Rivolta contro il Divino.

di Theresa_94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *Promo* ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1*Amici* ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 *Ancora un pò di pace* ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 *Calma apparente* ***



Capitolo 1
*** *Promo* ***


Capelli poco curati, occhiaie, vestiti con cui probabilmente aveva dormito. Niente trucco, se non quello sciolto del giorno prima. Una piccola e invisibile lacrima all’angolo dell’occhio destro ricordava la nottata passata insonne e senza smettere di piangere.

Non era certo da Teresa Lisbon recarsi così al lavoro, farsi vedere in quello stato dai suoi sottoposti. Dai suoi superiori. Da Jane.

  Senza pensarci su due volte, ascoltò cosa il suo istinto le dettava: con passo veloce, ma allo stesso tempo felpato, tanto da non essere percettibile, entrò nel suo ufficio, chiudendo la porta alle sue spalle, lasciando poi che un piccolo singhiozzo risuonasse in quell’ambiente. Si sedette, non dietro la scrivania, non sul regalo bianco di Jane, ma sul pavimento e appoggiò la schiena alla pelle del divano, lasciando che la testa le cadesse indietro. Il morbido su cui atterrò le sembrò più piacevole del solito. Inspirò profondamente, le parve di riuscire il profumo di Jane. In effetti ormai il suo divano lo usava più lui che chiunque altro e alcune volte sembrava preferirlo anche a quello di pelle.

Chiuse gli occhi e senza volerlo, senza accorgersene si lasciò trascinare dalla mano tentatrice di Morfeo.
Disgraziatamente la stanchezza non le aveva fatto realizzare il motivo di quella smisurata morbidezza, il motivo per cui aveva sentito così vicino il profumo del suo consulente.

Si, perché Patrick Jane aveva passato li la notte, era rimasto in silenzio, stranito alla vista della sua collega in quello stato. La bocca gli diventò secca e gli sembrò che non conoscesse più una parola. Così decise di sollevarsi delicatamente il corpo, si alzò senza far rumore e prese delicatamente tra le braccia il suo capo, per poi poggiarla sul divano. Non sapeva nemmeno lui il perché, ma si tolse la giacca del suo tre pezzi e coprì il suo fragile corpo e lentamente si avvicinò al viso di quella donna meravigliosa.



  
  
Non molto lontano, nello stesso momento in cui tutto quello che stava accadendo, in cui, forse, un amore stava per sbocciare, in un piccolo paesino sperduto nel nulla, la festa che si stava tenendo in piazza venne interrotta: da una delle tante minuscole abitazioni si iniziarono a sentire mobili cadere, bicchieri rompersi e urla risuonare oltre le mura.

Mici71( Solo Mici per gli amici), la più grande in quel gruppo bussò alla porta da dove tutto quel trambusto proveniva, preoccupata come non mai.

“Theresa, pazithi, tutto bene?”

“No, non va tutto bene, per niente!” Gridò Theresa, con voce stridula, sconcertata ma forse anche un po’ felice.

“Jane, giacca, Teresa askjdft” farfugliò subito dopo la compagna.

“Pazithi apri per favore!” ordinò mici.

La ragazza contro voglia andò ad aprire, senza però smettere di fissare la TV.




  
Cantuccio dell’autore:

E rieccomi con una nuova pazzia. Ho appena finito una long e mi cimento già in un’altra?

Bene a parte questo che ne dite? L’idea è quella di portare avanti due storie parallelamente, quella dei nostri cuccioli preferiti e quella di un piccolo paesino con tutte coloro che appartengono (che naturalmente lo desiderano)  a questa fandom. Chi vuol far parte di questa long può avvisarmi o tramite recensione o (se non vi va di lasciare a questa povera pazza due parole) tramite messaggio privato.

Voi che dite… cosa è successo a Teresa? Che intenzioni ha Patrick? E cosa sarà successo a pazithi e Theresa? Al prossimo capitolo avrete molte risposte, sarà sicuramente più lungo, questo era soltanto un assaggio della mia pazzia muahahahhahahah.

Alla prossima,
Th.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1*Amici* ***


La ragazza contro voglia andò ad aprire, senza però smettere di fissare la televisione.

