Non c'è fine alla fine...

di Dyanna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Quello per cui vivo è anche quello per cui muoio

Quello per cui vivo è anche quello per cui muoio... ora.

E sei tu.

Angelo crudele, costretto in quelle catene che solo con il mio amore sono riuscita a rompere...

In compenso quelle catene ora costringono me

e mi stanno portando verso quell'oblio

da cui ti ho sempre protetto...

Addio amore mio, queste sono le mie ultime parole...

Morirò per te questa notte...

che la luce della luna illumini il mio viso per l'ultima volta,

cosicché mi ricordi come era il sole.

 

Capitolo 1.

Brooke

 

 

 

E' strano pensare che la vita ti è scivolata via dalle mani, vero?

Sembra un paradosso!

Ma no, in fondo... tutti tengono a trascurare (forse ignorare?) alcuni aspetti della propria vita!

Si certo... alcuni aspetti, hai detto giusto! ...non tutta una vita.

Non capisco cosa ci sia di così bello nel respirare...

Cosa?!

Ma si! Alla fine non cambia niente... vivere, morire... è uguale!

Come posso dirlo?

Beh sono ormai, come si suol dire più in là che di qua e in fondo credo che forse sia meglio morire...

E...

oh no.

Sto di nuovo parlando da sola...

Sto impazzendo! Aveva ragione Chris quando mi diceva che sarei diventata pazza in questo posto!

Come Sarah... si finirò come lei!

Smettila di rimproverarti... prova ad uscire, prova a prendere una boccata d'aria!

Stupido cervello!

Stupida me stessa!

Stupida questa vita buona a nulla!

Perchè non ho potuto avere una vita un pò più movimentata??

Perchè non posso farla finita eh?

Ma certo! Perchè c'è mister"tuSeiL'unicaPersonaCheMiPuòAiutare"!

E se lui dice che non devo morire allora...

Ma chi se ne importa!

Tanto lo sanno tutti che non ce la farà mai nella vita!

Ora sono troppo stanca... i giorni passano monotoni in questa prigione fatta di bugie e fiori e palloncini e medici che dicono che tutto si risolverà!

Lo sanno tutti che quando stai per morire lo senti nell'aria...

E io lo sento, non solo nell'aria ma nelle ossa, nella pelle, in tutta me stessa... e so che lo sai anche tu, piccolo figlio... Però devi essere forte, capito? Non devi mai avere paura e non devi mai dubitare.

Perchè sei mio figlio, e sei un Hayden, e gli Hayden non hanno mai nè dubbi nè paura: così diceva la tua nonna...

Mamma... ora sei così vicina e così lontana allo stesso tempo...

Ho paura mamma, paura di averti delusa.

Ti vedo così disperata e non devi esserlo!

Devi essere contenta invece... papà è vivo... e io muoio.

Ma morirò con dignità te lo prometto!

Così come tu mi hai insegnato... combatterò anche se so di perdere...

Anzi, mi lascerò andare e ti donerò la mia gioia, il mio ultimo sorriso.

Sii felice mamma... non piangere e non soffrire più!

Io sarò sempre con te... io e il tuo piccolo nipotino che ancora sta crescendo nel mio grembo... Saremo quelle luci più splendenti quando guarderai l'aurora... saremo nel tuo cuore per sempre, anche se non ci vedrai.

Addio mamma... sto morendo ma non ho paura...

Stiamo morendo ma non abbiamo timore!

Ti guardo mentre piangi... ti sorrido e chiudo gli occhi.

Ecco mamma, questo è il mio ultimo regalo.

Ecco Fred, caro Fred, questo è il mio perdono.

Addio vita che tanto mi hai dato ed altrettanto mi hai preso...

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2.

Frederik

 

Perché??

Sono stato uno stupido egoista e ora sono anche un assassino!

No, Brooke… ti prego… non guardarmi così… non sorridermi, non perdonarmi per il male che ti ho fatto!

