War and Peace

di I m a witch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dea della pace, dea della guerra ***
Capitolo 2: *** Rigel ***
Capitolo 3: *** Nuovi arrivi al Tempio ***
Capitolo 4: *** Una missione ***



Capitolo 1
*** Dea della pace, dea della guerra ***


 Dea della pace, dea della guerra



L'immensa sala illuminata dalla fievole luce delle fiaccole era gremita di gente. Tra i presenti aleggiava un'atmosfera inquietante, ma nessuno sembrava accorgersene; nessuno tranne due neonate, posizionate sopra l'altare al centro della sala cerimoniale, avvolte in drappi purpurei.
Il loro pianto era l'unico suono che spezzava il silenzio del rito.
Vari sacerdoti dalle vesti dorate ballavano intorno a loro, invocando il favore degli dei. Ad un certo punto interruppero simultaneamente la loro danza. Si presero per mano e alzarono le braccia verso il soffitto, cominciando a recitare preghiere in lingue sconosciute; il loro tono di voce aumentava progressivamente, fino a diventare un urlo, capace di sovrastare il pianto delle neonate. Si interruppero solo quando videro dei segni dorati apparire nella fronte di entrambe le bambine. Si avvicinarono verso di esse, esaminandole e cercando di interpretare quegli strani caratteri.
-Udite udite!- proclamò uno di loro -Le sacre dee della pace e della guerra si sono reincarnate in queste due bambine!-
Bisbigli concitati si sollevarono dall'intera sala. Un solo gesto del Sommo Sacerdote fu capace di riportare il silenzio. Prese due pugnali dorati, uno per mano, e li scagliò contro le neonate. Subito una sfera dorata le avvolse, proteggendole, scagliando lontano i pugnali.
-Avete avuto modo di vederlo con i vostri stessi occhi! Sono loro le predestinate!-
Le bambine vennero sollevate e mostrate a tutti i presenti, i quali si inchinarono immediatamente al loro cospetto. Erano nate due dee; due gemelle, così simili eppure così diverse.

***

Chiunque, osservandola, avrebbe subito capito che non era una qualunque ragazza di vent'anni: capelli castani corti e scompigliati, decorati da due ciocche rosse che sovrastavano la fronte ampia; corpo formoso ma dai saldi muscoli, tesi per l'imminente battaglia. Aveva un abbigliamento insolito per una donna: indossava uno stretto corpetto di pelle molto scollato che le lasciava la pancia scoperta, pantaloni aderenti, anch'essi in pelle e stivali dai tacchi vertiginosi, il tutto rigorosamente nero. Ciò che, tuttavia, colpiva di più in lei era il suo sguardo: i suoi occhi a mandorla, dalla forma vagamente asiatica, neri come le notti senza luna, trasudavano sicurezza; chiunque davanti a quello sguardo era spinto ad inchinarsi al suo cospetto e venerarla. Tuttavia in essa c'era un ché di malvagio, come se degustasse quel timore reverenziale che, inevitabilmente, pervadeva chiunque le fosse innanzi. Erano gli occhi a tradire la sua  vera identità: lei era la reincarnazione della Dea della Guerra, Aika, e da essa prendeva il nome.
-Concentrati, Aika- le disse una voce alla sua destra. Stava fronteggiando cinquanta validi guerrieri, addestrati appositamente in vista di quello scontro. Sorrise sprezzante.
-Li farò fuori in due minuti-
I guerrieri cominciarono a tremare. In fondo Aika li ammirava: non era da tutti sopprimere in quel modo l'istinto di sopravvivenza. Era davvero un peccato che nessuno di loro avrebbe visto l'alba dell'indomani. Beh, se ne sarebbe fatta una ragione. Sfoderò lentamente la sua inseparabile lama, pregustando il fremito dell'attesa che precedeva ogni battaglia.
-Ferma sorella, ti prego!-
Si girò verso l'ingresso. Una ragazza della sua età aveva fatto irruzione. Come diavolo era riuscita a superare le guardie se non era nemmeno in grado di nuocere ad una formica? Oh, già, era vero. Lei aveva l'incredibile capacità di ammaliare chiunque solo con le sue moine. Storse la bocca, disgustata.
-Cosa vuoi, Valise?-
Lei era molto più femminile della sorella. Indossava un aderente abito dorato che metteva in risalto le sue curve, il tutto abbellito da gioielli in oro giallo e smeraldi,  verdi come i suoi occhi a mandorla, la sola cosa che, in essi, la faceva rassomigliare alla gemella. Gli zigomi alti, la bocca carnosa, il naso perfetto la rendevano di una bellezza indescrivibile.
-Sorella, non uccidere questi uomini! Il tuo è un animo nobile, lo so, quindi per favore, non lasciare che si corrompa ulteriormente...-
Aika rise.
-Animo nobile? Se per animo nobile intendi che io non debba avere il coraggio di uccidere, beh, allora non desidero averlo. La mia vita è nel sangue!-
Detto questo si lanciò contro uno dei guerrieri in prima fila.
-No!- gridò Valise, buttandosi a braccia aperte di fronte al soldato, pronta a fargli scudo con il suo stesso corpo. Il guerriero tremava, il sudore gli imperlava la fronte. La spada gli cadde dalle mani e si diede alla fuga.
-E così, sorella, ti diverti a fare da scudo a dei rammolliti come loro?- le chiese, sarcastica.
Aika era indignata. In quel momento persino lei provò reverenza nei suoi confronti. La gemella aveva alzato la testa e la stava guardando con sguardo fiero,  proprio come il suo. C'era però una sostanziale differenza: quello sguardo trasmetteva un senso di pace e tranquillità mai provati prima.
-Nessun uomo è da definirsi codardo se fugge davanti ad una morte insensata: l'istinto si sopravvivenza è radicato in tutti noi-
Aika rinfoderò la spada. Strinse i pugni. Quella stupida le aveva fatto passare la voglia di combattere.
-Andatevene tutti!- ordinò ai soldati -Il vostro sangue non merita di insudiciare la mia lama-
I soldati non se lo fecero ripetere due volte e, veloci come poche volte in  vita loro, uscirono da quella che per poco non era diventata la loro tomba.
-Grazie, Aika...- le disse la sorella con un sorriso sincero, un sorriso capace di scaldare il cuore a chiunque; tranne a lei.
-Non l'ho fatto per te, stupida- rispose con disprezzo, voltandole le spalle. Uscì in fretta dalla palestra, non volendo restare un minuto di più con la sua gemella.
-Potrai mai perdonarmi, sorella mia?- sussurrò Valise singhiozzando.
Aika ignorò quella domanda e, stringendo i pugni, continuò per la sua strada.

