Learn to Love Again.

di Sten__Merry
(/viewuser.php?uid=105947)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. Smile. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. Akward Stranger. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. Changes. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Wonderland. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. Knights. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. A Midwinter Night's Dream. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. My Arms reach out to you, for Love. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. Banana Muffins. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. London Night Out. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. What doesn't kill you, doesn't kill you. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. Life Goes On, Apparently. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. Cassie's Metamorphosis ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. Hello, Miss Hathaway. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. You Should See the Rest of Your Story. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. Follow the White Rabbit. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. Smile. ***


Ciao!!
Spero vi piacerà questa storia e spero di leggere tanti commentini *_*
Questa non è la mia prima FF, ma sono passati troppi anni dall'ultima volta che ho scritto con costanza e spero di riuscire a mantenere l'impegno, anche se non riuscirò a postare con troppa assidiutà fino al 13 luglio, poi spero di stabilizzarmi! :)
Grazie davvero a tutto coloro che perderanno il loro tempo a leggerla, mi auguro vi piaccia. Fatemi sapere.

Sten X.




 

Quella mattina Londra profumava di primavera, era una di quelle giornate in cui mi piaceva fermarmi per strada e prendere un'immensa boccata aria, andare oltre l'odore di smog e riconoscere le fragranze tipiche della città.

A Londra tutto aveva un profumo particolare; quella mattina il mio olfatto venne colpito dal profumo del sole, sì, perché a Londra anche il sole ha un suo caratteristico profumo. Avevo iniziato a notarlo poche settimane prima quando, lasciando il mio Hotel a Bloomsbury, non ero stata colpita dalla solita raffica di vento, ma la città mi aveva accolto con un dolce tepore, un benvenuto nel quale non avevo potuto far altro che sentirmi a mio agio.

Oggi il sole splendeva timido nel cielo offuscato solo da qualche rarefatta nuvoletta chiara, sembrava chiamarmi, così afferrai la giacca di pelle scura, la borsa color caramello e mi tuffai fuori dalla stanza.

Non c'era luogo in cui mi sentissi più a casa che non circondata dai robivecchi della zona di Portobello Road il sabato mattina, così mi diressi lì convinta di poter approfittare dell'ora presta per fare dei veri affari, uscii dalla fermata di Ladbroke Grove prima dello scoccare delle nove e nonostante non vi fosse ressa uscii dalla stazione metro con foga facendovi echeggiare fragorosamente i tacchi degli stivaletti.

Attraversai la strada, superai il negozio di fiori con le porte dipinte d'azzurro che si trovava proprio di fronte alla fermata, costeggiai una scuola elementare ignorando gli schiamazzi dei bambini in procinto di andare in gita, oltrepassai qualche casa e finalmente arrivai a destinazione. Una veloce occhiata alla via principale mi rese ben chiaro di essere arrivata con troppo anticipo così mi sedetti alla pasticceria francese poco lontana, ordinai un croissant ed un caffè nero, accesi una sigaretta e feci un tiro profondo, godendo di come, per la prima volta quel giorno, il fumo accarezzasse il mio palato. Di fronte a me passò una signora dai nobili lineamenti che portava a passeggio il suo cagnolino, mi sorrise, ricambiai. Quel mutuo scambio cortese non smetteva mai di sorprendermi, da piccola, quando ancora vivevo nel freddo e nebbioso nord Italia, nessuno mi aveva insegnato l'importanza di un sorriso regalato ad uno sconosciuto, nessuno mi aveva spiegato come quel semplice gesto poteva illuminare una giornata; avevo scoperto l'importanza dei sorrisi solo qualche anno prima quando, al bancone di un bar di Buenos Aires, la barista aveva risollevato la mia giornata infernale solo con quell'accenno di cortesia.

Avevo 17 anni e vivevo lì con un ragazzo di qualche anno più grande di me. Ero arrivata in quel paese un anno prima, lo avevo incontrato in aereo e da quel momento non ci eravamo più lasciati, fino a quel giorno, quando in quel bar mi aveva preso la mano e mi aveva confessato di avermi tradita, mi aveva detto che aveva smesso di amarmi e mi aveva chiesto di andarmene da casa sua la sera stessa, poi si era alzato ed era uscito dal locale incapace di affrontare la mia reazione, io mi ero avvicinata barcollante al bancone ed avevo ordinato una tequila, la barista mi aveva sorriso e scosso la testa

“Son solo le undici del mattino” mi aveva detto senza accennare a farsi seria in volto

“Ed è già una giornata terribile” le avevo risposto, alzando leggermente un angolo della bocca verso l'alto, mantenendo lo sguardo rivolto ai miei piedi

“beh in questo caso...” aveva tirato fuori due bicchieri riempiendoli con temprata professionalità del liquido trasparente che le avevo richiesto, aveva alzato il bicchiere lasciandomi intendere di brindare con lei

“è per un uomo?” mi aveva chiesto mentre avvicinavo il mio shot al suo

“Per che altro potrebbe essere?” avevo risposto, poi un sorriso spontaneo si era disegnato sulle mie labbra mentre osservavo la donna che stava decidendo il da farsi, passare al prossimo cliente o dedicarsi a questa ragazzina vestita di scuro al banco? Alla fine aveva deciso di dedicarsi a me, finii col raccontarle tutto tutto, di come ero l'anno prima ero scesa dall'aero mano per la mano con uno sconosciuto, e di come ora mi trovavo improvvisamente rimasta senza fidanzato e senza casa, lei mi aveva invitato a star da lei per un po'.

Avevo finito per vivere con lei per quattro anni. Solo mesi dopo mi aveva confessato che a convincerla a rimanere con me quel giorno era stato quel sorriso disegnatosi su un viso che tratteneva a stento le lacrime, un sorriso cacofonico che l'aveva conquistata.

Ora, ogni volta che vedevo un sorriso, ricordavo quel giorno in cui Marizza aveva deciso di accogliere in casa una sconosciuta, e capivo quanto quel gesto potesse significare per qualcuno.

Sì, negli anni ero profondamente cambiata, da bambina timida ad adolescente ribelle fino a diventare una giovane donna con un nuova visione del mondo. Oggi il mondo per me era solo un oceano da cui pescare migliaia di nuove possibilità, un mondo in cui la sconfitta di oggi è la vittoria di domani, in cui la regola chiave era solo una: essere felice.

Una ragazza sulla trentina appoggiò il caffè sul traballante tavolino in legno

“Può pagare dopo alla cassa” mi informò con un tono servile, annuii grata dell'informazione.

Cinsi la tazza con entrambe le mani e me la portai alle labbra, annusai il liquido scuro qualche istante prima di decidermi a prenderne un sorso, non appena arrivò a scaldare il mio stomaco scoppiai a ridere per l'ironia delle situazione. Ero un italiana, seduta in un caffè francese in Inghilterra mentre sorseggiava un caffè i cui chicchi eran stati raccolti in Brasile. Amavo ridere delle piccole cose, quelle talmente insignificanti che se espresse a parole non avrebbero reso ciò che avevan suscitato nel momento in cui eran state vissute, il fatto di saperle cogliere ed apprezzare mi soddisfaceva, finalmente stavo abbracciando tutto ciò che la vita aveva da offrirmi. Se mai un giorno avessi smesso di farla, beh, allora avrei smesso di vivere davvero.

Mi godetti la colazione lentamente poi, quando mi accorsi che la strada principale cominciava a brulicare di gente, mi buttai nelle mischia.

Iniziai a scontrarmi con gente di tutti i tipi, uomini di mezza età con le mani ben fisse dietro la schiena, donne eleganti in cerca di qualche capo vintage, ragazzini che si godevano il loro giorno di libertà portando le ragazzine a far compere, vecchie signore curve che già trascinavano pesanti borse ricolme di alimenti genuini. Presto decisi di fermarmi ad un paio di bancarelle in cui vendevano abiti usati e, come sempre, mi avvicinai mesta, intimorita dalle storie di quei capi, allungai un braccio e appoggia la mano su un foulard dalle tinte rosa, scorsi il dito sulla seta delicata e rivolsi un eloquente sguardo alla proprietaria dello stand

“E' un Hermes” puntualizzò, annuii e tornai a contemplarlo “è un usato” continuò “ma non lo posso lasciare per meno di duecento sterline” sorrisi imbarazzata incapace di allontanare gli occhi dal pregiato capo, riconoscendo a me stessa che il prezzo che mi proponeva era fin troppo basso per una delizia simile

“In tal caso non posso che smettere di immaginarmelo attorno al collo” mi rassegnai a malincuore

“Era di una famiglia recentemente caduta in disgarazia” continuò raccogliendolo dalla bancarella, mi prese per mano conducendomi di fronte allo specchio, poi si mise alle mi spalle, mi spostò i capelli e me lo appoggiò al collo

“Mi dispiace cara, sarebbe stato bene con i suoi tratti mediterranei! Lei non è inglese vero?” scossi la testa osservando la figura della donna riflessa avvolta in un abito troppo elegante per quelle ore del mattino

“Italiana” spiegai, lei mi accarezzò una mano, allontanando da me con delicatezza il pregiato articolo

“E' proprio vero, voi italiani avete occhio per i capi più raffinati” risi sarcastica facendo schioccare silenziosamente la lingua contro il palato

“Oh signora, davvero, conosco persone che la smentirebbero alla prima occhiata” salutai con un gesto della mano e feci per allontanarmi quando mi richiamò

“Ehy, buona fortuna. Spero che sia una giornata proficua”

'Lo sarà, lo è sempre qui a Londra' pensai mentre mi allontanavo a passo spedito.

Poche centinaia di metri incontrai alla mia sinistra una bancarella di libri usati, le copertine scure, la pagine ingiallite appoggiate su una tovaglia rossastra usurata dal tempo mi chiamavano a gran voce ed io non vi seppi resistere, scorsi i titoli delle opere ordinatamente impilate innanzi a me.

I miei occhi si lasciarono attirare da una versione illustrata de 'Le Avventure di Sherlock Holmes' degli anni quaranta, allungai la mano per afferrarla, ma qualcun altro mi precedette. Mi voltai, a meno di un metro da me due occhi scuri mi fissavano

“La tempestività è importante. Il tempo è denaro.” sottolineò con finto tono altezzoso altezzoso l'uomo di fronte a me, alzando le sopracciglia che naturalmente sembravano avere una buffa e leggera tendenza a scendere verso il basso, sbuffai

“La prego. Sarebbe il secondo acquisto che non va in porto oggi!” implorai, sicura di non essere ascoltata, lui mi fissò un attimo e i miei occhi indugiarono sul sorriso contagioso che gli si disegnò sulle labbra, non potei fare a meno di notare la fossetta tra i suoi incisivi

“Beh, è qualcosa su cui dovremmo discutere difronte ad una buona tazza di tè” esclamò, sorrisi

“Lei è sfacciato, lo sa?” dissi passandomi una mano tra i capelli e portando leggermente indietro la testa mostrandogli una porzione di collo fino a quel momento tenuta nascosta, tenni gli occhi incollati su di lui qualche istante, poi girai sui tacchi e iniziai a camminare

“Che fa? Non viene?” lo chiamai.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2. Akward Stranger. ***


Cla: Ho risposto dall'altra parte xD
Iry: contenta ti piaccia. Chissà se sarà lui xD lol. In questo capitolo c'è un chiaro indizio. :)
Ellie: ho aggiornato presto! yey! contenta ti piaccia. Ecco qui forse ti fai un' idea più chiara su chi sia il protagonista maschile.

Ringrazio anche le altre 130 visite avute fin' ora. Sono tantissime in tre giorni *_* Commentate di pià però, aaamo vedere i commentini. *_*



STEN

Capitolo 2. Akward Stranger



Scoppiai a ridere arrotolando una ciocca di capelli castani attorno all'indice, il bar a cui eravamo seduti era all'aperto, l'insegna gialla strideva con l'edificio verde a cui era appesa ed il barista ci osservava con sguardo poco amichevole dallo stipite della porta

“Quindi vuoi farmi credere che sei solo una specie di molestatore di ragazze innocenti intente a far shopping per due soldi?” domandai incuriosita dal fatto che avesse accuratamente evitato di rispondere alla domanda per ben due volte fino a quel momento,

lui accennò un sorriso che gli illuminò il volto, non potei non notare l'incavo sul collo che gli metteva in risalto il pomo d'Adamo ed inconsciamente mi ritrovai a mordicchiarmi l'interno del labbro inferiore

“E' quello che ti ho detto, no?”disse, interrompendo la mia contemplazione; poi iniziò a guardarsi attorno stranito.

Alcuni tra gli altri clienti del bar ci guardavano incuriositi, mi ripromisi di abbassare il tono di voce convinta di aver attirato tutti quegli sguardi indiscreti, “hai detto di essere italiana, vero?” annuii mentre sorseggiavo il succo d'arancia da una cannuccia rosa

“E davvero non sai cosa faccio nella vita?” sembrava sbigottito, io mi strinsi nelle spalle accasciandomi sulla sedia

“Se me lo avessi detto quando te l'ho chiesto, a quest'ora lo saprei” scherzai, lui si mosse a disagio sulla sedia

“Ah, no. Ecco. E' che io...” iniziò, grattandosi il mento col palmo della mano con gesti decisi, poi stabilì fosse opportuno farmi omaggio di una pausa quasi teatrale

“Tu cosa?” lo invogliai inclinandomi leggermente verso di lui sopra al tavolino dalle tinte chiare

“No, nulla. Ho fatto un paio di lavori per la tv italiana, pensavo mi avessi riconosciuto, tutto qui” scoppiai di nuovo a ridere umettandomi le labbra coperte dal rossetto chiaro

“Cielo, iniziavo a pensare che mi stessi per confessare di essere un Serial Killer! Mi dispiace deluderti, ma non sono una fan del mezzo televisivo, preferisco occupare il mio tempo in maniera costruttiva, non so, scrivendo, leggendo; occupare la mente mantenendola attiva, insomma.” conscia del fatto che molte volte questo discorso mi aveva fatto apparire snob agli occhi di alcune persone cercai subito di ripararvi rivolgendogli un ampio sorriso incoraggiante, per qualche ragione sentivo di voler impressionare il giovane uomo con cui stavo condividendo la mattinata

“Ma sentitela!” esclamò ironico “quindi, Miss Mente Attiva, che le piace leggere oltre a Sherlock Holmes?” spalancai gli occhi, alzai l'indice della mano destra e glielo feci ondeggiare di fronte al viso

“No, no, no! Non te la caverai così! Siamo venuti qui per trovare una soluzione rispetto a chi debba comprare il libro, io dico di meritarmelo perché ho saggiamente rinunciato all'acquisto di un foulard che non potevo permettermi, necessito di shopping consolatorio!” esclamai alzando le sopracciglia, sbuffò leggermente e appoggiò la tazza di caffè che teneva tra le mani sul tavolino traballante

“Propongo di giocarcela. Hai una moneta?” iniziai ad esplorare la borsa decisa senza mai guardare al suo interno, i miei occhi non volevano saperne di abbandonare il ragazzo che mi stava di fronte, poi tra le dita sentii un freddo metallico e capii di aver trovato una sterlina solitaria, ma non appena realizzai aprii la mano e la lasciai ricadere; se avessi trovato la moneta questa piacevole parentesi con lo sconosciuto si sarebbe chiusa qui, con noi che non avevamo più nulla da dirci

“Mi dispiace, sono a corto di spiccioli” mentii fissando lo sguardo sull'angolo destro della sua bocca, lui si strinse nelle spalle con un movimento rapido

“in tal caso, non abbiamo nessun motivo di alzarci da questo tavolo finché la questione non sarà risolta” arricciò la bocca, prima da un lato e poi dall'altro “ho trovato!” esclamò “Madame, le propongo una sfida a duello” continuò con tono snob ed accennando ad una reverenza, mi composi sulla sedia raddrizzando la schiena

“Messere, che malandrino! Un duello con una donna? Sia mai!” risposi imitandone i modi ottocenteschi, lui scoppiò a ridere stringendosi forte l'avambraccio destro con la mano opposta

“Sei la prima che mi asseconda in queste cose”

“D'altronde immagino di essere anche la prima che accetta un invito per litigarsi un libro” feci una smorfia appena accennata socchiudendo gli occhi, lui smise di ridere e mi guardò intensamente

“Sei proprio un bel tipetto! Hai sempre la risposta pronta...” la frase rimane in sospeso con lui con le labbra socchiuse “Non mi hai ancora detto come ti chiami” si accorse improvvisamente, annuii lievemente

“Cassandra, significa colei che trionfa” risposi sorridente “quindi, sappiamo entrambi a chi di noi due andrà quel libro” ammiccai. Non conscia, feci scorrere un il mio indice destro dall'orecchia fino al mento, lentamente, seguendo la linea della mascella, poi me lo appoggiai sulle labbra e lo mordicchiai con delicatezza, senza staccare gli occhi da lui; mi ci volle qualche istante per realizzare che il mio corpo non stava rispondendo agli impulsi che gli mandava la mente. Scattai in piedi tutto d'un tratto, facendo cadere fragorosamente la sedia dietro di me, lui mi guardò stranito

“Devo scappare!” mi scusai, balbettando, presi di fretta la borsa, lo salutai con la mano e a passo spedito mi diressi verso la stazione metro.

Mi voltai nonostante stessi cercando di evitarlo, lui mi stava seguendo con lo sguardo mentre mi allontanavo probabilmente domandandosi che cosa mi passasse per la testa.

Non tardai molto ad arrivare in hotel, lanciai borsa e giacca sul letto da poco rifatto e mi fiondai in bagno, accesi la doccia, mi liberai di tutta fretta dei vestiti e senza aspettare che l'acqua si scaldasse mi fiondai sotto il getto, il gelo iniziare avrebbe dovuto spingermi a ritrarmi, decisi invece di ignorare i miei istinti e di resistere. Alzai il viso verso il getto quando ormai l'acqua era tiepida, allora, e solo allora, permisi al mio corpo di rilassarmi.

Che mi era successo poco prima al bar? Avevo perso la mia razionalità e ciò non costituiva una possibilità, la mia vita doveva essere vissuta all'insegna del controllo. L'ultima volta che l'avevo perso era rimasta senza nulla, avevo finito col perdere anche me stessa.

*

Hai paura?” mi chiese il ragazzo seduto accanto a me, le mie dite affondate nel rivestimento morbido dei sedili grigi dell'aereo 'Aerolineas Argentinas' che mi avrebbe fatta atterrare in un altro continente di lì a poche ore, sorrisi lieve, accennando alle mie mani con un veloce cenno della testa. Le nocche erano ormai bianche.

Tu che ne dici?” chiesi sarcastica, lui annuì

Andrà meglio appena finita la fase di salita” dichiarò certo

Mi auguro che tu abbia ragione, perché se dovessi sentirmi così per dodici ore finirei col morire di infarto!” acida.

Affondai la testa più profondamente nell'appoggia testa.

Gradualmente il rumore dei motori si affievolì, l'aereo riacquistò una posizione orizzontale e si spensero le spie che indicavano la necessità di mantenere allacciate le cinture di sicurezza

Avevi ragione!” esclamai, grata. Lui sorrise

Non avevo dubbi”

*

L'atteggiamento, i suoi occhi scuri, i capelli corti un po' spettinati, il viso pulito da ragazzino per bene, tutto questo aveva contribuito a farmi cadere ai suoi piedi dopo poche ore di viaggio.
Un insegnamento avevo tratto da quell'esperienza: mai fidarsi dei propri istinti.

*

Mi chiamo Manuel, vivo a Buenos Aires” si presentò con un sorriso smagliante dipinto sul viso

Cassandra” risposi “ Ho un paio di appartamenti da vedere più tardi, quando atterriamo” spiegai “Quindi in questo momento sono ufficialmente una senza tetto”, lui socchiuse un po' gli occhi, confuso

Non sei un po' troppo piccola per andartene in giro per il mondo da sola?” mi strinsi nelle spalle

Non ho mai avuto dei gran rapporti con la mia famiglia, ci vogliamo bene, certo, ma è sempre meglio che tra noi ci sia qualche chilometro di distanza. Va meglio per tutti in questo modo” chiarii sbrigativamente

qualche chilometro?” rise “hai messo un oceano intero tra voi”, inclinai la testa verso il basso

le precauzioni non sono mai troppe” scherzai, poi decisi di imporre una nuova rotta al discorso “Manuel, tu invece che ci facevi in Italia?”
“Ero in vacanza” annuii

E ti sei divertito?”

Beh, sai che si dice delle italiane, no? Diciamo che sanno farti sentire a casa”, allungai una mano per dargli una leggera spinta sulla spalla ridacchiando, lui me la fermò con decisione, si fece serio, con la mano libera mi cinse il collo e mi attirò a sé.

Ci abbandonammo a un lungo e intenso bacio.

*

Il ricordo era più potente dell'acqua ormai bollente e il mio corpo rabbrividì anche avvolto da tutto quel calore, pensare a quel bacio mi indebolì le gambe e mi obbligò a sedere sul fondo della vasca, appoggiai la testa alle mani e lasciai che il getto della doccia mi accarezzasse la nuca.

*

Il volo passò in fretta, io e Manuel non avevamo smesso di parlare, di baciarci, di assaporarci, stavamo iniziando la discesa quando io mi aggrappai a lui in preda al panico, lui mi guardò serio

Stavo pensando che dovresti venire a star da me” lo sguardo incoraggiante e speranzoso, io spalancai gli occhi

Cosa? Sei impazzito?” chiesi attonita

Cassandra, il vero amore si trova solo una volta nella vita. Lo so, lo sento, sei tu. Non perdiamo tempo” Gli credetti e accettai.

Gli credetti e feci un errore.

*

“Al diavolo!” esclamai alzandomi dal rifugio in cui mi ero nascosta.

Oggi al bar, quando avevo capito che non stavo rispondendo delle mie azioni, mi ero sentita esattamente come quel giorno sull'aero, esattamente come nel momento in cui avevo deciso di credergli, sapevo che stavo rischiando di ricadere in un errore simile.

Da quando era finita con Manuel avevo evitato contatti con il sesso maschile, qualche conoscente, un paio di amici non troppo intimi, nulla di più.
Manuel aveva preso a due mani la fiducia che io riponevo negli uomini ed aveva tirato con tutte le sue forze, fino ad estirparla, fino a farmi a pezzi e a lasciarmi vuota.

Non mi sarebbe più ricapitato, avrei fatto di tutto per assicurarmene.

Uscii dalla doccia infilando ai piedi un paio di ciabatte di morbido tessuto bianco e camminai verso il letto strofinandomi i capelli con l'asciugamano, gettai a terra la salvietta ed aprii la borsa in cerca del telefono, non appena feci saltare il gancetto d'apertura la tanto agognata edizione de 'Le Avventure di Sherlock Holmes' fece capolino. Le mani scattarono in avanti e la afferrarono avidamente, aprii la prima pagina. Da un lato speravo di trovare un suo recapito, un modo per contattarlo, dall'altro volevo sentirmi al sicuro, volevo che non ci fosse scritto nulla.

C'era.

“Prima le signore.” ed un numero di telefono.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3. Changes. ***


Eccovi :) Spero continui a piacere! Fatemi sapere.
Sten. X

Arricciai la bocca muovendo nervosamente gli occhi prima da un lato, poi dall'altro esplorando la stanza. Le pareti coperte da carta da parati giallognola, la moquette blu e il letto sfatto non parvero essere d'aiuto nel decidere il da farsi.

Sbuffai incredula.

Se solo non fossi stata io, tutto questo avrebbe potuto essere l'inizio di una favola, una di quelle storie d'amore travolgenti e inarrestabili, una di quelle storie da cui io stavo scappando disperatamente da anni.

Mi sedetti sul letto appoggiando la schiena al muro, le ginocchia vicino al viso e gli occhi chiusi, una mano si allungò verso il telefono ancora all'interno della borsa, il desiderio stava prendendo il sopravvento, infimo, doloroso, irresistibile; eran passati troppi anni da quando le dita di un uomo avevano sfiorato per l'ultima volta la mia pelle chiara, da quando una bocca affamata di me si era fermata a pochi millimetri dalla mia per respirarmi prima di baciarmi con sicurezza, da quando una mano forte aveva accarezzato voluttuosa la mia schiena.

Quanti anni ancora sarei potuta rimanere senza tutto questo, quando solo il pensiero di quei momenti mi induceva mieti sospiri? Quanto ancora avrei potuto resistere ai miei istinti?

L'ultima volta che mi ero lasciata andare con un uomo era stato tre anni fa; un anno dopo la nostra rottura, Manuel mi aveva chiamata, mi aveva detto che mi amava, che sarebbe tornato con me. Ci eravamo visti, avevamo avidamente fatto l'amore tutta la notte, poi, il mattino seguente, mi svegliai e lui non era più nel mio letto. Un bigliettino a supplirne la mancanza 'Scusa, è stato un errore', diceva.

Da quel giorno non avevo permesso più a nessun uomo di avvicinarmi, di travolgermi, mai più fino ad oggi, quando lo sconosciuto di Portobello Road mi aveva ammaliata con quegli esotici occhi scuri.