Non sono degno del tuo perdono e lo sai… ora più di prima.

Non ero degno di averti e ti ho abbandonata… e ora cosa posso fare??

Scappare, fuggire… come ho sempre fatto.

In fondo è l’unica cosa che so fare: fuggire.

Fuggire dalla mia famiglia, fuggire dalla tua famiglia, fuggire dal male, dal dolore e dalla gioia di quando ti sapevo innamorata di me.

Sì, io avevo paura, paura di averti delusa come uomo, come amante, come amico…

E ora ti ho delusa ancora, ti ho abbandonata proprio quando avevi bisogno di me. Ho abbandonato mio figlio! Cazzo! Mio figlio! Sono passati quasi 8 mesi… Ti prego Brooke fai un ultimo sforzo! Non farlo per me che ti ho sempre delusa… fallo per nostro figlio! Ha diritto di crescere, di nascere!

E mi sembra di vederti mentre mi dici: “Solo ora te ne accorgi??”

Sì, solo ora mi accorgo che la nostra vita è stata sprecata fino ad ora… ma la sua è appena cominciata!

Non negargli il sole del mattino, non negargli la notte buia e senza luna… non negargli l’amore, la tristezza, la gioia e la follia…

Noi le abbiamo vissute quando ci amavamo, ricordi??

Io sì, e le ricordo fin troppo bene che il tuo volto angelico mi tormenta ogni notte e ogni giorno…

Mi dispiace se non sono potuto essere quello che volevi…

Mi dispiace di averti costretta in questo letto d’ospedale.

Perché è colpa mia e solo mia!

Non mi importa del tuo sorriso così beato… tu NON devi perdonarmi!!!

La colpa è mia… io ti sto uccidendo, io ti ho ucciso e sto uccidendo nostro figlio…

E per quanto mi dispiaccia vivrò i miei giorni neri di più cupa disperazione pensando a te e al tuo viso beato e alla morte dietro le tue spalle che aspetta che arrivi il momento giusto per portarti via…

Addio bellissima…

Addio mio unico amore, addio figlio mai nato.

 

Andrò via per sempre per espiare le mie colpe, tra le fiamme dell’inferno…

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Pochi secondi

Pochi secondi. Arresto cardiaco.

Il fischio penetrante e acuto della macchina a cui era attaccata. Brooke fece riprendere Mia da quel torpore informe nel quale cadeva ogni volta che restava lì a guardare sua figlia morire: senza poter fare niente.

i ricordi le si offuscavano a tal punto da mandarla in una specie di trans dove non aveva pensieri e continuava a rivivere sempre gli stessi istanti… i primi passi della sua bambina, uno dei tanti natali passati con tutta la famiglia, il primo giorno di scuola di Brooke e poi… un fischio, un acuto fischio. Continuò a fissare il  vuoto pur avvertendo lo spostamento d’aria che provocò l’infermiera mentre le correva davanti, la sentiva perfino gridare qualcosa “Dottore!Presto!”. Dottore…dottore…

finalmente alzò lo sguardo verso il vetro che la separava dalla stanza; vide camici affaccendati sulla sua bambina.

Cosa…?

Aveva visto fin troppe volte quella scena nella sua mente… risvegliandosi ogni volta, felice che fosse solo un brutto sogno. Ora la vedeva con i suoi stessi occhi come se fosse al rallentatore. Qualcosa però dentro di lei le disse che non era giusto, che non poteva essere vero! Un’infermiera era uscita, l’aveva guardata con compassione e si stava avvicinando… non si accorse nemmeno delle parole che le uscirono dalla bocca. “mia figlia è morta. È questo quello che mi deve dire.” Non era una domanda, o forse si?

Morta – morta – morta – morta – morta.

Non poteva. Non riusciva…no! Troppo… era troppo.

