalzò
a quella voce, venuta fuori dal nulla. Milo sostava affianco a lei,
sembrava essersi appena alzato da terra ma poté giurare di non
essersi assolutamente accorta della sua presenza. “Che fai qui a
quest'ora?” le domandò, stranamente mogio, mentre le si
avvicinava.
“Potrei chiederti la
stessa cosa.” rispose lei con gentilezza ma curiosa di sapere cosa
lo tenesse ancora sveglio. Lo scrutò attentamente sederlesi
affianco, abbracciandosi poi le ginocchia e guardando in alto.
Sembrava pensieroso e, osservandolo meglio, le sembrava di scorgere i
suoi occhi arrossati. Che avesse pianto?
“Ti ho mentito.”
esordì all'improvviso il ragazzo e le orecchie della mora si tesero
interrogative. “Non sono in grado di voltare pagina.”
Ingie giurò di sentire
il proprio cuore frantumarsi in mille pezzi. Quella semplice frase
aveva liberato in lei un toro imbizzarrito e l'aveva toccata
nell'anima, poiché sembrava che lei e Milo si trovassero nello
stesso brutto vortice dal quale nessuno dei due era in grado di
scappare. Sentì gli occhi inumidirsi e combatté con tutte le
proprie forze per reprimerle e non lasciare che il ragazzo le
scorgesse. Tutta quella situazione era quasi assurda e guardando Milo
accanto a lei così indifeso e con il cuore aperto, le venne
solamente voglia di essere il più limpida possibile.
“Anche io ti ho
mentito.” parlò quasi senza accorgersene. Guardava fisso davanti a
sé. “Conosco i gemelli da molto più tempo.”
Scagliata la bomba.
Ormai il danno era fatto; uno più, uno meno, si disse, ormai non
valeva nemmeno più la pena preoccuparsene.
Vide con la coda
dell'occhio il moro voltarsi verso di lei come si volesse assicurare
fosse seria.
“Come?” domandò
confuso.
“Un po' di tempo fa
sono scappata dai miei problemi, pensando di poter dare inizio ad una
nuova vita. Questa nuova vita mi ha portato a conoscere Tom, Bill e
il resto della band. Mi hanno ospitato in studio per un bel po' di
tempo.” raccontava come non avesse un freno, ma soprattutto come se
le sue labbra si muovessero da sole, senza che il suo cervello
lanciasse l'impulso.
“Come mai ho la
sensazione che non è tutto?” le chiese improvvisamente Milo, dopo
un attimo di pausa. Era decisamente troppo sveglio.
“Io e Tom abbiamo
avuto una storia, se così si può chiamare.” Percepiva la
sorpresa, affianco a lei. “Iniziata come una storia di sesso,
conclusa come una storia d'amore finita male.” Abbassò lo sguardo
sulle proprie mani riunite sulle ginocchia, che ora presero a
torturarsi a vicenda, nervosamente. “Ci siamo irrimediabilmente
innamorati e se lui era pronto a costruirsi un futuro con me, io ho
impiegato due minuti per distruggere ogni sua aspettativa. Troppo
codarda, come sempre. Pensavo che una storia a distanza non avrebbe
funzionato ed era troppo da sopportare, per me. Con il risultato di
una trentina di ore di volo buttate da parte sua ed un infinito odio
verso me stessa da parte mia.” Si prese un momento di pausa per
ingoiare il groppone che le si era formato in gola. “Ora anche suo
fratello mi odia e probabilmente anche sua madre, se sa qualcosa di
quanto accaduto.”
Il silenzio riecheggiò
per qualche istante, fino a che Milo non parlò di nuovo.
“Ma, insomma, perché
non l'hai mai detto a nessuno?”
“Perché non volevo si
creassero imbarazzi e, non so, forse per mettervi un croce
definitiva, nonostante non abbia funzionato. Quel che è peggio è
che Luke è il ragazzo con cui stavo prima e durante l'accaduto con
Tom. Non gliene avevo mai parlato ed è venuto a scoprirlo una sera
proprio da Luke. Inutile dire quanto ora Tom si senta preso in giro a
rivedermi con lui.”
Altro silenzio.
“Non immaginavo
minimamente una cosa simile. Anche se mi è sembrato di scorgere
strana tensione fra voi due, ma cercavo di giustificarla pensando che
non vi piaceste a pelle.” mormorò il ragazzo, pensieroso. Poi, la
domanda fatidica arrivò. “Non l'hai superata, vero?”
Si sentì per un attimo
mancare il respiro.
“Lo credevo.”
sussurrò. “Ma mi rendo anche conto che quello che ho provato per
Tom è stato troppo forte per poter essere dimenticato così in
fretta.” Una lacrima tradì i suoi tentativi di apparire
tranquilla. Velocemente la scacciò e cercò di sorridere. “È
veramente brutto essere egoisti. Non sopporterei di vederlo con Keri,
sai? È totalmente ingiusto e mi odio ancora di più per questo.”
“Anche io mi odio per
non volerla con lui.”
“Ma tu sei
giustificato. Il tuo è un sentimento puro, normale. Lei ti piace e
non la vorresti vedere con un altro, è semplice. Io no, io ho
sbagliato e continuo a sbagliare tutto. Io non posso pretendere
nulla, ci sono troppi precedenti, e sto solamente facendo la figura
dell'idiota che non sa cosa vuole realmente dalla vita.” Sospirò
prendendosi il viso fra le mani. “A volte vorrei non averlo mai
conosciuto ma poi mi dico che non è vero perché conoscerlo è stata
la cosa più bella che mi potesse succedere.”
Ora le lacrime
scorrevano copiose sulle sue guance senza freni; non aveva neppure
provato a fermarle, arresa all'evidenza. Era inutile nascondere
ulteriormente il proprio dolore davanti a Milo. Rivelargli l'accaduto
era stato qualcosa di spontaneo e voluto, perché si fidava di lui,
perché lui si era fidato di lei. Ora condividevano due segreti e
sapeva che li avrebbero entrambi custoditi con attenzione.
“Perché non glielo
dici?” le chiese ingenuamente Milo.
“Cosa? No,
assolutamente no. Primo, devo pensare a Luke; secondo, mi odia e non
si lascerà mai più abbindolare da me.” rispose Ingie con voce
tremante, cercando di asciugare come poteva le lacrime che
continuavano a cadere. “Ormai ho scelto questa vita e mi sta bene
così. Con Luke sto bene.”
“I tuoi occhi mi
dicono altro però.” commentò lui. “Io non ti vedo felice,
Ingie. E questo, te l'avrei comunque detto, al di là della vicenda
con Tom.”
La mora fu toccata da
quelle parole. Possibile che fosse così evidente? Possibile che le
si leggesse in faccia che non era quella la vita che aveva sempre
desiderato per se stessa? Era così incapace a nascondere agli occhi
degli altri la verità?
“Non sono felice
perché mi manca mio fratello, Milo.” soffiò, ormai col viso
zuppo. Milo sembrava preso in contropiede; probabilmente non si
aspettava che lei nominasse suo fratello. Ingie ne sentiva il
bisogno; era troppo tempo che non si faceva un bel pianto liberatorio
per suo fratello Tom. Aveva a lungo celato le sue emozioni, i suoi
sentimenti riguardante quella grande perdita perché si era
ripromessa di non soffrirne più. Ma era inutile prendere in giro
persino se stessa. La morte del proprio sangue non può finire di far
male; mai. Per quanto ci si ostini a proseguire. “Vorrei averlo
qui, in questo momento, e confidargli tutti questi miei pensieri,
tutto quello che sto passando, perché so che lui riuscirebbe a
trovare la soluzione, anche con un semplice sorriso. Io non sono in
grado di farlo; io sono una nullità senza di lui.”
Sentì la mano di Milo
afferrare delicatamente la propria.
“Tu non sei una
nullità. Guarda dove sei, guarda cosa sei arrivata a fare. Ti sei
costruita e stai continuando a costruirti una bellissima carriera,
Ingie. Ti stai impegnando, stai sudando per crearti un futuro in ciò
che più ami. Ti sei posta un obiettivo e lo stai raggiungendo con
successo. Tutto ciò che ti è accaduto con Tom Kaulitz fa solo da
contorno a ciò che realmente conta: tu sei forte, Ingie, e non hai
nemmeno idea, forse, di cosa tu sia in grado di fare. Non ho mai
avuto occasione di dirtelo prima, ma io ti ammiro. Ammiro la tua
determinazione, la tua lucidità e la tua serietà nel tuo lavoro.
Adoro vedere quanta passione tu ci metta giorno dopo giorno. Tante
volte, non mi vergogno a dirlo, ti ho presa come modello. Perché
voglio impegnarmi come fai tu, voglio sudare anch'io come fai tu.
Perché ciò che otterremo alla fine sarà tutto molto più bello.”
Ingie era senza parole.
Forse mai nessuno le aveva detto cose più belle. Le sue parole
l'avevano colpita così tanto da commuoverla e si sentì stupida
poiché non sapeva nemmeno come poter ricambiare. Milo era una delle
persone più preziose che avesse mai avuto occasione di conoscere.
“Sarai anche più
piccolo di me, ma mi ritrovo a pensare di non aver capito proprio
niente della vita.” disse con l'incredulità negli occhi. “Tu sei
un ragazzo straordinario, davvero. Non perdere mai quello che hai
dentro, Milo. Tienilo stretto.” Poi, senza pensarci, lo abbracciò.
“Grazie.” sussurrò al suo orecchio, sentendolo nel frattempo
ricambiare la stretta. “Ah.” fece all'improvviso, staccandosi
appena per poterlo guardare nuovamente negli occhi. “Inutile che ti
chieda di non dire nulla agli altri, giusto?” gli sorrise appena.
Lui ricambiò ed annuì.
“Puoi stare
tranquilla.”
***
Dopo un'assidua opera di
convincimento, era riuscita a strappare un d'accordo molto
scocciato da parte di Sid, alla sua proposta di andare a bere una
birra ad un pub, quella sera. Il tutto era nato dal pomeriggio,
quando, durante le prove, ad Ingie non era sfuggito ancora una volta
quel suo comportamento ambiguo. Un momento prima rideva ed era il
ragazzo di sempre, un momento dopo urlava a chiunque ritenesse lo
disturbasse. Lei, allora, senza ammettere repliche, gli aveva
letteralmente ordinato di uscire e si ritenne soddisfatta nell'aver
portato a compimento il tutto, non senza sentite lamentele. Anche Ty
aveva deciso di unirsi a loro poiché aveva per l'ennesima volta
litigato con Jane ed aveva bisogno di qualche minuto di svago.
“Insomma, ti rendi
conto? Dice che la trascuro, che penso solo al mio lavoro. Cristo,
non vado a puttane, faccio quello che serve per vivere!” continuava
a lamentarsi da un po', con il boccale di birra davanti a sé e lo
sguardo sbattuto e decisamente stufo. “Vorrei capisse che lo faccio
anche per lei.” borbottò successivamente.
“Lo capirà.”
intervenne Ingie. “Non sopporta semplicemente questa lontananza, è
normale.”
“Ma non è normale
litigare ogni volta che ci sentiamo al telefono. Già mi manca, in
più non posso parlare con lei come vorrei.”
“Mollala.” buttò lì
Sid, cosa che portò la mora a voltarsi verso di lui e fulminarlo con
lo sguardo. “Trovatene una meno pesante e spassatela. Hai
venticinque anni.”
“Sid, non mi pare il
migliore dei consigli.” ribatté Ingie del tutto contrariata.
“Io farei così.”
scrollò le spalle lui per poi alzarsi dallo sgabello. “Vado un
attimo in bagno.”
Non attese una risposta;
sparì semplicemente in meno di tre secondi.
“D'accordo, sono io
che lo vedo strano in questo periodo o anche tu?” chiese
immediatamente la mora, decisamente seccata da tale atteggiamento.
Non riusciva a capire da cosa potesse essere causato; non si era mai
comportato a quella strana maniera.
“No, lo vedo anche
io.” sospirò Ty, osservando la porta chiusa del bagno entro il
quale si era chiuso Sid. “Da un po' di tempo non è più lo stesso
e mi chiedo perché.” Fece una pausa. “Spero solo non stia
facendo qualche cazzata.”
Ingie fu attraversata da
una forte fitta di preoccupazione nello stomaco. Aveva sgranato gli
occhi e si era voltata a guardarlo come per assicurarsi che avesse
sentito bene.
“Intendi...”
cominciò, non avendo nemmeno il coraggio di pensare ciò che la sua
mente aveva formulato. “No, non lo farebbe mai. Sa che finirebbe
fuori dal gruppo, seduta stante.” gesticolò eccessivamente.
Non poteva e non voleva
credere che Sid fosse entrato nel circolo della droga; era un
qualcosa che non poteva accettare.
“Me lo auguro.”
concluse Sid, per poi guardare oltre le sue spalle. “Oh, guarda chi
c'è.” sorrise per poi alzare un braccio e fare un segno di saluto.
Ingie si voltò, seguendo tale direzione, e quasi cadde dalla sedia
nel vedere Tom e Bill fare il loro ingresso nel pub. Era una
persecuzione e si ritrovò a maledire Ty nel vederlo fare loro cenno
di raggiungerli. “Prendete una birra con noi?” propose loro, non
appena Ingie li sentì al proprio fianco.
Alzò momentaneamente lo
sguardo, giusto il tempo di incrociarlo con quello di Tom e tornò a
concentrarsi sul proprio bicchiere.
“Va bene.” sorrise
Bill per poi prendere posto al loro tavolo, entrambi di fronte a lei.
“Sono distrutto.” disse poi portandosi le mani al viso, che
stropicciò appena. “Tom ha avuto la brillante idea di andare a
correre, oggi pomeriggio. Mi tremano ancora le gambe.”
“Non siete abituati?”
sorrise Ty, a capotavola.
“Lui sì, fa palestra
quasi tutti i giorni. Io il massimo dello sforzo che faccio è
sollevare i vestiti che indosso.” borbottò, facendo ridacchiare
tutti tranne Ingie. Non osava fiatare.
“Infatti vedo che tu
hai un fisico muscoloso e ben allenato.” commentò il ragazzo,
questa volta a Tom, il quale sorrise.
“Si fa quel che si
può.” rispose con un'alzata di spalle.
Proprio in quel momento,
Sid fece il proprio ritorno.
“Oh, ciao.” salutò,
sedendosi nuovamente accanto ad Ingie, la quale lo scrutava
sospettosa.
“Hey.” fecero
all'unisono i gemelli.
“Un coglione non
usciva più.” fece vago il ragazzo, prima di riprendere a bere la
sua birra. Ingie continuava ad occhieggiarlo. Mentiva. “Spero tu
non ti sia consolato con Ingie, in mia assenza.” fece poi
malizioso, rivolto a Ty, che arrossì vistosamente.
“Smettila di dire
cazzate. Jane non la lascio, è chiaro?” ribatté lui.
“Era solo un
consiglio.” scrollò le spalle Sid, tornando a bere. “Ditelo
anche voi che deve trovarsi una bella ragazza con cui divertirsi e
basta. Tutte queste gelosie... Una semplice storia di sesso è la
cosa migliore.”
Ingie e Tom si
scambiarono un'occhiata e lei sentì la propria faccia prendere
fuoco, ma poté giurare di scorgere una sfumatura rossastra anche
sulle gote del chitarrista. Era così che avevano cominciato, prima
di innamorarsi.
“Sono inutili le
storie di sesso.” intervenne Ingie. “Finisci sempre per provare
qualcosa.” parlò con lo sguardo sul proprio bicchiere. Quando lo
risollevò, Tom era sempre lì che la guardava con attenzione.
“Sì, se sei debole.
Io, francamente, non ho questi problemi. Tutte le storie di sesso che
ho avuto sono iniziate e finite senza rogne.” ribatté il
ballerino.
“Non potrei mai fare
questo a Jane.” scrollò la testa Ty. “Alla fine, sono innamorato
di lei, nonostante i litigi.”
“Se vuoi continuare a
rovinarti la vita, nessuno te lo vieta.” tagliò corto Sid. “Spero
voi non abbiate tutti questi scazzi, in fatto di donne.” disse poi
ai gemelli.
“Oh, fidati, li
abbiamo anche noi.” commentò Tom. “Io in particolare.”
Ingie sentì un brivido
percorrerle la schiena e continuava a fulminarlo con lo sguardo,
pregando mentalmente affinché stesse zitto.
“Cioè? Racconta.”
fece Sid, interessato e per poco Ingie non gli tirò un pugno in
faccia.
“Ho avuto una storia
di qualche anno. Lavoravamo tanto in quel periodo ed io mi sono
sentito incolpare di trascurare troppo la mia ragazza, per poi
beccarla a tradirmi in casa nostra.” raccontò Tom con semplicità.
Ingie ricordava bene la
vicenda con Ria.
“Visto cosa succede?!”
esclamò Sid in direzione di Ty. “Cominciano tutte così: mi
trascuri, voglio più attenzioni da parte tua! Fino a che non le
becchi a scopare con un altro.”
“Sid!” lo riprese
Ingie per poi lanciare un'occhiata veloce a Ty che sembrava assorto.
“Non è così per tutte.” cercò di rimediare. Ty, dal suo canto,
le fece segno che era tutto a posto, benché lei non vi credesse.
“Ma la delusione più
grande, l'ho ricevuta dall'ultima.” continuò Tom contro ogni
previsione.
Ingie si voltò verso di
lui con occhi sgranati.
Non lo stai facendo
sul serio, gli disse mentalmente.
“Che ha combinato?”
domandò di nuovo Sid.
Anche Bill osservava suo
fratello con espressione interrogativa. Probabilmente, nemmeno lui si
aspettava che raccontasse tutto, con lei presente.
“Non solo non mi ha
mai detto di essere fidanzata, quando ci frequentavamo, ha avuto
anche il coraggio di rimandarmi a casa dopo che mi sono fatto
innumerevoli ore di volo dalla Germania all'America.”
Ingie strinse il
bicchiere fra le dita, frenandosi dall'urlare. Non doveva battere
ciglio o Sid e Ty avrebbero capito che era lei.
“Però, che coraggio.”
fece Ty sorpreso.
“Aveva troppa paura
della lontananza.” commentò il chitarrista quasi con disprezzo.
“Beh, è vero che la
lontananza, a lungo andare, può divenire pesante, ma se c'è l'amore
non è un problema.”
“Appunto.” annuì
Tom. “E di amore, da parte mia, ce n'era tanto.”
Una fitta al cuore.
Basta, ti prego.
“Da parte sua
evidentemente no.” disse Ty e Ingie non poté più tacere poiché
le mani avevano cominciato a prudere.
“Non è vero. A volte
si può essere innamorati follemente, ma la paura gioca brutti
scherzi.” parlò nervosamente, cercando comunque di mantenere il
tono più disinteressato possibile.
“Sì ma quella è
codardia, allora.” ribatté Ty.
La mora non trovò più
il coraggio di controbattere. D'altronde era la verità.
“Comunque ora è
tornata con il suo ex fidanzato.” concluse Tom con una scrollata di
spalle, come se la cosa non lo riguardasse più.
Ty aprì la bocca
incredulo.
“Che stronza.”
commentò Sid, poco colpito, ed Ingie sentì il sangue ribollire.
“Sì, proprio senza
ritegno.” aggiunse Ty colpito.
“Già.” annuì Tom,
questa volta guardandola.
Quello era troppo.
“Vado un momento a
fumare.” annunciò, alzandosi. “Voi continuate pure.” sorrise
poi falsamente prima di abbandonare la tana del leone.
Non appena fu fuori dal
pub tirò un sospiro di sollievo.
Era furiosa; con quale
coraggio aveva potuto umiliarla davanti a loro, seppur inconsapevoli?
Accese con schizofrenia
la sigaretta e fece il primo tiro cercando di dimenticarsi tutto e
calmarsi, invano.
“Sapevo che alla prima
occasione, te la saresti filata.”
Quella frase inaspettata
la spaventò, portandola a voltarsi in quella direzione. Tom era
davanti a lei; le mani in tasca ed un'espressione tranquilla sul
volto. Presa da un attacco di rabbia cieca, gettò la sigaretta
appena accesa a terra, calpestandola immediatamente, e camminò
spedita verso di lui.
Una spinta sul petto.
“Con che coraggio,
eh?!” esclamò per poi dargli un'altra spinta. “Con che coraggio
racconti di noi davanti ai miei compagni?!” Una terza. “Volevi
umiliarmi? Volevi farmi insultare, anche se indirettamente?! Volevi
mettermi in imbarazzo, Tom?!” Un'ennesima, fino a che il ragazzo –
che non aveva cambiato espressione fino a quell'istante – non toccò
il muro dietro di sé con la schiena. “Ci sei riuscito, sei
contento? Adesso ti senti meglio?” domandò con sprezzo.
Il chitarrista sorrise
cupamente.
“Pensi che io tragga
soddisfazione da tutto questo?” parlò senza muoversi. “Anche a
me fa male ricordare tutto. E, sì, volevo che sentissi anche dalle
loro labbra quello che ti sei dimostrata. Perché se avessero saputo
che eri tu, non l'avrebbero mai fatto.”
Un tonfo sordo si levò
nell'aria.
Gli occhi sgranati di
Ingie, incredula per ciò che aveva fatto, tremavano assieme alla
mano con cui l'aveva appena schiaffeggiato.
Che cos'ho fatto?!
Tom la guardava basito e
con l'ira nelle pupille.
Stronza. Non avevo
alcun diritto, dopo tutto quello che gli ho fatto passare.
Le veniva da piangere e
voleva chiedere scusa ma sapeva che sarebbe servito a poco. Era
paralizzata.
Improvvisamente, si
sentì afferrare per le spalle, fino a che non si trovò a prendere
il posto di Tom, con la schiena al muro ed il ragazzo a pochi
centimetri di distanza dal suo viso. Ora era spaventata da quel suo
sguardo. Le labbra quasi la toccavano e poteva percepire il suo
respiro caldo e veloce sul viso. Allungandosi appena, avrebbe potuto
baciarlo.
“Mi schiaffeggi
anche?!” esclamò il moro, furioso. “Non ti basta tutto il male
che mi hai già fatto, Ingie?” abbassò la voce ed Ingie sgranò i
propri occhi nel vedere i suoi riempirsi di lacrime. Una presa
invisibile ma dannatamente forte, le stava stringendo il fegato,
quasi impedendole di respirare. “Quanto ancora dovrò sopportare?
Dimmelo.” Poggiò la fronte contro la sua, chiudendo gli occhi ed
Ingie trattenne il respiro. “Ti odio. Ti odio, ti odio, ti odio.”
continuava a mormorare sulle sue labbra.
E ad ognuno di quel ti
odio, corrispondeva una pugnalata al cuore.
“Tom!” Si
allontanarono immediatamente e si voltarono in direzione di Bill, che
era appena uscito dal pub con il fiatone ed uno sguardo allarmato. Il
vocalist guardò Ingie e pronunciò poche parole che le fecero
crollare il mondo addosso. “Sid sta male.”
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Capitolo 7 *** Right or convenient ***
a
Seven
Right or convenient
Vedere i muscoli di Sid
tremare spasmodicamente, sentire i suoi polmoni che faticavano a
ritrovare ossigeno, portandolo ad assumere un colore biancastro in
viso, fu terribile. Per la mora fu un riportare alla mente le
immagini di suo fratello, la notte dell'incidente, ed il panico aveva
imperversato.
La presenza dei gemelli
si era rivelata del tutto utile poiché il chitarrista si era
immediatamente offerto di scortare Sid in ospedale con la sua auto.
Ingie e Ty si erano seduti sul retro, cercando di soccorrere il loro
compagno di ballo come potevano mentre Tom infrangeva numerosi punti
del codice della strada, senza mai sollevare il piede
dall'acceleratore.
Ora si trovavano tutti
seduti in corridoio, proprio davanti al reparto di rianimazione dove
Sid giaceva, in silenzio. La tensione si tagliava con il coltello.
Ingie continuava a fissare il pavimento con la testa fra le mani; Ty,
affianco a lei, guardava davanti a sé con occhi vuoti; Tom
percorreva più volte gli stessi metri e Bill se ne stava poggiato
con la schiena al muro, teso.
Alla parola overdose,
Ingie si era sentita gelare le ossa. Fino all'ultimo aveva sperato e
pregato che Sid non fosse caduto nel circolo della droga ma, a quanto
pareva, tutto si era rivelato vano. Ty non aveva proferito parola,
forse scioccato per il fatto che le sue supposizioni si fossero
rivelate corrette.
Nessuno aveva avuto il
coraggio di avvisare il resto del gruppo e soprattutto Roy. Si era
trattato di un tacito accordo che avrebbe dovuto tutelare Sid, per
quanto possibile. Se Roy fosse venuto a conoscenza di tutto,
l'avrebbe immediatamente sbattuto fuori e né Ingie né Ty
desideravano questo per lui.
“Perché non escono a
dirci niente?” mormorò Ty, che sentì solamente Ingie. Il ragazzo
continuava a scrutare il vuoto mentre la gamba piegata si muoveva
frenetica. La mora scosse semplicemente la testa senza riuscire a
replicare.
Sapeva molto bene quali
fossero le possibilità di salvarsi da un'overdose di cocaina.
Praticamente nulle. Forse avrebbe ancora potuto sperare in un coma e
nel conseguente risveglio di Sid, se solo Dio avesse voluto
miracolarlo.
Cercava con tutte le
forze di trattenere le lacrime che spingevano per scorrere lungo le
guance. Il suo cuore non smetteva di cozzare contro il petto con
violenza, facendole male, ed il suo cervello era scollegato. Era come
si trovasse in una dimensione parallela, ovattata, confusionaria.
Cercava di rendersi conto di ciò che stava accadendo ma faticava.
Sid era in fin di vita e
la possibilità che uscisse vivo da quella stanza spoglia era una su
un milione.
Questa volta non riuscì
a trattenere un singhiozzo, che portò i tre ragazzi a voltarsi verso
di lei, il viso tra le mani, cercando di soffocare tutti gli altri.
Riuscì a piangere in silenzio e sentì la mano di Ty posarsi sulla
sua schiena, in segno di conforto.
Non voleva affrontare
un'altra morte nella sua vita; aveva già dovuto sopportare
abbastanza e non era pronta a ricominciare tutto da capo. Aveva perso
un fratello; non poteva immaginare di dover perdere anche un amico.
Improvvisamente il
medico primario uscì dalla stanza e Ingie e Ty si alzarono subito
dalle sedie, avvicinandoglisi assieme a Tom e Bill con sguardo
impaziente.
“Allora, dottore?”
domandò Ingie in tedesco.
“Il paziente è in
coma, signorina.” riferì con tono tremendamente serio, cosa che la
fece sussultare, non seppe se per sconforto o speranza. “E già il
fatto che lo sia è da considerare un vantaggio. Ma voglio essere
sincero: ho visto pochissima gente risvegliarsi in seguito ad un
overdose di cocaina.”
Sid sarà uno di quei
pochi, Sid sarà uno di quei pochi, continuava a ripetersi nella
testa mentre l'ansia aumentava. Nulla di ciò che non sapesse già,
ma udire la conferma da un medico primario fu una pugnalata allo
stomaco.
“Grazie, dottore.”
balbettò mentre le lacrime tornavano a galla.
L'uomo, dopo aver fatto
un cenno con il capo, si allontanò.
“Allora?” fece Ty,
posandole una mano sulla spalla. “Cos'ha detto?”
“È in coma.”
mormorò Ingie come un automa, prima di allontanarsi dai tre e
camminare lungo il corridoio.
Non aveva più voglia di
parlare con nessuno, sentiva di non avere le forze.
Non poteva sopportare
un'altra morte. Non poteva.
Raggiunse la macchinetta
del caffè e ne selezionò uno, attendendo con lo sguardo fisso nel
vuoto.
Ti prego, Tom,
aiutalo, parlò mentalmente a suo fratello. Ti prego.
Perfino le lacrime
avevano smesso di scorrere lungo il suo viso. Si sentiva impotente ed
odiava tale sensazione. La vita di Sid era solamente nelle mani del
destino, di nessun altro. Non vi era nulla di fisicamente possibile
che gli stessi medici potessero fare.
“Ingie.” Come
riportata bruscamente sulla terra, si voltò in direzione della voce
e si sorprese nel trovarsi davanti Bill. Non disse nulla, non sapeva
cosa fosse opportuno, così attese che le parlasse di nuovo. Il
ragazzo, prima di farlo, si schiarì la voce come in difficoltà.
“Volevo solo dirti che, nonostante tutto, mi dispiace per questa
situazione che state vivendo. Non lo merita nessuno.”
La mora si sentiva
un'incapace. Ancora una volta non sapeva cosa dire e sperava in
un'illuminazione divina. Era semplicemente incredula a tali parole.
Sapeva che Bill era furibondo con lei ed il fatto che avesse messo
l'orgoglio e l'ostilità da parte l'aveva colpita.
“Grazie.” mormorò,
sincera.
Si voltò nuovamente in
direzione della macchinetta, dove il suo caffè era pronto. Afferrò
il piccolo bicchiere e se lo portò alla bocca, allontanandosi dal
vocalist. Restare lì con lui era del tutto inutile, non avrebbero
scambiato ulteriori parole e non ne avrebbe nemmeno avuto la voglia.
Aveva certamente apprezzato il gesto che aveva compiuto nei suoi
riguardi, non era da tutti, ma non era dell'umore adatto per godere
del piccolo – microscopico – passo avanti ed approfittarne per un
ulteriore approccio che sapeva non avrebbe portato a nulla.
Quando tornò a sedersi
affianco a Ty, questo si trovava nella stessa posizione in cui
l'aveva lasciato. Basito, fissava il vuoto, probabilmente non in
grado di spiegarsi come fosse possibile trovarsi in quella
situazione. Effettivamente tutto sembrava paranormale, assurdo,
inspiegabile. Curioso come nemmeno mezz'ora prima si trovassero
seduti ad un tavolo, intenti a bere birra; tralasciando la
conversazione tenuta con il chitarrista.
Beveva in silenzio il
suo caffè, a piccoli sorsi. Voleva che durasse il più a lungo
possibile mentre il cuore non si calmava e continuava a pregare suo
fratello affinché compisse un miracolo.
“Come ho fatto a non
accorgermene subito?” domandò retoricamente il suo compagno di
ballo, piegato su se stesso, intento a scuotere la testa incredulo.
“Non è colpa tua. Non
è colpa di nessuno.” sussurrò lei senza nemmeno guardarlo.
“Avrei dovuto tenerlo
d'occhio.”
“Nessuno è in grado
di fare qualcosa con chi cade nel circolo della droga.” parlò Tom,
portandoli a sollevare il loro sguardo spento su di lui. “Puoi
stare loro alle calcagna quanto ti pare, troveranno sempre un secondo
di tempo per farne uso. Una capatina al bagno, il tempo di una
sigaretta o un semplice caffè.”
Ty non rispose, tornò a
fissare le proprie scarpe.
Tom aveva ragione e sia
lui che Ingie lo avevano capito.
“Eppure, se gli avessi
chiesto...” riprese il ragazzo ma il chitarrista lo interruppe.
“Non ti avrebbe detto
niente.”
Nessuno parlò più,
nemmeno quando Bill fece il suo ritorno in silenzio con un bicchiere
di caffè in mano.
“Che facciamo con
Roy?” domandò all'improvviso Ingie. “Non sappiamo quanto questo
coma andrà avanti. Se dovesse durare settimane? Si farà delle
domande. Senza contare che fra qualche giorno abbiamo la seconda
diretta.”
Non avrebbe potuto
ballare senza Sid, soprattutto il loro passo a due. Ma al momento,
era l'ultima cosa che riuscisse a preoccuparla. Ora ciò di più
importante era vedere il loro compagno uscire da quella maledetta
stanza.
“Sarebbe meglio che lo
chiamassi.” mormorò lui.
Ingie aveva annuito
mogia. Per quanto Sid potesse rischiare di venire sbattuto fuori dal
gruppo, mai poteva essere grave quanto lottare fra vita e morte.
Ty si alzò dalla sedia
e percorse il corridoio, fino a sparire con il cellulare in mano.
Si trovò sola con i
gemelli, come non accadeva da tempo. In quel momento avrebbe tanto
avuto bisogno del loro supporto, proprio come una volta. Avrebbe
avuto bisogno dell'abbraccio di Tom, delle parole rassicuranti di
Bill.
Nulla di tutto ciò.
Sentiva solamente freddo; freddo per l'attesa, freddo per la
distanza.
Ad un tratto, una
dottoressa uscì dal reparto. Ingie era già in piedi.
“Qualche novità?”
chiese senza nemmeno darle il tempo di chiudere la porta alle sue
spalle. Vederla scuotere la testa in segno di diniego non fu
confortante.
“Purtroppo no,
signorina, ma se volete potete entrare.” rispose la donna con un
piccolo sorriso dispiaciuto.
Fremette. Per una
frazione di secondo si chiese se avesse davvero voluto osservare il
suo amico inerme, come privo di anima, ancora in vita grazie ad una
macchina. Sapeva che quelle immagini – lieto fine o meno –
l'avrebbero perseguitata per tutta la vita; esattamente come vedere
suo fratello fra le macerie della loro auto. Eppure, decise di farsi
forza, dopo aver deglutito a fatica.
Tom e Bill la scrutavano
in attesa, forse domandandosi cosa avesse intenzione di fare.
Cominciò a compiere
qualche passo in direzione della porta, appena lasciata libera dalla
dottoressa, e con mano tremante toccò la maniglia. Prima di
abbassarla prese un bel respiro e sperò con tutta se stessa che
l'ossigeno, una volta dentro, le bastasse.
Aprì.
Una stanza bianca e
spoglia. Un letto candido proprio al centro. Un ragazzo immobile ed
apparentemente dormiente su di esso.
Si portò una mano alla
bocca, scioccata. Il dolore fu più insopportabile del previsto.
Sid dormiva con
espressione lieta sul volto mostruosamente pallido.
Tremante, si avvicinò
appena, senza mai allontanare le mani dal viso, mentre gli occhi
prendevano a riempirsi di lacrime.
È un incubo, si
ripeteva, uno spaventoso incubo e passerà tutto una volta
sveglia.
Aveva paura a toccarlo,
aveva paura a guardarlo semplicemente. Aveva paura che quel dannato
bip si tramutasse in un suono continuo e netto. Voleva
tapparsi le orecchie, rifiutarsi di sentire.
Mai avrebbe pensato di
trovarsi di nuovo in un ospedale per una persona cara. Mai avrebbe
pensato di pregare per la vita di un amico.
Si sedette sulla sedia
accanto al letto e poggiò le mani in grembo, fissando la figura
immobile. Attenta al più piccolo spasmo muscolare, al più piccolo
movimento di una sola palpebra.
Svegliati.
Svegliati, non puoi mandare tutto a puttane.
Una lacrima scorse lungo
la mandibola.
Non puoi buttare
tutti questi anni di fatica in questo modo. Non puoi buttare nel
cesso la tua passione.
Sollevò una mano. Le
dita tremanti si avvicinavano con timore a quelle pallide del
ragazzo, fino a che non le trovò, fredde. Sussultò a quel contatto
e quasi sentì il bisogno di ritrarsi ma non lo fece. Racchiuse
quella mano, decisamente più grande, fra le sue e la carezzò con
delicatezza.
Perché ti sei voluto
rovinare a questa maniera? Il ballo non era la ragione più forte per
volerti bene?
Nessuno rispondeva a
quei suoi muti interrogativi.
Udì la porta alle sue
spalle aprirsi e nemmeno si voltò per sapere chi fosse. Solamente
quando Ty la affiancò, osservando con sguardo spento il suo amico,
le venne spontaneo afferrare anche la sua mano, in un gesto di
sostegno.
“Come ha fatto a
ridursi così...” soffiò il ragazzo con le lacrime agli occhi.
Ingie gli carezzò la
mano.
“Hai parlato con Roy?”
domandò a bassa voce.
“Sì. Stanno venendo
qui.”
***
Tom non sapeva cosa
volesse dire avere un amico in coma ma gli bastava leggere il dolore
negli occhi di tutti i compagni di Sid. Il solo immaginare gli faceva
venire la pelle d'oca mentre un pensiero martellante continuava ad
urlare la propria presenza.
Ingie subisce un
trauma dietro l'altro.
Per quanta rabbia
potesse provare nei suoi confronti, non riusciva ad ignorare il
dispiacere e pregò mentalmente affinché Sid potesse svegliarsi e
non rappresentare così un ulteriore motivo di dolore per la ragazza.
Il resto del gruppo era
giunto di corsa in ospedale e tutti si erano chiusi nella stanza;
solamente il fidanzato di Page, Anthony, era rimasto in corridoio con
lui e suo fratello. Tutti e tre avevano perfettamente compreso tanto
dolore ed era sembrato loro giusto lasciarli soli con l'amico.
Quando la porta si
riaprì, Ingie, Page e Keri ne uscirono con espressione abbattuta.
Page si rifugiò fra le braccia di Anthony, Keri si sedette su una
delle sedie già occupate da loro ed Ingie si incamminò nuovamente
verso l'uscita, sparendo dietro l'angolo. L'istinto di Tom era quello
di sostenerla, magari stringerla fra le braccia e sussurrarle parole
di conforto.
“Ancora nulla?”
domandò Bill a Page, la quale scosse lievemente la testa.
Ormai si trovavano in
ospedale da almeno quattro ore; l'orologio aveva segnato le tre di
notte eppure nessuno voleva andarsene. Nonostante tutti sapessero che
la loro presenza sarebbe servita a ben poco, avevano deciso di
restare e sperare fino all'ultimo.
“Vado a fumare una
sigaretta.” annunciò Tom, sollevandosi stancamente dalla sedia.
Odiava gli ospedali;
odiava quell'odore, odiava le pareti bianche e spoglie. Odiava
persino i dottori che camminavano, avanti e indietro.
Con un sospiro, uscì.
Non si sorprese di
trovare Ingie, seduta sui gradini, intenta a fumare anche lei.
Una morsa gli catturò
lo stomaco al ricordo di ciò che era accaduto pochi attimi prima fra
loro. Era ancora furioso con lei per quello schiaffo che gli aveva
tirato a tradimento; era furioso con lei perché ancora non riusciva
a togliersela dalla testa, nonostante tutto.
“Sei venuto ad
umiliarmi un altro po'?” domandò all'improvviso la ragazza, senza
nemmeno voltarsi.
Come aveva fatto a
riconoscerlo?
“Veramente sono solo
venuto a fumare.” rispose lui con estrema freddezza, prima di
portarsi una sigaretta alla bocca.
“Avanti, dillo che mi
sta bene.” continuò la mora, senza degnarlo di uno sguardo. Tom fu
ferito da quella insinuazione. “Dillo che tutte le disgrazie che mi
accadono me le merito. Probabilmente non vedevi l'ora di vedermi
soffrire, visto quello che ti ho fatto.”
Quelle parole,
pronunciate con tanto distacco, erano lame infuocate. Sul serio lo
faceva così subdolo e cattivo?
“Sai, io mi chiedo che
fine abbia fatto l'Ingie che ho conosciuto.” cominciò a parlare.
“Hai del coraggio a dire certe cose, soprattutto conoscendomi. E
questo mi fa abbastanza schifo.” Tutto ciò che le vide fare fu
sorridere amaramente. “Cosa sei diventata? Chi è la vera Ingie?
