Il caso Mackenzie di lithium (/viewuser.php?uid=23960)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di gatti, ritardi e Capitani Auror ***
Capitolo 2: *** Di meeting, gonne corte e tipi tranquilli ***
Capitolo 3: *** Di cenere, traduzioni e difficoltà ***
Capitolo 4: *** Di lingue sconosciute e piccoli passi ***
Capitolo 5: *** Di shepher's pie, cornish e Beta HCG ***
Capitolo 6: *** Di vino elfico, attese e promesse spose ***
Capitolo 7: *** Di romanticismo, reprimende e rapimenti ***
Capitolo 8: *** Di cambiamenti, catene e cattivone ***
Capitolo 9: *** Di filosofie, fratelli e frasi violette nell'aria ***
Capitolo 10: *** Di interpreti, incantesimi ed intuizioni ***
Capitolo 11: *** Di sconforto, scoperte e speranza ***
Capitolo 12: *** Di istinto, intermezzi ed insubordinazione ***
Capitolo 13: *** Di amanti, amici ed Auror ***
Capitolo 14: *** Di calligrafia, chiamate e carta igienica ***
Capitolo 15: *** Di feriti, fraintendimenti e fiamme ***
Capitolo 16: *** Di verità, vendetta e Verdi ***
Capitolo 17: *** Showdown - Prima parte ***
Capitolo 18: *** Showdown - Seconda parte ***
Capitolo 19: *** Di disperazione, dolore e Diodora. ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Di gatti, ritardi e Capitani Auror ***
Piccola premessa dell’autrice: Il nome del mio original character Fergus Finnigan è un omaggio ad una di quelle che reputo essere tra le fanfictions più belle mai scritte, Within these walls di oncelikeshari. Non so quale sia la vostra conoscenza dell’inglese, ma se ne avete l’occasione, leggetela, merita davvero. Quanto a questa storia, non sono solita scrivere storie non originali, non perché reputi le fanfictions meno impegnative, forse il contrario, ma in fondo mi sono detta pubblico su un sito principalmente dedicato a quelle e ne ho lette, limitatamente al mondo di Harry Potter, una quantità, è ora di mettersi alla prova. Spero di non deludervi.
CAPITOLO I
DI GATTI, RITARDI E CAPITANI AUROR
Fergus Finnigan era in ritardo. Il suo primo giorno di lavoro al Ministero della Magia. Il suo primo giorno di lavoro nel Quartier Generale degli Auror all’interno del Ministero della Magia. Il suo primo giorno di lavoro come assistente personale del Capitano Auror Ronald Bilius Weasley, Ordine di Merlino prima classe, nel Quartier Generale degli Auror all’interno del Ministero della Magia.
Ma no, non era affatto nervoso.
No, non lo era.
Fergus Finnigan al momento era totalmente isterico e fuori di sé.
Isterico, fuori di sé e con un'enorme macchia di fango sulla camicia bianca nuova che sua madre, la giunonica Mary Beth Finnigan, strega straordinaria, aveva fatto confezionare appositamente per l’occasione.
E tutto per colpa di un gatto.
Il fatto era che Fergus aveva desiderato far parte degli Auror sin da quanto era un bambino. Aveva atteso quel giorno per gran parte della sua adolescenza, lavorando duramente e studiando al massimo delle sue capacità per entrare nell’Accademia e, quando si era diplomato, era stato l’orgoglio della sua famiglia. Così quando poco più di una settimana prima l’istruttore del suo corso, Capitano Ezechiel Jones, l’aveva convocato per comunicargli che era stato prescelto per diventare l’assistente personale di nientepopodimeno di Ron Weasley al Quartier Generale degli Auror, Fergus si era sentito al tempo stesso onorato e terrorizzato della posizione che gli veniva offerta. Certo era un incarico temporaneo, l’Auror che l’aveva preceduto, era momentaneamente fuori servizio, avendo da poco partorito una coppia di gemelli, ma era una posizione ben più prestigiosa di quella in cui il ragazzo avrebbe osato sperare, essendosi appena diplomato.
Fergus non conosceva personalmente Ron Weasley, anche se suo cugino maggiore Seamus aveva condiviso una stanza nel dormitorio del Grifondoro con gli eroi della Seconda Guerra Magica e aveva partecipato alla Battaglia di Hogwarts, insieme a lui ed Harry Potter. Non che potesse dimenticarlo. Zia Kathleen non faceva che ripeterlo a tutti coloro che volessero ascoltarla. Fergus aveva cinque anni meno di Seamus, ma quando era stato il suo momento di salire sull’Hogwarts Express per passare i successivi sette anni della sua vita imparando le arti magiche, quello che ora era conosciuto semplicemente come Tom Riddle, era già tornato e, come molti altri bambini della sua età, aveva ricevuto i primi anni della sua educazione magica a casa, perché i suoi genitori avevano temuto talmente per la sua incolumità da non mandarlo ad Hogwarts. Fergus ricordava vagamente quel periodo della sua vita, più che altro ricordava le accese discussioni tra sua madre e la zia Kathleen su come sarebbe stato più opportuno difendere i figli.
Così per lui non c’erano stati letti cremisi, né cappelli parlanti fino al terzo anno, ma quando finalmente Fergus si era seduto sullo sgabello per la cerimonia di smistamento, c’erano voluti pochi secondi perché fosse proclamato a voce stentorea un Grifondoro.
Già, Fergus aveva un gran coraggio ed allora perché al momento si sentiva incredibilmente intimorito?
Allungando più possibile il passo il ragazzo s’affrettò verso l’ascensore che l’avrebbe portato al Secondo Livello del Ministero, dove si trovava il Quartier Generale degli Auror.
** * **
Uscendo di gran carriera dall’ascensore, non senza un certo senso di nausea e vertigine - quei cosi andavano veramente ad una velocità preoccupante - Fergus si diresse lungo il corridoio, girando l’angolo ad alta velocità.
Dritto dritto contro un carrello di enormi fascicoli processuali che, apparentemente, senza che nessuno lo controllasse, stava facendo la spola tra i vari cubiculi in cui si trovavano gli uffici degli Auror.
Con grande presenza di spirito, Fergus riuscì a restare in piedi, ma non ad evitare che il carrello impattasse violentemente contro il suo ginocchio, strappandogli un’imprecazione.
Al suono della sua voce da dietro un cubicolo apparve una donna magrissima con degli occhiali da gatta viola e amaranto in precario equilibrio sul naso. La sconosciuta lo guardò con una certa disapprovazione da sopra il bordo di essi.
“Non imprecare!”
Lo pronunciò stancamente, come se fosse abituata a ripeterlo così spesso che la frase fosse diventata ormai un’abitudine, avendo perso gran parte del suo significato originale. Dopo quello che apparve a Fergus uno scrutinio in piena regola dalla punta dei suoi capelli color sabbia alle scarpe da tennis rosse, ancora imbrattate del fango che Fergus aveva cercato inutilmente di togliere con un incantesimo domestico dopo l’incontro con il gatto della vicina e la pozzanghera di fronte casa quella mattina, la donna domandò.
“Tu saresti?”
“Auror Fergus Finnigan, Signora.” Rispose, scattando sull’attenti più per abitudine che per quanto fosse necessario al momento. “Devo prendere servizio come Assistente Personale del Capitano Weasley, Reconnaissence Bureau alle 09.00, Signora.”
La donna increspò le labbra e, per un attimo, Fergus ebbe l’impressione che stesse cercando di non sorridere, poi disse “Capisco. Dodici minuti fa. Che ci fai ancora qui? Vai, vai, vai!”
Seguì il consiglio della donna, sicuramente un Auror, catapultandosi alla massima velocità verso la grande porta di vetro alla fine del corridoio. Gli uffici dei capi dipartimento e del Direttore Generale degli Auror, Gawain Robards, erano gli unici ad essere chiusi e ad essere contraddistinti ciascuno da una porta di vetro con una targhetta con incise a grandi lettere stampatello il nome e la qualifica del suo proprietario.
Prendendo un grosso respiro, Fergus bussò alla porta di Ron Weasley.
“Avanti”
Benché Fergus fosse più che certo di aver sentito qualcuno rispondergli, l’ufficio appariva completamente vuoto e in grande maniacale ordine. Tutto tranne l’enorme scrivania che troneggiava al centro della stanza ed era disseminata di carte, piume, quello che appariva un guantone da Quidditch e un numero esorbitante di cornici. Fergus sospettava che contenessero fotografie della famiglia del capitano Weasley, ma dal punto della stanza ove si trovava era impossibile dirlo.
Continuò a guardarsi in giro, cercando di capire dove potesse essere il suo superiore. Nessuno in vista. Forse le cose non gli erano andate poi così male come pensava, se veramente il Capitano Weasley non era ancora arrivato forse, non si sarebbe accorto del suo terribile ritardo.
Sentendosi rincuorato da quel pensiero, Fergus si sedette sulla sedia per gli ospiti di fronte alla scrivania del Capitano Weasley.
Appena in tempo per rischiare seriamente di aver un infarto alla tenera età di diciannove anni. Nel momento stesso in cui Fergus aveva appoggiato i glutei sulla sedia dal nulla, o meglio, con il senno di poi, da un mantello dell’invisibilità, era spuntato un uomo di non più di venticinque anni, lungo naso pieno di lentiggini, occhi azzurri e capelli di un rosso così intenso che, se anche Fergus non l’avesse visto mille volte sulle pagine di qualche rivista o nei libri di scuola, non avrebbe potuto sbagliarsi, l’uomo in questione era uno Weasley. Per la precisione il Capitano Ronald Bilius Weasley, Ordine di Merlino prima classe, l’uomo per cui avrebbe dovuto lavorare per i prossimi sei mesi. L’uomo che al momento gli puntava alla gola una bacchetta di legno di salice di quattordici pollici.
“Cosa vi insegnano in questi giorni all’accademia, ragazzo? Tu sapevi che qualcuno ti aveva risposto e che fai, anziché premurarti di controllare se vi sia veramente un pericolo, ti siedi qui in attesa, come se fossi ad una scampagnata?” Lo rimproverò l’uomo prima di sollevare la bacchetta. Non che Fergus temesse realmente che il capitano gli facesse del male, ma era umiliante. Si era diplomato con il massimo dei voti, il primo della sua classe e questo era il suo primo giorno di lavoro, avrebbe voluto colpire il Capitano con la sua preparazione, non con la sua incompetenza. Se fosse stato dignitoso per un Auror avrebbe voluto piangere.
Ron si spostò dall’altro lato della scrivania.
“Ehi, su, su, ora non fare quella faccia! Dannazione, Hermione mi ha detto un milione di volte che devo essere meno severo con le reclute. Non dirai a nessuno che ti ho spaventato, vero?” Chiese il Capitano, passando in venti secondi netti da minaccioso e terrorizzante all’uomo più sorridente ed accomodante che Fergus avesse mai visto.
Scosse la testa “Nossignore, Signore.”
“Bravo ragazzo! Ci intenderemo alla grande io e te! Certo non hai le gambe che aveva Annette, ma non si può avere tutto. E poi, ripensandoci, credo che siano state proprio le gambe di Annette a causarle quest’increscioso incidente dei gemelli…” disse Ron, pensieroso.
“Sei arrivato in una mattina piuttosto tranquilla, dovresti solo trascrivere questi appunti e farne otto copie per il pomeriggio, ho un incontro con gli Auror incaricati del caso Mackenzie.” continuò, passandogli un numero impressionante di carte stropicciate e, se Fergus non si sbagliava, in parte sporche di ketchup. “Harry sostiene che non posso pretendere che i ragazzi passino ore a cercare di decifrare la mia calligrafia, il disgraziato, come se lui scrivesse meglio di me…”
“Il Capitano Harry Potter, signore?” Chiese Fergus con aria appropriatamente meravigliata. Sapeva che lavorando nell’Ufficio Auror avrebbe potuto aver a che fare con l’Eroe della Seconda Guerra Magica in persona, ma un conto era saperlo, tutt’altro saper che entro il pomeriggio probabilmente sarebbe stato di fronte al Prescelto in carne e ossa.
Ron sorrise. “Oh, anche tu? Un giorno o l'altro qualcuno dovrà spiegarmela tutta questa ossessione ed adorazione per il piccoletto con gli occhiali. Mia sorella prima di tutti.”
“Ora vai, Auror Finnigan…. Senti, ragazzo, ti dispiace se quando siamo soli ti chiamo Fergus? Tutte le volte che pronunciò Finnigan ed Auror nella stessa frase, penso ai cioccocalderoni al rum di Seamus e mi viene fame... Oltre che da ridere. Niente di personale, ovviamente.”
“Ma certo, signore” Rispose lui, estasiato che il superiore conoscesse il suo nome.
“Molto bene.” Fergus si avviò verso la porta, tutto felice che l’incontro con il capitano Weasley fosse andato meglio ,dopo il momento di imbarazzo iniziale.
“Ah, Fergus, aspetta un momento. Immagino che ti debba rimproverare sulla puntualità…”
“Sissignore, signore. Mi scuso. Il mio ritardo di stamani era imperdonabile, ma vede Mabelle, il gatto della mia vicina…”
Il Capitano Weasley alzò la destra e Fergus arrestò all’istante la sua scusa.
“Sì, immagino ci sia un motivo plausibile, non temere. Ma vedi la puntualità è fondamentale nella vita di un uomo…”
“Sissignore, signore. Un Auror non può mai essere in ritardo, ne va della vita dei suoi compagni…”
“Io stavo pensando qualcosa del tipo che se arrivi tardi ad un buffet di nozze, non trovi più nulla da mangiare … Ma in effetti anche il tuo esempio mi pare calzante.” Concluse il Capitano Weasley sorridendo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Di meeting, gonne corte e tipi tranquilli ***
CAPITOLO II
DI MEETING, GONNE CORTE E TIPI TRANQUILLI
Essendo l’assistente personale del Capitano Weasley, Fergus non aveva un proprio cubicolo come gli altri Auror: la sua scrivania si trovava in una stanza limitrofa a quella di Ron e di altri due capi dipartimento. Il locale era piuttosto grande, ma su tre pareti si aprivano le porte che conducevano direttamente agli uffici dei capi dipartimento e sulla terza vi era una finestra dalla quale al momento splendeva un pallido sole. Gli addetti alla Manutenzione Magica dovevano essere tendenzialmente soddisfatti.
Accanto alla scrivania di Fergus, disposte a ferro di cavallo, si trovavano altre due scrivanie identiche, l’una riservata all’Auror Rednails, assistente personale del Capitano Proudfoot, capo dell’Ufficio di applicazione ed esecuzione della Pena, l’altra all’Auror Goldielocks, assistente personale del Capitano Potter, dell’Ufficio per l’organizzazione e l’esecuzione delle missioni di cattura dei Maghi oscuri. Al momento entrambi erano in riunione con il loro superiore e le loro scrivanie, in perfetto ordine, vuote.
Fergus aveva avuto l’opportunità di verderli quella mattina: Rednails era un uomo di colore di almeno vent’anni più vecchio di Fergus con enormi spalle e un fisico sin troppo corpulento per essere un Auror. Thabatha Goldielocks, invece, era una ragazza dal fisico minuto ed un folto caschetto viola acceso, Fergus la conosceva di vista perché erano stati compagni di scuola ad Hogwarts, prima, e all’Accademia, poi. Aveva soltanto un anno più di Fergus e si era dimostrata subito entusiasta di rivederlo ed, anzi, l’aveva aiutato a rimuovere la terribile macchia di fango causata dall’incontro con la gatta di quella mattina.
** * **
Su una cosa Harry Potter aveva sicuramente ragione, la calligrafia del capitano Weasley era veramente incomprensibile a tratti. Già varie volte quel pomeriggio Fergus era dovuto ricorrere ad un incantesimo di vocalizzazione per ascoltare il suono della parola appuntata da Ron per cercare di decifrarla, essendo del tutto confuso da ciò che vedeva. Non aveva avuto invece nessuna difficoltà ad appurare che la sostanza appiccicosa sugli appunti fosse proprio ketchup, come aveva sospettato. Evidentemente il capitano Weasley non aveva voluto interrompersi nella frenetica raccolta di indizi sul caso Mackenzie nemmeno per concedersi una pausa pranzo.
Grazie al cielo Fergus aveva quasi completato il suo lavoro. Il meeting sarebbe iniziato tra pochi minuti.
Non vedeva l’ora che l’incontro iniziasse, forse quella sarebbe stata l’occasione per conoscere finalmente Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico.
Con un ultimo svolazzo di piuma Fergus terminò di trascrivere gli appunti del Capitano Weasley: al di là delle zampe di gallina, il suo superiore aveva raccolto una serie impressionante di preziosissime informazioni sul luogo in cui Diodora Mackenzie ed i suoi fedelissimi avrebbero potuto nascondersi.
La storia di Diodora Mackenzie aveva raggiunto l’opinione pubblica. La Gazzetta del Profeta aveva avuto un ruolo fondamentale in ciò e gli Auror avevano fatto una pessima figura, essendosi fatti ingannare dalla giovane donna. Chi avrebbe potuto sapere che un essere in apparenza tanto innocuo potesse nascondere un tale genio criminale?
Diodora era stata trovata dagli Auror nelle rovine in fiamme della residenza della sua famiglia, unica superstite di quella che sembrava essere una tragica fatalità. Dopo alcuni accertamenti era tuttavia apparso chiaro che la tesi dell’incidente presentava numerose incongruenze che, invece, avrebbero potuto essere superate ipotizzando che l’esplosione ed il successivo rogo fossero stati provocati volontariamente: in particolare ci si chiedeva per quale motivo il signor e la signora Mackenzie fossero morti carbonizzati all’interno della biblioteca della loro residenza, quando, accortisi dell’esplosione nell’ala ovest e del successivo incendio che aveva avvolto tutta la casa, avrebbero ben potuto smaterializzarsi fuori dall’edificio, aspettando l’arrivo dei soccorsi. Se ciò non bastasse anche l’elfo domestico della famiglia era stato trovato morto, come se qualcuno gli avesse proibito di mettersi in salvo. Per di più, la probabilità che un calderone di pozione lasciato a macerare esplodesse accidentalmente erano estremamente basse e, in ogni caso, avrebbe richiesto la preparazione di un filtro che, per ragioni di sicurezza, poteva essere realizzato solo da maghi o streghe appositamente autorizzati dal Ministero. Quale sarebbe stata la ragione che avrebbe potuto portare i genitori di Diodora a violare tali norme?
Quando tutte queste considerazioni erano state avanzate dagli Auror, tuttavia, Diodora Mackenzie si era già dileguata nel nulla, con tutto l’ingente patrimonio residuato alla famiglia.
Da quanto aveva letto negli appunti del Capitano Weasley, figlia di due speziali che rifornivano l’ufficio degli Spezzaincantesimi del Ministero, Diodora era stata educata a casa. Il motivo di tale scelta non era conosciuto dalle persone ascoltate dagli Auror, ma alcuni avevano riferito che sin da bambina, la donna aveva intervallato momenti di assoluta tenerezza e docilità ad altri di aggressività e crudeltà. Tutti concordavano sul fatto che fosse un tipo estremamente solitario e silenzioso, ma capace, quando desiderava e voleva, di un grande carisma. Non guastava che crescendo la donna fosse divenuta di rara bellezza, rimanendo tuttavia uno scricciolo.
Non era esattamente chiaro quali fossero state le vicende che avevano portato la giovane donna ad entrare in conflitto con i suoi genitori fino a decidere di eliminarli, ma alcuni informatori di Nocturne Alley avevano riferito di aver visto Diodora recarsi più volte nella zona, entrando nei diversi negozi di Arti Oscure, conversando con questo o con quel negoziante, alla ricerca di informazioni.
Secondo le congetture del capitano Weasley, Diodora era alla ricerca di un noto fuggitivo ex Mangiamorte, uno dei più ricercati dagli Auror, Cyril Selwyn. Il capitano Weasley aveva appuntato di conoscere personalmente questo mago oscuro.
Era una delle note che aveva messo Fergus maggiormente in difficoltà: una laconica indicazione di una data e della parola Xeno. Qualunque cosa significasse il suo superiore probabilmente desiderava che quella nota fosse comprensibile solo a chi sapeva cosa fosse accaduto quel giorno.
Sempre secondo gli appunti che Fergus aveva copiato quel pomeriggio, Selwyn era stato avvistato circa un anno prima da una famiglia magica in vacanza a Bhryer, la più piccola tra le isole Scilly abitate, al largo della Cornovaglia. Cosa facesse il Mangiamorte qui, non era chiaro, ma era probabile che anche Diodora avesse avuto la medesima informazione ricevuta dagli Auror e, dopo aver portato a termine il suo progetto criminale, l’avesse raggiunto.
Rilette le cinque pagine di fitte note sul caso Mackenzie che aveva faticosamente copiato dall’innumerevole mole di fogli e foglietti che Ron gli aveva consegnato, Fergus puntò la propria bacchetta sul documento, ripetendo l’incantesimo Gemino fino ad ottenere le otto copie richieste. Si trattava di una bacchetta di legno di betulla di dieci pollici e tre quarti con un cuore di crine d’unicorno. Fergus ricordava ancora il giorno che lui e sua madre l’avevano acquistata a Diagon Alley, la meraviglia di avere una bacchetta tutta sua, la gioia al pensiero che con quella avrebbe potuto imparare una quantità di incantesimi: non ultimi quelli per restituire pan per focaccia a suo cugino Seamus ed ai suoi scherzi.
** * **
Fergus bussò alla porta del Capitano Weasley. Il meeting sarebbe iniziato tra meno di dieci minuti, era il momento di consegnare le copie degli appunti ed attendere nuove istruzioni.
“Avanti” rispose dall’interno la voce di Ron.
Il giovane Auror attraversò la soglia per trovare il Capitano Weasley in una fitta conversazione. Non c’era nessun altro nella stanza, ma Ron stava urlando in quello che pareva essere un manufatto babbano. Fergus ne aveva visto uno simile a casa di Jimmy Schell, uno dei ragazzini babbani che abitavano nel suo quartiere e con cui giocava di tanto in tanto. Se non ricordava male consentiva di parlare con persone che si trovavano in altri luoghi, un po’ come un camino.
Ron gli fece segno di attendere e stare in silenzio.
“Sì, certo Signor Granger, Hermione ed io siamo entusiasti della vostra offerta … No, certo che capiamo che è un’opportunità imperdibile … Il fatto è che … Sì, Hermione mi ha spiegato che ci saranno tutti i vostri parenti … Io? Dice che sto urlando sig. Granger? No, no, quali urla … Certo … Sì, ma vede in quei giorni io e sua figlia siamo stati invitati in Costa Azzurra dalla famiglia di mia cognata e … No, assolutamente no, signor Granger, come può pensare che ritenga la famiglia di Hermione meno importante della mia … Sì … Ho capito … Naturalmente. Buon pomeriggio anche a lei” Ron appoggiò non troppo delicatamente la cornetta sul ricevitore, facendo un grosso sospiro.
“E’ cocciuto quasi quanto sua figlia” mormorò a nessuno in particolare, poi “Oh Fergus, molto bene vedo che hai gli appunti.” Disse tendendo la mano verso il ragazzo.
Esaminò per un attimo una copia degli scritti che Fergus gli aveva consegnato, poi osservò “Molto bene. Bel lavoro. Ora andiamo, la riunione sta per cominciare.”
“Vengo anch’io signore?” Fergus aveva sperato di poter partecipare alla riunione, ma non era affatto sicuro. In fondo era l’ultimo arrivato.
Ron sorrise. “Naturalmente. Ora che hai letto tutto quello che c’era su quei fogli, tanto vale che tu partecipi alla riunione. In ogni caso se dovessi farne parola con un estraneo ti riempiresti di bolle…”
“Bolle, Signore?”
“Oh … Vuoi dire che non t’avevo detto che quella sostanza rossa sui fogli era uno speciale unguento che rivela i delatori?! In effetti può essere scambiata per una semplicissima salsa per hamburger, ha persino lo stesso sapore.” disse l’altro, grattandosi il mento. “Mi sarà scappato di mente. Non per vantarmi, ma è un’idea della mia Hermione. Una strega brillante, mia moglie.” concluse il Capitano Weasley con evidente orgoglio negli occhi.
Alla faccia del ketchup.
** * **
Quando entrarono nella stanza allestita per la riunione, erano arrivati già quasi tutti: due Auror sedevano ad un tavolo rotondo, parlando sottovoce tra loro, mentre quello che appariva essere il Capitano Harry Potter in persona, era girato di spalle in una fitta conversazione, con un uomo dai capelli dello stesso colore del capitano Weasley ed occhiali di corno a mezzaluna. Appollaiata su un angolo del tavolo, intenta a consultare un grosso registro, Fergus riconobbe l’Auror con gli occhiali arancio e viola che aveva visto quella mattina.
La porta della sala si richiuse rumorosamente alle loro spalle e tutti i presenti scattarono sull’attenti. Nella stanza era appena entrato Gawain Robards.
“Riposo, Signori. Vedo che ci siamo tutti. Possiamo cominciare.” Disse l’Auror prendendo posto al grande tavolo.
Durante la riunione Fergus apprese pochi particolari sul caso rispetto a quelli che di cui era già venuto a conoscenza, trascrivendo gli appunti di Ron: era chiaro che il capitano Weasley ed i suoi diretti collaboratori avevano fatto il grosso del lavoro per raccogliere le informazioni sul caso Mackenzie. In compenso il giovane Auror ebbe l’opportunità di fare la conoscenza, oltre che di Harry Potter, degli altri intervenuti all’incontro.
Certo incontrare il Salvatore del Mondo Magico era un’emozione non indifferente, specie se si considerava che erano anni che Fergus voleva vederlo dal vivo: il Capitano Weasley aveva ragione, da vicino il Prescelto non era niente di particolare fisicamente solo un giovane uomo, piuttosto esile, nonostante i muscoli che il suo lavoro gli avevano procurato, con gli occhiali e i capelli nerissimi ed indomabili.
Fergus aveva così appreso che la donna che aveva incontrato quella mattina era l’Auror Audrey Wallace, aveva trent’anni e collaborava con il Capitano Weasley da quando questi era giunto al Dipartimento degli Auror, dopo la Seconda Guerra Magica.
Gli altri due Auror presenti erano stretti collaboratori di Ron: Seymour e Smith, entrambi biondi con visi anomini e occhi chiari, erano coloro che si occupavano di raccogliere le informazioni sul campo proprio per la loro capacità di nascondersi e infiltrarsi tra gli altri, senza dare nell’occhio.
L’uomo con gli occhiali di corno lavorava quale procuratore nell’Ufficio per l’applicazione della Legge sulla Magia ed era uno dei fratelli del Capitano Weasley, Percy. Per quanto aveva potuto vedere Fergus, era un uomo taciturno e serio.
Il meeting si era concluso con la decisione di organizzare una ricognizione nell’isola di Bhryer per verificare se nella zona ci fossero effettivamente movimenti sospetti o, comunque, tracce di Diodora Mackenzie e del Mangiamorte Selwyn. I particolari dell’operazione sarebbero stati affidati al dipartimento del Capitano Weasley. Solo quando la presenza dei due fosse stata eventualmente confermata, il caso sarebbe passato al Capitano Potter per l’organizzazione di una missione di cattura. Percy Weasley ed il suo team si sarebbero occupati del processo dei due, ove si fosse riusciti ad individuarli.
** * **
“Bene Fergus, se vuoi puoi andare! Io per quanto mi riguarda non vedo l’ora di arrivare a casa. Questa sera c’è un incontro dei Cannoni di Chudley.” Annunciò Ron, apparendo alla porta che separava il suo ufficio da quello del ragazzo un paio d’ore dopo.
“Grazie, Signore.” Disse il giovane Auror, cominciando a riordinare il proprio tavolo.
Non appena il Capitano chiuse la porta, Thabatha, che fino a quel momento era stata intenta a catalogare minuziosamente una serie di fotografie relative al covo di una banda di falsari di recente arrestati, alzò gli occhi dal suo lavoro ed arrossendo in maniera deliziosa, chiese “Fergus … Senti … Ti andrebbe di venire a bere qualcosa con me questa sera? Una sorta di benvenuto per la tua assunzione qui, niente di impegnativo, solo un paio di burrobirre tra amici?”
Preso letteralmente alla sprovvista Fergus blaterò la verità “In realtà avevo in programma di andare anch’io a casa ad ascoltare l’incontro di Quidditch, sai i Cannoni giocano con i Ballycastle Bats … Ho sempre tifato per loro sin da bambino …”
“Sì, sì mi ricordo.” Mormorò piano Thabatha. “Non importa. Sul serio. E’ ora che vada.” Rispose la ragazza, afferrando velocemente il mantello, chiudendo in tutta fretta il faldone delle foto ed affrettandosi verso la porta. “Buona serata” disse, uscendo senza alzare gli occhi dal pavimento.
Fergus la fissò stupito. Quando Rednails chiuse rumorosamente un grosso tomo sull’esecuzione penale ad Azkaban, il giovane Auror sussultò.
Gli occhi scuri del collega lo fissarono un momento.
“Che c’è?”
“Se lo devi chiedere a me.” Disse l’altro scuotendo la testa.
** * **
“Ron, sono a casa” Hermione Granger-Weasley attraversò velocemente il salotto, diretta verso la cucina da cui proveniva un meraviglioso profumo di cibo speziato e la telecronaca dell’incontro di Quidditch tra i Cannoni di Chudley e i Ballycastle Bats.
Suo marito se ne stava di fronte ad una grossa pentola di costolette di agnello arrosto con aglio e rosmarino con l’aria afflitta. Appena la vide gli si fece incontro, sollevandola di peso dal pavimento per stamparle un grosso bacio sulle labbra.
“Chi vince?” chiese la donna quando ebbe riguadagnato le piastrelle.
“Loro.” mormorò il rosso
“Oh…”
“Hermione non fingere che il Quidditch t’interessi, non ti si addice.” Commentò Ron, cominciando ad impiattare le costolette
“Il quidditch no, ma mi spiace quando sei abbattuto perché i Cannoni perdono…”
“Non preoccuparti basterà un po’ di questo ben di Dio per sollevarmi il morale.. Un po’ di pure di zucca?”
“Sì, grazie.” Mormorò la mora, tentando senza grandi risultati di districare la matita con la quale qualche ora prima aveva cercato di fissarsi i capelli. “Io odio questi capelli…” bofonchiò.
“Sbagli, sono adorabili… Ora lavati le mani e vieni a sederti con me, è pronto.” Disse lui, servendo in tavola e abbassando un po’ il volume della radio
La donna seguì le istruzioni del marito. “Allora come è andato il primo giorno con il nuovo assistente?” Chiese .
“Bene, sembra un bravo ragazzo ed è riuscito ad interpretare i miei scarabocchi.” Rispose il marito, senza prendersi il disturbo di masticare il cibo che aveva in bocca.
“Ron, per l’amor del cielo!” Esclamò Hermione con poca convinzione. Non c’era grande speranza che a ventiquattro anni, Ron imparasse finalmente che era opportuno non parlare a bocca piena.
“Che cosa c’è?” mugugnò lui, mandando giù un grosso boccone di agnello.
La donna scosse la testa. “Lascia stare. Sono contenta che tu abbia un nuovo assistente…”
“Lo so. Annette non ti è mai andata a genio.”
“Non è affatto vero.” Protestò Hermione. In realtà Ron aveva almeno parzialmente ragione Annette era un ottimo Auror, l’unico problema era che era una donna estremamente attraente e anche se suo marito non se ne rendeva pienamente conto, un sacco di streghe avrebbero dato qualsiasi cosa per andare a letto con Ron Weasley, rappresentante del Trio Magico.
“Su, su ammetti che eri gelosa Hermione, sai che mi fa piacere…” Un sorriso impertinente si stampò sul volto dell’Auror.
“Nemmeno per sogno …” disse lei “Semplicemente non vedevo il motivo per cui dovesse venire in ufficio con quelle gonne così striminzite … Vorrei proprio vedere la tua faccia se io mi presentassi al lavoro vestita in quel modo …” Concluse lei nello stesso momento in cui Ron protestava “Non erano poi tanto corte …”
“E questo che c'entra, ora?” chiese il rosso, lievemente allarmato dalla prospettiva che sua moglie andasse in giro mostrando troppo le cosce solo per dimostrare la sua teoria. Hermione sarebbe stata capace di farlo solo per dimostrare di aver ragione.
“Nulla, nulla.” Risposte lei, cambiando argomento, era meglio non infierire, dato che i Cannoni stavano perdendo. “Allora avevo ragione? C’è del tenero tra Percy e quell’Auror che lavora con te?”
Ron assaggiò un altro pezzo di agnello, masticandolo prima di rispondere. Quando voleva era in grado di osservare la buona educazione a tavola. “E chi può dirlo… In fondo stiamo parlando di Percy, la creatura magica meno sessuale che conosca…”
Hermione considerò attentamente una forchettata di purè di zucca prima di rispondere “Sarà … Ma sai che ti dico, ho come l’impressione che in camera da letto Percy sia molto più estroso di quanto uno si aspetterebbe … Sono sempre i tipi tranquilli a riservare sorprese…”
Intento a sorseggiare un bicchiere d’acqua, l’Auror Weasley rischiò di chiudere prematuramente la sua carriera, soffocando alle parole della moglie.
N.d.A. Vi lascio il secondo capitolo di questo racconto che spero vi piaccia. Sarò contentissima di conoscere le vostre opinioni. Un saluto L.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Di cenere, traduzioni e difficoltà ***
CAPITOLO III
DI CENERE, TRADUZIONI E DIFFICOLTA’
Diodora Mackenzie strinse la cintura della piccola vestaglia di seta intorno alla vita. La ricca stoffa color mosto in profondo contrasto con la sua pelle candida come la neve.
Gli uomini erano veramente delle creature semplici. Cyril Selwyn non faceva eccezione. Era un peccato che anche un uomo con tanto potenziale, dovesse avere simili debolezze. Era stata un’ottima idea prendere contatti con il Mangiamorte, ma ora che aveva avuto le informazioni di cui aveva bisogno non c’era alcun motivo perché il loro percorso comune dovesse continuare.
Osservando con un certo pacato distacco l’angolo formato dalla spalla nuda dell’uomo con il suo collo, la giovane donna afferrò la sua bacchetta. La sequenza successiva fu perfettamente sconvolgente nella sua muta fredda spietatezza. Un movimento secco del braccio. Un minuscolo raggio di luce verde. Il corpo del Mangiamorte sussultò appena sul letto. Era quasi intollerabilmente incomprensibile come la differenza tra la vita e la morte potesse racchiudersi in un piccola scintilla di luce colorata.
Sorridendo appena alla banalità della vita, Diodora si passò le dita tra i capelli. Odiava essere spettinata o anche solo in disordine.
Era ora d’andarsene. Il percorso da fare era ancora lungo.
Mosse a spirale la bacchetta. Una fiamma violetta si sviluppò in un angolo della stanza.
La donna la guardò un momento affascinata. Era una fiamma fredda, lo sapeva bene, eppure ben presto la camera e il suo contenuto sarebbero stati ridotti in cenere. Uno spettacolo che non mancava mai di affascinarla sin da quando era bambina: la forza della sua magia adeguatamente indirizzata era enorme.
Le persone in genere valutavano il potenziale offensivo del proprio avversario in base a quanto appariva minaccioso, l’aspetto di un individuo condizionava la risposta dell’interlocutore: stolti.
Avrebbe dimostrato al modo che Diodora Mackenzie era molto più pericolosa del più temibile degli avversari.
** * **
Quella mattina il Quartier Generale degli Auror era in pieno fermento: i fatti erano semplici, un grosso incendio magico aveva devastato una piccola casetta di pescatori sull’isola di Bryher.
Il Capitano Potter aveva immediatamente inviato una squadra di Auror sul posto, tra le rovine dell’immobile era stato trovato un corpo carbonizzato. Gli Auror sospettavano che l’accaduto avesse a che vedere con la segnalata presenza di Diodora Mackenzie e Cyril Selwyn nell’area.
Nelle prossime ore il cadavere sarebbe stato esaminato per tentare di determinarne l’identità.
Audrey Wallace entrò nell’ufficio di Fergus, aveva l’aria di chi ha passato la notte al lavoro. La sua uniforme normalmente immacolata e perfettamente stirata, era piena di piegoline, i capelli mossi color rame della donna frettolosamente legati in una coda di cavallo, gli occhi dietro le lenti di quella montatura così appariscente visibilmente stanchi.
“Oh, sei già qui, molto bene.” Disse rivolta a Fergus.
Il giovane auror annuì, spiegando “Il capitano Weasley ha chiesto a tutti di mettersi a disposizione dell’ufficio in attesa di conoscere gli sviluppi del rogo di Bryher.”
“Sì, ne sono a conoscenza. Ho bisogno del tuo aiuto, mi hanno detto che conosci il gaelico.”
Fergus annuì nuovamente “Sono irlandese, naturalmente conosco il gaelico.”
“Dovresti aiutarmi a tradurre questo” pronunciando quelle parole, Audrey estrasse da una cartellina quella che pareva essere un fotocopia di un frammento di una pagina di un libro di magia. “E’ stata trovata sul luogo del rogo, potrebbe essere importante. Percy … Voglio dire il Procuratore Weasley … ha detto che si tratta di gaelico, puoi confermarmelo?”
Fergus fissò per un momento il documento che Audrey gli aveva porto. C’era qualcosa di familiare in quel linguaggio, ma sicuramente non era gaelico.
“Audrey questo non è gaelico, quantomeno non quello irlandese, potrebbe essere un linguaggio più antico. Io non saprei dirti esattamente cosa sia, alcune parole ricordano un poco il gaelico è vero, ma… Per esempio questa parola” Fergus indicò la parola “breow” non è sicuramente una parola irlandese non l’ho mai sentita nominare. Mi dispiace Audrey, questo non è gaelico, non so tradurlo.”