Sentiva la testa che le scoppiava, gli occhi bruciare, la gola secca e in fiamme. Sentiva come se ogni respiro fosse l’ultimo e poi sentì dei passi veloci. Qualcuno correva dietro di lei e le metteva una mano grande e calda sulla spalla. Vide occhi scuri, profondi occhi scuri e poi… il buio.

In quella balia di voci e suoni e intenso odore di alcool era arrivato Blaise. Appena in tempo a quanto sembrava… l’aveva vista da lontano mentre si alzava e andava vicino al vetro… mentre le sue braccia cascavano lungo i fianchi. Aveva visto l’infermiera uscire e il leggero fremito di sua moglie. Aveva capito che c’era qualcosa che non andava e le era corso incontro. Riuscì perfino a scorgere nel volto magro, pallido e insonne di Mia un misto di paura, dolore e disperazione sconvolgenti. Prima che lei svenne tra le sue braccia la mise su una delle barelle del corridoio mentre l’infermiera lo seguiva come un randagio.

“lei è il signor Black?” chiese.

Nessuna risposta.

Mia, amore svegliati…” sussurrò scuotendo piano la moglie.

se lei è il signor Black allora devo informarla sulle condizioni di sua figlia” disse l’infermiera spazientita. I muscoli di Blaise si irrigidirono, si fermò e si girò lentamente. “che cosa ha?” chiese con cautela, ma con un tono che tradiva una minaccia. “è viva. Ma ha bisogno di cure e con il bambino siamo impossibilitati ad operare. Disse. “cosa vorrebbe dire?? Che volete sbarazzarvi di lui?? Mai.” Rispose furioso. “no! Non ho detto questo! Possiamo effettuare un parto prematuro. Ma ci vuole il suo consenso.” E gli tese un foglio e una penna.

Blaise lo prese in mano e lo osservò. Poi respirò profondamente: “D’accordo. Ma è sicuro che non ci saranno ripercussioni su mia figlia?” “Sicuro” “Bene” e firmò.

Per un attimo esitò con la penna in mano. Gli pareva di firmare un patto con il diavolo. Si rigirò verso sua moglie. Non era più la stessa. Era ridotta pelle e ossa, i suoi lineamenti, sempre così morbidi e dolci erano ora spigolosi e segnati. Delle profonde occhiaie le segnavano gli occhi affossati. I suoi capelli mossi sempre così vivi e lucenti ora erano spenti e piatti. Ricordi confusi del suo passato tormentato gli tornarono a mente. Terribile. No non poteva vederla così.

Si avvicinò a lei e le accarezzò il viso. Mia aprì gli occhi e lo guardò, nessuna espressione trapelava dal suo viso, si limitò a voltarsi verso la parete bianca e scrostata. “Brooke è viva Mia, tutti e due sono vivi.” Disse piano. Lei si voltò. “è viva…” disse con voce roca mentre come un fantasma si alzò e andò verso il vetro. Aveva ancora addosso medici e contromedici. Non si vedeva niente ma l’atmosfera era molto più tranquilla.

Passò un’ora, un’ora e mezzo… finalmente uscì l’infermiera.

“venga.” Disse a Mia.

Dopo qualche minuto tornò con un piccolissimo fagotto in braccio ed un sorriso che le illuminò il viso togliendole più di dieci anni di età.

Si avvicinò e si sedette sulle ginocchia del marito. “saluta la tua nipotina, nonno” disse mentre gli avvicinava il fagotto al viso. Due piccoli occhioni azzurro mare lo stavano fissando. Un minuscolo esserino rosa gli sorrideva. Gli sembrava di essere tornato a 17 anni prima, quando aveva pianto come un bambino mentre prendeva la sua piccola Brooke tra le braccia. L’emozione del momento lo tradì ma riuscì a trattenere le lacrime rispondendo al sorriso della neonata.