Quella che ho conosciuto o quella che ho davanti ora?”
“Cambierebbe
qualcosa?”
“No. Ma forse mi
sentirei meno stupido.”
“Credo continuerai a
sentirti stupido allora perché sai benissimo chi sono io.”
“No, invece. Credevo
di conoscerti un po' di tempo fa e, credimi, amavo quella Ingie. Ora
vedo solamente un mucchio di menefreghismo.”
Sobbalzò appena quando
la vide sollevarsi di scatto, gettando la sigaretta a terra. Si era
voltata verso di lui con sguardo pieno di rabbia e gli occhi ancora
lucidi.
“Smettila! Smettila,
Tom, di continuare ad incolparmi di cose non vere! Ti ho già detto
che non ho scusanti per ciò che ti ho fatto, ma questo non ti da il
diritto di sputare sentenze ogni tre secondi, cercando di farmi
sentire piccola ed inutile! Se non te ne fossi accorto, ho un amico
chiuso in una sala di rianimazione, in bilico fra la vita e la morte.
Forse quella menefreghista non sono io, qui.”
“Sei stata tu ad
insinuare che io goda nel vederti in questa situazione e se mi
conoscessi almeno un po', non lo diresti. Ma tanto è inutile, no?
Con te parlare non è mai servito a un cazzo.”
Gettò la sigaretta a
terra con rabbia e non le rivolse nemmeno uno sguardo prima di
rientrare in ospedale con l'ira negli occhi.
Stupida.
***
Continuare a ballare nei
giorni successivi fu una vera e propria tortura ma il loro contratto
parlava chiaro.
Roy si sforzava di
guidare il gruppo incompleto e questo si sforzava di tenere a mente
ogni singolo passo o variazione.
Come previsto, Sid fu
sostituito da Ty nel passo a due con Ingie e non fu facile per il
ragazzo imparare il tutto in poche ore. Non vi era più
spensieratezza, non vi era più concentrazione, da parte di nessuno.
Tutti eseguivano in silenzio ma senza dare al ballo quell'enfasi,
quell'impegno che invece dimostravano ogni giorno. Per la prima volta
Roy non aveva proferito parola a riguardo. Nemmeno lui si sentiva
abbastanza lucido per lavorare in modo corretto; rimproverare i
ragazzi, probabilmente, era l'ultima cosa che avrebbe voluto fare.
La paura di ricevere una
telefonata improvvisa dall'ospedale era insopportabile e provocava
incredibile tensione fra tutti, nonostante cercassero di proseguire
con il lavoro. La seconda diretta si sarebbe tenuta solamente la sera
seguente e non erano sicuri di essere pronti.
***
Non appena l'aveva
visto, gli era corsa in contro. Rivedere i suoi occhi, in quel
momento, era stato estremamente confortante e si rese conto che
sentire di nuovo la sua vicinanza era bello.
Luke aveva saputo giorni
addietro di ciò che era successo a Sid e ne era rimasto
letteralmente sconvolto. Ora Ingie, contro ogni aspettativa, era
semplicemente felice di riaverlo accanto. Forse aveva bisogno di un
sostegno morale, forse aveva bisogno di lui per staccare la spina dal
nome Tom, forse aveva bisogno di qualcuno che potesse capirla
e sostenerla.
Amanda sarebbe arrivata,
stavolta senza David e Lily, per sostenerla come meglio sapeva fare
quella sera stessa; la sera della seconda diretta. L'idea di
rivederla era per lei tremendamente incoraggiante; doveva ammettere
che mai nella vita aveva avuto un'amica come lei, che la facesse
sentire meglio con semplici parole. Forse perché un po' più grande,
forse perché mamma ma ancora ragazzina nell'animo. D'altronde, aveva
solo ventisette anni.
I preparativi
all'interno dei camerini erano, come sempre, pieni di fretta. Lei e i
suoi compagni di ballo sedevano con sguardi vuoti mentre i truccatori
facevano il loro lavoro con precisione.
Nessuno aveva voglia di
uscire in scena, non in quelle condizioni. I pensieri di ognuno non
abbandonavano Sid nemmeno per un secondo.
“Si può?”
Non appena Ingie udì
quella voce, non si assicurò nemmeno di averla realmente
riconosciuta. Si alzò dalla sedia e si voltò immediatamente,
correndole in contro. Amanda le sorrise appena, prima di venir
travolta dal suo forte abbraccio.
“Grazie per essere
venuta.” mormorò Ingie, stringendola ancora a sé.
“Ci mancherebbe.
Secondo te ti lascio sola in questo momento?” rispose la bionda,
prima di rompere il contatto. “Spero davvero che si rimetta.”
aggiunse con sguardo triste.
Ingie annuì lievemente,
prima di tornare a sedersi, mentre Amanda salutava Tom e Bill, sul
divano, a qualche metro.
“Mi spiace che non hai
portato Lily questa volta.” commentò, una volta che la bionda le
fu di nuovo accanto.
“Non voglio
sballottarla troppo. Ha fatto un viaggio solo la settimana scorsa.”
spiegò l'amica. Ingie annuì comprensiva. “Non avete saputo
niente?” si incupì successivamente.
La mora scosse la testa
senza battere ciglio. Ormai stava cominciando a perdere le speranze.
“Non sono in grado di
ballare stasera.” soffiò con lo sguardo basso e la vista che
tornava ad appannarsi. Amanda le si inginocchiò affianco,
prendendole una mano fra le sue.
“Invece tu devi farlo.
Proprio perché Sid non c'è. È anche la sua passione e non vorrebbe
vedere i suoi compagni con le mani in mano, giusto? Conoscendolo, si
incazzerebbe di brutto.”
Entrambe si lasciarono
andare ad una debole e malinconica risata.
“Grazie.”
***
Ballò sotto i suoi
occhi ancora una volta. Quegli occhi che la scrutavano con
attenzione, non più dediti al vero concorrente della serata. Quegli
occhi nocciola, malinconici, che non smettevano nemmeno un momento di
seguirla, probabilmente convinti di non essere visti.
Ty la guidava
perfettamente nel ballo, non ebbero problemi con il cambio
dell'ultimo minuto. Eppure, sapeva che la tensione era tangibile fra
tutti i ballerini, i quali cercavano di sorridere in modo del tutto
innaturale tra loro. Si domandò se il pubblico se ne accorgesse.
E Tom era sempre lì a
guardarla, a scrutare la mano di Ty che si posava sulla sua gamba,
già stretta al suo fianco; poi tornava a muoversi sui tacchi con
eleganza assieme a lui.
Lo odiava per questo.
Tanto disprezzo nelle parole eppure tanto amore in uno sguardo.
Nemmeno lei aveva paura
a scrutarlo. Un'occhiata di sfida ma al tempo stesso infelice.
Quando l'esibizione
terminò, corsero per mano fuori dal palco. I falsi sorrisi
abbandonarono immediatamente i loro volti. Page, Keri e Adam erano
pronti per la loro entrata.
“Ragazzi!” la voce
affannata di Roy li scosse, portandoli a cercarlo urgentemente con lo
sguardo. Il coreografo li aveva raggiunti di corsa con il cellulare
in mano ed un'espressione quasi scioccata. “Si è svegliato!”
esclamò con la voce rotta dall'emozione. “Si è svegliato!”
ripeté, forse a causa delle loro facce incredule.
Ingie sentì le
ginocchia cedere dalla commozione, tanto che dovette aggrapparsi a
Ty, ancora al suo fianco.
Gli occhi le si
riempirono di lacrime, il respiro prese a mancarle ed immediatamente
guardò in alto, dove sapeva che suo fratello stava sorridendo.
Grazie, Tom, grazie,
pensò mentre la prima lacrima
scorreva lungo il suo zigomo. Voleva credere che suo fratello avesse
ascoltato le sue preghiere; doveva crederci o non avrebbe più saputo
come ricreare un contatto – seppur effimero – con lui.
Ty l'abbracciò ed i
loro tre compagni erano intenti ad esultare dalla gioia,
dimenticandosi del loro turno.
“Salite immediatamente
sul palco!” esclamò all'improvviso Roy, come resosi conto solo in
quel momento che lo show stava proseguendo. I ragazzi, come
illuminati, corsero su per i gradini fra le risate.
Quelle risate che da
quasi una settimana non aveva potuto udire.
***
Erano già stati ripresi
dai dottori due volte. L'ilarità ed il vociare continuo non erano
graditi in ospedale; avrebbero potuto recare disturbo agli altri
pazienti – peraltro assenti. Nessuno però era in grado di
abbassare i toni, troppo eccitati per il risveglio di Sid. Questo si
trovava ancora a letto, decisamente debole, e non ancora del tutto
lucido, ma quel tanto che bastava per sorridere e parlare. Il medico
primario l'aveva considerato fuori pericolo ma li aveva esortati ad
assicurarsi che si tenesse alla larga dalla droga, nonostante non
fosse semplice. Controllare un ragazzo dipendente non era cosa da
tutti i giorni ma sapevano che Roy non l'avrebbe lasciato vivere e
gli sarebbe stato sempre col fiato sul collo, pur di assicurarsi una
buona condotta.
Anche Tom, Bill,
Anthony, Amanda e Luke si trovavano in stanza per salutare Sid e
parlare con lui. Ingie non ricordava di aver dovuto affrontare gli
sguardi di Tom e Luke in uno spazio così limitato, prima di allora.
La situazione poteva essere annoverata fra le più imbarazzanti e
scomode di sempre. Soprattutto, visto e considerato che Luke, di
tanto in tanto, si lasciava andare a qualche gesto affettuoso nei
confronti della mora, che cercava di sorridere, mostrando una certa
disinvoltura che non poteva dire di possedere. Sapeva che lo faceva
apposta – per lo meno, la maggior parte delle volte – come per
sottolineare in presenza del chitarrista la proprietà che in
qualche modo esercitava su di lei.
“Quando posso tornare
a ballare?” domandò improvvisamente Sid con qualche difficoltà
nel formulare la frase.
Tutti si scrutarono a
vicenda. Spettava a Roy rispondere.
“Sid, saprai bene che
la ripresa dal coma non è cosa semplice e breve.” spiegò con
calma, sotto lo sguardo preoccupato del ragazzo. “Inoltre, sai bene
anche che io non ammetto certi episodi. Siete ragazzi grandi e
vaccinati; avete una certa responsabilità verso voi stessi e verso
il gruppo. Mi sembrava di essere stato chiaro riguardo l'uso di
droghe. Pertanto, finché non mi assicurerò della tua completa
disintossicazione, mi dispiace, non tornerai ad esibirti. Fino ad
allora sarai sostituito.”
Espressioni mortificate
ed al tempo stesso speranzose. Forse speranzose di un ripensamento da
parte di Roy, ma questo pareva del tutto irremovibile. Il viso
distrutto, deluso e triste di Sid fu un colpo al cuore per tutti.
“Sì, lo so.”
mormorò con sguardo basso. “A questo proposito, volevo chiederti
scusa.”
“Ragazzi, ci lasciate
soli, per favore?” chiese a quel punto Roy.
Il gruppo, dopo aver
salutato Sid, obbedì.
Una volta fuori, Ingie
si strinse a Luke, sospirando mestamente.
“Non mi sembra ancora
vero; mi sembra di essermi svegliata da un brutto incubo.” soffiò
contro il suo petto, mentre lui le carezzava i capelli. Le schioccò
un lieve bacio sulla testa.
“Sono davvero contento
che stia meglio. Mi sono spaventato.” rispose in un sussurro.
Si sentì toccare un
braccio. Quando si voltò, Amanda era davanti a lei.
“Vieni a bere qualcosa
con me? Domani mattina devo ripartire.” le comunicò ed Ingie si
incupì immediatamente.
“Già domani?” le
domandò dispiaciuta.
“Lo sai, sono scesa
perché avevo saputo di Sid. Volevo starti un po' vicino, per quanto
possibile, ma devo assolutamente ripartire.”
“D'accordo allora.”
mormorò. “A te non dispiace lasciarci sole?” si voltò poi verso
Luke.
“No, vai pure. Tanto
mi fermo tutta la settimana. Abbiamo tempo.” le sorrise lui
comprensivo, per poi schioccarle un bacio sulle labbra. “Ti aspetto
in hotel.” le disse poi, prima di incamminarsi verso l'uscita.
“Andiamo?” sorrise
Amanda.
***
Stava vivendo un
qualcosa di agrodolce. Una parte di lui era felice per Sid e si
sentiva più leggera; l'altra ricordava ancora con odio la figura di
Luke accanto ad Ingie. Non molto tempo prima avrebbe desiderato che
lui potesse stringerla a sé, starle vicino nei momenti di bisogno,
proteggerla come poteva. Il solo pensiero che fosse quel damerino a
fare tutto ciò lo mandava in bestia. E odiava se stesso e si
riteneva un ipocrita poiché non si spiegava il motivo di tanto
subbuglio per una ragazza che decantava di non volere più accanto a
sé e che forse stava lentamente dimenticando. Perché aveva
desiderato stringerla a sé? Perché aveva desiderato starle vicino?
Quell'eterno bisogno di proteggerla non era mai scemato, nemmeno dopo
ciò che gli aveva fatto. Perché una parte di lui tendeva ancora a
giustificarla, a considerarla insicura e fragile. Avrebbe tanto
voluto far morire quella parte, quella vocetta nella sua testa che
continuava a difenderla in modo così chiassoso.
Camminava a testa bassa
lungo il corridoio dell'ospedale con le mani nelle tasche dei jeans.
Non vedeva l'ora di uscire da quel posto che stava divenendo per lui
una gabbia in grado di togliergli l'aria. Bill, al suo fianco, non
proferiva parola. Probabilmente era ben cosciente di ciò che
quell'immagine avesse potuto suscitare in suo fratello.
Una volta fuori,
poterono respirare un po' di aria fresca. Cologne era buia,
d'altronde era mezzanotte, e la temperatura si era vertiginosamente
abbassata. Vide in lontananza Ingie e Amanda camminare lungo il
marciapiede, dirette non sapeva dove, mentre Luke si dirigeva alla
parte opposta.
Qualche metro prima,
Keri.
Sentì la mano di suo
fratello posarglisi sul braccio.
“Hey.” mormorò,
facendolo voltare nella sua direzione. “Perché non la porti a
mangiare quelle famose crêpes? Mi sembra il momento migliore, no?”
Sapeva che si stava
riferendo al fatto di aver visto Luke ed Ingie assieme. Forse voleva
dargli quel consiglio per sollevarlo di morale o semplicemente per
mostrare in qualche modo ad Ingie che poteva vivere anche senza di
lei.
Tom vi rifletté qualche
attimo, scrutando Keri che si allontanava sempre di più fino a che,
dopo una breve occhiata a Bill, non prese a correre nella sua
direzione.
“Hey, Keri!” esclamò
per fermarla.
La ragazza si voltò
sorpresa verso di lui.
“Hey.” sorrise
radiosa.
“Senti, mi è venuta
voglia di assaggiare le famose crêpes di cui mi parlavi. Che ne
dici?” le chiese con la massima disinvoltura di cui disponeva.
Diretto e schietto come sempre.
Vide gli occhi della
bionda illuminarsi, compiaciuti, cosa che lo fece sorridere. Doveva
piacerle sul serio.
“Certo!” annuì lei,
sforzandosi visibilmente di contenere l'entusiasmo. “Dovrebbe
essere aperto fino a tardi.”
“Perfetto.” sorrise
il chitarrista per poi fare cenno a Bill di raggiungerli.
“Accompagniamo mio fratello in hotel e andiamo.”
“Benissimo.” Lungo
il viaggio, il biondo si comportò in modo del tutto naturale con
Keri per non metterla in imbarazzo e Tom gliene fu grato. Pochi
minuti e finalmente giunsero a destinazione, nel parcheggio
dell'albergo. Dopo averli salutati, salì in camera mentre i due si
incamminarono verso la creperia, non molto distante. “Non puoi
capire quanto mi senta più leggera.” parlò la ragazza, scrutando
distrattamente il marciapiede sotto di loro. “Credo di aver perso
dieci anni di vita.”
“Immagino.” commentò
Tom comprensivo. “Penso sia stato così per tutti.”
“Quello che non riesco
ad accettare è il fatto che Sid abbia potuto cadere nel tranello
della cocaina. È sempre stato un ragazzo equilibrato; certo, un po'
fuori di testa, ma mai incline a certe cose.”
“Non è detto. Può
capitare tutto per caso, sai. Non immagini quanta roba di questo
genere giri nel mio ambiente, anche sotto i miei occhi.”
“Eppure non ci sei mai
caduto, dico bene?”
“Mai. La mia fortuna è
quella di avere un gemello. Nel caso in cui uno dei due facesse delle
cazzate, l'altro sarebbe sempre pronto a trascinarlo di nuovo sulla
retta via.”
“Anche a me sarebbe
piaciuto avere una gemella. Penso sia una delle cose più belle del
mondo.”
“Lo è. Non ti senti
mai solo.”
Varcarono la soglia
della creperia ed un delizioso profumo di Nutella gli invase le
narici. Presero posto ad un tavolino poco distante dal bancone ed
attesero che il ragazzo prendesse le ordinazioni.
Tom l'aveva aiutata con
il tedesco.
“La trovo una lingua
così difficile.” ridacchiò Keri, scrutandolo di sottecchi,
lievemente rossa sulle gote.
“Mah, neanche tanto,
fidati.” le sorrise lui. “Io so di avere una pessima pronuncia
inglese, ma faccio quello che posso.”
“No, è tenera.”
“Tenera?” domandò
Tom divertito. Avrebbe definito la sua pronuncia inglese in qualunque
modo, ma non tenera. Keri annuì con un dolce sorriso e poi si
voltò in direzione delle crêpes in arrivo. “Beh, buon appetito.”
disse il chitarrista, per poi addentarne un pezzo.
Doveva ammettere che era
paradisiaca.
“Era un secolo che non
mangiavo una cosa simile.” sospirò la ragazza, particolarmente
compiaciuta dal dolce.
“Hai scelto bene.”
si complimentò Tom, prima di prenderne un altro morso.
D'altronde non si
trovava male con Keri. Doveva ammettere che fosse una ragazza di
piacevole compagnia, nonostante la trovasse meno matura rispetto ad
Ingie. Forse aveva ragione suo fratello; probabilmente quella nuova
conoscenza gli avrebbe fatto bene ed avrebbe dovuto viverla in modo
leggero e spontaneo, senza troppe preoccupazioni.
“Allora puoi portarci
la tua ragazza.”
Quell'uscita lo prese in
contropiede ma nel corso della sua vita aveva imparato a leggere la
gente nel profondo. Non era stato difficile per lui capire che ciò
che aveva appena detto Keri non era altro che una richiesta di
conferma da parte sua del fatto che fosse sentimentalmente libero.
Così decise di fare finta di nulla ed accontentarla.
“Non c'è nessuna
ragazza.” sorrise appena, per poi portarsi alla bocca un altro
pezzo di crêpes.
“Strano.” commentò
lei, portandolo a corrugare la fronte, curioso. “Sei bello e bravo.
Il sogno di qualsiasi ragazza.” spiegò a quel punto, facendo finta
di nulla.
Tranne una, gli
venne spontaneo pensare, ma si maledisse immediatamente, cercando di
scacciare quel pensiero. L'argomento Ingie, quella sera, doveva
divenire tabù, almeno in presenza di Keri.
“Mi conosci appena.
Potrei non essere quello che pensi.” disse a quel punto,
furbescamente, ma la ragazza non si lasciò impressionare.
“Ho una buona
sensazione a riguardo.” rispose, facendolo sorridere.
***
Avevano deciso di
tornare alla zona dell'hotel ma nessuna delle due aveva sonno, motivo
per cui si erano lasciate andare ad una lenta passeggiata.
“Sai, pensavo...”
mormorò all'improvviso Ingie dopo qualche attimo di riflessione.
“Perché tu e David non vi trasferite in America? Voglio dire, Tom
e Bill hanno questo progetto. Perché non lo fate anche voi?”
Seguitarono momenti di
silenzio in cui la bionda, probabilmente, immaginò quella possibile
realtà.
“Non lo so, mi sembra
un cambio di vita troppo radicale.” rispose poi.
“Appunto, è questo il
bello.” sorrise Ingie. “Non hai idea delle mille opportunità che
l'America ti darebbe.”
“Forse un giorno lo
potremmo anche fare.” confermò Amanda. “Tu invece potresti
trasferirti a Los Angeles.” la guardò successivamente con la
malizia nello sguardo e sapeva bene che si stesse riferendo ai
gemelli, intenzionati a vivere proprio lì..
“Sto bene a New York.”
scrollò le spalle con nonchalance.
A dire il vero, aveva
sempre guardato a Los Angeles con interesse e doveva ammettere che vi
aveva fatto un pensiero un paio di volte. Ora però, dare la
soddisfazione alla bionda era cosa fuori dal normale.
“A Los Angeles
potresti stare meglio, che ne sai?” insistette l'amica, senza
abbandonare quell'espressione di chi la sapeva lunga.
“So dove vuoi
arrivare, quindi piantala. Ti dimentichi di Luke e di un sacco di
altri impedimenti attorno di cui ora non mi va di parlare.” Riuscì
a porre fine a quella conversazione che cominciava a farla sentire a
disagio e continuò a camminare con le mani in tasca. “Uno di
questi giorni, vorrei venire in questa creperia, dovrebbe essere
buona.” disse ad un tratto, mentre passavano davanti al locale.
Entrambe scrutarono il
suo interno, curiose, fino a che un colpo al cuore non portò Ingie a
gettarsi a terra – nascondendosi dal vetro.
“Che diavolo fai per
terra?” domandò Amanda basita, prima di essere afferrata per il
cappotto e trascinata giù assieme a lei. “Mi spieghi che stai
combinando? La gente ci guarda!” esclamò a quel punto la bionda,
imbarazzata per gli sguardi attorno a loro.
“C'è Tom dentro.”
mormorò a quel punto Ingie.
“E quindi?”
“È con Keri.”
Amanda sgranò gli occhi
incredula e tutto ciò che fu in grado di pronunciare fu un debole
“Oh”.
Ingie si portò una mano
al viso, sentendo la fastidiosa morsa allo stomaco farsi nuovamente
viva. Non poteva stare così, non poteva.
“Ingie...” cominciò
la bionda, ma Ingie la interruppe.
“No.” Chiuse gli
occhi, sentendoli pizzicare. L'incubo di cui aveva disperatamente
paura stava divenendo realtà, proprio davanti a lei. Non aveva mai
potuto sopportare l'idea di Tom e Keri assieme ed ora stava
accadendo. Che fosse una ripicca del chitarrista? Che fosse puro
interesse? Ad ogni modo, aveva voglia di scappare. “Andiamo via, ti
prego.” sussurrò con voce tremante, prima di risollevarsi senza
dare nell'occhio, e riprendere a camminare lungo il marciapiede.
Si sentiva così
stupida.
“Magari non è quello
che sembra.” provò Amanda al suo fianco. “Potrebbero essere solo
amici.”
“Lei è interessata a
Tom, cazzo! È venuta a dirmelo! Di certo non sono lì dentro senza
un secondo fine!” urlò improvvisamente la mora senza nemmeno
rendersene conto, con le lacrime agli occhi, voltatasi di scatto
verso la sua amica.
Non riuscì a soffocare
un singhiozzo.
“Ingie, tu sei ancora
innamorata.” soffiò la bionda, osservandola con la malinconia
negli occhi. Ingie chiuse i suoi e si portò le mani al viso,
prendendo a piangere silenziosamente. Le braccia di Amanda la
avvolsero dolcemente, cercando di confortarla, per quanto possibile.
“Non sai cosa darei per non vederti così.” mormorò carezzandole
i capelli mentre Ingie si stringeva a lei sfogando tutta la sua
frustrazione.
***
“Che mangiata!”
esclamò Keri una volta fuori, talmente forte che lo fece scoppiare a
ridere.
Non si poteva di certo
dire che la bionda avesse classe.
“Effettivamente,
quando hai ordinato la seconda crêpes, ho sentito per un momento la
competizione.”
Avevano mangiato due
crêpes a testa e Tom credeva che da un momento all'altro sarebbe
esploso senza rimedio. Keri, accanto a lui, camminava con un sorriso
radioso in viso. Doveva essere particolarmente felice della loro
uscita e aveva capito che la ragazza si trovasse bene in sua
compagnia. Tom per tutta la sera aveva cercato di comportarsi nel
modo più spontaneo possibile e doveva ammettere che non si era
rivelato così arduo. Si era stranamente divertito.
Avevano deciso di
tagliare la strada tramite un vialetto, che pareva residenziale.
“Non puoi competere
con me. Il mio stomaco ha una capacità di espansione mica da
ridere.” scherzò lei.
“Bene, attendo la
sfida all'ultimo sangue.” la provocò lui.
Improvvisamente, una
sorta di brusio si levò attorno a loro, fino a che entrambi non si
ritrovarono fradici d'acqua. Gli annaffiatoi automatici avevano
iniziato a spruzzare acqua tutt'attorno, colpendoli in pieno.
Entrambi presero a correre sorpresi e scossi dalle risate, alla
ricerca dell'uscita.
Non appena riuscirono a
scappare da tutto quel trambusto, si scrutarono scoppiando di nuovo a
ridere.
“Sei zuppo.”
sghignazzò la ragazza, con le mani allo stomaco.
“Non che tu sia da
meno.” ribatté con sarcasmo il chitarrista, anche lui scosso dalle
risate. Si slegò i capelli che caddero lisci sulle spalle e, dopo
averli lievemente strizzati, se li legò nuovamente in una coda. Da
quando aveva rimosso i rasta, erano senz'altro più maneggevoli.
“Beh, ci voleva una bella doccia fresca con questo freddo.”
borbottò poi cominciando a sentire il gelo perforargli le ossa.
“Ci conviene tornare
subito in hotel o ci verrà un febbrone.” annuì Keri, continuando
a sfregare le mani sulle braccia con l'intento di scaldarsi.
“Sembriamo due pazzi usciti dal manicomio.” commentò
successivamente, quando notò tutte le persone attorno a loro
adocchiarli con curiosità. Tom non poté fare a meno di ricordare il
giorno in cui lui ed Ingie erano finiti nel lago, vicino allo studio
di registrazione. Anche allora avevano riso fino a farsi venire il
mal di stomaco, nonostante poi Ingie si fosse ritrovata a letto con
la febbre. Erano bei ricordi che gliela facevano solamente odiare di
più. Finalmente fecero la loro entrata all'interno dell'hotel e con
l'ascensore raggiunsero il loro piano. Tom, da bravo gentiluomo,
decise di accompagnarla fino alla sua porta. “Mi sono divertita.”
sorrise la ragazza con i capelli che le gocciolavano ancora sul viso.
“Soprattutto durante questa doccia inaspettata.”
“Già. Esperienze
emozionanti.” scherzò lui altrettanto fradicio.
“Dovremmo rifarlo una
di queste volte.” continuò Keri.
Tom annuì appena,
scrutandola con attenzione.
Qualcosa nel suo sguardo
era cambiato e gli sembrava di scorgervi una nuova scintilla che per
un momento lo fece preoccupare, chiedendosi cosa avesse in mente. La
risposta non tardò ad arrivare.
Le labbra di Keri si
erano improvvisamente posate sulle sue, senza il minimo preavviso.
Tom era stato preso in
contropiede; non era abituato a ragazze che prendessero l'iniziativa
a quella maniera.
Cosa sto facendo?
Si domandò. Si era sin da subito imposto di non illuderla ma al
tempo stesso non era riuscito a fermarla.
Il bacio era stato
breve, leggero, forse un po' insicuro. Non era stato approfondito:
Keri si era allontanata probabilmente in imbarazzo. Lo scrutava
insicura, come per leggere nei suoi occhi la minima sfumatura di
insoddisfazione o seccatura. Gli sorrise lievemente, quasi timida.
“Beh, buonanotte.”
mormorò prima di dargli le spalle con l'intento di rientrare in
camera.
Tom era frastornato. Una
parte di lui pensava ad Ingie, l'altra gli gridava di lasciarla
perdere e cogliere le occasioni al volo.
Per una volta, seguì la
seconda via.
Afferrò Keri per il
braccio la fece voltare verso di lui, riappropriandosi di quel bacio
precedentemente interrotto. La ragazza non impiegò molto a reagire;
insinuò le dita fra i suoi capelli bagnati ed approfondì quel loro
contatto.
Tom si sentiva strano,
quasi in colpa, ma non smise di assaporare le sue labbra.
Le mordicchiò appena,
per poi tornare ad un approccio più profondo.
Stava sbagliando, lo
sapeva.
Non seppe dire quanto
durò tutto quanto ma quando si allontanarono per l'ultima volta,
sentiva le labbra leggermente gonfie.
Tentò di sorriderle
nonostante si sentisse in colpa nei suoi e nei propri confronti. Con
quel bacio aveva preso in giro entrambi, ma voleva capire se fosse in
grado di accantonare finalmente Ingie.
“Notte.” le disse
per poi osservarla entrare nella sua stanza con un sorriso felice.
Sospirò, portandosi una
mano al viso.
***
Quando era rientrata in
stanza, dopo un lungo pianto in compagnia di Amanda, aveva trovato
Luke a letto. Non seppe dire se fosse profondamente addormentato o
meno ma il respiro era pesante.
Si sentiva un'ameba. Era
talmente straziata dalle lacrime e talmente vuota nell'animo che
nemmeno si accorse di essersi già spogliata. Si infilò sotto le
coperte e si strinse al ragazzo.
Provava dolore; dolore
per ciò che aveva visto, dolore per ciò che si era finalmente resa
conto di sentire. Doveva assolutamente smettere di pensare a Tom a
quella maniera; doveva togliersi dalla testa quelle immagini. Doveva,
ancora una volta, trovare una distrazione.
Insinuò una mano sotto
la maglietta del biondo, provocando in lui qualche reazione
automatica. Prese a baciargli delicatamente il collo, fino a che non
si svegliò, voltandosi nella sua direzione con sguardo assonnato.
“Hey.” mormorò
sorridendole appena.
Ingie non rispose;
semplicemente si gettò sulle sue labbra, cercando nel frattempo di
sfilargli la maglia. L'aveva preso alla sprovvista ma di certo non
declinò quell'esplicita richiesta.
Doveva dimenticare,
ignorare, cancellare, ricominciare.
E quando Luke la
possedette con passione, erano lacrime amare quelle che versava sul
cuscino.
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Capitolo 8 *** What you less expect ***
aaaaaaaaaaaaaa
Eight
What you less expect
Era sveglia da un po'.
Luke, affianco, si era affacciato oltre la sua spalla nuda per
controllare se stesse ancora dormendo ma lei non aveva mosso un
muscolo. Aveva semplicemente atteso che si infilasse dentro la doccia
e successivamente uscisse dalla stanza per fare colazione.
Quando sentì la porta
richiudersi, sospirò.
Era rannicchiata su se
stessa; i pugni e le ginocchia al petto, gli occhi semichiusi e
seguiti da occhiaie che immaginava essere imbarazzanti.
Aveva pianto tutta la
notte, cercando di non farsi udire dal ragazzo. La morsa allo stomaco
non l'aveva abbandonata sino a quel momento e si sentiva priva di
forze. Inoltre, non aveva alcuna voglia di abbandonare il letto
sfatto, testimone di una notte passionale in cui l'unico
coinvolgimento tangibile era stato quello di Luke. Lei si era
lasciata prendere, amare senza il minimo rifiuto; era stata proprio
lei ad iniziare poiché aveva tanto voluto togliersi dalla testa il
pensiero di Tom e Keri assieme, senza successo. Per tutto il tempo,
non aveva fatto altro che pensare a lui e piangere. Ciò che l'aveva
sorpresa era stato il fatto che Luke non se ne fosse nemmeno accorto.
Da una parte ne era sollevata; non avrebbe avuto modo di dargli
spiegazioni. Dall'altra ne era risentita.
Strinse a sé il
cuscino, per cercare appoggio.
Improvvisamente, la
vibrazione del suo cellulare, poggiato sul comodino, la fece
trasalire. Allungò appena un braccio, senza nemmeno alzare la testa,
ed aprì il messaggio ricevuto.
Sei sveglia?
Con un piccolo sospiro,
rispose.
Sì.
Pochi secondi dopo,
Amanda era dietro la porta della sua camera, a bussare.
Si alzò dal letto
controvoglia ed andò ad aprire, senza nemmeno attendere che
entrasse. Si gettò nuovamente fra le coperte, mentre la bionda
richiudeva la porta alle sue spalle.
“Come stai?”
domandò, sedendosi poi a bordo del letto, accanto a lei.
“Bene.” borbottò
Ingie con il viso contro il cuscino.
Poté immaginare il
sarcasmo sul viso di Amanda.
“Hai dormito?”
“Come un angelo.”
“D'accordo.” La
sentì stendersi accanto a lei e prendersi qualche secondo di
riflessione. “Non puoi fare questa vita, lo sai?” Ingie scrollò
semplicemente le spalle. “Ti fai solo del male se non decidi di
essere sincera almeno con te stessa.”
“Cosa dovrei fare?
Urlare al mondo intero che sono ancora innamorata di Tom? D'accordo,
può darsi, ma non cambierebbe le cose.”
Non aveva sollevato il
viso dal cuscino un solo momento.
Forse l'aveva per la
prima volta ammesso ad alta voce e la cosa l'aveva destabilizzata.
Doveva pensare a Luke; aveva un fidanzato, non poteva stravolgere
tutto per una persona che non la voleva nemmeno più e si stava
lentamente ricostruendo una vita con un'altra ragazza. Non vedeva
alcuna via d'uscita e ciò le faceva mancare il respiro, come in
gabbia.
“Se ti muovessi a dire
a Tom che non hai mai smesso di amarlo...”
“Non mi crederebbe.
Come non mi ha creduto a New York.”
“L'hai rispedito a
casa senza battere ciglio. Se permetti, anche io avrei avuto qualche
dubbio.” Ingie non rispose, sbuffò semplicemente. “Ora è
diverso.”
“Esatto.” rispose la
mora, sollevandosi a sedere con le gambe incrociate. “Ora ho un
fidanzato.”
“Ne abbiamo già
parlato, sai cosa penso.”
“E tu sai che non ho
alcuna intenzione di lasciarlo. Ha già sofferto a causa mia.”
“D'accordo. Continua a
preoccuparti per la felicità degli altri, invece che per la tua. Un
domani ti ritroverai con un pugno di mosche.”
“Vorrà dire che
quando sarà il momento, mi arrangerò.”
Detto questo, si sdraiò
nuovamente sul materasso, questa volta dandole le spalle.
La sentì sospirare
affranta.
“Perché sei così
testarda?” le domandò.
“Chiedilo ai miei.
Magari loro hanno la risposta.” ribatté Ingie con scherno.
Amanda emise un verso di
pura frustrazione.
“Sei impossibile!”
esclamò, battendo una mano sul letto. “Non ti dico più niente, mi
sono rotta! Tanto è inutile. Fai quello che ti pare!”
Sentì anche lei
gettarsi a peso morto sul materasso e tacere, arresa.
Seguirono lunghi minuti
di silenzio in cui entrambe riflettevano con il respiro accelerato.
“Ho fame.” parlò
all'improvviso Ingie.
Dopo qualche secondo,
Amanda rispose.
“Io ti ucciderei.”
***
Si era svegliato
frastornato. Non era riuscito a dormire bene; il sonno era stato
tormentato da strani sogni che gli avevano fatto aprire gli occhi
ripetutamente durante la notte. Inoltre, si sentiva nervoso.
Il bacio con Keri era
stato piacevole ma aveva lasciato in lui un senso di frustrazione ed
inquietudine. Inutile dire che il viso di Ingie fosse sempre lì a
tormentarlo.
Sbuffò e si alzò
stancamente dal letto.
Odiava quella
sensazione, odiava la mora che continuava a perseguitarlo con i suoi
occhi. Doveva assolutamente trovare una soluzione. Forse avrebbe
dovuto lasciarsi andare con Keri; forse avrebbe potuto fargli
dimenticare Ingie, in un modo o nell'altro. Non era il tipo da usare
le persone e la cosa non lo entusiasmava, nonostante il concetto non
fosse propriamente quello. Non si trattava di usare Keri, poiché già
vi era qualcosa di lei che gli piaceva; si trattava più che altro di
approfondire la conoscenza e, se possibile, trarne vantaggio.
Avrebbe potuto farcela,
con un po' di buona volontà.
Uscì dalla stanza e si
guardò attorno, prima di prendere a camminare lungo il corridoio,
come per assicurarsi che non vi fosse anima viva. Il motivo gli era
sconosciuto.
Ad un tratto però, udì
una porta alle sue spalle aprirsi.
Quando si voltò, Amanda
ed Ingie erano lì, in corridoio, che camminavano nella sua
direzione. Incrociò lo sguardo della mora e vi lesse una tristezza
del tutto nuova, tale da trasmettergli una sensazione di gelo. I suoi
occhi erano cerchiati, sintomo di una notte trascorsa in bianco, e si
chiese per un momento quale potesse essere il motivo.
“Buongiorno.” lo
salutò Amanda, una volta che l'ebbero affiancato.
“Giorno.” rispose
lui. Ingie non fiatò; la tensione era ancora tangibile dalla sera
della loro ultima discussione e lui non aveva la minima intenzione di
spezzare quel silenzio. “Stai ripartendo?” domandò a quel punto
alla bionda.
“Sì, faccio colazione
e vado.”
“Lily?” si informò
nuovamente.
Gli mancava quella dolce
bambina; non si era mai sentito tanto affezionato ad un bimbo in vita
sua.
“Cresce velocemente, è
incredibile.” sorrise la ragazza.
“Quando la porti? Ho
voglia di strapazzarla un po'.”
“Spero vivamente che
non cresca con la tua testa. Comunque penso di portarla con me, la
prossima volta.”
Entrarono in ascensore.
“Se crescesse con la
mia testa, sarebbe la bambina più intelligente del pianeta.” si
vantò il chitarrista con un sorriso divertito.
“Sicuramente.”
ridacchiò Amanda.
Il silenzio di Ingie era
divenuto imbarazzante e ringraziò il cielo che le porte si
riaprirono pochi istanti dopo, facendoli uscire e togliendoli da
quella spiacevole atmosfera.
***
Quando entrarono nella
sala mensa, Bill era seduto ad un tavolo in compagnia di Adam,
probabilmente intenzionato a sedurlo come poteva, ed un lieve sorriso
spontaneo si impossessò del viso di Ingie, prima di assumere
un'espressione nuovamente malinconica.
“Hey, ragazzi, venite
qui con noi!” esclamò il moro, sventolando una mano non appena li
vide.
Luke, a qualche metro,
si voltò nella loro direzione con la tazza in mano. Ingie poté
leggere il risentimento nei suoi occhi, non appena lo sguardo si posò
sulla figura del chitarrista, proprio accanto a lei. Cominciò a
tremare quando lo vide avvicinarsi.
“Ciao, non ti avevo
visto sveglia stamattina.” mormorò il biondo, prima di baciarla
sulle labbra, proprio a qualche centimetro da Tom, che decise di
dileguarsi e raggiungere il tavolo di Bill e Adam.
“Mi sono svegliata
poco fa.” mentì lei con un debole sorriso. “Andiamo a sederci?”
