Basma

di LonelyWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anticipazioni ***
Capitolo 2: *** La fuga da casa ***
Capitolo 3: *** Un viaggio a tante tappe ***
Capitolo 4: *** Un uomo misterioso ***
Capitolo 5: *** La nuova destinazione ***
Capitolo 6: *** Una nuova identità ***
Capitolo 7: *** Pregiudizi ***
Capitolo 8: *** L'imbroglio ***
Capitolo 9: *** Dietro il velo ***
Capitolo 10: *** Nuove difficoltà ***
Capitolo 11: *** L'arrivo a Duba ***
Capitolo 12: *** L'offerta di lavoro ***
Capitolo 13: *** Casa dolce casa ***



Capitolo 1
*** Anticipazioni ***


Salve a tutti, prima di iniziare a scrivere la storia vorrei fare delle anticipazioni.

La storia di cui parlerò è ambientata principalmente nel mondo Arabo che io PURTROPPO non conosco bene quanto effettivamente vorrei.
Mi sono affidata ad alcuni siti, nella speranza che siano veritieri, per cercare di tradurre qualche parola o frase (che però sarà richiamata con un * e tradotta in italiano a fine pagina).

La cosa che voglio chiarire più di qualsiasi altra è che non è mia intenzione incitare al razzismo, ma voglio fare l'esatto contrario.
Molti di voi potrebbero chiedersi "Ma perché la protagonista è Araba? Perché non può essere Cinese, o Tedesca, o semplicemente Italiana?" La verità è che il mondo arabo mi affascina, è misterioso, e purtroppo siamo stati abituati a vederne solo l'aspetto negativo.
Sì, ci saranno personaggi crudeli, come in ogni storia, e alcune tradizioni o credenze musulmane verranno trattate anche in maniera derisoria dal protagonista maschile, ma solo perché infine, la storia verrà capovolta in una sorta di legge del contrappasso.
Vorrei spiegarvelo in maniera migliore, ma non vorrei fare dello spoiler.
Vi chiedo soltanto di avere molta pazienza, comprensione e anche tolleranza nei miei confronti, che sono un'ignorante in materia, e mi sto "lanciando nel vuoto" nel trattare un argomento così delicato.
Chiedo sempre ai miei lettori di commentare, criticare e giudicare il mio lavoro, non perché io voglia essere lodata, ma perché voglio che ognuno di voi possa correggermi.
Se trovate contenuti offensivi parlatemene ed io provvederò personalmente ad eliminarli o (se sono indispensabili ai fini della storia) a spiegarli in maniera più chiara.
A volte mi sento di camminare sul filo di un rasoio, ma sto scrivendo con le migliori intenzioni del mondo e questo mi da il coraggio di ontinuare, se fossi sicura di offendere non mi prenderei la responsabilità di scrivere e se disprezzassi il mondo arabo non mi prenderei minimante il disturbo di studiarlo (scrivo con tipo 5 finestre di Internet costantemente aperte.)
Che altro aggiungere? Mi sono dilungata, come mio solito, e mi scuso XD Vi auguro una buona lettura,  Maa assalama!

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Capitolo 2
*** La fuga da casa ***


NB- Nei capitoli utilizzerò alcune parole arabe che sono contraddistinte da un *, la cui traduzione troverete a fondo pagina.


“Cari genitori, stasera a tavola non troverete la cena e mi dispiace. Non troverete neanche me e mi dispiace maggiormente. Vi basti sapere che sono ormai troppo lontana da voi e dalla ormai intollerabile autorità di mio padre. Padre perdonami, ma solo Allah può comprendere il mio malessere in quella casa.

Non voglio vivere la vita che voi avete scelto per me, non voglio sposare Najib, non voglio mettere su famiglia a sedici anni, ma voglio invece cercare da me la mia strada.
Sappiate che mai rinnegherò il vostro nome, e non dimenticherò mai le persone che mi hanno dato la vita, che Allah possa perdonarmi per il dolore che vi sto infliggendo, di cui non vado fiera.
Non cercatemi, per favore, sappiate però che in cuor mio continuerò ad amarvi, anche se vi ho abbandonati.
Vostra figlia Basma”
 
Erano ormai le sette di sera e il sole stava abbandonando il cielo, oscurando la sua strada più di quanto facesse l’ignoto. I suoi genitori sarebbero rincasati da un momento all’altro, trovando le luci spente e quella triste lettera sul tavolo della cucina, che aveva scritto circa quattro ore prima.
Sapeva con certezza che avrebbero subito contattato i suoi fratelli e le sue sorelle, sapeva che l’avrebbero cercata in tutto il quartiere e anche al di fuori, ma non le importava, sapeva di essere al sicuro ormai.
Aveva venduto tutti i suoi gioielli più preziosi per pagare un beduino che l’avrebbe accompagnata fuori dalla città, senza una meta precisa…
Sapeva che i suoi soldi non bastavano a portarla lontano, ma in quel momento le sarebbe bastato allontanarsi da casa, da suo padre.
Fadil, suo padre, non era un uomo cattivo, ma era severo, testardo e l’unica cosa che gli importava era essere preso a modello dagli altri abitanti del quartiere. Voleva ad ogni costo che la sua famiglia godesse di ihtiraam* e il suo desiderio più sfrenato quello di diventare, in futuro, un saggio Shayk*a cui i più giovani si sarebbero rivolti per avere consigli su come tirar su la loro famiglia.
Fadil aveva sposato sua moglie Halima all’età di diciotto anni, lei ne aveva sedici. Il loro matrimonio era stato programmato anni prima, da entrambi i suoi nonni paterni, che erano da sempre ottimi amici.
Dopo circa quattro mesi dalla loro unione, Halima restò incinta del loro figlio primogenito.
Basma era la loro settima e ultima figlia, nata dopo quattro maschi e due femmine. Fadil si era subito preoccupato di cercare un consorte ad ogni suo figlio ed ogni sua figlia, con amici e vicini di buona casata, ricchi e nobili.
Il matrimonio di Basma era stato organizzato quando lei aveva soli cinque anni, avrebbe dovuto sposare un giovane di nome Najib più grande di lei di sei anni. Najib era il penultimo figlio di una benestante famiglia.
Dal momento in cui si era stipulato l’accordo prematrimoniale, Basma e Najib si erano trovati costretti a frequentarsi una volta la settimana per imparare a conoscersi, ma da quando Basma aveva compiuto quindici anni gli incontri si erano fatti sempre più frequenti, e nell’ultimo periodo si incontravano almeno quattro volte la settimana. Sebbene Najib fosse gradevole alla vista e apparentemente gentile e affabile, non convinceva affatto Basma, che lo aveva visto flirtare con le ragazze più facili del quartiere quando andava per suk* insieme alle sue sorelle che la rassicuravano affermando che il suo giovane promesso sposo non si sarebbe mai sognato di tradirla, per non mettere in cattiva luce la sua prestigiosa famiglia.
Ciò che le sue sorelle non sapevano è che una delle ultime volte in cui Najib aveva fatto visita in casa loro, aveva spinto Basma contro il muro e aveva strusciato violentemente il suo membro sulla sua coscia, sussurrandole all’orecchio frasi irripetibili.
Fu proprio quel giorno che il pensiero di scappare via le accarezzò la mente per la prima volta, ma non aveva soldi e non aveva un passaggio, fino al giorno in cui quell’anonimo beduino raggiunse la sua città per trovare riposo. Basma aveva sentito parlare di lui dalle donne della zona, e aveva subito deciso di incontrarlo per fargli la sua proposta. Il beduino accettò subito, ma, com’era prevedibile, voleva essere pagato. Basma si rese conto che la vita le stava offrendo un’opportunità preziosa e non ci pensò due volte, impegnò tutti i suoi averi più cari e si affrettò a preparare le valigie.
Era certa che qualche vicina pettegola l’avesse vista uscire di casa da sola, magari qualcuno l’aveva persino vista salire sulla carrozza del beduino, ma cosa importava ormai? Si era allontanata da casa sua, se qualcuno l’avesse cercata non avrebbe saputo che direzione avesse preso. Neanche lei lo sapeva in fondo.
Non sapeva dove sarebbe andata, non sapeva che vita l’aspettava, non sapeva nemmeno se sarebbe mai arrivata a destinazione, non sapeva se potersi fidare di quell’uomo di cui non conosceva neanche il nome, ma una cosa era sicura: avrebbe preferito la morte piuttosto che sposare quell’uomo che disprezzava.
Aveva giurato a sé stessa che semmai la sua famiglia l’avrebbe trovata e riportata a casa con la forza, avrebbe cercato di suicidarsi. Tutto pur di sottrarsi a quell’infame destino che l’aspettava.
Le sue sorelle la prendevano costantemente in giro, la chiamavano l’ “occidentale” ma loro non capivano. Basma non voleva rinnegare il suo paese, le sue tradizioni e il suo passato, sapeva chi era e da dove veniva, aveva imparato a distinguere il bene dal male, era cresciuta con i valori che la sua famiglia le aveva trasmesso e non li avrebbe persi.
Basma e il beduino vagarono tutta la notte. Cercava invano di prendere sonno e riposarsi, ma le era impossibile a causa del nervosismo, della paura che nutriva nei confronti di quello sconosciuto al suo fianco che le aveva rivolto la parola sì e no quattro volte in tutto. Pensava a sua madre, a suo padre, alla vergogna che aveva fatto ricadere sulla sua famiglia. Che cosa avrebbe detto Fadil alla famiglia di Najib? Conoscendolo avrebbe simulato la sua morte. Sì, Fadil avrebbe giurato che fosse morta, ma mai avrebbe rivelato al mondo di essere stato incapace di educare sua figlia, ci andava di mezzo il suo orgoglio.
Senza rendersene conto le lacrime le stavano rigando il viso e, solo dopo aver tirato su col naso, attirò l’attenzione del beduino che per la prima volta la guardava. In effetti non vedeva nulla, se non il burqa azzurro che l’avvolgeva e la nascondeva dagli occhi indiscreti.
“Stai piangendo?”
Le chiese improvvisamente. Basma fece cenno di sì con la testa.
“E perché?”
Basma cercò di rispondere, ma le parole che aveva sulla punta della lingua non uscirono mai, ma furono sostituite da un urlo sommesso, e sempre più lacrime le sgorgavano dagli occhi. Il beduino sorrise e tornò a guardare la strada di fronte ai suoi occhi.
“Non so perché stai piangendo, ma mi chiedo come tu possa farlo quando un cielo così bello si apre proprio sopra la tua testa.”
Basma alzò gli occhi e rimase stupefatta. Non aveva mai visto un cielo così bello, così scuro e ampio, punteggiato di bellissime e luminose stelle, che le sue lacrime facevano sembrare più grandi e splendenti.
Si rese conto che mai, neanche dal terrazzino di casa sua nelle sere estive di agosto, aveva avuto una simile vista del cielo notturno, e si chiese se quel viaggio non le stesse effettivamente aprendo nuove prospettive.
Si asciugò gli occhi e tirò nuovamente su col naso.
“Non so da cosa scappi, ma è ormai troppo tardi per tornare indietro, la tua punizione sarebbe atroce e crudele. E’ questo che vuoi? Perché posso riportarti indietro anche adesso, se mi pagherai, ovviamente.”
Il beduino sorrise, mostrando solo pochi denti, e Basma scosse il capo.
Neanche se fosse stata accolta come una emeera* sarebbe tornata indietro. Aveva preso la sua decisione, adesso doveva pagarne le conseguenze, positive o negative.
D’altro canto sapeva cosa c’era dietro di lei, sapeva cosa l’avrebbe aspettata e non le piaceva affatto.
Ma davanti cosa c’era? Dove sarebbe andata? Chi avrebbe incontrato? E se nel bel mezzo del suo percorso avrebbe incontrato il suo vero amore? E se fosse rimasta per sempre con quel beduino, magari entrando a far parte di una carovana? Chi poteva dirle cosa le stesse riservando il futuro?
C’era un solo modo per scoprirlo, doveva viverlo…
Chiuse gli occhi per un attimo immaginando la qualunque, anche le cose più impossibili, accarezzata dal fresco vento della notte e, senza accorgersene, si addormentò.
 
 
 *Ithiraam= Rispetto
*Shaik= Sceicco
*Suk= Mercato
*Emeera= Principessa

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Capitolo 3
*** Un viaggio a tante tappe ***


Basma fu risvegliata dalle sguaiate urla di un venditore di tappeti e fu costretta a tapparsi il naso a causa del forte odore delle tinture che infestavano l’aria ormai calda e pesante. Il cielo era di nuovo azzurro e spruzzato di poche nuvole bianche e vaporose, coperto dai palazzi più alti.
Il beduino la vide alzarsi con la coda dell’occhio.
“Sabah el khayr, izzayik innaharda?”
Basma si stropicciò gli occhi da sopra il burqa prima di rispondere.
“Buongiorno anche a te, oggi sto piuttosto bene, ti ringrazio. Ma dove siamo?”
“Un piccolo paesino in cui fare rifornimento, si chiama Arar. Resterò qui due notti e poi tornerò in viaggio.”
Stava per sbadigliare, ma si bloccò.
“Tornerai? Ed io?”
“Non sei una mia responsabilità. Per altro denaro potrai venire con me, non dispiace un po’ di compagnia di tanto in tanto…”
“Dov’è che sei diretto, di preciso?”
“In Kuwait. Vuoi un passaggio fin lì? Guarda che ti costerà caro.”
“Kuwait… Non avevo mai pensato al Kuwait…”
“E dove credessi stessi andando?”
“Pensavo fossi diretto in Egitto.”
Il beduino si voltò per guardarla un attimo, prima di volgere il suo sguardo di nuovo verso la strada, cercando di farsi spazio tra la folla.
“Hai riconosciuto il mio accento?”
Basma annuì sorridendo, ma il beduino non poté vederlo.
“Sì, sono nato e cresciuto in Egitto, ma non sono diretto lì al momento, ana asfa*.”
Il volto di Basma s’incupì improvvisamente, ma il beduino non vide nemmeno questo.
Fermò il cammello che trainava la carrozza sul quale erano seduti lui e Basma e scese, porgendo la mano alla ragazza per aiutarla a fare lo stesso.
“Allora aanisa* che hai intenzione di fare?”
Basma rimase spiazzata. Voleva un attimo di tempo per pensarci, e sembrò che il beduino le lesse nel pensiero, perché si affrettò ad aggiungere:
“Non importa che tu me lo dica ora, hai due giorni di tempo per pensarci, ma ti ripeto che il tuo viaggio non sarà offerto dalla casa.”
Disse abbozzando un altro sorriso sdentato. Basma notò che sorrideva sempre, quando si trattava di soldi.
“Comunque sarà meglio che trovi un posto in cui riposare per stanotte, magari un funduq*.”
Aggiunse infine, scaricando borsoni della ragazza.
“E tu dove alloggerai?”
Chiese Basma disorientata, facendo nascere un nuovo sorriso sul volto del beduino.
“Piccola, sono un nomade, mi basta starmene accanto al mio cammello con aria malinconica e stanca per suscitare la compassione di qualche vedova del luogo. Anzi faresti bene ad allontanarti, o la gente crederà che tu sia mia moglie.”
E le schiacciò l’occhio facendole cenno con la mano di andare via. Basma era sconvolta, non era abituata a un simile linguaggio, suo padre non aveva mai permesso che un uomo facesse allusione a sfondo sessuale in casa sua, specialmente in presenza di una donna. Quell’uomo lì era sicuramente un poco di buono per utilizzare un simile gergo, ma si era mostrato anche affidabile, dopotutto avrebbe potuto approfittarsi di lei in qualsiasi momento durante la notte, ma non l’aveva fatto.
Basma aprì il suo borsellino, c’erano pochi soldi, non sarebbero bastati a pagare il funduq ed il viaggio sino al Kuwait.
Si avvicinò ai suk e li ispezionò. L’odore di vernice per tappeti era così forte che lo sentiva quasi in gola. Alzò la manica del suo burqa e prese velocemente un bracciale d’oro che era stato di sua madre. Lo guardò con nostalgia, sentendosi in colpa sia per il furto sia per ciò che aveva intenzione di fare.
Si guardò intorno e puntò un mercante di frutta e verdura dall’aria benevola che stava offrendo una mela a una bambina seduta su una pila di casse vuote. Si avvicinò alla bancarella, poi all’uomo.
“Ho da proporle un affare.”
Gli sussurrò all’orecchio, con fare molto losco e mostrò all’uomo il prezioso bracciale.
“Quanti filoos* crede che valga?”
Gli chiese con il tono di voce basso, con fare circospetto. L’uomo si allontanò di pochi centimetri per valutare bene il prezzo dell’oggetto.
“Beh, a occhio e croce direi che non vale più di 73 SAR*”
Basma allontanò subito il bracciale dall’uomo. Stava scherzando? Solo 73 SAR? Era certa che sua madre l’avesse pagato almeno il doppio, e poi il suo valore affettivo era alle stelle!
Decise di continuare a comportarsi come una malfattrice.
“Senta, vuole scherzare? Sa quanto mi è costato? Mio marito ha quasi perso una mano per questo, e lei me lo vuole pagare poco meno di 73 SAR? No, probabilmente sua moglie non merita questa perla rara, credo che troverò qualcuno che se ne intende davvero. Probabilmente lei non può neanche permettersi di spendere questi filoos, sto solo sprecando tempo con lei…”
E fece per allontanarsi, ma il mercante la placcò subito, ponendosi davanti a lei.
“Aspetti, aspetti, parliamone, contrattiamo prima di fare mosse azzardate. Esattamente qual è il prezzo che voi attribuireste a questo pezzo?”
“244 SAR”
Azzardò Basma senza pensarci troppo, sperando di convincerlo, ma l’uomo le rise in faccia.
“Ma non mi prenda in giro, 98 SAR, è la mia ultima offerta.”
“Non cerchi di fare il Kabith* con me, quest’oggetto apparteneva a una ricca donna, so per certo che non è paccottiglia, se non può permetterselo la smetta di trattenermi, probabilmente il suo collega può pagarmelo anche il triplo del prezzo originale, maa assalama*”
“Aspetti! 244 SAR? E’ sicura?”
“Sicurissima. ”
Non ci credeva, stava contrattando con un mercante di professione, e lui sembrava davvero interessato a pagare quel vecchio bracciale 244 SAR! Che era successo al mondo nelle ultime ore?
“200 SAR andrebbero bene lo stesso? Non mi faccia fare figuracce davanti alla mia bambina, min fadlik*”
Basma guardò la bambina che adesso si era avvicinata al padre e lo teneva per la gamba, squadrandola dal basso all’alto con aria spaventata.
“Vada per i 200, ma che sia uno scambio veloce!”
E il mercante tirò subito fuori i 200 SAR che arrotolò con fare disinvolto e poi li passò velocemente in mano a Basma, che lasciò cadere il bracciale nella possente mano del mercante.
“E’ stato un piacere.”
Disse infine, allontanandosi con passo svelto, cercando subito un riparo. Non voleva essere vista, ma soprattutto, aveva bisogno di una toilette. Si addentrò in una stretta strada in salita, e ne percorse i piccoli budelli, fino a trovare finalmente l’insegna di un funduq nei paraggi. Si avviò subito nella direzione indicata dalla freccia e, pochi metri dopo, trovò un austero funduq. Non era esattamente lussuoso, ma Basma non disponeva di denaro a sufficienza per trovarne uno migliore, e poi decise che per due notti andava più che bene.
 