 

Un giorno e mezzo dopo i dottori dissero che ormai Brooke era fuori pericolo ma che sarebbe stata in continua osservazione per i mesi successivi.

hey, ciao piccola…” disse piano Blaise mentre si avvicinava. “ciao papà” rispose con voce bassa. “allora come stai? Non ti posso lasciare un attimo che mi finisci all’ospedale??” domandò sarcastico. “già” “dimmi cos’è successo” ora era serio. “niente…forse stress” disse vaga guardando fuori dalla finestra. “Brooke guardami. Guardami negli occhi. Che cosa è successo?”. Si voltò incrociando il suo sguardo e sostenendolo con uno sofferente e infine scoppiò a piangere. Blaise si alzò stringendola forte e consolandola. Alla fine parlò. “è stato uno shock papà, tu non hai idea… scoprire di aspettare un figlio. Proprio quando non vorresti! Proprio quando la guerra rende difficile anche solo respirare! E poi scoprire che la persona che amavi non ti ama più e ti lascia proprio quando hai più bisogno di lui…”

“è finita ormai. Torneremo tutti a casa. Insieme. Finalmente.” Lo sguardo di Brooke sembrò illuminarsi di una nuova luce. “davvero??” “si, davvero.” “hey! Quel abbraccio può comprendere anche noi?” “Mamma!” “Sarà ora che la tieni un po’ in braccio anche tu…” e le porse la bambina.

“oh… lei è…è…oh quanto speravo di conoscerti” disse sorridendo e accarezzando la piccola manina che le stringeva il dito in una morsa d’acciaio.

“come si chiama Brooke?”

“come? Ah si, certo, Cassidy. Lei si chiama Cassidy.”

“sarà la nostra speranza.”

“torneremo tutti insieme a casa per l’estate. Ci divertiremo tantissimo!”

“non sapete quanto sono felice… è il giorno più bello della  mia vita! Tutta la mia famiglia qui e siamo tutti felici e torneremo a casa. Insieme.” Disse commossa.

 

 

 

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Mentre la città tornava relativamente alla tranquillità, Fred si dirigeva lento lungo il ciglio dell’autostrada 74 in cerca di espiazione. Un motivetto country risuonava dalla casetta di legno dell’area di servizio. Un vecchio fumava un sigaro seduto su un dondolo davanti alla casetta mentre una mosca ronzava fastidiosamente attorno a lui. Fred proseguì dritto senza badare allo sguardo vuoto del vecchio.

L’aria calda e umida gli seccava la gola, la maglia gli si appiccicava alla pelle e sulla fronte brillavano numerose gocce di sudore; gli occhi blu però, restavano vigili e acuti.

Erano le quattro e mezzo del pomeriggio e l’afa era insopportabile. Nemmeno un’anima si azzardava ad uscire di casa.

Forza e coraggio Fred. Tra poco sarà notte e dovrai cercare un posto dove dormire se non vuoi essere sbranato dai lupi. Lo sguardo del giovane saettò da una parte all’altra della strada. Niente. Ecco dove si trovava: nel niente!  La strada proseguiva in linea retta fino a una collinetta ricoperta di erbacce che impediva la visuale. Continuò a camminare ansimando fino alla sommità della collina. Un accampamento di media grandezza gli si parò davanti; una decina di uomini puliva le loro armi all’ombra di una tenda sulla destra: il resto dell’accampamento era deserto.

“che cosa ho da perdere?” si chiese. “se mi uccideranno, sarò ugualmente felice”  e si diresse verso le tende senza far rumore.

Sembravano tende dell’esercito ma non ne era del tutto sicuro, sta di fatto che appena si accostò a una di esse, non ebbe il tempo di pensare. Qualcuno lo afferrò alle spalle premendogli un coltello sulla gola.

“chi sei?” disse una voce roca e minacciosa.

“sono venuto in pace” Fred deglutì.

“come ti chiami?” disse l’uomo, senza diminuire la pressione del coltello.

“mi chiamo Frederick Gordon”

“Gordon, eh? E cosa è venuto a fare qui, signor Gordon?”.

“Non lo so.”

“Non lo sa?”

“no.”