Il semplice fatto di essere attanagliata dai dubbi, mi fece capire che avrei finito col chiamarlo, dovevo farlo per dimostrare a me stessa che sarei stata in grado di resistergli, quel sorriso travolgente non avrebbe potuto mandare all'aria le barriere che avevo faticosamente costruito.

Afferrai il telefono e con foga, velocemente, digitai i numeri prima di poter cambiare idea, quando il segnale di libero profuse dalla cornetta sentii lo stomaco restringersi e la gola chiudersi, respirai profondamente raccomandandomi di mantenere la calma, incapace di spiegarmi che diamine mi stava succedendo.

Secondo squillo, inspirai lentamente dal naso.

Terzo squillo, espirai pronta a riattaccare.

Dall'altra parte, improvvisa, quasi come una sorpresa una calda voce mi accarezzò l'orecchio

Pronto?” sicuro, tranquillo, ero certa che stesse sorridendo

Ehm, sì... Ciao, ehm, sono Cassandra, ho trovato il libro” balbettai incerta con una voce qualche tono più acuta di quella che utilizzavo normalmente, espirai rumorosamente “Volevo ringraziarti, ecco” tagliai corto per chiudere velocemente l'inceppata introduzione

Speravo chiamassi! Prima sei scappata così di fretta che non siamo riusciti nemmeno a far due chiacchiere” puntualizzò

Sì, scusa, avevo un appuntamento di cui mi ero del tutto dimenticata” mentii, scuotendo leggermente la testa conscia di quanto fosse banale la bugia che avevo scelto per giustificarmi, sentii che dall'altro lato lui si schiariva la voce

Senti” imbarazzato “che ne dici di uscire per cena stasera?” mi morsi il labbro inferiore cercando di contenere le emozioni contrastanti che mi pervadevano in quell'istante

Perché no?!” risposi “In fondo mi hai appena ceduto il nostro oggetto dei desideri” aggiunsi facendo riferimento al libro “il minimo che possa fare è deliziarti della mia compagnia” lui rise, io seguii il suo esempio lieta di aver alleggerito la conversazione

Inizio a credere che queste uscite non siano del tutto delle battute” esclamò divertito

Beh, sei più perspicace di quanto pensassi, allora” scherzai

Ci vediamo per le nove a Regent's Park?” propose, fui subito sollevata del fatto che non si fosse offerto di passare a prendermi in hotel

Perfetto” accettai

Beh, allora a stasera”

Aspetta” lo fermai

Che c'è ora?” chiese divertito, aspettandosi probabilmente di sentirmi dire che già avevo cambiato idea

E' che non so ancora il tuo nome” spiegai, fece una pausa

Andrew, mi chiamo Andrew”

Perfetto Andrew, a stasera” chiusi la conversazione.

Era andata decisamente meglio di quanto pensassi, mi piaceva il fatto che lui non avesse parlato di appuntamento e avesse cercato di edulcorare la proposta della serata insieme da ogni elemento di formalità.

Sorrisi, più tranquilla. Sarebbe andato tutto bene, non tutti gli uomini cercavano sesso, e non tutti gli uomini erano come Manuel, era tempo di metterselo ben in testa.

Incapace di gettarmi in qualche utile attività costruttiva passai la giornata a leggere Sherlock Holmes e ad interrogarmi sugli indumenti che avrei indossato in serata.

Scelsi un abito ampio di taffetà viola abbinandovi un paio di tronchetti neri ed una pochette di un tono più chiara del colore del vestito, con cura applicai l'eye-liner con una decisa linea sulla palpebra superiore, piegai le ciglia già naturalmente lunghe e arrossii le guance con un tocco di fard rosato.

Quando finii di stendere il rossetto perlato mi accorsi che l'orologio segnava le nove, incapace di spiegarmi come avessi potuto perdere così tanto tempo imprecai e uscii dalla stanza correndo.

In meno di un paio di minuti mi trovavo seduta in metropolitana, le gambe accavallate incapaci di rimanere ferme. Sbuffai guardando nervosamente a destra e a sinistra, quei pochi minuti sembravano non passare più tanto che quando finalmente uscii dalla stazione di Regent's Park presi un grande respiro come per compensare l'aria viziata respirata nelle gallerie sotterranee londinesi, mi diressi a passo veloce verso il parco.

Lo vidi che mi attendeva vicino al cancello principale, camminava avanti e indietro nervosamente, dando fuggevoli occhiate all'orologio

“Ehy” lo chiamai, la sua espressione un po' corrucciata si distese improvvisamente e si aprì in un sorriso che mi permise di ammirare la piccola finestrella che ne contraddistingueva l'espressione

“Abbiamo una ritardataria” esclamò ridacchiando nervoso, mi strinsi nelle spalle e arricciai le labbra

“Devo averlo nel DNA” spiegai un po' dispiaciuta, lui appoggiò fuggevolmente una mano sulla mia spalla

“Tranquilla, lavoro con un tizio che ti farebbe sfigurare. Non sei nulla a confronto.” si fermò e mi fissò pochi secondi, inclinai la testa da un lato assumendo uno sguardo interrogativo “Beh, io ho fame” spiegò “che ne dici di andare a mangiare?” annuii vigorosamente

“Allora, dov'è il ristorante?” chiesi saltellando come una bambina curiosa, alzò le sopracciglia ridacchiando

“Qui!” esclamò. Mi guardai attorno gonfiando le guance, lui rise “sembri una scimmietta quando fai così” puntualizzò

“Tu sì che ci sai fare con le donne, mio caro! Ci conosciamo da meno di ventiquattro ore e mi hai già dato del primate!” mi mostrò la lingua facendo una veloce smorfia, poi continuai a parlare “Andrew, sul serio, dove andiamo a mangiare” mi indicò l'interno del parco con un veloce cenno della testa

“ma è chiuso!” dissi puntualizzando l'ovvio lanciando un occhiata all'orologio che faticosamente gli cingeva il polso

“E allora?” esclamò scuotendo le spalle, ridacchiai, poi lasciai che il mio sguardo percorresse il cancello dall'alto in basso e si spostasse ad accarezzare il suo corpo fino a fermarsi sul suo viso dai tratti est europei

“non ce la farò mai!” biascicai

“oh, ma se sei una piccola scimmietta” spalancai la bocca sgranando gli occhi

“ma la vuoi smettere?” scherzai

“ok, allora diciamo che ci sono io qui ad aiutarti”, per tutta risposta mugugnai

“io odio voi cavalieri senza macchia e senza paura! La fatica tocca farla tutta a me!” sbuffai simulando una finta seccatura che non mi apparteneva, mi tolsi le scarpe e gliele misi tra le mani “vado prima io!” iniziai a issarmi a fatica reggendomi alle barre del cancello, ero a metà dell'altezza da percorrere quando mi girai verso di lui “E tu non sbirciare!” aggiunsi chiudendo velocemente le gambe catturando la gonna al loro interno e facendogli una linguaccia

“Ma come ti viene in mente?!?” rispose, un sorrisino furbo gli illuminava il volto.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4. Wonderland. ***


Grazie Mille dei commenti :) Scusate la lentezza di pubblicazione ma sto studiando per l'ultimo esame e sono un po' in paranoia :)
Ecco qui il capitolo.
Qui forse si scopre un leggero aspetto del carattere di "Andrew"
Fatemi Sapere! I commenti sono, come sempre, graditissimi.



Hai un po' di terra nei capelli” esclamò divertito mentre mi rialzavo faticosamente da terra, rinfilai i piedi nelle scarpe e poi risposi

come avrai capito, gli atterraggi non sono il mio forte” broncio seguito poi da uno spontaneo sorriso, sciolsi la morbida acconciatura e scossi i capelli “ce n'è ancora?” chiesi. Si avvicinò di un passo, mi cinse le braccia con le sue grandi mani e mi girò a favore della luce dei lampioni ancora accesi, il suo volto si addentrò nella penombra qualche istante, lasciando che la fioca luminosità ne mettesse in evidenza in evidenza i lineamenti decisi

Solo un secondo” sussurrò concentrato mentre mi fissava in viso, si protese ancora un po' verso di me, io ero incapace di qualsiasi contromossa, mi pareva quasi di poter osservare inerte dall'esterno alla scena, poi lasciò andare il braccio destro e spostò il palmo della mano sulla mia guancia, chiuse il pugno con delicatezza, quasi avesse paura di rompermi se si fosse mosso senza cautela, e con il pollice, lentamente, scacciò un altro po' di terra

Ecco, come nuova!” esclamò allontanandosi, sorrisi imbarazzata

ehm grazie” mugugnai, poi guardai dietro di lui, il parco sembrava insolitamente vivo, pensai, notando la fontana principale accesa e qualche lampione attorno che la illuminava, lo guardai con aria interrogativa

non dovrebbe essere tutto spento in orario di chiusura?” gli chiesi, lui alzò gli occhi verso l'altro e li spostò prima da un lato e poi dall'altro, infilò velocemente una mano in tasca e fece sventolare un paio di chiavi dorate

stai scherzando, vero?” esclamai allibita, lui sorrise lievemente stingendo i denti e abbassando gli angoli della bocca

conosco il guardiano del parco” spiegò. Non gli permisi quasi di terminare la frase che calciai nuovamente via le scarpe e iniziai a correre verso di lui

maledetto!” urlai ridendo, lui scattò veloce guadagnando ampio anticipo, lo osservai mentre correva di fronte a me ridacchiando, ogni tanto girava la testa verso di me per controllare quanto gli fossi lontana, ed ogni volta che percepiva troppa distanza tra noi rallentava il passo con noncuranza, convinto che non lo notassi.

Mentre correvo lasciavo che i miei occhi si concentrassero sulle sue gambe, sicure e muscolose, avvolte da dei pantaloni di una taglia troppo grandi, sulle braccia nascoste da una camicia chiara che accompagnava i suoi movimenti, e dimenticai la paura di lasciarmi andare, i dolore del passato, per la prima volta dopo anni realizzai che non stavo pensando a Manuel e mi sentii di nuovo libera.

Aumentai il passo, lui se ne accorse e si affrettò a saltare una piccola recinzione che ci separava da una piccola aiuola, cercai di seguirlo, ma sbattei il piede contro il ferro e persi l'equilibrio, non potei far nulla per non cadergli addosso facendolo sbilanciare e scivolare in una fontana che adornava lo spiazzo, lo fissai in silenzio qualche istante attendendo che mi dicesse che stava bene.

Ancora prono nella fontana, con la faccia nell'acqua, alzò il braccio destro portandoselo dietro la schiena ad indicarmi, poi mi guardò

Sei finita!” dichiarò alzandosi con un rapido scatto

No! No! No!” implorai mentre si lanciava a tutta velocità su di me atterrandomi, sentii le sue mani bagnate sulla pelle muoversi veloci iniziando a solleticarmi, scoppiai a ridere rotolandomi sul terriccio umido per sfuggirgli, lo osservavo ridacchiare e non potei non pensare quell'attimo, quel preciso istante, somigliava pericolosamente ad una scena di un film e fu così che la vissi, pensai che nessun regista avrebbe potuto immortalare un momento più gioioso di quello.

La sua mano finì all'altezza del mio stomaco mentre cercavo di riprendere fiato tra una risata e l'altra, e, nel silenzio, un suono prolungato e soffocato decise di uscire dalla mia pancia, lo guardai, finsi imbarazzo, poi scoppiai a ridere

la Signorina ha fame, vedo” puntualizzò, annuii prepotentemente, si alzò agilmente senza aiutarsi con le mani, si pulì le ginocchia dall'erba in eccesso con dei veloci gesti delle mani, poi protese le dita verso di me alzando le sopracciglia invitandomi a prenderle, le afferrai forte ed in men di due secondi mi ritrovai in piedi senza aver fatto il minimo sforzo

Seguimi” la voce leggermente più bassa, più profonda, lo sguardo più serio, annuii rispettando il silenzio sacrale che pareva circondarci improvvisamente, dimenticò di lasciare la mia mano ed io gliela lasciai tenere, permettendogli di condurmi come una bambina smarrita in un labirinto pieno di meraviglie; ma contrariamente alla bambina delle favole non mi meravigliavo di ciò che stava attorno a me, io non riuscivo a staccare lo sguardo dalla sua nuca, desideravo avvicinarmici, respirarne, riempirmi del suo odore per ricordarlo una volta tornata a casa, ma quando iniziai ad aumentare inconsciamente l'andatura per diminuire le distanze tra i nostri corpi, lui si fermò di colpo ed indicò un punto a pochi metri da noi

Eccoci!” esclamò, aprii la bocca stupita, davanti a noi era stesa una coperta rossa, vicino agli angoli quattro candele ad illuminare il banchetto che Andrew aveva allestito per la serata, deliziosamente semplice, mi fece spalancare gli occhi mentre sorridevo di genuina felicità, lui non poteva sapere che questa era la prima cosa davvero carina che un uomo aveva mai fatto per me

Quando l'hai fatto?” chiesi, i pensieri vorticosi mi privarono della prontezza di ringraziarlo per tutto il lavoro che aveva fatto per una serata con una sconosciuta

Te l'ho detto, conosco il guardiano. Su siediti, mangiamo” disse mentre si lasciava cadere sulla morbida coperta rossa, mi accomodai al suo fianco appoggiando la mia spalla destra al suo corpo ancora bagnato “Sperò ti piaccia il sushi” disse togliendo la copertura da un piatto che riposava di fronte a noi

Ne vado pazza” lo rassicurai prendendo le bacchette che mi stava porgendo, lo guardai fissa qualche istante poi mi decisi a parlare “Andrew, davvero, non dovevi fare tutto questo” lui non rispose, si limitò a contraccambiare lo sguardo

E' buffo” iniziò dopo poco, di fronte alla mia espressione stranita chiarì la sua affermazione “Sembri felice...” lasciò cadere la frase, improvvisamente mi parve incredibilmente serio

E' che lo sono” lo rassicurai, abbassando lo sguardo fino a posarlo sulla punta della sua scarpa scura

Non pensavo ci fosse ancora gente a cui basta così poco, erano anni che non incontravo qualcuno come te” un velo di tristezza si posò sul suo volto

Quello che per alcuni è poco, per altri può essere molto” sottolineai senza alzare lo sguardo, sentii un suo dito posarsi sul mio mento ad obbligarmi a guardarlo in viso, sorrise mordicchiandosi il labbro inferiore.

Guardandolo, pensai che le sue sopracciglia leggermente piegate verso il basso si addicevano profondamente a quell'istante.

Sei davvero così come dici? Pensavo non esistessero più persone che apprezzassero le piccole cose”, piegai la testa sul lato sinistro

Beh, Andrew, ho accettato di venire a cena in un parco deserto con un perfetto sconosciuto solo perché mi ha regalato un libro, davvero pensavi ancora che non apprezzassi i piccoli gesti?” la voce falsamente acida, appena terminai di parlare scoppiammo a ridere all'unisono

Touché! Dai, su, mangiamo!” suggerì, non me lo feci ripetere due volte ed annuii avventandomi su un california roll.
Rimanemmo in silenzio qualche istante, non potei non chiedermi cosa avesse gettato un velo di tristezza sul mio accompagnatore; fino a quel momento avevo pensato solo a me stessa, a come il mio passato mi stava tormentando impedendomi di andare avanti, ed ora comprendevo che anche gli altri, come me, avevano un passato, e che anche altri avevano appreso a nasconderlo dietro ai piccoli attimi felici di vita, ma, come non era stato possibile a me, neppure lui era riuscito a cancellare i ricordi di una vita, in fondo quello che avevo cercato di fare quel momento era facilmente equiparabile al vano tentativo di nascondere un grosso elefante in un armadio.

Sentii una mano che mi prese un braccio

ci sei?” mi chiese sorridente, annuii

sì, stavo solo pensando... ” alzò un sopracciglio aspettandosi ulteriori spiegazioni che non arrivarono, rinunciò, si strinse impercettibilmente nelle spalle e cambiò espressione, un sorriso gli comparve in volto

Allora, Cassie, cosa fai tu nella vita?” arricciai le labbra

un po' di questo, un po' di quello... ho lavorato tanti anni come barista, ma ora ho trovato lavoro come traduttrice in una casa editrice di Londra.”

Non ti avrei mai creduto una donna da ufficio” esclamò sorpreso, scossi la testa affrettandomi a finire di masticare il boccone di riso che avevo in bocca

Oh no, non lo sono!” un tono quasi allarmato che lo fece sorridere ancora di più “Lavorerò da casa” mi bloccai e rifletti aggrottando le sopracciglia “appena ne avrò una”, specificai poi

Dove stai ora?”

In un Hotel nei pressi di Russell Square, ora devo trovare solo un po' di coraggio per iniziare a cercarmi un posto letto” appena finii la frase sbuffai rumorosamente “solo pensare agli affitti di Londra mi spaventa” scherzai,

Vuoi una mano?” si offrì

In effetti potrebbe farmi comodo essere guidata da uno esperto della città” annuì alzandosi ed accennando un leggero inchino con la parte alta del corpo

Al suo servizio” ridacchiai e presi la mano che stava tendendo verso di me.

Sentii che mi sollevava di nuovo con quella semplicità quasi disarmante, mentre lo faceva non potei fare a meno di notare il suo bicipite gonfiarsi leggermente, in tensione, che differiva completamente dal viso rilassato che non faceva trasparire alcun segno di fatica. Appoggiò poi la mano destra sulla mia schiena, mi prese l'altra mano, poi, senza che lui dicesse nulla, senza che io facessi nulla, iniziai a sentire il mio corpo muoversi spontaneamente guidato dalla sua forte presa. Prima di potermene accorgere io e Andrew eravamo stretti in una danza che ci estraniò dal mondo, poi lui prese a cantare, sovrappensiero, senza volerlo, e io, di contro, rimasi senza fiato.

La sua voce dolce mi accarezzava le orecchie, lenta e sinuosa. Immaginavo le note che emetteva come dei piccoli puntini colorati che non potevano resistere gli uni agli altri, che si chiudevano in un abbraccio indissolubile, non mi accorsi nemmeno di fissarlo con aria quasi sognante.

Sentii un angolo della mia bocca sollevarsi verso l'alto e, presi a sorridere, senza potermi controllare, poi il sorriso si trasformo in risata fragorosa.

Una risata di felicità, pura e genuina, una risata profonda, di libertà.

Andrew mi lasciò andare, sorpreso della mia reazione e caddi a terra, lui si lasciò cadere con me invitandomi ad appoggiare la testa sul suo petto

Che ti è preso?” chiese, mi strinsi leggermente nelle spalle, un profumo quasi esotico iniziò a circondarmi

Non lo so” ormai quel profumo mi aveva quasi rapita “Ti ringrazio davvero per la bella serata, Andrew”

Grazie a te” rispose, capii che il profumo in cui mi ero persa proveniva dalla sua pelle, girai il viso ancora un po' verso il suo corpo, poi respirai forte, mi riempi di quella fragranza, poi alzai gli occhi un istante verso di lui

Dammi un minuto. Riposo gli occhi, e poi andiamo” dissi, affondando la guancia nel suo petto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5. Knights. ***


Grazie mille a tutti coloro che si prendono la briga di leggere e di sopportare la mia lentezza di pubblicazione.
Ho mille cose da fare con l'università e non ho molto tempo.
Ma amo scrivere e lo farò.
Aspetto tanti commenti, fa sempre molto piacere trovarne. :)
Spero vi piaccia.
S.




Quando mi sedetti sul letto dopo una lunga doccia ristoratrice erano ormai le 10 del mattino, fuori la pioggia scrosciava prepotente.

Mi ero svegliata un paio d'ore prima, condotta alla veglia dal respiro regolare del mio accompagnatore. Avevo subito notato che era sveglio, con lo sguardo perso nel cielo grigio che incombeva sopra di noi; dopo un veloce scambio di consoni saluti mattutini mi aveva svelato che non aveva chiuso occhio ed era rimasto lì, immobile per ore, per paura di svegliarmi.

Io avevo sorriso, quasi commossa, mi ero alzata e l'avevo salutato, con la promessa di rivederci presto.

Mi vestii velocemente, un tocco di eye-liner ed uscii senza degnarmi di sistemarmi i capelli, conscia di quanto sarebbe stato inutile, visto il tempo d'inferno all'esterno.

Non appena misi piede fuori dall'atrio dell'hotel mi maledissi per aver accettato di vedere il primo appartamento quel giorno, il freddo, nell'ultima mezz'ora si era fatto pungente e, complice il vento, sembrava passare sotto la pelle sino ad insinuarvisi.

Notai, quasi sorpresa, che rispetto al giorno prima la città sembrava aver cambiato faccia, dalla primavera, in un soffio, eravamo passati al profondo inverno, alzai gli occhi, le nuvole nel cielo sembravano scrutarmi interrogative.

Mi bloccai senza curarmi delle persone che iniziarono a imprecare contro di me per essermi piazzata nel bel mezzo del marciapiede e con un gesto deciso presi a guardare sopra di me. Una goccia d'acqua mi bagnò il viso, sotto l'occhio, ed iniziò a correre giù per la guancia, quasi a fuggire prima di venire colpita da un'altra particella liquida. Le nuvole, scure, parevano sorridermi con un espressione leggermente corrucciata, io ricambiavo il loro sguardo sorridendovi, quasi perdendomi in un'altra dimensione.

Solo dopo qualche istante realizzai quanto la scena dovesse sembrare goliardica ai più, sorrisi ammettendo a me stessa che a volte mi ritrovavo a fare cose inspiegabili, mi abbandonavo all'istinto che spesso appariva essere privo di alcuna cognizione

Sì” sussurrai, infilandomi a passo spedito nella stazione della metropolitana “Non ho idea di cosa mi stia succedendo” quasi un'ammissione di colpa, una confessione con la quale facevo i primi passi verso la consapevolezza di dover abbattere quei muri che da troppi anni avevo costruito attorno a me.

Persa nei pensieri, quasi non realizzai di aver compiuto tutto il tragitto per arrivare all'appuntamento con la ragazza disposta ad affittarmi una stanza per i mesi seguenti.

Un po' smarrita mi guardai attorno; ero finita in un quartiere residenziale tipicamente inglese, uno di quelli in cui da fuori le case sembrano tutte uguali, sentii un brivido di eccitamento corrermi per la schiena, l'appuntamento era in un piccolo bar nelle vicinanze che riuscii a raggiungere senza troppe difficoltà, ordinai un caffè nero bollente e mi sedetti ad un tavolino esterno coperto da un portichetto in pietra.

Cassandra?” una voce alle spalle attirò la mia attenzione, mi girai, una ragazza vestita di un abito azzurro stava avvicinandosi a me con un sorriso smagliante sul viso

Sì” confermai alzandomi dalla sedia “Ciao, sono Cassie.” allungai il braccio verso di lei e ci stringemmo la mano “Kerry, suppongo” lei annuì e si sedette di fronte a me

Tutto a posto?” chiese in un timido tentativo di rompere il ghiaccio

Tutto bene, grazie, tu?” odiavo questi scambi di convenevoli, troppo formali e irrilevanti per adattarsi alla mia personalità, li evitavo il più possibile

Bene. Scusa se non ti ho fatta venire direttamente all'appartamento, ma prima credo sia meglio capire se noi siamo compatibili facendoci una bella chiacchierata” sfoderò di nuovo un sorriso candido mentre si spostava un ciuffo di capelli dietro l'orecchia. La osservai: la carnagione scura, il trucco eccentrico, l'abito di un colore improbabile.
L'insieme mi diede subito una bella impressione; mai e poi mai avrei voluto finire a vivere con una scheletrica modella dai toni grigi.

Sono perfettamente d'accordo!” dissi, poi tirai fuori il pacchetto di sigarette e dopo averne sfilata una per me glielo porsi offrendogliene una

Grazie a Dio!” sbottò “Almeno tu non sei una di quelle stronzette salutiste che si son presentate per la stanza” disse sollevata, ridacchiai

Hai visto molte ragazze?” chiesi, si strinse nelle spalle in una pausa un po' troppo lunga

Sai, sono un tipetto esigente”scherzò, le passai l'accendino “Che ti porta a Londra?”

Scossi la testa, aspirando forte dalla sigaretta

Avevo bisogno di cambiare aria, troppi anni dall'altra parte del mondo. Qui sto bene, ho trovato lavoro, una volta trovata anche una casa sarò a cavallo” spiegai “Tu che fai nella vita, invece?” chiesi, genuinamente curiosa

Sono una via di mezzo tra un'attrice ed un'artista di strada, ma nel tempo libero mi diletto facendo la commessa” scoppiai a ridere, apprezzando l'ironia. Passammo la seguente ora a chiacchierare del più e del meno, conoscendoci, senza mai scendere nei dettagli dell'abitazione che mi stava offrendo.

Kerry si era trasferita a Londra pochi anni prima e, grazie ad una cospicua eredità, era riuscita a comprarsi un piccolo appartamentino in una zona non troppo lontana dal centro della città, era originaria di Scarborough, una cittadine marittima nel nord dell'Inghilterra, la sua famiglia era piuttosto facoltosa ma lei avevo provato ad allontanarsi da loro, cercando di farcela con le sue forze nella grande città.