“Oh…” l’espressione di Audrey era moderatamente delusa. “Temevo non fosse tanto semplice. Il problema è che gli incantesimi di traduzione non vanno bene in questi casi, non fanno altro che tradurre la parola isolatamente e spesso il significato dell’intera frase rimane incomprensibile, in un caso come questo non possiamo certamente rischiare. Non mi resta che continuare a studiare questo documento. Sono solo molto stanca…”
“Dovresti riposarti un poco.” Osservò Fergus.
“Sì, è quello che mi ha detto anche il capitano Weasley, ma non posso farlo, la sicurezza del mondo magico e la cattura di Diodora Mackenzie potrebbe dipendere dalla traduzione di questo documento. Non preoccuparti Fergus, ti ringrazio ancora.” Il ragazzo osservò Audrey uscire dalla stanza. Aveva l’aria talmente abbattuta che Fergus avrebbe voluto consolarla, c’era qualcosa in quel documento che l’aveva colpito, qualcosa che non riusciva esattamente a capire.
** * **
Harry Potter era furente. Avrebbe voluto scaraventare qualcosa contro la parete. Seduto alla sua scrivania, il giovane auror guardò di nuovo la relazione che gli era stata portata qualche minuto prima. Era stata una lunga giornata il sole stava per tramontare.
Il suo migliore amico e cognato sedeva dall’altro lato della scrivania un’espressione simile sul suo volto, le lunghissime gambe incrociate alle caviglie.
“Quella donna ci sta facendo fare la figura dei polli, Ron. Ogni volta che pensiamo di avere in mano qualche indizio, va tutto letteralmente in fumo.”
“Lo so, Harry, lo so. Ma non possiamo farci prendere dalla fretta. Credi forse che non sappia che il lavoro degli ultimi quindici giorni potrebbe essere stato del tutto inutile? Sono stati i miei uomini a passare le ultime due settimane a raccogliere tutte le informazioni possibili sul motivo per cui Diodora Mackenzie e Cyril Selwyn si fossero incontrati e perché avessero deciso di farlo proprio a Bryher…” Ron si passò una mano sugli occhi, quasi a voler scacciare tutta quella frustrazione. “Non c’è possibilità che il rapporto sia sbagliato, vero?”
“Sarebbe la prima volta da quando lavoriamo qui. Credo proprio che il cadavere trovato sia quello di Selwyn..”
“Non posso dire di essere dispiaciuto che il bastardo sia morto …” osservò Ron “Purtroppo ha scelto il momento meno adatto per farlo.”
“Già.. Comunque questa faccenda ci dimostra sicuramente che non possiamo in alcun modo sottovalutare Diodora Mackenzie. C’è qualcosa di molto sinistro in questo omicidio, Ron. Abbiamo a che fare con una criminale particolarmente pericolosa.”
Il rosso annuì. “Non sai quanto sia contento che Hermione debba lavorare ancora qualche mese al Dipartimento per il controllo delle Creature Magiche. Se il suo trasferimento fosse già avvenuto, dovrei anche preoccuparmi per lei.”
“Ti capisco, ma il suo cervello potrebbe sicuramente farci comodo al momento…” osservò Harry.
** * **
“Hey.” Ron si infilò piano sotto il lenzuolo. Il corpo di Hermione raggomilato sotto le coperte era caldo ed invitante.
“Oh, sei arrivato. Hai fame, mi alzo per prepararti qualcosa da mangiare?” Chiese. Aveva i capelli adorabilmente scarmigliati.
“No, non preoccuparti, ho mangiato un panino in ufficio. Sono solo un po’ stanco, è stata una lunghissima giornata.”
Hermione annuì. “Mi dispiace molto per quello che è successo.”
“E’ lavoro, Hermione, non c’è da preoccuparsi. Certe giornate sono peggiori di altre. Questa è stata una giornata di merda..”
“Non imprecare, Ron.” Castigò, per abitudine, la brunetta “Vieni qui, so esattamente cosa ci vuole al momento.” Disse allargando le braccia.
Stanco, nervoso e frustrato per tutto quello che era successo con il caso Mackenzie, Ron Weasley si insinuò nell’abbraccio della moglie, lasciando che il suo calore ed i suoi baci allontanassero per un po’ le nubi nere che oscuravano il suo orizzonte.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Di lingue sconosciute e piccoli passi ***
Vi lascio un capitoletto, scusandomi del lungo lasso di tempo intercorso, purtroppo non sto bene ultimamente. L.
CAPITOLO IV
DI LINGUE SCONOSCIUTE E PICCOLI PASSI
“Avuto qualche successo con la decifrazione del messaggio?”
Audrey alzò la testa dal dizionario di lingue antiche delle isole britanniche per focalizzare lo sguardo sul proprio interlocutore. L’immagine che si presentò alle sue iridi era nebulosa, istintivamente cercò sul tavolo gli occhiali.
“Purtroppo no. Avevi ragione si tratta sicuramente di una lingua celtica. Ma nessuna di quelle che ho consultato sinora sembra quella adatta.”
Percy la fissò un momento, considerando le sue parole. Poi, lentamente e metodicamente, come l’aveva osservato fare molte volte quando tentava di concentrarsi si tolse gli occhiali dal naso e cominciò a pulirli con un fazzoletto.
Audrey continuò a fissarlo. C’era qualcosa che la spazientiva sino al midollo in quei gesti misurati, avrebbe avuto voglia di scuoterlo. Dall’altro lato c’era qualcosa di infinitamente magnetico in un uomo capace di ostentare una tale riflessività in un momento in cui lei sentiva la tensione divorarla. Insomma, nonostante l’infinita stanchezza che la donna sentiva al momento, era indecisa se strangolare il Procuratore Weasley oppure saltargli addosso. Forse era questo che gli serviva… una bella pausa.
Rimettendosi gli occhiali sul naso, apparentemente ignaro del conflitto interiore della Auror, Percy osservò “Sì, in effetti ho ripensato a quello che ho detto ieri ed in effetti sono stato un poco frettoloso nel pensare al gaelico. Non è nel mio stile e me ne scuso. Tuttavia questa notte ho avuto modo di riflettere su questo ritrovamento, forse invece che far riferimento alla storia della famiglia Mackenzie, occorre focalizzarsi sul fatto che il documento è stato trovato nelle isole Scilly.”
Audrey annuì. Effettivamente il suggerimento di Percy era plausibile. Forse il loro errore dipendeva dal fatto che pensavano che il documento fosse legato alla presenza di Diodora a Bryher e se invece fosse stato il contrario? Se la sua presenza lì, fosse stata determinata dal fatto che quelle carte si trovavano lì? Ma allora perché lasciarle indietro?
Erano tutti interrogativi a cui era necessario trovare risposta, ma ora aveva un nuovo spunto di ricerca. Sforzandosi di sorridere Audrey si rimise al lavoro.
“Buon lavoro, Auror Wallace.” Disse Percy allontandosi.
“Grazie procuratore Weasley”
Era a metà strada verso la porta quando il suo passo ritmico si arrestò.
“Audrey?”
“Mmm, stessa ora?”
“Stessa ora. Ah, Percy?”
“Sì?”
“Chardonnay”
“Naturalmente.”
Sorridendo più convinta Audrey Wallace tornò al suo lavoro.
** * **
Sotto il mantello degli Auror Thabatha Goldielocks indossava una bella veste di seta lilla con un ampio scollo quadrato. Era un perfetto abbinamento con la sua capigliatura viola e quella mattina la giovane auror emanava un delizioso profumo di verbena.
Non che Fergus avrebbe dovuto fare attenzione a queste cose. No, infatti. In quel momento Fergus doveva attentamente catalogare le foto del luogo del rogo per un briefing che avrebbe avuto luogo in tarda mattinata. Il fatto era che, essendo il lavoro estremamente urgente, il Capitano Potter aveva chiesto a Thabatha di aiutarlo. Peccato che la vicinanza della giovane strega lo distraesse. Fergus non capiva cosa gli fosse preso. Doveva essere la primavera. Esattamente. La primavera ed il fatto che la veste della sua collega era scollata al punto giusto.
Fergus ricordava Thabatha dalla scuola, non aveva mai avuto quelle curve. O forse le aveva avute e non aveva mai pensato di metterle in mostra. Questo interrogativo era affascinante. Ma se l’ultima ipotesi era la più accurata, per quale motivo improvvisamente Thabatha aveva deciso di rendersi affascinante? Probabilmente si era invaghita di qualcuno nell’ufficio. Fergus moriva dalla voglia di sapere chi fosse, ma al tempo stesso non poteva che essere distratto dalla sua compagna di lavoro.
La porta dell’ufficio si aprì. Il Capitano Weasley entrò di buon passo, fermandosi nella sua formidabile altezza a pochi passi dalla scrivania allargata magicamente ove i due giovani Auror stavano disponendo il materiale repertato.
“Tutto procede secondo la tabella di marcia?” chiese
“Sissignore Signore” risposero in coro i due giovani Auror.
“Sono molto contento che Harry abbia deciso di farti collaborare a questa iniziativa, Auror Goldielocks” osservò. “Sono sicuro che ci sarai molto d’aiuto.”
A quelle parole Thabatha arrossì deliziosamente. “La ringrazio Signore, sono molto contenta di lavorare per lei!”
Possibile? Possibile che Thabatha fosse invaghita del capitano Weasley… Ma si trattava di un uomo sposato! Fergus non poteva credere ai propri occhi, ma lo scambio di battute cui aveva appena assistito gli pareva inequivocabile.
“Continuate pure.” Concluse Ron ritornando nel proprio ufficio.
Fergus riprese il proprio lavoro pensierosamente. Il suo sospetto gli appariva ridicolo, ma il giovane Auror non riusciva a trovare altra spiegazione. Nel rimuginare i propri pensieri Fergus non si rese conto della vicinanza di Thabatha finché le loro dita non si toccarono, entrambi sussultarono al contatto, cosicché la giovane donna lasciò cadere al suolo le fotografie che stringeva.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Di shepher's pie, cornish e Beta HCG ***
Nota dell'autrice: Spero vi piaccia, ci sono novità nell'aria, bacetti. L.
CAPITOLO V
DI SHEPHERD’S PIE, CORNISH E BETA HCG
Thabatha Goldielocks guardò sconsolata la shepherd’s pie fumante che si era scaldata per cena.
Era un’opera d’arte culinaria ed emanava un profumino meraviglioso, peccato che la giovane Auror fosse stufa marcia di colazioni, pranzi e cene per uno. Essere babbana di nascita aveva i suoi vantaggi, in un quartiere babbano sua madre e sua nonna potevano riempirle il freezer di piatti surgelati, mentre lei era al Ministero della magia, senza che la gran quantità di magia nell’aria mandasse le apparecchiature elettriche in tilt per esempio. Ma essere una strega aveva ancor maggiori vantaggi, un incantesimo era molto più efficace nel riscaldare un pranzetto che il più futuristico dei micronde.
Peccato che non ci fossero incantesimi che fossero in grado di indurre una infatuazione autentica.
Non che Thabatha non sapesse rendersi attraente o attirare l’interesse di qualche mago o di qualche babbano, se voleva. Peccato che l’unico mago che le piacesse, da non meno di due anni, se doveva essere sincera con se stessa, sembrasse del tutto disinteressato a lei.
Era una situazione tanto frustrante che avrebbe potuto piangere.
Nell’anno precedente Thabatha aveva avuto la sensazione di essere per così dire guarita, evidentemente nel detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore" c'era un pizzico di verità. Il suo primo anno al Ministero era stato durissimo, lavorare con Harry Potter in persona l’aveva fatta sentire estremamente sotto pressione, aveva dovuto concentrarsi pienamente sul suo lavoro, tentando di impegnarsi al massimo. In quel periodo aveva avuto pochissimo tempo per qualsiasi altra cosa. Le era parso così che la fortissima attrazione che aveva sentito per tutta l’Accademia Auror per il cadetto Finnigan fosse semplicemente stata un abbaglio, amplificata ed ingigantita dall’apparente disinteresse di Fergus nei suoi confronti e dal fatto che le relazioni tra i cadetti non erano certo viste di buon occhio nell’Accademia. Thabatha avrebbe voluto dire di essere più matura di così, ma il vago senso di proibito di quella relazione sembrava intrigarla.
Ciò che aveva capito in questi giorni era che non aveva equivocato nel ritenere seria la sua infatuazione per Fergus Finnigan durante l’Accademia, aveva invece sbagliato laddove nell’ultimo anno aveva pensato le fosse passata. Lavorare praticamente a contatto con lui ogni giorno aveva reso quella speranza un miraggio.
Sarebbe stato tutto molto più facile se Fergus avesse mostrato il benché minimo segno di interesse nei suoi confronti, invece, benché fosse gentile e collaborativo, per quanta attenzione le prestava, la giovane Auror si sentiva trasparente. Tutti i suoi tentativi, più o meno velleitari di indurre il ragazzo quantomeno ad uscire con lei, erano naufragati. Se pensava poi alla pagliacciata di quella mattina, con quella veste viola scollata, Thabatha non poteva far altro che sentirsi depressa e sconsolata: o certo Fergus l’aveva guardata eccome! Sì, ma come se pensasse che le aveva dato di volta il cervello.
Era un vero peccato che il suo cattivo umore le impedisse di gustarsi fino in fondo il piatto materno. La shepherd’s pie era la specialità di sua madre e il suo piatto preferito, ma quella sera purtroppo tutto sembrava insipido.
Certo Thabatha avrebbe potuto cercare di vincere il suo cattivo umore, uscendo: non le mancavano certo gli amici, il suo carattere solare la rendeva simpatica alla maggioranza delle persone e avrebbe ben potuto accettare l’invito a cena che proprio quella mattina Arthur Van Domme dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport magici le aveva fatto. Erano settimane che le faceva il filo. Peccato che non fosse molto interessata. Non che non fosse un bel uomo, con il suo metro e novanta, gli occhi verdi e i folti capelli castani, Arthur era estremamente affascinante. Solo non era Fergus. Ma al momento Thabatha non era affatto in vena di uscire, era stanca, la giornata al lavoro era stata stressante e inconcludente. Come gran parte degli altri Auror del Ministero la giovane donna non poteva che essere estremamente frustrata che il loro grandissimo impegno non avesse finora portato a risultati apprezzabili nel risolvere il caso Mackenzie. Sembrava che i loro sforzi fossero del tutto inutili ed ogni volta che sembravano avvicinarsi alla meta, tutto andava in fumo. Sapeva che un Auror che si rispetti non si scoraggia mai e continua a lavorare qualsiasi sia la difficoltà e l’apparente inutilità del proprio lavoro, ma come le sarebbe piaciuto tornare a casa e trovare qualcuno a farle compagnia, come sarebbe stata più buona quella shepherd’s pie se due forchette si fossero tuffate nel purè croccante per cercare la succulenta carne d’agnello, se, lasciato che i piatti si lavassero alacremente da soli in cucina, avesse trovato due braccia forti a stringerla, mentre cercava di prendere sonno, possibilmente appartenenti ad un Auror sorridente con capelli color sabbia, deliziosamente spettinati e due meravigliose fossette agli angoli della bocca.
Sospirando, Thabatha prese un altro boccone. Domani sarebbe stato un giorno migliore, ne era sicura. Quantomeno sperava.
** * **
Qualcuno bussò alla porta del suo ufficio. Ron guardò l’ora. Poteva essere solo sua moglie. Il ministero era praticamente deserto a quell’ora, lui si trovava lì, esclusivamente perché Hermione quella mattina non riusciva assolutamente a dormire. Aveva l’ultimo esame per il passaggio da un ufficio del ministero all’altro ed era agitatissima, così quando le sei e mezza erano scoccate, era stato impossibile convincerla a restare a casa con lui. Di norma quando sua moglie era in quello stato c’era un'unica cosa che sembrava rilassarla, fare l’amore, generalmente una lunga ed estrosa sessione di ginnastica tra le lenzuola faceva miracoli per i nervi di Hermione, ma quella mattina anche il tentativo di distrarla a quel modo era naufragato, Non appena Ron aveva allungato la destra toccandole il seno, era saltata in aria come un gatto colpito da un getto d’acqua particolarmente gelato, aveva interrotto il bacio che si stavano scambiando ed era saltata fuori dalle coperte, mormorando “Non credere che non sappia come pensavi di distrarmi Weasley!”. A quel punto aveva gettato la spugna, era inutile discutere con Hermione quando era in quello stato, era stato molto più semplice accompagnarla al Ministero. Sola la ragazza sarebbe riuscita a crearsi uno stato tale di ansia da prestazione da rischiare di svenire. Era incredibile come una donna che aveva salvato il Mondo Magico senza mai farsi prendere dai nervi, potesse essere tanto agitata per un stupidissimo esame, che avrebbe passato in un batter d’occhio.
“Entra, Hermione” mormorò
Quando la porta si aprì, però, Ron si trovò di fronte un interlocutore diverso da quello che si immaginava.
“Percy? Cosa ci fai qui a quest’ora?” chiese l’Auror stupito.
“Ho provato a contattarti via camino, ma né tu, né tua moglie eravate in casa. Così ho provato qui. Non era qualcosa che potevo comunicarti via gufo e… sì, insomma credo che non possa aspettare, è sul caso Mackenzie...”
La rivelazione di Percy aveva certamente catturato la sua attenzione.
“Sai quel brandello di documento bruciato che abbiamo trovato vicino al cadavere di Selwyn, quello che non riuscivamo ad interpretare e tradurre? E’ cornish, l’antico gaelico della Cornovaglia!” spiegò il fratello maggiore con entusiamo.
Ron annuì. Era un passo in avanti.
“Ora, né io, né Audrey lo conosciamo purtroppo, quindi quello che sto dicendo andrà valutato attentamente, perché ci siamo affidati ad un vecchio vocabolario, in ogni caso si tratta sicuramente di un brandello di un incantesimo, uno che ha a che fare con un fuoco più forte di quello di mille draghi, più freddo del mare del nord. Da quello che abbiamo capito, il frammento spiega come creare e controllare questo potere distruttivo, utilizzandolo a proprio piacimento. Pensa che potere un mago, o meglio uno strega, potrebbe avere sul Ministero se minacciasse di utilizzarlo a scopo terroristico, Ron.”
“Tu pensi che Diodora Mackenzie voglia impadronirsi di questo potere, ricattando il Ministero?” L’ipotesi era terrificante.
“Non lo so, Ron. Come ti ho detto sono tutte ipotesi, il documento è incompleto e la nostra conoscenza del cornish lacunosa, ad essere estremamente generosi. Audrey, però, mi ha fatto notare una cosa, la pergamena dice chiaramente che, per dominare questo potere, chi scaglia l’incantesimo deve essere in grado di dare la vita come la morte. Ora è un’ipotesi e… Lo sai che non mi piace sbilanciarmi, il testo è in versi e ci sono molti modi per interpretare ciascuno di essi, ma… Sì, credo voglia dire che è uno di quegli incantesimi che richiedono che a scagliarlo sia una donna. Ci sono un sacco di saggi su quanto ci sia di vero e quanto di superstizione nella credenza che alcuni incantesimi siano più forti o efficaci unicamente se lanciati da un soggetto di un sesso piuttosto che dell'altro. Secondo la maggioranza degli autori, – ed io sono d’accordo - per lo più, si tratta di consuetudini prive del benché minimo fondamento, ma ci sono delle eccezioni. Quest’incantesimo potrebbe essere uno di esse e, se ho ragione, la situazione potrebbe essere ancora più seria di quello che pensiamo …”
La prospettiva era terrificante, ma quantomeno sembrava avessero fatto un passo in avanti.
“Grazie, Perce. Se hai ragione non abbiamo un attimo di tempo da perdere, occorre trovare Diodora al più presto e cercare, se esiste, un modo per fermare quell’incantesimo. Mi rifiuto di pensare che la pergamena bruciata che abbiamo trovato, fosse l’unica fonte di quell'incantesimo. Se c’è qualcosa che ho imparato in questi anni è che i maghi oscuri hanno una fottuta paura che qualcuno si impadronisca dei loro segreti, ogni magia, per quanto sia forte, ha una controfattura nel caso l’incantesimo che hanno creato finisca nella mani sbagliate. Dobbiamo solo trovarla.”
Percy annuì. “Era esattamente quello che pensavo io. Dobbiamo al più presto consultare i maggiori esperti britannici di cornish per valutare quanto delle nostre deduzioni sia fondato e cercare di individuare la fonte dell’incantesimo.”
“Hai perfettamente ragione. Non appena arriverà in ufficio, parlerò con Robards. Grazie dell’aiuto, Percy.”
Il fratello scosse il capo. “Non ringraziare me, è stato per lo più merito di Audrey, quella donna è veramente straordinaria, Ron. Ha un cervello ed una tenacia formidabili.”
“In effetti mi chiedevo come mai, fossi tu a raccontarmi queste cose e non l’Auror che avevo esplicitamente incaricato di indagare sulla pergamena.”
Le orecchie di Percy si imporporano in completo stile Weasley, ma a parte questo il fratello maggiore rimase impassibile. “Sì, hai ragione, ma vedi Ronnie, ieri notte l’Auror Wallace ed io eravamo così felici di aver trovato la chiave per svelare i segreti della pergamena che ci siamo lasciati un po’ prendere la mano con i festeggiamenti. Non è da gentiluomini svegliare una donna dopo nemmeno un’ora che l’hai finalmente lasciata dormire, mi pare…”
“Percy, per l’amor del cielo!” esclamò l’altro con una nota di disgusto nella voce.
“Cosa? Si può sapere perché se tu, Bill o George esibite la vostra meravigliosa vita di coppia va tutto bene, ma se io solo accenno di averne una, sembra una cosa improvvisamente scandalosa?”
Era una domanda pertinente, in effetti. Solo Ron Weasley non aveva una risposta, era una cosa che era così e basta, una di quelle che non ha una spiegazione, come perché alcune persone amano le ostriche e altre no.
** * **
Hermione Granger si mordicchiò le unghie della mano destra. Era una pessima abitudine. Una che al momento si stava rivelando estremamente utile a calmare i suoi nervi. L’esame al Ministero era andato bene. Se solo Ron non fosse stato tanto stressato dal caso Mackenzie si sarebbe accorto che la sua non era una normale ansia pre-esame.
Ad essere sincera era una ansia pre-esame, solo non quella che pensava suo marito.
Hermione si sforzò di sorridere all’infermiera che le porgeva il referto delle analisi del sangue che aveva fatto la settimana prima. Certo, una visita da un medimago avrebbe avuto un esito più immediato, ma certe volte la donna si trovava a ricorrere ai metodi babbani, quando era sotto pressione, era come se l’educazione ricevuta da bimba dai suoi genitori soppiantasse anni di vita magica, come se inconsciamente volesse tornare alla sua infanzia. In secondo luogo, se fosse stata al San Mungo, di certo Ron l’avrebbe scoperto, erano troppo popolari nel mondo magico, perché la gente non si interessasse a loro e non era il momento di aggiungere altro stress al periodo difficile che suo marito stava affrontando al lavoro.
Con il cuore in gola, Hermione si sedette su una seggiola nell’atrio dell’ospedale e aprì la busta. Gli occhi castani della donna si fissarono sull’ultima riga del referto. Beta HCG – 34. Per un momento fu come essere risucchiata in un tunnel, in cui non vi era nulla, non le persone che entravano ed uscivano dall’ospedale, non le parole gracchiate all’autoparlante. Immediatamente dopo fu estremamente contenta di essersi seduta, perché il picco di adrenalina che la investì, fu abbastanza da annebbiarle per un attimo la vista. Aveva sicuramente qualcosa da dire a Ron.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Di vino elfico, attese e promesse spose ***
CAPITOLO VI
DI VINO ELFICO, ATTESE E PROMESSE SPOSE
Ron chiuse la porta d’ingresso alle sue spalle. Il sole era già tramontato da un pezzo e l’ora di cena passata, ma non c’era stato modo di rincasare prima, nonostante la levataccia del mattino.
“Hermione, tesoro, dove sei?” Era tutto il giorno che non desiderava altro che avere cinque minuti di calma con lei. Era stata una giornata intensa e frenetica, ma produttiva. E dopo una serie di giorni in cui non avevano fatto altro che trovare ostacoli ad ogni passo e girare in tondo, l’auror non poteva che essere stanco, ma di buon umore.
Certo quel giovedì sarebbe sicuramente stato migliore se fosse riuscito a passare almeno un momento con la sua Hermione, ma non era proprio stato possibile. L’aveva intravista al Ministero, certo, ma soltanto il tempo per farsi dire “E’ andato tutto bene” e risponderle “Non avevo alcun dubbio”, che aveva dovuto tornare di corsa nel suo ufficio per rispondere ad una chiamata via camino del Dott. Ezechiel Esperanthus, il massimo esperto di linguaggi antichi delle isole britanniche di tutto il paese.
Un po’ preoccupato dalla mancata risposta della moglie, Ron attraversò a lunghi passi spediti l’ingresso, dirigendosi in salotto e guardandosi rapidamente intorno alla ricerca di Hermione. La individuò, infine, accoccolata in una copertina di pile azzurro sul divano, un grosso tomo con la copertina verde a pochi centimetri dalla destra protesa, come se infine il sonno avesse avuto la meglio sulla sua determinazione di leggere anche solo un’altra riga. Il rosso non poté far a meno di sorridere. Anche lei si era svegliata di buon ora quella mattina.
Silenziosamente, con la maggior cautela che la sua statura e il suo peso gli consentivano, Ron si sedette accanto alla moglie, raccogliendo il libro e riponendolo sul tavolino da fumo di fronte a loro. Perché Hermione stesse leggendo un libro che si intitolava “Mille ricette elfiche per il buon umore” era un mistero, la poveretta non aveva mai avuto talento ai fornelli. Non che sopperisse ampiamente con tutte le altre sue qualità.
Per un attimo Ron stette a fissare la moglie indeciso se svegliarla o meno, gli occhi cerulei incollati sulla curva delle sue labbra. La bocca di Hermione era sempre stata il suo punto debole. Non sapeva esattamente da cosa dipendesse, a volte pensava derivasse dall’aver passato così tanti anni durante la sua adolescenza desiderando disperatamente baciarla e cercando di dissimulare tali pensieri. Ora riusciva a sorridere pensando a quei momenti, ma quegli anni ad Hogwarts a combattere con la sua attrazione per lei, convinto che fosse un sentimento vergognoso e comunque irrealizzabile, erano stati un vero calvario. Certo, combattere una guerra magica aiuta a mettere le cose in una diversa prospettiva.
Incapace di trattenersi oltre, Ron avvicinò la sua bocca a quella di Hermione catturando il suo successivo respiro in un bacio.
Le palpebre della ragazza fluttuarono un momento, le ciglia vibrarono lievi come piccole ali di farfalla, prima di dischiudersi sulle iridi scure della giovane donna.
“Hey, sei tornato, finalmente. Ho preparato le bistecche con il puré di patate dolci e il budino di riso, dammi un attimo e saranno di nuovo caldi.” sussurrò lei una volta interrotto il bacio, alzandosi dal divano e dirigendosi verso la cucina.
“Sì, finalmente. E’ stata una giornata piena di novità non vedo l’ora di raccontarti tutto.” Concordò Ron, seguendola.
Hermione sorrise. “Sì, abbiamo un sacco di cose da dirci Non sarà buono come quando c’è il capitano Weasley ai fornelli, ma penso possa andare.” Concluse, scaldando le vivande imbandite sul tavolo con un colpo di bacchetta, prima di sedersi accanto al marito.
“Apprendista procuratore Granger – Weasley dobbiamo festeggiare il superamento del suo esame interdipartimentale – non che ci fossero dubbi in merito - ed un passo in avanti fondamentale nelle indagini del caso Mackenzie, Percy ed Audrey Wallace hanno finalmente decifrato la lingua di quell’incantesimo e ora siamo in grado di conoscerne almeno parzialmente il significato, grazie agli esperti che Robards è riuscito a contattare. A proposito, avevi ragione mio fratello e la mia Auror migliore vanno decisamente a letto insieme.” Concluse con espressione leggermente nauseata.
“Sì? Te l’avevo detto, era così evidente che quei due si piacessero!” disse Hermione trionfante, mentre serviva la cena.
“Sarà, io non l’avrei mai detto. T’assicuro che se Percy – contrariamente a quanto è suo costume – non me l’avesse apertamente detto… Brrr, meglio che non ci pensi troppo, è una cosa così innaturale”.
“Ron, smettila di fare il bambino. Percy è un uomo adulto, intelligente ed interessante… Cosa c’è?” Si interruppe lei all’occhiataccia del marito.
“Puoi evitare di decantare i motivi per cui Percy sarebbe uno scapolo perfetto, mi toglie l’appetito. Voglio essere soltanto contento. Ci vuole un brindisi.” Disse scattando in piedi “Dove abbiamo messo quel vino elfico che ci hanno regalato per Natale Bill e Fleur?”
“Secondo armadietto a destra del lavello, in alto.” Ron non avrebbe saputo trovare un cucchiaio in casa da solo se Hermione era presente, peccato che in sua assenza cucinasse e pulisse casa come niente fosse. Non c’era una spiegazione logica, era semplicemente così.
“Ah già! Alohomora. Accio vino elfico” In due movimenti fluidi della bacchetta la sinuosa bottiglia giallo paglierino fluttò delicatamente sul tavolo della cucina.
Quando entrambi i loro bicchieri furono pieni a metà di vino elfico, Ron fissò infine il volto della moglie. Hermione aveva assunto un’espressione leggermente preoccupata e si stava mordicchiando il labbro inferiore come quando era particolarmente nervosa.
“Cosa c’è?”
“Ecco… Sì, credo che sia meglio che io brindi con del succo di zucca, Ron.”
Ron la fissò un momento senza capire. Quando il possibile significato di quelle parole lo colpì pienamente, l’auror girò il collo verso di lei per guardarla meglio con tanta energia, che si fece male.
“Ahi!” disse portandosi una mano dietro la testa, senza smettere di cercare la verità che sperava e desiderava negli occhi di Hermione. “Vuoi dire che… Sei … Siamo… Incinti?”
L’impercettibile segno di assenso del capo della moglie fu tutto quanto gli serviva. Dimentico di tutto il resto, Ron balzò in piedi, abbracciandola con tanta foga da prenderla in braccio, mentre le tempestava il viso di baci. Dal canto suo lei non avrebbe saputo se ridere o piangere di gioia, tutto quello che poteva fare era stringere le grandi spalle del rosso, ricambiando con tutte le sue forze quell’abbraccio.
“Hermione Granger, tu non sai quanto sono contento. Io ti amo da impazzire e amo già anche lui o lei o loro… Non sarebbe fantastico se fosse “loro?”
A quelle parole la donna gli diede un affettuoso scappellotto, rispondendo tuttavia “Ti amo tanto anch’io, Ron Weasley.”
“Ahi, miseriaccia ‘Mione perché devi essere sempre così manesca?” Poi come se solo in quel momento l’idea lo sfiorasse, aggiunse “Aspetta che lo dica ad Harry!”
Scuotendo il capo, Hermione continuò a stringere forte a sé il padre del suo bambino.
** * **
Diodora controllò per l’ultima volta il contenuto del calderone. Il colore della pozione era perfetto. Non che le sue doti di pozionista fossero mai state messe in dubbio da nessuno. Eh chi avrebbe potuto? Lei era praticamente perfetta.
Ora la pozione avrebbe dovuto macerare ancora qualche giorno. L’incantesimo parlava chiaro, essa avrebbe dovuto maturare per tutto un ciclo lunare ed alla prossima luna avrebbe potuto essere utilizzata. Mancava poco, la luna nuova sarebbe sorta tra meno di una settimana. Per quel momento Diodora avrebbe trovato sicuramente il destinatario adatto – meglio la destinataria - per la pozione ed allora il Ministero sarebbe stato realmente spacciato. Aveva già qualcuno in mente.
Altri avevano sbagliato prima di lei perché erano stati sciocchi abbastanza da usare la pozione e l’incanto su se stessi, ma lei non avrebbe commesso questi errori. Diodora Mackenzie non faceva errori. Lei fissava un obiettivo e lo raggiungeva. Semplice, come passare dal punto A al punto B per la più breve via possibile. Peccato per chi si fosse trovato sul suo itinerario.
** * **
Quella sera Fergus Finnigan aveva deciso di uscire, nonostante fosse stanco. Suo cugino Seamus era venuto a trovare degli amici a Londra da Ballycastle e gli aveva scritto il giorno prima chiedendogli di andare al Paiolo Magico per cenare con lui e fargli conoscere la ragazza che avrebbe sposato a giugno.
Dopo la guerra magica, Seamus aveva attraversato un periodo un po’ difficile e aveva deciso di tornare in Irlanda per stare vicino alla sua famiglia. Ora quelle nuvole erano lontane e il cugino gestiva un negozio di articoli per il quidditch che andava alla grande.
Da qualche minuto Fergus lo stava aspettando, sorseggiando distrattamente una burrobirra. Il Paiolo Magico era uno dei suoi posti preferiti di Londra: aveva quel fascino un po’ attempato che gli conferiva un’aria accogliente e comoda. Un posto dove potevi sentirti a casa, anche se eri a chilometri da dove eri nato.
La porta del locale si aprì, un venticello frizzante entrò all’interno precedendo chi aveva aperto l’uscio. Istintivamente Fergus si protese in avanti, spiando al di sopra dell’orlo del boccale se i nuovi arrivati fossero Seamus e la sua fidanzata.
In effetti nel locale era entrata una coppia, ma non quella che il giovane auror si sarebbe atteso: no, nella locanda era entrato Arthur Van Domme, lo spilungone del reparto Giochi e divertimenti magici del Ministero, ma non era lui che aveva attratto l’attenzione di Fergus. Era la sua accompagnatrice che aveva catalizzato il suo interesse, perché Van Domme era entrato nel locale con un braccio distrattamente allacciato dietro la vita di Thabatha Goldielocks.
Inaspettatamente Fergus sentì un moto di dispetto attraversarlo. Non sapeva esattamente perché, ma quel gesto vagamente possessivo nei confronti della sua collega da parte dell’impiegato del Dipartimento Giochi e divertimenti magici lo irritò: il giovane Auror era più che sicuro che Van Domme non conoscesse Thabatha come lui, non sapeva come era una ragazza precisa e determinata. No, probabilmente tutto ciò che l’altro aveva notato di lei, erano quelle curve cui Fergus aveva fatto caso solo pochi giorni prima, quando la sua collega aveva scelto quella veste viola così provocante.
Quella sera, nonostante si trovassero a Diagon Alley, Thabatha aveva deciso di indossare degli abiti babbani. Sembrava molto più rilassata di quanto Fergus l’avesse mai vista al lavoro e, per quanto poteva vedere, sembrava a suo agio in compagnia di Van Domme. Il ragazzo si disse che avrebbe dovuto essere contento che la collega sembrasse felice, eppure tutto ciò che Fergus riusciva a pensare era che Thabatha avrebbe meritato di meglio. Arthur Van Domme era un bel ragazzo, era gioviale e cortese, ma in qualche modo ciò non sembrava bastare per lei.
I pensieri di Fergus furono bruscamente interrotti da una sonora pacca sulle spalle che minacciò di fargli rovesciare la burrobirra.
Un’orrenda T-shirt delle Sorelle Stravagarie e un sorriso a quarantadue denti, Seamus Finnigan lo fissava con aria interessata, stringendo la mano di una ragazza bionda, esile e decisamente troppo raffinata per essere la sua fidanzata, almeno secondo il giudizio di Fergus.
“Heilà, che sono quegli occhi da triglia, cuginetto?” Esordì il maggiore dei due Finnigan “Qualcosa che devo sapere?” chiese, facendo cenno col capo verso il tavolo ove si erano seduti Thabatha e il suo accompagnatore.
Fergus scosse la testa. “Ciao, Shay. Non so di cosa tu stia parlando..”
“Sarà…” disse l’altro per nulla convinto, sedendosi sulla panca dall’altro lato del tavolo. “Ecco Roswitha, questo è il mio famigerato cugino Auror. Fergus, ti presento Roswitha Baumgarten, la mia adorabile promessa sposa.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Di romanticismo, reprimende e rapimenti ***
Eccovi il settimo capito. Buona lettura e buon week end. L.
CAPITOLO VII
DI ROMANTICISMO, REPRIMENDE E RAPIMENTI
Quella mattina Audrey Wallace si era svegliata con il sorriso sulle labbra. Dopo un’inizio di settimana da dimenticare, il piccolo passo in avanti compiuto nelle indagini sul caso Mackenzie aveva donato un’ondata di buon umore a tutto il dipartimento. Era così bello sentirsi di nuovo utili e competenti che la soddisfazione la ripagava quasi della stanchezza e delle lunghe ore di lavoro che aveva dovuto affrontare. L’aiuto di Percy si era rivelato veramente fondamentale. Quanto si trovasse bene con lui era difficile a spiegarsi.
A trentun’anni Audrey aveva pensato che probabilmente non esisteva un uomo che potesse piacerle tanto e che contemporaneamente fosse interessato a lei. Tutti risultavano troppo insulsi, sciocchi o semplicemente ordinari. Alta e secca, il naso lievemente aquilino, spigolosa dove la maggior parte degli uomini preferiva una donna morbida e tutta curve, l’Auror sapeva di non essere esattamente una bellezza mozzafiato. Era abituata a sentir complimentare la sua perspicacia ed intelligenza, non certo il suo aspetto. Supponeva che qualcuno avrebbe potuto apprezzare i suoi occhi celesti o il suo sorriso, ma non badava granché al suo aspetto.
Non avrebbe saputo dire come si fosse accorta che l’attrazione che provava per il procuratore Weasley fosse reciproca.
