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di SanaToadstool
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ritorno ***
Capitolo 3: *** Invito ***
Capitolo 4: *** Litigio ***
Capitolo 5: *** Bugie ***
Capitolo 6: *** Doesn't matter where you are 'cause my home is where you are ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


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#Prologo

Quella pessima e malaugurata Beacon Hills arrecava solo rovine alla vita di Derek Hale, e nel corso degli anni precedenti a tutta la sua famiglia. Somigliava ad una maledizione, che si era abbattuta sul suo nome e che senza preavviso gli avrebbe strappato via anche l'ultimo battito cardiaco. Forse, arrivato a questo punto, non aspettava altro se non una scarica di paura e pura adrenalina che avrebbe destato in lui emozioni forti e vivide, in grado di fargli percepire finalmente l'abbandono di questo inferno umano. Oltre l'ira nessun altro sentimento era in grado di provare sulla pelle e gestire con esperienza, i ricordi di altri tipi di emozioni erano sempre più confusi e distanti. Gli anni passavano con una lentezza sfiancante, perché privi di ciò che avrebbe potuto fomentare il comportamento di quel piccolo Derek, entusiasta di aprir la finestra e prender una boccata d'aria, uscire dalla sua grande casa e vivere le stesse piccole avventure dei suoi coetanei (e non di ammazzarli o sgozzarli con i suoi artigli). In realtà, dopo l'incendio, più nulla del genere Derek immaginò potesse rifare. Credeva che fidarsi della sua ragazza, la persona di cui era innamorato follemente e per davvero, sarebbe stato il completamento della sua vita, l'unico tassello mancante a quel perfetto puzzle colorato e, generalmente, è quello che tutti ci aspettiamo dalla vita. La fiducia è un concetto ben più complicato e inopinabile, che se concessa alla persona sbagliata, nel peggior dei casi ti porta al baratro. La cacciatrice aveva ottenuto la sua preda, il suo sangue, la sua sofferenza. A Derek non restava quasi nulla della sua casa e delle sue cose, ma qualcuno ancora c'era: sua sorella, Laura, capitata con lui nel momento dell'incendio, inconsapevole di non poter trovare mai più lo stesso calore della sua famiglia che ogni giorno, quando tornava a casa, l'attendeva, bensì un altro tipo, più rosso, racchiuso in tante onde fumanti, incontrollabili, che facevano male; suo zio, Peter, salvatosi dall'incendio e sottoposto a varie operazioni chirurgiche, ma comunque permanente in uno stato catatonico, con gran parte del corpo ustionata. Tutto quello era un vero e proprio trauma, irrimediabile per un ragazzino.
Si allontanò da quel posto con sua sorella e trovò una collocazione migliore in un'altra città, nel tentativo di lasciare tutto il passato alle spalle. Ma realmente nessuno dei due ci ha mai sperato davvero, e nei rimasugli dei loro cuori distrutti una piccola scossa li squassava e gli schiaffava la pura e dura verità, che non avrebbe mai potuto essere eliminata. Col tempo il comportamento di Derek mutò, e fra un'incolmabile tristezza e vuoti emotivi si faceva spazio un'impellente voglia di vendetta, facilmente conseguibile grazie alla sua natura licantropica. Il suo mondo era fitto di sentimenti laceranti, che reciprocamente si indebolivano e annullavano tutte le sue forze, rendendolo incapace di soddisfare anche quell'unica via d'uscita - secondo il suo parere - che era la morte della responsabile di tutto. Quella contea, in cui la donna  abitava, e in cui lui ha vissuto la sua infanzia, sembrava essere una condanna alla sua vita affettiva, tantoché un'ennesima vittima della sua famiglia pareva esser stata tagliata in due e abbandonata su quel suolo, nelle vicinanze della vecchia e decadente tenuta Hale. Anche sua sorella era stata ammazzata, in quella città e a causa di quella dannata città, cominciò a pensare. Rimpatriò per recuperare i suoi resti e nel frattempo si accampò di dovere lì. Man mano si sollevò un vero e proprio muro di cemento armato fra Derek e il mondo intero, i suoi sentimenti esitanti, che lo rendevano vulnerabile, furono sovrastati e schiacciati definitivamente da un atteggiamento più acre, diffidente; il suo unico obbiettivo ora era diventare più forte, ed ottenere le sue rivincite. Desiderava diventare l'Alpha, e quello in carica – del suo territorio – si trovava senz'ombra di dubbio a Beacon Hills.
Dopo tanto, troppo tempo, si ritrovò ad aprire quella stessa porta, e ad entrarci dentro, viverci. Quella era la sua casa, ancora intatta nelle sue ceneri e nella sua mente come lo era allora; avrebbe detto di sentir ancora l'odore della sua mamma, il suono delle risate dei familiari passeggeri e di toccare ancora la pace e la beatitudine che prosperavano in quella casa. Erano tutti ricordi e polvere. Così com'erano un ricordo l'animo buono di suo zio e tanta polvere la sua intenzione di credere in una soluzione. Non c'era una via d'uscita soddisfacente, in quanto persino il sangue del suo sangue aveva tradito la sua fiducia: Peter, ripresosi dopo tanti anni da quel pietoso stato vegetativo, aveva ucciso Laura, per accaparrarsi il potere, e allo stesso modo avrebbe potuto uccidere il seccatore, Derek. A questo punto, sono tanti i fattori che hanno spinto Derek a prendere la decisione, che smentiva il suo piano mentale iniziale, di schierarsi dalla parte dello zio: tattica, debolezza, bisogno di qualcuno. Non c’era differenza, non incideva da che parte fosse e quali decisioni pigliasse, il suo scopo era assicurato, immutato e celato solamente per permetterne la scorrevole concretizzazione. Imperturbabile, al costo di perdere l'ultimo componente della sua famiglia, gli sottrasse il potere assoluto, e il ruolo di capo branco divenne suo.
Spesso si tende a confondere la reale intenzione per cui ci si pone un obbiettivo. E' il volerlo raggiungere, o il volerlo vivere, il vero fine? Derek Hale ottenne il suo branco, dopo aver conosciuto anche dei sedicenni impertinenti, fra cui uno morso dal suo psicopatico zio ritornato dall'oltretomba, e riconobbe inoltre il suo fallimento come capo. Stava quasi rischiando la vita contro la famiglia dei cacciatori, e poi è stato ripudiato di nuovo. Col tempo, però, sembrava che potesse esserci una convivenza fra lui e Peter, e con l'arrivo degli Alpha si era consolidato un necessario rapporto di alleanza, anche piacevole. Poi svanì anche quello, com’era ormai di routine.  Suo zio era morto, definitivamente, per via di una trappola ben organizzata degli Alpha, dinnanzi ai suoi stessi occhi indifesi, imprigionati in una visione obbrobriosa dei resti di quel corpo. E in quel momento comprese di non aver visto mai nulla di così disumano e che l’unico e vero problema non risiedeva nella sua vita, ma nella sua natura: quei suoi nemici, violenti e spietati, assecondavano i loro istinti animaleschi, la sete di sangue e non tolleravano sconfitte, erano dei veri lupi, esenti da una moralità consona agli esseri umani, preparati a vivere secondo un codice di sopravvivenza e a resistere autonomamente alle difficoltà. Derek era debole, pur essendo una montagna di muscoli, ed era incapace di contare solo su se stesso. Derek era più umano che licantropo, e la sua vita non poteva davvero essere come quella di tutti gli altri. Era stato educato come un bambino comune, con l’affetto che tutti i membri di una famiglia dovrebbero dedicarsi a vicenda, ed era cresciuto in loro assenza, rammentandosi di tanto in tanto la loro importanza.  Quello conforme all’ipotetico lui era uno stile di vita indifferente verso il prossimo, privo di lucidità, come quello di un vero animale, se ci avesse tenuto ad eccellere come Alpha. Dunque, non sapeva se il suo discorso era una sentenza per procedere oppure un limite invarcabile, ma la decisione finale era ancora ritardata. Nuovamente, scappò via da quell’incubo di città e questa volta non aveva più motivi per ritornarci. Della sua famiglia non era rimasto più nessuno e quella casa non figurava più nulla, se non l’immagine di una sofferenza atroce e irrimediabilmente indelebile.
Trascorse anni ed anni in una città lontana, senza mai sfuggire per almeno un giorno dal riflettere sul suo fallimento come persona. Il pessimismo era sicuramente parte integrante del suo carattere. Poi, improvvisamente, ricordò le parole di una persona di quella città innominabile, che confessò di aver promesso a sua madre di doverlo proteggere: il dottor Deaton. Non era una consolazione la teoria secondo la quale qualcuno avesse davvero riposto affidamento in lui, era una verità, che a quel tempo prese sottogamba. Non avrebbe potuto mai concepire l’eventualità di un rapporto di fiducia con qualcuno senza che questi abbattesse tutto ciò che era stato costruito, infatti, sovvenne alla mente che quel ragazzino a cui accreditò le parole di Deaton, Scott, non aveva nemmeno l’intenzione di abbracciare una formale cooperazione. Poi ricordò meglio.
E poi c’era Stiles.