 

-Aika, giochiamo a nascondino?-
Valise la stava implorando con due occhioni da cucciola. Come poteva dirle di no?
-Certamente, sorellina!- le rispose sorridendo -Comincio a contare io. Vai a nasconderti!-
Si girò verso una parete esterna del loro palazzo e cominciò a contare, mentre sua sorella correva cercando un luogo in cui nascondersi.
-Uno... due...-
-Aika!- tuonò una voce possente. La bambina si girò, terrorizzata. Era il suo maestro di scherma: un uomo robusto e imponente, la testa completamente liscia e due occhi sempre arcigni e carichi d'odio. L'afferrò violentemente per un braccio.
-Non hai tempo da perdere con questi stupidi giochi! Corri ad allenarti e, per punizione, stasera non avrai la cena-
-Ma non è giusto... e poi Valise sta aspettando che vada a cercarla...-
-Non voglio sentire scuse, stupida mocciosa!- le gridò quello contro -Sei solo una bambina viziata che venerano sotto il nome della Dea della Guerra... in realtà, quel giorno infausto, tu e tua sorella sareste dovute morire- ridacchiò maligno.
Il corpo di Aika venne invaso da una furia cieca. Non ebbe tempo di riflettere: i suoi muscoli la anticiparono. Saltò addosso al suo maestro, graffiandogli il volto. Dopo un istante di stupore, l'uomo l'afferrò per entrambe le braccia sollevandola da terra fino ad avere i loro volti allo stesso livello.
-Te la farò pagare cara, mocciosa...-
Aika però riuscì a liberarsi sferrandogli un calcio con entrambi i piedi in pieno volto. Non appena toccò terra, scattò in avanti sfoderando la spada dal fodero dell'uomo che, intanto, si era coperto il volto con entrambe le mani. Lo infilzò. Senza pietà, senza esitazione, sotto gli occhi di Valise che, incredula, aveva assistito a tutta la scena.
-Aika... cosa...- balbettò, sgranando gli occhi.
Aika si voltò verso la sua vittima. Il corpo esanime del maestro si stava afflosciando su di lei, schiacciandola con la sua enorme mole. La bambina si scansò facendolo cadere a terra, prono. La prima cosa che notò furono gli occhi: spenti, senza alcuna traccia di emozione, vuoti perfino dell'odio che li aveva invasi per così tanti anni.
Non ricordava bene cosa era successo. Sapeva solo che, non appena il suo maestro aveva osato insultare sua sorella era saltata su tutte le furie. Fin quando si limitava a insultare lei, poco importava: vi era fin troppo abituata. Ma non avrebbe mai permesso a nessuno di infangare Valise. Mai.
-Valise... non volevo...- disse, avvicinandosi a lei.
-Sta lontana da me! Sei diventata un mostro!- le gridò contro -Non sei più mia sorella!-
Aika si bloccò sul suo posto. Fu come se il mondo intero le fosse crollato addosso. Sperava che stesse scherzando ma gli occhi di Valise infransero questa speranza. Erano occhi carichi di orrore e paura. Avrebbe preferito essere guardata mille volte dagli occhi colmi d'odio del maestro piuttosto che soccombere sotto quello sguardo anche una sola volta. Fu proprio come morire. In testa le rimbombava solo quella frase, “non sei più mia sorella”.
Poi, nulla. Valise scappò via da lei, lasciandola sola e ferita. Aika cercò di inseguirla ma le gambe molli non la ressero. Cadde a terra in ginocchio, guardandosi le mani sporche di sangue. Non aveva mai visto un rosso talmente intenso e ormai quasi... seducente. Fu d'allora che cominciò ad amare quel colore. Fu da allora che cominciò ad amare quell'odore.
Fu da allora che cominciò a diventare una macchina assassina.



NdA

Salve a tutti! Spero che fin qui la storia vi abbia incuriositi...!=)
Questo, ovviamente, è solo un capitolo introduttivo e la storia vera deve ancora iniziare... diciamo che è una specie di prologo!
Spero che vogliate contiunare a seguirmi e, soprattutto, per favore, recensite, anche e soprattutto per criticarmi... vorrei avere una minima idea se vale la pena continuare o no... nah, chi voglio prendere in giro, serve solo al mio ego!!xD
Qualunque sia il motivo, fatelo, ne sarei molto felice =D
Alla prossima! ^.^

