.::Cold Winter::.

di Dark Fire
(/viewuser.php?uid=33303)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ipocrita, egoista e dannatamente falsa ***
Capitolo 2: *** Alones ***



Capitolo 1
*** Ipocrita, egoista e dannatamente falsa ***


s

Nel bagno di quel ristorante aleggiava l’ odore del detergente e dello scadente sapone che avevano usato per riempire le vaschette accanto ai lavandini.

Anche con la porta chiusa poteva sentire in lontananza il rumore delle posate contro la porcellana e le voci concitate dei clienti.

Con la mano tremante aprì la porta del gabinetto delle signore chiudendosi dentro.

La serratura fece un sonoro clack cambiando la scritta sopra la toppa del bagno da libero ad occupato.

Stette per qualche secondo ad osservare le mattonelle di un bianco sporco che ricoprivano fino ad un metro e mezzo il muro fregiato dalle scritte a pennarello del piccolo WC, nonostante l’ odore di candeggina così forte la sporcizia era visibile ad occhio nudo, tanto che potè distinguere la maggior parte dell’ impronta di scarpe che aveva attraversato il pavimento diventato marroncino.

La mano che era ancora appoggiata sulla maniglia ebbe un tremito più forte, prima di scivolare lungo i fianchi coperti dai stretti jeans.

Il torace iniziò ad essere scosso da dei piccoli sussulti trattenuti a stento, non aveva ne la volontà ne la forza di fermarli.

Intanto le gocce di acqua che cadevano dalla bocca del rubinetto creavano un rumore sordo, che rompeva il silenzio della stanza, quel rumore, le sembrava quasi assordante.

Scivolò sulla parete piastrellata, ignorando il lerciume, cadendo a sedere sul freddo pavimento.

Si strinse le ginocchia al petto cercando di riscaldarsi da quel freddo che l’ aveva pervasa così all’ improvviso, sotto la maglietta viola a maniche lunghe, il torace tremava trattenendo i singhiozzi.

Ed intanto, l’ acqua del lavandino cadeva.

I lunghi capelli rosa le ricaddero sul volto, pallido ma arrossato dal freddo, impedendo a chiunque l’ avesse potuta vedere dallo spioncino della serratura di capire cosa stesse facendo.

Le lunghe dita affusolate della mano sinistra stringevano convulsamente la stoffa della maglia, troppo leggera per un’ inverno così rigido, mentre quelle della sinistra frugavano nella tasca dei jeans in cerca del pacchetto di sigarette, comprato quel pomeriggio.

Dentro al pacchetto le sigarette si muovevano scontrandosi con il cartone, mentre la mano le oscillava per i singulti trattenuti a stento.

Lo aprì, gettando poi il pacchetto pieno per metà a terra, portandosi il bastoncino di tabacco alle labbra carnose, rese rosate dal lucidalabbra semi trasparente.

Iniziò a cercare l’ accendino, lo tirò fuori girando la rotellina che avrebbe dovuto accendere la fiamma, ma che non lo fece.

Ci provò una, due, tre volte ma solo delle piccole scintille scaturirono dal piccolo buco.

Era finito.

Lo buttò con forza nella parete opposta portandosi indietro i capelli con entrambi le mani, i denti che serravano la presa sulla cicca ancora intera.

Chiuse gli occhi contornati da una leggera linea di matita e dal mascara, dalle iridi verdi iniziarono a scendere delle gocce di acqua salate facendo colare il tratto nero, che prima di uscire si era tanto premurata di curare.

Le lacrime divennero nere mentre le scendevano sulle guance, poi successivamente sul mento.

Adesso gemeva senza ritegno, incurante di orecchie invadenti, ora aveva solo bisogno di sfogare quel dolore che per sedici anni si era portata come un gravante peso sulle spalle.

La sigaretta cadde a terra spezzata dalla presa troppo forte dei denti, l’ interno della cicca si sparse a terra sporcando ulteriormente il suolo.