 


Beh, è solo il prologo, necessario, ma solo questo. Sarà ambientata, quindi, dopo un bel po' d'anni rispetto al periodo vigente nella serie. L'ho buttata senza rifletterci troppo: una mia amica mi ha dato come parola chiave 'casa' e io ci ho scritto su. Fatemi sapere se vi piace l'idea o se è noioso, se ci sono errori ortografici o no... Recensite, a me fa sempre molto piacere!

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Capitolo 2
*** Ritorno ***


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#Ritorno

«Sceriffo Stilinski, dia un’occhiata anche a questa e mi dica se possiamo procedere.»
Con tante carte da firmare, funzionari qui e lì con messaggi da recapitare e criminali da condurre in cella inizia la giornata dello sceriffo della contea di Beacon Hills, che, nonostante sia responsabile di un titolo così rilevante e detenga importanti meriti al riguardo, vanta un’età giovane. Per questo tutti i cittadini, con il dovuto rispetto, continuano a chiamarlo come preferisce egli stesso: Stiles.
Quella mattinata aveva contato un cifra straordinaria di mandati d’arresto, provocati da un gruppetto di narcotrafficanti infiltrati che nei giorni precedenti avevano dato del filo da torcere agli inquirenti. A parte quell’episodio recente, non si verificarono particolari casi di criminalità negli ultimi anni, tantomeno eventi fuori dal comune, come quelli che hanno caratterizzato la sua adolescenza da detective. Il suo rapporto con Scott non era totalmente cambiato; sì, erano cresciuti, quindi i loro interessi e i loro impegni venivano affrontati con più maturità e consapevolezza, tuttavia si concedevano sempre qualche serata fra amici. Inoltre, Scott aveva imparato a controllare la sua licantropia dopo un annetto di pratica e non aveva rivalità varie con altri lupi o cacciatori, era di nuovo fidanzato con Allison e si sarebbero sposati a breve. Stiles, invece, viveva sempre nella stessa casa, in cui era cresciuto inizialmente con sua madre e suo padre, poi solo con quest’ultimo e infine da solo. Quando entrò nel dipartimento di polizia, praticamente non appena compì la maggior età e terminò gli studi liceali, affiancò suo padre molte volte, ebbe degli incarichi importanti che riuscì a portare a termine – senza trascurare i suoi studi universitari di giustizia penale – con grande maestria, degna del figlio dello sceriffo. Dopo quasi cinque anni, poi, sopraggiunse dalle contee vicine un gruppo organizzato di killer seriali, intenzionati a saccheggiare banche, rapire persone… E suo padre morì con due colpi di calibro alle costole, dopo averli inseguiti coraggiosamente e sbarrati in un vicolo cieco, permettendone l’arresto. Pena capitale per la maggior parte dei malviventi.
Fu uno dei periodi più bui della sua vita. Perse tutta la grinta di cui era dotato, la volontà di intendere ed agire, di svegliarsi di mattina, alzarsi dal letto e vivere un’altra giornata; precipitò in una profonda depressione e ritornarono gli attacchi di panico di cui aveva sofferto da piccolo, quando a morire fu sua madre. Quel vuoto non era di certo colmabile completamente, ma la presenza delle uniche persone che ormai gli erano rimaste, i suoi amici, offrirono un’ occasione a Stiles di confidare nel futuro e di ricominciare a vedere il mondo per tutte le opportunità che offre. Ogni giorno era una lotta entrare ed uscire da un posto che è tesoro di tanti ricordi: alcune volte voleva rifugiarsi nella camera da letto dei suoi, sfogliare l’album delle fotografie, ingozzarsi come un maiale e non uscirne più; altre, invece, voleva scappare, il più lontano possibile da quel cumulo di memorie dolenti e non ritornarci per molto tempo, o persino trasferirsi altrove. Fondamentalmente, nessuna delle due intenzioni contrapposte mise in atto, perlomeno non portandole a termine, ma era indubbio che non avrebbe mai abbandonato casa sua. Gradualmente si rassegnò alla realtà e riprese in mano la sua vita, distaccandosi dai sentimenti nostalgici e affliggenti, come aveva già fatto da piccolo, affinché potesse costruire una carriera e darsi una ragione per cui esistere ancora. Aiutare la città, così come faceva il suo vecchio, era ciò a cui mirava.
E poi, man mano, ritornò anche la sua solita vitalità.
«Avete parlato con i proprietari? Non si può agire senza il loro assenso» disse Stiles al suo sottoposto, leggendo l’ordinanza di demolizione di un’abitazione abbandonata e rovinata nei pressi della Riserva di Beacon Hills.
«Nelle liste degli archivi possiamo scoprire chi è stato l’ultimo possessore dell’intero lotto, ma siamo sprovvisti di recapiti» ribatté l’agente, teso a procedere con l’ordine per lo smantellamento.
«Non abbiamo il diritto di procedere.»
Di primo acchito non ci rifletté più di tanto, ma sfogliando le pagine che gli erano state rese, si accorse di poter riconoscere quell’abitazione persino ad occhi chiusi e non perché la vedesse ogni giorno: l’unico edificio abbandonato e bruciato nei pressi della riserva, che corrispondeva a quelle precise coordinate e quelle precise caratteristiche, era solo ed esclusivamente la casa di una sola persona. Quella persona è Derek Hale.
Stranamente nei registri non risultava, negli ultimi quindici anni, un proprietario effettivo (o dichiarato), e quelli precedenti erano deceduti.
«Bisognerebbe contattare qualche parente… Se non sono già tutti morti» proferì un’altra collega, e Stiles concluse, prima di ritornare nel suo ufficio: «Mi occupo io delle telefonate, lasciate la questione nelle mie mani».
Non sperava di poter ritrovare così semplicemente il numero di Derek Hale nei meandri del suo cellulare vecchio, ancor meno di ricevere una risposta – dopo tutto quel tempo, forse, lo aveva anche cambiato – ma indubbiamente non poteva autorizzare lo smantellamento di un posto che, anche ad uno così burbero come lui, richiama alla mente ricordi importanti, dolci ma anche amari. Poteva comprenderlo meglio di tutti, sapeva bene cosa significasse essere solo, per questo si prese l’incarico di preservare quell’intero appezzamento come fosse una reliquia santa, finché il diretto interessato non sarebbe venuto a reclamarla.

Anche quel dì lavorativo era terminato, dunque si mise in auto e tornò a casa. Volle il caso che quel giorno era un venerdì, e come ogni fine settimana che si rispetti, Stiles non si fece mancare una serata col suo amico Scott e quel simpaticone di Isaac. Prima che potessero arrivare, però, si freddò con una bella doccia gelata, come faceva sempre, per scaricare tutto lo stress lavorativo. Ci era abituato, o meglio, lui stesso dice che “la pelle si abitua al getto freddo e se ne bea, il flusso dei pensieri scivola insieme a quello dell’acqua e si leva dalle viscere una sensazione di quiete ed euritmia dei sensi”. L’unica sofferenza stava nel dover uscire dalla doccia, smuovere il vento e asciugarsi. Lì sì che faceva freddo. Mentre si adoperava per estrarre i documenti contenuti nella borsa e ordinarli nei cassetti, rammentò il nuovo compito che doveva svolgere, indi per cui inaugurò la sua caccia al tesoro. Non era riuscito a ritrovare nulla pur avendo setacciato tutta casa da cima a fondo per più di un’ora. Senza crucciarsi, tuttavia, attese l’arrivo dei suoi amici con un dito misurato di whiskey, cui offrì come era solito a loro. Arrivati, iniziarono a parlare delle loro giornate, di ciò che avevano combinato e anche di ciò che era invece successo nei giorni precedenti. Insomma, avevano sempre tante argomentazioni di cui parlare, monotone e comuni discussioni da uomini adulti pre o post matrimonio, ma quella sera emersero degli aggiornamenti più importanti, proprio al termine della giornata vera e propria. Le nozze di Scott erano confermate, i preparativi stavano iniziando e presto avrebbero ricevuto l’invito alla cerimonia.
«Sapete oggi ho ricevuto un’ordinanza di demolizione di una struttura situata nei pressi della riserva» disse Stiles disinvolto, fra una risata e l’altra, destando l’interesse degli altri due «Vi dice qualcosa?». I ragazzi dovettero prima scavare fra i loro ricordi, ma non fu difficile recuperare quello giusto: era sufficiente ricordarsi il bosco, le viottole che conducevano ad uno spazio ampio, in cui era parcheggiata spesso un auto nera metallizzata e ove si erigeva una struttura, di più piani, deteriorata. Si riferiva alla prima casa di Derek Hale, quella appartenente alla sua famiglia.
«Sapevo che prima o poi sarebbe capitata nel mirino delle imprese demolitrici. E’ un tugurio» asserì Isaac, calandosi nei flashback della porzione di tempo trascorso con lui. Ultimamente, secondo Stiles, Isaac soffriva di malinconia, e le espressioni facciali che assumeva spaziavano fra smorfie di dolore o di disgusto e mega sorrisi o faccette dolci. Bisognava usualmente strattonarlo per riportarlo nel mondo degli esseri pensanti e operanti.
«L’ultima era più presentabile, nel senso che non era bruciata, perciò è riuscito a venderla» ribadì Scott il concetto elaborato da Isaac, e poi domandò retoricamente, conscio in anticipo delle intenzioni del suo miglior amico: «Che hai intenzione di fare?». La risposta non si fece attendere, scollando le labbra dal bicchiere, alzò il capo e riferì ciò che aveva stabilito e che non avrebbe subito variazioni: «Troverò sicuramente un modo per contattarlo, ma non voglio farla abbattere senza il suo consenso. E’ casa sua».
Così terminò anche quella nottata e i due lupi sgomberarono la casa dello sceriffo, che subito dopo si preparò per andare finalmente a dormire.