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Capitolo 2
*** Rigel ***


Aika si buttò sul suo letto a peso morto. Non aveva ucciso nessuno quel giorno e questo la rendeva incredibilmente irritabile. Cominciò a picchiettare il piede su una colonna del letto a baldacchino.
-Siamo nervose, oggi-
Rigel.
-Cosa vuoi?- lo guardò di sfuggita.
Il ragazzo era appoggiato con le spalle nello stipite della porte, le braccia conserte. Indossava i suoi soliti indumenti da allenamento, pantaloni e casacca di stoffa decorati solo da una cintura con appesa una spada di media misura.
Aika roteò gli occhi.
-Lo sai che non mi va che tu vada in giro in quel modo...- lo accusò.
La casacca gli scopriva fin troppo il petto, mettendo in bella mostra il suo fisico asciutto. Quel fisico, quei capelli neri, quegli occhi ancora più neri, talmente scuri da sembrare pozzi senza fine, erano suoi. Punto.
-Ha parlato la pudica...!- le rinfacciò, indicando il suo corpetto aderente. Lo fulminò con lo sguardo. Era l'unico che si era da sempre permesso di parlarle a quel modo.
-Non voglio che qualcuno osservi troppo i miei giocattoli- disse acida. Per poco, qualche mese prima, non stava uccidendo delle serve che se lo stavano mangiando con gli occhi, guardandolo tra risolini e commenti che avevano tutta l'aria di essere molto piccanti. Strinse i pugni al ricordo.
-Beh, vorrei poter dire la stessa cosa, ma so che nessuno potrebbe mai guardarti e sopravvivere per raccontarlo- sghignazzò, avvicinandosi a lei -Anche se penso che, se la morte sia il prezzo da pagare per ammirare la tua bellezza anche solo per un istante, morirei ben volentieri- disse, coricandosi sopra di lei.
Sentì il calore del suo corpo, la tenerezza delle sue carezze. Sospirò. Era l'unico in grado di farle quell'effetto.
-Smettila di fare il finto smielato... lo so che vuoi solo quello- sbuffò.
Lo sentì sghignazzare sul suo collo.
-Forse... ma tanto so che lo vuoi anche tu, quindi non vedo dove sia il problema!-
Si lasciò andare sotto i suoi baci che percorrevano ogni centimetro del suo collo, sotto le sue carezza sempre più audaci.
-Rigel- riuscì a dire, con il respiro già affannato -non pensi che sarebbe meglio chiudere la porta?-
Rigel sorrise malizioso, sollevando semplicemente una mano. La porta si chiuse all'istante. Dimenticava sempre che Rigel era un semidio. Forse era per questo che era l'unico a riuscire a tenerle testa nel combattimento. Forse era per questo che era l'unico al mondo che la comprendeva e che la faceva sentire, per una volta, amata.
 
Aprì lentamente gli occhi.
-Buongiorno- la salutò la solita voce rauca di Rigel appena sveglio. La strinse più forte baciandole la fronte. Lei lo spinse indietro: quel giorno era già stato fin troppo pieno di smancerie. Lui lo intuì.
-Che c'è, vuoi combattere? Tanto lo sai che vinco io- disse, inchiodandola a letto. Fece per baciarla ma lei gli morse il labbro con violenza.
-Non ancora per molto... un giorno...- si interruppe.
-Cosa? Mi ucciderai?- chiese sarcastico. Lo guardò con astio.
No, non poteva ucciderlo, e lui lo sapeva bene.
-Un giorno ti darò la lezione che meriti a cominciare da ora: niente più sesso-
Lui scoppiò a ridere.
-Certo, come no... ti ricordo che anche in questo caso vinco sempre io!-
Cercò di liberarsi dalla presa del ragazzo, ma era tutto inutile. Ricominciò a baciarla e lei cedette nuovamente.
-Cosa stavi dicendo poco fa?-
Lei lo morse ancora più forte, riprendendosi e riuscendo a liberarsi. Lo sentì sbuffare.
-Sei proprio una guasta feste...-
-E tu un pervertito insaziabile. Muoviti, abbiamo perso fin troppo tempo!-
-Se questo è una perdita di tempo allora l'allenamento cosa sarebbe?- si oppose, ma si rimangiò la frase. Aika per quel giorno si era lasciata andare anche troppo e il suo sguardo rivendicava già nuove vittime, nuovo sangue. A Rigel non piaceva quell'aspetto del suo carattere ma era inutile, era sempre stata così. Aveva più volte cercato di farla cambiare, ottenendo solo il suo amore, cosa che chiunque riteneva già impossibile.
-Aika... ti andrebbe di allenarti con me, oggi?- le chiese gentilmente. La ragazza strinse i denti.
-No, non mi va. Non mi sento ancora pronta... ma non temere: il giorno in cui riuscirò a batterti arriverà presto e, in quel momento, potremmo allenarci insieme tutte le volte che vorrai-
-Potresti ottenere maggiori risultati allenandoti un'ora con me piuttosto che un mese con cento di quei soldati, lo sai; il problema è che tu non sai perdere, mia cara- le rinfacciò Rigel.
Decise semplicemente di ignorarlo. Lo sentì sghignazzare alle sue spalle, mentre la seguiva nel corridoio che conduceva alla palestra, e tremò dalla rabbia. Cavolo, com'era possibile che era riuscito a sopravvivere per tutti quegli anni al suo fianco?
 