Passava ogni momento libero ad esibirsi nei parchi della capitale nelle più originali opere della storia del teatro con un gruppo di attori e tirava avanti lavorando come commessa in un negozietto di libri usati nei pressi di Leicester Square. Quelle poche informazioni me la fecero piacere subito, non solo era una ragazza creativa e amante dell'arte, ma era contrassegnata dallo stesso bisogno di indipendenza che aveva guidato la mia vita per molti anni.

Senti, Kerry” esordii “so che non è quello che avevamo concordato, ma tu mi piaci, ed è raro che mi piaccia una donna. Che ne dici se vedessi l'appartamento oggi stesso?” lei sorrise a trentadue denti

Speravo lo chiedessi” disse alzandosi “Seguimi”.

Neppure feci in tempo ad alzarmi che la vidi sparire scendendo per delle scalette che portavano al piano inferiore della casa che confinava con il bar, mi avvicinai a lei e scoppiai a ridere

vuoi scherzare? Per tutto questo tempo siamo state a trenta secondi dall'appartamento?” lei si strinse nelle spalle

Dopo i tipetti che mi sono capitati in cerca di alloggio in una bella zona non ero più disposta a far entrare nessuno in casa” scherzò alzando leggermente un sopracciglio, la vidi armeggiare con la porta azzurrina e finalmente la spalancò. Con un veloce cenno della testa mi fece segno di precederla all'interno, timidamente mossi i primi passi all'interno dell'abitazione.

Un leggero profumo di lavanda e fragole raggiunse le mie narici, non mi soffermai neppure a guardare l'appartamento, mi girai verso di lei e con espressione quasi ebete le dissi:

Lo prendo” annuendo copiosamente con la testa, lei spalancò gli occhi

Non hai neppure visto la tua stanza” io nel frattempo mi ero girata di schiena e stavo osservando il legno massiccio del mobile del salotto, mi strinsi nelle spalle

Profuma” spiegai, come se ritenessi che lei potesse comprendere il nesso logico tra la sua domanda e la mia risposta

Certo che sei davvero strana” disse ridendo, poi infilò le mani in un vaso sul mobile vicino alla porta e ne tirò fuori una chiave

Eccoti. L'affitto si paga a fine mese, vieni quando vuoi” ignorai la mano tesa di me e la abbracciai

Grazie Kerry!” esclamai, mi allontanai da lei “Domani va bene?” chiesi

Perfetto, ma non mi riabbracciare!”, sorrisi grata, poi mi congedai da lei; sentivo il forte impulso di condividere questo momento di felicità con qualcuno.
Ancora non ero arrivata a livello della strada che già stavo digitando il numero di Andrew.

Non appena sentii la sua voce il freddo pungente che mi solleticava le gambe venne sostituito da un leggero tremito, mi costrinsi a respirare profondamente per cercare di calmarmi

Al diavolo!” mi dissi “è solo una telefonata!” mi esortai a stare calma cercando di razionalizzare quel momento

Indovina un po'?” esordii. Mi chiesi se il tono non risultasse un po' forzato.

Cassie?” chiese. Il timbro di voce un po' affievolito dalle poche ore si sonno

Sì. Ti ho svegliato?” troppo preoccupata, forse? Mi accorsi improvvisamente che stavo facendomi troppe domande, che cercavo di misurare ogni parola, ogni secondo che spendevo con lui e non riuscii a trovare una spiegazione razionale per tutto questo.

Mi venne in mente il suo sorriso divertito quando la sera prima mi aveva guardato con la coda dell'occhio mentre cadevo sulla morbida erba del parco londinese ed una sensazione come di una scossa elettrica sembro strisciare sulla mia clavicola sinistra costringendomi ad alzare di scatto le spalle e a respirare più forte

No” si affrettò lui a dire, troppo in fretta, tanto velocemente che seppi che stava mentendo

Sei un pessimo bugiardo” gli risposi ridendo, quando capii che lui non avrebbe aggiunto altro decisi di continuare a parlare “Ho trovato casa” esclamai, lo sentii deglutire rumorosamente

Sembra che ora tu sia davvero pronta per iniziare la tua vita qui” si congratulò, poi aggiunse fingendosi stizzito “Avevi detto che avresti avuto bisogno di me per trovare l'appartamento. Il tuo rifiuto per il principe azzurro sta iniziando a svilirmi” sentii che scherzava anche se, da perfetto inglese, la sua voce non lasciava trasparire il minimo segno dell'ironia di cui invece la sua affermazione era pregna, assunsi un tono un po' snob

Messere, la sua virilità mi tornerà utile per il trasloco” sbuffò scherzosamente

Al diavolo me e la mia boccaccia! Ora mi tocca anche faticare” risi un istante immaginandolo mentre alzava le mia valigie, subito però la risata scomparve quando mi concentrai a dipingere nella mente le sue possenti braccia gonfiate sotto lo sforzo e di nuovo un brivido a livello della clavicola decise di ripresentarsi

Sei libero stasera?”

Sei decisamente una che vuole tutto e subito” rispose.
Non sapeva che si sbagliava. Avevo appena capito che c'era qualcosa che volevo veramente, ma non l'avrei avuto, non potevo averlo. Non ero pronta.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6. A Midwinter Night's Dream. ***


Ecco il nuovo capitolo, da qui in avanti risponderò a tutti i commentini che mi fate. (mi sono accorta solo ora dell'opportunità di farlo =) )

Questo capitolo si svolge quasi interamente nella mente di Cassandra, spero vi piaccia. :)

S.

__
 

“Vieni, entra pure” urlai dal bagno mentre mi fissavo allo specchio, indecisa se farmi vedere o meno in quelle condizioni; scossi le spalle e decisi di non curarmi di come apparissi in quel momento

“Permesso” mormorò lui impacciato scivolando nella stanza, lo sentii imprecare a bassa voce; immaginai fosse inciampato nei sandali che avevo messo a mo' di fermaporta mentre attendevo che salisse in camera

“Ma come diavolo farete voi uomini a essere sempre puntuali?” esclamai con un punta di isteria nella voce, mettendo la testa appena fuori dalla porta e accennando uno stizzito cenno di saluto.

Nel vedermi il ragazzo scoppiò a ridere.

Ero da poco uscita dalla doccia e portavo attorno al capo un asciugamano per tamponare i capelli madidi, il residuo di trucco scuro scivolato sulle guance e lo spazzolino da denti ancora in bocca. Scossi la testa e ritornai a rifugiarmi nella stanza da bagno

“Lanciami il vestito nero che c'è sul letto” ordinai, quasi dimenticando le buone maniere per riuscire a contrastare lo stato di vulnerabilità in cui mi aveva colto. Mi girai verso la porta allungando la mano e un ammasso di stoffa scura mi colpì dritto in faccia, imprecai, dall'altra stanza si alzarono delle risate

“Ti stai divertendo?” seccata, sorridente, sorpresa.

Infilai velocemente il vestito ed uscii. “Allora che hai da ridere?” chiesi sorridendo

“Sembri un panda” sbuffai

“Tendi a paragonarmi ad un po' troppi animali” lo rimproverai scherzando mentre mi passavo una salviettina struccante al profumo di fragola sul viso, alzai lo sguardo e lo guardai mentre scrutava la stanza

“Sembra sia scoppiata una bomba qui dentro” commentò , feci schioccare la lingua contro il palato

“Mister Perfettino, ti ho fatto venire qui apposta” spiegai con sorrisino furbetto, si colpì la fronte con il palmo della mano fingendo disperazione

“Mi sento un uomo oggetto” scherzò, sorrisi

“Dammi dieci minuti e ti porto fuori a cena. Mettiamo un po' di benzina in quel corpicino prima di iniziare il duro lavoro!” esclamai togliendomi l'asciugamano dalla testa e scagliandoglielo contro, si alzò di colpo e afferrò il cuscino, cercai di mettermi in fuga ma inciampai in una valigia abbandonata nel bel mezzo della camera e caddi strisciando impietosamente sulla moquette scura, sbuffai e mi rialzai pulendomi le gambe con le mani

“Stai bene?” lui, preoccupato

“Sì, ma quando io e te siamo insieme finisce che passiamo metà del nostro tempo a terra. C'è qualcosa che non va in noi” scherzai, lui alzò una sopracciglio maliziosamente facendomi scoppiare a ridere.

Occupammo la seguente mezz'ora in chiacchiere circostanziali mentre cercavo di fissare i capelli in una piega leggermente mossa.

Scoprii che aveva origini greche, che aveva vissuto nel Nord di Londra e che aveva una passione per il canto.
Di me rivelai poco, gli raccontai degli studi che avevo fatto, del lavoro che sarei andata a svolgere e del nuovo appartamento.

Lo portai a cena in un ristorante indiano a due passi dall'hotel, era un locale dall'atmosfera che strizzava l'occhio alla formalità senza caderci del tutto. I tavoli dalle lunghe tovaglie bianche di stoffa pregiata, i lampadari di fine vetro e i camerieri servizievoli stridevano con le porcellane di scarsa qualità e i prezzi modici.

Mi precedette al tavolo indicatoci dal cameriere e scostò leggermente la sedia facendo cenno di sedermi, obbedii sorridendo impercettibilmente. Ordinammo due primi ed una bottiglia di vino bianco, il cameriere arrivò poco dopo sorridente armato della bevanda e ce la versò con estrema reverenza, per tutta risposta annuii borbottando un accennato ringraziamento

“Sei una che si da poco” disse Andrew con espressione quasi distaccata osservandomi

“Cosa intendi?” chiesi sorpresa, lui si strinse nelle spalle

“Nulla, solo che abbiamo parlato tanto in questi giorni e in realtà ancora non so nulla di te” mi morsi le labbra faticando ad ammettere a me stessa che aveva ragione

“Tocca a te scoprirmi” dissi alzando solo un lato della bocca e socchiudendo gli occhi, quasi in un segno di sfida.

Non me n'ero mai accorta prima, avevo scelto di accogliere tutto ciò che mi veniva offerto con un sorriso, affrontandolo, combattendolo, amandolo, odiandolo, dedicandogli il meglio di me, ma avevo dimenticato come fosse dare me stessa in toto.

Andrew era stato il primo, in anni, a non volersi accontentare solo della maschera che gli stavo offrendo.

L'uomo che mi sedeva di fronte si stava proponendo per essere il ciak finale di una recita che ormai portavo avanti per anni, ma ancora non sapevo se accettare o meno la sua offerta

“accetto la sfida” rispose lui, interrompendo le mie riflessioni

“non ti renderò la vita facile” lo avvertii, affondando la forchetta nel riso che il cameriere aveva appoggiato sul tavolo pochi istanti prima, lui si grattò una tempia nervosamente e sorrise impercettibilmente, gli occhi leggermente serrati in due mezzelune.

Deglutii rumorosamente e mi guardai attorno disorientata non capendo cosa stesse facendo. Continuò a guardarmi così ancora per qualche secondo

“Vedi?” esclamò “Mi sono bastati pochi secondi per capire che essere al centro dell'attenzione, essere fissata, ti mette a disagio” annuii con un minimo cenno del capo mentre gli zigomi si accendevano leggermente.

Si sbagliava.

Avevo sempre amato essere al centro delle attenzioni altrui, ma per qualche motivo non riuscivo a sopportare il suo sguardo senza un insostenibile aumento del battito cardiaco, l'azzeramento della salivazione e senza percepire il rischio che quell'uomo comportava, il rischio di arrivare a toccarmi dentro, a scrutarmi, a conoscermi. A ferirmi.

“Non è che mi hai messa a disagio” scherzai “E' che eri diventato piuttosto inquietante” fece schioccare scettico la lingua contro il palato

“Allora, com'è la nuova coinquilina?” chiese, cambiando argomento, sorrisi annuendo più e più volte

“Mi piace molto. E' un'artista di strada, sta mettendo in scena 'Sogno di una Notte di Mezza Estate' nel cortile della chiesa di Saint Paul in questi giorni” spiegai

“C'è uno spettacolo stasera?” chiese, gli risposi che per quel che mi aveva detto la ragazza al colloquio mi pareva proprio di sì, lui si offrì di farci un salto. L'idea mi piacque.

Pagammo e uscimmo dal locale, e ci avviammo a piedi verso la nostra meta.

La vita notturna londinese ci circondava senza toccarci, accarezzandoci senza sfiorarci. Ne eravamo parte, ma al contempo ne eravamo estromessi.

Sentivo la gente urtarmi con borse e spalle, chiedere scusa e ripartire, ma io non vi badavo, lui non vi badava, in qualche modo non c'era nessun altro se non noi sui quei marciapiedi quella sera.

Ci muovevamo veloci, cercando di sfuggire alla fredda morsa del gelo, quasi non guardando la strada ma fissandoci l'un l'altro scambiandoci battute prive di senso.

Solo a pochi metri dalla nostra destinazione mi accorsi che l'atmosfera stava cambiando, si stava facendo tutto più magico, le luci sfrecciavano attorno a noi senza lasciarsi mettere a fuoco, il suo sorriso illuminava il mio volto, il mio il suo.

Mentre camminavamo, ridendo di tutto ciò che ci passava per la mente, lo guardavo e per la prima volta non pensavo ad altro che a lui, ad altro che a me, a nient'altro che noi.

E fu allora che capii in maniera nettissima che era tempo di lasciar cadere le mie difese, che per la prima volta dopo anni stavo toccando il cielo con un dito, e se volevo rimanere lì, a nuotare tra le nuvole, avrei dovuto cambiare.

Quando arrivammo a destinazione avevo preso la mia decisione, avrei scelto un' altra strada, lo dovevo a me stessa, e se fosse andata male avrei sempre portato con me il ricordo di quei sorrisi rubati ad un misterioso ragazzo moro conosciuto in una fredda serata londinese.

Non appena ci infilammo nel cortile della chiesa individuai Kerry, da un lato la pelle scura strideva con il ruolo che stava interpretando, quello di Puck, il candido cupido dispettoso narrato da Shakespeare, dall'altro però aveva qualcosa che la rendeva perfetta per quel ruolo, il sorriso malizioso, forse.

La ammirai recitare con convinzione avvolta quasi da una luce mitologica, sembrava che su quel palco a cielo aperto l'aria gelida non giungesse, si muoveva coperta solo d'un vestito di morbida seta verde con una decisione che le permetteva di estraniarsi da tutto quello che aveva attorno.

Poi, quando finì di recitare, scese dal palco e si avvicinò a me, mi salutò con un sorriso caloroso.

“Che ci fai qui?” chiese, piacevolmente sorpresa, mi strinsi nelle spalle

“Ero a cena con un amico. Eravamo di strada” spiegai, lei agrottò leggermente le sopracciglia e guardò dietro le mie spalle

“Sei sicura di non essere da sola?” chiese, perplessa e divertita. Mi girai e lo vidi a qualche metro di distanza mentre stava facendo una telefonata girato di schiena

“E' quello al telefono” spiegai ridendo. Kerry incrociò le braccia sul petto cercando di farsi il più piccola possibile

“Fa un freddo fottuto” constatò

“Sembrava quasi non lo sentissi prima, sul palco”

“Sul palco si è sempre qualcun altro” spiegò “puoi essere chi vuoi, quando vuoi, puoi sentire profumi che mai sentiresti, vedere colori che mai vedresti. Il palco è un mondo fantastico” continuò quasi persa nei suoi pensieri

“e scommetto che tu ami quel mondo” azzardai

“Se devo dirti la verità, il momento che preferisco è quando scendo da lì e ritorno me stessa. In quel momento riesco a riconoscermi davvero, mi sento al cento per cento. Non c'è momento in cui io mi ami di più di quello in cui mi ritrovo dopo qualche ora di lontananza” sorrisi, non feci però in tempo a replicare che un omaccione la abbracciò forte e la allontanò da me.

Pensai che le parole di Kerry non potevano essere più azzeccate per me in quel momento, aveva descritto ciò che avrei dovuto fare da lì in avanti: ritrovarmi.

Andrew si riavvicinò a me

“Scusa, una telefonata di lavoro” spiegò, mi strinsi nelle spalle

“Ti sei perso Kerry” replicai sorridendo

“Spero avrò altre occasioni per vederla” rispose con un timido sorriso solo accennato con un angolo delle labbra, poi continuò accendendosi “ti va un drink?” annuii

“Eccome!” dissi strofinandomi le mani l'una contro l'altra.

Iniziammo a camminare, io un passo avanti a lui senza una meta certa, più assorta dai miei pensieri che dalla vita reale.

Presi fiato, una, due, tre volte, sbuffai.

Poi ad un tratto mi fermai con uno scatto in mezzo alla strada, gli presi la mano e lo fissai intensamente negli occhi.

Il suo palmo appoggiato al mio pareva emanare calore, continuai a guardare quegli occhi scuri, seria, poi sorrisi, un cenno di assenso.

Lui alzò la mano destra e mi sfiorò delicatamente la guancia fino a scendere a toccarmi la punta del mento, così dolcemente che quasi potevo confondere il suo tocco con la carezza di una brezza estiva che irrompeva in quella fredda nottata.

Sorrise.

Sorrisi.

Il suo profumo si fece più intenso.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7. My Arms reach out to you, for Love. ***


Eccoci col nuovo capitolo.
Sono piuttosto fiera della scena iniziale, l'ho sentita tanto nello scriverla. Ci terrei davvero a sapere che ne pensate!
Bacino.


S.


_____

La sua mano si spostò lenta dal mio mento e con la punta dei polpastrelli dell'indice e del medio accarezzò lentamente le mie labbra socchiuse, le sue dita salirono seguendo la curva del mio naso e scesero di nuovo, sempre più lente.
I suoi occhi nei miei.
Rabbrividii.
Alzai la mia mano destra fino a toccare la sua e, senza mai staccare lo sguardo dal suo, ne accarezzai il palmo, quasi senza sfiorarlo, dolcemente.
I sorrisi erano spariti dalle nostre labbra e si eran rifugiati nello sguardo fattosi ormai languido in quella fredda serata londinese.
Improvvisamente chiuse la mano in una salda presa sulla mia e mi trascinò lontano dal centro della strada, io lo seguii come in trance, due passi dietro di lui, mi sentii strattonare in un gesto pieno di dolcezza e al contempo di forza. Mi ritrovai con la schiena appoggiata ad un muro di mattoni rossi.
Le persone attorno a noi non esistevano, provai a tornare in me, ma staccare gli occhi dai suoi sembrava impossibile, come se la magia in cui eravamo caduti fosse troppo forte perché noi potessimo in qualche modo romperla, eravamo totalmente in sua balia.
Ci cullava, ci controllava, ci gratificava.
Un artista di strada ad un centinaio di metri da noi iniziò a cantare e, solo la sua voce, attutita e velata, riuscì a far breccia nelle nostre barriere ed entrare in quell'universo in cui c'eravamo solo io, lui, e le nostre accennate carezze.
Non ebbe bisogno di parlare, dal suo sguardo capii ed annuii. Senza neppure accorgermene mi ritrovai stretta a lui, il viso appoggiato alla sua spalla sinistra con gli occhi vacui rivolti  alla vita che, ignara di noi, continuava a svolgersi attorno.
Le sue mani strette ai miei fianchi, le mie braccia attorno al suo collo.
Iniziammo a ballare timidi, sulle note di quel ragazzo che inconsciamente si era appena tramutato nella colonna sonora della nostra serata.
Ondeggiavamo piano, spostando il peso prima a destra, poi a sinistra, semplici.
Allontanai il viso dalla sua spalla e mi misi in maniera tale da guardarlo negli occhi. Non appena catturai il suo sguardo sentii una sensazione di sollievo di cui neppure mi ero accorta di aver bisogno, capii che quegli occhi sarebbero diventati la mia droga, solo pochi secondi senza guardarli e mi ero sentita come un bambino che, non vedendo la madre per pochi minuti, si sente orfano, ferito, punito.
Lasciò la presa ai miei fianchi e con il dito indice scostò una ciocca di capelli che mi era caduta molesta sul viso, non si allontanò dalla mia faccia però, decise di regalarmi una carezza morbida alla guancia sinistra, dall'alto verso il basso.
Di nuovo si fermò sul mento, sorrise, accennai un sorriso a fatica e ritornai seria, persa in quegli occhi esotici, lui mi imitò.
Smise di ballare e fece scivolare la mano dal mento alla nuca, iniziando a massaggiarla lieve.
Feci un impercettibile passo verso di lui. Il segno che attendeva.
Lo vidi chinarsi leggermente verso di me, chiusi gli occhi.
Le sue labbra erano morbide, appena screpolate dal freddo della serata, profumavano di lui.
Quel bacio profumava di lui.
La città parve tacere tutto un tratto attorno a noi.
Sentivo solo il suo respiro, calmo e profondo, in contrasto coi nostri cuori che battevano forti e veloci, li riuscivo a percepire entrambi, il suo amplificato nel mio corpo, ed il mio nel suo, tanto eravamo vicini.
Socchiusi leggermente le labbra, il contatto tra noi si fece più intenso, il braccio che mi cingeva la vita da dietro strinse la presa e mi spinse ancora più verso di lui, le miei mani dapprima aperte si chiusero sul suo petto, quasi ad aggrapparmi ad Andrew per non permettere a quel momento di giungere al termine.
Pausa, senza staccarci, solo per respirare.
Gli mordicchia dolcemente il labbro inferiore, lo sentii sospirare. Tornò a baciarmi a metà tra la frenesia e il timore.
Portai una mano tremante alla sua guancia, il palmo aperto vi si appoggiò titubante.
Mi accorsi che non portava nessun tipo di profumo, quello che di lui mi aveva ipnotizzata, mentre le nostre labbra lottavano per non allontanarsi neppure per prendere fiato, era l'odore naturale della sua pelle.
“Mi ricorda le mandorle” pensai, divertita, e nel bacio incrinai leggermente gli angoli negli occhi in un cieco sguardo sorridente.
Dopo un periodo di tempo che non saprei definire ci allontanammo lievemente l'uno dall'altra, le nostre fronti continuarono a toccarsi, le bocche a pochi centimetri, gli occhi dell'una in quelli dell'altro.
Sorrise.
Sorrisi, nervosa, forse anche un po' infastidita per la fine di quel momento così intimo tra noi. Mi mossi per staccarmi da lui, pensando che quell'istante fosse terminato, ma Andrew mi prese con forza le spalle e mi diede un ultimo, veloce bacio sulle labbra. Stavolta senza indugiare, quasi a farmi capire che non gli era bastato, ma che non osava chiederne ancora, come se temesse di consumarmi.
Sospirai, sollevata.
Non ero una tacca sulla sua cintura, di questo ero certa, me l'aveva fatto capire con estrema chiarezza con quegli occhi scuri e penetranti.
“E' stato” mi fermai un attimo fingendo di riflettere “interessante” scherzai imbarazzata, lui scoppiò a ridere
“Mi chiedevo quando ti saresti lasciata avvicinare” spiegò lui, lo sguardo soddisfatto, felice forse, io mi strinsi nelle spalle un attimo, senza smettere di sorridere
“Andrew, ci conosciamo da tre giorni” risposi, scostandomi i capelli dal viso simulando un atteggiamento di spocchia “dovevo farmi desiderare almeno un po'”, lui fece vibrare le labbra l'una contro l'altra
“ma sentitela!” poi spense un istante quello sguardo divertito, allungò la mano e mi tirò a sé un'altra volta, il mio corpo si appoggiò perfettamente al suo, ci scambiammo un bacio veloce, profondo, sentito, poi, con le mani, allontanò il mio viso dal suo di pochi centimetri e fissandomi negli occhi sussurrò
“ma che diavolo di effetto mi fai?” arrossii e cercai di guardare al di là della sua testa, in imbarazzo. Di nuovo la lontananza tra noi venne bruscamente ridotta, Andrew avvicinò le labbra al mio orecchio, a quella distanza per cui io stessa non riuscivo a comprendere se mi stesse sfiorando o meno
“ma mi piace” sussurrò in una veloce confessione, il suo respiro scese leggero sul mio collo. Immobilizzata, rabbrividii, sospirando rumorosamente.
“Smettila” lo avvertii, a metà tra il divertito e il serio.
 Nella mia frase non c'era malizia, mi accorsi, quasi sorpresa.
Il mio corpo rispondeva troppo velocemente a tutti gli input che quel ragazzo greco mi mandava. Sapevo che, chiusa in quell'abbraccio, ero totalmente in sua balia.
Ero sorpresa del timore che provavo per quella sensazione perché prima di mettermi con Manuel ero una ragazza piena di iniziativa, amante del contatto fisico, incapace di tenere le mani lontane dall'uomo che mi interessava, ora invece, davanti a quel brivido che dal collo era sceso fino ai fianchi, mi stavo accorgendo che dopo tutti questi anni da sola avevo paura dell'intimità con un uomo.
Il mio corpo lo desiderava intensamente, la brama di lui quasi faceva fisicamente male, la mia mente, però, lottava.
Manuel aveva distrutto, pezzo per pezzo, la sicurezza che un tempo avevo e ora l'idea di mostrarmi senza difese ad un altro uomo mi terrorizzava.
“Fa freddo” dissi senza ancora posare lo sguardo su di lui, lui sciolse l'abbraccio che ci univa per togliersi la giacca di pelle scura e me la fece scivolare sulla spalle
“Vieni” mi invitò con tono dolce cingendomi con il braccio “ti riporto in albergo. Domani ti aspetta una giornata faticosa” annuii, sorprendendomi di quanto fosse premuroso.
Era come se avesse gettato la maschera da burlone che aveva tenuto fino a quel momento, ora che le carte in tavola erano state scoperte.
Iniziammo a camminare silenziosi, l'atmosfera era tranquilla ora, tutto sembrava al proprio posto, anche se probabilmente entrambi stavamo interrogandoci sulle conseguenze di quel bacio.
Il mio istinto mi diceva di fidarmi di lui, che quel ragazzo con le braccia così forti, con quell'abbraccio così caldo e sicuro, mi avrebbe protetta da tutto e tutti, che lui non mi avrebbe ferita.
La mia mente non sembrava, però, essere d'accordo; la mia testa non riusciva a dimenticare che anche Manuel era stato fantastico all'inizio, ma poi, un giorno, aveva cambiato idea, non ero stata più abbastanza interessante per lui e mi aveva buttata via come un documento ufficiale un tempo importante ma che ormai è diventato obsoleto ed inutile.
Niente e nessuno mi avrebbe garantito che anche Andrew non mi avrebbe ferita, la mia mente lo sapeva, il mio cuore, dal canto suo, voleva cercare di ignorarlo, questa volta sentivo di dovermi buttare, il mio istinto aveva bisogno di risvegliarsi.
Mentre camminavamo mi ero accorta che i marciapiedi erano molto più sgomberi di qualche ora prima, ed ora riuscivamo a muoverci senza che nessuno ci urtasse, così, quando sentii il mio accompagnatore irrigidirsi improvvisamente mi fermai di scatto, lasciandomi scivolare di nuovo nella realtà.
Di fronte a noi un ragazzo alto e muscoloso sorrideva incantevole, aggrovigliata al suo braccio una ragazza di una bellezza disarmante, una di quelle bellezze che riuscivano con uno sguardo a farti sentire mediocre. Anche lei sorrideva, poi, però, quando i suoi occhi passarono da Andrew a me la sua espressione si fece seria e un po' sorpresa
“Ehy, Simon” i due ragazzi si salutarono stringendosi la mano e abbracciandosi velocemente “Questa è Cassandra” mi presentò. Fui lieta quando decise non darmi una qualsiasi qualifica in relazione al tipo di rapporto che stavamo costruendo.
Gli strinsi la mano guardandolo negli occhi che eran talmente perfetti da sembrare definiti con un sottile tratto di matita scura.
Nonostante il suo grande sorriso non potei non notare che anche lui sembrava piuttosto confuso. In ogni caso decise di ignorare qualsiasi tipo di dubbio lo avesse colpito in quell'istante e mi presentò la donna che lo accompagnava
“Lei è Maria” disse indicando la ragazza che teneva  a braccetto, sorrisi velocemente e lei fece lo stesso mentre ci stringevamo la mano
“Che ci fate ancora in giro?” chiese lei, socchiudendo un po' gli occhi guardando Andrew
“Siamo andati a vedere uno spettacolo” spiegai, ma subito fui interrotta dal mio accompagnatore che si affrettò a congedarsi dai due nostri interlocutori spiegando che il giorno dopo sarebbe stata una lunga giornata per me
“Ti chiamo dopo” dichiarò al suo amico, Simon annuì
“Ci vediamo presto” dissi muovendo le dita di una mano in segno di saluto mentre Andrew mi trascinava via.
Tuttavia non riuscì ad allontanarmi abbastanza in fretta da impedirmi di sentire la ragazza dai lunghi capelli corvini dire al suo compagno uno stizzito
“Ma che cavolo combina?”.
Non le diedi peso, ero felice, la serata profumava di mandorle.
“Come mai siamo corsi via così di fretta?” chiesi, un po' stupita dall'atteggiamento di Andrew, che si si strinse nelle spalle prima di spiegarmi che quel ragazzo era un suo amico e collega di lavoro, a cui aveva promesso di lavorare quella sera quando invece era uscito con me.
Mi sentii più sollevata, trovando nelle sue parole una buona giustificazione per l'atteggiamento inquisitorio dei due ragazzi che avevamo incrociato poco prima.
L'insegna dell'hotel si faceva sempre più grande davanti a noi, iniziai a interrogarmi su come avrei dovuto comportarmi una volta giunti a destinazione.
“Beh, io sono arrivata” dissi restituendogli la giacca davanti alla porta della hall dell'hotel “ti inviterei a salire, ma non ho nulla da offrirti” pessima scusa, mentre la dicevo già mi pentivo per quanto suonasse sciocca, lui sorrise e scosse appena la testa
“Tranquilla. Devo chiamare Simon ed mettermi subito al lavoro. Devo recuperare ciò che non ho fatto stasera” annuii
“Buonanotte, allora” lo salutai, lui mi prese il meno tra l'indice e il pollice e si chinò a baciarmi velocemente, solo poggiando le labbra alle mie
“Buonanotte a te, sogni d'oro” sorrisi e con un cenno delle dita della mano destra gli rivolsi un ultimo veloce segno di congedo, mi diressi verso la stanza, non appena ne spalancai la porta risi, presi il telefono tra le mani e gli scrissi un sms
“Alla fine sei riuscito a trovare un modo per non aiutarmi a sistemare la stanza”, subito la risposta
“Noi uomini oggetto sappiamo inventarci di tutto pur di non lavorare” risi di nuovo, lasciai cadere il telefono sulla valigia e scivolai nel letto.
Quello fu l'ultimo ricordo di quella giornata.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8. Banana Muffins. ***