Nel frattempo, nel bel mezzo della notte, una figura agile e atletica si muoveva fra i ceppi della foresta, servendosi dello splendore della mezza luna che solcava il cielo vasto e buio. Correva e correva, seguendo una linea immaginaria che lo avrebbe condotto a destinazione, servendosi del suo fiuto sviluppato che annusava un odore così intenso tanto quanto abituale per lui. Man mano che il traguardo era sempre più vicino decelerava, così da concludere il resto tragitto con piccoli passi. Sbucò nel posto previsto e notò istantaneamente la presenza di qualcosa di inconsueto e superfluo, che cingeva l’intera zona: erano dei nastri a strisce, legati ai tronchi degli alberi, tesi attorno al lotto, con un cartello che indicava il divieto d’accesso.
Si recò al cuore della contea e, sempre di corsa, attraversò gran parte di essa. Si soffermò a guardare attentamente un paio di case, tutte ben serrate e con le luci spente, sgranando gli occhi, per ricordare chi fossero i loro proprietari, poi proseguì; girovagò per tutta la notte, lungo le strade del suo territorio. Non c’era più bisogno che Stiles cercasse di contattarlo: l’Alpha stava ritornando in città, cosa avrebbe perso questa volta?





...D: Cioè, aspetta. C'è davvero gente che la legge? E' la prima volta che ho così tante persone nella lista delle "persone che seguono le tue storie". Vi ringrazio tantissimo! Spero di non avervi deluso con questo capitolo. Vi prego di segnalarmi tramite recensione se ho fatto qualche errore di ortografia o di altro genere, oppure il vostro parere. Anche questo capitolo è stato scritto di getto. Ora, a parte queste premesse, la storia la compongo man mano che elaboro i capitoli, quindi non c'è nulla di premeditato (ad eccezione della trama in generale), potrebbe anche cambiare il rating, che ora mantengo sul verde.
Beh, adieu. :)

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Capitolo 3
*** Invito ***


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#Invito

Era l’alba, un lupo si aggirava nella foresta. Correva veloce e instancabile nello stesso sentiero che la notte precedente percorse, al fine di raggiungere quel posto particolare che mescolava ancora dolore e piacere, che figurava l’unico rifugio plausibile in un mondo di inganni.  Adesso che c’era più luce poté riconoscere meglio i colori di quei nastri attorno alla sua tenuta, giallo e nero, che, secondo le menti geniali del dipartimento federale, sarebbero dei veri e propri limiti di accesso al posto confiscato. Onestamente, non era molto difficile scavalcarli, scivolarci sotto (i bambini non ne avrebbero avuto bisogno) oppure tagliarli coi suoi artigli.
«Hei ragazzo, che diamine fai? Non hai letto il cartello?» strepitò un individuo in divisa da lontano, non appena scese dalla sua auto. Gesticolava, indicava il cartello; mosse qualche passo verso il licantropo.  «Questa è casa mia!» rispose Derek, sbigottito, allargando le braccia. A Beacon Hills ogni volta che ebbe a che fare con la polizia ottenne solo sconforti, brutte notizie e torti, infatti, avvicinandosi all’agente, notò che questi era proprio colui che, tanto tempo fa, lo aveva arrestato per accusa d’omicidio della sua stessa sorella, insieme allo sceriffo Stilinski. Si chiese come potesse essere ancora vivo. Fu un buco nell’acqua.
«Quindi lo sceriffo le ha parlato della casa?» alluse all’incarico di cui Stiles aveva deciso di occuparsi. Gli diede una pacca sulla spalla, con fare compassionevole. Derek era confuso: non sapeva se avesse perso l’abitudine, oppure se le persone che soggiornavano nella contea fossero lievemente uscite fuori di testa. Altro che dispiaceri.

«Quindi ora sei lo sceriffo.»
«Già. E’ un lavoro che ripaga, in tutti i sensi. Mi passi il sale?»
Davvero non c’era niente di meglio che passare il sabato sera con una vecchia conoscenza? Stiles aveva preso una decisione, si era dato da fare, inspiegabilmente, per rendere quel momento perfetto, accomodante  e piacevole per l’ospite e per sembrare il più disinvolto possibile. Aveva sempre nutrito un certo timore nei suoi confronti: quando era più piccolo e ne combinava una delle sue veniva sempre sbriciolato verbalmente da lui... Poi ribatteva e si avviavano così i loro soliti battibecchi campati in aria. Aveva improvvisato in poche ore una cenetta coi fiocchi, gongolandosi delle sue eccellenti capacità culinarie; aveva organizzato tutto – prendendosi persino qualche ora libera dal lavoro – in modo che l’altro si sentisse a suo agio, nonostante fosse stato via da Beacon Hills per molto tempo e ci avesse “litigato” durante la stessa giornata, quando lo rivide dopo tutti quegli anni. A questo proposito, inizialmente, aveva pianificato un incontro pacifico, organizzato dopo una telefonata altresì tranquilla, in un luogo meno probabile della centrale di polizia. Eppure quel giorno, proprio quando aveva bisogno di trovarlo, spuntò da solo dal nulla, come se il karma avesse agito di conseguenza. Ma in ogni caso, ciò non avrebbe giustificato l’impegno devoto impiegato per accoglierlo a braccia aperte. Non se ne accorgeva nemmeno di quanta dedizione ci stesse mettendo per qualcuno con cui non è mai uscito a bere qualcosa e che probabilmente non sapesse nemmeno che il suo vero nome non è Stiles.

Il poliziotto, la stessa mattina, lo aveva accompagnato alla centrale in auto, cosicché potesse accordarsi per il destino scontato della casa con il suo superiore. Si limitò a esporre la situazione in generale, e poi, dato che gli fu richiesto, anche ciò che era successo negli ultimi anni in città.
Entrati nell’edificio, l’agente gli fece strada fino all’ufficio dello sceriffo. La porta era aperta tutta, all’interno si notava un’immane confusione: fogli sul pavimento; cassettiere sottosopra; stracci sulla scrivania o appesi agli spigoli dei quadri novecenteschi fissati alle pareti; la sedia era rovesciata a terra... Derek vi entrò, poiché l’altro lo lasciò procedere da solo, ma non c’era nessuna traccia di carne umana e distintivo in tutto quel disordine. L’ufficio era enorme, da un lato scorse un’ulteriore porta, anche essa spalancata. Non dico che anche attraverso quella si notasse scompiglio, ma Derek trasecolò vedendo che l’ufficio dello sceriffo fosse così caotico. Improvvisamente uscì da quella porta un uomo, con un pantalone scuro e una magliadi un fondo a maniche lunghe del medesimo colore, che, frettoloso, si prodigava maldestramente nel cercare qualcosa nei cassetti della scrivania. Poi alzò il volto, ritornò in posizione retta e Derek piombò verso di lui. Sbraitò, battendo le mani sulla scrivania: «Mi spieghi che diavolo stai combinando?».
«...Capiti giusto a tiro! Qualunque cosa ti abbiano detto non è vera: io non ho autorizzato nessuna demolizione, infatti la casa è ancora in piedi... Cioè, per quello che ne resta. In ogni caso fa’ conto che quei nastri siano delle decorazioni, sai, come quelli a pois; immagina che siano a pois, invece che a strisce» spiegò Stiles, perdendosi nelle sue solite chiacchiere, tutto d’un fiato, e riprendendosi subito dalla sorpresa per aver visto proprio lui, Derek Hale, dopo tanti anni, a pochi centimetri dal suo viso, con un insolito sguardo confuso.
«Io mi riferivo al casino che c’è in questa camera, Stiles»
«Oh. Come ti vanno le cose?».
Trascorsero tutta la mattinata a discutere veementemente sulla questione della casa, e così, nel trambusto delle loro grida, trasportati dagli sfoghi interiori e dal pensiero di non aver litigato, o parlato, negli ultimi anni, alternavano il discorso iniziale a molti altri. Aveva del grottesco il modo in cui riuscissero a contraddirsi utilizzando come espedienti altri argomenti tanto diversi e banali, per poi riconnettersi al problema principale. Da una parte, in realtà, era quasi piacevole per entambi, mentre dall'altra avrebbero preferito parlare di cose più pacifiche. Stiles, sicuramente, sarebbe partito in quarta se non ci fosse stata la complicazione della casa, invece Derek aveva ancora qualche problema nell'esprimere serenamente e senza uno sguardo accigliato ciò che gli avrebbe davvero fatto piacere.
«Ma se volevi che questo non dovesse nemmeno accadere, allora, perché te ne sei andato?» obiettò Stiles, sventolando le mani per aria, dopo un’ennesima accusa «E’ una cosa palese: vai via: abbandoni casa tua: abbandoni tutto».
«In logica prenderesti A+, genio. Invece di fare domande, perché non vedi di risolvere?» replicò, come al solito, arrogantemente.
«E’ quello che sto facendo.»
«Perfetto» disse, voltandosi e uscendo dall’ufficio. Prima che potesse andar via, però, la voce di Stiles lo chiamò, facendo affidamento sull’udito sovrasviluppato del licantropo: «Hei, hei. Dove stai andando?».
Ritornò sulla soglia della porta, «a casa mia» sentenziò.
«Non puoi andare a casa tua! E’ comunque pericolosa, non è stata mai ristrutturata. Poi è tutta bruciata, ci saranno tanti animali, carichi di malattie, tanta polvere - pessima per chi soffre d'allergia - e un cattivo odore...»
«Non so se te ne sei accorto ma ci ho già vissuto, non mi è mai crollato nulla addosso e-»
«Non puoi! E’ passato più tempo ora» s’interruppe, sapendo che queste frasi così non avrebbero attaccato. Si decise, poi, a fare una richiesta, fatale: «Ascolta, che ne dici di venire a cena da me?».
E così fu.