“Sì ma non voglio
stare al tavolo con lui.” ribatté il ragazzo, lanciando
un'occhiata di sbieco al chitarrista, ora seduto accanto a suo
fratello.
Amanda, accanto a lei,
si schiarì la voce facendo finta di nulla.
“Dai, non ci pensare.
Non facciamo gli asociali.” insistette Ingie.
“Non si tratta di fare
gli asociali perché personalmente non me ne può fregare di meno di
ciò che lui pensa di me. Non dobbiamo avere un rapporto.”
“Beh, io mi siedo.”
si intromise Amanda, prima di togliere il disturbo.
“Ti rendi conto che
stai facendo casino per un dannato tavolo dove fare colazione?”
domandò a quel punto la mora, mentre il nervoso cominciava a
riempirle le vene.
Odiava Luke quando si
comportava a quella maniera infantile.
“Permetti che mi dia
fastidio sedere al suo stesso tavolo?” persistette lui.
Ingie con un gran
sospiro lo afferrò per la manica e lo trascinò fuori dall'hotel per
non dare spettacolo.
“Senti, voglio che sia
chiara una cosa. Io non passerò ogni minuto delle mie giornate, fino
alla fine del programma, a preoccuparmi di non incrociare la sua
strada. È capitato che dobbiamo lavorare insieme in questo ambiente
e dobbiamo farcelo stare bene. Evitarlo è piuttosto impossibile.
Perciò, non metterò a repentaglio anche il mio rapporto con i miei
compagni solamente perché decidono di fare colazione assieme a lui.”
Si era stupita di se
stessa. Non avrebbe mai pensato di rivolgersi a Luke a quella
maniera, che era sempre stato tanto carino con lei, in qualsiasi
situazione. Eppure il nervosismo era una bestia nera che quando si
impossessava del suo corpo era impossibile da gestire ed aveva
sentito il bisogno di esternare quei suoi pensieri.
Luke, dal suo canto, era
rimasto quasi basito.
“Bene, vorrà dire che
farai colazione con lui invece che con me.” concluse a quel punto,
per poi rientrare in hotel senza aggiungere altro.
Le mani di Ingie
prudevano e se una parte di lei voleva fermarlo e chiedergli di
comprendere, l'altra voleva affermare le proprie ragioni. Non poteva
vivere di paranoie ogni qual volta i due ragazzi incrociassero il
loro rispettivo cammino.
Rientrò anche lei e
raggiunse nuovamente Amanda, già seduta al tavolo con Tom, Bill ed
Adam. Di Luke nemmeno l'ombra. Quando si sedette affianco a lei,
questa la osservò interrogativa, chiedendole silenziosamente dove il
suo ragazzo fosse ma Ingie fece cenno di lasciar perdere.
“Oggi dimettono Sid.”
parlò improvvisamente Adam. “Pare abbia scelto di tornare a casa
dalla sua famiglia.”
“Cosa?” domandò
esterrefatta Ingie, voltandosi verso di lui. “Non resta in
Germania?”
“Dice che si farebbe
solo del male. Ha deciso di tornare in America, dai suoi. In questo
momento ha sicuramente bisogno più di loro che di noi.”
Ingie sospirò
mestamente con il naso. L'idea di non vedere Sid per mesi non era
allettante e tutta quella situazione che si era venuta a creare la
faceva rattristare.
“Quando ha deciso di
partire?” domandò a quel punto in un mormorio.
“Questo pomeriggio.”
Una nuova fitta allo stomaco. Non voleva salutarlo così presto, non
dopo quello che avevano vissuto poco tempo prima. “Senti, Ingie,
oggi voglio andare a fare un po' di sano shopping e chi meglio di te
può accompagnarmi?” esordì nuovamente Adam, per poi voltarsi
verso Tom e Bill e sussurrare un “affari di donne” che li fece
scoppiare a ridere.
Ingie sorrise
decisamente divertita.
“D'accordo. Ti
ringrazio per la fiducia.” scherzò, per poi addentare una brioche.
Era ancora urtata per la
precedente discussione con Luke e si sentì quasi un verme per aver
scelto di consumare la propria colazione senza di lui; eppure, si
sentiva arrabbiata.
Scorgeva Bill di tanto
in tanto lanciarle delle occhiate, come avesse voluto dirle qualcosa,
ma poi tornava a concentrarsi sul suo caffè e lei faceva
altrettanto, dimenticando tutto. Non poteva ancora cercare appiglio e
speranza in semplici sguardi. Doveva affrontare la realtà e la
realtà voleva che il loro rapporto fosse giunto al capolinea da un
bel pezzo e nulla avrebbe potuto fungere da pezza.
Una volta terminato di
mangiare, Amanda fece per alzarsi dalla sedia.
“Io direi che è
arrivato il momento di partire.” annunciò.
La mora si rabbuiò
nuovamente. In quel momento aveva bisogno di Amanda più di chiunque
altro ed il fatto che la sua partenza affiancasse quella di Sid
rappresentava per lei un motivo in più di amarezza.
“Ti accompagno.”
mormorò, alzandosi anche lei.
“Ciao, ragazzi, ci
vediamo.” sorrise quindi la bionda, rivolta a Tom, Bill e Adam.
Quando uscirono dall'hotel e raggiunsero la sua auto, entrambe si
scrutarono per un istante senza proferire parola. “Tu lo sai che
per qualsiasi cosa devi solamente alzare il telefono.” le disse poi
Amanda.
Ingie rilassò il viso
in un sorriso grato.
“Lo so.” confermò.
“Non voglio più
sentirti a questo modo. Cerca di tirarti su, okay?” La mora annuì,
non sicura di riuscirvi. “E comincia a pensare un po' di più a te
stessa.” concluse abbracciandola.
Ingie ricambiò quella
stretta con forza forse per non lasciarla andare, fino a che non si
allontanarono.
“Buon viaggio.” le
augurò mentre la osservava salire in macchina. “E salutami David e
Lily.”
Di nuovo quel senso di
solitudine, una volta svoltato l'angolo.
Sospirò e decise di
rientrare. Questa volta superò la sala mensa e si diresse
all'ascensore. Era il momento di affrontare nuovamente Luke.
Quando raggiunse il
corridoio cominciò ad invocare tutti i santi che conosceva affinché
le giungessero in aiuto e la sostenessero nel mantenere la pazienza.
“Ingie.” La ragazza
si voltò curiosa verso quel richiamo. Un colpo al cuore le confermò
la presenza di Keri a qualche metro da lei, sulla soglia della sua
stanza. “Potresti entrare un secondo?” le chiese quasi timida.
Ingie non si tirò
indietro ed esternò tutta la disinvoltura di cui disponeva.
“Che succede?”
domandò sedendosi a bordo del letto, nonostante potesse
perfettamente immaginare quale fosse il tema della loro
conversazione.
Le si sedette accanto
con un gioioso sorriso che la agitò.
“Ti volevo
ringraziare.” le disse, felice.
Oddio, fu la
prima esclamazione mentale della mora.
“Per cosa?” si finse
ancora ignara, cominciando ad agitarsi con la testa e con il corpo.
“Ho seguito i tuoi
consigli e... Sì, sembra abbiano funzionato.” le sorrise
entusiasta ed Ingie percepì un brivido fortissimo lungo la colonna
vertebrale. Non rispose, restò a fissarla come avesse scorto un
alieno, cosa che Keri dovette registrare come incomprensione che si
affrettò a chiarire. “Siamo usciti insieme e abbiamo passato una
bella serata.” Sapeva che la parte peggiore doveva ancora arrivare,
se lo sentiva. “Alla fine ho preso, come dire, in mano la
situazione.” Ingie fremette. “E l'ho baciato.” Il mondo le
crollò addosso. “Ma la cosa fantastica è che lui ha ricambiato
senza esitazione. Forse siamo sulla buona strada.”
Doveva vomitare. Doveva
vomitare.
Un groppo allo stomaco
pesante come un macigno che le procurava una disgustosa nausea.
Stritolò le lenzuola
nel pugno che poggiava al materasso e strinse i denti fino a sentire
male alla mascella. Il suo istinto voleva farla correre fuori da
quella stanza e rifugiarsi in bagno, nel suo bagno, a
rimettere quella spiacevole sensazione di freddo, vuoto, gabbia,
buio.
“Oh.” si sforzò di
sorridere. “Beh... Che dire...” si arrampicò sugli specchi,
portandosi una mano allo stomaco. Il dolore non se ne andava.
“Sei senza parole.”
rise Keri, soddisfatta. Se solo avesse saputo il motivo. “Mi
sei stata preziosa e te ne sono grata. Forse senza di te non avrei
avuto il coraggio di fare il primo passo.”
“Sono contenta.”
mormorò a quel punto. Non era sicura di voler udire altro.
“Comunque ora penso di
poterti dire di chi si tratta. All'inizio mi sentivo un po' a disagio
a farlo.”
Ingie, senza pensare, la
anticipò.
“Tom.”
Fu quasi un sussurro;
come se quelle lettere sulle sue labbra ora pesassero troppo.
Lesse la sorpresa nello
sguardo della bionda.
“Come lo sapevi?”
chiese colpita ma per nulla seccata.
“Intuizione.” divagò
a quel punto lei.
“Dio, che vergogna.”
ridacchiò l'amica, portandosi le mani al viso. “Non volevo dirlo
perché, non so, sembrava troppo per me.”
“Per quale motivo?”
domandò apatica.
“Beh, una rockstar di
fama mondiale non si interessa a te tutti i giorni, dico bene?
Credevo mi avresti deriso.”
Ingie sorrise
amaramente.
“Non ti avrei mai
deriso.”
Perché è successa
la stessa cosa a me.
“Grazie.”
Si presero qualche
attimo in cui Ingie dovette ancora combattere con la nausea.
“Quindi ora cosa avete
intenzione di fare?” si informò successivamente, non sicura di
volerlo realmente sapere.
“Beh, siamo ancora in
fase di conoscenza. Poi non ho ancora avuto modo di vederlo. Io sono
piuttosto presa e mi è sembrato di capire che lo sia anche lui ma è
un ragazzo e sai meglio di me come sia il genere maschile. È
piuttosto imprevedibile.” Ingie tirò le labbra. “Se tutto va
bene, non mi dispiacerebbe intraprendere qualcosa di... Serio, ecco.”
Voleva uscire da quella
stanza e fingere di non aver mai sentito nulla. Voleva dimenticare
quella conversazione e cercare così di combattere il senso di
frustrazione ed impotenza che l'aveva travolta.
“Beh, sei decisa.”
commentò sorpresa.
“Mi piace, Ingie.”
sorrise Keri. “Lo trovo una persona davvero buona. Mi sembra
rispettoso, proprio un bravo ragazzo ed è di questo che ho bisogno.
Adoro stare con lui, parlare. Senza contare l'attrazione fisica che
provo nei suoi confronti.” Nel pronunciare quell'ultima frase era
arrossita vistosamente, quasi avesse proferito parole scandalose.
Ingie si sforzò ancora una volta di sorridere. “Credo non mi sia
mai successo prima d'ora.”
“Certo, è un bel
ragazzo.” annuì stancamente. Non poteva più proseguire; quello
era troppo. “Beh, ti auguro il meglio.” disse quindi,
intenzionata ad abbandonare la camera, che sembrava sempre più
piccola e soffocante.
“Grazie.” sorrise la
bionda, per poi abbracciarla forte. Non si sentiva degna di
quell'abbraccio e appena poté lo interruppe.
“Bene, ora vado. Devo
litigare con il mio ragazzo.” cercò di sdrammatizzare a quel
punto, facendola ridere.
“Oh, allora ti
lascio.” ridacchiò Keri, aprendole la porta. “A dopo.”
Non appena si ritrovò
nuovamente sola in corridoio, si prese qualche secondo per respirare.
Le veniva da piangere e per un momento si chiese se fosse necessario
quel dannato confronto con Luke. Il suo umore attuale di certo non
l'aiutava e sapeva bene di divenire piuttosto irascibile. Forse
avrebbe solamente peggiorato le cose ma si disse che doveva farlo,
prima o dopo.
Aprì la porta della sua
stanza e se la richiuse alle spalle. Luke era seduto sul letto ancora
sfatto con il portatile sulle gambe, concentrato sullo schermo; non
aveva ancora sollevato lo sguardo su di lei.
“Beh?” fece lei. Non
le sembrava il modo perfetto per cominciare.
“Beh cosa?”
ribatté lui continuando ad ignorarla.
“Gradirei che mi
guardassi in faccia quando ti parlo.”
“Anche io gradirei che
non scegliessi di stare in sua compagnia quando ci sono io ma, a
quanto pare, nessuno può avanzare pretese, qui.”
Ingie sollevò gli occhi
al soffitto. Aveva recepito la provocazione ma pregò di non
raccoglierla. Se l'avesse fatto gli avrebbe solamente urlato contro.
“Adesso smettila di
fare il bambino. La cosa sta diventando ridicola.” mormorò.
“Ah, starei anche
facendo il bambino?!” esclamò a quel punto lui, finalmente
guardandola. “Ingoio tante cose che non mi stanno bene e sarei un
bambino?”
“Cosa non ti sta
bene?”
“Non mi sta bene lui!”
Si prese qualche attimo
per evitare di prenderlo a pugni e si disse che era normale una
reazione del genere da parte sua. Cercò di convincersene.
“Che dovremmo fare?
Ucciderlo?” borbottò Ingie con tetro sarcasmo. “Non pensare che
la sua presenza sia per me qualcosa per cui valga la pena
festeggiare.” aggiunse, cercando di andargli in contro il più
possibile.
“Non mi sembri
disprezzarlo così tanto come dici.”
“Cosa dovrei fare?
Sputargli addosso ogni volta che lo vedo? Non ci parliamo nemmeno,
Luke.”
“Eppure riesco sempre
a trovarti nella sua stessa stanza. Com'è possibile?”
“Lavoriamo insieme, te
l'ho già detto. Non è certo colpa mia.”
“Non mi pare tu stessi
lavorando prima. Se è per lavoro che devi stare assieme a lui, fallo
per quello. Non posso accettare di dover anche mangiare
assieme a lui.”
“Questo perché tu non
sei di larghe vedute.”
Lo sguardo scioccato di
Luke le fece per un momento paura.
“Non sono di larghe
vedute?” sibilò lui. “Oh, cazzo.” rise per nulla divertito
massaggiandosi le tempie ed alzandosi dal letto. “Ti dico una cosa:
se non fossi stato di larghe vedute, l'avrei già riempito di botte.”
“Ma perché?! Si può
sapere che diamine ti ha fatto?!” urlò a quel punto Ingie,
battendo un piede a terra dall'esasperazione. “La relazione che
abbiamo avuto non ti dovrebbe nemmeno disturbare, dal momento che è
finito tutto da un bel pezzo e nessuno è intenzionato a tornare
insieme!”
“Te l'ho detto, vedo
come ti guarda! Quello non ti ha dimenticato, è inutile che cerchi
di convincermi del contrario!”
“Ma io sì! E
comunque, temo di doverti correggere: mi ha dimenticata eccome dato
che si frequenta con Keri.”
Seguirono minuti di
silenzio. Quella frase era stata pronunciata con incredibile fretta e
non aveva nemmeno fatto in tempo a riflettere. Probabilmente se
l'avesse fatto avrebbe taciuto ma forse era meglio che Luke sapesse,
se fosse servito a calmarlo.
“Con Keri?” domandò
a quel punto lui, non ancora del tutto convinto.
“Sì e se non ci credi
vai da lei a chiederglielo.” tagliò corto Ingie per poi gettare le
scarpe in un angolo ed incamminarsi in direzione del frigobar dal
quale recuperò una bottiglietta d'acqua.
Luke non parlò ancora
così la mora afferrò il pacchetto di sigarette e, assieme alla
bottiglia, uscì sul balconcino, richiudendosi poi la porta alle
spalle. Si gettò stancamente a sedere sulla poltrona in vimini e,
poggiato un piede alla ringhiera di fronte, si accese la sigaretta.
La prima boccata di fumo fu per lei rigenerante; era una di quelle
persone che quando erano nervose fumavano. Sapeva di sbagliare ma,
d'altro canto, era la sua unica consolazione e voleva permettersela.
Udì alle sue spalle la
portafinestra riaprirsi e non dovette voltarsi per sapere se fosse
Luke.
“Scusami.” fu un
sussurro quello del ragazzo che la fece rabbrividire ma decise di non
muovere un muscolo. “Ho sbarellato. Ogni tanto mi succede, lo sai.”
“Sì, lo so.”
ribatté lei freddamente, continuando ad osservare il giardino sotto
il terrazzo.
Improvvisamente sentì
le braccia del biondo avvolgerla in una stretta delicata, alle sue
spalle. Le diede quasi fastidio in quel momento, poiché era ancora
urtata dalla conversazione, ma si sforzò di accantonare l'orgoglio e
gli poggiò una mano sul braccio che le circondava il petto.
“Il fatto è che
proprio non lo sopporto. Non sopporto il fatto che ti abbia avuta.
Non sopporto che abbia tutto ciò che vuole; non gli manca nulla
dalla vita ed il pensiero che ti voglia portare via da me – tu,
l'unica persona che mi possa vantare di avere – mi fa
imbestialire.”
“Non devi vederla come
una gara fra te e lui. Non è colpa sua se vive una condizione più
agiata della tua. E non pensare che lui abbia tutto dalla vita; la
fama e i soldi, da soli, non fanno la felicità. E comunque sono
sempre io a detenere l'ultima parola, o sbaglio?” Si voltò verso
di lui per guardarlo negli occhi. “Sono io che scelgo di stare con
te e questo ti dovrebbe bastare. Se ti dico di non preoccuparti e di
dormire tranquillo la notte perché non ho intenzione di scappare di
nuovo, fallo.”
Quasi le si spezzò il
cuore quando vide gli occhi di Luke inumidirsi appena. Il ragazzo
sorrise prima di prenderle il viso fra le mani e baciarla
delicatamente sulle labbra.
“Ti amo.” sussurrò
su di esse.
L'ennesimo ti amo
al quale lei non ebbe il coraggio di rispondere.
***
“Hey.”
Si voltò alle sue
spalle con sorpresa e trovò davanti a sé Keri, intenta a torturarsi
le mani con espressione timida in volto.
“Hey.” sorrise lui,
facendole spazio sul gradino, perché gli si sedesse accanto. “Come
stai?” le chiese del tutto tranquillo, cercando di toglierla
dall'imbarazzo.
A dire il vero, anche
lui si sentiva lievemente a disagio per i sentimenti contrastanti che
non lo facevano riposare ma li mise abilmente a tacere.
“Bene.” rispose lei,
osservando i propri piedi. “Forse mi sta venendo un po' di
raffreddore per ieri sera ma, per il resto, tutto a posto.” Tom
annuì con un sorriso. “Senti, riguardo questo... Volevo scusarmi
se ti sono sembrata un tantino affrettata, ecco.”
Il chitarrista aggrottò
la fronte.
“No, assolutamente.
Insomma, non mi pare di essermi lamentato.” scherzò appena
riferendosi palesemente al fatto di aver ricambiato volentieri quel
bacio. “Stai tranquilla, non mi hai dato un'impressione simile.”
“Bene.” mormorò lei
con un sospiro. “Beh, credo fosse palese il mio interesse.”
sorrise poi, scrutandolo con la coda dell'occhio.
“Diciamo che avevo
intuito qualcosa.” buttò lì il ragazzo.
“Quindi la cosa non ti
dispiace?” domandò a quel punto lei, probabilmente curiosa e
speranzosa al tempo stesso.
Tom doveva trovare un
modo per farle capire che avrebbe accettato volentieri la sua
conoscenza e magari di frequentarla, ma senza illuderla. Se avesse
deciso di intraprendere quella frequentazione seriamente, l'avrebbe
deciso lui e nel momento in cui Ingie sarebbe stata solo un ricordo.
“No.” scosse la
testa. “Però vorrei solo essere chiaro su una cosa perché non
voglio che tu possa eventualmente stare male a causa mia. Sono uscito
da poco da una relazione in cui credevo molto e non è facile, ancora
oggi, fare finta di averla del tutto accantonata. Sono ancora
piuttosto scottato e non so se riuscirei a gettarmi a capofitto in
un'altra storia. Non subito, capisci?”
“Certo.” fece lei
prontamente. “Io non volevo indubbiamente metterti fretta. Anche
per me è lo stesso. Mi piacerebbe conoscerti, tutto qui. Anche io
voglio fare le cose con calma, poi quello che succede, succede, no?”
Tom sorrise ed annuì
appena, lieto che avesse compreso. Si sentiva un po' più leggero.
“Se dovessi sentirmi
di nuovo pronto, saresti la prima a saperlo. Per ora preferisco
frequentarti senza affrettare troppo le cose.” disse il più
gentilmente possibile.
“Lo capisco
perfettamente.” confermò Keri e gliene fu grato. “Beh, mi sento
più leggera.” esclamò successivamente la ragazza facendolo
ridacchiare. “Credevo di averti infastidito e non ero sicura di
come fossero rimaste le cose fra noi. Ora posso tornarmene in
camera.” disse ancora, sollevandosi in piedi, pronta per rientrare
in hotel.
Tom rifletté qualche
istante prima di parlare di nuovo.
“Perché invece non
andiamo a fare un giro?”
***
“Questo è divino.”
esclamò Adam non appena la vide uscire dal camerino.
Aveva indossato un
vestito da sera verde che le fasciava morbidamente il corpo, mettendo
in risalto le sue forme di cui poteva andare sinceramente fiera. Il
ballo di certo le dava una mano non indifferente.
“Dici?” domandò lei
tornando ad osservarsi allo specchio. Effettivamente le piaceva
parecchio.
“Sì.” confermò
lui. “Devi assolutamente prenderlo.”
Ingie sorrise
soddisfatta e tornò a cambiarsi.
Adam era il suo compagno
di shopping migliore. Aveva decisamente gusto ed era schietto e
sincero per ogni opinione. In passato, non si era fatto problemi a
definire Ingie un porcellino avvolto nella carta stagnola. Sì,
lo ricordava ancora.
Di nuovo nei suoi capi,
riprese a girare con il vestito al braccio.
“Secondo te ho
possibilità?” le chiese ad un tratto Adam, cosa che la portò a
frenare immediatamente, voltandosi a scrutarlo non sicura di aver
afferrato il senso della domanda.
“Dipende a cosa ti
riferisci.” commentò lei, sospettosa.
“Lo sai, con i
gemelli.”
Per poco non si strozzò
con la propria saliva. Credeva che Adam avesse accantonato l'idea ed
accettato il fatto che entrambi fossero rigorosamente eterosessuali.
Credeva scherzasse con loro, solo per divertimento. Ora si trovava un
tantino basita.
“Adam...” cominciò
in difficoltà. “Seriamente, non... Loro non sono gay.” disse per
l'ennesima volta, sperando che recepisse il messaggio.
“Ho conosciuto tanta
gente etero che ha ceduto con me.” scrollò le spalle lui, ancora
speranzoso.
“Loro non cederanno,
te lo dico sinceramente.” ribatté lei quasi dispiaciuta. “Davvero,
cambia obiettivo.”
“Sarà difficile, dato
che il mio istinto è quello di saltare loro addosso ogni volta che
li vedo.”
“Me ne sono accorta.”
“Biasimami, se ci
riesci.” Ingie ridacchiò continuando a camminare come nulla fosse.
Era incredibile come si finisse sempre per parlare di loro con
chiunque si trovasse. Il loro fascino non era indifferente a nessuno,
nemmeno agli uomini. “Tu invece?”
Ingie si voltò
nuovamente verso di lui con sguardo interrogativo.
“Io cosa?” domandò
confusa.
“Ho visto che avete
litigato tu e Luke, stamattina. Va tutto bene?”
“Sì, tutto bene. È
stato solo un piccolo battibecco, tutto qui. Abbiamo chiarito.”
Adam non sembrava convinto ma decise di non indagare oltre, per la
felicità di Ingie. “Andiamo a prenderci un caffè, che dici?”
propose poi, ottenendo il consenso del ragazzo. “Pago e andiamo.”
Una volta fuori dal
negozio, si guardarono attorno, alla ricerca di un bar, fino a che
non ne adocchiarono uno dalla parte opposta della strada.
“Oh, oh, cosa vedono i
miei occhi!” esclamò all'improvviso il ragazzo, afferrandola per
un braccio prima che riuscisse ad attraversare, facendola così
sbilanciare appena. Ingie seguì lo sguardo di Adam ed il mondo le
crollò nuovamente addosso non appena vide Tom e Keri in fondo alla
strada, che camminavano nella loro direzione, ignari della loro
presenza. “Non pensavo si frequentassero!” continuò Adam
sorpreso.
“Sì, beh, andiamo.”
tagliò corto Ingie, cercando di trascinarlo con lei senza successo.
“Adam.” lo pregò.
“Perché tanta fretta?
Salutiamoli.” sorrise il moro, senza staccare lo sguardo da loro
che probabilmente si erano finalmente accorti dei due.
“Ma dai, li mettiamo
in imbarazzo.” provò ancora lei ma fu troppo tardi poiché il
chitarrista e la ballerina si trovavano a pochi passi.
“Ciao.” salutò una
Keri particolarmente radiosa.
Ingie si limitò a
tirare un sorriso di circostanza. Lo sguardo teso di Tom non le
sfuggì. Forse si sentiva a disagio a farsi vedere con Keri davanti a
lei?
Beh, ha il pieno
diritto di frequentare chi vuole, esattamente come ho fatto io,
disse la parte più razionale di lei ma quella istintiva fremeva di
rabbia e gelosia.
“Che combinate?”
domandò Adam interessato, lanciando occhiate maliziose ai due.
“Facciamo un giro.”
scrollò le spalle Keri. “Voi?” chiese poi lievemente rossa in
viso.
“Un po' di compere.”
rispose Ingie per apparire il più disinvolta possibile, mostrandole
il sacchetto con il vestito appena acquistato.
“Posso vedere?” fece
la bionda curiosa. Ingie aprì il sacchetto e la ballerina ne tirò
fuori il capo per osservarlo stupefatta. “Bellissimo.” apprezzò
compiaciuta. Ingie continuava a percepire lo sguardo del chitarrista
sulla sua figura ed i suoi piedi bruciavano, desiderosi di correre
via di lì. “Brava, hai buon gusto.” concluse Keri, riponendo il
vestito al suo posto.
“Sotto mio consiglio,
ovviamente.” si vantò Adam. “Dove hai lasciato Bill?” si
informò poi, rivolto a Tom il quale pareva sforzare disinvoltura con
le mani nelle tasche dei jeans.
“Credo sia in albergo.
Non so se è uscito.” spiegò.
“Beh, noi andiamo a
prenderci un caffè.” tagliò corto Ingie, incapace di reggere
oltre quello sguardo. Incapace di osservarlo ancora al fianco di una
ragazza che non fosse lei. “Ci vediamo dopo.”
“D'accordo.” sorrise
Keri. “A dopo.”
Un ultimo sguardo di
fuoco per poi lanciarsi nel bel mezzo del traffico per attraversare
la strada, quasi venendo investita.
“Sei pazza?!” urlò
Adam alle sue spalle, seguendola di corsa. “Vuoi morire? Perché
tanta fretta?” continuò una volta affiancata.
“Ho solo bisogno di un
caffè.” borbottò lei, entrando nel frattempo al bar. “E di due
o tre sigarette.” mormorò poi più a se stessa che al ragazzo.
***
Salutare Sid non fu
facile per nessuno. La sua aria abbattuta e delusa era qualcosa che
pesava troppo, che non s'addiceva alla sua personalità sempre molto
reattiva ed ironica. L'avevano accompagnato in aeroporto, decisi a
non abbandonarlo fino all'ultimo secondo, come timorosi che potesse
accadergli qualcosa. D'altronde, era ancora debole ed un viaggio di
quella portata non era la cosa migliore cui potesse dedicarsi in quel
momento; eppure lui era più che deciso a tornare dalla sua famiglia
per un po' di conforto e nessuno era stato in grado di fermarlo.
Diceva che non avrebbe sopportato di vederli ballare senza di lui ma
che li avrebbe sostenuti sempre e comunque, anche da lontano.
Il ritorno all'hotel era
stato più silenzioso del solito. Roy aveva deciso di non sottoporli
ad allenamento quel giorno; sarebbe stato il loro primo ed ultimo
giorno di riposo ed avrebbero dovuto goderselo finché possibile.
Ingie non aveva ancora
avuto occasione di parlare con Milo da quando aveva saputo di Tom e
Keri e per tutto il pomeriggio non aveva fatto altro che provare
nella sua mente frasi adatte ad introdurre tale discorso, poiché non
era sicura che il ragazzo lo sapesse, dato che Adam non aveva perso
tempo a riferirlo a chi aveva potuto.
Lo cercò in giardino,
poiché era lì che l'aveva visto l'ultima volta, e non si sorprese
quando lo trovò poggiato ad un albero, intento a fumare
tranquillamente una sigaretta. Senza proferire parola, lo affiancò,
accendendosene una anche lei. Milo l'aveva vista con la coda
dell'occhio ma non aveva mosso un muscolo.
“Devo dire che questo
è davvero un periodo fortunato.” commentò all'improvviso il moro
con evidente sarcasmo nel tono di voce, senza smettere di osservare
il vuoto davanti a sé. “Spero che dopo tutte queste cattive
notizie ne arrivi qualcuna buona.”
“Non sarebbe la vita.”
scrollò le spalle Ingie. “Quindi, deduco che tu sappia.”
“So.” si limitò a
rispondere lui per poi prendere un'altra boccata di fumo. “Ma la
cosa non mi ha sorpreso minimamente. Mi ero preparato a questo.”
“Beato te.”
Ingie era lieta di poter
parlare liberamente con Milo. Poiché unico, oltre ad Amanda, a
conoscere la vera storia che aveva accomunato lei e Tom, non poteva
fare altro che parlare apertamente finché ne aveva occasione. Era
libera di esprimere i propri sentimenti, senza cadere troppo nel
dettaglio. Semplicemente non voleva che la gente sapesse che non era
innamorata di Luke, benché si potesse chiaramente intuire.
“Dobbiamo voltare
pagina, Ingie. Non è così che funzionano le cose.” La mora si
voltò appena verso di lui in silenzio. “Tu hai Luke. Forse a
questo punto devi chiudere entrambi gli occhi e trascinare avanti
questa storia, se ti fa stare bene, altrimenti sei sempre libera di
ricominciare da capo. Io non ho nessuno quindi saprò trovare il modo
di dimenticarmi di lei; forse con un po' più di tempo.”
“Hai detto anche tu
che non riesci a dimenticarla, nonostante tu ci abbia provato.”
“L'ho detto ma non per
questo devo continuare a piangere sul latte versato. Non serve a
nulla. Starò male, sto male... Ma mi risolleverò e lo stesso farai
tu.”
“Vorrei poterti dare
ragione.”
“Anche se non ci
credi, ci devi provare. Ci daremo forza a vicenda, Ingie. Insieme ce
la possiamo fare, davvero.”
Le sue parole avevano
sempre un senso. Bene o male, che vi credesse o no, riusciva sempre a
non sentirsi sola accanto a lui. Era come se avesse trovato una
spalla, qualcuno che provava le sue stesse emozioni e quindi la
capiva meglio di chiunque altro.
Forse era vero. Forse
insieme avrebbero potuto darsi man forte e consolarsi per quanto
possibile. Lentamente, forse, sarebbe riuscita a dimenticare Tom,
seppur con qualche fatica. Non poteva essere l'unico ragazzo a quel
mondo in grado di farle perdere la testa a quella maniera. Si sarebbe
innamorata di nuovo, magari proprio di Luke. Lo sperava con tutto il
cuore.
Improvvisamente, davanti
a lei, vide una macchina entrare all'interno del parcheggio
dell'hotel. Continuò a fumare pacata la sua sigaretta accanto al
ragazzo, fino a che la portiera non si aprì.
La sigaretta cadde a
terra.
Simone era appena scesa
dal veicolo ed il suo cuore aveva preso a minacciare un infarto
imminente. Le mani tremavano ed i muscoli erano intorpiditi.
Pochi giorni prima si
era chiesta cosa potesse pensare di lei. Pochi giorni prima si era
ricordata che l'ultima volta che aveva sentito Simone era stata
quando le aveva confessato di essersi innamorata di suo figlio,
contro ogni aspettativa. Non sapeva nulla di ciò che era successo
dopo. Non sapeva se Tom le avesse raccontato tutto ma, essendo la
madre, avrebbe dovuto aspettarsi di vederla passarle affianco senza
nemmeno degnarla di uno sguardo. Sarebbe stato il dolore più grande.
Lei aveva sempre adorato Simone, l'aveva sempre considerata una
seconda mamma e sapeva che per lei era stato lo stesso. Immaginare di
venire disprezzata da quella stessa persona era insopportabile.
Si preparò al peggio;
si preparò ad essere ignorata quando, contro ogni deduzione, la
donna le sorrise. Quasi le cedettero le ginocchia.
“Ciao, Ingie.” la
salutò appena, fermandosi di fronte a lei.
Ingie fremette. Non
sapeva cosa pensare; quel saluto le sembrava così inverosimile.
“C-ciao.” rispose
lei insicura.
Qualcosa non andava.
Come poteva sorriderle a quella maniera? Eppure, leggeva qualcosa di
diverso nel suo sguardo; una sfumatura malinconica.
“Come stai?” le
domandò la donna.
Qualcosa senz'altro
non andava.
“Bene. Tu come stai?”
rispose in un balbettio imbarazzante.
“Un po' stanca dal
viaggio ma bene.” Nessuna delle due aveva abbracciato l'altra come
succedeva di solito. Una strana tensione le colpiva ma Ingie non
capiva ancora cosa stesse effettivamente succedendo. “Vado a
salutare i ragazzi e a posare le mie cose. Ci vediamo dopo?”
Ingie annuì insicura
prima di ricevere un nuovo sorriso da parte della donna che entrò in
hotel senza aggiungere altro. Restò ancora qualche attimo immobile,
con lo sguardo puntato alla porta di vetro che si era appena richiusa
fino a che non si voltò di scatto verso Milo che quasi sobbalzò
dallo spavento.
“L'hai vista anche
tu?” domandò in fretta ed incredula.
“Ehm, sì?” rispose
lui interrogativo.
“L'hai vista anche tu
sorridermi?”
“Sì.”
“Hai notato qualcosa
di strano? Un'occhiata di odio, una maledizione pronunciata
mentalmente, un indurirsi della mascella? La pupilla dilatarsi come
quella di un felino che tende un agguato?”
“Ma di che diamine
stai parlando?”
Ingie si prese un
momento in cui tornò a scrutare il vetro.
“Quella era la mamma
di Tom.”
***
Non aveva idea di come
comportarsi. Quello strano atteggiamento da parte di Simone l'aveva
confusa e destabilizzata ed ora non sapeva se raggiungerla o
aspettare che fosse lei ad avvicinarsi. Non sapeva se quelle della
donna fossero state frasi di circostanza, per non fare brutta figura
davanti a Milo, o sincere.
Era talmente assorta nei
propri pensieri che si era accorta in ritardo che la sigaretta era
consunta da un bel pezzo e continuava da qualche minuto ad aspirarne
il filtro. La gettò a terra per poi calpestarla con un sospiro.
Aveva deciso di rientrare in hotel poiché era tardi e sapeva
perfettamente che Simone non l'avrebbe più raggiunta in giardino.
Non fece in tempo a
voltarsi, che la donna era già alle sue spalle.
“Hey.” le sorrise
appena ed Ingie fremette di nuovo dall'incredulità. “Allora, che
cosa mi racconti? Come vanno le cose?”
Per un momento si chiese
se la stesse prendendo in giro o mettendo alla prova.
“Vanno.” si limitò
a rispondere, cercando in ogni caso di parlarle con la solita
gentilezza che non le aveva mai fatto mancare.
“Sai, mi spiace molto
per come siano andate le cose con mio figlio.” Quella frase fu una
pugnalata improvvisa. Non si aspettava di dover affrontare quel
discorso così presto. “Ma se entrambi avete deciso di lasciar
perdere, c'è poco da fare.” sorrise successivamente. Un giramento.
Ingie aggrottò la fronte e la osservò tremendamente confusa. “Credo
abbiate fatto bene ad essere sinceri l'uno con l'altra, nonostante
tutto.”
Doveva assolutamente
capire.
“Scusa, Simone...
Potrei sapere cosa ti ha raccontato Tom?” domandò a quel punto
decisamente curiosa.
Dopo un'occhiata
interrogativa, la donna riprese a parlare.
“Beh mi ha spiegato
che avete provato a stare insieme ma poi avete deciso di comune
accordo di finirla perché non vi sentivate pronti ad intraprendere
una relazione a distanza. Forse è stato meglio così, piuttosto che
rendersene conto dopo. Anche se, personalmente, credevo in voi.”
Ingie era esterrefatta.
Non poteva credere a ciò che aveva appena udito. Tom si era
inventato tutto. Tom l'aveva inconsapevolmente difesa.
Un senso di peso si
impossessò del suo stomaco e non seppe dire se fosse commozione,
felicità o rabbia. Forse stava provando tutte quelle emozioni
assieme.
Si schiarì la voce e
cercò di adottare un'espressione consapevole e per niente sorpresa.
“Già, anche io ci
credevo ma forse è stato meglio così.” annuì, sentendo i palmi
delle mani prudere fastidiosamente.
“L'ultima tua
telefonata mi aveva fatto sperare.” scrollò le spalle Simone,
malinconica. “Comunque la vita va avanti. Ho visto che stai con
quel ragazzo biondo, ora.”
Le faceva tremendamente
strano parlare con la madre del chitarrista di Luke, soprattutto in
quelle false circostanze. Credeva di fare un torto a Tom, in un modo
o nell'altro.
“Sì.”
“Sembra un bravo
ragazzo.” Ingie annuì semplicemente. “Io non ti ho mai più
cercata perché non ero sicura ti facesse piacere. Sai, questa storia
con Tom e tutto... Credevo ti avrebbe fatto male sentire sua
madre, almeno i primi tempi.”
La mora sgranò gli
occhi.
“No, Simone,
assolutamente!” esclamò. “Tu non puoi capire quanto mi
mancassero le nostre chiacchierate. Tu lo sai che ti ho sempre
reputato una seconda madre per me e mi è davvero dispiaciuto perdere
i contatti. Anche io avevo paura di averti in qualche modo delusa.”
Aveva creduto fino a
quel momento che sapesse la verità, motivo in più per cui aveva
provato tanta paura nel farsi sentire.
“Non mi hai deluso,
sono cose che succedono. L'importante è che tutti e due stiate bene,
anche se separati. Mi importa questo.”
Le lacrime si
accumularono velocemente sugli occhi di Ingie che non resistette alla
tentazione e l'abbracciò di slancio. Temette per un momento che la
bionda non ricambiasse la stretta ma trasse un sospiro di sollievo
quando lo fece.
“Grazie, Simone, tu ci
sei sempre stata per me.” mormorò al suo orecchio. Si sentiva
tremendamente colpevole. Sentiva di prenderla involontariamente in
giro. Sentiva di non meritare quell'abbraccio e tutte le sue parole
carine. “Ti voglio bene.”
“Anch'io te ne voglio,
Ingie.”