Era stato un po’ come mettere due calamite ai lati opposti di un tavolo: tre mesi prima Ron le aveva chiesto se potesse aiutare Percy a preparare un processo nel quale sarebbe stato necessario presentare al Wizengamot una serie di prove costituite da messaggi in codice e spiegare come erano stati interpretati. Audrey era una esperta di lingue e messaggi criptati, il lavoro di suo padre, un diplomatico del Ministero, l’aveva portata sin da piccola in giro per un sacco di nazioni, lasciandola con un talento naturale per l’apprendimento di nuovi linguaggi e pochissimi amici. All’inizio l’auror non era molto entusiasta di aiutare il procuratore, si trattava di spiegare concetti difficili da rendere comprensibili ai più e, poi, si trattava di indagini già complete, da rivedere, mentre lei avrebbe preferito occuparsi di catturare altri maghi oscuri. Si era dovuto ricredere, non solo Percy era brillante e passare del tempo con lui piacevole, ma sapeva stupirla, farla sorridere e, persino, ridere. In breve si era trovata a sperare che quel compito non finisse mai, per continuare a lavorare con lui. Non era stato così, ben presto il giorno del processo era arrivato ed Audrey era tornata alle occupazioni consuete.
Circa due settimane dopo l’inizio del giudizio, il procuratore Weasley era entrato improvvisamente nel suo cubicolo. Audrey stava decifrando un messaggio trovato su un manufatto oscuro sequestrato ed aveva alzato gli occhi dall’oggetto, sorpresa.
Era stato un attimo. Tutto serio, Percy aveva annunciato “Abbiamo vinto.” Audrey aveva sorriso, era molto gentile da parte sua comunicarglielo personalmente, dandole parte del merito. Si era alzata in piedi per congratularsi, ma qualunque cosa volesse dire le era morta sulle labbra: Weasley aveva colmato i due passi scarsi che li separavano e le aveva dato un bacio. Non quello che si dà ad un amico, no. Sebbene tenero e leggero come un volo di farfalla, pronto ad essere interrotto al benché minimo accenno di contrarietà da parte sua, quel bacio non aveva nulla di amichevole. Semmai prometteva molto altro, qualcosa di romantico e bello come Audrey non si era mai nemmeno permessa di sperare.
Interrotto il bacio, mentre lei ancora lo fissava un po’ frastornata dall’accaduto, Percy aveva aggiunto. “Mi auguro di non averti offeso, ma erano settimane che volevo farlo.”
Troppo sorpresa per parlare, aveva scosso la testa. A quel punto il ragazzo aveva sorriso ed era come se tutto il suo volto si fosse illuminato. Audrey aveva già visto una cosa del genere. Era strano, Percy era sempre così serio, ponderato e riflessivo che Audrey si era chiesta talvolta come potesse essere imparentato con Ron. In realtà ora sapeva che, apparentemente così diversi, i due fratelli Weasley impiegati nell’Ufficio per l’applicazione della Legge sulla Magia avevano molti più punti comuni di quanto uno potesse aspettarsi.
Quel ricordo Audrey lo conservava con un affetto particolare: era il primo tassello di quel puzzle che lei e Percy stavano costruendo insieme. Quelli che si erano susseguiti erano anche più belli forse, ma era stato quello il momento in cui la giovane auror aveva cominciato a sperare che, dopotutto, c’era qualcuno adatto a lei.
Con un colpo di bacchetta, Audrey scaldò il bollitore del thé, tra poco avrebbe dovuto essere in ufficio. Non vedeva l’ora di incontrarsi con l’esperto di Cornish fatto arrivare appositamente da Robards. La cattura di Diodora Mackenzie sembrava finalmente più vicina.
** * **
Toc toc
“Avanti” mormorò Harry Potter. Erano appena le nove e trenta ed era già stufo marcio del lavoro d’ufficio. Lui non era tagliato per queste cose.
“Ehi Harry, per fortuna sei qui” disse il nuovo arrivato.
Alla vista di Ron, il moro sorrise. “Ciao, Ron. Qualche novità?”
L’altro arrossì. “No… Cioè sì… Voglio dire…”
“Davvero molto chiaro, Weasley”
A quella battuta il rosso rispose con un educatissimo gestaccio.
“Hermione sarebbe estremamente indispettita, se vedesse come tratti tuo cognato… Allora, cosa volevi dirmi?”
“Io… Mmm, sì, ecco… Hermione, giusto. Hermione vuole sapere se tu e Ginny potete venire a cena da noi, domani.”
“Oh, penso di sì…” rispose Harry con aria sospettosa, come se si chiedesse come mai Ron ci aveva messo circa dieci minuti a formulare un invito a cena. “Si intende che cucini tu, vero? Voglio dire… Sai quanto voglio bene a tua moglie, Ron, ma… Non credo di riuscire a mangiare di nuovo la sua pasta al forno.”
Suo malgrado, l’altro sorrise. “Sì, non preoccuparti… Ad ogni modo, lei si deve riposare in questo periodo..”
Harry lo guardò, perplesso. “Hermione non si sente bene?”
“Eh? No, no… Sta bene.” Disse l’altro dirigendosi verso l’uscita. La mano sul pomolo, Ron si fermò. “Oh cazzo, io proprio non ce la faccio…” mugugnò, girandosi su se stesso per guardare l’amico negli occhi. “Harry, promettimi solennemente che non le dirai nulla..”
“Dire cosa a chi? Lo sai che sei strano forte, stamattina?”
“Ad Hermione… A chi, altrimenti? Promettimelo… Anzi, no. Giuramelo… Giuramelo sul quidditch.. Anzi no, su Ginny… Mmm, no aspetta, su James. Giuramelo su James.”
Harry lo guardò come se gli avesse dato di volta il cervello. “Ron… Mi stai facendo preoccupare.”
“Eh? No, no Harry è una cosa bella, solo… Hermione mi ucciderà quando saprà che le ho rovinato la sorpresa, ma…” La frase successiva gli uscì così velocemente che le parole si attaccarono tutte insieme, impendendo ad Harry di capire.
“Cosa?” domandò questi confuso.
“Io ed Hermione avremo un bambino… Ma non ti ho detto nulla, hai capito? Domani sera sarai l’uomo più sorpreso sulla faccia della terra, mi hai capito? Promettilo.”
Harry Potter annuì solennemente.
** * **
Sei minuti più tardi – Ufficio per la regolazione delle creature magiche
“Hermione, ma che splendida notizia ho sentito, quando pensavi di dircelo?”
Intenta a rileggere un memo, la donna guardò stupita il suo supervisore.
“Mi scusi, Mrs. Jones?”
“Quando pensavi di comunicarmi che tu e quel meraviglioso fusto di tuo marito aspettate un bel bimbo…”
Sconvolta dalla rivelazione, per la prima volta da quando lavorava lì, l’apprezzamento sul fisico di Ron da parte di Dottie Jones passò del tutto inosservato alla riccia. “Io… Ma chi gliel’ha detto?”
“Oh, lo sanno tutti. Ho sentito poco fa in ascensore Thabatha Goldielocks che lo diceva a quel bel ragazzo dell’Ufficio per gli sport Magici, sai quello spilungone con l’accento strano… Abram.. No, Arthur… Hai capito, no?”
Hermione aveva smesso di ascoltarla. Stampandosi in faccia il miglior sorriso che potesse, la bruna afferrò la bacchetta sulla scrivania. “Mrs. Jones, mi sono appena ricordata che ho dimenticato le vitamine che mi ha dato il Medimago nella giacca di Ron, le spiace se scendo un momento nel suo ufficio?”
Dottie sorrise. “Ma certo, cara, vai pure, nelle tue condizioni… Ci mancherebbe, altro.”
“Grazie.”
** * **
Fergus stava scrivendo alacremente quando la sua attenzione fu attirata da Hermione Granger-Weasley che marciava bacchetta in pugno e passo deciso verso l’ufficio di suo marito.
Gli sorrise.”Buongiorno Auror Finnigan, mio marito è nel suo ufficio?”
“Sissignora, signora.”
“Molto bene.” Rispose lei, dirigendosi verso l’uscio senza bussare.
Prima che la porta sbattesse teatralmente alle sue spalle, Fergus ebbe appena la possibilità di sentirle urlare “Tu sei un completo idiota Ronald Weasley…”
** * **
Protetta da un incantesimo di disillusione, Diodora Mackenzie guardò la sua preda uscire dal piccolo cottage ed incamminarsi lungo il viottolo verso un garage di lamiera. Era tanto abitudinaria. Da un paio di giorni la controllava ed ogni mattina si smaterializzava nello stesso posto. D’altra parte vivere in un quartiere babbano doveva essere una vera seccatura, ma certi Maghi amavano mischiarsi alla gente comune, così come ai maiali piaceva giocare nel fango. Diodora non credeva alle sciocchezze sulla purezza della razza magica o cose simili. Erano credenze che come altre potevano rivelarsi più o meno utili. Lo erano sicuramente state quando si era trattato di avvicinare Selwyn, ma lei non credeva in nulla. Meglio, credeva unicamente in se stessa e nel suo infinito potenziale.
Era ora di agire, la donna era arrivata a destinazione, tra poco si sarebbe dematerializzata verso il Ministero della magia. Muovendo silenziosamente la bacchetta, Diodora la stordì mentre le dava le spalle, senza che l’altra potesse opporre la benché minima resistenza. Era un peccato. Era una donna con un così alto potenziale. Eppure anche in quel caso, aveva avuto la conferma che il più piccolo accenno di sentimento potesse essere deleterio. Se non fosse stata tanto svagata, tanto persa nel suo piccolo sogno romantico tutto cuoricini e spilungoni lentigginosi coi capelli rossi, l’altra si sarebbe probabilmente accorta di essere seguita. Ma se cammini mano nella mano ed i tuoi sguardi sono tutti per l’uomo che è con te, è difficile fare attenzione al nemico che ti segue, anche se è il tuo mestiere.
Tanto peggio per lei. Tanto meglio per Diodora.
Era ora di andarsene, prima che qualcuno si accorgesse di lei, prendendo la mano esanime della donna, smaterializzò entrambe. La sua vittima era molto più alta di lei, sebbene forse altrettanto esile, era questo il bello della magia ridurre certe differenze a nulla. Ma doveva affrettarsi, aveva ancora un sacco di lavoro da fare.
Se qualcuno fosse passato davanti al garage, pochi secondi dopo che le due donne si erano dematerializzate non avrebbe notato nulla di strano, non un segno di lotta, non un indizio che in quel luogo c’era stato un rapimento. Un momento c’erano due figure una in piedi, l’altra incosciente ed un attimo dopo più nulla. L’aria le aveva inghiottite.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Di cambiamenti, catene e cattivone ***
CAPITOLO VIII
N.d.A. Buone vacanze e buona lettura. Grazie a tutti coloro che vogliono bene a questa storiella, seguendola, commentandola o ricordandola
DI CAMBIAMENTI, CATENE E CATTIVONE
Dopo la strigliata di prima categoria ricevuta da sua moglie Hermione, il Capitano Weasley non avrebbe dovuto aver il morale ancora così buono. Eppure sembrava che il suo morale fosse oscenamente alto. Quando poco dopo che la sua consorte aveva lasciato il suo ufficio, egli aveva chiesto al suo assistente di fare tre copie della relazione che l’auror Wallace aveva preparato per il dottor Esperanthus, il giovane auror si era stupito di vedere che era come se Ron non potesse smettere di sorridere. Fergus non conosceva il motivo di tanta felicità, ma non poteva che esserne lieto. Era piacevole lavorare senza tutta la tensione che aveva caratterizzato l’ufficio degli Auror fino a un paio di giorni prima, quando non vi era il benché minimo indizio su come muoversi per cercare di catturare Diodora Mackenzie.
Thabatha Goldielocks entrò nell’Ufficio levitando innanzi a sé quattro enormi faldoni di documenti. Indossava una veste azzurro ortensia, lo scollo non era audace come quello di quella lilla famigerata di qualche giorno prima, ma comunque più che sufficiente a catturare l’attenzione del suo compagno di lavoro.
Più l’osservava, più lavoravano insieme, più Fergus si chiedeva come avesse potuto non notare prima quei particolari di lei che ora le apparivano tanto chiari e così graziosi: la gentilezza della sua voce anche nei momenti di maggiore stress e tensione, la pazienza e lo scrupolo con cui si dedicava anche alle occupazioni più noiose o la piccola fossetta che si formava all’angolo delle sue labbra quando sorrideva.
Se non avesse saputo in prima persona dai tempi dell’Accademia che con una bacchetta in mano Thabatha avrebbe dato filo da torcere ai più perfidi tra i maghi oscuri e che, quando infine la sua pazienza si fosse esaurita, era in grado di esplodere come un calderone lasciato sul fuoco troppo tempo, avrebbe immaginato che la ragazza fosse la creatura più dolce e delicata che avesse mai conosciuto, una specie di bellissima rosa che avrebbe dovuto essere accudita con le cure più premurose per evitare che il minimo alito di vento ne sciupasse la perfezione.
Thabatha fece librare elegantemente i faldoni sul piano del tavolo, prima di sedersi alla scrivania.
Fergus incrociò il suo sguardo, sorridendole.
“Buona giornata Fergus” lo salutò.
“Ciao Thabatha. Scartoffie?”
“In quantità, come puoi vedere. Il capitano Potter odia questa parte del lavoro, ma stamane era così di buon umore che ne ha conservato una parte per sé, per aiutarmi. Nonostante non sembri, stranamente, qualcuno ha già fatto una parte del lavoro.”
“Dev’essere successo qualcosa di bello… Forse con il caso…. Anche il capitano Weasley sembra essere al settimo cielo…”
“Vuoi dire che non lo sai?” Chiese la ragazza, stupita che qualcuno che lavorasse tanto a contatto con Ron potesse ignorare la notizia che dal mattino aveva fatto il giro di tutti i dipartimenti del Ministero.
“Cosa non saprei?” Era un po’ contrariato dall’essere all’oscuro di quello che tutti sembravano conoscere.
“Oh, non preoccuparti Fergus è una bellissima cosa… La moglie del capitano aspetta un bambino. Doveva essere un gran segreto, ma Ron non è riuscito a trattenersi e la notizia.... Ne sono sicura perché ho sentito il Capitano Potter dirlo al procuratore Weasley. Si sono incrociati nel corridoio diretti all’appuntamento con quel tizio esperto di lingue antiche. Comunque è una gran bella notizia non ti pare? Voglio dire avere un bambino con la persona che ami dev’essere una cosa bellissima. Se fosse mio, sarei anch’io felicissima.” Nell’ultima parte della frase il tono di Thabatha era diventato quasi un po’ sognante, come se avesse desiderato anche lei costruirsi una famiglia e trovare l’amore.
“Oh, ecco perché…”
La frase di Fergus fu interrotta dalla porta dell’ufficio del Capitano Weasley che sbatteva violentemente contro l’architrave. Il volto dell’uomo tradiva una tensione completamente nuova rispetto a quello che era stato il suo umore fino a quel momento.
“Auror Finnigan cerca in metterti in contatto in ogni modo con l’Auror Wallace. Ecco il suo file personale con tutti i recapiti e le informazioni che il Ministero ha su Audrey. Dovessi in qualsiasi modo riuscire a parlarle voglio essere informato immediatamente. Non importa con chi sono in riunione o se ti dicono che sono occupato. Tu entri nel mio ufficio o mi chiami via camino e me lo dici, mi sono spiegato. Sai usare quell’aggeggio babbano il felefono? Ne ho uno nel mio studio, se non riesci a contattarmi diversamente usi quello Devi digitare il numero scritto sulla pergamena appiccicata sulla mia scrivania.”
“Sissignore.” Annuì Fergus. Non aveva mai usato personalmente uno di quelli aggeggi, ma avrebbe potuto farsi aiutare da Thabatha che era babbana di nascita. Non sapeva esattamente cosa fosse accaduto, ma il viso del suo superiore non annunciava niente di buono. Quando era concentrato sulla sua missione, il Capitano Ronald Weasley appariva veramente come l’Auror formidabile che tutti gli riconoscevano essere. Vedendolo in quel momento, nessuno avrebbe potuto dubitare che avesse dato un contributo tanto importante alla Seconda Guerra Magica a soli diciotto anni.
“Io ho un felefono portatile, me l’ha preso la madre di Hermione, lo porterò con me. Intendo andare personalmente a verificare presso l’abitazione di Audrey.”
“Capitano… E’ successo qualcosa all’Auror Wallace?”
Gli occhi azzurri di Ron si fissarono nei suoi. Se i lineamenti del suo viso apparivano impassibili, il suo sguardo era carico di ansia ed apprensione.
“Io mi auguro di no.” Rispose Ron continuando a camminare.
Se non avesse avuto un ottimo udito, Fergus non gli avrebbe mai sentito pronunciare “Percy non mi perdonerebbe mai..”, mentre si affrettava verso l’uscita.
Non potè far a meno di scambiare con Thabatha uno sguardo preoccupato.
** * **
La stanza era buia.
Il collo le doleva come se fosse stata colpita da un grosso peso.
Percepiva il suo corpo, ma era come se fosse impossibilitata a muoversi. Non era l’incanto Impedimenta, quello lo conosceva bene. Questo invece aveva un non so che di più esotico e infinitamente più sinistro.
Della sua bacchetta nemmeno l’ombra.
Una parte dei lei era troppo furiosa e incollerita per essersi fatta catturare per sentire la paura, l’altra confusa da una specie di torpore simile ad un profondo sonno.
Sapeva avrebbe dovuto essere molto spaventata, ma quella sorta di bozzolo in cui le sembrava di essere racchiusa le impediva di focalizzarsi su l’una o l’altra sensazione, di modo che tutto appariva con contorni indefiniti.
Per quanto cercasse di mettere a fuoco l’uno o l’altro oggetto, nessuno appariva chiaro, come se le fosse impossibile concentrarsi anche solo il tempo necessario per vedere chiaramente. Sapeva che doveva lottare contro quella sensazione, era la sua unica chance. Se, come sospettava, la sua attuale situazione aveva a che fare con il suo ruolo nel caso Mackenzie, la sua vita era appesa ad un filo. Se i suoi sospetti sulle mire di Diodora erano fondati, il mondo magico era in gravissimo pericolo.
Non sapeva che ore fossero, ma in quel momento avrebbe dovuto essere con il Dottor Esperanthus per lavorare ancora sulla traduzione del frammento di documento. Se il Dipartimento degli Auror non fosse riuscito in quell’intento, Audrey sapeva che Diodora sarebbe stata sempre un passo avanti a loro e la rovina per il mondo magico dietro l’angolo. Sperava solo che Percy avrebbe potuto sostituirla con quello che aveva imparato da lei… Già, Percy… Come sarebbe stato crudele il destino, se l’avesse privata di quella parvenza di felicità, non appena aveva cominciato ad assaggiarla. No, Audrey Wallace avrebbe combattuto fino in fondo, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per rendere più difficile possibile a Diodora raggiungere il suo obiettivo, qualunque esso fosse concretamente.
** * **
Stava combattendo con tutte le sue forze. Era un buon segno, significava che la sua volontà e il suo fisico erano di ferro. La circostanza non la stupiva, per diventare Auror era necessario affrontare la durissima selezione dell’Accademia, soli i più adatti, i più volonterosi riuscivano a diplomarsi.
Diodora era entusiasta, poteva sentire la potenza della magia della sua preda attraverso l’incantesimo. Lei era sempre stata una maga capace di grande concentrazione, poteva estraniarsi completamente dal mondo circostante, se necessario. Dimenticare di bere, mangiare e dormire per giorni se ciò era necessario a raccogliere l’energia per scagliare alcuni incanti.
Il particolare tipo di magia a cui aveva sottoposto Audrey avrebbe dovuto renderla del tutto incapace di qualsiasi reazione, fermarle ogni pensiero, ogni funzione vitale che lei non ritenesse di permetterle. Eppure sembrava che l’Auror stesse cercando con tutte le sue forze fisiche e mentali di sottrarsi alla sua influenza. Era lusinghiero, eppure del tutto inutile.
Sarebbe stato veramente un’enorme delusione se la sua preda si fosse rivelata insignificante, se il suo fisico si fosse dimostrato incapace di canalizzare tutta l’energia necessaria a sopportare l’incantesimo che la strega intendeva scagliare.
La strenua lotta che Audrey stava combattendo per sfuggire alla sua magia era il segno che una volta cominciato definitivamente il suo progetto, il Mondo Magico si sarebbe trovato di fronte al suo peggior incubo e nulla, tantomeno il Ministero, avrebbe potuto impedire a Diodora di realizzare il suo sogno.
La pozione era pronta. Domattina la strega avrebbe potuto rivelare il suo ricatto al Ministero e niente sarebbe stato come prima. Certo, avendo per le mani l’esperta di codici cifrati dell’Ufficio Auror avrebbe dovuto rinunziare a camuffare il suo messaggio. Peccato! Era molto bello sapere che si sarebbero affannati per ore per risolvere enigmi che per essere creati non richiedevano che pochi minuti, ma in questo caso era necessario essere capita per creare l’effetto terrore che Diodora desiderava. Avrebbe avuto altre occasioni per giocare al gatto e il topo col Ministero.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Di filosofie, fratelli e frasi violette nell'aria ***
Nota dell’autore: Ecco il nono capitolo. Spero vi farà piacere sapere che ho già scritto una parte del decimo, quindi con ancora qualche ora di lavoro, conto di pubblicare il prossimo in qualche giorno. Dipenderà un po’ dal clima e da come procederà la stesura della mia storia originale. Buone vacanze a chi parte, buona lettura a chi torna o resta qui. Ditemi se vi piace o meno. L.
CAPITOLO IX
DI FILOSOFIE, FRATELLI E FRASI VIOLETTE NELL’ARIA
Negli anni Ronald Weasley aveva imparato ad essere assolutamente lucido e freddo durante una missione. Non che non avvertisse la tensione dell’impresa oppure la paura, semplicemente sapeva come fare di queste sensazioni qualcosa di positivo. Le sue avventure con Harry Potter gli avevano insegnato che ad essere coraggioso non è colui il quale non avverte alcun timore di fronte ad un’impresa spaventosa o pericolosa. No, quel tale è uno stolto nel migliore dei casi, un uomo morto nell’eventualità peggiore. Ron Weasley aveva imparato che la paura è fondamentale, può essere la tua migliore amica se sai come gestirla, come trasformarla in concentrazione e determinazione. Già un uomo coraggioso è invece colui che porta a termine il proprio compito nonostante avverta tutto il peso e la pericolosità della propria impresa.
Era tutto vero ed era la filosofia di vita che la sua adolescenza come migliore amico del Bambino-Che-Era-Sopravvissuto, prima, e l’Accademia degli Auror, poi, gli avevano insegnato. Una sorta di saggezza creata dalla vita, nulla che si sarebbe potuto imparare semplicemente dai libri, sebbene col tempo e sposando Hermione, Ron avesse capito che uno studio costante e meticoloso era altrettanto necessario a far di un buon auror un ottimo soldato.
Mentre il rosso esplorava l’appartamento di Audrey Wallace, però, tutti questi insegnamenti erano messi a dura prova.
Come aveva ipotizzato ancor prima di aver scagliato l’incanto Homenum Revelio sulla casa dell’esperta di crittografia del Dipartimento, la magia aveva confermato che Audrey non c’era, né erano presenti nel luogo altri esseri umani, magici o babbani. L’eventualità che l’auror Wallace fosse stata imprigionata nella sua stessa dimora, magari camuffata attraverso la trasfigurazione, era remota. Ron lo sapeva bene, ma in una situazione come quella, nessuna possibilità poteva essere trascurata. Era la prima regola da seguire, mai escludere un’alternativa perché la si è reputata troppo semplice, un errore del genere avrebbe potuto costare la vita a qualcuno. Immaginare il risultato di una simile leggerezza abbastanza per indurre chiunque a spendere qualche minuto del proprio tempo per escludere un’alternativa.
Ron era un uomo istintivo, lo era nella sua vita privata e lo era anche nel lavoro, di norma le sue sensazioni viscerali non l’ingannavano. Al momento il suo istinto non gli stava suggerendo nulla di buono. Niente di quanto aveva constatato nell’appartamento di Audrey dava indizi sul perché e sulle modalità della sua sparizione. Sarebbe stato frustante in qualsiasi altra situazione, nel caso di specie era abbastanza da riempirlo di apprensione.
L’assenza di tracce, la pulizia dell’esecuzione, l’aver sequestrato un soggetto altamente addestrato e specializzato come Audrey, tutto quello che stava constatando in quel sopralluogo dimostrava l’azione di un mago molto potente e, sebbene fosse presto per trarre conseguenze da quanto aveva scoperto, Ron non poteva che sospettare che nella vicenda ci fosse lo zampino di Diodora Mackenzie.
La sola possibilità che ella avesse deciso di rapire l’auror Wallace perchè sapeva che il suo ruolo era stato fondamentale nel decifrare le informazioni contenute nella pergamena che era stata trovata accanto ai resti carbonizzati del cadavere del Mangiamorte Selwyn era inquietante. Ammettere una simile possibilità, significava ipotizzare l’esistenza di una talpa all’interno del ministero, anzi nello stesso Quartier Generale degli Auror e per di più tra gli uomini più fidati dei Capitani Weasley e Potter, gli unici che erano stati messi a conoscenza degli sviluppi dell’indagine, condotta nel più assoluto riserbo. Si trattava di una manciata di persone, individui nei quali Ron aveva sempre riposto la più grande fiducia. Se fosse stato vero, sarebbe stato un disastro.
Sconsolato da quei pensieri, Ron uscì dall’abitazione di Audrey. Era necessaria un’indagine anche sul perimetro della casa, potevano esserci tracce importanti anche lì.
Quindici minuti dopo il Capitano Weasley non aveva trovato nulla che potesse servire da indizio sulle sorti dell’esperta di crittografia del Ministero, se non la presenza di un grosso accumulo di energia nei pressi del garage della sua abitazione, segno che, in quella zona, doveva esserci stata piuttosto di recente dell’attività magica. Era plausibile. Si trattava di un luogo abitato anche da babbani, sebbene piuttosto isolato, Audrey avrebbe dovuto cercare sicuramente un luogo dove nascondersi per smaterializzarsi per non dare nell’occhio. Se il suo aggressore avesse atteso quel momento per attaccarla, era possibile che la sorpresa gli avesse fornito quel vantaggio sufficiente a disarmarla. Ron era ben consapevole che l’auror Wallace era più che preparata per il combattimento, sebbene normalmente il suo apporto per il Dipartimento fosse più di intelligence e intellettuale che fisico, ma poteva benissimo darsi che sul momento l’aggressore si fosse camuffato, con la pozione polisucco, con la trasfigurazione o simili tanto da assumere un aspetto apparentemente inoffensivo che l’aveva tratta in inganno, impedendole di avvertire l’intruso come una minaccia. Non sarebbe stata la prima volta che un mago oscuro perpetrava efferatezze di ogni genere ad esempio fingendosi un bambino.
Persuaso che non avrebbe trovato altro, Ron decise infine di far ritorno al Quartiere Generale. Era fondamentale che riuscisse a parlare con Robards il prima possibile, se la scomparsa di Audrey era legata al caso Mackenzie ogni secondo era prezioso. Era anche necessario continuare nel tentativo di scoprire perché Diodora aveva scelto di impadronirsi della pergamena ritrovata a Bryher e nella sua decifrazione. Ma prima di tutto ciò, Ron doveva trovare Percy. Raccontargli della scomparsa di Audrey sarebbe stata una delle missioni più difficili che il rosso avesse mai affrontato, ma lo doveva a suo fratello. Non si sarebbe mai perdonato se egli fosse venuto a conoscenza dell’accaduto da altri.
** * **
Fergus aveva cercato di mettersi in contatto con Audrey in ogni modo senza alcun successo. La famiglia d’origine dell’Auror non ne aveva notizia da quando aveva ricevuto la consueta lettera via gufo un paio di giorni prima. Non si era fatta ricoverare al San Mungo presa da un improvviso malessere. Sembrava che fosse scomparsa nell’aria senza lasciare tracce.
“Non scoraggiarti Fergus, vedrai che la troveremo.” Il sorriso di Thabatha non le raggiungeva gli occhi. Eppure il giovane auror non poteva che ammirarla in quel momento. Nonostante lei stessa fosse preoccupata e spaventata dalla scomparsa di una persona con cui avevano lavorato sino a qualche ora prima, che piaceva a tutti, la ragazza stava cercando di infondergli coraggio.
“Hai ragione Thabatha, andrà tutto bene.” Rispose con un coraggio e una determinazione che nemmeno lui sapeva di avere.
La mano affusolata della sua collega si allungò sul tavolo sfiorando appena le sue dita, come se avesse voluto stringergli la mano per manifestare tangibilmente il suo sostegno e, all’ultimo istante avesse avuto dei dubbi, risolvendosi a non farlo.
Per un attimo Fergus ebbe la sensazione che quell’esitazione della sua amica fosse determinata dal timore che lui avesse potuto sottrarsi a quel gesto di solidarietà. Era un pensiero assurdo. Come avrebbe potuto Thabatha, così bella, così buona dubitare che egli ritenesse prezioso il suo sostegno? Sicuramente la stanchezza gli generava brutti scherzi togliendogli lucidità.
Girando appena le dita, prese il palmo dell’assistente del Capitano Potter nella sua. In quel momento s’accorse che le unghie della sua amica erano dipinte di azzurro con piccole graziose mezzelune dorate. Avrebbe voluto ridere era un particolare così dolce ed infantile che faceva a pugni con il fatto che a portarlo fosse un auror. Un particolare così insignificante così comune che faceva sperare, ricordava che la vita andava avanti. La sentì tremare al contatto.
Thabatha alzò gli occhi dal suo lavoro, fissò le loro dita congiunte, poi gli occhi di Fergus. Non avrebbe saputo dire cosa quelle iridi volevano dire, ma lei non parlò, si limitò a ricambiare la sua stretta con una leggera pressione del suo piccolo palmo, prima di separare le loro mani.
** * **
Ron fissò il piano bianco della sua scrivania senza vedere i memo ed i documenti che il suo Assistente aveva posto alla sua attenzione con una cura ed ordine che la sua Hermione avrebbe approvato.
Percy se ne stava seduto dall’altro lato della scrivania, immobile come quando era entrato nel suo ufficio. Solo una nota di pallore ulteriore rispetto a quella che normalmente lo caratterizzava avrebbe segnalato ad uno spettatore che aveva ricevuto una terribile notizia.
Qualcuno avrebbe detto che la sua reazione esprimeva noncuranza, disinteresse per la sorte della donna con cui aveva una relazione. Ron sapeva bene che non era così. Conosceva suo fratello. Negli anni Percy era diventato ancora più bravo di quanto non fosse un tempo a controllare le proprie emozioni. Nei primi anni dopo la fine della seconda guerra magica, quegli anni in cui tutti avevano cercato di ricostruire le loro vite, egli aveva perfezionato quell’arte: tutta la famiglia Weasley aveva sentito la perdita di Fred come qualcosa di devastante. Nessuno come Percy aveva lavorato giorno dopo giorno per ricostruire il legame con i genitori ed i fratelli che il suo allontanamento dalla famiglia aveva minato. Era stato troppe volte il consolatore, la spalla su cui piangere, colui che faceva ammenda senza che le scuse fossero richieste.
Per anni Ron aveva dato per scontato quell’atteggiamento, quegli sforzi del fratello per la normalità della loro famiglia come se il suo fosse il modo d’agire più naturale del mondo. Era stata Hermione a fargli notare quanto Percy fosse stato straordinario in quel periodo. Lei era sempre così meravigliosa nel percepire ciò che a lui talvolta sfuggiva e a farglielo vedere, infine, senza farlo sentire stupido.
Solo osservando attentamente, Ron era finalmente riuscito a vedere quanto ogni giorno costasse a Percy controllare il suo dolore e trasformarlo in qualcosa di positivo per lui e la famiglia. Non erano le ore di pianto mentre cucinava di sua madre, gli occhi lucidi di suo padre mentre smontava l’ennesimo artefatto babbano, non le sbronze di George e Lee Jordan, i suoi accessi di rabbia sfogati nell’addestramento costante e disperato o le ore a cercare rifugio da quello che lo spaventava di lui tra le lenzuola di Hermione.
Il dolore di Percy non faceva rumore come la foresta che cresce, ma era altrettanto immenso nella sua imponenza, legato com’era ad un malcelato senso di colpa.
Quegli anni di osservazione ora dicevano a Ron che il fratello stava cercando in ogni modo di controllare le proprie emozioni, di non lasciarsi andare, di non fare ciò che sarebbe stato più che naturale e comprensibile soccombere all’enormità della notizia appresa e farsi trascinare dalla rabbia e dal dolore.
Il maggiore dei fratelli Weasley fu il primo a rompere il silenzio che aveva avviluppato la stanza.
“Che intendi fare?”
Ron ingoiò il vuoto. Cominciò cautamente. “Non dipende da me, Percy. Tu sai che devo rendere conto a Robards di ogni mia…”
“Ron, non servirmi le stronzate che ti hanno insegnato a dire ai parenti delle vittime dei maghi oscuri all’Accademia, per favore, non credo di meritarlo…”
Due paia di occhi azzurri si incrociarono per un momento. L’addestramento era difficile da dimenticare e quando si trattava di situazioni di crisi un auror era praticamente programmato per agire secondo quanto gli era stato inculcato negli anni dell’Accademia, ma qui si trattava della famiglia.
“Tutto quello che serve. Tutto ciò che è in mio potere fare, Perce. La troveremo, se c’è solo una possibilità al mondo di trovarla, io ti giuro che la riporteremo indietro…”
Percy annuì. “Non mi sarei aspettato nulla di diverso.”
Ron lo vide alzarsi e lo imitò. La via migliore per cercare di ritrovare Audrey era cercare Diodora Mackenzie. Sebbene non avesse le prove per dimostrarlo, Ron era certo che la scomparsa dell’Auror era legata alle indagini.
Fece per avvicinarsi al fratello per abbracciarlo, ma questo si scostò. Quando lo guardò stupito, Percy ammise a denti stretti. “Non ora Ron, non potrei sopportarlo. Se mi lasciò andare ora a tutto quello che sento… Merlino solo sa, cosa potrei… Non è il momento. Devo vedere il dottor Esperanthus al più presto. Non possiamo perdere nemmeno un momento, ora.”
Ron lo guardò uscire tristemente. Avrebbero trovato Diodora Mackenzie. Avrebbero liberato Audrey. Qualunque fosse stato il costo di quell’operazione. Era una promessa. Ora doveva parlare al più presto con Harry e, poi, con Robards.
** * **
Da oltre un anno e mezzo Thabatha apriva e catalogava la posta diretta al Capitano Harry Potter in qualità di sua Assistente Personale: non era un lavoro tedioso come avrebbe potuto sembrare, le lettere delle ammiratrici, quelle contenenti inviti a cerimonie ufficiali ed in generale di nessun particolare interesse per il dipartimento degli Auror venivano affidate all’ufficio del protocollo e a lei era trasmessa una semplice relazione su di esse. No, al Quartiere Generale degli Auror arrivavano solo le informazioni riservate o quelle importanti per qualche caso.
La piccola bustina viola che era emersa da un mucchio di corrispondenza ufficiale le era parsa immediatamente strana. Quale ufficio utilizzava una simile carta da lettera? Ma se aveva superato i controlli di sicurezza del ministero non poteva essere che una comunicazione della massima importanza.
Thabatha batté due volte la punta della bacchetta sulla busta. Invece di aprirsi come avrebbe dovuto la missiva cominciò a tremare come scossa da un terremoto interno. Istintivamente la giovane Auror urlò richiamando l’attenzione di Fergus e dell’Auror Rednails.
Tutti e tre sfoderarono la bacchetta pronti ad incenerire il messaggio al primo accenno che lo stesso potesse essere pericoloso.
Dopo qualche secondo la busta cominciò a emettere delle lettere di vapore violetto che pian piano disegnarono nell’aria dell’ufficio un messaggio. Una voce di donna dolce come miele e al contempo abbastanza tremenda da far accapponare la pelle di Thabatha ad ogni parola lesse il sinistro annuncio.
“Tre lune, la quarta di sangue.
L’acqua divorerà il fuoco,
il fuoco inonderà la terra.
La fiamma più fredda del ghiaccio,
la regina camminerà sulle rovine,
la sua serva ad aprirle la strada.
Non chiedete pietà, non ne sarà data.
Riprenderò ciò che è stato rubato
Sette volte sette
Una nuova era scaturirà dalla mia mano.”
Aggrappandosi alla scrivania nel tentativo di rimanere in piedi, Thabatha guardò le parole scomparire così come erano comparse prima che la busta si dissolvesse nell’aria.
Accanto a lei l’Auror Rednails il respiro affannoso per la tensione fu il primo dei tre a riscuotersi dal terrore.
“Presto Auror Goldielocks, vai dal Capitano Potter, serve un pensatoio. Solo lui può confermarci che quella fosse la voce di Diodora Mackenzie, l’ha interrogata di persona dopo l’incendio a casa dei suoi. Auror Finnigan vai immediatamente a parlare con il Capitano Royalsafe, il Direttore generale Robards deve essere informato al più presto e piuttosto che aver a che fare con royal-pain se posso evitare, affronterei un’acromantula con uno stuzzicadenti al posto della bacchetta.” Fergus lo guardò con aria spaventata.
“Non preoccuparti, ragazzo, ruggine personale tra noi. Io andrò ad avvertire il capitano Weasley.” Soggiunse per rassicurarlo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Di interpreti, incantesimi ed intuizioni ***
Nota dell’Autore: Grazie a tutti coloro che leggono, recensiscono, seguono questo racconto. Questo è il mio capitolo preferito per ora. Spero vi piaccia, spiega un sacco di cose, ma non tutte. Le recensioni mi rendono felice, quindi cliccate su quel bel pulsantino e lasciatemi le vostre impressioni per favore. Buon Ferragosto. L.
CAPITOLO X
DI INTERPRETI, INCANTESIMI ED INTUIZIONI
Harry sentì quella sensazione ormai familiare di smarrimento, mentre un insieme caleidoscopico di colori lo riportava all’interno del suo ufficio, insieme a Ron e Robards.