L’intera mattinata la trascorse comunque in casa sua e anche girovagando per la contea. Si tormentò per esser tornato senza la sua auto (che non era più la vecchia e scintillante Camaro nera) perché sapeva che sarebbe stata la volta giusta per non andarsene mai più. Alle sette, poi, andò a casa di Stiles, come avevano fissato. Gli duoleva ammetterlo ma conosceva ancora la strada per arrivare a casa sua, anche se molte cose erano cambiate.
«Stiles, quel tizio» iniziò Derek, mentre masticava un altro pezzo della bistecca «che oggi mi ha portato da te... Io credo di conoscerlo».
Stiles sorrise. Il suo sorriso non aveva una tendenza univoca, era enigmatico nella sua fugacità, forte nei suoi significati, coinvolgente nel suo apparire; la sua carica comunicativa era ampia e profonda, sebbene gli angoli delle sue labbra fossero inarcati il minimo necessario per essere scorto e i suoi occhi fossero rivolti verso il basso, leggiadramente socchiusi. La frase e l’uomo a cui si riferiva erano pozzi di ricordi dissimili, di percezioni vivide ma contrapposte, che intricavano la natura spassosa, dal retrogusto malinconico, della sua espressione. Trovò così piacevole la riflessione di Derek sul sicuro approccio avvenuto con l’agente, giacché reminiscenza di un periodo specifico. Quel preciso momento lieto per Derek non fu. Per Stiles, che non aveva alcun tipo di esperienza sul come badare ai lupi mannari, era un periodo inconsueto, nuovo e faticoso, indi pericoloso per la sua incolumità. Tuttavia era anche semplice, poteva respirare un’aria diversa, ancora profumata. E, per la precisione, il momento in cui Derek fu condotto nell’auto e s’intrufolò per parlargli fu una risvolta, sotto ogni punto di vista.
Fu dura, però, scavare fra i ricordi più recenti, intuendo il fine del suo discorso. Il punto era che quell’uomo era ancora lì e Stiles aveva preso il vizio di guardarlo con degli occhi diversi, bisognosi di un affetto terminato troppo presto, negatogli da due colpi di pistola. Aveva meditato a lungo anche su questo, realizzò quanto fosse logorante circondarsi di memorie fatte di occhi limpidi, di pelle adulta e di uniforme.
«E’ quello che mi ha arrestato quando avete cercato di incastrarmi, tu e quell’idiota di Scott» enfatizzò Derek con un’insolita ironia, lasciandosi sfuggire anche lui un mezzo sorriso.
Stiles e Derek erano e sono diversi, per cui avevano due parametri differenti di protendersi al presente e al futuro. Ma lo stesso di rispecchiarsi nel passato, di ricordarlo e di sorridergli in quello stesso modo amaro, oppure in altri modi indegni di essere chiamati ‘sorriso’.
«Non è troppo vecchio per rimanere ancora in carica?»
«Ho scelto io di farlo continuare, lui ha accettato volentieri» confidò Stiles «Era una persona fidata di mio padre, col tempo l’ho conosciuto anche io ed è un brav’uomo».
Non era una discussione come questa lo scopo dell'attenzione riposta in quell'incontro, ma Stiles era bravo, era perspicace, aveva scoperto qualcosa di nuovo.
«Mi dispiace, per tuo padre.»
«Sei diventato troppo gentile e simpatico, sourwolf.»
Stiles e Derek erano due persone sole coi propri ricordi.





Ecco qui il capitolo dell'incontro! Ve lo aspettavate in modo diverso? Io dico di sì... :'D Lo prospettavo in modo diverso anche io, ma poi ho deciso di renderlo meno "impossibile" e più "probabile". Perché? Non lo so, l'ho scritto e basta. Oh, volevo anche utilizzare la parola "sourwolf" e, meccanicamente, mi ha procurato una nuova ispirazione, in quanto è il soprannome che Stiles gli diede molto tempo prima e che ha pronunciato di nuovo per rievocare il passato.
Come sempre, se trovate qualche errore che io non ho notato (.___.) fatemelo presente! E fatemi sapere che ne pensate, magari anche esponendomi come avreste immaginato il loro incontro. Ringrazio tutta la gentaglia che si aggiunge ancora alla lettura di questa cosetta qui e a presto!

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Capitolo 4
*** Litigio ***


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#Litigio

Erano passati sei giorni da quella piacevole serata.

Stiles svolgeva, sotto la supervisione dei suoi amici acuti ma perplessi, il suo dovere di sceriffo con impeccabilità consueta e determinante. Quando gli impegni lo permettevano, rifletteva  sulla genuinità che qualificava le sue chiacchierate con Derek – non faceva altro –, e non si spiegava come tutto sia accaduto da sé: ogni cosa sembrava al suo posto, come se il tempo fosse passato in maniera rigenerativa per il loro rapporto. Non immaginò mai di poter scambiare battute con lo scontroso Derek Hale, per spezzare in quell’ammasso di memorie infelici e travalicare i limiti impassibili che la vita aveva prescritto loro, né di poterci conversare fino a notte fonda e rivederlo nei giorni seguenti. Parlare con lui gli sembrava la cosa più semplice e confortevole da fare, nel momento in cui poteva, ma, solo quando tale lasso di tempo terminava ed era costretto a ritornare alle sue faccende d’ogni giorno, s’accorgeva di quanto fosse tutto ciò fuori dal comune. Derek era cambiato molto, non solo dal punto di vista caratteriale: segno di un allenamento incessante, la sua massa muscolare era ancora aumentata; la pelle, che dava l’impressione di essere ancora tonica come una decina d’anni prima, in realtà nascondeva dei difetti in maniera inverosimilmente perfetta, considerata la sua età; le linee d’espressione del suo viso, più scarnito ma delineato dalla sua barba sempre curata, corta e totalmente scura, erano marcate, e ciò si evinceva non solo guardandolo, ma anche quando le sue palpebre si stringevano quasi e la sua bocca si stirava in un sorriso reale e incantevole, mai sfoggiato prima.
Stava scaturendo finalmente qualcosa, preteso e faticato da entrambi, oppure stava semplicemente risorgendo adesso, poiché stato incapace di farlo al momento giusto.
Derek abitava ora in un nuovo loft e di tanto in tanto si recava nei pressi della riserva, per recuperare dalla vecchia abitazione oggetti conservati sotto il letto o sotto i ripiani degli scalini, fotografie sgualcite o bruciacchiate, vestiti vecchi, lasciati ad impolverarsi, o libri mai letti. Adornò la nuova casa, essendo ormai discosto dai vecchi gusti raccapriccianti, con suppellettili generalmente tenui e dalla forma delicata e conservò tutte le cose recuperate che più potevano servirgli o che, naturalmente, gli ricordavano qualcosa di bello ed importante. Durante i giorni seguenti si dedicò solo ed unicamente a se stesso e al trasferimento – benché detestasse ammettere che aveva davvero deciso di dare una seconda opportunità a se stesso e alla sua madrepatria – talvolta facendo inaspettatamente visita allo sceriffo Stiles Stilinski, quando percepiva fosse in casa dalla sua scia d’odore che pervadeva l’intero viale. Il suo profumo era sempre più forte oltre che leggermente mutato, ma Derek non notò solo questo: quell’uomo maturo, responsabile di un compito fondamentale per la vita altrui e per la propria, ancor più coraggioso e sfacciato, che non rinunciava al suo atteggiamento sarcastico e al bisogno di sorridere, era Stiles, il ragazzino petulante, fastidioso e debole a cui aveva rivolto le sue più grandi minacce e le sue più scarse attenzioni.
Non incontrò nemmeno una volta gli altri del branco (se poteva esser considerato ancora tale) che, essendo concentrati sulle loro questioni private, non si accorsero del suo ritorno.