***
Camminava lungo il
corridoio con passo affrettato. Lo sguardo fisso davanti a sé,
l'espressione seria e l'andatura decisa. Dentro, rabbia, nervoso,
incredulità. Le mani prudevano e non le sopportava più.
Voleva trovarlo, voleva
delle spiegazioni. L'aveva cercato per tutto l'hotel ma nulla. Aveva
escluso la possibilità che fosse in camera poiché non l'aveva visto
entrare; aveva escluso la terrazza per lo stesso motivo. L'ultima
spiaggia fu la sala relax che si trovava all'ultimo piano.
Uscì dall'ascensore ed
inchiodò, non appena lo vide in piedi, poggiato con le braccia alla
finestra, che le dava le spalle. Si era appena alzato dal divano,
considerando la forma del cuscino.
Senza pensare
ulteriormente, camminò verso di lui e lo fece girare afferrandolo
per la maglia. L'aveva preso in contropiede ed ora la osservava come
fosse pazza.
“Spiegami a che gioco
stai giocando.” parlò, secca.
“Scusami?” domandò
lui confuso.
“Perché hai mentito a
tua madre su di noi? Perché mi hai coperta?” Tom adottò
un'espressione scocciata e gettò lo sguardo altrove. Ingie gli
afferrò senza pensare il mento e lo fece voltare nuovamente verso di
lei. “Guardami negli occhi e dimmi perché.” disse ancora con un
tono che non ammetteva repliche.
Il chitarrista le
scacciò la mano con la propria.
“Io dico a mia madre
quello che mi pare.” si limitò a rispondere. “Dovrebbe solo
farti comodo, giusto? Perché tanto chiasso?”
“Perché non riesco a
capire che razza di idea tu abbia di me. Davanti ai miei compagni mi
sputtani, davanti a tua madre mi difendi. Si può sapere da che parte
stai?”
“È così strano il
fatto che io non voglia farti sfigurare davanti a lei?”
“Ma a quale scopo?!
Che problema poteva essere che non mi rivolgesse più la parola, per
te?”
“Mia madre è troppo
affezionata a te; le avrei spezzato il cuore.”
Quella frase la colpì.
Era vero, Simone non aveva mai fatto mistero del bene che le voleva
ed era comprensibile che un figlio non volesse leggere la delusione
profonda negli occhi di una madre.
“Non ti sembra
ingiusto?” mormorò.
“Mi sembra il minimo
che io possa fare per non farla sentire come un'idiota che ha perso
tempo con un'ipocrita come te.”
Quelle parole le avevano
fatto male. Decisamente troppo male.
“Sappi una cosa, Tom.”
disse a denti stretti e puntandogli il dito contro. “Io non ho mai
preso in giro tua madre. Mai. Le ho sempre voluto bene; non ti
permetto di insinuare cose spiacevoli anche sul suo conto. Se non mi
credi per te, almeno credimi per lei.”
La osservò per qualche
istante, pensieroso.
“Non mi interessa
più.” concluse poi, voltandosi nuovamente verso la finestra. “Non
devi più sforzarti di fare bella figura davanti a lei, d'ora in
avanti.”
Ingie scosse la testa
con espressione schifata.
“Non hai capito
proprio un cazzo di me.” sussurrò.
“Ho capito che devo
essere un po' più diffidente con le persone.”
“Come con Keri?”
Si maledì. Aveva
sputato quella domanda con odio, con sprezzo. Come previsto, Tom si
voltò nuovamente verso di lei, basito.
“Tu non hai il minimo
diritto di venire a giudicare la mia vita e le mie scelte. Sei stata
tu a mandare tutto a puttane quindi non vedo il motivo di tanto
risentimento da parte tua. Mi frequento con Keri? A te che importa?
Tu hai scelto di riprenderti Luke senza il minimo ripensamento, non
vedo perché tu abbia qualcosa da ridire su di me.”
“Mi sorprende solo il
fatto che tu mi abbia sempre accusata di essere ipocrita ed
opportunista, ed ora ti stia comportando a questo modo.”
Tom si avvicinò di
qualche passo, che la fece indietreggiare.
“Tu non sai niente di
ciò che provo e di ciò che sta accadendo con Keri. Ed il fatto che
tu ti senta giustificata nel prendere parola in questa situazione mi
fa venire la nausea. Tu non hai più voce in capitolo nella mia vita,
già da un po'. E se la cosa ti da fastidio, dovevi pensarci prima.”
Detto questo, sganciata
l'ultima bomba, la abbandonò in quella sala relax con il cuore
impazzito, un forte dolore allo stomaco e lacrime che lentamente si
accumulavano sugli occhi.
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Capitolo 9 *** Falling down ***
aaaaa
Nine
Falling down
Cercare di fingere
indifferenza in quelle settimane fu l'impresa più difficile cui si
fosse mai sottoposta. Tom continuava a frequentarsi con Keri, Ingie
continuava a vivere una falsa storia d'amore con Luke. Simone era
ripartita qualche giorno dopo il loro incontro nella completa
ignoranza. Il programma proseguiva, le loro esibizioni senza Sid
anche. E reggere lo sguardo del chitarrista diveniva sempre più
arduo. Tutto stava andando a rotoli e per la prima volta in quei mesi
desiderò tornare a casa, a New York, ed abbandonare tutti quanti e
quel grandioso progetto che le stava dando da vivere. DSDS si era
presentato come una fantastica esperienza, che avrebbe dato loro la
possibilità di introdursi anche nel mondo televisivo, ma con il
passare del tempo si stava rivelando solamente una gran sofferenza
per il suo stomaco. Mancava ancora un mese e mezzo alla sua
conclusione e Ingie credeva fosse un'eternità. Non vedeva via
d'uscita, non vedeva nulla di positivo e quell'ultimo periodo aveva
sospettato di essere caduta in una sorta di lieve depressione. Voleva
dare un taglio a tutto, voleva tornare dalla sua famiglia che non
vedeva da settimane e dimenticare una volta per tutte Tom, come
avrebbe dovuto fare mesi addietro.
La frequentazione con
Keri si era approfondita sempre di più, dai racconti della bionda,
ma ancora nulla se non semplici baci era accaduto fra loro. La
ballerina, dal suo canto, era impaziente e da tempo si chiedeva se
non fosse all'altezza del ragazzo ed Ingie cercava di rassicurarla
come poteva, contro ogni istinto di urlarle quanto amasse Tom e
quanto soffrisse nel dover ascoltare ogni suo discorso. Avrebbe tanto
voluto portarsi le mani alle orecchie e chiudere gli occhi,
abbandonarsi a letto ed interrompere qualsiasi contatto con il mondo
esterno. Solo Amanda e Milo rappresentavano per lei una sorta di
appiglio su cui poteva contare ogni qual volta ne sentisse il
bisogno.
Quella sera avrebbe
dovuto persino partecipare ad un After Party organizzato dal
programma per festeggiare la così detta puntata di mezzo,
quella che si trovava perfettamente a metà dell'intero periodo di
riprese. Non era decisamente dell'umore per una serie più che
ragionevole di motivi ma non aveva scelta. Forse avrebbe potuto
fingere un malore ma non le andava nemmeno di attrarre troppe
attenzioni.
Le esibizioni erano
andate bene come sempre e l'entusiasmo che ne derivava ogni volta non
mancava di certo. Lei si sforzava semplicemente di fingere serenità.
Non poteva fare altrimenti o le domande, come sempre, si sarebbero
sprecate.
Con il bicchiere di
champagne in mano, fingeva interesse per la conversazione che si
stava tenendo fra Adam, Ty, Page ed Anthony, ma il suo sguardo non
aveva perso di vista Tom e Keri, a qualche metro di distanza, intenti
a chiacchierare animatamente con Bill.
Era divenuta la nuova
Ingie. Ora era lei cui toccava un posto tra i gemelli, era lei
che riceveva le attenzioni di Bill, era lei la nuova persona cui dare
importanza e magari da introdurre in famiglia.
Stringeva il bicchiere
fra le dita come volesse distruggerlo e per un momento temette di
esservi vicina. Guardava Keri ed era così felice; leggeva nei suoi
occhi la stessa felicità che per un momento aveva provato anche lei
a Berlino. Perché era vero, i gemelli erano in grado di trasmettere
serenità, completezza. Erano capaci di far sentire anche il più
asociale essere umano sulla Terra a proprio agio. Le mancava quella
sensazione di spensieratezza, di affetto.
Un bacio inaspettato
sulla guancia la fece trasalire, riportandola con la mente al
presente. Quando si voltò per vedere chi fosse stato, Luke le
sorrideva con un paio di stuzzichini in mano.
“Vuoi?” Le offrì un
mini sandwich farcito con il prosciutto crudo. “Vedo che
bevi soltanto. Magari riempirti anche un po' lo stomaco non sarebbe
male.” disse successivamente con l'ironia nel tono di voce. Ingie
non si era nemmeno resa conto di ingurgitare alcolici a stomaco vuoto
e fu lieta che Luke glielo avesse fatto notare. Con un sorriso,
accettò di buon grado lo stuzzichino e ne prese il primo morso.
“Vederti bere più di me è destabilizzante.” ridacchiò poi.
Forse sì. Forse aveva
una certa propensione a sfogare le sue frustrazioni sull'alcol ed era
una cosa che da sempre si era detta di evitare, senza successo. Non
lo faceva apposta; il problema era che poteva gettarsi o su quello o
sulle sigarette.
Quanto sei idiota,
si disse mentalmente.
Abbandonò il bicchiere
sul tavolo alle sue spalle e si concentrò solamente sul cibo.
Le mani di Luke
continuavano a cingerle la vita di tanto in tanto e per la prima
volta le dettero fastidio. Eppure non si mosse, non voleva scatenare
un'altra lite in diretta, davanti a tutti.
“Andiamo a fumare?”
le propose all'improvviso, ad un orecchio. Si limitò ad annuire;
d'altronde non aveva nulla da fare, se non farsi venire il mal di
stomaco davanti a quello spettacolino. Quando uscirono in terrazza,
sospirò, lieta di respirare aria fresca ed abbandonare
quell'atmosfera che sembrava impregnata di eccessivo amore. Si accese
una sigaretta in silenzio e lanciò l'accendino a Luke. “Sei
silenziosa stasera.” commentò all'improvviso con la sigaretta alle
labbra.
Ingie scrollò le
spalle.
“Non ho molto da
dire.” rispose con semplicità.
“Strano.” ridacchiò
lui facendola sorridere appena. “Io invece è da qualche giorno che
penso ad una cosa.” I muscoli della mora si irrigidirono come in un
automatismo. Non sapeva il motivo ma sentiva che si trattava di
qualcosa che non le sarebbe piaciuto. Lo sguardo del ragazzo era
serio ma sereno al tempo stesso e ciò poteva voler dire solamente
una cosa che sapeva l'avrebbe messa con le spalle al muro. “Sai,
spesso mi ritrovo a pensare al futuro e non ti ho mai nascosto che in
questo futuro ti vedo con me.” Esattamente ciò che pensava.
“Beh...” Il ragazzo si portò una mano alla nuca con difficoltà.
“Insomma, pensavo che non mi dispiacerebbe, una volta tornati in
America, cominciare a definire un po' le cose.” Il cuore di Ingie
batteva all'impazzata. “Per esempio, comprarci un appartamento
tutto nostro.” Gesticolò. “E chi lo sa... Magari... Sposarci.”
Ingie si portò una mano
allo stomaco. Il mondo le era crollato immediatamente addosso, le era
mancato il respiro per un momento e la testa aveva preso a girare.
Non poteva. Non era
pronta; non lo amava ed il panico aveva imperversato.
“Ma perché affrettare
le cose? Insomma, non stiamo già bene così?” provò con impaccio,
cercando di suonare il più gentile possibile. “Anche se non
abbiamo un appartamento nostro, stai praticamente sempre a casa mia.
E per il matrimonio... Beh, c'è tempo. Io ho solo ventun anni e tu
venticinque. Possiamo aspettare.”
Luke sembrava deluso.
“Sì, è vero che sto
sempre a casa tua ma è piccola. È un monolocale e a lungo andare la
cosa comincia a diventare scomoda.” Provò. “E riguardo il
matrimonio, è vero che è un passo importante ma se ci amiamo, farlo
prima o dopo non cambia molto.”
Ingie sentiva le mani
prudere.
“Ma, voglio dire, è
necessario?” si impuntò. Luke si adombrò ancora di più; quella
volta sembrava seriamente ferito, così cercò di rimediare. “Quello
che cerco di dire è che secondo me il matrimonio non è di vitale
importanza. Non sono una di quelle ragazze che sognano di essere
portate all'altare. Io sto già bene così con te. Alla fine, è solo
una formalità, un contratto. A che ci serve ora?”
Luke sospirò appena.
“Come preferisci.”
si arrese mogio. “Per la casa però puoi pensarci?”
“Non lo so, Luke. Lo
sai, sono una persona indipendente. Adoro la mia indipendenza.”
Luke gettò lo sguardo
sulle proprie scarpe ed abbandonò la sigaretta a terra.
“A questo punto, credo
di non dover dire altro.” disse con un sorriso amaro per poi
voltarsi e rientrare.
Si sentiva una stronza,
una persona insignificante, per nulla degna di attenzioni. Un'altra
ragazza avrebbe fatto i salti di gioia al suo posto. Ma non era
assolutamente pronta a rinunciare a quel modo alla sua felicità
benché lo stesse in parte già facendo.
Anche lei decise di
rientrare ma invece di raggiungerlo, si avvicinò a Georg e Gustav,
arrivati quella mattina a Cologne. Anche loro avevano avuto il
piacere di conoscere Keri ed Ingie non aveva potuto fare a meno di
provare gelosia anche nei loro confronti.
“Come ve la passate?”
domandò abbattuta.
“Non c'è male. Tu non
hai una bella cera.” commentò Gustav, scrutandola preoccupato.
“No, infatti. Ancora
una volta ho fatto la parte della stronza megera. Scusatemi.”
borbottò prima di allontanarsi di nuovo.
Non aveva più visto
Milo e qualcosa le diceva che l'avrebbe trovato altrove in completa
solitudine. Per l'appunto, non dovette girare l'intero studio; aveva
deciso di raggiungere direttamente il giardino sul retro dove lo
trovò seduto a terra – con la schiena contro il muro – intento a
bere birra. Una bottiglia ad una mano, una seconda all'altra e lo
sguardo perso nel vuoto davanti a sé. Lei gli si sedette affianco e
lui nemmeno si voltò per assicurarsi che fosse lei; le allungò
semplicemente la bottiglia ancora chiusa senza guardarla. Lei la
accettò di buon grado.
“Alla loro salute.”
mormorò scettico il ragazzo, sollevando la bottiglia contro la quale
Ingie fece battere appena la sua. “No ma sono molto carini, devo
dire.” continuò con cupo sarcasmo.
Qualcosa le diceva che
non fosse del tutto sano.
“Quanto hai bevuto,
Milo?” domandò a quel punto, particolarmente tranquilla, poiché
lei non poteva permettersi di fiatare a riguardo.
“Chi lo sa.” scrollò
le spalle lui per poi portarsi alla bocca la bottiglia. “Si
respirava tanto di quell'amore, lì dentro, che ho preferito venire a
parlare con gli insetti.”
“Affascinante.”
Si presero qualche
attimo di silenzio in cui il ragazzo poggiò la testa contro il muro
dietro di lui, forse per osservare il cielo quasi nero.
“Ti sei mai chiesta se
gli insetti ragionino?”
Ingie sollevò le
sopracciglia in un'espressione sardonica e lo fissò come fosse
pazzo.
“Sinceramente non mi
faccio domande sulla vita degli insetti.” rispose.
“Non dev'essere una
vita facile.” biascicò lui, chiudendo gli occhi.
“No, infatti.
Poverini.” lo accontentò lei senza il minimo interesse. “Che ne
dici di alzarti e rientrare? La birra ormai è finita.”
“E ritrovarmi davanti
quei due che ufficializzano il loro rapporto? No, grazie.”
Ingie non provò nemmeno
a replicare poiché era la stessa sensazione provata da lei. Una
sensazione di impotenza, peso e malessere. Effettivamente, nulla la
spingeva a rientrare così decise di poggiare anche lei la testa al
muro ed osservare distrattamente le stelle.
“Non eri tu quello
determinato a voltare pagina?” esordì dopo un po' senza guardarlo.
“Io sparo anche tante
cazzate. Ormai dovresti saperlo.” Quello del ballerino era un
borbottio continuo, tipico di chi beveva una certa quantità di
alcol. “Che vita di merda.”
Ingie non poté fare a
meno di sorridere ironica.
“Ti sei beccato la
sbronza triste, eh?” commentò, lanciandogli un'occhiata.
“Ciò non vuol dire
che la mia vita non sia comunque una merda.”
“D'accordo.” Fece
una pausa prima di continuare. “Luke ha parlato di convivenza e
matrimonio.”
Ci fu qualche attimo di
silenzio che poi venne spezzato da Milo.
“Tu sì che sei nella
merda.”
“Grazie per il
sostegno.” commentò sarcastica.
“Figurati.”
***
L'aveva vista a disagio,
com'era ormai da settimane. Non poteva negare di sentirsi
altrettanto. La frequentazione con Keri proseguiva e si era fatta
sempre più profonda. Non avevano mai ufficializzato nulla e benché
Tom sentisse da parte della ragazza quel desiderio, lui non riusciva
a prendere finalmente una decisione. Era inutile negarlo; il suo
cuore non aveva mai smesso di battere per Ingie, nonostante l'immensa
delusione, e quel tipo di sentimento certamente non lo aiutava con
Keri. Avrebbe tanto voluto riuscire a voltare pagina, a renderla
serena assieme a lui, a darle ciò che voleva ma non vi riusciva.
Inoltre, gli mancava confidarsi con suo fratello. Non aveva più
avuto occasione di aprirgli il proprio cuore come faceva tempo
addietro, per un motivo o per un altro. Forse non voleva gettargli
addosso preoccupazioni che avrebbe potuto benissimo evitargli ma il
bisogno di parlare nuovamente con lui si era riaffacciato con
urgenza. Era giunto il momento di trascorrere un po' di tempo fra
gemelli e appena l'occasione si fosse presentata di nuovo, l'avrebbe
fatto.
Camminava con Keri lungo
il corridoio dell'albergo, appena tornati dalla festa, e si
apprestavano a raggiungere le loro stanze in silenzio. Ormai gli
argomenti erano esauriti, vista l'intera serata passata assieme.
Finalmente giunsero di
fronte alla porta della ragazza e si fermarono a scrutarsi per
qualche secondo.
“Beh, allora a
domani.” mormorò Keri, incerta sul da farsi ed intenta a
torturarsi le mani.
Tom poteva percepire la
tensione che la bionda stava provando ed anche a lui prudevano le
mani. Non capiva il motivo; Keri lo attraeva fisicamente, sarebbe
stato anormale pensare il contrario, eppure non sentiva quello stesso
desiderio carnale che provava nei confronti di Ingie. Probabilmente
la differenza stava nel fatto che lui la amava ancora ed aveva
imparato a capire che persino il sesso diveniva più bello.
Si limitò ad annuire ed
abbassare il viso verso il suo per baciarla lievemente sulle labbra.
A quel tocco, la bionda gli poggiò una mano sul collo e cercò di
tenerlo vicino a lei quanto più possibile. Sembrava avere bisogno di
lui e la cosa lo preoccupava. Si era da sempre ripromesso di non
illuderla e lei gli aveva sempre assicurato che ciò non sarebbe
accaduto, ma alle volte i dubbi lo tormentavano.
Quando si allontanarono,
le sorrise appena.
“Buonanotte.” le
disse, prima di darle le spalle.
“Tom.” si sentì
chiamare di nuovo con l'ansia nel tono di voce. Quando si voltò
verso di lei, era ancora lì a torturarsi le dita e le labbra con
un'espressione speranzosa sul viso. “Vuoi... Restare da me?” gli
domandò timida, forse timorosa di un rifiuto.
Tom in quel momento
provò un infinito senso di tenerezza ma nel frattempo difficoltà.
Si era detto più volte
di voltare pagina; non vi era riuscito. Forse doveva perseverare?
Forse con Keri avrebbe ritrovato l'amore? Non poteva saperlo.
“Sì.”
Fu quasi un sussurro.
***
Riportare Milo in camera
sua non si era rivelato semplice. Continuava a parlare a gran voce di
cose prive di qualsiasi logica lungo il corridoio ed Ingie spesso
aveva dovuto tappargli letteralmente la bocca. Aveva avuto paura che
svegliasse l'intero hotel e facesse uscire dalle proprie stanze gente
armata di manici di scopa. Alla fine tutto si era concluso nella
normalità e nel modo più indolore possibile; Milo si era
addormentato appena toccato letto e lei era uscita dalla camera in
punta di piedi.
Attraversò il corridoio
ed entrò nella sua stanza. Luke era sdraiato a letto, nel buio,
apparentemente dormiente. Eppure lei sapeva che era sveglio poiché
era tornato da poco assieme a lei. Si avvicinò e si sdraiò alle sue
spalle per poi posargli una mano sul braccio nudo. Glielo carezzò
appena ed attese una reazione che subito non arrivò.
“Hey.” mormorò
quasi in colpa. Immaginava fosse ancora arrabbiato con lei per il
risvolto che la loro conversazione aveva inspiegabilmente preso. “So
che non dormi.” aggiunse con tono dolce.
“Lasciami stare.”
borbottò lui senza voltarsi. Tuttavia non sembrava furioso, motivo
per cui Ingie si sentì incoraggiata nell'insistere.
“Smettila di pensare a
tutte queste cose serie. Siamo io e te, stiamo bene. Godiamoci
questo.” sussurrò al suo orecchio per poi lasciargli un lieve
bacio sul collo che non fu per lui indifferente. “Vuoi tenermi il
muso tutta la notte?” continuò poi con malizia.
Sentiva il corpo del
ragazzo accanto al suo fremere impaziente. Luke stava opponendo tutta
la propria forza di volontà per non cedere.
“Te lo meriteresti.”
ribatté.
“Ma?” sorrise lei,
baciandogli una guancia.
“Ma sei fortunata ad
avere un fidanzato idiota.”
Venne immediatamente
travolta dalla sua stretta e dal corpo accaldato che si posava
velocemente sul suo, prendendo nel frattempo a spogliarla con
urgenza. Ingie non era esattamente dell'umore giusto per concedersi
al sesso ma, come sempre, aveva un paio di pensieri da rimuovere.
***
Quando la prese quasi
con violenza, chiuse gli occhi, come non volesse vederla in faccia;
come volesse ignorare il fatto che davanti a lui non vi fosse Ingie,
bensì Keri. Un groppo allo stomaco difficile da rimuovere ma
l'urgenza di consumare quel rapporto.
Le mani della bionda si
stringevano alle sue spalle, i suoi gemiti gli giungevano
all'orecchio facendolo sentire per un momento importante. Lui
affondava nel suo corpo ignorando il suo viso, cercando di non
pensare a nulla. Quelle gambe – che una volta avrebbe considerato
sensuali ed eccitanti – si stringevano al suo bacino che non
trovava sosta. Decise di baciarle il collo per non dare la parvenza
di un insensibile e non farla sentire a disagio per la foga con cui
la stava possedendo.
Nella sua testa, occhi
castani, capelli neri, pelle morbida.
***
Le veniva quasi da
piangere per ciò che si era ridotta a fare: cercare sollievo e
distrazione nel sesso con quello che doveva essere il ragazzo che
amava.
Tutto era diverso con il
chitarrista. Tutto era più dolce, più emozionante. L'amore che
provava ancora per lui le faceva venire voglia di urlare, di
staccarsi quel corpo di dosso e correre dalla persona giusta. Si
trattava di un enorme errore cui non poteva evidentemente porre
rimedio.
Si aggrappò con
decisione alle spalle di Luke e gli morse forse troppo forte il collo
poiché lo sentì gemere al suo orecchio. Una parte di lei voleva
giungere alla fine di quella passione; l'altra voleva che si
protrasse ancora per molto, così da fare il possibile per distrarla.
Nella sua testa, occhi
castani, capelli neri, pelle morbida.
***
Quando aprì gli occhi,
una luce accecante gli rese impossibile ottenere immediatamente un
contatto con la realtà. Per un momento fece fatica a ricordare dove
si trovasse ma soprattutto cosa fosse successo quella notte.
Si massaggiò le tempie
e gettò una rapida occhiata al braccio che lo circondava in vita,
appartenente ad un corpo femminile alle sue spalle. Keri era ancora
profondamente addormentata ed un lieto sorriso sostava sulle sue
labbra che parevano ancora gonfie di baci.
Tom si sentì
immensamente stupido ed egoista. Si era tanto ripromesso di non
illuderla ed era stato esattamente ciò che aveva fatto seppur
involontariamente. Doveva solamente pregare che al suo risveglio non
pretendesse attenzioni straordinarie da parte sua e si ricordasse
ancora tutti i discorsi seri che avevano fatto riguardo una possibile
relazione. Affinché ciò fosse chiaro, il chitarrista si trovò
costretto a fare ciò che reputava squallido ed irrispettoso:
andarsene.
Senza fare rumore e
senza svegliarla, sgattaiolò via dalla sua stretta e dal letto
sfatto. Si gettò rapidamente addosso i vestiti che qualche ora prima
aveva abbandonato sul pavimento ed uscì di stanza in un silenzio
tombale. Erano le sette del mattino, decisamente presto per i suoi
standard, ma non si sentiva a suo agio in quel letto con una ragazza
che, ora come ora, sembrava quasi estranea.
Quella notte era stato
perfettamente conscio del fatto che si sarebbe pentito non appena
sveglio ed acquisita nuovamente la capacità intellettiva. Era stato
istintivo, irrazionale. Tutte qualità che aveva da sempre detestato
per gli altri e per se stesso. Se avesse potuto riavvolgere il tempo,
lo avrebbe fatto immediatamente, ma decise che non era il caso di
rimuginare su ciò che aveva fatto poiché non poteva essere mutato.
Al risveglio della bionda, avrebbe dovuto affrontarla.
Si spaventò quando una
porta in corridoio si aprì all'improvviso.
“Bill.” esclamò
riprendendo fiato. Il vocalist si era affacciato dalla stanza con
sguardo assonnato ed un'aria distrutta. Senza contare l'aspetto
orribile. “Che ci fai già sveglio?”
“Non ti ho sentito
rientrare e mi sono preoccupato.” mormorò, strofinandosi un
occhio.
Tom decise di entrare e
richiudere la porta perché nessuno udisse per errore i loro
discorsi. Osservò Bill buttarsi nuovamente a letto e lo raggiunse,
sedendoglisi affianco.
“Ho fatto una
cazzata.” esordì dopo un momento di riflessione.
“Sei andato a letto
con Keri.” borbottò il biondo senza sollevare il viso dal cuscino
– che rendeva la sua voce ovattata – come la sapesse lunga.
Tom fu sorpreso da tale
velocità ma si disse che l'empatia gemellare si era manifestata
anche quella volta.
“Già.” sospirò.
“Io non mi farei
prendere dal panico.” parlò di nuovo Bill senza muovere un
muscolo.
“Per te è facile.”
“Perché non dovrebbe
esserlo anche per te?”
“Perché tu non ami
una persona che ti ha fatto del male.”
Il silenzio calò cupo
nella stanza. Bill non aveva proferito parola e lo stesso Tom, fino a
che il biondo non si sollevò finalmente sul materasso, sedendosi di
fronte a lui. Il suo sguardo era sorpreso e preoccupato al tempo
stesso.
“Sei ancora innamorato
di lei?” domandò senza parole. Tom chiuse semplicemente gli occhi
senza fiatare. Il silenzio poteva valere più di mille parole. “Tom.”
mormorò di nuovo.
“Lo so, Bill, è
assurdo. Credimi, ho provato a dimenticarla in tutti i modi e più
cerco di pensare solo alle cose brutte che mi ha fatto, più non
riesco a cancellare ciò che di bello vedevo in lei. Eppure sono così
furioso, Bill. Non riuscirei a perdonarla, non riuscirei a fidarmi
nuovamente di lei. Mi ha deluso così tanto che desidererei solamente
farle male. Molto più male di quello che lei ha fatto a me.” Si
prese la testa fra le mani come in difficoltà. “Dio, mi scoppia la
testa. Vorrei urlare.”
“Tom.” lo ammonì
nuovamente suo fratello, posandogli una mano sulla spalla per
sostenerlo.
“Come si fa, Bill?
Come si fa a dimenticare una persona che hai tanto amato? Perché con
Ria ci sono riuscito? La odio. La odio con tutto me stesso. Si può
amare ed odiare una persona allo stesso tempo?”
Stava impazzendo, se lo
sentiva. Odiava Ingie ancora di più. La odiava perché si
ripresentava nella sua mente nonostante tutto ed un irrefrenabile
desiderio di vendetta l'aveva improvvisamente pervaso.
“Cerca di calmarti.”
parlò di nuovo Bill.
“No, non posso! Quella
stronza mi ha rovinato la vita! Continua a farne parte nonostante io
cerchi di scacciarla!”
“Ma cosa vorresti
fare, Tom?”
“Farle provare
esattamente ciò che lei ha fatto provare a me.”
“Perché perdi tempo e
ti fai del male in questo modo?”
“Perché la detesto.”
***
Si asciugò il sudore
dalla fronte con il dorso della mano. Il fiatone la stava uccidendo e
non un solo minuto di riposo era stato loro concesso da un Roy
particolarmente nervoso, quella mattina. Il coreografo continuava ad
urlare conteggi, ordini e non riusciva a vedere quanto i suoi
ballerini fossero esausti. Ormai provavano ininterrottamente da
quattro ore ed avevano seriamente bisogno di una pausa che continuava
a non arrivare.
Ingie provò per
l'ennesima volta una presa con Adam ma, sbilanciata, perse
l'equilibrio e gravò nuovamente a terra.
“Rifacciamola.”
sospirò Roy, senza nemmeno darle il tempo di rialzarsi.
Aveva da sempre imparato
che mai e poi mai avrebbe dovuto controbattere in presenza del
proprio coreografo ma quando era troppo era troppo.
“Roy, possiamo fare un
minuto di pausa?” domandò con un fil di voce a causa del fiato
corto.
“No, dobbiamo ancora
finire di montare le coreografie.” rispose lui, secco. “Con un
ballerino in meno dobbiamo accelerare i tempi e fare del lavoro in
più.” Ingie sospirò esausta e tornò in posizione, pronta a
prendere la rincorsa e gettarsi fra le braccia di Adam, in attesa di
afferrarla. Aspettò il conteggio del coreografo e poi mise in atto
la presa. Quella volta sembrava ben fatta. “Non va bene. Rifatela.”
“Cosa?!” esclamò a
quel punto la mora, voltandosi incredula verso Roy. “Mi sembrava
andasse bene!”
“Sono io il coreografo
e non andava bene.” Ingie strinse i denti per non rispondergli male
o prenderlo a pugni e tornò per l'ennesima volta in posizione.
Ripeté il tutto. “Non ci siamo ancora.”
“Oh, andiamo!” urlò
a quel punto, battendo un piede a terra, sotto gli occhi sbalorditi
di tutti. “È uno scherzo?!” si voltò furiosamente verso Roy, il
quale la osservava senza scomporsi.
“Non è uno scherzo.
Rimettiti cortesemente in posizione.”
“Proviamo da ore.”
“L'avete sempre fatto.
Non vedo perché oggi dovrebbe essere diverso.”
“Perché non ci siamo
riposati un solo istante.”
“Volete fare tutti la
stessa fine di Sid? Volete smettere di ballare? Per voi ballare è
così poco importante?”
Ingie tacque per qualche
istante.
“È questo il motivo?”
domandò quasi in un sussurro. “Sid che se n'è andato?” Roy non
rispose. “Roy, siamo in grado di lavorare come si deve. Sid ha
avuto un semplice sbandamento.”
“Che potrebbe
ripetersi in ognuno di voi!” tagliò corto il coreografo, dandole
le spalle. “Ora basta parlare. Tornate in posizione.”
***
Fumava nervosamente la
sua sigaretta. Finalmente le dure ore di allenamento erano terminate
ed aveva potuto dedicare un po' di tempo a se stessa. Luke si era
fermato ad intrattenersi con Ty e Adam nell'atrio, motivo per cui
aveva approfittato dell'occasione per sedersi in giardino e
rilassarsi. Ultimamente le cose non andavano bene ed il suo fisico e
la sua mente cominciavano a risentirne. Aveva semplicemente bisogno
di solitudine, di silenzio. Doveva permettere alla sua testa di
scollegare qualsiasi nervo e lasciarsi trasportare dalla calma.
“Oh.” udì
improvvisamente, mandando a monte qualsiasi buon proposito. Quando
gettò lo sguardo di fronte a sé, vide una Keri incerta scrutarla.
“Se vuoi stare sola me ne vado.” le disse, facendo per voltarsi.
“No, vieni pure.”
rispose la mora con gentilezza.
A dire il vero avrebbe
preferito si dileguasse ma, nonostante tutto, le dispiaceva e le
voleva bene.
La bionda le si sedette
accanto con sguardo affranto e si accese anche lei una sigaretta,
prendendo a fumare in silenzio ed immersa nei propri pensieri. Ingie
corrugò la fronte perplessa.
“Qualcosa non va?”
chiese con tutta la delicatezza di cui disponeva.
“No.” sorrise appena
lei, sventolando una mano con fare superficiale. Ingie annuì
sospettosa; non vi credeva ma decise di non indagare oltre. Si voltò
nuovamente davanti a sé e continuò a fumare in silenzio. “Sì.”
la sentì sospirare successivamente contro ogni previsione, cosa che
la portò a scrutarla ancora. Sembrava tormentata, ferita da
qualcosa. “Da dove comincio...” borbottò, facendo cadere un po'
di cenere a terra. “Ieri sera... Io e Tom siamo tornati insieme in
hotel.” Ingie percepì una scossa lungo la schiena. “Ci siamo
salutati ma... Io non ce l'ho fatta e gli ho chiesto di rimanere da
me.” Sbuffò appena in difficoltà. “Lo sai, Ingie, non sono il
tipo sfacciato che chiede ad un ragazzo di dormire insieme ma, te lo
giuro, l'attrazione fisica che provo nei suoi confronti è troppo
forte e ieri sera sentivo il bisogno di averlo vicino.”
Ingie sapeva perfettamente cosa significasse. Anche lei aveva provato
– e forse provava ancora – quella stessa sensazione; una sorta di
frustrazione nel non poterlo avere, bisogno fisico, necessità, come
la dipendenza ad una droga. Tom faceva quell'effetto. Tom poteva
divenire la droga di chiunque. “Insomma, siamo andati a letto
insieme.”
Ingie chiuse gli occhi e
si impose di non piangere. Sapeva che prima o dopo sarebbe accaduto.
Tom era un ragazzo di ventiquattro anni, single, ferito. Cosa poteva
aspettarsi? Di certo non eterna castità solo per lei. Eppure quella
notizia le aveva fatto più male del previsto. Il fatto che lui
potesse entrare in così tanta intimità con una ragazza che non
fosse lei, che le desse le stesse attenzioni che una volta erano
riservate solamente a lei, era insopportabile e lo stomaco doleva
incessantemente.
Cercò di ricomporsi.
“E...” si schiarì
la voce. “Come mai ti vedo abbattuta? Non era quello che aspettavi
da un po'?”
Keri si rabbuiò
nuovamente.
“Stamattina, quando mi
sono svegliata, lui non c'era.”
La mora ammutolì per
qualche istante.
Non era assolutamente da
Tom comportarsi a quella maniera. Ricordava che la prima notte che
avevano passato insieme, era stata proprio lei a spaventarsi e
scappare una volta sveglia; e ricordava altrettanto la rabbia negli
occhi del ragazzo a causa di quel gesto. Erano cose che il
chitarrista non poteva accettare. Che si fosse pentito?
Poteva perfettamente
immaginare come Keri si sentisse e si ritrovò a dispiacersi per lei,
nonostante tutto.
“Magari aveva da
fare.” provò con poca convinzione.
“Alle sette era già
sparito.” mormorò la bionda. “E non mi ha nemmeno mandato un
messaggio dopo.”
“Forse aspetta di
parlarti di persona.”
Ingie continuava a
cercare scusanti cui non credeva nemmeno lei. D'altronde, non sapeva
come spiegarsi quell'atteggiamento, soprattutto da parte sua.
Keri sospirò.
“Io non capisco. È
vero, mi ha sempre messo in guardia. Mi ha sempre ricordato di non
essere ancora pronto per una storia seria con me ma non pensavo
potesse addirittura scappare dalla camera appena possibile. Non gli
avrei chiesto di giurarmi amore eterno; avrei capito.”
Abbassò lo sguardo
crucciato.
Ingie non sapeva nemmeno
cosa dire. Le parole sarebbero servite a ben poco in quella
situazione, in particolare nella sua. Spesso avrebbe voluto rivelare
tutto a Keri ma come avrebbe potuto sostenere tale peso? Ormai era
tardi.
“Ora non ci pensare.
Aspetta di vederlo.” le sembrò la cosa più sensata da dire.
“Magari ti stai facendo molti più problemi di quelli reali, se ce
ne sono.”
Keri sorrise appena, non
troppo convinta.
“Mi immaginavo questo
momento diverso, tutto qui. Insomma, ho trascorso una delle notti più
belle della mia vita, te lo giuro.” Ingie rabbrividì a tale
confessione ed un moto di tenerezza, accompagnato ad incredibile
dolore, la pervase. “Tom... Beh, ci sa fare.” arrossì
vistosamente, facendola sentire a disagio. Avrebbe tanto voluto non
ascoltare tali indiscrezioni. Conosceva perfettamente Tom a letto.
Sentirne parlare da un'altra era troppo. “Mi immaginavo un
risveglio diverso. Ero contenta fino a stamattina.”
“Recupera
l'entusiasmo.” sorrise a fatica Ingie. “Aspetta di vederlo, te
l'ho detto. Vedrai che si sistemerà tutto, se mai ci fosse qualcosa
che non va.” Keri annuì appena. Era giunto il momento di correre
via prima che fosse troppo tardi. Gettò la sigaretta a terra e la
calpestò con la punta della scarpa non appena si alzò in piedi. “Io
vado in camera, sono un po' stanca.”
“D'accordo. Grazie,
Ingie.”
La mora si sentì in
difficoltà.
“Non ho fatto nulla.”
ribatté prima di andarsene.
Quei sensi di colpa,
nonostante non avesse fatto niente alle spalle dell'amica, non
cessavano di tormentarla. Non era abituata a prendersi gioco dei suoi
amici; non era abituata a prendersi gioco di nessuno, almeno non
volontariamente. Era così difficile dover fingere completa
indifferenza ma soprattutto dover nascondere una verità fin troppo
grande per le sue spalle. Quella storia avrebbe dovuto trovare una
fine; non poteva più recitare la parte della consigliera di Keri,
non se il ragazzo in questione era colui che amava. Avrebbe cercato
di tenere le distanze dalla bionda, almeno al di fuori del contesto
lavorativo. Doveva salvaguardarsi in un modo o nell'altro o non
avrebbe più trovato pace.
Quando aprì la porta
della sua stanza, Luke si trovava già dentro, intento a fare la
valigia.
“Già al lavoro?”
domandò senza scomporsi mentre richiudeva la porta.