Il ricordo di Thabatha continuava a fluttare opalescente nelle sfumature del lilla sulla superficie del pensatoio. Avrebbe dovuto essere catalogato tra le prove. La ragazza non avrebbe conservato che una nebulosa ricostruzione di quel momento, creata principalmente dalle sensazioni determinate dall’evento: avrebbe ricordato lo sgomento e la sorpresa legati all’apertura della busta con il messaggio, non di averla aperta o di aver visto il contenuto della lettera disegnarsi nell’aria sotto i suoi occhi.
“Allora, Potter?” chiese bruscamente il Direttore Robards.
“Sì, è lei. Sono quasi sicuro.”
Il suo superiore sospirò. Non amava l’utilizzo della parola “quasi”, lo sapeva, ma un Auror ha il dovere di essere accurato al cento per cento e, dopo aver sentito la voce di Diodora Mackenzie solo una volta, Harry non avrebbe potuto giurare in coscienza sul fatto che la persona che aveva udito parlare nel ricordo fosse lei: era ragionevolmente convinto lo fosse, non poteva averne la certezza.
Accanto a lui, vide Ron trattenersi dall’intervenire. Era evidente che dopo il rapimento dell’Auror Wallace, l’amico riteneva indispensabile non perdere nemmeno un momento. Il messaggio che avevano ascoltato sembrava confermarlo. Il suo contenuto era piuttosto chiaro, avevano esattamente tre giorni prima che un’immane tragedia li colpisse.
“Va bene, non abbiamo altra scelta che supporre si tratti di Diodora Mackenzie. E’ l’unica strada che ci permette di agire, dunque è quella che seguiremo. Se dovessi sbagliarti, Potter ...” Il momento di silenzio del Direttore Generale sembrava riassumere tutta l’angoscia degli Auror riuniti. “Weasley continua ad essere fondamentale che individuiamo l’incantesimo che Diodora ha preso a Selwyn. Qualcuno ha idea di cosa significhi “Riprenderò ciò che è stato rubato?”
Entrambi gli Auror scossero la testa.
“E’ un altro compito per il tuo team, Weasley! Voglio sapere tutto quello che c’è da scoprire sulla Mackenzie, sulla sua famiglia dai tempi dei fondatori in poi, prima se necessario. Non ho nessuna intenzione di farmi trovare impreparato. Potter, tu ed i tuoi uomini state pronti ad intervenire sul campo al minimo accenno. Da questa sera tutti dovranno essere in allarme, non dovranno togliere i medaglioni d’allerta nemmeno sotto la doccia, chiaro?”
“Sissignore, signore.” Risposero i due Capitani all’unisono.
“Bene, andate, mi sta venendo mal di testa.”
Liquidati dal loro superiore, i due amici si incamminarono fianco a fianco lungo il corridoio che conduceva ai loro rispettivi uffici.
Il rosso fu il primo a rompere il silenzio. “Harry, credi … Sì, insomma, tutte quelle stronzate sulla serva che aprirà la strada del messaggio … Non pensi si possa trattare di Audrey, vero?”
Harry si fermò di botto, come se quanto Ron gli aveva detto fosse una rivelazione. Dopo numerosi anni all’ufficio Reconnaisance, il rosso era molto più avvezzo di lui a decifrare messaggi cifrati, raccogliere minimi indizi, ricostruire il quadro completo, conoscendone solo piccole parti. L’istinto da stratega che aveva consentito a Ron di essere un asso degli scacchi magici, era stato trasformato dall’addestramento in qualcosa che non mancava mai di stupirlo. L’ufficio che Harry dirigeva poteva occuparsi delle missioni più pericolose, ma senza il lavoro di organizzazione e reperimento degli indizi, senza le missioni di spionaggio ed esplorazione di Ron e dei suoi uomini sarebbe stato inutile.
“E’ plausibile, sì, ora che mi ci fai pensare.”
L'altro scosse la testa, gli occhi azzurri stravolti da un mix di amarezza e tensione. “Non era questa la risposta che volevo sentire.” Confessò. “Speravo proprio mi dicessi Ron, amico, tu sei fuori.”
A quelle parole Harry non avrebbe davvero saputo cosa rispondere.
** * **
Due ore più tardi, Harry era seduto alla scrivania osservando una pianta della casa dei Mackenzie. L’aveva guardata migliaia di volte dall’inizio del caso, eppure, bloccato in attesa di una sorta di miracolo che li aiutasse a trovare la strada, egli sperava di trovare qualcosa che finora non aveva visto.
La porta del suo ufficio si aprì senza che nessuno bussasse o chiedesse permesso. Pochi secondi dopo, Harry capì come mai.
“Ginny, che ci fai qui? Qualcosa non va” Sua moglie non si era mai presa la briga di bussare. I suoi grandi occhi marroni si contrassero nella maniera tipica che avvertiva il Bambino-Sopravvissuto-Per-Porre-Domande-Stupide che aveva appena detto una sciocchezza.
“A parte le cose ovvie, dici? Dovevo presentare il mio ultimo bollettino del San Mungo al Dipartimento per gli Sport Magici, ricordi? Te l’ho detto circa sei volte questa settimana, Harry. La radio continua a parlare della scomparsa dell’auror Wallace e di un tremendo pericolo imminente, degli Auror che brancolano nel buio, ho pensato di venire a vedere come stavi tu e, poi, di passare da Percy. E’ la sua fidanzata quella di cui stiamo parlando.” Disse lei, indicando con il dito il cartellino appuntato al suo vestito con scritto “Ginny Potter – Visitatore. Dipartimento per gli Sport e i Giochi Magici, poi Dipartimento per l’applicazione della legge magica” in caratteri dorati.
“E tu come lo sai?”
Ginny lo guardò male di nuovo. “Hermione, ovviamente. Tu come stai?”
Harry si strinse nelle spalle, ma evidentemente sua moglie non aveva bisogno di molte parole. Afferrando le sue mani, Ginny lo guardò negli occhi. “Ce la farete, ok? Ce la farete e quando sarà tutto finito faremo la grande festa che dovevamo fare stasera per il bambino di mio fratello ed Hermione, ok? Ed io preparerò la torta alla melassa di mia madre per l’occasione.” Sembrava passato un secolo dalla mattina, quando l’aveva chiamata via camino per annunciarle l’evento.
“Sì, proprio così.” Mormorò lui, cercando di metterci tutta la convinzione possibile.
“Bene. Ora vado da Percy.” Disse la rossa, salutando con un bacio.
** * **
Da quando suo fratello l’aveva avvisato della scomparsa di Audrey, Percy aveva lavorato senza sosta. Prima ancora di essere a conoscenza dell’ultimatum della Mackenzie, egli si era reso conto che occorreva fare presto. Le parole contenute nel messaggio magico del quale Ron gli aveva parlato, rompendo protocolli, infrangendo regole e scardinando le procedure, erano solo una sorta di agghiacciante conferma di quello che in cuor suo già sapeva. Doveva focalizzarsi sul lavoro, essere lucido. Se avesse lasciato che la paura per Audrey lo controllasse, la ragazza sarebbe stata realmente perduta. Gli era dispiaciuto liquidare Ginny in pochi momenti, ma sapeva che aveva capito perché l’aveva fatto.
Ora, mentre aspettava che gli altri prendessero posto attorno al tavolo delle riunioni per la prima volta in tutta la giornata, Percy Weasley sentiva un barlume di speranza.
Il gruppo che doveva partecipare a quell’incontro era estremamente selezionato: il Direttore Generale Robards, Harry, Ron, lui, il Professor Esperanthus.
Ma tutto il dipartimento stava lavorando al caso: l’auror Rednails, l’auror Goldielocks e l’assistente di suo fratello, Fergus Finnigan erano nella stanza accanto, insieme ad almeno altri dieci auror, alla ricerca di informazioni sulla famiglia Mackenzie.
Seymour e Smith stavano nuovamente cercando indizi a casa di Audrey e nei luoghi vicini.
Nessuna attività che poteva essere compiuta per catturare Diodora veniva tralasciata.
Il Professor Esperanthus gli sorrise: in parte Percy conosceva i progressi che l’esperto aveva fatto rispetto a quanto erano riusciti a fare lui ed Audrey, ma non ne sapeva l’esatta entità. Quest’incontro avrebbe dovuto rendere tutti edotti del risultato del suo lavoro.
Finalmente la porta si aprì e Gawain Robards si sedette. L’incontro poteva cominciare.
** * **
La voce del professore gli ricordava un po’ quella di Albus Silente. Non era un caso che tutti i presenti pendessero dalle sue labbra. Le parole che stava dicendo avrebbero potuto fare la differenza tra la capacità di catturare Diodora Mackenzie e quella di permetterle di seminare il terrore nel mondo magico.
“Bene, cercherò di rendere il risultato della mia ricerca il più semplice possibile. Innanzitutto consentitemi di dire che l’auror Wallace e il procuratore Weasley hanno fatto un ottimo lavoro con il frammento di pergamena che è stato posto alla mia attenzione. Quasi tutte le loro ipotesi erano esatte. Hanno commesso degli errori, naturalmente, ma più di forma che di sostanza. La conoscenza che noi moderni abbiamo del cornish ci deriva da un numero piuttosto limitato di fonti: bassorilievi, iscrizioni su monumenti o statuine di pietra, cose così … I manoscritti in questa lingua giunti fino a noi sono il frutto del lavoro di copisti ben più recenti di coloro che scrissero per primi quei testi. Individui che non conoscevano in prima persona la cultura e la vita quotidiana che quei libri descrivevano. Per farvi un esempio è come se ad uno di noi si chiedesse di immaginare com’era la vita al tempo di Godric Grifondoro nel dettaglio.”
Tutti i presenti annuirono, invitando l’erudito a continuare.
“Ora, la pergamena che voi Auror avete ritrovato a Bryher è sicuramente la copia di un libro di incantesimi molto antico. Più cercavo di interpretare il frammento che mi avete mostrato, più mi sembrava che quanto vi è descritto mi fosse familiare. Tuttavia nulla nei documenti in cornish con cui lo confrontavo faceva al caso nostro. Poi questa mattina, quando è passato a chiedermi se avevo notizie dell’auror Wallace, l’assistente del Capitano Weasley ha detto qualcosa che mi ha illuminato. E’ per questo che dopo aver controllato la mia teoria, ne ho discusso con il Procuratore Weasley e, dopo ulteriori ricerche, ho chiesto quest’incontro. La pergamena è una traduzione. Le isole Scilly, come anche il Procuratore ricordava, sono state per lungo tempo il rifugio di una grande comunità di druidi scacciati dalle isole britanniche maggiori nei primi secoli dell’evangelizzazione cristiana.”
Il racconto del dottor Esperanthus era interessante, certo, ma era evidente che gli Auror desideravano arrivasse al punto senza divagazioni storiche.
“Ho scoperto che il testo originale tradotto nella pergamena era in rune gaeliche. E’ uno scritto poco conosciuto. Proibito, direi. Io tuttavia avevo già avuto modo di studiarlo quando da giovane ho collaborato con il Dipartimento dei Misteri. Non vi mentirò, la minaccia ed il pericolo che descrive sono grandi ed estremamente temibili. Il testo è in versi poetici, ma il contenuto è chiaro. Il titolo del libro tradotto alla meno peggio è “Della manipolazione magica degli elementi”. Le pagine riprodotte nella pergamena ritrovata descrivono uno degli incantesimi più terrificanti che abbia mai letto ed uno dei più pericolosi che l’uomo abbia mai ipotizzato di compiere: si tratta di manipolare la natura e la vita umana stessa. Chi vi riesce è in grado di scomporre la materia nelle sue particelle più elementari e controllarle, nonché di utilizzare la magia allo stato puro.”
La sala era piombata in un silenzio tombale. Tutti i presenti ben sapevano che la magia allo stato puro non era manipolabile, né tantomeno controllabile. Essa era ciò che costituiva le manifestazioni di poteri magici spontanee dei bambini molto piccoli. Il Professore doveva sbagliarsi.
“Comprendo il vostro scetticismo, nessuno di noi riterrebbe mai utilizzabile la magia allo stato puro. Ma lasciate che continui a spiegare, capirete. La potenza dell’incantesimo stesso, la quantità dell’energia canalizzata attraverso il corpo del mago o della strega che fosse tanto stolto da scagliare un incantesimo simile sarebbe tale da ridurlo in cenere all’istante. Non basterebbe un fisico addestrato per anni, una mente magica allenata all’inverosimile. E’ qui che entra in gioco quanto descritto nella pergamena. Essa spiega come realizzare una pozione in grado di superare questa difficoltà, o quantomeno che dovrebbe esserlo. Il ragionamento del suo inventore è più o meno questo. In primo luogo sappiamo per esperienza che i bambini sono meno sensibili dei maghi adulti alla magia pura, anzi più piccolo è il pargolo, maggiore è la sua resistenza: ciò che potrebbe danneggiare l’equilibrio delle forze magiche di un soggetto addestrato, capace di controllare i flussi di energia che lo attraversano, è pressoché innocuo per un infante: non sapendo come comportarsi, egli non tenta di prendere il controllo della forza magica soprannaturale che lo colpisce e, perciò, ne percepisce ed immagazzina solo una porzione infinitesimale. In secondo luogo è altrettanto noto che gli incantesimi più complessi, quelli che richiedono un maggiore dispendio di energie magiche, possono essere resi più tollerabili per i soggetti coinvolti, aumentandone il numero.”
La stanza fu percorsa da una serie di cenni di assenso, erano osservazioni di comune esperienza.
“La pozione tenta di combinare questi due principi, apportando, altresì, nell’organismo di colui che l’assume una serie di elementi in grado di massimizzare la capacità di canalizzare la magia e, contemporaneamente, ridurre gli effetti deleteri che lo sforzo potrebbe causare all’organismo. Semplificando al massimo, la pozione tenta di ricreare nell’assuntore le condizioni che si avrebbero se ella fosse in stato di gravidanza. Ecco perché la pergamena insiste sul fatto che colui che prepara e beve la pozione deve essere normalmente in grado di dare la vita e la morte: occorre una donna perché essa possa funzionare. Il decotto può ingannare la natura entro determinati limiti, occorre la predisposizione fisiologica a questi cambiamenti.”
A quel punto Harry intervenì. “Sta dicendo che per portare a termine l’incantesimo senza esserne distrutta Diodora Mackenzie dovrà bere questa pozione?”
Esperanthus annuì. “Sì, è l’unico modo per poter sopravvivere al tentativo di maneggiare la magia pura. Non sono nemmeno sicuro possa realmente funzionare. Il libro è basato su ipotesi, lo scrittore dice chiaramente di non aver trovato una fanciulla su cui testarlo e di aver tremato ed indietreggiato di fronte alle conseguenze della manipolazione della materia. Inoltre la preparazione della pozione è assai complessa, richiede una pozionista eccelsa, un tempismo perfetto, occorre sincronizzare ogni intervento sul decotto con i ritmi lunari. Un errore sarebbe fatale.”
A questo punto fu Ron ad intervenire. “Ok, poniamo che Diodora sia stata in grado di realizzare la pozione. La prende. In cosa consiste l’incantesimo di manipolazione della materia?”
“Mi dispiace dire che in questo caso la forma poetica del libro ci aiuta poco. Esso descrive una serie di calamità naturali in cui gli elementi si trasformano nel loro contrario su ordine della strega che ha preso la pozione, la magia pura sarebbe in grado di scomporre la materia stessa nelle sue particelle elementari e, quindi, di ricombinarle: di fatto chi fosse in grado di aver un tale potere, potrebbe trasformare le montagne in oceani, allagando l’intera superficie terrestre, se lo volesse …”
“O, nel caso di una dannata piromane, di trasformare l’oceano in fiamme di ghiaccio, immagino …” continuò il più giovane degli Weasley presenti.
“Esattamente.”
“Molto bene, professore. Il suo aiuto fin qui è stato fondamentale. Il libro dice qualcosa su come fermare un simile potere?” chiese Robards, speranzoso.
“Ehm, mi spiace, come dicevo l’autore formula un’ipotesi di cosa accadrebbe. Come vi ho raccontato, egli ci conferma solo di aver preparato la pozione, ma di non aver trovato nessuna donna disposta a provarla. Mi spiace molto … Non so se può essere utile, ma, in generale, tutta la teoria alla base del libro è che il simile combatte il simile…”
“Un’esplosione può soffocare un incendio…” La voce di Ron era così fioca che solo Percy ed Harry seduti al suo fianco si accorsero che egli aveva mormorato qualcosa.
“Bene. Immagino sia tutto, la ringrazio ancora Professor Esperanthus la sua collaborazione è stata fondamentale. Lasci che l’accompagni, ora.” Salutando tutti, il Professore si avviò insieme a Gawain Robards verso l’uscita, lasciando soli Harry Potter ed i due fratelli Weasley.
** * **
Harry si tolse gli occhiali e cominciò a pulirli accuratamente con la manica come era solito fare quando era pensieroso. Senza lenti da vista, la sua miopia gli impedì di notare il discorso silenzioso che due paia di occhi celesti compivano a pochi centimetri dal suo naso, così quando Ron cominciò a parlare la sorpresa rischiò di fargli cadere gli occhiali.
“Ho bisogno di ragionare a voce alta. Credo di aver capito qualcosa, ma non ho idea di cosa.”
“Ok, vai avanti. Siamo qui” Lo incoraggiò Percy. Harry aveva visto più volte Hermione aiutare Ron a dare forma ad un’intuizione in quel modo. Di solito il risultato era assolutamente brillante, ma nessun era bravo come lei. Nessuno conosceva Ron come la ragazza che era stata innamorata del rosso prima ancora di sapere esattamente cosa significasse. Le poche volte che Harry aveva tentato di sostituirla, lui e Ron non avevano cavato un ragno dal buco. Sperava solo che la presenza di Percy cambiasse le cose.
“Sì, allora … Cerchiamo di combinare quello che sappiamo dal messaggio che Diodora ci ha recapitato con quello che ci ha detto Esperanthus.”
Gli altri due annuirono.
“Il messaggio parlava di tre lune, la pozione deve essere preparata seguendo i cicli lunari, ok?”
“Esattamente, è plausibile siano i tre giorni che servono perché la pozione sia utilizzabile …” Percy si alzò per esaminare il calendario. “Abbiamo ragione, tra tre giorni avremo la nuova luna.”
“Va bene, quindi abbiamo tre giorni questo lo sapevamo già.” osservò Harry “Mi preoccupa di più quel particolare della quarta luna di sangue…”
“Luna di sangue è evidentemente un annuncio di morte scaduto l’ultimatum, così come è piuttosto chiaro che Diodora userà lo strumento che preferisce per distruggere ed uccidere: il fuoco. Ma siccome vuole dimostrarci la sua grandezza non si accontenterà di un incendio normale, no. Se ho ben capito quello che ha detto Esperathus, l’incantesimo le consentirà di crearlo dal mare e dal ghiaccio …” spiegò Percy, ottenendo l’immediato assenso del fratello.
“Quella donna è una dannata egocentrica con la sindrome della prima della classe …” mormorò Harry.
“Bene, stiamo facendo progressi. Ora il messaggio parlava di una serva che la precederà. Percy, mi spiace, ma io credo che il riferimento sia ad Audrey ed anche Harry lo ritiene plausibile.”
Il fratello stette un momento in silenzio. Era chiaro che stava cercando di lasciare da parte le proprie emozioni per ragionare nel modo più obiettivo possibile.
“Il rapimento potrebbe costituire una sorta di presa di possesso, in effetti. Se io rapisco una persona, me ne impadronisco, la prendo contro il suo volere… E’ logico, sì.” La voce gli tremò un attimo mentre concludeva.
“Dunque “La sua serva ad aprirle la strada” che cosa può voler dire?” domandò Harry.
Gli altri scossero la testa. “Il professor Esperanthus ha detto che la pozione richiede un ottimo pozionista, pensate che sia per questo che ha rapito l’auror Wallace?” ipotizzò.
Putroppo Ron escluse subito la sua supposizione. “Non credo, Diodora Mackenzie è figlia di due speziali, da quel poco che sappiamo, anche se è stato educata a casa, era un asso in Pozioni. Ed anche ammesso che quello fosse il suo scopo nel rapire qualcuno, perché Audrey? Lei è un auror, non una pozionista. E' molto più addestrata, perché prendersi tanto disturbo, quando avrebbe potuto rapire un Professore di Pozioni in pensione? Non è plausibile. Diodora non prende rischi che potrebbe evitare. E’ troppo perfezionista per questo.”
“Infatti, poi Audrey non è un granché con queste cose… Cavolo, compra la sua pozione anticoncezionale dallo speziale.” Confessò candidamente Percy, una nota di nostalgia che faceva stringere il cuore nella voce.
In altre circostanze quell’affermazione avrebbe scatenato la reazione di Ron che l’avrebbe sgridato per averlo reso partecipe di particolari della sua vita sessuale, quel giorno il fratello si limitò a dire. “La troveremo, vedrai, Perce.”
“Ok ed allora, perché lei?” chiese di nuovo Harry
“Non so, posso solo immaginare che avesse bisogno di tradurre delle rune o qualcosa di simile.” Suggerì Ron. Era un’ipotesi che aveva maggiori chances di essere vera di quella di Harry ed egli non voleva confessare nemmeno a loro due che temeva ci fosse stata una talpa al Quartier Generale che avesse spifferato a Diodora Mackenzie il ruolo che Audrey aveva avuto nel decifrare la pergamena. Entrambi, date le circostanze, si sarebbero scatenati per cercarla, perdendo di vista l’obiettivo. Ron stesso doveva farsi forza continuamente per andare avanti e non disperdere le energie preziose per il caso, quando avrebbe voluto solo identificarla e mandarla a processo per tutto il male che aveva fatto a persone che stimava ed amava.
“Può darsi, sì.” Percy non sembrava del tutto convinto, ma era sicuramente più interessato a continuare nella speculazione che ad arenarsi. “Quella cosa che hai bisbigliato, prima, quella dell’esplosione che intendevi dire?”
“Ehm, sì. Pensavo a quello che ha detto il Professore che il libro dice che il simile sconfigge il simile, è vero. Talvolta per soffocare un incendio si provoca un’esplosione che privi il fuoco dell’ossigeno che l’alimenta, è fisica, no?”
“Sì… Quindi di fatto stai dicendo che per vincere Diodora dobbiamo poter manipolare gli elementi ed utilizzare la magia pura anche noi?” chiese Harry.
“Non è che lo dico io, è quello che il libro sembra suggerire.”
“Sì, ma è impossibile, Ron.” Obiettò il moro.
“La pergamena dice il contrario.” Fece notare Ron
“Ok, ma dimentichi la pozione e tutto il resto … Non abbiamo tempo per prepararla. Abbiamo solo tre giorni.”
“Sì, ma … C’è qualcosa che non mi spiego, ma so di sapere che c’è un modo …” Nel momento in cui pronunciava quelle parole si rese conto che sapeva esattamente qual’era e il volto del fratello maggiore suggeriva che Percy aveva avuto la sua stessa intuizione.
Un'intuizione che faceva sembrare a Ron che l’inferno promesso da Diodora Mackenzie si fosse spalancato sotto i suoi piedi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Di sconforto, scoperte e speranza ***
CAPITOLO XI
DI SCONFORTO, SCOPERTE E SPERANZA
Harry Potter aveva assistito a quella scena molte, troppe volte. Era una cosa che detestava, una conversazione silente dalla quale veniva escluso, mentre gli altri due riuscivano a capirsi a meraviglia: l’aveva visto fare da Ron ed Hermione da quando avevano dodici anni. Ciò che lo sorprendeva questa volta era che a comunicare senza parole con il suo migliore amico non fossero i grandi occhi castani di sua moglie, ma quelli altrettanto azzurri di Percy.
Qualsiasi cosa si fossero detti era tutt’altro che confortante, qualunque soluzione avessero escogitato pareva che la cura fosse altrettanto spaventosa della malattia. Questo era chiaro persino a lui. Lo sguardo che i due fratelli si stavano scambiando era assolutamente terrorizzato.
Ron Weasley era l’uomo più coraggioso che avesse mai conosciuto. Harry Potter l’aveva visto restare in piedi dopo aver assistito alla morte di Fred. Anzi, facendo mente locale, egli aveva osservato entrambi i Weasley seduti al tavolo con lui in quel momento, continuare a combattere dopo quella tremenda tragedia. Una volta sola nella sua vita Harry aveva visto il volto di Ron assumere quell’espressione di assoluta disperazione: nella cantina di Malfoy Manor tanti anni prima. Qualunque cosa stesse accadendo non era nulla di buono.
** * **
Percy fu il primo a rompere il silenzio. “Dev’esserci un altro modo. Non posso permettertelo, Ron.” Sussurrò.
“In tre giorni?” Chiese l’altro, una nota disperata nella voce.
“Non posso chiederti di mettere in pericolo la tua famiglia, per provare a salvare la mia. So che me l’hai promesso, ma dev’esserci un altro modo.”
“Non si tratta solo di Audrey, ma dell’intero mondo magico, Percival. Non ci sarà nessuna famiglia se non fermiamo quella pazza, purtroppo. In ogni caso lei fa parte della mia famiglia esattamente come te.”
“Ok… Ma Audrey è un auror è addestrata per queste cose, ha scelto questa vita, Hermione … Lei …”
A quel punto, Harry che aveva osservato sino a quel momento la conversazione tra i fratelli sempre più stupito e preoccupato, domandò “Che c'entra Hermione, ora?”
Gli altri due lo guardarono come se si accorgessero improvvisamente di nuovo della sua presenza. Ron si limitò a scuotere la testa, nascondendo il viso tra le mani. Per qualche secondo Harry lo fissò allibito: vedere un auror di un metro e novanta singhiozzare era qualcosa che avrebbe impressionato chiunque, vedere Ron Weasley, eroe della guerra magica, decorato al valore che egli non aveva visto piangere che un paio di volte nella sua vita, avere praticamente una crisi isterica, era qualcosa che gelò il sangue nelle vene del Capitano Potter.
Fu infine Percy a vocalizzare la conclusione che aveva ridotto Ron a pezzi.
“L’ipotesi è questa se la pozione simula uno stato di gravidanza per permettere a Diodora di maneggiare la magia pura e il libro suggerisce che solo un potere simile può sconfiggere colei che lo utilizzi, l’unica soluzione per cercare di fermarla è utilizzare lo stesso tipo di magia e, poiché non abbiamo il tempo di riprodurre la pozione ed utilizzarla su un’auror, ci serve una donna incinta.”
“Oh…”
“Peraltro, se ho ben compreso quello che intendeva dire Ron, utilizzando la metafora dell’esplosione e dell’incendio, è probabile che uno stato di gravidanza reale sia un catalizzatore migliore per la magia pura rispetto ad una simulata, più piccolo il bambino più grande la protezione fornita alla madre. Naturalmente si tratta di pura teoria. Nessuno può sapere se funzionerà… Se il libro sbaglia …”
Harry alzò le dita della destra, arrestando la spiegazione di Percy, non che c’e ne fosse bisogno, il terzogenito Weasley s’era già fermato di fronte all’enormità delle conseguenze di quel pensiero.
“Hermione, eh?” mormorò, ma tutti sapevano che si trattava di una domanda retorica. Se solo ci fosse stata un’auror incinta, forse… “Robards, non ci permetterà mai di coinvolgere un civile.”
Era vero. Ma avevano forse altra scelta?
** * **
“Thabatha, vieni un momento. Credo d’aver trovato qualcosa.”
Fergus non era mai stato un granché con il latino. Sapeva però che Thabatha aveva ricevuto una coccorda quando si era diplomata all’Accademia per essersi particolarmente distinta nello studio e nella traduzione delle lingue antiche: tutti pensavano che gli auror dovessero intendersi solo di combattimenti magici e incantesimi. Non era così, competenze intellettuali e mediche erano altrettanto fondamentali. Ogni anno l’Accademia premiava i diplomandi che avevano particolarmente brillato in ciascuna disciplina, era un grandissimo onore: lui stesso aveva una coccarda simile per aver eccelso nelle arti di primo soccorso e ne aveva notata una identica nella bacheca del Capitano Weasley, solo su quella del suo superiore la targhetta recitava “Strategia e Organizzazione.”
Non appena la ragazza si fu avvicinata, Fergus le mostrò un brano in latino in un grosso registro antico. “Traducimelo, per cortesia.”
“Certo. Dunque, dice 5 settembre 1666 – Londra – Arrestato Dioscurus Mackenzie di Alastair e Atalanta Farynor – 25 anni – Sospettato di aver appicato un incendio a Pudding Lane, presso la casa del nonno materno – Ogni oggetto e la bacchetta riscontrati in possesso del sospettato sono stati requisiti dal Ministero – Il processo è fissato davanti al Wizengamot per il 1 ottobre 1666.”
Thabatha lo guardò piena di speranza, erano ore che cercavano senza risultato e forse quella era una svolta.
“Avevo capito più di quanto pensassi. Meno male. Forse …”
“Assolutamente …” concordò lei. “Ehi, ehi, scusatemi…”
Quando si rese conto che gli altri auror affaccendati nelle rispettive ricerche e conversazioni non le davano retta, si puntò la bacchetta alla gola, mormorando Sonorus, poi ripeté “Ragazzi, per favore…” La sua voce amplificata richiamò infine l’attenzione di tutti i presenti.
“Fergus ha trovato notizie dell’arresto di un certo Dioscurus Mackenzie nel 1666 – Sembra che fosse stato fermato per aver appiccato un incendio a Londra nel settembre di quell’anno, gli furono requisiti degli oggetti magici, forse è quello a cui si riferisce il messaggio. Dobbiamo cercare notizie sui suoi discendenti e sul suo processo. Ci servono gli atti del Wizengamot dell’ottobre 1666.”
A quel punto Rednails la guardò stupito “Hai detto settembre 1666?”
Thabatha spiegò “Sì, 5 settembre 1666, qui si parla di un incendio scoppiato a Pudding Lane.”
“Non ne avete idea, vero?” chiese l’auror più anziano agli altri due.
Entrambi scossero la testa.
“Il grande incendio di Londra, quello che distrusse gran parte della City arse Londra dal 2 al 5 settembre 1666.”
Tutti i presenti si guardarono un momento basiti. Sembrava che avessero trovato una pista.
** * **
Hector Rednails muoveva freneticamente il grosso indice della mano destra, tenendo il segno, sopra la pagina di pergamena di un grosso volume di cuoio brunito. Era il registro del Wizengamot del 1666, le annotazioni vergate in una calligrafia un po’ pomposa in inchiostro nero da qualche funzionario del Ministero, oltre trecent’anni prima. Fergus non ne aveva mai consultato personalmente uno di quei tomi, ma sapeva, per sentito dire, che in quel genere di volumi venivano riportate tutte le sentenze emesse dal Tribunale Supremo dei Maghi.
“Non c’è.” Mormorò il grosso auror, una certa sorpresa nella voce baritonale.
“Come è possibile?” Chiesero in coro lui e Thabatha.
“Non so. Se Mackenzie fosse stato giudicato dal Wizengamot, dovrebbe essere qui. Potrebbe darsi che la sentenza sia stata emessa nel 1667, ma ne dubito, all’epoca si tendeva a fare tutto più velocemente di oggi e … In un caso del genere, uno che è stato tra i casi alla base dell’istituzione dello Statuto di Segretezza del 1692, almeno secondo quanto dice il Preambolo dello stesso, sicuramente ci sarebbe stata una particolare urgenza… Certo che se l’avessero chiamato il caso Dioscurus Mackenzie, anziché Grande Incendio, sarebbe stato più semplice per noi individuarlo, ma dall’altra parte chi poteva immaginare che, oltre tre secoli dopo…”
Non era la prima volta che Fergus notava che il suo maturo collega tendeva a blaterare a voce alta quando era nervoso. Al momento però un po’ più di sintesi sarebbe stata gradita, oltre che necessaria. Lo interruppe.
“Hector, cosa significa se una sentenza non è in quel libro?”
“Beh, se non c’è, significa che non c’è.” Spiegò
Oh certo, detto così era tutto più chiaro.
“Fergus, significa che non c’è stata, non esiste, non è stata pronunciata. Dev’essere successo qualcosa che ha impedito al Wizengamot di pronunziarla. Ad esempio una grazia, una fuga del sospettato, la sua morte.” Chiarì Thabatha che evidentemente era stata in grado di rendere intellegibile la risposta di Rednails.
“Nessuno scappa da Azkaban.” Obiettò quest’ultimo all’affermazione della ragazza.
Sebbene la fuga di Sirius Black e di numerosi Mangiamorte durante la seconda Guerra Magica avesse fatto di quella frase ormai poco più che un manifesto, era sicuramente consigliabile controllare prima le altre alternative.
“Va bene, verifichiamo queste alternative: io prendo il registro dei provvedimenti di clemenza del 1666.” Disse Thabatha.
“Io, i registri di morte ad Azkaban.”
“Ed io, invece andrò a verificare se gli altri hanno trovato qualche legame concreto tra questo Mackenzie e la nostra. Potrebbe anche darsi che non vi siano collegamenti tra i due ed allora dovremo ricominciare da capo.” Concluse Rednails, massaggiandosi il collo taurino, come se aver passato tanto tempo su dei vecchi registri avesse aggravato la cervicale di cui notoriamente soffriva.
** * **
Due ore dopo, Thabatha Goldielocks attendeva fuori dall’ufficio di Harry Potter per parlare con il suo superiore. Era contenta perché il duro lavoro che la squadra alla quale era stata assegnata aveva fatto degli importanti passi in avanti. Erano stati molto fortunati, ma soprattutto scrupolosi. Quando Fergus l’aveva chiamata per tradurre quel trafiletto su Dioscurus Mackenzie, la giovane era stata presa da una sensazione positiva di speranza. Certo, tutto sembrava contro di loro, le minacce di Diodora Mackenzie quanto mai spaventose, l’idea di cosa potesse essere di Audrey in quelle ore la spaventava a morte, ma, finché ci fosse stata la possibilità di lavorare, di cercare indizi e combattere avrebbero dovuto essere fiduciosi.
Per tutto il pomeriggio la ragazza aveva infuso coraggio ai suoi compagni di lavoro: ora si sentiva assolutamente esausta, le sue energie mentali, prima ancora che fisiche consumate, ma sembrava che quel lumicino di speranza che si era acceso dentro di lei continuasse a guidarla. Era poco. Era tutto quello che aveva nel buio. Non vi avrebbe rinunciato.
La porta alle sue spalle si aprì.
“Entra Auror Goldielocks”
Harry stava seduto dietro la sua scrivania, il viso teso, non s’era alzato per aprirle la porta, l’aveva fatto con la bacchetta.
“Signore, ho il rapporto sulle ricerche che abbiamo fatto sulla famiglia Mackenzie.”
“Bene, siediti”. Mentre la ragazza prendeva posto, il Capitano Potter cominciò a leggere le dodici pagine che Thabatha aveva scritto.
Furono venti lunghi minuti di silenzio, in cui l’auror non aveva null’altro da fare che guardare il suo superiore leggere: a venticinque anni Harry Potter non avrebbe dovuto avere tante rughe d’espressione ai lati degli occhi, né occhiaie così profonde. Il loro lavoro era stressante, la necessità di essere lucidi ed imparziali sempre presente, ma probabilmente nel caso del Salvatore del Mondo, quell’aria un po’ vissuta, quell’essere un po’ invecchiato dalle esperienze più che dagli anni aveva radici più profonde. Qualche volta si era chiesta come mai, dopo aver sacrificato la sua adolescenza alla Guerra Magica contro Tom Riddle, il Capitano Potter avesse scelto di fare l’auror, se non fosse stato stufo di combattere. Forse alcuni nascevano con un percorso già segnato per loro.
Harry aveva completato la lettura.
“Quindi riassumendo in due parole, questo tale Dioscurus Mackenzie sarebbe un antenato di Diodora. Il Ministero l’avrebbe arrestato nel 1666 per il Grande Incendio e sarebbe morto ad Azkaban due giorni dopo.”
“Esatto, signore.”
“Sappiamo che gli furono confiscati dei beni, oltre alla bacchetta, al momento dell’arresto, ma non esistono inventari.”
“Sissignore.”
“Dici che fu ucciso in un tentativo di fuga da …” Harry scartabellò il rapporto trovando la pagina che cercava “una guardia. Intendi un dissennatore?”
“Nossignore, i dissennatori non furono ingaggiati per Azkaban che molti anni dopo. Fu ucciso da un maleficio scagliato da un mago. Non siamo stati in grado di individuarne l’identità. Il padre di Mackenzie chiese la restituzione delle spoglie e dei beni del figlio ed un’inchiesta. Il Ministero aprì una pratica. Nulla risulta della sua istruzione. Non risulta nemmeno la consegna del corpo ai parenti.”
“Fu insabbiata.” Concluse Harry.
“Non abbiamo elementi per dirlo con certezza, signore.” Fece notare lei, ma entrambi sapevano che in quegli anni il Ministero non era esente dalla corruzione esattamente come non lo sarebbe stato secoli più tardi.
Harry stette un attimo in silenzio. Gli occhi verdi fissi su un punto nel vuoto. L’aveva già visto altre volte comportarsi così.
“La biblioteca, quella di Mackenzie Manor, andata in fiamme … Abbiamo fatto un inventario dei libri che conteneva?”
“Sissignore.”
“Posso vederlo?”
Alzandosi Thabatha colpì due volte lo schedario della M nella cassettiera, il suo polso disegnò un movimento circolare nell’aria. Il documento che Harry aveva chiesto si depositò dolcemente sulla scrivania.
Due minuti più tardi, il pugno di Harry batté violentemente sul tavolo. “Cazzo! Ce l’abbiamo avuto sotto il naso tutto questo tempo, l’ho avuto sotto il naso tutto questo tempo. Guarda.”