Mici chiuse gli occhi per un attimo. Sapeva che lo spettacolo che avrebbe dovuto affrontare le avrebbe fatto salire il nervoso alle stelle, in più per colpa loro avevano interrotto l’importante cerimonia per ringraziare “Heller”.

La verità è che quell’uomo era il protettore di quel piccolo villaggio senza nome, non segnato in nessuna cartina, composto da sole ragazze. “Heller” era praticamente la loro divinità, che adoravano e che ringraziavano quasi ogni mese con una piccola e classica festa: bancarelle con oggetti di ogni tipo, che nessuno quasi mai comprava, ormai tutti ne avevano in casa almeno uno. Ma si sa, le tradizioni sono tradizioni.
In quel giorno nessuno andava a lavoro, il che era sempre gradito da quelle ragazze. La cosa più caratteristica era però il grande fuoco che si accendeva nella piazza, nell’unica piazza del paesino. Intorno a quel fuoco immenso vi erano tanti pacchi di varie dimensioni, che contenevano principalmente due cose: un regalo per il “Divino” e una lettera; in quest’ultima ognuno  scriveva un proprio desiderio. E ormai da due anni tutti scrivevano la stessa richiesta sul foglio, ma “Heller” sembrava ritenere tutte quelle richieste unanime inutili, non realizzabili. In fondo non chiedevano chissà che, ma per lui quello era una sorta di tabù. Solo che non sapeva che quelle ragazze erano ormai stanche… Tanto che quell’anno al posto dei soliti pacchi (chi li venisse a prendere era ancora un mistero) c’erano solo lettere.

Mici iniziò a battere i piedi, si sfregava le mani per mantenere in qualche modo la calma. Pazithi finalmente aprì l’uscio della porta. In una frazione di secondo analizzò la situazione: Pazithi, che nemmeno l’aveva degnata di uno sguardo, aveva i capelli sconvolti, nonostante il ciuffo. Le sue mani erano rosse, probabilmente per il troppo sfregarsele e le unghie mangiate in parte. Subito lo sguardo si spostò su Theresa: l’espressione del volto era incantata, gli occhi lucidi e fissi sulla Tv, le mani fra le gambe che muoveva con foga, impaziente. Non aveva nemmeno le scarpe, che vide scagliate dall’altra parte della piccola stanza. Così si accorse di alcuni bicchieri rotti, di un mobile caduto per terra e di capelli sparsi qua e la, probabilmente apparenti ad entrambe.

Non sapeva cosa pensare. Non sapeva troppo, voleva delle spiegazioni. Poi vide Pazithi sedersi vicino all’amica. Quest’ultima con un braccio indicò la televisione. In effetti quella era l’unica cosa che non aveva analizzato e quando vide, tutto ebbe una risposta. I bicchieri in mille pezzi, i capelli spezzati, le unghie mangiate e le grida. Fece un segno alle altre di interrompere definitivamente la festa, al che tutte capirono e si catapultarono nelle proprie case.

The Mentalist faceva quell’effetto, ma soprattutto Jisbon rendeva tutto quello possibile e lecito.

“Heller” poteva spettare…




 
Non sapeva nemmeno lui il perché, ma si tolse la giacca del suo tre pezzi, coprì il suo fragile corpo e lentamente si avvicinò al viso di quella donna meravigliosa.

*Theresa si strappa i capelli, mici batte i piedi nervose, pazithi… un po’ di bava alla bocca*
Le accarezzò il viso.

*altre grida*

E poi come se improvvisamente fosse tornato in se si alzò correndo fuori dall’ufficio. e senza voltarsi indietro si rifugiò nella sua soffitta. Non era pronto, o forse era solo un codardo?

Nel frattempo Lisbon sognava. Sognava qualcosa che non le piaceva, tanto che all’improvviso iniziò a gridare, a muovere inconsciamente le gambe, a graffiarsi le mani con violenza.

Ma il CBI sembrò non sentirla, probabilmente erano tutti concentrati nel proprio lavoro, o probabilmente distratti da qualcos’altro.
E così Teresa affrontò quell’incubo da sola nel suo ufficio, piangendo, per poi correre nel bagno, senza accorgersi della giacca del suo consulente, che lascia cadere a terra.