Eccoci!
La befana quest'anno porta un nuovo capitolo della FF!
Spero vi piaccia quanto gli altri, spero di vedere tanti vostri commentini!
Un basì.
X

___


“Kerry, ci sei?” chiesi alzando la voce non appena spalancai la porta, lei spuntò dalla camera da letto tenendo in bocca una penna blu

“Cassie, ciao!” esclamò entusiasta avvolta in un abito rosso a fiori gialli, lasciando cadere la biro sul divano. Io sorrisi calorosa, poi, sporgendo leggermente le labbra nel vago tentativo di farle tenerezza, le chiesi una mano a portare in casa le valigie, lei accettò.

Non appena si sporse oltre il pianerottolo la vidi bloccarsi e girarsi verso di me incredula

“Cinque? Come diavolo riuscivi a fare entrare tutta questa roba in una stanza d'albergo?” chiese, io alzai i pollici sorridendo

“Sono una campionessa a Tetris” scherzai, lei rise e iniziò a trascinare in casa le grosse borse.

“Complimenti per la performance di ieri” dissi boccheggiando mentre lasciavo cadere l'ultimo pesante bagaglio, lei mi ringraziò calorosamente

“Com'è andata con quel ragazzo?” chiese camminando verso la cucina, la seguii, ci sedemmo al bancone che separava la sala dall'angolo cottura l'una di fronte all'altra.

Per tutta risposta le rivolsi un sorriso a trentadue denti

“Così bene?” chiese lei, fingendosi sorpresa, io mi chiusi nelle spalle e annuii velocemente più di una volta chiudendo gli occhi, lei scoppiò a ridere

“Sembri un cartone animato giapponese” sentenziò, smisi di fare oscillare la testa senza però smettere di sorridere. Appuntai mentalmente di controllare la mia goffaggine se mai avessi voluto sedurre Andrew.

“Ci siamo baciati” spiegai, non la lasciai replicare e continuai a parlare “E' stato magico. Sai, un po' come nei film d'autore. Quando tutto sparisce, quando il bacio non è il preludio di null'altro, quando ci sei solo tu per lui, e lui per te.” spiegai quasi sognante, lei annuì impressionata

“Deve essere davvero un tipo fantastico se riesce a far sentire così una ragazza con un solo bacio” presi un bel respiro ed annuii

“così pare” dissi prendendo la tazza di té che la ragazza mi stava offrendo per poi berne velocemente un sorso

“Sembra che le cose ti stiano andando bene, no?” commentò lei “casa, lavoro, e ora pure l'amore.” annuii

“Questa città si sta dimostrando davvero generosa con me” spiegai

“Probabilmente lo meriti. Credi nel karma?” chiese, io scossi il capo

“Sono un tipo scettico” spiegai

“Io ci credo, invece.” mi interruppe con un repentino gesto della mano “e sono certa che hai fatto qualcosa per meritarti tutto questo” sorrisi per l'ennesima volta. Mi augurai che avesse ragione.

“Ti ho fatto una copia delle chiavi” disse lei, cambiando discorso “Così sarai davvero di casa” la ringraziai calorosamente.

Lei si congedò dicendo che era in ritardo per il lavoro ed uscì in tutta fretta.

Osservai la stanza in cui mi trovavo e ne rimasi soddisfatta. Sapevo che non avrei potuto fare scelta migliore.

La posizione era fantastica, la coinquilina gentile e il posto pulito, pensai, mentre lavavo le tazze da cui avevamo appena bevuto.

Sì, le cose stavano andandomi davvero bene.

Passai le seguenti ore a mettere e togliere vestiti dall'armadio cercando di organizzarli secondo un ordine logico per facilitarmi nella scelta la mattina, solo dopo molti tentativi capii che una mente come la mia, che in quei giorni viveva solo momenti di inconstanza, non poteva riuscire ad organizzare razionalmente nulla, neppure un semplice armadio.

L'ironia in tutto questo era che fino a pochi giorni prima, la razionalità era stato un mio tratto caratteristico, qualcosa che tutti indicavano sia come un mio pregio che come un difetto, ma da quando avevo incontrato Andrew sentivo che stavo radicalmente cambiando e stavo lasciando al mio cuore le redini della mia vita.

Da quel momento avevo camminato sempre un metro sopra le nuvole, felice, sorridente, sognante.
Riposi nel cassetto più in basso l'ultima T-shirt, poi infilai le valigie dietro la porta ed uscii di casa.

Scovai un supermercato a poche centinaia di metri da casa, l'insegna blu accesso sembrava sfidare sfacciata il grigiore del cielo di Londra.

Presi un respiro profondo e iniziai a vagare tra le corsie con lo sguardo smarrito, non c'era cosa al mondo che odiassi di più che dover far conoscenza con un nuovo negozio, affrontando le persone decise che sfrecciavano da un lato all'altro dell'edificio con sicurezza. Mi facevano sentire come una bambina lenta e goffa in un parco giochi in cui tutti i bambini si conoscevano già.

Sbuffai e pazientemente scelsi dagli scaffali i prodotti e le pietanze di cui avrei avuto bisogno, rimasi sorpresa dall'enormità di tempo che impiegai a compiere quella semplice operazione e mi ritrovai a salutare la cassiera solo un paio d'ore dopo con la testa che martellava e gambe e schiena doloranti.

La luce del giorno contrastava con quella artificiale che illuminava il negozio e, appena uscita, mi ci volle qualche istante per abituarmici.

Stinsi gli occhi per affrontare la differenza di luminosità tra i due ambienti, un leggero giramento di testa mi spinse a sedermi su una delle panchine nel piazzale asfaltato che fronteggiava l'edificio da cui ero appena uscita.

Mi appoggiai al freddo marmo e il contatto mi causò un brivido gelido per tutta la schiena.

Infilai una mano in tasca con foga e ne estrassi un pacchetto azzurro di sigarette a basso costo, ne accesi una, e ricacciai l'accendino nei jeans quasi pugnalandomi la gamba.

Scossi la testa infastidita per quell'improvviso cattivo umore, causato da un'attività comune come fare la spesa.

Chiusi gli occhi aspirando intensamente, slanciai la testa all'indietro come a guardare il cielo, e chiusi gli occhi, pronta a lasciare uscire tutto lo stress. In quel momento suonò il telefono.

“Cassandra?” la voce di Andrew mi accarezzò calda l'orecchio. Le nubi tornarono a sorridere. Presi un respiro profondo

“Sì?” risposi fingendomi calma, mi morsi le labbra, pentendomi di aver replicato in maniera così impersonale

“Io oggi inizio a lavorare piuttosto tardi, sei libera nel pomeriggio?” mi mordicchiai nervosamente un'unghia

“sì” mugugnai dimenticando di allontanare la mano dal viso “pensavo di passare la giornata a cucinare qualcosa per ringraziare Kerry della gentilezza” spiegai, dall'altro lato del telefono mi sembrò di percepire un sorriso

“Ti serve una mano?” ricambiai il tono gioviale. mentre fissavo il vuoto sentii che i miei occhi iniziavano a brillare di felicità.

“Ti mando l'indirizzo per sms” dissi, il tono quasi sognante.

Non feci quasi in tempo a riattaccare che già stavo digitando un veloce messaggio di testo con le coordinate della mia abitazione.

Mi accorsi che il mio umore era diametralmente cambiato, non riuscivo a smettere di sorridere al solo pensiero di trascorrere la giornata con lui.

Anche quando, durante il percorso verso casa, una delle borse della spesa si ruppe facendo andare in mille pezzi una bottiglia di vino, mi strinse nelle spalle e tappando la falla sommariamente con le mani continuai a camminare serena, senza quasi imprecare.

*

Un'ora più tardi aprii la porta abbracciata da un vestito nero che non fasciava il corpo, lo spallino lasciato cadere morbido sulla spalla.

“Entra” dissi sorridendo, facendogli un cenno di accoglienza con il braccio sinistro, lui annuì e mosse un passo verso di me. Un veloce bacio sulla guancia di benvenuto.

“Sei bellissima” mi disse con la voce quasi strozzata “ti vesti sempre così quando stai in casa?” chiese poi divertito.

Mi strinsi nelle spalle

“Volevo recuperare per le condizioni in cui mi hai trovata ieri sera” confessai fissandolo con uno sguardo reso più intenso da una pesante linea di eyeliner sulla palpebra superiore

“Ci sei riuscita” replicò lui con la voce di qualche tono più basso, avvicinandosi pericolosamente a me. Sentii il profumo della sua pelle avvolgermi, fruttato e aromatico così come lo avevo imparato a conoscere.

Non riuscii a far nulla quando le sue labbra toccarono le mie.

Con le braccia lungo il corpo, incapace di muoverle, mi limitai ad alzarmi in punta di piedi e ricambiare avida il suo tocco, gli occhi ancora spalancati.

Mi cinse con un potente abbraccio all'altezza della vita e mi sollevò, finalmente chiusi gli occhi.

Strinsi leggermente i denti sul suo labbro inferiore e sorrisi

“Mi sembra di volare” dissi sognante, ancora assorta in quel bacio.

Lui si allontanò di pochi centimetri con il viso, gli occhi socchiusi, mi fissò senza dire nulla, poi, improvvisamente, mi stinse di nuovo e mi abbracciò forte, il suo naso appoggiato alla mia clavicola.

Prese un respiro profondo, quasi cercassi di immagazzinare il mio profumo, poi, delicatamente, mi posò a terra. Iniziai a ridacchiare imbarazzata.

“Allora sei pronto a sporcarti le mani?” chiesi dissimulando noncuranza cercando di smorzare la tensione.

Lui annuì

“Ma oggi non ti permetterò di trovare scuse per defilartela” lo avvertii lanciandogli una ciotola a mo' di frisbee

“Sappi che sono negato” rispose lui avvicinandosi al bancone della cucina dopo aver preso al volo il recipiente azzurro

“Inizi già a trovare scuse!” affermai con la testa nell'armadietto in cui erano contenuti gli attrezzi da cucina.

Lui sbuffò

“Poi non dire che non ti avevo avvertita” replicò.

Prima di rimettermi in piedi alzai lo sguardo e lo vidi che si passava nervosamente il palmo della mano sulla nuca

“lo fai spesso, lo sai?” esclamai rialzandomi senza spostare lo sguardo da lui

“cosa?” chiese sorpreso, ridacchiai

“la mano sul collo, la premi forte, come fanno i bambini” spiegai cercando di trasmettergli tutta la tenerezza che quel gesto mi suscitava, poi continuai “non te l'ha mai fatto notare nessuno?”

lui spalancò gli occhi incredulo

“sei davvero un'ottima osservatrice. Gente che mi conosce da anni non l'ha mai notato, tu invece in una sola settimana hai sezionato le mie abitudini” mi strinsi nelle spalle

“credo che nella vita ci siano delle persone affini. Io e te lo siamo.” dichiarai sicura, stringendo però le braccia attorno al corpo.

Avevo deciso di scommettere su noi con queste parole. Per la prima volta mi sbilanciai, esponendomi di fronte a lui, mi sentii nuda e solo allora mi accorsi che con i movimenti del corpo avevo creato una barriera tra noi, quasi a difendermi da quella che sarebbe stata la sua risposta

“forse hai ragione. Forse è davvero così semplice e non importa quello che facciamo, sento che io e te torneremmo sempre ad avvicinarci”.

Colpita e affondata.

Un battito del cuore un po' più forte all'udire quelle parole accompagnò il sorriso che si stava formando sul mio volto. Mi avvicinai a lui

“non vedo perché dovremmo allontanarci” sussurrai baciandolo dolcemente sulle labbra che sapevano di mandorla, lui annuì pensieroso

“già, perché dovremmo?” rispose poi lasciando in sospeso la frase, alzai un sopracciglio confusa, poi sorrise, io mi sciolsi e lo baciai di nuovo rapida.

“Su, prendi le banane, pelale e schiacciale” ordinai porgendogli una forchetta “Non dovresti riuscire a far troppi danni” scherzai, lui, per tutta risposta, mi mostrò la lingua. Alzai le braccia in segno di resa facendogli notare che era stato a lui a dirmi che era negato in cucina.

Misi del burro in un recipiente, aggiunsi lo zucchero ed iniziai a lavorarlo con lo sbattitore elettrico. Il compito non richiedeva particolare attenzione così iniziai a guardarmi attorno.

Vidi Andrew armeggiare con la banana, la lingua leggermente stretta tra i denti, ridacchiai

“Che c'è?” chiese lui, una punta di irritazione nella sua voce

“Nulla” dissi fingendomi vaga “E' che non pensavo che un omone grande e grosso come te non sapesse sbucciare la frutta” scherzai

“Non è che non so farlo, è questa banana che è particolarmente ostinata” rispose stizzito, io ridacchiai, spensi lo sbattitore e con un coltello incisi impercettibilmente la gialla buccia del frutto che Andrew teneva fra le mani. Tornai al mio compito.

“Prova ora” gli consigliai, il tono dolce, ma lo sguardo malizioso. La banana si aprì senza il minimo sforzo, lui sbuffò ed io scoppiai a ridere. Lui mi fulminò con lo sguardo

“Dai su, è divertente” lo esortai, lui scosse la testa fissando il muro di fronte a sé. Inclinai leggermente la testa verso sinistra, arricciai le labbra e sbattei le ciglia qualche volta

“Su, Andrew” gli bastò un'occhiata e scoppiò in una fragorosa risata

“Sembravi quell'esserino fastidioso della Valle Incantata” disse, fu il mio turno di sbuffare

“Ci risiamo?” chiesi “E vorrei farti notare che non solo mi hai paragonata a un'animale, ma mi hai paragonata a un animale estinto, morto, kaput” dissi tirando fuori la lingua da un lato fingendomi grottescamente priva di vita e chiudendo gli occhi.

Prima che potessi riaprirli sentii qualcosa di freddo e vagamente viscido scivolarmi sulla schiena. Spalancai gli occhi.

“Non l'hai fatto” dissi scuotendo la testa fingendomi infuriata, in realtà trovavo la scena esilarante, lui prese a ridacchiare mentre io cercavo di mantenere una certa dignità nello sfilare la banana sbucciata dal retro del vestito “Se ti prendo, questa banana conoscerà posti che non avrebbe mai voluto conoscere” lo minacciai, lui iniziò a correre per casa, io a cercare di fermarlo.

Tre ore più tardi stavamo sfornando dodici squisiti muffin alla banana e cioccolato, dopo aver pulito la cucina ed esserci baciati stesi sul pavimento perdendo la cognizione del tempo.

“Che buon profumo!” esclamò avvicinandosi alla teglia incandescente, il suo telefono suonò, gli diede una veloce occhiata “Scusami, è Simon. E' per lavoro” spiegò spostandosi di qualche passo da me

“Cazzo!” lo sentii imprecare “ho perso la cognizione del tempo. Arrivo subito”, mi guardò leggermente intristito

“Devo andare” si scusò, io annuii

“Spero di non averti fatto far tardi” lui si avvicinò per baciarmi

“In effetti sì” disse prima che le nostre labbra si unissero per l'ennesima volta quel giorno “ma ne è valsa la pena” sorrisi

“Che vai a pensare?” continuò “Mica per te, per i muffin” disse infilandosi la giacca, agguantò un dolcetto appena sfornato e fece per uscire. Non appena appoggiò la mano sulla maniglia della porta si girò verso di me un'ultima volta

“Davvero sono stato bene” sorridendo, annuii

“Anche io” Non sai quanto, pensai.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9. London Night Out. ***


Ecco il nuovo capitolo!
Spero vi piaccia! Grazie a tutte per avertrovato il tempo di leggere e commentare.

Un bacio.
Fatemi sapere ancora di che ne pensate.
____

Non appena ebbe varcato la soglia mi avvicinai alla porta che si era richiuso alle spalle nell'uscire e vi appoggiai la schiena sospirando.

Sapevo che lui stava facendo lo stesso; la sua ombra non aveva oscurato la luce che entrava prepotente dalla finestra del salotto, segno che non si era ancora allontanato.

Improvvisamente la porta esercitò una pressione sulla mia schiena, mi scansai rapidamente e essa si riaprì di getto

“Al diavolo!” esclamò, quasi frustrato lanciando a terra il giubbetto.

Fece un ampio passo verso di me e mi prese il viso con la mano destra. Le sue labbra si appoggiarono alle mie quasi con prepotenza. Finalmente io, sorpresa, chiusi gli occhi.

Immediatamente, senza alcuna possibilità di dubbio, sentii che quel bacio era diverso da tutti quelli che c'eravamo scambiati fino a quel momento; il suo tocco caldo sembrava scottare e la barba leggermente incolta mi graffiava il viso. Non avevo mai tollerato il contatto con la barba fino a quel momento, eppure, ora, mi sembrava dolce come una carezza.

Con un colpo deciso del braccio scacciai la sua mano dal viso, velocemente appoggiai il palmo delle mani dietro al suo collo, impedendogli di interrompere il passo a due del nostro intenso bacio, poi, con uno scatto veloce, gli cinsi i fianchi con le gambe.

Mi chiesi dove avessi trovato tutta quella decisione per gettarmi letteralmente tra le sue braccia, lo pensai in un mix di sorpresa e felicità.

Sentii la sua presa farsi più forte mentre mi sorreggeva spingendomi contro di lui dalla parte bassa della schiena. Iniziai ad armeggiare affannosamente con i bottoni della camicia nera che lasciava intravedere il petto villoso del mio accompagnatore. Lui, appoggiandomi sullo schienale del divano, prese a far lo stesso con la cerniera dell'abito scuro che indossavo.

Gli indumenti caddero a terra velocemente, e con la stessa rapidità rotolammo sul divano, lui sopra di me che alleviava il peso che il suo corpo esercitava sul mio sollevandosi con le braccia.

Smise di baciarmi, anche solo per un breve istante, il suo naso contro il mio. Ci fissammo negli occhi, ansimando.

Gli morsi il labbro inferiore. Vorace. Istintiva. Primordiale.

Poi ci unimmo in un vortice di sensazioni; non sapevo più se stavo ancora su quel divano in un piccolo appartamento londinese, o se ,invece, stavo volando stesa su una nuvola, tanta era l'estasi del momento.

Sentivo le sue mani muoversi dolci su di me, facendomi sussultare ad ogni tocco, mentre le mie unghie gli graffiavano lievemente la pelle quando lo cercavo di avvicinare a me, quando tentavo di farlo mio tanto quanto io mi sentivo sua in quel momento.

Avrei voluto chiuderlo in un abbraccio per non lasciarlo più andare, mai più.

E invece il nostro attimo finì, tra i sorrisi e una leggera lacrima di felicità sulla mia guancia. Non riuscii a capire se era sgorgata dai miei o dai suoi occhi.

Rimanemmo stretti, l'una nelle braccia dell'altro, avvolti nel totale contatto dei nostri corpi ancora frementi.

Quando lo salutai fuori era già buio, l'ultimo bacio della giornata sulla soglia della porta, quasi non riuscissi a lasciarlo.

Non passarono neppure una decina di minuti che Kerry fece rientro a casa. Mi salutò e subito il suo viso si illuminò vedendo i muffin appoggiati al bancone della cucina.

“Diamine, sono buonissimi” disse con la bocca piena, piegai la testa sorridendo e annuii in segno di ringraziamento, lei deglutì e mi guardò con sguardo inquisitorio

“Non me la racconti giusta” aggiunse “Sei raggiante”, mi strinsi nelle spalle e quasi senza poterle controllare le parole presero a fluire dalla mia bocca.

La mia coinquilina si sentì raccontare per l'ennesima volta in pochi giorni quanto fosse stato fantastico passare del tempo con Andrew, di quanto stessi bene con lui.