 
-Valise, Aika- disse loro il Sommo Sacerdote -vi ho convocate per presentarvi un vostro simile con il quale dovrete fare amicizia dato che, d'ora in avanti, vivrà con noi in questo palazzo. Il suo nome è Rigel ed è un semidio -
Con la mano destra, spinse verso di loro un ragazzo che aveva all'incirca quindici anni, un po' più grande di loro.
-Ciao, piacere di conoscervi- fece con un grande sorriso -come va?-
Valise gli sorrise timida mentre Aika, braccia conserte, lo guardò scettica.
-E tu saresti figlio di un dio? Potrei sapere quale?-
Il ragazzino si gratto la testa, sorridendo.
-Veramente... nessuno mi ha mai rivelato la sua identità-
Aika sbuffò, distogliendo il suo sguardo da quell'insulso essere.
-Grandioso, da  oggi nel castello vivrà un idiota in più...!-
-Aika, non essere scortese!- la richiamò il Sommo Sacerdote.
-Non so cosa sia la cortesia e non so cosa farmene di un moccioso come questo qui!-
-Ma se sei più piccola di me...!- rispose il semidio, per nulla offeso. Ciò la fece arrabbiare ancora di più.
-Si sa che i maschi sono meno maturi delle femmine!-
-Sarà, ma qui mi sembra che l'unica che stia facendo la figura della mocciosa e dell'immatura sia tu-
-Come osi...!-
Fece per scagliarsi contro di lui e riempirlo di botte.
-Calmati, Aika!- la fermò il Sommo Sacerdote.
-Stanne fuori, vecchio, io a quello lì lo ammazzo! Nessuno si deve permettere di parlarmi in questo modo!-
-Perché, chi ti credi di essere, di grazia?- le chiese il ragazzo divertito.
-Io sono Aika, la reincarnazione della dea della guerra!- affermò orgogliosa, petto in fuori.
-Bene- sorrise lui -non potevo chiedere di meglio! Combatti contro di me, allora!-
Aika sorrise, calmandosi a quella proposta.
-Povero illuso, non sai con chi hai a che fare!-
-Ragazzi, non sarebbe meglio se faceste pace?- chiese timida Valise.
Aika sbuffò sonoramente, fulminandolo con lo sguardo.
-Non t'immischiare, rammollita- poi, rivolgendosi a Rigel -Rendiamo la cosa più interessante con una scommessa: se vinco io, dovrai essere mio schiavo per tutta la vita-
-D'accordo- rispose lui sicuro -Ma se perdi, dovrai ammettere la mia superiorità e dovrai fare amicizia con me-
-Va bene, tanto non mi batterai mai- disse lei sicura
 
Aika ricordava fin troppo bene il finale di quella storia...
 
-Dannato, hai barato! Non è possibile che tu abbia vinto!- fece lei, cercando di rialzarsi da terra. Si lamentò per il dolore: non ne aveva mai prese così tante in tutta la sua vita.
-Giuro di essere stato leale, anzi, mi sono persino trattenuto dato che sei una ragazza- rispose Rigel, facendo roteare la spada di legno che le aveva preso nel combattimento.
-Stupido ragazzino insolente...-
-No, così non ci siamo. Ricordi, dovevi ammettere la mia superiorità-
Aika tremò dalla rabbia. Non lo avrebbe mai fatto.
-Allora?- Rigel tese l'orecchio, per poterla sentire meglio.
Aika era combattuta. Una scommessa era una scommessa, ne andava del suo onore. Però... era troppo orgogliosa per un cosa simile.
-Va bene. Ammetto che, dato che hai vinto questo combattimento, ora come ora potresti anche essere leggermente più abile di me... ma non passerà molto tempo prima che io riesca a batterti, vedrai! E in quel momento sarai mio schiavo-
Rigel sorrise.
-Va bene... ma fino ad allora- le tese la mano, per aiutarla a rialzarsi da terra -che ne diresti di essere amici?-
 
-Rigel- lo chiamò, girandosi verso di lui -ricordi la scommessa? Se ti batto sarai mio schiavo-
Lui rise sommessamente, imprigionandola al muro con le braccia.
-Stupida... ancora non l'hai capito? Sono già tuo schiavo- disse, baciandola.
 
Nel frattempo, fuori dal palazzo, si aggirava furtiva una figura incappucciata. Studiava attentamente le abitudini dei servitori della Divina Dimora Terrena. Guardò la struttura con nostalgia. Un palazzo maestoso, costruito con materiali non reperibili in nessun luogo della terra. Un tempo gli dei abitavano in quel luogo, accogliendo con benevolenza qualsiasi uomo si fosse recato lì in cerca di aiuto o semplicemente di compagnia; non sminuivano mai nessuno, non rinfacciavano mai il fatto che fossero superiori a dei semplici mortali. Sospirò. Da quei giorni erano ormai passati millenni ma lui sapeva, sì, quella figura ricordava  fin troppo bene i bei tempi andati. Ed era per questo che doveva infiltrarsi all'interno del palazzo. Inosservato, senza attirare attenzione.  Aveva una missione ben precisa da parte dei suoi Superiori. Sorrise sghembo. Scommetteva che tutto ciò non sarebbe piaciuto al Sommo Sacerdote...


NdA


Rieccomi! :)
Spero che vi piacciano sia il capitolo sia il nuovo personaggio ^ ^
Fatemi sapere!

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Capitolo 3
*** Nuovi arrivi al Tempio ***