Jane avrebbe dovuto aiutarla, in effetti era quella la situazione, ci aveva pensato, non poteva lasciarla sola in quel momento. Ma nel bullpen era  successo qualcosa di strano; così preso dalla sua tipica curiosità , preferì andare a vedere cosa fosse successo. Rimase deluso, però, nel vedere che era semplicemente Bertram che dava istruzioni, probabilmente sul nuovo caso, al team.

Così tornò indietro, sentì una morsa al cuore, di nuovo. Si sentiva tremendamente in colpa, non riusciva a capire perché fosse scappato così, quando lei aveva bisogno di qualcuno accanto. Ora aveva un compito da portare a termine. Raggiunse Teresa, ancora sconvolta ma con il trucco rifatto e la maschera del duro agente che si portava dietro da un po’ di tempo al suo posto. Ma con lui quella protezione non funzionava, né lei riusciva a tenderla solida quando incontrava i suoi occhi cerulei. Le bastò, infatti, vederlo per far sì che quella maschera scivolasse via. Jane aprì le braccia dove lei si catapultò senza farselo ripetere.

Singhiozzava, ma non piangeva. Tremava, ma la vicinanza del suo consulente la faceva sentire mille volte meglio. Non era da lei un comportamento del genere, ma non riusciva a tenersi dentro tutto il dolore tutto quel dolore che provava da una settimana. Un dolore che aveva nascosto bene, ma che ormai era arrivato all’apice.

“Se vuoi, io sono qui, possiamo parlarne.” Sussurrò Jane, quasi timoroso che la potesse ferire con le sole parole.

“Si, ma questo non mi sembra il luogo più adatto.”

Salirono le scale, per poi chiudersi dietro la porta della soffitta. Prese un lungo respiro e Lisbon lasciò libero sfogo a tutto quello che aveva vissuto. Raccontò della notizia che suo fratello Luis era morto accoltellato da un ubriaco; raccontò che non era potuta neppure andare al suo funerale.

E mentre lei raccontava, lui l’ascoltò, senza fiatare.

Poi ci fu un momento di silenzio in cui si sentiva solo il respiro singhiozzante di lei e quello controllato, appena accennato di lui. Si continuarono a fissare, dando voce ai loro occhi, entrambi troppo stanchi di ascoltare parole.

*Theresa prese una bambola, Pazithi il suo rispettivo compagno maschio, e senza smettere di rimanere concentrati sulla scena, li avvicinarono sussurrando una sorta di formula incomprensibile, per poi finire dicendo “Now kiss!” facendo  baciare i due poveri e inermi pupazzi. Mici non si esprise, per evitare di distrarsi ulteriormente dalla televisione.*

I due si avvicinarono, la tensione era al limite, i cuori di entrambi quasi salivano in gola e quello che fecero fu…
Interrotto da un’affannata Van Pelt, che spalancò la possente porta di ferro, dicendo un po’ imbarazzata, consapevole di aver interrotto qualcosa di importante

“Capo, Jane, abbiamo un nuovo caso.”

“Arriviamo subito!” rispose rossa in volto Teresa.

Appena Van Pelt scomparve dalla vista di entrambi, Jane si alzò dal letto, pronto ad andare a far giustizia anche quella volta.

“Jane, grazie.”

“Gli amici servono a questo,no?”

“Già” L’uso di quel monosillabo non era un caso. Il cuore si era spezzato, appena udite le parole del consulente.

Amici.

Già loro erano amici.

No, cazzo. Lisbon lo amava, desiderava averlo accanto non più solo come amico, ormai. Aveva imparato ad amarlo con il tempo. Certo, non era stato facile ammetterlo nemmeno a se stessa, ma quando lo aveva visto con altre, quando quasi morì quando lui quasi affogò, allora non poteva più negarlo. E a un certo punto, aveva sperato che anche per lui fosse lo stesso. Lo aveva sperato quando le aveva detto “Ti amo” prima di sparala. Credeva che sarebbe arrivato quel momento, che non fosse solo una sua illusione. Ma a quanto pare si sbagliava. Lui se ne era praticamente dimenticato mentre in lei continuavano a rimbombare quelle parole ogni giorno.

Lisbon  lo amava, ma non si poteva permettere di perderlo. Così notando qualcosa di strano in Jane, spezzò il flusso dei suoi pericolosi pensieri.

“Hei! Che fine ha fatto la tua giacca?”