La stanza che le avevano assegnato era piccola, le pareti erano bianche e con qualche  macchia di umidità sul soffitto e pochi quadri decorativi, il pavimento era beige e impolverato e c’era una grande finestra che si apriva su un balcone. Al centro della stanza vi era un lettino singolo con le lenzuola azzurre un po’ macchiate di candeggina e un tappeto rosso con fantasie marroni e giallastre era posto ai suoi piedi.
Il bagno era piccolo e conteneva un wc, un lavandino e una vasca da bagno che toccava entrambe le pareti.
Si sfilò subito il burqa e, come prima cosa, si sciacquò il viso con acqua fresca, poi riempì la vasca da bagno.
Si spogliò e guardò la sua immagine riflessa nello specchio. Era ancora una quindicenne, ma sapeva di essere già una donna.
Si immerse nella vasca e la sua mente fu assorta da mille pensieri. Se fosse rimasta a casa starebbe preparando il pranzo insieme a sua madre. Se fosse rimasta a casa si sarebbe sorbita l’ennesimo aneddoto del padre su come i fagioli in qualche contorto modo fossero simili al matrimonio, se fosse rimasta a casa avrebbe dovuto sposare presto un uomo che odiava. Le mancava la sua famiglia, ma non poté fare a meno di sorridere ripensando agli eventi delle ultima 24 ore. Ricapitolando aveva lasciato casa, si era diretta con un perfetto sconosciuto verso una cittadina di cui non aveva mai sentito parlare e aveva imbrogliato un mercante fingendosi la moglie di un ladro
Se la bolìs* avesse saputo che in giro c’era una ladra avrebbe passato dei guai, doveva mantenere un profilo basso.
Aveva ancora tanti oggetti da poter vendere: indossava cinque collane, tre bracciali e un orologio, un tappeto e alcuni smalti per unghie che non le era permesso usare. Li teneva nascosti nelle sue borse, li avrebbe venduti solo quando sarebbe stata a corto di denaro.
Poi pensò al Kuwait. Che piega avrebbe preso la sua vita una volta giunta a destinazione?
Si era quasi affezionata all’idea di vivere in Egitto, al centro tra Asia, Africa ed Europa. Sapeva che l’Egitto era un’ importante centro di scambio merci, ma anche una bellissima meta turistica, ed era certa che lì avrebbe potuto trovare lavoro.
Ma del Kuwait cosa sapeva? Non era neanche sicura della sua posizione geografica. Chiuse gli occhi lasciandosi scivolare nella vasca, immergendo la sua testa sott’acqua e bagnandosi i capelli.
Decise di non pensarci ulteriormente, ci avrebbe pensato Allah a prendersi cura di lei, Allah provvedeva ad ogni suo figlio.
Uscì dalla vasca da bagno e si avvolse in un asciugamano, si tamponò i capelli con un’altra tovaglia e si sdraiò sul letto coperta solo da quel minuscolo pezzo di stoffa che le lasciava scoperte braccia e gambe. Provò una sensazione di piacevole libertà che non provava da anni, da quando era entrata nel periodo adolescenziale.
Si girò di lato, guardava la porta di accesso alla camera e, senza capire come, scivolò in un profondo e indisturbato sonno.
 
 
 
*Ana asfa = Mi dispiace
*Aniisa = Signorina
*Funduq= Hotel
*Filoos=Soldi
*SAR= La moneta araba. 1€ corrisponde a circa 4,88 SAR. (Non ho capito molto bene la questione che riguarda la moneta araba, ma ho letto che 1 Riyal è composto da 100 halala o da 400 qurush.) Ad ogni modo voglio semplificare la faccenda, quindi per calcolare i prezzi farò conto che 1€ corrisponde a 4,88 SAR.
LINK UTILE 1=http://www.hoteltravel.com/it/saudi_arabia/guides/travel_tips.htm
LINK UTILE 2= http://themoneyconverter.com/EUR/SAR.aspx
*Kabith= Furbo
*Maa assalama= Arrivederci
*Min fadlik= Per favore (rivolto alle donne)
*Bolìs= Polizia
 
P.S.= Ogni consiglio o critica nei miei confronti o in quelli della storia sono sempre bene accetti, perché purtroppo (come ho già precisato) conosco poco l’argomento, sebbene mi affascini.
Chiedo solo che il tutto avvenga nella maniera più civile possibile, senza insulti e nel rispetto degli altri, altrimenti neanche vi risponderò.
Non accetto suggerimenti infondati.
Buona lettura. =)

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Capitolo 4
*** Un uomo misterioso ***


“Sai? Ero seriamente convinto che saresti rimasta qui.”
“E?* Leh*?”
Aveva chiesto Basma sorridente, afferrando la mano del beduino che l’aiutava a montare sulla carrozza sempre più piena di rifornimenti.
“Credevo non ti piacesse il Kuwait.”
“La*, ho solo detto che non l’avevo mai preso in considerazione. Andrò in Kuwait Inshaallah*, o ovunque la Sua mano divina vorrà condurmi. Sono pronta ad accettare ogni variazione di questo viaggio, avere paura non mi porterà a nulla, non credi?”
L’uomo sorrise, facendo partire il cammello.
“Mumkin*… Ad ogni modo sembri molto più allegra oggi, rispetto a quando siamo arrivati.”
“Aiwa*, ho avuto modo di pensare e sono sul serio pronta adesso. Quando ho deciso di intraprendere questo viaggio non ne ero sicura al cento per cento, ma adesso lo sono, davvero!”
“Bene, sono felice per te allora…”
Disse volgendo un ultimo sguardo alla città, abbandonando il suo sorriso. Basma si voltò istintivamente. La piazza cittadina era gremita di gente e si chiese se tra loro ci fosse la donna che aveva passato le notti col beduino. La vecchia Basma avrebbe provato imbarazzo a toccare un argomento tabù come quello, ma la nuova Basma non era più una bambina da coccolare, ma una donna che faceva parte di quel mondo e aveva il diritto di capire come funzionasse per poter affrontarlo.
“Dove hai dormito?”
Se al suo fianco ci fosse stato Fadil, probabilmente le avrebbe mollato un ceffone sul viso, intimandole di vergognarsi per la sua sfacciataggine, ma quell’uomo era completamente diverso da suo padre, non si rivolgeva a lei come ad una bambina, e non le rimproverò la mancanza di tatto, invece rimase impassibile e si limitò a risponderle.
“Come ti ho già detto, non ho mai avuto problemi a trovare alloggio in nessuna delle città che ho visitato. Neanche nella tua, se devo dirla tutta. C’è ovunque una donna pronta ad aprirmi la sua porta, il suo cuore… e magari qualcos’altro. E i loro genitori hanno persino il coraggio di chiamare “Tahira”* quelle figlie della tentazione e della passione.”
Sghignazzò infine, con tono canzonatorio.
Probabilmente Basma si era sopravvalutata, perché proprio in quel momento le sue guance stavano scottando per il rossore. Forse non era ancora pronta a toccare argomenti così delicati, dopotutto non c’era abituata. Solo una volta aveva sentito parlare di sesso, da sua cugina Yasmina. Avevano entrambe nove anni e Yasmina stava spiegandole in maniera piuttosto personale come avviene il concepimento. Stando alla sua versione dei fatti, uomo e donna devono giacere nudi nel letto e baciarsi appassionatamente a luci spente. Se il primo a staccare le labbra è l’uomo allora nascerà un maschio, altrimenti una femmina.
Sorrise, ripensando a quel ricordo, dimenticandosi per un attimo delle parole del beduino.
“Tu dove sei andata a dormire?”
“In un funduq. Era piuttosto piccolo, ma a me bastava.”
Disse, tornando ad arrossire, questa volta meno violentemente.
“E dove li hai trovati i soldi? Non sarai mica una sharmoota*?”
Basma spalancò le labbra, in preda alla collera.
“Come osi? Ma per chi mi hai presa?”
“Sei una giovane donna che scappa dal suo paese insieme ad un estraneo, hai abbastanza soldi da poterti permettere di dormire in un funduq e di pagarmi. O sei una sharmoota o una haramaya.*”
“Nessuna delle due, e non permetterti mai più di rivolgerti a me in questi termini! Che safil!*”
Basma incrociò le braccia, furente di rabbia. Avrebbe tanto voluto scendere dalla carrozza e trovare un altro beduino disposto ad accompagnarla in Kuwait, o in Iraq o in qualsiasi altro posto, ma voleva allontanarsi da quell’uomo, era un maiale.
Era calato un silenzio imbarazzante tra i due, rotto solo dal rumore che emetteva il cammello.
“Ana asif*”
Disse improvvisamente l’uomo, cogliendola di sorpresa.
“Non penso che tu sia… Non penso quelle cose, mi dispiace.”
“Se non lo pensi allora perché le hai dette?”
Chiese Basma tenendo ancora le braccia incrociate all’altezza del petto, senza neanche voltarsi a guardarlo.
L’uomo non rispose.
Basma si chiese cosa mai gli fosse passato per la mente. A nessuna donna piacerebbe sentirsi dire quelle cose, e lui l’aveva ferita nell’orgoglio e lei non gli avrebbe più rivolto la parola. Aveva pagato il viaggio sino ad Hafar Al Batin (una città a circa 200km dal Kuwait), ma non sarebbe andata oltre, non in compagnia di quell’uomo. Si sarebbe arrangiata poi.
“Ti ho detto che mi dispiace, e non lo ripeterò una terza volta, se vuoi allontanarti da me fa’ pure, ti restituirò metà del denaro che mi hai dato e tanti saluti.”
“Metà? Ma se abbiamo appena lasciato Arar.”
“E’ la mia ultima offerta, non sono il tipo che contratta sui prezzi, ti lascio qui per metà dei SAR che mi hai dato, altrimenti sarai costretta a sopportare la mia presenza fino ad Hafar Al Batin, decidi tu.”
Basma rimase in silenzio. Quel tipo era forse il più imbroglione di tutta l’Arabia Saudita o le aveva fatto quella proposta affinché lei non rifiutasse e gli restasse vicino? Era così misterioso, ma sembrava veramente dispiaciuto. Non le piaceva l’idea di trascorrere tutto quel tempo insieme a lui, ma non aveva neanche intenzione di dire addio a tutti quei soldi. Non era stato facile procurarseli, e si sentiva morire dentro ogni volta che vendeva gli oggetti che erano appartenuti a sua madre.
Decise che poteva resistere altre dodici ore in sua compagnia, ma non un minuto di più.
 
Viaggiare di giorno era molto più stancante che di notte, il sole picchiava direttamente sulla testa e annebbiava la vista. Basma prese a soffiarsi con un pezzo di giornale a mo’ di ventaglio, la fronte del beduino grondava di sudore, e di tanto in tanto si asciugava con la mano.
Erano circa le tre del pomeriggio, e il sole arabo era più caldo di un forno. Stavano camminando da circa cinque o sei ore e cominciavano a farsi sentire i primi morsi della fame. Lo stomaco di Basma aveva cominciato a brontolare in modo molto lieve, ma adesso i suoni erano forti e assordanti , e lei cercava di dissimularli con finti colpi di tosse.
“Ho fame, credo sia il caso di fermarci un po’ per pranzare, cosa ne pensi?”
Propose l’uomo, e Basma avrebbe tanto voluto continuare a camminare, ma davvero non resisteva più allo stimolo.
“E poi è ora di pranzo anche per quella bestiaccia lì, non vorrei che mi morisse di fame proprio adesso, a quasi metà del percorso. E’ meglio fermarsi, te lo dico io.”
E così fece. Fermò il cammello e afferrò uno dei suoi borsoni, tirò fuori un po’ di cibo per l’animale e infine un panino.
“Hai qualcosa da mangiare?”
Chiese alla ragazza, prima di addentare il pane, ma Basma scosse la testa.
“Perché non ti sei portata dietro niente? Dodici ore di viaggio a stomaco vuoto sono un suicidio. Tieni, prendine metà.”
“Non fa niente, posso resistere.”
“Sì certo, hai intenzione di tossire fino a stanotte?”
Basma sgranò gli occhi. Allora se n’era accorto.
“Coraggio ragazzina, facciamo che è il mio modo di chiederti scusa, va bene?”
Restò a fissare la mano dell’uomo tesa verso di lei che la incitava ad afferrare il tozzo di pane.
“Shukran*”
Disse infine, spezzando a metà il panino.
“E poi l’ho pagato coi tuoi soldi, quindi ti appartiene almeno un po’.”
Disse infine l’uomo, provocandole una risata.
Si sedettero su una tovaglia per terra, mangiando mezzo panino ciascuno e chiacchierando.
“C’è una cosa che devo assolutamente chiederti. Ma tu come ti chiami?”
Chiese infine Basma all’uomo.
“Non mi piace l’idea di viaggiare in compagnia di una persona di cui non so neanche il nome, quindi… Qual è il tuo nome?”
Le loro risate furono interrotte da un brusco rumore in lontananza. Il cammello emise un urlo acutissimo, e l’uomo si alzò di scatto.
“Cos’è successo?”
Domandò Basma spaventata.
“Sembrava un urlo, veniva da quella direzione. Non è molto distante, dobbiamo stare attenti.”
Rispose l’uomo, correndo verso la carrozza per cercare qualcosa.
“Urlo di cosa? Cosa potrebbe essere stato?”
“Ana mish aref.*”
L’urlo si sentì nuovamente, questa volta più debole, ma più vicino. Sembrava una voce, ma non capiva cosa dicesse. Il beduino le si pose davanti puntando il fucile verso la direzione che le aveva indicato.
Rimasero in attesa per un paio di minuti che sembrarono un’eternità, il fiato di Basma era mozzato, cominciò a pregare sottovoce, cercando di regolarizzare il respiro.
“E’ un uomo.”
Disse improvvisamente il beduino.
“Un uomo?”
“Un bianco.”
“Un bianco?”
L’uomo si avvicinò il fucile all’occhio, cercando di prendere la mira per sparare, ma Basma lo spinse velocemente di lato.
“Cosa credi di fare? Hai detto che è un uomo, vuoi forse sparare a un uomo? Un tuo simile?”
“Quello non è affatto come me, è un bianco! Lurido hakeer*, salutami il tuo Dio quando ti spedirò all’altro mondo.”
Basma era paralizzata dall’orrore. L’uomo con cui aveva viaggiato era un assassino? Aveva condiviso una carrozza insieme a quel beudino, e solo adesso stava scoprendo che fosse un assassino? Lei non poteva permettergli di ucciderlo, non avrebbe potuto sopportare la vista di un uomo che moriva per mano di un altro uomo, doveva fermarlo, e, senza neanche pensarci, si piazzò davanti al beduino a braccia aperte.
“Se sparerai ucciderai me, se sei un assassino allora uccidi me.”
Gli urlava, impedendogli di prendere la mira. Il beduino la spinse a terra senza neanche ascoltarla.
“Sakkir*!”
Ma Basma non si arrendeva, lo afferrò per i piedi e lo fece cadere, proprio al suo fianco, poi gli montò addosso bloccandogli i piedi e gli afferrò i polsi, incrociandoglieli sopra la testa. Lo stava guardando dritto negli occhi, piangendo.
“Non ucciderai nessuno in mia presenza, se Allah ha voluto che lo incontrassimo non era certo perché lo uccidessi, ma perché gli salvassimo la vita.”
Il beduino si muoveva spasmodicamente per liberarsi, fin quando non riuscì ad allontanarla con un calcio sullo stomaco. Lei però non cedette, e continuò a urlare.
“Se durante questo viaggio fossi stato da solo, magari lo avresti pure ucciso, ma oggi qui con te ci sono io, ed io non potrò permetterti di compiere un gesto tanto folle. Se Allah ha voluto che partissi con te, allora ci dev’essere un motivo, io devo fermarti, io devo salvarlo, ascoltarmi ti prego, fermati, ferma la tua pazzia, ha la pelle bianca, ma è proprio come te e me, perché non lo vedi?”
Basma teneva gli occhi chiusi, continuava a strillare, sempre più lacrime le sgorgavano dagli occhi, sapeva di non poter costringere quell’uomo a fermarsi, ma avrebbe comunque tentato. Poi tacque, non usciva più nessun filo di voce dalla sua gola, e rimase a piangere sommessamente, singhiozzando di tanto in tanto, inginocchiata a terra, con i pugni sulle gambe.
Una mano le toccò la spalla, costringendola ad alzare lo sguardo. Il beduino aveva gli occhi lucidi e pieni di lacrime e le si era inginocchiato davanti. Improvvisamente l’abbracciò e pianse sulla sua spalla, cacciando un urlo che le fece accapponare la pelle.
“AIDHAAAAAAAAAAAAAAAAAA!”
 