Alzò il viso verso la luce che illuminava la piccola stanza facendo ricadere indietro le lunghe ciocche, quella luce le sembrava quasi troppo forte, ma non riusciva a distoglierne lo sguardo sperando che illuminasse anche la sua vita.

Sentì la porta d’ ingresso del bagno aprirsi, rompendo il silenzio con piccole risatine civettuole che conosceva fin troppo bene, si tappò la bocca soffocando l’ ennesimo singhiozzo.

< Sakura! Allora? Quanto ti ci vuole a fumarti una sigaretta?! > le urlò una voce femminile al di là della porta, che Sakura riconobbe come quella di Karin.

Prese un bel respiro tentando di non farle sembrare di aver appena finito di piangere, quando fu sicura che la voce non fosse rotta dall’ emozione riuscì a trovare la forza di risponderle.

< Arrivo subito Karin, mi mancano gli ultimi tiri… > le mentì alzandosi in piedi.

< Muoviti che le pizze sono già in tavola > aggiunse la voce di un’ altra ragazza, meno gracchiante della prima, questa invece era Tayuya.

< Scusate… > le disse con un filo di voce, mentre raccoglieva la sua roba e la rimetteva in tasca.

Sentì di nuovo la porta aprirsi e successivamente richiudersi dietro alle due, strappò dei pezzi di carta igienica aprendo la porta rivestita dalla plastica.

Si diresse davanti allo specchio sopra i lavandini, gli occhi chiari e arrossati per il pianto erano contornati da un’ alone scuro lasciato dal mascara e dal dolore.

Iniziò a pulirsi il volto con la carta ruvida e grigia, arrossando ulteriormente la pelle delle palpebre.

Osservandosi con occhio critico allo specchio si accorse di come fosse patetica, piangere di nascosto, per problemi che nemmeno lei ammetteva di avere.

Disperarsi per una vita di rimpianti e di tristezza.

Le unghie laccate di nero incisero dei piccoli segni sul palmo della mano che stringeva il pezzo di carta.

Nonostante cercasse di essere gentile, malgrado sorridesse anche a chi non lo meritava, veniva trattata con freddezza, a volte ignorata, altre volte ancora derisa alle spalle.

Ma lei continuava a sorridere.

Mascherava i suoi problemi dietro ad un sorriso, non voleva mostrarsi debole, non voleva far carico dei suoi problemi gli altri.

Trattando con gentilezza gli altri si aspettava di riceverne altrettanta, aiutando gli altri si aspettava di ricevere lo stesso trattamento, questo solo perché era un’ ipocrita, ed un’ incorreggibile egoista.

Se Sakura si fosse descritta con tre parole sarebbero state tutte negative, ed inevitabilmente vere – almeno per lei - : ipocrita, egoista e falsa.

Dipendeva dal giudizio degli altri e faceva di tutto per assecondarli, sperando che la stimassero e che fossero sue amiche, amiche vere.

Ma lei non ne aveva. E se le aveva, era troppo cieca per vederle. Era accecata dall’ angoscia.

Assicurandosi che le prove del recente pianto fossero sparite riaprì la porta, ritrovandosi davanti all’ accogliente e vivace ristorante, dove avevano deciso di festeggiare il compleanno di Ino.

Si fece largo fra i tavoli, salendo sulla saletta a terrazza che avevano noleggiato per quella sera.

Quando si fu seduta al suo posto – a capotavola, lontano da quelle che per lei erano amiche – ascoltò i loro discorsi senza però intromettersi, anche se lo avrebbe fatto, sarebbe stata ignorata.

Abbassò lo sguardo sulla pizza, l’ aspetto non era per niente invitante, la crosta era nera e bruciata, la pasta era troppo fine e la mozzarella di un colore giallastro poco invitante.

Di certo quella, non era la sua serata.

Invece le altre non ci fecero nemmeno caso, continuavano a parlare, scherzare, ridere e bere le proprie birre senza far caso a lei. Che in quella tavola affollata, era sola.