“Sì o non lo farò
più. Tra poche ore ho il volo.” rispose il biondo, chiudendo la
cerniera. Ingie non era più preoccupata per le partenze del ragazzo.
Tom era occupato con Keri e nulla avrebbe potuto scatenare un ritorno
di fiamma o un riavvicinamento durante la sua assenza. Il suo
autocontrollo non sarebbe stato messo alla prova. “Avrei voluto
vivere quest'esperienza con te dall'inizio alla fine ma il dovere
chiama. È già tanto se riesco a prendermi queste settimane per
venire qui, anche se saltuarie.”
Ingie gli si avvicinò e
lo baciò sulle labbra per poi lasciargli una carezza sul viso.
“Grazie per correre
qui ogni volta che puoi.” mormorò sincera.
Lo pensava sul serio.
Luke aveva innumerevoli impegni e riusciva sempre a trovare un po' di
tempo per lei. Tutto ciò non faceva altro che farla sentire ancora
più ingrata ed egoista.
“Lo faccio perché ti
amo. Non servono ringraziamenti.” sorrise Luke prima di afferrare
la valigia dal letto per posarla a terra.
“Lo so.” soffiò
tristemente lei consapevole di non poter ricambiare ancora una volta.
Si lasciò stringere
dalle sue braccia che per una o due settimane non avrebbe più
sentito.
***
Era incredibilmente
nervoso. Sapeva di dover dare delle spiegazioni a Keri e la cosa non
lo entusiasmava. Doveva dirle la verità e ferirla? Doveva continuare
quella messa in scena ed illuderla? Si era immischiato in un problema
più grande di lui da cui gli sembrava impossibile trovare una via
d'uscita.
Quando si trovò di
fronte alla porta della sua stanza esitò prima di bussare.
“Ciao.” mormorò
sorpresa non appena aprì.
“Ciao. Posso entrare?”
chiese gentilmente lui. Si sentiva colpevole quindi voleva essere più
discreto possibile. Quando lei si fece da parte, lui andò a sedersi
sul letto matrimoniale – i gomiti poggiati alle ginocchia – ed
attese che gli tornasse di fronte. Quando lo fece, non proferì
parola. Probabilmente si aspettava che cominciasse lui a parlare.
“Scusami per stamattina.” esordì quindi dopo essersi schiarito
la voce. “Ammetto sia stato un gesto poco galante.” continuò
osservandola attentamente negli occhi.
Keri se ne stava in
piedi davanti a lui con le braccia conserte. Eppure lo sguardo non
era furioso come si sarebbe aspettato; era forse dimesso e
malinconico.
“Spiegami solo
perché.” parlò lei mestamente.
Tom si prese qualche
attimo in cui si torturò le mani. Verità? Bugia? Entrambe le
possibilità sarebbero state per lei deleterie.
“Forse mi sono
spaventato.” ammise. “Lo sai, non mi sento ancora pronto a
riprendere una storia seria. Con questo non voglio dire che io ti
voglia trattare come un giocattolo, non lo farei mai. Lo sai, mi
piaci e mi piace frequentarti. Io, ti giuro, spero ogni giorno di
poter arrivare a provare qualcosa di più forte per te perché lo
vorrei davvero.”
Keri sorrise
tristemente.
“Ma non ci riesci.”
concluse per lui.
Tom tacque per qualche
secondo.
“Non ora.” mormorò.
“Magari col tempo...”
“No, Tom.” sorrise
Keri, dandogli le spalle e prendendo a camminare avanti e indietro
per la stanza. “Io non voglio fare la parte di quella che ti mette
fretta o che deve cercare di conquistarti in qualche modo, a tutti i
costi. A me piacerebbe vivere tutto questo nella maniera più
semplice del mondo.” Si voltò nuovamente verso di lui. “Mi
piacerebbe che tu non sentissi il peso di tutto questo. Vorrei che
anche tu potessi vivere questa frequentazione senza pensare di
dovermi dare ciò che mi aspetto, perché non è così. Io non mi
perdonerei il fatto di costringerti a provare qualcosa per me. Non mi
sentirei nemmeno soddisfatta, capisci? Se i tuoi sentimenti nei miei
confronti non fossero spontanei, non sarei felice.” Si prese una
pausa. “Tu mi piaci, Tom, tanto. E ormai lo sai. Ma non posso
nemmeno pretendere che tu provi lo stesso per me o ti sforzi in
queste settimane di farlo. Non è un esperimento, non è così che mi
sono immaginata tutto quanto. Io non ti devo piacere per forza, non è
nemmeno detto che frequentandomi tu ti possa innamorare di me. Ci
sono persone fatte l'una per l'altra, altre no. E io non posso fare
altrimenti, se non mettermi da parte ed accettarlo.”
Tom si sentiva così
maledettamente in colpa che desiderava sbattere la testa contro il
muro. Keri si era aperta con lui, aveva fatto cadere ogni barriera
potesse ancora sostare fra loro. Si era messa completamente a nudo,
mettendo da parte l'orgoglio.
“No, Keri.” mormorò,
sollevandosi in piedi per avvicinarlesi appena. “Non voglio che tu
ti metta da parte. Te l'ho detto, mi piace frequentarti e ti posso
assicurare che non mi sono imposto nulla; ti frequento perché voglio
farlo e perché sono io a credere che con il tempo, magari, le cose
possano cambiare. Se non dovesse accadere, saresti la prima a
saperlo. Certamente non ti prenderei in giro.”
Keri sorrise appena
continuando a scrutarlo con attenzione, così Tom trovò spontaneo
abbracciarla per rassicurarla. La bionda ricambiò debolmente la
stretta.
“Grazie per essere
sincero con me.” mormorò contro la sua maglia. “È raro trovare
ragazzi come te.”
Tom le carezzò
dolcemente la schiena.
“Grazie a te per
esserti aperta. Meglio fare le cose nella chiarezza.” sussurrò.
Sperò solo fosse la
decisione giusta.
***
“Me ne voglio andare.”
Il silenzio che ne
derivò fu destabilizzante.
“Come?”
“Non ne posso più,
Amanda. Sta diventando tutto troppo pesante.” Sospirò, portandosi
una mano al viso. “Roy, Luke, Keri... Tom. Non ho un attimo di
pace!”
Si trovava rannicchiata
a letto con un paio di slip ed una semplice canottiera. La testa
sembrava sul punto di esplodere e non conosceva il motivo di
quell'improvviso senso di impotenza.
“Ingie, per favore,
torna in te.” mormorò con calma la bionda dall'altro capo del
telefono.
“Sono seriamente in
me. Tutta questa situazione sta diventando insostenibile.”
“E cosa vorresti
fare, lasciare a metà il lavoro? Hai firmato un contratto.” La
mora non rispose, chiuse semplicemente gli occhi. “Non ne vale
la pena, Ingie. Se oggi te ne vai, domani te ne pentirai.”
Percepì le lacrime bollenti accumularsi copiose sui suoi occhi, per
poi scivolare ai lati del viso, fino a bagnare il cuscino sotto la
sua testa. “La tua vita non deve necessariamente dipendere da
queste persone, soprattutto da Tom. Lo ami ancora, è comprensibile,
ma ciò non deve impedirti di vivere come desideri.”
Ingie tirò su con il
naso.
“Lo so.” soffiò con
voce tremante. “Ma è inevitabile. Mai come ora lo vorrei con me e
invece sono costretta a vederlo con lei. Perché sono fatta così?”
“Perché sei una
persona che nonostante le apparenze ama con tutta se stessa.”
“Vorrei non farlo.”
“Quello che devi
fare è concentrarti solamente sul lavoro. Fra qualche settimana
tutto finirà, Ingie. Tu tornerai a New York, Tom si trasferirà a
Los Angeles.”
“Non finirà mai,
Amanda.” Si sentiva abbattuta, stremata. Aveva seriamente la
sensazione che le sue sofferenze non avrebbero mai trovato fine; che
fosse per Tom o per altro. Improvvisamente sentì il bisogno di stare
sola. “Scusa, ci sentiamo un'altra volta. Ho bisogno di un po' di
solitudine.”
“Non fare cazzate,
per favore. Ti conosco fin troppo bene e questo tuo tono non mi è
nuovo.”
“Che cazzate dovrei
fare?” Sorrise amaramente prima di chiudere la telefonata.
***
Si era lasciata
trascinare dalle sue gambe senza imporre la propria volontà e si era
inspiegabilmente ritrovata al locale sotto l'hotel, seduta al
bancone, con un bicchiere di birra in mano. Non sapeva come fosse
giunta a quel punto della sua vita; aveva sempre cercato di trovare
una sorta di scappatoia dai suoi problemi, aveva cercato di affogare
i suoi dispiaceri in altri passatempi, a partire dalla morte di suo
fratello. Era una ragazza fondamentalmente debole che raramente
prendeva le cose di petto e le affrontava con lucidità e pazienza.
Amava buttarsi ancora più giù, amava rendersi miserabile davanti a
se stessa, benché la cosa la disgustasse maggiormente. Ora lo stava
facendo nuovamente con quel dannato bicchiere. Si rendeva conto di
non reagire nel modo più intelligente possibile, si rendeva conto di
adottare un atteggiamento simile a quello di Sid. Si rendeva conto di
farsi del male ma era come se una parte di lei lo accettasse per non
sentire male dall'altra parte. Era una di quelle stupide teorie di
cui aveva tanto sentito parlare: hai battuto un piede e senti
dolore? Batti volutamente una mano da qualche parte e se il dolore
sarà più forte, ti aiuterà a dimenticare quello precedente.
Lei stava facendo un po' questo ma l'unica differenza era che quel
dolore primario non cessava in ogni caso. Ora sentiva ancora più
male di prima ma non si fermava; sapeva che prima o poi la mente si
sarebbe annebbiata, scollegandosi dai brutti pensieri. I suoi
genitori non sarebbero per nulla stati fieri di lei, nemmeno suo
fratello Tom. Se ne vergognava ma al tempo stesso voleva cercare di
trarne qualche tenue sollievo che non arrivava; e quando ordinò
anche una Vodka Lemon, le venne da piangere.
Perché mi comporto
così? Continuava a chiedersi nella mente mentre sorseggiava il
cocktail fresco. Il barista la osservava incuriosito. Probabilmente
era raro che una ragazza si sedesse al bancone a bere tutto
quell'alcol. Aveva tutte le ragioni del mondo per scrutarla con
sospetto.
Non voleva diventare
un'alcolizzata e la cosa le faceva paura.
Posò il bicchiere vuoto
sul bancone – bevuto in tre miseri sorsi – e chiuse gli occhi,
sentendosi assuefare lentamente dagli effetti. Prima che fosse troppo
tardi, recuperò una banconota e la porse al barista, senza nemmeno
attendere il resto, ed uscì dal locale con passo incerto. Quando
poté finalmente respirare un po' d'aria fresca, buttò la testa
indietro e sorrise. Sentiva ruotare tutto attorno a lei ed aprì le
braccia, come potessero mantenerla in equilibrio. Non vedeva più
nessuno, non vedeva più nulla. Tutto era sbiadito, quasi divenuto
buio e lei stava bene. Forse non ricordava più chi fosse, non
ricordava il motivo di tante cose. Tutto rimbombava nelle sue
orecchie, tutto era poco chiaro.
Solo quando sentì un
suono fortissimo che assomigliava a quello di un clacson ed una presa
sicura afferrarla e trascinarla con sé, aprì nuovamente gli occhi
cercando di ridestarsi spaventata. Il cuore batteva all'impazzata e
non capiva cosa stesse succedendo attorno a lei.
Quando posò lo sguardo
di fronte a sé, la figura di Bill si elevava a qualche centimetro.
Le sue mani ancora la stringevano per le braccia come per assicurarsi
che non cadesse ed uno sguardo terrorizzato sostava sul suo volto.
“Sei impazzita?!”
esclamò il ragazzo, scosso dal tremore. “Volevi morire?!”
Morire. Chissà,
probabilmente avrebbe risolto ogni suo problema.
Ancora non capiva cosa
fosse accaduto ma non voleva nemmeno saperlo.
“Lasciami stare.”
mormorò, facendo per allontanarsi dalla sua presa.
“Così puoi finire
sotto ad un altro camion?” ribatté lui senza abbandonarla. Sentì
le lacrime accumularsi sugli occhi mentre i muscoli tremavano
spasmodicamente. Il terrore era salito lungo la sua schiena per ciò
che era appena successo e l'alcol non aiutava. “Calmati.” la
ammonì, cercando di fermare i suoi movimenti. Le lacrime scorrevano
incessantemente sulle sue guance. Sensi di colpa, vergogna, paura,
Bill. Un accumulo di sensazioni che faticava a gestire. “Ingie.”
cercò nuovamente di immobilizzarla, guardandola attentamente negli
occhi.
“Non dirlo a Tom.”
pianse lei senza nemmeno prevedere quella frase. Delirava, non capiva
nulla. Bill la scrutava come avesse appena pronunciato un qualcosa
che mai si sarebbe aspettato. “Non dirlo a Tom, ti prego.” ripeté
stringendo le palpebre, così da far colare ulteriori lacrime
accompagnate da trucco nero.
Era la prima volta
dall'incidente di Sid che interagivano ed Ingie si sentiva
tremendamente scossa. Il vocalist aveva uno sguardo perplesso ma poi
la assecondò.
“Va bene, non glielo
dico.” disse senza fare domande. “Ora torniamo in hotel, sei
completamente ubriaca.”
Le passò un braccio in
vita e si portò il suo attorno alle spalle per poi prendere a
camminare lungo il marciapiede.
Ingie si chiedeva il
motivo di tale aiuto; lui la odiava, gliel'aveva detto. Perché tutta
quella premura?
***
Sentiva il suo corpo
inerme ancora tremare contro il suo. Aveva raggiunto a fatica il
piano delle loro stanze e pregò perché Tom non uscisse proprio in
quell'istante. Ingie aveva raggiunto uno stato di ebrezza non
quantificabile; non aveva smesso di piangere nemmeno per un momento,
sembrava distrutta e per un momento aveva sofferto nel vederla
ridotta a quella maniera. Non era felice, non stava bene, quello era
chiaro.
Aprì la porta della
stanza della mora e la scortò dentro con gli ultimi sforzi, per poi
richiudere. La aiutò a sedersi a bordo del letto e poi si allontanò
appena per guardarla in viso. Aveva un'aria abbattuta, stanca.
Fissava il vuoto, ora più calma, ma il volto era ancora segnato da
un'espressione sofferente. I capelli scompigliati, il viso arrossato
dal pianto e rigato dal trucco nero. Non aveva mai avuto occasione di
osservarla in quello stato e gli dispiacque tremendamente. In quelle
condizioni non poteva fare altro che provare tenerezza per quella
ragazza. Era debole, indifesa, piccola.
Con un sospiro si recò
in bagno. Riconobbe lo struccante – fino a poco tempo prima anche
lui ne usufruiva – e recuperò anche un paio di dischetti di
cotone. Forse Ingie non meritava tutte quelle cure ma era più forte
di lui. Nonostante tutto, le voleva ancora bene. Forse perché sapeva
che suo fratello ancora la amava e non gli sembrava giusto lasciarla
a se stessa in quelle condizioni, sebbene forse lo meritasse.
Quando tornò da lei,
prese a passarle il cotone impregnato di liquido sul viso, cercando
di ripulirlo come poteva di tutto quel nero. La vedeva scrutarlo
quasi inebetita. Forse anche lei si chiedeva il perché di tutto
quell'interesse per quanto il suo cervello ne fosse in grado.
“Perché hai
cominciato a bere, Ingie?” le domandò all'improvviso con
incredibile calma. La vide irrigidirsi quasi spaurita. “Ce ne siamo
accorti.” La ragazza non rispose forse per vergogna così decise di
continuare. “Sai che non serve a niente, vero? Sai che è una sorta
di sollievo per qualche ora e poi i problemi torneranno triplicati,
giusto?”
Ingie continuava a
fissarlo con occhi vitrei, come spaesata. Una volta l'avrebbe
abbracciata, facendola sentire il più al sicuro possibile ma la
realtà dei fatti lo costringeva a frenarsi dal farlo.
Finì di pulirle il viso
e prima che riuscisse a rialzarsi, udì il sussurro di Ingie.
“Perché?” aveva
soffiato guardandolo colpevole.
“Perché cosa?”
chiese lui, confuso.
“Perché sei qui?”
Bill restò qualche
attimo in silenzio, scrutandola in viso.
“Perché mi sono
imposto di odiarti ma non ci sono riuscito.” ammise dopo un po'. “E
perché tutti meritano un aiuto.” Prese un'altra pausa. “Senza
contare che molto probabilmente domani mattina non ricorderai nulla.”
Si alzò in piedi e tornò in bagno per rimettere a posto il tutto.
Ingie era dove l'aveva lasciata. “Stai male?” chiese senza
scomporsi. La ragazza scosse appena la testa senza guardarlo. “Bene,
allora ti conviene metterti a letto e dormire.” concluse dandole le
spalle con l'intento di raggiungere la porta. Quando posò la mano
sulla maniglia però si fermò, continuando a darle le spalle. Voltò
solo il viso, ritrovandola nella stessa posizione. “Sai, a volte
desidero rivedere la mia Ingie. Quella di Berlino, quella che viveva
con noi e litigava con mio fratello da mattina a sera.” Pausa.
“Quella era l'Ingie che tutti amavamo.”
Attese qualche attimo –
sotto il suo sguardo sorpreso – poi uscì dalla stanza, lasciandola
sola.
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Capitolo 10 *** Sinners ***
aaaaaaaaaaaaa
Ten
Sinners
Un mal di testa
lacerante le impedì per un momento di aprire gli occhi. Era sommersa
dalle coperte e non aveva il coraggio di togliersele di dosso.
Sentiva ogni singolo muscolo cento volte più pesante. Inoltre enormi
sensi di colpa e vergogna l'avevano travolta non appena sveglia.
Per quanto poco chiaro,
ricordava tutto della sera precedente e la cosa che ancora non le
aveva permesso di riprendere un contatto con la realtà risiedeva nel
nome Bill. Aveva cercato con tutte le proprie forze di trovare una
spiegazione al comportamento del vocalist, si era chiesta addirittura
se la sbronza le avesse permesso di ricordare in modo giusto.
L'accaduto l'aveva scossa e di certo non se ne sentiva indifferente.
Bill l'aveva aiutata contro ogni buon proposito; non l'aveva
semplicemente aiutata, si era preso cura di lei. Che le volesse
veramente ancora bene? Che volesse finalmente recuperare una
sottospecie di rapporto dapprima andato in frantumi? Voleva vedere
chiaro in quella situazione e quella volta non avrebbe desistito.
Doveva capire.
Con un sospiro, si levò
le coperte di dosso ma non appena si sedette sul materasso, un
capogiro le ricordò di ciò che aveva combinato quella notte. Non
aveva rimosso nemmeno le parole di Bill e pensandoci si sentì più
male. Voleva che nessuno la guardasse come un'alcolizzata. Quello per
lei era semplicemente un periodo di debolezza, difficile, in cui la
sua forza di volontà veniva meno. Se ne vergognava.
Non era un'alcolizzata.
Si alzò dal letto, non
senza qualche sbandamento, e finalmente raggiunse il bagno dove si
diede una sciacquata al viso e si lavò i denti. Di lì ad una
mezzora doveva essere allo studio per l'allenamento. Roy se la
sarebbe presa a morte se l'avesse trovata ancora in quelle condizioni
ma ciò era inevitabile. Non si sentiva bene, era ancora frastornata
dalla serata, la testa le doleva e la nausea non cessava di
tormentarla. Si chiese solo come avrebbe fatto a mantenersi in piedi.
Decise che, per
cominciare, una bella colazione le avrebbe dato per lo meno una
spinta.
Vestita e pronta,
abbandonò la camera vuota, senza nemmeno degnarsi di rifare il
letto, e si incamminò verso l'ascensore dove, con sua sorpresa, un
Gustav colpito probabilmente dal suo aspetto la scrutò sospettoso.
“Buongiorno.”
mormorò lei per educazione più che per chiaro volere.
Tutto rimbombava nella
sua testa ed anche il semplice parlare risultava una follia, al
momento.
“Ciao.” rispose lui,
aggrottando la fronte. “Hai un aspetto terribile.” commentò
successivamente mentre le ante dell'ascensore si chiudevano davanti a
loro.
“Anche tu non sei
male.” cercò di sdrammatizzare la mora. “Ho semplicemente
passato la notte in bianco.”
“E ti hanno anche
pestato nel frattempo?” Aveva recepito la nota sarcastica nel suo
tono di voce, cosa che la portò a scoccargli un'occhiata assassina,
prima che l'ascensore giungesse a destinazione. “Ti siedi con noi?”
le domandò poi, dimenticando – o facendo finta di farlo – la
conversazione precedente.
“Non credo sia una
buona idea.” borbottò lei.
“C'è solo Georg.
Siediti con noi, Tom e Bill penseranno non sapevi dovessero
arrivare.” Ingie non riuscì a ribattere, la spossatezza non glielo
consentiva, così seguì il batterista fino al tavolo dove il rosso
era intento a spalmare marmellata su una fetta biscottata. “Giorno,
Hobbit.” lo salutò Gustav, sedendoglisi di fronte.
Ingie prese posto
accanto a lui.
“Giorno.” rispose il
bassista ancora assonnato.
“Perché voi vi alzate
così presto?” domandò a quel punto Ingie.
“Perché dobbiamo
ripartire.” rispose Georg.
Ingie sollevò
immediatamente lo sguardo deluso su di lui.
“Scherzi?” esclamò
sorpresa.
“Purtroppo no. Sai che
veniamo solo per i serali.”
Ingie si prese qualche
attimo, in cui anche lei spalmò della marmellata su una fetta
biscottata.
“Mi manca stare con
voi.” ammise poi, mogia.
“Anche a noi.”
ribatté Gustav e sembrava sincero. “Forse, una volta concluso il
programma, avrai tempo per venire a trovarci in Germania per semplice
piacere.”
“O anche voi lo avrete
per venire a New York.” precisò subito lei con tono bacchettone.
Gustav sorrise.
“Dubito, dato che
saremo occupati con la realizzazione del nuovo album.”
Un brivido le percorse
la schiena.
“State per realizzare
il nuovo album?” sorrise anche lei.
Gustav si limitò ad
annuire, visibilmente soddisfatto.
Ascoltare le loro
canzoni poteva essere un modo per stare loro più vicino, anche se
non concretamente e la cosa poteva avere anche una lettura negativa.
Stare loro più vicina col pensiero significava anche pensare a Tom e
soffrire per lui. Il modo in cui sfiorava la chitarra l'aveva sempre
commossa, le aveva sempre creato un nodo allo stomaco, ricordandole
tutti i momenti che avevano trascorso insieme, quanto adorasse quelle
mani e quanto sensibile fosse il suo animo attraverso una semplice
melodia.
Improvvisamente, percepì
i muscoli irrigidirsi violentemente non appena Tom e Bill comparvero
in lontananza.
Stai calma, respira,
si ripeteva nella testa con poco successo. Cercò di adottare
l'atteggiamento più disinvolto di cui disponeva, finché non
giunsero al tavolo.
“Buongiorno.” salutò
Bill, colpito di vederla sedere lì.
Non aveva ancora
guardato Tom e non ne aveva nemmeno l'intenzione. L'immagine delle
sue mani sul corpo di Keri non abbandonava la sua mente.
Il vocalist le si
sedette di fronte mentre Tom prese posto a capotavola, fra Georg e
Gustav. Aveva fatto di proposito il giro del tavolo per non finire
accanto a lei, lo aveva notato. Ingie si toccò insicura i capelli
poi continuò la sua colazione, sentendo gli occhi dei gemelli
puntati addosso.
“State ripartendo?”
domandò improvvisamente Tom, facendole tirare un sospiro di
sollievo.
“Sì. Non piangere, so
che sentirai la mia mancanza.” lo stuzzicò Georg, posandogli una
mano sul braccio.
“Sì, soprattutto la
notte, Hobbit.” stette al gioco il chitarrista. “Se sai
cosa intendo.” gli strizzò l'occhio e tutti scoppiarono a ridere,
eccetto Ingie.
Non perché quel loro
tipico scambio di battute non la facesse sorridere, al contrario. Non
sapeva come il ragazzo avrebbe letto un gesto simile da parte sua,
per quanto insignificante in altre circostanze.
“Beh, ci tocca
andare.” annunciò improvvisamente Gustav.
Ingie si schiarì la
voce e si alzò immediatamente dalla sedia.
“Allora io vi saluto.”
disse velocemente.
Non voleva sedere al
tavolo da sola con i gemelli, sarebbe stato a dir poco imbarazzante.
Scoccò baci sulla
guancia ad entrambi e li abbracciò lievemente. Era sempre un
dispiacere salutarli; ultimamente si vedevano così poco. Era
abituata ad averli sempre intorno allo studio.
Si dileguò il prima
possibile.
***
Non dirlo a Tom.
Bill era per natura un
ragazzo che manteneva le promesse senza particolare difficoltà ma si
era reso conto che quella volta aveva accettato un'impresa
decisamente ardua. Tenere all'oscuro suo fratello da ciò che era
accaduto la notte prima con Ingie non era per nulla semplice. Non era
abituato a mentirgli o a nascondergli le cose. Non era nella loro
abitudine; eppure Ingie lo aveva implorato con gli occhi colmi di
lacrime. Probabilmente si vergognava, non voleva che il chitarrista
si accorgesse anche di quel suo lato debole, nonostante Bill sapesse
molto bene quanto Tom ne fosse già al corrente.
Una cosa l'aveva
sorpreso però: la quantità infinita d'amore che ancora aveva letto
nei suoi occhi stanchi e addolorati. Ingie era ancora innamorata di
suo fratello, lo sapeva, esattamente come Tom era ancora innamorato
di lei. Ora quale poteva essere la cosa giusta da fare? Far tornare
suo fratello sui suoi passi per l'ennesima volta, rischiando quindi
un'altra delusione o privarli entrambi del loro più grande amore?
Forse l'unica cosa che
poteva fare era lasciare che il destino facesse il suo corso.
***
Doveva parlargli.
Pensiero fisso dall'esatto istante in cui si era alzata dal letto.
Non poteva continuare a convivere con quell'interrogativo. Doveva
trovare Bill.
Aveva atteso di poterlo
avvicinare senza la presenza del chitarrista e non l'aveva perso
d'occhio un solo momento quel pomeriggio, dopo le prove. L'aveva
visto uscire in giardino, probabilmente per fumare una sigaretta –
vizio che mai aveva perso, nonostante tutti continuassero a metterlo
in guardia sulla sua preziosa voce. Quando uscì dall'hotel, lo trovò
– come previsto – seduto sul dondolo e la sigaretta in bocca.
Quando sollevò lo
sguardo su di lei, fu sorpreso della sua presenza.
“Ciao.” si fece
coraggio lei.
“Ciao.” rispose lui
senza il minimo cambiamento di espressione.
Incerta, si avvicinò di
qualche passo, fino a che poté guardarlo attentamente negli occhi.
Non sapeva da dove
cominciare e continuava a torturarsi le mani e le labbra. L'aveva
raggiunto decisa a parlare ma ora che l'aveva davanti aveva perso
tutto il coraggio che aveva racimolato.
Si schiarì la voce.
“Volevo parlare...
Riguardo ieri sera.” mormorò, scrutandolo curiosa di una sua
qualsiasi reazione. Bill, dal suo canto, non si era scomposto. Aveva
continuato ad osservarla, in attesa. “Prima di tutto volevo
ringraziarti. Se non fosse stato per te, sarei finita sotto un
camion.” Bill non rispose. “Però mi chiedo... Perché tutto
questo riguardo?”
“Dovevo lasciarti
investire?” ribatté in tutta tranquillità il vocalist.
“Non mi riferisco a
quello.” precisò lei. “Mi riferisco al dopo.”
Bill distolse lo sguardo
e rifletté qualche attimo prima di rispondere.
“Te l'ho già spiegato
ieri sera. Tutti meritano un aiuto.”
“Sì ma io ho fatto
del male a tuo fratello. Tu mi odi.”
Il cantante fece una
smorfia.
“Andiamo, Ingie, io
non ti odio.” borbottò con un sospiro, continuando a non
guardarla. “Sono furioso con te, sono deluso, non riuscirei a
perdonarti. Ma non ti odio.” Ingie aggrottò la fronte. “Non sei
una persona cattiva. E sei giovane ed insicura.” Si prese una
pausa. “Nonostante i tuoi errori non siano da giustificare, forse
bisognava aspettarseli. Hai ventun anni.”
La mora si sentì appena
punta nell'orgoglio.
“A ventun anni si è
in grado di ragionare.” protestò senza inalberarsi.
“Certo ma si è anche
più inclini alle stronzate.” Buttò un po' di cenere a terra e
tornò a guardarla. “Cosa vorresti che ti dicessi, Ingie?”
Non era certa nemmeno
lei di cosa desiderasse sentirsi dire. Probabilmente pretendeva
l'impossibile. In un mondo parallelo e perfetto, Bill l'avrebbe
perdonata, stretta a sé e cercato di convincere suo fratello a fare
lo stesso. Ma quella era la realtà e doveva accettarla per come si
presentava.
Decise che non doveva
demordere.
“Quello che mi hai
dato non è stato un semplice aiuto, Bill. Un aiuto sarebbe stato
togliermi dalla strada e lasciarmi lì. Tu mi hai riportato in
camera, mi hai tolto il trucco dal viso. Questa è premura, non
semplice aiuto.”
Il vocalist distolse
nuovamente lo sguardo.
“Vedila come vuoi.”
tagliò corto.
“La vedo come è.”
ribatté la ragazza.
A quel punto, Bill si
sollevò dal dondolo – la sigaretta gettata a terra – e le si
mise davanti con un sospiro.
“Vuoi cercare di farmi
ammettere che provo ancora affetto per te?” Fu quasi un sussurro
che la fece fremere per un attimo. “D'accordo. Hai fatto innamorare
mio fratello, sei stata una mia cara amica, hai vissuto con noi per
tanto tempo. Credo sia normale non volerti vedere morta da qualche
parte. Ma ricordati che Tom è la persona più importante della mia
vita e tu l'hai ferito. Non posso passare sopra a questo.”
Ingie sentiva le lacrime
minacciare di tradirla ma fu abbastanza forte da trattenerle. Annuì
appena, remissiva. Non sapeva cosa dire; d'altronde nulla avrebbe
potuto mettere a posto le cose nonostante i suoi numerosi tentativi.
“Hai ragione.”
sussurrò con voce tremante. “Beh, volevo solo ringraziarti come si
deve.” Gli diede le spalle, intenzionata a rientrare in hotel ma
prima di farlo si voltò ancora un istante verso di lui. “Solo una
cosa ancora.” Il fiato le mancò. “Nonostante tutto ciò che è
successo, io ti voglio davvero bene, Bill. Sei uno dei più cari
amici che io abbia mai avuto.” Ingoiò il magone che le si era
formato in gola. “E non è vero che sono cambiata. Sono la stessa
Ingie che avete conosciuto a Berlino.”
Detto questo, non ebbe
più il coraggio di sostenere il suo sguardo.
***
Il giorno del serale era
finalmente giunto. Ingie aveva provato impazienza ma la verità era
che voleva solamente che il programma terminasse una volta per tutte
poiché più il tempo scorreva, più si sentiva a disagio e
desiderava tornare a casa sua, a New York.
Luke le aveva augurato
buona fortuna come sempre e si era scusato per il fatto che non
potesse essere nuovamente lì con lei, a darle sostegno. Ingie, nel
rendersi conto di non sentire tale mancanza, si dispiacque.
Ultimamente i suoi sentimenti per il biondo si congelavano sempre di
più. Forse perché l'amore per Tom stava tornando inesorabilmente a
galla, più forte che mai. Eppure non riusciva a smettere di volere
bene al suo fidanzato poiché tante, troppe volte le era stato
vicino, anche quando non se lo meritava.
“Ferma lì!”
Ingie inchiodò sui
propri piedi. Camminava tranquilla lungo il corridoio dell'hotel,
quando una voce alle spalle l'aveva spaventata. Quando si voltò, Ty
la stava raggiungendo.
“Ty, Dio mio, vuoi
farmi morire?” obiettò, portandosi una mano al petto.
“Ho bisogno del tuo
aiuto.” le comunicò, afferrandola per il braccio e trascinandola
poi con sé.
“Hey!” esclamò lei,
cercando di fermarlo. “Almeno degnati di spiegarmi, prima!”
“D'accordo.” sospirò
il ragazzo, parandosi davanti a lei. “Sono nella merda.”
Ingie inarcò un
sopracciglio.
“Potresti essere un
tantino più specifico?” chiese con sarcasmo.
“Sta arrivando Jane e
la mia dannatissima sfiga vuole che sia anche il suo compleanno.”
“E qual è il
problema?”
“Il problema è che le
è venuto in mente di dirmelo solamente dopo aver attraversato
l'intero Atlantico, ergo, o mi muovo a trovare un fottutissimo regalo
di compleanno entro quarantacinque minuti o posso per sempre dire
addio alle mie palle.”
“Okay, hai reso
l'idea.”
***
Le carezzava
distrattamente il fianco nudo, mentre il suo sguardo era fisso nel
vuoto. Keri dormiva accanto a lui, benché fosse pomeriggio. La
stanza era perfettamente illuminata ed in disordine. I vestiti erano
interamente sparsi sul pavimento, uno sopra l'altro, ed un silenzio
tombale – se non il semplice respiro della bionda – gli pervadeva
le orecchie.
Avevano intrapreso una
relazione decisamente strana. Per molti aspetti avrebbe creduto fosse
uguale a quella con Ingie, i primi tempi, quando entrambi credevano
si trattasse solo di sesso. Ma con Keri era diverso. Con Keri stava
proseguendo una frequentazione che – teoricamente – avrebbe
dovuto farli diventare qualcosa di più di semplice amanti. Ma se con
Ingie aveva da sempre provato bellissime emozioni, con Keri non
sentiva nulla. Era di piacevole compagnia, era simpatica e dolce, ma
non era Ingie.
Con un sospiro
frustrato, allontanò la mano dal suo corpo caldo e si alzò dal
letto, intenzionato a fumare una sigaretta sul terrazzino. Aprì la
portafinestra e si strinse nelle spalle, infreddolito. Era pur sempre
la Germania. Sedutosi sulla sedia in vimini, si accese la sigaretta.
Ultimamente la sua testa
non lo aiutava psicologicamente. La mora occupava gran parte dei suoi
pensieri, anche in presenza di Keri e ciò non andava bene o per lo
meno non gli sembrava corretto nei suoi confronti.
Alle volte aveva persino
pensato di tentare un nuovo approccio con Ingie ma poi si era detto
che non poteva funzionare. Non provava fiducia in lei e non l'avrebbe
mai più provata. Era una ragazza instabile, una ragazza che poteva
mettere in difficoltà anche uno psicologo. Non potevano tornare
insieme; e poi c'era Luke.
Strinse i pugni a quel
pensiero.
Lui era stato la causa
di tutto quanto. Se non si fosse ripresentato quella sera, forse
nella sua camera, dormiente, vi sarebbe stata Ingie, non Keri. Certo,
probabilmente non avrebbe mai saputo la verità ma per lo meno non
avrebbe sofferto. A volte era meglio vivere nell'ignoranza per
salvaguardare i propri sentimenti.
Così ora provava un'ira
nei confronti della mora inestinguibile. Avrebbe voluto vederla
soffrire, provare il suo stesso dolore. Sì, l'avrebbe realmente
voluto, perché l'amava ancora e non era giusto.
Improvvisamente,
scrutando il vialetto d'entrata dell'hotel, scorse proprio Ingie –
in compagnia di Ty – che usciva dal cancello. Entrambi si
dirigevano verso i negozi vicini. La osservò ancora qualche istante,
sentendo il cuore accelerare il battito, fino a che il richiamo di
Keri da dentro la stanza non lo fece tornare alla realtà.
***
“Hai già qualche idea
per il regalo?” domandò Ingie una volta che furono entrati
nell'enorme centro commerciale.
“D'accordo, avevo
intenzione di non dirlo a nessuno ma direi che non ho scelta.”
borbottò il moro per poi guardarla attentamente negli occhi. “Ho
intenzione di chiederle di sposarmi.”
Ingie sgranò gli occhi
e si sentì mancare il fiato per un momento dalla sorpresa. Sapeva
che il rapporto fra Ty e Jane era burrascoso. In tanti anni avevano
passato più tempo a litigare che andare d'accordo. Ora Ingie aveva
paura che la scelta di Ty fosse affrettata e volesse fungere un po'
da pezza alla loro storia.
“Ty, sei sicuro?
Voglio dire...” provò senza apparire brusca.
“So cosa stai pensando
ma la risposta è no. Io la amo, Ingie.” ribatté lui più che
convinto.
La mora, a quel punto,
non poté fare a meno di sorridere.
“Beh, credo ne rimarrà
piacevolmente colpita.” ritrattò. “Allora, a questo punto,
dovremmo andare al reparto gioielli.”
Ci fu un istante di
silenzio in cui entrambi camminavano pensierosi fianco a fianco, fino
a che Ty non le pose la fatidica domanda che aveva cercato da subito
di schivare.
“E tu e Luke quando vi
sposate?”
Gliel'aveva chiesto con
il sorriso in faccia, quasi volesse essere una sorta di positiva
provocazione. Ingie dal canto suo si era sentita messa in gabbia e
non era sicura di voler toccare quel tasto.
“È complicato.”
tagliò corto, guardandosi in giro.
“Cos'è complicato?”
ribatté lui. “È complicato perché non lo ami.” Ingie si bloccò
all'istante, voltandosi basita verso di lui. “Andiamo, Ingie, si
vede lontano un miglio.” sorrise appena il ragazzo.
Si vedeva così tanto?
“Non capisco di che
parli.” divagò riprendendo a camminare.
“Certo, non capisci di
che parlo.” la beffeggiò ma riprese anche lui a guardarsi attorno
ed il discorso parve concludersi una volta per tutte.
Era stufa di tutte
quelle insinuazioni che la gente faceva su di lei. Desiderava che per
una sola volta la sua storia con Luke non fosse oggetto di
discussione o pettegolezzi.
***
Era stata
particolarmente dura stargli dietro. Una volta acquistato un
bellissimo e raffinato anello di Swarovski, un gioiello per
cui l'intera popolazione femminile avrebbe perso la testa, erano
corsi di nuovo in hotel. Ty era terrorizzato dall'idea che Jane
potesse essere già arrivata e che scoprisse cosa avesse appena
fatto.
Una volta giunti
nell'androne, Ingie poté udire una chiara imprecazione da parte di
Ty e quando scrutò davanti a sé la figura elegante sostare accanto
ad una valigia capì anche il perché. Jane attendeva probabilmente
l'arrivo del ballerino e pareva lievemente spazientita. Si voltò
nella loro direzione e l'espressione che il suo viso assunse non fu
di buon auspicio. Fece slittare le pupille da Ty ad Ingie con
sospetto e la mora pregò perché non fraintendesse.
“Amore.” sorrise
lui, andandole in contro.
Jane tirò un sorriso e
si lasciò abbracciare e baciare.
“Ciao, Jane.” la
salutò educatamente Ingie.