 
E- Cosa
Leh- Dove
La- No
Inshaallah- Se Dio vuole
Mumkin- E’ possibile
Aiwa-
Tahira- Tahira è un nome femminile arabo che significa “pura, casta”.
Sharmoota- Prostituta, Puttana
Haramaya- Ladra
Safil- Porco
Ana asif- Mi dispiace (maschile)
Shukran- Grazie
Ana mish aref- Non lo so
Hakeer- Bastardo
Sakkir- Chiudi il becco (gergo)

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Capitolo 5
*** La nuova destinazione ***


   Il beduino si alzò e si asciugò le guance, quelle di Basma erano ancora umide. Lo stomaco le faceva malissimo per il calcio che si era beccata un paio di minuti prima, mentre cercava di placcare il beduino, in preda ad una crisi omicida.
L’uomo si era allontanato a piedi, e a Basma non importava nemmeno dove fosse diretto, aveva lasciato il fucile per terra, quindi non sarebbe andato a uccidere quell’uomo.
Basma rimase in ginocchio per terra, a fissare un punto fisso tra le sue gambe, senza riuscire a capacitarsi di ciò che era successo. Voleva credere che si trattasse di un incubo, voleva risvegliarsi nella stanza del funduq, ma in cuor suo sapeva che tutto era realmente avvenuto.
Aveva passato le sue ultime ore in compagnia di un razzista omicida, che non si sarebbe fatto scrupoli ad uccidere un altro uomo anche di fronte un testimone, una donna.
Si chiese se veramente, in tutti i suoi sedici anni, non avesse vissuto in una campana di vetro. I suoi genitori l’avevano sempre tenuta fuori da questo genere di cose. Suo padre era un uomo burbero, che perdeva facilmente la pazienza, ma professava la pace in tutte le forme, mentre adesso, si era trovata faccia a faccia con la morte, si era trovata davanti a un uomo con gli occhi iniettati di sangue, ma la cosa peggiore era che tutto era stato causato da un colore, da uno stupido colore di pelle.
L’uomo è grande, e grosso, e domina la Terra, è la creatura più intelligente e sviluppata del mondo, si dice, eppure diventa minuscolo e insignificante quand’è schiavo delle paure, dei vizi, dei sentimenti. Per quanto la vista di un uomo possa essere perfetta, l’odio può accecarlo improvvisamente, e farlo diventare servo.
Ebbe paura. Paura perché non conosceva sé stessa, paura perché non sapeva di cosa era schiava.
Voleva diventare cittadina del mondo, e adesso lo era, solo che il mondo sembrava molto più sporco adesso. Quando le notizie si leggono, o si sentono da lontano, non si può minimamente immaginare la loro grandezza, solo sono una o due pagine di un quotidiano, e non esiste parola che possa descrivere il suo stato d’animo. Non è solo spaventata, o solo inorridita, non è solo schifata, non è solo delusa, non è niente di tutto ciò, ma è molto, molto di più.
E poi che buffa era la vita, impieghi nove mesi per nascere e poi basta incrociare la persona sbagliata per strada, per poter morire.
Il rumore di passi del beduino attirò la sua attenzione, riportandola alla realtà. I suoi occhi si aprirono come fari luminosi, quando lo vide condurre in braccio quello stesso uomo che aveva cercato di uccidere poco prima. Lo sdraiò per terra, era privo di sensi, ferito e sporco di sangue, gli abiti erano logori e strappati.
Senza sapere come, ritrovò la forza di alzarsi, di correre per prendere una borraccia d’acqua e gliela versò dolcemente sul viso per pulirlo, poi su un panno che gli avvolse sulla testa.
Poggiò il suo orecchio al petto di lui, temendo il peggio.
“Respira ancora, è vivo.”
Gracchiò il beduino, con aria di disprezzo.
Basma non gli rispose, non riusciva neanche a guardarlo in faccia, figurarsi se voleva parlargli.
Guardò attentamente l’uomo, aveva la carnagione abbronzata, ma i suoi corti capelli castano chiaro lo ingannavano. Le finissime sopracciglia erano diventate bionde, aveva il setto nasale rotto e le labbra ben definite rosee. Il suo bel viso era stato sfigurato da armi da taglio e pugni. Versò ancora acqua su un altro panno chiaro e lo passò attentamente e molto delicatamente sul viso, poi gli lavò le braccia e il petto.
Era molto magro, gli si vedevano le costole.
Si chiese come si fosse ridotto in quello stato, ma ogni ipotesi che poteva azzardare restava tale, solo un’ipotesi, niente di certo. Per quale motivo allora tentare di tirare a indovinare?
Cercò di spostare l’uomo bianco verso l’ombra generata dalla carrozza, ma era troppo pesante per lei. Il beduino la guardava faticare, ma non si era mosso di un centimetro.
“Potresti aiutarmi?”
Gli chiese infine, con tono acido e seccato. Si aspettava una negazione o una risata di scherno, ma l’uomo si alzò senza fiatare e prese nuovamente  il ferito in braccio, poi lo poggiò sopra una coperta che Basma aveva disposto per terra all’ombra.
“Credo sia meglio lasciarlo riposare. Non puoi fare niente.”
Basma annuì, in silenzio.
“Non immagini quanto mi dispiaccia.”
“No, non lo immagino.”
Le sue fredde parole lo spiazzarono.
“Tu non puoi capire, non sai…”
“Non so cosa?”
E questa volta Basma lo stava guardando, e provò un’immensa rabbia, una rabbia che non aveva mai provato prima.
“E chi è Aidha?”
Chiese, senza neanche un motivo. Gli occhi del beduino diventarono lucidi.
“E’ mia figlia. La mia unica figlia.”
Disse singhiozzando, combattendo con sé stesso per non piangere.
“Ero sposato, e avevamo una figlia, Aidha. Lei era bella, più che bella, e molti ragazzi mi chiesero la sua mano, ma lei non accettava nessuno, nessuno. Solo un giorno, era Maggio, lei venne da me e mi disse che si era innamorata, ed io ero pieno di gioia, la mia bambina si era finalmente innamorata e… E quello era un ragazzo francese. Io non volevo che lo sposasse, io sapevo che me l’avrebbe portata via, ma lei mi promise che non sarebbe mai accaduto. E poi invece un giorno venne da me e mi disse che voleva andare con lui a Parigi. A Parigi! Mi disse che sarebbe tornata a trovarci presto, ma non la vidi più. Mi scriveva ogni mese, ma le lettere non bastavano. Mia moglie poi si ammalò e morì. Ma io lo so che l’unica cosa che la uccise fu il dispiacere, morì di crepacuore. Mi ritrovai improvvisamente solo, e allora in preda alla rabbia le scrissi l’ultima lettera, dicendo che sarei partito, che non avrei mai più fatto ritorno in Egitto, le dissi che per me non significava più nulla, che era morta. E non c’è giorno in cui io non pensi a lei, a lei e a mia moglie. Se solo quel pallido non me l’avesse portata via, lei sarebbe con noi, e mia moglie sarebbe ancora viva! Tutta colpa di quel francese. Ogni volta che vedo un uomo bianco ripenso a lui, all’uomo che ha distrutto la mia vita, e convertito la mia bambina. E’ diventata cristiana, capisci? Ha abbandonato ogni nostro ideale, ha dimenticato il suo passato, ha dimenticato noi. La mia Aidha.. Che però, ironicamente, non ha fatto più ritorno…*”
Basma era spiazzata dalla triste confessione che quell’uomo le aveva fatto. Chi avrebbe mai detto che un uomo burbero come quello in realtà celasse un’anima in pena?
Si sentì un’idiota per tutte le cose brutte che aveva pensato di lui, e, anche se quella storia non giustificava il suo comportamento, decise che era arrivato il momento di dargli un po’ di tregua.
Gli si avvicinò e gli porse un panno per farli asciugare occhi e naso.
“Ti va di parlarmi di Aidha?”
Gli chiese con un dolce tono di voce, e poté vedere illuminarsi gli occhi di quell’uomo che non se lo fece ripetere due volte, e cominciò a raccontare della nascita di Aidha, delle sue prime parole, dei suoi ottimi voti a scuola, della sua passione per la sartoria, di come si cuciva da sola i vestiti e di tutto ciò che gli passava per la mente. Basma non poté fare a meno di chiedersi se non aveva inflitto al padre lo stesso dolore che Aidha aveva arrecato al padre dopo essere scomparsa dalla sua vita.
Si sentì triste al pensiero, e decise di scrivere una lettera ai genitori, giusto per far sapere loro che stava bene e che non dovevano preoccuparsi.
Il discorso del beduino fu interrotto da alcuni gemiti dell’uomo bianco.
“Credi che stia riprendendo conoscenza?”
Chiese Basma al beduino, che però alzò le spalle.
Basma si avvicinò all’uomo e gli sedette affianco, aiutandolo a sedersi.
Quando l’uomo aprì gli occhi indietreggiò istintivamente, parandosi il viso con le mani, aveva un’espressione di terrore dipinta in viso.
“Izzayak*?”
Gli chiese Basma, porgendogli un panno umido, ma l’uomo per tutta risposta le allontanò la mano, facendo cadere il panno per terra.
Basma si voltò a guardare il beduino, a cui era tornata la solita espressione seria e severa.
“Ismi Basma, ismak e*?”
Chiese nuovamente all’uomo, confuso e spaventato.
“Enta betekallem Arabi?”
Chiese ancora, cercando di farsi capire per poter instaurare un dialogo con lo sconosciuto.
“E’ inutile, non credo capisca la nostra lingua.”
Affermò Basma alzandosi, dirigendosi verso il beduino, ma prima che potesse muovere il primo passo si sentì tirare la veste. Guardò l’uomo che le faceva cenno di abbassarsi.
“She… Shewaya*.”
Aveva detto infine, con voce roca, poi tossì e Basma si affrettò a versargli dell’acqua. L’uomo la prese per le spalle e l’abbassò di forza fino alla sua altezza e cercò i suoi occhi dietro il velo. Basma lo capì e si voltò di scatto, imbarazzata. Suo padre le aveva insegnato che poteva mostrare il suo aspetto solo ai familiari più intimi, ovvero al padre, ai fratelli, al marito e ai figli. Nessuno doveva vedere il suo corpo, se anche i cittadini più moderni permettevano alle figlie di indossare veli più scoperti come il Niqab che lascia scoperti gli occhi o lo Shayla e l’Hidjab che lasciano scoperto tutto il viso, suo padre era irremovibile, ogni donna della sua famiglia doveva portare il burqa, dovevano preservare ogni centimetro del loro corpo.
“Ismi Giuseppe,  ana Itali. Elhauny*”
Gli occhi di quel ragazzo erano diventati lucidi, la sua voce era strozzata, lasciò andare Basma e si portò le mani al viso, cercando di nasconderlo.
“Hai sentito? E’ un italiano.”
“Ho sentito. Cosa ci fa qui allora?”
“Vuoi che glielo chieda adesso? E’ piuttosto scosso e credo capisca solo metà delle cose che dico…”
“Soldato… Prigioniero… Iraq”
Disse Giuseppe improvvisamente, alzandosi in piedi e aggrappandosi alla carrozza per non cadere.
Basma lo afferrò e guardò il beduino.
“Hai capito la stessa cosa che ho capito io?”
Gli chiese disperatamente, sperando di aver frainteso.
“Hai capito che è un soldato Italiano fatto prigioniero in Iraq? Perché io ho inteso questo. Se qualcuno ci scopre pagheremo delle conseguenze, Basma, devi subito lasciarlo andare.”
“Ma vuoi scherzare? E’ solo, non parla bene la nostra lingua ed è lontano da casa. Dobbiamo aiutarlo!”
“Io non devo fare proprio niente, e neanche tu…”
Gli occhi di Giuseppe balenavano da Basma al beduino, cercando di capire qualcosa di ciò che si stavano dicendo.
“Come puoi abbandonarlo qui? E se avesse una famiglia? Chissà da quanto è prigioniero qui, magari lo credono morto, abbiamo il dovere morale di dargli asilo.”
“No, no, no, no, non mi convincerai. Io adesso prendo il mio cammello e la mia carrozza e mi dirigo nuovamente verso Hafar Al Batin, ho già perso troppo tempo. Ti conviene spiegargli la situazione e riprendere tutte le tue cose, prima che faccia buio, oppure…”
“Io non verrò con te.”
Calò immediatamente il silenzio, sia il beduino che Giuseppe stavano guardando la ragazza, al centro tra i due.
“Te l’ho già detto, è Allah che mi sta guidando, se mi ha fatto incontrare questo pover’uomo e mi ha dato la forza di convincerti a non ucciderlo, adesso so per certo che il mio ruolo è quello di assisterlo. Tu va pure se devi, ma io resterò qui con Giuseppe, e so che troverò un modo per riaccompagnarlo a casa.”
“Vuoi andare in Italia con lui? E’ questo che vuoi?”
“No, ma da solo non può farcela. Lo accompagnerò fin dov’è necessario.”
“Egitto.”
Sibilò Giuseppe, guardando Basma.
“Devo andare Egitto. Alessandria.”
Basma lo guardò attentamente. Egitto…
“Egitto.”
Ripeté a bassa voce. Poi sorrise.
“Chiamami pazza, ma se questo non è un segno divino allora non so davvero cos’è.”
“Basma non andare! Come sai di poterti fidare?”
“Non lo so. Non lo sapevo neanche con te, chiamalo istinto.”
“Non è la stessa cosa, probabilmente ci sono soldati Iracheni che gli stanno dando la caccia, se vi troveranno… Non oso immaginare cosa ti faranno.”
L’istinto paterno di quel beduino era di nuovo uscito fuori, cercava di proteggerla, lo sapeva, ma sapeva anche che andare con Giuseppe era la cosa giusta da fare.
“Apprezzo il tuo interesse, ma ho preso la mia decisione. Ti ringrazio di tutto, ma le nostre strade si dividono qui.”
“No, devo trovarti almeno un passaggio. Non ti lascerò sola con questo tizio, non mi piace. Vi accompagnerò ad Ha’il, sono circa altre sette ore di strada, ma da lì sarà più facile trovare un passaggio verso nord-est.”
“Come vuoi. Sarà meglio mettersi comodi allora. Quanto ti devo per questo passaggio?”
E il beduino fece il suo solito sorrisetto, quello dei soldi.
“Questo giro lo offre la casa.”
 
*Izzayak?-Come stai?
*Ismi… - Il mio nome è…
*Ismak e?- Come ti chiami? (Per gli uomini)
*Enta betekallem Arabi? Parli arabo? (Per gli uomini)
*Shewaya-Un po’
*Ana Itali- Sono Italiano
*Elhauny- Aiuto
 
 

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Capitolo 6
*** Una nuova identità ***


Il viaggio fino ad Ha’il fu molto più breve di quanto Basma si fosse aspettata, forse perché aveva passato quasi tutto il tempo a chiacchierare con Giuseppe, che però non riusciva a capire tutto ciò che gli dicesse. Era curiosa di conoscere la storia di quel ragazzo, voleva sapere cosa l’aveva spinto a recarsi fino in Iraq, quanto tempo era stato prigioniero, ma, soprattutto, come aveva fatto a scappare, ma era ancora troppo presto per poterne parlare, per cui si limitava ad insegnargli un po’ la lingua, e lui sembrava gradire le attenzioni che gli venivano rivolte. Basma lo ricopriva di cure, lo trattava come un bambino, gli chiedeva costantemente “Stai bene? Hai fame? Vuoi riposare? Dimmi ciò di cui hai bisogno” aiutandosi col linguaggio dei segni. Giuseppe sorrideva e le faceva cenno di okay con la mano.
Il beduino era stato zitto per quasi tutta la durata del viaggio, limitandosi a guardare torvo Giuseppe, che sembrava non averlo notato.
“Stiamo per arrivare.”
Aveva improvvisamente detto con voce roca. Era da poco passata mezzanotte e le strade di Ha’il erano vuote e buie.
“Per sicurezza è meglio che si nasconda tra i rifornimenti. La prudenza non è mai troppa.”
Basma annuì e nascose Giuseppe sotto una larga coperta, poi si avvicinò all’uomo.
“Non so davvero come ringraziarti.”
“Non ce n’è bisogno.”
“Sì invece! Hai cambiato la tua rotta soltanto per noi, adesso dovrai riposare qui e attendere che si sia fatto giorno prima di ripartire.”
“Non è un grosso problema. Dopotutto non c’è nessuno che mi aspetta ad Hafar Al Batin, quindi posso anche permettermi il lusso di arrivarci quando voglio.”
Basma sorrise, e anche se il beduino non poteva vederla, sicuramente aveva captato quel gesto dal tono della sua voce.
“Ad ogni modo ti ringrazio.”
L’uomo si ammorbidì un po’.
“Non c’è fretta, avrai modo di ringraziarmi domattina. Adesso ci conviene trovare un funduq.”
“Non hai detto di essere già stato da queste parti?”
“Sì, ma quando mai ho dormito in un funduq?”
Rise, guardandosi intorno.
“Se la memoria non m’inganna, dovrebbe essercene uno in quella direzione, a pochi metri…”
 
Trascorsero la notte in un piccolo funduq nel centro città, ognuno in una stanza diversa.
Il beduino si era prima accertato di stare nella stanza di mezzo tra Basma e Giuseppe.
“Se quel… Se qualcuno dovesse provare ad entrare nella tua stanza ti basterà urlare o picchiare contro il muro, intesi?”
Si era raccomandato con Basma prima che lei potesse accedere alla stanza, e lei era stata costretta a giurarglielo per ben tre volte. A Giuseppe invece non aveva neanche augurato la buonanotte, ma era rimasto sulla soglia di porta della sua camera ad attendere che entrasse. Il soldato guardò Basma e le sorrise, chinando la testa in segno di saluto, poi entrò in camera sua. Basma sorrise di rimando, e questa volta fu felice di avere il volto coperto.
“Trattalo bene domani, per favore, tanto sarà l’ultima volta che lo vedrai.”
Chiese gentilmente al beduino, che era rimasto anch’egli sul corridoio, con la chiave infilata nella toppa della porta.
“E’ quello che spero. Ad ogni modo non posso assicurarti nulla.”
“Va bene, mi arrendo. Tesbah ala kheir*”
Concluse, chiudendosi la porta alle spalle. La stanza di quel funduq era più grande e meglio arredata dell’ultima in cui era stata: le pareti azzurrine erano decorate con piccoli quadri con le cornici in legno, la finestra, che si affacciava sul centro città, era adornata da una lunga e vaporosa tenda color bianco panna, il pavimento in mattonella bianca era pulito e il letto, la cui testata era fatta di legno, era coperto da un lenzuolo giallino. Davanti al letto c’era un grande specchio in cui poté riflettersi subito dopo essersi spogliata. Aveva un’espressione stanca e travagliata, dopotutto aveva trascorso un’intera giornata in giro su una carrozza sotto il sole cocente.
Prima di andare a dormire si fece una doccia veloce, poi si gettò di peso sul morbido letto con addosso solo la biancheria intima. Prima di prendere sonno ripercorse mentalmente la sua giornata. Una giornata a dir poco bizzarra, era davvero contenta che fosse finita! Poi pensò a Giuseppe; probabilmente non dormiva su un soffice letto da molto tempo, era sicuramente già sprofondato in un lungo sonno. Ripensò al racconto del beduino, e le tornarono in mente i suoi genitori; si alzò di scatto dal letto e prese un foglio di carta e una penna, poi cominciò a scrivere:
“Cari genitori, mi scuso per essere svanita nel nulla, vi sarete preoccupati tantissimo per me, ma non ne avete motivo: vi assicuro che sto bene e non dovete temere per la mia incolumità, sto imparando a badare a me stessa. Ho finalmente trovato la mia strada, ho deciso che mi trasferirò e ci arriverò presto, Inshaallah.
Se la cosa vi può dare conforto, sappiate che non sto compiendo questo viaggio da sola.
Prometto di scrivervi di nuovo prossimamente.
Vostra figlia Basma.”
 