“L’ho prestata a una persona speciale che a quanto pare ha dimenticato di riportarmela”

Persona speciale. Chi altro era? Sapeva di non essere una bella donna, ma cosa aveva di sbagliato per essere più che trasparente per Jane?
Così piena di rabbia, si alzò anche lei dal letto di fortuna su cui si era appoggiata e uscì senza fiatare dalla soffitta.

Jane dietro lei sorrise per un attimo, per poi seguirla come un cagnolino.




 
Theresa e Pazithi rimasero in silenzio, Mici lasciò cadere una lacrima da entrambi gli occhi.

La puntata era sensazionale ma… sapevano dell’amore  di Lisbon verso Patrick, perché “Heller” si ostinava a non far vedere quel sentimento anche negli occhi di Jane?


In fondo, volevano solo che Jisbon avvenisse, era chiedere troppo?





Bene che mi dite di questo capitolo? recensite pleaseeee! Ho bisogno di sapere dove sbaglio, di avere consigli :) 
Alla prossima,
Th.


 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 *Ancora un pò di pace* ***




“Ora vi muovete e aggiustate tutto qui!”. L’ordine di Mici rimbombò tra le mura della casa, e anche oltre.

Theresa e Pazithi però sembravano non averla sentita, sembravano incantate a fissarsi entrambe l’una negli occhi dell’altra.
Le pupille dilatate, fisse. Le palpebre sembravano non compiere più il loro dovere. Entrambe erano ancora sedute nonostante i continui richiami di Mici. Sembravano comunicare con un loro segreto alfabeto, sembravano tramare qualcosa…

Poi all’improvviso scattarono in piedi, e iniziarono a rimettere ordine, come dei robot appena azionati.

Mici scosse la testa e uscì dall’abitazione. Si diresse alla panchina vicina, quella che si affacciava sulla foresta. Si accasciò su di essa come se avesse camminato per chilometri.

Sapeva cosa stava per succedere, lo aveva capito. Lei mandava avanti la città, doveva prepararsi. La rivolta che ormai avevano tutte in mente… era pericolosa, forse nemmeno la cosa più adatta da fare. Doveva prendere in mano le redini di quelle menti che elaboravano da tempo qualcosa di losco. La avrebbe aiutate, ma avrebbe evitato l’eccesso. Non sapeva se avrebbero ottenuto quello che volevano, e “Heller” era meglio non farselo troppo nemico.

Si portò una mano sulla fronte, poi la lasciò cadere al suo fianco. Chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Amava l’odore della natura, l’odore del fresco e dell’incontaminato, amava i colori vividi che riusciva a vedere senza guardare. Inspirò ancora, e si godette forse uno degli ultimi momenti di pace.




Nel frattempo quattro nanetti, quatti quatti, con passo felpato, raccolsero come di consueto i pacchi posati intorno al grande fuoco. Li posarono tutti sulla solita carretta e silenziosi come erano arrivati, si allontanarono dal paesino, senza sapere, però, che qualcuno li stava osservando.
Appena nelle sue mani, Luck, l’addetto a scartare i pacchi, iniziò il suo lavoro. Inizialmente non si paventò, ma poi…

 Ogni volta che ne apriva uno in più, il suo cuore gli arrivava sempre più in gola, gocce di sudore gli cadevano dalla fronte, gli occhi si colmavano di paura.
Non che non avesse mai pensato a questa eventualità, ma la realtà non è mai come te la immagini. Certo lui si era preparato, ma nella sua mente non aveva riflettuto su cosa dire al suo supervisore. Tuttavia in quel momento Luck si sentì davvero fortunato, e ringraziò, non sapeva nemmeno lui chi, per il suo lavoro. Quest’ultimo, seppur umile, ora gli garantiva la sopravvivenza. Sì, perché non toccava a lui riferire quello che aveva trovato al “Divino”. Certo riferirlo al suo supervisore non era un’ impresa poco ardua.

Così con la testa bassa, bussò alla porta di legno, con l’incisione d’oro: “Jimmy Gadd’s office”. Entrò appena sentì la voce dell’uomo dargli il permesso di entrare.