L’uomo levò il coltello e, prendendolo con forza per il braccio, lo fece voltare permettendo così al ragazzo di vederlo in faccia. Era un uomo alto e grosso, dalla carnagione scura, portava la barba lunga, come i capelli e un grosso orecchino d’oro al lobo sinistro: se non fosse per l’abbigliamento da soldato, sarebbe potuto sembrare un pirata.

I due si guardarono negli occhi. L’uomo contorse il viso in una smorfia. “quanti anni hai, ragazzo?” chiese.

“diciotto”

“ah ah ah! Faresti meglio a tornare dalla mamma, Frederick Gordon!”.

“Non ho più una madre. E nemmeno una famiglia dove tornare, signor…?”

“Tenente Michail Jackson”

“…Tenente Jackson” concluse sfidandolo con il suo sguardo fermo.

“mm… non penserai allora di poter venire a mettere i bastoni tra le ruote a noi! Non siamo delle babysitter!”

“ci stavo giusto pensando, signore.”

“non provocare, ragazzo. In ogni caso sarebbe meglio portarti dagli altri.”

Si avvicinarono al gruppo. “Guardate… guardate cosa ha trovato nel deserto Michail!” disse un uomo con la risata roca e sdentata, mentre tirava su il suo fucile.

“che ci fa un ragazzo qui?” disse il soldato nero  mentre si alzava con fare preoccupato.

“il comandante non la prenderà bene…”disse una voce femminile alle loro spalle. Il tenente e Fred si voltarono. La donna aveva la testa china, portava una tuta mimetica e da sotto al cappellino verde militare spuntavano corti ciuffi di capelli color mogano che le coprivano gli occhi.

“pensa sempre di conoscere il comandante meglio di me, Sergente Levret!” sghignazzò il Tenente. La donna alzò lo sguardo: gli occhi verdi minacciosi. “Forse.”

“lasciaci passare.” Il tenente spinse Fred dentro la tenda a cui era appoggiata la donna. Ci volle qualche secondo per abituare lo sguardo alla fioca luce della lampada da campo. Un uomo era seduto dietro una scrivania, parte del suo viso era illuminata dalla luce: aveva i capelli leggermente brizzolati e corti, con qualche ciuffo lungo sulla fronte. Il comandante alzò lo sguardo appena i due entrarono: i suoi occhi neri come la pece tradirono tristezza e disperazione per qualche secondo, per poi diventare vuoti e misteriosi. Era una figura autoritaria, nessuno poteva negarlo.

“chi è, Michail?” chiese con tono pacato.

“Ho trovato il ragazzo mentre facevo la ronda. Si aggirava tra le tende… senza motivo…” guardò per un attimo il giovane.

“come ti chiami, ragazzo?” chiese dolcemente.

“Frederick Gordon, signore.” Rispose sicuro Fred.

“Quanti anni ha, signor Gordon?”

“diciotto, signore.” Il comandante rimase sorpreso.

“Ti sei perso?”

“no.”

“la tua casa?”

“non ho una casa.”

“capisco…” disse pensieroso portando la mani giunte di fronte al viso. “sei venuto qui per unirti a noi, immagino. Per avere un posto dove stare.”

“non ho idea di chi o cosa rappresentate, signore. In ogni caso non so dove passare la notte…”

“puoi restare qui, se vuoi. Tenente Jackson, dica al Sergente di occuparsi del ragazzo e poi torni qui. Dobbiamo parlare.”

“si, signore.”

Il Tenente spinse Fred  fuori dalla tenda. Il Sergente Levret era ancora in piedi con lo sguardo infuocato.

“sei contenta, Katherine? Ah ah! È tutto tuo! Il comandate lo ha affidato a te. Vedi di tenerlo in vita qualche giorno in più del tuo solito.” Disse ironico il Tenente mentre spingeva Fred verso la donna .