Sporgendosi un po’ avanti per vedere cosa le stesse mostrando, Thabatha lesse. “1 volume di pelle di mamba nero – De frigidus ignis consumens distrutto”
“Qualcuno di famiglia aveva insegnato alla piccola Diodora il suo gioco preferito pare... Come diavolo ho potuto non accorgermene?” Harry pareva furioso per aver ignorato quel particolare. Era stato lui ad interrogare Diodora Mackenzie, dopo l’incendio a casa sua ed ora sembrava che si addossasse tutta la colpa per aver sottovalutato ciò che era stato raccolto. Thabatha avrebbe voluto rincuorarlo, spiegargli che quando aveva esaminato per la prima volta le prove non potevano immaginare che l’incendio fosse stato appiccato da Diodora e perciò quei particolari apparivano trascurabili.
“Ma Capitano cosa può aver requisito il Ministero a Dioscurus Mackenzie?” chiese.
“Non lo so, ma dobbiamo capirlo al più presto.” Soggiunse lui. “Vai a casa, Thabatha. Sono le nove e mezza passate. Devi riposare, domani sarà un’altra difficilissima giornata.”
** * **
Da quanto era entrato nell’ufficio del Capitano Weasley mezz’ora prima, Fergus non riusciva più a concentrarsi. Il suo superiore era più pallido di un cencio, non che normalmente la sua carnagione non fosse lattea sotto le lentiggini. Quando gli aveva domandato se volesse mangiare qualcosa, essendo da tempo passata l’ora di cena, Ron aveva rifiutato e l’aveva invitato ad andare a casa. Ma egli non aveva nessuno che l’attendesse nel piccolo bilocale dove abitava, il Capitano invece aveva una bella moglie innamorata, perché allora lui non era ancora rientrato a casa? C’era la possibilità che quelli fossero gli ultimi giorni che restavano loro da vivere, perché non passarli per quanto possibile con chi amavano?
Quasi fosse un segno del fato, mentre quel pensiero attraversava la mente di Fergus, Thabatha uscì infine dallo studio del Capitano Potter. Aveva l’aria stanca, eppure quando lo vide guardarla, gli sorrise. Come sarebbe stato bello se qualcuno l’avesse accolto con quel sorriso quando fosse rientrato a casa.
La ragazza di avvicinò alla sua scrivania, depose i documenti che aveva in mano e andò all’attaccapanni per prendere il suo mantello. A metà strada si fermò, pensierosa.
“Fergus hai impegni, stasera?”
“Io…” Possibile che Thabatha gli leggesse nel pensiero?. “No, non direi.”
Alla sua risposta, lei arrossì. Prese un respiro e disse. “Mia madre mi ha mandato nuovamente la sua mince pie speciale, ne fa sempre una quantità industriale … Vorresti …” si interruppe un momento. “Senti, Fergus, date le circostanze, è stupido girarci intorno, per quello che ne so dopodomani potremmo essere tutti feriti o peggio, quindi … Tu mi piaci, Fergus. Tanto. Ed io … Io non ho nessuna voglia di passare questa sera sola, per cui se vuoi … Se mi trovi, almeno un pochino carina … Ti andrebbe di venire a casa con me?”
Per un attimo Fergus la guardò senza capire cosa stesse succedendo. S’era addormentato alla scrivania era evidente e quello era un sogno. Ma se non lo fosse stato? Avrebbe mai avuto un’altra occasione simile? Anche se avessero sconfitto Diodora, chi gli assicurava che lei non avrebbe preferito qualcun altro a lui, per esempio Van Domme? Il solo ricordare cosa aveva provato vedendoli insieme al ristorante lo fece alzare dalla sedia.
“Assolutamente sì.” Pronunciò
Thabatha sorrise, recuperò entrambi i loro cappotti, prima di prenderlo per mano, dirigendosi verso gli ascensori.
“Grazie.” Sussurrò quando le loro mani si toccarono.
“Thabatha”
“Mmmm”
“Per la cronaca, tu sei uno schianto, non un po’ carina.” Poi quasi il pensiero lo colpisse solo in quel momento, aggiunse “Ma tua madre l’ha fatta veramente la mince pie, perché la mangerei volentieri, sai?”
------------
Allora che ve ne pare? Ormai sapete (quasi) tutto ciò che so io. Vi è piaciuto il capitolo? Non vi è piaciuto? Ditemelo, vi basta un click. L.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Di istinto, intermezzi ed insubordinazione ***
Nota dell’autrice: ho cercato di aggiornare con rapidità senza rinunciare alla sostanza del capitolo. Grazie a tutti coloro che commentano, inseriscono la storia tra le preferite, le ricordate o le seguite.
CAPITOLO XII
DI ISTINTO, INTERMEZZI ED INSUBORDINAZIONE
Nei quattro anni in cui era stato sposato Ronald Weasley non ricordava di aver mai guardato la porta della propria abitazione temendo di attraversarla. Oltre quell’uscio c’era tutta la sua vita. Hermione Granger sarà anche stata un’eroina della guerra magica, un Ordine di Merlino Prima Classe, la strega più brillante del loro tempo, l’impiegata più straordinaria che il Dipartimento per il controllo delle Creature Magiche avesse mai avuto, ma non era questo quello a cui Ron stava pensando. No, quando guardava sua moglie lui vedeva ben altro: la bambina con i denti sporgenti e i capelli cespugliosi, la piccola so-tutto-io che gli dava sui nervi, la ragazzina che aveva dato uno schiaffo a Draco Malfoy, la ragazza che aveva danzato al Ballo del Ceppo con Victor Krum finché il suo stomaco non si era tanto contorto da dargli la nausea, quella che aveva visto cadere all’Ufficio dei Misteri sotto il maleficio silenzioso di Dolohov, la strega che dopo aver passato lunghi interminabili minuti a contorcersi per la gioia di Bellatrix Lestrange, s’era sorretta alla sua spalla per dare l’ultimo addio ad un Elfo Domestico, la giovane donna che aveva baciato nella Stanza delle Necessità, la donna che aveva sposato nel matrimonio più babbano al quale uno Weasley avesse presenziato, la madre dei suoi figli. Come avrebbe potuto chiederle di mettere di nuovo la sua vita a repentaglio? Cosa ne sarebbe stato di lui se qualcosa fosse stato storto? Non poteva rispondere a quella domanda. Non poteva focalizzarsi su quell’eventualità, la doveva seppellire così in fondo alla propria anima che nessuno avrebbe potuto farla riemergere. Avrebbero sconfitto Diodora Mackenzie, avrebbero salvato Audrey e il mondo magico. Sarebbe andata così.
La porta si aprì senza che lui avesse toccato la maniglia facendolo sussultare.
La donna in questione lo fissava stranita in tutto il suo metro e sessantacinque.
“Ron, cosa c’è?”
** * **
Aveva ascoltato in silenzio tutto ciò che Ron aveva da dirle. Aveva paura? Probabilmente sì, ma al momento non aveva ancora elaborato a sufficienza la notizia per poter focalizzarsi anche su soltanto una di quelle informazioni. Non era la prima volta che Hermione si trovava nella condizione di prendere una decisione dalla quale sarebbe dipeso non solo il suo futuro, ma più verosimilmente quello dell’intero Mondo Magico, quello di tutte le persone che amava. Non che l’esserci già passata rendesse la situazione più semplice.
Suo marito sembrava essere stato investito da uno schiacciasassi.
Da che si ricordava Ron aveva sempre cercato di mostrarsi forte dinanzi a lei, quell’atteggiamento aveva minacciato di mandare in pezzi la loro relazione, quanto aveva dovuto combattere per dimostrargli che non doveva soffocare il suo dolore e aprirsi con lei, dopo la morte di Fred. Anche dopo che aveva vinto con estenuante pazienza quelle barriere che il ragazzo s’era illuso di dover ergere per proteggerla da sè, le occasioni in cui s’era veramente lasciato andare di fronte a lei erano rare e sintomo di una sofferenza così profonda da rischiare di sopraffarlo, se non manifestata almeno in minima parte. Per un momento aveva pensato egoisticamente che se per una volta Ron fosse tornato a quell’atteggiamento di silenzioso ed impassibile martirio, l’avrebbe apprezzato. Ciò che le aveva detto era già difficile da elaborare senza dover pensare anche alla sua di sofferenza. Nel momento stesso in cui aveva formulato quel pensiero, Hermione s’era sentita malissimo per averlo fatto. Se c’era una cosa chiara in questa faccenda era che quella era un’emergenza che avrebbero affrontato insieme: insieme avrebbero trionfato, insieme sarebbero caduti.
Si costrinse a parlare.
“Hai ragione. Non abbiamo altra scelta.”
Il volto di Ron era così pallido sotto le lentiggini che sembrava sarebbe svenuto da un momento all’altro.
Alzandosi dal divano, prese nella sua piccola mano quella molto più grande di suo marito. “Andiamo a letto.” Sussurrò.
Ron la guardò perplesso. Le sue iridi blu alla ricerca di una spiegazione.
“Se non so cosa sarà di noi domani, voglio sapere che ho passato tutto il tempo che avevo a disposizione dimostrandoti quanto ti amo.”
Non sapeva cosa sarebbe stato di lei e della piccola vita che custodiva, non sapeva se avrebbe visto il sole tramontare ancora più di due volte, quello che sapeva era che avrebbe fatto tutto il necessario ed al momento ciò che era necessario era fare l’amore con il suo uomo finché non le fosse mancata la forza per un bacio in più.
** * **
Avrebbe dovuto dormire. Non poteva. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva Audrey, il pensiero di averla lasciata sola, in pericolo, probabilmente terrorizzata lo soffocava.
Per l’ennesima volta nella sua vita Percival Ignatius Weasley si sentiva di aver completamente fallito. Dicevano che era un uomo tutto d’un pezzo, affidabile, puntuale. Tutte qualità di cui il Procuratore Weasley era orgoglioso. Tutte qualità che erano ridotte a nulla, ora. Cosa diceva di un uomo il fatto di non essere nemmeno in grado di difendere la donna che amava? Non l’aveva protetta ed ora sarebbe toccato al suo fratellino e ad Hermione rischiare tutto ciò che avevano per tentare di rimediare alle sue mancanze.
La storia aveva un modo veramente sadico di ripetersi. Sentiva una nausea tremenda. Dubitava che nel suo stomaco ci fosse ancora qualcosa che poteva sputare. Un uomo di trent'anni che aveva mandato ad Azkaban un numero non meglio precisato di criminali e Mangiamorte e tutto quello che poteva fare ora era stare a guardare. Guardare il contenuto del suo stomaco ripresentarsi contro la ceramica bianca, guardare le vite delle persone che amava sconvolte. No, Percy Weasley era stufo di stare a guardare. Se il fato gli avesse concesso di avere un futuro, gli avesse concesso di riavere Audrey avrebbe smesso di essere uno spettatore, questo era poco, ma sicuro.
Appoggiando la testa alle piastrelle dietro il suo capo, lanciò alla cieca un incantesimo insonorizzante sulla stanza.
Nessun altro sentì una bacchetta di cedro da dodici pollici impattare con le piastrelle di ceramica scivolando tra le dita della sua sinistra.
Nessun altro sentì i suoi singhiozzi disperati squarciare l’assoluto silenzio del piccolo bagno del suo appartamento.
** * **
L’orologio digitale sul suo comodino segnava le 4.46. Il braccio intorno alla sua vita nuda un memento tangibile di ciò che era successo.
L’alba era ancora lontana, ma i suoi pensieri l’avevano svegliata. Talvolta le pareva che gli ingranaggi del suo cervello vorticassero così velocemente che era inevitabile il suono la destasse.
In un altro frangente si sarebbe trovata estremamente a disagio in quella situazione. In un’altra eventualità la giovane avrebbe censurato la sua stessa condotta. In un’altra vita si sarebbe presa il lusso di scoprire pian piano cosa avrebbe potuto essere tra loro.
Diodora Mackenzie aveva mandato in fumo i suoi progetti. Per la prima volta da che ricordava aveva ascoltato il suo istinto e s’era buttata a capofitto in qualcosa. Quella criminale aveva in mente di togliere loro il futuro, lei sapeva con la certezza della fede in quello che aveva scoperto che non gliel’avrebbe mai permesso.
Era troppo presto per rinunciare a ciò che era appena sbocciato. Per una volta avrebbe lottato con puro ed incondizionato egoismo.
Accolandosi più stretta nell’abbraccio di un Fergus ancora addormentato, Thabatha Goldielocks promise silenziosamente a se stessa che avrebbe avuto altri cento, mille momenti come quelli. Diodora Mackenzie era in un mare di guai.
** * **
Audrey non sapeva quanto tempo era trascorso. Era stata una battaglia estenuante cercare di mantenere anche un minimo di coscienza di sé per tutto quel tempo. Era come fluttuare in un fluido di enorme densità, un esercizio che richiedeva tutta la concentrazione possibile e che minacciava di esaurire le sue ultime energie, ma era valsa la pena.
Come tutte le persone abituate a vivere sole, a bastare a se stesse, Diodora aveva l’abitudine di parlare tra sé e sé a tono così basso da essere quasi impercettibile, mugugnare più che altro. Audrey stessa lo faceva spesso. La sua infanzia solitaria, educata magicamente da maestri privati di volta in volta scelti negli spostamenti da un luogo all’altro per il lavoro di suo padre, aver vissuto per anni sola l’aveva resa un asso di quest’arte. Ciò che probabilmente la Mackenzie non sapeva era che la connessione che aveva creato tra loro per tenerla completamente soggiogata aveva reso la giovane Auror estremamente più sensibile del normale a ciò che circondava la sua carceriera. I suoi sussurri udibili per lei come se fossero stati urlati.
Parola per parola, lei aveva appreso il piano della strega nei minimi dettagli, in tutta la sua spaventosa gravità, il suo ruolo, così tremendo che tremava al pensiero di ciò che l’attendeva. Quello che Diodora non immaginava era che lottando minuto dopo interminabile minuto per pensare, Audrey aveva elaborato un piano per cercare di sabotarla. Se solo avesse potuto contattare gli auror, se solo ci fosse stato un modo per trasmettere un messaggio a Ron e gli altri. Un’esperta di lingue e crittografia incapace di comunicare, se Audrey non fosse stata tanto disperata, l’avrebbe trovato ironico.
Doveva esserci un modo e la giovane auror avrebbe dedicato sino al suo ultimo respiro per trovarlo.
** * **
“Ho parlato con Robards appena è arrivato al Ministero questa mattina…”
Se non fosse stato per l’accenno di barba non rasata sulle guance del suo migliore amico, Hermione avrebbe pensato di essersi risvegliata ad Hogwarts nel bagno di Mirtilla Malcontenta a preparare di nascosto un calderone di pozione polisucco. A pensarci bene però se avesse avuto nuovamente tredici anni, l’uomo appoggiato alla finestra del bagno dietro di lei non sarebbe stato suo marito e le sorti del mondo letteralmente nelle sue mani.
“… non intende prendere in considerazione il piano di Ron. Il Ministero non può rischiare la vita di un civile, tantomeno se è una donna incinta. La pubblicità negativa sarebbe devastante.”
Hermione lo guardò incredula, ma dietro di lei suo marito osservò amaro.
“Lo sapevamo, Harry. Robards non crede che Diodora possa realmente manipolare la magia pura, pensa che l’incantesimo non possa funzionare. Il coglione non si rende conto che se quella pazza ha ragione l’ultima cosa di cui dovrà preoccuparsi è la cattiva pubblicità.”
“Ed allora che faremo?” chiese sua moglie.
“L’unica cosa possibile: guadagnarci un altro Ordine di Merlino Prima Classe, infrangendo tutte le regole che esistono.” Sentenziò Harry. Non aveva bisogno di cercare lo sguardo di Ron per sapere che il suo consorte era perfettamente d’accordo con lui.
Hermione annuì. “Non mi sarei aspettata nient’altro. Sarà meglio avvertire Percy."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Di amanti, amici ed Auror ***
Pubblico così e domattina rileggo. Capitolo sostanzioso, spero vi piaccia. Grazie a tutti i miei lettori.
CAPITOLO XIII
DI AMANTI, AMICI ED AUROR
Se una persona che non lavorava al Dipartimento degli Auror avesse osservato il volto di Fergus Finnigan quella mattina mentre si recava al Ministero della Magia avrebbe pensato che il ragazzo non avesse una sola preoccupazione al mondo, solo una vita perfetta ed un futuro brillante innanzi a sè.
Non era affatto così.
Il pericolo rappresentato da Diodora Mackenzie pesava sulle spalle del giovane come un macigno. Come ogni altro Auror coinvolto nel tentativo di fermare la strega, Fergus sentiva che il tempo scorreva implacabile ed ogni minuto, ogni secondo, lo avvicinava un po’ più al momento in cui ella avrebbe messo in pratica le minacce descritte nella lettera inviata ad Harry Potter. Era una prospettiva che lo terrorizzava, ma ciononostante quella mattina Fergus riusciva a sentire dentro di sé una forte fiducia che tutto sarebbe andato per il meglio. Non era un sentimento razionale, non si basava sui fatti e l’Auror si stupiva di reagire così alla difficile situazione in cui si trovava. Di solito valutava attentamente ogni particolare e da questi inferiva, in virtù di un calcolo squisitamente logico, le probabilità che un evento si verificasse in luogo di un altro: in questa occasione tutto questa ponderazione era stato gettata al vento. Ci sono circostanze in ciò che ci è familiare fallisce, in cui gli strumenti che utilizziamo normalmente per rapportarci alla realtà e per interpretarla non sono in grado di darci una risposta. In questi momenti, Fergus aveva imparato l’essere umano dimostra quanto sia una creatura piena di risorse, straordinaria. Quando quella mattina si era svegliato insieme a Thabatha, Fergus aveva capito di aver scoperto qualcosa di nuovo che fino a quel momento gli era sfuggito. Come avesse potuto ignorare sino ad allora la sua attrazione per la sua collega e compagna di Accademia non riusciva proprio a spiegarselo. L’unica spiegazione era che, quando ci si sente in una situazione di precarietà e di pericolo, si riconsiderano molte cose e si prende nota di particolari che, prima, l’abitudine o, semplicemente, una certa ottusaggine per le questioni di cuore, ha fatto trascurare. Quello che sapeva con chiarezza era che quella scoperta gli aveva dato una forza nuova, un ulteriore motivo per combattere, un diverso modo di reagire alle difficoltà.
Fergus non poteva sopportare l’idea di essere privato della possibilità di esplorare quello che c’era tra lui e Thabatha per i piani diabolici di Diodora Mackenzie. Il destino, qualunque cosa fosse ciò che le persone intendevano utilizzando questa parola, non poteva essere tanto crudele. Egli avrebbe lavorato come un matto per assicurarsi che tutto andasse per il meglio, consumato fino all’ultimo respiro per sconfiggere quella strega e riprendersi il suo futuro.
Quella mattina arrivando al Ministero insieme a Thabatha, Fergus sentiva che tutti i loro sforzi dovevano avere uno scopo.
Nonostante fosse molto presto la luce filtrava da sotto la porta dell’ufficio del Capitano Potter, segno che anche i loro superiori stavano cercando di lavorare al massimo delle loro possibilità per tentare di trovare una via d’uscita. Rednails non era ancora alla sua scrivania, ma il giovane auror era più che convinto che sarebbe arrivato da un momento all’altro. Li aspettava un’altra giornata alla ricerca di indizi per localizzare la Mackenzie e per determinare cosa esattamente fosse stato requisito a Dioscurus tanti secoli prima che aveva scatenato la furia di Diodora contro il Ministero.
La porta si aprì proprio in quel momento. Harry ne uscì con l’aria di chi ha molta fretta, li salutò rapidamente con un cenno del capo, fermandosi davanti alla sua assistente.
“Thabatha, è fondamentale che reperiamo una copia leggibile di quel libro, De frigidus ignis consumens, quella è la chiave che collega i due Mackenzie tra loro. Parla con tutti gli uffici, le scuole, le librerie magiche, con le biblioteche, con i privati se necessario. Dev’esserci un luogo in cui vi è un’altra copia di quel manoscritto.”
“Sissignore, signore.” Rispose lei cominciando immediatamente a cercare l’elenco di tutti i libri che erano conservati nella biblioteca del Ministero.
“Harry…” La voce di Hermione Granger-Weasley che proveniva dallo studio del Capitano Potter stupì sia Thabatha che Fergus. Non sapevano come mai lei fosse lì, tecnicamente anche se si trattava di una dipendente del Ministero che tra poco sarebbe passata al loro dipartimento e di una del Trio Magico, la donna doveva essere estranea ad indagini riservate, solo un gruppo scelto di auror sapeva esattamente qual’era la posta in gioco, anche loro due che pure erano gli assistenti dei Capitani Potter e Weasley conoscevano il contenuto del messaggio minatorio di Diodora esclusivamente perché avevano assistito all’apertura della busta che lo conteneva.
Il Salvatore del Mondo Magico si girò verso la cognata.
“Sì?” Si vedeva chiaramente che aveva la più grande fiducia nella donna e che ogni osservazione circa la opportunità della sua presenza lì sarebbe stata non solo fuori luogo, ma stupida. Si trattava della ragazza che aveva attivamente partecipato alla sconfitta di Lord Voltemort, Thabatha e Fergus le dovevano un’infinita riconoscenza.
** * **
Harry fissava l’amica, aveva negli occhi quella luce che significava che pensava di aver capito qualcosa che eludeva invece il moro. Ron aveva perfettamente ragione, Hermione era una donna assolutamente brillante. Una persona meravigliosa la cui vita sarebbe stata messa di nuovo in pericolo, in una maniera ancora più terribile dell’ultima volta solo perché legata a loro. Non era un pensiero su cui focalizzare l’attenzione o Harry non avrebbe avuto la forza di continuare a lavorare. Non poteva nemmeno immaginare cosa stessero provando i suoi migliori amici al momento. Se solo avessero chiesto a lui di mettere in pericolo Ginny o il piccolo James sarebbe stato assolutamente distrutti, non sapeva come lei e Ron potessero combattere con questo peso. Era proprio vero che il moro aveva avuto la fortuna di incontrare delle persone formidabili sul suo cammino.
Hermione accennò un piccolo sorriso. “Sai cosa avrei voglia di fare se fossi ancora a scuola, ora? Andare in biblioteca.”
La guardò un momento perplesso. Era evidente che non erano più studenti, nonostante ciò che si erano detti poco prima. Certo, la ragazza avrebbe sempre reagito così ai problemi, se sei in dubbio, vai in biblioteca, ma quel consiglio come poteva aiutarlo ora, nessuno di loro era più nella scuola di magia da tanti anni. Era evidente che Hermione stava cercando di dargli un messaggio, ma che – tenuto conto che Robards doveva essere tenuto all’oscuro del suo ruolo nella vicenda Mackenzie – non poteva parlarle chiaramente.
Doveva essere chiaro che il suo messaggio non era stato recepito perché Hermione si mordicchiò pensosamente le labbra alla palese ricerca di un ulteriore indizio che lo mettesse sulla giusta strada.
“Harry ti ricordi come ci siamo conosciuti tu, Ron ed io?” provò.
“Sul treno”
Lei annuì, specificando “Cercando un rospo.”
Sì, certo, lo ricordava, perfettamente, Hermione li aveva conosciuti cercando nel loro scompartimento Oscar il rospo che Neville aveva perso, mentre tutti loro, si recavano ad Hogwarts per la prima volta. Ma cosa c'entrava con … Un momento … Neville … Hogwarts... Cercare in biblioteca… Neville insegnava erbologia ad Hogwarts da un paio d’anni e nella Sezione Proibita della Biblioteca di Hogwarts c’erano una quantità di libri, una quantità di libri che la sua brillante cognata aveva scartabellato da cima a fondo per capire chi fosse R.A.B. prima e cercare indizi sugli Horcrux, poi.
In quel momento Harry avrebbe voluto abbracciare la sua migliore amica e benedire quella memoria fotografica per tutto ciò che era carta stampata perché gli aveva appena risparmiato ore ed ore di ricerche infruttuose, dicendogli esattamente dove cercare per trovare il libro e come farlo senza dover coinvolgere Robards se fosse servito un’ordine dall’alto per chiederne la consegna ad un terzo.
Con voce trionfante, ordinò “Thabatha, ripensandoci, lascia perdere il libro, ti spiegherò più tardi cosa devi fare, continua con le ricerche sui beni di Dioscurus Mackenzie. Fergus, Ron vuole Seymour e Smith nel suo ufficio al più presto, cerca di metterti in contatto con loro. Se qualcuno mi cerca sono a parlare con il Procuratore Weasley. Hermione, immagino tu voglia fare quella conversazione col marito di Hannah Abbott, puoi usare il mio camino.” Disse, correndo verso il corridoio.
“Assolutamente.” Dichiarò lei prima di rientrare nell’ufficio.
** * **
Neville Paciock dormiva ancora nella sua stanza nell’ala di Hogwarts dedicata agli insegnanti. Quando era stato studente lì, non aveva mai rimuginato troppo su come doveva essere la vita dei suoi maestri. Sapeva, come era noto a tutti gli studenti, che anche loro vivevano nel castello, taluni con le loro famiglie durante l’anno scolastico, ma non si era mai preso la briga di immaginare come fosse la loro vita quotidiana al di fuori delle lezioni.
Nessuno avrebbe mai pensato che il goffo Neville, colui che aveva incendiato più calderoni di quanto fosse in grado di ricordare che aveva passato gran parte della sua fanciullezza ed adolescenza a sentirsi un imbranato senza speranza, potesse un giorno insegnare a bambini come lui. L’erbologia era stata sempre la sua materia favorita, ma senza la fiducia e l’incoraggiamento della professoressa Sprite non avrebbe mai immaginato di arrivare lì.
Le ceneri del camino di fronte al suo letto cominciarono a guizzare, le braci si mossero da sotto la coltre bianca ed il volto di Hermione emerse tra i tizzoni quasi del tutto consunti. Improvvisamente Neville si girò sul fianco, destandosi con uno sbadiglio. La sensazione di essere osservato intensamente l’aveva destato. La testa della sua compagna di scuola nel camino lo fece sussultare nel letto. Solo una certa presenza di spirito lo trattenne dall’urlare svegliando Hannah che riposava accanto a lui. Cosa poteva portare una donna con un senso della delicatezza e dell’appropriato come Hermione Granger ad apparire senza alcun preavviso nel camino della sua camera da letto un sabato mattina? Era un’ottima cosa che sua moglie avesse lavorato al Paiolo Magico sino a tardi la sera prima perché altrimenti la nuova arrivata avrebbe potuto trovarsi ad interrompere un momento molto privato con grande imbarazzo per tutti.
Mettendosi a sedere l’insegnante, sussurrò “Hermione? Non che non mi faccia piacere vederti, ma come mai…”
“Mi spiace di essere tanto inopportuna Neville, ma si tratta di una questione di vita e di morte…” lo interruppe lei, la voce più bassa possibile per non disturbare il sonno di sua moglie.
Neville chiuse gli occhi un momento, scuotendo la testa. Non di nuovo, no. Sospirò piano, lanciando un’occhiata ad Hannah. “Ok, t’ascolto.”
** * **
Seduto dietro la scrivania dove troneggiava il nome di Harry Potter, Ron osservava il gruppo di persone che si trovava riunito nella stanza. Era uno dei gruppi più singolari che avesse mai visto. Era una delle riunioni più segrete a cui avesse mai partecipato. E ciò non era poco visto se si considerava che Ron era stato uno dei membri dell’Esercito di Silente. Non era la prima volta che si trovava a guidare una squadra, né una missione, era la prima volta che dall’esito dell’operazione avrebbe potuto dipendere le sorti di tutta la sua famiglia.
Hermione sedeva accanto a lui. Il vestito chiaro che aveva indossato quella mattina non faceva nulla per nascondere il lieve pallore sul suo volto. La gravidanza cominciava a far sentire qualche sintomo, primo tra tutti la stanchezza e la nausea. La difficile situazione che stavano attraversando non faceva nulla per aiutare la sua salute.
Nel complesso era una bella lotta tra lei e Percy per vincere la palma di soggetto più provato nella stanza. Le occhiaie dietro gli occhiali del Procuratore violacee e pesanti contro la pelle diafana nonostante le lentiggini. La stanchezza palpabile nella sua persona, nonostante la determinazione nei suoi occhi.
“Bene” iniziò Ron “Comincerò con il dirvi che tutto ciò che sto per raccontarvi e per chiedere di fare metterà in pericolo la vostra carriera se lavorate per il Ministero, la vostra vita in ogni caso, se c’è qualcuno che non si sente di restare ha tutta la nostra comprensione.” Nel silenzio che seguì si sarebbe sentito uno spillo toccare il pavimento.
La voce profonda di Hector Rednails ruppe la quiete. “Capitano Weasley … Ron… Penso di parlare per tutti qui, quando dico che se Diodora Mackenzie dovesse vincere ci sarebbe ben poco da pensare alla carriera e scemenze simili. Ora” tossicchiò “se mia moglie Adelina sapesse cosa sto per fare mi ucciderebbe, ma devo pensare alle mie bambine. Sono al cento per cento con voi.”
Gli altri quattro auror presenti oltre ad Harry annuirono alle parole di Rednails.
“Grazie, Hector. Non avevo dubbi che tu, Seymour e Smith avreste accettato di correre il rischio. Sapete che c’è in gioco la vita di Audrey Wallace che è stata una collega ed un’amica preziosa per tutti noi.” La sua voce mostrò un attimo di commozione nel pensare all’Auror rapita.
Si rivolse a Thabatha e Fergus. I due si trovavano in quella stanza non solo perché avevano assistito all’apertura della busta di Diodora, ma perché Ron li aveva ritenuti particolarmente adatti all’operazione: il talento della ragazza per le lingue antiche sarebbe stato indispensabile per trovare indizi nel testo che Neville aveva consegnato ad Hermione, quello di Fergus per il primo soccorso sperava non dovesse essere messo alla prova. “Ragazzi, voi siete tanto giovani, siete sicuri?”
Li vide guardarsi rapidamente negli occhi e, per un attimo, Ron si chiese se, senza che egli lo sapesse, tra i due fosse nato qualcosa di più che un rapporto d’amicizia. Sapeva esattamente come succedono queste cose senza che uno le programmi.
“Assolutamente sì.” Risposero in coro.
“Neville, non è necessario che tu sia coinvolto oltre.”
Il suo compagno di scuola lo guardò come se gli avesse dato di volta il cervello. “Se la mia conoscenza dell’Erbologia può esservi utile, non c’è motivo al mondo per cui io debba sottrarmi. Tu, Harry ed Hermione avete fatto tanto per tutti noi.”
Ron guardò uno per uno i presenti. Un esercito di nove persone, sette auror e due civili, questa era tutta la forza che gli era concessa per combattere la minaccia più tremenda al Mondo Magico dai tempi di Voldemort. Sperava solo che fosse sufficiente.
“Ok, allora per prima cosa Thabatha ed Hermione si occuperanno di scandagliare questo libro.” Disse, indicando con la bacchetta la copia rilegata in pelle di drago del libro sulla fiamma fredda che proveniva dalla biblioteca di Hogwarts. “Quello che cerchiamo è qualsiasi indizio che possa legare Diodora e Dioscurus Mackenzie e suggerirci cosa quella donna vuole riprendersi, se sappiamo cos’è, possiamo individuare dove si trova quella pazza e dove colpirà quando il tempo sarà scaduto.”
“Harry tu devi occuparti di gettare nebbia negli occhi di Robards, ok? Tu e Rednails dovete stare alle costole di Royalsafe per essere sempre un passo avanti a lui.”
Hector tossicchiò nel pugno, ma non abbastanza perché tutti i presenti lo sentissero chiaramente mormorare “Pomposo pezzo di somaro.”
Non era chiaro cosa avesse scatenato tanto astio tra i due Auror prima che lui ed Harry entrassero nel Dipartimento, ma Ron sapeva chiaramente che chiedere all’Assistente del Capitano Proudfoot di mettere i bastoni tra le ruote all’altro era avere la certezza che il lavoro fosse eseguito con la massima accuratezza. Meglio per lui, dovevano stare alle costole di quei due costantemente, se Robards avesse scoperto il loro piano sarebbe stato un vero e proprio disastro.
“Naturalmente se dovessimo riuscire ad individuare Diodora ed Audrey, prima della nuova luna, sarebbe una gran cosa. A questo proposito voglio sapere esattamente cosa tu e Seymour avete scoperto, Smith. Anche il particolare più insignificante può essere fondamentale.” John Smith e Duncan Seymour erano seduti l’uno accanto all’altro, i volti illeggibili, silenziosi, avrebbero potuto passare inosservati ai loro stessi interlocutori. Erano due spie così perfette che ogni giorno egli ringraziava il cielo di essere dotato di uomini che fossero tanto bravi a nascondersi in piena vista, raccogliendo informazioni di vitale importanza.
Alla richiesta di Ron, Smith cominciò a parlare. Aveva una voce che avrebbe potuto essere confusa con mille altre, niente nel tono, nell’accento aveva un qualcosa di caratteristico che l’avrebbe fatta ricordare, come il suo viso era così ordinaria da passare inosservata.
“Capitano …” Al lieve inarcarsi delle sopracciglia del suo interlocutore, l’Auror sembrò capire che in quel frangente non c’erano gradi o ranghi. “Ron, crediamo di aver trovato un modo per localizzare Audrey. Non è granché, ma è tutto quello che abbiamo.”
Gli occhi di tutti i presenti si fissarono sul volto perfettamente impassibile del biondo. “Come ben sai al momento in cui giuriamo fedeltà al Ministero come Auror viene scagliato su di noi un particolare incantesimo.”
Ron annuì. Era un fatto molto segreto, tenuto all’oscuro dell’opinione pubblica. L’incantesimo aveva il duplice obiettivo di assicurarsi che al momento del giuramento il soggetto arruolando fosse veramente convinto di ciò che diceva, rilevando le menzogne e quello di dare agli aspiranti Auror un senso di partecipazione. Quando era stato messo a conoscenza della cosa, il Capitano Weasley aveva avuto la sgradevole impressione che ricordasse un po’ troppo da vicino l’iniziazione dei Mangiamorte tramite il tatuaggio magico con il marchio nero, ma era un passaggio indispensabile per entrare nel Dipartimento e vi si era sottoposto come altri Auror.
“Io e Duncan ci siamo chiesti se, come accade con la Traccia, anche tale incantesimo potesse essere utilizzato a ritroso per localizzare un Auror che si fosse perso. Abbiamo cercato informazioni a destra e manca e … Capitano, non dovrei dirglielo, ma siccome questa è un’operazione che rompe un migliaio di regole penso non faccia differenza … Seymour è stato giù al Dipartimento dei Misteri dove hanno creato l’incantesimo ed … Ecco ha …”L’Auror tossicchiò “… Per errore fatto cadere un po’ di Veritaserum nel succo di zucca di Boyle Bode.”
In un’altra situazione Ron avrebbe riso di fronte alla riluttanza con cui il suo Auror gli stava raccontando di aver infranto la legge, pur sapendo benissimo che non ne era affatto dispiaciuto, ma al momento era troppo ansioso di saper cosa i suoi uomini avessero scoperto, per non avere fretta.
“Vai al punto, John.” L’Auror lo guardò stranito. Era la prima volta in tre anni che lo chiamava per nome.
“Beh, ecco, Signore. Ogni incantesimo è leggermente diverso. Mi spiego: è legato indissolubilmente alla bacchetta di ogni mago che lo pronuncia. Quindi, teoricamente, sapendo di quale essenza, cuore e lunghezza è la bacchetta di Audrey dovrebbe essere possibile localizzarla. L’incantesimo rimane legato a ciascuno di noi. Conoscendo la combinazione di questi due fattori dovrebbe essere possibile dapprima individuare mediante una versione modificata dell’Hominem Revelio tutti coloro che hanno giurato e, poi, tra di loro chi ha usato quella particolare bacchetta per farlo.”
Tutti i presenti guardarono il biondo pieni di speranza. Ron dubitava che raramente il suo Auror si fosse mai trovato al centro dell’attenzione come era in quel momento.
“E’ una teoria, però …” soggiunse.
“Va bene, va bene. Mettiamola immediatamente in pratica, i Registri del Dipartimento riportano ognuna delle nostre bacchette. Fergus corri a prenderli.”
Prima che il ragazzo potesse alzarsi, Percy che fino a quel momento era stato rapito dalle parole di Smith mormorò “Ciliegio, dieci pollici, crine d’unicorno.”
Ron annuì. “Bene, Fergus puoi restare qui, naturalmente. Tu, Smith e Seymour cercate immediatamente di individuare Audrey.”
“Perce, ho bisogno che tu rilegga le carte sul processo a Dioscurus Mackenzie. Chissà che tu veda qualcosa che può essere sfuggito ad un Auror. Neville, voglio che tu infili il naso nei tuoi libri di Erbologia e lo rialzi solo quando hai trovato l’erba, la pianta o l’essenza vegetale che può proteggere maggiormente un bambino non ancora nato da danni magici.”
“Tipo la felce di Iuno Lucina?” Chiese il Grifondoro.
“Nev, non mi m’importa un fico secco di come si chiama, senza offesa, amico. Può essere una barbabietola per ciò che mi riguarda, basta che protegga Hermione e mio figlio.”
Con aria seria, l’altro rispose “Farò del mio meglio, Ron.”
“Bene, ora andate ragazzi. No, Thabatha tu ed Hermione restate qui, voglio avervi costantemente sott’occhio. Harry mi raccomando, al primo accenno che Royalsafe o Robards sospettano qualcosa…” Non c’era bisogno di completare la frase, l’altro sapeva esattamente cosa intendesse.
Tutti i presenti uscirono diretti verso le loro mete. Ora toccava a lui, pensare al suo compito, trovare la magia che gli avrebbe permesso di proteggere Hermione, se non fossero riusciti a individuare Diodora prima che l’ultimatum fosse scaduto.