Il sole splendeva alto e luminoso nel cielo, riscaldando gentilmente l'allegra cittadina che circondava il castello come in un abbraccio materno. Valise passeggiava per le strade del mercato locale, rivolgendo a chiunque un caloroso sorriso.
-Buongiorno, signorina Valise!-
-Divina Valise, che piacere vederla!-
-Non è una bella giornata, nobile Valise?-
Lei rispondeva cordialmente ai saluti della gente, lieta che tutto fosse tranquillo e pacifico come sempre. La sua attenzione, però, venne richiamata da delle grida concitate.
-Al ladro! Al ladro!- urlava il proprietario di un banco di frutta. Subito le guardie si misero all'azione, riuscendo a catturare il colpevole e conducendolo nella bancarella, scaraventandolo a terra. Solo in quel momento Valise si rese conto che si trattava di una bambina di appena dieci anni.
-Brutta mocciosa, imparerai a non rubare quando ti verrà tagliata una mano!-
Valise era disgustata. Si recò subito verso di loro, fermando la mano della guardia che stava  per picchiare la bambina, a terra in lacrime.
-Non osare!- lo redarguì ferma.
La guardia, intimorita da quello sguardo, si fermò all'istante, abbassando lo sguardo.
-Nobile Valise, giunge a proposito... questa bambina è una delinquente! Ha rubato dal mio banco!- fece il mercante indignato. Valise guardò la bimba.
-E' vero?-
La bambina non sapeva cosa fare. Annuì e scoppio a piangere.
-Non l'ho fatto per male... avevo solo fame! Ecco... ecco, tieni- disse, porgendo due mele rosse. Il mercante la guardò tronfio.
-Vede, avevo ragione!-
Valise non poté più trattenersi.
-E voi stavate per picchiare una bambina solo per aver rubato due mele da mangiare?- lo guardò sdegnosa, sotto lo sguardo incredulo di tutti -Si dovrebbe vergognare! Dovreste essere più comprensivo verso il prossimo!- gli lanciò una moneta di bronzo -Per le mele- disse, andandosene. Prese la bambina sotto l'ala protettiva del suo mantello, portandola con sé. Era ancora scossa da forti singhiozzi, le sue spalle non facevano altro che sussultare.
-Dove abiti, piccola?-
-Da nessuna parte-
-Come da nessuna parte? Non hai una mamma?-
-No-
-Un papà?-
-No-
-Fratelli, sorelle... non hai nessuno?-
-No... anzi sì- fischiò a lungo, fino a quando un cagnolino non venne verso di loro. Era di taglia media e il colore del pelo era irriconoscibile a causa dello sporco.
-Lui è Milo, è il mio amico- fece la bimba accarezzandolo. Valise provò grande tenerezza.
-E tu come ti chiami?-
-Non so... forse 'mocciosa'- disse, riflettendo.
Valise non sapeva cosa dire. Possibile che quella bimba non avesse proprio nessuno? Come aveva fatto a sopravvivere fino a quel momento?
-No, questo nome non va bene; anzi, non è nemmeno un nome! Vediamo, penserò dopo a come chiamarti, intanto andiamo: ti porterò a palazzo con me, che dici?-
La bambina era felicissima.
-Sì!- poi però si rabbuiò -Potrà venire anche Milo, vero?
-Certo che sì- le sorrise -ma prima lo laveremo per bene...!-
Si mise a saltare felice, giocando con il cane.
-Hai sentito Milo? Ti laveranno e mi daranno pure un nome!-
Valise li guardò sorridendo, ma dentro il suo animo era profondamente turbato. Era incredibile di quanto a volte il mondo potesse essere tanto crudele.
 
 
***
 
Il Sommo Sacerdote studiò attentamente carte, segni e oracoli. Non vi era alcun dubbio: i tempi erano ormai vicini ed era sicuro che forze oscure si stessero già muovendo in azione. Di che tipo, non avrebbe saputo dirlo. Erano giorni che le spie a lui fedeli avevano individuato strane ombre aggirarsi nei pressi del palazzo. Non poteva più aspettare oltre: era necessario trovare i restanti semidei e le reincarnazioni divine; non potevano semplicemente aspettare inermi che essi si presentassero al suo cospetto, profezia o no. Cosa più importante, avrebbe dovuto far allontanare di nascosto Aika, Valise e Rigel dal palazzo. Era pronto a scommettere che quelle ombre erano lì per loro ed era meglio che, non appena fossero entrate in azione, non li avessero trovati lì nel palazzo.
Camminando avanti e indietro nella stanza, pensò su come risolvere entrambi i problemi.
Sarebbe stata una buona soluzione spedirli in giro per il mondo alla ricerca dei loro simili; ma come li avrebbero individuati?
Certo!
Serviva quel manufatto!
Seduto sulla poltrona dorata del proprio ufficio, rileggeva degli antichi testi che si era fatto portare appositamente per delle risposte. Era sicuro che in uno di essi vi fossero degli indizi che avrebbero potuto portarli al nascondiglio del manufatto. Tuttavia nessuno dei testi più antichi si rivelò particolarmente utile, si limitavano solo a descriverne l'aspetto e aneddoti ad esso legati. Non sapeva nemmeno in che condizioni fosse: e se fosse stato distrutto? No, nessuno aveva un potere tale da distruggere una forza divina tanto grande. Sospirò, assillato da dubbi di vario genere.
Ti troverai sulle spalle il peso di grandi difficoltà... esse ti peseranno nel cuore come macigni; difficilmente riuscirai a liberartene gli aveva detto il suo predecessore poco prima di morire. Aveva sempre ritenuto che quelle parole fossero un'esagerazione: invece la realtà gli si parava davanti con tutte le sue complessità, i suoi ostacoli, ed egli non poteva fare a meno che ricordare parole di tanta saggezza. Era come se quel vecchietto, fragile e moribondo, per un istante fosse riuscito a scorgere il suo futuro.
Non era mai stato facile gestire la vita a palazzo. Certo, non era né il primo Sommo Sacerdote né sarebbe stato l'ultimo. Ma un arduo compito gravava sulle sue spalle, una missione il cui fallimento avrebbe segnato la rovina della loro civiltà. Egli doveva educare e proteggere le reincarnazioni degli dei sulla terra e tutti i semidei. In quel momento a palazzo vi erano solo Valise, Aika e Rigel; era consapevole, tuttavia, che, in qualche parte del mondo là fuori, vi erano altri esseri simili a loro e il suo compito era trovarli. Normalmente il destino li avrebbe naturalmente condotti da lui, come successe con Valise e Aika vent'anni prima...
 