L’ufficio si trovava al ventesimo piano di quell’immenso edificio bianco. Il suo interno era poco arredato, e quelle poche cose che cerano, erano per lo più evanescenti. Il tavolo era una semplice tavola di legno massiccio, sospesa nell’aria. Sopra erano poggiati pochi fogli e dietro la scrivania c’era una poltrona rossa, su cui ora Jimmy era seduto. Le pareti erano ricoperte di una libreria –bianca-, stracolma di libri.
Senza dire una parola si avvicinò all’uomo e posò sul legno il contenuto di quei pacchi: lettere, solo lettere, tutte con la medesima richiesta impressa con l’inchiostro: quella piccola cittadella chiedeva Jisbon. Non era qualcosa di impossibile, ma tutti sapevano cosa ne pensava Heller a riguardo.

Fece qualche passo indietro, abbassò la testa, strinse le mani lungo i fianchi. Attendeva che la furia dell’uomo si riversasse sui fogli e magari anche su di lui. Strinse gli occhi, con la paura che gli finisse in testa anche qualche libro. Aspettò, uno, due, tre minuti. Ma tutto quello che aveva immaginato non arrivò. Quello che vide fu solo un sorriso di Gadd mentre leggeva le lettere.

La realtà non è mai come te la immagini. E così Luck uscì dall’ufficio dopo aver sussurrato un flebile “Ciao”. Sì, era davvero fortunato.



“Theresa!?!”

“Cosa succede Pazithi?” 
                                                                                                                                                                    
“Inizia, muoviti!”

"Arrivo" disse Theresa, che con un balzo si sedette sul divano, con in mano un contenitore di pop-corn, da cui Pazithi non tardò ad attingerne qualcuno.




 Lisbon con passo veloce, che lasciava capire come fosse irata col suo consulente, si diresse nel suo ufficio per prendere le chiavi del suo SUV.

Senza pensarci volte si precipitò sulla scrivania e iniziò a metterla a soqquadro.

Nel frattempo Jane si accorse che le chiavi erano sul divano –probabilmente le aveva fatte cadere mentre si agitava nel sonno- e si lanciò su di esso. Si accorse in quel momento anche della giacca, ma non la raccolse: voleva che fosse lei ad accorgersene.

“Jane invece di poltrire come fai sempre, perché non mi aiuti a cercare le chiavi?”

“Solo se poi mi fai guidare!” propose il consulente, pregustandosi già la vittoria e la possibilità di guidare.

“Fuori di qui!” sibilò invece Lisbon, lasciandolo completamente di stucco: non si aspettava questa reazione.

Teresa, dal canto suo, stava impazzendo. La sua scrivania era una montagna di carte sparse, molte finite anche a terra. I cassetti aperti e il suo computer nascosto da alcuni fascicoli. Aveva i nervi a fior di pelle e avrebbe preso volentieri a pugni qualcuno.

“Lisbon, quanto tempo pensi che debba passare prima che tu ti accorga cosa sto sventolando da almeno dieci minuti, praticamente sotto il tuo naso?” chiese Jane con tono stanco e un po’ canzonatorio.

Giusto in tempo…

In meno di un nano secondo si ritrovò l’agente, con tutto il suo metro e sessanta di pistola e distintivo, di fronte. Gli occhi socchiusi, le sopracciglia piegate in uno sguardo stracolmo d’ira. La solita ruga vicino alle labbra, le braccia lungo i fianchi e la testa leggermente chinata a destra. Amava farla arrabbiare, amava il sguardo che gli riservava ogni volta che faceva di testa sua. Poi si accese improvvisamente una lampadina nella sua testa…

“Sai Lisbon dovresti fare box o anche un po’ di corsa mattutina. Ti aiuta a scaricare la tensione che…”

Non finì la frase, troppo occupato a portarsi una mano sul suo naso, che aveva appena incontrato la rabbia acchiusa in un solo pugno della sua partner.

“Anche questo aiuta?” chiese Lisbon, con tono canzonatorio e allegro, felice di aver sorpreso Jane e di averlo lasciato senza parole.



*Più tardi sulla scena del crimine*



“Cosa abbiamo qui?” domandò come di consueto Lisbon a Risgby, mentre si addentrava nel bosco. Odiava i boschi, troppo complicati da attraversare, capaci di ostacolare il suo cammino e una tranquilla indagine. Per poco non inciampò, ma subito dopo si riprese.