Era venerdì, Stiles aveva finalmente la possibilità scaricare lo stress lavorativo accumulato, che, eccezionalmente, era minore in confronto a quello che immagazzinava solitamente settimane prima, parlottando e bevendo moderatamente coi suoi soliti amici. Poté confidar loro di essersi rilassato nel corso della settimana – ignorando il loro intuito, difatti avevano già notato tale metamorfosi –, per cui aveva iniziato a considerare le sue faccende in maniera meno asfissiante, sottintendendo indirettamente di aver occupato la mente con qualcos’altro. Stiles aveva imparato che rivelare la verità con degli arcani o delle allusioni non avrebbe significato mentire, il suo battito cardiaco sarebbe stato quindi regolare, il suo odore invariato e non stravolgibile dai licantropi. Sostanzialmente, non c’era nient’altro da dire se non che l’Alpha fosse di nuovo in contea. Eppure, a tutti i discorsi affliggenti che gli pareva di ascoltare nel suo salotto non seppe nemmeno come provare a rispondere, sentiva che nascondere il suo ritorno non avrebbe avuto senso, a maggior ragione se egli non avesse ancora anticipato i suoi amici, che di Derek sapevano molto, a farlo notare, ma anche che, pur se ne avesse parlato con loro (omettendo per un istante la reazione di tutti e tre), il suo stato d’animo non sarebbe cambiato. Magari, le discussioni concepite dai probabili dissensi dei suoi amici, avrebbero snaturato il suo comportamento, ma non in modo permanente.
All’inizio aveva sentito una saetta percuotergli il cuore, la sua mente sussultò liberando la sua essenza, nel suo corpo immobile palpitava inverosimilmente ogni muscolo; dopo, repentinamente, lacerò all’interno ogni tessuto, ogni briciolo d’animo e oscurò la totale capacità di accorgersi che stesse avvenendo ciò. Si sentì improvvisamente vuoto, privo di ogni stimolo che precedentemente  lo squassava. L’unica cosa che riuscì a pensare portandola a termine fu “Isaac aveva ragione”. Perché ciò descritto era esattamente quello che Isaac ripeteva sempre, e che gli conferiva, pur in maniera scherzosa, il titolo dell’inguaribile nostalgico.
«E poi» azzardò Scott, in maniera diretta «come hai concluso la situazione della casa di... Hale?»
«Adesso non ricordi nemmeno più come si chiama?» rispose di getto Stiles, irritandosi senza un motivo evidente, lasciando purtroppo accelerare il suo battito cardiaco.
«Tu nascondi qualcosa, non è vero?» riprese Scott, con lo stesso atteggiamento esuberante, centrando il fulcro della questione. Stiles si sentì sotto pressione, il suo cuore non rallentava, pompava tanto sangue, il quale confluiva velocemente e impetuosamente in tutto il corpo; iniziava a sentire il calore dell’agitazione sotto la pelle, in particolar modo del viso e dell’addome, e non riusciva a quietare il suo istinto di negare l’evidenza oppure di dargli un pugno in faccia. Non che fosse un tipo violento, ma Scott, per esperienza, continuava ad essere un totale idiota.
«Andiamo, Stiles! Sei riuscito a contattarlo, se hai risolto tutto, o sbaglio?»
«Sì, Isaac, abbiamo risolto.»
«Quindi» ribadì Scott «se la faccenda è risolta e non hai intenzione di dirci altro, significa che, forse, non vi siete solo sentiti, ma persino incontrati».
«Questa deduzione non fa una piega. Cosa cambia?» ribatté ancora Stiles, cercando nuovi specchi su cui arrampicarsi. «Importa che la questione è chiusa! E smettetela di usare i vostri sensi e le mie parole contro di me... Non siamo in un tribunale e non sono di certo l’imputato».
Era decisamente più semplice mentire a quel buon uomo di suo padre; con dei licantropi era ben diverso. Le domande dei due proseguirono insistenti, finché Stiles, esausto e sinceramente incapace di elaborare nuove scappatoie, confessò ogni cosa successa. Raccontò dell’inaspettato incontro in ufficio, dell’invito a cena, del giorno seguente e di tutte le altre innumerevoli volte in cui si erano incontrati nei troppo brevi giorni seguenti. Isaac e soprattutto Scott sembravano non esser per niente contenti della visita avvenuta, diversamente da lui stesso, che esponeva lietamente il suo entusiasmo: quando lo sceriffo finalmente confessò di aver incontrato Derek, e di aver riscontrato persino un cambiamento in lui dal punto di vista morale, Scott, con le mani fra i capelli o scuotendo il capo, biasimava le sue parole gioconde, criticava, inoltre, la sua competenza di poter esprimere un giudizio e si oppose al programma di Stiles di rivederlo.
«Tu devi stare lontano da lui. Come puoi fidarti di una persona che ha combinato tutti quei casini, che è scappato e che ora ritorna come se nulla fosse mai successo!?» gridò Scott.
«Non vuole uccidere nessuno!» rispose Stiles e si alzò dalla poltrona, perdendo le staffe «Dovete smetterla di diffidare di chiunque solo perché non siete più come tutti gli altri esseri umani, e soprattutto non potete decidere per la mia vita!».
Dopo la frase veritiera e pungente pronunciata da Stiles seguì un rapido silenzio. Scott non ci badò e agitandosi, meditò ad un nuovo sistema per persuadere il suo miglior amico, che, comunque, non funzionò.
Era deciso, ed era stranamente contento di aver a che fare di nuovo con Derek. Gli aveva mostrato un lato taciuto a lungo di se stesso, su cui contava, ma sopra ogni cosa apprezzò lo sforzo emotivo compiuto da egli per poter arrivare al punto di aprirsi agli altri, a lui, con delle parole o con abbozzi di sorriso.
«Ti ha detto il motivo per cui è tornato?» intervenne Isaac, decisamente più mansueto degli altri due litiganti, ma pur sempre in apprensione per l’incolumità dell’amico.
«Non abbiamo avuto occasione di parlarne»
«Figurati se qualcuno che vuole farti fuori ti avvisi prima! Vuole entrare nelle tue grazie, per vendicarsi di quello che è successo tanti anni fa»
«Non è vero, Scott. Sì, sono umano, ergo non ho la super vista, non ho l’udito sovrasviluppato, non mi spuntano gli artigli quando mi incazzo, MA non sono scemo: sono capace di intendere e volere ciò che faccio» adirato, fu l’ultima risposta che diede. Poi, Isaac, conscio che la situazione sarebbe degenerata in peggio, prese Scott per un braccio e lo portò verso l’uscio. Tentava ancora, pur con entrambi i piedi fuori dalla porta, di persuadere Stiles, che, sebbene non obiettasse alle sue accuse, forse, dei dubbi aveva iniziato a nutrirli.
«Te ne pentirai, Stiles.»





...Sono un'ingrata. Quand'è che dovevo aggiornare? Tipo, una settimana fa? La scuola mi sta prosciugando. .___.
Dico di questo capitolo che serve solo a farvi capire che il bello sta per arrivare (credo). Sì, Scott è fuoriluogo... E no, ovviamente non so perché l'ho reso così. Prima o poi, scoprirete cos'è successo tanti anni prima e perché diffidano così tanto di lui. Credo che, per quanto riguarda il rating, rimarrà verde, ma forse l'ultimo capitolo non lo sarà (o almeno ci spero <3). Che dire più, spero che vi piaccia! Fatemi sapere di eventuali errori di scrittura, o il vostro parere sul capitolo o cosa vi aspettate dal prossimo!
;)

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Capitolo 5
*** Bugie ***


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#Bugie

Derek sentiva qualcosa di strano nell’aria. Per esempio, in casa sua non c’era più l’odore dello sceriffo, che era giunto il giorno precedente a fargli visita con i due beta, i quali, tanto felici di rincontrarlo, non erano. Anche Derek avrebbe preferito non rivederli, altrimenti avrebbe già provveduto circa due settimane prima, quando mise piede sul suolo di Beacon Hills per la prima volta dopo tanti anni. Il rancore dei due lupi era maggiore rispetto a quello provato dall’alpha nei loro confronti, sebbene dovesse essere il preciso contrario. Proprio da quell’incontro in poi notò che qualcosa era cambiato perfino in Stiles e che il tutto puzzava di bugie, sfiducia e insicurezza.