La vidi tentennare, poi appoggiò il dolce sul tavolo e mi prese la mano

“Non ci conosciamo bene” esordì, la interruppi aggrottando la fronteggiava

“Questo non pare proprio un esordio rassicurante” scherzai nascondendo una genuina preoccupazione; non volevo essere riportata con i piedi per terra proprio ora che avevo iniziato a volare, lei annuì

“Sul serio, Cassie, ascoltami” capii che non sarei potuta fuggire, mi rassegnai e mi sedetti sullo sgabello bianco, lei genuinamente preoccupata si fece più vicina a me

“Ti sento molto affine a me e lascia che ti avverta” prese fiato “Ti stai buttando troppo in fretta in questa storia. Lo conosci da solo una settimana e già stai costruendo tutto il tuo mondo attorno a lui.” cercai di obiettare, ma, quando non riuscii a trovare valide argomentazioni per replicare, dovetti ammettere che aveva ragione

“Non ti sto augurando che tra voi vada male” si affrettò poi a puntualizzare “Devi solo trovare un piano B” una piccola pausa, poi, ancora una volta, continuò, ora con un sorriso “ed è per questo che stasera esci con me ed alcuni amici” ci pensai un attimo e, non trovando nulla di male nella sua proposta, finii con l'accettare.

*

Mi diedi un'ultima occhiata allo specchio, l'abito nero di pizzo fasciava il mio corpo lasciando libera una spalla, il cui candore contrastava con il colore scuro del tessuto, ai piedi infilai un paio di tronchetti color crema.

“Sei pronta?” chiese Kerry impaziente dalla sala

“Arrivo” risposi, mentre controllavo il trucco scuro che avevo steso sulle palpebre.

Uscii dalla stanza gettandomi sulle spalle il giubbetto di finta pelle scura

“Eccomi, sono pronta” dissi sorridendo, Kerry fischiò

“Hai intenzione di rimorchiare qualcuno stasera?” ridacchiai in leggero imbarazzo

“Senti chi parla!” replicai “Sei stupenda!” e lo era davvero.

Indossava un azzurro a pois neri stretto sul seno che scendeva a campana fino a poco sopra al ginocchio, i capelli raccolti sulla nuca e un paio di lunga ciglia finte a renderle più intenso lo sguardo.

Ci avviammo verso la metropolitana, la serata si preannunciava insolitamente tiepida.

“Che si fa?” chiesi seguendolo a fatica barcollando sui tacchi esageratemente alti. Per un istante invidiai le sue scarpe moderatamente basse.

“Dobbiamo vederci con gli altri in un ristorante di Soho” spiegò, stringendo leggermente la cerniera del giubbetto attorno al collo, sedute in metropolitana chiacchierammo del suo lavoro.

Si lasciò andare ai racconti degli strani individui che vedeva nella libreria d'usato in cui lavorava, mi descriveva come giovani e anziani riuscivano a vivere in simbiosi in quell'ambiente uniti dall'amore della cultura.

“Vedi” le dissi “un po' ti piace anche il tuo lavoro diurno”, lei si strinse nelle spalle

“Vendere vecchi libri non è il mio sogno, ma almeno sono a contatto con moltissime persone di tutte le razze e le nazionalità, e tutte accomunate dalla medesima passione” spiegò con gli occhi che le brillavano, la guardai stranita

“come puoi essere così sognatrice per alcune cose e così pragmatica per altre?” chiesi, non dovetti spiegare a cosa mi stessi riferendo

“Non so” esordì, poi mordicchiandosi un labbro ci pensò e tornò a parlare “Mi sembri una persona indipendente e forte, se inizi a costruire la tua vita tutta attorno ad un uomo finirai per perdere queste caratteristiche. Sai, per esperienza, ho visto come l'amore può snaturalizzarci. Io non sono una di quelle persone che non si fidano degli uomini, io non mi fido dell'amore. Mi ha ridotta veramente male i primi tempi in cui mi ero trasferita qui, non voglio vedere la storia ripetersi”

parlò tutto d'un fiato, in bilico tra il ricordo e la preoccupazione per me, le sorrisi

“E' carino da parte tua” risposi “Quasi neppure mi conosci” ricambiò il sorriso mentre si alzava facendomi segno di seguirla

“Mi rivedo in te” spiegò stringendosi nelle spalle, e scendendo dal treno ritornammo a respirare l'aria della città che quella sera era più accogliente del solito.

Il locale non distava molto dalla fermata della metropolitana, Kerry spalancò la grande porta di vetri e mi precedette all'interno del ristorante dominato dai colori del verde e dell'azzurro.

Ci sedemmo al bancone del bar ordinando due Apple Martini, consce entrambe di quanto fosse ormai fuori moda la nostra ordinazione

“Tra un paio di giorni inizio a lavorare per la casa editrice, mi hanno chiamata oggi ed hanno un libro da tradurre che pensano faccia al caso mio” esordii tentando di imbastire uno scambio di battute circostanziale, lei sorrise

“Un lavoro senza orari? Dio, come ti invidio” scherzò, per tutta risposta le feci una linguaccia

“Beh, l'hai detto tu stessa che Londra è davvero generosa con me” replicai bevendo un sorso del drink delicatamente servitomi dal barman in divisa. Mi accorsi che Kerry non smetteva di fissarmi con un ghigno buffo dipinto sul viso

“Che c'è?” chiesi aggrottando la fronte

“Da oggi pomeriggio non hai smesso un attimo di sorridere” spiegò “Non eri così raggiante prima che uscissi stamani” mi morsi il labbro abbassando leggermente le sopracciglia in un espressione tra il colpevole e il malizioso, lei spalancò la bocca fingendo sorpresa

“Non hai...” lasciò la frase in sospeso, mi strinsi nelle spalle

“Non ho saputo resistergli” prendendo un lungo sorso dal calice, pensai meglio alle parole appena pronunciate e scelsi di riformulare la frase “in realtà, non mi è passato per la testa neppure un istante di rifiutarlo” spiegai sorridendo, lei ricambiò il sorriso anche se per un istante lessi un lampo di preoccupazione che le annebbiava lo sguardo, ma durò solo un istante ed entrambe scegliemmo di ignorarlo

“Com'è stato?” chiese, curiosa, eccitata, pensai che dall'esterno ci avrebbero potute scambiare per due amiche che si conoscevano da anni tanta era la complicità tra noi. Prima di rispondere terminai il cocktail e feci segno al cameriere di versarmene un secondo. Com'era stato? Neppure io sapevo come rispondere. L'aggettivo 'bello' non avrebbe espresso appieno le sensazioni provate con Andrew, 'fantastico' avrebbe reso banale ciò che c'era stato tra noi; quando però stavo per spiegarle che non riuscivo genuinamente a trovare parole per descrivere la nostra unione finalmente capii come avrei potuto farle comprendere esattamente quello che sentivo

“Vedi,” esordii “è stata la cosa più naturale del mondo. Come se fossi nata per fare l'amore con lui, una, due, dieci, mille volte. E' come se fossimo stati modellati l'una per l'altra.” parlai senza staccare il dito indice dal bordo del bicchiere con cui stavo giocando lasciando scivolare il polpastrello, lo sguardo perso in un indefinito punto fisso davanti a me, lei mi prese il braccio

“Goditela” esclamò, ma subito mi accorsi che ciò che diceva non corrispondeva a ciò che pensava, così annuii

“Te lo prometto” la rassicurai “starò attenta”, lei sembrò soddisfatta quando vide che avevo compreso ciò che stava realmente pensando; stava per replicare quando la vidi scuotere velocemente le dita della mano destra in cenno di saluto ad un gruppo di giovani che avevano appena fatto il loro ingresso nel locale

“Eccoli finalmente!” esclamò alzandosi dal bancone e trascinandomi con sé “stavo morendo di fame” spiegò mentre spalancava le braccia abbracciando uno dei ragazzi a cui stavamo andando incontro. Era alto quasi un paio di metri, portava i capelli scuri scompigliati e le guance leggermente troppo arrossate. Osservandolo non potei non pensare che sembrava un goffo personaggio di un cartone animato giapponese.

Kerry salutò tutta la compagnia abbracciando ogni singolo membro, poi fece un passo indietro e mi presentò, seguì un veloce giro di nomi, che dimenticai immediatamente, condito da un paio di convenevoli.

Un cameriere, che si presentò con il nome di Harry, ci scortò al tavolo che avevamo prenotato, lo ringraziai con un caloroso sorriso prima di prendere posto.

Finii a sedere tra un ragazzo muscoloso e una ragazza minuta dai capelli di un curioso rosso naturale

“Quindi sei la nuova coinquilina di Kerry” esordì il ragazzo “avrai bisogno di tanta pazienza!” spiegò, prima che potessi rispondere venne colpito al viso da un tovagliolo bianco

“Stai zitto, Frank” replicò Kerry ridendo dall'altro lato del tavolo, lui ridacchiò

“Vuoi forse dire che non ho ragione?” chiese lui, lei si strinse nelle spalle, gli fece una linguaccia e tornò a parlare animatamente con una ragazza seduta al suo fianco

“Quindi, Frank, devo preoccuparmi?” chiesi, lui si strinse nelle spalle

“No” rispose muovendo velocemente la mano destra dall'alto verso il basso e facendo schioccare la lingua contro il palato “Se per te non è un problema rischiare di venire pugnalata durante la notte dovrebbe andare tutto bene. Ha un caratteraccio” scherzò, poi scoppiò a ridere

“Promettente!” esclamai fingendomi accondiscendente, successivamente fu l'altra ragazza a rivolgermi la parola

“Kerry ci ha detto che vieni dall'Argentina!” iniziò, scossi la testa

“In realtà sono italiana, ma l'ultimo posto in cui ho vissuto è stato Buenos Aires. E' una città bellissima, molto diversa da Londra. Ci sei mai stata?” chiesi in un goffo tentativo di iniziare una conversazione

“No, ma mi piacerebbe molto. Cosa ti ha portato a Londra?” chiese mentre sollevavo il menu per darvi un'occhiata, prima di rispondere mugugnai

“Non lo so neanch'io. E' sempre stata una città speciale, e si sta dimostrando tale” spiegai sorridendo, la ragazza spalancò gli occhi

“Conosco quel sorriso!” esclamò “C'entra un ragazzo?” aprii la bocca pronta a replicare, questa volta fui io a venire colpita al volto dal tovagliolo di Kerry che mi avvertì minacciosa

“Niente Andrew stasera!” annuii, poi mi girai verso la mia interlocutrice stringendomi nelle spalle “L''hai sentita! Mi tocca tenere la bocca cucita”

Prima che potessimo ricominciare a chiacchierare Harry tornò a prendere le ordinazioni, chiesi dei gamberetti in salsa agrodolce e del riso piccante. Quando il cameriere si girò per allontanarsi dal nostro tavolo vidi un sopracciglio di Kerry alzarsi maliziosamente

“Se lo sta mangiando con gli occhi” esclamai scherzando con Annie, la rossa che sedeva al mio fianco, la ragazza stette al gioco e iniziammo a prenderci gioco della mia coinquilina.

Annie mi raccontò di come si erano conosciute un anno prima; lei stava camminando per strada quando Kerry, vestita da ninfa, l'aveva coinvolta in uno spettacolino improvvisato in una delle più trafficate vie della città. Mi spiegò che in un primo momento si era sentita imbarazzata, ma che poi, dopo qualche istante, si era accorta di non essersi mai sentita così leggera nella vita. Mi confessò di avere una sorta di adorazione per Kerry e finì col definirla come un angelo la cui missione è quella di alleviare la serietà con cui si affrontava la propria esistenza.

Per tutta risposta sorrisi, riconoscendo nel suo racconto la persona che da pochi giorni era entrata far parte della mia vita.

Dopo cena ci spostammo in una piccola discoteca non molto distante da lì, si trovava al piano inferiore di un normale bar. Delle lucine blu illuminavano le scale che portavano alla pista da ballo, le seguimmo quasi ipnotizzati.

Trovammo posto su un divanetto turchese e ci sedemmo abbandonandovi borse e giacche. Immediatamente Frank si alzò deciso e si diresse verso il bar; dopo pochi minuti tornò armato di un vassoio letteralmente ricoperto di bicchieri da shot, ne prendemmo tutti uno e brindammo.

Il primo brindisi fu alla bella serata che stavamo passando, il secondo vollero dedicarlo a me, la nuova arrivata, il terzo venne bevuto come augurio per una buona continuazione della nostra uscita, al quarto smettemmo di prenderci la briga di inventarci ragioni per bere.

La serata sembrava promettere bene.

La musica era assordante, ma, assorti nelle chiacchiere e in qualche bicchiere di troppo, nessuno di noi sembrava notarlo. La discoteca era affollatissima, osservai la clientela che si divertiva attorno a noi e quasi non riuscii a trattenere l'istinto di dimenarmi a ritmo di musica, tolsi le scarpe e presi a ballare in piedi sulle sedute che avevamo occupato poco prima. Kerry mi guardò divertita e accettò di unirsi a me ridacchiando.

Ben presto Frank mi invitò a ballare sulla vera pista, accettai. Kerrie e Annie ci seguirono, ci perdemmo nella pista da ballo, e quando ritornammo ai divanetti un paio di ore più tardi scoprimmo che gli altri ragazzi che erano con noi se n'erano andati.

Il locale stava svuotandosi lentamente, una veloce occhiata all'orologio mi informava che erano ormai le tre di notte.
Ridacchiai notando come le notti londinesi si concludessero prestissimo, rispetto a quelle argentine in cui mi ero barcamenata negli ultimi anni. Il mio pensiero parve contagiare anche Frank, Kerry e Anni che affermarono che non erano pronti a concludere la nottata così presto, fu a quel punto che finimmo col decidere di continuare la serata a casa di Annie, che non era molto distante dal club.

La ragazza viveva all'ultimo piano di una tipica casa inglese divisa al suo interno in tre appartamenti dalle dimensioni ridotte, il suo era piccolo ma arredato con gusto. Le pareti bianche con inserti grigi risaltavano perfettamente il lucido mobilio bianco e nero, l'aria profumava di fragole e deodorante per ambienti alla vaniglia.

Annie ci fece accomodare e subito si diresse verso il frigorifero estraendone una bottiglia di vino bianco frizzante.

Seduti sul divano continuammo a chiacchierare del più e del meno per ore, quando finalmente vedemmo il sole sorgere appoggiai la testa sul divano e chiusi gli occhi, solo un attimo.
Le loro voci si fecero sempre più lontane e, alla fine, mi addormentai.

Godetti di un sonno tranquillo, ma breve. Mi svegliai sola sul divano prima degli altri che immaginai si fossero trasferiti in camera da letto. Decisi di preparare la colazione per tutti, avendo compreso dai discorsi della sera prima che a Annie non avrebbe dato fastidio che qualcuno frugasse nella sua cucina.

Preparai dei pancakes alle fragole con della spremuta d'arancia, poi tornai a sedermi sul divano aspettando che si svegliassero. Una rivista appoggiata al tavolino di vetro che avevo di fronte catturò la mia attenzione, la presi e inizia a sfogliarla nel tentativo di ammazzare il tempo. Sbuffai annoiata notando che altro non era che un tabloid, stavo per richiuderlo quando qualcosa attirò la mia attenzione.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10. What doesn't kill you, doesn't kill you. ***


 

CAPITOLO 10. What doesn't kill you, doesn't kill you.

 

“Buongiorno” una voce alle mie spalle mi salutò improvvisamente, colta di sorpresa lasciai cadere il tabloid a terra e sobbalzai per lo spavento. Mi girai sorridendo

“Buongiorno, Annie” esclamai “ho preparato la colazione” dissi indicando i piatti sul ripiano.

Prima di alzarmi e avvicinarmi al bancone della cucina raccolsi il giornale e lo riappoggiai sul tavolino, ripromettendomi di darvi un'occhiata più tardi per approfondire quella strana sensazione che avevo avuto pochi istanti prima

“Pancakes alle fragole?” mugugnò, la voce ancora impastata dal sonno “Sembrano deliziosi!” continuò avvicinandosi con il naso al piatto che aveva di fronte, versò il succo d'arancia in quattro bicchieri

“Dormito bene?” mi chiese, annuii

“Stranamente sì” replicai, scoprendomi sorpresa di quanto mi sentissi riposata sebbene avessi solo un paio d'ore di sonno alle spalle “una serata con delle facce nuove mi ci voleva” ammisi

“Allora, chi è il misterioso ragazzo su cui Kerry ha posto il veto ieri sera?” scherzò, sorrisi sognante pensando alle sue grosse braccia protettive, ai suoi capelli corti appoggiati alla mia spalla, ai suoi baci caldi, ma prima che potessi iniziare a parlare vidi Kerry e Frank entrare nella stanza, lei fresca e risposata come una rosa, lui con delle profonde occhiaie bluastre a contornargli gli occhi

“Non voglio che 'Andrew' sia la prima cosa di cui sento parlare oggi, ti scongiuro”disse la mia coinquilina ridacchiando sotto i denti, io rivolsi uno sguardo sfuggente ad Annie e, stringendomi nelle spalle, aggiunsi

“Beh, non è proprio destino” lei scoppiò a ridere dando della despota a Kerry.

Ci accomodammo sul divano con i piatti in bilico sulle ginocchia

“Diamine, che fame!” esclamò Frank cercando di mangiare senza sporcarsi la stessa maglietta indossata la sera prima.

Tutti e quattro consumammo la nostra colazione famelicamente cercando di ricordare i momenti più annebbiati della serata che avevamo appena passato insieme, rimanemmo lì quasi un'ora a tergiversare prima di decidere di sistemare la cucina. Kerry insistette per occuparsene così rimasi seduta sul divano raggomitolata in un angolo con una tazza di tè tra le mani, accanto a me Frank e la padrona di casa erano immersi in una fitta conversazione a cui non ero troppo interessata, fu allora che decisi di riprendere in mano il tabloid a cui avevo dedicato la mia attenzione qualche ora prima.

Sorrisi guardando i vip inglesi, pensando a quanto fosse buffo essere famosi in un determinato paese e sconosciuti invece in altri. Molti dei visi noti lì, io non li avevo mai visti, constatai divertita.

Allungai la mano verso la rivista abbandonata poco prima; non appena la sfiorai con i polpastrelli ancora infreddoliti dopo avere tenuto stretto il bicchiere riempito di succo d'arancia fino a poco prima fui scossa da un brivido, che riportò alla mente, vivida, la sensazione provata nelle ore precedenti mentre sfogliavo distrattamente le pagine.

Aprii il tabloid in maniera casuale, una ragazza dagli occhi truccati da un pesante strato di mascara e le labbra leggermente socchiuse prese ad ammiccare nella mia direzione, regalandomi un sorriso un po' troppo perfetto.

Alzai un sopracciglio in segno di disappunto, confrontando i miei denti troppo piccoli e tutt'altro che candidi con la sua dentatura hollywoodiana. Feci schioccare rumorosamente la lingua sotto il palato, sorprendendomi del fatto che dopo solo pochi minuti di osservazione mi sentivo già tediata. Presi un piccolo appunto mentale per ricordare di non avvicinarmi più a certi tipi di letture.

Feci per chiudere la rivista che aveva ormai acquisito il profumo del campioncino di Hypnotic che era stato appiccicato ad una pagina pubblicitaria, quando, invece, ritrovai quella strana sensazione che mi aveva spinta a leggerla poco prima.

I miei occhi furono condotti a posarsi in un angolo della facciata che stavo velocemente scorrendo. Incredula osservai il viso di Andrew intento a rivolgermi uno sguardo intrigante, decorato però di quella goffaggine che tanto gli apparteneva e che in quei pochi giorni ben avevo imparato a conoscere.

Spinta dalla curiosità, avvicinai il viso alla rivista per scrutare con più attenzione la fotografia pubblicata dal tabloid,e accanto a lui riconobbi il ragazzo che mi aveva presentato per strada qualche giorno prima.

Ripresami dalla sorpresa lasciai che un sorriso sottile ma fiero si disegnasse sulle mie labbra. Allora Andrew stava avendo successo con la sua misteriosa carriera!

Presto però mi ritrovai a rispalancare la bocca incapace di credere ai miei occhi, quando il mio sguardo si spostò sulla didascalia. Tra i nomi che indicavano coloro che figuravano nella fotografia non ritrovai alcun Andrew. Accanto a Simon Webbe, secondo la rivista, posava una tal Antony Costa. Pensai subito a un errore della stamperia così tuffai una mano nella borsa ancora appoggiata accanto al divano e scavai in cerca del telefono. Non appena lo trovai cercai con foga l'applicazione per internet sbagliando a selezionarla più di una volta. Imprecai, mentre una strana sensazione iniziava a impadronirsi di me.

Dalla fierezza provata qualche istante prima nel vedere nero su bianco il successo che Andrew stava avendo, ora ero passata a uno stato di particolare inquietudine.

Quando finalmente riuscii a digitare il nome che il giornale aveva riportato sotto la sua foto il viso della persona con cui avevo condiviso il mio tempo mi sorrise dallo schermo. La fotografia che il motore di ricerca mi offriva lo ritraeva immerso in una grande risata.

Osservai i suoi denti, i suoi occhi, il suo naso, osservai ciò che di lui mi aveva mentito fino a quel momento.

Scossi la testa incredula, spinsi il cellulare e la rivista nella borsa e mi alzai quasi in trance. Neppure mi accorsi di avviarmi e prendere la porta senza fermarmi a salutare gli altri, le loro voci che mi chiamavano da dietro erano attutite e il cervello non impiegò molto a ignorarle.

Quella mattina fuori le nubi mi salutarono avvizzite e un forte vento rallentava la mia camminata. Imprecai, rabbrividendo di freddo, accorgendomi di aver lasciato la giacca a casa di Annie.

L'aria era madida e le piccole goccioline di acqua si posavano sulle mie ciglia e sui miei capelli rendendoli crespi.

“Fantastico”, pensai, rendendomi conto che di lì a poco avrei acquisito le parvenze di uno spaventapasseri.

Continuai a camminare, i passi pesanti, i denti superiori che battevano contro quelli inferiori producendo un suono stridulo.

Che diavolo stava succedendo?

Chi era Antony Costa? Perché mi aveva mentito?

Cosa c'era di vero in Andrew?

Le domande vorticavano senza sosta nella mia testa e a nessuna di esse riuscii a trovare risposta. Non riuscivo in alcun modo a capire perché uno sconosciuto avesse deliberatamente scelto di mentire, di vivere una bugia dal primo istante senza permettere al rapporto che si sarebbe andato instaurando di crescere.

Con chi diavolo avevo avuto a che fare? A chi avevo aperto il mio cuore così facilmente?

Improvvisamente, in una sorta di sorprendente agnizione, mi resi conto che non fu solo l'idea di perdere quelle forti emozioni a mortificarmi, ma anche la vergogna per essermi lasciata ingannare dopo che avevo eretto delle difese tanto forti e impenetrabili.

L'orgoglio ferito si fece sentire prepotente, mi morsi con forza il labbro inferiore fino a quando sentii il sapore del sangue. Nonostante il forte istinto a sputarlo mi obbligai a inghiottirlo. Sul mio viso si disegnò una smorfia dispregiativa.

Dio! Com'ero stata stupida!

Non passò molto che la rabbia che stavo provando nei suoi confronti fu trasferita su me stessa, incredula nel constatare come ero riuscita a rimanere scottata subito, già alla prima storia avuta dopo quella con Manuel.

Sbuffando, scesi di corsa i gradini che portavano nella stazione metro più vicina, senza curarmi del gran rumore provocato dai tacchi che picchiavano contro il cemento.
Premetti con forza la Oyster Card sopra all'apposito meccanismo che avrebbe dovuto leggerne la banda magnetica e aprire i tornelli di fronte a me.

Non funzionò, riprovai, una, due, tre volte, poi mi arresi e la scagliai a terra mentre gli occhi venivano lentamente offuscati dalle lacrime. Con un gemito frustrato mi accasciai accanto alla tesserina che giaceva sola al suolo.

In posizione fetale mi schiacciai i palmi delle mani sugli occhi, quasi in un tentativo di ricacciare indietro fisicamente le lacrime, e in quel momento decisi che per un uomo non ne sarebbe valsa la pena.

Avrei dovuto essere forte, superare il momento e ritrovare la felicità di quegli ultimi giorni.

Reagire, bene e presto.

Se avevo imparato una cosa, dopo Manuel, era che per nessuna persona al mondo mi sarei più annullata.

Trassi due profondi respiri e mi rialzai, raddrizzai leggermente la gonna e, finalmente, riuscii a entrare in metropolitana, strisciando il tesserino sull'apposito meccanismo.

Seduta nel treno bianco lasciai che il mio corpo dondolasse al ritmo del movimento del mezzo sui binari, immersa nei miei pensieri.

Un leggero senso di nausea avvolse la bocca dello stomaco, lo ignorai e decisi di rimanere fedele alla scelta che avevo appena fatto; nessuno mi avrebbe più distrutta, svuotata, calpestata.

“Mantieni la calma” mi ripetei a denti stretti, un mantra per convincermi a non demordere “non piangere” continuai in un vago tentativo di rimanere composta.