** * **
Per un momento Audrey Wallace pensò che dopo tanti tentativi di sfuggire all’incantesimo in cui Diodora l’aveva imprigionata e di trovare un mezzo per comunicare, il suo cervello dovesse aver perso il lume della ragione. Non c’era altra possibilità. Cominciava a sentire le voci. Voci che le parlavano, ma non come se le sentisse, nelle sua testa. Era impazzita.
Non c’era altra spiegazione. Poi però si rese conto che conosceva quella voce. Per quanto sembrasse non individuabile, l’aveva sentita mille volte prima. Molti sottovalutano la particolarità di ciascuna voce, non lei. Essere una esperta di codici e lingue la faceva essere attenta ad dettagli che ad altri passavano inosservati. Se stava impazzendo una cosa era chiara le sue voci avevano lo stesso tono di Duncan Seymour. Non di Percy o di sua madre o di sua sorella. No, di un uomo con il quale aveva lavorato per sei anni senza poter ricordare nemmeno un particolare del suo volto.
E se non fossero state solo voci? Se gli auror avessero trovato un modo di mettersi in contatto con lei, visto che era costretta al più assoluto mutismo?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Di calligrafia, chiamate e carta igienica ***
Nota
dell’autrice: Spero vi piaccia il capitolo, siamo sempre
più
vicini allo showdown finale. Buon week end. L.
CAPITOLO
XIV
DI
CALLIGRAFIA, CHIAMATE E CARTA IGIENICA
Percy
tolse gli occhiali e si stropicciò le palpebre gonfie per il
poco riposo. Il
fatto che avesse pianto a lungo la sera precedente non stava certamente
aiutando la sua vista già compromessa dalla miopia. Sapeva
di non avere un
bell’aspetto al momento, aveva gli occhi rossi,
l’incarnato talmente pallido da
far risaltare ciascuna singola lentiggine in maniera quasi grottesca e
borse
talmente pronunciate da ricordargli quelle di Remus Lupin dopo una
settimana di
luna piena. Non gli era mai importato un granché del suo
aspetto, ma ora se ne
curava ancora meno del solito, aveva ben altri pensieri.
L’ultima volta che
aveva studiato un testo con tanto accanimento era stato per diventare
Procuratore dopo la Seconda Guerra Magica. Dopo ciò che era
successo con la sua
famiglia per il suo cieco attaccamento
all’autorità, un cambio di Dipartimento
era necessario per ricominciare tutto da capo e lavorare per consentire
di
giudicare ed eventualmente punire chi si era macchiato dei delitti
più tremendi
durante il ritorno di Voldemort era stata una scelta quasi naturale del
suo
percorso per riconquistare la sua autostima e il rispetto della sua
famiglia,
non poteva dire l’amore perché mai nemmeno nei
momenti più bui del suo
estraniamento dai suoi fratelli e genitori aveva pensato che il loro
affetto
reciproco fosse venuto meno.
Naturalmente
la posta in gioco questa volta rispetto a quel momento era
incredibilmente più
alta: la vita di Audrey e l’esistenza stessa del mondo magico
potevano
dipendere dalle carte che stava esaminando. Era abbastanza per fargli
tremare i
polsi e caricarlo di un’energia nervosa che rendeva ancora
più complesso e
faticoso mantenere la concentrazione, se solo fosse stato in grado di
schiacciare
tutte le sue paure ed le sue preoccupazioni. Purtroppo, qualunque cosa
dicessero di lui gli altri, Percival Ignatius Weasley sentiva
esattamente come
tutti gli altri, solo era più bravo a mascherare le sue
emozioni.
Gli
Auror che lavoravano per Ron erano ottimi professionisti, ma non si
occupavano
di carte processuali quanto era abituato a fare lui e, per questo,
aveva la
speranza – doveva avere la speranza – che fosse
loro sfuggito un particolare.
Dopo
aver letto le carte tante volte cominciava a disperare niente sembrava
fuori
posto o particolare. Aveva focalizzato la sua attenzione su ogni
particolare,
sulle date, sul contenuto di ogni riga. Ci mancava solo che si mettesse
a
controllare l’autenticità delle firme e, poi,
…. Improvvisamente come un
fulmine a ciel sereno, il Procuratore Weasley cercò
freneticamente il decreto
di arresto di Dioscurus Mackenzie per rileggere la firma di chi aveva
eseguito
l’arresto in flagranza. Mentre i suoi occhi scorrevano la
calligrafia antica e
arzigogolata, l’uomo sentì il cuore balzargli nel
petto. S’alzò di colpo
battendo dolorosamente il ginocchio nella scrivania, aveva trovato
l’ago nel
pagliaio. Forse. Gli serviva sua cognata.
**
*
**
La
porta dell’ufficio di Ron
si spalancò facendo sussultare simultaneamente Hermione e
Thabatha.
“Percy,
per l’amor del cielo, pensavo fosse Robards, ci hai fatto
prendere uno
spavento! Sai che io non dovrei essere qui!” lo
castigò la prima, mentre la
giovane Auror raccoglieva gli appunti che aveva fatto cadere per lo
spavento.
“Hermione,
tesoro, scusami…”
La
ragazza lo guardò, cercando di trattenere il sorriso che
minacciava di
illuminarle il volto “Tesoro?!” domandò.
Arrossendo
visibilmente, Percy balbettò “Ehm…
Sì, perdonami. E’ che mamma.. Lei… Lo
sai,
no? Quando Fleur, Angelina o Ginny erano incinta non faceva che
chiamarle
tesoro, m’è venuto così… Non
so cosa abbia pensato..”
La
donna decise di andare in soccorso del suo imbarazzatissimo cognato.
“Non
preoccuparti. Volevi dirci qualcosa?”
Riprendendo
immediatamente la determinazione che l’aveva spinto a correre
nell’ufficio di
suo fratello, disse “Ho il sospetto che l’arresto
di Dioscurus Mackenzie non fu
eseguito da un Auror, ma da un Indicibile. L’incendio doveva
essere solo la
manifestazione di qualcosa di più sinistro.”
Passandole il decreto d’arresto
perché potesse leggerlo, l’uomo spiegò
“Sono quasi sicuro quella davanti al nome
sia una “I” molto arzigogolata. A che punto siete
con il libro?”
Hermione
scrutò la firma, prima di passare il foglio a Thabatha per
avere anche la sua
opinione.
“E’
decisamente una “I”, anche secondo me”
concordò la giovane Auror dopo aver
scrutato il documento con attenzione. “Certo che scrivevano
in maniera strana
all’epoca…”.
“Thabatha
è stata grande, sembra che sia nata per tradurre il latino.
Questo nome sul
decreto mi suona familiare, ma non riesco a ricordare
perché…” aggiunse
Hermione, arricciando intorno all’indice una ciocca di
capelli scuri, come
faceva talvolta quando pensava intensamente.
**
*
**
Il
Capitano Weasley arrivò
alla porta del suo ufficio, trovandola, con sua grande sorpresa e con
un certo
dispetto, aperta.
“Siete
impazziti? Avete proprio intenzione di farvi scoprire da
Robards?” sussurrò ai
presenti, chiudendosela alle spalle. La sua tirata ebbe vita molto
breve.
Girandosi verso i suoi interlocutori notò
nell’ordine due particolari: per
prima cosa suo fratello Percy era nella stanza e stava confabulando
amabilmente
con sua moglie e l’auror Goldielocks, il che deponeva
positivamente per il
caso, in secondo luogo Hermione si stava mordicchiando le labbra e
arrotolando una
ciocca color cioccolato intorno all’indice come faceva sempre
quando era
pensierosa. Ora quest’ultima circostanza avrebbe dovuto
essere molto meno
importante della precedente e passargli del tutto inosservata, ma, per
quanto
Ronald Weasley fosse in piena modalità da missione,
concentrato all’ennesima
potenza, prima di essere un auror era un uomo. Uno che da quando aveva
quattordici anni aveva sempre trovato assolutamente irresistibile
quell’espressione particolare sul volto di una certa brunetta
in particolare:
non sapeva che farci a lui Hermione Granger pensierosa faceva sesso.
Molto più
della più scosciata modella di Playwizard.
Nell’assoluta impossibilità di
cacciare dal suo ufficio gli altri presenti per reclinare sua moglie
sulla più
vicina superficie piana e dare sfogo ai pensieri che si era intrufolati
senza
permesso nel suo cervello, Ron si ripromise di rimandarli ad un
meraviglioso
futuro in cui Diodora Mackenzie fosse ad Azkaban, concentrandosi sulla
missione.
“Mi
spiace, l’ho dimenticata aperta io.”
Confessò Percy. “Ero troppo ansioso di
comunicare a Hermione quello che ho scoperto nel decreto
d’arresto di Dioscurus
Mackenzie.”
Nei
minuti successivi Percy gli riferì esattamente cosa aveva
notato.
“E’
una scoperta importante ed inquietante al tempo stesso. Se
c’è di mezzo il
Dipartimento dei Misteri, Dioscurus doveva avere con sé
qualcosa la cui magia
era tanto particolare e grande da non essere chiara, da dover essere
studiata
in gran mistero e, se si trattava di qualcosa in grado di scatenare un
incendio
delle dimensioni del Gran Rogo, dotata di un potenziale distruttivo
notevole …”
osservò Ron, quando il fratello ebbe terminato di raccontare.
“Anche
noi abbiamo trovato qualcosa, Capitano Weasley.” La
voce di Thabatha
faceva trasparire una certa soddisfazione, i suoi occhi luminosi di
speranza.
Accanto
a lei, Hermione annuì entusiasticamente, osservando.
“Ho sempre pensato che il
mio latino fosse abbastanza buono, Ron, ma questa ragazza qui
è un drago con le
lingue antiche.”
A
quelle parole la giovane auror si girò verso sua moglie con
un tale sguardo di
ammirazione e gratitudine negli occhi che l’uomo dovette
trattenere un sorriso.
“Bene, auror Goldielocks, potrai raccontare ai tuoi nipoti
che Hermione
Granger-Weasley in persona si è complimentata con te. Ora
dimmi che è avete
trovato.” Ordinò, mentre sua moglie gli assestava
una pacca su un braccio,
mormorando sottovoce “Ricorda che grazie a te ho
già vomitato due volte
stamattina, la prossima volta che ti viene in mente di prendermi in
giro.”
Se
c’era qualcosa di certo era che con sua moglie nella stanza,
l’aria marziale e
disciplinata del Dipartimento degli auror lasciava a desiderare, ma in
fondo
quella non era una missione ufficiale, ma altamente ufficiosa.
“Vede
capitano, uno degli ultimi capitoli del libro, spiega il meccanismo
magico che
permette di creare una fiamma che brucia e al tempo stesso è
gelida come il
ghiaccio polare. La cosa estremamente interessante per il caso
è che l’autore,
che sospettiamo essere Dioscurus stesso,
ipotizza che i principi magici alla base della creazione
del fuoco
freddo possano essere utilizzati per privare gli elementi delle sue
caratteristiche intrinseche per sostituirle con altre, preferibilmente
antinomiche, per aumentarne il potenziale distruttivo e accenna a testi
runici
che avevano già affrontato l’argomento.
E’ plausibile che il riferimento possa
essere ai testi tradotti in cornish nella
pergamena che Diodora ha rubato a Selwyn alle isole Scilly.”
Ron
annuì. “Bene, è già un
ottimo inizio, sicuramente spiegherebbe come Diodora
abbia cominciato a formare il suo malefico piano. Percy, pensi che con
l’aiuto
di Thabatha, tu sia in grado di trovare delle informazioni
sull’Indicibile che
ha arrestato Dioscurus?”
Suo
fratello annuì entusiasticamente. “E’
sicuramente una via da provare."
"Bene,
allora andate insieme nella biblioteca del dipartimento. Se qualcuno ve
lo
chiede, state di nuovo cercando informazioni sulla famiglia Mackenzie,
intesi?”
Entrambi
annuirono, uscendo dalla stanza, e lasciando Ron ed Hermione soli.
Ron
scrutò il volto più pallido del solito della
moglie, prima di chiederle. “Come
stai? E voglio la verità, non quelle risposte prestabilite
che prepari per gli
altri, ‘mione.”
“Se
ti riferisci al fatto che ho detto d’aver vomitato,
è normale, lo sai. Anche
Ginny…”
Lui
scosse la testa, prendendole le mani. “Sai che, per quanto
adori James, non mi
piace pensare al fatto che la mia sorellina sia mai stata incinta ed in
ogni
caso non sei la strega più brillante di ogni tempo per caso,
sai a cosa mi
riferivo.”
Hermione
sospirò. “Ho paura, Ron. Paura come non
l’avevo da tanto tempo, ma come abbiamo
deciso insieme, non abbiamo altra scelta. Se il tempo
finirà, se Diodora
dovesse realmente attaccare il Ministero…” La sua
voce si ruppe su quella
ipotesi. “Scusa, sono tutti questi estrogeni
impazziti…” Si giustificò
asciugandosi in fretta gli occhi.
“Balle,
io t’assicuro non ho estrogeni in giro e me la sto facendo
sotto lo stesso.”
Sussurrò nel suo orecchio, abbracciandola più
forte che poteva. L’odore di
vaniglia dei suoi bellissimi capelli era sempre stato confortante per
lui,
quando aveva un problema, ora il solo pensare che qualcosa potesse
accadere ad
Hermione ed alla vita che cresceva dentro di lei sembrava soffocarlo.
“Ho
passato tre quarti d’ora con Neville. Sta preparando un
decotto di erbe, mi ha
anche detto come si chiama, ma non lo ricordo, sarà pronto
tra qualche ora. E’
un fortificante per te e il bambino, dovrebbe aiutarvi a non subire
alcun danno
da tutta la magia che dovrai canalizzare.”
Sentì
Hermione annuire contro il suo petto. “Abbiamo degli amici
fantastici. Ho la
massima fiducia in Neville.”
“Con
tutto l’aiuto che gli hai dato a scuola per non fargli
fondere ancora più
calderoni, non so cosa ti dia questa fede. Certo, con le piante
è un’altra
cosa, per nostra fortuna.”
Hermione
alzò gli occhi verso i suoi, un’espressione di
rimprovero in volto. “Non essere
cattivo, Ron.”
“Amore,
se non sdrammatizzo, rischio di scoppiare e sai che non
posso…”
Sua
moglie lo strinse più forte. “Sei un marito
eccezionale, un grande auror e
sarai il padre migliore che il nostro bambino possa avere. Ti amo
tanto, Ron
Weasley.”
“Anch’io,
più della mia stessa vita.” Cosa avrebbe dato per
non sentire quell’ondata di
terrore che minacciava di soffocarlo, mentre lo diceva.
**
*
**
No,
non stava impazzendo. Quella che sentiva era proprio la voce di Duncan
Seymour.
Gli auror la stavano cercando, tentando disperatamente di mettersi in
contatto
con lei. Poteva solo sperare la trovassero, prima che Diodora portasse
a
termine il suo piano. Se le avesse fatto bere la pozione …
Audrey tremava al
pensiero di quello che sarebbe successo. Non aveva paura di morire, con
la sua
carriera era un rischio che aveva preso in considerazione qualche
volta. Certo
aveva sempre pensato fosse improbabile ed invece… Sapeva che
se la strega l’avesse
costretta a bere quell’intruglio di cui continuava a
decantarle le proprietà
malefiche, non avrebbe avuto scelta. La sua vita contro quella di
migliaia di
streghe e maghi innocenti, non c’era paragone. La vita non
era giusta, non lo
era quasi mai. Cosa avrebbe dato per avere la fortuna di rivedere
Percy, un’ultima
volta, di dirgli esattamente quanto aveva scoperto d’amarlo.
Invece quest’ultimo
desiderio non le sarebbe stato concesso, quell’uomo
meraviglioso non avrebbe
saputo mai esattamente quanto era stato importante per lei.
Concentrandosi
con tutte le sue forze sulla voce di Duncan Seymour, urlò a
pieni polmoni nella
sua testa. “Sono qui, ti supplico Duncan, sono
qui.” Ma dov’era qui? Come
avrebbe voluto saperlo.
**
*
**
Con
un urlo di giubilo, Duncan Seymour ruppe la concentrazione assoluta che
aveva
mantenuto per un numero imprecisato di ore. Forse dodici. Non ne aveva
idea Accanto
a lui, Finnigan e Smith lo guardarono speranzosi. Aveva un mal di testa
così
forte che i loro volti gli si sdoppiavano davanti mentre li guardava,
ma non
importava. Utilizzare tutta l’energia mentale e magica che
aveva usato finora
era stata una sorta di intensa tortura, decine di volte aveva avuto la
sensazione di non farcela più, di doversi fermare, ma sapeva
di non potere
farlo. Doveva trovare Audrey, se lui fosse stato al suo posto la donna
non
avrebbe dormito giorno e notte per scovarlo. La conosceva da anni ed
era una
compagna di lavoro formidabile, nessuno si meritava una fine
così infame nelle
mani di una pazza, lei meno di tutti. La ragazza dal viso severo e la
battuta
pronta, la donna esile ed instancabile, quella pronta a versare fino
all’ultima
goccia di sangue e sudore per un collega e con una parola buona per
tutti, non
poteva finire così. E lui – l’uomo
così insignificante da essere la spia
perfetta, senza nessuno nella sua vita – l’aveva
ritrovata. Ora dovevano
portarla a casa.
“L’ho
trovata! Ho agganciato la sua Aureola! So dov’è
Audrey.” Mormorò. Lo sforzo di
parlare immane. Mentre i suoi occhi rotolavano all’indietro e
tutto si faceva
buio intorno a lui, Duncan aveva un solo pensiero. Dovevano fare presto.
Cercò
disperatamente di focalizzarsi sulla voce di Smith e Finnigan che lo
pregava di
stare con loro, di non svenire, ma fu l’ultimo pensiero
coerente che gli
attraversò la mente prima che il suo corpo
s’accasciasse.
**
*
**
Royalsafe
guardò il Procuratore Weasley passare nel corridoio accanto
alla giovane Auror
con i capelli
violetti, quella che lavorava
per Harry Potter. C’era qualcosa di molto sospetto. Non
sapeva esattamente cos’era,
ma Potter e quell’antipatico di Weasley stavano tramando
qualcosa, ne era
sicuro. Doveva tenere gli occhi ben aperti.
“Ehi,
Royalsafe!” L’auror si girò trovandosi
faccia a faccia con quella specie di
mastino napoletano troppo cresciuto di Hector Rednails.
“Cercavo giusto te!”
Sorridendo
come chi cerca di farsi forza nel bere una posizione particolarmente
disgustoso, rispose “M’hai trovato, ora datti una
mossa a dirmi che vuoi,
alcuni di noi hanno delle cose importanti da fare.”
Hector
sorrise a quarantadue denti, il candore degli incisi contro la pelle
d’ebano,
particolarmente irritante per lui che li aveva sempre giallognoli per
quanto si
affannasse per un sorriso perfetto.
“Sì,
me l’immagino. Alcuni di noi sono sempre così
impegnati, ma ci vorrà un
momento. Ho bisogno della firma di un Capitano su questo documento, e
Proudfoot
è in missione all’esterno lo sai..”
“Carta
igienica? Perché non rompi le palle a Weasley, per queste
stronzate, Hector?!” Lo
rimbeccò lui, firmando quello che pareva essere un
normalissimo ordine di beni
di prima necessità per l’Ufficio del Capitano
Proudfoot.
Assumendo
un’espressione appropriatamente ebete, quello scocciatore
rispose. “Cavolo,
perché non c’ho pensato io. Hai assolutamente
ragione, Royalsafe.”
“Vattene,
prima che decida di chiedere di nuovo al Direttore Robards
perché non ti
mandano ad addestrare i gufi alla Guferia del
ministero…”
L’Auror
riprese la cartellina e si avviò per il corridoio.
**
*
**
Entrando
nel bagno degli uomini, Harry Potter si levò il mantello
dell’invisibilità. Mosse
la bacchetta in un incantesimo protettivo, girandosi con un enorme
sorriso
verso il suo compagno di missione.
L’Auror
accanto a lui lo guardò mormorando nel suo tipico basso.
“Non mi abituerò mai a
vedertelo fare. Quanto volevo prendere a pugni quel pomposo
bastardo.”
“Hector,
tu sei un attore
nato, lasciatelo dire.”
Se
non fosse stato tanto nero, probabilmente l’avrebbe notato
arrossire di
compiacimento. “Diciamo che ero particolarmente motivato,
Capitano. Quindi ora
siamo sicuri che se Royalsafe dovesse dire qualsiasi cosa che riguarda
il
nostro piano a Robards, si riempirebbe di pustole così
purulente ed immediate
da richiedere un subitaneo ricovero al San Mungo?”
Harry
annuì, ridendo. “Assolutamente sì.
Hermione Granger è una donna estremamente
pericolosa, mio caro Hector. Ci vogliono delle palle
d’acciaio per
contraddirla, non a caso l’ha sposata l’uomo
più coraggioso che conosco. Diodora
Mackenzie non ha nemmeno idea contro chi s’è
messa.”
L’Auror
commentò entusiasta. “Spero quasi che quel vecchio
trombone scopra qualche
bazzecola da riferire al Direttore. Vederlo coperto di pustole, sarebbe
il
miglior regalo di compleanno che abbia mai avuto nella mia vita e
l’anno scorso
Adelina mi ha regalato una pluffa autografata da Egisto Miller, il
Cacciatore
dei Tornados, non so se mi spiego.”
“Prima
o poi ci dirai perché lo detesti tanto?”
“Può
giurarci, Capitano.” Assicurò Rednails.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Di feriti, fraintendimenti e fiamme ***
Nota
dell’autrice: Eccovi il nuovo capitolo, sperando vi piaccia.
Mancano
pochi passi e non più di 2 o 3 capitoli al calo del sipario.
A tutti coloro che
sono rimasti con me, grazie davvero. Bacetti L.
CAPITOLO
XIV
DI
FERITI,
FRAINTENDIMENTI E FIAMME
Fergus
non ricordava di essere mai passato così repentinamente
dalla speranza alla
preoccupazione. Quando aveva sentito Seymour proclamare
d’aver individuato
Audrey il suo cuore si era riempito di gioia, sebbene avesse avuto poco
tempo
per conoscere la sua collega prima della sua scomparsa, quel poco tempo
era
stato sufficiente per fargli capire che ella era una persona piena di
buone
qualità, una lavoratrice instancabile e scrupolosa e, sotto
quell’aspetto un
po’ spigoloso e severo, anche una persona ricca di
autoironia.
Vedere
l’Auror Seymour crollare al suolo subito dopo aver
pronunciato quelle parole
l’aveva immensamente spaventato, se egli non si fosse ripreso
tutti gli sforzi
fatti finora per individuare la ragazza sarebbero stati vani. Non che
avesse
avuto molto tempo per concentrarsi sui suoi timori.
Da
un certo punto di vista era stato provvidenziale che lui fosse presente
quando
il suo collega si era sentito male, Smith, per quanto molto
più addestrato di
lui, non era ferrato negli incantesimi di soccorso,
quanto piuttosto nello spionaggio. Sebbene
avesse voluto aiutare Seymour, l’auror più anziano
non aveva potuto farlo, anzi
appena aveva capito che il suo collega sembrava aver smesso di
respirare, si
era girato verso Fergus pregandolo di intervenire.
Era stata la prima volta che
il ragazzo aveva
dovuto mettere alla prova le sue doti di primo soccorso in una
situazione in
cui la vita di un uomo poteva veramente dipendere dalla sua
capacità e,
sebbene, sul momento egli avesse agito come inserendo il pilota
automatico,
recitando nella mente ed eseguendo tutto ciò che aveva
imparato all’Accademia e
per il quale era stato premiato tra tutti i suoi compagni di corso, ora
che era
tutto finito e Seymour era stato portato nell’Infermeria del
Dipartimento,
Fergus se ne stava seduto su uno sgabello completamente esausto dal
punto di
vista emotivo dopo il picco di adrenalina di qualche ora prima. Operare
in una
vera crisi anziché in una simulazione era diverso come il
giorno e la notte.
Se
non avesse avuto un sostegno, non avrebbe avuto la forza di tenersi su.
Smith
lo guardava sconsolato con la coda degli occhi, apparentemente fissando
la
tazza di latte caldo che gli aveva portato appena erano rientrati
nell’ufficio
dopo aver riferito quanto successo ai Capitani Weasley e Potter. Il gesto di John Smith nei
suoi confronti era
stato molto gentile. Fergus sapeva che lui e Seymour erano compagni di
missione
da molti anni e che l’auror doveva essere forse
più scosso di lui. In un certo
senso quel gesto gli aveva un po’ ricordato sua madre: Mary
Beth Finnigan
rispondeva ai momenti di crisi così, tentando di rendersi
utile accudendo e
consolando gli altri.
La
situazione era grave: non solo l’unica persona che sapeva
dov’era Audrey era
priva di coscienza in infermeria, ma era stato assolutamente necessario
creare
nel più breve tempo possibile una storia di copertura per
evitare che Robards
sapesse della missione clandestina a cui erano stati assegnati.
Sembrava che al
posto di risolversi i problemi di moltiplicassero.
“Cosa
credi che sia successo?” La domanda di Smith stupì
Fergus perché fino a quel
momento egli non aveva dato segno di voler parlare. Evidentemente
doveva aver
letto sul suo volto che egli si era un po’ ripreso dallo
spavento e non aveva
retto alla curiosità.
“Intendi
dire come Duncan abbia esattamente individuato dove si trova la
Wallace? Non ne
ho idea, non ho capito un granché quando ha spiegato a Ron
cosa volevate fare
per trovarla utilizzando la sua Aureola e quella storia delle
bacchette.”
L’altro
scosse la testa. “No, quello è piuttosto semplice,
in realtà, ma non ci importa
ora. Ti chiedevo se hai capito perché è crollato
e non respirava più, dopo…”
Fergus
si umettò le labbra prima di rispondere. Non ne era sicuro,
ma dovendo
giudicare dai sintomi e dagli incantesimi che aveva dovuto utilizzare
per
aiutare Seymour, aveva elaborato una tesi. “Ah,
credo… Sì, io penso che abbia
dovuto creare un legame molto più profondo con la magia di
Audrey di quanto
pensasse all’inizio per individuarla. I sintomi che ha avuto,
la perdita di
conoscenza, il blocco respiratorio, tutto mi fa pensare che per
trovarla,
Seymour abbia creato una sorta di comunicazione tra la sua magia e
quella di
Audrey. Penso che … Temo che, ovunque, si trovi lei sia in
grandissime
difficoltà, sotto qualche tremendo incantesimo, una magia
così forte da essere
in grado di bloccare o ridurre al minimo ogni sua attività
corporea, persino la
respirazione. Se assorbendo una minima parte di
quell’incantesimo, Seymour ha
avuto quell’effetto…” Finire la frase
era troppo penoso, ma non ce ne fu
bisogno.
Smith
annuì “Speriamo solo che Duncan si riprenda in
tempo per permetterci di
individuarla. Il Capitano Potter è stato chiaro, non
possiamo rischiare di
tentare di nuovo di agganciare la sua aureola, siamo già
troppo pochi per
questa missione.”
Fergus
strinse i pugni a quelle parole: troppe volte negli ultimi giorni si
erano
sentiti vicini alla meta solo per scoprire che quella che pensavano
fosse la
cima della montagna altro non era che una piccola sporgenza che
nascondeva il
suo colmo. Era così frustante. Ma non c’era altro
da fare se non lavorare e
lavorare ancora, il termine dell’ultimatum di Diodora era
sempre più vicino.
**
*
**
Nell’ufficio
del Capitano Weasley aleggiava quel silenzio che Harry Potter aveva
cominciato
ad associare ai momenti di crisi più nera e, pertanto, a
detestare. Era piena
notte, il Ministero era semideserto e il Trio magico aveva
l’aria stanca.
“Pensi
che Duncan si
riprenderà in tempo?”
Ron
scrollò le spalle. “Posso solo sperarlo. Fergus e
Smith hanno detto che prima
di crollare ha detto di aver individuato Audrey. Ringrazio solo il
cielo che
mio fratello non fosse presente. Ti rendi conto di cosa sarebbe stato
per lui
assistere? Essere così vicino a sapere dove si trova la sua
donna e
contemporaneamente vedere l’unica persona in grado di dargli
la risposta che
cerca più di ogni altra
nell’impossibilità di aiutarlo?”
Lo
vide stringere la mano di Hermione così forte che la sua
migliore amica ebbe un
piccolo sussulto. Arrossendo un po’, Ron sorrise a sua moglie come a scusarsi.
“Non
ci resta che andare avanti.” Osservò amaro Harry.
“Già,
abbiamo ancora... Quanto? Sedici ore?”
“Più
o meno, il sole tramonta alle 18.30.” Precisò
Hermione.
Il
giorno e la notte avevano ormai perso gran parte del loro significato:
si
mangiava quando si poteva, si riposava a turni, nessuno di loro era
tornato a
casa dalla mattina precedente quando Robards aveva bocciato il piano
che Harry
gli aveva presentato. Il pensiero che avrebbe potuto passare le sue
ultime ore
lontano dalla sua amata Ginny e da James era così tremendo
che rischiava di
soffocarlo, ma non poteva indugiarci. Sarebbe andato tutto per il
meglio.
Diodora Mackenzie avrebbe fatto meglio a farsi catturare, altrimenti il
Bambino-Che-Era-Sopravvisuto, sarebbe risuscitato per
l’ennesima volta per il
puro gusto di farla pagare alla criminale che l’aveva privato
di tutto ciò che
amava più della sua stessa vita. A lei e a quel cocciuto del
Direttore Robards.
Harry,
che lo ammirava molto, trovava incredibile come il Direttore, un auror
capace,
continuasse ad utilizzare gran parte delle forze a sua disposizione nel
tentativo di trovare Diodora, senza prendere minimamente in
considerazione ciò
che gli era stato detto dal Dottor Esperanthus o l’ultimatum
della Mackenzie
per la sua pervicace convinzione che le speculazioni
sull’utilizzo
della magia pura fossero baggianate.
Ma
se non poteva essere vicino a James e Ginny, in quelle ore, poteva
almeno
prendersi cura dei suoi migliori amici. Cominciando ora.
“Dovresti
cercare di dormire un po’, Hermione.” Le
consigliò.
“Gliel’ho
già detto anche io, almeno un paio di volte, ma lo sai che
non ci ascolterà,
Harry.” Rispose amaro Ron.
“Non
mi sembra che voi due stiate facendo un pisolino o che lo stiano
facendo
Percy o Thabatha. Perché lo dovrei fare io?”
Ron
sbuffò.
“Noi non siamo incinti!”
“Ah
sì? E vuoi spiegarmi esattamente di chi è la
colpa, Weasley, se sono io quella incinta?”
A
quella esclamazione detta con una certa stizza, Ron, il volto
improvvisamente
addolorato come se lei l’avesse preso a schiaffi, ebbe la
saggezza di non
rispondere. Era ovvio che la stanchezza e la preoccupazione non li
aiutava ad
essere lucidi, Harry sapeva che i suoi due amici erano assolutamente
entusiasti
di diventare genitori, ma la paura per ciò che avrebbe
potuto succedere al loro
bambino se il piano di Diodora fosse divenuto realtà,
rendeva la gravidanza di
Hermione un argomento estremamente delicato.
Qualunque
cosa la strega volesse aggiungere, dopo che il suo viso era diventato
improvvisamente pallido, realizzando cosa quella sua ultima frase
doveva aver
implicato per Ron, fu interrotta dall’arrivo di Neville, che
aveva bussato alla
porta.
Harry
non era mai stato tanto felice di vedere il Grifondoro come ora. Aveva assistito ad
abbastanza
litigi dei cognati per sapere che erano delle faccende estremamente
sgradevoli.
“Scusate
l’interruzione, ho pronto il tonico che mi hai chiesto, Ron.
Non può aspettare.
Per essere pienamente attivo deve essere somministrato almeno dodici
ore
prima dell’evento traumatico per madre e bambino, ma per
avere maggiore
efficacia è opportuno berlo almeno quindici ore
prima.” Con quelle parole Neville
porse ad Hermione una minuscola boccetta con del liquido opalescente.
Lei
la guardò un po’ esitante. Non che avesse tutti i
torti, Harry voleva bene a Neville,
ma l’amico era sempre stato un disastro con le pozioni.
Quasi
a leggere i suoi pensieri, l’insegnante precisò
“Non è una vera pozione, quanto
più un decotto di diverse piante: la felce di Iuno Lucina
per fortificare il
bambino, un goccia di estratto di mandragola – non serve solo
per combattere i casi
di pietrificazione, ricordate? – camomilla, arnica e altre
cinque o sei piante.
Ho messo un po’ di liquirizia per cambiarle sapore, Hermione,
non temere, non
vorrei mai farti venire la nausea proprio ora.”
Una
cosa era certa, Neville cresceva, ma rimaneva sempre infinitamente
gentile con
i suoi amici.
“Grazie.”
Sussurrò lei, prima di bere. “Non è per
niente sgradevole come sapore, Neville.”
“Oh,
bene, lo speravo proprio. E’ la prima volta che provo a
renderlo più gradevole,
Hannah ama la liquirizia e allora ho pensato che, magari,
potesse...”
“Grazie,
Neville, davvero.” Aggiunse Ron a bassa voce, prima di
avviarsi verso la porta “Devo
parlare con i miei uomini, scusatemi.” Lo sguardo che
lanciò a sua moglie prima
di uscire spezzò il cuore ad Harry.
Anche
Neville che pur non aveva assistito alla esternazione di Hermione
dovette
capire che qualcosa non andava perché si voltò
verso Harry con aria
interrogativa.
Nello
stesso momento guardandolo sconsolata, Hermione gli
domandò con voce triste. “Tu
sai che non intendevo… Non volevo dire che… Non
può realmente pensare che lo
stessi accusando di aver messo la mia vita in pericolo ? Dimmi che non
… Non
dopo tutti questi anni insieme. Oddio, Harry che ho fatto.”
Harry
avrebbe voluto negare, ma se c’era una cosa della quale era
sicuro era che il
Capitano Ronald Bilius Weasley pluridecorato Auror straordinario
nascondeva
dentro di sé ancora il piccolo Ron sesto figlio maschio, il
ragazzino convinto
fino all’ultima fibra del suo essere di non poter mai
bastare, di non essere
mai grande a sufficienza per meritarsi la brunetta che ora guardava
Harry
Potter piena di rimorso. Quell’Auror non avrebbe
indietreggiato di fronte al
peggiore dei maghi oscuri, ma era ancora sufficiente la più
piccola parola di
Hermione per spezzarlo.
**
*
**
“Procuratore
Weasley, guardi!” L’indice con lo smalto azzurro
con piccole lune dorate di
Thabatha si fermò improvvisamente sulla pergamena. Avere quel
testo era stata una mezza impresa e francamente preferiva non sapere
come Harry
ne fosse venuto in possesso. Sapeva solo che quando
gliel’aveva consegnato suo
cognato l’aveva pregato di non riferire a Ginny che aveva
delle ammiratrici giù
all’Ufficio dei Misteri.
Gli
occhi azzurri di Percy scorsero velocemente il paragrafo che la giovane
auror
gli mostrava.
La
notte del 6 settembre 1666 l’Indicibile Freynar aveva
registrato nell’inventario
dei reperti del Dipartimento dei Misteri il manufatto DM-5.9.666.
“Forma ovale, apparentemente di osso
o avorio
o materiale consimile. La superficie del manufatto è
completamente liscia e
priva di fessure, scanalature o feritoie. Simile ad una pietra di
fiume. Al
contatto con la pelle genera ustioni così gravi da
richiedere l’intervento dei medimaghi. Reperto di estrema pericolosità da conservare per
ulteriore studio.”
“Thabatha,
presto riprendi il decreto d’arresto di Dioscurus, per cortesia.”
Esclamò Percy.
Entrambi
lo guardarono attentamente, ma la giovane Auror fu la prima a parlare.
“Sono
una “I” ed una “F” intrecciate
procuratore, non solo una “I” come pensavamo. Il
cognome non è Reynar, ma Freynar.”
“Hai
ragione Thabatha. Quando mio padre sequestra e cataloga reperti all’Ufficio per
l’Uso Improprio dei Manufatti
Babbani, essi sono indicizzati secondo un codice alfanumerico, le
lettere fanno
riferimento al nome del soggetto sequestratario e i numeri alla data
del
sequestro. Per quanto ne so è una prassi comune a tutti gli
uffici del
Ministero.”
Thabatha
spalancò gli occhi a quella rivelazione.
“Procuratore, quindi D.M. starebbe per
Dioscurus Mackenzie e 5.9.666 per 5 settembre 1666. Non può
essere una
coincidenza, l’abbiamo trovato! Abbiamo trovato quello che
Diodora vuole
riprendersi!”
Percy
annuì. “Va
a cercare Ron, presto per
favore, Thabatha, dobbiamo immediatamente avvertirlo di quanto abbiamo
scoperto.”
Avevano
compiuto un altro passo importantissimo. Ora, però, dovevano
trovare il modo di
scoprire dove fosse conservato il manufatto all’interno del
segretissimo Ufficio
dei Misteri e se fosse stato studiato oltre.
**
*
**
Dopo
il lampo di luce che l’aveva quasi accecata nella sua testa
ed aver sentito
ininterrottamente la voce di Duncan per ore, l’improvviso
silenzio che ne era
seguito aveva terrorizzato Audrey. Cosa era successo? Aveva tentato
più volte
di ristabilire la connessione con lui senza successo.
Perché? Non sapere era
quasi altrettanto frustrante che non poter far nulla. Sperava solo che
in
quelle lunghe ore in cui aveva sentito la sua voce, Duncan avesse
potuto
sentire lei, che tutto il piano di Diodora che lei gli aveva tentato di
riferire fosse stato percepito dall’altro Auror, come lei
aveva sentito il suo
disperato bisogno di capire dove fosse.