Due giorni dopo il litigio, quindi, lo sceriffo Stilinski riuscì a convincere i suoi due inseparabili amici a far visita a Derek. In realtà, più che un augurio di benvenuto in ritardo, Stiles voleva che lo accompagnassero, addirittura per prudenza, così come l’intenzione dei due fosse scortarlo in caso di pericolo. Non era spaventato, ma... Sì, se ciò che gli è stato raccontato, avrebbe potuto correre qualche rischio. Quando era più piccolo si approcciava alle situazioni in maniera a dir poco sprovveduta, siccome l’euforia tipicamente giovanile lo avrebbe spinto persino in un pozzo buio, stretto e senza fondo, in un deserto enorme privo di mappa e di scorte, in un pericolo senza previsione di salvarsi o meno. Credeva di sapere sempre troppo poco, nonostante fosse sempre aggiornato da Scott su ciò che gli accadeva. Effettuava ricerche su ricerche su Google, che – eccezione che conferma la regola – non poteva essere completamente d’aiuto per informazioni su come vivere e comportarsi coi licantropi, sulle varie modalità di disintegrazione del Kanima...
All’arrivo degli Alpha, Stiles iniziò delle indagini, e scoprì molto più di quanto tutti gli altri potessero, tuttavia c’è stata una sola cosa di cui non si occupò, e che gli fu raccontata in maniera “limitata”: cos’era successo di così grave durante l’ultimo combattimento con gli alpha, tanto da spingere Derek ad andare via. «Dov’è andato Derek?» chiese innocentemente dopo aver abbracciato i suoi amici, tornati semi integri dallo scontro con i licantropi. Gli risposero con una certa serietà, pur essendo evidente la superficialità con cui trattarono la questione. Gli testimoniarono di averlo visto allontanarsi, senza riferire verso dove e per quanto tempo, e le sue reazioni precedenti non solo all’arrivo degli Alpha al suo rifugio, ma anche durante tutto il corso della loro semi alleanza, che a Stiles parvero, in un certo senso, comprensibili. Lo aveva giustificato, perché con lo scorrere del tempo vide Derek sotto l’aspetto che l’aveva reso peggiore, e si trovò spiazzato e impotente di fronte ad una sofferenza tale. Derek, anni prima, celava una bontà immensa nel suo cuore. Forse, era semplicemente vincolata dalla ragione, che gli suggeriva di non cedere ai sentimenti umani, oppure era intrappolata e non riusciva ad uscire allo scoperto. Per questo, Stiles era incerto su ciò che gli era stato detto.
Adesso invece, l’inconscia fiducia che aveva riposto in lui, benché egli sembrasse più affidabile rispetto ad anni prima, era discutibile. O meglio, plagiata.
Le intenzioni di Scott nel litigio erano chiaramente quelle di approfondire la questione, rimasta a lungo in sospeso, insinuando la morale della sua favola: vendetta.

Stiles ebbe una giornata lavorativa abbastanza faticosa: gli toccava il turno serale. Il lupo, ignaro di ciò, si avviò verso casa sua, intorno alle otto, ma il suono del campanello non fu seguito dall’avvicinarsi dei suoi soliti passi svelti e scomposti, bensì dal silenzio. Lo telefonò e gli chiese dove fosse.
«Derek! Sto lavorando adesso, ce n’è bisogno» rispose «C’è molto da fare, tornerò tardi e sarò molto occupato anche-»
«Sì, capisco» mentì, intuendo con un certo ribrezzo il lavoretto di lavaggio del cervello a cui era stato sottoposto lo sceriffo. Era di nuovo preda di una situazione spiacevole per la sua psiche, essendo pervaso da sentimenti di paura, tristezza ma anche odio e stupore. Questi ultimi – precisiamo – non erano legati a Stiles, piuttosto i primi. Ed era meglio così? Derek, a causa di quelle emozioni, che fecero insorgere un senso di possessività simile a quello provato solo in un periodo particolare e per una determinata donna, si accorse di essere molto legato a Stiles. Troppo. E non aveva intenzione di farne a meno, ad ogni costo avrebbe risolto la situazione, di cui, fra l’altro, era ancora parzialmente ignaro. «Stiles, ti prego, smettila, ritagliami del tempo» gli disse, trattenendo davvero per un pelo un tono supplichevole «Ho bisogno di parlarti».
Quel giorno stava giungendo al termine e non si vedeva nemmeno l’ombra di Stiles. Passò anche il giorno successivo, il suo numero di telefono risultava irraggiungibile e a casa continuava a non essere presente.
Certo, Derek non avrebbe indugiato nel fargli visita a lavoro, ma, come giusto che sia, ha sempre nutrito rispetto per il suo lavoro, che comporta importanti responsabilità e poche distrazioni. Ma iniziava a sentire la tensione scorrergli nelle vene, l’ansia e la sofferenza sotto forma di pensieri ingarbugliati e frastornanti sovraffollavano la sua mente, e per ultimo, ma non meno importante, una sensazione di impazienza divorava la capacità di distrarsi dal motivo della sua complessiva agitazione: l’assenza di chiarimenti, di parole o di litigi, di confessioni e di verità; l’assenza di mezzi e momenti per poter fare tutto questo; l’assenza di Stiles. Questo flusso di scoperte che avveniva in lui non si fermava, approfondiva sempre più una faccenda che era già troppo chiara, e non serviva strapazzarsi i capelli con le mani, accovacciato a terra con i gomiti poggiati sulle ginocchia, perché non sarebbe cambiata: a Derek mancava Stiles.

Isaac era solito a recarsi ai confini della contea per un giretto al tramonto. Generalmente, verso quell’ora non c’era folla in strada, bensì tranquillità e silenzio che giovavano al suo io.  Quella giornata fiutò qualcosa, ne seguì la scia e scoprì a chi apparteneva. Valutò l’arrivo in città di un altro licantropo una semplice coincidenza, la quale gli consentì di dare un taglio ai suoi pensieri e di parlare con uno dei protagonisti di questi.
«E Scott come se la passa?»
«Bene, fra un po’ si sposa» gli rispose calando lo sguardo «con Allison». «Sai, è tornato anche Derek! Pare che abbia legato con Stiles» riprese Isaac, distogliendo le attenzioni da quel discorso che, sotto sotto, gli faceva ancora male.
«Lo so, infatti è per questo che sono qui. C’è un particolare che nessuno ha mai saputo sulle intenzioni di Deucalion»
«Che cosa vuoi dire, Boyd? »
In tempi di “guerra” Boyd sarebbe già morto, se avesse rivelato allora ciò che stava per confessare adesso a Isaac.

«Hai ripreso ufficialmente ad entrare in casa mia dalle finestre, a quanto vedo».
Stiles era appena ritornato a casa, e senza sorprendersi constatò che Derek fosse seduto sul divano del salotto e che non gli rispondesse. Poi si alzò e si avvicinò allo sceriffo, che stava cercando da bere nel frigo. «Stiles, dobbiamo parlare»
 «No, non mi dire» esclamò sarcastico, voltatosi. La distanza fra i due era quasi inesistente, Derek aveva un’espressione cupa e allarmante e Stiles sussultò spaventato. La sua paura incalzò un ritmo alterno, anomalo, che fu subito captato dai sopraffini sensi del mannaro, il quale teneva con una stretta salda le spalle dell’altro.
«Sta’ calmo Stiles, non voglio farti del male»
«E allora perché mi tieni in questo modo?» biascicò, turbato ancora da quel contatto – che, a dirla tutta, era davvero troppo forte per le sue ossa.
Il più grande fra i due sorrise compiaciuto delle sue capacità intuitive, perché era ovvio che Stiles era stato influenzato da qualcosa (o da qualcuno), tuttavia la scia d’amarezza era molto più evidente. «Hai già dimenticato tutto? Una settimana fa ti ho preso in questo stesso modo, ma tu, invece di provare terrore, ridevi come un matto perché ero entrato dalla finestra ed ero inciampato nella tenda. Che c’è di diverso, tranne che questa volta non sono inciampato in nulla di materiale?» gli disse tutto d'un fiato, sciogliendo la presa e discostandosi di qualche passo a malincuore da lui.
«Derek, devi starmi-»
«Lontano? Perché? Cosa ho fatto per spaventarti così tanto?» lo interruppe, con decisione, quella che aveva sempre caratterizzato ogni suo sguardo sprezzante, aggressivo, ogni suo atteggiamento scontroso, che dal suo ritorno non aveva più riservato per Stiles «Che ti hanno detto i tuoi amici per farti cambiare atteggiamento così velocemente?»
«Sei ritornato all’improvviso» sussurrò titubante, mentre faceva capolino una prima lacrima, scesa incontrollata e subito scacciata con un gesto della mano, perché non voleva che quello dovesse accadere proprio di fronte a lui; poi continuò: «non mi hai mai detto il perché».
«Non credo sia necessario che te lo dica»
«Ah sì? Ti ricordo che circa dieci anni fa ci hai mandato in pasto agli Alpha, rivelandogli dove ci stessimo nascondendo tutti quanti!»
Lo sguardo accigliato di Derek si mostrò prima che potesse dare un’ennesima risposta.
«Non hai provato a scacciarli via, li hai portati da Scott e gli altri. Poi è morta Erica, a causa nostra, e adesso sei ritornato senza un perché che io possa sapere?»
«E’ questo quello che credi, Stiles?» chiese Derek, afflitto da quelle parole, che proprio non voleva fossero pronunciate dall’unico umano di cui si fidava. Si dipinse un altro di quei sorrisi amari, uno pieno di delusione, questa volta.
«Cos’altro dovrei pensare? Non hai reagito, li hai lasciati andare e basta. Subito dopo sei andato via, e non hai neppure dato una spiegazione».
«Non ho detto nulla agli Alpha. Deucalion, semplicemente, non aveva più bisogno di me» confessò, ormai consapevole di ciò che Scott gli aveva raccontato – o meglio, ciò che non gli aveva raccontato. «Tu sei intelligente... Perché non ti sei accorto che ciò che ti hanno rifilato riguardo quella notte è tutta una bugia?». Sdegnato e amareggiato, Derek non sentiva più il bisogno di prolungare quella discussione, che era fondata su inganni vecchi di dieci anni e che sarebbe sfociata in sofferenza per il suo animo. Non era più nelle sue capacità formulare frasi altresì forti e cariche, non ora che gli occhi dello sceriffo erano ancora più umidicci e le palpebre rosee e che presto, nel buio delle sue macerie, lo sarebbero stati anche i suoi.