Piegò il foglio e lo poggiò sul comodino vicino al letto, adesso si sentiva il cuore molto più leggero. Recitò alcune preghiere e poi, finalmente, si addormentò.
Fu risvegliata poche ore dopo dalla voce del beduino, e dal rumore che emettevano le sue nocche scontrandosi contro la porta.
“Basma, sei sveglia?”
“Sì!”
Urlò scattando sul letto. Aveva gli occhi chiusi ed era ancora intontita. Le ci vollero un paio di secondi perché riprendesse coscienza.
“Sì, sono sveglia, dammi due minuti!”
Gridò scendendo dal letto, correndo a sciacquarsi il viso, si vestì velocemente  ed indossò il suo velo, poi aprì la porta.
“Eccomi, sono pronta, hai chiamato Giuseppe?”
“Sì, ma quel pigrone sta ancora dormendo. Che razza di…”
Ma non finì la frase, perché proprio in quel momento la porta del soldato si aprì, e ne uscì Giuseppe col viso pulito, ma con gli stessi abiti logori del giorno prima.
“Dobbiamo recarci in qualche suk, prima di partire.”
 
La città era irriconoscibile, la gente pullulava in ogni dove, intenta a fare compere, urlando e spingendosi gli uni con gli altri. Basma aveva pochi soldi con sé, per cui era arrivato il momento di vendere un altro degli oggetti della madre. Si avvicinò ad un gioielliere e, come aveva fatto la volta precedente, lo attirò a sé sussurrandogli qualcosa all’orecchio e mostrandogli una collana di perle colorate. Giuseppe guardò la scena da poco lontano; vide il mercante alzare le mani in segno di rifiuto, Basma che lo inseguì accerchiandolo muovendo spasmodicamente le mani e indicandolo. Anche il mercante lo stava guardando e adesso sembrava molto più calmo, più propenso a trattare. Gli vide infilare la mano destra in tasca e poi tenderla verso la ragazza che lo salutò con un cenno.
Basma si avvicinò a Giuseppe e lo invitò a seguirla. Furono avvolti da suoni, profumi e colori caratteristici dell’Arabia Saudita, furono inghiottiti in un tumulto sensoriale; Giuseppe si guardò intorno sentendosi smarrito e benvenuto allo stesso tempo. La gente sorrideva e parlava tra loro in assoluta tranquillità, incurante degli strilli dei mercanti, o delle risate dei passanti, delle voci acute dei bambini che giocavano e si perdevano nella folla, dei forti odori di spezie che pizzicavano le narici, dei raggi solari che battevano sulle collane di perle e diamanti e si riflettevano nelle tende o negli abiti delle donne, che a volte accecavano la vista. Non aveva mai visto nulla di simile in vita sua, i mercati italiani non erano neanche lontanamente simili a quelli arabi. E poi vi si poteva trovare di tutto, dagli alimenti freschi del giorno come pesce o verdura, alle buste di sesamo, curcuma, zafferano e sommacco, e poi gli oli, e la frutta secca, i prodotti caseari e i condimenti per le salse; e poi gioielli, un’infinità di gioielli ultra decorati, collane, bracciali, orecchini, anelli e poi addobbi per i capelli, foulard, addirittura le scarpe! Vi si potevano trovare persino i tappeti, di ogni grandezza, colore e qualità. Era un grande mondo, un grande centro di scambi che si trovava in una piccola parte della città.
Basma lo trascinò davanti una bancarella che vendeva abiti e lo invitò a scegliere qualcosa. Giuseppe si sentì imbarazzato, Basma lo vide arrossire e abbassare lo sguardo, scuotendo impercettibilmente il capo.
“No, grazie.”
Aveva sussurrato, ma lei finse di non aver sentito, e prese in mano un dishdasha*di cotone bianco e glielo porse. Giuseppe fissò l’abito senza prenderlo, ma Basma insistette e glielo poggiò proprio sotto il naso. Mentre il ragazzo se lo poggiava addosso per vedere che effetto faceva, Basma gli portò una kufiya* bianca e rossa da fermare con un agal. Senza dare al giovane il tempo di replicare, pagò la merce e se la fece imbustare. Poi si diresse verso un mercante di frutta e verdura e comprò pochi viveri, infine si allontanò dal suk trascinando Giuseppe per una manica e tornarono insieme nel funduq. Gli porse i nuovi abiti e lo invitò a provarli. Giuseppe rimase un secondo sul posto, poi entrò nel funduq.
“Lo hai portato a fare spese…”
Esclamò il beduino, vedendoli tornare.
“Sì, oltre ad averne bisogno, spero che questi abiti lo rendano meno riconoscibile.”
“Non ci spererei tanto se fossi in te. Comunque senti, ho parlato con un tizio, mi ha venduto un cammello e una carrozza, non è molto grande, ma credo che vi possa bastare.”
“Andrà benissimo, ci fermeremo a fare rifornimenti come mi hai suggerito.”
“A proposito, ti ho procurato anche una mappa, ti ho tracciato la strada da fare e i luoghi in cui fermarvi…”
“Non so proprio come ringraziarti. In questi giorni mi sei stato indispensabile e non so come avrei fatto senza di te.”
Il beduino sorrise e improvvisò un buffo inchino.
“Sono io che ti devo tanto. La tua compagnia ha significato molto per me.”
Sorrisero entrambi, sentendosi molto più vicini che mai. Ad interrompere quell’atmosfera malinconica era stato Giuseppe, che adesso indossava gli abiti tipici arabi, anche se aveva messo male la Kafiya. Basma sorrise e gliel’aggiustò.
“Adesso sembri uno di noi.”
Il ragazzo sorrise impacciato.
“E da questo momento, fin quando sarai in Terra Araba, il tuo nome sarà Youssef.”
Giuseppe rise nuovamente, stavolta senza alcun imbarazzo.
“Ismi Youssef, ana Arabi. Yalla!*”
Basma e Giuseppe scoppiarono a ridere, e alle loro risa si unirono anche quelle del beduino questa volta; si avvicinò a Giuseppe e gli poggiò le mani sulle spalle.
“Abbi cura di questa grande donna, e buona fortuna.”
Giuseppe si fece improvvisamente serio, fissò l’uomo negli occhi e alzò le braccia.
“Avete salvato mia vita. Io dico grazie, io prendo cura di Basma.”
Rimasero altri pochi minuti insieme, discutendo circa la strada migliore da prendere per arrivare alla prossima città, Tayma, a circa sette ore di lontananza. Poi Giuseppe salì sulla carrozza e tese la mano a Basma, che era rimasta di sotto.
“Quasi dimenticavo, tieni questa.”
Disse tirando fuori dalla sua borsa un foglio ripiegato su sé stesso.
“Semmai dovessi passare di nuovo da casa mia, falla avere ai miei genitori, voglio che sappiano che sto bene.”
Il beduino sorrise, con gli occhi lucidi.
“Sarà fatto. E poi chi può dirlo? Magari prima o poi ci rincontreremo, non ho intenzione di smettere di viaggiare!”
Anche gli occhi di Basma si stavano inumidendo.
“Perché no?”
Poi afferrò la mano di Youssef e fece un piccolo salto in avanti. Salutarono nuovamente il beduino, ringraziandolo per la sua gentilezza, e poi si allontanarono verso l’orizzonte, sapendo che da quel momento le loro strade non si sarebbero mai più incrociate.
 
 
 
*Tesbah ala kheir- Buonanotte
*Dishdasha- E’ una tunica che arriva alla lunghezza della caviglia. Ha generalmente una tasca in alto a sinistra ed è cucita in modo da far circolare agevolmente l’aria, così da rinfrescare il corpo
*Kufiya- Anche questa tipica dell’abbigliamento maschile arabo, è una sorta di sciarpa a forma rettangolare che va posta sul capo. La sua funzione è quella di proteggere la testa dai raggi solari
*Agal- una sorta di cappello da preghiera musulmano indossato per lasciar traspirare meglio il capo (a volte infatti è traforato).
*Ismi Youssef, ana Arabi, yalla!- Ho già spiegato, nel capitolo precedente, il significato di questa frase (che non è molto difficile da comprendere) ad ogni modo la rispiego: Mi chiamo Youssef, sono arabo. “Yalla” significa letteralmente “Dai” ed è una parola molto usata dal resto del mondo per indicare gli Arabi, così come usano “Spaghetti” per indicare gli Italiani.
 
FONTE- http://www.dubaiblog.it/index.php/2012/01/06/dubai-blog-vestito-arabo-uomo/

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Capitolo 7
*** Pregiudizi ***


“Mai guidato cammello.”
Spiegava Giuseppe a Basma, cercando di giustificare la sua scarsa abilità alla guida del quadrupede.
Basma provava compassione per quel ragazzo che tentava disperatamente di domare la bestia, che invece si divertiva a scegliere da sola la strada da seguire.
“No, no, non devi girare…”
Ordinava disperato al cammello, sperando che quello lo ascoltasse. Basma sorrise, e, con dolcezza, prese in mano le redini.
“Sta tutto nel modo in cui tieni queste. Se lui sente che sei nervoso o incapace non ti rispetta: devi avere una presa decisa, non troppo forte, ma abbastanza da fargli capire che sei tu che comandi.”
Gli spiegò dolcemente, conducendo la creatura verso la direzione desiderata. Giuseppe la osservava dubbioso.
“Perché tu riesce?”
“Anche mio padre aveva un cammello, è stato lui ad insegnarmi come fare.”
“Tuo padre è uomo di prima?”
“Oh no, quel signore è un beduino che ho pagato per portarmi via da casa.”
Giuseppe era confuso. In Arabia la gente ti portava via da casa se veniva pagata?
Basma dovette capirlo, perché si affrettò a riformulare la frase.
“Beh non mi ha portata via da casa in senso letterale, sono stata io che ho deciso di andare via e lasciare la mia famiglia, lui mi ha solo dato un passaggio.”
“E perché sei andata via?”
Quella domanda la spiazzò. Anche lei avrebbe voluto chiedere tante cose al ragazzo, ma se le teneva per sé per evitare di sembrare insensibile o insistente. C’era da dire che la domanda era comunque lecita, dopotutto era stata lei a toccare per prima l’argomento.
“Mio padre voleva organizzare la mia vita e a me non stava bene.”
Si affrettò a dire, in maniera piuttosto evasiva, sperando che Giuseppe non facesse altre domande.
“Come?”
No, a quanto pare voleva continuare a discutere. D’altro canto avrebbero dovuto passare insieme circa 7 ore e mezzo (se guidava il ragazzo anche più tempo) e dovevano pur parlare di qualcosa,  e dopotutto non si conoscevano ancora, non c’erano altri possibili argomenti di conversazione.
Basma sospirò e iniziò a raccontare la sua storia.
“Mio padre ha organizzato il mio matrimonio quand’ero ancora una bambina, ma l’uomo che aveva scelto per me era un vero cafone, ed io non avevo nessuna intenzione di sposarlo. Per sfuggire da questa situazione ho abbandonato la mia casa e la mia famiglia e adesso sto cercando di ripartire da zero in una nuova città.”
Giuseppe la guardò con aria intollerante.
“Perché non ti ribelli?”
Aveva chiesto, facendo voltare Basma di scatto.
“Non potevo.”
Si limitò a dire.
“Perché?”
“Tu non conosci il mio paese, si basa su regole e tradizioni antiche. Se avessi disobbedito a mio padre, la nostra famiglia sarebbe sprofondata nella vergogna e non hai idea di cosa significhi…”
Gli occhi del soldato si fecero grandi e molto seri, e la sua voce tremò un poco quando disse.
“Io so. In Iraq ho visto cosa uomini musulmani fanno a donne. In Italia non permettiamo ciò. E’ orribile.”
Questa volta fu Basma a rispondere stizzita.
“Ma di che stai parlando?”
“Io ho visto come uomini trattano donne. Niente rispetto.”
“Cosa ti fa pensare che gli uomini musulmani non provino rispetto nei confronti delle donne?”
“Guardati, coperta da testa a piedi, perché?”
Basma era furente, chi era quello li e come si permetteva di insultare il suo paese e la sua religione?
“Noi donne arabe preserviamo il nostro corpo per una questione religiosa, non c’entra nulla il maschilismo o la mancanza di rispetto! Allah stesso ha ordinato al Profeta di dire alle credenti: proteggete i vostri sguardi e siate caste. Noi donne arabe siamo pure e per questo veniamo rispettate, e tu, che non conosci la mia religione, osi insultare? Come vestono invece le donne Italiane? Permettete loro di fare sfoggia del loro corpo? Permettete che i loro corpi vengano mostrati a tutti? In quel caso siete voi a mancar loro di rispetto.”
Gli aveva urlato col volto in fiamme, abbandonando le redini e gesticolando con veemenza.
Anche Giuseppe aveva il volto arrosato dalla rabbia.
“Anche donne Italiane coperte, però no viso! Io vedo occhi e naso e bocca di donne Italiane, vedo capelli, tanti colori di capelli. Io no vedo niente di tuo viso e mi arrabbio perché voglio vedere viso di donna che salva me.”
“Non puoi vedere il mio viso, i miei occhi o il mio naso, non puoi vedere le mie labbra e neanche i miei capelli! Ma credi che siano questi particolari a fare di me qualcuno? La vera me si nasconde sotto la mia pelle, e non sotto il mio velo. E poi non importa che tu voglia vedermi, io sono cresciuta con gli ideali che mi hanno trasmesso i miei genitori, loro mi hanno insegnato a portare il burqa ed io lo farò.”
“Io capisco, io pure religioso, ma ho visto altre donne con velo ma faccia scoperta. Perché tu ti nasconde tutta tutta? Sei brutta?”
Basma sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Avrebbe voluto gridargli contro tutta la sua rabbia, avrebbe voluto sbattergli in faccia il fatto di essere un ignorante pieno di pregiudizi infondati, ma invece fece un profondo respiro e cercò di mantenere la calma, pesando per bene ogni parola.
“Tu non sai niente di me, né della mia religione, eppure credi di poter dire la tua e cambiare il mondo, beh, non è così che funziona, quindi, per una pacifica convivenza, suggerirei di non toccare più l’argomento, dal momento che dobbiamo percorrere ancora molta, molta strada insieme.”
Giuseppe aprì la bocca per replicare, ma la chiuse subito e abbassò lo sguardo. Basma rimase in silenzio, con le mani sui fianchi, attendendo la sua risposta. Giuseppe afferrò le redini e le fece danzare a mo’ di frusta con la giusta forza, poi guardò di nuovo la ragazza al suo fianco, che aveva ancora il viso rivolto verso di lui.
“Okay, molto bene.”
E continuarono il loro viaggio senza fiatare.
 
Le ore passavano molto lentamente e la strada per raggiungere Tayma era ancora lunga. Basma teneva la mappa chiusa in mano e Giuseppe, di tanto in tanto, la guardava, senza però aprire bocca.
Avrebbe voluto aprirla e dare un’occhiata, ma non aveva intenzione di chiederla a Basma ed essere il primo a spezzare il silenzio per una questione di orgoglio. Eppure Basma non stava controllando, la teneva chiusa in mano da quasi due ore, per quanto ne sapeva avrebbe anche potuto sbagliare strada e finire in qualche piccola e sperduta cittadina. Per un attimo l’idea di strappare la mappa dalle mani della ragazza le sfiorò la mente, ma lui la cacciò subito per non causare altri problemi.
“Puoi aprire mappa, per favore?”
Chiese infine borbottando, senza degnare la ragazza di uno sguardo. Lei, d’altro canto, gliela passò in mano senza neanche rispondergli. Giuseppe sbuffò e aprì il foglio, tenendolo davanti la faccia per un paio di secondi. Rimase in silenzio a guardare la cartina senza emettere un suono, poi guardò Basma, cercando di dirle qualcosa, ma ci ripensò e tornò a fissare la mappa con le ciglia aggrottate, sbuffando e facendo fastidiosi rumori con la lingua.
“C’è qualche problema?”
Si decise a domandare Basma, alquanto irritata, e il ragazzo annuì.
“Non so leggere.”
Disse infine, semplicemente, ripassandole la mappa. Basma inarcò la schiena e prese l’oggetto in mano, dandogli un’occhiata e poggiandoci un dito sopra.
“Stiamo percorrendo questa strada qui, vedi? Ma come sarebbe a dire che non sai leggere?”
“Io so leggere, so leggere mia lingua. Non capisco vostra, parlo un poco, ma non capisco scrittura.”
Replicò infastidito. Si aspettava di essere deriso, ma Basma non lo fece.
“Questo è un problema. Non sai leggere proprio nulla?”
Scosse la testa.
“Allora dovrò insegnarti tutto io. Sarà faticoso, ma per lo meno parli un po’ la nostra lingua, quindi dovrebbe essere più facile.”
“Vuoi insegnarmi tua scrittura?”
“Voglio insegnarti a leggere, a riconoscere le lettere ed i suoni di queste. Sei d’accordo?”
Giuseppe annuì impercettibilmente con la testa, ma sul volto aveva disegnata un’espressione incredula, come se volesse dire “sei sicura di poter riuscirci?”
“Sì, si può provare.”
Concluse, cercando di convincere più sé stesso che la ragazza.
“Bene, cominceremo quando saremo a Tayma. Dobbiamo percorrere altri 200 km circa, ci impiegheremo 4 ore al massimo, anche meno se...”
“Possiamo mangiare?”
Chiese improvvisamente il ragazzo interrompendola, e il brontolio del suo stomaco fece da eco. Anche Basma aveva fame.
“Sì, buona idea. Ferma il cammello, facciamo mangiare anche lui.”
Giuseppe obbedì e fermò il cammello. Scese dalla carrozza e si stava avvicinando all’animale, ma un colpo di tosse richiamò la sua attenzione. Basma, in piedi sulla carrozza, indicava il pavimento con il dito indice. Il ragazzo indietreggiò e allargò le braccia, avvicinandosi alle sue gambe.
“Cosa stai facendo? Dammi la mano.”
Ma lui non l’ascoltò e la prese in braccio contro la volontà di lei che si dimenava per sfuggire alla sua presa, emettendo degli strilli.
“Non provarci mai più.”
Lo rimproverò dopo che fu per terra, con le gambe che le tremavano. Giuseppe sorrise e corse a prendere alcune provviste.
“E’ stato divertente.”
Esclamò infine, alzando le spalle.
Basma teneva le braccia incrociate e batteva il piede destro per terra, ma, dietro il velo, nascondeva un sorriso.
Era stato davvero divertente!
 