**
*
**
Diodora
guardò la superficie della pozione. Era così
bella. Era così meravigliosamente
innocua a vedersi. Così devastante per quanto sarebbe stata
usata. E finalmente
era pronta. Nella notte più nera prima della luna nuova,
Diodora poteva vedere
come in pieno sole. Era un difetto di vista, avevano detto i Medimaghi.
Era una
caratteristica della famiglia paterna diceva sua madre. Ma loro
sbagliavano,
lei lo sapeva. Era il suo fuoco interiore, quello che ardeva freddo e
inestinguibile
da sempre dentro di lei. Quello che la rendeva unica e inarrestabile.
Quello in
cui, come il suo antenato, avrebbe voluto avvolgerle tutto
ciò che la
circondava, un abbraccio che non si sarebbe mai concluso
perché avrebbe
concluso la vita stessa in un’ardente fiamma gelida.
Con
un misurato gesto della bacchetta raccolse la quantità
necessaria di pozione in un
calice, poi, facendolo fluttuare lentamente davanti a sé, si
avvicinò all’Auror.
La
stasi in cui l’aveva gettata era ancora profonda come nel
momento in cui aveva
scagliato l’incantesimo. Persino nelle ore precedenti in cui
lei era stata
lontana, intenta a rivedere i particolari del suo piano, la donna era
rimasta sotto
il suo completo potere.
Era
ora di somministrarle la pozione, servivano diverse ore
perché essa creasse in
lei tutte le trasformazioni fisiche e biologiche necessarie a far
credere al
suo corpo che c’era una vita che cresceva dentro di lei.
Peccato che, anziché
dare la vita, Audrey sarebbe stata il suo strumento per dare la morte e
riprendersi ciò che le apparteneva.
Sollevando
magicamente la coppa e il corpo apparentemente privo di coscienza
dell’auror,
Diodora si assicurò che l’esile donna bevesse fino
all’ultima goccia del
prezioso liquido.
Poteva
sentire chiaramente nella fluttuazione della sua magia così
legata a quella
della prigioniera, tutto il suo terrore, sentirne l’urlo
disperato. Molto bene,
faceva bene ad essere assolutamente terrorizzata. Nessuno poteva
salvarla. Nessuno
poteva sentirla, solo lei Diodora poteva. Nessun altro che fosse
entrato in
quel nascondiglio in piena vista, nel centro di Londra, avrebbe potuto.
Nel
silenzio assoluto di quella stanza completamente buia persino una
foglia che
cadeva a terra sarebbe riecheggiata, il grido di Audrey non esisteva se
non
nelle menti indissolubilmente legate delle due donne, la criminale e
l’auror.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Di verità, vendetta e Verdi ***
Queste settimane sono presissima, ma non volevo lasciarvi sospesi. Capitolo breve, ma spero vi piaccia. Baci L.
CAPITOLO XVI
DI VERITA’, VENDETTA E VERDI
Ron camminava svelto per i corridoi del Dipartimento.
Sapeva che quando Hermione gli aveva domandato di chi era la colpa se era incinta, non l’aveva fatto come un’accusa. La sua ‘Mione era troppo gentile, troppo buona per rinfacciargli di aver messo in pericolo lei ed il loro bambino. Non era questo che intendeva, Ron lo sapeva bene. Eppure per quanto sua moglie non li rivolgesse alcuna accusa, quelle parole avevano riportato la sua attenzione su quel particolare che la necessità di essere assolutamente concentrato nel tentativo di ritrovare l’auror Wallace ed impedire che il piano di Diodora divenisse realtà aveva, parzialmente, soffocato.
La verità era che si sentiva in colpa. C’era poco da discutere, era sempre stato protettivo rispetto ad Hermione, anche quando non avrebbe potuto dire di essere altro che il suo migliore amico. Questa tendenza si era accentuata sempre più, esponenzialmente da quando poteva vantare di fronte a tutti di aver una sorta di diritto di esserlo: Hermione era la donna con cui aveva scelto di condividere il resto della sua vita nel bene e nel male. Era più che normale che desiderasse prendersi cura di lei e preservarla da ogni minaccia nei suoi confronti.
Accorgersi che aveva fallito nell’impresa ed anzi aveva contribuito a metterla ancora più in pericolo, era stato un boccone amaro da digerire. Il Capitano Weasley non reagiva bene alla sconfitta, l’uomo Ronald Weasley ancor meno.
Al momento tuttavia, per quanto fosse ferito, doveva concentrarsi sulla sua missione. Thabatha e Percy erano riusciti ad individuare quale fosse il famigerato bene che Diodora accusava il Ministero di aver sottratto alla sua famiglia.
A volte avere Harry Potter tra gli auror era proprio una benedizione. Anche diversi anni dopo la fine della seconda guerra magica il suo nome e la sua presenza potevano aiutare a smuovere ingranaggi che ad altri avrebbero richiesto mesi. Il suo migliore amico era sempre estremamente riluttante a far pesare la sua identità per ottenere dei favori, ma la lotta contro il tempo che tutti loro stavano compiendo e la necessità di utilizzare vie alternative alle ufficiali per non incorrere nell’ira del capitano Robards, richiedevano un approccio non convenzionale.
Non sapeva esattamente cosa Harry avesse detto o promesso per convincere due addestratissimi Indicibili a fornirgli delle carte assolutamente riservate, lo stesso fatto che “corromperli” fosse stato possibile non deponeva granché bene per la sicurezza del Ministero, ciò che sapeva era che le carte relative al manufatto, la sua localizzazione e la formula per renderne il contenuto cifrato intellegibile si trovavano nella cartellina blu che l’auror Goldielocks e Percy stavano studiando.
Talvolta gli pareva che il suo mestiere – quello di organizzare e dirigere una missione – fosse costituito da un momento interminabile di attesa dopo l’altro. D’altra parte i migliori strateghi sono coloro che sanno attendere il momento migliore per attaccare.
Solo un duro addestramento aveva potuto insegnare ad un uomo tendenzialmente impaziente per natura a padroneggiare l’arte d’aspettare.
** * **
“Hermione, come ti senti?”
Il volto tondo di Neville aveva perso parte della rotondità fanciullesca, ma continuava ad ispirare simpatia come il giorno in cui la ragazza l’aveva conosciuto tanto tempo prima.
“Bene, Neville. Sul serio. Niente nausea, niente giramenti di testa. Sinceramente … Sì, direi che sono giorni e giorni che non mi sento tanto in forma.”
L’insegnante le sorrise, poi osservò con voce pacata. “Molto bene, è segno che il tonico che hai bevuto sta avendo effetto. Tra le varie cose aiuta anche la madre con i sintomi sgradevoli della gravidanza, peccato che possa essere somministrato solo molto saltuariamente perché ha un effetto assuefacente molto rapido.”
Hermione concordò. “In effetti è un peccato, stavo già per pregarti di insegnarmi a prepararla…”
A quelle parole il suo amico d’infanzia cominciò a ridere di gusto.
“Figuriamoci, io che insegno a te a fare qualcosa?”
Assumendo un’aria leggermente contrariata, rispose. “Neville tu insegni Erbologia, io non sono che un’impiegata del Ministero perché non dovrebbe essere così? Perché gli uomini intorno a me devono sempre sottovalutare i loro meriti? E’ una cosa che mi fa uscire di testa.”
Il suo interlocutore la fissò per un attimo in silenzio, quasi decidendo se fosse il caso di dire alcunché. “Com’è che ho l’impressione che non ti riferissi esattamente a me?”
Hermione lo guardò piena di tristezza. “Io lo amo con tutta me stessa. E’ l’uomo più coraggioso, meno egoista che abbia mai conosciuto, perché non capisce che è più che abbastanza? Perché non vede quanto è unico e quanto vale per me?” mormorò.
Era una domanda legittima. Una alla quale nessuno dei due e forse nemmeno Ron avrebbe potuto dare risposta.
** * **
Royalpain mosse la bacchetta in un movimento circolare. La sua figura si dissolse silenziosamente nell’aria, il suo corpo inghiottito in un incantesimo di disillusione.
Qualcosa non tornava. Era evidente che Weasley e quel pomposo di Potter stessero tramando qualcosa. Quello che avevano spacciato per un malore di Duncan Seymour era evidentemente qualcos’altro. Se ne sarebbero pentiti.
Attento a non fare il minimo rumore l’Assistente del Direttore Robards scivolò fuori dal suo ufficio. Avrebbe scoperto ciò che era successo e l’avrebbe riferito al direttore.
** * **
Hector chiuse rumorosamente la porta alle sue spalle. Fergus appariva sempre un latticino accanto a lui, ma al momento la pelle diafana dell’Assistente del Capitano Weasley era ancora più chiara del solito.
“Spaventato?” chiese, facendo saltare il giovane Auror evidentemente stupito dalla sua presenza e dalla sua voce profonda.
Il ragazzo annuì. “Mi spiace. So che non dovrei, insomma è il mio lavoro e tutto. Sono addestrato per questo, ma… Non mi aspettavo fosse tanto dura attendere e poi… Quando ho visto cadere Seymour, io… Non lo so… Mi spiace, so che è ridicolo.”
Gli occhi scuri dell’Auror più anziano si fissarono i quelli di Fergus “Stronzate, Finnigan. Se non fossi spaventato fin dentro le ossa, saresti un fottuto incosciente. Ricordati che la paura è la migliore amica di un Auror, la differenza tra un Auror morto ed uno vivo.”
Hector guardò l’ora sull’orologio a muro. “Mezz’ora. Hai giusto il tempo per ricordarti perché combatti. Corri da Thabatha, prima che il Capitano Weasley venga qui dentro sbraitando “Muovetevi!” Immagino che ormai ciò che si poteva fare per trovare la Mackenzie sia stato fatto. Non ci resta che sperare in Ron e sua moglie…”
Mentre Fergus scuoteva la testa, Hector sentì un leggero spostamento d’aria sul suo lato sinistro. In altre occasioni, forse l’Auror di colore avrebbe potuto pensare fosse un’impressione, ma quando c’era di mezzo una missione segreta non era il caso di lasciare nulla al caso. Allungando la mano alla bacchetta, urlò “Incarcerus” puntandola verso il luogo dal quale aveva sentito provenire il movimento.
“Hector, che cavolo…” La frase morì sulle labbra di Fergus al suono di qualcosa di pesante cadeva al suolo con un gemito decisamente umano.
Alzandosi, Rednails mosse la bacchetta, rimuovendo l’incantesimo dell’invisibilità che celava ai loro sguardi lo spione.
Ai suoi piedi, legato come un arrosto domenicale, stava Royalpain in persona.
Sembrava che Natale fosse arrivato prima del previsto per Hector Rednails quell’anno.
** * **
Diodora guardò la veste assolutamente bianca che aveva fatto indossare alla Prigioniera.
Aveva sempre amato gli ingressi scenografici e quello sarebbe stato un vero e proprio trionfo: la stoffa era quasi trasparente e così sottile che la minima brezza la faceva volare, sembrava un angelo. Un bellissimo angelo distruttore. La pelle diafana ed i capelli rossi della Sua Serva accentuavano quell’impressione. Quando era stata una persona, la donna aveva avuto bisogno di quegli orribili occhiali, ma ora non era così.
L’enorme potenziale della magia che le scorreva nelle vene aveva reso simili sciocchezze risibili. No, al momento Audrey non aveva più bisogno di lenti per correggere la sua miopia. Il suo corpo da sempre esile e quasi fanciullesco nelle forme era sbocciato in curve che non aveva mai avuto, il suo ventre leggermente gonfio nell’imitazione della gravidanza.
Una delle parti più complesse del piano di Diodora era stata trovare un incantesimo che le consentisse di controllare una creatura che avesse una potenza magica così primitiva e inarrestabile da poter manipolare la magia pura. La soluzione era stata indurre lo stato di incoscienza e di assoluto assoggettamento alla sua magia della sua Serva, prima di somministrarle la posizione e di scagliare l’incantesimo che aveva trovato nelle scritture in cornish.
Con sua enorme soddisfazione, tutto era andato perfettamente. Non che ci fosse dubbio, Diodora Mackenzie non sbagliava mai.
Aprendo la porta con un movimento di bacchetta, la strega diresse l’Auror fuori dalla porta, seguendo la sua Arma di Distruzione, come una regina avrebbe seguito la sua Ancella.
Un movimento di bacchetta, la mano lieve di Audrey che si spostò leggermente nell’aria e il ritmo del Dies Irae di Verdi sostituì il suono delle foglie sferzate dal vento.
Questa cosa che la magia pura tutto poteva era qualcosa di meraviglioso.
** * **
Il corpo di Duncan Seymour sussultò nel letto dell’infermeria.
I suoi occhi azzurri si guardarono intorno terrorizzati ed abbagliati dalla luce che aveva sostituito il buio che aveva oscurato la sua mente.
Il suono di quella musica sinfonica aveva risuonato nella sua testa come la detonazione di una granata, strappandolo da quella nebbia fluttuante che l’aveva avvolto subito dopo aver individuato il luogo di prigionia della sua collega Auror.
Sforzando la voce, oltre le catene roventi che imprigionavano la sua gola e le sue corde vocali, Duncan chiamò aiuto.
Le sue parole così deboli che non riusciva a sentirla oltre il suono dell’orchestra di morte che gli risuonava negli orecchi, più forte che se fosse reale.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Showdown - Prima parte ***
Nda Perdonate il ritardo nell'aggiornamento. Sto lavorando come una matta. Mi farebbe piacere sapere se la battaglia è come ve l'eravate immaginata o meno.
Scrivetemelo. Baci L.
CAPITOLO XVII
SHOWDOWN – PRIMA PARTE
Legato come l’arrosto domenicale dalle corde magiche con cui Rednails l’aveva avvolto, l’Auror Royalsafe fissava con un’espressione di assoluto disprezzo negli occhi porcini il Capitano Potter ed Hector, mentre questi discutevano su quale fosse il modo migliore per renderlo, momentaneamente, inoffensivo, dopo che l’assistente di Robards che era stato sul punto di svelare il loro piano segreto per catturare Diodora.
“Temo che tu debba aspettare, Hector. L’ultimatum della Mackenzie è scaduto da pochi minuti e presto avremo problemi ben più pressanti di questo ficcanaso. Penso che chiuderlo nello sgabuzzino delle scartoffie in fondo al corridoio sia sufficiente, basterà renderlo Imperturbabile e quando l’incantesimo Silencio sarà venuto meno, nessuno – ammesso che ci sia qualcuno che possa prestargli attenzione e temo il contrario, se Diodora entrerà realmente in azione – lo sentirà.” Osservò Harry, scostando frettolosamente una ciocca ribelle dai suoi occhi come faceva spesso quando era teso.
Battendo la bacchetta nervosamente sul palmo della grossa mano, l’altro Auror sospirò. “Ha ragione, Capitano… cioè Harry.” Si vedeva che la prospettiva che la spia se la cavasse così a buon mercato gli dispiaceva, ma sapeva benissimo che era questione di priorità. Al momento occorreva concentrarsi sull’obiettivo Mackenzie, lasciando perdere le vecchie ruggini dell’Accademia tra lui e l’assistente di Robards. Era un vero peccato, ma Rednails avrebbe fatto ciò che doveva.
Mugugnando a bassa voce.“Te la cavi sempre troppo bene, Royalpain.” Hector mosse la bacchetta verso il prigioniero che si sollevò magicamente, con tutta la sedia alla quale era stato assicurato, dal pavimento.
“Capitano, potrebbe verificare se ci sia qualcuno nel corridoio? Non è il caso di dare troppo nell’occhio.”
Harry aprì uno spiraglio di porta, guardandosi circospetto intorno.
“Via libera, Hector. Io controllo il corridoio di destra. Fa presto.” Sussurrò.
“Sissignore.” Con un movimento secco Rednails fece fluttuare alla massima velocità la sedia con legato l’Auror verso lo sgabuzzino dove dovevano nasconderlo. Fortunatamente sembrava che tutti fossero così affaccendati con il caso Mackenzie, chi in via officiosa, chi in via ufficiale, che i corridoi del Dipartimento erano deserti come raramente capitava.
Hector sussurrò Alohomora e la porta dello sgabuzzino si aprì immediatamente. Guardando negli occhi Royalsafe, fece fluttuare la sedia verso lo stanzino, aumentando la velocità più possibile e… Bang!
Harry si girò di scatto a guardare il suo complice con aria seccata, sussurrando. “Hector, per Merlino, questo tu lo chiami agire in maniera circospetta?”
Stringendosi nelle enormi spalle, l’Auror replicò. “Mi dispiace, davvero Capitano, non ho preso bene le misure.”
Il sorriso a quarantadue denti di Rednails diceva tutt’altro. “Guarda il lato positivo Potter per un po’ non potrà parlare con nessuno, incantesimo imperturbabile o meno.”
Scuotendo la testa Harry evitò di commentare. Certe ruggini non si scalfiscono mai.
La testa di Royalsafe giaceva abbandonata sulla sua spalla, l’impatto con l’architrave della porta gli aveva fatto perdere i sensi.
** * **
“Infermiera, chiami Smith, devo parlare con lui, presto!”
L’addetta all’infermeria l’aveva guardato con una certa apprensione e Duncan non aveva dubbio che quell’espressione fosse più che giustificata.
In fondo era stato privo di coscienza fino a qualche minuto prima ed ora si era alzato a sedere come se il materasso sul quale aveva riposato avesse preso fuoco, cominciando a gridare aiuto.
Il problema era che non c’era nemmeno un secondo da perdere.
Ciò che aveva visto, ciò che Audrey gli aveva permesso di vedere, era un orrore senza precedenti. Era troppo tardi per fermare quella criminale della Mackenzie prima che potesse mettere in azione il suo piano, questo gli era ormai tristemente chiaro, ma potevano intervenire per cercare di fermarla.
La porta bianca dell’infermeria si aprì, rivelando le fisionomie note di Smith e del Capitano Weasley. Meglio ancora, avrebbe potuto informare direttamente il suo superiore. Ron avrebbe saputo che fare.
La donna che li aveva condotti lì uscì immediatamente dalla stanza, era abituata a curare gli Auror e probabilmente sapeva che alcune informazioni non potevano essere rivelate in presenza di civili. Che ci fosse la massima urgenza sarebbe stato chiaro a chiunque, ma Duncan approvò la prontezza di spirito della sua infermiera.
“Capitano, John, io so dove si trovava la Mackenzie, ma è troppo tardi per intercettarla. Lei … Ho sentito Audrey gridare. L’ho vista, sta venendo qui, vuole riavere quello che è suo. Non so cosa sia, ma non si fermerà davanti a niente per averlo.”
Ron annuì con aria grave. “Il tempo del suo ultimatum è scaduto, purtroppo è passato il tempo in cui potevamo pensare di fermare Diodora prima che potesse sferrare il suo attacco, non ci resta che combatterla. Credo che l’auror Goldielocks e mio fratello siano riusciti ad individuare l’obiettivo della Mackenzie, è un manufatto appartenuto ad un suo antenato. Uno che nelle mani sbagliate può rivelarsi distruttivo quasi quanto la magia pura che Diodora userà per riprenderselo. Sta sicuramente venendo qui. Dobbiamo prepararci per la battaglia. Credi di poter essere dei nostri, Duncan?”
Per quanto ogni uomo a sua disposizione era preziosissimo alla missione, il Capitano Weasley sembrava chiedersi se fosse realmente indispensabile far combattere un auror che gli stava parlando seduto sulla branda dell’infermeria e che aveva riguadagnato da poco i sensi.
“Sissignore! Avete bisogno di me. Credo … Non ne sono sicuro, ma mi sembra di poter sentire ancora la voce di Audrey se mi concentro a sufficienza. Non sono esattamente sicuro di cosa significhi, ma potevo percepire quanto fosse spaventata, Capitano. Per sé e per noi. Non so cosa quella pazza abbia architettato esattamente, ma è qualcosa di terrificante, Audrey era spaventatissima e sappiamo entrambi che è una donna estremamente coraggiosa.”
I suoi due interlocutori avevano un’espressione molto preoccupata e Seymour non poteva che condividere i loro timori.
“Bene, dobbiamo muoverci. Smith, vai a raggruppare tutti. Al primo segnale d’attacco, voglio che siamo pronti a rispondere. Seymour mettiti l’uniforme e fatti trovare con gli altri, non c’è nemmeno un momento da perdere.”
** * **
Gli occhi castani di Hermione incontrarono quelli di Neville, la sua espressione incuriosita che si rifletteva in quella del suo amico Grifondoro, entrambi afferrarono la bacchetta. Quello che sentivano era qualcosa di portentoso e sinistro insieme. Il Ministero della Magia si estendeva sottoterra per diversi piani ed una vibrazione tellurica avrebbe potuto provocare quella scossa che sembrava scuoterlo come un sacchetto di patatine nelle mani di un bimbo troppo vivace. Ma la Gran Bretagna era un luogo a basso rischio sismico e mai prima di allora i due avevano sentito parlare di un terremoto che era accompagnato da musica sinfonica. No, quello che i due amici d’infanzia percepivano non poteva essere una coincidenza. Stava succedendo qualcosa di estremamente sinistro.
La porta dell’ufficio di Ron si spalancò, sbattendo contro la parete alle sue spalle.
Il rosso apparve bacchetta in pugno. “Presto, venite con me, dobbiamo raggiungere gli altri. Hermione, tu stai con me, sono stato chiaro? Non voglio perderti di vista nemmeno un attimo.”
Il cuore della donna cominciò a sobbalzare a ritmo con la musica che sempre più forte penetrava attraverso il terreno circostanza sin dentro l’ufficio.
Le battaglie della loro adolescenza avevano insegnato a Neville e alla donna a non discutere gli ordini, perdere tempo non era indicato, specie quando stavi giocando al gatto ed al topo con un mago oscuro o una perfida criminale.
I tre uscirono insieme a grandi passi dalla stanza.
** * **
Era la sensazione più curiosa del mondo, come sentirsi bruciare dall’interno per l’enorme potenziale della magia che albergava nel suo corpo ed allo stesso tempo essere assoggettata ad altri, completamente sotto il controllo della strega che l’usava come una bambolina vodoo.
L’orrore annebbiava il suo cervello eppure la sua mano, fosforescente come se fosse coperta di piccole lucciole che tutte insieme sprigionassero la loro luminescenza era la cosa più straordinaria che Audrey avesse mai visto.
Poteva sentire la voce di Diodora risuonare nel suo cervello, eppure la strega non aveva pronunciato nemmeno una parola. Era come se tutto le fosse possibile nel momento in cui tutto le era proibito. Lottare contro quella forza era estenuante, opporvisi inutile come essere sottoposte in un unico momento a mille maledizioni Imperio.
Sentiva il suo terrore ed al tempo stesso era come se quella sensazione le fosse aliena, lontana da sé, relegata in un luogo diverso non più collegata causalmente a quello in cui si trovava. La musica intorno a lei si fece tonante. Erano giunte di fronte al vecchio magazzino con i brutti manichini che camuffava all’occhio Babbano il Ministero della Magia.
La vita di Londra scorreva frenetica alle loro spalle, ignara dell’orrore che la donna dai capelli rossi con lo strano vestito bianco e la piccola moretta dietro di lei stavano per scatenare. Gli occhi dei passanti si fermavano poco più che un momento su di loro, troppo disinteressati per lanciare più di uno sguardo stranito prima di ritornare tra i volti anonimi di altre centinaia di persone perse nelle proprie occupazioni.
Sembrava che i Babbani non potessero percepire l’orchestra che suonava stentorea. L’origine magica di quel suono persa per coloro che tale abilità non avevano.
Sentì Diodora scandire “Ora!” nella sua testa e Audrey vide la sua mano compiere un gesto simile a quello di un pianista su una tastiera immaginaria.
Poi successe qualcosa che sarebbe stato incomprensibile se l’Auror non avesse potuto percepire il riverbero della magia in tutto il suo essere. Una specie di vortice si formò nel suo ventre attraversandole le ossa, la carne, ogni centimetro della sua pelle, incandescente come un ferro estratto dalla cucina ed Audrey vide l’asfalto di fronte ai suoi piedi liquefarsi come se le note che la sua mano disegnava sul pianoforte immaginario si trasformassero in un’immensa onda sonica in grado di scavare la roccia.
Sentì Diodora esultare, mentre la terra rimbombava sotto i suoi piedi.
** * **
Il soffitto tremava.
Il pavimento tremava.
La piccola mano con lo smalto dalle mezzalune tremava intorno alla bacchetta a pochi passi da lui.
Non aveva mai avuto tanto paura in vita sua eppure Fergus Finnigan non si era mai sentito tanto sicuro di quello che stava facendo. Avrebbe combattuto fino all’ultimo respiro. Per sé e per Thabatha. Per il Capitano Weasley che sbraitava ordine qualche passo più in là, erto in tutta la sua altezza di fronte a sua moglie.
Il manufatto che la Mackenzie voleva riprendersi era stato sigillato all’interno di un campo di forza alle loro spalle. Thabatha e Percy Weasley aveva dedicato tutti i loro sforzi a trovare degli incantesimi sufficientemente forti per proteggerlo. Quella che a prima vista poteva sembrare una pietra ovale, liscia come mai Fergus ne aveva vedute, era in realtà un terribile strumento di morte.
Il dipartimento dei Misteri l’aveva studiato per anni e sebbene la sua origine continuava ad essere ammantata nelle nebbie della più antica Magia Oscura, pareva che quell’oggetto apparentemente innocuo fosse in grado di catalizzare la potenza della maledizione Fiendfyre, consentendo a chi scagliava l’incantesimo non solo di controllarlo a proprio piacimento, ma di modificarne le caratteristiche. Nonostante il suo enorme potenziale distruttivo l’incanto del Fiendfyre era sempre stato ritenuto troppo incontrollabile per essere utilizzato in maniera efficace. Pareva che la famiglia Mackenzie avesse già nel ‘600 trovato il modo di superare tale difetto della maledizione, utilizzando come base per la creazione del Catalizzatore le teoria sulla inversione degli opposti, legati alle leggende sull’utilizzo della magia pura.
Con quello che aveva scoperto nel tentativo di riprendersi il manufatto del proprio antenato se Diodora fosse entrata in possesso di quell’oggetto le conseguenze sarebbero state irreparabili.
“Ok, tutti pronti, il muro si sta liquefacendo. Smith, Harry, Seymour pronti a lanciare lo Scudo.” Ron urlava per farsi sentire oltre la musica sinfonica che cominciava a diventare una tortura in sé. Fergus la poteva sentire rimbombare nella pelle, nella cassa toracica, come se minacciasse di distruggere i suoi organi come stava facendo con il muro del Dipartimento.
Poteva percepire al di là della sua concentrazione lo scalpitio di passi che si susseguivano nei corridoi, le grida spaventate degli impiegati del Ministero che correvano verso le uscite di emergenza attraverso i gabinetti nel tentativo di raggiungere l’esterno. Nessuno aveva dato l’ordinato ordine di evacuazione del Ministero che avrebbe dovuto essere dato in questi momenti: Robards aveva sottovalutato la minaccia, il Ministro aveva puntato sul Direttore del Dipartimento degli Auror, un eroe della prima guerra magica per valutare la pericolosità della criminale con cui avevano a che fare ed entrambi avevano preso una cantonata.
Il muro di fronte ai suoi occhi si trasformò in acqua corrente e Fergus assisté allo spettacolo più particolare al quale avesse mai partecipato: di fronte a lui c’era una donna sfolgorante, la sua pelle luminescente come se fosse cosparsa di fosforo. Sembrava circondata da una sorta di campo di forza, come se l’aria intorno a sé fosse rarefatta eppure la veste bianca si gonfiava e volava come mossa da un vento enorme.
Non pareva una creatura umana, ma una specie di etereo fantasma. Niente l’aveva mai atterrito ed al tempo stesso affascinato tanto in vita sua. Le sue forme erano dolci, tonde e materne. E poi proprio, mentre Fergus si chiedeva chi fosse quell’essere terrorizzante, sentì la voce di Percy Weasley rantolare in un’agonia che ricordava quello di un uomo colpito dalla Maledizione Cruciatus.
“Noooooo, Audrey!”
Fu un attimo. Il tempo di rendersi conto che quella che vedeva non era altro che la sua collega di lavoro e poi tutto esplose di fronte ai suoi occhi e Fergus si trovò a volare nell’aria, il pavimento della stanza catapultato in un’altra posizione, il piano del suo orizzonte finito in un enorme caleidoscopio di fiamme e pezzi di vetro.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Showdown - Seconda parte ***
Ok
giovani lettori, ci siamo. Ecco il capitolone con la battaglia
finale. Spero non mi odierete dopo averlo letto e per come
l’ho concluso, ma c’è
ancora spazio per un capitolo ed un epilogo prima di dire addio a
questa
storia. A settimana prossima. Forse. Se riesco. L.
CAPITOLO
XVIII
SHOWDOWN
– SECONDA PARTE
Per
un attimo il rumore della musica sinfonica che attorniava il gruppo di
Auror
pronti al combattimento si fece così roboante da diventare
insopportabile, poi,
prima che i presenti potessero reagire la melodia creata dalla Serva si
trasformò in un’enorme onda sonica.
L’impatto dell’enorme potenziale creato
dalla magia pura si scaricò in tutta la sua potenza contro
le tre pareti
restanti della sala, simile alla deflagrazione provocata da mille
incanti Bombarda Maxima.
L’urlo
di Percy Weasley che fino ad un attimo prima aveva minacciato di
competere alla
pari con il frastuono dell’orchestra immaginaria creata dalla
sua ragazza fu
sovrastato dal rumore dei calcinacci e delle pareti che venivano
catapultati in
ogni direzione. L’ufficio degli Auror dove i combattenti
stavano radunati
trasformato in un enorme deposito di detriti e macerie.
Thabatha
Goldielocks se ne stava in ginocchio. Il luogo dove fino a pochi
secondi prima
Fergus aveva atteso l’attacco di Diodora accanto a lei
vacante. La bacchetta
ancora in pugno la giovane donna fissava con un’aria quasi
affascinata l’enorme
scheggia di vetro che le attraversava da parte a parte il braccio. La
scrivania
sulla quale aveva speso ore ed ore nei giorni precedenti alla ricerca
di un
indizio per fermare la Mackenzie si era disintegrata in mille frammenti
i quali
erano stati scagliati come grandi frecce per la stanza.
Era
strano. Non faceva male come si sarebbe aspettata. Guardando il palmo
della
mano che impugnava la bacchetta, Thabatha mosse piano le dita.
Il
sottile lamento di un animale ferito attirò
l’attenzione dell’Auror. Curiosa si
guardò intorno cercando la fonte di quel
suono.
Era
strano. Sembrava non ci fosse nessuno vicino a lei, eppure quel gemito
di
dolore sembrava provenire dalle sue immediate vicinanze. Non
c’era nessun altro
suono, la musica era cessata ed il silenzio che risuonava nelle sue
orecchie,
insieme a quel lamento disperato era straziante.
** *
**
Fergus
si sollevò piano da terra. Aveva battuto la testa contro
qualcosa di solido. Il
pavimento forse. Il sangue gli colava lungo il lato destro del viso
copioso.
Non era niente di preoccupante: nei corsi all’Accademia
Fergus aveva imparato
che i tagli alle sopracciglia sanguinano molto perché si
tratta di una zona
molto capillarizzata. Doveva solo cercare di tenere il sangue lontano
dagli
occhi e raggiungere gli altri.
Il
Capitano Weasley era stato molto chiaro, il suo compito era, oltre a
quello di
combattere, quello di occuparsi di coloro che si fossero feriti durante
la
battaglia e sicuramente l’esplosione che l’aveva
sbalzato lontano dal luogo in
cui si trovava prima, aveva un grande potenziale offensivo.
Sbirciando
oltre i detriti dietro i quali era finito, Fergus cominciò a
camminare piano,
bacchetta in pugno, cercando di individuare dove fossero finiti gli
altri e
dove si trovassero Audrey e Diodora. Il caos attorno a lui era enorme.
Quella
dannata musica che aveva dato luogo alla deflagrazione si era per un
attimo
attenuata, ma ora stava riprendendo vigore come se si preparasse a
creare una
nuova onda distruttiva. Poteva sentire le voci dei suoi compagni
gridare ordini
ed incantesimi. La voce di Ron più forte di tutte le altre,
intervallata a
quella del Capitano Potter.
Scavalcando
un mucchio di pezzi di vetro e calcinacci, Fergus notò
Rednails brandire la sua
bacchetta in un movimento complesso sollevando la trave che gli
ostruiva il
passaggio. Sembrava che al di là di qualche contusione e
livido, il grosso
Auror stesse bene.
“Tutto
ok, Hector?” Strillò.
“Non
c’è male. Non so cosa fosse quella dannata cosa,
ma dobbiamo impedire che si
ripeta.” Gridò lui di rimando. “Per
fortuna il campo di forza intorno al
manufatto ha retto.”
Fergus
sorrise nonostante la situazione. Non aveva dubbio che
l’avrebbe fatto.
Thabatha aveva studiato come una pazza per trovare
quell’incantesimo e mai
avrebbe lasciato nulla al caso. Lei era così metodica e
brillante.
Proprio
mentre finiva di formulare questo pensiero, un suono disperato
richiamò
l’attenzione dei due Auror. Prima che Fergus potesse
accorgersi cosa fosse, la
voce di Hector Rednails gli gelò il sangue nella vene.
“Per
Merlino, Goldielocks.” Lo sentì mormorare prima di
correre a gran velocità
verso la figura in ginocchio.
In
un attimo tutti i timori che avevano tormentato Fergus prima della
battaglia
gli si scagliarono addosso mentre imitava l’auror di colore,
raggiungendo
Thabatha.
Gli
enormi occhi della ragazza si fissarono su di lui quasi non lo
vedessero. Aveva
un’espressione assente come trasecolata e continuava a
emettere quel suono a
metà tra un lamento ed un singhiozzo come se non se ne
accorgesse. La pozza di
sangue ai suoi piedi era di una dimensione tale da far preoccupare
tremendamente Fergus. La scheggia di vetro che le trapassava l'arto,
sembrava essersi incastrata nell’articolazione tra la spalla
ed il braccio,
rendendola incapace di muoverlo dal polso in su.
“Thabatha,
non preoccuparti, tesoro. Lasciami fare.” Lei
continuò a guardarlo con
espressione assente.
“Hector,
per l’amor del cielo, aiutami. Dobbiamo levarlo, prima di
poter curare la
ferita.”
Sussurrò.
L’Auror
lo guardò spaventato. “Ma se è il pezzo
di vetro ad arrestare un po’
l’emorragia, cosa accadrà se lo
sfileremo?”
Fergus
scosse la testa, non voleva nemmeno pensarci, ma non poteva aspettare
la
quantità di sangue che la giovane Auror aveva già
perduto era già
sufficientemente preoccupante.
** *
**
Harry
Potter guardò l’uomo dai capelli rossi che
combatteva accanto a lui. Già una
volta aveva visto Percy lottare con quell’espressione di
completa devastante
disperazione stampata sul volto ed oggi come allora il terzogenito
Weasley
combatteva a testa bassa, la muta determinazione di un uomo senza
più nulla da
perdere stampato in volto.
Dopo
la violenta deflagrazione iniziale, Diodora sembrava aver deciso di
concedere alla
sua Serva il tempo di ricaricare tutte le sue forze, limitandosi a
sferrare
incantesimi offensivi standard.
La
Mackenzie era un’ottima combattente. Fredda e spietata e
nonostante il suo
esercito fosse formato solo da lei e da Audrey, la strega stava
lottando
valorosamente con gran parte dei migliori Auror che Harry avesse mai
conosciuto.
Balzando
indietro per schivare un incanto Expulso indirizzato
verso di lui, il Capitano Auror guardò preoccupato il campo
di forza che, alle
sue spalle, proteggeva il manufatto sequestrato a Dioscurus Mackenzie
tanto
tempo prima. La superficie dello stesso scintillava di tanto in tanto,
segno
che la magia protettiva che lo racchiudeva si stava rapidamente
attenuando
contro i continui assalti ed incantesimi che Diodora ed Audrey gli
indirizzavano, quando non cercavano di colpire gli auror.
“Percy,
il campo di forza sta per cedere dobbiamo rinforzarlo.”
L’uomo
scagliò un incanto Confringo verso
Diodora. Sebbene la minaccia più letale fosse costituita da
Audrey sembrava che
nessuno degli auror, senza che alcuno di loro avesse verbalizzato il
concetto,
tentassero di colpirla. Benché al momento la donna
costituisse un accerrimo
nemico tutti erano consapevoli che lei agiva come uno strumento della
criminale
e contro la sua volontà e cercavano in ogni modo di evitare
di ferirla.
“Presto,
Harry, coprimi. Devo rinforzare l’incantesimo. Non possiamo
permetterle di
prenderlo.”
Harry
annuì. “Seymour, Smith da questa parte. Quiiiiii!
Presto!”
I
due uomini corsero a tutta velocità verso il Capitano
Potter. “Ci serve
qualcosa che distragga la Mackenzie per un po’. Dobbiamo
proteggere il
manufatto meglio. Al mio tre, tutti insieme Aqua
Eructo.”
Il
grande getto d’acqua creato dalle bacchette dei tre auror si
attorcigliò in un
enorme gorgo schiumante prima di formare un arco lungo quello che una
volta era
il soffitto dell’ufficio degli Auror dirigendosi verso il
brandello di parete
sul quale stavano Diodora ed Audrey.
Colpita
in pieno, Diodora perse leggermente l’equilibrio, scivolando
in avanti, prima
di riprendersi, piroettando in una sorta di salto mortale al
rallentatore verso
il pavimento. La bacchetta che descriveva nell’aria lo stesso
movimento del suo
corpo.
In
quello stesso momento Harry sentì Seymour mormorare
“Oh Merlino Capitano. Audrey,
ho sentito la voce di Audrey dirmi quasi.”
Harry
si girò lentamente verso l’auror biondo.
“Che vuol dire?”