Qualche giorno più del solito? Che cosa voleva dire? Fred, confuso, guardò la donna in cerca di risposte: ma non trovò altro che due occhi verdi colmi d’ira.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


capitolo 5

“Entra.” Disse sprezzante il sergente mentre continuava a fulminare il tenente con lo sguardo.

Fred entrò lentamente dentro la tenda: l’interno era spoglio, una branda ordinata si trovava sulla destra, il piccolo scrittoio a fianco ad essa era illuminato dalla luce che filtrava dalla pezza di plastica trasparente che serviva da finestra. Sacchi e zaini militari riempivano l’angolo più lontano, a segnare la partenza imminente del gruppo. Non c’era niente di femminile in quella tenda, niente che non appartenesse ad un soldato preciso e ordinato.

“porterò un’altra branda. Non muoverti.” Disse il sergente, uscendo velocemente e senza far rumore. Fred si avvicinò alla scrivania e vide una lettera: erano solo poche righe… il sergente stava sicuramente scrivendo a qualcuno.

Caro Jean, sono dispiaciuta per quello che è successo ma non posso tornare indietro, non voglio. La mia vita aveva necessariamente bisogno di una svolta e partire via era l’unica soluzione possibile…

In quel preciso istante entrò il sergente, lo sguardo immobile sulla lettera tra le mani del ragazzo.

“mi dispiace. Io… non volevo. Scusami.” Si giustificò rimettendo la lettera al suo posto. Lo sguardo furioso del sergente lo spaventava. La guardò supplicante per qualche secondo prima di abbassare il capo. Silenzio.

“non importa.” Disse freddamente il sergente, mantenendo la calma ed aprendo la branda. Fred era decisamente stupito da quella reazione. Il sergente pose delle coperte piegate sulla branda di Fred. “Sistemati e dormi. Domani mattina partiamo all’alba.” E se ne andò.

Fred aprì gli occhi, immobile. La luce della lampada era accesa sulla scrivania, sbatté le palpebre per abituarsi alla luce; il sergente sedeva alla scrivania rivolgendogli un fianco. Portava una camicia larga di lino bianca e un paio di pantaloncini verde militare che facevano risaltare le gambe lunghe e snelle. I capelli corti e spettinati le circondavano il viso pallido e serio, gli occhi verdi erano tristi e impegnati nella lettura, in naso piccolo e dritto, la bocca era una rosa imbronciata. C’era qualcosa di aristocratico nei tratti di quella donna così giovane e così triste, che in quell’istante era l’immagine della serenità e della bellezza. Fred rimase immobile a contemplare quella figura così fragile e determinata, immaginò di alzarsi e poterla sfiorare, sentire il suo odore: immaginò di abbracciarla perché la tristezza e la delusione che quella piccola figura emanava, gli stringevano il cuore. Forse l’aveva fissata troppo a lungo o forse il suo cuore batteva troppo intensamente o forse ancora fu solo una coincidenza: il sergente si voltò. Fred fissò lo sguardo in quello profondo di lei.

“Da quanto tempo sei sveglio?” chiese a bassa voce.

“Non da molto.” Rispose, sedendosi.

Cadde un silenzio imbarazzato.

 “Allora, cosa cerca, signor Gordon?”

 “Chiamami Fred.”

 “Cosa cerchi, Fred?”

“Quello che cerca lei, sergente…”

 “Chiamami Kate.” Sorrise. Non c’era più niente di minaccioso in quegli occhi tristi e dolci.

“Kate. Mi spiace ancora per aver letto la tua lettera… non volevo, davvero.”

“Ti ho già detto di non preoccuparti. L’importante è che non ne fai parola con nessuno, meno che mai con il tenente Jackson… altrimenti dovrò ucciderti.” Fred rimase in silenzio.

 “Scherzavo. Sono sicura che non ne parlerai con nessuno.”

 “mm…”

 “cosa ti ha portato in questo posto dimenticato da dio, Fred?”

“il destino. Forse ho fatto scelte sbagliate a cui non posso più rimediare”

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