 
Era una notte di agosto, tuttavia imperversava una grande tempesta. Fulmini e lampi  a ritmi alterni, illuminando il cielo. Tuoni rimbombavano scuotendo mura e animi, facendo tremare persino le pietre. La pioggia iniziò a scendere dapprima delicata, quasi si vergognasse di apparire; poi, sempre più veloce e incessante, prendendo possesso della città, trasformando le strade di ciottoli in ruscelli di fango, trasportanti le sporcizie dei vicoli della città. Il nuovo Sommo Sacerdote lo prese come un presagio di cattivo auspicio. Per quella notte, sarebbe stato meglio restare in guardia.
-Sommo Sacerdote!-  lo chiamò un inserviente -Due neonate sono appena state abbandonate sulle scale del palazzo-
Il Sommo Sacerdote si girò, sconvolto.
-Siete riusciti a vedere chi è stato?-
-No, eccellenza. Era una persona incappucciata abbiamo provato a seguirla, ma si è come volatilizzata-
Il Sommo Sacerdote si girò verso la finestra, osservando attentamente la pioggia che continuava a cadere fitta. Era solo una coincidenza, quella, o era da interpretarsi come un cattivo presagio? Due bambine abbandonate alle porte del tempio, nel bel mezzo della notte durante un violento temporale estivo... un lampo illuminò il cielo e con esso anche la mente del Sommo Sacerdote. Ma certo! La leggenda parlava chiaro!
-Sua Eminenza, dove...?- cercò di fermarlo il servo, ma lui si era già catapultato verso la biblioteca principale del tempio. Doveva trovare quel volume.
"Vediamo, vediamo... dove potrebbe essere... ah, eccolo finalmente!"
Esultò, ritrovando il vecchio e malandato volume sotto una pila di tomi impolverati. Cominciò a sfogliarlo; subito la memoria lo portò ad un brano evidenziato da una croce d'inchiostro. La leggenda parlava proprio di una notte come quella e di due bambine... due gemelle...
"Due dee reincarnate, con animi diversi, agli antipodi, due facce della stessa medaglia... e, per questo stesso motivo le loro esistenze sono legate da un doppio filo indistruttibile. Quanto possono essere diverse la Pace e la Guerra? Eppure, se non ci fosse l'una, non esisterebbe nemmeno l'altra e gli umani continuano a cercare la pace con la guerra, la guerra con la pace."
Alzò gli occhi dal volume, tremando, Era così, allora? Finalmente due divinità si erano reincarnate e si erano presentate al suo tempio, come dicevano le più antiche profezie?
Corse a perdifiato verso il suo studio, ritrovando il servo che ciondolava davanti la porta, indeciso se andare o no.
-Somm...-
-Dove sono le bambine?-
-Sono state portate in una camera al piano superiore, in attesa di una balia-
-Conducimi da loro. Devo assolutamente vederle!-
Il servo, senza porsi troppe domande su quel comportamento insolito, condusse il Sommo Sacerdote dalle gemelle. egli entrò senza troppe cerimonie, trovando le neonate circondate da uno stuolo di serve.
-Via, via, fatemi passare!-
Le serve, al suo arrivo, si scostarono immediatamente, lasciando passare il Sommo Sacerdote il quale si mise ad osservare attentamente le bambine che gli stavano innanzi. Erano delle semplici bambine, non più grandi di una settimana, talmente piccole da stare comodamente in due dentro una cesta per frutta. Erano calme e silenziose, anche se non stavano dormendo: fissavano il Sommo Sacerdote con un'espressione vispa e sveglia, come se lo stessero studiando. Tuttavia non fu quell'espressione stranamente intelligente a colpirlo, ma i loro occhi: leggermente a mandorla, dorati. Gli occhi degli dei. Prima di allora non aveva mai avuto la fortuna di vederli, né aveva mai sperato di poterlo fare durante la sua vita. Conosceva a menadito le leggende sul loro pantheon; interessanti, indubbiamente, ma sempre e solo leggende. In fondo era divenuto Sommo Sacerdote non per vera e propria vocazione, ma per convenienza. E invece quel giorno tutte quelle leggende si stavano rivelando veritiere. Prese il cesto di scatto, con tale impeto da suscitare il pianto delle neonate. Corse a capofitto verso la biblioteca e vi si barricò dentro. Ignorando i vagiti delle gemelle, prese un volume antico quanto il tempio. Molto delicatamente, cominciò a consultarlo, rinfrescando la sua memoria...
 
"Ci fu un tempo, noto come età dell'oro, in cui dei e uomini camminavano fianco a fianco per terra e per cielo. Gli dei, infatti, erano talmente benevoli da aver costruito una scala in grado di condurre i mortali sino alle soglie delle loro sacre case. Tuttavia, nessun giorno dura in eterno e la sua luce, prima o poi, è destinata a lasciar posto all'oscurità. Gli uomini, nonostante fossero felici e non mancasse loro nulla, cominciarono a gareggiare fra loro contendendosi l'affetto degli dei, non comprendendo che l'amore dei Sacri nei loro confronti era identico. Nacquero gli omicidi; nacquero le guerre fratricide; nacque la morte, non la morte comune, ma una morte diversa, arbitraria, non voluta né decisa dal Divino Arhast, dio della morte.  Fu così che gli dei, sdegnati, risalirono sulle loro città dorate, distrussero quella scala dorata, rientrarono nelle loro case di bianco marmo lasciando soli gli uomini, lontani dalla loro luce, nell'oscurità più profonda. Ma proprio perché anche un notte, ad un certo punto, deve soccombere di fronte all'alba, diedero agli umani un'ultima opportunità, promettendo loro di ritornare sotto spoglie mortali. Avrebbero dunque osservato le loro azioni e, se lo avessero ritenuto opportuno, sarebbero ritornati ripristinando i tempi antichi; altrimenti avrebbero abbandonati per sempre gli uomini.
"Si racconta anche che fu proprio per questo che, prima del loro ritorno in cielo, unendo i loro poteri avrebbero conferito nuova sacralità alla loro dimora terrena, il Tempio, nominando tra i mortali più meritevoli il Sommo Sacerdote, con il compito di tramandare e diffondere la loro storia e, in caso, accudire ed allevare gli dei mortali."
 