 
 
PS- Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere, a causa dei contenuti. Spero di non aver offeso nessuno, è chiaro che la mia non è una forma di razzismo, non mi permetterei completamente…
Spero solo che nessuno fraintenda, e, come sempre, per ogni giudizio o critica, potete commentare!
Buona lettura =)

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Capitolo 8
*** L'imbroglio ***


Arrivarono a Tayma verso le cinque e mezza del pomeriggio, quando il sole stava ormai calando e colorava la città di arancione.  Le strette stradine erano costeggiate da case costruite con un tipo di pietra locale che dava loro un magnifico effetto chiaroscuro. Alcune donne stavano chiacchierando davanti la propria casa, ma si erano zittite nel vederli passare e adesso bisbigliavano qualcosa. Anche gli uomini, che stavano seduti a un tavolo giocando a carte, si voltavano a guardarli, con aria curiosa e poco accogliente. Calò un silenzio inquietante, rotto solo dai passi del cammello.
Aveva detto Basma a voce bassa, in modo che solo Giuseppe potesse sentirla.
Improvvisamente uno degli uomini seduti al tavolo si alzò e si fermò proprio davanti al loro, impedendogli di continuare il percorso e facendo cenno alle donne di chiudersi in casa, da dove avrebbero spiato la scena da dietro le scalette della finestra.
L’uomo era alto e grasso, vestito con un dishsasha marrone e una kufiya beige. Il suo sguardo era aggressivo e minaccioso.
“Salve, straniero.”
Disse rivolgendosi a Giuseppe, che però rimase in silenzio.
“Come ti chiami?  E cosa ti porta qui?”
Ancora una volta Giuseppe non rispose.
I cittadini osservavano la scena in silenzio, alcuni sorridevano, altri erano seccati. Giuseppe aveva capito cosa quell’uomo gli aveva domandato, ma era impietrito dalla paura, e il suo sguardo si spostava spasmodicamente.
“Rispondi!”
Gli aveva ordinato Basma in un sussurro. Giuseppe si schiarì la voce e parlò, cercando di camuffare il suo accento, fingendosi uno del luogo.
“Salve a te. Mi chiamo Youssef e sono diretto in Egitto. Tu come ti chiami?”
“Rani. Sei diretto in Egitto… Quindi ti trovi qui per riposare una notte e poi ripartire?”
Giuseppe annuì, poco convinto.
“Come pensi di arrivare in Egitto?”
Giuseppe ci pensò un attimo, poi indicò qualcosa davanti a lui.
 “Con cammello.”
Quella risposta aveva scatenato una risata generale, tutti gli uomini seduti al tavolo stavano ridendo, anche le donne, da dietro le persiane, e persino Rani, che aveva la risata più chiassosa di tutte.
“Sei simpatico, Youssef. Come si chiama tua moglie?”
Giuseppe aveva scosso la testa indicando Basma col dito, pronto a dichiarare che quella lì non fosse sua moglie, ma lei fu più veloce e urlò il suo nome.
“Basma! Io mi chiamo Basma, molto piacere.”
Rani spostò velocemente lo sguardo su Basma, tramutando nuovamente la sua espressione facciale. Basma aveva sentito ansimare alcune donne da dietro le loro persiane. Sapeva cosa stava succedendo.
“Come osi interrompere due uomini, donna?”
Anche Giuseppe si voltò a guardarla, ma il suo sguardo esprimeva confusione. Basma chinò il capo e rimase in silenzio.
“E tu come osi permetterglielo?”
Diceva adesso, indicando Giuseppe, che era entrato nel panico e non sapeva come reagire: Rani sembrava parecchio disgustato, Basma manteneva la posizione di castigo e tutti gli uomini e le donne nascoste stavano aspettando una sua risposta. Sapeva che la sua posizione era molto delicata al momento, che non avrebbe potuto sbagliare, quindi resse il gioco.
“Sì, come hai osato? No sei donna che tuo padre ha promesso a mio. Mi vergogno di te, moglie!”
Urlò, brandendo il dito contro Basma. Sembrò che quella fosse la cosa giusta da fare, perché adesso  gli uomini annuivano, dandogli la loro approvazione. Rani però rimase impassibile.
“Se non rispetti me, io dico a tua famiglia che tu disonori loro.”
“Da dove vieni?”
Gli chiese Rani improvvisamente.
“Io? Io…”
Temporeggiò cercando un aiuto da Basma, che però non avvenne.
“Io viene da Italia.”
“Italia eh? E dimmi un po’, per quale motivo hai sposato una donna araba? Perché mai suo padre ti avrebbe dato questo consenso?”
Giuseppe deglutì sonoramente. Si trovava di nuovo alla berlina, sotto gli occhi accusatori di cinque uomini arabi i cui volti esprimevano disprezzo.
“Perché… Perché io salvato vita. Io salvato padre da fame. Io dato lui mio cibo, lui molto grato, lui fa di me marito di Basma.”
Sebbene alcuni uomini fossero soddisfatti, Rani sembrava ancora dubbioso. Da quando in qua un uomo arabo prometteva la propria figlia in sposa al primo straniero?
“Ascolta Straniero, questa volta voglio crederti. Ma la vostra presenza qui costituirà un grande problema per noi, per cui non voglio che restiate in città per più di tre giorni. Non dovrete avvicinarvi alle nostre donne o ai nostri bambini, non dovrete farvi vedere in giro se non al momento della partenza, per cui niente giri turistici o passeggiate per la città. Alloggerete nel funduq che gestisco, che, non per vantarmi, è il più lussuoso di tutta la città. Nutrirò e curerò anche il tuo cammello, per qualche spicciolo in più. Questi sono i patti, sta a te decidere.”
Rani incrociò le braccia, in attesa di una risposta. Giuseppe guardò Basma, poi il cammello. Capì subito che la proposta di Rani non era altro che una minaccia, che non avrebbe potuto rifiutare quella proposta, che Rani stava cercando di imbrogliarlo.
Guardò ognuno di quegli uomini fisso negli occhi, che ridevano di lui sotto i baffi, e poi guardò Rani.
 “Accetto.”
Disse, e, come per magia, l’uomo si scansò e permise loro di proseguire.
“Il mio funduq si trova proprio in cima a questa strada, vi raggiungerò presto, voi incamminatevi.”
Giuseppe eseguì gli ordini e, senza fiatare, si allontanò in silenzio, ma Basma lo vide mordersi compulsivamente le labbra e lo sentì fiatare più affannosamente del solito.
Aspettò di essere abbastanza lontano da orecchi indiscreti per poter finalmente lamentarsi con Basma.
“Cosa succede in questa città? Chi crede di essere quello uomo?”
Basma parlò con voce pacata.
“Un imprenditore. Vuole solo sfruttarci al massimo, stoglierci ogni centesimo.”
Giuseppe non rispose, ma sentiva ribollire il sangue nelle vene, e cercando di mantenere un minimo di calma, continuò a tenere le redini del cammello in mano, con più forza del dovuto. Anche Basma rimase in silenzio; comprendeva la rabbia di Giuseppe, Rani si era comportato in pessimo modo, il tutto solo per guadagnare qualche spicciolo di più.
La strada che conduceva al funduq era in salita, e Giuseppe la percorreva senza neanche guardarla, confidando che Basma lo avrebbe fermato quando vi fossero finalmente giunti. Erano appena arrivati a Tayma, ma avrebbero già voluto ripartire, sapevano di non essere i benvenuti, sapevano che si sarebbero approfittati di loro in ogni modo possibile in quei tre giorni, e Giuseppe non riusciva a sopportarlo. Se fosse stato nel suo paese si sarebbe ribellato, avrebbe espresso il suo rifiuto e avrebbe persino ricorso alle mani, se fosse stato necessario, ma qui era diverso, era tutto diverso.
“Odio qui.”
Aveva detto a Basma sottovoce.
“Anche io. E’ la prima volta che vengo a Tayma enon immaginavo che avrebbero fatto tanti problemi solo perché…”
“No, odio Arabia.”
Aveva precisato, zittendo immediatamente la ragazza.
“Non puoi odiare tutto un paese a causa di una sola persona, non trovi?”
“Una persona?”
La sbeffeggiò, ridendo amaramente.
“Visto tante persone cattive, visto tante cose brutte qui. Voglio solo tornare a Italia.”
“Parli dell’Italia così bene che la fai sembrare il paese delle meraviglie, ma, anche se non l’ho mai visitata, sono così intelligente da sapere che non può essere perfetta così come tu la descrivi. Anche in Italia ci sono gli imbroglioni, quelli sono dappertutto, non negarlo.”
Giuseppe non parlò, ma morse ancora con più insistenza il suo labbro inferiore.
“E poi hai visto troppo poco del mio paese, prometto che io stessa ti farò vedere i suoi lati positivi. Vedrai che non è tutta gentaglia manipolatrice, vedrai che esistono anche uomini e donne per bene, ti sorprenderò.”
Gli aveva detto Basma con entusiasmo, toccandogli il braccio nel tentativo di coinvolgerlo.
“Dimmi solo quando arrivati.”
Restò spiazzata. Perché quel ragazzo era così ostile? Perché aveva deciso di odiare tutto ciò che riguardava il suo paese? Non era la prima volta che criticava il suo mondo, e la cosa la infastidiva non poco. Basma cercava continuamente di instaurare un buon rapporto con quel ragazzo, ma lui non faceva il minimo sforzo per venirle incontro. Forse avrebbe semplicemente dovuto ignorarlo, e rassegnarsi al fatto che non avrebbe proprio potuto cambiare il suo modo di pensare. Ma sì, che fosse libero di pensare ciò che voleva, di odiare ciò che riteneva giusto odiare, di naufragare nel mare di ignoranza e pregiudizi nel quale stava lentamente annegando, rifiutando ogni ancora di conoscenza e tolleranza. Incrociò le braccia, facendo un broncio invisibile, e tornò a guardare la strada.
“Siamo arrivati.”
Disse infine, con tono acido, costringendolo a fermarsi di botto. Lo sentì borbottare mentre scendeva dalla carrozza e, ancor prima di dargli il tempo di poter porgerle la mano per aiutarla a scendere, Basma era saltata giù dalla carrozza, finendo in ginocchio per terra.
“Che cosa fai?”
La rimproverò Giuseppe, ma lei non ci fece caso, e si avvicinò al portone di ingresso, dove attese l’arrivo del ragazzo che si stava preoccupando di legare saldamente il cammello a una staccionata. Afferrò i borsoni e li trascinò fino al portone, dove entrambi attesero in silenzio l’arrivo di Rani.


PS- Ringrazio tutti voi per aver lasciato dei commenti positivi, non immaginate neanche quanto io li abbia apprezzati. Mi date la forza e la voglia di continuare a scrivere. Grazie davvero =) E mi scuso per il ritardo, prometto che stanotte pubblicherò due capitoli ;D Buona continuazione =)

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Capitolo 9
*** Dietro il velo ***


Rani arrivò circa quindici minuti dopo, in sella al suo cammello, accompagnato da un ragazzo in sella ad un altro cammello dal pelo più scuro. Entrambi avevano sul viso un’espressione serena, e un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
“Alhan wa salhan* mio caro amico Youssef. Questo è il funduq di cui sono il proprietario, e converrai con me se ti dico che è il migliore nella zona.”
Disse Rani, scendendo dal dorso del cammello, dirigendosi verso di lui. Giuseppe tacque, e, con un cenno della testa, indicò il ragazzo alle sue spalle.
“Lui è uno dei miei figli, Fayyad. Si occuperà dei vostri affari, dato che, come vi ho detto prima, per i prossimi due giorni sarete confinati qui dentro…”
“Quali affari?”
Domandò il soldato.
“Spese ad esempio.”
Basma era sconvolta. Non pensava che potesse realmente proibirgli di recarsi in giro, anche solo per fare spese. Avrebbe voluto replicare, ma sapeva bene che se avesse aperto bocca avrebbe peggiorato la situazione. Nessuna donna può interrompere due uomini che dialogano, e lei aveva già commesso questo errore, per cui decise di ingoiare il groppo che le chiudeva la gola, e sperare che Giuseppe dicesse a voce ciò che lei si limitava a pensare.
“Quanti soldi?”
Chiese invece Giuseppe.
“Suvvia, non è il caso di parlarne ora, entrate prima, lasciate che vi presenti il mio primogenito, Abdel Aziz, è lui che si occupa dei clienti, parlatene direttamente con lui…”
“No, ora. Quanti soldi?”
Ripeté. Rani schioccò le labbra con un’espressione molto seccata che non sembrava affatto turbare Giuseppe. Ci pensò un attimo, poi chiamò a sé il figlio Fayyad, che gli stava dietro, con un gesto della mano. Gli bisbigliò qualcosa all’orecchio e poi entrambi sorrisero malvagiamente.
“Voi quanti soldi avete?”
Entrambi risero, irritando maggiormente Giuseppe, che urlò frasi incomprensibili in Italiano, gesticolando in maniera piuttosto eccessiva, attirando parecchi sguardi verso di sé. Basma, spaventata, rimase in disparte, mentre Rani e Fayyad ridevano ancora più sonoramente.
Più quei due sbruffoni ridevano, più Giuseppe alzava la voce, nessuno si sarebbe fermato prima dell’altro. Improvvisamente un uomo uscì dal portone con passo svelto e pesante e si schierò dalla parte di Rani e Fayyad; probabilmente si trattava di Abdel Aziz, i tratti somatici erano identici a quelli del fratello, ma quest’ ultimo era più alto e massiccio. Rani non rise più, e si avvicinò al figlio maggiore, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Basma si fece coraggio e corse subito a calmare Giuseppe, che però era invece ancora furente e adesso urlava qualcosa contro di lei. Senza preamboli Rani e i suoi figli si avvicinarono a Giuseppe e lo sollevarono in aria con la forza, portandolo dentro, ordinando a Basma di seguirli.
Percorsero uno stretto corridoio del piano terra, Rani e Abdel Aziz tenevano fermo Giuseppe dalle braccia, mentre Fayyad, che era il più esile, si occupava di Basma. Alla fine del corridoio c’era una piccola porta che Abdel Aziz aprì con la chiave. Entrarono e scaraventarono Giuseppe sul pavimento, Fayyad invece spinse dentro Basma, facendola cadere accanto a Giuseppe.
“Wisikh nadel*, mi hai fatto fare una pessima figura davanti ai clienti, non te ne vergogni nemmeno?”
Sussurrò Rani a Giuseppe, mollandogli un pugno in piena faccia, facendogli uscire del sangue dal naso. Abdel Aziz lo sollevò da terra e lo prese da dietro, tenendolo fermo proprio di fronte al padre.
“Adesso mi date tutto quello che avete e poi sparite, chiaro?”
Intimò a Giuseppe, standogli a pochi centimetri dal viso.
“E vi conviene collaborare, perché altrimenti in Egitto non ci arriverete mai.”
Aggiunse brandendo un coltello e indirizzandolo verso il collo del ragazzo.
“NOOO!”
Urlò Basma alzandosi, cercando di avvicinarsi a Giuseppe, ma Fayyad la fermò, trattenendola per una spalla, e la fece cadere sui glutei.
“Cos’hai da urlare, sharmoota*? Non puoi rivolgerti a un uomo.”
Disse Rani, schiaffeggiandola, mentre il figlio minore la bloccava. Basma versò qualche lacrima, portandosi la mano alla guancia, ma non si zittì.
“Lui non ha niente, sono io che posso pagarvi.”
Urlò, gettando per terra uno dei bracciali della madre. Poi un altro, e un altro ancora.
I tre uomini guardarono cadere i gioielli dalla manica della ragazza.
“Che uomo sei, che lasci tenere gli oggetti di valore a una donna?”
Gli sussurrò Abdel Aziz con tono divertito, ficcandogli una ginocchiata nella zona lombare, che fece urlare Giuseppe di dolore. Fayyad alzò la manica di Basma e le strappò violentemente tutti i bracciali. Il rumore di perline si diffuse per tutta la stanza.
“Hai solo quelli?”
Chiese a bassa voce Rani, lei annuì.
“Peccato che io non ti creda.”
E, senza pensarci due volte, le tirò via il burqa dalla testa, scoprendo i suoi orecchini e le sue collane.
Basma abbassò istintivamente il viso, nascondendosi dietro i suoi folti capelli neri. Rani le scansò i capelli dal viso e la guardò direttamente negli occhi , prima di sputarle addosso.
“Hai avuto il coraggio di mentirmi.”
Dichiarò a denti stretti, e poi la schiaffeggiò doppiamente, sulla guancia destra col palmo della mano, e sulla sinistra con il dorso, ferendola con l’anello che portava al dito.
“Perquisiamo anche lui?”
Chiese Abdel Aziz, tirando i lunghi capelli di Giuseppe indietro, per costringerlo a guardare il padre in faccia.
“Non ce n’è bisogno, tutti i beni li teneva la moglie, lui è solo un senza palle.”
Risero di nuovo tutti e tre, poi Abdel Aziz diede un calcio nel sedere a Giuseppe e lo lasciò cadere in avanti, costringendolo a pararsi con le mani per evitare di spiaccicarsi il viso sul pavimento freddo e sporco di quel lugubre stanzino. Rani gli mise un piede in testa e lo spinse verso il basso, per umiliarlo maggiormente.
“Cosa vuoi fare ora? Uccidermi?”
Chiese Giuseppe, col viso rivolto verso il pavimento, costretto a reggersi su quattro zampe, come fosse un animale.
“Voglio che te ne vada.”
Tolse il piede dalla sua testa e Giuseppe si rialzò lentamente.
“La ragazza però resta con noi.”
Sussurrò Fayyad annusando intensamente il collo di Basma. Gli occhi della ragazza si spalancarono e le sue pupille si rimpiccolirono. Provava terrore.
Giuseppe si avvicinò a Fayyad con la mano destra tesa in avanti. Basma inorridì: cosa stava facendo? Lei gli aveva salvato la vita e lui la stava abbandonando al primo ostacolo? Lei aveva urlato e lottato contro un uomo più anziano per salvargli la pelle e lui non aveva esitato neanche mezza volta? Non provava nulla per lei, quell’uomo? Riconoscenza almeno? Nel giro di pochi secondi Basma vide la sua vita finire, stuprata da tre uomini e poi uccisa. Era questo quello che Allah aveva tenuto in serbo per lei? Era questo il modo in cui sarebbe morta? A soli sedici anni? Chiuse gli occhi e versò una sola lacrima. Sembrava passata una vita, ma in realtà erano passati solo pochi secondi. La mano di Giuseppe sfiorò quella di Fayyad.
“Questo non è possibile.”
Disse dandogli una ginocchiata nei genitali. Le braccia che la bloccavano si erano appena aperte e lei era libera. Giuseppe aveva dato una gomitata ad Abdel Aziz dritta nell’occhio, e le afferrò la mano. Si dirigeva verso Rani col pugno teso in aria. Uno, due, tre pugni, un calcio negli stinchi e poi una gomitata che lo spinse al muro, tirò Basma a sé e la condusse per il corridoio, seguiti da Abdel Aziz, che si copriva l’occhio con la mano. Giuseppe si fece superare da Basma, per evitare che venisse colpita dall’uomo. Basma corse velocemente verso l’uscita, tenendo saldamente la mano di Giuseppe stretta nella sua. Uscirono dal funduq e si recarono verso il cammello.
“Liberalo.”
Le urlò Giuseppe, mentre tornava indietro per continuare la lotta con Abdel Aziz. A Basma tremavano le mani, non era certa di farcela a sciogliere il nodo che teneva il quadrupede legato alla staccionata. Giuseppe nel frattempo faceva a pugni col ragazzo. Alcuni ospiti del funduq uscirono dal portone, inorriditi. Due di questi, dei turisti molto giovani, cercarono di dividere Giuseppe da Abdel Aziz, mentre un altro si avvicinò a Basma e le porse un coltellino svizzero da viaggio.
“Vite, dépêchez-vous*”
Gli occhi di Basma erano lucidi ed esprimevano riconoscenza. Afferrò il coltellino e, cercando di calmarsi, tagliò con un colpo secco la corda che legava l’animale alla staccionata di legno.
Chiamò Giuseppe che adesso era tra le braccia di un estraneo, lontano da Abdel Aziz, anch’egli trattenuto da un ospite, continuava a dimenarsi per sottrarsi alla presa. L’uomo del coltellino si avvicinò a quello che tratteneva Giuseppe e gli fece segno di lasciarlo andare. Giuseppe corse verso la carrozza, e vi montò, i due ragazzi francesi aiutarono Basma a salire prendendola in braccio e spingendola verso l’interno della carrozza. Prima che Giuseppe poté partire, vide sbucare anche Fayyad dal portone, che li indicava urlando loro le peggiori maledizioni con un’espressione malvagia. I due ragazzi si diressero verso quest’ultimo per evitare che si avvicinasse ad un cammello e cominciasse ad inseguirli.
“Grazieeee.”
Urlò Giuseppe in Italiano allungando la mano al cielo in segno di saluto e, senza guardarsi indietro, percorse velocemente la stessa strada dell’andata, ma questa volta in discesa.
Nel giro di pochi minuti si ritrovarono nuovamente fuori dalla città, dove avevano trascorso solo poche ore.
Basma aprì la mappa.
“La strada per Duba è lunga, il cammello è troppo stanco, come possiamo fare?”
Chiese disperata, dimenticando di avere il volto scoperto. Giuseppe la guardò per la prima volta: Aveva dei lisci capelli dal color castano scuro che le incorniciavano il viso, lunghi fin sotto le spalle, all’altezza del seno. Erano gonfi e disordinati, e rendevano ancora più luminosi i suoi grandi occhi gialli. Le sue ciglia erano lunghe e scure e rendevano il suo sguardo inspiegabilmente sensuale. Il naso di Basma era retto, spruzzato di poche lentiggini. Le sue labbra superiori erano fini e ben definite, mentre il labbro inferiore era gonfio. Le guance erano rosse e gonfie a causa degli schiaffi di Rani, ma questo non la rendeva meno bella.
Basma si accorse dello sguardo indagatore di Giuseppe e si affrettò ad avvicinare una mano al viso per coprirsi, ma lui glielo impedì. Basma lasciò che la mano di Giuseppe riportasse la sua verso il basso, arrossendo lievemente.
“Sbagliavo. No sei brutta.”
Basma sorrise, mostrando dei piccoli denti bianchi. Mentre sorrideva, i suoi zigomi si alzarono e i suoi occhi si chiusero un poco.
“Hai bellissimo sorriso.”
“Non so se lo sai, ma il mio nome significa appunto sorriso.”
Ammise imbarazzata.
“Tuo nome è perfetto.”
 