“Ciao, Ingie.”
ricambiò la ragazza senza abbandonare quell'espressione sospettosa
che cominciava a farla sentire a disagio.
“Beh, io vado in
camera ora.” decise di congedarsi appena in tempo.
Impiegò pochissimi
istanti a raggiungere l'ascensore. Non voleva essere squadrata da
quello sguardo un secondo di più.
Finalmente giunse al suo
piano – era pronta ad infilarsi in doccia – quando una porta si
aprì.
Trattenne il fiato non
appena vide Keri uscire dalla stanza di Tom ed il ragazzo fermo sulla
porta, a torso nudo, a sorriderle prima di schioccarle un bacio sulle
labbra.
Le girò la testa e
dovette poggiare una mano al muro per non cadere a terra. Cercando di
fare finta di nulla, estrasse la tessera dalla borsa per aprire la
porta della sua camera.
“Hey, Ingie!” sentì
Keri improvvisamente. Ingie chiuse gli occhi maledicendo tutte le
forze negative che le si opponevano instancabilmente. Si voltò
nuovamente verso di loro con un sorriso di circostanza sul viso.
Nemmeno per un secondo si degnò di scrutare il chitarrista; le sue
pupille non abbandonavano la figura di Keri. “Da dove arrivi?” le
domandò particolarmente pimpante, senza staccare la mano dal fianco
di Tom.
“Sono stata al centro
commerciale con Ty, gli serviva un regalo per Jane.” rispose la
mora mantenendo una certa calma. “Sono di sotto, se la vuoi
salutare.”
“Oh, certo.” sorrise
la bionda per poi voltarsi verso Tom. “A dopo.” gli disse prima
di schioccargli un altro bacio sulle labbra.
Non appena si dileguò,
il silenzio troneggiò in corridoio. Per la prima volta Ingie scrutò
il ragazzo e rabbrividì non appena lo vide ricambiare quello sguardo
con una certa intensità. Senza proferire parola, si affrettò a
chiudersi in stanza dove, una volta sola, scoppiò a piangere.
***
Mancava decisamente
troppo poco all'inizio del serale per fumare una sigaretta ma la
tentazione ancora una volta le era stata superiore.
Inspirò la prima
boccata di fumo per poi stringersi nelle spalle, piuttosto
infreddolita. Sostare sulla terrazza, di sera con un semplice
vestitino quasi inguinale non si era rivelata la migliore delle idee
ma aveva un disperato bisogno di nicotina, soprattutto dopo quello
che aveva visto quel pomeriggio.
Quando si voltò verso
l'enorme camerino – che poteva perfettamente vedere tramite la
grande vetrata della portafinestra – vide i suoi colleghi, compresi
Tom e Bill, in preda alle preparazioni. Jane affiancava Ty, decisa a
fargli compagnia almeno prima di andare in scena. Il ballerino non le
aveva ancora fatto alcuna proposta di matrimonio e non le aveva
ancora mostrato il gioiello. Ty voleva farlo alla fine del programma,
una volta soli in hotel. Inutile dire quanto la ragazza fosse delusa
per non aver apparentemente ricevuto alcun regalo di compleanno.
Spostò lo sguardo su
Adam, come sempre addosso ai gemelli con fare voluttuoso, poi su
Page, felice di lasciarsi truccare, poi su Milo che pareva alquanto
malinconico. Di tanto in tanto lanciava occhiate a Tom e Keri, poi
tornava a fare finta di nulla, seduto sul divanetto perché già
pronto per l'esibizione.
Ingie si chiese per un
momento quale sorta di mondo parallelo fosse mai quello. Pareva una
realtà ovattata della quale non aveva chiesto di far parte. Una
parte di lei la osservava dall'esterno, forse desiderando intimamente
di sognare ogni sua sofferenza.
Si voltò di nuovo verso
la ringhiera della terrazza, contro la quale si appoggiò con i
gomiti. Espirò altro fumo.
Solo una cosa esisteva
nella sua vita che la rendeva ancora felice: il ballo. Fortunatamente
avrebbe sempre potuto contarvi.
“Posso parlarti un
momento?”
Era sobbalzata a quella
domanda poiché non aveva nemmeno sentito la porta aprirsi. Scoprì
che quella voce apparteneva a Jane.
“Sì.” rispose lei
sorpresa e curiosa di sentire cosa avesse da dirle.
“Non è un bel periodo
per me e Ty.” fu la premessa e Ingie corrugò la fronte confusa.
“Sì, ehm, mi ha
accennato qualcosa ma...”
“Pertanto ti pregherei
di non infierire ulteriormente.”
Ingie sgranò gli occhi
basita.
“Come, scusa?”
domandò quasi scioccata da tale richiesta.
“Vedo che siete
particolarmente in confidenza e la cosa non mi entusiasma, se devo
essere del tutto sincera.”
“Jane, ti posso
assicurare che siamo buoni amici e colleghi prima di tutto.”
“Essere colleghi
implica anche andare in giro insieme?”
“Dovevo comprare delle
cose e mi ha semplicemente accompagnato, come qualsiasi mio amico
avrebbe fatto. Non c'è malizia in quello che facciamo.”
“Me lo auguro. Ma
vorrei comunque tenessi le giuste distanze.”
Detto questo, le diede
le spalle e rientrò in camerino dove Ty la attendeva sorridente,
ignaro della conversazione appena tenuta.
Ingie era senza parole.
Aveva sempre saputo che Jane fosse una persona alquanto difficile –
stando ai racconti di Ty – ma sperimentarlo sulla propria pelle fu
molto più pesante.
Che diavolo si era messa
in testa?
Milo apparve
improvvisamente davanti a lei.
“Hai appena avuto un
incontro con Psyco.” constatò con sarcasmo.
“Non me la ricordavo
così pazza.” commentò lei con una smorfia.
Si chiedeva se Ty fosse
convinto di sposarla. Sarebbe stato un problema per l'intera
popolazione femminile che lo circondava.
“Che ti ha detto?”
le domandò il ragazzo, curioso.
“Di stare alla larga
dal suo uomo.” tagliò corto lei per poi spegnere la sigaretta.
“Come avessi il tempo materiale di perdere la testa di nuovo per
un'altra persona.” borbottò poi, scettica. “Mi faccio i cazzi
miei e riesco sempre a finire in qualche guaio. Qualcuno mi deve
spiegare questa cosa.”
***
Fremeva dalla voglia di
parlargli. Non sapeva esattamente quale motivo lo spingesse a tradire
la promessa fatta ad Ingie ma più osservava suo fratello, al suo
fianco, scrutare la ballerina al posto del cantante in gara ogni qual
volta vi fosse l'occasione – sguardo peraltro ricambiato – la sua
coscienza e forse un po' di egoismo cominciavano a spingerlo in
quella direzione. Come poteva nascondere qualcosa a Tom? Era
impensabile, non l'aveva mai fatto in tutta la sua vita e fino a
qualche giorno prima non ne avrebbe mai avuto nemmeno l'intenzione.
Ora però sentiva che era necessario tirare fuori la verità, mettere
al corrente il chitarrista di ciò che affliggeva Ingie, esattamente
come lui. Forse gli avrebbe fatto male, forse avrebbe perso il
controllo, si sarebbe trovato nuovamente in difficoltà, ma doveva
farlo per il suo bene e per la sua coscienza.
***
Si sentiva stravolto.
Appena toccato letto in albergo, aveva chiuso gli occhi – ancora
vestito – e si era abbandonato al silenzio che aleggiava nella sua
camera. Keri era andata immediatamente a dormire nella sua stanza,
troppo stanca per stare con lui. Tom, dal suo canto, non ne era
dispiaciuto. Aveva bisogno di stare da solo. La sua mente era per la
prima volta in tanto tempo vuota. I brutti pensieri lo avevano
abbandonato e solamente il sonno si era impossessato dei suoi sensi,
talmente tanto che per poco si dimenticò di dove si trovava. Avrebbe
desiderato vivere in quelle condizioni per tutta la vita, se l'avesse
aiutato a stare meglio e riacquistare un po' di serenità che aveva
perduto in quei mesi.
Improvvisamente però
sentì bussare alla porta. Sospirò nervosamente.
Immaginava fosse Keri;
probabilmente aveva cambiato idea sul corso della serata ed aveva
preferito dormire con lui.
Si alzò stancamente dal
letto e si trascinò verso la porta che venne aperta con stizza. Con
sua sorpresa, il viso di Bill sostituiva quello di Keri.
“Hey.” mormorò il
moro con gli occhi semichiusi dalla stanchezza. “Che c'è?”
domandò, poggiando una tempia allo stipite della porta.
“Mi fai entrare? Ti
devo parlare.” gli chiese il gemello con sguardo fin troppo serio
che per un momento lo preoccupò. Senza rispondere, si fece da parte
e lo lasciò entrare. Una volta soli, tornò a letto dove si sedette
con le gambe incrociate, pronto a sentire cosa Bill avesse da dirgli.
Il vocalist, nel frattempo, gli si era seduto di fronte. “C'è una
cosa che non ti ho detto in questi giorni.” iniziò il biondo.
“Riguarda Ingie.”
“Ah, no.” esclamò
immediatamente il chitarrista cominciando a scuotere la testa. “Non
pensare di poter parlare di lei proprio stasera. Non sono decisamente
in vena.”
“Invece voglio che mi
ascolti, è importante.” lo pregò di nuovo. I suoi occhi furono
talmente eloquenti che non poté fare altro che tacere. “Ingie ti
ama ancora.”
Tom prese a ridacchiare
nervosamente.
“Andiamo, Bill, non
cominciare.” lo mise in guardia.
“So che è una follia
che io sia qui a dirti queste cose, visto quello che ti ha fatto, ma
non posso fare finta di nulla. Non ci riesco.” gesticolò. “Io ti
vedo star male per lei, ti vedo amarla ancora. A questo punto mi
chiedo cosa sia più importante.”
“Io ho finito di farmi
prendere in giro da lei.”
“Tom, era ubriaca
fradicia l'altra sera. Per poco non finiva sotto un camion.” Tom
sentì un brivido lungo la schiena. “Sta perdendo la testa e questo
perché con Luke non va. Non ha mai smesso di pensare a te e lo
sappiamo bene entrambi. L'ho vista sbattuta, deperita, depressa. Non
è l'Ingie che abbiamo conosciuto tempo fa. Questa si attacca alla
bottiglia alla minima difficoltà, è apatica, fredda. Mi fa paura.”
La rabbia che Tom
percepì nelle vene non era quantificabile. Qualcosa nella sua testa
stava accadendo ma l'ira, il mancato autocontrollo non lo rendevano
lucido da comprendere. Il cervello si era scollegato ed un nuovo
istinto che non gli apparteneva l'aveva invaso.
Perché? Perché
riusciva anche ora a divenire vittima al suo posto? Perché riusciva
sempre a capovolgere i ruoli, rendendolo colpevole di un suo male,
quando l'unica vittima reale era lui? Perché far credere al mondo
intero che quella che soffriva era lei? Che quella illusa, tradita e
usata era lei?
Aveva stretto i pugni
talmente tanto da lasciarsi i segni delle unghie sui palmi delle
mani.
Aveva raggiunto il
limite.
Si alzò di scatto dal
letto – facendo così sobbalzare un Bill spaventato – ed uscì
furibondo dalla stanza.
***
Aveva appena finito di
fare una doccia rigenerante ed aveva solamente voglia di gettarsi
sotto le coperte. La spossatezza si era impossessata di lei senza
preavviso ed aveva qualche ora di sonno da recuperare. Si avvolse
l'asciugamano attorno al corpo e si diresse verso il letto ma non
fece in tempo a sedervisi che violenti colpi alla sua porta la fecero
trasalire. Con occhi sgranati attese qualche attimo insicura, prima
di dirigersi alla porta ed aprirla con cautela.
Il mondo le crollò
addosso.
Tom la spinse dentro la
stanza e richiuse la porta alle sue spalle con un tonfo sordo. Ingie
era terrorizzata; era terrorizzata perché il chitarrista era
furioso. Era terrorizzata perché si trovava nella sua stanza. Era
terrorizzata perché Luke non c'era.
Il cuore batteva
all'impazzata e le gambe le tremavano. Si sentiva nuda sotto il suo
sguardo.
Tom le si avvicinava
sempre di più e lei, ad ogni suo passo, arretrava lentamente.
Strinse le palpebre quando si sentì sbattere con foga al muro e
portò le mani davanti al proprio viso in un riflesso condizionato
che Tom afferrò per riportarle contro la fredda parete.
Così vicino, il suo
respiro veloce le sfiorava il viso, i suoi occhi la attraversavano da
parte a parte, sembravano scavarle nell'anima.
“Che cosa vuoi
ottenere?” sibilò senza staccarle gli occhi di dosso. Ingie non
capiva ed il suo cuore non l'aiutava. Le mani di Tom continuavano a
tenerla ferma, stringendola fino a farle male. La stava toccando di
nuovo, dopo quella che le era parsa un'eternità. Di nuovo quel
calore, di nuovo quella forza che se una volta le dava sicurezza ora
la spaventava. “Cosa vuoi ottenere, stronza?!” alzò la voce
contro di lei, portandola a sgranare gli occhi quando batté
violentemente un pugno contro il muro a qualche centimetro dal suo
viso. Continuava a non capire cosa stesse accadendo. “Mi hai
rovinato la vita e continui a rovinarmela.” sorrise amaramente con
il fiato corto ed il respiro sempre più veloce. Non l'aveva mai
visto così fuori di sé, nemmeno quando aveva scoperto di Luke. “Io
ti odio.” soffiò. “Io ti odio, Cristo!” urlò di nuovo,
sbattendo un altro pugno al muro.
Credette di svenire
quando sentì il chitarrista afferrarla per il collo. In un
automatismo, portò le sue mani a stringergli i polsi ma non oppose
resistenza, non fece nulla per toglierselo di dosso. Quasi lo tenne
stretto a sé.
Sorrise amaramente.
“Vuoi uccidermi?”
ridacchiò appena senza il minimo divertimento. “Fallo. Magari me
lo merito.”
Si spaventò quando
sentì la stretta farsi più forte. Cominciava a faticare nel
riprendere aria. La testa le girava così decise di chiudere gli
occhi. Forse era meglio così.
Il momento in cui smise
di respirare arrivò: Tom si era impossessato inaspettatamente delle
sue labbra.
Aveva sgranato
nuovamente gli occhi – le mani ancora strette ai polsi del
chitarrista – ed il cuore si era fermato.
Tom la stava baciando.
Le mani al collo avevano
allentato la presa ma non l'avevano abbandonato.
Era un bacio violento,
passionale, urgente, furibondo. Percepiva tutta la sua rabbia,
percepiva la frustrazione, il desiderio di farle male, il dolore che
provava nello starle vicino. Ed Ingie provava le stesse cose. Luke le
attraversò la mente solo per un attimo ma accantonarlo fu qualcosa
di triste ma scontato.
Quanto le erano mancate
quelle labbra, quella pelle, quel profumo, quelle mani. Tutto. Le era
mancato tutto di lui e voleva drogarsene, voleva cadere in un baratro
assieme a lui, voleva sporcarsi di altri errori.
Peccatori. Lo
erano entrambi. Entrambi si stavano sporcando a vicenda e ne erano
consapevoli ma la foga, la volontà di riaversi erano troppo forti.
Con la mano le afferrò
deciso i capelli e le tirò appena indietro la testa per baciarla con
più impeto. Nel frattempo, con l'altra le alzava l'asciugamano lungo
la coscia. Non si perse in preamboli o gentilezze prima di toccarla
intimamente.
Ingie si lasciò
scappare un gemito strozzato, aggrappandosi alle sue spalle, mentre
lui prendeva a morderle il collo. Anche nel tocco, nei morsi, nei
baci poteva sentire tutta la rabbia che provava per lei. Non aveva il
riguardo di una volta ma la passionalità non era mai svanita, era
quella che ricordava, che l'aveva sempre fatta sentire donna e
desiderata. E non si vergognò quando si accorse di desiderarlo allo
stesso modo, forse di più.
Gli sfilò velocemente
la maglia poi lui la afferrò e la sbatté nuovamente contro il muro,
facendole male. Le labbra la divorarono ancora mentre lo aiutava a
slacciare la cintura dei pantaloni. Con un agile gesto, le fece
cadere l'asciugamano a terra. Completamente nuda sotto i suoi occhi,
non si vergognava, poiché si era sempre sentita a suo agio con lui.
Pelle contro pelle; tutto ciò che l'aveva sempre fatta sentire a
casa.
La toccava ovunque con
poca attenzione. Voleva solamente possederla, non riusciva più ad
attendere, e questo lei lo aveva capito. La sua mente era
completamente annebbiata dal desiderio di sentirlo di nuovo fondersi
con lei. Lo voleva con tutta se stessa.
Con le mani la afferrò
da sotto le ginocchia e si portò le sue gambe al bacino. Ingie
continuava a baciarlo, passandogli le mani fra i capelli o
stringendogli le spalle. Non poteva più aspettare. Quei dannati
boxer che ancora li separavano stavano divenendo una costrizione
insopportabile.
Tom li abbassò.
Un urlo soffocato si
levò nella stanza. Ingie aveva chiuso gli occhi, gettando indietro
la testa. Il chitarrista l'aveva presa senza preavviso, velocemente,
tanto che aveva sentito una lieve fitta di dolore che era però
immediatamente scemata grazie alle potenti scariche di piacere che il
suo corpo provava.
Sentiva i muscoli
tremare ad ogni sua spinta.
La stava possedendo lì,
contro il muro, quasi con violenza. Ma Ingie avrebbe voluto che quel
momento non finisse mai. Avrebbe voluto piangere dalla gioia.
Sentirsi sua, diventare un unico corpo con lui era ciò che più la
rendeva felice al mondo e stava accadendo di nuovo. Lo stringeva, lo
baciava ovunque come volesse assicurarsi che fosse vero.
Il corpo di Tom le era
così famigliare. Lo amava, lo amava infinitamente ed
incondizionatamente, così tanto che avrebbe potuto addirittura dare
la vita per lui.
Improvvisamente, si
sentì staccare dal muro e Tom si spostò verso il centro della
stanza, senza mai abbandonarla con il suo corpo, fino a gettarla sul
letto dove la sovrastò, riprendendo a possederla. Ingie gli allacciò
di nuovo le gambe alla schiena ed aprì gli occhi per guardarlo. Il
viso arrossato e contratto in un'espressione di puro piacere, le
labbra socchiuse e gonfie dei suoi baci, gli occhi lucidi e
lussuriosi. Credette di morire dall'emozione.
Gli sfiorò il viso,
vezzeggiandolo. La sua pelle era morbida come la ricordava. La mano
del chitarrista si insinuò fra i suoi capelli, in cima alla fronte,
e si fermò lì per guardarla negli occhi, quasi a volerla uccidere
con un solo sguardo. I loro corpi umidi si intrecciavano senza sosta,
senza darsi un secondo di tregua.
Avrebbe voluto urlare
quanto lo amasse, avrebbe voluto tenerlo a sé tutta la vita,
dimenticare tutto il resto.
Lo spinse fino a farlo
girare con la schiena al materasso. Gli si sedette a cavalcioni e lo
fece alzare con il busto. Lo abbracciò prendendo a muoversi su di
lui; la bocca all'orecchio, intenta a rilasciare ansimi e gemiti più
o meno sonori. Le mani di Tom la afferrarono forte alle anche,
aiutandola nei movimenti. E quando le spinte giunsero anche dal suo
bacino, in perfetta sincronia con il suo, non seppe più controllare
la voce. Gli morse una spalla quando sentì che l'apice era vicino.
Le braccia di Tom la strinsero con più forza ed i movimenti si
fecero più veloci, segno che anche lui stava giungendo al limite. I
loro gemiti si mescolarono senza sosta fino a che uno più sonoro di
tutti, da parte di entrambi, non si liberò nella stanza all'unisono,
segnando la fine di quella passione così travolgente.
Il corpo di Ingie era
scosso da continui spasmi mentre cercava di riprendere fiato e le
braccia di Tom continuavano a stringerla. Mai nella vita aveva
provato tanto piacere; mai nella vita era stata amata con tanto
fervore.
Ancora seduta in braccio
a lui, non riusciva a smettere di stringerlo a sé. Non voleva che se
ne andasse, non di nuovo. I loro petti ancora uniti si alzavano e si
abbassavano velocemente. E quando lo guardò nuovamente negli occhi,
non riuscì a non baciarlo ancora. Questa volta un bacio più lento,
spossato, forse dolce. Un bacio che però durò poco poiché il
chitarrista si allontanò. Con più calma, la fece alzare così che
poté scendere dal letto.
Il cuore di Ingie aveva
ripreso a battere velocemente chiedendosi quali fossero le sue
intenzioni.
Lo vide rivestirsi e la
paura imperversò.
“Dove vai?” chiese
con un fil di voce, spaventata.
Paura della solitudine.
Paura dell'abbandono.
“Devo stare solo.”
disse lui freddamente, senza nemmeno guardarla.
“Tom.” provò di
nuovo lei per poi afferrargli tremante una mano. “Non te ne
andare.” fu quasi una supplica.
“Ho detto che devo
stare solo.” insistette lui, staccandosi calmo dalla sua presa.
Ingie sentì gli occhi
inumidirsi ma si impose di non piangere. Vedeva in quelli di Tom
paura, rabbia, incredulità. Forse pentimento.
Lo osservò in silenzio
rivestirsi, poi gli scrutò le spalle nel momento in cui si incamminò
verso la porta senza nemmeno lanciarle un'occhiata.
Con lo sgomento di
Ingie, senza dire una parola, la abbandonò.
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Capitolo 11 *** What about us? ***
aaaaaaaaaaaa
Eleven
What about us?
Gli occhi erano rimasti
aperti tutta la notte. Ancora nuda, era rannicchiata a letto. I
muscoli doloranti ed il cuore a pezzi. La sveglia aveva già suonato
da mezzora ma non aveva ancora trovato la forza o il coraggio di
alzarsi. Lo sguardo fisso nel vuoto non aveva mai indugiato su altro.
Non aveva smesso di
ripensare a ciò che era successo la sera prima con più lucidità.
La sua testa era attraversata da milioni di pensieri contrastanti, un
dolore incessante allo stomaco la faceva rannicchiare sempre di più
su se stessa. Aveva bisogno di riordinare le idee.
Aveva fatto l'amore
con Tom.
Era stato bellissimo ed
emozionante. L'amore che provava per lui si era di nuovo manifestato
più potente che mai. Sentirlo di nuovo stretto a lei, stare fra le
sue braccia muscolose, respirare il suo profumo e bearsi delle sue
labbra era qualcosa che andava al di là dell'immaginabile.
Tom l'aveva lasciata
di nuovo sola.
La paura che potesse
essere per sempre era incontenibile. Per quanto sbagliato fosse stato
nei confronti di Keri, pregò perché non si fosse pentito. Forse ora
si detestava per aver ceduto nuovamente con lei, nonostante le
sofferenze che gli aveva inferto.
Aveva tradito Luke.
Su quell'ultimo punto
non sapeva cosa pensare, se non provare un fortissimo senso di colpa.
Aveva agito alle sue spalle, senza nemmeno riflettere. Si era buttata
fra le braccia di Tom non appena si era presentata l'occasione e ciò
che era peggio era che Luke, per un momento, aveva sfiorato i suoi
pensieri ma non l'aveva fatta desistere dal continuare. Si sentiva
una persona orribile, una persona che continuava a prendere in giro
un ragazzo che meritava tanto.
Una lacrima bagnò il
cuscino sotto la sua testa. Si sentiva scossa, piangeva senza un
motivo ben preciso. Piangeva semplicemente perché aveva bisogno di
piangere; perché la sua vita prendeva sempre pieghe inaspettate e
che le facevano puntualmente del male. Piangeva perché troppe cose
erano successe, troppi cambiamenti l'avevano scossa.
Senza pensare
ulteriormente, afferrò il suo cellulare dal comodino. Aprì la
rubrica e fra tutti i nomi, scorse quello che più le sarebbe stato
d'aiuto. Almeno moralmente.
“Pronto?”
rispose Amanda. Ingie inizialmente non parlò, troppo presa dal
pianto silenzioso. “Ingie?” la chiamò perplessa.
A quel punto, si fece
coraggio e pronunciò poche parole che dettero vita ad un lunghissimo
silenzio.
“Ho fatto l'amore con
Tom.”
Amanda non proferì
parola almeno per il primo minuto ed Ingie non perse nemmeno tempo ad
aggiungere altro. Chiuse semplicemente gli occhi, facendo scorrere
altre lacrime sul suo viso, nell'attesa di una sua reazione, positiva
o negativa che fosse.
“Come è successo?”
domandò finalmente la bionda, particolarmente spiazzata.
“Me lo chiedo anche
io. È venuto da me. Ha tipo cercato di soffocarmi.”
“Cosa?!”
“Non ti preoccupare,
non l'avrebbe mai realmente fatto. Era furibondo e mi chiedo ancora
il motivo. Siamo finiti a letto senza nemmeno accorgercene.”
Amanda si prese un
ulteriore momento di pausa.
Ingie immaginava si
stesse chiedendo le sue stesse cose.
“Ma, insomma, lui
ora dov'è?” si informò l'amica.
“Se n'è andato ieri
sera. Subito dopo. Dice che vuole stare solo.”
“Forse, da una
parte, è comprensibile.”
Ingie percepì una fitta
al cuore.
“Oh, andiamo, Amanda!”
esclamò fuori di sé, sollevando il busto dal materasso. “Non
starai dalla sua parte ora?!”
“Sai che io non
sono mai stata dalla parte di nessuno. Mi sono limitata a dire la mia
in determinate circostanze. Devi capire, Ingie, che comunque Tom ha
patito a causa tua.”
“Quindi è
giustificato ad abbandonarmi così!”
“Magari non ti ha
abbandonato. E poi, francamente, c'è Luke.” Ingie non disse
nulla poiché perfettamente conscia del fatto che Amanda avesse come
sempre ragione. “Sarà pur vero che sei andata a letto con lui
ma non ti dimenticare che hai tradito Luke. Non è che tutto può
tornare a posto da un giorno all'altro.”
Hai tradito Luke.
Sentirselo dire fu ancora più doloroso che pensarlo.
“Amanda, io lo amo.”
mormorò quasi vergognandosene.
“Lo so, Ingie, non
è una novità. Tutte le volte che ho provato a farti ammettere di
non amare Luke, mi hai mangiato.”
“Ma io cosa devo fare?
Non posso controllare i miei sentimenti, non posso.”
“Devi lasciare
Luke.”
“No.”
“Che cosa?!”
Ingie si morse il
labbro.
“Non ce la faccio,
Amanda, è più forte di me.” ammise, in colpa.
“Che significa non
ce la faccio?”
“Ho già fatto troppo
male a Luke.”
“A Tom no, vero?”
Ingie chiuse gli occhi consapevole e si strofinò il viso con una
mano. “Tom ha bisogno di vederti prendere delle decisioni
concrete. Ha bisogno di vedere che ci sei davvero per lui. Solo per
lui. Ha bisogno di fidarsi di nuovo.”
“Tom non vuole tornare
con me. Esce con Keri.”
“Ma non stanno
insieme. Potrebbe allontanarla in un nanosecondo. Dipende solamente
da te. Come sempre.”
“Io non posso lasciare
Luke se non sono nemmeno sicura che Tom voglia stare con me. Magari
ha solamente sfogato le sue voglie, ieri sera.”
“Sai che non è da
lui.”
“So anche che ce l'ha
a morte con me e non potrebbe mai perdonarmi. Magari la sua è stata
solo una vendetta.”
“Sbagli a farlo
così meschino.”
“Sbaglio anche ad
illudermi che possa tornare tutto come prima fra noi.”
“Tu non devi
pensare a nulla. Almeno non finché non vi parlerete.”
Ingie prese una pausa in
cui le lacrime riaffiorarono. Si portò una mano agli occhi.
“Ho paura.” mugolò
con voce tremante e rotta dal pianto. “Ho paura di uscirne ancora
più distrutta. Ho paura di svegliarmi.”
Singhiozzò appena per
poi tirare su con il naso. Si sentiva una bambina, una bambina
bisognosa della mamma. Ed in quel momento avrebbe tanto avuto bisogno
di sua madre, se non fosse stato che lei conosceva Tom solo come
colui che aveva ospitato la figlia per qualche mese. Non l'aveva
nemmeno mai visto e non conosceva nemmeno tutta la vicenda che si era
creata prima di tornare con Luke. Come avrebbe potuto confidarsi con
lei? Sarebbe dovuta partire dal principio e non ne aveva voglia.
Inoltre non voleva che sua madre conoscesse anche quel suo lato di
traditrice recidiva. Era già la seconda volta che tradiva Luke.
“Ingie, vuoi che
venga lì?” sentì Amanda parlare di nuovo e ciò le scaldò il
cuore.
Quella ragazza era in
grado di fare i chilometri pur di sostenerla.
“No, stai tranquilla.
Mi basta solo sapere che ci sei e non mi consideri una cattiva
persona.” mormorò asciugandosi il viso come poteva.
“Non ti considero
una cattiva persona, lo sai. Vorrei solo che riuscissi a prendere per
una volta in mano la tua vita. Quando stavi con Tom eri riuscita a
farlo. Puoi farlo ancora. Sei sempre in tempo. Vuoi bruciarti anche
questa occasione di tornare ad essere felice con la persona che ami?”
***
“Che hai?”
Sollevò la testa dalla
mano che la sorreggeva e posò lo sguardo perso su Keri, accanto a
lui, che lo scrutava curiosa. Seduti al tavolo di un piccolo bar che
avevano trovato poco distante dall'hotel, avevano intrapreso diverse
conversazioni cui Tom aveva fatto particolarmente fatica a
partecipare. Il pensiero della sera precedente era bruciante nella
sua testa e non voleva affievolirsi.
“Nulla.” rispose
come nulla fosse, tornando poi a sorseggiare un po' di Coca Cola.
Mentire a Keri non era
facile. Non perché fosse particolarmente sveglia nell'intuire le sue
preoccupazioni ma perché era un ragazza buona, di gran cuore. Una
ragazza sensibile che non meritava di essere illusa o trattata come
stava facendo lui.
Il problema era che
ancora amava Ingie. La passione che avevano di nuovo condiviso era
stata solamente una conferma. Aveva sentito un'emozione che non
provava da tanto; un'emozione che con Keri non si era nemmeno
lontanamente accesa. Per questo si era spaventato ed era corso via.
Amare così tanto una
persona era a dir poco spaventoso, lo faceva sentire nudo ed inerme,
senza difese. E lui aveva bisogno di difese con lei. Non poteva più
permettersi di soffrire, nonostante non avesse mai smesso. Ora la
rabbia era ancora più forte ma questa volta non solo nei confronti
di Ingie, anche nei suoi. Aveva ceduto a lei nonostante si fosse
ripromesso di non farlo. Era caduto nuovamente nella tentazione,
quella stessa tentazione che gli aveva rovinato gli ultimi mesi di
vita.
Era confuso e non sapeva
che fare. L'unica cosa di cui era consapevole era che si era
immischiato in un problema molto più grande di lui e di quelli che
già aveva.
“Sai, finito il
programma, Roy ci ha concesso un mesetto di vacanza.” esordì
improvvisamente la ragazza.
“Davvero? Strano, non
è da lui.” commentò Tom, sinceramente sorpreso.
“Già.” sorrise la
ragazza. “E pensavo di tornare dalla mia famiglia a Los Angeles per
quel periodo.”
“Mi sembra una buona
idea.” sorrise anche lui.
Dopo qualche secondo di
pausa, la bionda riprese a parlare.
“Tu sei sempre
dell'idea di trasferirti a Los Angeles?” gli chiese ed il
chitarrista percepì un brivido.
Quella domanda sembrava
voler arrivare ad altro.
“Sì, l'idea è
quella.” rispose lui, vago.
“Beh, potremmo vederci
in quel periodo, che dici?” propose a quel punto lei, timida.
Aveva paura che lui
l'abbandonasse, che finito il programma ognuno tornasse per la sua
strada, glielo si leggeva negli occhi. Ma, in tutta onestà, era ciò
che secondo Tom si era rivelato inevitabile.
“Dipende da quando
avverrà il trasferimento. Ci sono tante cose da vedere. I visti, la
zona, la casa... Non si può fare tutto in tre secondi.” cercò di
spiegarle con gentilezza.
Keri a quel punto
sorrise imbarazzata, cosa che gli fece particolarmente tenerezza.
“Certo, hai ragione.
Che stupida.” mormorò.
Tom si sentì talmente
in colpa che volle rimediare.
“Insomma, troveremo
una giornata per vederci.” sdrammatizzò.
Non sapeva quanto
controproducente potesse essere prometterle qualcosa che sapeva di
non poter mantenere. Ma cosa avrebbe potuto fare? L'aveva già
avvertita, non era sicuro di arrivare ad amarla. Di questo lei era
già al corrente. Teoricamente, non avrebbe dovuto preoccuparsi.
***
Aveva messo piede fuori
dalla sua stanza per puro miracolo. Aveva deciso che marcire nel suo
letto non sarebbe stato per nulla utile, avrebbe dovuto prendere in
mano la situazione. Per tanto, una buona giornata di shopping si
sarebbe rivelata molto più sana e terapeutica di una bottiglia di
Vodka.
Quando uscì dall'hotel,
in giardino, trovò Milo sul dondolo intento a fumare una sigaretta.
“Hey, dove vai?” le
domandò interessato.
“Ho bisogno di
uccidermi con lo shopping.” rispose lei particolarmente seria.
“Oh oh.” mormorò il
ragazzo. “Sento odore di guai, quindi vengo con te.” decise
gettando la sigaretta non ancora terminata. Si alzò dal dondolo e le
si avvicinò. “Tu hai l'aria di una che deve raccontarmi tante
cose.”
***
Palesare a Milo tutto
ciò che era successo con Tom si era rivelato particolarmente facile.
Forse perché lui si trovava in una situazione simile alla sua ed
aveva potuto capirla immediatamente. Infatti, non ne fu sorpreso.
“Era abbastanza
scontato che succedesse, Ingie.” le disse, mentre giravano fra i
manichini e davano un'occhiata alle camicette che erano riuscite a
catturare l'attenzione della ragazza.
“Sì ma ho tradito
Luke per la seconda volta. Mi sento uno schifo.” ribatté lei.
“Io ti ho già detto
di lasciarlo.” borbottò Milo per poi agguantare una maglietta
nera. “Guarda che carina questa! Provatela.”
Ingie la afferrò con un
sospiro.
“Non posso lasciarlo.”
ribatté per poi chiudersi in camerino.
“Ami Tom?” sentì il
ragazzo dall'altra parte della tenda.
“Certo.” sussurrò
lei.
“Allora puoi farlo.”
“La fai così facile
tu.”
“Sei tu che devi
sempre trovare qualche problema che non esiste. Sei una cagasotto.”
Ingie scostò
bruscamente la tendina, uscendo solamente con la testa.
“Come, prego?”
sollevò un sopracciglio.
“Sei una cagasotto.”
ripeté lui con un mezzo sorriso che la irritò ancora di più.
“Trovi mille scuse che sai che non reggono per non esporti. Hai
paura, così fai prima a dire che non puoi lasciare Luke, almeno non
ti si pone il problema.”
Aveva pronunciato tutto
con estrema sicurezza e sfida. Perché sapeva di avere ragione,
motivo per cui Ingie ne fu spiazzata. Forse era vero che si
arrampicava sugli specchi per codardia. Forse preferiva trascinare la
storia con Luke che prendersi la responsabilità di lasciarlo. Era da
sempre stato un suo problema.
“Stai blaterando.”
tagliò corto per poi nascondersi nuovamente in camerino.
“D'accordo, tanto lo
so che mi dai ragione.” rispose Milo.
“Sei un tantino
presuntuoso.” Uscì di nuovo. “La prendo.” concluse,
sventolando la maglia. “Ad ogni modo, perché non tenti di nuovo
con Keri?”
“Scherzi? Ora che è
follemente presa da Tom?”
“In guerra e in amore,
tutto è concesso.” cantilenò lei.
“Lo dici solo perché
ti farei un favore.” ridacchiò il moro.
“Anche.” ammise lei,
per poi fargli una linguaccia.
“Comunque non capisco
una cosa.” commentò lui all'improvviso, mentre camminavano
nuovamente fra gli appendini. “Che senso ha dire che non puoi
lasciare Luke perché non sai se funzionerebbe con Tom? Lasciare Luke
non dipende da Tom. Se non lo ami, lo dovresti lasciare comunque.
Magari stare da sola non ti farebbe male.”
Ingie sbuffò in
difficoltà. Odiava dover dare giustificazioni quando sapeva
perfettamente di essere nel torto.
“Senti, basta parlare
di Luke, okay?” tagliò corto, piuttosto seccata. “Ho già
abbastanza rogne con Tom in questo momento e mi sento uno schifo per
averlo tradito. Non so come lo guarderò solamente negli occhi quando
tornerà in Germania.”
***
Sapeva di essere
osservato. Sapeva che da minuti Bill lo scrutava, studiandolo in ogni
suo movimento.
Era seduto sul letto, la
schiena al muro, intento a sfogliare una noiosissima rivista di
gossip. Inutile dire vi avesse trovato una notizia riguardante DSDS.
Non vi si era nemmeno soffermato.
Suo fratello,
apparentemente, faceva la stessa cosa sulla poltrona di fronte ma
poteva perfettamente notare con la coda dell'occhio tutti gli sguardi
sospettosi che gli lanciava al di là del giornale.
Improvvisamente, ne ebbe
abbastanza.
“Che c'è, Bill?”
domandò con un gran sospiro.
Avrebbe preferito non
attaccare bottone, consapevole di dove avrebbe portato quella
conversazione ma quando Bill voleva sapere qualcosa in un modo o
nell'altro otteneva risposte.
“Sei strano.”
commentò, come lieto che gli avesse posto quella domanda. Tom
scrollò le spalle e tornò a concentrarsi sulla rivista con aria
vaga. “È successo qualcosa.”
Non era una domanda.
Al diavolo la
telepatia gemellare, borbottò mentalmente.
“Nulla.” tagliò
corto.
“Oh, andiamo.”
sbuffò Bill, alzandosi dalla poltrona. “Insomma, so che sei andato
da Ingie ieri sera. Sei uscito furioso, come un pazzo. Si può sapere
che hai combinato? Cosa le hai fatto?”
Tom vide rosso.
“Cosa le ho fatto
io?!” esclamò incredulo. “Bill, vuoi che ti rinfreschi la
memoria?”
“Voglio solo che tu
dica cos'è successo.”
“Ci sono andato a
letto, va bene?” L'aveva detto con superficialità, nonostante il
cuore battesse forte. Era stato talmente inaspettato che Bill aveva
taciuto. “Avanti, urla. So che muori dalla voglia di farlo.”
borbottò successivamente, senza guardarlo. Vide Bill gettarsi di
nuovo a peso morto sulla poltrona. “Ti prego, Bill, non mi fare
nessuna predica. Sono già abbastanza sconvolto.”
Passò qualche attimo
prima che Bill parlasse di nuovo.
“Non ti farò nessuna
predica.” disse fin troppo tranquillo, tanto che Tom lo scrutò con
sospetto. “Sapevamo tutti che prima o poi sarebbe successo.” Il
moro era colpito. Si era aspettato urla e lamentele su quanta
irresponsabilità avesse dimostrato con quel gesto. “Vi amate
ancora entrambi. È da stupidi cercare di tenervi lontani.”