Le sue labbra si curvarono in un sorriso, falso ma nascosto bene, molto bene.

Non doveva rovinare quella sera, era il compleanno di Ino, l’ aveva invitata e non poteva rovinargli quella serata, che per lei era speciale.

Diciassette anni si compiono una volta nella vita.

< Sakura, va tutto bene? > le domandò Ino dall’ altra parte del tavolo, dopo aver notato di nuovo la sua presenza e il suo silenzio.

La ragazza rialzò lo sguardo dalla pizza margherita rivolgendo alla Yamanaka un sorriso allegro, socchiudendo gli occhi che le stavano diventando lucidi.

< Certo Ino-pig > ci scherzò su.

La bionda le diede un’ ultima sorridente occhiata, prima di sventolare i suoi lunghi e lisci capelli biondi di cui andava fiera, tornando a chiacchierare.

Pian piano il sorriso sulle sue labbra sparì, ma nessuno lo notò.

N/A: Questa è una fanfiction che rispecchia ciò che mi è successo, o almeno quello che è nel primo capitolo, per il seguito… bhè… ancora non lo so… Mi dispiace che il capitolo sia corto, ma i prossimi saranno più lunghi. Baci

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Alones ***


s

 

 

Diede un ultima occhiata al piatto, metà della pizza giaceva sul vassoio tondo, un’ altro morso e la nausea sarebbe diventato qualcosa di più concreto…

Attorno a lei parlavano, solo briciole e le croste bruciate sui piatti sporchi di pomodoro, troppo occupate a parlare per accorgersi del sapore di quello che avevano ingerito.

Lo stomaco le si contorse, in parte per la fame e dall’ altra per gli ingredienti non molto freschi a quanto pare, senza farsi vedere strinse il pugno sulla stoffa della maglia, all’ altezza dello stomaco.

< Che dite andiamo? > propose Tayuya con una piccola smorfia, osservando il bicchiere di birra media svuotato.

< Direi di sì… > le rispose Ino alzandosi e scrollandosi dai panatoli D&G bianchi le briciole della pasta croccante e bruciacchiata della pizza.

Le altre la imitarono provocando con le sedie un rumore che Sakura trovava insopportabile e inutile, potevano anche alzare le gambe delle seggiole evitando tanto frastuono.

Aspettò che le altre si fossero alzarsi prima si fare lo stesso, non aveva di certo fretta di pagare, prese il giubbotto di pelle appoggiato sullo schienale tirandone fuori un piccolo borsello di stoffa rossa.

Controllò il budget a disposizione, 15 euro, probabilmente le sarebbero bastati a malapena per pagare la cena.

Era stata molto attenta a ordinare poco e con moderazione.

< Sakura datti una mossa stiamo aspettando solo il tuo contributo! > le urlò dalla cassa di sotto Karin con poca grazia, infischiandosene degli sguardi che catturava, all’ infuori del corto vestito rosso che le arrivava a metà coscia.

Sakura non potè far a meno di chiedersi come potesse viaggiare così svestita, ma era stata ben attenta all’ astenersi da commenti di qualsiasi genere.

Si infilò il giubbotto e con il borsello ancora in mano si diresse alla cassa, c’ era solo lei, le altre erano uscite senza neanche aspettarla.

Era di nuovo sola.

< Quanto è? > chiese con tono piatto senza alzare lo sguardo dalle banconote.

< 10 euro > le rispose cortesemente la cassiera con un gran sorriso, la ragazza sorrise di risposta, era diventato un gesto automatico per lei.

Si strinse nel giubbotto preparandosi alla gelata di vento che l’ aspettava non appena avesse messo piede al dì fuori del locale, intanto la cassiera si voltò verso un cameriera che le passò dietro.

< Certo che mi poteva anche lascerà qualche euro di mancia > commentò con amarezza, sicura che la ragazza non la sentisse, ma non sapeva di sbagliarsi.