*Alhan wa salhan- Benvenuto
*Wisikh nadel- Brutto bastardo
*Sharmoota- Prostituta, puttana.
*Vite, dépêchez-vous- Veloce, si sbrighi (in francese)

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Capitolo 10
*** Nuove difficoltà ***


La città di Duba era ancora molto distante e la notte stava cominciando a calare. Basma e Giuseppe erano stanchi, così come lo era il cammello. Avevano viaggiato circa dieci ore di fila e necessitavano di un po’ di riposo.
“L’unica città più vicina di Duba è Tabuk, ma si trova a 300 km di distanza.”
Gli aveva detto Basma che teneva in mano la mappa, cercando un luogo in cui poter trascorrere la notte.
“Ma cammello non può camminare tanto, lui stanco, io stanco, tutti stanchi.”
Si lamentava Giuseppe. Basma chiuse la mappa e lo guardò in faccia.
“Lo so, anch’io sono stanca e affamata e non ce la faccio più a stare seduta su questa scomoda carrozza, voglio scendere!”
Rimasero in silenzio un paio di minuti, Basma tornò a studiare la mappa.
“Lascia stare.”
Le disse improvvisamente Giuseppe, fermando il cammello e scendendo dalla carrozza. Basma affacciò la testa confusa.
“Che stai facendo?”
“Troppo stanchi, dobbiamo dormire. Prendiamo coperte e dormiamo qui.”
“Fa troppo freddo e poi non sappiamo neanche se siamo al sicuro.”
Protestò la ragazza.
“Basma, prossima città è lontana 300 km, no possiamo continuare.”
Aveva ragione, non avrebbero potuto fare molta strada in quelle condizioni, anche volendolo. Erano quasi le dieci di sera, e non toccavano cibo dall’ora di pranzo.
“Credi che passare una nottata qui ci aiuterà a riprendere le forze? Insomma, riusciresti davvero a dormire sonni tranquilli in questa situazione?”
“No capisco problema.”
“Potremmo essere in pericolo.”
“Perché? Qui deserto…”
Basma si guardò intorno. Le strade erano buie e non c’era anima viva. Si lasciò convincere da Giuseppe e scese dalla carrozza. Giuseppe si era allontanato pochi metri, e Basma lo guardava mentre staccava dei rami da alcuni alberi nei paraggi, con cui poi accese un fuoco poco lontano.
“Dai cibo a cammello.”
Basma obbedì e portò all’animale un po’ di erba che aveva raccolto ad Ha’il e una grande ciotola d’acqua, poi prese dei tozzi di pane duro e due coperte e li avvicinò al falò che aveva costruito Giuseppe. I due ragazzi si sedettero e cominciarono a mangiare in silenzio. Per la prima volta Basma si sentì al sicuro al fianco di quel ragazzo; il gesto che aveva compiuto in quel funduq di Tayma le aveva fatto capire di poter fidarsi di lui.
“Perché mi guardi?”
Le chiese improvvisamente Giuseppe, sorridendo.
Basma dimenticò di avere il volto scoperto, e si portò istintivamente le mani al viso, senza un vero motivo.
“Nulla, stavo pensando.”
Tagliò corto.
“A cosa?”
“Beh, al fatto che dovrei sicuramente tagliarti i capelli.”
Sorrise a sua volta, ma Giuseppe non aveva capito. Mimò il gesto delle forbici con le dita e poi le avvicinò ai suoi capelli, e a quel punto anche il ragazzo sorrise, annuendo con la testa. Basma finì il suo pane e corse a prendere un paio di forbici in uno dei borsoni che si portava dietro, si mise alle spalle del ragazzo e cominciò a tagliargli i capelli: erano crespi e unti, ma Basma non ci fece caso. Le lunghe ciocche dal colore quasi biondo cadevano ai piedi del ragazzo, che intanto fissava il cammello.
“Voglio dare nome.”
Disse all’improvviso, Anche Basma adesso lo guardava.
“E che tipo di nome ti piacerebbe dargli?”
“Non so. E’ brutto, e puzza.”
Basma rise.
“Non mi sembra il caso di offenderlo in questo modo, dopotutto è anche grazie a lui che siamo arrivati fin qui.”
“E’ anche molto forte.”
“Già hai ragione. Potremmo chiamarlo Qoowa*, che ne pensi?”
“Sì, mi piace.”
Non appena finì il taglio, Basma si rese conto di essere negata come parrucchiera. Aveva lasciato alcune ciocche più lunghe e altre più corte, che davano a Giuseppe un’aria stupida.
“Io credevo che fosse facile tagliare i capelli tutta della stessa lunghezza…”
Si giustificò a Giuseppe, che non reagì nel modo in cui Basma si era aspettata, urlando e offendendosi, ma aveva riso e fatto qualche battuta a proposito.
“Se indosso Kufiya, nessuno vede capelli.”
Aveva concluso infine, cercando di far sentire Basma a suo agio, senza colpevolizzarla troppo, dopotutto lei aveva soltanto voluto essere gentile.
Quel clima di pace e confidenza che si stava creando tra i due era davvero piacevole. Stavano finalmente iniziando a fare amicizia e fu questo pensiero che spinse Basma a fare a Giuseppe quella domanda che le vagava in testa dal giorno in cui l’aveva conosciuto.
“Come mai ti trovavi in Iraq?”
Il volto di Giuseppe s’irrigidì e le sue labbra si strinsero. Basma si pentì subito di aver lasciato sfuggire quelle parole, evidentemente era ancora troppo presto per poter toccare quell’argomento.
“Mi dispiace, non volevo farti rievocare brutti ricordi e… E non sei costretto a parlarne se non vuoi, perdona la mia impertinenza, è solo che sono solo curiosa di conoscere la tua storia e…”
“Capisco che vuoi sapere di me, ma no voglio parlare.”
Basma si morse le labbra, avrebbe voluto poter rimangiarsi quella domanda, ma ormai era tardi.
Giuseppe si sdraiò per terra e si coprì fin sopra le orecchie, borbottando qualcosa, e si voltò su un lato, dandole le spalle.
Basma, che era rimasta seduta davanti al falò a guardare il gioco di luci che emetteva il fuoco, era divorata dai sensi di colpa, sembrava che fosse finalmente riuscita a conquistare l’amicizia del ragazzo, ma aveva rovinato tutto nel giro di pochi minuti.
Si sdraiò anche lei, coprendosi fino al collo, senza però chiudere gli occhi, guardando la schiena del soldato. Ricordò quando l’aveva trovato, solo pochi giorni prima, col corpo martoriato e ricoperto di ferite dappertutto. Pensandoci bene, in Iraq doveva aver subito delle atroci torture, e il suo atteggiamento freddo e distaccato era del tutto comprensibile, specie dopo gli avvenimenti delle ultime ore.
Prima di chiudere gli occhi, recitò le sue preghiere della notte; pregò  per lei e per Giuseppe, affinché riuscissero a trovare un punto d’incontro su cui fondare le basi di un’ipotetica futura amicizia, e pregò Allah di mantenerli sempre in salute e di aiutarli nella loro missione. Pregò per sua madre e suo padre, per i suoi fratelli e le sue sorelle e anche per il beduino e, infine, si addormentò.
 
Fu risvegliata dal calore del sole sulla sua pelle parecchie ore dopo.
Quando aprì gli occhi si accorse che il fuoco della sera prima si era spento e si ritrovò la coperta alle ginocchia. Si mise a sedere, grattandosi gli occhi. Giuseppe stava ancora dormendo e il Qoowa non si era mosso  di un centimetro.
Sebbene fosse mattina, la strada era ancora inabitata. Sbadigliò profondamente , si avvicinò a Giuseppe, e lo chiamò; il ragazzo si alzò di scatto, farneticando qualche cosa in Italiano, prima di metterla a fuoco. Sorrise.
“Sabah el kheir*”
Le disse, alzandosi in piedi e ripiegando la coperta.
“Che ore sono?”
Basma scosse la testa.
“Non so con certezza, ma dalla posizione del sole sembrerebbero le dieci circa.”
Giuseppe annuì, avvicinandosi alla carrozza per dare delle pacche affettuose alle gobbe di Qoowa.
“Continuiamo strada, va bene?”
“Sì certo…”
“Quante ore?”
“Di viaggio? Circa sette, credo… Dovremmo arrivare intorno all’ora di cena.”
Giuseppe fece cenno di aver capito con la testa e saltò sulla carrozza, poi le tese una mano.
“Tante ore di viaggio…”
“Già, sono piuttosto stancanti, ma c’è di peggio. Siamo senza soldi.”
Quelle parole lasciarono Giuseppe di sasso. Non ci aveva pensato.
“Come possiamo arrivare a Egitto?”
“Non lo so ancora, ma è da ieri sera che ci penso…”
Il viso del ragazzo si rabbuiò; era stato uno sciocco a poter pensare di tornare in Italia nel giro di pochi giorni. Lui non aveva alcun bene di valore, era stata Basma a provvedere a tutto il necessario per la partenza, e adesso che anche lei era senza lo straccio di un quattrino la situazione si faceva critica.
“So che il tuo unico desiderio è quello di tornare in Italia dalla tua famiglia, ed io avrei fatto di tutto per aiutarti, ma adesso non ho più nulla se non un  tappeto e pochi smalti per unghie, e non valgono tutti i soldi di cui abbiamo bisogno.”
Giuseppe annuì. Comprendeva la situazione, e non era affatto arrabbiato con Basma, ma si era già abituato all’idea di raggiungere presto Alessandria, in modo da poter sbarcare in Italia in poco tempo, e questa notizia era stata come una doccia fredda. Sembrava tutto di nuovo lontano e irraggiungibile adesso, a causa di quei tre farabutti di Tayma.
 “Non ti preoccupare.”
Disse semplicemente a Basma, nascondendo tutto il suo risentimento dietro un falso sorriso.
Non sapeva ancora come poter arrivare in Egitto, ma decise che ci avrebbe pensato una volta giunto a Duba.
 
 
*Qoowa- Forza (muscolare)
*Sabah el kheir- Buongiorno

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Capitolo 11
*** L'arrivo a Duba ***