Fu un fallimento; poco dopo mi sentii avvampare. L'aria aveva iniziato a scivolare con grande fatica giù fino ai polmoni, in quel momento mi alzai di scatto e corsi fuori alla ricerca di brezza naturale di cui nutrirmi famelicamente.

Ironicamente, mi ritrovai a uscire alla fermata di Covent Garden, teatro del nostro primo bacio.

Scossi la testa e ridacchiai isterica e incredula.

L'ambiente attorno a me aveva assunto tinte completamente differenti da quelle di qualche giorno prima; i mattoni rossi sembravano meno carminei; il bianco dell'insegna della metropolitana appariva sporco e sbiadito; i colori, in generale, apparivano tutti più spenti.

L'asfalto bagnato emanava un odore acre che mi spinse a spostarmi da lì, senza neppure accorgermene finii con l'avvicinarmi al muro a cui qualche notte ero stata appoggiata stretta nel suo abbraccio. Ricordai che quel giorno mi era apparso liscio, quasi di marmo levigato, addirittura mi era sembrato profumato. Oggi invece, accarezzandolo con estrema lentezza, prima con il palmo e poi con il dorso della mano, ne percepii immediatamente la ruvidità e ciò che precedentemente mi era sembrato palpitante di vita ora mi risultava freddo e infinitamente inanimato.

Tolsi la mano di scatto e sbuffai contrariata.

Quella non si stava decisamente rivelando la mia giornata, ma avrei fatto qualcosa per prendere il controllo degli eventi.

Sedendomi sui gradini delle scale che portavano al piano inferiore dell'Apple Market decisi che avrei affrontato Antony il prima possibile, così selezionai il suo numero dalla rubrica e, trattenendo il respiro presi ad ascoltare il segnale telefonico che indicava che la linea era libera. Mi permisi una boccata d'aria solo quando, dall'altro lato, la sua voce trillante mi salutò entusiasta

“Cassie! Buongiorno” una smorfia di disapprovazione mi si disegnò in volto mentre cercavo di forzare un tono spensierato

“Ciao Andrew” lo salutai poi, senza lasciarlo parlare ulteriormente, continuai “Posso passare da te tra un'oretta?” chiesi, lui esitò. Lo immaginai mentre si mordicchiava nervosamente l'unghia del pollice della mano sinistra spostando lo sguardo da un lato all'altro della stanza in cui si trovava. Dopo quasi un minuto, finalmente, parlò.

“Sto facendo dei lavori a casa. Sono in hotel per un paio di giorni” spiegò “Ti mando l'indirizzo. Ci vediamo tra un paio d'ore?” tutt'altro che sorpresa dalla sua risposta accettai e riattaccai.

Soddisfatta di me stessa per essere stata in grado di rimanere composta in quella situazione mi premiai con un caffè seduta nel Costa più vicino.

Seduta al tavolino della caffetteria estrassi la rivista che avevo portato via da casa di Annie dalla borsa e presi a sfogliarla una terza volta, fu solo quando rilessi il nome riportato sotto la vignetta che mi accorsi che corrispondeva a quello stampato sulla tazza che stringevo fra le mani. Fu allora che scoppiai in una risata isterica che non mi risparmiò molte occhiate stupite dei miei commensali.

Alzai leggermente una mano in segno di scusa e ritornai a leggere il giornale che mi spiegò che Antony Costa era uno dei quattro membri di una boyband che si chiamava Blue e che il gruppo sarebbe recentemente tornato a calcare le scene dopo anni di latenza in occasione di una gara a livello europeo.

Ne presi nota mentalmente, cercando di prepararmi all'imminente incontro.

Iniziai a immaginare ciò che sarebbe potuto accadere di lì a poco ma già dopo pochi minuti realizzai che non era un confronto, ciò di cui avevo bisogno. Avrei avuto bisogno di un'altro tipo di approccio, pensai mentre cercavo di appiattire i capelli sul capo utilizzando i palmi delle mani.
Osservai il risultato nel riflesso della vetrina e sporsi leggermente il labbro inferiore in segno di insoddisfazione.

Avrebbe dovuto accontentarsi.

*

Quando un paio d'ore più tardi il receptionist mi indicò il numero della stanza a cui sarei dovuta andare avevo ormai le idee chiare.

Schiacciai decisa il pulsante di chiamata dell'ascensore, le mani tremanti per l'agitazione e gli occhi spalancati nel vuoto, quasi spaventata dall'intraprendenza che avrei dovuto dimostrare per riuscire ad andare fino in fondo.

Diedi due colpi alla porta col pugno chiuso, mettendoci forse più forza del necessario.

Il suo viso apparve sorridente di fronte a me quasi d'improvviso, spalancò la bocca per parlare ma immediatamente gli appoggiai il dito indice della mano destra sulle labbra per zittirlo, mentre con l'altra mano afferrai la t-shirt verde che indossava all'altezza del suo petto spingendolo all'interno della stanza per poi chiudere la porta alle mie spalle.

“Che diavolo...?” iniziò lui, scossi la testa e presi a baciarlo.

Dapprima ci lasciammo andare a un bacio lento, quasi romantico, che presto però si trasformò in uno frenetico, movimentato, senza alcun riposo, quasi cercassi di divorarlo.

Mi allontanai leggermente solo per togliergli la maglietta e riprendere fiato.

Senza riuscire a controllarmi mi schiacciai ulteriormente contro di lui tremando leggermente, e passai le mani sul suo petto villoso, accarezzandolo con forza.

Sentii il suo abbraccio farsi più stretto, poco lontano dall'essere doloroso, e stranamente caldo. Per fuggire dalla sensazione di bollore che il suo corpo seminudo mi provocava allungai le braccia dietro la schiena e mi slacciai l'abito lasciandolo cadere a terra, mentre lui prese a percorrere il mio corpo con i polpastrelli guardandomi dritta negli occhi. Entrambi i nostri respiri affannati.

Mi sollevò da terra e lo circondai con le braccia e con le gambe in un disperato tentativo di unirmi a lui per l'ultima volta, eternamente.

Affondai il viso nell'insenatura tra il collo e la clavicola e respirai il suo profumo fruttato cercando di immagazzinarlo e nasconderlo in un cassettino del mio cervello in cui avrei potuto conservarlo conscia che non avrei mai più dovuto permettermi di risentirlo.

Ci liberammo degli ultimi vestiti rimasti addosso in pochi istanti e cademmo sul letto. I nostri corpi nudi si toccavano in ogni centimetro, le sue mani nelle mie, lui sopra di me che sembrava cercare un segno di assenso per portare oltre quel contatto.

Premetti le gambe contro la sua schiena in segno di invito, lui annuì e baciandomi si fece più vicino.

Non ricordo di aver fatto l'amore mai in maniera così vera ed intensa, il suo profumo sembrava solleticarmi, i suoi occhi punzecchiarmi scherzosamente, il suo respiro risvegliare in me ogni piccola sensazione.

Eppure finì, anche quella volta ci dovemmo allontanare. Lo baciai a lungo, assaporandolo per l'ultima volta e stringendolo fino a che le nocche delle mie mani non diventarono bianche. Poi mi vestii velocemente mentre lui si infilò in bagno, quando tornò in camera lo guardai con occhi tristi e mi avventurai verso la porta

“Addio, Antony” lo salutai dandogli le spalle.

Richiusi la porta alle mie spalle, arrivai fino all'ascensore senza alcun problema, poi sulla mia pelle sentii il suo profumo e scoppiai in lacrime.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11. Life Goes On, Apparently. ***


Eccomi, scusate, vado a rilento ma non mi sono dimenticata di questa storia.
Spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate. Ogni tipo di commento è ben accetto

Forse è un po' più corto degli altri, ma credo che 'allungare la minestra' in questa scena non sarebbe stato producente.

Un bacino. Sten.


CAPITOLO 11. Life Goes On, Apparently.

Dopo una doccia calda in cui le lacrime si erano dignitosamente mischiate al getto d'acqua che mi colpiva violento in viso finii col sentirmi leggermente meglio.

Avvolta in un accappatoio blu scuro mi sedetti davanti al computer portatile sistemato su un tavolino in camera mia e soddisfai la mia necessità di tenermi occupata scaricando dalla posta elettronica il manoscritto che la casa editrice mi aveva mandato da tradurre.

Lavorai come in trance, quasi senza mai sbattere le palpebre e gettando nel posacenere più mozziconi di sigaretta di quanti ne potesse realmente contenere.

Quando Kerry rientrò dal lavoro mi trovò ancora in quella posizione, lasciò cadere la borsa con fare apprensivo e mi toccò subito la fronte.
“Diamine! Cassie, scotti!” esclamò sgranando gli occhi “Noi sarai qui da stamattina!?” continuò svuotando il portacenere nella spazzatura e chiudendo il computer, finalmente volsi verso di lei il mio sguardo e quando finalmente la guardai negli occhi mi accorsi che non ce l'avrei fatta parlare così mi limitai a accennare un sorriso amareggiato e a scuotere la testa

“passerà” mi disse, lasciando che sprofondassi col il viso nell'incavo della sua scapola. Non chiese ulteriori spiegazioni e io non potei che esserle immensamente grata per questo.

Avvolgendomi amorevolmente in una coperta celeste mi accompagnò a letto, poco dopo mi portò una una tazza di the caldo incoraggiandomi a berlo

“Qualcosa di caldo ti farà bene” spiegò.

E ne fece, mi distese un po' nervi e mi permise di dormire, mi permise di smettere di pensare a quella brutta sensazione.

*

Non so dire se veramente il dolore passò, ma nelle seguenti settimane la mia vita tornò a scorrere in maniera quasi del tutto normale anche senza di lui al mio fianco, anche se, nonostante fosse passato un po' di tempo, ogni volta che sentivo il telefono squillare il mio cuore mancava un battito nella speranza che fosse lui, pronto a farsi perdonare con una valida scusa.

Ma non fu mai lui.
Alla fine presi atto che non sarebbe arrivata alcuna chiamata e, facendo appello a tutta la mia razionalità a cui mi aggrappai con le unghie e con i denti, finii per convincermi a iniziare a considerare la nostra breve llieson come un mero flirt tra due sconosciuti.

Nulla per cui valesse la pena struggersi, insomma.

Analizzando la situazione così com'era oggettivamente compresi che avevamo condiviso una sola settimana, piena sì di bei ricordi, ma non ero mai arrivata tanto vicino a lui da riuscire a raccontare qualcosa di me.

Come non era stato nulla per lui, non sarebbe significato nulla neppure per me, decisi.

Ma in fondo sapevo di mentire.

Le parole che avevo detto, intendendole appieno, continuavano a rieccheggiarmi nella mente.

“Credo che nella vita ci siano delle persone affini. Io e te lo siamo.”
Sì, io e Andrew lo eravamo, ma Andrew, ora lo sapevo, non esisteva.

Pur non essendo una persona romantica, avevo sempre creduto che esistono delle persone destinate a entrarci sotto la pelle, lasciandovi un segno indelebile.

Antony, strano chiamarlo con questo nome, era una di quelle. Addirittura, poteva essere l'unica persona destinata a fare quell'effetto su di me.

Per due settimane avevo sperato in un suo piccolo gesto, anche fosse stato solo un tentativo di chiamata, ma invece aveva reso ben chiaro che non era interessato a fare quel passo verso di me.

Ne avevo così preso atto, seppur a malincuore, e avevo ripreso in mano le redini della mia vita, ricominciando a ricostruire quella barriera che Antony aveva tanto facilmente abbattuto.

Quindi, dopo quindici giorni, finalmente uscii di casa per dirigermi dal mio editore per consegnare la prima bozza della traduzione assegnatami.

L'editore, vedendomi arrivare, mi salutò professionalmente con una stretta di mano. Era un uomo sulla quarantina con i capelli leggermente radi al centro della testa che ne tradivano l'età nonostante il corpo fisicamente scolpito.

Si presentò con il nome di Jacob e mi fece accomodare, quando gli disse che ero venuta a consegnare il manoscritto della traduzione strabuzzò gli occhi, meravigliato dalla velocità con cui avevo portato a termine il lavoro.

“Ho avuto solo un po' di tempo libero” spiegai sorridendo timidamente, cercando di scrollargli di dosso l'intenzione di appiopparmi l'etichetta della più brava della classe.

Chiacchierammo brevemente e attesi che leggesse la prima pagina della traduzione, poi mi congedai accampando un finto impegno preesistente.

In realtà non avevo molto da fare, così mi recai in un piccolo supermercatino, comprai frutta e verdura in quantità, del pane nero, dell'acqua e del formaggio spalmabile.

Poi, di controvoglia, mi diressi verso casa.

Mentre mi avvicinavo al mio appartamento iniziai a scorgere la sagoma di una figura maschile seduta sugli scalini. Indossava una maglietta verde chiaro e un cappellino marrone.

Inarcai leggermente le sopracciglia nel tentativo di metterlo a fuoco, ma rinuncia presto catalogandolo subito come uno degli amici di Kerry.

Fu solo quando lui si girò, attirato dal rumore dei miei tacchi sull'asfalto, che lo riconobbi, il mio cuore accelerò il ritmo.

Non sorrideva, guardava in basso senza fissare nulla di particolare, in silenzio.

Trassi un profondo respiro, poi, con voce pacata, quasi fredda esordii

“Non mi aspettavo di vederti qui” iniziai “non più” aggiunsi senza quasi riprendere fiato, un filo di acidità di troppo mi segnava la voce.

Lo osservai mentre si mordicchiava imbarazzato la parte più interna delle guance, poi mormorò una timido “scusa” senza aggiungere altro, sbuffai spazientita

“che sei venuto a fare?” chiesi mentre infilavo le chiavi nella toppa della porta, lui scosse la testa con talmente tanta veemenza che pareva tentar di cacciare qualche fastidiosa mosca del viso

“è complicato” mormorò. Mi girai verso di lui alzando scetticamente un sopracciglio e feci schioccare rumorosamente la lingua contro il palato

“Antony... è così che ti chiami, no?” lo sfidai “Non ho mai chiesto di venire infilata in una situazione complicata, hai fatto tutto tu” spiegai, lui sbuffò sporgendo leggermente il labbro inferiore, io entrai in casa e feci per chiudere la porta. La sua voce assunse una connotazione leggermente disperata quando mi chiese di invitarlo ad entrare, io mi strinsi nelle spalle e gli feci cenno con il capo di farsi avanti.

Se fuori ostentavo indifferenza, il mio cuore aveva nuovamente raddoppiato la sua velocità.

Mentre camminavo decisa verso il frigorifero trassi tra profondi sospiri senza preoccuparmi di riaprire gli occhi tra l'uno e l'altro nel difficoltoso tentativo di calmarmi. Non funzionò.

Aprii l'elettrodomestico con decisione e ci infilai l'intera borsina del supermercato senza preoccuparmi di estrarne le vivande prima di riporle.

Quando mi girai verso di lui lo vidi che appoggiava su una sedia il giubbetto in pelle che fino a quel momento aveva tenuto appoggiato in mano. Osservai la piega che la maglietta disegnò sulla sua scapola quando mosse il braccio e, nuovamente, mi parve di perdere il controllo.

Mi avvicinai a lui con passo deciso, guardandolo con aria di sfida, poi gli presi con forza le spalle e lo tirai a me. Lo baciai, intensa, appassionata.

Non si tirò indietro.

Fu un bacio lungo e disperato, un tentativo continuo trovare l'uno un appiglio all'altra.

Poi mi ritirai di scatto, con gli occhi sbarrati, quasi stupita da ciò che avevo fatto. Tenevo l'indice della mano destra appoggiato al labbro inferiore e scuotevo la testa.

“Scusa, non avrei dovuto” dissi andandomi a sedere sullo sgabello opposto al suo, ancora incapace di smettere di fissare un punto indeterminato del tavolo.

Fu lui a rompere il silenzio

“Cassie io...” lo interruppi

“Ti prego, non dire di nuovo che ti dispiace. Non ho bisogno di sentirlo e di certo non ha alcuna importanza” esclamai, lui annuì pensieroso

“ma è così che mi sento” di nuovo lo guardai perplessa

“non è un problema mio” precisai inarcando le sopracciglia

“Non avevo intenzione di farti male. Non è da me fare una cosa del genere, ma non ho resistito. Dal momento che ti ho vista, non sono più riuscito a toglierti dalla mia testa”

“Questo non spiega le bugie” dissi senza fare una piega, si leccò velocemente le labbra e il suo sguardo catturò il mio

“Non sono riuscito a fermarmi. All'inizio volevo solo vedere come sarebbe andata con qualcuno che non conosceva il mio lavoro, il mio stile di vita, e poi la situazione è degenerata. Se da un lato iniziavo a provare qualcosa per te, dall'altro avevo paura di perderti se ti avessi raccontato tutto” smise di parlare e si limitò a fissarmi, gli occhi più tristi del solito.

Guardandolo mi sentii quasi dispiaciuta per la confusione che potevo leggergli chiaramente in viso, ma mi bastarono pochi secondi per rinsavire e per ricordarmi che non avrei dovuto fidarmi di lui in nessuna circostanza.

Mi aveva ferito con la prima bugia che aveva scelto di dirmi, poi aveva affondato il coltello nella carne ancora sanguinante ad ogni piccolo dettaglio che vi aveva aggiunto, ed io, dal canto mio, come la vittima di un accoltellamento, non mi ero accorta di nulla, schiava dell'adrenalina di quei momenti.

“Quindi dovrebbe dispiacermi per te?” chiesi, fredda, distaccata. La nausea iniziava a farsi prepotente alla bocca dello stomaco, lui si girò verso di me, si sfregò il lato destro del volto con il palmo della mano e a mezzo fiato disse

“Dio, sei così intransigente, Cassie. Non aiuti!” strabuzzai gli occhi e spalancai le labbra in segno di sorpresa

“Scusa?” chiesi incredula di fronte a un uomo che stava biasimandomi per non riuscire ad accettare le sue bugie

“Devo dirti altre cose, ma così non credo di farcela” mormorò, mi accasciai sullo sgabello, cercando di sparire e sventolando una mano nell'aria gli feci segno di continuare, mentre mi accendevo una sigaretta, cercando di ostentare noncuranza

“Sono fidanzato” scossi la testa, incredula, toccò a me passarmi la mano sul viso in segno di esasperazione, la sigaretta cadde nel posacenere e soffia fuori il fumo rumorosamente

“Dio, Antony!” imprecai alzandomi in piedi “io ci sono stata da quella parte, sono stata tradita e avevo giurato a me stessa che non avrei fatto mai nulla di simile a un'altra donna e tu invece me lo hai fatto fare” sbuffai senza parole, sentii le energie abbandonare il corpo, afferrai con forza il bancone di fronte a me per reggermi in piedi e notai che la presa era così forte che le nocche mi erano diventate bianche. Lo guardai negli occhi, nel mio sguardo una nota di disprezzo “non mi devi raccontare più nulla” sentenziai, poi gli indicai la porta con un gesto del capo, lui scosse la testa

“Non me ne vado, voglio raccontarti tutto. Meriti di sapere tutto” lo fermai con un gesto della mano

“Hai solo bisogno di alleggerirti la coscienza, Antony. Se davvero merito qualcosa, quello è riuscire a mantenere un ricordo anche solo leggermente positivo della storiella che abbiamo avuto.”

“Non chiamarla storiella” quasi una preghiera la sua

“Ci siamo frequentati solo una settimana, era una storiella” insistetti, lui si alzò e si avvicinò a me, posò una mano sulla mia nuca dolcemente ma anche con fermezza, si avvicinò quasi ad appoggiare la sua bocca alla mia, poi parlò, le sue labbra solleticavano le mie

“Ti riesco a leggere dentro, Cassandra”, abbassai lo sguardo. Sapevo che aveva ragione.

“Antony...” sussurrai, quasi ipnotizzata dai suoi occhi, cercando di implorarlo di allontanarsi, le lacrime colmarono prontamente gli occhi e iniziai a combattere affinché non uscissero

“Vivimi, Cassandra” bisbigliò lui, la sua voce, calda e sensuale, fece sì che la mia schiena venisse percorsa da un brivido bollente.

Rimasi senza parole quando lui si avvicinò ancora di più e prese a baciarmi il collo dolcemente.

Quel giorno, ancora una volta, decisi di vivere di lui.

Lui, che quasi come una droga, non mi lasciava scappare.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12. Cassie's Metamorphosis ***


Scusate il ritardo! Ho avuto un sacco da fare, ora che sono più libera cercherò di essere più costante.
Nel frattempo credo che la FF abbia compiuto un anno quindi Tanti auguri a Cassandra e A.

Buona lettura.
Fatemi sapere, qualche commento in più è sempre gradito **

Sten.


____

Mi passai una mano tra i capelli, sconcertata. Lo osservai dormire tranquillo, le palpebre che si muovevano leggermente mentre sognava.

Con le lacrime agli occhi mi arresi al fatto che non avrei potuto resistergli, due sue parole ed ero tornata da lui calpestando la mia dignità. In fondo ero quasi arrabbiata, anche se non avrei saputo dire se con lui o con me stessa per aver permesso a un uomo di mettermi nella posizione di essere una sfascia famiglie.

Si girò nel letto abbracciando le coperte e cacciando un leggero mugolio di fatica.

“Sembri un bambino, a volte” sussurrai intenerita, abbassandomi su di lui per dargli un veloce bacio sulla tempia. Quando le mie labbra sfiorarono la sua pelle lui si svegliò, lentamente. Gli occhi gli facevano resistenza, ma riuscì a sorridere in ogni caso.

“Buongiorno” mugugnò con la bocca ancora impastata

“Buonasera” lo corressi, accarezzandogli i capelli, annuì e mi tirò a lui con una mano, mi abbracciò.

Sentii il suo calore, il suo profumo fruttato mi solleticava il naso facendomi rabbrividire. Si girò verso il comodino, una breve occhiata ai numeri rossi che lampeggiavano sulla radiosveglia e mi guardò con una nota di tristezza

“Tra un po' devo andare” spiegò, annuii lievemente guardando il pavimento

“è così che andrà d'ora in poi?” chiesi sospirando, lui alzò le labbra solo da un lato accompagnando il movimento con un gesto della testa

“Non lo so” confessò. Fu in quel momento che realizzai che ero l'altra e che, questa volta, a carte scoperte, avevo deliberatamente scelto questa strada. La fiaba che nella mia testa era iniziata qualche settimana prima non sarebbe più stata la stessa e i sensi di colpa mi torturavano già.

Poi però mi ricordai le sensazioni che il suo tocco sicuro mi faceva provare, non avevo mai sentito nulla di così forte e seppi che ogni scrupolo sarebbe stato del tutto inutile.

“Sto facendo la cosa giusta?” domandai a bassa voce, quasi stessi rivolgendo la domanda a me stessa, per tutta risposta appoggiò le sue labbra alle mie

“io senza questo” disse riferendosi a quel tocco intimo “io senza questo non posso stare” gli lessi nello sguardo quanta più onestà avessi mai visto negli occhi di un uomo, annuii, aveva toccato la corda giusta. Non avrei potuto star senza di lui, avrei finto di star bene anche così, ma ormai sia lui che io sapevamo che mi era entrato sotto la pelle. E già mi piaceva credere che anche io ero entrata sotto la sua.

Mi lasciai stringere un po', appoggiata al suo corpo nudo, respirando il suo odore profondamente. Poi si alzò e silenziosamente si rivestì, lo osservai stesa sul letto. Faticai a non seguirlo per abbracciarlo e obbligarlo a rimanere accanto a me. Ancora non mi capacitavo di quanto potesse essere bello, non capivo come uno come lui, così squisitamente perfetto poteva interessarsi a una ragazza normale come me.

“Che hai da guardare?” chiese scherzoso mentre si allacciava la cintura, mi strinsi nelle spalle

“Sei bello” mi giustificai, scosse la testa imbarazzato e si grattò la nuca nervoso

“Smettila” mugugnò facendo roteare gli occhi, poi si girò di schiena cercando di nascondermi il fatto che le sue guance si stavano tingendo di rosso, mi inginocchiai sul letto e lo avvinai a me tirandolo per la cintura, lo abbracciai forte affondando il viso nella sua schiena ancora nuda

“Lo penso davvero” lo rassicurai “non so come diavolo tu possa essere così tanto dentro di me, dopo così poco tempo”, lui si abbassò fino ad arrivare a fronteggiarmi col viso

“Non lo so neanche io, Cassie. E' qualcosa che non mi era mai successo. Non lo capisco, ma mi piace da impazzire” gli occhi spalancati, quasi a chiedermi di fidarmi di lui

“Non mi guardare così” lo implorai, mordicchiandomi il labbro inferiore

“Così come?” curioso, stupito

“Come se volessi solo me...” poi abbassando leggermente il tono della voce, più cupa aggiunsi “Perché non è così”, lui si sedette accanto a me, appoggiò le braccia alle gambe divaricate e parlò fissando il muro di fronte a sé

“Speravo non avremmo dovuto parlarne già oggi. E' complicato, Cassie. Io e Abbygail stiamo insieme da anni, è un pezzo di me, non sono pronto a rinunciarci” annuii. Per quanto non mi piacesse sentire questo discorso, lo capivo perfettamente. Era un po' come tra me e Manuel, quando lui aveva chiuso la nostra storia si era portato con sé ciò che di me aveva. Non lo avrei augurato a nessuna donna. Poi però era arrivato Antony che, per qualche strano scherzo del destino, stava riuscendo a restituirmi quella parte di cui mancavo da tempo.