“Non
ne ho idea.”
“Ok,
Duncan, continua a …” Qualunque fosse il concetto
che Harry Potter voleva
esprimere le sue parole furono troncate da un'esplosione a pochi passi
da lui.
** *
**
Concentrandosi
al massimo
delle sue possibilità Percy cercò di rinforzare
il più possibile il campo di
forza intorno al manufatto.
Si
sentiva come avvolto in una grossa nuvola di nebbia e disperazione dove
esisteva
solo l’istante immediatamente successivo. L’aver
visto che Diodora si era
servita di Audrey per mettere in atto il suo diabolico piano
l’aveva privato di
ogni speranza. Combatteva come un condannato a morte. Comunque fosse
andata,
comunque la battaglia si fosse conclusa, Percy avrebbe perso tutto.
Per
poter sconfiggere Diodora era necessario privarla della sua arma e,
malgrado,
sinora gli Auror avessero cercato di evitarlo era evidente che per
farlo prima
o poi avrebbero dovuto scagliarsi contro Audrey. Il procuratore Weasley
era un
uomo di logica e razionalità e questa era la soluzione
logica e razionale per
quanto fosse la più sgradita verità che egli si
fosse mai trovato di fronte.
Avrebbe
combattuto sino alla morte. Se Diodora avesse raggiunto il suo
obiettivo
l’avrebbe fatto camminando sul cadavere di Percival Ignatius
Weasley.
** *
**
Ron
si guardò intorno. La battaglia si stava mettendo sempre
peggio. L’ufficio
degli Auror era ormai un cumulo di macerie e non vi era più
che una manciata di
uomini per proteggere il manufatto DM-5.9.666.
Hermione
e Neville si trovavano a pochi passi da lui. Dopo il momento di
assoluto
terrore che aveva provato quando li aveva persi di vista a seguito
dell’esplosione
iniziale, l’uomo si era assicurato di non allontanarsi mai da
loro.
Come
c’era da aspettarsi sua moglie e l’amico
Grifondoro, sebbene fossero civili,
stavano combattendo come i suoi uomini senza esclusione di colpi.
Hermione
letale con la bacchetta come lo era sempre stata sin da ragazzina
quando era
stato necessario combattere con i più perfidi dei maghi
oscuri.
Improvvisamente
un’esplosione particolarmente vicina a loro li fece girare di
scatto.
“Oddio,
Harry!!!!”
Prima
di rendersi conto di ciò che stava accadendo pienamente,
vide Hermione correre
verso il loro migliore amico.
“Aspetta,
Hermione.” Gridò, seguendola.
** *
**
Fergus
sentiva il cuore rimbombargli nelle orecchie. La bacchetta rischiava di
scivolare nel palmo sudato della sua destra, ma sapeva di doversi
concentrare
al massimo.
Si
trattava di Thabatha e non poteva in alcun modo sbagliare.
“Hector,
tienila ferma per l’altra spalla, per favore.”
L’enorme braccio dell’Auror più
anziano si posò sulla spalla sana della giovane donna.
Respirando
piano, Fergus cominciò a sfilare con tantissima accuratezza
il frammento di
vetro imprigionato all’interno del braccio di Thabatha.
L’incantesimo che stava
utilizzando per rimuoverlo era una magia standard che veniva
comunemente
utilizzata da tutte le madri per togliere pezzettini di vetro dalle
braccia o
dalle gambe dei loro bimbi in caso di incidente domestico.
Ciò
che rendeva particolarmente complessa e pericolosa
l’operazione che stava
eseguendo era la dimensione del frammento di vetro conficcato nel
braccio di
Thabatha, la quantità di sangue che la ragazza aveva
già perso e
la presenza di grossi vani sanguinei in quella parte del corpo, che avrebbe
potuto
provocarle una tremenda emoraggia, una volta che il corpo contundente
fosse
rimosso.
Fergus
fissò la scheggia di vetro, mentre la stessa si muoveva
lentamente. Sapeva che
l’operazione doveva essere particolarmente dolorosa per
Thabatha, ma non si
fidava di utilizzare altri incantesimi che attenuando la sua sofferenza
avrebbero potuto farle perdere ancor più le forze.
Il
corpo della giovane Auror cominciò a tremare in maniera
preoccupante,
nonostante Hector la tenesse saldamente. Sembrava che la ragazza stesse
per
avere le convulsioni. Doveva fare al più presto.
Muovendo
la bacchetta più velocemente Fergus liberò il
frammento dalla carne dell’auror
Goldielocks. Immediatamente il sangue cominciò a zampillare
dalla ferita.
“Per
Merlino!!!”
“Fergus?”
domandò preoccupato Rednails.
“E’
un’emorragia, devo far presto.”
“Vulnus sanare!” Strillò
forte,
tremendamente impaurito. Non poteva permettere che Thabatha morisse.
Era sempre
più pallida, ma non poteva lasciarla andare, non con tutto
quello che provava
per lei. Stringendo i denti, l’auror continuò a
ripetere l’incanto finché la ferita
cominciò a rimarginarsi.
Thabatha
che aveva mantenuto una parvenza di semicoscienza fino a quel momento
si lasciò
andare priva di sensi contro il corpo di Hector.
“Presto,
Hector devi portarla in infermeria, ti prego. Io devo star qui ad
assistere gli
altri.”
“Tornerò
al più presto, andrà tutto bene.” Lo
rassicurò, l’auror dirigendosi con
Thabatha tra le braccia verso quello che restava del corridoio
dell’ufficio.
Respirando
per cercar di calmarsi, Fergus si diresse a grande velocità
verso il luogo in
cui aveva sentito una grande esplosione. Sperava solo che nessuno fosse
gravemente ferito, era già terrorizzato così
com’era.
** * **
Seymour
guardò il volto sofferente di Smith, qualche secondo prima
aveva sussurrato ad
Harry Potter delle parole di speranza ed ora gli occhi azzurri
dell’uomo che
era stato il più fidato compagno d’armi che avesse
avuto lo fissavano privi di
vita.
In
uno slancio eroico, Smith si era gettato verso il corpo di Harry Potter
nel
momento in cui l’esplosione l’aveva investito ed il
suo corpo aveva agito da
scudo per quello del Bambino Sopravvissuto. Le ferite che aveva
riportato erano
state tanto gravi da ucciderlo sul colpo.
Harry
lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, sussurrando.
“Tutto ok?”
Alcune
schegge avevano colpito entrambi, ma a parte alcune ferite
superficiali,
sembravano stessero bene.
Seymour
annuì incapace di parlare.
“Dobbiamo
fermarla.” Urlò Harry, lanciando nuovamente un
incantesimo all’indirizzo di
Diodora.
** * **
Ron
gridò a pieni polmoni, ma persa nella sua corsa disperata
verso Harry, Hermione
non si fermò. L’esplosione attorno a loro
annebbiò la sua vista.
Quando
il fumo si diradò, la donna non era più visibile.
“Neville!”
chiamò Ron disperato. “Hermione? Non vedo
più Hermione!”
Correndo
accanto a lui, l’amico di infanzia cominciò a
guardarsi in giro altrettanto
convulso. “Non so dove sia, Ron.”
“Harry!”
Il
Capitano Potter la bacchetta in pugno si girò verso il
cognato. “Che c’è, Ron?”
Ai
suoi piedi il corpo esanime dell’auror Smith, sembrava
ricordare all’agitatissimo
rosso quale fosse il pericolo che tutti stavano correndo.
“Non
trovo più, Hermione!”
“Come???
Per Merlino!”
In
quel momento tutti i presenti sentirono la voce di Audrey risuonare
nell’aria. Il
suo corpo stava divenendo luminoso in maniera quasi insopportabile alle
spalle
di Diodora. Le sue labbra erano completamente ferme.
“Date
alla mia Padrona, ciò che è Suo e perirete
rapidamente. Altrimenti affronterete
la sua giusta ira!”
In
quel momento tutto intorno a loro cominciò a tremare quasi
che le parole della
donna dovessero trovare conferma nei fatti.
Una
voce stentorea quasi quanto quella di Audrey ed altrettanto
agghiacciante si
levò da dietro il gruppo di uomini.
“Mackenzie,
non avrai mai quello che vuoi. Non importa cosa farai! Audrey, tesoro
mio, ti
amo. So che non sei tu, so che non vuoi farci del male.” Le
lacrime solcavano
il volto di Percy, ma la sua volontà era d’acciaio.
Sollevando
l’incantesimo di protezione dal manufatto sequestrato da un
colpo di bacchetta,
l’uomo urlò “Vieni a prenderlo, se
vuoi.”
Immediatamente
sentirono la risata di Diodora eccheggiare nell’aria.
“Stolti! Mia Serva
prendilo, ora.”
Avanzando
a lunghi passi misurati verso Percy, il corpo luminescente, mentre il
terremoto
che minacciava di farli cadere aumentava ad ogni passo, Audrey si fece
strada
verso il manufatto.
Gli
incantesimi che infine gli auror e Neville erano costretti a scagliare
verso di
lei per fermarla, sembravano infrangersi contro una sorta di campo di
forza che
l’avvolgeva. Quando Ron fece per correre verso di lei per
salvare il fratello
venne scaraventato a terrà con una tale violenza che Fergus
poté percepire lo
scricchiolio di alcune delle sue costole che si fratturavano
all’istante. Immediatamente
il giovane corse incontro al suo Capitano per prestargli soccorso.
Lo
spettacolo a cui stavano assistendo impotenti era il più
tremendo che si
potesse immaginare. Il volto di Audrey stravolto di sofferenza, le
lacrime che
le scorrevano copiose lungo il viso brillante come un piccolo sole,
eppure il
controllo di Diodora la faceva avanzare letale verso l’uomo
che amava e il
manufatto alle sue spalle.
Il
suono della musica si fece di nuovo sempre più forte, tutto
intorno la terra
cominciò a tremare in modo tale da rendere quasi impossibile
mantenersi in
piedi.
Mancava
poco più di qualche passo e tutto sarebbe finito.
Chiudendo
gli occhi contro la luce che lo abbagliava, Percy mormorò
“Ti amo, tesoro. Sempre.”
** * **
Sotto
il Mantello dell’Invisibilità che Harry le aveva
infilato in tasca poco prima
di preparsi a combattere Hermione Granger-Weasley prese un grosso
respiro e
puntò la bacchetta direttamente alle ginocchia di Diodora
Mackenzie, se avesse
sbagliato tutto sarebbe finito. La sua famiglia sarebbe finita.
Il
bimbo che portava in grembo non sarebbe mai nato.
Concentrandosi
come mai prima di allora, Hermione scagliò un incantesimo
volto a fratturare istantaneamente
le rotule della perfida strega.
La
donna emise un urlo furioso accasciandosi al suolo, la bacchetta che
teneva tra
le dita le scivolò dalla punta delle dita. Ebbe appena il
tempo di vedere Harry
correre verso la Mackenzie, mentre Ron scansando un disperato Fergus
che
cercava di fermarlo, zoppicava verso di lei, piegato in due dal dolore.
Gettando
il mantello, ormai sicura che tutti l’avessero avvistata,
Hermione partì a
tutta velocità verso il cognato, parandosi di fronte al suo
corpo proprio nel
momento in cui Audrey faceva partire l’onda sonica che prima
aveva sconvolto l’intero
edificio, urlando “Protego”.
La
stanza si riempì di un enorme bagliore ghiacciato, come
mille incendi del più
puro cristallo artico e, poi, tutto diventò buio nella testa di
Hermione
Granger – Weasley.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Di disperazione, dolore e Diodora. ***
N.d.A.
Come si comprenderà dal titolo questo penultimo capitolo
è piuttosto tragico,
ma c’è sempre speranza a questo mondo. Fidatevi.
Buona Lettura. L.
CAPITOLO
XIX
DI
DISPERAZIONE, DOLORE E DIODORA
Ron
aveva urlato.
Percy
aveva urlato
Seymour
aveva urlato.
Ma
nessuno all’interno del dipartimento degli Auror aveva
sentito la loro voce.
La vibrazione creata
dall’onda sonora che Audrey
aveva evocato si era infranta contro l’incantesimo scudo
scagliato da Hermione
con lo stesso fragore di mille tuoni che si concentrassero in un solo
punto.
Tutti i presenti erano caduti al suolo come fulminati, tenendosi
disperatamente
la testa tra le mani, privati della vista dall’inteso
bagliore che aveva
pervaso l’ambiente. In piedi era rimasta solo Audrey il suo
corpo
improvvisamente quasi opaco contro il fascio di luce.
Se
qualcuno avesse potuto guardarla ora si sarebbe reso conto che
repentinamente i
suoi occhi che, sino a qualche istante prima erano stati fissi come se
non
vedessero nulla, in un certo senso inumani, avevano ripreso il loro
consueto
colore ed la capacità di focalizzarsi sugli oggetti. Una
piccola lacrima simile
ad una goccia di pioggia che si era posata sulla guancia ancora
luminosa e
candida come la neve di Audrey disegnò un minuscolo rivolo
su una gota.
Con
un suono simile ad un singhiozzo l’Auror ruotò su se
stessa, il suo sguardo ancora
così terribile da sembrare insostenibile si fissò
su Diodora.
La
strega si mosse disperatamente, cercando di raggiungere con il braccio
la
bacchetta che giaceva al di fuori della sua portata, senza poter far
affidamento sulle gambe fratturate. Per la prima volta da quando
l’aveva rapita,
Audrey percepì l’allarme e la sensazione di
vulnerabilità nella sua
sequestratrice.
Chiudendo
gli occhi, Audrey soffiò piano sul pavimento intorno alla
strega. Come dal
nulla l'aria intorno alla strega si condensò, una gabbia
opalescente si
materializzò intorno a Diodora, la bacchetta irraggiungibile
oltre la sua
prigione. Chiusa nel bozzolo creato da quelle che sembravano enormi
zanne
d’elefante la strega strillò tutta la sua rabbia.
Audrey
non la degnò di uno sguardo. Improvvisamente
l’estrema fatica che le era
costata utilizzare l’immenso potenziale magico durante la
battaglia la colse.
Ogni più piccola funzione corporea come respirare o tenere
aperte le palpebre
si stava facendo fisicamente insostenibile. Con le ultime forze che le
restavano, gli occhi che già minacciavano di girare
all’indietro, l’auror si
diresse verso il punto in cui Percy giaceva, le dita saldamente strette
intorno
al manufatto che Diodora aveva cercato di riprendersi.
**
* **
Harry
aprì gli occhi. Tutto intorno a lui era poco chiaro, le sue
pupille quasi
incapaci di vedere dopo il lampo di luce che li aveva accecati. Aveva
l’impressione di scrutare ciò che lo circondava
attraverso uno schermo
lattiginoso.
Alla
sensazione straniante che percepiva contribuiva certamente il fatto che
non
riusciva a percepire più alcun suono attorno a
sé. Il forte dolore che aveva
percepito quando l’incantesimo lanciato da Audrey aveva
impattato contro lo
scudo scagliato da Hermione e il piccolo rivolo di sangue che
gocciolava lungo
entrambe le guance ai lati delle sue orecchie costituivano la prova
tangibile
che lo spostamento d’aria e l’intensità
del suono gli avevano fatto esplodere
entrambi i timpani. Si trattava di un infortunio minore, uno che
avrebbe
richiesto pochi minuti di cure di un Medimago per essere riparato, ma
in quel
momento il suo effetto era a dir poco terrorizzante. La confusione
accentuata
da quel silenzio di tomba.
Facendosi
forza il Bambino-Che-Era-Sopravvissuto-Per-L’Ennesima-Volta
si alzò in
ginocchio e poi in piedi aggrappandosi a ciò che restava di
quella che era
stata una scrivania. La devastazione intorno ai suoi occhi rivaleggiava
quella
di Hogwarts dopo la dipartita di Tom Riddle: a pochi passi da lui,
Seymour
giaceva svenuto, la bacchetta ancora in pugno. L’esplosione
li aveva colti
mentre entrambi cercavano di raggiungere Diodora.
Da
dietro un mucchio di detriti, Harry vide spuntare il giovane volto
pallido di
Fergus Finnigan. Il sangue gli copriva gran parte del volto, ma da
ciò che
poteva capire non si trattava di nulla di grave.
Era
preoccupatissimo, lo vide emettere un sospiro di sollievo accorgendosi
che
Harry era in piedi, salvo, anche se ferito, poi vide le sue labbra
formare una
domanda. Sicuramente il giovane gli stava chiedendo freneticamente
qualcosa, ma
lui non poteva sentirlo. Scosse la testa indicando con le dita le sue
orecchie.
La bacchetta di Harry era praticamente inservibile,
l’esplosione aveva
distrutto gran parte del legno della punta, scoprendone il cuore.
Scostando
un ciuffo di capelli color sabbia ormai raggrumati di sangue coagulato,
Fergus
annuì, indicandogli di star fermo. Accostò la
bacchetta prima ad un orecchio
del Capitano Potter e poi all’altro, mormorando delle parole
inudibili.
“Meglio?”
Il suono giunse alle orecchie di Harry gracchiante come attraverso un
antico
grammofono sul quale qualcuno avesse posato un disco pieno di graffi.
“Ti
capisco.” Mormorò a mo' di risposta.
Fergus
annuì. “Ci vorrà un po’ per
tornare come prima, purtroppo, Capitano.”
“Controlla
Smith, devo trovare gli altri. E guarisci quella ferita alla tua testa,
Fergus.”
L’Auror
si precipitò verso l’auror biondo a pochi passi da
lui.
**
* **
Hector
Rednails riprese pian piano i sensi. Tutto era di nuovo visibile
intorno a lui.
Quanto tutto era esploso, il vecchio Auror si era accasciato contro una
parete
cercando di proteggere con il suo corpo Thabatha. La giovane era
avvolta nelle sue braccia come in un bozzolo, ma la ferita che Fergus
aveva
tentato di rimarginare si era riaperta e, con suo immenso orrore,
Hector si rese
conto che la sensazione umidiccia ed appiccicosa, che sentiva contro il
braccio
dell’uniforme, era determinata dal sangue della sua collega
che aveva inzuppato
la stoffa.
Facendosi
forza, nonostante l’intenso dolore che percepiva per le
contusioni in tutto il
corpo, Hector decise di tentare il tutto per tutto. Smaterilizzarsi con
un
ferito instabile era estremamente pericoloso, ma se Thabatha non fosse giunta al
San
Mungo al più presto non avrebbe avuto alcuna speranza di
sopravvivere.
**
* **
Ciò
che lo colpì per primo fu il suono.
Attraverso
le sue orecchie che avevano da poco iniziato nuovamente a sentire, quel
rumore
giungeva simile ad un latrato. Gli ricordava qualcosa eppure non
riusciva a
dire esattamente cosa. E poi capì, erano anni che non la
sentiva ed ora gli
pareva di sentire la risata del suo padrino, Sirius Black. Quante volte
Harry
aveva desiderato risentirla. Ma c’era qualcosa in quella voce
di altrettanto
familiare, eppure diverso. Non era la voce di Sirius quella che
sentiva, ma
quella del suo migliore amico, di suo cognato.
Per
un momento Harry fu pervaso da un senso di giubilo. Se Ron rideva,
oltre quella
montagna di detriti e macerie che gli impediva la vista, significava
che tutto
era andato per il meglio: Hermione stava bene, il suo bimbo stava bene,
Percy
ed Audrey stavano bene.
Perché
come avrebbe potuto Ron ridere se qualcosa di terribile fosse successo
ad una
parte della sua famiglia?
Ed
allora perché Harry sentiva il sangue gelare nelle vene ad
ogni ulteriore
passo?
Sbucando
oltre le macerie, Harry vide la gabbia eburnea in cui Diodora Mackenzie
schiumava di rabbia e rancore, le sue urla si univano e ricorrevano con
l’unico
altro suono che colpiva le sue orecchie ronzanti.
Poi
mentre i suoi occhi prendevano cognizione della scena devastante
innanzi a sé,
Harry capì.
Non
era una risata.
Non
era un urlo.
Era
il suono più disumano che il Capitano Potter avesse mai
incontrato sulla sua
strada.
**
* **
Neville
Paciock non era un Auror. Non aveva mai avuto il desiderio di esserlo,
non
aveva mai avuto l’inclinazione di combattere in vita sua, ma
era un uomo
coraggioso, suo malgrado. Lo era stato da ragazzo, si era ricordato di
esserlo
quando Hermione Granger-Weasley era comparsa una mattina nel camino
della sua
camera da letto per chiedergli aiuto.
Aiuto.
Non sembrava altro che una parola quando qualcuno si soffermava a
pensarci.
Eppure Neville aveva fatto tutto ciò che era in suo potere
per aiutare il Trio
Magico.
La
sua vita era cambiata il giorno in cui Neville aveva conosciuto una
bimba
saccente dai capelli incredibilmente cespugliosi che si era offerta di
aiutarlo
a cercare Oscar, il suo rospo. Cresciuto fondamentalmente solo, il
bambino
pacioccone, impacciato e spaurito, cercando un anfibio, aveva trovato
degli
amici, uno dei tesori più preziosi della vita.
Molte
volte Neville aveva combattuto nella sua vita a fianco del Trio Magico,
prima
nell’Esercito di Silente e poi nella Battaglia Finale,
diverse volte si era
trovato ad affrontare situazioni spiacevoli e disperate: quando aveva
tagliato
la testa di Nagini con la spada di Godric Grifondoro, il ragazzo non
sapeva
perché uccidere quel tremendo serpente fosse tanto
importante, ma la fede in Harry l’aveva guidato.
Come
quella volta, anche questa Neville aveva accettato di essere parte
della
battaglia, fidandosi completamente della parola dei suoi amici, anche
questa
volta si era reso conto che, per quanto non avesse in fondo mai smesso
di
dubitare di sé, il suo aiuto poteva essere prezioso.
Eppure
in quel momento Neville non sapeva assolutamente che fare. Si sentiva
come
paralizzato nel punto in cui si trovava. I suoi occhi incontrarono
quelli di
Harry e, per un attimo, nonostante le differenze somatiche,
l’insegnante si
sentì come di fronte ad uno specchio: l’orrore e
la disperazione presente negli
occhi dell’amico, simile a quello che sentiva crescere nel
suo petto.
Vide
Harry cominciare a tremare in tutto il corpo, come se un vento gelido
l’avesse
investito, facendogli battere i denti. Fu in quel momento che Neville
comprese
che doveva riprendere il controllo di sé. Era necessario.
Concentrandosi
intensamente sul movimento delle sue gambe, l’uomo si mosse
pian piano, verso il
punto in cui il corpo di Ron Weasley gli appariva per la prima volta da
quando
lo conosceva piccolo. Sapeva che non poteva essere possibile. Il rosso
aveva
sempre sovrastato in statura tutti gli altri, il suo corpo per anni
incapace di
tenere il passo con la costante crescita delle sue ossa.
Eppure
ora, seduto sul pavimento coperto di ciottoli e polvere, la schiena
scossa dai
singhiozzi con il corpo di Hermione tra le braccia, Ron, uno degli
uomini più
forti e coraggiosi che Neville avesse mai incontrato, pareva
più sperduto e
piccolo di un neonato.
A
pochi passi dalla coppia, Audrey se ne stava riversa sul corpo di
Percy. Neville
poteva vedere il corpo dell’Auror respirare flebilmente,
mentre il sangue che
gocciolava dal fianco del procuratore Weasley imbrattava la veste
bianca come
la neve che ancora indossava.
Alzando
lo sguardo verso Harry, urlò “Chiama Fergus,
presto.”
Per
un attimo Harry batté le palpebre come se non avesse
compreso le parole di
Neville, poi annuì e corse indietro per la strada da cui era
venuto.
Cercando
di ingoiare l’enorme groppo che gli ostruiva la gola, Neville
si avvicinò a
Ron, toccandogli la spalla.
“Ron…”
chiamò piano, ma l’Auror continuò il
movimento meccanico simile a un ninnare la
donna che aveva tra le braccia, senza dar segno che aveva compreso.
“Ron,
ti prego…”
Alla
terza volta che Neville pronunciò il suo nome, Ronald
Weasley alzò il volto dal
corpo esanime di sua moglie e per un attimo il suo amico di infanzia
ebbe
difficoltà a riconoscerlo.
Per
tutti gli anni in cui l’aveva conosciuto in Ron
c’era stata come una scintilla,
un'inesauribile forza vitale. La vita l’aveva presa a calci,
maltrattata,
magari oscurata per un poco, ma era sempre stata lì. Ora
quel bagliore di vita
sembrava essere scomparso.
Fissando
gli occhi azzurri del Capitano Weasley per la prima volta Neville non
vi scorse
nulla se non muta, abissale disperazione. Con la coda degli occhi,
prese nota
di Fergus che arrivava trafelato a soccorrere Percy ed Audrey.
“Ho
bisogno di aiuto, Capitano… Non posso… Il San
Mungo… Qualcuno chiami il San
Mungo…”
Le
parole spezzate e disperate del giovane Auror gli arrivarono sommesse,
mentre
le sue mani cercavano di sciogliere le nocche di Ron
dall’abbraccio mortalmente
stretto in cui stringeva l’esile corpo di Hermione.
Sentì
Harry chiamare i soccorsi servendosi del particolare medaglione che
ogni Auror
portava al collo. Era un miracolo che non si fossero tutti infranti con
l’onda
sonora provocata da Audrey. Quello che Ron portava al collo, giaceva
contro il
suo petto, inservibile e spezzato tanto quanto l’uomo che lo
portava.
Vide
i Medimaghi intervenire come al rallentatore. Le barelle apparire
nell’aria
come dal nulla e per tutto il tempo, la voce sommessa di Neville
pregò Ronald
Weasley di mollare la presa, di lasciare andare il corpo senza vita di
Hermione. Nemmeno una montagna avrebbe smosso la volontà di
ferro di un uomo a
pezzi.
Vagamente
udì Harry avvicinarsi, unire la sua voce disperata alla sua.
Vide
Fergus aiutare i medimaghi a trasferire il procuratore Weasley su una
barella.
La
battaglia era stata vinta ancora una volta, ma qual’era il
prezzo ?
Un
sonoro crack segnalò che il ferito era stato portato
all’ospedale.
**
* **
Audrey
riaprì gli occhi sentendo un forte pizzicore in tutto il
corpo.
Le
veniva da vomitare, ma più di tutto sentiva la
mancanza di Percy.
Non sapeva come ma aveva l’acuta certezza che non fosse
più lì con lei.
I
suoi occhi incontrarono alla cieca quelli di Fergus. Il giovane auror
stava
piangendo, ma quando la vide rinvenire tentò di sorridere,
mormorando “Non
preoccuparti Audrey, torneranno presto a prenderti. Il Procuratore
Weasley è al
San Mungo. Andrà tutto bene, vedrai.”
Eppure
la voce di Fergus diceva che nulla andava bene e, poi, Audrey
ricordò, come
qualcuno che nel bel mezzo del giorno a furia di pensare riesce a
ricostruire
il significato di un sogno caparbiamente dimenticato.
Hermione.
Il suo scudo che salvava l’uomo che Audrey amava
più della sua stessa vita,
l’uomo che era stata ad un passo dal disintegrare con le sue
stesse mani.
Hermione
di cui Ron parlava come se camminasse a dieci centimetri da terra, come
se le
sue parole fossero di zucchero filato ed il suo corpo il tempio
più prezioso
che un uomo avesse mai avuto la fortuna di adorare. Nel primo bagliore
di piena
coscienza che aveva avuto dopo giorni di prigionia, aveva sentito
l’urlo di
Hermione, aveva percepito il suo incantesimo infrangersi contro
l’onda di magia
pura che aveva creato. Dov’era ora Hermione?
La
domanda silenziosa nei suoi occhi trovò risposta seguendo lo
sguardo di Fergus.
Tre
uomini con le teste chinate di tre colori differenti stavano
inginocchiati sul
pavimento, quella che sembrava una minuscola bambola di pezza tra loro.
Non
era possibile.
Non
era giusto.
Non
Hermione. Non lei. Non la vita che racchiudeva dentro di lei.
Non
poteva permetterlo nemmeno se quell’ultimo sforzo
l’avesse uccisa. Afferrando
con tutta la forza che le restava il pugno di Fergus,
mormorò quasi
impercettibilmente “Su”.
Vide
l’auror Finnigan scuotere la testa, ma al contempo,
benché si vedesse che non
lo considerava saggio, Fergus l’aiutò a sollevarsi, tenendola
praticamente in
piedi per le spalle, non prima che la destra di Audrey si fosse chiusa
contro
quella sfera liscia come una pietra di fiume che tanto dolore e sangue
aveva
portato.
Sorretta,
praticamente sollevata da Fergus, Audrey si avvicinò al
quartetto con il
manufatto stretto saldamente tra le mani.
Il
volto di Hermione era candido come la neve.
Vide
i tre uomini che la circondavano guardarla in volto, prima che Harry
pronunciasse sommesso “Non è colpa tua.”
Ma
al momento non era una questione di colpe. Era una questione di vita e
di morte
e degli ultimi riverberi di magia pura che Audrey sentiva vibrare nel
suo
corpo. Il manufatto tra le sue mani si era fatto improvvisamente
calmo.
Respirando affannosamente, come dopo una tremenda corsa,
l’Auror lasciò che
tutto il suo corpo fosse investito per l’ultima volta da
quella potenza.
Il
suo corpo cominciò a tremare convulsamente tra le braccia di
Fergus, così forte
che l’auror dovette utilizzare tutta la sua
capacità per non farla cadere.
Come
se fosse allo specchio, anche Hermione cominciò a muoversi
tra le braccia di
Ron, strappando all’uomo un gemito di sorpresa.
Il
corpo dell’Auror divenne per un momento ancora luminescente
mentre allungava la
punta del dito indice verso la guancia di Hermione.
Quando
la pelle di una donna toccò quella dell’altra
successe l’inverosimile. Il
manufatto che Audrey stringeva nell’altra mano volò in aria.
Il corpo di Hermione assunse
per un momento la stessa fosforescenza di quello di Audrey prima che,
come
risvegliata da una scossa elettrica, i suoi occhi si aprissero di
scatto proprio
nel momento in cui Audrey s’accasciava tra le braccia di
Fergus.
Tutto
si fece buio, tranne per le due donne, una che diveniva sempre
più luminosa e
l’altra che perdeva luce. Il manufatto crollò sul
pavimento tra di loro, con un
clang metallico.
Un’enorme
fiamma si sprigionò dal suo interno, vorticò
oltre le teste degli auror e di
Neville infrangendosi contro la prigione di Diodora qualche metro
più in là.
Fu
un attimo.
Il
tempo di sentire il grido della maga.
Quando
staccandosi dal gruppo Harry corse verso di lei, nulla più
restava di Diodora
Mackenzie se non un mucchietto di cenere distrutta da quella stessa
fiamma
gelata che aveva rincorso per mesi.
Poco
più in là uno spaurito gruppo di persone guardava
senza capire i corpi di due
donne, una viva, l’altra esanime e Ronald Weasley stringeva
sua moglie, fissando
incapace di comprendere la donna di suo fratello, la testa gettata
all’indietro
tra le braccia del suo assistente personale.
Come
avrebbe spiegato a Percy che il motivo per cui Hermione era tornata da
lui era perché
aveva permesso ad Audrey di prenderne il posto?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Epilogo ***
EPILOGO
Thabatha
si issò a sedere con l’aiuto di Fergus.
Indossava
una camicia da notte celeste con piccole mezzelune dorate che le aveva
regalato
lui.
Da
quando era a letto non c’era stato giorno che
l’Auror non fosse passata a
trovarla. La sua ferita era rapidamente migliorata e di questo non
poteva che
essere grata al giovane Auror che l’aveva soccorsa. Lui ed
Hector Rednails
erano il motivo per cui Thabatha poteva ancora mangiare la
shepherd’s pie di sua
madre, leggere un bel romanzo di avventura o far l’amore con
Fergus fino a sentire
di non avere più forze. Certo, magari l’ultima di
queste cose avrebbe dovuto
attendere ancora un attimo, l’Auror Finnigan pareva ancora un
po’ troppo preso
dal timore che il minimo movimento potesse spezzarla come una scultura
di
cristallo per quello, ma ci sarebbero arrivati. Magari quando Thabatha
fosse
tornata a casa sua invece che sotto l’occhio vigile di sua
madre.
Certo
che se il suo di Auror era qualcosa da cui giudicare ad Hermione
Granger-Weasley
nessuno avrebbe tolto mesi e mesi d’astinenza: in fin dei
conti lei s’era
ferita ad una spalla, la moglie del Capitano Weasley era rimasta per
parecchi
minuti priva di vita, se quello che Fergus ed Harry le avevano
raccontato era
vero.
“Dovresti
aver sete. Vuoi un po’ d’acqua?” Chiese
Fergus, porgendole il bicchiere.
Thabatha
soffocò la voglia di mangiarselo. Non lo faceva apposta a
trattarla come se
avesse sei mesi, era solo preoccupato, ma era terribilmente irritante.
Scosse
la testa, domandandogli “Notizie di Audrey?”
Fergus
sospirò, poggiando di nuovo il calice sul suo comodino.
“Niente
di nuovo. I medimaghi non sanno cosa le sia successo. Tutti noi
pensavamo fosse
morta, ma questa stasi in cui è caduta appare inspiegabile.
Deve essere
necessariamente legata a quel maledetto manufatto, ma…
Nessuno sa dire se si
sveglierà mai.”
Thabatha
annuì grave, guardandosi i palmi delle mani.
“Però
ce l’ho una bella notizia, se vuoi sentirla.”
Guardandolo
entusiasta, fece cenno di sì con il capo. Era stato un
periodo così cupo quello
che avevano appena affrontato che ogni novità positiva era
come un bellissimo
tesoro da conservare gelosamente.
“Il
Capitano Weasley avrà una bambina. Non dovrei
saperlo… Sì, è una notizia…
Ancora ufficiosa, ma …”
“E
chi te l’ha detto?” Si informò Thabatha.
“Sai
quel ragazzo magro che lavora giù con Arthur Weasley? Pare
che l’abbia saputo proprio
dal sig. Weasley e sai chi l’ha detto ad Arthur?”
Ridendo
Thabatha pronunciò il nome del colpevole proprio nel momento in cui Fergus
rispondeva alla propria
domanda retorica.
“HARRY
POTTER!!!” dissero in coro.
“Questa
volta Hermione farà evanescere le palle del Capitano Weasley
per una settimana
come minimo…” Ridacchiò Fergus.
“Oh,
non saprei, immagino ci sia affezionata…”
Mentre
Fergus la guardava un po’ stupito di quella battuta piccante,
Thabatha non poté
far a meno di pensare che era tanto bello ridere dopo aver superato
prove così
difficili.
**
* **
Percy
scostò una ciocca rossa dalla fronte immacolata di Audrey.
Era
sempre stata pallida, ma da quando si trovava al San Mungo la sua pelle
sembrava ancora più bianca.
Gli
ricordava quella fiaba babbana che aveva studiato ad Hogwarts quando
frequentava il corso della Professoressa Burbage, Biancaneve. Bianca come il latte,
candida come la neve.
Cercando
di farsi forza continuò a parlare come se stesse conversando
amabilmente con
Audrey. Il boccone che se ne stava incastrato nella sua gola da due
settimane
era ancora lì, pronto a soffocarlo ad ogni parola e Percy
aveva la certezza che
non se ne sarebbe andato finchè non avesse sentito la
risposta di Audrey. Qualunque
cosa fosse questa dannata stasi in cui era caduta, doveva essere
temporanea. Non
poteva essere diversamente. Non poteva perché lui, il
Procuratore Weasley,
razionale e freddo com’era, non avrebbe potuto ammettere
niente di diverso,
senza perdere quel poco di lucidità che aveva conservato
sinora.
“E
così lo sappiamo tutti cosa annunceranno questa sera Ron ed
Hermione a cena da
mamma… Speriamo solo che George non decida che sarebbe una
bella cosa far
passare un bel guaio a Harry e Ron, perché altrimenti non so
cosa potrebbe
accadere... Ginny, sembra piccola sai, ma fa le fatture Orcovolanti
più potenti
che abbia mai visto. Piaceresti un mondo a Ginny, sai? Ed anche a mia
madre e a
mio padre. Io penso che in cuor loro non aspettino altro che avere dei
nipoti
con i capelli rossi... Sì, è vero James ha i
capelli mogano, ma un rosso come
il nostro… Un rosso Weasley per intenderci…
Nessuno dei miei nipoti ha i
capelli così… I nostri bambini,
invece…”
A
quelle parole il boccone che soffocava Percy Weasley divenne troppo
grande per
permettergli di continuare, come aveva fatto tante altre volte prima,
abbassò
il capo contro la coperta che copriva il corpo inerte di Audrey
affondando il
volto nella lana sul suo grembo.
Nonostante
tutto gli sembrava di sentire il suo profumo, oltre quello di
disinfettante e
medicine che riempiva sempre le stanze del San Mungo e, per un attimo,
con gli
occhi chiusi, Percy si abbandonò a quel pensiero, a
quell’odore, ai ricordi che
portavano con sé.
Gli
pareva quasi di poter sentire la pelle di Audrey contro la sua, la sua
risata
argentina, le parole sussurrate nelle sue orecchie, la mano della
giovane donna
che gli accarezzava i capelli… Era tutto così
vivido da sembrare reale.
E
poi riscuotendosi Percy si rese conto che non sembrava reale, lo era.
Tutto il
resto era nella sua testa, ma le dita di Audrey gli stavano veramente
toccando
i capelli. Balzando a sedere la guardò. I suoi occhi erano
ancora chiusi e non
aveva ripreso i sensi, ma per la prima volta in tre settimane si era
mossa.
Correndo
fuori dalla stanza, il cuore che batteva all’impazzata di
speranza, Percy
Weasley corse a chiamare un Medimago.
FINE
Un
bacio a tutti coloro che hanno letto. Spero il racconto vi sia
piaciuto. L.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1799223
|