“Una donna, sulla settantina, non ancora identificata. Uccisa con vari colpi sulla testa, tanto da rendere il suo viso irriconoscibile. E’ vestita elegantemente, ipotizziamo si stava dirigendo a un importante incontro di lavoro, dato anche la valigia rivenuta accanto al corpo.”

“Il corpo accanto è Jonsohn Green, dirigeva una piccola impresa a carattere famigliare a Sacramento. Ucciso anche lui con un colpo alla testa. L'arma de delitto non è stata rnvenuta in entrambi i casi.” Disse invece Cho, mentre Lisbon si accovacciò per osservare da più vicino il ragazzo.

Si rizzò sulle gambe qualche minuto dopo. Poi si rivolse a Van Pelt per sapere l’ora del decesso.

“Ci stanno ancora lavorando. Jane tu che ne pensi, hai qualcosa da dirci?”

“Sì, ho qualcosa da dire. Fra un po’ si abbatterà su di noi un diluvio, di quelli che si vedono solo una volta all’anno in California.”

“Originale” disse Lisbon.

“Originale, perché?”

“Hai trovato una scusa originale per ritornare a poltrire. Cho vai a parlare con i genitori di Green, Van Pelt, Risgby, aspettate il referto della scientifica per quanto riguarda l’ora del decesso e l’identità della donna. Io ritorno in ufficio, ho bisogno di sbrigare alcune carte.”

“Agli ordini!” risposero all’unisono i tre.

Prima ancora che Lisbon potesse pensare di dire qualcosa al suo consulente, si ritrovò inzuppata d’acqua. I suoi vestiti aderivano perfettamente e mettevano in evidenza ancora di più le sue forme. Jane si perse ad osservarla, senza dire niente.

Qualche secondo dopo la scientifica offrì un ombrello ad entrambi, creando un riparo anche per i due cadaveri, onde evitare perdere troppe prove.

“Lisbon, il mio non funziona.”

“Il mio sì.” Rispose l’agente, alzando il passo oon un leggero sorriso stampato sulle labbra.



*”Io come minimo l’avrei trascinato sotto l’ombrello e poi lo avrei baciato seduta stante. mi chiedo come faccia a resistere a Patrick Jane bagnato.” Disse Mici, ringraziando mentalmente il fatto di essere sola.*




Verso le dieci quella sera, Lisbon aveva fatto tornare la sua scrivania brillante come un tempo. Gli altri non erano ancora tornati, bloccati dalla pioggia troppo forte. Sentì le sue palpebre cedere, e così, con gli occhi chiusi, trascinando i piedi, si diresse verso il divano. Mentre camminava, inciampò e finì seduta.

Aprì gli occhi e si accorse il motivo per cui era inciampata: la giacca di Jane. Se la portò vicino al viso e ne inspirò l’odore. Sorrise, pensando che almeno si poteva considerare una “persona speciale”. Più stanca di prima si stese e si coprì con essa. Incapace di resistere oltre, si addormentò prima ancora di accorgersi che una lacrima –di felicità e tristezza insieme- le scendeva lungo la guancia.

Jane l’aveva osservata con la tazza di tè a mezz’aria. Sorrise malinconicamente, e sorseggiò il resto della sua amata bevanda.


 
Theresa e Pazithi erano contente. Contente. Ma sapevano che quella scena non avrebbe mai avuto un prosieguo, lo aveva sempre fatto Heller. La riunione segreta era vicina, il “Divino” non sapeva cosa gli aspettava.



 
Innanzitutto chiedo umilmente perdono per il ritardo. Purtroppo la scuola mi ruba la maggior parte del tempo e non è facile trovare il tempo per aggiornare la storia.
 Ringrazio di cuore, mici71, pazithi_90 e Naky94 per aver recensito lo scorso capitolo.
Bene, spero che anche questo vi piaccia. =). Alla prossima,
Th.

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 *Calma apparente* ***



Passo lento.

Respiro pesante.

Gocce di sudore a ricoprirgli il viso interamente.

Un sorriso in contrasto con le spalle chiuse e gli occhi dilatati dal terrore di non uscirne vivo.

Sapeva benissimo cosa andava ad affrontare. E ne era a di poco terrorizzato.