“Rispetto i tuoi tempi” dissi, alzandomi per accompagnarlo alla porta. Le parole uscirono dalla mia bocca pesanti come un macigno e dovetti faticare per trattenere la valanga di domande che in realtà avrei dovuto fargli.

Uscii dalla stanza avvolta nel lenzuolo, con noncuranza, dimenticando che Kerry sarebbe potuta essere a casa.

La trovammo in cucina, seduta sul divano intenta a leggere un libro.

“Ciao Cassie” disse senza alzare gli occhi, mi schiarii la voce per farle alzare lo sguardo. Aggrottò le sopracciglia non appena notò che non ero da sola, capii subito che non era entusiasta della cosa

“ehm, Kerry, questo è Antony. Antony, questa è Kerry, la mia coinquilina” biascicai un po' imbarazzata, lui si piagò in avanti tendendole la mano, lei la strinse velocemente, senza troppo interesse, mentre lo fissava in viso con fare indagatore. Alzai gli occhi al cielo.

Presi atto che il primo incontro tra i due era miseramente fallito e tornai ad accompagnare Antony alla porta.

Un bacio veloce, poi di nuovo con quella voce calda e sensuale

“Sei solo mia, ok?” sorrisi e lo baciai con foga prima di spingerlo via. Mi salutò con la mano mentre, raggiante, faceva le scale senza smettere di guardarmi.

Non feci in tempo a chiudere la porta alle mie spalle che la voce di Kerry mi aggredì da dietro

“E' in una boy band quel tizio, lo sai vero?” chiese scettica, mi strinsi nelle spalle

“Lo ho saputo di recente, ma non l'ho ancora visto all'opera” lei continuò a scuotere la testa

“Sono quasi sicura non si chiami Andrew” annuii

“Si chiama Antony. Diciamo che abbiamo iniziato con il piede sbagliato, ma ora va tutto bene” Quasi, aggiunsi nella mia testa

“Quell'uomo ti ha devastata Cassie, dopo solo una settimana. Ti stai per infilare in un gran bel casino” mi avvertì

“Lo so” dissi guardando il pavimento imbarazzata, mi sedetti di fronte a lei ben attenta che il lenzuolo non scivolasse dal mio corpo “E' fidanzato” confessai, lei sbuffò e si passò una mano nei capelli

“Cassie, lascia perdere” sussurrò, percepii la sincerità del suo consiglio ma sapevo che non avrei potuto accettarlo

“E' come una calamita per me. Mi attira a sé qualsiasi cosa lui faccia. E' come quel paio di occhiali da vista che non vorresti mettere, ma senza i quali la vita non ti appare nitida. Lui mi rende più me, mi rende più felice” spiegai, mi fisso seria qualche secondo, poi finalmente sorrise

“Dio, sei cotta, lo sai” mi strinsi nelle spalle alzando un angolo della bocca

“Ho provato a non esserlo” mi giustificai, lei mi sfiorò velocemente la mano, quasi a consolarmi, a farmi capire che in fondo comprendeva, in un certo senso, il conflitto che stavo vivendo

“Su, vai a vestirti” mi invitò. “Vengono gli altri a cena, pensavo ti avrebbe fatto bene, che ti avrebbe tirato su. Ma vedo che ci hai già pensato da sola” concluse facendo una linguaccia, mettendo definitivamente fine al momento confessione tra noi. Obbedii, mi infilai in bagno e dopo una breve doccia mi infilai in un abito bianco stretto con gli spallini sottili. Sugli occhi una riga di mascara e i capelli pettinati un po' all'indietro, quando uscii li trovai già sul divano armati di un bicchiere di vino bianco.

Frank e Annie sedevano vicini, e alzarono il bicchiere in gesto di saluto non appena mi videro. Mi avvicinai subito a loro scusandomi per il modo in cui me n'ero andata un paio di settimane prima, loro mi dissero di non preoccuparmi e la tensione che credevo ci sarebbe stata si stemperò immediatamente.

Pochi minuti dopo altri amici di Kerry si fecero vivi, dopo una veloce presentazione scoprii che si chiamavano Klaus e William. Il primo era un omone di quasi cento chili di muscoli che si stagliava prepotente verso il soffitto, l'altro decisamente più basso, sempre ben piazzato e con due occhi verdi da mozzare il fiato.

Il vino scorreva in maniera quasi incontrollata, ridevamo come dei pazzi, e la conversazione prese presto una piega strana. Inspiegabilmente ci trovammo ad esplorare le nostre passate esperienze sessuali, il che non è propriamente una buona idea quando si ha bevuto un bicchiere di troppo.

Mentre ascoltavo i racconti degli altri ridacchiando nervosamente provai un inspiegabile brivido lungo la schiena, come d'istinto afferrai il telefono e digitai un veloce messaggio destinato a Antony in cui gli facevo chiaramente capire che fremevo dalla voglia di sentire il suo tocco su di me. Mi dimenticai di averlo fatto quasi nello stesso momento in cui premetti invio e ritornai a immergermi nella conversazione raccontando della mia imbarazzantissima prima volta nella stanza da letto dei genitori di un mio compagno di classe del liceo. Ancora ricordavo quanto fosse stata esilarante la faccia della madre di lui, sconvolta nel trovarci a rotolare sotto le coperte.

Stavamo ridendo tutti insieme quando il mio telefono suonò molesto, solo quando udii la suoneria mi ricordai del messaggio mandato a Antony e scossi leggermente la testa mordendomi il labbro inferiore, a metà tra il malizioso e l'imbarazzato. Il ragazzo aveva scelto di essere di poche parole, come mi aveva mostrato essere nel suo stile nel suo primo approccio verso di me. Mi scrisse solo il nome di un locale dell'Essex e un orario, nessun invito aperto, mi faceva solo sapere dove l'avrei trovato.

Mi morsi il labbro ancora più freneticamente socchiudendo gli occhi, mi stava sfidando, ne ero certa. Bene, avrei accettato la sfida.

Chiesi agli altri se avessero voluto uscire più tardi e loro accettarono la mia proposta, così ci sedemmo subito a tavola per liberarci il prima possibile.

Cenammo con dell'insalata greca, tzatziki e una fetta di moussaka vegetariana presi al ristorante greco in fondo alla strada.

Non riuscii a trattenere un sorrisetto di fronte all'ironia della situazione; stavo davvero sviluppando una repentina passione per tutto ciò che fosse greco, notai.

Arrivammo al locale circa alle 22, mezz'ora prima dell'orario indicatomi da Antony. Mi sorpresi dalla sontuosità di quel posto, i locali erano prevalentemente bianchi e neri e le luci qualche tono troppo basse. Era davvero immenso e mi chiesi come avrei potuto trovarlo, senza il telefono che avevo deciso di lasciare a casa.

Ordinai un cocktail alla frutta e mi sedetti su un divanetto a parlare con Klaus. Le sue mani si allungavano più del dovuto, ma, brilla com'ero, ne rimasi più lusingata che infastidita. Risi e flirtai un po' con lui, pur rimanendo cauta a permanere in un area del tutto innocente.

“Bel posto” urlò sopra la musica, annuii

“Me l'ha consigliato un amico” spiegai

“Ah, peccato!” imprecò, gli rivolsi uno sguardo interrogatorio, lui si strinse nelle spalle “Sei proprio un bel tipetto” spiegò, io scoppiai a ridere e aprii la bocca per replicare quando, improvvisamente, tutte le luci della sala si abbassarono quasi al minimo, rendendo impossibile vedere e attirando gli sguardi sul grande palco che si trovava a pochi metri da noi che fino a quel momento non avevo neppure notato. Un elegante uomo avvolto in una giacca scura accompagnata da dei jeans chiari mormorò qualcosa al microfono, io non capivo molto di quello che stava dicendo ancora vittima degli effetti degli alcolici che avevo buttato giù nelle ore precedenti, e a cui non avrei rinunciato per riuscire a portare avanti la mia sfida con Antony.

E non appena la mia testa iniziò a pensare a lui, eccolo apparire sul palco. Indossava un completo grigio argenteo perfettamente tagliato sul suo corpo, lui e altri tre ragazzi salutarono la folla e presero a cantare una canzone ritmata.

Era perfetto in quell'ambiente che tanto gli apparteneva.
Non riuscii a smettere di fissarlo estasiata non appena le note iniziarono a uscire dalla sua bocca, come ipnotizzata mi feci largo tra la folla e mi portai di fronte al palco, appoggiandomi a una colonna per riuscire a sorreggermi, travolta dalle emozioni che questo lato di lui mi suscitava.

Mi divertii a guardarlo mentre cercava qualcuno tra la folla, i suoi occhi guizzavano prima da un lato e poi dall'altro in maniera frenetica, poi, finalmente, mi vide proprio nel momento in cui stavo giocando con la cannuccia rossa che faceva capolino dal mio cocktail. Gli feci un cenno col capo, lui ricambiò con uno dei suoi fantastici sorrisi a bocca aperta.

Non mi mossi per tutto il tempo che lui rimase sul palco, bello come non mai, illuminati dalle luci colorate di una discoteca londinese come tante, ma che quella sera non poteva essere più speciale.

Staccai gli occhi da lui solo un istante, per incrociare uno sguardo contrariato di Kerry alla quale cercai di fare capire che non sapevo che lui si sarebbe esibito, ma senza molto successo. Decisi di non pensarci, in quel momento la disapprovazione della mia coinquilina non era assolutamente una mia priorità.

Prima di scendere dal palco Antony mi fece un veloce cenno indicandomi dove incontrarlo, mi spostai immediatamente sulla destra della stanza, vicino a una porta nera che spiccava sulla parete bianca.

Non feci neanche in tempo ad avvicinarmi che un omone alto e pelato aprì la porta e senza accennare a un sorriso mi fece cenno di entrare, lo ringraziai vagamente intimidita. Lui non si presentò, io non feci nulla per conoscerlo meglio

“Vieni” mi disse e mi condusse in un privé sul retro della discoteca grande almeno la metà della sala principale “i ragazzi arrivano subito, siediti qui” disse mostrandomi un divanetto, alzai le sopracciglia incredula di fronte all'autorevolezza con cui quell'uomo pensava di potermi parlare, ma prima che potessi replicare lui era già sparito. Mi guardai attorno. Decisi che considerare quella parte della discoteca un privé era riduttivo, era piuttosto una sala VIP, se possibile più sontuosa ed elegante che l'altra stanza. Giurai di riconoscere un paio di volti che avevo visto qualche settimana prima sulla rivista che mi aveva svelato la vera identità di colui che al tempo consideravo semplicemente Andrew.

“Simpatico il tuo amico” dissi, con un sopracciglio alzato in segno di disapprovazione riferendomi all'uomo che mi aveva fatta passare, non appena vidi Antony che si avvicinava, lui sorrise teneramente

“Non sa chi sei, pensa che tu sia una fan e con loro preferisce tenere le distanze” spiegò, sbuffai

“Un po' di rispetto non guasterebbe” farfugliai fingendomi offesa
“Glielo farò sapere” disse scoppiando a ridere, risi anch'io per colpa della sua risata contagiosa. Lui fece per cingermi le spalle con un braccio per poi però ritrarsi prima di toccarmi, mi girai incuriosita e vidi i suoi compagni di gruppo venire verso di noi e sedersi. Aggrottai la fronte non sapendo come reagire. Come avrebbe potuto presentarmi?

Riconobbi Simon dal nostro incontro di qualche settimana prima, poi aspettai che fosse Antony a introdurmi agli altri.

“Questa è Cassie” disse “Una nuova fan”, lo guardai storto ma non obiettai, in fondo avevo accettato di essere il terzo nella sua relazione e questo comportava tutta una serie di compromessi. Lo vidi fissare Simon e mi accorsi che con lo sguardo stava pregando di non tradirlo, lui sospirò scuotendo la testa e annuì. Vidi le spalle di Antony rilassarsi lentamente.

Disinteressati gli altri due ragazzi biascicarono i loro nomi e uno di due mi porse un bicchiere di vino, ringraziai e tornai a girarmi verso il mio amante segreto, ringraziando per la musica alta che avrebbe coperto la nostra conversazione

“Quindi sei davvero un cantante, eh?” esordii “Sono stata con un cantante tempo fa, non sono sicura di ripetere l'esperienza” confessai lasciandogli ben chiaro che il mio era solo un gioco, lui colse subito, lo capii dal suo sorriso

“Neppure con me?” chiese sporgendo il labbro, io mi strinsi nelle spalle

“Magari per te vorrei fare un'eccezione” confessai, lo sguardo a metà tra il serio e il divertito, lui si girò verso di me lanciando prima un fugace sguardo ai suoi compagni per assicurarsi che non ci stessero guardando. Appoggiò una mano alla mia sinistra e l'altra alla mia destra, quasi a imprigionarmi tra il suo corpo e i divanetti

“Magari?” chiese, intenso, provocatorio, sorrisi maliziosa leccandomi lascivamente il labbro superiore

“Dipende da cosa sai fare” confessai, lui spalancò gli occhi sorpreso

“E' una sfida? Stai attenta a chi sfidi, signorina, potresti trovare qualcuno che non abbia intenzione di sottrarsi” gli regalai un sorriso storto in risposta, mi piaceva la piega che stava prendendo questi gioco. Era divertente pensare che non sembravamo neppure noi, eravamo troppo immersi nella sfida che ci lanciavamo vicendevolmente, dovuta forse alla consapevolezza che ora tra noi non c'erano più segreti e che potevamo iniziare ad esplorarci realmente

“So benissimo quello che faccio” spiegai, lui si risedette composto sorseggiando un cocktail azzurro, mentre il mio sguardo non smetteva di indugiare insistente su una porta che si trovava di fronte a noi. Se ne accorse.

“Che vuoi fare?” chiese ridendo, io mi feci seria, una patina lucida sugli occhi per l'eccitazione

“Voglio vedere di che pasta sei fatto” dissi e scattai in piedi dirigendomi verso la porta, non dovetti girarmi per sapere che lui mi stava seguendo con lo sguardo. Mi impegnai a camminare il più sinuosamente possibile spostando il peso prima da una parte e poi dall'altra, ancheggiando nella maniera più vistosa possibile cercando di mettere in evidenza come l'intimo scuro tagliava la mia figura sotto l'abito, mi girai solo per buttare giù il resto del contenuto del bicchiere e vidi Antony parlare con Simon, quest'ultimo scosse la testa in segno di disapprovazione.

Li ignorai, avevo bevuto troppo per preoccuparmi di lui e i miei pensieri erano tutti per la mia sfida aperta con Antony, mi infilai nella stanza che avevo notato prima.

Mi ritrovai in un'ampia toilette pulita e dalle tinte scure che profumava di deodorante per ambienti alla fragola. Mentre aspettavo che lui afferrasse il concetto e venisse a recuperarmi lasciai cadere uno spallino dalla spalla e mi misi un velo di rossetto rosso, poi mi misi a fissare di fronte a me aspettando di vederlo spalancare la porta.

Finalmente entrò sorridendo

“Che ti è preso?” chiese divertito, io mi avvicinai a lui e gli buttai le braccia al collo ridendo

“Devo vedere di che pasta sei fatto” spiegai alzando un sopracciglio, lui si fece serio, nei suoi occhi la stessa patina di eccitazione che poco prima aveva eclissato i miei, mi avvicinai alla sua bocca e parlai con le mie labbra sulle sue “Quando ti è arrivato quel messaggio sapevi benissimo dove volevo arrivare” pronunciai quelle parole in un sussurro.

Lui non rispose, si limitò a mettermi una mano dietro la nuca e spingermi ulteriormente contro di lui. Ci stringemmo in un bacio appassionato, senza quasi respirare.

Ci muovevamo gemendo e fremendo, il gioco tra noi era entrato nel vivo. Stavamo ancora lottando ed entrambi lo sapevamo, studiavamo le nostre mosse per cogliere l'altro di sorpresa e per prendere il controllo della situazione.

Mentre lo fissavo negli occhi avvolta dalla lussuria lo sentii prendermi con forza i fianchi per girarmi di centottanta gradi sollevandomi da terra. Mi spinse in avanti e mi curvai sul lavandino. Nonostante l'eccitazione non mancai di fare un segno di disappunto facendo schioccare la lingua sul lato sinistro del palato e dando un colpetto con la testa per aver perso il primo round.
Non potevo perdere, io avevo chiesto di giocare, io avrei dovuto vincere.

Allungai una mano dietro di me e lo presi per la cravatta obbligandolo a chinarsi sopra di me, mi girai con la testa e tornai a baciarlo, muovendo il mio corpo sul suo.

Quando mi fu chiaro che era al massimo dell'eccitazione lo lasciai andare, mi abbassai il vestito che si era sollevato di pochi centimetri e sistemandomi i capelli mi allontanai da lui.

“Niente male, stallone” scherzai, facendogli l'occhiolino.
Mentre uscivo lo vidi che mi fissava sconvolto dall'interno del bagno. Da quello sguardo seppi di aver fatto la cosa giusta, avevo giocato le mie carte e finalmente lo avevo davvero conquistato.
Sarei diventata una sfida costante per lui, decisi.

Poco importava se ormai le barriere che avevo precedentemente erano cadute, in quelle due settimane senza lui avevo imparato a non lasciare più potere a un uomo, e così avrei fatto, indipendentemente da quanto bene mi facesse stare.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13. Hello, Miss Hathaway. ***


Il giorno dopo accesi il computer nella tarda mattinata e mi accorsi di aver ricevuto una mail in cui venivo convocata in redazione per la consegna di un nuovo manoscritto da tradurre. Imprecai, pentendomi di non aver controllato la mia casella di posta il giorno precedente come avrei dovuto diligentemente fare.

Mi infilai in doccia, sbattendo contro ogni parete della casa, troppo presa dalla fretta per badare a prendere le misure, e mi preparai in pochi minuti. Una volta vestita e truccata, ancora con i capelli un po' arruffati, controllai l'orologio. Schioccai la lingua sbuffando quando notai che avevo meno di mezz'ora per arrivare dall'altra parte della città.

Con l'ipod nelle orecchie e il laptop saldamente stretto nella sua custodia mi lanciai in strada infilandomi correndo nella fermata della metropolitana.

Quando spinsi la porta dell'ufficio fui sollevata dal riscontrare di avere solo un paio di minuti di ritardo. Mi avvicinai al bancone della segretaria

“Salve, Brandy” sorrisi soddisfatta per l'essermi ricordata il suo nome dopo i pochi incontri che avevamo avuto “Ho un appuntamento con Jacob” lei sorrise cortesemente e mi fece cenno di accomodarmi nello studiolo dell'editore

“Mi scusi” esordii entrando “sono in ritardo” lui sorrise e annuì chiedendomi di sedermi, solo allora notai una donna dai capelli biondo cenere che sedeva accanto alla poltrona che Jacob mi aveva indicato

“Cassandra, non si preoccupi, ci siamo appena accomodati.” disse accondiscendente, poi con un gesto verso la donna mi spiegò che essa era l'autrice del romanzo che avrei dovuto tradurre. La osservai qualche istante e dovetti ammettere che era davvero di una bellezza fuori dal comune, a dire il vero era così bella da risultare quasi irritante nella sua perfezione. Avvolta in un tailleur beige, sedeva composta su una di quelle scomodissime poltroncine di design che ornavano la redazione come se fosse seduta su un letto di petali di rose, con le mani dolcemente appoggiate alle ginocchia e le gambe accavallate lateralmente all'altezza del polpaccio.

La vidi alzarsi con maestria, senza il minimo sforza e chinarsi verso di me

“Miss Hathaway” si presentò, io sorrisi quasi imbarazzata e ricambiai il gesto. Non fui sorpresa di sentire che una donna del genere portava lo stesso cognome della moglie di William Shakespeare; quando si dice predestinazione!
“Cassandra Collucci” continuai e dopo un fugace movimento del capo si rimise a sedere

“Cassandra, so che lei ha vissuto all'estero per lungo tempo, quindi credo di doverle una breve introduzione; Miss Hathaway è stata una delle migliori scrittrici emergenti della scena britannica negli anni passati ed è svettata ai vertici delle classifiche dopo solo pochi giorni dall'uscita dei suoi libri, è quindi molto importante per noi che i suoi racconti siano trattati con la massima delicatezza, e dopo aver letto i suoi precedenti lavori abbiamo ritenuto che lei sia la persona più adatta a fornirci la traduzione in lingua italiana delle sue opere.” io annuii, chiedendomi come mai non avessi mai sentito parlare di questa donna, Miss Hathaway si chinò di nuovo verso di me e mi sfiorò un ginocchio

“Vede, io sono convinta che il segreto del mio successo sia il fatto che controllo tutto ciò che faccio in ogni suo passo, quindi gradirei poter lavorare gomito a gomito con lei durante il suo lavoro di traduzione. Abbiamo scelto quello italiano come il primo mercato in cui esportare i miei lavori e tengo molto a essere parte integrante dell'operazione” mi morsi il labbro inferiore pensierosa ed annuii, mentre non riuscivo a smettere di chiedermi il motivo di tanta formalità da una donna che poteva avere al massimo cinque anni più di me.

Toccò di nuovo a Jacob parlare

“Dovrà tradurre una trilogia che tratta di una storia d'amore tra due adolescenti, che viene però interrotta da un brusco omicidio. E' una sorta di thriller psicologico articolato da momenti di profondo romanticismo. La cosa sorprendente dei libri di Miss Hathaway è che paiono adattarsi a ogni pubblico, e sarà proprio questo il Suo compito più difficile, Cassandra, riuscire a far sì che questa caratteristica permanga anche in un'altra lingua” io annuii intrigata e feci un sorriso a trentadue denti

“Ci proverò” promisi stringendo la mano prima a Jacob e poi all'autrice.

L'affare era concluso, avrei ritirato le mie copie dei libri da Brandy e sarei stata libera di iniziare a lavorare non appena dissipati i vari dubbi.

Nonostante non amassi avere a che fare con maniaci del controllo, da traduttrice la richiesta dell'autrice non poté che farmi piacere. Il processo traduttologico infatti non si basa, come molti pensano, nella mera lettura e traduzione letterale del testo di partenza, ma comporta una serie di problemi piuttosto intricati che è spesso necessario snodare con del fitto lavoro di ricerca, ed avere accanto Miss Hathaway mi avrebbe reso questa fase molto più semplice.

Mentre ero intenta a raccogliere i tre volumi sentii una mano che mi toccava la spalla e sussultai. Mi girai di scatto e mi trovai di fronte il sorriso smagliante e circondato da una perfetta linea di rossetto color pesca di Miss Hathaway

“Cassandra? Le va di parlare ulteriormente della nostra collaborazione davanti a un caffè?” faticai a non cedere al primo impulso di rifiutare inventandomi qualche inderogabile appuntamento, ma alla fine accettai pensando che sarebbe stato positivo iniziare con il piede giusto il nostro rapporto lavorativo.

Scendemmo al bar sotto la redazione, prima ancora di sederci sparì in bagno. Nel frattempo io ordinai due caffè e mi misi a leggere l'introduzione al suo libro per ingannare l'attesa. Pochi minuti dopo alzai lo sguardo e la vidi tornare. L'austero tailleur Chanel era sparito ed era stato sostituito da dei jeans scoloriti vintage e un pullover aderente celeste, in compenso il tacco alto era rimasto al suo posto. Dovette notare la mia faccia sbigottita perché parlo ancor prima di sedersi al tavolo

“Ormai gli scrittori sono considerati alla stregua delle rock star” spiegò ridacchiando“Così la casa editrice tende a creare un personaggio per te e ti chiede di seguirlo alla lettera. Il mio è la ragazzina snob che gioca a fare la signorina Rottermeier” io scoppiai a ridere

“Quindi tutta questa storia di Miss Hathaway è una farsa?” chiesi, in cerca di un ulteriore chiarimento

“Sì, serve a far contento Jacob. Ma non porto avanti la finzione nella mia vita di tutti i giorni, solo in redazione e nelle apparizioni pubbliche” continuò “A proposito, sono Abby” riallungò la mano e questa volta la strinsi sorridendo genuinamente

“Cassie” risposi. La mia opinione su di lei era vertiginosamente cambiata, ora con i capelli sciolti e il trucco alleggerito aveva perso di formalità e sulla sua pelle si intravedeva qualche leggera imperfezione che me la rese immediatamente più simpatica. Provai a parlare del libro, chiedendole a cosa si era ispirata, ma lei liquidò l'argomento dicendo che si sarebbe fidata di me.

Mi strinsi nelle spalle, probabilmente aveva solo voglia di fare due chiacchiere.