 
Seguivano descrizioni su come riconoscere gli dei: dai loro tipici occhi gialli a mandorla e, soprattutto, attraverso un rito chiamato dei Lunghi Coltelli. Il Sommo Sacerdote guardò con nuova risolutezza le gemelle. Era il suo destino, il suo compito, e doveva assolverlo: doveva compiere quel rito.
 
 
I suoi pensieri vennero interrotti da un sommesso bussare alla sua porta.
-Avanti-
Subito fece capolino Il viso di Valise, circondato da una cascata di morbidi capelli castani. I suoi occhi... ancora lo colpivano per la loro stranezza e la loro magnificenza.
-Sommo Sacerdote, scusate il disturbo. Potrei parlare con voi solo per un momento?-
-Certamente, Valise- le sorrise -accomodati-
-Grazie- Valise prese posto sulla poltrona di broccato rosso di fronte a lui.
-Sono venuta qui per chiederle un favore. So che non dovrei avere l'ardire di farlo, dopotutto le dobbiamo molto, ci ha accolte e curate da quando eravamo in fasce...-
-Non ditelo neanche per scherzo, Divina Valise, sapete bene che era un mio preciso compito... non ho davvero fatto nulla di speciale-
-No davvero, Sommo Sacerdote, sono sicura che ci avrebbe offerto lo stesso trattamento, anche se ci fossimo rivelate semplici umane-
Il Sommo Sacerdote preferì sorvolare su quel particolare. In realtà, se fossero state semplici umane sarebbero morte. Preferì non informarla sul rito dei Lunghi Coltelli.
-Cosa volevate chiedermi, Valise?-
-Stamattina, durante la mia passeggiata in città, ho trovato un'orfana. E' malnutrita, sporca, senza casa e senza famiglia. Mi chiedevo se potremmo tenerla qui con noi al tempio... non darà fastidio a nessuno, lo prometto!- aggiunse, vedendo la faccia sempre più contrariata del Sommo Sacerdote.
-Valise... sei sempre così buona; ma con la tua bontà d'animo ci farai cadere in rovina! Ho già assunto non so più nemmeno quanti servitori superflui perché disoccupati... fino a quando si tratta di trovare un lavoro ben venga, ma una bambina è solo una bocca in più da sfamare!-
-Ma voi adottaste me e mia sorella quando eravamo in fasce... non eravamo forse "delle bocche in più da sfamare"?-
-E' diverso, lo sapete, era mio preciso compito prendermi cura di voi, appunto perché non siete semplici umane. Non penso che questa bambina abbia qualche dono o sia la reincarnazione di chissà quale divinità...-
-Ma ha comunque bisogno di cure! La prego, la scongiuro, glielo chiedo in ginocchio, è l'ultimo favore che le chiedo!-
Il Sommo Sacerdote sospirò. Non aveva mai saputo resistere a quelle moine e, finalmente, cedette.
-E va bene, va bene... ma ogni responsabilità al suo riguardo sarà vostra, che sia chiaro!-
-Certamente!- fece Valise raggiante. Si alzò di scatto dalla sedia -Grazie mille davvero!- fece per andare verso l'uscita a passo di gambero, continuando a inchinarsi. Si fermò di colpo, mordendosi l'angolo destro del labbro inferiore.
-Ehm... Sommo Sacerdote?-
-Mh?-
-Ecco... la bambina avrebbe anche un cane...-
Il Sommo Sacerdote impallidì.
-Piccolo o grande-
Valise alzò gli occhi al cielo.
-Beh, ecco, dipende dai punti di vista...-
-Va bene va bene e sia! Ora sparisci prima che cambi idea!-
Valise corse via saltellando mentre il Sommo Sacerdote scuoteva la testa, divertito, e tornò alle sue scartoffie.

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Capitolo 4
*** Una missione ***