La strada per Duba sembrava essere interminabile. Giuseppe e Basma avevano discusso molto su come poter aggirare il loro problema, e ogni passo di Qoowa li avvicinava sempre di più al dilemma e non ad una soluzione. Molte erano state le proposte, una più inconcludente dell’altra.
“Sai Giuseppe, ci penso da un bel po’ e credo che la soluzione sia ovvia…”
Aveva detto Basma, incuriosendolo.
“Dovremmo procurarci i soldi nella maniera più tradizionale.”
Giuseppe aggrottò le sopracciglia.
“No, non intendevo quello! Intendevo dire che dovresti trovarti un lavoro.”
Forse, se gli avesse chiesto di prostituirsi, avrebbe ottenuto una reazione migliore.
“No voglio più vedere uomini arabi.”
Aveva sbraitando, scuotendo le braccia per rafforzare il concetto.
“Tutti arabi che ho conosciuto mi hanno dato problemi, no voglio più vedere arabi.”
Basma incrociò le braccia e sollevò le sopracciglia in un’espressione di superiorità, attendendo delle scuse.
“No dico te, hai capito… Sono stanco di gente violenta e imbrogliona.”
“Ma non sono tutti così, ti prego di non generalizzare. Io ne sono una prova.”
“Tutta gente che ho incontrato era uguale.”
“Allora diciamo che sei stato sfortunato. Il mio paese non è un covo di “violenti imbroglioni”, solo Rani ed i suoi figli lo erano. Purtroppo hai visto solo il lato negativo del mio paese e del mio popolo, ma, se fossi meno prevenuto, avresti l’opportunità di vedere un mondo eccezionale che ha davvero molto da offrire.”
Il tono di Basma era quasi supplichevole, ma Giuseppe sembrava non ascoltarla, e si ostinava a mantenere un atteggiamento scettico e indifferente.
“Troveremo soldi.”
Aveva tagliato corto, ma Basma non si dava per vinta.
“Oh, e come? Hai intenzione di piantare un seme magico che sboccerà diventando un raro esemplare di albero dei soldi? O magari un giorno pioveranno banconote, chissà, forse l’unica cosa che serve è un atteggiamento positivo e una buona dose di cinismo.”
Giuseppe sembrava irritato dall’amaro sarcasmo che Basma gli propinava , come se volesse aggiungere la beffa al danno. Perché non si impegnava a trovare una soluzione, invece di prenderlo in giro? Forse non aveva capito bene la situazione in cui lui si trovava, dopotutto l’intento di Basma era quello di allontanarsi il più possibile dalla sua famiglia, mentre Giuseppe aveva bisogno di riavvicinarsi quanto prima al suo paese e alla sua famiglia. Portò la testa indietro, cercando di ignorare gli acidi commenti della ragazza che ancora parlava senza sosta.
“No hai sete?”
Le chiese improvvisamente, zittendola.
“Come?”
“Parli e parli e parli di continuo. No hai sete?”
Il viso di Basma arrossì di rabbia, ma la ragazza cercò di mantenere la calma.
“Quindi il tuo era un modo indiretto per chiedermi di tapparmi la bocca, giusto?”
Si sarebbe aspettata qualsiasi risposta, una battuta per sdrammatizzare, magari accompagnata da un sorriso, una negazione, o anche delle scuse fondate in aria per cercare di discolparsi, ma certamente non si aspettava un secco “Sì” seguito da un sospiro di sollievo.
Basma era imbufalita, respirava con le narici e non batteva le palpebre. Guardò Giuseppe fisso negli occhi e poi gli rispose con tono stridulo e acuto.
“Benissimo, starò zitta, come preferisci, e allora sai che ti dico? Abituati a questo silenzio perché non ti rivolgerò più la parola, neanche nei momenti di bisogno, perché avrai tantissimo bisogno di me e lo sai, ma bene, puoi dimenticartelo, da questo momento mi cucio la bocca!”
“Bene.”
Concluse Giuseppe, facendola voltare di scatto verso di lui, senza però aprire bocca. Almeno adesso si era ammutolita! Il ragazzo continuava a guidare il cammello rivolgendole, di tanto in tanto, uno sguardo di sbieco. Sebbene fosse preoccupato, non poteva fare a meno di sorridere davanti al broncio della ragazza che se ne stava con le braccia conserte rivolta verso il lato opposto della carrozza. Cercò di soffocare le sue risate, concentrandosi di nuovo sulle sue difficoltà. L’idea di trovarsi un lavoro era sicuramente la soluzione più semplice e logica, ma era assolutamente impossibile da realizzare, Giuseppe aveva avuto modo di conoscere abbastanza quel mondo per sapere come fossero trattati gli stranieri: venivano subito presi di mira e poi assaliti, sfruttati e maltrattati. Non aveva intenzione di avere a che fare con nessun altro di loro, voleva solo tornare a casa e, in un modo o nell’altro, ce l’avrebbe fatta, lo sapeva.
Magari avrebbero potuto continuare a vivere come nomadi, riposando di notte per strada per poi ripartire alle prime luci dell’alba, era certo che da qualche parte avrebbero trovato un fiume o qualcosa di simile per potersi sciacquare e il cibo cresceva praticamente sugli alberi… Avrebbero potuto vivere in maniera primitiva, non c’era nulla di male.
Era finalmente sicuro di una cosa, era convinto di poter sopravvivere per altre settimane conducendo quello stile di vita, ma dovette ricredersi quando il suo stomaco brontolò per l’ennesima volta e si rese conto di non aver niente con cui potersi saziare. Sospirò impazientemente, erano a poche ore di distanza da Duba e non aveva avuto ancora nessuna illuminazione.
 
Le ultime miglia furono forse le più interminabili, Basma e Giuseppe non si rivolgevano la parola da ore e il sole era alto nelle ore più calde della giornata. Basma aveva trovato un altro burqa in una sua borsa e se lo era avvolto immediatamente in testa. Giuseppe era infastidito, non riusciva davvero a comprendere il significato di quel capo di vestiario; Basma gli aveva detto che lo indossava per motivi religiosi, ma davvero non capiva che era un’invenzione sessista da parte degli uomini? In questi ultimi giorni si era reso conto che probabilmente sarebbe stato più facile comunicare con Qoowa, piuttosto che con quella ragazza. Non ne voleva proprio sentire di aprire la sua mente e si rifiutava di ammettere di essere in torto. Era carina, sì, ma anche tanto ottusa e impossibile.
Basma era rimasta nella stessa posizione per tutto il tempo del tragitto, seduta lontana da Giuseppe, e con la testa rivolta nel lato opposto. Quel ragazzo era insopportabile, era sempre sicuro al cento per cento di avere ragione, anche quando non conosceva minimamente l’argomento in questione, voleva tenere tutto sotto controllo e credeva di sapere più di quanto effettivamente sapesse, perché, Basma lo aveva ormai capito, non sapeva proprio nulla. Era ignorante come una capra, cocciuto come un asino e, come se non bastasse, era persino fiero di esserlo, e questa era probabilmente la cosa peggiore. Se inizialmente aveva creduto di poter cambiare quell’uomo, di renderlo più tollerante, adesso era sicura di non poter riuscirci; aveva cercato tante volte di spiegargli la sua cultura e le tradizioni del suo paese, ma lui si era sempre rifiutato di ascoltarla e aveva invece continuato ad idolatrare la sua amata Italia. Che poi cosa c’era di così speciale in Italia? Avrebbe tanto voluto recarcisi, giusto per farsi un’idea del paradiso secondo Giuseppe.
Già in lontananza si potevano scorgere le prime case. Giuseppe sospirò per l’ennesima volta, aspettandosi il peggio, incrociando le dita. Per un attimo fu tentato di fermarsi lì, a pochi kilometri dalla città, accampandosi per terra come un vagabondo, ma sapeva che Basma non glielo avrebbe permesso e, volente o nolente, aveva ancora bisogno di lei. La guardò di sbieco, sperando che dicesse qualcosa, ma lei non lo fece. Anche Basma si aspettava una parola da parte di Giuseppe, ma tutto tacque.
Nel silenzio della loro rabbia, Qoowa si avvicinava sempre di più alla meta.
 
Duba era decorata da alte case in muro bianco, con balconi e terrazzi scoperti da cui pendevano lenzuola e vestiti e anche qui la gente si radunava nelle strade, chiacchierando allegramente o facendo una partita a carte. Un lungo brivido attraversò la schiena di Giuseppe.
Sembrava che nessuno facesse caso a loro, né gli uomini, né le donne, né i bambini che giocavano liberamente per le strade, urlando e correndo.
Basma si guardava attorno, cercando sguardi sprezzanti o male occhiatacce, ma non successe nulla.
“Cerchiamo un funduq?”
Chiese improvvisamente Giuseppe, ma Basma lo ignorò. C’erano insegne affisse dappertutto, ma lui non sapeva leggere la lingua araba.
“Mi rispondi?”
Insistette, e Basma si voltò a guardarlo in tutta calma.
“Parli con me? Credevo odiassi sentirmi parlare…”
Il soldato si portò le mani alle tempie e respirò profondamente.
“Scusa Basma, ma abbiamo bisogno di funduq, dove possiamo trovare?”
“Vi serve un luogo per dormire?”
Gli urlò una voce in lontananza, facendoli girare di scatto. Un vecchio uomo sorridente che sedeva su un muretto scese al volo e li raggiunse con passo svelto. Giuseppe stava per riafferrare le redini di Qoowa, ma Basma lo fermò, scuotendo la testa.
“Salve viaggiatori, mi chiamo Nabil, voi come vi chiamate?”
“Youssef e Basma.”
Si affrettò a dire il ragazzo, con l’aria di chi non ha tempo da perdere.
“Cerco funduq, arrivederci.”
“No no, aspettate, ho una proposta da farvi, aspettate.”
Gli urlò, mantenendo il sorriso.
“I funduq sono piuttosto cari e credo che dei viaggiatori come voi dispongano di pochi soldi, per cui vi propongo di alloggiare nella mia seconda dimora disabitata, è piccola, ma molto confortevole e adatta ad una giovane coppia, e si trova a pochi metri da casa mia…”
“No abbiamo soldi.”
Replicò Giuseppe, affrettandosi a ripartire.
“Aspettate, aspettate, lasciatemi finire, per Allah! La parte migliore viene appunto adesso, io ve la do gratis, ad una sola condizione: tu, Youssef, dovrai aiutarmi a svolgere il mio lavoro, d’accordo?”
Propose felice il vecchio Nabil, mostrando i denti gialli e rovinati. Giuseppe guardò Basma che restò impassibile (maledetto velo che le oscurava il viso!).
“D’accordo, capisco che posso esservi sembrato un po’ tocco, ma permettetemi di spiegarvi meglio la situazione, magari davanti un bicchiere, cosa ne dite? Volete pensarci? Perfetto, vi lascio il mio indirizzo su questo foglio di carta… Datemi il tempo di scrivere, ecco. Se siete interessati fate un salto prima di cena, o anche dopo cena, io e mia moglie vi aspetteremo fino alle dieci, ma non più tardi, perché poi andiamo a dormire, promettetemi solo di pensarci, che ne dite?”
Quell’uomo era forse il più strano che avessero incontrato finora, era meglio allontanarlo quanto prima.
“Ci penso.”
Rispose Giuseppe, congedandolo, e Nabil si allontanò continuando a mostrare il suo sorriso, urlando un “ci conto”.
“Quello è uomo strano.”
“Già, concordo. Bene, a che ora ci andiamo?”
Gli aveva chiesto Basma, sorprendendolo.
“Noi non andiamo!”
Confermò Giuseppe esterrefatto. Cosa le passava in testa? Entrare in casa di un perfetto estraneo dopo l’esperienza che avevano vissuto solo poche ore prima?
“Perché? Non hai sentito? Ci offre una casa, perché mai dovremmo rifiutare?”
Giuseppe era basito.
“Non lo conosce, non ci fidiamo.”
“E’ proprio per questo che andiamo a casa sua, per conoscerlo meglio e sentire qual è la sua proposta.”
“No! Io no vado. Lui forse è assassino o imbroglione o…”
“O cosa Giuseppe? Siamo rimasti senza un solo centesimo, cos’altro potrebbero portarci via?”
Rimase in silenzio a ponderare su quella domanda.
“Non capisci? Siamo senza soldi, senza un riparo e all’improvviso arriva quest’uomo che ci propone di alloggiare in casa sua… E’ un miracolo, fa tutto parte di un disegno divino, del disegno divino che Allah ha costruito per me… Per noi. Non possiamo rifiutare, le occasioni come queste vanno colte.”
Lo sguardo di Giuseppe era dubbioso, il ragazzo non si era certamente persuaso.
“Io no credo che dobbiamo andare, tu non sai chi è quello uomo.”
Ecco, faceva di nuovo il testardo, cosa gli costava dare una possibilità a quell’uomo? Solo perché erano stati ingannati una volta, non era detto che sarebbe ricapitato. Magari quel Nabil era davvero un benefattore, ma come dimostrarlo se non gliene si dava l’opportunità?
Basma aveva ormai conosciuto Giuseppe abbastanza da sapere che non l’avrebbe convinto con un discorso sensato, ci avrebbe sicuramente trovato una falla; decise di farsi più furba di lui.
 “Va bene, facciamo un patto.”
Disse infine con voce calma e pacata, attirando la sua attenzione verso di sé.
“Non andremo a casa di Nabil…”
Proseguì lentamente, vedendo Giuseppe tirare un sospiro di sollievo.
“Ma solo se troverai tu stesso un luogo in cui poter riposare stanotte!”

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Capitolo 12
*** L'offerta di lavoro ***


“Vuoi smetterla di agitarti?”
Basma rimproverava Giuseppe, mentre si dirigevano in casa di Nabil.
“No mi piace tua idea.”
“Beh, non siamo nella condizione di poter fare gli schizzinosi.”
Tagliò corto Basma, senza rispondere allo sguardo interrogativo di Giuseppe.
La casa di Nabil si trovava in cima ad un’alta collina, da cui si poteva godere della vista della parte più bassa della città. Il sole stava ormai tramontando, i suoi raggi si erano affievoliti e l’aria si era fatta più fresca e respirabile anche a causa della posizione sopraelevata in cui si trovavano.
Qoowa si stava stancando, i suoi passi erano più lenti e pesanti.
“Molto lontano?”
Chiese Giuseppe a Basma, che intanto si guardava intorno, facendo cenno di no con la testa.
“Questo posto è bellissimo.”
Affermò con aria sognante, ottenendo come risposta uno scettico “mmm” da parte del ragazzo, che guardava nella sua stessa direzione, cercando di capire perché mai Basma lo avesse definito “bellissimo”.
“La casa in cui vivevo con la mia famiglia era situata in una zona pianeggiante, in cui il sole batteva pesantemente tutto il giorno e l’aria era sempre calda e afosa; non sono mai stata in montagna, e questa collina è la cima più alta che io abbia mai raggiunto. Non avevo mai provato la sensazione di stare in alto, di guardare le cose da questa prospettiva.”
Aveva confessato sottovoce, senza pensarci nemmeno, dimenticandosi per un attimo la precedente lite col ragazzo, che adesso la stava guardando.
Giuseppe si rese conto di non sapere nulla di Basma, non conosceva neanche la sua età. Si vergognò parecchio, soprattutto perché non si era mai posto nessuna domanda sul suo conto. Basma si preoccupava spesso di fargli domande personali, a cui spesso non voleva rispondere, ma lui invece non le aveva mai chiesto nulla, se non il motivo per cui fosse scappata da casa.
“Basma.”
La chiamò, costringendola a tornare alla realtà e a voltarsi per guardarlo.
“Quanti anni hai?”
Le chiese timidamente.
Lei lo guardò con un’espressione interrogativa.
“Sedici. Perché me lo chiedi?”
“Perché no sapevo. Io ho…”
E con le mani indicò il numero venti, alzando due dita con la mano destra e chiudendo la mano sinistra in un pugno. Basma emise un suono sommesso.
“Ridi?”
Le chiese, cercando il suo sorriso dietro il burqa.
“Sì, scusa. Allora hai vent’anni.”
Lo informò, guardandolo annuire.
“No capisco sedici…”
Le confessò infine. Basma prese una matita e poi scrisse il numero sul retro della mappa.
“Non devi vergognarti se non conosci i numeri o se non capisci qualche parola, è perfettamente normale. E’ ammirevole che tu capisca ciò che dico, o anche solo il fatto di riuscire a parlare una lingua così diversa dalla tua. Sei molto intelligente sotto quest’aspetto.”
Giuseppe sorrise. Il bello di Basma era che, quando si arrabbiava, le passava quasi subito, e tornava a essere una persona gentile e disponibile.
“Guarda, la casa dovrebbe essere quella lì, quella gialla con la porta in legno.”
Giuseppe la guardò con aria dubbiosa.
“E’ specificato sul foglio…”
Si affrettò a spiegargli.
 