Si fermò a pochi passi dalla porta a vetro, convinta di voltarsi per risponderle a quella nota poco carina, ma fermò l’ intenzione sul nascere.

In fondo, sarebbe stato inutile, avrebbe creato solo altro scompiglio, e di certo non l’ avrebbe convinta a pensarla diversamente.

Spinse la maniglia cromata, uscendo dal tiepido calore del ristorante e venendo accolta malamente dal vento gelido di Novembre.

L’ aria era talmente ghiacciata che le sembrava di essere trapassata da mille lame affilate, ma quel gelo non era paragonabile a ciò che sentiva dentro.

Una piana desolata, abitata solo da piccoli mostri con gli occhi rossi, che la mangiavano dall’ interno ramificandosi come un cancro attorno al suo cuore.

Ad ogni battito il muscolo cardiaco le doleva, nonostante battesse lento come a sperare di fermarsi da un momento all’ altro, questo le faceva un male tremendo.

Non si sarebbe stupita se da un momento all’ altro fosse stata colta da un’ infarto.

Vide il piccolo gruppetto camminare verso la via principale, le raggiunse con una piccola corsa, mentre gli anfibi scontrandosi con l’ asfalto creavano un forte rumore che risuonava sulle fredde pareti dei palazzi intorno a lei.

Le luci erano spente, era sicuramente mezzanotte passata.

< Allora Ino, chi ti viene a prendere? > le chiese Tayuya prendendola a braccetto, squadrandola in cerca di qualche traccia di imbarazzo per la domanda.

< Secondo te? Shikamaru! No? > le rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

< Shikamaru? Quello svogliato fa tre Km per te? E’ un miracolo! > la schernì Karin allargando le braccia verso il cielo.

< Basta prenderlo in giro! A metterlo in riga ci penso io! > le tre risero prendendosi per mano, mentre sotto la luce dei lampioni erano visibili le loro guance arrossate per l’ alcool e il freddo.

Sakura continuò a camminare dietro di loro in religioso silenzio, osservando la punta degli stivali coperti da un leggero strato di polvere.

Non provavano nemmeno a coinvolgerla, nonostante la trovasse una cosa ridicola stringersi per mano a quell’ età, le avrebbe pur sempre fatto piacere.

Così di sentiva coinvolta, importante e in un certo senso l’ avrebbe fatta avvicinare di più a loro.

Tayuya si voltò all’ improvviso facendo ondeggiare i lunghi capelli vermigli, arricciati per l’ occasione.

< E tu Sakura? Hai qualcuno che ti viene a prendere? > le chiese con gli occhi ridotti a fessure, nel tono di voce una punta di malignità, conoscendo già la risposta.

< No, nessuno… > mormorò stringendosi nel cappotto, la presa serrata sul biglietto del treno.

< Che peccato > si finse dispiaciuta Karin facendo schioccare le labbra.

Tornarono a confabulare, con voce più controllata rispetto agli strepiti di prima.

Poté sentire dentro di lei il cuore stringersi nel petto, come se una mano invisibile lo usasse come anti-stress, perché le volevano farle del male?

Scosse energicamente la testa.

Non erano loro il problema. Il problema era solo lei.

Si stava comportando come una vittima.

Adesso capiva perché fosse così sola, c’ era qualcosa che non andava in lei, non ne gli altri. Era solo lei. Lei era la colpa del suo male.

E per questo si odiava.

Odiava il suo carattere perché non le permetteva di avere amici, odiava i suoi capelli perché la rendevano originale, odiava il suo aspetto perché si trovava esteticamente orribile – questo era il suo duro giudizio su se stessa - .

I suoi passi divennero più pesanti, questo era il peso della tristezza che teneva chiusa dentro di sé.

Nessuno sapeva, del dolore e dei suoi sentimenti, neanche lei a volte riusciva davvero a capirli.