Concentrazione. Precisione. Velocità.
Aika si muoveva di scatto, pronta ad evitare le frecce che le venivano lanciate contro. Era un suo tipico allenamento: degli arcieri avevano il compito di scagliarle contro raffiche di frecce e lei, puntualmente, le evitava. Ad un tratto le frecce si fermarono e lei con esse, stupita e anche un po' irritata. Aveva appena trovato il giusto ritmo.
-Beh, che succede? Vi siete dimenticati come incoccare una freccia nell'arco?-
-Mia signora- le si avvicinò un paggio, un po' intimorito -il Sommo Sacerdote vi invita a presentarvi al più presto nel suo studio-
Cosa? Doveva essere uno scherzo! Quel vecchio rammollito sapeva benissimo che era in pieno allenamento e che, per nessuna ragione al mondo, doveva essere disturbata. Il paggio tremò sempre più visibilmente vedendo gli occhi dorati della terribile dea assottigliarsi in due fessure.
-Spero che abbia una buona scusa... o ci andrà di mezzo il suo collo flaccido-
Il paggio non osò replicare. Si limitò a chinare ancor di più la testa e a farle strada.
Arrivata nello studio, vide riuniti lì anche Valise e Rigel. Nel seggio dietro la scrivania, stava comodamente seduto il vecchio. Aika sbuffò.
-A quanto pare questo qui ha osato importunare anche voi- disse, sedendosi sull'unica sedia libera, accanto a Rigel.
-Aika!- la rimproverò Valise, sconcertata dal tono irriverente della sorella.
-Ecco, l'avevo detto che non era una buona idea farla chiamare...!- sospirò Rigel, rassegnato.
-Era necessario che tutti voi foste presenti, e ora ve ne spiegherò il motivo- cominciò il Sommo Sacerdote, per nulla infastidito dai modi di Aika. Anche lui, ormai, era abbastanza rassegnato.
-Dovete sapere che ormai i tempi sono giunti: il ritorno degli dei è vicino-
Tutti furono colpiti da quella rivelazione e Aika smise di fingere indifferenza, anzi, si avvicinò ancor di più alla scrivania con un'espressione seria in volto.
-Ma come è possibile?- chiese Rigel - da quel che ne sappiamo, si sono reincarnate solo due divinità...!-
-In verità, sono almeno cinque le divinità reincarnate, oltre ad Aika e Valise-
-Così tante? Ne sei sicuro, vecchio?-
-Certamente Vedete, le divinità dimorano nelle stelle. Quando una di loro si reincarna, la sua costellazione corrispettiva si oscura in cielo, quasi come se stesse per scomparire. Questo accade perché la divinità in questione abbandona la propria dimora e dunque le stelle sono meno fulgide. E' successo anche per Aika e Valise, ed è avvenuto altre cinque volte da allora-
-Quindi sapete anche quali divinità si sono reincarnate! Basta conoscere a quali divinità corrispondono le costellazioni oscurate e...-
-Purtroppo non è così semplice, mia cara Valise. Alcuni manoscritti sono andati perduti e sfortunatamente non sono più in possesso di certe informazioni. Comunque sia, queste divinità sono qui, da qualche parte e ancora non hanno potuto raggiungere il Tempio- spiegò il Sommo.
-Cosa? Non dovrebbero essere in grado di giungere fin qui da sole? Dovrebbe essere una sorta di istinto o che so io-
-Sì, hai ragione Rigel. Ritengo però che qualcosa, o meglio, qualcuno le abbia ostacolate-
-Come sarebbe a dire qualcuno?- intervenne Valise -Chi farebbe qualcosa del genere?-
-Non ne sono ancora sicuro; tuttavia, ultimamente sono stati avvistati degli strani individui incappucciati aggirarsi nei pressi del Tempio e ho ragione di pensare che c'entrino qualcosa con queste anomalie. E' certo però che qualcuno, probabilmente un'organizzazione, abbia impedito alle divinità di giungere fino a qui, magari rapendole o chissà cos'altro-
-Cosa? E perché non me lo avete detto subito? Li avrei fatti fuori con le mie mani! Nessuno deve osare toccare un Essere Sacro!-
-Rifletti, Aika: se li  uccidessimo non potremmo avere alcuna informazione!- cercò di spiegare il Sommo Sacerdote.
-Giusto- intervenne Rigel -Dobbiamo catturare "vivo" e ripeto, vivo uno di loro per poterlo interrogare-
-E poi lo uccidiamo!- aggiunse lei.
-No!- Rigel alzò gli occhi al cielo -Dopo ci faremo condurre nel luogo in cui nascondono le divinità! Probabilmente lì sarà pieno di trappole che solo uno di loro è in grado di evitare-
-Va bene, ho capito! Catturiamo, interroghiamo, ci facciamo accompagnare lì e poi posso fare quel che voglio, giusto?-
Sospirarono.
-Più o meno- le rispose il semidio.
-Ok, allora diamoci da fare!- Aika si alzò in piedi di scatto -Prima ci sbrighiamo, prima questa storia finisce, così potrò finalmente continuare i miei allenamenti... magari coinvolgendo qualcuno di quei vermi nei miei esercizi-
-Anche se non condivido queste intenzioni è vero, ci dobbiamo sbrigare- disse Valise -Immaginatevi se davvero quei bruti abbiano rapito quelle povere persone! Chissà cosa gli staranno facendo, in questo momento! Dobbiamo affrettarci!-
-Sì, sono d'accordo! Dobbiamo escogitare un piano. Saranno delle persone addestrate e parecchio astute, ci conviene essere molto cauti- Rigel aggiunse particolare enfasi nell'ultima parola, afferrando per una mano Aika, la quale era già pronta a scappare. Probabilmente stava per uscire in giardino e provare a rincorrere uno di quei tizi. Lei, infatti, sbuffò ma restò al suo posto.
-Perfetto! Speravo che avreste deciso di agire- disse loro il Sommo Sacerdote -Mi raccomando, però, non prendete iniziative senza avermi prima consultato-
-Cosa? Stupido vecchio rim...-
Con la mano libera, Rigel tappò la bocca ad Aika.
-Sarà fatto, sign... Ahi!- si lamentò, scuotendo la mano. Quella pazza l'aveva morsa.
Il Sommo Sacerdote sospirò.
-Beh, allora... buona fortuna!- disse, congedandoli.
Il gruppetto abbandonò la stanza, confabulando animatamente tra loro. Valise pregava Aika di smettere di comportarsi come una selvaggia sanguinaria, Aika pretendeva di voler fare tutto lei perché era la migliore del gruppo e Rigel cercava di farle tacere, nella speranza di proporre un piano sensato.
Il Sommo pregò di aver preso una saggia decisione, affidando loro quella missione delicata.
Sospirò.
Avevano  davvero bisogno di tanta, molta fortuna.

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