Bussarono alla porta e attesero. Giuseppe aveva portato in tasca con sé il coltellino che il ragazzo francese aveva dato a Basma quando si trovavano ancora a Tayma, nascondendolo dagli occhi della ragazza, che si sarebbe sicuramente opposta, se l’avesse visto.
Ad aprire la porta fu proprio Nabil, che li accolse con un largo sorriso.
“Siete arrivati, bene, molto bene… Afrah metti su il the, i nostri ospiti sono arrivati. Accomodatevi, prego.”
Basma attese che fosse Giuseppe ad entrare per primo, poi lo seguì in scia.
“Venite, lasciate che vi presenti mia moglie Afrah.”
La moglie di Nabil era una donna bassa, sulla sessantina, che portava un Hidjab.
“Benvenuti in casa nostra.”
Disse aprendo le braccia, lasciando Basma colpita. Nessuna donna usava rivolgere la parola a un uomo estraneo, specialmente se in compagnia del marito, ma Afrah lo aveva appena fatto, e Nabil sembrava non averlo neanche notato.
“Basma, da’ una mano ad Afrah con il the, per favore, mentre gli uomini si occuperanno di affari. Vieni Youssef, sediamoci al tavolo che ti spiegherò tutto.”
Mentre Nabil lo conduceva nella sala da pranzo, Giuseppe si accarezzò la tasca del dishdasha in cui nascondeva l’arma, pronto a tirarla fuori in caso di necessità.
Nabil lo accompagnò ad un grande tavolo rotondo e attese che prese posto, prima di sedersi egli stesso.
“Bene Youssef, com’è stato il viaggio?”
Ma Giuseppe non rispose.
“Forse non capisci bene la mia lingua, da dove vieni?”
Gli chiese più lentamente, scandendo bene le parole e alzando la voce.
“Tayma.”
Si limitò a rispondere.
“E’ un viaggio molto lungo e stancante, specie se trasportati su una carrozza, sotto il sole cocente, immagino, immagino… Ma non era quello che intendevo dire, volevo sapere di quale paese sei originario. E’ certo che tu non sia arabo, si vede!”
Gli disse, continuando a esibire il suo affidabile sorriso.
“Italia.”
“Italia... Non ci sono mai stato, ma alcuni mi hanno detto che è molto simile all’Arabia Saudita, confermi?”
Lo sguardo di Giuseppe si fece perplesso.
“No. Paesi molto diversi.”
“Capisco. E da quanto tempo sei sposato con Basma?”
Quella domanda era stata come una doccia fredda, non sapeva davvero cosa rispondere. Alzò tre dita con la mano destra.
“Tre anni? E come mai non avete ancora nessun figlio?”
“Mesi.”
Si affrettò a specificare, sperando che fosse la risposta giusta.
“Quindi siete dei novelli sposini, complimenti. E dove siete diretti?”
“Egitto. Iniziare nuova vita in Egitto.”
“Ah sì capisco, per essere a metà strada tra il tuo paese e quello di Basma, davvero un’ottima idea.”
Nabil rise e Giuseppe annuì sorridendo, cercando di imitarlo.
“E quindi suppongo che non avete un luogo in cui passare la notte…”
“Sì. No abbiamo.”
“I funduq in questa zona sono molto cari, e una o due notti non vi basteranno per riposare, non credi? Insomma, dormite un paio d’ore e l’indomani siete nuovamente in viaggio, è una vita stressante e poco agiata, specialmente per una coppia di sposini.”
Giuseppe continuava ad annuire, ma stavolta era serio, così come lo era Nabil, che continuava a parlare senza sosta.
“Immagino preferiate restare in un luogo più simile a una casa, ricca di ogni comodità immaginabile.”
“Sì, ma casa costa più di funduq.”
“Hai ragione, ma io non vi chiederò denaro, non un solo centesimo. Ciò che ti chiedo è di aiutarmi a svolgere il mio lavoro.”
Proprio in quel momento Afrah e Basma entrarono nella stanza, con in mano un vassoio contenente una brocca di the bollente, quattro tazze e un contenitore di zucchero, che poi venne disposto sul tavolo.
“Io sono un agricoltore, come ti dicevo oggi pomeriggio, possiedo un ampio campo in cui produco ortaggi, e me ne occupo da anni. Il problema è che adesso, con l’età avanzata che mi ritrovo, non riesco più a lavorare come facevo da ragazzo, e ho bisogno di aiuto.”
“Purtroppo non abbiamo mai avuto figli che potessero aiutare mio marito nel suo lavoro.”
Aggiunse Afrah con un’espressione triste.
“Fortunatamente un nostro nipote si è offerto di aiutarci, ma non possiamo pagarlo molto. Purtroppo non disponiamo di molto denaro, vendiamo tutto al dettaglio, dunque non possiamo neanche permetterci di offrire lavoro ai giovani del quartiere. L’unico bene che possediamo è una piccola casa poco distante da qui, che offriamo ai viaggiatori come voi in cambio di lavoro.”
Aveva continuato a spiegare la donna, rivolgendosi direttamente a Giuseppe.
“Il lavoro che svolgiamo io e mio nipote non basta, il campo è molto ampio.”
Disse Nabil, scuotendo lievemente il capo, fissando il pavimento.
“Capita spesso le piante secchino o maturino troppo e in quel caso non possiamo offrirli ai nostri acquirenti. Se ci fossero due braccia in più, riusciremmo a cogliere più verdure e il lavoro sarebbe molto più leggero per me e mio nipote Issam.”
“La sera torna sempre stanco e affaticato, non gli fa bene alla salute.”
Affermò preoccupata Afrah, toccando il braccio del marito, fissando Giuseppe con occhi supplichevoli.
Il ragazzo era spiazzato, non sapeva cosa rispondere. Si voltò a guardare Basma, che rimase in silenzio.
“Possiamo mostrarvi la casa se volete, vi assicuriamo che è in ottime condizioni, vado a controllarla e pulirla due volte la settimana.”
Continuò Afrah, rivolgendosi a Basma questa volta. La ragazza si voltò verso Giuseppe e cercò un segno, un gesto che le facesse capire quali fossero le sue intenzioni, ma il ragazzo non fece nulla e si limitò a guardarla in silenzio.
“E inoltre vi offriremo anche un po’ del nostro raccolto.”
Incalzò Nabil, sperando in ogni modo di ottenere un consenso.
“Ma noi vogliamo soldi. Dobbiamo arrivare a Egitto.”
Rispose infine Giuseppe, abbassando la testa, ignorando gli sguardi delusi e amareggiati dei padroni di casa. Nabil mormorò qualcosa sottovoce.
“Non possiamo offrirvi denaro…”
“Ma ci offrono un luogo in cui vivere e anche un po’ del raccolto, al momento siamo al verde, più verde di una foglia di banano e non possiamo permetterci né di pagare un funduq, né tantomeno di comprare un po’ di spesa.”
Parlò improvvisamente Basma, guardando Giuseppe intensamente, sperando che lui riuscisse a vedere il suo sguardo, anche se nascosto. Un barlume di speranza luccicò negli occhi degli anziani, che si presero per mano sotto il tavolo.
“Youssef, accetta per il momento, troveremo un modo per fare soldi.”
Giuseppe rimase in silenzio e guardò in faccia Nabil e Afrah. Sembravano davvero delle persone per bene e sincere, e la loro offerta era decisamente allettante, ma lui non voleva restare in quella città, doveva trovare il modo di guadagnare soldi per poi recarsi in Egitto, doveva tornare in Italia, a casa sua.
“Fidati di me.”
Sospirò infine Basma.
Come poteva non fidarsi di lei? Aveva impedito ad un assassino di ucciderlo, lo aveva accudito, si era offerta di accompagnarlo sino in Egitto, gli aveva comprato degli abiti nuovi, e aveva rinunciato a tutti i suoi averi per salvargli la vita solo poche ore prima; adesso era il suo turno di sdebitarsi e di mostrarle un po’ di riconoscenza. Voleva che Basma sapesse che, sebbene spesso litigassero, lui si fidava ciecamente di lei.
“Va bene. Io accetto.”
Gli occhi di Nabil e Afrah si riempirono di gioia, ed entrambi gli sorrisero riconoscenti.
Nabil si alzò in piedi e corse ad abbracciare il suo nuovo aiutante, riempiendolo di parole di gratitudine.
“Non immagini quanto mi abbia reso felice, fatti abbracciare, su! Vi accompagneremo nella nuova casa stasera stesso, ma solo dopo avervi offerto la cena…”
 

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Capitolo 13
*** Casa dolce casa ***


Alle otto in punto, la grande tavola rotonda era stata addobbata a festa e offriva grandi quantità di cibo di diverso tipo che Afrah aveva cucinato con l’aiuto di Basma.
Sul centro del tavolo era stato disposto un grande piatto contenente della carne, del riso condito, vari tipi di formaggio bianco e alcuni cibi fritti che Giuseppe non riconobbe, sei porzioni di datteri e tanto pane.
Dopo aver preso posto, ognuno di loro si lavò accuratamente le mani attingendo all’acqua servita in una brocca, con tanto di asciugamano e saponetta.
Dopo che ognuno di essi si lavò accuratamente le mani, i tre arabi pronunciarono “Bismi Allah*” come preghiera, per sacralizzare il loro cibo.
Nabil si rivolse a Giuseppe e gli offrì di assaggiare una delle pietanze presenti nel grande piatto, il ragazzo sorrise, pronto a prendere un pezzo di carne, ma Basma, dall’altro capo del tavolo, gli fece cenno di no con il dito, per cui Giuseppe si trovò costretto, suo malgrado, a rifiutare la generosa offerta di Nabil per ben due volte, esortato dai cenni del capo di Basma, che riusciva a intravedere con la coda dell’occhio. Stranamente Nabil non diede peso alla cosa, e questa volta si rivolse a Basma, che fece la stessa cosa.
“Beh, il piatto è colmo di cibo, e non se ne andrà certamente via, sta a voi decidere se accettare o rifiutare. Quello che si abitua a mangiare con te, ha fame ogni volta che ti vede.”*
Giuseppe rimase colpito da quelle parole. Perché mai li avevano invitati a cena, se poi non si preoccupavano nemmeno di insistere almeno un poco per convincerli a prendere parte alla cena?
Nabil e Afrah avevano cominciato, senza il minimo imbarazzo, a mangiare da quell’unico piatto, sorprendendo l’ospite Italiano, che si aspettava invece che ognuno di loro si servisse la propria porzione su un piattino a parte, così come avveniva nel suo paese. Un’altra cosa che lo colpì, fu che nessuno di loro utilizzava delle posate, ma usavano raccogliere il cibo con il pane. Adesso capì come mai gli arabi dessero tanta importanza all’igiene delle mani.
Pochi bocconi dopo, Giuseppe vide Basma prendere un pezzo di pane e servirsi, senza provocare nessuna reazione negativa nei padroni di casa, che continuarono a mangiare indisturbati. Anche Giuseppe decise di servirsi, nello stesso modo dei suoi nuovi amici, cominciando dal riso, così come aveva visto fare agli altri.
“Ci scusiamo per la scarsa quantità di cibo, ma purtroppo non eravamo certi del vostro arrivo, per cui non abbiamo voluto esagerare.”
Li informò Nabil, indicando il grande piatto.
“Piatto molto grande. C’è cibo anche per altre persone.”
Lo rassicurò Giuseppe, suscitando una generale risata.
“Youssef, te l’ho spiegato diverse volte, i padroni di casa offrono una maggiore quantità di cibo, per non farsi trovare impreparati nel caso in cui dovesse presentarsi una persona in più. Abbiate pazienza, da quando siamo sposati abbiamo dovuto imparare le diverse tradizioni dei nostri paesi, e sono talmente tante che a volte le confondiamo o dimentichiamo.”
Affermò Basma, sperando di sembrare abbastanza convincente e, con un gesto discreto, fece capire al suo finto marito che avrebbe dovuto assaggiare tutte le pietanze che i padroni di casa avevano gentilmente servito.
“E’ perfettamente normale, non avete motivo di scusarvi.”
Li rassicurò Afrah sorridente, servendosi una dose di carne.
Nabil e Afrah erano delle persone eccezionali, completamente diverse da quelle che Basma aveva conosciuto nella sua vecchia città. Non avrebbe immaginato che i modi di fare di persone dello stesso paese potessero differire in base alla zona in cui essi vivevano.
Pensò per un attimo ai suoi genitori. Basma aveva sempre saputo che suo padre fosse un uomo rigido ed esigente, che impediva alla moglie di proferire parola in presenza di qualsiasi uomo, a meno che non facesse parte della famiglia, che incoraggiava l’uso del burqa come velo, anziché un semplice hidjab o un più discreto niqab, e che si rifiutasse di rivolgersi ad uno straniero, ed era cresciuta con la convinzione che ogni altro uomo si comportasse esattamente come lui.
Si sentì vicinissima a Giuseppe, perché in quell’occasione si sentiva una straniera tanto quanto lui. Aveva sempre detto al ragazzo che non tutti gli arabi fossero uguali, eppure aveva dato per scontato il fatto che Nabil fosse simile a suo padre. Le ci volle poco tempo per constatare che i due uomini avessero davvero poco in comune. Si sentì un’ipocrita, ed un senso di vergogna le percosse tutto il corpo come uno spiacevole brivido. Cercò di scacciare via quei pensieri negativi, concentrandosi invece sulla piacevole serata che stava trascorrendo.
Nabil e Afrah erano una coppia affiatata e unita, e Basma era certa che avrebbe potuto imparare molto da due persone come loro. Si chiese cosa stesse pensando Giuseppe, mentre sorrideva ad una battuta di Nabil. Magari si sarebbe finalmente ricreduto sul popolo arabo, dopo aver conosciuto due persone tanto gentili e disponibili. Sorrise, augurandoselo.
 
Dopo cena, rimasero tutti e quattro seduti a chiacchierare un altro po’, fin quando Nabil non si offrì di accompagnarli nella loro futura casa.
I due ospiti ringraziarono Afrah per la squisita cena e la salutarono calorosamente. Lei non li avrebbe accompagnati, doveva occuparsi di riordinare casa.
Nabil saltò a bordo della carrozza, guidata da Giuseppe, e gli indicò la strada.
“Non è affatto lontano, si potrebbe raggiungere anche a piedi.”
E in effetti la casa era a pochi metri di distanza, così vicina che si poteva scorgere l’abitazione dell’uomo.
L’esterno della casa era in muro bianco, la porta e le finestre erano in legno scuro.
Nabil aprì la porta d’ingresso e gli mostrò l’ambiente.
La prima stanza era di medie dimensioni, a forma di elle, e fungeva da cucina-soggiorno. Al centro della stanza era stato collocato un sofà a due posti, proprio di fronte ad una libreria di legno. A sinistra vi era un basso tavolino rotondo, affiancato da due pouf. Più a nord, in un piccolo angolo, era sistemata la cucina, che comprendeva pochi stipetti, un frigorifero e un fornetto a gas. Dietro una porta sulla destra c’era il bagno. Nella parte più destra della casa, proprio di fianco al divano, era situata una scala in muratura che conduceva al piano superiore, dove si trovavano una camera da letto matrimoniale, un secondo servizio e un terrazzino, in cui si trovava un altro tavolo, più grande di quello al piano di sotto, uno stendino per gli abiti e alcune piante aromatiche ben curate.
 “Beh, come vi dicevo, la casa è piuttosto piccola, ma per una giovane coppia come voi credo che...”
Esordì Nabil con aria poco convinta.
“Casa perfetta. Grazie.”
Lo rassicurò Giuseppe, facendogli tornare il solito sorriso spensierato.
“Sono contento che ti piaccia. Se dovessi riscontrare dei problemi, puoi rivolgerti a me in qualsiasi momento. Adesso è meglio che vada, domattina ci aspetta una giornataccia, a proposito, fatti trovare davanti casa mia per le cinque, la strada è un po’ lunga.”
“Va bene. Grazie Nabil.”
“Grazie a te per aver accettato. Allora vi auguro una buonanotte, a domani.”
Disse infine, salutando i giovani sulla soglia della porta, poi si affrettò a tornare a casa.
Basma e Giuseppe rimasero in silenzio, un po’ imbarazzati da quella nuova condizione che li trovava costretti a convivere.
“Ti sei divertito?”
Chiese infine Basma, per rompere il ghiaccio.
“Sì, sì. Molto gentili.”
“Sì hai ragione, sono stati davvero generosi a offrirci la cena; a proposito, è stata di tuo gradimento?”
“Cena buona. Mi piace carne.”
“Era carne di cammello, ed era davvero deliziosa, Afrah l’ha condita con un po’ di…”
“Cammello?”
La interruppe Giuseppe con un’espressione schifata e spaventata allo stesso tempo.
“Cammello come Qoowa?”
“Sì, perché?”
E immediatamente Giuseppe si portò le mani alla bocca. Basma si avvicinò al ragazzo, preoccupata. Era impallidito, aveva gli occhi lucidi e soffocava dei conati di vomito.
“No posso mangiare cammello!”
“Come mai? Sei forse allergico o intollerante? Che succede?”
“No, no… Io… Io no mangio cammello. Disgustoso!”
Basma si allontanò improvvisamente dal ragazzo, portandosi le mani sui fianchi e abbassando il capo.
“Hai appena detto che ti è piaciuto…”
Lo rimbeccò seccamente, con un tono di voce irritato.
“Come potete mangiare cammello?”
Le urlò Giuseppe, stringendosi la gola, fissandola con gli occhi spalancati a mo’ di rimprovero.
“Cosa c’è di male?”
“E’ cammello!”
“E allora? Non capisco qual è il problema, poco fa hai detto che ti è piaciuta.”
“Come potete mangiare cammello?”
Ripeté, alzando la voce.
“In Italia non mangiate la carne di cammello?”
Gli domandò Basma perplessa.
“No! Noi mangiamo… Muuu e poi anche… Oiiink… E Clop, clop iiiih”
“Non ti capisco, e francamente mi stai spaventando.”
Giuseppe cercò di imitare nuovamente i versi di quegli animali, ma Basma sembrò non capire nuovamente.
“Altra carne.”
Disse infine, sperando che adesso capisse di cosa stesse parlando.
“Noi mangiamo tanti tipi di carne, ad esempio quella di montone, di agnello, di mucca, di fagiano e anche di cammello. L’unico tipo di carne che non mangiamo è quella di maiale.”
Giuseppe la fissò scuotendo la testa.
“Non mangiamo carne di maiale. Come faccio a farti capire maiale? Naso ovale, grugniti, grasso…”
E Basma cercò di imitare ognuna delle cose che aveva descritto, unendo gli indici e i pollici di entrambi le mani e portandoseli all’altezza del naso, o allargando le braccia sulla sua figura, cercando di imitare il grasso corporeo e grugnendo. Giuseppe sembrò comprenderla.
“Perché no maiale? E’ buono.”
“Come sarebbe a dire? Tu mangi la carne di maiale e non quella di cammello?”
Lo sgridò Basma, stizzita.
“E hai il coraggio di dire che la carne di cammello è disgustosa?”
“Maiale è ottimo, facciamo tanto cibo con maiale.”
“E’ una cosa terribile, il maiale è un animale sporco, si nutre di qualsiasi cosa sulla terra, si rotola nel fango ed è un facile veicolo di malattie. Inoltre il nostro Qu’ran proibisce il consumo di questa carne, e con ottime ragioni direi…”
Giuseppe non le rispose.
“Sei così infantile, la carne di cammello ti è piaciuta, quindi che te ne importa della sua provenienza?”
Ma il ragazzo rimase nuovamente in silenzio, ostentando un’espressione schifata.
“Dobbiamo dormire. Io stanco e domani lavoro”
Si limitò a dire.
“Hai ragione. Dormi tu sul divano stanotte?”
Chiese Basma con un tono di voce più pacato.
“Perché? Sopra c’è letto grande.”
“Credevi forse che avremmo dormito insieme? E’ impensabile, Giuseppe, noi non siamo davvero sposati, per cui non siamo tenuti a dover dividere il letto.”
Proprio quando Giuseppe credette che la loro lite stava finalmente terminando, ecco che arrivava un nuovo argomento di discussione.
“Dobbiamo solo dormire!”
“Lo so, ma non insieme.”
Quella ragazza era impossibile, avevano finalmente trovato un luogo in cui passare la notte, con un vero e proprio letto, e adesso Basma gli veniva a dire che doveva passare la notte su un piccolo divano a due posti, che non era abbastanza largo da poter accogliere il ragazzo in tutta la sua lunghezza, solo perché non voleva passare la notte in sua compagnia. Che cosa credeva? Che l’avrebbe assalita o violentata nel sonno? Il suo unico desiderio era quello di dormire finalmente su un comodo letto, e se lo meritava.
“Basma, io molto stanco, domani lavoro. Ho bisogno di dormire in letto, capisci?”
Quel ragazzo non aveva il minimo rispetto per lei, per quale razza di persona l’aveva scambiata? Basma era una donna per bene, cresciuta con dei sani principi, i quali includevano che non dovesse passare la notte in compagnia di un uomo che non fosse suo marito. Come al solito, Giuseppe stava mostrando il massimo disprezzo nei confronti dei suoi ideali.
“Va bene, dormirai nel letto.”
Disse infine, calmando finalmente il ragazzo, che la ringraziò.
“Ed io dormirò sul divano.”
Giuseppe sentiva la rabbia pervadergli il corpo, ma si trattenne dall’urlarle tutto ciò che pensava, mantenendo invece la calma e mostrando un fintissimo e forzato sorriso.
“Va bene, come vuoi. Buonanotte.”
E, senza aspettare un’altra parola, si affrettò a salire le scale.
 
 
*Bismi Allah (o Bismillah)- E’ la frase che i musulmani usano prima di cominciare un pasto, o che i macellai pronunciano prima di sgozzare l’animale, e significa letteralmente “nel nome di Dio”.
*Quello che si abitua a mangiare con te, ha fame ogni volta che ti vede- E’ un antico proverbio arabo. E’ tradizione che l’ospite arabo rifiuti almeno due volte il cibo che gli viene offerto, sanno tutti che alla fine accetterà, incoraggiato dalle esortazioni del padrone di casa.
 
Link utili che ho utilizzato:
http://www.arab.it/cucinauno.htm
http://web.tiscali.it/cuscus/cucina_araba.htm
http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20081009040236AAIRAKF

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