BAM. Ennesimo ritardo!
E' iniziata da un bel po' la seconda stagione! La mia fic non terrà conto della storia originale (bensì seguirà i piani originali), quindi potrebbero esserci degli elementi discordanti con la serie - considerato anche il fatto che non vedrò ulteriori episodi sottotitolati. E' stata, tuttavia, una cosa fortissima notare che, mentre nel periodo della serie la casa di Derek è stata presa dalla contea, nella mia fic, dopo molti e molti anni, si parla di doverla demolire. Non so come ma la cosa coincide alla grande. LOL
Questo, per concludere, era il penultimo capitolo, quindi... Alla prossima con l'ULTIMO capitolo! (:

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Capitolo 6
*** Doesn't matter where you are 'cause my home is where you are ***


Home

#Doesn't matter where you are ‘cause my home is where you are

«Non riesco ancora a capire perché prendere in ostaggio Allison: non è tramite lei che avrebbe potuto trovare Derek» parlava Boyd, picchiettando con l’indice destro sul tavolo di casa Lahey. Sapeva che, avendo finalmente svelato al suo vecchio amico la causa per cui Erica e Peter erano stati ammazzati, una rivelazione sarebbe giunta. Poi, d’un tratto, l’illuminazione: Isaac era l’unico ad avere ancora un legame con Derek, a custodire nella propria mente gran parte delle sue progettazioni per attaccare il branco nemico e, dunque, a sapere dove si stesse nascondendo. E a provare qualcosa di nascosto e di sincero per la giovane cacciatrice che, casualmente, era caduta nelle grinfie di una degli alpha.
«Non sarebbe morta, non avrebbero mai-»
«NON E’ VERO» gridò Isaac «non avevano alcuna pietà, l’hai detto anche tu!». Boyd non rispose, l’atmosfera si intensificava, e Isaac aveva la necessità di dire a qualcuno la verità. Col passar del tempo l’amicizia con Scott si solidificò, fino a diventare uno dei punti cardini della sua vita, eppure, paradossalmente, costui non avrebbe potuto essere quel qualcuno a cui confessare un sentimento del genere, perché l’oggetto del suo amore gli riguardava, aveva il suo cuore. «Credevo di avere un’opportunità con quella sorta di sacrificio che ho fatto per salvarle la vita, e così è stato... Per dieci minuti. Poi è andata via e dopo un paio d’ore Scott è ritornato a casa trionfante» confidò, eccezionalmente irrequieto, tanto da non riuscire a trattenersi sulla sedia per più di una manciata di secondi. Isaac Lahey era il tranquillo e il diplomatico, secondo i suoi amici, così tanto da non parlare mai delle sue vere emozioni, ma era anche quello nostalgico di un periodo andato e di una gioia mai ottenuta. «Non me ne sono pentito... Perché lei è felice così».

Il giorno dopo sembrava infinito per Stiles, era troppo stanco e sovrappensiero per poter affrontare il lavoro con il suo solito sorriso a trentadue denti. Non riusciva a dare il meglio di sé – non che fosse assai complicato un appostamento ai confini –, se non nel maledirsi spiritualmente per esser stato da sempre la persona capitata nel posto sbagliato fra persone tanto diverse da tenergli nascoste cose essenziali. La sua mente era così confusa e annebbiata dal pensiero di voler conoscere ciò che era successo realmente, che nemmeno considerava la possibilità di esser stato abbindolato per il suo bene, affinché avesse la vita ancora salva. Altrimenti, che motivo avrebbero avuto Scott e Isaac per mentirgli?
Arrivata la sera, Stiles si precipitò a casa di Scott, e non avrebbe sloggiato da lì finché la verità non sarebbe venuta a galla. Scott era al piano superiore, in camera sua, consapevole dell’arrivo del suo compagno e delle sue intenzioni irremovibili. «Voglio sapere perché Derek è andato via senza dire nulla» ingiunse Stiles, ancora dietro la porta, «voglio sapere come gli alpha ci hanno effettivamente trovati, perché non è stato Derek» continuò spalancandola, «voglio sapere tutto, ne ho il diritto».
«Va bene» rispose Scott apparentemente tranquillo alzandosi dal letto, sul quale, poco tempo prima, oziava, mentre le budella gli si attorcigliavano per l’agitazione, «ti dirò tutto ciò che so». «Deucalion voleva farmi fuori» spiegava il lupo, timoroso dello sguardo dell’uomo avanti a lui, deluso e ferito «l’ho capito quando l’ho incontrato, prima non sapevo che il suo obiettivo fossi io. Non voleva uccidere solo Derek, e pare che non lo sapesse nemmeno lui».
«Spiegati» rispose, portando i pugni sui fianchi.
«Una degli alpha prese Allison in ostaggio e Isaac, per salvarla, ha dovuto rivelarle dove si nascondesse Derek» confessò, affrontando quegli occhi che temeva come non mai. Erano lucidi, ma privi di luce, indignati e increduli allo stesso tempo. Lo sceriffo fece un gesto con la mano, per permettere a Scott di continuare a raccontare: «lei credeva ancora che Derek potesse essere la “carta vincente” per farmi fuori, prima che diventassi un nuovo e vero alpha. Grazie a ciò che seppero tramite Isaac, piombarono nel covo di Derek e... Lì hanno ucciso Peter».
«Beh, non credi che questo sia un motivo valido per andare via da qui?» disse Stiles, sottintendendo la morte dello zio di Derek, che, nonostante fosse stato un mezzo psicopatico, era ad ogni modo l’unico zio ancora in vita e stava provando a guadagnarsi un frammento del cuore già distrutto di suo nipote. Poi di nuovo un cenno, «credo che... Lo abbiano tratto in inganno. Derek non ha voluto dire molto sulla morte di Peter, ma da ciò che ho intuito ne è rimasto scioccato al punto di restare fermo, in ginocchio, a guardarlo, mentre quei bastardi avrebbero potuto avventarsi contro di lui. Ma non l’hanno fatto».
«Perché non era la priorità» continuò Stiles.
«Deucalion inizialmente voleva che Derek mi uccidesse - non voleva sporcarsi le mani - e che si unisse al loro branco, come già sai. Derek lo aveva già capito e si rifiutò nel preciso istante in cui lo scoprì, perciò, in questo caso, non si poteva prevenire, ma curare. Quindi ha preferito agire in prima persona, senza persuadere qualcun’altro per farmi fuori» dichiarò, per poi sedersi nuovamente sul letto. Si udivano un paio di voci lamentose provenienti dalla tv al piano di sotto, probabilmente sintonizzata su una telenovela, l’irritante bubolare dei gufi, che annunciava l’arrivo della notte, e persino il respiro caotico di Scott, alle orecchie di un comune umano quale è Stiles, a causa di un rigido silenzio abbattutosi nella camera. «Il resto lo sai già»
«Quindi non hai tralasciato nessun dettaglio su ciò che è successo col tuo branco? ». Scott annuì.
«Perché non me l’hai detto prima? Mi piace di più questa versione, sai? »
«Per proteggerti»
«Ma proteggermi da cosa, Scott!?» rispose più esasperato che mai «Derek in quello stato non sarebbe stato in grado di far del male a una mosca! Non c’erano altri probl-»
«Per proteggerti da te stesso» interrompendo, Scott scattò verso di lui «Ti conosco bene. E’ stato meglio per te credere che ci avesse traditi e abbandonati... Altrimenti avresti sofferto molto di più, perché sarebbe successo ciò che abbiamo cercato di ritardare, e che ora è sicuro più della morte».
«E sarebbe?»
«Che provi qualcosa per lui».
Probabilmente il più confuso fra i due era Scott, sorpreso dalla reazione dell’amico, dal suo sguardo a dir poco stupefatto e confuso. La determinazione con cui era sopraggiunto in casa McCall, che gli serviva per opprimere il licantropo con miriadi di domande si era volatilizzata, e questo si constatava dal suo comportamento nei seguenti cinque minuti: restò imbambolato, sembrava quasi essersi pietrificato, e con sé anche la sua mente e il suo cuore, che erano soliti a fremere di gioia o di paura o d’altro in questi casi. Poi improvvisamente si muoveva confusamente e balbettava qualcosa di indecifrabile. Stiles lo sapeva, si è sempre avvisto negli ultimi tempi delle sue stesse reazioni al sol sentir parlare di lui, ma non ne era molto entusiasta, ne era quasi spaventato. Forse ascoltarlo ad alta voce per la prima volta, da qualcuno che non fosse nemmeno sé stesso, era diverso dall’averlo intuito, era una garanzia. Durata circa 10 anni, secondo il suo miglior amico, giacché in quei giovani anni il piccolo e logorroico Stiles era alla ricerca del vero se stesso... E poi avrebbe sicuramente scoperto Derek.
 