Sono sola e rimarrò per sempre sola, pensò guardando le schiene delle amiche allontanarsi sempre più da lei.

Le distanza aumentavano e lei rimaneva sempre più indietro, senza riuscire a fare nulla per fermare tutto ciò.

Arrivarono davanti alla stazione di Shibuya, c’ era poca gente alla fermata, la piazza dove si ergeva la statua di Hachi era attraversata, a volte, da uomini e donne con le valigie.

Ad aspettarle c’ erano due macchine, una BMW metallizzata e un’ altra blu notte, appena le videro suonarono il clacson come forma di saluto.

Le tre corsero verso i veicoli mentre Sakura rimaneva sul marciapiede immobile a guardare Ino che salutava Shikamaru con un profondo bacio, Karin saltare al collo di Suigetsu al volante e Tayuya sedersi accanto a Sakon nei sedili posteriori.

Tutte sorridevano.

Erano felici. Veramente felici.

Mentre lei si corrodeva il fegato pensando: io non sarò mai come loro.

La prima macchina, quella metallizzata partì subito, senza salutarla e senza accorgersi che anche lei era lì ad aspettare.

La BMW blu fece retromarcia affiancandola, il vetrino del passeggero si abbassò mostrando la bionda che rideva raggiante, gli occhi che brillavano, il volto illuminato dall’ allegria.

< Hai bisogno di un passaggio? > le chiese cortesemente, ma Sakura potè vedere il viso di Shikamaru contorcersi in una smorfia, di sicuro aveva pensato di passare il resto della serata con la Yamanaka.

< No, ho il treno fra dieci minuti > inarcò le labbra, quello non poteva essere chiamato sorriso, ma sceneggiata, non voleva fare il terzo incomodo.

Gli occhi color speranza della giovane videro la mano del Nara scivolare sulla gamba fasciata dai jeans bianchi della ragazza, che però lo ignorò.

< Ne sei sicura? Non sono certa che ci siano treni a quest’ ora… > le confidò guardando la stazione.

Come poteva saperlo? Non aveva mai preso un treno.

Non poteva neanche sapere che l’ ultimo treno era a mezzanotte.

< Sicura > le ripeté salutandola con la mano e allontanandosi con passi pesanti.

Sentì la macchina ingranare la marcia e partire, per poi sparire al primo incrocio.

Non potè allontanarsi dalla stazione che il cellulare vibrò nella tasca del giaccone, alzò gli occhi al cielo.

Non aveva voglia di fingere ancora, per quella notte.

Il nome sul display si illuminò ad intermittenza, mostrando il nome Mamma.

Con il polpastrello cliccò il tasto verde portandosi il cellulare all’ orecchio ornato dai tre orecchini nel lobo.

< Pronto? >

< Sakura quando torni a casa? E’ già l’ una e mezzo! > la rimproverò la voce squillante dall’ altro capo del telefono.

< Dormo da un’ amica > bugiarda.

< E’ Ino? >

< Sì >

< Allora va bene, domani prendi il treno delle undici o giù di lì che devi mettere a posto casa! > si raccomandò riattaccando.

< Anche io ti voglio bene mamma… > disse ironicamente facendo finta di parlare ancora con la madre.

Rimise il cellulare in tasca.

Alzò il viso verso il cielo stellato, se non fosse stato per il vento, poteva essere una bella giornata.

Osservava il cielo sola e sconsolata.

Lei era sempre sola.

E lo sarebbe per sempre stata, nonostante gli sforzi per evitarlo.

La solitudine era una costante nella sua vita, dove il dolore, la tristezza, l’ angoscia e l’ illusione dominavano incontrastate.

Adesso doveva solo risolvere il problema di dove passare la notte…

 

 

 

 

N/A: Grazie per i commenti, ma non riesco a rispondervi, vi sono davvero grata. Le coppie devo ancora deciderle con sicurezza. Da qui in poi, la storia si sarà un po’ diversa dalla mia…

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=180384