Il chitarrista percepì
un forte brivido lungo la colonna vertebrale. Era sempre un'emozione
incredibile solamente pensare di amare una persona. Sapeva di amarla
incondizionatamente, sapeva di amare tutto di lei, nonostante
provasse nei suoi confronti tutta quella rabbia che non riusciva a
scemare.
Cosa sarebbe accaduto?
Cosa avrebbe potuto fare? Come avrebbe potuto riacquistare tutta la
fiducia che riponeva in lei?
“Non posso tornare con
lei.” mormorò improvvisamente.
Bill continuava a
scrutare il pavimento fino a che non scrollò le spalle e si alzò di
nuovo, dirigendosi alla portafinestra che dava sul balcone. Si fermò
lì, con le braccia conserte, intento ad osservare qualcosa di a lui
sconosciuto.
“A questo punto non
vedo perché no.” commentò.
Tom era spiazzato.
“Cosa?” domandò
basito, voltandosi verso di lui.
“Sai, abbiamo fatto di
tutto per starle lontani. Lei credo sia la persona più instabile di
questo mondo, dopo Ria. Penso sinceramente che stare con lei sia un
rischio per te ed ho paura che tu possa soffrire di nuovo. La cosa
giusta sarebbe tagliare definitivamente i ponti.” Fece una pausa
senza guardarlo. “Eppure vi amate.” sospirò con sua sorpresa.
“Odio vedervi soffrire per il fatto che siete separati. A questo
punto che senso può avere soffrire ancora senza di lei?
Riprenditela, Tom. Questo è l'unico consiglio che ormai mi sento di
darti.” Si voltò e gli sorrise appena, comprensivo. “Io voglio
vederti sorridere di nuovo. Voglio rivedere il Tom di qualche tempo
fa, assieme a lei. È inutile dirti di non cedere e starle lontana,
non me la sento di farti così male.”
Tom ingoiò il magone
che dopo anni gli si era di nuovo formato in gola e si impegnò per
non far scorrere le lacrime lungo le sue guance. Le parole appena
pronunciate da Bill forse erano fra le più belle che avesse mai
udito. Vi era l'amore incondizionato, vi era la comprensione, vi era
la fiducia.
Non sapeva se avrebbe
seguito il suo consiglio, non sapeva se sarebbe stato in grado di
perdonare Ingie, ma sapeva quanto quel discorso gli fosse stato di
grande aiuto.
Gli si avvicinò con
estrema spontaneità e lo strinse a sé.
“Sei il gemello
migliore che si possa desiderare.” mormorò al suo orecchio.
***
Aveva sentito bussare
con violenza alla porta, tanto che per un momento le sembrò di
essere tornata alla sera prima, quando Tom aveva minacciato di
sfondare la porta a suon di pugni. Con il cuore martellante nel
petto, andò ad aprire. Le aspettative di vedere il chitarrista
vennero distrutte dalla figura di Page, di fronte a lei, con uno
sguardo a dir poco terrorizzato.
“Page, che succede?”
domandò preoccupata, facendola entrare.
“Non sapevo da chi
andare.” le disse con voce tremante mentre richiudeva la porta.
Improvvisamente tirò fuori dalla maglia una scatoletta, che aveva
nascosto fino a quell'istante.
Ingie sbiancò.
“Un test di
gravidanza?” mormorò, percependo un giramento di testa.
Page aveva gli occhi
lucidi dall'ansia.
“Devo ancora farlo e
non volevo stare sola.”
“Ma, insomma...
Come...” non sapeva nemmeno cosa dire. “Anthony...”
“Anthony non lo sa e
non deve nemmeno saperlo.” si affrettò a chiarire la bionda, fuori
di sé. Ingie si passò una mano sulla fronte. “Ora voglio solo
fare questa cosa il più in fretta possibile. Credo che sto per
morire.” Sapeva da cosa derivava tutta quella preoccupazione: la
compagnia. Sapeva quanto Page tenesse a far parte della compagnia,
sapeva quanto sudore aveva gettato per entrare a farne parte. Roy
l'avrebbe dovuta sostituire o, in ogni caso, mandare via. “Non ci
vuole, Ingie. Non ci vuole proprio adesso.” continuò a disperarsi
con il viso fra le mani.
“Ora non fasciarti la
testa. Magari non c'è nulla di cui preoccuparsi.” provò ad
andarle in contro la mora, con il test in mano, che sembrava
bruciare. “Andiamo in bagno.”
***
Attendere il dannato
responso fu la cosa più stremante che Ingie avesse mai fatto. Il
cuore batteva all'impazzata e si chiese cosa sarebbe successo se al
posto di Page vi fosse stata lei. Si era ritrovata a pensare ad
un'ipotetica gravidanza ed aveva realizzato con spavento a quanto
inappropriata potesse essere in quel momento della sua vita.
Entrambe sedute sul
divano, fissavano il test come si fosse liberato da esso il Demonio
da un momento all'altro. Ingie le stringeva la mano, carezzandogliela
con il pollice, in un debole tentativo di incoraggiamento.
“Noi non siamo
pronti.” mormorò all'improvviso, con lo sguardo ancora arrossato
dal pianto fisso nel vuoto. “Non lo siamo per niente.”
Ingie non sapeva cosa
dire.
“Sono sicura che nella
peggiore delle ipotesi, tu ed Anthony saprete fare la cosa giusta.”
“Siamo giovani,
Ingie.” strinse le palpebre. “Io ho ventidue anni, lui
ventiquattro. Come cazzo facciamo? Lui lavora in un fottutissimo
negozio di dischi, io – se veramente sono incinta – perdo il
posto nella compagnia. Cristo, come faccio, Ingie?”
Ingie le avvolse le
spalle con un braccio nel momento in cui prese a singhiozzare.
“Shh.” fece al suo
orecchio. “C'è sempre una soluzione, Page. Sempre.”
Quei cinque minuti
stavano divenendo un'eternità. Ingie avrebbe tanto voluto
distruggere il test. Page aveva rifugiato il viso nell'incavo del suo
collo, così da non poterlo vedere. E quando il risultato arrivò,
Ingie percepì il gelo nelle ossa.
“È positivo, Page.”
Il pianto disperato che
ne derivò non le permise di dire altro.
***
“Io non posso
tenerlo.”
Quella frase,
pronunciata così inaspettatamente – una volta che Page si fu
calmata – l'aveva fatta sussultare.
“Cosa?” domandò
esterrefatta.
“Non posso tenerlo,
Ingie.” ripeté la bionda, senza guardarla.
“Page, ora sta
parlando la paura. Non prendere decisioni affrettate di cui potresti
pentirti.” cercò di riportarla immediatamente con i piedi per
terra.
“Ti posso assicurare
che sono lucidissima.” ribatté Page con freddezza. “Non avrei un
lavoro, non abbiamo soldi. Siamo giovani ed immaturi. Non siamo in
grado di crescere un bambino.”
“Tu ora stai vedendo
il peggio, Page, prova a...”
“Io non sto vedendo un
cazzo, Ingie!” esclamò fuori di sé. “Non sto vedendo il peggio,
sto vedendo la realtà! Non si può sempre fare i sognatori, non si
può sempre gioire di una nuova vita se questa non ha le basi per
poter crescere bene. Io non metterò al mondo un figlio per poi
lasciarlo ai miei genitori o in un istituto.”
Ingie era paralizzata
dalla freddezza con cui la bionda parlava. Era vero, sembrava lucida
quasi in modo spietato.
“Sei sicura, Page?”
mormorò in un ultimo tentativo.
Page si prese una pausa
prima di rispondere.
“Sì, sono sicura.”
concluse, apatica.
Ingie chiuse gli occhi e
scosse la testa. Sapeva, era convinta che si sarebbe pentita e non se
lo sarebbe perdonato per tutta la vita. Eppure la decisione era sua.
“Non dovresti parlarne
con Anthony?” provò.
“Sono io la madre.”
ribatté lei. “E poi Anthony non è tenuto a saperlo. È meglio per
tutti.”
Ingie scosse nuovamente
la testa.
“Non sono d'accordo,
Page. Potrai scegliere quello che vuoi sulla vita di questo bambino
ma Anthony ha il diritto di sapere. Ha il diritto di dire la sua, non
te lo perdonerebbe se lo venisse a sapere.”
“Vorrà dire che
correrò questo rischio.” La mora era spiazzata. Non era Page che
stava parlando, era la sua corazza e lo sapeva. Non l'aveva mai
sentita pronunciare parole con tanto gelo. “Ora me ne vado in
camera. Ho bisogno di stare sola.” mormorò successivamente,
alzandosi dal letto. Ingie la seguì fino alla porta dove si fermò e
si voltò di nuovo verso di lei. “Grazie, Ingie. E scusa se ti ho
urlato.” le disse con meno distacco.
La mora sorrise appena.
“Non preoccuparti.”
rispose prima di guardarla uscire con il dolore negli occhi.
Non era sicura di vedere
un lieto fine per quella storia. Page si era rivelata tremendamente
impulsiva e pregò perché stare da sola la aiutasse a riflettere con
più razionalità.
Sospirò e si allontanò
dalla porta con l'intento di fumare una sigaretta sul balcone.
Era incredibile quante
cose stessero accadendo nel giro di poche ore. Si sentiva frastornata
e si chiese se tutto quanto fosse un sogno. Aveva bisogno di staccare
la spina da tutto e tutti.
Inspirò la prima
boccata di fumo, che liberò successivamente con stanchezza. Anche
lei si sentiva esausta, come se quel bambino fosse suo, come se la
decisione fosse sua. Il fatto era che mai si sarebbe aspettata di
affrontare qualcosa di simile con una sua amica e collega.
Poggiò la testa
indietro, sul muro e chiuse gli occhi.
In tutto ciò, Tom non
si era fatto vedere. Ormai aveva perso le speranze. Aveva immaginato
l'avesse fatto solamente per una vendetta personale. Forse doveva
cominciare a credere che se lo fosse meritato?
L'improvviso bussare
alla porta la riscosse dai suoi pensieri.
Un intimo desiderio si
accese ardente dentro di lei, pregando perché dietro quella porta si
trovasse solamente una persona.
Gettò la sigaretta e,
preso un bel respiro, aprì.
L'istinto fu quello di
gettargli le braccia al collo, trascinarlo in stanza e fare di nuovo
l'amore. Eppure non si mosse quando si trovò davanti Tom. Lo sguardo
serio ma non più furioso come la sera prima le diede una piccola
speranza in più.
“Oh, bene, mi chiedevo
quando ti saresti fatto vivo.” mormorò con la freddezza che non
aveva previsto, dandogli nel frattempo le spalle per rientrare in
camera, seguita da lui.
“Ora avanzi anche
pretese?” fu la secca risposta mentre chiudeva di nuovo la porta.
“Un minimo di dignità
mi è rimasto.” parlò di nuovo per poi fermarsi davanti a lui con
le braccia conserte, in attesa. Si scrutarono per istanti che parvero
infiniti. Quanto avrebbe voluto saltare la parte dei chiarimenti.
Avrebbe voluto di nuovo dirgli che lo amava con tutta se stessa ma
non vi riuscì. “Sei stato da solo abbastanza?” gli domandò con
sfida.
“Sì.”
“E hai avuto anche
un'illuminazione divina nel frattempo?”
“Parlarmi così non ti
servirà a niente, lo sai, vero?” Ingie non rispose. “Possibile
che non imparerai mai?” l'aveva chiesto con incredibile calma.
“Parlo come una che è
stata piantata subito dopo il sesso, come una prostituta.”
“Se non sbaglio sei
stata tu la prima a scappare dalla mia stanza come una ladra, la
prima volta che siamo andati a letto insieme.” Ingie si irrigidì.
“Direi che siamo pari, no?” fece quindi con sfida.
“Non è una fottuta
gara.” ringhiò la mora.
“No, ma è giusto
mettere in chiaro certe cose.” Ci fu un momento di silenzio che
Ingie non poté sopportare. Fremeva dalla voglia di toccarlo di
nuovo, le mani le prudevano dall'impazienza. “Che cazzo è
questo?!” esclamò lui all'improvviso, facendola sobbalzare dallo
spavento.
Seguì il suo sguardo,
fino a posarlo sul cestino della spazzatura dove aveva gettato
momentaneamente il test di gravidanza.
“Nulla, è un test.”
tagliò corto.
“Mi prendi per il
culo?!” domandò adirato, guardandola di nuovo con il terrore negli
occhi. “Non prendevi la pillola?!”
“Puoi dormire su sette
cuscini, non è mio.” tagliò corto lei con distacco.
Tom sembrò calmarsi ma
non abbandonò l'espressione di sospetto che sostava sul suo viso.
“Me lo giuri?”
insistette lui, rigido.
“Prendo ancora la
pillola, non ti preoccupare.”
“Non mi hai risposto!”
“Lo giuro, Cristo!”
Tom tacque per un momento. L'ultima cosa di cui Ingie aveva bisogno
in quel momento era una gravidanza inaspettata per la quale non
avrebbe nemmeno saputo dire chi diamine fosse il padre. Insinuò le
dita fra i capelli e sospirò nervosamente. “Senti, perché sei
venuto?”
“Se vuoi me ne vado.”
la provocò freddamente, facendo per voltarsi ma lei lo fermò
immediatamente.
“Non intendevo dire
questo.” borbottò. “Se sei venuto è perché mi volevi parlare,
no?”
Tom si dedicò ad
un'ulteriore pausa prima di cominciare a parlare.
“Bill mi ha
raccontato.”
Ingie sollevò gli occhi
al soffitto e portò il viso altrove.
“Dio.” sussurrò.
“Immagino ti abbia anche detto che sono un'alcolizzata.”
cantilenò con cupo sarcasmo.
“Gli daresti torto?”
sollevò un sopracciglio il moro.
“Io non sono
un'alcolizzata.” sbottò lei, tornando a guardarlo. “Dimmi un
po', è per questo che hai deciso di sbattermi ieri sera?”
lo provocò.
“No, non è per questo
che ho deciso di sbatterti, ieri sera.” ripeté scettico.
“Come hai visto, ero incazzato.”
“Ti è passata presto
l'incazzatura però.”
“Non parlare come se
avessi fatto tutto da solo.”
“Sapevi benissimo che
non mi sarei tirata indietro.”
“Già, lo sapevo
benissimo, dato che tradisci come fosse un hobby.”
Ingie sgranò gli occhi,
trafitta da una pugnalata.
“Io spero tu non ti
stia rendendo conto di quello che dici, Tom, perché se ne fossi
consapevole la cosa mi ferirebbe parecchio.” disse cercando di
mantenere la calma. La situazione era già abbastanza delicata. “Sai
benissimo perché ho tradito Luke.”
“Quando? La prima o la
seconda volta?” la sfidò lui.
“Ora basta, Tom! Lo
stai facendo apposta solo per mettermi in difficoltà ma, credimi, mi
sento già abbastanza colpevole.”
“Com'è che questa
storia si ripete sempre? Tu che sbagli e ne sei consapevole. Tu che
ti senti colpevole ma non fai mai nulla per non sbagliare di nuovo.”
Ingie sentiva le lacrime
accumularsi sui suoi occhi. Mai si era sentita così nuda di fronte a
lui. Mai si era sentita così in imbarazzo ed in difficoltà. Le
ricacciò immediatamente.
“Tu sei colpevole
quanto me.” sussurrò e poté vedere il suo viso contrarsi in puro
stupore. “Anche tu hai preso in giro Keri.”
“Tu non sai cosa c'è
fra noi due.” ribatté il chitarrista, colto nel vivo.
“Cosa c'è? Solo sesso
come era iniziata con me? Non credo, Tom.”
“Ci stavamo solo
frequentando, lei lo sapeva benissimo che non ero innamorato di lei.
E comunque non devo dare spiegazioni a te.”
“Perfetto. Nemmeno io,
allora.” Per una volta era lei ad avere il coltello dalla parte del
manico e se ne sentì momentaneamente sollevata. “Tu perché sei
venuto a letto con me?”
Diretta.
“Non ti serve
saperlo.” rispose lui, glaciale.
“Sì, invece. C'ero io
su quel dannato letto.” insistette lei.
Vide Tom avvicinarsi
lentamente.
“E tu?” domandò
lui, senza fermarsi.
“Ti ho fatto una
domanda, desidero una risposta.” si impuntò lei, senza
indietreggiare. Voleva dimostrargli che poteva reggere la sua
vicinanza. Poteva reggere il suo sguardo e la sua presenza. Lei era
forte, al contrario di ciò che pensasse. Visto che non rispondeva,
decise di cogliere la palla al balzo. “Io l'ho fatto perché ti
amo.” disse senza paura. Lei era sicura dei suoi sentimenti; voleva
esternarli senza timore. “Ma lo sapevi già. Ora rispondimi tu.”
Tremava da capo a piedi
ed il cuore minacciava di sfondarle il petto. Voleva gettarsi fra le
sue braccia; era un desiderio incontrollabile.
Tom era visibilmente
colpito dalle sue parole e per un momento sembrò non sapere cosa
dire. Forse era sorpreso di udire tanta sicurezza, tanta
sfacciataggine da parte sua.
“Non è così
semplice, Ingie.” sorrise lui amaramente.
“Sì che lo è.”
ribatté lei convinta. “Tu non vuoi che sia semplice perché non
riesci a perdonare quello che ho fatto, non riesci a fidarti più di
me.” Il cuore sembrò esploderle. “Ma tu mi conosci. Sarò
testarda, sarò orgogliosa, sarò stronza, tutto quello che vuoi. Ma
non mento sui miei sentimenti, non l'ho mai fatto.” Le tremò la
voce. “Sono colpevole di essermi innamorata di te. Sono colpevole
perché se ho fatto tutti i disastri che ho fatto, è stato perché
ti amo in un modo che mi fa paura. Io ho paura, Tom.” Una lacrima
le sfuggì al controllo. “Ho paura perché non ho mai provato un
sentimento così forte per nessun altro. Mi sei entrato nella pelle e
mi chiedo come sia possibile. Ho paura perché sento di dipendere da
te, sto male senza di te.” Prese un altro respiro. “Ti sto
parlando con il cuore in mano, sono priva di difese in questo
momento. Vienimi a dire che sto mentendo.”
Vide Tom fremere ed
esitare. Sembrava voler fare qualcosa che la sua coscienza gli
impediva.
Fallo, qualunque cosa
essa sia, pregò mentalmente.
Ancora non riusciva a
credere di essere riuscita a confessargli nuovamente il suo amore.
Non l'aveva creduto possibile fino a qualche minuto prima. Eppure il
sentimento era così forte ed incontenibile che reprimerlo le avrebbe
fatto solo male. In quel momento non le importava più niente.
C'erano solo lei e Tom, com'era sempre stato.
“Posso fidarmi ancora
di te?” sussurrò lui ed il suo cuore fece una capovolta. Era una
domanda che non si aspettava e vedeva il suo viso tacciato dalla
paura, dal timore di una nuova delusione.
Ingie si avvicinò
ancora a lui, guardandolo attentamente negli occhi.
“Sai che puoi farlo.”
mormorò prima che il chitarrista le prese il viso fra le mani e la
baciò di nuovo, come impaziente di farlo sin da quando aveva varcato
la soglia della sua camera.
Si strinsero forte,
quasi fino a farsi male a vicenda, continuando a baciarsi come non
l'avevano mai fatto prima di allora.
Ingie credeva si
trattasse di un sogno. Dovette dirsi più volte che era la pura
realtà e le venne da piangere solamente pensando a tutto il dolore
che aveva passato e a quanto tempo si erano tenuti lontani a vicenda,
ignorando completamente i loro sentimenti.
La fece indietreggiare
appena, fino a farla cadere sul letto, con lui sopra.
Si era resa conto che
continuare a mentire con lui, con gli altri, ma soprattutto con se
stessa avrebbe solamente peggiorato le cose. La sincerità, per
quanta paura potesse fare alle volte, era ciò che poteva ripulirla
da tutto il fango che si era gettata addosso con le sue stesse mani.
Di nuovo nudi, i loro
corpi si strinsero caldi ed impazienti, come fossero destinati ad
appartenersi.
Tom era di nuovo lì con
lei, come aveva desiderato intimamente per tutti quei mesi. Era di
nuovo lì a stringerla, a proteggerla, a ricoprirla di baci ed
attenzioni, ad amarla come solo lui sapeva fare.
Le sue labbra morbide a
contatto con la pelle la facevano sorridere e sospirare in pura
estasi. E quella volta, quando i loro corpi tornarono ad unirsi, non
vi era rabbia o frustrazione. Quella volta vi fu solo amore.
A confermarlo, un ti
amo sussurrato al suo orecchio.
***
Le braccia di Tom ancora
la avvolgevano protettive. Il suo respiro tranquillo le solleticava
l'orecchio. I loro corpi, ancora scossi dalla passione consumata poco
prima, bruciavano a contatto. Le gambe intrecciate fra loro, gli
animi sereni. Aveva sempre adorato quei momenti con lui.
E ancora non le sembrava
reale.
“Noto con piacere che
non hai perso il vizio di infilzarmi la schiena con le unghie.”
Ingie, rossa in viso,
gli schiaffeggiò forte il braccio, facendolo ridacchiare.
“È la cosa più
romantica che ti sia venuta in mente da dirmi?” obiettò cercando
di assumere il broncio, rovinato però dal piccolo sorriso che non
accennava a svanire.
Quello stesso sorriso
spensierato ed incontrollato che da mesi aveva visto dissolversi.
“Ma tu lo sai che non
sono romantico.” la stuzzicò lui, divertito.
La mora sospirò,
poggiando meglio la tempia contro la sua spalla. Il braccio attorno
al suo addome.
“Pensa che io volevo
dirti che le tue prestazioni sono anche meglio.” lo prese in giro.
Poté immaginare la sua espressione fiera e soddisfatta di tale
complimento. “E la continua palestra ti fa molto bene, devo dire.”
“Grazie.” rispose,
gongolando.
Ingie stette in silenzio
in attesa.
“Oh, andiamo!”
esclamò poi, senza riuscire a trattenersi. “A questo punto mi
aspettavo qualche complimento anche da parte tua.” si lamentò come
una bambina.
“Fai i complimenti
solo per riceverne?” ridacchiò lui, facendola sbuffare. “Ma lo
sai già quanto io apprezzi il tuo sedere.” Ingie era sconvolta. “E
darei anche un nove politico alle tue tette.”
La mora fece per
allontanarsi da lui.
“Basta, sei un
idiota.” borbottò sotto le risate del ragazzo che cercava di
tenerla ferma. “Staccati.” gli ordinò.
Tom, senza smettere di
ridere, la sovrastò nuovamente con il suo corpo, immobilizzandole le
braccia.
“Mi mandi via dopo che
hai fatto di tutto per riavermi?” la stuzzicò con un sorriso
sghembo.
“Come se avessi dovuto
pregarti.” ribatté lei con sarcasmo.
“Beh, sapevo che eri
ancora sensibile alla mia incredibile bellezza.”
Prima che potesse
controbattere, la baciò di nuovo. Entrambi erano scossi dalle
risate.
Ad Ingie era mancato
quel loro meraviglioso rapporto, fatto di scherzi, battutine,
provocazioni ma tanto affetto ed amore. Forse stava riuscendo ad
acquisire nuovamente quel senso dell'umorismo che non aveva più
esternato da quando stava con Luke. Questo perché Tom era come lei;
Tom stava allo scherzo ed era il primo a farne. Oltre ad essere uomo,
aveva conservato quella parte di bambino che non era mai morta.
Con Luke non era la
stessa cosa.
“Tom.” mormorò
all'improvviso, mentre il moro continuava a mordicchiarle le labbra e
carezzargliele con le proprie.
“Mmh.” mugugnò lui
senza smettere.
“Cosa farai con Keri?”
gli domandò timorosa.
Lui si fermò solamente
per guardarla negli occhi.
“Le parlo stasera.”
rispose.
“Non le dire di me.”
disse subito la ballerina. Tom aggrottò la fronte, contrariato. “Ti
prego, non voglio che si creino problemi fra di noi. Almeno fino alla
fine del programma.”
Il chitarrista sospirò
appena, scompigliandole ulteriormente i capelli.
“D'accordo.” si
arrese. “Non riusciamo mai a vivere la nostra storia in pace.”
Ingie sorrise e gli
carezzò il viso con una mano.
“Abbiamo tempo.”
Tom le stampò un altro
bacio sulle labbra, fino a quando non le pose l'ultima domanda cui
avrebbe voluto rispondere.
“E Luke?”
Ingie si incupì.
“Ti chiedo solo un po'
di tempo.” mormorò e Tom sbuffò sonoramente.
“Ecco.” brontolò,
spostandosi da sopra di lei, per tornare a pancia in su, sul
materasso.
Ingie si affrettò ad
avvicinarglisi e posargli una mano sul petto.
“Ti giuro che gli
parlo ma voglio farlo con calma. Non è facile come può esserlo per
te con Keri.”
“Solo perché lo dici
tu.” ribatté lui fissando il soffitto.
“Solo perché mi ha
proposto di sposarci nemmeno una settimana fa.” Tom si voltò
basito a guardarla. “Già.” sospirò lei a quella muta domanda.
“Ti chiedo solo di darmi il tempo di trovare le giuste cose da
dire, così da non fargli dare di matto, per quanto possibile.”
Tom sembrò sul punto di
cedere.
“Quanto tempo?”
mise in chiaro.
“Poco.” disse lei,
vaga.
Non era sicura di
riuscire a lasciare Luke nel giro di un minuto. Non sapeva quanto
tempo vi avrebbe impiegato ma non voleva innervosire ulteriormente
Tom. Non ora che gli aveva detto di fidarsi di lei.
Il punto era che
lasciare Luke non poteva essere per nulla facile. Gli voleva
disperatamente bene e fargli un altro torto così grande era l'ultima
cosa che desiderava per lui.
“Questo tuo poco
mi da da pensare.”
“Fiducia, giusto? È
questo che avevamo detto.”
Tom la guardò ancora
qualche istante negli occhi come volesse assicurarsi fosse sincera,
poi le portò una mano dietro alla nuca per avvicinarsela e baciarla
di nuovo sulle labbra.
“Mi sto fidando,
Ingie.” sussurrò, serio, come per metterla in guardia.
Sapeva che da quel
momento non avrebbe dovuto vacillare nemmeno per un secondo.
Qualcosa le diceva che
non sarebbe stata una passeggiata.
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Capitolo 12 *** One way or another/Epilogue ***
aaaaaaaaaaaa
Twelve
One way or another
Le goccioline d'acqua
tiepida gli colavano ancora lungo la schiena ed un sorriso
spensierato sostava sul suo viso, come impossibilitato a svanire.
Abbandonata la stanza di Ingie, era tornato nella sua per farsi una
doccia e rilassarsi sotto il suo getto caldo.
Si sentiva
incredibilmente leggero, come se tutti i suoi problemi e tutte le sue
paranoie fossero di punto in bianco scomparse. La relazione con Ingie
non era partita nei modi migliori ed avevano ancora innumerevoli cose
da risolvere fra loro ma lui aveva ricominciato a credere in loro.
Forse perché non aveva mai letto tanta sincerità in quegli occhi
lucidi che amava tanto. Questa volta aveva deciso di crederle, se
l'era imposto, perché l'amava immensamente.
L'improvviso bussare
alla porta lo fece sorridere ulteriormente e pregò che fosse lei.
Avevano passato talmente tanti mesi separati che aveva bisogno di
recuperare il tempo perso, assieme a lei.
Andò ad aprire la porta
ed un'espressione sorpresa sostituì il sorriso.
“Hey.” sorrise Keri,
entrando in camera, come ormai era abituata a fare, senza permesso.
“Che fai?” gli domandò, osservandolo da capo a piedi.
“Nulla, facevo una
doccia.” rispose lui, richiudendo la porta.
Si sentiva in difficoltà
e le mani avevano preso a prudere inaspettatamente. Avrebbe giurato
fosse più semplice mettere le cose in chiaro, eppure ora aveva
incredibilmente paura di dirle la verità.
“Sì, lo vedo.”
ridacchiò lei, alludendo all'asciugamano in vita. “Oggi non
abbiamo avuto tempo di stare insieme come si deve.” mormorò poi,
timida.
“Beh, siamo stati un
po' al bar.” provò lui con un mezzo sorriso.
Fremette quando la vide
avvicinarsi.
“Sì ma io volevo
anche stare un po' da sola con te. Come si deve.” Parve in
imbarazzo nell'ammettere quelle cose. “Non mi hai dato nemmeno un
bacio per tutto il giorno.”
Tom si sentì in
difficoltà.
“Ehm.” si schiarì
la voce, allontanandosela appena, prima che potesse baciarlo sulle
labbra. Lo sguardo di Keri era quasi scioccato. Le sorrise insicuro e
si allontanò, fino a sedersi sul letto. “Ascolta, Keri, ti devo
parlare.”
La bionda sorrise
tristemente.
“Sapevo che, prima o
poi, il momento brutto sarebbe arrivato.” sussurrò.
“Siediti qui, per
favore.” fece lui il più dolcemente possibile, battendo una mano
sul materasso, di fronte a lui. La ragazza, come un'automa, ubbidì
per poi attendere. “Credimi, mi sento davvero male a dirti questo
ma... Devo farlo per il tuo bene.” fu la premessa. “Tu sai che ho
voluto mettere in chiaro fin dall'inizio che sono uscito da una
storia travagliata e che ci sono stato davvero male.” Keri annuì
lievemente. “E sai anche che non ho voluto mai illuderti con false
speranze. Ti ho sempre detto che non ti amavo e che non potevo sapere
se l'avrei mai fatto. Frequentarti è stato bello, credimi. Sei una
persona piacevole, speciale a mio parere. Mi hai dimostrato di non
avere fretta, mi hai dato il mio tempo, non mi hai fatto pressione e
per questo ti ringrazio, non è da tutti.” Sospirò. “Il punto è
che mi sono reso conto che fra noi non può andare perché purtroppo
non sono innamorato di te.” concluse.
Vide il viso di Keri
contrarsi in una smorfia di dispiacere.
“Ma avevi detto che
magari col tempo...” provò, timidamente.
“Non può andare
perché sono ancora innamorato di lei, Keri.” la interruppe,
chiarendo. Keri sembrò ricevere un pugno allo stomaco e Tom si sentì
malissimo. Odiava dover allontanare una persona, se questa non gli
aveva fatto nulla di male. Si sentiva in colpa perché tutto era
dipeso da lui. “Mi spiace ma non mi va di portare avanti questa
cosa per poi abbandonarti più avanti, facendoti stare ancora più
male. È meglio chiarire prima che sia troppo tardi, prima che tutto
ciò diventi troppo serio per tornare indietro. Lo capisci?”
Gli si strinse il cuore
quando vide una lacrime scorrere lungo la guancia della ballerina,
che scacciò immediatamente annuendo. Odiava vedere una ragazza
piangere.
“Sì, lo capisco.”
mormorò lei con voce tremante. “Ti ringrazio per essere stato
sincero e per aver messo in chiaro le cose fin da subito.” Deglutì
a fatica. “Ora però, scusami, non riesco a stare ancora qui.”
sorrise in difficoltà, alzandosi velocemente dal letto, asciugandosi
le lacrime come poteva. “Devo stare da sola e metabolizzare. Per
quanto io capisca che sia giusto, non riesco a non...” Si bloccò,
probabilmente per un singhiozzo che riuscì a reprimere. “Insomma...”
sospirò, in difficoltà e Tom sorrise appena, comprensivo.
“Non ti preoccupare,
Keri. Non mi devi dare spiegazioni, è comprensibile.” fece con
gentilezza.
Era incredibilmente
dispiaciuto.
Keri annuì ancora,
prima di alzarsi dal materasso e dargli le spalle. Tom si affrettò
ad accompagnarla alla porta.
“Comunque grazie.”
mormorò lei, prima di aprirla. “Mi hai dato modo di ricredermi un
po' sul genere maschile. Avevo perso completamente la fiducia. Sono
contenta esistano ancora ragazzi come te.” La voce le tremava
incredibilmente e se non fosse corse immediatamente via, immaginava
sarebbe scoppiata a piangere contro la porta. “Ciao.” concluse
prima di uscire velocemente.
***
I giorni seguenti forse
furono anche più duri. Ingie e Tom erano incredibilmente felici,
passavano le ore a coccolarsi ed a recuperare tutto il tempo perso.
Eppure, il fatto di doversi ancora nascondere fu devastante.
Amanda aveva accolto la
notizia con entusiasmo ma non si era risparmiata dal mettere in
guardia Ingie sul fatto di lasciare Luke il prima possibile. Ingie,
dal suo canto, era sempre più restia all'idea e ciò le faceva
paura. Da una parte aveva timore di lasciarlo, dall'altra sentiva la
pressione di Tom e non voleva deluderlo di nuovo. Quella volta
avrebbe dovuto fare molta attenzione a giocare bene le sue carte se
non voleva che se ne andasse di nuovo. Non poteva permetterselo; non
ora che stavano finalmente bene, di nuovo insieme. Non voleva
rovinare tutto di nuovo, come sempre.
Bill aveva preso la
notizia nel migliore dei modi. Dapprima distaccato, l'aveva poi
stretta a sé con l'affetto che ricordava, quello che aveva sempre
riservato a lei. Ed era inutile dire quante lacrime fossero sgorgate
dai loro occhi, sotto lo sguardo sereno di Tom. Anche loro si erano
concessi del tempo per recuperare il loro rapporto, le loro
chiacchierate, i loro scherzi.
Ingie non credeva
possibile stesse accadendo tutto ciò. Le sembrava di essere stata
catapultata nuovamente al periodo in cui alloggiava allo studio di
registrazione, a Berlino. Si sentiva pervasa da una nuova felicità,
una felicità che con Luke non aveva mai provato. Una felicità così
forte da farle venire voglia di piangere.
***
Page sembrava distrutta.
Ingie la scrutava con sospetto, durante le prove, come per capire che
diamine le passasse per la testa. Non le aveva più parlato dal
giorno in cui avevano scoperto della sua gravidanza. Non sapeva se
avesse mantenuto l'intenzione di non rivelare nulla ad Anthony, non
sapeva se avesse continuato a pensare all'aborto, o peggio, non
sapeva se l'avesse già portato a compimento. Quell'ultimo pensiero
le aveva fatto gelare il sangue. Le profonde occhiaie, il viso
sbattuto, la stanchezza, la tristezza negli occhi erano sintomi che
potevano significare qualunque cosa. La vedeva faticare nel portare a
termine una singola coreografia, nel fare cose che nella completa
normalità avrebbe realizzato senza problemi.
Milo, dal suo canto,
pareva più sereno del solito. Probabilmente la notizia
dell'allontanamento fra Tom e Keri l'aveva incentivato seppur in
piccola parte. Forse era riuscito a vedere quella piccola speranza
che da sempre aveva ignorato. Ingie non smetteva nemmeno per un
secondo di dargli forza e coraggio; avrebbe gioito dal profondo del
cuore per una loro ipotetica relazione.
Ty sembrava
particolarmente tranquillo e nessuno sapeva se avesse già chiesto a
Jane di sposarlo ma dell'anello al dito nessuna traccia. Ingie si era
chiesta il motivo.
Sid, di tanto in tanto,
mandava loro messaggi incoraggianti, in cui faceva anche loro sapere
di tutti i suoi progressi con il centro di riabilitazione. Roy gli
aveva dato forza manifestando la propria volontà di riaverlo nella
compagnia una volta portata a termine la terapia.
Ingie credeva di
trovarsi in un mondo parallelo dove tutto era ovattato e quasi
surreale. Ancora si chiedeva se tutti quei cambiamenti fossero reali.
***
Aveva deciso di
parlarle. Doveva assolutamente sapere ed il silenzio da parte della
ragazza era snervante.
A grandi passi,
raggiunse la porta della stanza di Page e con vigore bussò, in
attesa. Quando i secondi passarono senza alcuna risposta, bussò di
nuovo, nervosa.
Nulla.
Si passò una mano alla
fronte lievemente umida. Aveva visto Anthony in giardino, motivo per
cui non potevano essere assieme. Dove diavolo poteva essere?
Cominciò a respirare in
maniera irregolare mentre componeva il numero di telefono della
bionda. Anche quello squillava a vuoto.
Cristo.
Aveva paura che la
ballerina avesse preso la terribile decisione. Per quanto diritto
avesse nel farlo, Ingie non riusciva ad accettarlo. Forse perché in
mezzo a tutto quell'apparente dolore, aveva letto anche una piccola
luce di amore negli occhi azzurri di Page. Forse una piccola nota di
orgoglio aveva pervaso quelle iridi prima di giungere alla
realizzazione del problema.
Doveva trovare Tom.
Si voltò e prese a
camminare velocemente nella direzione opposta, fino a che quasi non
sfondò la porta del ragazzo, il quale le aprì in semplici pantaloni
da ginnastica.
“Ti devo chiedere un
favore.” esclamò di fretta facendogli aggrottare la fronte.
“Che succede? Mi fai
preoccupare.” mormorò lui.
“Devi accompagnarmi
subito in ospedale.” spiegò nervosamente.
Il ragazzo sgranò gli
occhi.
“Che cos'hai?”
domandò in ansia.
“Io nulla, posso
spiegarti in macchina perché ho paura di non fare in tempo.”
Tom corse in camera ad
indossare una maglia ed una giacca, poi uscì di corsa, dietro la
mora. Gli sguardi curiosi dei ragazzi, al piano terra, furono
inevitabilmente snervanti ma riuscirono ad evitare domande con una
certa abilità. Quando Tom mise in moto, Ingie provò a richiamare
Page.
Ancora nulla.
“Mi spieghi cosa sta
succedendo?” chiese a quel punto Tom, concentrato sulla strada che
sfrecciava veloce sotto di loro.
“Ricordi il test? Era
di Page.” spiegò lei, in ansia.
Odiava correre in
macchina, stava male e le riportava alla mente solo brutti ricordi,
ma ciò che doveva assolutamente fare l'aiutava a mantenere la giusta
lucidità.
“Page è incinta?”
fece lui, colpito.
“Sì ma vuole
abortire. Non risponde al telefono e non è da nessuna parte. Credo
sia andata in ospedale senza dire niente a nessuno. Nemmeno Anthony
lo sa.”
“Che cosa?”
“Già. È fuori di sé,
non è lucida. Io ho paura possa pentirsene. Dice di non avere le
basi per crescere una vita ma io ho visto la sua espressione, Tom. Io
so che vuole questo bambino.” Sfrecciarono a tutta velocità fra le
altre macchina, fino ad arrivare a destinazione. Quando scesero
dall'auto, entrambi corsero in ospedale dove una fila di dottori o
infermiere cercarono di fermarli. “Mi scusi, è urgente. Devo
raggiungere una mia amica.” spiegò Ingie con calma fino a che non
riuscì a farsi dire il reparto interessato.
In nemmeno un minuto lo
raggiunsero.
Aveva paura fosse tropo
tardi ma in lontananza vide un cespuglio di capelli biondi, in sala
d'attesa, in completa solitudine. Ingie fece un sospiro di sollievo e
prese ad avvicinarsi con calma, seguita da Tom.
Non appena Page sollevò
gli occhi su di loro, li sgranò.