Era così tardi, forse erano già le 3 di notte, sul pavimento c’era un bicchiere pulito e una bottiglia di Jack Daniel’s quasi del tutto vuota, in cucina non c'era nessuna pentola sporca. A quest’ora, se ci fosse stato ancora suo padre sotto quel tetto, sarebbe già stato obbligato a filare a dormire con la pancia piena di cibo. Suo padre amava parlare, desiderava diventare il confidente numero uno di suo figlio, poter essere il suo pilastro, tuttavia c’era sempre qualche condizione, qualche coincidenza o qualche impegno ad impedirlo  – e a volte, erano loro due stessi a farlo. I suoi tentativi, dunque, si arguivano dai gesti, indispensabili per il vigore del più piccolo, manifesti segni d’affetto paterno mai sbiaditi. Ma ivi non c’era, e faceva male tutto molto più dello stomaco. Appena tornato a casa, ancora stordito dalle troppe confessioni che aveva recepito ma non assimilato completamente, si rinchiuse in camera sua, istintivamente a chiave, e, poggiatosi sfiancato alla porta, scivolò a terra in preda a mille emozioni, munito di tante lacrime per combatterle ed espellerle. Si sentì di nuovo Stiles, l'adolescente stupido e indifeso, incapace di distinguere persino verità e fandonie. Forse non era il modo giusto per accogliere la realtà, in quanto l’unico era quello di farsene una ragione: Scott gli aveva mentito; Derek stava per andarsene di nuovo. Non sapeva cosa fosse meno doloroso, perché nessuna delle due concretezze avrebbe avuto un lieto fine. Stiles sentiva spazio immenso e totalmente vuoto nel suo cuore ampliarsi maggiormente; nessuno era lì per ingombrarne prepotentemente un pezzo; nessuno avrebbe potuto badare a cotanta maestosa quanto spaventosa radura, recintata da sentimenti angoscianti e false e longeve speranze. In questo stato da solo non avrebbe potuto. Nella camera regnava il buio, nonostante uno sprazzo di luna crescente penetrasse all’interno di essa tramite la finestra, spalancata. Soffiava vento fresco, ma Stiles non lo avvertiva, dentro faceva caldo il doppio, dopo aver buttato giù anche il resto del contenuto della bottiglia.
Dalla finestra non filtrava solamente aria, luce o insetti, poiché fungeva persino da ingresso per misteriosi e fuggitivi licantropi. Tante volte i suoi amici snodabili s’intrufolarono in camera sua, così tante che ci aveva fatto l’abitudine. Questa volta aveva la vista offuscata, gli occhi lucidi e la testa che gli girava per poter alzare il capo e vedere Derek, che attraversò con flemma l’apertura semirettangolare e che si accingeva passo dopo passo a sedersi di fianco a lui. Esordì il lupo per spezzare disperatamente quel silenzio assordante per l’anima: «Scott è un buon amico, non ti ha mai detto nulla perché sapeva che avresti scoperto fin troppo per poter restare ancora in vita». Sospirò. «Penso che avresti intuito lo scopo di Deucalion, avresti persino provato a spiegarlo a Scott. Peter ed Erica, una volta compreso a cosa Scott era destinato, hanno fatto una brutta fine»
«Sono morti per lo stesso motivo?»
«Subito dopo averlo scoperto. Deucalion non voleva intralci. Non arrabbiarti con Scott, non credo che lo meriti»
Calò nuovamente il silenzio, ma in compenso Stiles riacquisiva lucidità.
«Ho provato con tutte le mie forze, ma non riuscivo a reagire... Aveva fiutato Scott e non so per qual motivo mi ha risparmiato la vita»
Facendo leva sui talloni, incedé accovacciato e si sistemò di fronte a Stiles, che finalmente volse il volto verso l’alto, incontrando gli occhi verdi e spaventosamente saggi del licantropo, ad una distanza sempre minore.
«Perché sei tornato qui?» chiese, non temendo più la risposta.
«Questo lo vogliono sapere Scott e Isaac, oppure lo vuole sapere Stiles?» protendendosi e cingendogli le spalle, Derek continuò «Tu» e le mani salirono, accarezzando le morbide e umide gote dell’altro, «L’unico che si è sempre preoccupato per me, in un modo o nell'altro, di cui posso fidarmi...». Privo di natura ormai d'ogni parola, si sporse verso di lui, poggiò le sue labbra ruvide su quelle carnose dell’altro, per baciarlo con passione, desiderio, assaporando quel contatto tanto bramato, i loro respiri, che solleticavano vicendevolmente i loro visi, quando era possibile riprendere fiato, e le dita di Stiles, che si insinuarono dapprima fra i suoi capelli, e poi le braccia, che si cinsero strettamente attorno al suo collo. Stiles non voleva lasciare quella presa e lo baciava, lo baciava e basta, senza privarsi per un secondo di questa esigenza; era reale, ma non voleva rischiare, quel momento lo avrebbe ricordato per l’eternità.
Il ritmo si affievolì e Stiles, che non parve mai così esausto e incapace di chiacchierare petulantemente, aveva bisogno in tutti i modi di conferme. «Non volevi andare via di nuovo da qui?» sussurrando, ottenne una risposta «Non l'ho mai detto: casa mia è qui, con te». E, alzandosi, giurò a se stesso di non permettere più a nessuna lacrima di rigare il suo viso prezioso. Gli porse le mani, Stiles si era alzato e, tenendogliele strette, Derek giurò ancora a se stesso di essere quella persona che lo avrebbe fatto sorridere sinceramente come stava già facendo. Stava alloggiando con il dovuto permesso nel suo cuore grande e bisognoso d'affetto, giurò d'essere la sua spalla forte. Stiles gli prese il volto e lo baciò ancora, avanzò di qualche passo, mentre Derek arretrava tanto da lasciarsi cadere sul letto, e ammise a se stesso che anche per un uomo senza speranze come lui arriva il momento in cui amare ancora.

"Poi ricordò meglio.
E poi c’era Stiles."






Aleksander With - My home is where you are: questa è la canzone da cui deriva il titolo di quest'ultimo capitolo!
Beh, tutto qui. Spero che vi sia piaciuta! Menomale che ero indecisa se rendere l'ultimo capitolo un po' più hhhhot... L'ho reso ancora più diabetico di quanto mi aspettassi.
A questo punto, dato che siete arrivati fin qui a leggere, non vi costerà nulla sorbirvi un altro po' ciò che ho da scrivere u_ù... Infatti, voglio approfittarne per ringraziare tutte le persone che hanno letto questa fic!
Ringrazio chi ha recensito i vari capitoli, siete stati fondamentali: Natina, jlenia1974, iloveserietv, KiloCharlie05,
Sole_Luna_ (che ringrazio doppiamente perché hanno anche aggiunto sta roba nelle seguite), eufrasia7887, Grinpow; ringrazio molto chi l'ha messa fra i preferiti: chibisaru81, Fiore_Del_Male, glippolis90, iceathena, it_sok, _Karen_; anche chi l'ha messa fra le ricordate: atolo9, martab78, gio_6 (che l'ha anche aggiunta alle seguite, doppio grazie!); infine, grazie a tutti quelli che l'hanno inserita nella lista delle seguite: alucard51, anna1991, barbara78, Darkdubhe, ERISd, HaChiElriC, Lady_Wolf_91, luna23, marycate, Olivier_hiwatari, sabry140695, SARAHPOXY, Senna_, SilviAngel, SpitfulAngel, Stilinski24, tata3lella, topolinia, xharrysnecklace, xxzioVoldy e TUUUUTTI gli altri che l'hanno letta - voi, silenziosi ma fondamentali - EBBASTA.
Alla prossima! :)

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