“Quindi Hathaway è il tuo cognome vero?” chiesi curiosa, lei alzò leggermente un angolo della bocca divertita

“Molta gente collega il mio cognome solo all'attrice americana, ma tu hai capito esattamente perché la casa editrice lo ha scelto. Credo sperassero portasse fortuna” disse stringendosi nelle spalle mentre spezzettava un bagel al salmone

“Evidentemente ha funzionato” lei arricciò leggermente le labbra, quasi intristita, quando le chiesi se andava tutto bene lei scosse la testa ma rimase in silenzio. Decisi di non indagare oltre, in fondo non conoscevo quella donna, ma fu lei che inaspettatamente si rimise a parlare.

“Da quando Miss Hathaway è entrata a far parte della mia vita mi sono ritrovata sola, gli amici non capiscono che io non sono il personaggio e se ne sono andati tutti. C'è solo il mio ragazzo ormai. Miss Hathaway mi sta rovinando la vita” concluse, io mi morsi le labbra

“Accidenti! Mi dispiace!” esclamai, e in quel momento compresi che mi dispiaceva sul serio, nonostante la conoscessi da solo un paio d'ore e la mia prima impressione non fosse stata delle migliori immaginai cosa dovesse essere stato per lei vedere che mentre il successo lavorativo si faceva sempre più evidente gli amici di un tempo decidevano di allontanarsi. Cercai di farla sorridere

“Lui però ti capisce, no? Spesso basta una sola persona per risollevare tutto” sottolineai, la sua espressione intristita si trasformò in pochi secondi in un sorriso smagliante

“Sì, lui è fantastico. E' nel mondo dello spettacolo, quindi comprende perfettamente. Non so come farei senza Antony” spalancai gli occhi cercando di deglutire il caffè che avevo in bocca senza soffocare. Se fossimo state le protagoniste di qualche leggera commedia americana il copione avrebbe previsto che lo spruzzassi per tutto il tavolo.

Antony? Abby?

Diamine, Abby stava per Abbygail. Ero in un caffè seduta di fronte alla donna dell'uomo per cui avevo perso la testa e a cui non sarei stata disposta a rinunciare per nulla al mondo. Provai a far finta di nulla non riuscendo a trovare un modo per sviare la conversazione, quindi la lasciai parlare di lui e la parte peggiore fu che lo riconobbi in ogni sua parola.

Era lui, era il mio Antony, il suo Antony.

Sapevo che avrei dovuto alzarmi e andarmene accampando qualche ridicola scusa, ma non ci riuscii. Abby mi piaceva davvero, la sua solitudine ricordava quella che avevo vissuto io gli ultimi anni che avevo passato in Argentina, così, quando realizzai che era la donna del mio amante non riuscii a evitare di sentirmi in colpa, talmente in colpa che, distrattamente, quando mi invitò a pranzo, accettai l'offerta senza ragionarci troppo.

Davanti a un piatto di gamberetti al limone arrivò la domanda che avevo temuto per l'intera mattinata
“E tu? Ti vedi con qualcuno?” mi chiese, genuinamente curiosa. Terminai di masticare con calma, cercando di scegliere le parole giuste per risponderle.

“Diciamo di sì, è una situazione che deve ancora definirsi” spiegai, sperando che cambiasse discorso il prima possibile

“Vi vedete da poco?” annuii e mi infilai in bocca un altro gamberetto

“Sì, sai, sono appena arrivata in città. Prima vivevo letteralmente dall'altra parte del mondo” replicai non appena deglutii, saltò fuori che aveva uno zio in Argentina dal quale aveva trascorso spesso le vacanze invernali e passammo la seguente ora a chiacchierare di luoghi e persone che entrambi avevamo conosciuto a Buenos Aires. Ridemmo insieme di Pablo el Loco, un barbone che passava i suoi giorni a girovagare attorno all'Obelisco e a spaventare i turisti che non lo conoscevano.

Le raccontai della prima volta che lo avevo incontrato, era uno dei suoi giorni no e aveva deciso che indossare biancheria intima lo avrebbe fatto ammalare gravemente, così, di fronte a me, aveva deciso di aprire il soprabito per spiegarmi quale fosse il modo migliore per evitare una visita dal dottore.

Abby rise convulsamente di fronte alle mie espressioni mentre lo descrivevo, guardandola ridere mi si chiuse la bocca dello stomaco e mi parve quasi mancare l'aria.

Improvvisamente, come un'agnizione, realizzai di non avere il diritto di star lì seduta con lei, provai ribrezzo verso me stessa, consapevole di essere la persona che avrebbe potuto potenzialmente toglierle l'unica cosa che la rasserenava. Dovevo andarmene al più presto, avevo bisogno di una boccata d'aria e di capire in cosa diavolo mi stavo infilando.

A fatica, quasi incapace di respirare ormai per l'ansia, mi congedai fingendo una telefonata urgente e uscii lasciando che l'aria sferzante di Londra mi colpisse con violenza le guance.

Digitai freneticamente il numero di Antony e aspettai di sentire la sua voce dall'altro capo del telefono.

“Ho appena incontrato Abbygail” sbottai, senza neppure lasciarlo parlare

“Cosa?” dall'altro lato lui in un sussurro, presi un grande respiro e cercai di spiegarmi meglio

“Devo lavorare con lei. Diamine, è una scrittrice e io una traduttrice” quasi isterica “Ho bisogno di vederti, ora. Ho bisogno di ricordarmi per quale motivo mi sono infilata in una situazione simile” aggiunsi, quasi implorandolo

“Sto già venendo da te” disse deciso prima di riattaccare.

Mentre mi spostavo verso casa non riuscii a smettere di pensare.

Chi ero io per infilarmi nel rapporto di qualcun altro? Sapevo di non aver alcun diritto di farlo, ma ero anche consapevole che probabilmente non vi avrei potuto rinunciare.

Il solo pensiero del suo tocco caldo e forte sulla mia pelle mi faceva rabbrividire e quegli occhi un po' chiusi, quasi a sembrare sempre stanchi, mi catturavano come nulla prima di allora, io lo sapevo, lui lo sapeva; era questo il tipo di potere che avevamo l'uno sull'altra.

Eravamo figli di una magia che non era nostra, ne subivamo l'influsso in maniera clandestina come i protagonisti di una tragedia shakespeariana. Non potei far altro che sperare che la nostra vicenda si potesse concludere in maniera migliore.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14. You Should See the Rest of Your Story. ***


E' un capitolo davvero breve, ma allungarlo l'avrebbe reso meno puro.
Ci tengo molto.
Fatemi sapere,
Sten.


___

“Faccio tardi. Abby è tornata a casa prima che potessi uscire. Aspettami.” l'sms di Antony arrivò non appena misi piede in casa, sprofondai sul divano in un irrazionale moto di gelosia.
In un attimo ogni senso di colpa fu spazzato via, le immagini di lui intento a darle un veloce bacio sulle labbra non appena lei rientrava, per poi sedersi al tavolo e farsi fare il resoconto della giornata mi fecero accapponare la pelle.

Era ufficiale: il mostro verde dell'invidia aveva bussato alla mia porta ed io non ero stata capace di lasciarlo fuori ad attendere.

Provai a iniziare a leggere il romanzo di Abby per avvantaggiarmi con il lavoro, ma fui costretta a riprendere la lettura della stessa pagina una decina di volte, troppo distratta dal pensiero delle loro bocche a contatto, dei loro corpi nudi stretti tra loro e del suo sguardo, che avevo visto perdersi in me, sprofondato negli occhi azzurri di Abbygail.

Lanciai il libro sul divano e mi distesi, le mani attorno alla testa quasi a creare una barriera tra me e il mondo esterno. Nel buio della mente però le immagini di loro due insieme non smettevano di rincorrersi. Non riuscivo a capire come lui avesse potuto non accorgersi di nulla in quell'ultimo periodo quando sapevo di essere io quella che lo rendeva felice davvero.

Mi stavo forse sbagliando? Forse dedicava a entrambe la stessa risata sguaiata rotolandosi sul letto dopo aver fatto sesso per ore? Forse io non ero poi così speciale come mi ero convinta di essere?

Il pensiero di non essere io a portarlo a camminare sulle nuvole forse mi faceva impazzire ancora più che l'idea di loro due insieme, non potevo credere di non essere per lui la stessa iniezione di adrenalina che lui era per me.

Improvvisamente sentii un ineluttabile bisogno di vederli insieme, così afferrai il computer di Kerry che era stato lasciato abbandonato vicino al sofà e digitai i loro nomi in un motore di ricerca, ed eccoli lì, sorridenti sul red carpet di un evento mondano londinese.

Il lato positivo dell'essere personaggi noti, pensai ironicamente.

Lei portava un Oscar De La Renta fucsia che le scendeva morbido sul corpo accarezzandone solo in maniera accennata le curve delicate, lui un completo grigio con una cravatta nera stretta al collo, si tenevano per mano e sorridevano.
Sentii il sangue gelarsi nelle vene.

Sorridevano.

Lui sorrideva accanto a lei, brillava quasi e mi sembrò impossibile poter fingere una tale raggiante felicità. Scossi la testa e richiusi il computer. Erano passate poche ore da quando ero venuta a conoscenza dell'esistenza di Abbygail, ma già mi sembrava di sentire quanto pesante risultasse la situazione.
Avevo sempre creduto che non avrei mai fatto l'amante per scrupoli nei confronti della persona che sarebbe stata tradita con me, ma mai e poi mai mi era balenata in testa l'eventualità di essere incapace di ricoprire quella posizione per la mia volontà di essere l'unica, di essere il suo tutto, e invece era proprio ciò che era successo: Antony mi aveva conquistata, travolta, scossa e riappoggiata al comodino, come fossi stata una di quelle orribili palle souvenir con la neve dentro, e ora non potevo far altro che aspettare di vedere come mi sarei riassestata.
Lo capii repentinamente, quasi in una rivelazione, il problema non era la felicità di Abby, il problema era quella di Antony perché non girava attorno a me. Lui era sotto la mia pelle, ma io, forse, non ero ancora sotto la sua e lo sentivo.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime silenziose ed educate e rimasi così, seduta sul divano a fissare il vuoto, per alcuni lunghissimi minuti con le guance sempre più bagnate ma il corpo compostamente fermo. Non era un pianto di disperazione, ma di rassegnazione perché sapevo che in fin dei conti mi sarebbe andata bene così, perché senza di lui non avrei voluto stare, in nessun caso.

Lo aspettai così, immobile e madida, ben sapendo che quando l'avrei visto questa sensazione di inadeguatezza se ne sarebbe andata per poi tornare l'istante stesso in cui lui sarebbe uscito da casa mia.

Alla fine, dopo attimi che mi sembrarono infiniti, arrivò. Visibilmente scosso entrò in casa, scivolando leggero, quasi fosse irreale.

Scosse la testa.

“Non avrei mai pensato succedesse” balbettò fissandomi negli occhi con i suoi che erano illuminati da un'intensità mai vista prima.

Le sopracciglia leggermente piegate verso il basso per la prima volta non erano l'unico segno malinconico sul suo viso.

Si morse un labbro. Per l'ennesima volta mi richiamò alla mente le goffe movenze di un bambino.

Non parlai, lo strinsi a me, nel silenzio più totale.

Si lasciò stringere, ricambiando l'abbraccio cingendomi la schiena all'altezza dei fianchi. Rimanemmo così, immobili e increduli, protetti l'una nella stretta dell'altro, in una sorta di bolla di sapone che pareva tenerci separati dal fluire dal resto del mondo.

Entrambi eravamo stati colpiti dalla realtà attorno a noi e stavamo cercando di far pressione sulle nostre ferite nel tentativo di dimenticare che non avremmo mai funzionato.
Ora lo sapevamo. Alla fine l'avevamo ammesso.

Fu il primo abbraccio davvero onesto tra noi, un tacito accordo di accettazione di un patto di intesa. Per essere veri, veri fino in fondo, avremmo dovuto mentire a noi stessi e al mondo.

Per essere felici tra noi avremmo dovuto fingere di credere di poterlo essere anche l'uno senza l'altra, perché l'ammettere una tale dipendenza tra noi avrebbe significato rendere palese il fatto che nessuno dei due era disposto a sacrificare la propria vita.

Stringemmo quasi un patto di sangue, vincolante e pesante, per cui se il mondo ci avesse fatto male avremmo accolto i suoi fendenti con il sorriso, perché il dolore che da quel momento ci sarebbe stato afflitto sarebbe stato la conseguenza delle nostre scelte.

Un abbraccio che sapeva di tutto tranne che di addio che incredibilmente mi tranquillizzò.

“Antony...” sussurrai, riuscii solo a dire il suo nome prima che lui mi zittisse baciandomi leggermente le labbra, un bacio di supplica, mi scostai leggermente da lui e annuii

“Va bene così” gli risposi con un accennato sorriso triste, lui mi ristrinse forte e mi persi nelle sue braccia forti.

Mi sentii al sicuro come mai mi ero sentita prima. Lui, imperfetto e insicuro, era l'essere più perfetto e sicuro che io avessi mai incontrato nella mia vita.

Ben lungi dall'essere mio, in realtà era la cosa che sentivo di possedere più di tutto.

“Ho una canzone che ho scritto tempo fa che oggi non fa altro che parlarmi di te” mi disse improvvisamente, mi sedetti a terra pronta ad ascoltarla.

Mi imitò e prese a cantare, gli occhi chiusi e la testa che si muoveva al ritmo della musica che risuonava nella sua mente ma che io non potevo sentire.

Le parole per me mi colpirono come una ventata di aria tiepida il primo giorno di primavera, quasi mi parve di sentirne gli odori dolci e improvvisi che vi avrei ricollegato.

Sapere ciò che ti aspetta rende giusto ciò che è sbagliato, credimi. Aspetta, nulla dura per sempre, prima o poi questa solitudine se ne andrà. Dovresti poter vedere il resto della tua storia, ti aspetta un altro capitolo, non ti preoccupare. Non tutti i finali sono uguali. So che imparerai ad amare di nuovo.

Mi alzai e andai dietro di lui mentre ancora cantava, lo strinsi da dietro accucciandomi appoggiata alla sua schiena

“Imparerò” sussurrai con le labbra appoggiata alla sua orecchia.

“Non con te” pensai “Lo sappiamo entrambi”.

Ma lo tenni per me, sapevo che anche lui ne era consapevole.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15. Follow the White Rabbit. ***


Con molto ritardo ecco il nuovo capitolo.
Aspetto le vostre opinioni.
Sten.

___

CAPITOLO 15. Following the White Rabbit.
 
Lui si girò verso di me, lo sguardo vacuo, distratto che però pareva scrutarmi dentro.
Avvicinò la sua mano sinistra e mi accarezzò il viso con le nocche, lentamente, quasi tremando. Io chiusi gli occhi, mi concentrai sul suo tocco. Ne percepii la dolcezza, la delicatezza. Sentivo che mi toccava come se fossi una bambola di porcellana rotta, tenuta insieme solo da pochi millilitri di colla.
Lo fermai, strinsi la presa tenendo le sue dita con entrambe le mani e schiacciai il corpo contro il suo, fissandolo così intensamente da dimenticare di sbattere le palpebre
“Non avere paura di farmi male, Antony” lo pregai. La voce annidata attorno al nodo alla gola che si era formato nel sentire suo calore contro di me.
Mi aspettavo un timido sorriso di assenso, un tacito consenso da parte sua. Invece lo vidi farsi ancora più serio in volto, liberarsi dalla mia presa e stringermi le braccia. Con forza, quasi mi avesse preso alla lettera. Mi baciò, di un bacio possente, virile. Il suo sapore azzerò ogni pensiero. Lasciai che mi cingesse la vita con le sue mani forti, mentre mi abbandonavo sempre di più a lui.
Eravamo un contrasto continuo; il minuto prima ci arrendevamo alla caducità della nostra passione, ci piegavamo, tristi e sfiniti come due vecchi amanti alla fine del loro cammino comune, e quello successivo eravamo due liceali appena conosciutisi fuori dal portone della scuola, incapaci di pensare a una vita diversa da quella che immaginavano insieme.
Eravamo tornati quei due teenager; mentre il suo bacio caldo cullava il mio, mentre lui mi cullava, vivevamo come se avessimo potuto restare insieme per sempre, in quella morsa calda che sembrava avvicinarci tanto da unirci in uno solo.
Quel pomeriggio, nudi, stesi sul divano sotto una coperta di pile azzurra , stretti in un abbraccio che sapeva di promesse amare, gli raccontai per la prima volta di me. Rimasi nuda davvero, confessando il mio passato e con esso il presente, le mie paure, tutto ciò che mi faceva tremare se pensavo a ciò che sarebbe stato da quel momento innanzi.
Tacque.
Gliene fui grata. Si limitò a baciarmi la nuca, il naso affondato nei miei capelli.
“Cassie, se solo lo avessi saputo…” iniziò, mi girai verso di lui e terminai la frase per conto suo, le mie labbra sulle sue
“Se solo avessi saputo che saremmo rimasti travolti in questa maniera saresti scappato a gambe levate”, scherzai, scosse leggermente la testa senza interrompere il contatto tra i nostri respiri
“Se solo avessi saputo che ci sarebbe stata una come te ad aspettarmi prima o poi, sarei corso ad affogare in questo casino anche prima”.
Sorrisi, compiaciuta e triste.
Realizzai che se non sarebbe stato mio, probabilmente non sarebbe mai stato nemmeno di qualcun’altra.
Me ne dispiacqui.
Sapevo che la rispettiva mancanza di coraggio ci avrebbe condannati all’infelicità. Da un lato, io, bruciata da un vecchio amore la cui cicatrice non pareva andarsene mai, che scappavo dalla pienezza dei miei sentimenti, e dall’altro, lui, così incastrato, forse addirittura incollato, alla sua quotidianità, da negare al suo cuore di battere liberamente per non dover abbandonare il sentiero conosciuto per quello ancora imbattuto.
“Quando finirà” sussurrai, un filo di voce soffiata leggermente attraverso la fessura tra le labbra “ricordati di questo momento”, lui annuì
“Quando finirà, spero che l’odio non si sarà portato via tutto il bene che abbiamo fatto l’uno all’altra” replicò per tutta risposta. Anche senza girarmi sapevo che stava fissando il vuoto innanzi a lui, fu il mio turno di annuire
“L’odio non ci appartiene” lo rassicurai, mi mordicchiò una spalla rispondendo
“L’odio è l’altra faccia dell’amore” lo sentii diventare più caldo contro la mia schiena, capii che stava arrossendo
“L’amore ha un che di oscuro, Antony. Noi rimarremo sempre qualcosa di più puro” gli confessai, giochicchiando con l’unghia dell’indice della mia mano destra
“Quando ci siamo conosciuti, in quel bar di Portobello, tu ti sei passata un dito sul viso, lenta, bellissima. Mi sono innamorato di te in quel momento, anche se allora ancora non lo sapevo” deglutii rumorosamente
“Antony…” lo pregai. Mi immaginai in ginocchio di fronte a lui, implorandolo di non continuare, lui comprese, ma mi ignorò, bello e crudele come un principe d’altri tempi. Aveva deciso di conquistare il forte, e non si sarebbe fermato davanti a nulla.
“Ho bisogno di essere onesto con te, Cassandra”
“Non farlo. Non sporchiamo di illusioni ciò che c’è tra noi”
“Se fosse un’illusione avrei timore che parlandone scompaia. Io ora, qui con te, stretto a te, non ho paura. Forse per la prima volta nella vita” scossi la testa
“Devi imparare a essere onesto con te stesso” lo rimproverai teneramente, lui sorrise
“Credimi” un sussurro, una preghiera, mi girai verso di lui e lo guardai. La mia testa appoggiata al suo petto che si muoveva al sinuoso ritmo del suo respiro.
“Sai che non posso. Ti leggo dentro”, spiegai.
Mi addormentai così, cullata dal ritmo della vita che scorreva in lui.
Quando mi risvegliai, ore più tardi, il mio umore era decisamente cambiato.
Avevo un sorriso preportente disegnato sulle labbra: quel giorno, stesi su quel divano, avevamo deciso di vivere a pieno il nostro rapporto, poco importava se nel contempo avevamo stabilito di non investire nulla di noi stessi.
Due amanti clandestini, consapevoli di essere tali, ma pur sempre due amanti.
Era stato lui a parlare di amore, a dire quella parola tanto spaventosa alle mie orecchie, e alla fine mi ci ero arresa, senza mai pronunciarla avevo acconsentito a non essere solo ‘la donna con cui aveva una storia’, ma la sua amante.
Dal verbo amare, colei che ama.
Di nuovo, aveva toccato una delle mie corde scoperte, e ora, sentivo che stavo scivolando a lui imprescindibilmente, come Alice che cade nella tana del Bianconiglio, incapace di fermarsi. Nell’onestà di quel pomeriggio mi aveva spinta a fidarmi di lui, a darmi a lui davvero. Col cuore libero di una bambina.
E proprio così mi sentivo, una bambina, sorridente e spensierata.
Lo guardai. Dormiva bellissimo. Come al solito il suo viso portava una traccia di apparente malinconia legata ai suoi tratti somatici. Iniziai a punzecchiarlo con un dito cercando di svegliarlo, come una bimba dispettosa giocavo con la sua pelle che al mio tocco diventava più chiara, e alla fine ottenni il mio scopo.
“Voglio fare quel gioco con i fili di lana” gli dissi non appena aprì gli occhi, il mio viso radioso a pochi centimetri dal suo sguardo assonnato, lui scosse la testa e cercò di rimettersi a dormire
“Dai, Antony” lo esortai, lui, sbuffando dolcemente, si mise a sedere arrendevole
“Non so di che cosa tu stia parlando, Cassandra” sbiascicò in uno sbadiglio
“Sì, sai quei giochini che si facevano da bambini. Si arrotolava la lana sulle mani e la si tendeva, incrociava e riposizionava in mille modi per ottenere figure diverse” lui alzò un sopracciglio, ancora perplesso
“Mi dispiace deluderti, ma davvero non ne ho mai sentito parlare” feci schioccare incredula la lingua contro il palato, senza dire nulla scavalcai il divano, aprii qualche cassetto della sala e, dopo qualche tentativo vano, trovai un gomitolo di lana rossa che Kerry aveva comprato qualche giorno prima decisa a imparare a lavorare a maglia. Ne tagliai un pezzo e lo annodai, poi tornai da lui.
“Tendi le mani” ordinai, scettico allungò le braccia davanti a sé, gli feci cenno di serrare le dita che andavano dall’indice al mignolo, vi appesi il filo annodato su se stesso e gli feci fare un giro doppio su entrambe le mani.
Mi misi dietro di lui sul divano, il mio mento nell’incavo del suo collo.
“Adesso lasciati guidare” gli dissi dolcemente mentre, coi miei palmi sui suoi dorsi, ne dettavo i movimenti.
Mi accorsi che aveva perso quella vena di scetticismo che aveva prima negli occhi, e ora seguiva quasi incuriosito i movimenti delle nostre dita. Un bambino avido di imparare e una bambina che fremeva dalla voglia di condividere i segreti di un gioco che lui non conosceva.
Feci scivolare il medio della sua mano destra sul palmo della sua sinistra facendogli raccogliere il filo e riallontanai le sue mani, poi feci la stessa operazione con l’altro lato.
“Forte” disse, quasi meravigliato, trovandosi le mani legate tra due fili incrociati, io sorrisi e mi andai a posizionare di fronte a lui.
Sembrava davvero un cucciolo, pronto a gioire delle piccole cose.
Capii come dovevo essergli apparsa io al nostro primo appuntamento.
“Non hai visto ancora nulla” spiegai, mentre sollevavo i fili annodati tra loro e li incrociavo con il filo che era rimasto ritto all’altezza dei suoi pollici. Prima che se ne rendesse conto i fili erano nelle mie mani in una posizione tutta nuova. Un rettangolo piano con all’interno un piccolo rombo appeso alle sue diagonali era ora appeso tra le mie dita.
“Adesso devi seguire perfettamente ciò che ti dico, se vogliamo arrivare alla fine del gioco” lui annuì deciso e iniziò a seguire le mie istruzioni con una concentrazione mastodontica, mordendosi le labbra con gli incisivi mentre eseguiva ciò che io gli dicevo di fare.
Dopo quasi mezz’ora in cui ci alternavamo nel tirare e mantenere i fili giungemmo alla figura finale.
“Era un gioco che facevamo a scuola da bambini” spiegai, mentre riponevo il filo in un cassetto. Lui non sapeva è che qualche ora dopo lo avrei recuperato e conservato, in ricordo della prima cosa che avevamo costruito insieme, del nostro primo obiettivo raggiunto.
“Non ne avevo mai sentito parlare” rispose, poi sorrise “Sono stato bravo, per essere stata la mia prima volta, no?” mi avvicinai e lo bacia sull’angolo della bocca
“Sei stato bravo, Antony” gli feci una carezza sul viso utilizzando il dorso della mano “Lo sei sempre”
“E’ che siamo un ottima squadra” puntualizzò lui “una squadra costretta a giocare in panchina” continuò poi in un sussurro
“Non ti rattristire. E’ il nostro ruolo, la nostra natura” mi appoggiò una mano sulla spalla
“Così piccola eppure così saggia” arrossii per lo sguardo di ammirazione che aveva negli occhi più che per le sue parole.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=750038