“Che cosa fai qui?”
domandò agitata. “E lui?” indicò poi il chitarrista.
“Mi ha accompagnato in
macchina. Dovevo fare presto.” spiegò la mora. “Sapevo di
trovarti qui.” sorrise appena.
Page distolse lo
sguardo, forse imbarazzata.
“Non volevo accadesse
quello che invece sta accadendo.” borbottò senza celare l'ansia.
“Perché, credi che
non me ne sarei accorta?” fece Ingie per poi sedersi accanto a lei.
Tom rimase in piedi, vicino a lei. “Page, sei veramente consapevole
di ciò che stai facendo?” le domandò con calma. La bionda non
rispose; deglutì semplicemente. “È vero, forse questo bambino non
ha le basi migliori per venire al mondo, ma tu lo vuoi
disperatamente, te lo si legge negli occhi.” Li vide farsi lucidi.
“Tu sei davvero pronta a rinunciare ad una cosa simile? Sei davvero
pronta a portarti dietro questo peso per tutta la vita? La perdita di
un lavoro si può superare, quella di un figlio no, Page.”
Vide una lacrime
scorrere lungo la guancia della bionda.
“Te l'ho già detto,
siamo giovani ed inesperti.” spiegò con voce tremante.
“E con questo? Pensi
che tutte le mamme abbiano cominciato da esperte? Si impara solo
vivendo, ormai dovresti saperlo.”
“Non è solo una
questione di talento naturale. Io parlo anche dal punto di vista
materiale.”
“Tutti hanno ricevuto
un aiuto, bene o male. Avete dei genitori che inizialmente vi possono
dare una mano. Voi avete il tempo di trovare un lavoro migliore e
mettere da parte i soldi necessari. Tutti hanno fatto sacrifici per i
propri figli, non sareste né i primi né gli ultimi.” Si prese un
momento di pausa prima di riprendere il discorso. “Odiassi i
bambini, non volessi figli nella vita, capirei benissimo. Ma tu già
ami questo bambino. Non fare cazzate, Page, ti prego.”
Page non riuscì a
trattenere un singhiozzo.
“Ho paura.” mormorò,
asciugandosi le lacrime con dita tremanti.
“Chi non ne ha avuta?”
sorrise Ingie, comprensiva. “Ti prego, Page.”
La porta di fronte a
loro si aprì, facendoli sobbalzare.
“Page Evans?” chiese
l'infermiera. Page annuì spaurita. “È il suo turno.” le
comunicò con incredibile controllo.
Il cuore di Ingie prese
a battere all'impazzata.
“Page.” la chiamò
con ansia. La bionda stette immobile per qualche attimo. Ingie
cominciò a sperare. “Page.” ripeté fino a che non la vide
sospirare appena, sollevandosi dalla sedia.
Ingie aggrottò al
fronte confusa quando Page si girò verso di lei con un sorriso amaro
sul volto.
“Grazie, Ingie. Sei
una grande amica.” sussurrò prima di seguire l'infermiera in sala.
“Page!” esclamò
Ingie, sollevandosi di scatto dalla sedia.
“Mi scusi, signorina,
lei non può entrare.” la fermò la donna, prima di chiudere la
porta.
Ingie era immobile
davanti alla porta con occhi sgranati. Le mani le tremavano, il cuore
ancora batteva furioso nel petto. Era semplicemente incredula.
“Dio.” sentì
mormorare Tom alle sue spalle, prima che poggiasse le mani sulle sue.
“Ingie...”
“Io non ci credo.”
soffiò quasi scioccata. “Io... Io credevo... L'hai vista, sembrava
quasi convinta!” esclamò cominciando a percepire le lacrime calde
scorrere lungo le guance.
Tom la prese forte per
le spalle e la fece girare verso di lui.
“Ingie.”
“No, lei... Lei aveva
cambiato idea!”
Pronunciava frasi
sconnesse ma il chitarrista si fece più vicino, scuotendola appena.
“Ingie, tu hai fatto
il possibile. Hai fatto tutto ciò che era in tuo potere. Ma la
decisione rimaneva sua.” cercò di spiegarle con dolcezza. “Non
puoi farci nulla.”
“No, Tom, non è così
che deve andare!”
“Ingie, se non si
sente di crescere questo bambino, noi non possiamo fare nulla. Tu non
hai nulla da rimproverarti, ci hai provato fino all'ultimo. Alla fine
è una sua scelta e deve farci i conti, prima o poi.” Le prese il
viso fra le mani e lo carezzò, scostandole i capelli. “Capito?”
le baciò la fronte. “Non sentirti in colpa. Tu ci hai provato in
tutti i modi e lei l'ha apprezzato.”
“Se ne pentirà.”
chiuse gli occhi, brucianti.
“Può darsi. Ma quello
purtroppo sarà qualcosa che dovrà affrontare solo lei. Sai meglio
di me quanto certe decisioni debbano farti fare i conti con la
realtà.” Ingie sbuffò, asciugandosi le lacrime, quando sentì le
braccia di Tom avvolgerla. Rifugiò il viso sul suo petto. “Dai. La
aspettiamo qua fuori.” le disse prima di darle un altro bacio sui
capelli.
***
Non seppe dire quanto
tempo passò, sapeva solo che l'attesa fu devastante. Seduti in sala
d'aspetto, Tom l'aveva stretta a sé per tutta la durata
dell'intervento. Ingie aveva smesso di piangere da un bel pezzo ma la
delusione ed il dolore erano ancora lì, vivi. Non credeva possibile
che Page avesse portato a termine la sua decisione. Non dopo quel
breve momento di esitazione che le aveva letto negli occhi.
Quando la porta si aprì
di nuovo davanti a loro, si alzarono immediatamente in piedi. Una
fitta le attraversò il cuore non appena vide uscire una Page a dir
poco distrutta. Le si avvicinò e la strinse immediatamente a sé
senza ricevere risposta. Era un'automa.
“Andiamo.” fu la
sola cosa che si sentì di dire poiché il magone era tornato a farle
visita.
Tom si tolse la giacca e
la poggiò sulle spalle della bionda prima di uscire dall'ospedale.
Quando arrivarono alla macchina, Page si sdraiò sui sedili
posteriori ed Ingie restò con lei, con la sua testa sulle gambe. Per
tutto il tempo le carezzò i capelli e poté osservarla reprimere le
lacrime, con gli occhi chiusi.
Nessuno disse una parola
fino all'arrivo in hotel.
“Non voglio vedere
Anthony.” mormorò all'improvviso Page, di nuovo seduta ma lo
sguardo ancora fisso nel vuoto e del tutto spento.
Ingie e Tom si
scambiarono un'occhiata.
“Passiamo dal retro.”
le disse Ingie con delicatezza, aiutandola a scendere dall'auto.
“Io passo da qui,
almeno lo tengo un po' occupato.” fece Tom.
“Grazie.” mormorò
la mora, grata del suo aiuto.
Accompagnare Page in
stanza non fu facile. La bionda sembrava intenzionata a lasciarsi
andare, senza scopo nella vita e Ingie sapeva si trattasse dei
sintomi post-aborto. Quello che sperava con tutto il cuore era che
non si presentasse la depressione.
***
Passò una settimana.
Page pareva avesse superato per quanto possibile l'accaduto, benché
non mancassero sguardi tristi e malinconici, di tanto in tanto.
Anthony, ovviamente, non aveva saputo nulla ed Ingie si chiese come
la ragazza avesse fatto a nascondere una verità così grande ed a
fingersi felice come sempre. Si chiedeva cosa le dicesse la mente, se
provasse sensi di colpa nonostante tutto. Eppure sembrava forte,
sembrava decisa ad ingoiare il groppone. Una cosa che le aveva
chiesto era di non parlare mai più dell'accaduto ed Ingie non aveva
potuto fare altro che rispettare la sua scelta.
***
Mancava solamente una
settimana alla fine del programma e tutto sembrava così strano ed
incredibile. Ingie non poteva ancora capacitarsi di quanto dolore
avesse provato durante quell'esperienza e solo ora cominciava a
godersela, assieme a Tom. Luke non si era ancora fatto vedere e non
sapeva nemmeno quando l'avrebbe fatto, poiché non le aveva riferito
nulla.
Quella sera una nuova
esibizione l'aveva attesa. Quella sera aveva finalmente ballato
davanti a Tom senza paura di guardarlo negli occhi. Quella sera aveva
ballato per lui. Vi era stato un momento solamente loro, in cui si
erano scrutati con tutto l'amore che provavano l'uno per l'altra. Il
pubblico era svanito improvvisamente e tutto era parso più facile e
sereno.
A fine puntata, tutti i
ballerini erano tornati in camerino, pronti per rivestirsi e tornare
in hotel. Amanda finalmente era tornata e quella volta assieme a Lily
e David, per la felicità della mora. Rivedere la bambina fu per lei
quasi incredibile; era cresciuta nonostante non la vedesse da poco
tempo. Tom l'aveva tenuta in braccio ed Ingie non aveva potuto fare a
meno di osservarlo con adorazione. E si sorprese quando si ritrovò a
pensarlo nelle vesti di genitore, con un loro ipotetico bambino.
Aveva cancellato immediatamente quell'immagine ma l'idea non le era
dispiaciuta.
Improvvisamente,
passandole accanto, il chitarrista le sussurrò all'orecchio “bagno”.
Probabilmente avrebbe voluto passare qualche minuto solo con lei,
lontani dagli altri che non avrebbero dovuto conoscere la verità,
almeno per il momento.
Si affrettò a
raggiungere la destinazione e non fece in tempo ad aprire la porta
che Tom l'aveva già trascinata dentro richiudendo la porta.
Ridacchiò quando prese a baciarla con dolcezza.
“Noto con piacere che
non riesci a starmi lontano per più di due minuti.” mormorò lei
sulle sue labbra.
“Anche tu morivi dalla
voglia di stare sola con me, te lo leggevo in faccia.” la stuzzicò
lui, mordicchiandola.
“La tua faccia tosta è
degna di nota.”
“Lo so.”
Scese a baciarle il
collo, carezzandole una gamba con la mano, mentre con l'altra la
stringeva a sé.
Ingie sentì un brivido
percorrerle la schiena.
“Tom.” lo avvertì
con tono severo. “Primo, siamo in un bagno pubblico, sarebbe
disgustoso. Secondo, gli altri ci darebbero per dispersi.”
Lo sentì sbuffarle
sulla pelle.
“Rovini sempre tutto.”
borbottò per poi guardarla negli occhi, deluso.
“Beh, sarebbe stato
molto romantico effettivamente.” commentò lei con sarcasmo. Gli
stampò un bacio sul pomo d'Adamo, facendolo deglutire. “Sai, adoro
vedere come ti comporti con Lily.” sorrise poi, incapace di
nasconderglielo.
Lo vide sorridere a sua
volta, forse lievemente in imbarazzo.
“Da quando è nata, mi
sono accorto che mi piacciono i bambini.” ammise, grattandosi la
nuca con fare impacciato. “Adoro coccolarla.”
Ingie lo abbracciò,
chiudendo gli occhi. Si lasciò stringere e sorrise.
“Sembri un'altra
persona con lei.” sussurrò. “Potrei farci l'abitudine.”
Lo sentì ridere appena,
sotto il suo viso.
“Niente bambini per
ora.” esclamò divertito ed Ingie arrossì immediatamente.
“Nemmeno ci pensavo.”
mentì senza staccarsi da lui.
“Voi donne siete
pericolose quando cominciate a parlare dei bambini degli altri.”
“Tranquillo.”
borbottò lei. Rifletté per qualche istante prima di parlare di
nuovo. “Hai detto per ora.”
“L'ho detto.”
confermò lui. Ingie sollevò lo sguardo su di lui con aria
interrogativa. “Beh, prima o poi dovrò smettere di fare il
Playboy.” sdrammatizzò, facendola sorridere.
“Sarà meglio tornare.
Non vorrei si insospettissero.” decise di cambiare discorso la
mora.
“Torno prima io.”
disse Tom.
“Perché, di grazia?”
“Perché voi ragazze
avete bisogno di due vite per uscire dal bagno ogni volta, quindi è
più credibile.” Non fece in tempo a ribattere che il chitarrista
riprese a baciarla con trasporto. “Ti amo.” sussurrò ed il suo
cuore fece una capovolta.
Non era abituata a
sentirselo dire così all'improvviso. Tom era in grado di
sorprenderla ogni volta. Era in grado di emozionarla in ogni momento.
Da giocoso, diveniva improvvisamene serio e dolce. Era un ragazzo
dalle mille sfaccettature ed era una cosa che lei adorava.
“Anche io.” rispose
come un'automa, prima che lui uscisse dal bagno.
Cercò di far tornare a
battere il suo cuore in modo tale da non rischiare l'infarto e, dopo
aver atteso qualche attimo, uscì anche lei. Quella situazione era
decisamente difficile da tenere nascosta.
Improvvisamente, il
mondo le crollò addosso. Si era immobilizzata poco prima di varcare
la soglia del camerino: Luke era di fronte a lei, che chiacchierava
animatamente con Ty. Non appena la vide, si illuminò in un gran
sorriso e le venne in contro per baciarla e stringerla a sé. Tom
vide tutto.
“Mi sei mancata.”
sussurrò al suo orecchio, senza lasciarla andare. Le venne da
vomitare. Si sentiva così schiacciata dai sensi di colpa che sentiva
di sporcarlo solo con la sua vicinanza. “Sorpresa? Non ti avevo
detto apposta del mio arrivo. Volevo non te lo aspettassi.” le
disse entusiasta, tornando a guardarla negli occhi.
“Beh, sai come
sorprendermi.” mormorò lei incerta, cercando con la coda
dell'occhio la figura del chitarrista.
Questo aveva preso a
parlare con Bill, David e Amanda facendo finta di nulla.
“Sarei dovuto venire
per l'ultima puntata ma sono riuscito a farmi dare una settimana.
Così stiamo insieme e torno in America con te.”
Perché sei così
perfetto? Si chiese nella testa. Forse era proprio quello che non
l'aveva fatta innamorare di lui ma solo sviluppare un forte affetto.
Era l'eccessiva perfezione in tutto ciò che faceva. Era buono; forse
troppo. Tom invece era pieno di difetti ma lei li amava, uno ad uno.
Erano anche quelli che lo rendevano speciale, che lo rendevano il suo
Tom.
“Mi sembra una buona
idea.” si sforzò di sorridere lei.
“È un'ottima idea!”
esclamò lui per poi stamparle un altro bacio sulle labbra.
***
Aveva finto di dormire,
una volta a letto, apposta per non far venire qualche strana idea a
Luke. Sapeva che lui avrebbe avuto intenzione di recuperare il tempo
perso con lei ma, ovviamente, non se la sentiva. Non aveva nemmeno
avuto occasione di dare a Tom la buonanotte e ciò l'aveva disturbata
perché non sapeva di che umore l'avesse lasciata. Luke si era chiuso
in bagno e lei ne aveva approfittato per fingere di dormire.
Non appena lui uscì, si
infilò sotto le coperte accanto a lei. Ingie rimase immobile con il
cuore impazzito. Non sapeva cosa sarebbe accaduto e pregò perché
non prendesse l'iniziativa come sempre: non poteva farlo di nuovo
pensando a Tom. Ma le sue preghiere evidentemente non vennero
ascoltate.
Il ragazzo aveva preso a
carezzarle un fianco e non passò molto prima che le posò le labbra
sul collo.
“Luke.” mormorò lei
ma lui non si fermò. “Luke, sono stanca.” provò mentre lui la
voltava con il busto verso l'alto.
“Ma è tanto che non
stiamo insieme.” ribatté lui, continuando a baciarla ora sul
collo, ora sulle labbra.
“Lo so ma stasera non
me la sento.” insistette lei. “Ti prego, Luke.” ripeté
decisamente più ferma, cosa che lo portò a staccarsi da lei,
basito.
“Che cos'hai?” le
domandò sospettoso.
“Niente, sono solo
stanca, davvero. Sai come sto dopo le puntate.”
“Come vuoi.”
borbottò lui, dandole le spalle.
Non si mosse più.
Ingie si sentiva uno
straccio.
***
Avevano deciso di
prendere un caffè tutti insieme, proprio come una volta. Si erano
accorti di aver trascorso tanto tempo a lavorare ma non a divertirsi.
Ingie, Ty, Milo, Adam,
Page e Keri, sedevano al tavolo, intenti a chiacchierare fra di loro
con trasporto.
La mora adorava quei
momenti; riteneva fossero necessari in un gruppo.
Page faceva il possibile
per comportarsi nella maniera più naturale e spensierata possibile;
Keri sembrava anche lei intenzionata a dimenticare Tom una volta per
tutte, nonostante fosse palesemente arduo per lei; Adam aveva
finalmente accettato l'eterosessualità dei gemelli ed aveva
immediatamente spostato la propria attenzione sul barista sexy –
probabilmente etero anche lui; Ty alla fine non aveva dato l'anello
di fidanzamento a Jane. Aveva deciso fosse troppo presto ma
soprattutto si era accorto di quanto sbagliata lei fosse per lui,
così le aveva chiesto una pausa. Inutile dire con che velocità lei
aveva insinuato fosse colpa di Ingie. Infine vi era Milo. Milo non
aveva superato l'intera vicenda di Keri. Ancora una piccola parte di
lui sperava che lei aprisse gli occhi e lo notasse; eppure ciò non
era ancora accaduto. Si era detto di avere pazienza, ma la pazienza
cominciava a vacillare.
Tutti in quella
compagnia avevano avuto le loro esperienze, i loro dolori – incluso
Sid – e tutti avevano visto la propria vita evolversi in qualche
strana direzione che probabilmente nessuno avrebbe mai immaginato.
Ecco cosa li accomunava e li rendeva ancora più forti di prima.
Ingie pregò perché
quella quiete fra loro mai svanisse.
***
Vieni da me, ti devo
parlare.
Quel messaggio non
prometteva nulla di buono. Qualcosa dentro di lei aveva cominciato a
macchiarsi di paura e non era sicura di voler sapere cosa il
chitarrista avesse da dirle. Si voltò verso il letto ed adocchiò
Luke dormire, davanti alla televisione accesa. Erano solo le quattro
del pomeriggio ma il fuso orario l'aveva destabilizzato.
Senza fare troppo
rumore, uscì dalla stanza e si affrettò a raggiungere quella di
Tom. La fece entrare senza nemmeno salutarla.
“Mettiamo le cose in
chiaro, giusto per sapere.” esordì il ragazzo con serietà mentre
richiudeva la porta alle sue spalle. “Quanto deve andare avanti
questa storia?” domandò osservandola attentamente negli occhi.
“Quale storia?” si
finse ignara lei.
“Non prendermi per il
culo, sai benissimo quale storia.” tagliò corto lui. “Per quanto
tempo ancora dobbiamo giocare agli amanti, mentre tu continui la tua
bella storia con Luke?”
“Ti ho chiesto un po'
di tempo.”
“Di tempo te ne ho
dato anche troppo. Quando mi hai chiesto del tempo pensavo una
giornata andasse più che bene. Non credevo questo includesse anche
una notte insieme. Io come faccio a stare tranquillo?”
“Tom, tu devi stare
tranquillo. Ti ho giurato che avresti potuto fidarti nuovamente di
me.”
Tom si prese qualche
attimo prima di proseguire.
“Guardami negli occhi,
Ingie.” la sua voce tremava. “Avete fatto sesso?” fu la domanda
diretta che la spiazzò.
“No, Tom.” si
affrettò a chiarire sorpresa, avvicinandosi lievemente a lui. “Lui
ci ha provato ma io l'ho respinto con una scusa, te lo giuro.”
spiegò con un piccolo sorriso, sperando di tranquillizzarlo.
Il chitarrista si passò
una mano sul viso.
“Possiamo fare in modo
che non ci provi più?” chiese spazientito. “Riesci a lasciarlo
prima che io invecchi, per favore?”
La sua non era cortesia,
era impazienza malcelata.
Ingie sospirò.
“Faccio il possibile,
Tom.” mormorò.
“No, tu non stai
facendo nulla, è questo che mi fa imbestialire!” esclamò lui,
gesticolando eccessivamente. “Da quando è tornato, non hai
minimamente accennato al fatto che non potete più stare insieme. Ti
sei comportata con lui esattamente come ti comportavi prima. Ti sei
lasciata baciare, ti sei lasciata toccare. Come pensi che mi possa
sentire io?”
Ingie si rese conto di
quanto difficile potesse essere per lui sopportare fingendo
indifferenza. Sapeva che il suo istinto era quello di mettere le mani
addosso a Luke ma che non lo faceva per lei, poiché gli aveva
assicurato di allontanarlo in breve tempo.
Aveva ragione,
effettivamente era così. Non poteva portare avanti quella storia con
Luke e far fare a Tom la parte dell'amante. Era ingiusto per
entrambi. Ma come avrebbe potuto lasciare il biondo? Con quali parole
o giustificazioni?
“Scusami.” le venne
spontaneo dire. “Non volevo farti stare di nuovo male.”
Tom la scrutò per
qualche istante, poi – come fosse impaziente – la strinse a sé,
carezzandole ripetutamente i capelli.
“Non sopporto che ti
tocchi. Non sopporto che lui creda ancora che tu sia sua.” ammise
lui quasi in imbarazzo. “Penso di averne il diritto.”
Ingie non rispose,
semplicemente sollevò il viso e si alzò in punta di piedi per
baciarlo sulle labbra. Lui la immobilizzò a sé con le mani sul suo
viso ed approfondì il bacio.
Stavano maledettamente
bene insieme, forse più di prima, e sapeva perfettamente che la loro
felicità dipendeva solamente da lei. Potevano costruire qualcosa di
solido, lo sentiva. E non vedeva l'ora di farlo.
***
L'ultima puntata si era
avvicinata ad una velocità inaspettatamente folle. Probabilmente
lavorare sodo per tutta la settimana, tutte quelle ore, faceva loro
perdere la cognizione del tempo. Per tutti quei motivi, Ingie non
aveva ancora lasciato Luke. Non perché non volesse ma perché
trascorreva il suo tempo in sala prove, per poi tornare in albergo la
sera troppo stanca per parlare. Non aveva nemmeno avuto modo di
trascorrere del tempo con Tom – non quanto prima – poiché Roy,
per quella finale, li aveva distrutti.
Come sempre Ingie aveva
osservato Tom e Bill attraverso il piccolo schermo che tenevano in
camerino ed aveva riso a tutte le battute fuori luogo o meno che
facevano ad ogni esibizione. Percepiva il proprio cuore battere
all'impazzata ogni volta che semplicemente lo guardava o sentiva la
sua voce. Quello era il vero amore; una sensazione che in tutta la
sua vita aveva provato solamente con lui. E non vedeva l'ora di poter
finalmente lasciarsi andare con lui come desideravano. Ora come ora,
stava persino pensando di trasferirsi a Los Angeles con lui.
“Ingie e Milo, tocca a
voi.” li chiamò ad un tratto un tecnico.
I ragazzi si sorrisero
e, per mano, raggiunsero le quinte. Gliela strinse forte; il solo
pensiero di abbandonarlo la rendeva triste ma la vita proseguiva per
tutti.
“Sai, Milo, non so se
te l'ho mai detto... Ti voglio davvero bene.” mormorò senza
guardarlo.
Sentì la sua mano
stringere allo stesso modo.
“Anche io, Ingie.”
Sotto l'applauso del
pubblico, fecero la loro entrata.
***
Erano tornati in albergo
distrutti. Ingie non poteva credere fosse tutto finito; ora un po' di
timore si era presentato. Ciò voleva dire che il momento di prendere
una decisione era ormai giunto ma si disse di pensarvi il mattino
seguente, quando i suoi neuroni avrebbero retto.
“Ci facciamo una
chiacchierata fuori, che dici?” le propose Amanda. Lily era già a
dormire con David e la bionda ne aveva approfittato per passare un
po' di tempo con l'amica. Ingie aveva accettato di buon grado, con il
pacchetto di sigarette in mano. Quando si sedettero sul dondolo
trascorsero pochi istanti in cui si udì solamente il rumore
dell'accendino. “Hai riflettuto bene su quella cosa?”
Sapeva che Amanda si
riferisse al trasferimento a Los Angeles.
“Sì, ci sto
riflettendo ed effettivamente credo che sia una buona idea.”
mormorò, sbuffando un po' di fumo.
“E come farai con la
compagnia?”
Ingie scosse appena la
testa fissando il vuoto.
“Non lo so.”
mormorò. L'idea di lasciare quelle persone era insopportabile ma
doveva pensare anche a Tom. Avevano sofferto così tanto separati che
sentiva di avere bisogno di dedicare un po' di tempo anche a loro,
quella volta. “Io amo Tom in maniera incondizionata e ciò che
vorrei in questo momento è definire il nostro rapporto una volta per
tutte. Recuperare tutto il tempo perso, tornare ad essere felici come
lo eravamo a Berlino.”
“E sai anche che non
puoi farlo continuando a tradire Luke, vero?”
“Certo che lo so.
Credimi, Amanda, sto solo cercando il momento giusto che sembra non
arrivare mai. Vi è sempre qualche contrattempo o qualcun altro di
mezzo.”
“Tom ha subito
allontanato Keri però.”
“Loro non stavano
nemmeno insieme. Era più facile che lo facesse.”
“No. Lui l'ha fatto
solamente perché ti ama tanto. Perché non glielo dimostri anche
tu?”
Ingie la scrutò qualche
istante in silenzio. Il suo discorso, come sempre, non faceva una
piega.
“Lo sapevo!”
Quell'urlo le fece gelare il sangue. Si voltò di scatto in quella
direzione ed un enorme masso sembrò precipitarle sulle spalle quando
vide Keri raggiungerla con rabbia. Che avesse sentito tutto? “Ma
che razza di amica sei?!” esclamò la bionda con le lacrime agli
occhi.
“Keri...” provò
Ingie, che ancora non capiva cosa fosse successo.
“Sapevo che c'era
qualcosa! Avevo dei dubbi già da un po' di tempo ma li ho sempre
ignorati!”
Ingie si sollevò dal
dondolo assieme ad Amanda e prese ad avvicinarsi appena, con le mani
alzate.
“Ascolta, Keri...”
“Sta zitta!” strinse
le palpebre la bionda. “Io mi sono sempre fidata di te mentre tu
non hai fatto altro che giocare sporco alle mie spalle!”
“Keri, ascoltami, non
è così. Io sono sempre stata sincera quando si trattava di te e
Tom, sai quanto io ti abbia aiutato.”
“Sì e intanto te la
facevi con lui alle mie spalle!”
“No, è successo tutto
dopo, quando lui ti ha detto che non potevate stare insieme!”
“E tu non mi hai detto
niente! Hai giocato a tuo favore!”
“No, Keri, io con Tom
avevo già avuto una storia prima che tornassi in America dalla
Germania ma non l'ho mai detto a nessuno. Io lo conoscevo già.”
Keri si prese la testa
fra le mani.
“Dio.” sussurrò.
“Dio mi sento un'idiota. Mi sono fatta prendere in giro da due
persone nello stesso momento.”
“Keri, non è così.”
“Ti credevo una
persona corretta.” concluse la bionda prima di correre di nuovo in
hotel.
Ingie scrutò in
agitazione Amanda, quando all'improvviso una paura del tutto nuovo la
pervase.
“Luke.” mormorò
prima di scattare anche lei verso l'hotel. Salì le scale a tutta
velocità, saltandone qualcuna di tanto in tanto, fino a che non
raggiunse il suo piano. Un colpo al cuore quando vide il biondo
aprire la porta a Keri. “Luke!” esclamò, correndo verso di loro.
“Keri, ti prego.” la implorò in ansia.
Non era così che il
biondo doveva venire a sapere la verità. Luke le osservava basito,
probabilmente curioso di sapere cosa stesse succedendo.
“Deve sapere con che
persona disgustosa perde il suo tempo! Visto che tu non hai perso
tempo a prenderlo in giro fino ad ora!” ribatté con rabbia la
bionda.
Attorno a lei sentì le
porte aprirsi, rivelando i suoi compagni di ballo, compresi Tom, Bill
e David. Amanda l'aveva raggiunta alle spalle. Si chiese come fosse
finita in quella situazione, davanti a tutti.
“Che cazzo devo
sapere?” domandò Luke direttamente ad Ingie, nervoso.
“Avanti, digli quanto
sei ipocrita.” continuò Keri con le lacrime agli occhi. “Digli
quanto hai finto di aiutarmi con Tom quando in realtà te la facevi
con lui già da tempo.”
Ingie si sentì trafitta
da una lama e vide Tom avvicinarsi velocemente ed afferrare Keri da
dietro.
“Ora basta, Keri, stai
esagerando!” esclamò.
“No, basta tu,
idiota!” intervenne Luke, spintonandolo ed Ingie si spaventò. “Ci
sei sempre tu di mezzo!”
“Luke.” mormorò la
mora, toccandogli il braccio che il ragazzo allontanò con violenza.
“Non mi toccare tu!”
urlò, rosso in viso dalla rabbia. “Credi che non me ne sia mai
accorto?! Credi che io sia così coglione da non capire che la mia
ragazza non mi ha mai amato?!” La guardò con odio. “Ma che
addirittura mi tradisse per la seconda volta...”
“Luke.”
“Stai zitta!” la
spintonò, facendola finire addosso ad Amanda che la afferrò in
tempo.
“Hey!” esclamò Tom
facendo la stessa cosa alle sue spalle. Quando Luke si voltò di
nuovo, gli sferrò un pugno sul viso.
Tutti urlarono
spaventati ed Ingie si affrettò a raggiungerli.
“Basta!” urlò con
le lacrime agli occhi, cercando di separarli, fino a che Milo non la
portò via di peso. Assisteva a quella scena con terrore, con la
vista appannata e la paura che qualcosa di serio potesse accadere. Ty
cercava di trattenere Luke, Bill faceva lo stesso con Tom ma entrambi
avevano poco successo. Anche Anthony cercò di dare un freno a quella
rissa, sotto lo sguardo spaurito di Page. “Luke, basta!” urlò di
nuovo Ingie con il cuore che minacciava di sfondarle il petto.
“Che succede qui?!”
urlò Roy affrettandosi a raggiungerli. “Hey!” esclamò,
mettendosi in mezzo ai due. “Oh ma siete impazziti?! Finitela!”
Spinse Luke
schiacciandolo con la schiena al muro mentre Tom era stato
allontanato da Bill e Ty.
“Io ti ammazzo,
bastardo!” urlò Luke con tutta la rabbia che aveva in corpo.
“Basta!” urlò di
nuovo Roy schiaffeggiandolo. “Finitela con questa sceneggiata!
Siete adulti e vaccinati, cazzo! Vergognatevi!”
Luke si scrollò Roy di
dosso con violenza e si voltò verso Ingie.
“Hai ottenuto quello
che volevi. Spero tu sia contenta ora. Me ne vado.” disse con il
gelo nel tono di voce prima di tornare in camera, sbattendo la porta.
“Si può sapere che
cazzo succede?” domandò a quel punto il coreografo osservando
severamente Ingie.
“Succede che io non
trascorrerò un minuto di più in questa compagnia finché ci sarà
anche lei! O va fuori lei o vado fuori io!” esclamò Keri,
avvicinandosi.
“Perché questa novità
ora?” sbottò Roy.
“Non vi preoccupate.”
mormorò Ingie, portando l'attenzione di tutti su di sé. “Sono io
ad andarmene. D'accordo ho sbagliato, tutta questa storia è nata per
causa mia. Quindi me ne vado io.”
“Cosa?” fece Roy
basito. “Ragazzi, ma state impazzendo tutti quanti?”
“Fatti spiegare da
Keri, sono sicura che lei saprà dirti tutto come si deve.” disse
con cupo sarcasmo, gettando una gelida occhiata alla bionda, prima di
camminare in direzione di Tom. “Andiamocene.” sussurrò
tristemente, prendendolo per mano.
Assieme a Bill, si
chiusero in camera del chitarrista, sotto gli sguardi increduli di
tutti.
***
“Sta fermo.” mormorò
con dolcezza all'ennesimo movimento di Tom.
Da minuti gli tamponava
un pezzo di cotone imbevuto di disinfettante sul labbro spaccato,
causandogli così forte bruciore. Bill era seduto sulla poltrona a
qualche passo, intento ad osservarli in silenzio.
“Mi dispiace sia
successo tutto questo.” sussurrò il chitarrista, osservandola
tristemente negli occhi.
Ingie si limitò a
sorridere e dargli un piccolo bacio sulla guancia.
“Sta tranquillo, va
tutto bene.” cercò di alleggerire la tensione. “Ad ogni modo, è
giusto che sia io ad andarmene.”
“No.” ribatté Tom.
“Sì, invece. Tutto
questo casino è successo a causa mia. E poi, io ci stavo già
pensando sai...” Vide Tom aggrottare la fronte incuriosito. “Sì,
insomma...” Arrossì. “Pensavo che potrei venire a vivere con te
a Los Angeles.”
La felicità pura.
Questo fu quello che lesse negli occhi nocciola del ragazzo che non
aspettò due secondi di più prima di sollevarsi dal letto ed
abbracciarla con tutta la forza che aveva, facendole cadere a terra
il batuffolo di cotone.
“Non potevi darmi
notizia più bella.” mormorò al suo orecchio, sotto lo sguardo
sereno di Bill. “Ti amo. Tanto, Ingie.”
***
Luke, com'era
comprensibile, non le aveva nemmeno dato il tempo di spiegare. Si era
imbarcato sul primo aereo disponibile e l'aveva abbandonata per
sempre. Non era così che aveva immaginato la fine della loro storia
ma forse da una parte era stato un bene. Probabilmente, fosse dipeso
da lei, avrebbe impiegato molto più tempo a porre fine a quella
messa in scena.
Nel frattempo, un'altra
separazione proseguiva: quella dalla compagnia. Milo l'aveva
implorata in tutti i modi possibili di restare, ovviamente invano.
Keri non aveva battuto ciglio e gli altri, nonostante l'accaduto, non
se l'erano sentita di giudicarla negativamente. Avevano semplicemente
rispettato la sua scelta. Roy non era per nulla contento della sua
scelta ma aveva accettato per il bene del gruppo. Non poteva
permettere, da coreografo, di lasciare che si sfasciasse.
Il momento delle valigie
era giunto e Tom le era stato vicino moralmente tutto il tempo.
L'aveva aiutata a riporre tutto in ordine ed aveva cercato di farla
ridere di tanto in tanto. Qualche bacio l'aiutava a sorridere.
Era combattuta. Da un
lato era triste per come le cose si erano sviluppate, dall'altro non
vedeva l'ora di cominciare una nuova vita con Tom.
Si voltò verso di lui
con un piccolo sorriso sulle labbra, mentre ancora cercava di
chiudere la valigia.
“Che c'è?” sorrise
anche lui.
“Niente.” scrollò
le spalle lei.
Il chitarrista la
raggiunse e la avvolse fra le sue braccia per poi stamparle un bacio
sulla tempia.
Sì, poteva stare
tranquilla.
Con lui.
Epilogue
Un suono assordante la
fece svegliare di soprassalto. Si era dimenticata di disattivare la
sveglia ed era solo domenica mattina. Tom, al suo fianco, borbottò e
si mosse appena.
“Fai tacere questo
mostro.” si lamentò, rannicchiandosi il più lontano possibile da
quel suono.
“È dalla tua parte,
spegnila te.” ribatté lei, senza muovere un muscolo.
“Cristo, Ingie!”
esclamò a quel punto lui per poi tirare un pugno sulla sveglia che
smise di strillare, probabilmente rotta.
Ingie sorrise appena,
chiudendo di nuovo gli occhi, pronta per riprendere a dormire. Anche
Tom si accoccolò di nuovo vicino a lei, sospirando.
“Cazzo!”
L'urlo che derivò dalla
sala da pranzo fece loro aprire gli occhi un'altra volta.
“Io giuro che lo
ammazzo. Questa volta rimango seriamente figlio unico.” commentò
il chitarrista, alzandosi nervosamente dal letto.
“Dai, Tom, stai qua.”
mormorò lei, ancora assonnata, allungando un braccio verso di lui.
“No, vado a stenderlo
con una padella, magari si calma.” A quel punto, si alzò anche lei
e lo seguì fino a che non arrivarono in sala dove Bill litigava con
l'aspirapolvere. “Bill!” urlò Tom infuriato, facendo sobbalzare
suo fratello. “Che cazzo stai combinando?!”
“Mi si è rotta
un'unghia per colpa di questo aspirapolvere di merda!”
“Che cazzo ci fai con
un aspirapolvere in mano di domenica mattina?”
“Volevo pulire un
po'.”
Tom restò qualche
attimo in silenzio, poi si voltò di scatto verso Ingie.
“Levamelo da davanti
perché potrei seriamente ucciderlo.”
La mora non poté fare a
meno di ridacchiare. Adorava quei battibecchi giornalieri fra i
gemelli.
Da quando si erano
trasferiti tutti e tre insieme a Los Angeles, le cose andavano a
meraviglia. La sua famiglia li aveva finalmente conosciuti, compresa
la famiglia di Tom. Tutti sembravano adorarsi a vicenda ed Ingie non
poteva chiedere di meglio. In California aveva anche trovato una
nuova compagnia cui era entrata a far parte e per il momento andava
bene così.
Si avvicinò al
chitarrista e lo baciò sulle labbra.
“Sei adorabile quando
ti arrabbi.” disse per sdrammatizzare.
“Allora mi amerai alla
follia perché sto per commettere un omicidio.” ringhiò lui.
“D'accordo, levo le
tende e non pulisco!” sbottò Bill con le braccia al cielo.
“Scusate se vi ho svegliato!” continuò per poi sparire in camera
sua.
“Dai, l'hai fatto
rimanere male.” disse la mora.
“Non mi interessa, la
prossima volta impara a non rompere i coglioni.” ribatté lui
convinto.
“Mmh.” fece lei,
avvicinandosi languidamente. “Io conosco un modo per farti tornare
il buonumore.” sussurrò sensuale e poté vedere il solito sorriso
sghembo apparire sul volto del ragazzo.
“Chissà perché
l'idea mi piace molto.” rispose lui.
“Quindi? Hai
intenzione di stare qua e brontolare?” lo stuzzicò ancora.
“No!” fu la secca
risposta del chitarrista prima di caricarsela sulle spalle come un
sacco di patate e correre di nuovo in camera sotto le sue forti
risate.
Era finalmente serena.
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Siamo giunte alla fine.
Sono sincera, ho dovuto terminare prima la storia perché mi
trasferisco all'estero e non ero sicura di poter scrivere. Così,
siccome mi sarebbe dispiaciuto lasciarla incompleta, ho preferito
passarci tutta la notte. Spero comunque vi sia piaciuto il finale per
questi due cui io mi sono affezionata molto.
Volevo ringraziarvi dal
profondo del cuore per tutto il supporto che mi avete mostrato ad
ogni capitolo. Non smetterò mai di scrivere anche grazie a voi.
Grazie a chi ha inserito
questa storia fra preferite/seguite/da ricordare e soprattutto grazie
alle 90 persone che mi hanno inserito fra gli autori preferiti. Per
me sono una marea. È impensabile.
Grazie davvero.
Spero di rivedervi
presto e fatemi sapere cosa pensate di questa conclusione!
Un bacione a tutti.
Kyra.
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