Eppure era visibile quanto fosse contento di portare avanti la sua missione. In fondo quello era stato da subito un suo chiodo fisso. Quella spinta venuta dal “basso” la aspettava con grande ansia.

Esitò prima di battere le nocche su quel legno vecchio quanto nuova fosse la targa d’oro appesa al suo centro. Alzò gli occhi al cielo sperando in una reazione non troppo disastrosa del suo superiore. Jimmy aveva preparato un discorso quella notte -di cui ricordava ancora ogni singola parola-  e ora era più convinto che avrebbe dovuto fare una full immersion di Karate. Probabilmente sarebbe stato più utile.

Un “Ciao” rapido e secco lo accolse nell’ufficio del “Divino”.

Non vi dirò molto sul loro discorso, che non mi è stato possibile ascoltare. Vi dirò solamente che anche questa volta non volò nessun libro , nessuno urlò e nessuno si fece male. Quello che però ho visto non vi piacerà. Il pover uomo non era nemmeno riuscito a iniziare il discorso che Heller lo aveva cacciato con un semplice gesto della mano, che indicava la porta.

Sconsolato –anche se ancora vivo- lasciò quel luogo dispiaciuto, perché quella notte aveva perso tempo con parole inutili, e deluso con se stesso che non era riuscito ad imporsi.




 
Nel frattempo, nella cittadina a noi ormai tanto famosa, la pace era ormai soltanto apparente. Pazithi e Theresa avevano preparato in pochi minuti, la miglior riunione organizzata in quel secolo. Mici osservò le due mettersi all’opera. Condivideva quello che stavano facendo. E avrebbe fatto in modo di portarle alla vittoria. Non avrebbe accettato vedere delusione negli occhi di quel paesino che finalmente aveva preso in mano le redini del proprio destino. Si, dovevano vincere.

Theresa si accasciò sul divano; seguita da Pazithi. Questa volta niente popcorn… solo patatine. Proprio mentre portavano alla bocca la prima di quelle “schifezze confezionate” (ritenute così da Mici), iniziò il nuovo episodio.



 
“Sei così irritante e irresponsabile…”

“Mi dispiace, ma almeno abbiamo chiuso il caso” rispose pronto Jane coprendosi il naso con la mano destra e con l’altra si indicò il punto dove qualche giorno la furia dell’agente lo aveva colpito.

“E’ ancora vivo in me il dolore provocato da quelle dolci -disse mimando le virgolette con le mani ora libere- e ti posso assicurare che in questo momento ho davvero paura che tu ripeta quel gesto.”

In effetti l’espressione di Lisbon non lasciava promettere niente di buono per il consulente. Poi, improvvisamente, i suoi occhi furono attraversati da un lampo di tristezza.

“Mi dispiace. Davvero”

Jane le sorrise e le rispose annuendo con la testa.

“In ogni caso non sono l’unica che provoca dolore al suo partner. E quello psicologico ti posso assicurare che è molto più difficile da curare.” Lo guardò ancora per un attimo e poi si diresse verso l’ufficio di Bertram.

*Theresa si alzò dal divano, con in mano una bandiera con il nome Lisbon inciso sopra. Iniziò a sventolarla, fiera di quell’agente che finalmente ne aveva dette due al suo dannato –pur se bello, dannatamente bello- cosulente.*

“Mi dispiace” rispose con un sussurro Jane, per poi voltarsi anche lui, spiazzato dall’improvvisa sincerità della sua partner, per poi tornare nella sua soffitta.

Aveva tanto a cui pensare.


 
Ancora una volta un gesto importante (La giacca) era stata dimenticata.

Ancora una volta Jane si era comportato come il solito insensibile.

Ancora una volta avevano un motivo da aggiungere alla lista. Lista che le avevano convinti a rivoltarsi.







 
 
Chiedo solo una cosa. Perdono.
Capitolo di passaggio, spero non sia troppo penoso. Ringrazio Mici71( perdonami ti prego!), pazithi_90(sii clemente) e always_rick_jane (ti piacerebbe far parte della storia? Ne sarei lusingata *si inchina*. Ah, ho letto il tuo nuovo capitolo… è askjedrmsft. Recensirò appena mi sarà possibile farlo) per aver recensito il capitolo precedente.
Th.
*si dilegua*

 

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